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I PRINCIPI DELLA COSTITUZIONE AVENTI RILEVANZA NEL PROCESSO PENALE

ART 3  Il principio di eguaglianza formale (co.1) e sostanziale (co.2) comporta che siano trattate “egualmente” situazioni
eguali e “diversamente” situazioni diverse; ed ogni differenziazione, per essere giustificata, deve risultare ragionevole.

ART 13  La libertà personale è inviolabile (co.1);

Le relative restrizioni (detenzione, ispezione o perquisizione personale ed altro) sono ammesse solo “per atto motivato dell’A.G.
e nei soli casi e modi previsti dalla legge” (co.2, ponendo la Riserva di giurisdizione).

L’unica deroga è disciplinata nel co.3, per cui in “casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge
l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all’A.G.” per
essere convalidati (altrimenti decadono e restano privi di effetti).

Il co.4 pone la tutela di tale libertà, sancendo che “è punita ogni violazione fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a
restrizione di libertà”.

Il co.5 pone un onere per il legislatore, di stabilire “i limiti massimi della carcerazione preventiva”.

ART 14  il domicilio è inviolabile (co.1), e “non si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e nei
modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale” dall’art 13 co.2 e 3 (co.2).

ART 15  “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione” (co.1) sono inviolabili, e “la
loro limitazione può avvenire solo per atto motivato dell’A.G. con le garanzie stabilite dalla legge” (co.2).

ART 24  Il co.1 nel prevedere che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei proprio diritti e interessi legittimi” delinea il
c.d. diritto di azione (diverso dall’azione penale ex art 112 Cost).

Il co.2 proclama “inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” il diritto di difesa, da intendersi sia come difesa personale
che difesa tecnica.

La difesa tecnica è garantita anche ai non abbienti “con appositi istituti” in grado di assicurar loro “i mezzi per agire e difendersi
davanti ad ogni giurisdizione” (co.3).

Spetta, poi, a legislatore, determinare “le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari” (co.4)

ART 25  il co.1, col proclamare che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” stabilisce che il
giudice chiamato a procedere ed a giudicare è individuato in base a criteri predeterminati per legge, evitando qualsiasi scelta
discrezionale al riguardo.

Nel co 2., si stabilisce che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso”.

Ex co.3 “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti ex lege”.

ART 27  il co.1 stabilisce il principio della responsabilità penale personale.

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Nel co.2, l’enunciazione del principio per cui “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” sta a
significare che la presunzione di non colpevolezza viene meno solo quando nei confronti dell’imputato intervenga sentenza
irrevocabile di condanna.

ART 68  caduto l’istituto dell’autorizzazione a procedere nel 1993, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a
perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in
detenzione (salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna), “senza autorizzazione della Camera alla quale
appartiene”.

Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma ed a sequestro
di corrispondenza.

ART 79  l’amnistia e l’indulto sono concesso con legge deliberata a maggioranza dei 2/3 dei componenti di ciascuna Camera,
in ogni suo articolo e nella votazione finale.

Tale legge deve fissare il termine per l’applicazione dell’amnistia o dell’indulto, che non possono comunque applicarsi ai reati
commessi successivamente alla presentazione del relativo disegno di legge.

ART 90  il Presidente della Repubblica può essere chiamato a rispondere degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni
solo per alto tradimento o attentato alla Costituzione;

in tali casi viene messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri dinnanzi
alla Corte costituzione in composizione allargata.

ART 96  il presidente del consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, per i “reati commessi nell’esercizio
delle loro funzioni” sono ora sottoposti alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato o della Camera dei deputati,
secondo le norme stabilite con legge costituzionale.

ART 97  ex co.1, i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon
andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

ART 101  i giudici sono “soggetti solo alla legge”, amministrano la giustizia in nome del popolo, avendo così assicurata
l’autonomia e indipendenza che l’art 104 co.1 riconosce all’intera magistratura (compresi i P.M.), come ordine nei confronti
degli altri poteri dello Stato.

Indipendenza che l’art 108 co.2 garantisce anche ai giudici delle giurisdizioni speciali, al P.M. presso di esse e agli estranei che
partecipano all’amministrazione della giustizia.

ART 109  anziché prevedere l’istituzione di uno speciale corpo autonomo di P.G., si è prescelta la soluzione di una dipendenza
solo funzionale, prescrivendo che l’A.G. “dispone direttamente della P.G.”.

ART 111  con la l.cost.2/1999 sono stati inseriti i “principi del giusto processo” nell’art 111 Cost, attraverso l’introduzione di 5
nuovi commi iniziali.

Ex co.1, la giurisdizione si attua “mediante il giusto processo regolato dalla legge”.

Ex co.2 “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La
legge ne assicura la ragionevole durata”.

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Con specifico riferimento al processo penale, il co.3 prescrive che “la legge assicura che la persona accusata di un reato:

- sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico;
- disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la difesa;
- abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico;
- di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di
ogni altro mezzo di prova a suo favore;
- sia assistita da un interprete se non comprende/parla la lingua impiegata nel processo”.

inoltre, il co.4 stabilisce che “il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La
colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre
volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore”.

Nel co.5, si prevede che “la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso
dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita”.

Negli ulteriori co.6 e 7 (corrispondenti ai primi 2 co originari dell’art 111) si stabilisce che “tutti i provvedimenti giurisdizionali
devono essere motivati”, anche al fine di rendere più efficace e penetrante il sindacato di legittimità;

in particolare, attraverso il “ricorso per cassazione per violazione di legge”, che dev’essere sempre consentito “contro le
sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali”.

ART 112  Il P.M. ha l’obbligo di esercitare l’azione penale.

Ciò vuol dire che di fronte ad ogni notizia di reato il P.M. è tenuto a procedere, richiedendo al giudice di pronunciarsi in
proposito.

I magistrati del P.M. sono soggetti all’obbligo di esercitare l’azione penale, senza alcun margine di discrezionalità politica,
quando sussistono i presupposti di tale obbligo.

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Introduzione
Lo studio che andremo a trattare, poggia le proprie basi sul codice di procedura penale del 1988, articolato in due parti (statica e
dinamica) ed undici libri.

Il codice di procedura penale (in vigore dal 24/10/1989) è stato emanato in forza e sulla base dei principi e criteri direttivi
della legge-delega 16/02/1987 n.81.

Il codice era ed è accompagnato da norme di attuazione, da norme transitorie e da norme di coordinamento (queste ultime
permettono di cogliere il reale “ambito di applicazione del codice” attraverso la esplicita correlazione con istituti che
potremmo definire di “diritto processuale speciale”).

Per comprendere in maniera chiara lo studio della materia, è opportuno analizzare quelle che sono quattro chiavi di lettura, che
ci consentiranno di cogliere i connotati venuti via via a caratterizzare l’intero insieme.

1) Prima chiave di lettura: il passaggio da una legislazione nata per delega ad una legislazione divenuta estremamente
composita.

La prima chiave di lettura rimanda alla “vera” origine del codice del 1988, che, in quanto legata ad una legge delega (l.81/1987),
impone di distinguere:

 ciò che dal testo iniziale è rimasto inalterato,


 da ciò che è frutto di successiva legislazione diretta o di statuizioni della Corte costituzionale.

Basta soffermarsi, da subito, sul continuo variare della stessa impostazione di fondo, che stando al preambolo dell’art 2 della
delega 81/1987, avrebbe dovuto condurre il nuovo codice (in aperta contrapposizione allo spirito inquisitorio cui era ispirato
il precedente codice del 1930) ad attuare:
 “i principi della Costituzione, adeguandosi anche alle norme delle Convenzioni internazionali ratificate in Italia e
relative ai diritti della persona e al processo penale”,
 “i caratteri del sistema accusatorio”.

Riferimento ad un sistema accusatorio inteso “secondo i principi ed i criteri che seguono”, richiedenti:

 La “massima semplificazione nello svolgimento del processo”,


 “l’azione del metodo orale”;
 “la partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento”.

Si tratta di criteri e principi che non hanno potuto evitare (assieme a molti altri) di rimanere coinvolti nelle modificazioni e
riforme apportate nel corso degli anni.

Basti pensare, come le più clamorose riguardino gli artt 190bis, 195, 210, 238, 500, 512, 513, 514, 593 e 606.

2) Seconda chiave di lettura: i rapporti tra rito ordinario e riti speciali.

La seconda chiave di lettura è dedicata all’attenzione riguardante i rapporti tra il rito ordinario e il rito speciale:

 Rito ordinario  inteso il procedimento che, dopo le indagini preliminari del P.M. non concluse dall’archiviazione
della notizia di reato, giunge all’udienza preliminare e, non potendosi chiudere con sentenza di non luogo a procedere,
sfocia nel giudizio imperniato sul dibattimento-

3 fasi: indagini preliminari  udienza preliminare  dibattimento

 Rito speciale (o alternativi)  caratterizzati dall’assenza di una delle 3 fasi.

Per meglio evidenziare la funzione ed il ruolo dei riti speciali, si parla anche di deflazione dibattimentale, di risparmio costi, di
efficienza del sistema.

Alcuni riti speciali sono disposti per la “deflazione dibattimentale” (giudizio abbreviato, patteggiamento, procedimento per
decreto penale, sospensione del procedimento con messa alla prova, procedimento di oblazione).

Altri, invece (giudizio immediato e giudizio direttissimo), anticipano il dibattimento.


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Accanto ai riti speciali che mirano ad evitare il dibattimento, ve ne sono altri che mirano a dargli vita il prima possibile.

Per completezza, persegue scopi deflativi del dibattimento anche la nuova causa di esclusione della punibilità per
particolare tenuità del fatto (art 131bis c.p.)

Discorso analogo vale anche per il nuovo istituto della estinzione del reato per condotte riparatore (art 162ter c.p.), inserito
con la riforma Orlando (l.103/2017).

Tale istituto è applicabile nei casi di “procedibilità a querela soggetta a remissione”, e di regola il giudice dichiara estinto il
reato:
o “sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il
risarcimento, ed ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato” (art 162ter co.1 c.p.).

3) Terza chiave di lettura: l’introduzione del giudice unico togato di primo grado e poi, anche, del giudice di pace.

A partire dal 2/06/1999, l’istituzione del giudice unico togato di primo grado (tribunale in composizione monocratica) ha
portato innovazioni nel settore penale.

La riforma ha rivalutato la struttura ordinamentale e la distribuzione di compiti tra i vari giudici:

 È stata soppressa la pretura e il relativo suo ufficio  il tutto è stato assorbito, ufficio del G.I.P. compreso da parte del
tribunale.
 Soppresso anche la procura della Repubblica presso la pretura  con assorbimento da parte della procura della
Repubblica presso il tribunale.

Ciò ha comportato un superamento dell’antica distinzione circa i procedimenti per reati di competenza del tribunale –
procedimenti per reati di competenza del pretore.

È subentrata, a tal proposito, la nuova distinzione tra procedimenti per reati attribuiti al tribunale in composizione collegiale
– procedimenti per reati attribuiti al tribunale in composizione monocratica.

A dimostrazione di quanto detto, il Libro VIII, originariamente intitolato “Procedimento davanti al pretore”, dal 1988 risulta
dedicato al “Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica”.

Ciò è avvenuto, pur disciplinando i soli procedimenti aventi ad oggetto i reati già demandati alla competenza del “vecchio”
pretore, più alcuni fra quelli (ovviamente i meno gravi) demandati ex novo alla composizione monocratica del tribunale in
seguito all’istituzione del giudice unico.

Invece, per tutti gli altri, cioè i più gravi, si fa rinvio alle norme dettate per i procedimenti aventi ad oggetto i reati attribuiti alla
composizione collegiale, prime fra tutte per importanza quelle disciplinanti l’udienza preliminare

Proprio l’ampliamento delle ipotesi criminose che, col subentrare del giudice unico, venivano sottratte al collegio e, quindi,
automaticamente private delle garanzie insite nell’udienza preliminare, rendeva necessaria la ricerca di nuovi meccanismi
almeno parzialmente suppletivi, poi considerati nell’innovazione rappresentata dall’udienza di comparizione su citazione
diretta da parte del P.M.

Considerazioni analoghe si ripetono circa la competenza penale devoluta al giudice di pace, nell’intento di togliere al giudice
togato di primo grado il carico costituito da quei reati di minore gravità non passabili di depenalizzazione.

Da segnalare è che il d.lgs. 116/2017 ha attuato la riforma organica della magistratura onoraria e dettato altre disposizioni
sui giudici di pace, creando:
 la nuova figura del “giudice onorario di pace” (che accorpa in sé le precedenti figure del giudice onorario di tribunale e
del giudice di pace), per indicare il magistrato onorario addetto all’ufficio del giudice di pace.

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4) Quarta chiave di lettura: l’inserimento in Costituzione dei principi del “giusto processo”, a cominciare dalla sua
“ragionevole durata”.

È sicuramente la chiave di lettura più importante, ma allo stesso tempo anche più problematica.

Sarà opportuno tener sempre in considerazione tale norma costituzionale, ed in particolare i suoi primi 5 commi premessi
all’originario co.1 dalla l.cost. 2/99.

Infatti, sia il co.1 che il co.2 hanno riguardo ad ogni tipo di processo avente natura giurisdizionale.

gli altri 3 commi appaiono, invece, riferiti al solo processo penale.

La crescita di garanzie attorno al nucleo rappresentato dal principio del contraddittorio consente di affermare che il nostro
processo si sta, sia pur lentamente, caratterizzando in senso accusatorio.

Ad ogni, un aspetto che il legislatore dovrà sempre assicurare è la “ragionevole durata per ogni processo”, come dettata
attualmente dal co.2 art 111 Cost, mentre l’art 6 c.e.d.u. parla di “diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine
ragionevole”.

E nella prospettiva di realizzare la ragionevole durata si è mossa la l. 103/2017, mirante all’obiettivo, non sempre raggiunto, di
razionalizzare e semplificare il processo penale.

Ineludibile, è anche quanto sottintende la Convenzione europea:

essendo oggetto di un “diritto della persona umana”, la durata ragionevole del processo va assicurata all’imputato tanto se
innocente quanto se colpevole, data anche la presunzione di non colpevolezza riconosciutagli fino al giudicato di condanna.

È ormai di prassi che la difesa degli imputati più timorosi di andare incontro alla smentita di tale presunzione sia improntata alla
ricerca della prescrizione del reato addebitato, tanto che, una volta ottenutane la dichiarazione, ben raramente viene esercitato
il diritto di rinunciarvi (apertamente riconosciuto con la sent. 275/1990).

Ecco il vero paradosso che incombe sul nostro processo penale;

quello della prescrizione, è un istituto avente, fra l’altro, lo scopo di sollecitare la giustizia a non andare troppo per le lunghe.

Ma, per chi ha torto, si trasforma in una sorta di ancora di salvezza, potendosi tradurre (quando l’”impresa” riesca), in un
proscioglimento per estinzione del reato strappato con i denti.

Specialmente dopo che la l. 251/2005 ha ridotto sensibilmente i termini di prescrizione per non poche fattispecie di rilevante
gravità e dopo che la l. 29/2001 (c.d. Legge Pinto), con la previsione di un’equa riparazione in caso di irragionevole durata del
processo, penale e non, ha spesso dato luogo ad ulteriori ritardi e nuove contenziosi, occorrevano ben più profonde
innovazioni.

Un tentativo in tal senso è stato effettuato dalla l.103/2017, che è intervenuta sulla materia della prescrizione disciplinata dal
codice penale.

In sostanza, inserendo 3 nuovi commi dopo il primo nell’art 159 c.p., il legislatore ha regolamentato il rapporto fra
prescrizione e impugnazioni.

Con l’attuale normativa, il corso della prescrizione rimane sospeso dal termine previsto dall’art 544 c.p.p. per il deposito
della motivazione della sentenza di condanna di primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del
dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo di giudizio, per un tempo massimo di 1 anno e 6 mesi;

e, in maniera analoga, dal termine previsto ex art 544 c.p.p. per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di
secondo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, per un tempo
massimo di 1 anno e 6 mesi.

Per pronunciarsi sugli effettivi risultati si dovrà attendere il vaglio della prassi, soprattutto con riguardo alla durata del giudizio di
appello.

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Capitolo I
Soggetti
1. Premessa.
Il codice di procedura penale vigente (del 1988) è ispirato al modello accusatorio (superando quello inquisitorio del modello
previgente).

Il codice è suddiviso in due sezioni e composto da 11 libri:

 Parte statica (Libri I-IV),


 Parte dinamica (Libri V-XI)  si occupa del progressivo sviluppo della vicenda processuale a partire dal momento i cui viene
acquisita una notizia di reato.

Il Libro I (art 1-108), dedicato ai “Soggetti”, si apre con il titolo dedicato al giudice; ciò consente di mettere in risalto la
centralità della giurisdizione, nell’ambito di un processo concepito come sistema di garanzie.

Negli altri 6 titoli del Libro I vengono presi in considerazione:

- Il Pubblico Ministero (da ora lo indicheremo come P.M.);


- la Polizia Giudiziaria (P.G.);
- l’imputato;
- la parte civile con il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria;
- la persona offesa dal reato;
- il difensore.

Restano esclusi numerosi soggetti che compaiono sulla scena processuale, tra cui non solo il c.d. ausiliario del giudice e del
P.M., ma anche altre figure, come ad esempio il testimone, il perito, il consulente tecnico, che pur non ricomprese nel Libro
I, forniscono importanti apporti per la decisione conclusiva del processo.

È opportuno poi distinguere tra:

 Soggetto
 parte  qualifica di chi vanta il diritto ad una decisione giurisdizionale in rapporto ad una pretesa fatta valere nel
processo.

Ne consegue che la qualifica di parte non spetta alla totalità dei soggetti elencati nel Libro I.

Saranno “parte”  il P.M. - l’imputato - la persona civile - il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena
pecuniaria.

Da escludere come “parte”  giudice (dato che è imparziale) - P.G – persona offesa – difensore.

2. La giurisdizione penale. TITOLO I Capo I (Art 1-3)


L’art 1 (“Giurisdizione penale”) riserva l’esercizio della giurisdizione penale ai “giudici previsti dalla legge di ordinamento
giudiziario”.

La norma è un corollario dell’art 102 co.1 Cost, che attribuisce la funzione giurisdizionale a “magistrati ordinari istituiti e
regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”.

Dunque, l’art 1 intende sottolineare la centralità della posizione del giudice, dato che soltanto il giudice, e non qualsiasi
magistrato (quindi, non il P.M), può essere titolare di funzioni di giurisdizione penali.

Il giudice, infatti, è l’unico soggetto processuale munito di funzioni giurisdizionali, cioè della potestà dello:
 Jus dicere procedurale  volto all’applicazione delle regole procedurali,
 Jus dicere sostanziale  volto all’applicazione della legge penale relativa alla specifica fattispecie di reato.

Il giudice è una “creazione” esclusiva delle norme di ordinamento giudiziario (la sua qualità dipende da un atto di investitura).
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Infatti, il valido esercizio della funzione giurisdizionale è fortemente condizionato dalla ritualità dell’investitura.

Infatti, l’art 178 (“Nullità di ordine generale”) riconosce come nullità assoluta l’inosservanza delle disposizioni concernenti le
condizioni di capacità del giudice e d il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di
ordinamento giudiziario.

La rilevanza degli elementi ora citati (“capacità del giudice” e “numero necessario per i collegi”) è normativamente regolata
nell’art 33 (“Capacità del giudice”).

ART 33  Capacità del giudice


“Le condizioni di capacità del giudice e il numero di giudici necessario per costituire i collegi sono stabiliti dalle leggi di
ordinamento giudiziario” (co.1)

Sennonché, quanto stabilito nel co.1 non è direttamente riferibile a quanto detto prima (art 178), ma tale enunciato risulta
circoscritto ai commi successivi dello stesso art 33.

“Non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle
sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici.” (co.2)

Quanto disposto nel co.2 è giustificato dalle difficoltà e complicazioni che graverebbero sulla vicenda processuale se si
prevedesse la sanzione della nullità assoluta anche per questioni sottoponibili al sindacato degli organi amministrativi;

ecco, dunque, le ragioni sottostanti alla scelta di non considerare attinenti alla capacità del giudice le disposizioni prima
descritte.

I. Circa la 3° categoria menzionata (“assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici”), si tratta di una questione inerente
(non alla capacità del giudice, ma) alla sola distribuzione delle cause tra giudici parimenti legittimati all’esercizio della
funzione giurisdizionale.

I. Anche per quanto concerne le disposizioni relative alla “formazione dei collegi” si ritiene la non pertinenza rispetto al
requisito della capacità del giudice; infatti, tal locuzione riguarderebbe:
a) Di disposizioni che contemplano provvedimenti del capo dell’ufficio diretti a stabilire turni di servizio di giudici già
assegnati all’ufficio stesso;
b) Le disposizioni relative alle “supplenze” e alle “applicazioni”

I. Per quanto attiene alle disposizioni sulla “destinazione del giudice all’ufficio” (es. trasferimento/assegnazione di nuove
funzioni giudicanti) esse sono riconducibili al concetto di capacità.

Un eventuale vizio consistente in un difetto di qualifica ricade nell’ambito di operatività dell’art 178 co.1 lett.a, dando origine
ad una nullità assoluta.

Resta da esaminare il co.3 art 33, il cui obiettivo è quello di evitare che l’inosservanza dei criteri concernenti il riparto di
attribuzioni tra giudice monocratico/collegiale si traduca in una nullità assoluta;

“Non si considerano altresì attinenti alla capacità del giudice né al numero dei giudici necessario per costituire l’organo
giudicante le disposizioni sull’attribuzione degli affari penali al tribunale collegiale o monocratico”

Si tratta di una disposizione collegata alla riforma relativa all’istituzione del giudice unico di primo grado, che ha portato nel
1997-1998 alla soppressione dell’ufficio del pretore, compensata dalla riconosciuta possibilità per il tribunale di giudicare in
composizione collegiale (con 3 componenti) o monocratica.

Inoltre, come prova del nove, l’intervento del 97 stabilisce che:

o “l’attribuzione degli affari al giudice in composizione collegiale o monocratica non si considera attinente alla capacità
del giudice né al numero dei giudici necessario per costituire l’organo giudicante”.

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3. Profili ordinamentali.
Di prima importanza, risulta la distinzione tra:

 Giudici straordinari  istituiti successivamente al fatto da giudicare;


 Giudici speciali  figure estranee alla legge di ordinamento giudiziario;
 Giudici ordinari  traggono la loro legittimazione dall’ordinamento giudiziario.

La Costituzione vieta di istituire giudici straordinari/speciali;


mente ammette l’istituzione di giudici specializzati  es. il Tribunale per i minorenni.

Restano esclusi dal divieto, conformemente a quanto ricavabile ex art 103 co.3 e 134 Cost  la Corte costituzione.

La categoria rispetto alla quale è opportuno un raccordo con la normativa del codice è quella dei giudici ordinari, che dopo la
soppressione dell’ufficio del pretore (d.lgs.51/1998) e l’entrata in vigore del d.lgs.274/2000 (competenza penale del giudice di
pace), ricomprende i seguenti organi:

a) GIUDICE DI PACE  giudice onorario e monocratico, contrapposto al giudice professionale e al giudice collegiale.

Da menzionare è la l.57/2016, la quale:


 Da un lato, contiene la delega al Governo per la riforma organica di tutta la magistratura onoraria (obiettivo
raggiunto col d.lgs.116/2017);
 Dall’altro, detta regole di immediata applicabilità.

Col d.lgs.116/2017 si è raggiunto uno statuto unico della magistratura onoraria, unificando i giudici onorari di tribunale e i
giudici di pace nella categoria dei “giudici onorari di pace”.

Quanto i vice procuratori ononari, nel provvedimento viene ribadita la temporaneità dell’incarico; la durata massima di 2
quadrienni, ferma restando l’invalicabilità del tetto dei 65 anni di età; si dettano regole per il tirocinio semestrale.

Inoltre, nel decreto si disciplinano le funzioni e compiti dei giudici onorari di pace; ci si occupa anche della formazione
permanente dei giudici onorari.

b) Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.)  monocratico.

c) Giudice dell’Udienza Preliminare (G.U.P.)  monocratico.

In merito al G.I.P. e al G.U.P., si sono avute importanti innovazioni di carattere ordinamentale.

In primis, per evitare possibili condizionamenti derivanti dalle attività compiute nel corso delle indagini preliminari,
l’ordinamento giudiziario stabilisce che:
 il G.U.P. debba essere diverso da quello che, nel medesimo procedimento, ha svolto le funzioni di G.I.P.

in secundis, viene assicurata un’elevata qualificazione professionale dei giudici su descritti:


- devono avere precedentemente svolto per almeno 2 anni la funzione di giudice del dibattimento/G.I.P.

inoltre, per garantire la terzietà di questi giudici, è stata fissata la regola della temporaneità delle funzioni (massimo 10 anni
stabilito nel 2008);
qualora alla scadenza del termine sia in corso il compimento di un procedimento, l’esercizio delle funzioni viene prorogato,
limitatamente a quel singolo procedimento, sino al compimento dell’attività in questione.

Al di fuori di questa specifica ipotesi, le disposizioni sulla proroga e durata, possono essere derogate solo “per imprescindibili
e prevalenti esigente di servizio”.

d) Tribunale ordinario  a seconda della gravità del reato o delle caratteristiche dello stesso, tale organo giudica in
composizione monocratica oppure in composizione collegiale (decidendo con 3 componenti).

e) Corte d’assise  giudice collegiale composto da 8 magistrati, di cui 2 togati (magistrati di carriera) e 6 laici (giudici popolari,
che solo temporaneamente fanno parte dell’ordine giudiziario e sono scelti fra i cittadini in possesso di determinati
requisiti).

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f) Corte d’appello  giudice collegiale composto da 3 magistrati.

g) Corte d’assise d’appello  giudice collegiale, la cui composizione mista (2 togati + 6 laici) ricalca quella della corte d’assise.

h) Magistrato di sorveglianza  monocratico.

i) Tribunale di sorveglianza  giudice collegiale composto da 4 magistrati (2 togati + 2 laici).

j) Corte di cassazione  giudice di legittimità posta al vertice della gerarchia.

Quanto alla Corte di cassazione, le cui funzioni le sono attribuite ex art 65 ord.giud., viene definita giudice di legittimità,
accertando questioni di diritto (in contrapposizione ai giudici di merito, i quali accertano sia le questioni di fatto che quelle di
diritto).

La Corte è divisa in 7 sezioni, ciascuna delle quali giudica con 5 componenti, che diventano 9 quando tale organo è chiamato
a pronunciarsi nella composizione a Sezioni Unite.

All’ufficio di consigliere della corte di cassazione vengono chiamati “professori ordinari di università in materie giuridiche e
avvocati che abbiano 15 anni d’esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori”.

Quanto ai giudici minorili, i quali sono, invece, regolati dalla legge di ordinamento giudiziario, appartengono alla categoria dei
giudici ordinari specializzati.

4. Questioni pregiudiziali e sospensione del processo. (Art 2-3)


Quella penale è una giurisdizione autosufficiente, nel senso che ha cognizione autonoma su tutte le questioni strumentali alla
pronuncia finale.

ART 2  Cognizione del giudice.


“Il giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito [3,263,479].” (co.1)

“La decisione del giudice penale che risolve incidentalmente una questione civile, amministrativa o penale non ha efficacia
vincolante in nessun altro processo [478].” (co.2)

Quella con ci viene risolta la questione logicamente prioritaria è una semplice pronuncia incidentale che può avere natura civile,
amministrativa o penale, e che ha rilevanza solo all’interno del procedimento in cui è inserita (cognitio incidenter tantum),
senza alcuna efficacia vincolante in nessun altro processo (co.2).

Inoltre, la necessità di una disciplina processuale idonea a fornire decisioni definitive in tempi ragionevolmente brevi ha indotto
il legislatore ad abbandonare la regola della sospensione pregiudiziale, affermando:

 il principio dell’autonoma cognizione del giudice penale rispetto a tutte le questioni pregiudiziali, eccetto quelle
espressamente disciplinate nel codice di rito (art 3,479).

A tal proposito, il co.1 art 2 prevede una clausola di salvezza (“salvo che sia diversamente stabilito”).

Dunque, alla regola della cognizione incidentale ex art 2, si presentano deroghe suddivise in 2 categorie:

 da un lato, si collocano quelle disposizioni che, in caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate (art 263 e 324)
o confiscate (art 676), si limitano a devolvere la relativa risoluzione al giudice civile;

 dall’altro, quelle disposizioni che, occupandosi delle questioni da cui dipende la decisione definitiva, disciplinano i
presupposti e il modus dell’eventuale sospensione, nonché l’efficacia della decisione intervenuta in sede extrapenale (art 3,
479)

Si tratta di 2 sole ipotesi, con riferimento alle quali è parso opportuno consentire che sulla questione pregiudiziale intervenga
una vera e propria decisione, idonea a stabilizzarsi con la formazione del giudicato, e non un accertamento incidentale
suscettibile di essere contraddetto da ulteriori accertamenti di segno eventualmente opposto.

