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Giudici e Corte costituzionale

Lezione XV

Prof. Antonio Gusmai


Giudici, magistrati, giurisdizione
I giudici sono gli organi dello Stato il cui compito è decidere liti interpretando
e applicando il diritto. Le decisioni di questi organi sono sentenze.

Occorre fare attenzione alla parola «giudici». Con essa, nell’uso comune, si
indicano due cose: 1) gli organi dello Stato che esercitano la funzione
giurisdizionale (in tal caso «giudici» sono i Tribunali, le Corti d’Appello, la
Corte di cassazione); 2) i singoli funzionari che compongono tali organi
(dunque il «giudice» persona sica). In questo senso, però, è più precisa la
parola «magistrato». I giudici, esercitano la funzione giurisdizionale.

Si tratta di un potere diffuso, cioè un potere composto da tanti giudici


nessuno dei quali è superiore agli altri. Ciascun singolo giudice detiene tutto
intero il potere giudiziario, ovviamente nell’ambito della causa rimessa alla
sua decisione.
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Magistrature ordinarie e speciali


L’art. 102 Cost. stabilisce che «la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e
regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario» e che «non possono essere istituti giudici speciali».

A leggere tale disposizione sembrerebbe che in Italia vigesse una «unità della giurisdizione».
Tuttavia la stessa costituzione prevede alcune magistrature speciali. Di conseguenza la giurisdizione
si distingue in ordinaria e speciale. Alla domanda “possono dunque essere istituiti giudici speciali?”,
la risposta è: “non possono essere istituiti nuovi giudici speciali, ma permangono quelli già esistenti”.
In ogni caso possono essere sempre istituite «sezioni specializzate» all’interno della magistratura
ordinaria (ad es., il tribunale minorile all’interno della magistratura ordinaria penale).

Nella giurisdizione ordinaria rientra: 1) la giurisdizione civile; 2) la giurisdizione penale. Nell’ambito


della giurisdizione speciale rientra, invece: 1) la giurisdizione amministrativa (TAR e Consiglio di
Stato); 2) la giurisdizione contabile (Corte dei conti); 3) la giurisdizione militare (in tempo di guerra
giudica anche sui reati dei civili); 4) la giurisdizione tributaria (Commissioni tributarie).
Altra cosa ancora è la c.d. giurisdizione volontaria. Qui si è sempre all’interno della giurisdizione
ordinaria ma manca una “lite”, ossia non c’è una controversia tra due o più parti. Ciò accade quando
la legge esige l’intervento di un giudice per il compimento di atti particolarmente delicati in quanto,
tra tutti gli organi dello Stato, il magistrato è quello che offre le maggiori garanzie di applicazione
corretta della legge (si pensi ai provvedimenti di interdizione, di inabilitazione, alla dichiarazione di
morte presunta, alla separazione o al divorzio consensuali, alla dichiarazione volontaria di fallimento).
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La soggezione del giudice alla legge, ma anche e


soprattutto alla Costituzione
L’art. 101, comma 2, Cost., stabilisce che «i giudici sono soggetti solo alla legge». Tale disposizione ha
bisogno, oggi, di essere meglio chiarita. Invero occorre distinguere due livelli: quello dell’indipendenza
dell’ordine giudiziario dagli altri poteri, da quello dell’attività interpretativo-applicativa del giudice.

Sotto il primo pro lo (indipendenza della magistratura) la soggezione del giudice soltanto alla legge sta a
signi care che i magistrati decidono liberamente, senza prendere ordini e direttive da altri poteri (specie
dall’esecutivo).

Sotto il secondo pro lo, invece, la disposizione costituzionale ha bisogno di essere arricchita di signi cato.
Invero, quando la Costituzione è entrata in vigore (1948), si pensava che la Costituzione fosse un programma
da attuare esclusivamente per via legislativa. Cosicché i giudici avevano il compito di applicare
esclusivamente quanto prescritto dalla legge. Oggi non è più così: la Costituzione deve essere attuata da tutti
gli organi costituzionali, in primis i giudici. Quando, infatti, il magistrato applica la legge è tenuto ad
interpretarla alla luce dei principi fondamentali previsti dalla Carta fondamentale. Pertanto, ecco che, quando
il giudice è chiamato ad interpretare e applicare la legge per risolvere una controversia, egli deve ritenersi
sottoposto, prima ancora che alla legge, alla Carta repubblicana (in questo modo contribuendo ad innovare
l’ordinamento giuridico). Di qui la siologica co-produzione normativa tra legislatori e giudici: il diritto è
sempre il prodotto dell’attività congiunta di entrambi questi organi. La legittimazione della produzione della
quota di diritto giurisprudenziale è rinvenibile nella «necessità» di inverare la democrazia sociale imposta
dalla Costituzione (la democrazia costituzionale non si riduce mai alla volontà della maggioranza politica). È
proprio tale «necessità» a farsi fonte abilitante e legittimante la produzione normativa dei giudici.
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L’indipendenza della Magistratura
Al ne di impedire l’uso strumentale della giustizia da parte di altri poteri, la
Costituzione ha previsto rigorose garanzie di indipendenza dei giudici.
Queste garanzie valgono a preservare:

