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ANNO LXIII - N.

1 PUBBLICAZIONE BIMESTRALE ISSN 0035-6093

RIVISTA
DI DIRITTO
CIVILE
FONDATA E DIRETTA DA

PUBBL. BIMESTRALE - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. - D. L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB MILANO
WALTER BIGIAVI E ALBERTO TRABUCCHI
(1955-1968) (1955-1998)

COMITATO DI DIREZIONE
C. MASSIMO BIANCA - FRANCESCO D. BUSNELLI
GIORGIO CIAN - ANTONIO GAMBARO
NATALINO IRTI - GIUSEPPE B. PORTALE
ANDREA PROTO PISANI - PIETRO RESCIGNO
RODOLFO SACCO - VINCENZO SCALISI
PIERO SCHLESINGER - PAOLO SPADA - VINCENZO VARANO
E
GUIDO CALABRESI - ERIK JAYME
DENIS MAZEAUD - ÁNGEL ROJO FERNÁNDEZ-RIO

Gennaio-Febbraio
2017
edicolaprofessionale.com/RDC
DANIELA M. FRENDA
Ricercatrice nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

ADEMPIMENTO O RISARCIMENTO IN FORMA SPECIFICA?

SOMMARIO: 1. Il problema del risarcimento in forma specifica nel campo della responsabilità
contrattuale. – 2. Segue. “Esecuzione in forma specifica” e “risarcimento in forma
specifica”: un’impropria sovrapposizione di piani. – 3. Adempimento e risarcimento
in forma specifica: quali i margini di autonomia di quest’ultimo in materia contrattuale?
– 4. Inesattezza “qualitativa” dell’adempimento e violazione degli obblighi di protezio-
ne. – 5. Il caso della riparazione o sostituzione del bene difettoso. Conclusioni.

1. – Il risarcimento in forma specifica, disciplinato dall’art. 2058 c.c.,


configura una modalità risarcitoria alternativa a quella per equivalente,
consentendo al danneggiato di restaurare “il valore d’uso di un proprio
bene”, cosı̀ come di ripristinare “il pieno godimento di un proprio di-
ritto” (1).
La tesi, minoritaria (2), contraria alla natura risarcitoria della fattispecie
ex art. 2058 c.c. e a sostegno, invece, di una sua natura restitutorio-reinte-
gratoria, ha tratto conforto, oltre che dalla lettera di detta disposizione,
che nel testo parla di “reintegrazione in forma specifica”, altresı̀ dalle
peculiarità dell’istituto in parola, che con le finalità reintegratorie presenta
non rare interferenze (3).

(1) Cosı̀ A. D’ADDA, Risarcimento in forma specifica e criteri di quantificazione del


danno, in Resp. civ., 2004, p. 198. Ex multis, al riguardo, R. SCOGNAMIGLIO, Il risarcimento
in forma specifica, in R. trim. d. proc. civ., 1957, p. 201 ss.; C. SALVI, Il risarcimento del danno
in forma specifica, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Processo e tecniche di attuazione dei diritti, 1,
Napoli 1989, p. 575 ss. e, in particolare, 582 ss.; C. EBENE COBELLI, Il risarcimento in forma
specifica, in questa Rivista, 1991, II, p. 485 ss.
Per un’analisi puntuale della natura e delle funzioni del risarcimento in forma specifica,
nonché dei suoi criteri di quantificazione, vedi ancora D’ADDA, Il risarcimento in forma
specifica. Oggetto e funzioni, Padova 2004.
(2) Benché autorevole: in tal senso v. A. DE CUPIS, Il danno. Teoria generale della
responsabilità civile, 2a ed., Milano 1976, p. 300 s. In giurisprudenza, la tesi è accolta da
App. Roma 11 dicembre 1958, in Giust. civ., 1959, I, p. 712 ss.
(3) In quest’ottica v. M. LIBERTINI, Nuove riflessioni in tema di tutela civile inibitoria e
di risarcimento del danno, in R. crit. d. priv., 1995, p. 389 ss., che sulla norma di cui all’art.
2058 c.c. fonda l’azione inibitoria; cosı̀ anche G. CECCHERINI, Risarcimento in forma specifica

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Ora, della natura risarcitoria del rimedio ex art. 2058 non si vuole più
dubitare: a prescindere dall’uso del termine “reintegrazione”, infatti, la
norma presuppone necessariamente l’esistenza di un danno da riparare,
sebbene non (solo) per il tramite della corresponsione di una somma di
denaro in qualche modo “equivalente” a (e, dunque, a tacitazione del)
pregiudizio cagionato, bensı̀ – entro i limiti statuiti dalla norma (4) – at-
traverso la “ricostruzione” di una situazione “materialmente” analoga a
quella in cui il danneggiato si sarebbe trovato in assenza della condotta
illecita dannosa (5).
Sicché, a fronte di una condotta illecita, quando lo scopo è quello di
eliminarne le conseguenze dannose – laddove, ovviamente, l’illecito abbia
già provocato un danno – il rimedio sarà di tipo risarcitorio (anche in
forma specifica, se la riparazione avviene “in natura”); sarà invece di tipo
restitutorio/reintegratorio (6), quando il fine perseguito è quello di ottene-
re la cessazione dell’illecito anche prima, e comunque a prescindere dal
fatto, che un danno si sia verificato.
Il fatto poi che la tutela risarcitoria in natura possa, episodicamente,
assolvere ad entrambi i compiti (riparare il danno e, contestualmente, far
cessare l’illecito) non significa che essa sia portatrice di una autonoma
funzione restitutoria, disgiunta da quella risarcitoria (7); e ciò neppure

e diritti della persona?, in R. crit. d. priv., 1993, p. 75 ss. e, in particolare, 92 s. e A. D’URSO,


Tutelabilità dell’immagine e limiti della tutela inibitoria, in R. trim. d. proc. civ., 1979, p. 392
ss. Contra, tra gli altri, DI MAJO, Forme e tecniche di tutela, in F. it., 1989, V, c. 132 ss. e, in
particolare, 136; A. BELLELLI, Risarcimento del danno in forma specifica e azioni dirette alla
tutela dei diritti reali, in R. trim. d. proc. civ., 1977, p. 1292 ss.; M. MOCCIOLA, Problemi del
risarcimento del danno in forma specifica nella giurisprudenza, in R. crit. d. priv., 1984, p. 367
ss.; D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 26 ss.
(4) I noti limiti della possibilità, anche parziale, e della non eccessiva onerosità della
riparazione in natura.
(5) Il termine reintegrazione richiama il significato di “ripristino”, “ricostruzione”, ma
ciò non dà alcuna indicazione a favore della natura reintegratoria della tutela; d’altra parte,
considerando che l’etimo del termine “risarcire” è proprio “ricucire” (v. G. GENTILE, La
giurisprudenza sulla responsabilità civile nel quinquennio 1966-1970, in Resp. civ., 1973, p.
293 ss. e, in particolare, 360) non stupisce che il termine “reintegrazione” possa collimare
con il fine risarcitorio inteso dalla norma di cui all’art. 2058 c.c.
(6) Dizione comprensiva delle misure inibitorie, quando la tutela si rivolga al futuro: vedi
DI MAJO, voce Tutela risarcitoria, restitutoria, sanzionatoria, in Enc. giur. Treccani, XXXI,
Roma 1994, p. 10. Vedi infatti D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 43 ss.
(7) V. D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., pp. 45 ss., 320 ss.
Si pensi, a questo proposito, al caso in cui il proprietario di un fondo chieda la
rimozione di opere che, erette da altri sul suo fondo, abbiano distrutto una piantagione,
prima esistente dove ora sorgono le opere suddette: in questo caso la condanna al risarci-
mento in natura conterrà l’ordine di rimuovere le opere e di ricostituire la piantagione
attraverso la semina di piante analoghe a quelle estirpate, sicché l’azione ex art. 2058
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nei casi, di più incerta lettura, di “illecito dannoso a carattere continuati-


vo” (8), in cui dalla condotta illecita in atto è già derivato un danno, e la
prosecuzione di detta condotta continuerà a generare danno anche per il
futuro: nemmeno in questi casi, sebbene il confine tra le due tutele sembra
farsi, nella pratica, più sfuggente, la riparazione in forma specifica di cui
all’art. 2058 può convertirsi in tutela idonea di per sé a far cessare l’illecito,
poiché resta comunque che, sul piano concettuale, “far cessare la fonte del
danno non è sempre la stessa cosa di riparare il danno” (9).
Le riflessioni evocate consentono, cosı̀ – nel campo della responsabilità
extracontrattuale, cui forniscono la disciplina – di tracciare il criterio atto a
separare le rispettive aree di operatività del rimedio restitutorio-reintegra-
torio e di quello risarcitorio in natura, in ragione dell’oggetto e della
funzione di ciascuna delle due forme di tutela, anche quando esse si
presentano interferenti.
Benché il metodo segnalato possa fungere da valida indicazione per
distinguere tra i due suddetti rimedi anche nel campo della responsabilità
contrattuale, è tuttavia innegabile come, in quest’ultimo ambito, le attitu-
dini restitutorie del risarcimento in forma specifica abbiano creato forti
incertezze sulla natura stessa, oltre che sulla funzione, di tale rimedio,
sovrapponendosi, in un modo che a volte è parso inestricabile, agli effetti
propri della tutela reintegratoria, data in questo contesto dall’azione di
adempimento.