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1) Quanto osservato vale per le questioni pregiudiziali relative allo “stato di famiglia o di cittadinanza” (art 3 “questioni
pregiudiziali”) ex co.1.

“Quando la decisione dipende dalla risoluzione di una controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza, il giudice, se la
questione è seria e se l’azione a norma delle leggi civili è già in corso, può sospendere il processo fino al passaggio in
giudicato della sentenza che definisce la questione.” (co.1).

Dunque, in presenza di una controversia rientrante in una di tali categorie, il giudice penale “può sospendere il processo”
quando ricorrano le 3 seguenti condizioni:

a) deve sussistere un rapporto di pregiudizialità tra la risoluzione della controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza e la
decisione della regiudicanda penale;
b) è necessario che la questione pregiudiziale sia seria (cioè non manifestamente infondata/artificiosa);
c) dev’essere già stata proposta l’azione “a norma delle leggi civili” (ma si estende anche alle leggi amministrative).

Se manca una delle suddette condizioni il giudice deve decidere in via incidentale senza sospendere il processo penale (co.1
art 2), non si può dire che valga la regola opposta.

Ad ogni modo, sarà il giudice a stabilire, di volta in volta, se, nonostante la ricorrenza dei presupposti ex co.1 art 3, non sia
preferibile risolvere autonomamente la questione pregiudiziale.

In caso di sospensione, ex co.2 art 3, è prevista la pronuncia di una ordinanza che può essere impugnata con ricorso per
cassazione. La corte decide in camera di consiglio.

Ex co.3, la sospensione del processo non impedisce il compimento degli atti urgenti.

Ex co.4, la sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza ha
efficacia di giudicato nel procedimento penale.

L’art 3, nella previsione di devolvere determinate questioni pregiudiziali al giudice civile/amministrativo dimostra la necessità
di salvaguardare la coerenza dei giudicati.

2) La seconda ipotesi di sospensione del processo penale (ex co.1 art 2) a causa di una questione pregiudiziale è quella
prevista dall’art 479 (“Questioni civili o amministrative”).

Qui, la controversia da risolvere in via prioritaria non verte su uno status ma su una qualsiasi altra questione di competenza del
giudice civile o amministrativo.

Qui, il compromesso con le esigenze di celerità del processo penale è più accentuato.

Non esistendo, nel codice, la “pregiudizialità obbligatoria”, l’art 3 (richiamo nell’art 479) parla di facoltà di sospensione del
processo da parte del giudice penale.

Vista la collocazione dell’art 479 (Titolo II “dibattimento” Libro VII “Giudizio”), la sospensione sembrerebbe poter essere
disposta solo nel corso del dibattimento.

Tale restrittività emergerebbe se si considerano i requisiti inerenti alla questione pregiudiziale:

a) La risoluzione della controversia deve condizionare la decisione sull’esistenza del reato;


b) L’attributo della serietà non basta, dato che la controversia deve risultare di particolare complessità;
c) Dev’essere già in corso il relativo procedimento presso il giudice civile/amministrativo.

Si richiede, come ulteriore condizione, che la legge civile/amministrativa non ponga limitazioni alla prova della situazione
soggettiva controversa (limitazione che il giudice penale non incontra se risolve la controversia in via incidentale).

Come nel caso dell’art 3, la sospensione (del dibattimento) è disposta con ordinanza impugnabile in cassazione da tutte le parti.

Ex co.2 art 479, è escluso l’effetto sospensivo dell’impugnazione.

In tale ipotesi, si consente al giudice di revocare l’ordinanza di sospensione qualora il giudizio civile/amministrativo non si sia
concluso nel termine di 1 anno.
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Inoltre, non essendo ribadito nell’art 479 quanto disposto nell’art 3 co.4, la sentenza extrapenale non ha efficacia vincolante.

La sentenza extrapenale viene a far parte del materiale probatorio destinato a costituire la base per la formazione del
convincimento del giudice, il quale la può anche disattendere, ma dandone le dovute motivazioni.

Una particolare ipotesi di sospensione del processo dipendente solo dalla “qualità” dell’imputato, era quella prevista dalla
l.124/2008 (“Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato”) stante al
quale:

o “i processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità” di P.d. R., di P. del Senato della R., di P.d.Camera
dei deputati e di P. d. Consiglio dei ministri dovevano essere “sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione
della carica o della funzione”, anche se relativi a “fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione”.

Così facendo, veniva precostituito, a favore di tali soggetti, una sorta di “scudo immunitario” temporaneo.

Ovviamente, aveva suscitato gravi dubbi di costituzionalità la circostanza che una così evidente eccezione al “principio della
parità di trattamento rispetto alla giurisdizione” fosse stata introdotta con una semplice legge ordinaria e non con una legge
costituzionale.

Ad ogni modo, la disposizione a riguardo è stata dichiara illegittima.

5. La competenza: per materia, per territorio e per connessione. Capo II (Art 4-16)
Il Capo II del Titolo I (“giudice”) è dedicato alla “competenza”:

 Ossia, le regole che consentono di attuare una distribuzione, in senso orizzontale e verticale, delle regiudicande penali, in
modo che risulti predeterminato il giudice legittimato a conoscere ogni procedimento, come imposto dall’art 25 co.1 Cost.

Con la soppressione dell’ufficio del pretore (dopo il 98), è stato introdotto un ulteriore criterio di assegnazione (quello delle
“attribuzioni”) idoneo a delineare la competenza del tribunale in composizione collegiale o monocratica per determinati
procedimenti di reato.

Pur essendo affine al concetto della “competenza”, si differenzia perché opera come criterio interno di ripartizione (per il
tribunale).

Esistono 3 figure tradizionali: competenza per materia, per territorio e per connessione.

A. Competenza per materia.

A tal proposito, si tiene conto:

 Sia del tipo di reato  criterio qualitativo;


 Sia del livello della pena edittale  criterio quantitativo

Per il cui calcolo è disposto l’art 4 “Regole per la determinazione della competenza”.

ART 4  Regole per la determinazione della competenza.


“Per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato/tentato.

Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, eccetto le circostanze aggravanti per le
quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciali.” (co.1)

L’art 5, nel delineare la “competenza della corte di assise” tiene in considerazione tanto il criterio quantitativo quanto quello
qualitativo. Nello specifico risultato affidati alla corte di assise ex co.1:

a) I delitti punti con l’ergastolo con la reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni, eccezion fatta per i delitti, comunque
aggravati:
- di tentato omicidio, di rapina, di estorsione di tipo mafioso anche straniera e per i delitti di sostanze stupefacenti.

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Con l’aggiunta dell’inciso “comunque aggravati” il legislatore aveva neutralizzato un orientamento della giurisprudenza
propenso a ravvisare la competenza della corte di assise nel caso in cui, grazie al gioco delle aggravanti, la pena detentiva
inflitta per i delitti di rapina e di estorsione superasse il tetto di 24 anni.

Di recente, lo stesso indirizzo era stato esteso anche al delitto di associazione di stampo mafioso, constatando che può
essere raggiunto il limite di 24 anni di reclusione (in caso di aggravante).

Sennonché, per scongiurare la probabile scarcerazione di molti imputati di gravi delitti è stato emanato il d.l.10/2010
convertito con l.52/2010, che ha inciso sui delitti di associazione mafiosa, escludendo la competenza della corte di assise, a
favore di quella del tribunale.

Secondariamente, è stata riconosciuta la competenza della corte di assise in tema di sequestro di persona a scopo di
estorsione, anche quando dal sequestro non sia derivata la morte della persona offesa (quest’ultima già rientrava nella sua
competenza ex art 5 co.1 lett.c).

b) i delitti consumati (ad esclusione di quelli rimasti allo stadio del tentativo) di omicidio del consenziente, istigazione o aiuto
al suicidio, omicidio preterintenzionale.

c) Ogni delitto doloso, qualora dal fatto sia derivante la morte di una/più persone, escluse le ipotesi di:
- morte come conseguenza non voluta di altro reato; di morte avvenuta in seguito a rissa e di morte derivante da
omissione di soccorso.

d) I delitti di riorganizzazione del partito fascista, di genocidio e quelli contro la personalità dello Stato puniti con la pena
edittale non inferiore nel massimo a 10 anni.

d-bis) i delitti consumati o tentati di associazione per delinquere (nonché il delitto di procurato ingresso illegale dello straniero
nel territorio dello Stato), i delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, di tratta di persone, di acquisto e
alienazione di schiavi, ed infine, i delitti con finalità di terrorismo (per questi ultimi è stabilita la pena della reclusione non
inferiore, nel minimo, a 10 anni).

Il co. d-bis è stato introdotto in sede di conversione del d.l. 10/2010.

In passato, ovvero prima della l.228/ 2003, i delitti previsti in materia di “schiavitù” su descritti, erano devoluti al tribunale in
composizione collegiale e non alla corte di assise.

Ex art 6, nel delineare la “competenza del tribunale” stabilisce come questa si ricavi per sottrazione, infatti, ex co.1:

o “Il tribunale è competente per i reati che non appartengono alla competenza della corte di assise o del giudice di pace”.

In riferimento al tribunale, sarà opportuno distinguere circa le ipotesi “attribuite” alla composizione collegiale/monocratica.

B. Competenza per territorio.

L’art 8 nel disciplinare le “regole generali”, delinea nel co.1 la regola fondamentale second cui:

o “La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato”.

Ad essa, il legislatore fa seguire:

a) Altre regole di carattere generale che derogano al criterio del locus commissi delicti in ragione della particolare
configurazione della fattispecie delittuosa (co.2,3,4 art 8);

b) Talune regole “suppletive”, che consentono l’individuazione del giudice territorialmente competente quando non è
possibile applicare le regole generali (art 9 “Regole suppletive”).

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a) In merito alle altre regole di carattere generale ex art 8:


 Se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una/più persone  è competente il giudice del luogo in cui è
avvenuta l’azione/omissione (co.2).

 Se si tratta di reato permanente  è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche
se dal fatto è derivata la morte di una/più persone (co.3).

 Se si tratta di delitto tentato  è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l’ultimo atto diretto a
commettere il delitto. (co.4)

Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, il collegamento della competenza al locus commissi delicti integra il
requisito della naturalità del giudice ex art 25 Cost.

b) Quanto alle regole suppletive, bisogna rispettare la gerarchia interna ex art 9, di conseguenza:
 È prioritario il criterio del luogo (l’ultimo, se sono più di uno) in cui è avvenuta una parte dell’azione/omissione
(co.1 art 9);

 Se non è noto il luogo indicato ex co.1, la competenza appartiene successivamente al giudice della residenza, della
dimora o del domicilio dell’imputato (co.2);

 Se nemmeno in tal modo è possibile determinare la competenza, questa appartiene al giudice del luogo in cui ha
sede l’ufficio del P.M. che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro ex art 335.

La normativa esaminata si applica anche quando il reato è stato commesso in parte all’estero (art 10 co.3), mentre in caso di
reato commesso interamente all’estero sono indispensabili taluni adeguamenti.

ART 10  Competenza per i reati commessi all’estero.


“Se il reato è stato commesso interamente all’estero, la competenza è determinata successivamente dal luogo della
residenza, della dimora, del domicilio, dell’arresto/consegna dell’imputato.
In caso di pluralità di imputati, procede il giudice competente per il maggior numero di essi.” (co.1)

“Se il reato è stato commesso a danno nel cittadino e non sussistono i casi previsti dagli art 12 (“Casi di connessione”) e 371
co.2 lett.b (“Rapporti tra diversi uffici del P.M.”), la competenza è del tribunale o della corte di assise di Roma quando non è
possibile determinarla nei modi ex co.1”. (co.1 bis introdotto nel 2016).

“in tutti gli altri casi, se non è possibile determinare nei modi indicati nei co.1 e 1bis la competenza, questa appartiene al
giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del P.M. che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro ex art
335.” (co.2)

“Se il reato è stato commesso in parte all’estero, la competenza è determinata ex art 8 e 9” (co.3).

Numerose sono le deroghe alla regola del locus commissi delicti che traggono la loro legittimazione dall’art 210 disp.att., per cui:

o “continuano ad applicarsi le disposizioni di leggi o decreti che regolano la competenza per materia o per territorio in
deroga alla disciplina del codice (art 8), nonché le disposizioni che prevedono la competenza del giudice penale in ordine
a violazioni connesse a fatti costituenti reati”.

Altre deroghe sono riconducibili a leggi successive alla pubblicazione del codice.

In alcune situazioni è lo stesso codice che crea regole ad hoc.

1) Una prima deroga è quella risultante ex art 328 co.1bis e 1quater (“Giudice per le indagini preliminari”), che riguardano i
procedimenti relativi ai delitti ex co.3bis, 3quater e 3quinques art 51.

In tal caso, le funzioni di G.I.P., nonché di G.U.P, sono esercitate da un magistrato appartenente al tribunale del capoluogo
del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.

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2) Particolare è la seconda deroga (art 11 “Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati”) che prevede un duplice
presupposto:
a) L’esistenza di un procedimento penale in cui un magistrato (secondo le S.U, un magistrato onorario il cui incarico sia
caratterizzato dalla stabilità) assuma la qualità di imputato o quella di persona offesa o danneggiata dal reato;

b) La competenza, in relazione al fatto per il quale si procede, di un ufficio giudiziario ricompreso nel distretto di corte di
appello in cui lo stesso magistrato esercita le proprie funzioni, o le esercitava al momento del fatto.

L’art 11bis (“Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati della Direzione nazionale antimafia”) è stato poi aggiunto
nel 1998, precisando che in presenza del presupposto sub.a), anche nei confronti del magistrato facente parte della
direzione nazionale antimafia la competenza si determina in base alla normativa esaminata.

C. Competenza per connessione

La connessione mira a neutralizzare il rischio di decisioni logicamente contrastanti (conflitto teorico di giudicati)

L’art 12 disciplina i “casi di connessione”, delineando l’autonomia di quello che è il criterio di competenza per connessione.

ART 12  Casi di connessione.


“Si ha connessione di procedimenti:
a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso/cooperazione fra loro, o se più persone
con condotte indipendenti hanno determinato l’evento;

b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione/omissione (concorso formale), o con più
azioni/omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso (reato continuato);

c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire/occultare gli altri.” (co.1)

Anche qui, i criteri dettati per la determinazione del giudice competente non lasciano margini di discrezionalità:

 è prioritario il criterio del giudice superiore.

Se ci si muove sul versante della competenza per materia, l’art 15 (“Competenza per materia determinata dalla
connessione”) prevede che i procedimenti di competenza del tribunale risultano automaticamente attribuiti alla corte di
assise

Invece, muovendosi sul versante della competenza per territorio, ex art 16 (“Competenza per territorio determinata dalla
connessione”), prevale il giudice competente per il reato più grave (co.3), o in caso di pari gravità, quello competente per il
primo reato (co.1).

Criteri particolari sono dettati ex art 13 che disciplina la “Connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e
speciali”.

ART 13  Connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali.


“Se alcuni procedimenti connessi appartengono alla competenza di un giudice ordinario e altri a quella della Corte
costituzionale, è competente per tutti quest’ultima.” (co.1)

“Fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti opera solo quando il reato comune è più grave di quello
militare, avendo riguardo ai criteri ex art 16 co.3.
In tal caso la competenza per tutti i reati è del giudice ordinario”. (co.2)

Infine, l’art 14 disciplina i “Limiti alla connessione nel caso di reati commessi da minorenni”, per cui:

 per i procedimenti relativi ad imputati che, al momento del fatto, erano minorenni e procedimenti relativi a imputati
maggiorenni, la connessione non opera.

Ne discende che:
 i procedimenti per reati commessi quando l’imputato era minorenne  competente è il tribunale per i minorenni;
 i procedimenti per reati commessi nella maggiore età  competente è il giudice non specializzato.

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6. Segue: la c.d. competenza funzionale.


È frequente il frazionamento dell’attività giurisdizionale di un medesimo procedimento in più scansioni aventi come protagonisti
varie figure di giudici, che si diversificano in ragione della funzione che svolgo.

A tali suddivisioni si ricollega il concetto di competenza funzionale, che verrebbe ad essere equiparata alla competenza per
materia.

Limitandosi a delineare il solo settore dei giudici ordinari, è da escludere gli organi della giustizia minorile.

Partendo dalla suddivisione per gradi, si distingue:

 Giudice di pace – tribunale ordinario – corte di assise  giudici di primo grado;


 Tribunale (in composizione monocratica) – corte di appello – corte d’assise d’appello  giudici di secondo grado.
 Corte di cassazione  ultimo grado, a cui è demandato il controllo di legittimità sulle decisioni assunte nei gradi
precedenti.

Circa l’articolazione in fasi, avremo:

 La fase anteriore al giudizio  si collocano le attività del G.I.P. e, successivamente, del G.U.P.;

 La fase del giudizio  di cui sono funzionalmente competenti il tribunale, la corte d’assise, la corte di appello, la corte
d’assise d’appello, la corte di cassazione;

 La fase dell’esecuzione.

In merito a quest’ultima fase, vanno distinte:


 Le funzioni del giudice di esecuzione,
 Le funzioni della magistratura di sorveglianza  al cui interno emerge l’ulteriore ripartizione tra:
 Le funzioni del magistrato di sorveglianza (giudice di 1° grado);
 E quelle del tribunale di sorveglianza (giudice sia di 1° che 2°
grado).

7. Le “attribuzioni” del tribunale. (Art 33bis-33quater)


Appurata la competenza per materia del tribunale a giudicare per un determinato reato, s’impone un ulteriore passaggio logico
che permetta di stabilire se sia richiesta la composizione monocratica o collegiale.

Si è solito parlare, dunque, dell’”attribuzione”.

È una sottocategoria coniata dal d.lgs.51/1998 che, nel dichiarato intento di “realizzare una più razionale distribuzione delle
competenze degli uffici giudiziari”, ha previsto l’istituzione del giudice unico di primo grado.

Sopprimendo l’ufficio della pretura e riconoscendo la possibilità per il tribunale di funzionare sia nella sua tradizionale
composizione collegiale, sia nell’inedita composizione monocratica, ha fatto seguito una valorizzazione della dimensione
monocratica, eletta a regola.

Ciò ha indotto a ridimensionare l’importanza attribuita al principio della collegialità, e a dilazionare lo spettro di reati prima
attribuiti al pretore.

Opportuna si è rilevata la correzione di rotta attuata con la l.479/1999, che ha dettato la nuova regolamentazione del
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, nel cui contesto risulta importante l’indicazione di un
determinato numero di casi dove l’imputato può essere rinviato direttamente al giudizio dal P.M. (art 550 “Casi di citazione
diretta a giudizio”).

Inoltre, si è proceduto ad un nuovo riparto delle attribuzioni riservate alle due composizioni del tribunale.

Il d.lgs.51/1998 aveva introdotto i nuovi art 33bis e 33ter riguardanti le attribuzioni del tribunale in composizione
collegiale/monocratica.

L’intervento della l.479/99 ha comportato la riformulazione dei suddetti articoli, determinata dal proposito di ridimensionare le
attribuzioni originariamente previste per il giudice monocratico.
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Ciò si ricava dalla correzione apportata al criterio quantitativo, che attualmente consente di devolvere al tribunale collegiale:
 i delitti punti con la reclusione superiore nel massimo a 10 anni, anche nell’ipotesi del tentativo (ex art 33bis co.2).

L’inciso del “tentativo” è stato aggiunto col d.l. 82/2000, per evitare che una fattispecie delittuosa, devoluta al tribunale
“collegiale” nella forma consumata, fosse da attribuire al tribunale “monocratico”, se rimasta allo stadio nel tentativo.

 Il limite dei 10 anni va calcolato applicando le regole dettate dall’art 4 (art 33bis co.2)

Il criterio quantitativo va coordinato con quello qualitativo, che implica qualche deroga:

1) Per un verso, risultano sottratti al tribunale “collegiale” taluni delitti puniti con la reclusione superiore a 10 anni;

2) Per altro verso, gli vengono attribuiti reati che, in base al suddetto criterio quantitativo (min. 10 anni) dovrebbero essere
giudicati dal tribunale in composizione monocratici (dunque per pene la cui reclusione è indubbiamente inferiore a 10 anni).

1) Circa la prima deroga, vengono in rilievo i delitti previsti in materia di sostanze stupefacenti;

Fermo restando che su di essi giudica comunque il tribunale in composizione collegiale quando siano contestate le aggravanti
ex art 80 del t.u. sulle sostanze stupefacenti (art 33ter co.1)

2) Relativamente alla seconda situazione, riguardante i reati punti con la reclusione non superiore a 10 anni, bisogna far capo
all’elenco ex co.1 art 33bis, il quale attribuisce al tribunale in composizione collegiale i seguenti reati consumati/tentati:

a) Delitti commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste ex art 416bis c.p., delitti commessi per
finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, delitti di illegale fabbricazione, messa in
vendita, introduzione nello Stato, cessione, detenzione, di esplosivi o più armi comuni da sparo, eccetto quelli
rientranti nella competenza della corte di assise;

b) Delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, esclusi quelli ex art 329 c.p. (rifiuto/ritardo di
obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica), sottrazione o danneggiamento di cose
sottoposte a sequestro penale o amministrativo, etc;

c) Delitti di associazione per delinquere, associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, disastro
ferroviario causato da danneggiamento, usura, violenza sessuale, incesto, pornografia minorile, prostituzione
minorile, etc.;

e via dicendo fino alla lett.q.

Quanto alle attribuzioni del tribunale in composizione monocratica, vale la regola della complementarietà.

Oltre che sui delitti previsti ex d.P.R. 309/1990 sulle sostanze stupefacenti, purché non aggravati (art 33ter co.1), il tribunale
monocratico giudica, anche sui reati non attribuiti al tribunale “collegiale” dall’art 33bis o da altre disposizioni di legge (art
33ter).

 Risultano attribuiti al tribunale monocratico, ad esempio, i reati di guida in stato di ebbrezza e di guida in stato di
alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti.

Dunque, la disposizione in esame (art 33ter) lascia intendere, come anticipato all’inizio, che la regola generale per l’attribuzione
della cognizione è quella del Tribunale monocratico, salve specifiche ipotesi di reati attribuiti alla cognizione del Tribunale
collegiale (art 33bis).

Resta, ora, da stabilire l’incidenza di un eventuale vincolo connettivo.

ART 33quater  Effetti della connessione sulla composizione del giudice

“Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla cognizione del tribunale in composizione collegiale ed altri a quella
del tribunale in composizione monocratica, si applicano le disposizioni relative al procedimento davanti al giudice collegiale,
al quale sono attribuiti tutti i procedimenti connessi”. (co.1)

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Sancendo l’applicabilità delle disposizioni relative al “procedimento” davanti al giudice collegiale, è evidente che la vis actractica
del collegio operi anche in rapporto alla fase anteriore al dibattimento (dunque, alle indagini preliminari), imponendo
l’osservanza delle disposizioni contenute nel Libro V (“Indagini preliminari e udienza preliminare”).

8. La disciplina della riunione e della separazione dei processi. Capo III (Art 17-19)
La connessone, in quanto criterio attributivo di competenza, produce i suoi effetti sin dall’inizio del “procedimento”.

Invece, la riunione (art 17) e la separazione (art 18) sono istituti che operano (non solo in primo grado), a partire dal momento
in cui, in seguito all’esercizio dell’azione penale, il procedimento  si è evoluto in processo.

A. Riunione dei processi.

La riunione dei processi (art 17) produce come risultato la trattazione congiunta di una molteplicità di processi a carico di
uno stesso imputato (ovviamente per reati diversi) o a carico di una pluralità di imputati, pendenti davanti a giudici diversi,
sezioni dello stesso ufficio giudiziario, preventivamente individuati in base ai normali criteri di competenza.

Nonostante la connessione miri alla neutralizzazione del conflitto teorico di giudicati, ciò risulta scongiurato solo a condizione
che i procedimenti confluiti presso lo stesso ufficio giudiziario siano successivamente riuniti in capo ad un unico giudice.

Inoltre, non è sempre consentita la riunione di processi connessi.

Dall’art 17 co.1, disciplinante la “Riunione di processi”, si ricava che per la riunione devono sussistere i seguenti presupposti:

1) La pendenza davanti al medesimo ufficio giudiziario dei processi da riunire (identità del giudice competente);

2) Uno sviluppo omogeneo di questi ultimi, che devono trovarsi “nello stesso grado e stato” (omogeneità oggettiva);

3) Una prognosi negativa circa un possibile ritardo nella definizione delle singole vicende processuali (esigenze di celerità);

4) La sussistenza di determinate correlazioni tra processi, tassativamente elencate ex lege:


 Connessione ex art 12,
 O collegamento ex art 371 co.2 lett.b (vincolo di occasionalità o consequenzialità).

Si deve ritenere che, ferma restando la presenza necessaria degli altri presupposti, qualora venga esclusa la sussistenza di un
pregiudizio, in termini di “ritardo nella definizione”, per i processi pendenti, la riunione costituisca un atto dovuto

Negli stessi casi e alle stesse condizioni risultati ex co.1, si procede alla riunione configurata nel co.1bis, per cui si stabilisce che:

o “Se alcuni dei processi pendono davanti al tribunale collegiale ed altri davanti al tribunale monocratico, la riunione è
disposta davanti al tribunale in comparazione collegiale” il quale si pronuncerà su tutte le regiudicande anche
nell’eventualità in cui esse siano oggetto di un successivo provvedimento di separazione (art 17 co.1bis).

B. Separazione di processi.

L’art 18, nel disciplinare la “Separazione di processi”, elenca una serie di ipotesi in presenza delle quali il giudice deve scindere
un processo cumulativo, tale sin dalla sua nascita (es. delitto addebitato a più soggetti che abbiano agito in concorso fra loro) o
in seguito alla riunione disposta ex art 17.

Si tratta di casi in cui alcuni dei processi riuniti appaiono pronti per la trattazione ed altri no, e le esigenze di celerità
prevalgono di fronte a quelle di un accertamento complessivo dei fatti.

Ciò potrebbe accadere con riferimento alla decisione conclusiva del dibattimento (co.1 lett.e) o dell’udienza preliminare (co.1
lett.a).

Si deve, inoltre, procedere alla separazione quando sia stata disposta la sospensione del procedimento (lett.b); o quando, in
seguito all’”incolpevole” assenza in sede dibattimentale di un imputato o del suo difensore, bisogna rinnovare a favore
dell’uno o dell’altro la citazione o l’avviso.

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Col d.l. 341/2000 è stata introdotta un ulteriore ipotesi di separazione, da disporre quando il processo abbia come
protagonisti uno o più imputati chiamati a rispondere di reati di elevata gravità (quelli ex art 407 co.2 lett.a), sempre che tali
imputati siano prossimi ad essere rimessi in libertà per scadenza dei termini massimi di custodia cautelare, data la mancanza
di altri titoli di detenzione.

Alla base della separazione, vi sono dunque esigenze di celerità che soccombono di fronte alle esigenze di accertamento.

La separazione è infatti esclusa quando il giudice ritenga che la riunione sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei
fatti (art 18 co.1).

Ex co.2, la separazione dei processi può anche essere disposta sulla base di un accordo tra le parti, sempre che il giudice la
reputi utile sotto il profilo della speditezza.

ART 19  Provvedimenti sulla riunione e separazione


“La riunione e la separazione di processi sono disposte con ordinanza, anche d’ufficio, sentite le parti.” (co.1)

Per l’inosservanza degli art 17, 18 e 19 il codice non prevede alcuna sanzione di nullità, né alcun mezzo di impugnazione
cosicché, per il principio di tassatività in materia di nullità e di impugnazioni:

 le ordinanze in questione sono assolutamente inoppugnabili, anche nel caso di mancata audizione delle parti.

9. I procedimenti di verifica della giurisdizione e della competenza. Capo IV (Art 20-32)


La disciplina dettata in tema di controllo del difetto di giurisdizione e di competenza persegue un duplice obiettivo:

 Anticipare la risposta definitiva sulla giurisdizione e sulla competenza,


 Scongiurare i rischi di regressione, di procedimenti giunti in stadi avanzati.

In tal direzione gli art 20 (“Difetto di giurisdizione”) e 21 (“Incompetenza”) indicano i momenti in cui può essere sollevata la
relativa questione.

A. Difetto di giurisdizione.

Quanto al difetto di giurisdizione ex art 20, può essere rilevato, anche d’ufficio in ogni stato e grado del “procedimento” (co.1);
quindi a cominciare dalla fase delle indagini preliminari.