1) l’«indipendenza esterna», ossia l’autonomia e l’indipendenza della


magistratura nel suo complesso, nei confronti delle pressioni che possono
venire dagli altri poteri dello Stato;

2) l’«indipendenza interna», ossia la personale indipendenza di ciascun


magistrato entro la struttura complessiva dello stesso ordine giudiziario.

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L’«autogoverno» della magistratura ordinaria: il CSM

L’indipendenza «esterna» della magistratura è proclamata nell’art. 104 Cost., comma 1, ove
si legge che «la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro
potere».

Per assicurare questa indipendenza, i Padri costituenti hanno previsto un organo di


«autogoverno», il Consiglio superiore della magistratura (CSM), sganciato dal potere
esecutivo (il ministro di giustizia) e deputato ad adottare tutti i provvedimenti che
riguardano lo status di magistrato (provvedimenti riguardanti la carriera, come le
assunzioni, le assegnazioni alle diverse sedi, il conferimento delle funzioni, trasferimenti dei
giudici, le sanzioni e i procedimenti disciplinari).

Tali poteri, che un tempo venivano esercitati dal Governo, tramite il ministro di Giustizia,
spettano oggi esclusivamente al CSM. Al ministro spettano, invece, soltanto i poteri
sull’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (per es., circa i palazzi
di giustizia, gli uf ci dei cancellieri e dei segretari e, soprattutto, le istituzioni penitenziarie).

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…segue: la composizione «mista» del CSM


Il CSM è composto in maggioranza da magistrati ordinari o c.d. togati (2/3), a cui si
aggiungono i c.d. membri laici (1/3 dei membri non fanno parte della magistratura,
in questo senso “laici”). In totale, i membri sono 27.

In particolare: a) 16 membri togati sono eletti dai magistrati stessi, tra tutti i giudici
ordinari; 8 membri laici sono eletti dal Parlamento in seduta comune, a
maggioranza quali cata di 3/5, tra i professori universitari di materie giuridiche e di
avvocati che hanno esercitato la professione per almeno quindici anni; c) a questi si
aggiungono 3 membri di diritto, che fanno parte del CSM automaticamente: si tratta
del P.d.R che lo presiede, del primo Presidente della Corte di cassazione e del
Procuratore generale presso la Corte di cassazione.

Si tratta, come evidente, si una composizione mista, al ne di evitare che i


magistrati potessero costituire una «casta chiusa», ossia «uno Stato nello Stato».

Il CSM dura in carica 4 anni.


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Garanzie per l’indipendenza «interna»

A garanzia dei giudici in quanto funzionari, la Costituzione prevede:

1) l’assunzione per concorso pubblico (ad eccezione dei magistrati onorari e


dei giudici popolari);

2) l’inamovibilità dei giudici (salvo loro consenso o a seguito di decisione del


CSM per tutelare la buona immagine della giustizia, c.d. “deminutio
prestigio”);

3) assenza di gerarchie interne (come detto, il potere giudiziario è un potere


diffuso).

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I caratteri costituzionali della giurisdizione


Esistono alcuni principi costituzionali generali validi in ogni caso in cui vi sia esercizio della giurisdizione.