promuove, in questo caso, anche un effetto per cosı̀ dire restitutorio; ma tale potenzialità
della norma ex art. 2058, come osserva D’ADDA, op. ult. cit., p. 323 ss., non comporta che
essa assolva sempre al compito di far cessare l’illecito in atto, “e ciò per il semplice fatto che,
se talora la riparazione in natura sembra consentire anche di inibire la condotta illecita senza
tradire la propria funzione risarcitoria, talaltra la sua attitudine a riparare in natura non si
spinge sino alla cessazione di condotte lesive” (si pensi – l’esempio è dello stesso D’ADDA,
op. ult. cit., p. 325 – al caso in cui delle esalazioni di fumo oltre la normale tollerabilità
deteriorino alcuni vestiti stesi ad asciugare nella palazzina antistante al luogo in cui si
producono le esalazioni: qui la riparazione in natura del danno – l’acquisto di vestiti nuovi
uguali a quelli rovinati dal fumo – non comprende di per sé anche l’ordine di cessazione
delle immissioni). Cfr. altresı̀ L. NIVARRA, La tutela possessoria ed il risarcimento del danno in
forma specifica, in G. it., 1989, I-1, c. 509 ss.
(8) D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 321.
(9) Cosı̀ D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 325, che infatti, tra gli esempi
citati, riporta sia quello del muratore che, chiamato a ristrutturare alcuni locali, danneggia le
tubature provocando un allagamento, sia quello, già riferito alla nt. 7, in cui delle esalazioni
di fumo oltre la normale tollerabilità deteriorino alcuni vestiti stesi ad asciugare nel palazzo
di fronte al luogo da cui provengono le esalazioni: nel primo caso, la riparazione del danno
comporta anche la cessazione dell’illecito (il risanamento dei locali allagati e la riparazione
delle tubature); nel secondo, invece, no (l’acquisto di vestiti nuovi non comprende di per sé
anche l’ordine di cessazione delle immissioni di fumo).
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Una delle soluzioni offerte per uscire dall’imbarazzo, appartenente


soprattutto al passato, è stata quella di escludere in radice l’applicabilità
dell’art. 2058 c.c. dall’ambito della responsabilità contrattuale.
In questo senso si era mossa la prevalente giurisprudenza, per lo più di
merito, degli anni Cinquanta, tramandando la massima secondo cui “la
risarcibilità del danno in forma specifica concerne le sole obbligazioni da
fatto illecito, [sicché] essa è […] da escludere nelle obbligazioni contrat-
tuali” (10).
Le motivazioni, di volta in volta sintetizzate in detta massima, non
sembrano però essere l’effetto di un’analisi sempre consapevole del pro-
blema, né tendere, una volta per tutte, verso un medesimo risultato; al
contrario, le conclusioni cui ciascuna sentenza, in ossequio a tale massima,
è pervenuta in ogni singolo caso sono state, nella pratica, diverse e di
segno tra loro anche opposto (11); tali motivazioni traggono però tutte
origine, prevalentemente, dall’idea secondo cui, per essere l’art. 2058
c.c. contenuto all’interno del titolo “Dei fatti illeciti”, non sarebbe appli-
cabile, in mancanza di un espresso richiamo normativo, fuori dei casi di
responsabilità extracontrattuale (12).

(10) Cosı̀ App. Milano 4 febbraio 1947, in G. it., 1948, I-2, c. 260 ss., con nota
contraria di E. BETTI, Sul cosiddetto risarcimento del danno in forma specifica in materia
contrattuale; App. Milano 18 aprile 1947, in Rep. F. it., 1947, voce Responsabilità civile, n.
266; App. Genova 9 luglio 1948, in Temi, 1948, p. 636; App. L’Aquila 7 luglio 1949, in Rep.
F it., 1950, voce Danni per inadempimento di contratto, n. 24; Trib. Trani 3 ottobre 1950, in
G. it., 1951, I-2, c. 67 ss.; Cass. 4 aprile 1950, n. 910, in Mass. G. it., 1950. Pur con una certa
ambiguità, in questo senso cfr. anche Cass. 21 luglio 1949, n. 1924, in F. it., 1950, I, c. 560
ss., con nota sostanzialmente adesiva di T. Pacifici, In tema di risarcimento del danno in
forma specifica nelle obbligazioni contrattuali.
(11) A volte, infatti, sulla base di tale assunto, le corti hanno negato tutela specifica,
tout court, al danneggiato-creditore, accordandogli soltanto una tutela per equivalente (vedi
nt. 17, e vedi App. Milano 4 febbraio 1947, cit., che negò all’attore – contrariamente alla
conclusione cui era giunta la sentenza di primo grado – il diritto di ricevere quattro ruote
identiche a quelle che gli erano state sottratte nella ditta cui questi aveva affidato in custodia
il proprio veicolo, concedendogli soltanto un risarcimento per equivalente pari al valore
delle ruote perse); altre volte, al contrario, la tutela specifica è stata concessa come effetto
del diritto all’adempimento – o, con le precisazioni che vedremo – come conseguenza
dell’esecuzione in forma specifica (v. nt. 18).
(12) Negano l’applicabilità per analogia dell’art. 2058 c.c. in ambito contrattuale PACI-
FICI, In tema di risarcimento del danno in forma specifica nelle obbligazioni contrattuali, cit., c.
562 ss.; N. DISTASO, Il risarcimento del danno in forma specifica nelle obbligazioni contrat-
tuali, in G. it., 1951, IV, c. 17 ss. Contra, riportano l’argomento in senso critico, tra gli altri,
BETTI, Sul cosiddetto risarcimento del danno in forma specifica in materia contrattuale, cit., c.
259 ss.; EBENE COBELLI, Le «grandi braccia» del risarcimento in forma specifica e della
condemnation en nature (note critiche sulla giurisprudenza italiana e francese), in Processo
e tecniche di attuazione dei diritti, cit., p. 701 ss. e, in particolare, 708 ss.; M. BARCELLONA,
Sul risarcimento del danno in forma specifica (ovvero sui limiti della cd. interpretazione
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In particolare, nel negare spazio al risarcimento in forma specifica in


campo contrattuale, l’argomento contrario alla possibilità di applicazione
analogica dell’art. 2058 è stato talvolta articolato sulla base della motiva-
zione secondo cui, avverso l’inadempimento (13), il rimedio specifico espe-
ribile dal creditore consisterebbe unicamente nell’azione ex art. 1453 c.c.,
che consentirebbe a quest’ultimo la scelta tra la richiesta di adempimento
(ove possibile) e quella di risoluzione del contratto (cui aggiungere, even-
tualmente, la domanda di risarcimento dei danni per equivalente) (14).
Sicché, in quest’ottica, o la tutela specifica è perseguita sulla scorta del-
l’azione di adempimento o – secondo una costruzione non sempre chiara,
come si dirà in seguito – per il tramite dell’esecuzione coattiva in forma
specifica, e allora il risultato è legittimo; oppure, “se […] si intende so-
stenere che, in caso di inadempimento contrattuale, pur se un adempi-
mento non si possa più chiedere […] tuttavia sia possibile pretendere,
quale risarcimento del danno, una esecuzione in forma specifica della
prestazione, facendo ricorso all’applicazione dell’art. 2058, allora quella
formula [quella, cioè, della risarcibilità in forma specifica del danno con-
trattuale] non potrebbe che qualificarsi errata, e come tale, inaccetta-
bile” (15).