Se il difetto di giurisdizione è rilevato nel corso delle indagini preliminari, il giudice provvede con ordinanza e dispone la
restituzione degli atti al P.M., fermo restando che la sua ordinanza non risolve definitivamente la questione.

Dopo la chiusura delle indagini preliminari e in ogni stato e grado del processo, il giudice pronuncia sentenza e ordina,
eccettuata l’ipotesi di un difetto assoluto di giurisdizione, che gli atti vengano trasmessi all’autorità competente (co.2)

B. Incompetenza.

Quanto all’incompetenza, occorre preliminarmente distinguere tra l’incompetenza:

 Per materia  più grave, poiché si traduce nell’inosservanza delle regole incentrate sulla capacità tecnico
professionale del giudice.

Può essere rilevata anche d’ufficio, in ogni stato e grado del “processo” (non prima che sia esercitata l’azione penale). (co.1)

 e quella per territorio o per connessione.

Deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza:


 prima della conclusione dell’udienza preliminare,
 o se questa manchi o se l’eccezione viene respinta in sede di udienza preliminare, entro il termine ex art 491 co.1
(“Questioni preliminari”) per la trattazione delle questioni preliminari. (co.2)

L’art 491 co.1  “le questioni concernenti la competenza per territorio/connessione sono precluse se non sono proposte
subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti e sono decise immediatamente”

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La riforma Orlando ha aggiunto alla fine dell’art 438 il co.6bis (“Presupposti del giudizio abbreviato”), il quale dispone che, in
caso di giudizio abbreviato richiesto in sede di udienza preliminare, risulta preclusa “ogni questione sulla competenza
territoriale del giudice”.

Due, sono le situazioni che comportano una deroga all’ordinario regime dell’incompetenza per materia:

1) la prima ricorre quando il giudice conosce di un reato che appartiene alla cognizione di un giudice di competenza
inferiore  incompetenza per eccesso, da rilevare d’ufficio o eccepita, a pena di decadenza, entro il termine ex co.1
art 491 (art 23 co.1 “Incompetenza dichiarata nel dibattimento di primo grado”).

2) La seconda deroga concerne l’ipotesi dell’incompetenza per materia derivante da connessione, che in base all’art 23
co.3, deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro gli stessi termini stabiliti per l’incompetenza per
territorio.

Relativamente all’incidenza della connessione sulla competenza per materia, il disposto dell’art 21 co.3 debba essere riferito
alla situazione in cui, ritenuto erroneamente sussistente un vincolo connettivo, la corte d’assise, come giudice superiore,
giudichi anche in merito ad un reato di competenza del tribunale.

La contraria ipotesi dell’errore che si traduce in un difetto di competenza, dev’essere, invece, ricondotta alla previsione ex art
21 co.1-

Gli artt 22-25 definiscono la forma e gli effetti del provvedimento con cui viene dichiarata l’incompetenza, in rapporto ai vari
stati e gradi del processo.

Più precisamente:

a) Nel corso delle indagini preliminari  il giudice che riconosca la propria incompetenza pronuncia ordinanza e dispone
la restituzione degli atti al P.M. ex art 22 co.1 e 2;

b) Dopo la chiusura delle indagini preliminari e in sede di dibattimento di primo grado  il giudice dichiara con sentenza
la propria incompetenza e ordina la trasmissione degli atti al P.M. presso il giudice competente (art 22 co.3 e 23 co.1);

c) In grado di appello  se il giudice rileva che su un reato di competenza della corte d’assise ha giudicato il tribunale, o
che su un reato di competenza del tribunale ha giudicato il giudice di pace, pronuncia sentenza di annullamento e
ordina la trasmissione degli atti al P.M. presso il giudice di primo grado (art 24 co.1).

Nelle ipotesi inverse, il giudice di appello, salvo che si tratti di decisione inappellabile, pronuncia invece nel merito, anche
quando l’eccezione di incompetenza sia stata riproposta con i motivi di appello (art 24 co.2).

Con riferimento all’incompetenza per territorio o per connessione, è prevista la pronuncia di una sentenza di annullamento
da parte del giudice di appello e la conseguente trasmissione degli atti, rispettivamente, al P.M. presso il giudice di primo
grado e direttamente a quest’ultimo.

È indispensabile che l’incompetenza per territorio o per connessione, dopo essere stata eccepita in primo grado entro i
termini ex art 21 co.2 e 3, sia stata denunciata con i motivi di appello (art 24 co.1 “Decisioni del giudice di appello sulla
competenza”), altrimenti il giudice di appello pronuncia nel merito.

d) Nel giudizio davanti alla Corte di cassazione  la corte è tenuta a dichiarare, anche d’ufficio, l’incompetenza per
materia derivante dell’avere il tribunale giudicato un reato di competenza della corte d’assise; può essere dichiarata
anche l’incompetenza per territorio o per connessione, purché la relativa eccezione sia stata ulteriormente riproposta
nei motivi del ricorso per cassazione.

Da notare che, la decisione della Corte di cassazione sulla giurisdizione/incompetenza è vincolante nel corso del processo;

può essere superata nella sola ipotesi in cui risultino nuovi fatti che implichino la modificazione della giurisdizione o la
competenza del giudice superiore (art 25 “Effetti delle decisioni della corte di cassazione sulla giurisdizione e competenza”).

Le ultime due disposizioni, quali l’art 26 e 27 sono riconducibili al principio della conservazione degli atti assunti dal giudice
competente.

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ART 26  Prove acquisite dal giudice incompetente.


“L’inosservanza delle norme sulla competenza non produce l’inefficacia delle prove già acquisite.” (co.1)

“Le dichiarazioni rese al giudice incompetente per materia, se ripetibili, sono utilizzabili solo nell’udienza preliminare e per le
contestazioni ex art 500 e 503” (co.2)

ART 27  Misure cautelari disposte dal giudice incompetente.


“Le misure cautelari (reali e personali) disposte dal giudice che, contestualmente o successivamente, si dichiara incompetente
per qualsiasi causa cessano di avere efficacia se, entro 20 giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice
competente non provvede ex art 292, 317 e 321.” (co.1)

Vanno tenuti presenti anche gli art 28-32 rientranti nel Capo V dedicato ai “conflitti di giurisdizione e di competenza”, che si
occupano dei conflitti tra giudici e ne dettano il superamento.

Il conflitto (art 28 co.1) è la situazione che si determina quando, in qualsiasi stato e grado del processo, due o più giudici
contemporaneamente prendono (conflitto positivo) o rifiutando di prendere (conflitto negativo) cognizione del medesimo
fatto attribuito alla stessa persona.

 Conflitto di giurisdizione  quando il contrasto intercorre tra uno o più giudici ordinari e uno o più giudici speciali.
 Conflitto di competenza  quando ad essere coinvolti sono due o più giudici ordinari.

È esclusa (ex art 28 co.2 “Casi di conflitto”) la possibilità di un conflitto tra il giudice dell’udienza preliminare e quello del
dibattimento, in quanto prevale sempre la decisione di quest’ultimo.

Essendo impossibile stabilire preventivamente un elenco esaustivo delle varie ipotesi di conflitto, il legislatore ha fatto ricorso
alla categoria dei conflitti “analoghi” (art 28 co.2), i quali, pur strutturandosi diversamente da quelli ex co.1 art 28, sono
sottoposti alla stessa regolamentazione.

Qualora il contrasto sia tra il G.U.P. e il giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest’ultimo.

Non rientra nella categoria dei conflitti “analoghi” ex co.2, il contrasto che ha come protagonisti il giudice ed il P.M.

Questo perché, i conflitti regolano l’esercizio della funzione giurisdizionale e non possono riguardare un soggetto (P.M) che
ha la funzione di parte, anche se pubblica.

D’altro canto, i contrasti tra i diversi uffici del P.M. sono disciplinati ex art 54, 54bis e 54ter.

Anche se, di regola, il conflitto può nascere in qualsiasi stato e grado del processo, si è escluso che nel corso delle indagini
preliminari possa essere proposto conflitto positivo per ragione di competenza territoriale determinata dalla connessione (art
28 co.3).

Con tale disposizione, che non preclude la proposizione di conflitti fondati su altre ragioni, si è voluto che il P.M. presso il giudice
competente per il reato meno grave sia libero di svolgere le indagini concernenti tale reato, oppure, di trasmettere gli atti
all’ufficio del P.M. presso il giudice competente ex art 16.

Ad originare il procedimento di conflitto è una “denuncia” di parte o una “rilevazione” d’ufficio del giudice; l’elevazione del
conflitto non ha effetti sospensivi sul processo in corso.

Gli art 30-32 scandiscono lo sviluppo del procedimento incidentale, indicando l’organo cui spetta la risoluzione del conflitto
(Corte di cassazione) e delineando un meccanismo di comunicazione, notificazione e trasmissione di copie di atti tale da
garantire la partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati ai processi coinvolti nel conflitto.

La corte di cassazione decide con sentenza in camera di consiglio, secondo le procedure ex art 127 (art 32 co.1).

Il conflitto cessa (art 29) per effetto dell’iniziativa di uno dei giudici che dichiari, anche d’ufficio, la propria competenza (in
caso di conflitto negativo) o la propria incompetenza (in caso di conflitto positivo).

Se ciò non si verifica, bisogna attendere la sentenza della corte di cassazione, che produce gli effetti ex art 25:
 È vincolante, tranne quando, in seguito a nuovi fatti che comportino una diversa definizione giuridica, emerga la
modificazione della giurisdizione o la competenza di un giudice superiore.
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Quanto agli atti compiuti dal giudice risultato incompetente, bisogna rifarsi al disposto ex art 26 e 27, con un unico
adeguamento:

 Relativamente ai provvedimenti cautelari, il termine di 20 giorni ex art 27 decorre dalla comunicazione della sentenza
della corte al giudice che ha disposto la misura cautelare.

10. Il controllo sul corretto riparto di ”attribuzioni” fra tribunale “monocratico/collegiale”. Capo VI (Art
33quinques-33nonies)
In virtù del fatto che l’inosservanza delle disposizioni relative al riparto di attribuzioni fra le due composizioni del tribunale non
è classificabile come un problema di incompetenza, è stato necessario creare una specifica normativa che trovato la sua
collocazione nel Capo VI-bis (introdotto col d.lgs.51/1998).

ART 33quinques  Inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale.
“L’inosservanza delle disposizioni relative all’attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale in composizione
collegiale/monocratica e delle disposizioni processuali collegate è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della
conclusione dell’udienza preliminare o, se manca, entro il termine previsto per la trattazione delle questioni preliminari ex art
491 co.1.” (co.1)

La relativa regolamentazione sembra ricalcare quella inerente all’incompetenza per territorio e connessione.

La diversificazione emerge dagli articoli seguenti (33sexies ss.), i quali specificano, a seconda della fase e del grado del processo,
la forma del provvedimento giudiziale con cui viene dichiarata l’erronea attribuzione del reato e gli effetti di tale dichiarazione.

 In sede di udienza preliminare (art 33sexies) l’ipotesi è quella in cui il giudice ritenga che si debba prescindere da tal
udienza, in quanto il reato rientra tra quelli rispetto ai quali è prevista, ex art 550, la citazione diretta a giudizio da
parte del P.M., affinché il medesimo provveda ad emettere il decreto di citazione a giudizio contemplato ex art 552 (art
33sexies co.1).

Dai rinvii operati ex co.2 art 33sexies consegue che la lettura dell’ordinanza equivale a notificazione per le parti presenti, e che,
per quanto concerne la formazione del fascicolo per il dibattimento, la trasmissione degli atti al giudice dibattimentale e
l’eventuale assunzione di atti urgenti, vale il disposto degli art 553 e 554.

Qualora l’inosservanza delle regole sull’attribuzione del reato venga rilevata nel corso del dibattimento di primo grado (ex
art 33septies), il giudice procede diversamente a seconda che il dibattimento sia stato instaurato in seguito:

 Ad udienza preliminare  è sufficiente trasmettere gli atti, con ordinanza, al giudice competente e decidere sul
reato contestato.

 A decreto di citazione diretta a giudizio  essendo stato l’imputato indebitamente privato dell’udienza preliminare,
l’error in procedendo può essere corretto solo con regressione del processo; deve essere disposta, con ordinanza, la
trasmissione degli atti al P.M., per consentirgli di esercitare l’azione penale tramite la richiesta di rinvio a giudizio ex
art 416.

In entrambe le ipotesi la lettura dell’ordinanza sostituisce la citazione e gli avvisi per tutti coloro che sono o devono
considerarsi presenti (art 33septies “Inosservanza dichiarata nel dibattimento di primo grado”)

La questione relativa alla violazione delle regole sulle attribuzioni può essere affrontata anche nel giudizio di appello e in quello
di cassazione (ex art 33ocites).

Dall’art 33octies (“inosservanza dichiarata dal giudice di appello o dalla corte di cassazione”) si desume che:

a) Quanto al giudice di appello  qualora ritenga che dovesse giudicare il tribunale in composizione collegiale, pronuncia
sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al P.M. presso il giudice di primo grado, purché l’erronea
attribuzione sia stata tempestivamente eccepita ex art 33quinques e denunciata nei motivi di appello.

Il giudice di appello pronuncia, invece, nel merito (sempre se sia sentenza appellabile), qualora ritenga che il reato
appartenga alla cognizione del tribunale in composizione monocratica.

b) Quanto alla corte di cassazione  è opportuno distinguere tra attribuzione viziata per difetto o per eccesso.
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 Attribuzione viziata per difetto  la corte procede come il giudice di appello (sentenza di annullamento e trasmissione
atti al P.M.) purché il vizio sia stato tempestivamente eccepito in primo grado e la relativa eccezione proposta nei motivi
del ricorso per cassazione;

 Attribuzione viziata per eccesso  vale la stessa regola, purché il ricorso riguardi una sentenza inappellabile o si tratti di
un ricorso per saltumi ex art 569 co.1.

Al di fuori di tali ipotesi, l’errore di attribuzione risulta irrilevante.

I parallelismi dettati per l’incompetenza territoriale riemergono anche con riferimento alle prove acquisite dal giudice che abbia
proceduto in seguito ad un’erronea applicazione delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale.

In conformità all’art 26, l’art 33nonies disciplina la “validità delle prove acquisite”.

ART 33nonies  Validità delle prove acquisite.


“L’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non determina l’invalidità degli
atti del procedimento, né l’inutilizzabilità delle prove già acquisite.” (co.1)

Non viene inficiata la validità degli atti compiuti fermo restando:

 quanto è disposto in senso contrario ex art 33septies e 33octies,


 e sempre che non si tratti di atti affetti da vizi indipendenti dall’inosservanza delle norme sulla composizione del
tribunale.

Nell’ipotesi di violazione dei criteri di ripartizione (territoriale tra sede principale e relative sezioni distaccate o tra diverse
sezioni distaccate), dei procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione monocratica si occupa l’art 163bis disp.att.

In primis, la violazione può essere rilevata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

In secundis, il giudice che la consideri sussistente rimette gli atti al presidente del tribunale, affinché quest’ultimo si pronunci
in proposito con un decreto non motivato e non soggetto ad impugnazione.

Ad ogni modo, tale violazione viene considerata una questione di corretta amministrazione della giurisdizione.

11. Le cause personali di estromissione del giudice: incompatibilità, astensione e ricusazione. Capo VII
(Art 34-44)
Nel Capo VII (art 34-44) del Libro I (“Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice”), sono regolate le ipotesi in cui:

 Il giudice ha l‘obbligo di non esercitare la sua funziona giurisdizionale  Astensione;


 Le parti hanno diritto di chiederne l’estromissione  Ricusazione.

Per quanto riguarda le cause d’incompatibilità, esse sono previste:

 negli art 34 (“Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento”) e 35 (“Incompatibilità per ragioni di
parentela, affinità o coniugio”) del codice;
 nonché negli art 18 e 19 ord.giud., ma nonostante la configurazione autonoma, risultano comprese nella stessa
disciplina dell’art 36 co.1 lett.g (“Astensione”).

Questo assorbimento operato nella lett.g co.1 art 36 si concilia con la posizione della giurisprudenza secondo cui, l’esistenza
di una situazione di incompatibilità costituisce esclusivamente un motivo di ricusazione, che la parte interessata deve far
valere tempestivamente (art 38 “Termini e forme per la dichiarazione di ricusazione”).

Come abbiamo detto prima, le cause d’incompatibilità sono stabilite:

 in parte dall’ordinamento giudiziario (art 18 e 19)  attinenti alla costituzione dell’organo giudicante e prefigurano
alcune condizioni dirette ad assicurare che la persona chiamata ad esercitare la funzione giurisdizionale sia e appaia
imparziale
 e in parte, dal codice di rito (art 34 e 35).

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Circa gli art del codice (34 e 35), bisogna distinguere tra:
 l’incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio  art 35
 e l’incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento  art 34

A. Incompatibilità.

L’art 34 (“Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento”) contempla 4 diversi gruppi di situazioni:

a) il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento non può:
- esercitare funzioni di giudice negli altri gradi,
- né partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento da parte della Corte di cassazione o al giudizio per
revisione (co.1);

b) ex co.2 (il cui contenuto risulta parzialmente superato dal co.2bis), non può partecipare al “giudizio” (riferito sia al giudizio
abbreviato, sia all’udienza preliminare):
- né il giudice che ha pronunciato il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio
immediato o ha emesso decreto penale di condanna,
- né quello che ha deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere, pronunciata dal giudice
dell’udienza preliminare.

La portata di tal previsione normativa risulta ampliata in seguito ad una serie di sentenze “additive” della Corte
costituzionale, la quale ha censurato più volte l’art 34 co.2, ritenendo ingiustificatamente escluse alcune situazioni idonee a
compromettere l’imparzialità del giudice.

Si deve precisare, a tal proposito, che si esclude una menomazione dell’imparzialità del giudice che adotti, nell’ambito di una
medesima fase processuale, decisioni preordinate al proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso;

 ad esempio, come nell’ipotesi della sentenza emessa, al termine del giudizio direttissimo, dal giudice che, ex art 449 co.1
(“Casi e modi del giudizio direttissimo”), si sia preliminarmente pronunciato sulla richiesta cautelare formulata dal P.M.

c) il giudice che in un determinato procedimento ha esercitato le funzioni di G.I.P. non può:


- in quello stesso procedimento emettere il decreto penale di condanna,
- né partecipare al giudizio.

Inoltre, è incompatibile alla funzione di G.U.P. (co.2bis).

Questa disposizione (co.2bis) è stata introdotta col d.lgs.51/1998, ed è stata successivamente precisata dal co.2ter (aggiunto
nel 1999).

Il co.2ter, in deroga al comma precedente, esclude la ricorrenza di una situazione di incompatibilità quando il G.I.P. si sia
limitato ad adottare, nell’ambito dello stesso procedimento, taluno dei seguenti provvedimenti (inidonei a determinare una
situazione di pregiudizio):

a) il provvedimento con cui si autorizza il trasferimento in un luogo esterno di cura dell’indagato sottoposto a custodia
cautelare in carcere e quello con cui si autorizza il medesimo ad essere visitato da un sanitario di fiducia;

b) I provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla
corrispondenza, concernenti l’indagato sottoposto a custodia cautelare in carcere;

c) Il provvedimento con cui si accoglie/rigetta la richiesta di un permesso di uscita dal carcere, in presenza dell’imminente
pericolo di vita di un familiare o del convivente della persona sottoposta alle indagini, o per altri eventi di gravità inerenti
alla sua famiglia;

d) Il provvedimento con cui una parte/difensore vengono restituiti in un termine stabilito a pena di decadenza;

e) Il provvedimento con cui viene dichiarata la latitanza dell’indagato.

Per concludere l’elenco, il d.l.82/2000 ha inserito nell’art 34 il nuovo co.2quater, il quale prende in considerazione l’ipotesi in
cui il giudice:
o “abbia provveduto all’assunzione dell’incidente probatorio o comunque adottato uno dei provvedimenti ex Titolo VII
(“Incidente probatorio”) Libro V”.

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Bisogna riconoscere che il disposto di cui all’art 34 co.2bis risulta innovativo sotto due diversi profili:
 Da un lato, sancendo un’incondizionata incompatibilità al giudizio, assorbe e supera:
- sia la parte del co.2 art 34 relativa al giudice che “ha disposto il giudizio immediato o ha emesso il decreto
penale di condanna”,
- sia quell’ampio ventaglio delle sentenze della Corte costituzionale che hanno ricollegato l’incompatibilità al
giudizio del G.I.P. e specifiche situazioni “pregiudicanti”;

 Dall’altro, escludendo che il G.I.P. possa “tenere l’udienza preliminare”, capovolge l’originaria impostazione.

Bisogna precisare che, per una più completa valutazione, nello stesso momento in cui è stata accolta nel codice di rito la
regola dell’alternatività delle funzioni di G.I.P. e di G.U.P., sono state introdotte nel codice stesso (ad opera della l.479/99),
alcune disposizioni, le quali potrebbero riproporre il problema a cui si è inteso ovviare perfezionando il catalogo delle
incompatibilità.

d) Non può, infine, esercitare l’ufficio di giudice in un determinato procedimento chi, in quello stesso procedimento, ha
esercitato funzioni di P.M. o ha svolto atti di P.G o un altro ruolo idoneo a comprometterne l’imparzialità.

Per la stessa ragione, è incompatibile all’ufficio di giudice chi ha proposto la notizia di reato e chi ha deliberato o ha concorso a
deliberare l’autorizzazione a procedere (art 34 co.3).

Riassumendo, la norma mira a garantire l’imparzialità del giudice. Quando questi (persona fisica) in altra fase del
procedimento si è già pronunciato sul merito dell’accusa (es. in primo grado), non può partecipare al giudizio in fasi
successive (es. in appello), dovendo essere sostituito da un altro magistrato.

La norma è stata integrata ed ampliata nella sua operatività da numerose pronunce della Corte costituzionale a
dimostrazione dell’attenzione che l’ordinamento ha per la “terzietà” del giudice.

L’incompatibilità non opera nel caso in cui il giudice abbia adottato provvedimenti di scarsa rilevanza e non implicanti una
valutazione di merito dell’imputazione.

La violazione delle disposizioni sull’incompatibilità non causa nullità, ma si risolve in ipotesi di astensione o di ricusazione.

B. Astensione e Ricusazione.

Circa le cause di astensione e di ricusazione, esse sono disciplinate unitariamente nella disposizione relativa all’astensione (art
36).

Non si può parlare, però, di una totale coincidenza.

Infatti:
 Non costituisce motivo di ricusazione  le ipotesi, non richiamate nell’art 37 (“Ricusazione”) in cui sussistono
“gravi ragioni di convenienza” (art 36 lett.h);

 Non costituisce motivo di astensione  la manifestazione indebita da parte del giudice, prima che sia pronunciata
sentenza, del proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, essendo tale ipotesi contemplata solo
nell’art 37

Secondo le S.U., si può parlare di indebita manifestazione del convincimento giudiziale là dove ci si trovi di fronte ad una
anticipazione sul merito dell’imputazione; sempre che tal anticipazione debba ritenersi gratuita, cioè priva di un qualsiasi
nesso funzionale con l’atto che ha occasionato la presa di posizione del giudice.

Per il resto, tutti i motivi sono comuni.

ART 39  Concorso di astensione e di ricusazione.


“La dichiarazione di ricusazione si considera come non proposta quando il giudice, anche successivamente ad essa, dichiara di
astenersi e l’astensione è accolta.” (co.1)

Il catalogo risultante dagli art 36 e 37 è tassativo, ed i casi considerati riguardano i rapporti del giudice con le parti o con la
situazione dedotta in giudizio.
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Oltre che nelle ipotesi prima richiamate, ha obbligo di astenersi (e può essere ricusato dalle parti) il giudice che abbia interesse
nel procedimento.

È ulteriormente previsto l’obbligo di astensione (e parallela ricusabilità del giudice) quando alcuno dei prossimi congiunti del
giudice o del coniuge è offeso, danneggiato dal reato o parte privata (ex art 36 lett. e,f,g).

Dal punto di vista del procedimento, la divaricazione tra astensione e ricusazione è marcata:

 Astensione  prevista una procedura semplificata ex art 36 co.3

“La dichiarazione di astensione è presentata al presidente della corte/tribunale che decide con decreto senza formalità di
procedura”.

 Ricusazione  più complessa, presentando un impianto normativo che persegue un triplice obiettivo:
1) Accentuare il carattere giudiziale della procedura incidentale;
2) Escludere un’automatica sospensione dell’attività processuale in seguito alla semplice presentazione della
domanda di ricusazione;
3) Assicurare criteri oggettivi per l’individuazione del giudice che sostituisce quello ricusato.

Il procedimento di ricusazione inizia con:


 La presentazione della dichiarazione nella cancelleria del giudice competente e con il deposito di una copia di
questa nella cancelleria del giudice ricusato.

Da tale presentazione, scatta il divieto per il giudice ricusato di pronunciare sentenza finché non sia intervenuta l’ordinanza
d’inammissibilità/rigetto della dichiarazione stessa (art 37 co.2).

L’art 38 delinea i “termini e forme per la dichiarazione di ricusazione”; entrambi sanciti a pena d’inammissibilità (art 41).

L’art 40 disciplina la “competenza a decidere sulla ricusazione”, indicando i giudici competenti:

 La corte di appello  per la ricusazione di un giudice del tribunale, corte di assise o corte di assise d’appello;
 Una sezione diversa della stessa corte a cui appartiene il giudice ricusato  per la ricusazione di un giudice della corte
d’appello o di cassazione.

E preclude, ex co.3 art 40, la ricusazione dei giudici chiamati a decidere sulla ricusazione.

Nell’intento di scoraggiare un uso dilatorio dell’istituto, è stata potenziata la funzione di filtro della dichiarazione
d’inammissibilità:

La corte, competente a decidere sulla ricusazione, pronuncia ordinanza d’inammissibilità:


- Per mancanza di legittimazione soggettiva,
- Per inosservanza di forme e termini,
- Per manifesta infondatezza dei motivi addotti.

La decisione consegue ad una procedura de plano (senza difficoltà alcuna) senza avvisi alle parti e nell’assenza di
contraddittorio.

È previsto, però, un controllo successivo, realizzabile mediate ricorso per cassazione, al quale devono ritenersi legittimate
tutte le parti (la corte di cassazione deciderà in camera di consiglio con procedimento semplificato ex art 611).

Superata la fase dell’ammissibilità, la corte decide, in camera di consiglio, sul merito della ricusazione con le forme ex art 127,
dopo aver assunto, se necessario, le opportune informazioni (art 41 co.3).

La stessa corte può anche disporre, con ordinanza, che il giudice ricusato sospenda temporaneamente ogni attività processuale
o si limiti al compimento di atti urgenti.

Contro tale ordinanza è ammissibile ricorso per cassazione (che deciderà con le modalità di procedura ex art 611 per i
procedimenti in camera di consiglio).

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Quanto agli effetti della ricusazione, la semplice presentazione di tale dichiarazione non comporta per il giudice ricusato:

 alcune limitazione di poteri nello svolgimento dei compiti istituzionali,


 né l’insorgere di un obbligo di astensione.

L’unico divieto imposto ex lege a carico del giudice ricusato è quello ex art 37 co.2, nel senso che:
 non gli è consentito “pronunciare, né concorrere a pronunciare, sentenza finché non sia intervenuta l’ordinanza che
dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione”.

Circa la portata di tal divieto, le S.U. hanno così statuito:


 qualora venga assunta la decisione da parte del giudice nei confronti del quale è stata formulata la dichiarazione di
ricusazione, tal decisione conserva la sua validità qualora la richiesta venga poi dichiarata inammissibile/infondata
dall’organo competente ex art 40 co.1;

 se, invece, la richiesta di ricusazione viene accolta, il provvedimento emesso in violazione di quanto stabilito ex co.2
art 37 deve ritenersi viziato da nullità assoluta.

Al momento di accoglimento della dichiarazione di astensione/ricusazione si ricollega:

 per un verso, il poter del giudice decidente di disporre la conservazione di efficacia degli atti compiuti dal giudice
astenutosi o ricusato (art 42 co.2),
 per altro verso, un effetto automatico di divieto assoluto di compiere qualsiasi atto del procedimento (art 42 co.1).

Secondo le S.U., se nel provvedimento che accoglie la richiesta di astensione/ricusazione manchi espressa dichiarazione di
conservazione di efficacia, gli atti precedentemente compiuti dal giudice astenutosi/ricusato devono considerarsi inefficaci.

Ex art 43 (“Sostituzione del giudice astenuto o ricusato”), alla pronuncia di accoglimento consegue la sostituzione del giudice
astenutosi/ricusato

 “con altro magistrato dello stesso ufficio designato secondo le leggi di ord.giud.”
 o, se non possibile, l’investitura del “giudice ugualmente competente per materia determinato ex art 11”.