In particolare:

I) Il principio del giudice naturale precostituito per legge (sono vietati i giudici creati ad hoc e, dunque, ex
post factum. La legge stabilisce preventivamente competenza e giurisdizione del magistrato);

II) l’imparzialità del giudice (in alcuni casi il giudice deve «astenersi» o può essere «ricusato» da una
delle parti in causa);

III) il diritto alla giustizia (ogni cittadino ha il diritto di azione per difendere i propri diritti e interessi
legittimi);

IV) il diritto alla difesa (la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del giudizio);

V) l’obbligo di motivazione (tutti i provvedimenti dei giudici devono essere motivati;

VI) l’appellabilità delle decisioni (l’ordinamento garantisce vari gradi di giudizio);

VII) la regola del giudicato (i processi non possono durare all’in nito e, inoltre, vale il principio del ne bis
in idem, «non due volte sulla stessa cosa»).
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La giustizia costituzionale
Come s’è più volte detto, la nostra Costituzione è rigida. Essa deve essere
rispettata da tutti, anche dal Parlamento che fa le leggi. Per ottenere questo
risultato non basta, però, af darsi solo alla buona volontà: se fosse così, la
Costituzione non risulterebbe davvero obbligatoria. Le maggioranze
parlamentari potrebbero violarla, tutte le volte che esistesse un interesse
politico ad agire incostituzionalmente.
È necessario, quindi, un apposito organo di garanzia contro le violazioni.
Questo organo è la Corte costituzionale. Le norme principali in materia sono
contenute negli artt. 134-137 della Costituzione, e in due leggi, la legge
costituzionale n. 1 del 1948 e la legge ordinaria n. 87 del 1953.
La giustizia costituzionale rappresenta il completamento dello Stato di
diritto affermatosi in epoca liberale. Nel secolo scorso, è stato compiuto
l’ultimo passo: anche il legislatore è sottoposto a una legge, la legge suprema
che è la Costituzione. Alla legalità-legale (principio di legalità) si aggiunge la
legalità-costituzionale (principio di costituzionalità).
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Composizione della Corte


Il nostro sistema di giustizia costituzionale ha un carattere essenzialmente giudiziario, ma si è tenuto
conto altresì che la garanzia costituzionale non è separabile dalla vita delle istituzioni nel loro insieme.
Per questo, la composizione della Corte è complessa: tecnico-giuridica e politico-istituzionale.
La Corte costituzionale è, invero, composta da 15 giudici. Di essi, 5 sono nominati dal P.d.R., 5 sono
eletti dal Parlamento in seduta comune delle due Camere con elezione a maggioranza quali cata
(dei 2/3 e, dopo la terza votazione, dei 3/5 dei componenti l’Assemblea), a tutela delle minoranze; i
restanti 5 sono eletti dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative (tre dalla Corte di
cassazione, uno dal Consiglio di Stato e uno dalla Corte dei conti).
I giudici sono scelti tra giuristi, cioè tra magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori;
avvocati con più di vent’anni di esercizio della professione forense; professori ordinari di università
in materie giuridiche.
Anche se nella realtà accade diversamente, non esiste alcuna corrispondenza tra elettorato attivo
ed elettorato passivo, potendo i soggetti titolari del potere di nomina e di elezione scegliere
indifferentemente tra le previste tre categorie di soggetti aventi i requisiti per essere eletti e nominati
(professori, magistrati, avvocati). Ciò si spiega con il fatto che i giudici costituzionali, per così dire,
«rappresentano la Costituzione» tutti al medesimo titolo e non sono affatto rappresentanti delle
diverse corporazioni da cui sono tratti (come si accennava, però, nella realtà la tendenza è proprio
quella corporativa, per cui, ad esempio, i magistrati eleggono solo i magistrati).
I giudici durano in carica 9 anni, e non possono essere rieletti o rinominati.

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Le competenze della Corte


Le competenze della Consulta sono stabilite dall’art. 134 Cost. e, per quel che riguarda
l’ultima dell’elenco che segue, dall’art. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953.

La Corte è

1) giudice delle leggi, nelle controversie relative alla legittimità costituzionale delle sole
fonti primarie: le leggi e gli atti aventi forza di legge (d.lgs. e d.l.) dello Stato; le leggi
della Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano; gli Statuti delle Regioni ad
autonomia ordinaria (art. 123, comma 2, Cost.);

2) giudice dei con itti costituzionali, tra i poteri dello Stato e tra lo Stato e le Regioni
e tra le Regioni;

3) giudice penale, nel caso di accuse promosse contro il P.d.R.;

4) giudice dell’ammissibilità del referendum abrogativo richiesto secondo l’art. 75


Cost.
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1. Il giudizio di costituzionalità delle leggi


Il nostro sistema di controllo della costituzionalità sulle leggi è accentrato e a posteriori.
«Accentrato» signi ca che tale controllo spetta in maniera esclusiva a un organo ad hoc
- la Corte costituzionale - e che solo a questo è dato di dichiarare l’incostituzionalità delle
leggi. «A posteriori» (o «successivo») signi ca che il giudizio della Consulta si svolge
sulla legge già entrata in vigore, cioè non sulla legge in astratto, per quel che dispone
sulla carta, ma sulla legge in concreto, per quel che effettivamente vale nella realtà dei
rapporti giuridici.