evolutiva), in Processo e tecniche di attuazione dei diritti, cit., p. 615 ss. e, in particolare, p.
667-8, secondo cui la mancanza di un espresso richiamo non pregiudica certo l’applicazione
analogica dell’art. 2058 in campo contrattuale, atteso che “il richiamo, che l’art. 2056 c.c. fa
degli artt. 1223 ss., dimostra che la logica del rimedio risarcitorio è intesa dal legislatore
come unitaria e, segnatamente, che essa prescinde dalla natura del fatto che vi può dar
luogo”.
(13) Manca, nei citati riferimenti contro l’applicabilità dell’art. 2058 in ambito con-
trattuale (note 10 e 12), la considerazione dell’eventualità che l’inadempimento abbia pro-
dotto dei danni materiali, forse non tanto secondo l’idea che l’inadempimento sia già danno
(secondo la teoria del cd. danno normativo), quanto che il danno vero e proprio sia soltanto
quello dato dalla diminuzione del patrimonio del creditore, laddove quello materiale, più
che un danno, sia ancora “l’inadempimento stesso” (anche a causa forse dell’ambiguità che
il termine “inadempimento” può creare per essere talvolta usato, al contempo, per indicare
tanto la condotta inadempiente quanto il risultato di tale condotta). Questa impostazione,
equiparando l’azione di adempimento a quella di risarcimento in natura, mette in discus-
sione la stessa funzione risarcitoria dell’art. 2058: v. infra, parte di testo corrispondente alla
nt. 19.
(14) Sulla base di quest’assunto, l’art. 1453 c.c. dovrebbe essere applicato per analogia
ai casi di inadempimento di obbligazioni di fonte non contrattuale (e diversi da quelli
derivanti da fatto illecito): problema di cui però la sentenza del Trib. Trani 3 ottobre
1950, cit., che ha proposto detta soluzione, non si è occupata.
(15) Trib. Trani 3 ottobre 1950, cit., c. 68: l’azione di adempimento sarebbe ad
esempio preclusa, secondo l’indicazione contenuta nella sentenza, nel caso in cui, in ipotesi,
il creditore avesse già chiesto la risoluzione, ex art. 1453, comma 2, c.c. Di risarcimento in
forma specifica come corrispondente, in ambito extracontrattuale, dell’azione di adempi-
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L’argomento contrario all’analogia ha trovato facile replica nelle rifles-


sioni di Betti, secondo cui il preconcetto legato alla sedes materiae, da cui
muove l’interpretazione restrittiva dell’art. 2058 c.c., si dissolve davanti
alla constatazione dell’esistenza di una medesima ratio iuris tra la reinte-
grazione in forma specifica propria della responsabilità extracontrattuale e
quella propria della responsabilità contrattuale, in quanto entrambe ap-
partenenti al sistema unitario della responsabilità civile; il che farebbe
dell’art. 2058 un principio di carattere generale (16).
Per ciò che riguarda l’obiezione meno formalistica, quella fondata,
cioè, sulla asserita corrispondenza tra l’adempimento o l’esecuzione in
forma specifica in campo contrattuale, e il risarcimento in natura in campo
extracontrattuale, alcune precisazioni si rendono doverose.
Innanzitutto, la citata correlazione “adempimento-risarcimento in for-
ma specifica” è frutto di un errore concettuale, e ciò quale che sia la
conclusione cui essa tende – sia, cioè, che porti a negare al creditore
danneggiato la pretesa ad una tutela specifica (17), sia che porti, al con-

mento in campo contrattuale parlano PACIFICI, In tema di risarcimento del danno in forma
specifica nelle obbligazioni contrattuali, cit., c. 563 e DISTASO, Il risarcimento del danno in
forma specifica nelle obbligazioni contrattuali, cit., c. 32. Di questo avviso è altresı̀ DI MAJO,
Una dottrina unitaria della obbligazione civile (a proposito del secondo libro del BGB), in
Europ. e d. priv., 1998, p. 221 ss. e, in particolare, 233 ss., che ritrova la medesima questione
nel diritto tedesco, nel rapporto tra i parr. 241 e 249 BGB, il secondo dei quali l’Autore
infatti giudica, quando applicato all’area dei rimedi contrattuali, quale “regola […] quasi
superflua e inutile, perché assorbita in quella sull’adempimento”. Al contrario A. NICOLUSSI,
Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche, in Europ. e d. priv.,
2003, p. 525 ss. e, in particolare, 573, secondo cui i parr. 241 e 249 BGB coprono aree di
operatività diverse e dunque possono coesistere, sicché il combinato disposto dei parr. 249-
251 prevede un modello risarcitorio (di Naturalherstellung) valevole tanto per il settore
aquiliano quanto per quello contrattuale. In quest’ultimo senso, con riferimento al nostro
sistema, v. anche BARCELLONA, Sul risarcimento del danno in forma specifica, cit., p. 665,
nonché R. SCOGNAMIGLIO, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 206 ss., sulla differente
natura tra i due rimedi. Sul punto v. meglio infra, par. 3.
(16) Cosı̀ BETTI, Sul cosiddetto risarcimento del danno in forma specifica in materia
contrattuale, cit., c. 259 ss. Ponendo l’accento sulla logica del sistema giuridico, l’Autore
fa riferimento alla ratio iuris; altrettanto corretto sarebbe stato il riferimento alla ratio legis,
intesa come fondamento giustificativo delle norme: in questo modo l’accento sarebbe stato
posto sull’idoneità dell’art. 2058 c.c. ad operare anche nel contesto della responsabilità da
inadempimento (sul tema v. A. BELVEDERE, Testi e discorso nel diritto privato, in Annuario di
ermeneutica giuridica, n. 2, Padova 1997, p. 37 ss. e ora in BELVEDERE, Scritti giuridici, 1
Linguaggio e metodo giuridico, Padova 2016, p. 449 ss. e, in particolare, 458).
L’argomento speso da Betti ha trovato conferma nella giurisprudenza successiva, in
particolare con riguardo alla responsabilità del notaio per omesse visure catastali (di cui
infra, par. 3). In questo senso v. anche EBENE COBELLI, Risarcimento in forma specifica, cit.,
p. 489.
(17) Come nel caso oggetto della decisione, citata, del Tribunale di Trani (Trib. Trani 3
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trario, al suo soddisfacimento, ma sulla base del diritto all’adempi-


mento (18).
Una tale associazione di termini comporta, invero – anche per via di
una mancata riflessione circa la differenza tra inadempimento e danni
materiali a questo conseguenti (19) – la negazione della natura risarcitoria
della fattispecie ex art. 2058 e l’affermazione, al contrario, della sua natura
reintegratoria; è quindi inaccettabile sulla scorta delle riflessioni che pre-
cedono, cui abbiamo ritenuto di aderire. È però innegabile, e ciò coglie
forse il punto centrale della presente indagine, che una tale mescolanza di
concetti tragga fondamento nel riferito terreno di incertezze su cui poggia
la demarcazione tra adempimento e risarcimento in natura, al cui tentativo
di chiarezza sarà dedicata la nostra analisi delle pagine che seguono.
Quando, poi, tale associazione di nozioni viene svolta sul binomio
“esecuzione in forma specifica-risarcimento in forma specifica” (20), il
fraintendimento non è più soltanto il frutto dell’errore concettuale indica-
to, ma evoca una sovrapposizione di piani eterogenei e che andrebbero per
questo tenuti distinti, come andiamo subito a precisare.

2. – L’accostamento tra i concetti di “esecuzione in forma specifica” e


“risarcimento in forma specifica” affonda le sue radici nella sistemazione
del codice civile del 1865, in cui nessuna norma prevedeva la possibilità di
un risarcimento in natura per il danno derivante da illecito aquiliano; gli
interpreti dell’epoca, pertanto, usavano argomentare l’ammissibilità del
risarcimento in forma specifica del danno extracontrattuale per il tramite
dell’applicazione analogica delle norme di cui agli artt. 1220 ss. c.c. (prev.),
aventi ad oggetto l’esecuzione coattiva degli obblighi di fare e di non
fare (21).

ottobre 1950, cit.), che, ritenendo che la richiesta configurasse un’azione di risarcimento in
forma specifica, negò ad un’impresa committente il diritto a ricevere una somma di denaro
pari a quella necessaria ad eseguire le opere che la ditta appaltatrice si era obbligata ad
eseguire, e non aveva eseguito (circa la possibilità che la riparazione in natura avvenga per il
tramite del versamento di una somma di denaro, vedi le riflessioni di D’ADDA, Il risarcimento
in forma specifica, cit., pp. 58 ss., 121 ss.; ID., Risarcimento in forma specifica e criteri di
quantificazione del danno, cit., p. 201 ss. e vedi altresı̀ SALVI, Il risarcimento del danno in
forma specifica, cit., p. 583). La richiesta assomiglia, in realtà, più ad un’azione di esatto
adempimento: v. meglio infra, par. 3.
(18) Come nel caso oggetto della decisione di Cass. 21 luglio 1949, n. 1924, cit., che
dispose la consegna al comodante, a titolo di esatto adempimento, di un furgoncino identico
a quello dato in comodato e non ricevuto al suo termine.
(19) V. supra, nt. 13, e meglio infra, par. 3.
(20) Anziché, come sopra, “adempimento-risarcimento in forma specifica”.
(21) Al riguardo cfr. BELLELLI, Risarcimento del danno in forma specifica e azioni dirette
commenti 283