Tutte le ordinanze che si pronunciano sul merito, emesse dal giudice competente a decidere sulla ricusazione, sono
immediatamente eseguibili, in virtù del rinvio all’art 127 operato dal co.3 art 41.

L’art 127 co.8 stabilisce una deroga espressa al principio dell’effetto sospensivo dell’impugnazione (art 588) per tutti i
provvedimenti emessi in camera di consiglio, a meno che il giudice non disponga diversamente.

Invece, per l’ordinanza che sanziona l’inammissibilità della dichiarazione di ricusazione vige una regola diversa;
Il mancato richiamo dell’art 127 in tale ipotesi comporta l’inapplicabilità della deroga al principio dell’effetto sospensivo
dell’impugnazione previsto ex art 588 co.1.

L’art 44 (“Sanzioni in caso di inammissibilità o di rigetto della dichiarazione di ricusazione”) prevede la condanna a pena
pecuniaria come facoltativa (“può essere condannata”).

Soggetto passivo della condanna può essere solo la parte privata che ha proposto la dichiarazione di ricusazione.

È da escludere, inoltre, che la pronuncia ex art 44 abbia una qualsiasi rilevanza ai fini dell’eventuale azione civile o penale
esercitata per i fatti oggetto del giudizio di ricusazione.

12. La rimessione del processo. Capo VIII (Art 45-49)


Il Capo VIII (art 45-49) disciplina la “rimessione del processo”, ossia il suo spostamento da una sede ad un’altra in presenza di
turbative ambientali che possono compromettere il suo regolar svolgimento.

Anche qui, si vuole salvaguardare l’imparzialità di chi giudica; ma non è messa in discussione l’imparzialità del magistrato
(persona fisica), ma quella di organo giudicante nel suo complesso.

Sennonché, la rimessione interferisce col principio del giudice naturale ex art 25 co.1 Cost; per tal motivo devono essere
tassativamente disciplinate dal legislatore le situazioni idonee a determinare lo spostamento del processo.
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A suo tempo, il legislatore delegato ha disciplinato i casi di rimessione in termini tali da circoscrivere rigorosamente la
discrezionalità dell’organo (corte di cassazione) cui è demandata la decisione circa l’eventuale sottrazione del processo dal
giudice naturale.

In base all’originaria versione dell’art 45 (ossia, precedente al 2002), la translatio iudii era consentita quando la sicurezza o
l’incolumità pubblica, o “la libertà di determinazione delle persone” partecipanti al processo, risultassero pregiudicate in
conseguenza di “gravi situazioni locali” non altrimenti eliminabili;

dunque, si ammetteva lo spostamento del processo “per gravi e oggettivi motivi di ordine pubblico o per legittimo
sospetto”.

In un secondo momento avrebbe raccolto consensi la diversa tesi secondo cui, nel formulare l’art 45, il legislatore delegato
avrebbe indebitamente escluso dai “casi di rimessione” l’ipotesi del “legittimo sospetto”, determinando una lacuna da colmare
per garantire una più completa copertura del principio dell’imparzialità del giudice.

Questa impostazione si è tradotta in una proposta di legge, sfociata nella l.248/2002 (c.d. Legge Cirami) che ha avuto come
obiettivo quello di ampliare i casi di rimessione ex art 45 sostituendolo.

ART 45  Casi di rimessione


“In ogni stato e grado del processo di merito, quando gravi situazioni locali, da turbare lo svolgimento del processo e non
altrimenti eliminabili:
- pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo
- o pregiudicano la sicurezza e l’incolumità pubblica,
- o determinano motivi di legittimo sospetto,

la Corte di cassazione, su richiesta motivata:


- del procuratore generale presso la Corte di appello
- o del P.M. presso il giudice che procede
- o dell’imputato,

rimette il processo ad altro giudice, designato ex art 11.” (co.1)

La nuova formulazione dell’art 45, ad opera della Legge Cirami, prevede la reintroduzione, tra i casi di remissione del processo,
del c.d. legittimo sospetto.

Non è, pertanto, legittimata la parte civile, poiché potrà neutralizzare le implicazioni negative dell’anomala situazione
ambientale esercitando l’azione riparatoria in sede civile.

ART 46  Richiesta di rimessione.


“La richiesta è depositata, con i documenti che vi si riferiscono, nella cancelleria del giudice ed è notificata entro 7 giorni a
cura del richiedente alle altre parti.” (co.1)

“La richiesta dell’imputato è sottoscritta da lui personalmente o da un suo procuratore speciale.” (co.2)

“Il giudice trasmette immediatamente alla Corte di cassazione la richiesta con i documenti allegati e con eventuali
osservazioni.” (co.3)

“L’inosservanza delle forme e dei termini previsti ex co.1 e 2 è causa di inammissibilità della richiesta.” (co.4)

La Legge Cirami è risultata innovativa anche nella parte concernente la regolamentazione degli effetti della richiesta di
rimessione.

A tal proposito, prima del 2002, sulla base della vecchia formulazione dell’art 45, la richiesta di remissione non produceva
effetto sospensivo.
Ma era la Cassazione che poteva disporre la sospensione del processo una volta valutata la gravità della situazione locale e il
livello di rischio dell’inquinamento processuale.

Infatti, nell’originario art 47 (“Effetti della richiesta”) figurava il divieto, per il iudex suspectus, di emettere sentenza fino alla
infruttuosa conclusione del procedimento incidentale; sennonché anche tal sbarramento era venuto meno in seguito ad una
pronuncia di incostituzionalità di tal divieto.
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In base all’odierna formulazione dell’art 47:

 è lo stesso giudice procedente che, dopo la presentazione della richiesta, può disporre con ordinanza (inoppugnabile)
la sospensione (facoltativa) del processo finché non sia intervenuta l’ordinanza di inammissibilità/rigetto.

Analogamente, dopo che sia stata investita della richiesta, la Corte di cassazione può disporre la sospensione (facoltativa).

Quanto ai presupposti delle due ipotesi di sospensione facoltativa, si deve ritenere che, nel silenzio del legislatore, sia
ancorata ai requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Qualora l’iter del processo non sia stato interrotto, è prevista la sua sospensione obbligatoria, rispetto alla quale funge da
necessaria premessa la comunicazione che è avvenuta l’assegnazione della richiesta ad una delle altre sezioni della corte o
alle sezioni unite (art 48 co.3 “Decisione”).

In seguito a tal comunicazione, il giudice procedente deve sospendere il processo prima dello svolgimento:
 delle conclusioni (in sede di udienza preliminare),
 o della discussione (in sede dibattimentale),

e resta preclusa la pronuncia sia del decreto che dispone il giudizio, sia della sentenza.

Anche in tal caso, la sospensione dura finché non venga pronunciata l’ordinanza della corte che dichiari inammissibile o
rigetti la richiesta (art 47 co.2 e 3).

Tenendo conto della sentenza costituzionale n.353/1996, è stata dettata la regola che esclude la sospensione quando la
richiesta non è fondata su elementi nuovi rispetto a quelli di una precedente richiesta rigettata o dichiarata inammissibile (art
47 co.2).

Inoltre, sono stati previsti alcuni correttivi per limitare gli effetti nocivi dovuti alla stasi del processo:

 ex co.4 art 47  finché dura la sospensione, restano sospesi i termini della prescrizione del reato, e se la richiesta di
rimessione proviene dall’imputato, anche i termini di durata massima della custodia cautela ex art 303 co.1.

Tali termini riprendono il loro corso:


 dal giorno in cui la corte dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di rimessione,
 o, in caso di accoglimento, dal giorno in cui il processo perviene al medesimo stato in cui si trovava al momento in cui
è intervenuta la sospensione.

Ad ogni modo, da ricordare, è anche la previsione (presente dall’originaria versione) ex art 47 co.3, che consente, nonostante
la sospensione, il compimento di atti urgenti.

La decisione della Corte di cassazione, che procede in camera di consiglio ex art 127, assume la forma dell’ordinanza, che potrà
essere  di inammissibilità – di rigetto – di accoglimento.

Se di accoglimento, l’ordinanza (contente l’indicazione del nuovo giudice, da individuare ex art 11), è immediatamente
comunicata:

 al giudice designato
 e al giudice originariamente competente  il quale è tenuto a trasmettere al primo (giudice designato) gli atti del
processo e a disporre che l’ordinanza della corte venga comunicata al P.M. e notificata alle parti private (art 48 co.4).

Quando, invece, rigetta o dichiara inammissibile la richiesta di rimessione, la Corte di cassazione può condannare l’imputato
al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende.

A tal proposito, la riforma Orlando (l.103/2017) ha introdotto un paio di modifiche per disincentivare la presentazione di
richieste azzardate, prevedendo:
 il possibile aumento (sino al doppio) della somma che l’imputato è condannato a versare;
 e stabilendo che gli importi attualmente previsti (1k-5k) vengono adeguati ogni 2 anni.

Quanto alla conservazione degli atti del processo oggetto di rimessione:

 viene abbandonata la regola originaria  che affidava al giudice subentrante il compito di decidere se e in che misura gli
atti compiuti rimanessero efficaci.
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Vale, ora, la regola (grazie alla nuova formulazione art 48 co.5) secondo cui:

 il giudice designato procede alla rinnovazione degli atti quando una delle parti ne faccia richiesta.

Con 2 sole eccezioni, concernenti:


 da un lato, l’ipotesi che si tratti di atti “di cui è divenuta impossibile la ripetizione”,
 dall’altro, l’eventualità che si versi in una delle due situazioni contemplate dal co.1 e co.1bis art 190bis.

Lo stesso art 48 co.5, chiarisce, inoltre, che nel processo davanti al giudice designato dalla Corte di cassazione le parti
esercitano gli stessi diritti e facoltà ad esse riservati davanti al primo.

L’art 49 regola l’ipotesi di “nuova richiesta di rimessione”, consentendo l’iterazione:

 sia nel caso in cui la richiesta sia diretta ad ottenere un ulteriore spostamento del processo,

In tal caso può essere richiesto quando:


 nella sede designata si ripresenta una situazione riconducibile al disposto dell’art 45,
 o quando, venute meno nella sede originaria le ragioni che avevano indotto a sollecitare l’intervento della corte di
cassazione, si creano le premesse per una revoca del provvedimento di rimessione.

 sia nel caso in cui essa miri ad ottenere per la prima volta il relativo provvedimento, già negato precedentemente.

In tal caso, bisogna distinguere:


 in presenza di un’ordinanza che abbia rigettato la precedente richiesta o abbia dichiarato l’inammissibilità della
stessa per manifesta infondatezza, l’ulteriore richiesta (per non essere dichiarata inammissibile), deve essere
fondata su “elementi nuovi” (art 49 co.2)

va segnalata, inoltre, l’inedita previsione (evidentemente per scoraggiare eventuali manovre dilatorie da parte
dell’imputato) che sancisce l’inammissibilità della richiesta per manifesta infondatezza anche qualora la stessa, priva di
elementi di novità, provenga da un altro imputato del medesimo processo o di un processo da esso separato (co.3 art 49).

Invece, la richiesta dichiarata inammissibile per motivi diversi dalla manifesta infondatezza può essere sempre riproposta
(co. 4 art 49).

13. La posizione di parte del P.M. e la sua funzione tipica. TITOLO II (Art 50-54quater)
Il P.M., pur rivestendo la qualità di parte nel processo (anzi, fin dalla fase delle indagini preliminari) costituisce un organo
dell’apparato statale incaricato di:

 Vegliare “all’osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia”,
 Nonché di iniziare ed esercitare l’azione penale.

Ex art 69 ord.giud. il P.M. esercita, sotto la vigilanza del Ministro della giustizia, le funzioni che la legge gli attribuisce.

Il P.M. non è solo affrancato dal potere esecutivo, ma gode di una posizione di indipendenza (esterna) rispetto a tutti gli altri
poteri costituzionali.

La disciplina del P.M. è regolata nel Titolo II (art 50-54quater).

 È il soggetto necessario nella fase investigativa;


 È parte essenziale nel processo.

Nella fase preliminare (prima fase, pre-processuale), il P.M. è il dominus del procedimento;

è responsabile delle indagini necessarie per l’esercizio, o meno, dell’azione penale (art 326), e quindi preliminare ad essa e si
avvale della P.G. che collabora con lui.

Il P.M. risponde del suo operato solo di fronte alla legge, godendo delle stesse garanzie attribuite al giudice circa il
reclutamento, l’inamovibilità della sede e la soggezione al potere di controllo del Consiglio Superiore della Magistratura.

Un peso assorbente riveste il canone dell’obbligatorietà dell’azione penale (art 112 Cost).
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L’inserimento nel Titolo II dell’art 50 (“Azione penale”), non compromette l’intento legislativo autonomistico.

Il legislatore ha voluto subito segnalare la funzione tipica del P.M., che non può essere affidata al giudice senza intaccarne il
ruolo di organo tendenzialmente passivo reclamato dal principio di imparzialità (art 101 co.2 Cost).

Nella parte dinamica del codice, agli art 326 e 358 saranno poi individuate le funzioni espletate dal P.M. nel corso delle
indagini preliminari, anteriormente all’esercizio dell’azione penale, così da ribadire il solco netto tracciato tra azione e
giurisdizione.

ART 50  Azione penale.


“Il P.M. esercita l’azione penale [112 Cost] quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione.” (co.1).

“Quando non è necessaria la querela [336-340], la richiesta [344], l’istanza [341] o l’autorizzazione a procedere [343],
l’azione penale è esercitata d’ufficio.” (co.2)

“L’esercizio dell’azione penale può essere sospeso o interrotto, solo nei casi espressamente previsti dalla legge [3,47,71,344].”
(co.3)

Nel sistema codicistico non trova spazio:

 né l’azione penale privata  conferita cioè alla persona offesa dal reato;
 né l’azione penale popolare  attribuita cioè al quisque de populo (soggetto non suscettibile di qualificazione).

L’art 231 disp.att. sancisce, inoltre, il monopolio dell’azione penale, avallando quanto detto prima.

Nel co.1 viene enunciato il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale ex art 112 Cost; il suo unico limite è la richiesta di
archiviazione.

La lettura coordinata del co.1 con l’art 405 (“Inizio dell’azione penale: forma e termini”), che elenca gli atti tipici di esercizio
dell’azione penale, contenenti tutti la formulazione dell’imputazione, permette di individuare il momento di inizio del
processo penale in senso proprio, riservando la fase delle indagini preliminari al mero procedimento.

Inoltre, la lettura coordinata con l’art 60 (“Assunzione della qualità di imputato”) chiarisce come l’assunzione della qualità di
imputato discenda unicamente da un atto (formulazione dell’imputazione) che segna l’avvenuto esercizio dell’azione penale.

Il co.2 art 50 ribadisce il principio dell’officialità dell’azione penale, delineando quando è possibile esercitarla d’ufficio.

Sennonché, l’elenco fornito nel co.2 non è certo esaustivo; suona più adeguata la formula aperta adottata ex art 345 co.2;

vengono, dunque, generalmente ritenute condizioni di procedibilità, ad esempio:


- la presenza del reo nel territorio dello Stato per i delitti comuni del cittadino e dello straniero commessi all’estero,
- o l’assenza di una sentenza o di un decreto penale irrevocabili pronunciati nei confronti della medesima persona per il
medesimo fatto (art 649).

Trattandosi di fatti o atti giuridici in mancanza dei quali il P.M. non può agire validamente, le condizioni di procedibilità sono
suscettibili di collidere col principio dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale.

Per tal ragione è necessario che tali condizioni siano poste a tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, così da prevalere, in
sede di bilanciamento, con il principio proclamato nell’art 112 Cost.

Non trova posto nel codice, invece, il principio di pubblicità dell’azione penale perché la sua enunciazione è parsa superflua.

Il co.3 art 50 esprime il tradizionale principio della irretrattabilità dell’azione penale;

in pratica, l’oggetto del processo penale è indisponibile ed esso si può chiudere solo con l’emissione di una sentenza o di un atto
equivalente (come il decreto penale di condanna).

La l.67/2014 ha immesso nel sistema altri due casi di sospensione del processo riconducibili ad esigenze di economia
processuale.

a) Il primo si determina quando non sia certa o non sia presumibile la conoscenza del processo da parte dell’imputato.
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In tal caso, il giudice, all’udienza preliminare o a quella dibattimentale, dispone con ordinanza la sospensione del processo
nei confronti dell’imputato assente (art 420quater co.2).

b) Il secondo caso consegue all’applicazione dell’istituto della messa alla prova per i reati puniti con pena pecuniaria o con
pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni (464quinques).

Qui, l’esito positivo di questa sorta di probation genera l’estinzione del reato.

Il sistema conosce anche cause di sospensione del procedimento inteso come fase delle indagini preliminare:

 Accanto a quella facoltativa (art 41 co.2)

 ed a quella obbligatoria  dopo l’accertata incapacità della persona sottoposta alle indagini di partecipare
coscientemente nel procedimento, sempre che l’infermità di mente non presenti carattere irreversibile (art 71 co.5
“Sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato”),

 si è poi prevista la sospensione (obbligatoria, e per così dire automatica)  conseguente all’insorgere di indizi di reato di
false informazioni rese al P.M. o di false dichiarazioni al difensore.

14 – 15 – 16 – 17 La disciplina del P.M. (preferibile trattarla insieme).


Ex art 51 co.1 lett.a (“Uffici del P.M. Attribuzioni del procuratore della Repubblica distrettuale”) le funzioni di P.M. nelle indagini
preliminari e nei procedimenti di primo grado sono esercitate dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale.

Ex d.lgs.116/2017, il capo dell’ufficio coordina l’istituito ufficio di collaborazione del procuratore della Repubblica,
distribuendo il lavoro tra i vice procuratori (c.d. v.p.o.) vigilando sulla loro attività e sorvegliando l’andamento dei servizi di
segreteria ed ausiliari.

Viene conferito al v.p.o. il compito di coadiuvare il magistrato togato compiendo gli atti preparatori utili per la funzione
giudiziaria.

L’ufficio del P.M. è suddiviso in una pluralità di uffici, ciascuno dei quali svolge le proprie funzioni davanti all’organo giudiziario
presso il quale è costituito.

 Per i procedimenti di primo grado  innanzi al giudice ordinario le funzioni di P.M. sono esercitate dal Procuratore della
Repubblica presso il tribunale (presso il tribunale per i minorenni vi è un apposito ufficio del P.M.);

 in secondo grado  le funzioni di P.M. sono esercitate dal Procuratore generale presso la corte di appello;

 per i procedimenti davanti la corte di cassazione  le funzioni di P.M. sono esercitate dal Procuratore generale presso la
corte di cassazione.

La trattazione in primo grado dei procedimenti relativi ai delitti ex co.3bis, 3quater e 3quinques, è di competenza del
Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto della Corte di appello nel cui ambito ha sede il
giudice competente, il cui titolare è il Procuratore distrettuale.

All’interno di questo ufficio, è costituita la DDA (Direzione distrettuale antimafia).

Astensione.

L’astensione (e la conseguente necessità di sostituire il magistrato designato con un altro) trova nell’art 52 la sua disciplina.

Non è obbligatoria sotto il profilo processuale, mentre potrebbe essere doverosa sotto quello disciplinare.

Tale istituto è volto a garantire l’obiettività della funzione svolta dal P.M. anche se, la qualità di parte ricoperta dallo stesso
nel processo rende costui soggetto mai ricusabile dalla controparte-imputato appartenente all’ufficio ugualmente
competente determinato ex art 11.

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Ex co.1 art 52, il magistrato del P.M. ha la facoltà di astenersi quando esistono “gravi ragioni di convenienza”.

L’astensione presuppone una dichiarazione motivata (dichiarazione motivata di astensione).

Ex co.2 e 3, la dichiarazione è decisa dal capo dell’ufficio o dal procuratore generale presso la corte d’appello o presso la corte di
cassazione, se riguarda i capi dei rispettivi uffici.

Ex co.4, la sostituzione è effettuata con un magistrato appartenente al medesimo ufficio, ma la regola è derogabile quando si
tratti del capo dell’ufficio.

In tal caso, può essere designato alla sostituzione un altro magistrato del P.M. appartenente ad un diverso ufficio,
egualmente legittimato per materia, ma individuato secondo i parametri indicati ex art 11.

Stando la sua qualità di parte, il P.M. non può essere ricusato, ma il codice ha evitato l’impiego di criteri rigidi che potessero
paralizzare lo svolgimento delle indagini preliminari.

ART 53  Autonomia del P.M. nell’udienza. Casi di sostituzione.


“Nell’udienza, il magistrato del P.M. esercita le sue funzioni con piena autonomia.” (co.1)

“Il capo dell’ufficio provvede alla sostituzione del magistrato nei casi:
- di grave impedimento,
- di rilevanti esigenze di servizio,
- e in quelli previsti ex art 36 co.1 lett.a,b,d,e
negli altri casi il magistrato può essere sostituito solo con il suo consenso.” (co.2)

“Quanto il capo dell’ufficio omette di provvedere alla sostituzione del magistrato nei casi previsti dall’art 36 co.1 lett.a,b,c,e, il
procuratore generale presso la corte di appello designa per l’udienza una magistrato appartenente al suo ufficio.” (co.3)

Funzione nella norma (art 53) è quella di garantire l’integrità del ruolo dell’accusa, ponendola al riparo da eventuali abusi dei
dirigenti degli uffici.

Ciascun ufficio di Procura gode altresì di autonomia esterna, sia pure con qualche temperamento.

Nei riguardi del P.M. (persona fisica) il Procuratore Capo esercita un potere di sorveglianza sul loro operato.

ART 54  Contrasti negativi tra pubblici ministeri (rubrica modificata nel 1991)
“Il P.M., se durante le indagini preliminari ritiene che il reato appartenga alla competenza di un giudice diverso da quello
presso cui egli esercita le funzioni, trasmette immediatamente gli atti all’ufficio del P.M. presso il giudice competente.” (co.1)

“Il P.M. che ha ricevuto gli atti, se ritiene che debba procedere l’ufficio che li ha trasmessi, informa il procuratore generale
presso la corte di appello o, qualora appartenga a un diverso distretto, il procuratore generale presso la corte di cassazione.
Il procuratore generale, esaminati gli atti, determina quale ufficio del P.M. deve procedere e ne dà comunicazione agli uffici
interessati.” (co.2)

“Gli atti di indagine preliminare compiuti prima della trasmissione o della designazione indicati nei co.1 e 2 possono essere
utilizzati nei casi e nei modi previsti dalla legge.” (co.3)

“Le disposizioni dei co.1 e 2 si applicano in ogni altro caso di contrasto negativo tra i pubblici ministeri.” (co.3bis aggiunto nel
1991).

ART 54bis  Contrasti positivi tra uffici del pubblico (articolo introdotto ex d.l.367/1991)
“Quando il P.M. riceve notizia che presso un altro ufficio sono in corso indagini preliminari a carico della stessa persona e per
il medesimo fatto in relazione al quale egli procede, informa senza ritardo il P.M. di questo ufficio, richiedendogli la
trasmissione degli atti ex art 54 co.1” (co.1)

“Il P.M. che ha ricevuto la richiesta, ove non ritenga di aderire, informa il procuratore generale presso la corte di appello o,
qualora appartenga ad un diverso distretto, il procuratore generale presso la corte di cassazione.
Il procuratore generale, assunte le necessarie informazioni, determina con decreto motivato, secondo le regole sulla
competenza del giudice, quale ufficio del P.M. deve procedere e ne dà comunicazione agli uffici interessati.
All’ufficio del P.M. designato sono immediatamente trasmessi gli atti da parte del diverso ufficio.” (co.2)
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“il contrasto si intende risolto quando, prima della designazione prevista dal co.2, uno degli uffici del P.M. provvede alla
trasmissione degli atti ex art 54 co.1.” (co.3)

“Gli atti di indagine preliminare compiuti dai diversi uffici del P.M. sono comunque utilizzabili nei casi e nei modi previsti dalla
legge.” (co.4)

“Le disposizioni dei co.1,2 e 3 si applicano in ogni altro caso di contrasto positivo tra pubblici ministeri.” (co.5)

 Mentre per l’ipotesi del contrasto negativo la disciplina tende ad individuare un P.M. che proceda, così da evitare la stasi
investigativa,
 Nell’ipotesi di contrasto positivo si tende ad evitare la duplicazione di indagini che finiscono per sovrapporsi e magari
ostacolarsi fra loro.

È essenziale, dunque, che si verifichi se si tratti dei medesimi fatti attribuiti alla medesima persona indagata, perché solo in
questo caso vi sarebbe una situazione di contrasto (tesi di Molinari e Carcano).

Ricevuta la richiesta di trasmissione degli atti da parte di altro P.M.:


 viene ufficializzato il contrasto (con richiesta di intervento del procuratore generale presso il distretto o presso la
cassazione);
 o si procede ad un collegamento di indagini ex art 371.

La decisione della Procura generale serve a designare l’ufficio legittimato alla prosecuzione delle indagini allo stato degli atti,
non potendosi escludere che gli ulteriori accertamenti possano indurre a conclusione diversa.

Si ritiene che gli eventuali atti compiuti dal P.M. non designato dalla procura generale debbano considerarsi inutilizzabili (tesi di
Bonetto e Morselli).

ART 54ter  Contrasti tra pubblici ministeri in materia di criminalità organizzata (introdotto nel 1991)
“Quando il contrasto previsto ex art 54 e 54bis riguarda taluno dei reati indicati nell’art 51 co.3bis e 3quater:
 se la decisione spetta al procuratore generale presso la corte di cassazione, questi provvede sentito il procuratore
nazionale antimafia e antiterrorismo;
 se spetta al procuratore generale presso la corte di appello, questi informa il procuratore nazione antimafia e
antiterrorismo dei provvedimenti adottati.” (co.1 modificato nel 2015)

La possibilità di porre rimedio alla duplicazione di indagini per il medesimo fatto nei confronti dello stesso imputato trova l’unico
possibile rimedio, secondo il vigente sistema processuale, negli istituti ex art 54, 54bis e 54ter, che disciplinano gli eventuali
contrasti tra pubblici ministeri nella fase procedimentale delle indagini preliminari e si rilevano, dunque, del tutto estranei alla
procedura giurisdizionale dei conflitti.

Il co.1, come modificato da ultimo (ex d.l.7/2015 convertito in l.43/2015 “Misure urgenti per il contrasto al terrorismo”),
concernente i contrasti tra pubblici ministeri in materia di criminalità organizzata:

 sostituisce la denominazione del procuratore nazionale antimafia con quella del Procuratore nazionale antimafia e
antiterrorismo
 ed estende l’ambito oggettivo anche ai contrasti di competenza relativi ai reati di terrorismo.

ART 54quater  Richiesta di trasmissione degli atti a un diverso pubblico ministero (inserito nel 1999)
“La persona sottoposta alle indagini che abbia conoscenza del procedimento ex art 335 o ex art 369 e la persona offesa del
reato che abbia conoscenza del procedimento ex art 369 (“Informazione di garanzia”), nonché i rispettivi difensori, se
ritengono che il reato appartenga alla competenza di un giudice diverso da quello presso il quale il P.M. che procede esercita
le sue funzioni, possono chiedere la trasmissione degli atti al P.M. presso il giudice competente enunciando, a pena di
inammissibilità, le ragioni a sostegno della indicazione del diverso giudice ritenuto competente.” (co.1)

“La richiesta deve essere depositata nella segreteria del pubblico ministero che procede con l’indicazione del giudice ritenuto
competente.” (co.2)

“Il P.M. decide entro 10 giorni dalla presentazione della richiesta e,


 ove accolga, trasmette gli atti del procedimento all’ufficio del P.M. presso il giudice competente, dandone
comunicazione al richiedente.

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Se non provvede in tal senso, il richiedente, entro i successivi 10 giorni, può chiedere di determinare quale ufficio del P.M.
deve procedere:
 al procuratore generale presso la corte d’appello
 o, qualora il giudice ritenuto competente appartenga ad un diverso distretto, al procuratore generale presso la Corte
di cassazione.
Il Procuratore generale, assunte le necessarie informazioni, provvede alla determinazione, entro 20 giorni dal deposito della
richiesta, con decreto motivato dandone comunicazione alle parti ed agli uffici interessati.
Quando la richiesta riguarda taluno dei reati indicati nell’art 51 co.3bis e co.3quater, il procuratore generale provvede
osservando le disposizioni ex art 54ter.” (co.3)

“La richiesta non può essere riproposta a pena di inammissibilità salvo che sia basata su fatti nuovi e diversi.” (co.4)

“Gli atti di indagine preliminare compiuti prima della trasmissione degli atti o della comunicazione del decreto ex co.3
possono essere utilizzati nei casi e nei modi previsti dalla legge.” (co.5)

La norma consente all’indagato ed alla persona offesa di sollecitare un controllo della “competenza” ad indagare del P.M. che
procede, senza che sia necessario che sia sollevato un “contrasto” da parte di altro P.M. (art 54-54ter).