In nessun caso è ammesso che il singolo cittadino si rivolga direttamente alla Corte
costituzionale (a differenza dei Paesi dove è presente il Recurso de amparo o il
Verfassungsbeschwerde). Dal canto suo, la Corte costituzionale non può agire di sua
propria iniziativa, ma deve attendere che la questione di costituzionalità le sia proposta
dall’esterno, secondo i due procedimenti previsti:

A) l’uno indiretto o incidentale;

B) l’altro diretto o principale.


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Segue: il giudizio in via incidentale


Nel corso di un processo, sia esso civile, penale o amministrativo, può accadere che le
parti o il giudice di uf cio, rilevino che la legge da applicare al caso da risolvere presenti
dei pro li di incostituzionalità.
In tale ipotesi, purché la questione sia effettivamente «rilevante» (ossia riguardi la legge
la cui applicazione è necessaria per decidere la causa), e «non manifestamente
infondata» (cioè non deve essere campata in aria, ma debbono concretamente
sussistere quantomeno dei dubbi circa la costituzionalità della legge), il giudice
sospende il processo e, con ordinanza, trasmette gli atti alla Corte costituzionale per
investirla della questione.
Il giudice del giudizio in cui si veri ca l’incidente di costituzionalità viene chiamato
«giudice a quo». È lui che deve previamente veri care la sussistenza dei due suddetti
requisiti («rilevanza» e «non manifesta infondatezza»). Prima di sospendere il processo e
adire la Consulta, egli è però obbligato a ricercare una «interpretazione conforme»
della legge a Costituzione. Se ci riesce, il processo non viene sospeso, ma prosegue
normalmente applicando le norme ricavate attraverso tale sforzo ermeneutico (per il
giudice la legge è costituzionale). Soltanto dopo aver tentato inutilmente di adeguare i
possibili signi cati della legge al dettato costituzionale (il giudice continua a dubitare
della legittimità costituzionale della legge), investirà la Corte della questione.
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Segue: il giudizio in via principale
Il procedimento principale (o in via diretta) vede coinvolti esclusivamente
soggetti titolari di potestà legislativa, ed è promosso al ne di difendere le
rispettive competenze legislative (stabilite dall’art. 117 Cost.).
Secondo l’art. 127 Cost., il Governo, quando ritenga che una legge
regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione
di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale (comma 1); può
altresì promuovere una questione di legittimità costituzionale la Regione,
quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di
un’altra Regione leda la sua sfera di competenza (comma 2).
Alle Regioni sono equiparate le due Province autonome di Trento e
Bolzano.

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Segue: le tipologie di decisioni della Corte


Una volta che la questione di legittimità è passata al vaglio della Corte costituzionale, essa può
pronunciare le seguenti pronunce:

1) sentenze di accoglimento (che accolgono la questione di legittimità costituzionale, annullando


la legge con ef cacia erga omnes. Gli effetti retroagiscono ai rapporti pendenti: valgono, cioè, per
tutti i processi non ancora conclusi e, in materia penale, travolgono il c.d. giudicato);
2) sentenze di rigetto (che respingono la questione di legittimità costituzionale, lasciando intatta
la legge. Qui gli effetti limitano soltanto il giudice che ha sollevato la questione: un altro giudice, in
un altro processo, potrebbe infatti risollevare la q.l.c. evidenziando ulteriori pro li di
incostituzionalità. Un esempio famoso è dato dalle sentenze n. 64 del 1961 e n. 127 del 1968, in
tema di adulterio);
3) sentenze interpretative di accoglimento o di rigetto (quando occorre sottoporre la legge a
un’interpretazione conforme alla Costituzione, correggendo quella data dal giudice a quo);
4) sentenze manipolative (quando occorre integrare la legge, o sostituirne in tutto o in parte il
contenuto. E così si possono avere: a) decisioni di accoglimento parziale [annullando parte di
una legge, modi cano il signi cato complessivo della stessa]; b) decisioni additive di regola o di
principio [aggiungono ciò che il legislatore ha omesso di prevedere]; c) decisioni sostitutive
[dichiarano l’incostituzionalità della legge nella parte in cui il suo testo prevede qualcosa anziché
un’altra cosa]).
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2. I con itti costituzionali
Il compito della Corte, nell’esercizio di questa competenza, è quello di garantire la corretta
suddivisione delle competenze tra i poteri dello Stato, tra lo Stato e le Regioni e tra le
Regioni.
I con itti costituzionali sono di due tipi
1) i con itti di attribuzione tra i poteri dello Stato (o con itti «interorganici». Sono quelli
che si determinano entro la forma di governo, cioè entro l’articolazione della struttura
centrale degli organi costituzionali);
2) i con itti di attribuzione tra Stato e Regioni e tra Regioni, estesi alle Province di Trento
e Bolzano, secondo lo Statuto della Regione Trentino-Alto Adige (o con itti
«intersoggettivi». Sono invece quelli che si determinano tra due livelli costituzionali su cui
sono distribuiti i pubblici poteri, quello statal-nazionale e quello regional-locale).