In questi termini, il risarcimento in natura appariva pertanto come


l’equivalente, in campo aquiliano, delle norme sull’esecuzione in forma
specifica, confluite oggi negli artt. 2930-33 c.c. (22).
Tale impostazione sembrò trovare una conferma nei lavori di prepa-
razione al codice civile vigente, atteso che la Relazione al Re, n. 802,
riporta che “al pari del creditore nelle obbligazioni ex contractu, il dan-
neggiato, in quelle per fatto illecito, ha diritto innanzitutto alla reintegra-
zione in forma specifica della situazione patrimoniale anteriore: questa
norma è consacrata nel primo comma dell’art. 2058”; dando cosı̀ a credere
che il risarcimento in natura altro non fosse che il risvolto, nel campo
dell’illecito, del rimedio avverso l’inadempimento delle obbligazioni in
campo contrattuale; e stabilendo, per via del tradizionale richiamo alle
norme sull’esecuzione coattiva, quel parallelismo tra esecuzione coattiva
e risarcimento in natura che ancora oggi inquina il dibattito sull’ammissi-
bilità del risarcimento in forma specifica in tema di responsabilità contrat-
tuale (23).

alla tutela dei diritti reali, cit., p. 1295 s., nt. 13. Scriveva, invero, F. CARNELUTTI, Studi di
diritto processuale, 2, Padova 1928, p. 212, che “d’altra parte l’art. 1220 c.c., in quanto si
tratti di obbligazione di fare, contempla non una forma propria di esecuzione, ma una forma
mista di esecuzione e risarcimento”. Sul punto v. G. VISINTINI - A. PINORI, La nozione di
danno e le tecniche risarcitorie, in G. VISINTINI (a cura di), Risarcimento del danno contrat-
tuale ed extracontrattuale, Milano 1999, p. 1 ss. e, in particolare, 23; BARCELLONA, Sul
risarcimento del danno in forma specifica, cit., p. 664 s.; cfr. anche EBENE COBELLI, Le «grandi
braccia» del risarcimento in forma specifica e della condemnation en nature, cit., p. 708.
(22) Vedi D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 75 ss., che a tal proposito
infatti parla di “origine di un equivoco”.
(23) Cosı̀ avviene ad esempio in Cass. 21 luglio 1949, n. 1924, cit., c. 560 ss., con nota
contraria di PACIFICI, In tema di risarcimento del danno in forma specifica nelle obbligazioni
contrattuali, cit.; e ancora, in Cass. 29 luglio 1950, n. 2170, in Mass. G. it., 1950; Cass. 3
ottobre 1972, n. 2843, in G. it., 1973, I, 1, c. 1089 ss.; Cass. 17 febbraio 2004, n. 3004, in
Mass. Giust. civ., 2004. Nello stesso senso DE CUPIS, Il danno, cit., p. 300 s.; e CECCHERINI,
Nuove ricerche in tema di risarcimento in forma specifica, in Contratto e impr., 1991, p. 783
ss. e, in particolare, 796 s. Di affinità tra risarcimento in forma specifica ed esecuzione
forzata parla anche BETTI, Sul cosiddetto risarcimento del danno in forma specifica in materia
contrattuale, cit., c. 262 (v. anche infra, nt. 28); in modo critico invece R. SCOGNAMIGLIO, Il
risarcimento del danno in forma specifica, cit., p. 224 ss.
Segni del disordine tra i suddetti concetti si rinvengono anche nei vari progetti di
diritto contrattuale europeo: l’art. 7.2.2 dei Principi dei contratti commerciali internazionali
elaborati dall’Istituto Unidroit (PICC), sotto la Sezione II “Right to performance” apparte-
nente al Capitolo 7, “Non performance”, ad esempio, dispone, tra i limiti del creditore al
conseguimento della sua pretesa creditoria, che “performance or, where relevant, enforce-
ment is unreasonably burdensome or expensive”: la disposizione richiama alla mente i limiti
ex art. 2058 c.c. e inoltre suggerisce la sovrapposizione tra i diversi piani della cognizione e
dell’esecuzione: v. infra, nt. 107. Similmente, l’art. 9:102 dei Principi di diritto europeo dei
contratti elaborati dalla Commissione Lando (PECL), sub b, fissa il limite della pretesa
284 rivista di diritto civile 1/2017

Ora, tralasciando l’affermazione contenuta nella Relazione citata, che


forse per poca informazione si è lasciata trasportare in un’eccessiva, oltre
che distorta, generalizzazione (24), l’assunto da ultimo riportato mostra
come l’associazione tra i concetti di esecuzione in forma specifica e risar-
cimento in natura proietti, nell’ambito del problema che ci occupa, i segni
del tormentato rapporto tra adempimento ed esecuzione in forma speci-
fica.
Il disordine tra questi due termini ha radici nell’equivoco, sorto a
inizio secolo scorso e solo di recente smentito con decisione, dato dalla
credenza che la tutela in natura dovesse essere costretta entro i limiti della
possibilità dell’esecuzione in forma specifica (25): la qual convinzione, por-
tando a sovrapporre la fase della coazione all’adempimento, propria della
dimensione della cognizione, alla fase esecutiva, ha spinto gli interpreti,
alle prese con la tutela specifica dei diritti di credito, a spostare il problema
della realizzazione in natura del credito tutto a ridosso del processo ese-
cutivo, provocando, conseguentemente, la confusione tra i concetti di
«tutela specifica», nel senso dell’adempimento in natura dell’obbligazione
originaria, e di «esecuzione forzata in forma specifica», nel senso fatto
proprio dall’espressione posta ad introduzione della sezione II, titolo IV,
del libro VI c.c. (26).

all’adempimento al caso in cui “performance would cause the obligor unreasonable effort or
expense”: anche qui, dunque, l’argomento è affine al limite ex art. 2058 (cfr. MAZZAMUTO,
Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di
consumo, in Europ. e d. priv., 2004, p. 1041 ss. e, in particolare, 1119 ss.). Un contributo
all’ambiguità gioca, anche in considerazione delle differenze tra i vari diritti nazionali,
l’espressione “specific performance”, che traduce sia “adempimento”, sia “esecuzione in
forma specifica”: cfr. J. SMITS - D. HAAS - G. HESEN, Introduction, in J. SMITS - D. HAAS
- G. HESEN (a cura di), Specific Performance in Contract Law: National and other Perspecti-
ves, Antwerp - Oxford - Portland 2008, p. 2 ss. e, nella stessa opera, F. FAUST - V. WIESE,
Specific Performance – A German perspective, p. 47 ss.; cfr., altresı̀, MAZZAMUTO, L’inattua-
zione dell’obbligazione e l’adempimento in natura, in Europ. e d. priv., 2001, p. 521 ss.
(24) Cfr. BARCELLONA, Sul risarcimento del danno in forma specifica, cit., p. 665 e C.
CASTRONOVO, Il risarcimento in forma specifica come risarcimento del danno, in Processo e
tecniche di attuazione dei diritti, cit., p. 481 ss.; v. anche G. LENER, Inadempimento con-
trattuale e risarcimento in forma specifica, in F. it., 1994, c. 1783 ss.
(25) Cfr. CARNELUTTI, Appunti sull’obbligazione. Distinzione fra diritti reali e diritti di
credito, in R. d. comm., 1915, I, p. 533 s. e ID., Obbligo del debitore e dovere del creditore, in
R. d. comm., 1927, I, p. 295 s. Ossia entro i limiti dell’esecuzione diretta, cosı̀ denominata
per indicare il contrasto con l’esecuzione processuale indiretta che invece, quando ha ad
oggetto le obbligazioni di fare infungibile, non può attuarsi tramite la surrogazione del
debitore, bensı̀ soltanto mediante la coercizione di questi all’adempimento.
(26) Cosı̀ osserva F. PIRAINO, Adempimento e responsabilità contrattuale, Napoli 2011,
p. 53, 55. altresı̀, MAZZAMUTO, L’attuazione degli obblighi di fare, cit., p. 154.
La sovrapposizione tra i piani della cognizione e dell’esecuzione è stata peraltro, prima
commenti 285

Ma, come le due fasi vanno tenute distinte quando uno dei due termini
di raffronto è l’adempimento, sicché non si può parlare di adempimento se
non quando è il debitore ad eseguire la prestazione dovuta, allo stesso modo
detta distinzione deve essere tenuta presente quando il termine a confronto
con l’esecuzione in forma specifica è il risarcimento in natura: la condanna
avente ad oggetto l’obbligazione risarcitoria in natura è, come quella all’a-
dempimento, indirizzata al debitore (responsabile). Ed entrambe le condan-
ne – all’adempimento e al risarcimento in natura – possono costituire titolo,
ex art. 474 c.p.c., per l’apertura del processo esecutivo.
Quest’ultimo assunto, in particolare, dimostra come l’accostamento tra
il risarcimento in natura e l’esecuzione in forma specifica sia improprio,
perché – a prescindere dalle rispettive funzioni: rimuovere i danni, l’una;
far ottenere in via coattiva al creditore la prestazione inadempiuta, l’altra – la
tutela risarcitoria ed il rimedio esecutivo occupano piani diversi, come di-
mostra appunto il fatto che la stessa condanna al risarcimento in forma