Per riassumere meglio,


l’attività del P.M. è riconducibile all’esercizio di 4 funzioni:
 inquirente  attività investigativa, svolta anche avvalendosi degli organi di P.G. (di cui il P.M. ha la direzione),
preliminare all’eventuale fase del processo e diretta a ricostruire le modalità del fatto-reato e ad individuarne il
colpevole;

 di incriminazione  promuovimento dell’azione penale, attraverso la richiesta ad un giudice di pronunciarsi, in via


preliminare o con piena cognizione, in ordine ad un reato ascritto ad un imputato (art 405).

 Requirente ed esecutiva  presentazione di richieste al giudice, già investito dell’azione penale, ed è finalizzata a
fare proseguire il processo verso la sentenza irrevocabile.

Le richieste del P.M. al giudice hanno contenuto:


 Procedurale  se sono meramente propulsive dell’iter procedimentale (es. art 603 “Rinnovazione istruzione
dibattimentale”);

 O di merito  se attengono direttamente alla definizione del processo nel merito della res judicanda e, quindi, alla
condanna o al proscioglimento (es. art 523 “Svolgimento della discussione”).

Per arginare la crescente diffusione dell’attività criminale organizzata, mafiosa e camorristica, e da ultimo, terroristica, il
legislatore ha ritenuto opportuno concentrare le indagini relative a tali reati:

 presso la Direzione Distrettuale Antimafia (D.D.A.)  organo deputato al coordinamento, in ambito locale (Distretto
di Corte di appello).

Il collegamento ed il coordinamento di tutte le D.D.A. è affidato:

 ad una Direzione Nazionale Antimafia (D.N.A.) (ora anche Antiterrorismo dal 2015)  organismo istituito nell’ambito
della Procura generale presso la Corte di cassazione, al cui vertice è preposto un Procuratore Nazionale Antimafia e
Antiterrorismo nominato direttamente dal Consiglio Superiore della Magistratura.

La D.N.A. si avvale:

 della D.I.A. (Direzione Investigativa Antimafia)  è un servizio di P.G., strutturato sull’intero territorio nazionale;
 e delle forze di polizia.

Le funzioni del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo sono estese anche ai procedimenti di prevenzione
antimafia avviati a seguito della proposta avanzata dai procuratori distrettuali.

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18. Le funzioni ed i soggetti di polizia giudiziaria. TITOLO III (Art 55-59)


Il Titolo III (art 55-59) è dedicato alla Polizia Giudiziaria.

La P.G. è solo soggetto del procedimento penale, cioè è titolare di diritti e doveri nella fase preliminare, ma non anche parte
processuale, cioè di soggetto attivo o passivo dell’azione penale.

La scelta si giustifica alla luce del carattere unitario dell’attività investigativa, che distribuita tra P.M. e P.G., vede a seconda
protagonista nel momento di inizio delle indagini preliminari.

L’intervento successivo alla commissione del reato è ciò che caratterizza la funzione demandata alla P.G. rispetto a quella
demandata alla polizia amministrativa, comprensiva anche della polizia di sicurezza, che svolge il compito di impedire la
commissione di illeciti penali o amministrativi.

Le “attività necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale” (art 326) sono adempiute sotto la direzione
del P.M. (art 327, così come le funzioni di P.G. “sono svolte alle dipendenze e sotto la direzione dell’A.G.”.

L’art 55 disciplina le “funzioni della polizia giudiziaria”. Nel co.1 delinea le attività che la polizia svolge anche di propria
iniziativa:

 Attività informativa  si sostanzia nell’acquisire la notizia di reato, secondo le forme dell’apprensione diretta o della
ricezione (art 330) e riferirla al P.M. (art 347);

 Attività investigativa  consistente nel ricercare l’autore del reato, mediante il compimento di atti tipici e atipici (art
348 co.2);

 Attività assicurativa  quale ideale perfezionamento della precedente, è riferita alle fonti di prova, dovendo svolgere
le immediate indagini per accertare i fatti ed assicurare le fonti di prova.

Il co.1 menziona anche:


 L’obbligo di raccogliere quanto possa servire per l’applicazione della legge penale,
 E l’obbligo di impedire che i reati siano portati a conseguenze ulteriori.

Il co.2 dispone che la P.G. “svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall’Autorità Giudiziaria (A.G.)”.

Per quanto riguarda il P.M., sono da ricordare:

- Le direttive impartite ex art 348 co.3 (c.d. attività guidata),


- E gli atti delegabili ex art 370 (“Atti diretti e atti delegati”),
- Le notificazioni da eseguire richieste dal P.M. con riferimento agli atti di indagine o ai provvedimenti “che la stessa P.G.
è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire”,
- Documentare, con verbale/annotazioni, gli atti del titolare delle indagini.

Per quanto riguarda il giudice, va rammentato:

- Il potere coercitivo ex art 131,


- La richiesta di intervento della P.G. per eseguire provvedimenti ordinatori quali:
- L’accompagnamento coattivo dell’imputato o di altre persone,
- Misure cautelari personali o reali,
- Provvedimenti che dispongono mezzi di ricerca della prova come le ispezioni, perquisizioni e
sequestri.
- nei procedimenti con detenuti e nei procedimenti davanti al tribunale del riesame il giudice può disporre, in caso di
urgenza, che le notificazioni siano eseguite dalla Polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti.

Gli atti di indagine della P.G., in quanto formati senza contraddittorio, sono
 Utilizzabili  per adottare decisioni nel corso delle indagini preliminari, nell’udienza preliminare e nei riti alternativi;
 Inutilizzabili, invece  in sede di dibattimento.

La P.G., come pure il P.M., acquisiscono fonti di prova, ma non formano la prova (art 514 “Letture vietate”).

L’art 57 (“Ufficiali e agenti di P.G.”) fornisce l’elenco di chi riveste la qualifica di ufficiale/agente di P.G.
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La distinzione rileva sul piano organizzativo e in vista della titolarità a compiere una serie di atti riservati solo agli ufficiali:

- Ricezione della denuncia e della querela,


- Remissione della querela,
- Assunzione di informazioni o di notizie o di indicazioni dalla persona sottoposta alle indagini,
- Perquisizioni di propria iniziativa o su delega,
- Acquisizione di plichi o di corrispondenza,
- Accertamenti urgenti e sequestri,
- Redazione dei verbali e delle annotazioni degli atti del P.M.,
- Immediata liberazione dell’arrestato/fermato,
- Delega di funzioni di P.M. nelle udienze dibattimentali relative ai procedimenti dinanzi al tribunale in composizione
monocratica.

Nel co.1 sono delineati gli ufficiali che svolgono funzioni di P.G. in via generale (ossia per tutti i reati).

Per quanto concerne il corpo forestale dello Stato (ricompreso nell’elenco), tocca evidenziare che, in virtù della Legge Madia
(l.124/2015), il Governo era stato investito della delega annuale di procedere ad una sua riorganizzazione con eventuale
assorbimento in altra forza di polizia (nell’arma dei carabinieri),
fatte salve le competenze in materia di lotta contro gli incendi boschivi e di spegnimento con mezzi aerei degli stessi da
attribuire al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Nel 2016 si è provveduto all’assorbimento nell’arma dei carabinieri, con la conseguente riorganizzazione della stessa.

Tra gli agenti che svolgono funzioni di P.G. in via generale vanno annoverati:

- Il personale della polizia di Stato;


- I carabinieri;
- Le guardie di finanza;
- Gli agenti del corpo di polizia penitenziaria;
- Le guardie forestali.

Per le guardie delle province e dei comuni si è equiparata la disciplina di inquadramento della polizia municipale.

Tali soggetti rivestono la qualifica di agenti di P.G. in via generale ma nel solo “ambito territoriale dell’ente di appartenenza”
e limitatamente al tempo nel quale “sono in servizio”.

In una posizione del tutto particolare si situano coloro che fanno parte della Direzione Investigativa Antimafia (D.I.A.), istituito
nell’ambito del dipartimento della pubblica sicurezza nel 1991.

Il relativo personale è rivestito, oltre che delle funzioni di investigazione preventiva attinente alla criminalità organizzata, anche
del compito di “effettuare indagini di P.G. relative a delitti di associazione di tipo mafioso o ricollegabili all’associazione
medesima”.

19. L’organizzazione della P.G. e la sua dipendenza funzionale dall’A.G.


Attribuendo compiti di P.G. a funzionari appartenenti alla pubblica amministrazione, si presenta l’inconveniente di consentire ad
organi estranei all’attività giudiziaria di condizionare lo svolgimento dei compiti giudiziari.

Per non compromettere sia l’indipendenza esterna dell’ordine giudiziario, sia la stessa garanzia di eguaglianza di fronte alla
legge, che costituisce il fondamento del principio di obbligatorietà dell’azione penale, la Corte costituzionale ha ritenuto (in
relazione all’art 109 Cost) che l’istituzione di un corpo di P.G. alle esclusive dipendenze della magistratura, non discende dal
dettato della Costituzione, per cui occorre distinguere la dipendenza funzionale dell’A.G. dalla dipendenza burocratica della
pubblica amministrazione.

Sui suggerimenti della sent.cost.122/1971, il codice ha rafforzato più la dipendenza funzionale dall’A.G., specie dal P.M., che
quella gerarchica, senza mai troncare del tutto la relazione burocratica che lega la P.G. all’esecutivo.

Benché tutte le funzioni di P.G. siano sempre svolte alle dipendenze e sotto la direzione dell’A.G., il legame che si instaura con
la medesima è variabile perché costruito in relazione ai diversi apparati amministrativi.
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L’art 56 nel disciplinare “servizi e sezioni di P.G:” individua una triplice struttura.

ART 56  Servizi e sezioni di polizia giudiziaria


“Le funzioni di P.G. sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell’A.G.:
a) dai servizi di P.G. previsti dalla legge;
b) dalle sezioni di P.G. istituite presso ogni procura della Repubblica e composte con personale dei servizi di P.G.;
c) dagli ufficiali e agenti di P.G. appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una
notizia di reato.” (co.1)

a) La prima concerne i servizi di P.G. previsti dalla legge, con implicito richiamo alla l.121/1981, che prevede l’istituzione e
l’organizzazione di simili unità da parte del dipartimento di pubblica sicurezza.

Nel 1991, sono state imposte alle amministrazioni interessate di costituire:

- servizi centrali ed interprovinciali (es. Ris, Ros);


- servizi interforze
- unità antiterrorismo.

Fanno parte dei servizi, tutti gli uffici e le unità cui sono affidate le funzioni di P.G.

b) In rapporto alla seconda struttura (cioè alle sezioni di P.G.), si coglie il grado massimo di dipendenza organizzativa e
funzionale dell’A.G.

Sono istituite unicamente presso ogni procura della Repubblica per garantire uno stretto rapporto con l’organo che dirige le
indagini preliminari.

Le sezioni sono composte da ufficiali ed agenti di P.G. appartenenti alla Polizia di Stato, all’arma dei carabinieri ed alla
guardia di finanza, nonché, per il momento, al corpo forestale dello Stato

c) Al grado minimo di dipendenza organizzativa e funzionale sono posti (quale terza struttura) i restanti ufficiali ed agenti di
P.G. tenuti per legge a compiere indagini a seguito di una notizia di reato.

Il profilo della dipendenza è regolato ex art 58 (“Disponibilità della P.G.”) con riguardo al rapporto che intercorre tra l’A.G. e gli
organi di P.G.

ART 58  Disponibilità della polizia giudiziaria.


“Ogni procura della Repubblica dispone della rispettiva sezione [56];
la procura generale presso la corte di appello dispone di tutte le sezioni istituite nel distretto.” (co.1)

“le attività di P.G. per i giudici del distretto sono svolte dalla sezione istituita presso la corrispondente procura della
Repubblica.” (co.2)

“L’A.G. si avvale direttamente del personale delle sezioni ex co.1 e 2 e può anche avvalersi di ogni servizio o altro organo di
P.G.” (co.3)

Le attività di P.G. per i giudici del distretto, compreso il G.I.P., sono svolte dalle sezioni istituite presso le corrispondenti procure
della Repubblica; qui la disponibilità non è immediata (come disposta nel co.2).

20. I rapporti di subordinazione.


La convinzione che la dipendenza funzionale della P.G. dall’A.G. risulterebbe priva di una qualche effettività se non fosse
accompagnata da forme di dipendenza organizzativa ha trovato una propria rilevanza nella direzione attuativa dell’art 109 Cost.

Benché gli ufficiali e gli agenti di P.G. restino sempre subordinati, in via di principio, agli enti amministrativi di appartenenza,
l’autorità giudiziaria risulta anch’essa investita di una serie di poteri di natura tipicamente gerarchica.

L’art 59 costruisce il rapporto di subordinazione, anche qui con riguardo alla tipologia dell’organizzazione della P.G.

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ART 59  Subordinazione della Polizia Giudiziaria


“Le sezioni di P.G. [56] dipendono dai magistrati che dirigono gli uffici presso i quali sono istituite.” (co.1)

“L’ufficiale preposto ai servizi di P.G. è responsabile verso il procuratore della Repubblica presso il tribunale dove ha sede il
servizio dell’attività di P.G. svolta da lui stesso e dal personale dipendente.” (co.2)

“Gli ufficiali e gli agenti di P.G. sono tenuti a eseguire i compiti a essi affidati inerenti alle funzioni ex art 55 co.1.
Gli appartenenti alle sezioni non possono essere distolti dall’attività di P.G. se non per disposizione del magistrato dal quale
dipendono ex co.1.” (co.3)

Il verificarsi, negli ultimi anni, di una vera e propria escalation di violenza legata al dilagare del fenomeno terroristico di matrice
internazionale ha reso opportuno che si ottimizzasse l’impiego delle forze di P.G. rispetto all’esercizio delle funzioni principali di
investigazione che le competono ex art 55.

Significativo è l’inciso “..inerenti alle funzioni ex art 55 co.1..” introdotto dal decreto antiterrorismo nel 2005.

Dal punto di vista del potere disciplinare, la relativa responsabilità si pone nei soli confronti del procuratore della Repubblica
presso il tribunale.

Il rapporto di subordinazione è ulteriormente rafforzato dall’obbligo di ottenere il consenso del procuratore della Repubblica
presso il tribunale o del procuratore generale presso la corte di appello per allontanare, anche provvisoriamente, dalla sede od
assegnare ad altri uffici i dirigenti dei servizi e di vincolare anche le promozioni dei dirigenti degli uffici al parere favorevole dei
magistrati predetti.

21. L’imputato e la persona sottoposta alle indagini. TITOLO IV (Art 60-73)


Il Titolo IV (art 60-73) disciplina la figura soggettiva dell’imputato.

L’imputato è il soggetto al quale viene formalmente contestata la commissione di un reato nella richiesta di rinvio a giudizio o
in atti equipollenti.

È opportuno tener distinte:

 la fase delle indagini preliminari (il procedimento)  qui l’attribuzione di un reato (c.d. imputazione preliminare) presenta
un carattere precario connaturato allo stato fluido delle indagini;

 e quella successiva all’esercizio dell’azione penale (processo)  qui, invece, superato il dubbio circa la non infondatezza
della notizia di reato, l’addebito si cristallizza nella formulazione dell’imputazione, che si risolve nella richiesta
dell’indefettibile accertamento giurisdizionale.

Facendo coincidere l’assunzione della qualità di imputato con l’esercizio dell’azione penale, ex art 405 (sicché senza
imputato non c’è processo), l’art 60 (“Assunzione della qualità di imputato”) enumera gli atti tipici dai quali scaturisce tale
assunzione.

Alcuni atti si configurano come domande dell’organo dell’accusa, come:

- le richieste di rinvio a giudizio, di giudizio immediato e di decreto penale di condanna.

Altri, sono il prodotto di un incontro di volontà tra le parti, come:

- la richiesta di applicazione della pena formulata


- o il consenso prestato dal P.M. nel corso delle indagini preliminari.

Altri assumono la veste di atti di impulso:

- tali il decreto di citazione diretta nel giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica emesso dal P.M.
- o, nel giudizio direttissimo, la contestazione orale dell’imputazione in dibattimento
- o il decreto di citazione a giudizio se l’imputato è libero;
- la contestazione del reato connesso o del fatto nuovo nell’udienza preliminare o nel dibattimento,
- formulazione coatta dell’imputazione quando la richiesta di archiviazione non sia accolta dal G.I.P.

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ART 60  Assunzione della qualità di imputato


“Assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio
immediato, di decreto penale di condanna, di applicazione della pena ex art 447 co.1, nel decreto di citazione diretta a
giudizio e nel giudizio direttissimo.” (co.1)

“La qualità dell’imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a che non sia più soggetta a impugnazione la
sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna o sia divenuto
esecutivo il decreto penale di condanna.” (co.2)

“La qualità di imputato si riassume in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere e qualora sia disposta la
revisione del processo.” (co.3)

L’imputato, dunque, è la persona fisica nei confronti della quale il P.M. promuove l’azione penale. La qualità di imputato
permane finché il processo è pendente.

Cessa nel momento della definizione del processo e, quindi, con l’emanazione di decisione divenuta irrevocabile o,
comunque, non più impugnabile.

Persa la qualità di imputato, l’interessato assume quella di prosciolto/condannato.

In ordine all’estensione dei diritti e delle garanzie dell’imputato alla “persona sottoposta alle indagini”, l’art 61 ha ritenuto
come sufficiente  la semplice sottoposizione della persona alle indagini preliminari.

L’estensione dei diritti e delle garanzie dell’imputato opera anche in rapporto ad atti non documentabili, quali le notizie o le
indicazioni assunte dagli ufficiali di P.G. sul luogo o nell’immediatezza del fatto (art 350 cp.5).

L’art 61, dunque, estende all’indagato i diritti e le facoltà previsti a garanzia dell’imputato ed ogni altra disposizione a questi
favorevole, ma non le previsioni in malam partem.

Più precisamente, taluno diviene persona sottoposta alle indagini:

 a seguito della ricezione da parte della P.G. o del P.M. di una notizia qualificata di reato (denuncia, referto, querela,
istanza) contenente un’incolpazione nei confronti di un soggetto determinato.

Se trattasi di notizie non qualificate (es. voci correnti nel pubblico, informazioni giornalistiche, etc), la persona può dirsi
sottoposta alle indagini:
 a seguito di una valutazione di attendibilità delle medesime, espressa dalla P.G. o P.M.

se una tale valutazione dia esito positivo:


 scatta (per la P.G.) l’obbligo di riferire la notizia al P.M;
 mentre, per il P.M. scatta l’obbligo di farla iscrivere immediatamente nell’apposito registro ex art 335.

Inoltre, viene in gioco la valutazione di dati emergenti dalle indagini e ritenuti idonei a fornire un principio di conoscenza circa
l’attribuibilità a taluno di un fatto di reato. Necessaria è la distinzione tra:

 indizio  risultato conoscitivo indispensabile per adottare alcune misure, anche ad opera del giudice, nel corso della
fase delle indagini preliminari o per farne scaturire determinati effetti diversi dalla decisione sul tema del processo.

 prova indiziaria  si allude alle c.d. prove critiche assoggettate ad una regola di giudizio al momento della valutazione
probatoria.

Nella prospettiva precedentemente discussa conta, infine, il fatto obiettivo dell’esecuzione dell’arresto in flagranza, mentre
non rileva né quello del fermo ex art 384, né la richiesta di una misura cautelare personale.

22. Le dichiarazioni rese dall’imputato. Art 62-63


Le norme contenute negli art 62-65 sono tutte accomunate dal fatto che mirino ad assicurare nei rapporti con l’autorità
procedente un livello di lealtà e di civiltà adeguato ai canoni personalistici tipici del modello accusatorio.

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L’art 62 disciplina il “divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato”, e prescrive che le dichiarazioni comunque rese
nel corso del procedimento dall’imputato e dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di
testimonianza.

Vengono considerate, non solo le dichiarazioni sollecitate, ma pure quelle che il soggetto rilasci di propria iniziativa.

Inoltre, tale norma vale nei confronti:


 di coloro a carico dei quali, per effetto delle dichiarazioni rese, emergano indizi di reità (art 63 co.1)
 e di coloro che, fin dall’inizio, dovevano essere sentiti in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini (co.2
art 63 “Dichiarazioni indizianti”).

Ex co.2 art 62, il divieto si estende alle dichiarazioni, comunque inutilizzabili, rese dall’imputato nel corso dei programmi
terapeutici diretti a ridurre il rischio che questi commetta delitti sessuali a danno di minore (comma aggiunto nel 2014).

Tale divieto vale anche nei confronti di ogni altra persona che abbia inteso le dichiarazioni, spontanee o sollecitate, che siano
rede dall’imputato in occasione del compimento di un qualsiasi atto collocato nella sequenza del procedimento.

Sono escluse le dichiarazioni rilasciate prima dell’avvio del procedimento o al di fuori di esse (res gestae o circostanze
ammissibili come prova).
 si pensi a quanto narrato da una persona sottoposta alle indagini ad un ufficiale di P.G. nel corso di una conversazione
svoltasi occasionalmente in un bar.

È inibito pure l’ingresso alla testimonianza di chi riferisca, anche avendolo appreso da altri, il contenuto delle dichiarazioni
dell’imputato o dei soggetti a lui assimilati.

Da tal punto di vista, l’art 62 appronta un regime più restrittivo di quello predisposto ex art 195 in tema di testimonianza
indiretta.

La norma mira ad evitare che il diritto al silenzio dell’imputato o dell’indagato sia aggirato recuperando ai fini probatori le
dichiarazioni rese da tali soggetti attraverso la testimonianza de auditu.

Si vuole che per tali dichiarazioni faccia fede la sola documentazione scritta (acquisita regolarmente con le prescritte forme) da
utilizzarsi con le forme ed entro i limiti previsti per le varie fasi del procedimento.

L’inosservanza del divieto posto ex art 62 comporta sanzioni processuali;

infatti, acquisita illegittimamente, la testimonianza in discorso risulta compresa nella sfera dell’inutilizzabilità (art 191 co.1).

Col d.lgs.274/2000 il legislatore ha, poi, stabilito che le dichiarazioni rese dalle parti, nel corso dell’attività di conciliazione in
sede di procedimento davanti al giudice di pace non possono essere utilizzate, in nessun caso, ai fini della deliberazione.

La locuzione “nemo tenetur se degetere” esprime il principio garantista in forza del quale nessuno può essere obbligato ad
affermare la propria responsabilità penale (autoincriminazione).

Tale principio trova svolgimento nell’art 63 sulle “dichiarazioni indizianti”.

ART 63  Dichiarazioni indizianti


“Se davanti all’A.G. o alla P.G. una persona non imputata o una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni
dalle quale emergono indizi a suo carico, l’autorità procedente ne interrompe l’esame, avvertendola che a seguito di tali
dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore [96-97].
Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese.” (co.1)

“se la persona doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue
dichiarazioni non possono essere utilizzate.” (co.2)

La norma costituisce un’anticipazione del diritto al silenzio operante in sede di interrogatorio e completa la regola per cui
nessuno può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere la propria responsabilità penale (art 198).

Mentre nell’ipotesi del co.2 le dichiarazioni rese sono assolutamente inutilizzabili, nell’ipotesi del co.1, le dichiarazioni sono
inutilizzabili contro chi le ha rese, ma sono utilizzabili nei confronti di terzi.

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Il dato più vistoso, consiste nell’estensione della medesima disciplina alle sommarie informazioni che la P.G. è abilitata ad
assumere ex art 351.

Per contro, l’operatività dell’art 63 non scatta nei confronti del giudice civile e del curatore fallimentare.

Profilatisi gli indizi, si determinano in capo all’autorità procedente, tre obblighi distinti:
 vige l’obbligo di interrompere l’esame, come pure l’eventuale assunzione di informazioni, ma potrà seguirne
l’interrogatorio del P.M. o l’assunzione di sommarie informazioni ex art 350 da parte della P.G.

 l’autorità procedente deve avvertire la persona che “potranno” essere svolte indagini nei suoi confronti per effetto della
mutata veste processuale.

Poiché l’art 63 co.1 non contempla l’obbligo di avvertire l’indiziato che “le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate
nei suoi confronti” così come prevede l’art 64 co.3 lett.a, il soggetto non è messo sull’avviso circa gli effetti sfavorevoli che
potrebbero scaturire da ulteriori dichiarazioni rese prima dell’interrogatorio o delle sommarie informazioni, nei cui preamboli è
dato avvertimento della facoltà di non rispondere.

 Infine, l’obbligo di invitare la persona che ha rilasciato le dichiarazioni indizianti a nominare un difensore accentua il
divario rispetto a coloro ai quali il fatto è attribuito da una comune notizia di reato.

Nei confronti di costoro l’invito è formulato nell’informazione di garanzia, da inviarsi solo a partire dal primo atto cui il
difensore ha diritto di assistere.

La disciplina dell’art 63 si perfeziona col divieto di utilizzare, contro la persona autoindiziatasi, le dichiarazioni rese prima
dell’avvertimento (inutilizzabilità soggettivamente relativa).

La norma vuole tutelare la libertà di autodeterminazione di chi, se fosse stato consapevole del proprio status, avrebbe ben
potuto esercitare il diritto al silenzio e non rilasciare dichiarazioni a sé pregiudizievoli.

La prevista inutilizzabilità anche nei confronti di coloro che dalle dichiarazioni indizianti sono comunque coinvolti
(inutilizzabilità assoluta) si spiega col proposito di disincentivare l’adozione di comportamenti contra legem intesi ad acquisire
dichiarazioni accusatorie a carico di terzi.

In altre parole, la norma vuole proteggere il terzo, cui si siano riferite le dichiarazioni accusatorie, predisponendo un
meccanismo destinato a scattare anteriormente alle ipotesi di incompatibilità a testimoniare ex art 197 co.1 lett.a,b.

Inoltre, muovendo dalla ratio dell’art 63 co.2, la giurisprudenza ha circoscritto il divieto d’uso erga alios delle suddette
dichiarazioni alle persone imputate in procedimenti connessi o collegati.

Nelle restanti ipotesi, infatti, il dichiarante deve essere sentito in qualità di persona informata sui fatti per cui si indaga, o di
testimone:
 Dunque, non potendosi configurare nei suoi confronti violazione alcuna delle garanzie difensive, l’operatività dell’art 63
co.2 è da escludersi.

23. L’interrogatorio. (Art 64-65)


Il sistema distingue in maniera netta:

 L’esame dell’imputato  collocato tra i mezzi di prova (art 208-210);


 Interrogatorio della persona sottoposta alle indagini  disciplinato ex art 64-65 e da altre disposizioni riferite all’udienza
dibattimentale.

Nella fase delle indagini preliminari, il P.M. procede all’interrogatorio della persona:

- sottoposta a misura cautelare personale (art 294),


- dell’arrestato/fermato (art 388),
- e anche tramite delega alla P.G., di chi si trova a piede libero mediante invito a presentarsi, ma se la persona non vi
ottempera, l’accompagnamento coattivo è disponibile solo a seguito di autorizzazione del giudice.

Il titolare delle indagini è libero di scegliere il momento in cui assumere l’atto, salvo che si tratti di una persona sottoposta a
custodia cautelare  in tal caso l’interrogatorio del giudice deve precedere quello del P.M.

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È libero, anche di non procedervi nel corso delle indagini preliminare talché la richiesta di archiviazione può ben essere
formulata inaudita altera parte.

Infine, se vuole inscenare il giudizio immediato secondo le forme ex art 453 co.1, deve procedere all’interrogatorio sui fatti
dai quali emerge l’evidenza della prova o, comunque, deve averlo disposto ex art 375 co.3, a meno che la persona sottoposta
alle indagini non sia comparsa a causa di un legittimo impedimento, o sia risultata irreperibile.

Nella fase nelle indagini, essendo il G.I.P. tendenzialmente privo di poteri ufficiosi, il relativo interrogatorio si atteggia come
attività sempre doverosa; ciò vale:

- in sede di udienza di convalida, per quello dell’arrestato o del fermato “salvo che questi non abbia potuto o si sia
rifiutato di comparire”.

Inoltre, il giudice procede ad interrogatorio in rapporto a talune vicende delle misure cautelari personali:

- quando il P.M., nel corso della fase delle indagini preliminari, gli ha richiesto di sospendere la persona sottoposta alle
indagini dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio;
- quando gli è richiesto di revocare/sostituire la misura applicata.

Esercitata l’azione penale, l’imputato è libero di sottoporsi ad interrogatorio in sede di udienza preliminare, così come nel
giudizio abbreviato.

Dal punto di vista funzionale, all’interrogatorio:

- condotto dal P.M.  si suole attribuire un prevalente carattere investigativo perché finalizzato alle determinazioni
inerenti all’esercizio dell’azione penale;
- mentre, a quello condotto dal giudice  si suole ricollegare un prevalente significato di controllo e di garanzia.