È importante evidenziare la differenza tra i con itti e il controllo di legittimità


costituzionale sugli atti legislativi. Mentre nel giudizio di costituzionalità, l’oggetto della
questione è, come detto, l’atto legislativo, nei con itti l’oggetto controverso è la
distribuzione delle competenze. Il giudizio sul con itto, dunque, verte primariamente sulla
spettanza di competenze costituzionali; solo secondariamente incide sulla validità degli
atti giuridici.
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3. Il giudizio penale costituzionale
L’art. 134 Cost. prevede, tra le competenze della Corte costituzionale, il giudizio
sulle accuse promosse contro il P.d.R., quando è posto in «stato d’accusa dal
Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei sui membri» (art. 90
Cost.), per «alto tradimento e attentato alla Costituzione».
La Consulta, qui, opera come giudice penale costituzionale in qualità di Alta
Corte di giustizia (durante la vigenza dello Statuto alberino era il Senato a svolgere
tale funzione), integrata da 16 giudici estratti a sorte da un elenco compilato dal
Parlamento ogni nove anni e comprendente cittadini che hanno i requisiti per
essere eletti senatori (si tratta di una specie di giuria popolare che af anca i giudici
costituzionali ordinari).

Come tutte le sentenze della Corte costituzionale, la pronuncia che conclude il


giudizio non può essere impugnata dianzi ad altra giurisdizione.

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4. Il controllo sull’ammissibilità del referendum abrogativo
L’art. 75, comma 2, Cost., esclude la possibilità di abrogare con referendum leggi in determinate materie (leggi di
amnistia e indulto, leggi tributarie, leggi di bilancio, leggi di autorizzazione alla rati ca dei trattati internazionali). La l.
cost. n. 1 del 1953 ha attribuito alla Consulta, in aggiunta alle competenze elencate nell’art. 134 Cost., il compito di
far valere questo divieto, attraverso il giudizio sull’ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.
Si tratta di un controllo preventivo rispetto allo svolgimento del referendum, che segue il giudizio di legittimità
dell’iniziativa referendaria dal punto di vista della sua regolarità, svolto dall’Uf cio centrale per il referendum
costituito presso la Corte di cassazione (controllo della regolarità delle rme raccolte, raggiungimento del numero
richiesto, etc.). È pertanto opportuno non confondere il giudizio sull’ammissibilità del referendum abrogativo
(svolto dalla Corte cost.), dal giudizio sulla legittimità dello stesso (svolto dalla Corte di cassazione).
Inoltre, a partire dalla sent. n. 16 del 1978, la Corte cost. ha ritenuto l’esistenza, accanto a quelle espressamente
previste dall’art. 75 Cost., di «cause inespresse» di inammissibilità.
Le ulteriori ragioni di inammissibilità riguardano:

A) le disposizioni produttive di effetti «strettamente collegati» a quelli delle leggi espressamente indicate
dall’art. 75 (ad es. le leggi che disciplinano il rapporto tributario nel suo insieme o le leggi di esecuzione dei trattati
internazionali);
B) le leggi «costituzionalmente necessarie» (ad es., le leggi elettorali);
C) il quesito referendario deve essere formulato in modo chiaro, non contraddittorio e deve essere
omogeneo, ossia contenere richieste riconducibili a un unico nucleo concettuale (la manifestazione della volontà
popolare deve infatti essere genuina, dovendo il corpo elettorale poter comprendere su che cosa si trovano a
votare);
D) sono in ne vietati i referendum - detti «manipolativi» - con i quali, eliminando singole parole o espressioni di
per sé prive di signi cato (si pensi a un «non»), si giungerebbe non all’abrogazione, ma allo stravolgimento della
legge.
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