– sotto il codice abrogato – favorita dalla mancanza di strumenti processuali idonei a


mettere in atto le norme sull’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare di cui
agli artt. 1220 ss. c.c. (prev.): mancavano, invero, misure esecutive in forma specifica – per
l’attuazione degli obblighi di cui agli artt. 1220 ss. c.c. (prev.) – corrispondenti agli odierni
artt. 612 ss. c.p.c., grazie alle quali poter affidare agli organi esecutivi, e non già più al
creditore, il compito di provvedere all’attuazione del proprio diritto a spese dell’obbligato.
Gli art. 1220 ss. c.c. prev., peraltro, collocati appresso alla norma sull’obbligo del debitore
di eseguire esattamente la prestazione dovuta (di cui all’art. 1218 c.c. prev.), ed insieme con
essa raggruppati sotto il Capo intitolato “Degli effetti delle obbligazioni”, davano l’impres-
sione di continuare senza soluzione di continuità la fase dell’adempimento, anziché di
cominciare la successiva fase dell’esecuzione: sul punto v. MAZZAMUTO, L’attuazione degli
obblighi di fare, Napoli 1978, p. 69 ss.; G.A. MICHELI, Dell’esecuzione forzata, in Comm.
Scialoja-Branca-Galgano, 2a ed., Bologna-Roma 1964, p. 183; A. CIATTI CAIMI, L’esecuzione
processuale indiretta (astreinte) e l’infungibilità convenzionale della prestazione, in questa
Rivista, 2015, p. 23 ss. E ora, sotto il codice vigente, tale sovrapposizione è alimentata
dall’assenza di adeguati riferimenti normativi alla tutela dell’adempimento in natura. A
quest’ultimo proposito, in particolare – l’argomento non è centrale nella presente indagine,
ma la precisazione ci pare doverosa, per essere tale tema più volte tangente a quelli qui
trattati – ci limitiamo ad osservare che l’art. 1218 c.c. prev., prevedendo l’obbligo di risarcire
il danno in subordine all’obbligo di adempiere, sanciva apertamente la priorità logico-giu-
ridica dell’adempimento in natura, mentre la stessa certezza non offre il testo dell’odierno
art. 1218 c.c. di cui però, secondo autorevoli interpretazioni, può darsi uguale lettura, in
continuità con il testo previgente: sul punto v. L. MENGONI, Intervento, in Processo e tecniche
di attuazione dei diritti, cit., p. 151 s.; MAZZAMUTO, Luigi Mengoni e la tutela dei diritti, in
Europ. e d. priv., 2012, p. 141 ss. e, in particolare, 154 s.; NIVARRA, I rimedi specifici, in
Europ. e d. priv., 2011, p. 157 ss. e, in particolare, 171 s.; ID., Alcune precisazioni in tema di
responsabilità contrattuale, in Europ. e d. priv., 2014, p. 45 ss. e, in particolare, 93; e, negli
stessi termini, I. PAGNI, Tutela specifica e tutela per equivalente. Situazioni soggettive e rimedi
nelle dinamiche dell’impresa, del mercato, del rapporto di lavoro e dell’attività amministrativa,
Milano 2004, p. 22.
286 rivista di diritto civile 1/2017

specifica potrebbe a sua volta dar luogo ad una procedura esecutiva: come è
stato osservato, “suscettibili di esecuzione forzata in forma specifica non
sono soltanto le obbligazioni contrattuali, ma anche gli obblighi di dare e
di fare, in cui si risolve in concreto la reintegrazione di cui all’art. 2058” (27).
3. – Una volta sgombrato il campo, dunque, dall’equivoco accosta-
mento tra risarcimento in natura ed esecuzione coattiva, viene al pettine il
nodo centrale di quest’indagine, consistente nella ricerca di un criterio atto
a distinguere i rimedi, rispettivamente, di adempimento e risarcimento in
forma specifica, sı̀ da separarne le relative aree di applicazione e attribuire
al secondo una sua propria identità, autonoma dall’azione di esatto adem-
pimento (28).
La necessità di distinguere non deriva soltanto da un bisogno disinte-
ressato di chiarezza – che pure basterebbe a giustificare lo sforzo di fare
luce sul punto – ma si impone, altresı̀, a causa delle implicazioni pratiche
riguardanti la presenza, o meno, di condizioni e limiti nell’esercizio del-
l’azione, a seconda di quale rimedio – se l’adempimento o il risarcimento
in natura – sia ritenuto espressione della tutela specifica invocata.
Il pensiero corre subito al limite, proprio dell’azione ex art. 2058 c.c.,
della “non eccessiva onerosità”, che, come è noto, non condiziona invece
l’azione di adempimento (29); e, ancora, al requisito della “colpa” del
debitore, della cui assenza questi deve di regola dare prova per respingere
l’azione di risarcimento, e che non rileva invece nel caso dell’azione di
adempimento (30).

(27) PACIFICI, In tema di risarcimento del danno in forma specifica nelle obbligazioni
contrattuali, cit., c. 562; cosı̀ anche LENER, Inadempimento contrattuale e risarcimento in
forma specifica, cit., c. 1785, e BELLELLI, Risarcimento del danno in forma specifica e azioni
dirette alla tutela dei diritti reali, cit., p. 1296. V. anche C.M. BIANCA, Diritto civile, 5, La
responsabilità, Milano 1994, p. 186 s. Cosı̀ anche T.A.R. Milano 7 gennaio 2015, n. 7, in F.
amm., 2015, I, p. 161 ss. V. anche infra, par. 3, parte di testo corrispondente alle note 69 ss.
(28) È intorno all’incertezza di tali confini, invero, che ruota l’intero dibattito. Lo stesso
BETTI, Sul cosiddetto risarcimento del danno in forma specifica in materia contrattuale, cit., c.
262, che ammette l’operare dell’art. 2058 c.c. in campo contrattuale, ritiene di non poterne
delineare con certezza i confini tanto da sembrare considerarlo, in realtà, come una forma di
adempimento: “anzitutto è discutibile l’esattezza della delimitazione concettuale, che porte-
rebbe a riconoscere rigorosa e propria la qualifica, certamente impropria e approssimativa,
di «risarcimento in forma specifica»: dove in realtà si tratta di una reintegrazione, la cui
affinità con altre forme di esecuzione o di reintegra (riparazione) non pare seriamente
contestabile”.
(29) Cfr. per tutti MAZZAMUTO, L’inattuazione dell’obbligazione e l’adempimento in
natura, cit., p. 529.
(30) Si pensi, ad esempio, al caso in cui il mancato adempimento sia dipeso da una
causa temporanea di impossibilità sopravvenuta poi cessata: l’azione di adempimento sa-
rebbe esperibile, non altrettanto la richiesta di risarcimento. Cfr. R. SCOGNAMIGLIO, Il
commenti 287

Il cambio di segno della prevalente giurisprudenza, che circa dagli


anni Settanta si è schierata a favore dell’applicabilità dell’art. 2058 c.c.
anche in materia di responsabilità contrattuale (31), ha spinto ad affrontare
il problema, che l’orientamento precedente aveva permesso di tagliare in
radice, del ruolo e degli spazi operativi del risarcimento in natura in
quest’ambito.
Secondo una tesi dottrinale, autorevole ma piuttosto isolata, l’azione
di adempimento in natura – all’opposto di quanto sostenuto in passato (32)
– altro non è che una forma di risarcimento e, in particolare, un risarci-
mento in forma specifica (33): ciò in quanto l’art. 1218 c.c. prevederebbe,
come unica conseguenza dell’inadempimento, la responsabilità (34); ma

risarcimento in forma specifica, cit., p. 226, e LENER, Inadempimento contrattuale e risarci-