Dal punto di vista delle modalità del suo svolgimento, l’interrogatorio è disciplinato per assicurarne la natura di strumento di
difesa.

Quanto all’assistenza tecnica, un dato comune è rappresentato dal diritto del difensore di essere avvisato del compimento
dell’atto così da potervi sempre assistere; anzi, la sua presenza diviene condizione di validità dell’atto:

 perché la legge impone al legale di intervenire all’interrogatorio,


 o perché quest’ultimo è inserito in un determinato contesto come l’udienza di convalida o l’udienza preliminare.

Quanto alla difesa personale, gli artt 64 e 65 modellano l’interrogatorio in maniera idonea garantire una partecipazione
libera e costante da parte del soggetto.

Quando al luogo di svolgimento dell’interrogatorio, si prevede che:

 l’arrestato/fermato e anche l’imputato in stato di detenzione per qualsiasi fatto (eccetto chi sia ristretto in regime di arresti
domiciliari o di detenzione domiciliare) debba essere interrogato presso l’istituto penitenziario in cui si trova.

 Se sussistono eccezionali motivi di necessità, il giudice può disporre che i soggetti siano trasferiti davanti a sé.

L’obiettivo del sistema è quello di equiparare le modalità di svolgimento di altre figure a quelle dell’interrogatorio
dell’imputato.

Ciò può dirsi per le sommarie informazioni che gli ufficiali di P.G. assumono ex art 350 co.1 e per le dichiarazioni degli
imputati in un procedimento connesso, o in un reato collegato ex art 371 co.2, denominate ora:
 “informazioni”  se rese davanti ad un ufficiale di polizia giudiziaria,
 “interrogatorio”  se rese davanti al P.M.
 Ed ancora “interrogatorio”  se rese davanti al giudice in sede di udienza preliminare.

Anche le dichiarazioni rilasciate dalla persona sottoposta alle indagini a seguito della presentazione spontanea al P.M. sono
assimilate all’interrogatorio, in virtù dell’estensione delle regole ex art 64 e 65.

Inoltre, anche se l’art 64 fa riferimento alla persona sottoposta alle indagini, appositi richiami contenuti negli art 421 e 422
estendono all’interrogatorio dell’imputato le medesime prescrizioni.

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L’art 64 detta le “regole generali per l’interrogatorio”, e stabilisce al co.1 che la persona assoggettata al regime di custodia
cautelare o detenuta per altra causa, intervenga libera nell’interrogatorio (salve cautele necessarie per impedirne il pericolo di
fuga).

Così facendo, pone una regola di protezione della personalità correlata anche ad un’esigenza di economia processuale quando
una persona in stato di arresto o di detenzione domiciliare debba comparire davanti all’A.G.

L’art 22 disp.att. consente di non disporre l’accompagnamento o la traduzione, sostituendoli con l’autorizzazione ad
allontanarsi dal luogo di arresto o di detenzione per il tempo strettamente necessario.

Il co.2 art 64 esplicita il principio per cui nel corso dell’interrogatorio non possono essere impiegati (anche col consenso della
persona interrogata) metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare le capacità
mnemoniche o valutative.

In questo quadro si colloca (attraverso il co.3 art 64) il nucleo essenziale della disciplina del diritto al silenzio della persona
sottoposta ad interrogatorio; così come risulta dalle innovazioni introdotto con la l.63/2001, attuativa dei principi del “giusto
processo”.

Prima che inizi l’interrogatorio vero e proprio, scatta per l’organo procedente l’obbligo di rivolgere alla persona interrogata un
triplice avvertimento ex art 64 co.3, per cui la persona deve essere avvertita che:

a) “Le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;
b) Salvo quanto disposto ex art 66 co.1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento
seguirà il suo corso”;
c) Se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di
testimone, salve le incompatibilità previste ex art 197 e le garanzie ex art 197bis.”

Infatti, a tutela del diritto di difesa e della presunzione di non colpevolezza, la norma fa salve le “incompatibilità” a
testimoniare ex art 197, nonché le “garanzie” inerenti alla conduzione dell’esame testimoniale ed il regime di utilizzabilità
delle dichiarazioni contro chi le ha rese di cui all’art 197bis.

Tale rete di tutele è stata apprestata per bilanciare il diritto di difesa dell’indagato con il diritto della persona da lui accusata
di poter procedere, in dibattimento, al controesame del dichiarante, come imposto ex art 111 co.4 Cost

Si spiega, così, perché, anche al mancato avvertimento in discorso, l’art 64 co.3bis ricolleghi una duplice “sanzione”:

 Per un verso, la persona interrogata non potrà assumere l’ufficio di testimone;


 Per altro verso, le dichiarazioni eventualmente rese contra alios non saranno utilizzabili nei confronti dei terzi coinvolti,
ferma restando la loro utilizzabilità nei confronti del dichiarante (inutilizzabilità relativa).

Il co.3bis (sostituito assieme al co.3 ex l.63/2001 sul “Giusto processo”), oltre ad imporre un dovere informativo, assolve anche
il compito di dettare i presupposti da cui scaturiscono gli obblighi testimoniali in capo all’imputato.

Opportunamente il d.lgs.101/2014 impone ora di somministrare l’avviso della facoltà di non rispondere subito dopo
l’esecuzione delle più severe restrizioni della libertà personale.

Infatti, sostituendo l’art 293 co.1, si prescrive agli ufficiali/agenti di P.G., al momento in cui eseguono l’ordinanza applicativa
della custodia cautelare, di consegnare all’imputato “una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, per
l’imputato che non conosce la lingua italiana, tradotta in lingua a lui comprensibile”, mediante la quale lo si informa “del
diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere”.

Il giudice deve poi, in sede di interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale, anche d’ufficio,
verificare che all’imputato in stato di custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari “sia stata data la comunicazione di
cui all’art 293 co.1, o che comunque sia stato informato ex co.1bis dello stesso articolo, e provvede, se del caso, a dare o a
completare la comunicazione o l’informazione ivi indicate”.

È previsto, inoltre, che gli ufficiali e gli agenti di P.G. debbano somministrare un analogo avviso, mediante comunicazione
scritta, all’arrestato/fermato, salvo a farlo, nell’immediatezza, oralmente.

Il giudice è poi chiamato a verificare nell’udienza di convalida “che all’arrestato/fermato gli sia stato dato il suddetto avviso, o
che comunque sia stato informato, e provvede, se del caso, a dare/completare la comunicazione o l’informazione ivi indicate”.

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L’avviso in discorso (riecheggiando le Miranda warnings del modello nordamericano) mostra di tener conto della condizione di
stress in cui versa il soggetto al momento dell’arresto o del fermo tale da spingerlo a rendere dichiarazioni avventate, specie
con l’intento di subito discolparsi, ma che potrebbero poi essere usate contro di lui nel prosieguo del processo.

Infatti, ex art 350 co.7, le dichiarazioni che la P.G. riceve spontaneamente dall’indagato possono essere utilizzate sia a fini
contestativi in sede di esame dibattimentale sia in chiave probatoria nei riti alternativi al dibattimento.

Dall’esercizio del diritto di non rispondere (ossia di non collaborare) l’organo procedente non può ricavare conseguenza alcuna
in quanto insindacabile espressione del diritto di difesa personale.

Infatti, ex art 274 lett.a, esplica il divieto di individuare, nel rifiuto di rendere dichiarazioni o nella mancata ammissione degli
addebiti, un attuale e concreto pericolo per l’acquisizione e la genuinità della prova

La funzione dell’art 64 è quella di garantire la libertà fisica e morale del soggetto sottoposto ad interrogatorio, in modo tale
che le sue dichiarazioni risultino il frutto di una scelta consapevole e non coartata.

A tale finalità rispondono:


 le disposizioni sulla libertà fisica della persona sottoposta ad interrogatorio (es senza manette)
 ed il divieto di uso di mezzi idonei ad alterare le capacità psico-fisiche;
 nonché gli avvertimenti di cui alle lett.a,b.

Quanto all’avvertimento ex lett.c, va premesso che attualmente l’imputato, se riferisce circostanze riguardanti la
responsabilità di altri, può essere sentito in futuro anche come testimone (con l’obbligo, quindi, di rispondere alle domande
ex art 197 e 197bis).

Una volta che il soggetto abbia dichiarato di voler rispondere, entrano in gioco le prescrizioni dettate per l’interrogatorio nel
merito (art 65).

Tali prescrizioni operano esclusivamente per l’atto assunto dall’A.G.

ART 65  Interrogatorio nel merito


“L’A.G:
- contesta alla persona sottoposta alle indagini in forma chiara e precisa il fatto che le è attribuito,
- le rende noti gli elementi di prova esistenti contro di lei,
- e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, gliene comunica le fonti.” (co.1)

“Invita, quindi, la persona ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa e le pone direttamente domande.” (co.2)

“Se la persona rifiuta di rispondere, ne è fatta menzione nel verbale. Nel verbale è fatta anche menzione, quando occorre, dei
connotati fisici e di eventuali segni particolari della persona.” (co.3)

La portata di tali prescrizioni è, però, destinata a subire adattamenti in rapporto allo sviluppo dell’iter procedimentale.

Del resto, per l’interrogatorio dell’arrestato/fermato cui procede il P.M., l’art 388 co.2 detta prescrizioni solo in parte analoghe.

L’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio deve già contenere:


- l’inserzione della “sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute”,
- nonché, se il P.M. vuol presentare richiesta di giudizio immediato, pure l’”indicazione degli elementi e delle fonti di
prova”, insieme all’avvertimento circa il rito prescelto.

Oltre che alla civiltà e lealtà del processo, le disposizioni di tale articolo sono svolte a sugellare la funzione dell’interrogatorio
quale strumento di difesa.

Ciò emerge dalla possibilità che ha la persona di esporre tutto ciò che ritiene utile per discolparsi, dell’assenza dell’obbligo di
dire la verità, salvi i limiti che derivano dalle norme in materia di autocalunnia e calunnia, nonché dalla facoltà di non
rispondere a singole domande sul merito.

in ordine allo svolgimento dell’atto, la tecnica adottata è quella delle domande poste in via diretta dal solo organo procedente,
il che vale anche per l’interrogatorio che l’imputato ha facoltà di rendere all’udienza preliminare.

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24. L’identificazione e l’esistenza in vita dell’imputato. (Art 66-69)


Le questioni inerenti all’identificazione dell’imputato ed alla sua esistenza in vita sono affrontate in via semplificata.

L’art 66 disciplina la “verifica dell’identità personale dell’imputato” e statuisce, nel co.1 che, nel primo atto del procedimento
in cui è presente l’imputato:

 L’A.G. lo invita a dichiarare le proprie generalità e quant’altro possa valere ad identificarlo, ammonendolo sulle
conseguenze cui si espone chi rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false.

Inviti ed ammonizioni sono indirizzati dalla P.G. alla persona sottoposta alle indagini.

Solo all’A.G. si riferisce, però, l’art 21 disp.att. laddove statuisce che debbano essere richieste all’imputato, o alla persona
sottoposta alle indagini, nel primo atto cui sono presenti, una serie di informazioni relative all’identità personale, alla vita di
relazione, alla posizione patrimoniale, nonché agli eventuali ruoli pubblici coperti ed ai precedenti penali.

L’impossibilità di attribuire all’imputato le sue esatte generalità è irrilevante in quanto non pregiudica il compimento di alcun
atto da parte della P.G. o dell’A.G., purché sia certa l’identità fisica della persona. (co.2)

L’attribuzione di generalità erronee è trattata alla stregua di un mero errore materiale, così da far luogo alla rettificazione
mediante il relativo procedimento in camera di consiglio.

Rinviando, il co.3 art 66 verso l’art 130 (“Correzione dii errori materiali”), rende palese che la norma trova spazio anche nella
fase delle indagini preliminari e pure nei confronti della persona che vi è sottoposta, ogni qualvolta il giudice sia comunque
chiamato ad emettere un provvedimento;
diversamente, la correzione è operata de plano dal P.M.

Il senso della norma è da individuarsi nel fatto che la qualità di imputato può essere assunta da una persona fisica solo quando è
possibile la sua individuazione.

Ai fini dell’individuazione è essenziale l’identità fisica della persona, non occorrendo la certezza della identità anagrafica, ossia
l’esattezza delle generalità (nome, cognome, data di nascita, paternità, etc.).

Per ridurre il margine dei possibili errori nell’applicazione dei c.d. benefici penali, a causa dell’incompleta identificazione del
soggetto e dei suoi precedenti penale, nel 2005 è stato introdotto l’art 66bis (“Verifica dei procedimenti a carico dell’imputato”).

ART 66bis  Verifica dei procedimenti a carico dell’imputato.


“In ogni stato e grado del procedimento, quando risulta che la persona sottoposta alle indagini/imputato è stato segnalato,
anche sotto diverso nome, all’A.G. quale autore di un reato commesso antecedentemente o successivamente a quello per il
quale si procede, sono eseguite le comunicazioni all’A.G. competente ai fini dell’applicazione della legge penale.” (co.1)

Distinto dal profilo dell’identità personale, è quello:

 Dell’identità fisica per l’imputato si sostanzia nella coincidenza tra la persona nei cui confronti è esercitata l’azione
penale e quella che in effetti è assoggettata a processo.

Ciò difetta in caso di omonimia, quando al “vero imputato” si sostituisca l’“imputato apparente”.

Tocca al P.M., nella fase delle indagini preliminari, disporre gli accertamenti del caso, sulla base dei quali saranno formulate
le conseguenti richieste al giudice.

Se il dubbio insorge nel processo, le determinazioni in materia saranno trattate dal giudice dell’udienza preliminare o del
dibattimento.

Il codice non affronta il tema dell’errore sull’identità fisica (c.d. errore di persona) che risulta nel corso della fase delle indagini
preliminari, ma in materia soccorre l’ampiezza delle formule per la quale è consentito al P.M. richiedere il decreto di
archiviazione (art 411).

Se l’errore di persona risulta evidente, l’arrestato in flagranza/fermato deve essere immediatamente liberato.

Se l’errore di persona risulta, invece nel processo, il giudice, ex art 68, sentiti obbligatoriamente il P.M. e l’imputato, pronuncia
sentenza ex art 129.
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L’errore di persona continua a sfociare, di regola, in una sentenza meramente processuale; pertanto, la sentenza resa ex art
68 (“Errore sull’identità fisica dell’imputato”), pur se divenuta irrevocabile, è sfornita di efficacia preclusiva.

Ne discende che la persona erroneamente estromessa dal processo torna ad esservi assoggettata quando, in seguito, risulti
essere il vero imputato.

L’incertezza circa l’età minore dell’imputato (art 67) è sciolta dal giudice minorile con le forme caratteristiche di quel rito.

Al pari di quanto osservato per il caso di incertezza sull’identità fisica, anche l’incertezza sull’esistenza in vita dell’imputato
non è più disciplinata dal codice.

Se il dubbio è risolto nel senso della morte dell’imputato, ex art 69 (non conta la dichiarazione di morte presunta):

 nel corso delle indagini preliminari il P.M. chiede l’archiviazione per estinzione del reato,
 mentre, nel corso del giudizio, il giudice proscioglie.

Il richiamo all’art 129 fatto nel co.1 art 69 ha un significato ben più pregnante rispetto alla disciplina dell’errore di persona.

Posto che la morte dell’imputato si risolve in una causa estintiva del reato, la relativa declaratoria rimane subordinata in
modo esplicito alla gerarchia delle formule scaturente dall’art 129 co.2.

Pertanto, l’accertata morte dell’imputato non dovrebbe impedire al giudice che l’imputato non l’ha commesso o che il fatto non
costituisce reato, di adottare la formula di merito.

L’art 69 co.2 ha cura di precisare che la sentenza erroneamente dichiarativa dell’estinzione del reato per morte dell’imputato
non impedisce un nuovo esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto a carico della medesima persona.

25. Infermità mentale e partecipazione cosciente. (Art 70-73)

 ogni persona fisica  titolare della capacità ad essere parte nel processo penale  ossia è legittimata ad assumere la
qualità di imputato

Tale capacità difetta negli infanti e negli immuni, in modo da distinguere:

 immunità assoluta  esenzione dalla giurisprudenza per tutte le imputazioni;


 immunità relativa  esenzione solo per alcune.

Per l’immunità relativa è improprio parlare di “esenzione dalla giurisdizione”, dato che il processo può ben, in tali casi,
instaurarsi al solo fine di verificare se il fatto è coperto dal “privilegio”.

Diversa è la capacità processuale dell’imputato  idoneità ad esercitare, nel processo, diritti e facoltà ricollegati all’assunzione
di tale qualità.

Generalmente, la capacità processuale dell’imputato coincide con la sua capacità di essere parte.

Esistono, però, delle eccezioni:


 ad esempio, l’imputato nel giudizio di cassazione è privo della capacità processuale, dovendo stare in giudizio a
mezzo del difensore;
 quella più vistosa è quella dell’infermità mentale dell’imputato sia antecedente che sopravvenuta al fatto
costituente reato.

Il presupposto dell’infermità mentale dell’imputato è commisurato non più sul parametro penalistico della non punibilità, ossia
sulla mancanza della capacità di intendere o di volere, bensì sulla inidoneità del soggetto a partecipare coscientemente al
processo.

Ciò vale sia per il caso di infermità sopravvenuta che antecedente.

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L’art 70, disciplinante “accertamenti sulla capacità dell’imputato”, presenta una gamma di situazioni in cui l’infermità di mente
dell’imputato risulta solo diminuita, senza che sia scomparsa, purché produca l’effetto di impedirne una consapevole
partecipazione.

Restano irrilevanti le situazioni nelle quali l’esercizio dell’autodifesa è ostacolato da altre cause, prime fra tutte le infermità
fisiche sopravvenute.

Ad esse pongono un rimedio altri istituti, come la sospensione o il rinvio dell’udienza.

ART 70  Accertamenti sulla capacità dell’imputato.


“Quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e vi è ragione di ritenere che,
per infermità mentale (il riferimento al “sopravvenuta al fatto” è stato dichiarato illegittimo ex sent.340/1992), l’imputato
non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone, anche d’ufficio, perizia.” (co.1)

“Durante il tempo occorrente per l’espletamento della perizia il giudice assume, a richiesta del difensore, le prove che possono
condurre al proscioglimento dell’imputato, e, quando vi è pericolo nel ritardo, ogni altra prova richiesta dalle parti.” (co.2)

“Se la necessità di provvedere risulta durante le indagini preliminari, la perizia è disposta dal giudice a richiesta di parte con le
forme previste per l’incidente probatorio.
Nel frattempo restano sospesi i termini per le indagini preliminari e il P.M. compie i soli atti che non richiedono la
partecipazione cosciente della persona sottoposta alle indagini.
Quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove nei casi previsti ex art 392.” (co.3)

Accertato (a seguito degli accertamenti ex art 70) che lo stato psichiatrico dell’imputato ne impedisce la cosciente
partecipazione al procedimento pur manifestando allo stato carattere reversibile, il giudice emette ordinanza di sospensione
del procedimento ex art 71 co.1 (“Sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato”).

L’ordinanza, ricorribile per cassazione, produce una pluralità di effetti;

 infatti, ex co.2, con tale ordinanza il giudice nomina all’imputato un curatore speciale, designando di preferenza l’eventuale
rappresentante legale;
 ex art 18 co.1 lett.b  obbligatoria separazione del processo;
 inoperatività della regola ex art 75 co.3 circa la sospensione obbligatoria del processo civile (ex co.6 art 71).

Ex co.3, contro l’ordinanza possono ricorrere per cassazione il P.M., l’imputato e il suo difensore nonché il curatore speciale
nominato dall’imputato.

Al curatore speciale è consentito:


 sia di ricorrere per cassazione avverso l’ordinanza di sospensione,
 sia di assistere agli atti disposti sulla persona dell’imputato, nonché a quelli rispetto ai quali tale potere è
riconosciuto all’imputato stesso.

Ex co.4, la sospensione non impedisce al giudice di assumere prove, alle condizioni e nei limiti stabiliti ex art 70 c.2. A tale
assunzione il giudice procede anche a richiesta del curatore speciale (vedi le facoltà consentite al curatore speciale).

Ex co.5, se la sospensione interviene nel corso delle indagini preliminari, si applicano le disposizioni previste ex art 70 co.3.

Ex co.6, nel caso di sospensione, non si applica la disposizione ex art 75 co.3.

La materia della capacità processuale è stata modificata per effetto della l.103/2017. È opportuno, però, un riassunto.

In materia di definizione del procedimento per incapacità dell’imputato, distingue l’ipotesi in cui l’incapacità:
 sia reversibile
 da quella in cui essa sia irreversibile.

Sul piano sostanziale, l’art 159 co.1 c.p. disponeva che il corso della prescrizione rimanesse sospeso quando il
procedimento/processo penale fosse, a sua volta, sospeso per “impedimento delle parti”.

Ciò, rischiava di dar vita alla figura dell’”eterno giudicabile”, cioè dell’imputato che, affetto da infermità psichica irreversibile,
resta assoggettato alla giurisdizione penale per tutto il resto della vita.

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A tale stati processuale prodottasi, non era in grado di porre rimedio la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione,
a causa della sospensione pure di questa.

Solo la declaratoria di estinzione del reato per morte dell’incapace metteva fine agli effetti della doppia sospensione.

Era necessario, ad una attenta analisi, evitare che l’irreversibilità della condizione mentale dell’imputato impedisse la
decorrenza del termine prescrizionale del reato e di affermare il conseguente dovere del giudice di pronunciare la sentenza di
non luogo a procedere o di non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato.

Un intervento in materia sembrava, però, indiscutibile; e per i reati imprescrittibili, ossia punibili con l’ergastolo, la figura
dell’”eterno giudicabile” non scompariva affatto dal sistema.

La riforma Orlando ha introdotto l’art 72bis (“definizione del procedimento per incapacità irreversibile dell’imputato”) con
l’intento di definire il procedimento in tempi ragionevoli.

ART 72bis  Definizione del procedimento per incapacità irreversibile dell’imputato.


“Se, a seguito degli accertamenti previsti ex art 70, risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedire la cosciente
partecipazione al procedimento e che tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l’eventuale ordinanza di sospensione del
procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i
presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.” (co.1)

Per coordinare la nuova disposizione, il legislatore ha provveduto anche a modificare direttamente la disposizione ex art 345
(“Difetto di una condizione di procedibilità”), la quale regola in via generale le fattispecie in cui sopravvenga una condizione del
procedere originariamente mancante, mediante la previsione dei casi in cui si verifichi una erronea dichiarazione dello stato di
incapacità irreversibile dell’imputato, o che l’incapacità venga meno.

In tali casi, dunque, vi è la possibilità di una riapertura del procedimento, in deroga all’art 649.

L’art 72bis eccettua dalla pronuncia della sentenza di non doversi procedere per incapacità irreversibile le fattispecie in cui si
debba applicare una misura di sicurezza diversa dalla confisca.

La misura di sicurezza potrà scattare solo in via provvisoria non potendovi essere alcuna condanna per il reato addebitato.

L’applicazione provvisoria di simili misure impone lo svolgimento di accertamenti periodici sulla permanenza della
pericolosità sociale, ex art 313 co.2.

Tuttavia, per scongiurare il rischio di “ergastoli bianchi”, nel 2014 è stato introdotto un termine di durata massima per le
misure di sicurezza detentive.

La clausola finale dell’art 72bis vale a coprire l’ipotesi in cui l’imputato, divenuto dopo la commissione del reato incapace di
partecipare irreversibilmente al procedimento, risulti, allo stesso tempo, socialmente pericoloso.

L’ordinanza di sospensione del processo, destinata ad esplicare un’efficacia temporanea, è immediatamente revocata ex art 72
co.2, quando risultino integrati i presupposti:

 di una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento,


 o sia acquisita la certezza che l’imputato è in grado di partecipare coscientemente al procedimento.

L’art 72 co.1 impone al giudice di verificare lo stato psichico dell’imputato con frequenze periodiche semestrali mediante
appositi accertamenti peritali.

L’inosservanza di tutte queste prescrizioni si risolve in una causa di nullità a regime intermedio, essendo in gioco l’intervento
dell’imputato.

Quanto al trattamento terapeutico dell’infermo di mente, al giudice è stato sottratto il potere di disporre il ricovero
dell’imputato in un’idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero.

Ex art 73 (“Provvedimenti cautelari”), vi provvede l’autorità competente (il sindaco) per l’adozione delle misure previste dalla
normativa sul trattamento sanitario delle malattie mentali;

solo se vi è pericolo nel ritardo, al giudice è consentito ordinare, anche di ufficio, il ricovero provvisorio.
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Se è stata già disposta o debba disporsi la custodia cautelare, il ricovero provvisorio in un’idonea struttura del servizio
psichiatrico ospedaliero è ordinato dal giudice adottando i provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di fuga, ex art
286.

Qui il ricovero assume una configurazione autonoma, risolvendosi in una misura alternativa alla custodia in carcere.

26. La parte civile: legittimazione, costituzione ed esodo dal processo penale. TITOLO V (Art 74-89)
La parte civile è disciplinata nel Titolo V (art 74-89), dedicato a “Parte civile, responsabile civile e civilmente obbligato per la
pena pecuniaria”.

Rientra tra le c.d. parti eventuali  per cui il processo penale prescinde dalla loro presenza.

L’intervento della parte civile (“danneggiato”) è finalizzato ad ottenere le restituzioni o il risarcimento del danno ricollegabili al
reato oggetto di accertamento in sede penale (art 185 c.p.).

Per quanto concerne la legitimatio ad causam, l’art 74 (“Legittimazione all’azione civile”) stabilisce che l’azione civile di cui
all’art 185 c.p. possa essere esercitata dal soggetto che mira alle restituzioni o al risarcimento del danno cagionato dal reato, o
dai suoi “successori universali”.

Presuppone la lesione di una situazione giuridica sostanziale per effetto della condotta criminosa dell’autore del reato. Ha
natura secondaria ed eventuale, atteso che i comportamenti integranti illecito penale non sempre costituiscono fonte di
responsabilità civile.

Ex art 76 co.1 (“Costituzione di parte civile”), il danneggiato può costituirsi parte civile anche per mezzo di un procuratore
speciale, fermo restando che difetta il sostituto eventualmente nominato dal difensore della parte civile.

Ex co.2, la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo.

La costituzione di parte civile presuppone la legittimazione subiettiva, cioè la titolarità del diritto azionato.

È sufficiente la mera configurabilità giuridica del danno e della titolarità, mentre l’accertamento della loro reale ed effettiva
esistenza attiene al merito della decisione.

Qualora sia carente la capacità processuale del danneggiato, costui dev’essere rappresentato (es. quanto si tratti di un minore
non emancipato), assistito o autorizzato per le forme prescritte per l’esercizio delle azioni civili.

Detto ciò, l’art 77 (“capacità processuale della parte civile”) prevede due diversi correttivi per l’ipotesi in cui risulti impedito
l’inserimento dell’azione civile all’interno del processo penale:

 In primis ex co.2, viene considerata l’eventualità della nomina di un curatore speciale, necessaria quando manchi la
persona a cui spetterebbe la rappresentanza o l’assistenza e ricorrano ragioni di urgenza o quando sussista un conflitto
di interessi tra l’incapace e il suo legale rappresentante;

 In secundis ex co.4, ma solo sul presupposto di una “assoluta urgenza”, viene consentito che il P.M. eserciti l’azione
civile nell’interesse del minore/infermo di mente, finché non subentri il legale rappresentante e, quanto meno, il
curatore speciale previsto ex art 77 co.2.

A tal proposito occorre distinguere:


 “legitimatio ad causam”  si identifica con la titolarità del diritto sostanziale in capo alla persona alla quale il reato
ha cagionato un danno e che è il presupposto per la costituzione di parte civile;

 “legitimatio ad processum” (o capacità processuale)  per la quale il titolare del diritto che non abbia la capacità di
agire deve essere rappresentato, assistito o autorizzato nelle forme prescritte per le azioni civili.

 “rappresentanza processuale”  in virtù della quale la parte civile non può difendersi da sola, ma deve stare in
giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale.

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Premesso che la parte civile può stare in giudizio solo con il “ministero di un difensore, munito di procura speciale”, ai fini di una
regolare costituzione devono essere rispettate le formalità stabilite ex art 78 (“Formalità della costituzione di parte civile”):

 Unitariamente alla procura di cui si è detto, è necessario venga depositata nella cancelleria del giudice procedente, o si
presentata in udienza, una dichiarazione contenente, a pena di inammissibilità, gli elementi ex art 78 co.1 lett.a-e.

Ex co.2 art 78, se è presentata fuori udienza, la dichiarazione deve essere notificata a cura della parte civile, alle altre parti e
produce effetto per ciascuna di esse dal giorno nel quale è eseguita la notificazione.