mento in forma specifica, cit., c. 1786; si veda, altresı̀, C. ROMEO, I presupposti sostanziali
della domanda di adempimento, Milano 2008, p. 39, che fa riferimento, tra le differenti
implicazioni pratiche dell’uno o dell’altro rimedio, anche al limite della prevedibilità di cui
all’art. 1225 c.c., operante in campo risarcitorio e non già in punto di azione di adempi-
mento (com’è del resto ovvio, atteso che l’azione di adempimento non interviene sul danno,
bensı̀ sull’inadempimento: v. infra, parte di testo corrispondente alle note 43 ss.).
Per contro, anche l’azione di adempimento, in astratto, potrebbe sottostare a condi-
zioni cui l’azione di responsabilità non soggiace: si pensi, ad esempio, al caso di inadempi-
mento in un contratto sinallagmatico, dove l’azione di adempimento è preclusa al contraente
fedele se questi ha già esperito l’azione di risoluzione, mentre il ricorso a tale ultima azione
non impedisce l’esperimento di una tutela specifica di natura risarcitoria per i danni che da
tale inadempimento siano derivati. Ma sul punto vedi infra, parte di testo corrispondente
alle note 53-54.
(31) Cfr., ex multis, Cass. 3 gennaio 1994, n. 6, in F. it., 1994, I, c. 1783 ss.; Cass. 25
luglio 1997, n. 6985, in Mass. Giust. civ., 1997; Cass. 26 gennaio 2004, n. 1330, in F. it.,
2004, I, c. 1065 ss.; Cass. 27 giugno 2006, n. 14813, in Giust. civ., 2007, p. 438; Cass. 20
gennaio 2009, n. 1335, in Resp. civ., 2009, p. 2472 ss.; Cass. 2 luglio 2010, n. 15726, in Mass.
Giust. civ., 2010; Cass. 17 giugno 2015, n. 12582, in Mass. Giust. civ., 2015. Molte delle
sentenze a favore dell’ammissibilità del risarcimento in forma specifica in ambito contrat-
tuale risultano tuttavia povere di argomenti, spesso appiattendo il risarcimento ex art. 2058
sull’azione di esatto adempimento o sull’esecuzione in forma specifica: Cass. 15 settembre
1970, n. 1489, in Mass. G. it., 1970; Cass. 29 gennaio 1973, n. 279, in Mass. G. it., 1973;
Cass. 2 marzo 1973, n. 582, in Mass. G. it., 1973; Cass. 17 giugno 1982, n. 3687, cit.; Cass.
26 giugno 1984, n. 3739, in Giust. civ., 1984, p. 3315 ss.; Cass. 16 dicembre 1988, n. 6856,
in Mass. G. it., 1988; Cass. 29 maggio 1995, n. 6035, in Mass. G. it., 1995; Cass. 16 gennaio
1997, n. 380, in Mass. G. it., 1997; Cass. 15 maggio 2003, n. 7529, in Mass. Giust. civ., 2003.
(32) Vedi supra, parte di testo corrispondente alle note 14-15.
(33) Cfr. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, 3a ed., Milano 2006, p. 809 s. e
ID., Il risarcimento in forma specifica come risarcimento del danno, cit., p. 491 ss.
(34) Secondo un’interpretazione diversa da quella, qui accolta, della priorità logico-
giuridica dell’adempimento (anche se è un’interpretazione diversa “solo” nei principi, senza
che a ciò seguano diversi effetti sul piano fattuale, atteso che comunque nemmeno sulla
scorta di tale impostazione si nega primato alla tutela specifica: v. parte di testo corrispon-
dente alla nota seguente e v. supra, nt. 26 e infra, parte di testo corrispondente alla nt. 40).
288 rivista di diritto civile 1/2017

tale considerazione, lungi dal negare priorità alla tutela specifica (35), por-
terebbe alla conclusione secondo cui “il cd. esatto adempimento non può
[...] essere nient’altro che risarcimento e, per la corrispondenza in natura
dell’interesse violato, risarcimento in forma specifica” (36).
Tale tesi, tuttavia, nel sovrapporre le due diverse categorie della lesio-
ne del diritto e del danno (37), produce l’effetto di obliterare il momento
della coazione all’adempimento, atteso che, seguendo questo ragionamen-
to, “non residua [...più] alcuno spazio logico-giuridico per concepire una
fase dell’attuazione in natura del rapporto obbligatorio successiva all’ina-
dempimento” (38); e ciò in contrasto sia con la formulazione dell’art. 1453
c.c., secondo cui l’azione di adempimento non esclude quella di risarci-
mento (39), sia, più in generale, con la condizione di primato che l’ordina-
mento assegna all’esatto adempimento sulla base della struttura, del con-
tenuto e del profilo teleologico del rapporto obbligatorio e dunque, in
ultima analisi, sulla scorta dello stesso concetto di obbligazione (40).
Condiviso è, invece, l’orientamento che – adattando alla responsabilità
contrattuale il ragionamento fatto a proposito della responsabilità aquilia-
na, sul presupposto, giusta l’insegnamento di Betti, dell’appartenenza di
entrambe al sistema unitario della responsabilità civile (41) – ravvisa la
differenza tra adempimento e risarcimento in natura nel fatto che, mentre
il primo è diretto ad ottenere la prestazione originaria o, quantomeno, lo
stesso risultato cui tendeva la prestazione originaria – a prescindere dal
fatto, in quest’ultimo caso, che il debitore debba impiegare, per procurar-
lo, mezzi diversi da quelli che avrebbe dovuto impiegare ai sensi dell’ob-

(35) Rispetto a quella per equivalente: v. nota precedente.


(36) CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, cit., p. 809 s.
(37) Secondo la concezione propria del danno normativo, v. anche supra, nt. 13.
(38) PIRAINO, Adempimento e responsabilità contrattuale, cit., p. 114 s.
(39) “Salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”, recita l’art. 1453 c.c.: cfr. DI MAJO,
Una dottrina unitaria della obbligazione civile, cit., p. 234, nt. 30.
(40) Cfr. MAZZAMUTO, Le nuove frontiere della responsabilità contrattuale, in Europ. e d.
priv., 2014, p. 713 s.; DI MAJO, L’adempimento «in natura» quale rimedio (in margine a un
libro recente), in Europ. e d. priv., 2011, p. 1149 ss. e, in particolare, 1158; PIRAINO,
Adempimento e responsabilità contrattuale, cit., p. 143 ss.; M. DELLACASA, Adempimento e
risarcimento nei contratti di scambio, Torino 2013, p. 292 ss. Il dibattito esula dalla presente
indagine; dell’argomento ci siamo già occupati in D.M. FRENDA, Appunti per una teoria
dell’inibitoria come forma di tutela preventiva dell’inadempimento, in Europ. e d. priv., 2016,
p. 721 ss. e, in particolare, 734 ss. V. anche supra, nt. 26.
Peraltro, trasformare l’azione di adempimento in un’azione di risarcimento in forma
specifica avrebbe l’effetto, anomalo, di sottoporre tale azione al limite dell’eccessiva onero-
sità, che l’azione di adempimento, per sua natura, non conosce (v. supra, parte di testo
corrispondente alla nt. 29).
(41) V. supra, par. 1, in particolare la parte di testo corrispondente alla nt. 16.
commenti 289

bligazione originariamente assunta (42) – il secondo è volto all’eliminazione


di eventuali conseguenze dannose dell’inadempimento: in questo senso
perciò, secondo un primo grado di approssimazione, può affermarsi che
il rimedio di cui all’art. 2058 in campo contrattuale non deve procurare al
creditore la prestazione cui aveva diritto, bensı̀ consentire la rimozione in
natura dei danni cagionatigli dall’inadempimento (43).
Ciò significa innanzitutto che, perché abbia senso parlare dell’appli-
cazione dell’art. 2058 nell’ambito della responsabilità per inadempimento,
occorre che all’inadempimento sia seguito un danno.
In assenza di un danno, infatti, non vi è ragione di invocare il rimedio
risarcitorio: l’azione idonea a “rimediare” all’inadempimento potrà piutto-
sto essere, se la prestazione è ancora possibile ed utile, proprio quella di
esatto adempimento.
Cosı̀ è, ad esempio, nell’ipotesi in cui alla stipula di un contratto di
locazione di un’automobile non segua la consegna di essa nei termini al
locatario, quando tale ritardo non abbia provocato a quest’ultimo, nell’im-
mediato, alcun pregiudizio, ma potrebbe procurarglielo se l’inadempimento
si dovesse protrarre oltre un certo termine (44): in tal caso, per ripristinare la
situazione di fatto e di diritto che si sarebbe avuta in assenza di inadempi-
mento, il creditore non avrà che tornare a chiedere la prestazione oggetto
dell’obbligazione assunta dal locatore ex art. 1571 c.c. Nell’esempio ripor-
tato infatti – benché raro a verificarsi – il creditore non ha ancora sofferto, al
tempo dell’azione, alcun danno a causa dell’inadempimento del debitore.
Ma, anche quando all’inadempimento fossero seguiti dei danni, se ciò
certamente legittima l’invocazione di un rimedio risarcitorio, ancora però
nulla dice in ordine a quale possa essere la modalità risarcitoria esperibile:
cosı̀ come per la responsabilità aquiliana infatti, anche in tema di respon-
sabilità contrattuale, di risarcimento in natura ha senso parlare soltanto in
presenza di un danno materiale (cd. danno reale, o concreto), ossia quando
il danno conseguente all’inadempimento dell’obbligazione assunta sia con-
sistito (anche) in un’alterazione del bene oggetto della prestazione (45).

(42) V. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogma-
tiche, cit., p. 570.
(43) V. NICOLUSSI, op. ult. cit., p. 568; LENER, Inadempimento contrattuale e risarcimento
in forma specifica, cit., c. 1786; ROMEO, I presupposti sostanziali della domanda di adempi-
mento, cit., p. 35 s. La distinzione è chiara in D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit.,
pp. 242, 310. Cfr. anche Cass. 30 luglio 2004, n. 14599, in Mass. Giust. civ., 2004.
(44) Supponiamo che, nel tempo di mancata fruizione del veicolo, il locatario non
avesse avuto occasioni di trarne profitto.
(45) V. D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 25 ss., 42, 153 ss. V. anche
290 rivista di diritto civile 1/2017

Non già, invece, quando il danno consista nella (sola) perdita economica,
poiché in tal caso il risarcimento potrà avvenire unicamente per equiva-
lente; la modalità risarcitoria per equivalente verrà privilegiata dal credi-
tore, inoltre, se questi, pur in presenza di un danno materiale, preferisca
ripristinare il valore di scambio del bene leso anziché il suo valore d’uso,
tipicamente rimediabile invece attraverso il risarcimento in forma speci-
fica (46).
Mentre, però, azione di esatto adempimento e risarcimento per equi-
valente mirano a risultati palesemente diversi (la prestazione oggetto del-
l’obbligazione, il primo; il ristoro della perdita economica, il secondo) (47),
sicché la scelta tra i due non costituisce mai un problema per l’interprete,
l’apparente comunanza di scopo tra i rimedi dell’adempimento e del ri-
sarcimento in forma specifica rende invece spesso difficile intenderne la
differenza e districarsi, cosı̀, nella scelta.
A chiarire il quadro può forse allora servire qualche esempio.
Modificando l’ipotesi precedente, immaginiamo che l’automobile og-
getto di locazione non sia stata consegnata al locatario perché andata
distrutta in un incidente occorso prima del termine per l’esecuzione del
contratto, e che il ritardo nella consegna – diversamente che nell’ipotesi
precedente – abbia già cagionato dei danni al locatario, e altri potrebbe
ancora causarne in futuro.
In questo esempio, a differenza che nel precedente, il bene oggetto
della prestazione è andato perso; nemmeno in questo caso, tuttavia, il
ripristino della situazione materiale, ove possibile, realizza un’ipotesi di
risarcimento in natura.
Infatti, o il bene oggetto della prestazione non era fungibile (e non è
ora, perciò, più sostituibile) (48), e allora nessuna tutela specifica è ormai

SALVI, Il danno extracontrattuale, Napoli 1985, p. 35 s.; e CASTRONOVO, Il risarcimento in


forma specifica come risarcimento del danno, cit., p. 493. La definizione di “danno materiale
o reale” abbraccia tutti i casi in cui il danno incide su di un “bene” nel senso dell’oggetto
concreto di un diritto, anziché consistere in una perdita economica (o nella stessa lesione,
astratta, del diritto): in questo senso, anche il danno alla reputazione è un danno reale e,
perciò, è passibile di riparazione in natura (ad esempio, tramite la diffusione delle informa-
zioni veritiere).
(46) V. D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 154 ss.
(47) E sovente si accompagnano uno all’altro, come nel caso del ritardo nell’adempi-
mento.
(48) V. le considerazioni di D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 242 s., per
ciò che riguarda le difficoltà nel sostituire un bene e su come, all’infuori della sostituzione, la
reintegrazione del valore di godimento di un bene possa comunque aversi anche per beni
non patrimoniali, poiché tale possibilità non dipende dalla natura patrimoniale o meno del
bene, né, in ultima analisi, dal suo valore di scambio. Circa la possibilità che il risarcimento
commenti 291

possibile: immaginiamo che la locazione avesse avuto ad oggetto la mac-


china da corsa di un noto pilota di Formula Uno, al fine di esibirla ad una
manifestazione sportiva in suo onore (49).
Oppure, se il bene era (già individuato, ma) fungibile, sarebbe possi-
bile al locatario – sempre che questi non preferisca ottenere, piuttosto, una
somma di denaro che lo compensi della perdita economica subı̀ta per la
mancata fruizione del veicolo – ricevere in locazione un’auto di grandezza
e caratteristiche simili alla prima; in questo secondo caso, invero, abbiamo
supposto che il risultato utile originariamente atteso dal locatario consista
nel godimento per un certo tempo di una vettura con determinate carat-
teristiche, e non già di una specifica vettura (come era, invece, nel caso
dell’auto da corsa). Non diversamente che nell’esempio della mancata
consegna nei termini dell’auto di cui era stata pattuita la locazione (50),
perciò, il locatario che chiede la consegna di una vettura analoga a quella
pattuita non avrà invocato un’azione di risarcimento in forma specifica –
ché l’inadempimento non si è tradotto in alcun danno materiale per il
creditore (51) – bensı̀ avrà continuato a domandare l’esatto adempi-
mento (52).
La soluzione sembra ragionevole anche se guardata sotto altro profilo,
ossia quello del confronto tra condizioni e limiti dell’azione di adempi-
mento – da un lato – e dell’azione di risarcimento in natura – dall’altro –

in forma specifica avvenga mediante corresponsione di una somma di denaro v. ancora


D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 58 ss., 121 ss. (cfr. anche supra, nt. 17).
(49) In questo caso, il locatario potrà chiedere al più il risarcimento per equivalente del
danno economico subı̀to per il mancato godimento del veicolo.
(50) Di cui al primo esempio: v. supra, parte di testo corrispondente alla nt. 44.
(51) Per individuare questa ipotesi si è detto anche che, in questo caso, “i danni
[…consistono] esclusivamente nella mancata fruizione del bene dedotto ad oggetto dell’ob-
bligazione”, per contrasto con quella in cui, invece, essi non si esauriscono nell’inadempi-
mento della prestazione attesa, pur essendo da detto inadempimento scaturiti: cosı̀ LENER,
Inadempimento contrattuale e risarcimento in forma specifica, cit., c. 1786. Secondo la no-
zione di danno che abbiamo accolto – diversa dall’impostazione impressa dalla teoria del
danno cd. normativo, cui forse, benché non risulta con chiarezza, l’Autore in parola ha
voluto riferirsi – affermare che il danno consiste unicamente nella mancata fruizione del
bene oggetto della prestazione significa, in altri termini, affermare che all’inadempimento
non è conseguito alcun danno.
(52) La fungibilità del bene oggetto della prestazione, inserita nello schema proprio del
contratto di locazione, fa sı̀ che la consegna di un bene con caratteristiche analoghe a quelle
del bene individuato in contratto possa rientrare nel medesimo risultato atteso dalla pre-
stazione originaria, anziché significare un surrogato di essa in termini di ristoro per la
perdita del bene andato perduto. Che è come dire che, in questo caso, nonostante la
distruzione del bene, l’adempimento non è diventato impossibile. V. il confronto con l’esem-
pio di cui infra, parte di testo corrispondente alla nt. 57.
292 rivista di diritto civile 1/2017

quando, come nel nostro esempio, l’inadempimento riguardi, in modo non


scarsamente rilevante, una delle due prestazioni di un contratto sinallag-
matico (53).
In un contratto sinallagmatico infatti, com’è noto, il comma 2 dell’art.
1453 c.c. preclude l’azione di adempimento al contraente fedele che abbia
già esperito l’azione di risoluzione; l’esperimento di quest’ultima non im-
pedisce, invece, il ricorso ad una tutela specifica di natura risarcitoria per i
danni che siano derivati dall’inadempimento. In questo senso, perciò,
l’azione di adempimento soggiace a condizioni che la responsabilità non
conosce: il contraente fedele non può, cioè, chiedere prima la risoluzione e
poi, pentitosene, l’adempimento; potrebbe però invece, in astratto, chie-
dere risoluzione e risarcimento dei danni in forma specifica.
Ognuno vede come, davanti a questa possibilità, intendere corretta-
mente la distinzione tra adempimento e risarcimento in natura è quanto
mai necessario. Nell’ultimo caso ipotizzato, infatti, se la consegna dell’au-
tovettura fosse stata considerata come il risultato di un’azione di risarci-
mento in forma specifica, anziché di esatto adempimento, sarebbe stato
idealmente possibile al locatario, nonostante l’indubbia iniquità della ri-
chiesta, domandare la risoluzione del contratto di locazione e ottenere
ugualmente in uso la vettura pur in assenza della corresponsione del
corrispettivo pattuito per il godimento (54).
Azione di adempimento si ha altresı̀, nelle pieghe del medesimo ra-
gionamento, quando il creditore agisca per ottenere una porzione, rimasta
inattuata, della prestazione attesa: se invero, a fronte di un’obbligazione
solo parzialmente adempiuta (potremmo chiamarla inesattezza quantitati-
va), il creditore volesse ottenere la parte mancante, la sua richiesta sarebbe
ancora diretta verso l’oggetto originario dell’obbligazione e concreterebbe

(53) Se ne è accennato alla nt. 30.