L’art 79 disciplina il “termine per la costituzione di parte civile”, e stabilisce:

 un termine iniziale la parte civile deve costituirsi “per l’udienza preliminare”

Ne consegue che, nel corso delle indagini preliminari, resta esclusa la partecipazione del danneggiato, il quale, solo se
contemporaneamente rivesta la qualifica di offeso dal reato, può avvalersi dei diritti e delle facoltà che la legge riconosce a
quest’ultimo soggetto.

 e uno finale  è previsto a pena di decadenza e coincide con l’effettuazione, da parte del giudice dibattimentale di
primo grado, degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti ex art 484.

Conseguentemente, risulta preclusa la costituzione della parte civile una volta iniziata la trattazione delle questioni
preliminari ex art 491.
 Da un lato, anche se la mancata costituzione sia addebitabile al caso fortuito o alla forza maggiore, non è consentito
invocare la restituzione del termine, essendo un istituto riservato a coloro che già possiedono la qualità di parte;

 Dall’altro, se la costituzione avviene in extremis (esattamente dopo la scadenza del termine perentorio ex art 468
co.1), la parte civile non può più avvalersi della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici
(art 79 co.3).

Anche nei confronti della parte civile opera la regola generale che esclude l’introduzione di prove a sorpresa in sede
dibattimentale.

La costituzione di parte civile non implica una sua stabile permanenza nel processo penale, dovendosi tenere presente sia
l’eventualità di una sua esclusione, sia quella di un suo spontaneo recesso.

Ex art 80 co.1 (“richiesta di esclusione della parte civile”), l’esclusione può essere la conseguenza di una richiesta motivata,
proveniente dal P.M., dall’imputato e dal responsabile civile.

Relativamente a tale richiesta, il giudice procedente è tenuto a pronunciarsi senza ritardo con un’ordinanza (inoppugnabile),
e l’eventuale esclusione della parte civile disposta in sede di udienza preliminare non è di ostacolo rispetto ad una successiva
costituzione entro il termine finale previsto dall’art 79 co.1

Come per la costituzione della parte civile, anche per l’esclusione occorre rispettare dei termini perentori, che variano a seconda
della fase processuale in cui è avvenuta la costituzione di parte civile.

Infatti, ex co.2 e 3 art 80:

 se la parte civile si è costituita “per l’udienza preliminare”  la richiesta di esclusione va effettuata prima che siano
terminati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti;

 se, invece, la parte civile si è costituita nella fase degli atti preliminari al dibattimento o nel corso degli atti introduttivi
al medesimo  la richiesta di esclusione deve essere avanzata in sede di trattazione delle questioni preliminari ex art
491 co.1

In mancanza di un espresso divieto in tal senso, si deve ritenere che l’eventuale rigetto della richiesta di esclusione in sede di
udienza preliminare non ne preclude la riproposizione tempestiva in dibattimento.

L’art 81 disciplina una seconda ipotesi di esclusione, ossia “esclusione di ufficio della parte civile”, per cui, ex co.1:

 il giudice, quando accerti l’inesistenza dei requisiti stabiliti per la costituzione di parte civile, può provvedere in
conformità fino a che non sia stato aperto il dibattimento di primo grado.
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Ex co.2, il giudice provvede a norma del co.1 anche quando la richiesta di esclusione è stata rigettata nell’udienza preliminare.

Le ordinanze con cui la parte civile viene ammessa/esclusa dal processo penale sono di carattere meramente processuale.

Come anticipato, si potrebbe verificare anche uno spontaneo recesso del danneggiato che, espressamente o tacitamente,
revoca la costituzione di parte civile, ad esempio:

- perché ha concluso con l’imputato una transazione sul danno,


- o perché, cambiata opinione, ritiene meglio tutelabili le sue pretese in sede civile.

Nel caso di revoca espressa, che può aver luogo in ogni stato e grado del procedimento, occorra un’apposita dichiarazione, resa
personalmente o per mezzo di un procuratore speciale.

Ex art 82 (“Revoca della costituzione di parte civile”) co.1, la suddetta dichiarazione può assumere:

 la forma orale  se fatta in udienza,


 o essere contenuta in un atto scritto  da depositare nella cancelleria del giudice procedente e notificato alle altre
parti.

Le ipotesi di revoca tacita, o presunta, sono tassativamente previste ex art 82 co.2, che menziona:
 da un lato, la mancata presentazione, in sede di discussione dibattimentale, delle conclusioni riservate ex art 523
co.1 al difensore della parte civile,
 dall’altro, il promuovimento dell’azione di danno davanti al giudice civile.

Indipendentemente dalla forma assunta, vale la regola generale in base alla quale la revoca della costituzione di parte civile non
preclude il successivo esercizio dell’azione aquiliana nella sede propria (art 82 co.4), pur dovendosi tenere presente il disposto
ex art 75 co.3, il quale stabilisce che:

 il giudizio civile resta sospeso finché, in sede penale, non venga pronunciata la sentenza non più soggetta ad
impugnazione.

27. Segue: i rapporti tra azione civile da reato e azione penale. (Art 75)
Dall’art 75 (“Rapporti tra azione civile e azione penale”) si ricava come il legislatore del 1998 ha cercato di conciliare il principio
dell’unità della giurisdizione (su cui si fondava il codice del 1930) e l’esigenza di evitare la contraddittorietà dei giudicai con il
principio della indipendenza dei giudizi fondato sull’assunto per cui electa una via non datur recursus ad alteram (scelta una via
non è possibile ricorrere ad altra).

Opera una scelta a favore dell’autonomia dei rispettivi giudizi.

ART 75  Rapporti tra azione civile e azione penale


“L’azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia
stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato.
L’esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del
procedimento civile.” (co.1)

“L’azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la
costituzione di parte civile.” (co.2)

“Se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o
dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più
soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previse dalla legge.” (co.3)

Ciò che più importa sottolineare è quanto dispone l’art 75 co.2:

 Se si prescinde dall’ipotesi di una volontà del danneggiato di trasferire la sua pretesa risarcitoria nell’ambito del
processo penale, niente impedisce che l’azione di danno procede in assoluta autonomia rispetto al parallelo processo
penale.

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Tale co.2 deve essere coordinato con gli art 651 e 652 dai quali emerge quanto segue:

 Nell’ipotesi in cui il processo penale si concluda con una sentenza irrevocabile di condanna, il danneggiato può
sfruttare nel giudizio civile l’efficacia di giudicato ad essa riconosciuta ex art 651 co.1;

 Mentre non può accadere il contrario, poiché, grazie alla clausola di salvezza inserita nella parte finale dell’art 652
co.1, è esclusa l’efficacia di giudicato della sentenza assolutoria.

L’art 75 co.3 fa salve “le eccezioni previste dalla legge”, con la conseguenza che il giudizio civile prosegue senza interruzioni il
suo corso quando:

a) Il processo penale è stato sospeso per incapacità dell’imputato;


b) Vi è stata esclusione della parte civile;
c) Non risulta possibile notificare personalmente all’imputato assente l’avviso dell’udienza preliminare;
d) La parte civile ha abbandonato il processo penale in seguito alla sua mancata accettazione del rito abbreviato;
e) L’esodo della parte civile consegue alla pronuncia di una sentenza che applica la pena su richiesta delle parti;
f) Viene accolta dal giudice la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova;
g) Il danneggiato, già costituitosi parte civile, esercita l’azione civile in sede propria, dopo che il giudice penale ha
dichiarato estinto il reato per intervenuta oblazione.

28. Il responsabile civile. (Art 83-88)


Il soggetto danneggiato dal reato, potrebbe agire per le restituzioni e il risarcimento del danno, oltre che nei confronti
dell’imputato:

 Anche nei confronti della persona fisica o dell’ente plurisoggettivo che, ex art 185 c.p., è tenuto a rispondere per il
fatto dell’imputato.

Si tratta del responsabile civile obbligato in solido col protagonista del processo penale.

Tralasciando le tante ipotesi disciplinate ex codice civile di responsabilità per fatto altrui, con più specifico riferimento ai
profili processuali, la presenza del responsabile civile è strettamente collegata all’inserimento e al mantenimento, da parte
del danneggiato, della pretesa restitutoria o risarcitoria all’interno del processo penale.

 Da un lato, non è ipotizzabile un intervento del responsabile civile antecedentemente alla costituzione di parte civile,
 Dall’altro, al recesso o all’esclusione della parte civile consegue l’estromissione del responsabile civile (art 83 co.6 e 85
co.4).

Il responsabile civile può essere:

 Sia citato su richiesta di parte  art 83;


 Sia intervenire volontariamente nel processo penale  art 85.

Ex art 83 co.1 (“Citazione del responsabile civile”), legittimati a richiedere la citazione sono esclusivamente:

 la parte civile  che ha un trasparente interesse a fare intervenire il coobbligato solidale;


 e il P.M.  limitatamente all’ipotesi in cui, sul presupposto di una “assoluta urgenza”, abbia esercitato l’azione civile a
favore dell’infermo di mente o del minore (art 77 co.4).

Quanto ai tempi della richiesta, l’art 83 co.2 stabilisce solo il termine finale, cioè:

 che venga “proposta al più tardi per il dibattimento”  Formula, questa, che non ostacola una possibile citazione del
responsabile civile per l’udienza preliminare.

Verificato il fumus boni iuris della richiesta, il giudice procedente ordina la citazione con un decreto, il cui contenuto è
specificato ex art 83 co.3.

Inspiegabilmente, tale disposizione tralascia un elemento essenziale di qualsiasi vocatio in iudicium; cioè l’indicazione della
data e del luogo dell’udienza, rispetto alla quale dovrà essere garantita l’osservanza dei termini dilatori normalmente previsti.

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La citazione è nulla qualora:

 per omissione o per erronea indicazione di qualche elemento essenziale, il responsabile civile non sia stato in grado di
esercitare i suoi diritti nell’udienza preliminare o nel giudizio,
 o qualora risulti nulla la relativa notificazione.

Ex art 84 co.1 (“Costituzione del responsabile civile”), il responsabile civile, regolarmente citato, non è per ciò solo tenuto ad
intervenire nel processo:

 può optare per una sua scelta rinunciataria, che non neutralizza il potere del giudice di addebitargli, in sentenza, la
responsabilità per il fatto dell’imputato;
 viceversa, può decidere di costituirsi, fermo restando che solo in tal caso assume la qualità di parte e si può avvalere
delle relative facoltà (ad esempio, quella di essere esaminato ex art 208).

Al pari della parte civile, sta in giudizio col ministero di un difensore;

inoltre, il responsabile civile, al quale è estesa la regola dell’immanenza della costituzione (art 84 co.4), può costituirsi in ogni
stato e grado del processo, anche per mezzo di procuratore speciale, depositando nella cancelleria del giudice procedente o
presentando in udienza una dichiarazione che deve contenere, a pena di inammissibilità, gli elementi indicati ex art 84 co.2.

se la citazione è regolare, l’assenza del responsabile civile non determina la sospensione o il rinvio del dibattimento, né una
nuova fissazione dell’udienza preliminare.

Anche se non è stato citato, il responsabile civile può intervenire volontariamente nel processo penale sempre che:

 vi sia stata costituzione di parte civile o il P.M. abbia agito come supplente ex art 77 co.4.

Relativamente alla forma, per l’intervento volontario, vale quanto disposto:

 ex co.1 e 2 art 84  con riferimento alla costituzione su richiesta di parte,


 nonché ex art 85 co.3 per cui, in caso di dichiarazione presentata fuori udienza, si impone la sua notificazione alle
altre parti, a cura del responsabile civile, stabilendo che la stessa abbia effetto dal giorno della rispettiva notificazione.

Dal punto di vista temporale, esiste un termine finale, stabilito a pena di decadenza, che coincide con l’effettuazione, in primo
grado, degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, previsti ex art 484.

Tanto la citazione (art 83 co.6) quanto l’intervento (art 85 co.4) del responsabile civile perdono efficacia in caso di revoca
della costituzione di parte civile o di esclusione di quest’ultima ex art 80 e 81.

Inoltre, va tenuta presente anche la possibilità di una sua esclusione su richiesta di parte o di ufficio.

Le parti legittimate a proporre l’esclusione sono:


 l’imputato, la parte civile e il P.M. ex art 86 co.1;
 anche il responsabile civile, costituitosi seguito di citazione  il quale può chiedere la propria esclusione:
- oltre che per ragioni di legittimazione,
- anche qualora “gli elementi di prova raccolti prima della citazione possano recare
pregiudizio alla sua difesa” (art 86 co.2).

La richiesta (motivata) di esclusione, sulla quale il giudice decide con ordinanza, deve essere proposta, a pena di decadenza:

 “non oltre il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nella udienza preliminare o nel dibattimento”
(art 86 co.3).

Per la fase dibattimentale, l’indicazione è da ritenersi imprecisa.

Ne consegue, dunque, una coincidenza col termine riservato al giudice per l’esclusione di ufficio del responsabile civile:

ex art 87 co.1 e 3 (“Esclusione di ufficio del responsabile civile”), l’esclusione sarà disposta, con ordinanza inoppugnabile:
 sia qualora venga accertata la mancanza dei requisiti per la citazione o per l’intervento del responsabile civile,
 sia qualora venga accolta dal giudice la richiesta di giudizio abbreviato.

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Quanto alla ratio di questa seconda ipotesi di esclusione, va tenuta presente la fisionomia del giudizio abbreviato, che implica
una decisione “allo stato degli atti”, sulla base, cioè, del materiale probatorio raccolto durante le indagini preliminari, alle
quali il responsabile civile è estraneo.

Vale, per il responsabile civile quanto si è in precedenza precisato circa la rilevanza meramente processuale dei provvedimenti di
ammissioni e di esclusione della parte civile (art 88 co.1 e 2).

Se, l’esclusione del responsabile civile è stata deliberata su richiesta della parte civile, viene meno, per il soggetto danneggiato
dal reato, la possibilità di esercitare l’azione riparatoria ex delicto in sede propria.

29. Il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e l’ente responsabile per l’illecito amministrativo
dipendente da reato. (Art 89)
La responsabilità della persona civilmente obbligata si concretizza nel momento in cui il condannato risulta insolvibile (art 534).

L’obbligazione a carico della persona/ente civilmente obbligati, è una forma di responsabilità civile verso lo Stato.

Essa ha natura sussidiaria ed eventuale, con caratteristiche fideiussorie. La condanna del civilmente obbligato è ad
esecutività condizionata all’insolvibilità dell’imputato, e non va iscritta nel casellario giudiziario.

Il civilmente obbligato è, per effetto della condanna, assoggettato al pagamento non della sanzione pecuniaria penale, ma
dell’equivalente importo.

Non è prevista la possibilità di un intervento volontario; perché la persona civilmente obbligata non avrebbe interesse, dato
che, se rimane fuori dal processo penale, risulta scongiurata l’eventualità di una sua condanna.

Invece, può essere citata, “per l’udienza preliminare o per il giudizio”, su richiesta del P.M. o dell’imputato (art 89 co.1),
entrambi interessati affinché la sanzione pecuniaria non resti infruttuosa.

Per quanto riguarda la citazione, la costituzione e l’esclusione della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria,
l’art 89 co.2 rinvia alla normativa dettata per il responsabile civile, escludendo l’applicabilità dell’art 87 co.3: non viene
disposta la sua esclusione da parte del giudice che accoglie la richiesta di giudizio abbreviato.

La recente normativa (d.lgs.231/2001), prevede l’irrogazione di sanzioni amministrative, consistenti nella sanzione pecuniaria,
nelle sanzioni interdittive, nella confisca e nella pubblicazione della sentenza, a carico degli enti forniti di personalità giuridica,
delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, qualora vengano accertati reati commessi nel loro
interesse o a loro vantaggio da parte di persone che rivestano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione
dell’ente, nonché di persone che ne esercitino, anche di fatto, la gestione e il controllo, ed infine, di persone sottoposte alla
direzione o alla vigilanza dei soggetti precedentemente menzionati.

La responsabilità amministrativa collegata al reato presupposto e le relative sanzioni possono venire in rilievo solo se
espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.

Quanto ai profili processuali, è prioritario chiarire che la cognizione dell’illecito amministrativo addebitabile all’ente appartiene
al giudice penale competente per il reato dal quale l’illecito amministrativo dipende

La partecipazione dell’ente al processo penale è solo eventuale; in caso di sua mancata costituzione, si stabilisce che bisogna
procedere alla dichiarazione di contumacia.

Tenuto conto del fatto che la categoria della contumacia è stata cancellata nel 2014, si tratta di un difetto di coordinamento,
al quale si deve ovviare in via interpretativa, ritenendo applicabile la vigente normativa relativa all’imputato assente.

30. La persona offesa dal reato. TITOLO VI (Art 90-95)


La disciplina della persona offesa dal reato è contenuta nel Titolo VI (art 90-95) e va tenuta distinta dal concetto di parte civile.

Il termine “vittima” è usato una sola volta ex art 498 co.4ter.

Ad essa è attribuibile la qualifica di soggetto, e non quella di parte processuale.


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A livello europeo, la tutela della persona offesa è particolarmente rilevante.

Da ricordare, è la direttiva 2012/29/UE che detta norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di
reato; con riferimento alle quali è costante la preoccupazione di scongiurare il paradosso di un processo penale, alla cui
instaurazione consegua il deleterio fenomeno della vittimizzazione secondaria.

Sulla scia dell’orientamento teso a garantire diritti, assistenza e protezione alle vittime di reato, è stato emanato il
d.lgs.212/2015, con cui l’Italia ha dato attuazione alla direttiva 2012/29/UE, adeguandosi alle regole europee sulla vittimologia.

Il dato più importante da evidenziare, è quello emergente ex art 90quater, dove vengono indicati i criteri dai quali è
desumibile che la persona offesa versa in una condizione di “particolare vulnerabilità”.

Gli elementi da prendere in considerazione sono:


 sia l’età della vittima e il suo eventuale stato di infermità/deficienza psichica,
 sia il tipo di reato nonché le modalità e le circostanze del fatto per il quale si procede.

Ex co.1 90quater, per la valutazione degli ultimi due criteri, bisogna accertare “se il fatto risulta commesso con violenza alla
persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, o di tratta degli esseri
umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o
economicamente dipendente dall’autore del reato.”

Qualora si pervenga alla conclusione che la persona offesa possa essere definita particolarmente vulnerabile, le devono
essere assicurate varie forme di tutela, previste per rispettare il più possibile la fragilità psico-emotiva di persone seriamente
ferite dal reato commesso nei loro confronti.

Con la legge di stabilità del 2016, viene stabilita l’attivazione, nelle aziende sanitarie ed ospedaliere, di un protocollo di
protezione denominato “Percorso di tutela delle vittime di violenza” (c.d. codice rosa), finalizzato a garantire un supporto
medito e psicologico alle persone vulnerabili che abbiano subito la “altrui violenza, con particolare riferimento alle vittime di
violenza sessuale, maltrattamenti o atti persecutori”.

Vale la pena ricordare la l.122/2016 che mira ad attuare la direttiva 2004/20/CE, finalizzata a garantire un indennizzo da parte
dello Stato alle vittime di un reato intenzionale violento, anche se commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui il
richiedente l’indennizzo risiede abitualmente.

La richiesta di indennizzo è formulabile da chi è rimasto vittima sia di un reato doloso commesso con violenza alla persona, sia
del reato previsto ex art 603bis c.p.

L’indennizzo mira alla rifusione delle spese mediche e assistenziali, tranne che nel caso di omicidio e violenza sessuale, essendo
in questi casi elargito anche in assenza di tali spese.

Per i presupposti per il conseguimento dell’indennizzo, i più importanti consistono:

 nella titolarità, da parte del richiedente, di un reddito annuo non superiore a quello previsto per l’ammissione al
patrocinio a spese dello Stato,
 e nell’infruttuoso esperimento dell’azione esecutiva nei confronti dell’autore del reato,

fatta salva:

 sia l’ipotesi in cui il giudice penale abbia dichiarato che quest’ultimo (autore del reato) è rimasto ignoto,
 sia quella in cui l’autore del reato abbia ottenuto l’ammissione al gratuito patrocinio nel procedimento penale/civile
sfociato nell’accertamento della sua responsabilità.

Eccezione, quest’ultima, introdotta con la legge europea 167/2017, che ha aumentato sensibilmente il contenuto annuale
dello Stato previsto dal legislatore del 2016 a favore del “Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo
mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati intenzionali violenti.”

31. I diritti e le facoltà della persona offesa.


L’art 90, disciplinante “diritti e facoltà della persona offesa dal reato” riconosce, al co.1 la legittimazione, per l’offeso dal reato,
a “presentare memorie e, con esclusione del giudizio di cassazione, a indicare elementi di prova”.

Dunque, la persona offesa è legittimata a presentare, lungo l’intero arco del procedimento, memorie, cioè elaborati scritti di
vario contenuto, coi i quali si possono avanzare istanze, illustrare questioni o toccare temi rilevanti per il processo.
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A seconda dei casi, le memorie saranno indirizzate:

 Al P.M.  es. per prospettare una diversa ricostruzione del fatto criminoso o per sollecitare la richiesta di una misura
cautelare,
 O al giudice es. per eccepire una nullità.

In entrambe le ipotesi tali soggetti non hanno il dovere di deliberare sulle medesime.

Sempre in via generale, alla persona offesa è riconosciuto anche, in ogni stato e grado del procedimento (escluso il giudizio
davanti la corte di cassazione) il potere di “indicare elementi di prova”.

Un settore in cui il ruolo della persona offesa risulta particolarmente valorizzato è quello della “sospensione del processo con
messa alla prova”, introdotta con la l.67/2014 e che ha affiancato l’omogenea figura di probation processuale operante nel
settore minorile.

Nell’ipotesi in cui sia praticabile e abbia successo l’attività di mediazione tra imputato e persona offesa, tale circostanza
costituisce la premessa di una valutazione positiva della prova e della conseguente declaratoria di estinzione del reato.

Sulla questione della capacità processuale, l’art 90 co.2 prende in considerazione il soggetto minorenne nonché quello
interdetto per infermità di mente/inabilitato, rinviando a quanto disposto ex art 120 e 121 c.p. in tema di esercizio del diritto di
querela:

 Per un verso, i minori under 14 e gli interdetti per infermità di mente, devono essere rappresentati dai genitori e dal
tutore; mentre, trattandosi di minore 14-18 anni o di inabilitato, la legittimazione ad esercitare i diritti e le facoltà
riconosciuti alla persona offesa spetta tanto al diretto interessato quanto ai genitori, al tutore ed al curatore;

 Per altro verso, il richiamo dell’art 121 c.p. autorizza la nomina di un curatore speciale.

In ogni caso, a differenza di quanto previsto per le parti private, la legge autorizza, ma non obbliga, la persona offesa a
nominare un difensore (art 101 co.1), il quale è legittimato a svolgere anche le investigazioni difensive ex Titolo VI-bis libro V

Dunque, la persona offesa potrà operare anche in prima persona.

Per concludere l’analisi dell’art 90, esso è stato modificato dal d.lgs.212/2015, il quale oltre ad integrare il co.3, ha introdotto
anche il co.2bis.

Il co.2bis disciplina l’ipotesi in cui si concretizzi una situazione di incertezza circa la minore età della persona offesa.

Il giudice dispone, anche di ufficio, una perizia e, se nonostante ciò, il dubbio non viene sciolto, la minore età è presunta.

Per quanto riguarda il co.3, si tratta di una disposizione in cui viene sancita ope legis un’estensione soggettiva delle prerogative
riservate alla persona offesa, allorché quest’ultima sia deceduta in conseguenza del reato.

Grazie al d.lgs. del 2015 si è allargata la cerchia delle persone a cui sono attribuiti le facoltà ed i diritti riservati alla persona
offesa; si avvantaggiano, ormai:
 non solo i prossimi congiunti di chi è deceduto in conseguenza del reato,
 ma anche le persone che, oltre ad essere a lui legate da una relazione affettiva, convivano stabilmente col medesimo.

Con la modifica del 2017 è da ricomprendere, nel novero, anche “la parte di un’unione tra persone dello stesso sesso”.

Il d.lgs.212/2015 ha anche introdotto gli artt. 90bis e 90ter (oltre al già citato 90quater).

Con l’art 90bis (“Informazioni alla persona offesa“) si stabilisce che la persona offesa debba essere informata in una lingua a lei
comprensibile e con riguardo ai diritti informativi, si è riconosciuto alla persona offesa il diritto di chiedere all’autorità
procedente informazioni relative allo stato del procedimento, senza pregiudizio del segreto investigativo, una volta che siano
decorsi 6 mesi dalla presentazione della denuncia/querela (art 335 co.3ter).

Coerentemente, si è inserito nella comunicazione sui diritti ex art 90bis l’avviso della “facoltà di ricevere comunicazione del
procedimento e delle iscrizioni di cui all’art 335 co.1,2,3ter”.

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Il richiamo alla necessità di tutelare il segreto investigativo e il riferimento alla mera possibilità di “chiedere di essere informata”
sembrano lasciare un’ampia discrezionalità all’autorità procedente.

L’obiettivo di fornire alla persona offesa un elemento di conoscenza caratterizza pure l’art 90ter (“Comunicazioni dell’evasione e
scarcerazione”).

Con tale norma viene data attuazione alla direttiva 2012/29/UE che obbliga gli Stati membri a garantire alla vittima la
possibilità di essere informata senza ritardo della scarcerazione/evasione della persona indagata, imputata o condannata

Dunque, affinché si proceda alla comunicazione in esame, devono sussistere 3 condizioni:


 il processo penale deve riguardare o aver riguardato un delitto commesso “con violenza alla persona”;
 bisogna che la persona offesa abbia richiesto di essere informata;
 si deve poter escludere che dalla comunicazione alla persona offesa derivi il pericolo concreto di un danno per
l’imputato, il condannato, l’internato

danno ricollegabile ad eventuali condotte di carattere ritorsivo.

Per concludere, la comunicazione delle informazioni elencate ex art 90bis nonché quella della segnalazione ex art 90ter, non
sono previste a pena di nullità, per cui dalla loro eventuale omissione deriva una semplice irregolarità (art 124 co.1).

32. Gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato.


Se si tiene presente che esistono reati che violano interessi collettivi/diffusi, si riesce a comprendere la ratio dell’art 91, che
crea un soggetto processuale ignoto alla legislazione previgente, equiparandolo alla persona offesa dal reato.

ART 91 Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato
“Gli enti e le associazioni senza scopro di lucro ai quali, anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, sono state
riconosciute, in forza di legge, finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare, in ogni stato e grado del
procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato.” (co.1)

Ex art 92 (“consenso della persona offesa”), si ricava che la partecipazione degli enti/associazioni è subordinata al consenso
della persona offesa, al fine di evitare l’intervento di soggetti non graditi a quest’ultima, effettiva portatrice dell’interesse leso
dal reato (es. associazioni di tutela dei minori, in processi per reati di pedofilia).

Si prevede un regime particolarmente rigoroso per quanto attiene alle forme di manifestazione del consenso, il quale può essere
accordato a favore di una sola associazione e revocato in ogni momento con le medesime forme.

Con l’art 93 si disciplina l’”intervento degli enti o delle associazioni”, delineando gli elementi che l’atto di intervento deve
contenere a pena di inammissibilità.

Ex art 94 (“Termine per l’intervento”), gli enti e le associazioni rappresentative di interessi lesi possono intervenire nel
procedimento fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti ex art 484 (“Costituzione delle parti”).

L’art 95 disciplina i “provvedimenti del giudice”.

L’intervento degli enti esponenziali comporta una fase incidentale di controllo sulla sua ammissibilità; la procedura è diversa
a seconda che l’intervento sia avvenuto in udienza o fuori da essa.

Inoltre, è previsto un controllo ex officio del giudice il quale, seppure nella fase successiva all’esercizio dell’azione penale, può
escludere l’ente qualora accerti la mancanza dei requisiti richiesti.

Occorre considerare, infine, l’estromissione che il giudice dispone ex officio quando accerta, “in ogni stato e grado del
processo”, la mancanza dei requisiti richiesti dalla legge per l’intervento dell’ente collettivo (art 95 co.4). Ad ogni modo:

 Se da un lato, il termine finale è molto più ampio di quelli stabiliti per la dichiarazione di opposizione,
 Dall’altro, è necessario attendere l’inizio del processo.

Con la conseguenza che, nel corso delle indagini preliminari, l’estromissione dell’ente collettivo deve essere collegata ad
un’opposizione di parte.

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33. Il querelante
L’esercizio dell’azione penale, da parte del P.M., in relazione ad una serie di reati espressamente indicati dal legislatore, è
subordinato ad un’esplicita voluntas persecutionis, che la persona offesa o, in sua vece, gli altri soggetti menzionati ex art 120
(“Diritto di querela”) e 121 (“Querela esercitata da un curatore speciale”) c.p. sono tenuti ad esprimere nella forma della querela
(art 50 co.2).

 Da un lato, la querela appartiene alla categoria delle notizie di reato, e in particolare, alla sottocategoria delle condizioni di
procedibilità;
 Dall’altro, è innegabile l’importanza della posizione del querelante nel processo penale sviluppatosi in seguito alla sua
iniziativa.

Infatti, ex art 178 co.1 lett.c, si sanziona con nullità l’omessa citazione in giudizio del querelante; così come altri articolo che
gli riconoscono una certa importanza.

Si tratta, infatti, di una posizione di ben maggiore rilievo rispetto a quella in cui si collocano gli autori di altri tipi di notitiae
criminis.

La normativa di riferimento per il querelante è quella contenuta nel codice penale (art 120-126), da richiamare per un miglior
apprezzamento di quanto contenuto nel codice di rito.

Un primo dato da considerare concerne i limiti temporali entro cui deve essere presentata la querela:

 Di regola  entro 3 dal giorno della notizia del fatto (con possibilità di raddoppio del termine per alcuni reati ex art
609septies c.p.).

Nel caso in cui si debba nominare un curatore speciale per la presentazione della querela, il termine decorre dal giorno in cui
gli è notificato il decreto di nomina.

È necessario che, da parte del soggetto legittimato a sporgere querela non vi sia stata rinuncia, la quale opera automaticamente
nei confronti di tutti gli autori del reato, e che può essere espressa o tacita.

Circa le forme della rinuncia espressa, si rinvia all’art 339 (“Rinuncia alla querela”), il cui co.2 sancisce l’inefficacia dell’atto
abdicativo sottoposto a termini/condizioni.

Ulteriore principio, è espresso dalla regola della c.d. indivisibilità della querela, operante sul lato attivo e passivo:
 Il reato commesso in danno a più soggetti è perseguibile anche quando la querela sia presentata da una sola delle
persone offese (art 122 c.p.);
 In caso di concorso di persone nel reato, la querela contro una di esse si estende di diritto agli altri concorrenti (art
123 c.p.).

A parte limitate eccezioni (contenute nel c.p.), il diritto di querela si estingue

 in seguito alla morte della persona offesa che non lo abbia ancora esercitato, mentre, in caso contrario, la morte è
irrilevante ai fini dell’estinzione del reato (art 126 c.p.).

L’estinzione del reato consegue, invece:

 alla remissione della querela (art 152 co.1 c.p.)  sempre che il querelato non l’abbia espressamente o tacitamente
ricusata (art 155 co.1 c.p.), e fermo restando che, se la querela è stata proposta da più persone, affinché si produca
l’effetto estintivo, è necessaria la remissione di tutti i querelanti (art 154 co.1 c.p.).

Si tratta, in sostanza, di una revoca da effettuare (salvo che non sia esclusa dalla legge) in ambito processuale o extrapenale,
prima che sia divenuta irrevocabile la sentenza di condanna (art 152 co.3 c.p.).

Come per la rinuncia, la remissione:


 può avvenire sia in forma espressa che tacita
 non può essere sottoposta a condizioni o termini,
 e in caso di concorsi di persone nel reato, si estende a tutti i concorrenti eccetto per chi l’abbia ricusata.

In tema di remissione tacita, le S.U. hanno stabilito che la mancata comparizione all’udienza dibattimentale del querelante
va interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela (art 152 c.1 c.p.).
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Per quanto riguarda i profili formali della remissione bisogna far capo all’art 340 (“Remissione della querela”), il cui co.4 pone le
spese a carico del querelato, salvo che sia diversamente convenuto.

Con riferimento ai reati per i quali è prevista ex art 550 la citazione diretta davanti al tribunale in composizione
monocratica, vale la pena di ricordare la remissione ex art 555 co.3, la quale consegue al tentativo di conciliazione tra il
querelato e la persona offesa esperito con successo dal giudice in sede di udienza di comparizione.

Il capitolo dei reati perseguibili a querela è stato oggetto di particolare attenziona da parte della l.103/2017 (c.d. Riforma
Orlando), intervenuta con lo scopo di alleggerire il carico di lavoro degli uffici giudiziari:

 da un lato, è stato introdotto l’art 162ter c.p.  che ricollega l’estinzione del reato alla messa in atto di “condotte
riparatorie” da parte dell’imputato, fermo restando che la declaratoria di estinzione è circoscritta ai “casi di
procedibilità a querela”, e sempre che si tratti di reati per i quali è ammessa la remissione della medesima.

 Dall’altro, si è demandato al legislatore delegato il compito di procedere ad un ampliamento delle ipotesi in cui la
perseguibilità del reato sia subordinata alla presentazione di apposita querela.

In conformità a quanto detto, il d.lgs.36/2018 ha previsto ex novo la necessità della querela nelle fattispecie disciplinate dai
seguenti articoli del codice penale:
- Art 612 co.2  limitatamente alla previsione della minaccia “grave”;
- Art 615 co.2; art 617ter co.1; art 617sexies co.1; art 619 co.1 e art 620 c.p.

Inoltre, è intervenuto su altr disposizioni del c.p., riducendo/eliminando il riferimento a circostanze aggravanti la cui
ricorrenza escludeva la procedibilità a querela prevista per il reato base; con la conseguenza che si procede d’ufficio “qualora
ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale”.

Inoltre, il d.lgs.36/2018 ha dettato una disciplina transitoria articolata nelle 2 previsioni seguenti:
1) Se i reati divenuti perseguibili a querela sono stati commessi prima della entrata in vigore del decreto in esame, il
termine per presentare la querela decorre dalla data della sua entrata in vigore, sempre che la persona offesa
abbia avuto in precedenza notizia del fatto di reato;

2) Qualora il procedimento penale sia pendente, il P.M., nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo
l’esercizio dell’azione penale, informa la persona offesa della sua facoltà di presentare querela e il termine decorre
dal giorno della suddetta informativa.

Non appena entrata in vigore, quest’ultima previsione ha dato origine ad alcuni dubbi, tuttora in attesa di risposta.

34. Il difensore di fiducia dell’imputato. TITOLO VII (Art 96-108)


Molte sono le disposizioni dedicate alla difesa tecnica, attenzione riservatale dal momento in cui si sono poste le basi del nuovo
modello processuale (accusatorio).

Ciò è una logica conseguenza dell’inviolabilità del diritto di difesa ex art 24 co.2 Cost, il quale garantisce copertura:

 sia per la difesa tecnica,


 sia per l’autodifesa  attività che l’imputato esplica personalmente per dimostrare l’inconsistenza o la minore gravità
dell’accusa a suo carico.

Grazie al nuovo modello accusatorio, il difensore dell’imputato viene a svolgere un ruolo più importante e più impegnativo,
essendo tenuto non solo a dimostrare la scarsa significatività degli elementi di prova a valenza accusatoria, ma anche ad
individuare e ad acquisire elementi probatori che scagionino l’imputato o alleggeriscano la sua posizione.

Rilevante è anche la disciplina che nega qualsiasi spazio all’ipotesi di un’esclusiva autodifesa dell’imputato.

La disciplina del difensore è contenuta nel Titolo VII (art 96-108).

L’art 96 apre la disciplina con il “difensore di fiducia”, riconoscendo all’imputato il diritto di nominare non più di due difensori
di fiducia (co.1), per cui è senza effetto la terza eventuale nomina, finché non sia revocata una delle 2 precedenti nomine.

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Nel co.2 vengono disciplinate le 3 possibili modalità di nomina:


 dichiarazione orale resa dall’interessato all’autorità procedente;
 dichiarazione scritta consegnata alla medesima dal difensore;
 documento di nomina trasmessole con raccomandata.

Non è necessaria l’autenticazione/certificazione da parte del difensore dell’autografia della sottoscrizione.

Si è in presenza di un atto a forma libera, il cui fondamentale requisito è quello di esprimere la scelta del suo autore.

Ex art 391nonies (“Attività investigativa preventiva”), introdotto nel 2000, la nomina del difensore può essere fatta in via
preventiva, cioè “per l’eventualità che si instauri un procedimento penale”;

in tal caso, il mandato difensivo (la nomina), da rilasciare con sottoscrizione autenticata, deve contenere, oltra all’indicazione
del difensore, quella “dei fatti ai quali si riferisce” (co.2).

Ovviamente, il difensore deve essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge professionale per assistere e rappresentare
l’imputato nel processo, altrimenti si configura un vizio equiparabile all’assenza del difensore.

Può essere utile distinguere le 3 seguenti figure:


 praticante avvocato  può patrocinare davanti al giudice di pace e al tribunale in composizione monocratica nei soli
processi aventi ad oggetto i reati previsti ex art 550, per i quali si procede con citazione diretta a giudizio;

 l’avvocato  può svolgere il suo ruolo di difensore nei processi davanti ad ogni giudice penale, eccetto per la corte di
cassazione;

 l’avvocato iscritto nello speciale albo  può difendere anche davanti la cassazione. È sottoposto ad una verifica
triennale per accertare la “sussistenza dell’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e
prevalente”, pena la cancellazione dall’albo.

La prestazione del difensore di fiducia costituisce l’oggetto di un contratto per la cui conclusione è indispensabile l’accettazione
sia pure implicita del nominato.

Ovviamente, l’imputato è libero di scegliere il proprio difensore, senza alcun limite derivante dall’appartenenza etnica o
linguistica.

Inoltre, la nomina produce si suoi effetti, salvo cause risolutive del rapporto contrattuale sopravvenute, per tutto l’arco del
processo di cognizione (con proroga automatica in executivis dell’investitura effettuata dall’imputato per il processo di
cognizione ex art 656 co.5).

In considerazione della ridotta autonomia conseguente alla custodia carceraria, non si può più parlare di libera scelta del
difensore da parte dell’imputato quando questi è sottoposto alla più radicale restrizione della sua libertà personale.

Si deve riconoscere l’opportunità della regola che legittima i prossimi congiunti della persona arrestata, fermata o sottoposta
a custodia cautelare in carcere ad attivarsi in sua vece.

Ex art 96 co.3, è riconosciuto a costoro la facoltà di nominare con le stesse forme previste per la nomina diretta, un difensore
di fiducia che cessa di operare non appena l’interessato manifesti una diversa volontà.

Inoltre, vige un divieto per la P.G. di dare consigli sulla scelta del difensore di fiducia (art 25 disp.att.).

35. Il difensore d’ufficio.


Se l’imputato non ha nominato un difensore di fiducia o ne sia rimasto privo, ex art 97 co.1, deve essere assistito da un
“difensore di ufficio”:

a) La sua presenza è correlata all’imputato (anche se dal 2001 è previsto anche per il testimone c.d. assistito e per l’ente
responsabile per l’illecito amministrativo dipendente da reato, che si sia costituito nel relativo processo penale);
b) Il suo ruolo è sussidiario rispetto al difensore di fiducia; se quest’ultimo viene nominato, il primo cessa dalle funzioni;
c) Ha l’obbligo di prestare il patrocinio salvo che in presenza di un giustificato motivo (art 97 co.5); invece, il difensore di
fiducia è libero di non accettare la nomina.

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Deve essere iscritto nell’elenco nazionale o avere conseguito il titolo di specialista in diritto penale. Inoltre, è tenuto ad
avvisare immediatamente l’A.G. specificando le ragioni ostative, in modo che si proceda ad una nuova designazione.

Per adeguare l’istituto a criteri che ne garantissero l’effettività, in correlazione anche con l’art 111 Cost, dove di proclama che il
contraddittorio tra le parti debba svolgersi “in condizioni di parità” e che la persona accusata deve disporre “del tempo e delle
condizioni necessari per preparare la sua difesa”, sono stati promulgati due provvedimenti legislativi, ossia la l.60/2001 e la
l134/2001.

Circa la regolamentazione della difesa di ufficio, il d.lgs.6/2015 ha modificato sia l’art 97 co.2, sia l’29 disp.att..

Si è cercato di rendere più selettivi i requisiti necessari per essere iscritti nell’elenco nazionale dei difensori di ufficio; con la
conseguenza che l’avvocato deve dimostrare di essere in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti (art 29 disp.att.):

a) Partecipazione, con superamento dell’esame finale, ad un corso biennale di formazione e aggiornamento professionale
in materia penale;
b) Iscrizione all’albo da almeno 5 anni, accompagnata da una documentata esperienza nella materia penale;
c) Conseguimento del titolo di specialista in diritto penale.

Ad ogni modo, ogni anno l’interessato deve presentare, per evitare la cancellazione dall’albo, una documentazione comprovante
l’esercizio continuato dell’attività nel settore penale.

inoltre, si è attribuito al Consiglio nazionale forense la competenza in ordine alle iscrizioni ed al periodico aggiornamento.

Il perno del nuovo sistema va individuato nell’ufficio, con recapito centralizzato, che deve essere istituito presso l’ordine
forense del capoluogo del distretto di ogni corte d’appello:
 È l’ufficio in questione che fornisce, sulla base di una selezione automatica, il nominativo del difensore d’ufficio,
ogniqualvolta gli pervenga la relativa richiesta da parte dell’A.G. o della P.G.

Per riassumere,

l’art 97, per garantire l’effettività della difesa, ha previsto la nascita dell’albo dei difensori di ufficio. L’elenco dei difensori di
ufficio, con la riforma in materia si prevede che venga unificato su base nazionale.

I difensori iscritti nell’albo potranno essere nominati ogni volta che un soggetto che ne sia sfornito necessita di assistenza legale
(quindi anche nel caso in cui il P.M. o il giudice debbano compiere un atto che richiede la presenza del difensore).

L’effettività della difesa è garantita dal fatto che il difensore nominato rimane lo stesso per tutto l’arco del processo.

Inoltre, se l’imputato non è abbiente, potrà chiedere di essere ammesso al gratuito patrocinio.

36. Patrocinio dei non abbienti e poteri del difensore.


Lo Stato assicura ai non abbienti “i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione” (art 24 co.3 Cost).

ART 98  Patrocinio dei non abbienti


“L’imputato, la persona offesa dal reato, il danneggiato che intende costituirsi parte civile e il responsabile civile possono
chiedere di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, secondo le norme della legge sul patrocinio dei non abbienti”.
(co.1)

Il patrocinio dei non abbienti si traduce nel diritto, garantito dalla Costituzione, alla difesa legale ed all’assistenza ausiliaria e
tecnica ad opera di professionisti, quali consulenti tecnici, notai ed ufficiali giudiziari, scelti dallo stesso interessato ed obbligati
a prestarla, sempre a spese dello Stato, nonché all’esonero dal pagamento delle spese processuali, comprese quelle per la
consulenza tecnica, anche quando non sia esperita consulenza del P.M. o perizia di ufficio.

Il patrocinio è gratuito per l’interessato, ma i professionisti prescelti devono essere retribuiti dallo Stato.

La persona offesa dai reati di violenza sessuale, nonché, ove commessi in danno ai minori, dai reati di prostituzione e
pornografia minorile, può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal d.P.R. 115/2002 (€
11.369, 24).

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Il d.l.93/2013 convertito in l.119/2013 (Femminicidio), stabilisce che, attualmente è assicurata l’ammissione al patrocinio a
spese dello Stato anche alla persona offesa dai delitti di maltrattamenti, atti persecutori e mutilazioni o lesioni di organi
genitali femminili in deroga ai limiti di reddito previsti dal decreto citato.

Ad ogni modo, è importante evidenziare l’innalzamento alla soglia di € 11.493,82 del reddito annuale che consente di
usufruire del patrocinio a spese dello Stato.

È previsto che il limite di reddito venga modificato ogni 2 anni in base alle variazioni dell’indice Istat.

Nonostante l’innalzamento, rispetto al passato (si ammetteva al patrocinio chi avesse un reddito inferiore di lire 11.260.000 = €
5.815,30) dei limiti di reddito, il progresso è largamente inadeguato.

Una soluzione adottata in altri paesi (es .Francia) ed ignorata da noi, avrebbe potuto essere quella di prevedere due distinti
livelli di reddito, e di riservare un’esenzione solo parziale dalle spese processuali ai titolari del reddito di livello meno basso.

Analoga impostazione emerge dalla direttiva 2016/1919/UE, concernente l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per
indagati e imputati nell’ambito di procedimenti penali e per e persone ricercate nell’ambito di procedimenti di esecuzione del
mandato d’arresto europeo.

Ci si è preoccupati del rischio che vengano ammessi al patrocinio soggetti i quali non versino in realtà nella situazione di “non
abbienza”.

Dunque, l’istanza di ammissione al patrocinio deve essere respinta qualora il tenore di vita, le condizioni personali e familiari
del richiedente nonché le attività economiche da lui eventualmente svolte offrano al giudice “fondati motivi” per ritenere che
il reddito da prendere in considerazione superi il tetto stabilito dalla legge.

Recentemente questa impostazione è stata ribadita dal legislatore con termini troppo drastici. Un articolo introdotto col
d.l.92/2008 ha infatti stabilito che, nel caso di un soggetto già condannato con sentenza definitiva per taluni delitti
contestualmente elencati, il livello di reddito richiesto ai fini dell’ammissione al patrocinio statale “si ritiene” superato.

Inoltre, in merito agli effetti dell’ammissione al patrocinio, è stato disposto che il difensore del soggetto ammesso al patrocinio
può nominare sia un sostituto, sia un investigatore privato autorizzato;

a sua volta, si prevede anche che il soggetto ammesso al patrocinio possa “nominare un consulente tecnico di parte”.

La scelta del sostituto, dell’investigatore e del consulente tecnico può avvenire (rispetto al passato) anche al di fuori
dell’ambito distrettuale, sia pur con la clausola che in tal caso non sono dovute le spese e le indennità di trasferta imputabili al
travalicamento di tale ambito.

Per completare il quadro, è opportuno dare atto del superamento di taluni divieti e limitazioni contenuti nella l.217/1990.

1) In primis, l’ammissione al patrocinio non è più ostacolata dalla natura contravvenzionale del reato per cui si procede;

2) in secundis, risulta superato il disposto che non consentiva la sostituzione del difensore solo per giustificato motivo e
previa autorizzazione del giudice procedente;

3) in terzo luogo, si attenua il divieto di nomina di un secondo difensore  attualmente, grazie al d.P.R.115/2002, è
ammessa la nomina di un secondo difensore “limitatamente agli atti che si compiono a distanza”.

Eccettuata tale ipotesi, la nomina di un secondo difensore implica che gli effetti dell’ammissione al patrocinio a spese dello
Stato vengano a cessare.

Ritornando al codice, occorre ribadire la regola che (nel definire in via generale i poteri del difensore) estende a quest’ultimo le
facoltà ed i diritti spettanti all’imputato medesimo (art 99 co.1 “Estensione al difensore dei diritti dell’imputato”).

Al difensore è precluso l’esercizio di diritti e facoltà che presuppongono l’imputato come soggetto agente, ma anche in relazione
a quegli atti riservati personalmente a quest’ultimo.

Resta salva la possibilità per l’imputato di togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all’atto compiuto dal difensore,
anche se per ragioni più che evidenti tale iniziativa deve essere assunta anteriormente alla pronuncia del giudice inerente
all’atto controverso (co.2 art 99).

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37. Il difensore delle parti eventuali, della persona offesa e degli enti rappresentativi di interessi lesi dal
reato.
Analogamente a quanto previsto per la costituzione delle parti nel processo civile, si stabilisce che la parte civile, il responsabile
civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria stiano in giudizio colo ministero di un solo difensore (art 100
co.1) munito di procura speciale, ossia relativa al processo in corso, da presumere conferita solo per un determinato grado a
meno che nell’atto sia espressa una volontà diversa (co.3).

Circa la forma, è ammessa l’apposizione della procura in calce o a margine dei vari atti mediante i quali avviene l’ingresso della
parte nel processo penale.

Quale rappresentante della parte privata, il difensore può compiere e ricevere tutti gli atti del procedimento tranne quelli che la
legge riserva espressamente al rappresentato, il cui domicilio deve intendersi automaticamente eletto ad ogni effetto
processuale presso il difensore (co.5).

Inoltre, in assenza di una procura ad hoc, quest’ultimo non può compiere atti implicanti disposizioni del diritto in contesa (co.4)

Come si ricava dall’art 101 co.2 “difensore della persona offesa”, la normativa opera anche nei confronti degli enti
rappresentativi degli interessi lesi dal reato, obbligati a stare in giudizio col ministero di un difensore, mentre lo stesso non
può dirsi con riferimento alla persona offesa.

Per la persona offesa, la nomina di un solo difensore (da effettuare con le modalità di nomina del difensore dell’imputato ex
art 96 co.2) è infatti solo facoltativa (art 101 co.1), pur essendo doveroso rilevate ce in alcuni contesti processuali è ammessa
solo la partecipazione del difensore;
presso di lui risulta automaticamente domiciliata la persona offesa.

Inoltre, al difensore eventualmente nominato spetta l’esercizio dei diritti e delle facoltà riconosciuti alla persona offesa, i quali
si vanno ad aggiungere al potere di presentare in ogni stato e grado del processo memorie e richieste.

Anche il difensore della persona offesa (ex art 101) è legittimato a svolgere le investigazioni difensive ex titolo VI-bis Libro V.

38. Il sostituto del difensore.


Per garantire la continuità dell’esercizio della difesa tecnica, è stata disposta la disposizione che legittima il difensore a
nominare un sostituto (art 102 co.1).

ART 102  Sostituto del difensore


“Il difensore di fiducia e il difensore d’ufficio possono nominare un sostituto.” (co.1)

“Il sostituto esercita i diritti e assume i doveri del difensore.” (co.2)

La l.60/2001 ha modificato il co.1, facendo venir meno la necessaria sussistenza di un impedimento, rendendo la nomina del
sostituto una facoltà del difensore di fiducia e di quello d’ufficio.

Affinché sia efficace, la designazione deve essere portata a conoscenza dell’autorità procedente con le stesse forme indicate ex
co.2 art 96 per la nomina del difensore di fiducia.

Spetta al difensore nominare il sostituto, eccetto per le ipotesi prese in considerazione nell’art 97 co.4, dove è previsto che
provveda alla designazione il giudice o (nei solo casi di urgenza e previa adozione di un provvedimento motivato che indichi le
ragioni dell’urgenza) il P.M. o la P.G.

Quanto ai poteri del sostituto, è indubbio che la sostituzione non incide sulla titolarità dell’incarico difensivo, fermo restando
che il difensore sussidiario esercita i diritti ed assume i doveri del difensore impedito (art 101 co.2).

Deve ritenersi che tale traslazione non coinvolga quelle situazioni soggettive processuali aventi come fonte una procura
speciale conferita dalla parte al difensore sostituito, con la conseguenza che, ad esempio, è da considerare inammissibile la
richiesta di patteggiamento formulata dal sostituto qualora la relativa procura speciale sia stata conferita solo al difensore
che si è avvalso della sostituzione.

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39. Le garanzie di libertà del difensore


Il diritto di difesa pone a vantaggio del difensore dei limiti ai poteri investigativi degli organi inquirenti.

L’art 103, disciplinante le “garanzie di libertà del difensore” si fa carico del problema.

ART 103  Garanzie di libertà del difensore


“Le ispezioni e perquisizioni, se effettuate negli uffici dei difensori, sono consentite solo in 2 ipotesi:
a) Quando essi o altre persone che svolgono attività dello stesso ufficio sono imputati, limitatamente per
l’accertamento del reato loro attribuito;
b) Per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificatamente predeterminate.”
(co.1)

“Presso i difensori e gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, nonché presso i consulenti
tecnici non si può procedere a sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del
reato.” (co.2)

“Nell’accingersi a eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell’ufficio di un difensore, l’A.G. a pena di nullità
avvisa il consiglio dell’ordine forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle
operazioni.
Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento.” (co.3)

“Alle ispezioni, perquisizioni e ai sequestri negli uffici dei difensori procede personalmente il giudice o, nel corso delle indagini
preliminari, il P.M. in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice.” (co.4)

“Non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati
e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro
assistite.” (co.5)

“Sono vietati il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza tra l’imputato e il proprio difensore in quanto
riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l’A.G. abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.”
(co.6)

“Salvo quanto previsto ex co.3 art 271, i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o
comunicazioni, eseguiti in violazione delle disposizioni precedenti, non possono essere utilizzati.
Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate,
il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate solo la data,
l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.” (co.7)

La riforma delle intercettazioni (l.216/2017) modifica alcune disposizioni del codice di rito con la finalità di garantire la
riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione;

in particolare, relativamente alla riservatezza delle comunicazioni dei difensori nei colloqui con l’assistito.

40. Il colloquio del difensore con l’imputato privato della libertà personale.
ART 104  Colloqui del difensore con l’imputato in custodia cautelare
“L’imputato in stato di custodia cautelare ha diritto di conferire col difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della misura.”
(co.1)

“La persona arrestata in flagranza, o fermata ex art 384 ha diritto di conferire col difensore subito dopo l’arresto/fermo”.
(co.2)

“Nel corso delle indagini preliminari per i delitti ex art 51 co.3bis e 3quater, quando sussistono specifiche ed eccezionali
ragioni di cautela, il giudice, su richiesta del P.M. può, con decreto motivato, dilazionare, per un tempo non superiore a 5
giorni, l’esercizio del diritto di conferire col difensore.” (co.3)

“Nell’ipotesi di arresto o di fermo, il potere previsto ex co.3 è esercitato dal P.M. fino al momento in cui l’arrestato o il fermato
è posto a disposizione del giudice.” (co.4)

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“L’imputato in stato di custodia cautelare, l’arrestato e il fermato, che non conoscono la lingua italiana, hanno diritto
all’assistenza gratuita di un interprete per conferire con il difensore a norma dei commi precedenti.
Per la nomina dell’interprete si applicano le disposizioni del Titolo IV Libro II.” (co.4bis)

Il co.3 è stato così modificato dalla l.103/2017, che ha consentito rinviare il colloquio dell’indagato col difensore solo quando si
proceda per i delitti ex art 51 co.3bis e 3quater.

Si tratta dei reati per i quali è competente il P.M. del tribunale capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice
competente.

L’introduzione del co.4bis (ex d.lgs.32/2014), estende il diritto all’interprete per i colloqui col difensore dell’imputato alloglotta
in stato di custodia cautelare, arrestato o fermato.

Anche tale diritto è gratuito completamente a carico dello Stato ed indipendente dalle condizioni economiche
dell’imputato/indagato.

41. L’abbandono della difesa e il rifiuto della difesa d’ufficio.


ART 105  Abbandono e rifiuto della difesa
“Il consiglio dell’ordine forense ha competenza esclusiva per le sanzioni disciplinari relative all’abbandono della difesa o al
rifiuto della difesa d’ufficio.” (co.1)

“Il procedimento disciplinare è autonomo rispetto al procedimento penale in cui è avvenuto l’abbandono/rifiuto.” (co.2)

“Nei casi di abbandono/rifiuto motivati da violazione dei diritti della difesa, quando il consiglio dell’ordine li ritiene comunque
giustificati, la sanzione non è applicata, anche se la violazione dei diritti della difesa è esclusa dal giudice.” (co.3)

“L’A.G. riferisce al consiglio dell’ordine i casi di abbandono della difesa, di rifiuto della difesa di ufficio o, nell’ambito del
procedimento, i casi di violazione da parte del difensore dei doveri di lealtà e probità nonché del divieto ex art 106 co.4bis.”
(co.4)

“L’abbandono della difesa delle parti private diverse dall’imputato, della persona offesa, degli enti e delle associazioni previsti
dall’art 91 non impedisce in alcun caso l’immediata continuazione del procedimento e non interrompe l’udienza.” (co.5)

L’abbandono della difesa da parte del difensore di fiducia comporta una stasi processuale fino a nuova nomina.

42. Incompatibilità, non accettazione, rinuncia e revoca del difensore.


ART 106  Incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento
“Salva la disposizione del co.4bis, la difesa di più imputati può essere assunta da un difensore comune, purché le diverse
posizioni non siano tra loro incompatibili.” (co.1)

“L’A.G., se rileva una situazione di incompatibilità, la indica e ne espone i motivi, fissando un termine per rimuoverla.” (co.2)

“Qualora l’incompatibilità non sia rimossa, il giudice la dichiara con ordinanza provvedendo alle necessarie sostituzioni ex art
97.” (co.3)

“Se l’incompatibilità è rilevata nel corso delle indagini preliminari, il giudice, su richiesta del P.M. o di taluna delle parti private
e sentite le parti interessate, provvede ex co.3.” (co.4)

“Non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la
responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso ex art 12 o collegati ex art 371 co.2
lett.b.
Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei co.2,3 e 4.” (co.4bis)

Il divieto ex co.4 viene in gioco per non sacrificare il diritto di difesa del soggetto accusato.

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