(54) Si pensi, ancora, al caso in cui un ristorante si rivolga ad un’impresa per l’acquisto
di un significativo numero di bustine di zucchero riportanti il nome e il logo del ristorante
stesso; se le bustine venissero stampate tutte con un errore grafico, e l’azienda ristoratrice ne
chiedesse la sostituzione con un eguale numero di bustine riportanti nome e logo corretti,
non v’è dubbio che tale richiesta realizzi un’azione di esatto adempimento, e non già di
risarcimento in natura: infatti, a volervi vedere, anziché un’azione di esatto adempimento,
una di risarcimento in forma specifica, si consentirebbe all’azienda ristoratrice di risolvere il
contratto e di pretendere ugualmente le bustine di zucchero nuove a titolo di risarcimento in
natura e, quindi, senza pagare il corrispettivo pattuito per esse. Al contrario, intendendo la
pretesa – correttamente – come un’azione di adempimento, l’azienda potrebbe al più – ma è
altra cosa – pretendere, oltre alle bustine (che dovrebbe pagare), un risarcimento per
equivalente se il ritardo nella consegna gli ha procurato perdite economiche.
commenti 293

perciò, ancora una volta, un’azione di adempimento (55). Si pensi al caso in


cui in un contratto avente ad oggetto la vendita di 100 lattine di birra,
avendone l’alienante consegnate solo 70, l’acquirente richieda le restanti
30: scomponendo idealmente l’obbligazione originaria in due sotto-obbli-
gazioni, il ragionamento sarebbe infatti analogo a quello sopra fatto per il
caso di inadempimento totale.
Si è osservato, a questo proposito, che in assenza della prestazione
(come, pure, di parte della prestazione) attesa, la richiesta di una tutela
specifica realizza proprio quell’adempimento inizialmente mancato (56).
Tale assunto, idoneo a marcare la differenza tra adempimento e risar-
cimento in natura in tutta una serie di casi aventi caratteri simili a quelli
considerati, necessita tuttavia di un’ultima precisazione che, volta a tem-
perarne la rigidità, evita la formulazione di soluzioni che, di fronte al
banco di prova del caso concreto, potrebbero apparire artificiose e, perciò,
insoddisfacenti.
Si pensi ad esempio al caso, oggetto di una nota sentenza della S.C.,
riguardante il comodato di un furgoncino che il comodatario si era lasciato
per trascuratezza sottrarre, sı̀ da non poterlo riconsegnare al comodante a
contratto finito (57).
Tale caso non rientra nello stesso schema rappresentato dall’esempio
della locazione dell’automobile andata distrutta: se è vero infatti che, come
in quello, anche in questo la prestazione attesa dal creditore (ossia la
restituzione del proprio furgoncino) è mancata del tutto, non può dirsi
qui, tuttavia, che la richiesta di ricevere un furgoncino identico a quello

(55) V. A. LUMINOSO, Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per vizi nella
vendita dal codice civile alla direttiva 1999/44, in questa Rivista, 2001, I, p. 837 ss. e, in
particolare, p. 849 s.
(56) Cfr. LUMINOSO, op. ult. cit., p. 849, che afferma che “l’inattuazione totale dell’ob-
bligazione lascia persistere intatto nel suo contenuto il debito (primario)”. L’inadempimento
è totale – è bene osservare – non soltanto quando è mancata del tutto la prestazione
originariamente attesa, bensı̀ anche quando il creditore ne ha ricevuta una difforme da
quella pattuita (l’assunto dà voce al dibattito sui rimedi della riparazione o sostituzione
del bene difforme dal contratto, di cui tratteremo infra, al par. 5).
Il discorso cambierebbe, se dal totale mancato adempimento fossero conseguiti dei
danni materiali ulteriori, di cui il creditore chieda la rimozione, nel qual caso sı̀ che si
tratterebbe di risarcimento in natura: come ad esempio se, a causa della mancata costruzione
di pattuite opere di contenimento, il terreno di una montagna, cedendo, avesse danneggiato
un’abitazione: cfr. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita di beni di consumo e categorie
dogmatiche, cit., p. 573, che precisa come il risarcimento in forma specifica operi per la
rimozione di “danni ulteriori non riducibili alla prestazione del risultato dovuto e in parti-
colare a eventi distruttivi causati dall’inadempimento”.
(57) Cass. 21 luglio 1949, n. 1924, cit.
294 rivista di diritto civile 1/2017

rubato possa concretarsi in un’azione di adempimento; in questo caso


infatti – diversamente che nella locazione dell’auto di cui sopra – la pre-
stazione attesa dal creditore è necessariamente la (ri)consegna del medesi-
mo bene, come è reso chiaro dall’espressione usata dall’art. 1803 c.c., che
parla di “obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta” (58): nessun’altra
condotta diversa dalla restituzione del medesimo bene, per la stessa essen-
za del contratto di comodato, potrebbe perciò rientrare nel risultato ori-
ginariamente atteso dal comodante.
Per questa ragione, una volta smarrito il bene ricevuto in comodato,
un adempimento da parte del comodatario non è più possibile (59). Rima-
ne possibile, però, quando il bene è fungibile – come nel caso di specie,
dove il comodante richiese la consegna di un bene identico a quello perso
– la possibilità di ripristinarne il valore d’uso attraverso la sua sostituzione
con un altro di caratteristiche e usura analoghe a quello offerto in como-
dato e poi smarrito.
Tale ultima osservazione – è però doveroso osservare – non scredita
l’assunto secondo cui in assenza della prestazione attesa la richiesta di una
tutela specifica realizza l’adempimento ancora possibile e inizialmente
mancato; ma, soltanto, precisa l’estensione del principio in esso contenuto,
che deve tenere ragionevolmente conto della fattispecie contrattuale di
volta in volta in esame, e delle sue peculiarità: i due esempi – quello
dell’auto promessa in locazione e poi distrutta, e questo, del furgoncino
smarrito durante la sua concessione in uso a titolo di comodato – differi-
scono infatti per il dato significativo, già sottolineato, che nel caso della
locazione, l’adempimento è ancora possibile anche in seguito alla distru-
zione dell’auto promessa in godimento, se questa era considerata per le sue
caratteristiche, e non nella sua individualità (60); qui, invece, per la stessa
configurazione del contratto di comodato, nessun adempimento è ormai
più realizzabile, perché il bene che il comodante si attende non può che

(58) Cfr., per contrasto, la nt. 52. Cass. 21 luglio 1949, n. 1924, cit., ha risolto invece la
questione (v. supra, nt. 18), concedendo al comodante la tutela specifica per una mescola tra
azione di esatto adempimento e di esecuzione in forma specifica, sia in ragione della creduta
inammissibilità dell’azione di risarcimento in forma specifica in campo contrattuale, sia per
una confusa sovrapposizione tra adempimento ed esecuzione: di entrambe le tesi ci siamo
già occupati nei parr. che precedono.
(59) E non perché il bene non sia fungibile: il furgoncino lo è, tant’è che il comodante
agisce in giudizio per ottenerne uno identico (Cass. 21 luglio 1949, n. 1924, cit., c. 566);
bensı̀ perché, per espressa disposizione dell’art. 1803 c.c., il comodato è quel contratto col
quale una parte consegna all’altra una cosa affinché se ne serva per un certo tempo, e l’altra
si assume l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
(60) V. supra, nt. 52.
commenti 295

essere quello stesso concesso in uso al comodatario, mentre è possibile il


ripristino del valore d’uso di detto bene, attesa, come nel caso in esame, la
sua fungibilità.
Tale conclusione tiene, infine, al vaglio di un’eventuale richiesta con-
giunta di risoluzione per inadempimento e risarcimento in natura ad opera
del comodante (61): a differenza che nel caso della distruzione dell’auto-
mobile locata infatti, nessuna sorta di iniqua duplicazione di tutela rice-
verebbe qui il comodante se, a seguito della notizia della perdita del suo
furgoncino, richiedesse lo scioglimento del contratto di comodato e la
consegna di un furgoncino identico al suo a titolo di risarcimento.
Ancora diversa è poi l’ipotesi in cui l’inadempimento – non totale, né
scomponibile – derivi dal fatto che la prestazione oggetto dell’obbligazione
sia stata male eseguita.
Un caso, tratto anch’esso dal repertorio giurisprudenziale in tema di
risarcimento in forma specifica in ambito contrattuale, è quello in cui,
essendo stati sottratti da parte di ignoti tutti e quattro i pneumatici di
un’automobile affidata in custodia ad un’autorimessa, il proprietario della
vettura aveva chiesto, a titolo di risarcimento in natura, quattro ruote
identiche a quelle rubate (62). Qui, a dispetto della decisione della Corte
d’Appello di Milano, che negò al creditore la tutela invocata (63), si ricade
invece perfettamente nel campo di applicazione dell’art. 2058 c.c.: con la
richiesta di ricevere ruote come quelle sottrattegli, il proprietario dell’auto
non formula una nuova richiesta di adempimento, volta a dare attuazione
al risultato utile originariamente dovuto (che sarebbe consistito nella cura,
da parte del custode, del bene affidato alla sua supervisione); egli agisce
piuttosto per la rimozione, in natura, delle conseguenze pregiudizievoli
della cattiva custodia, sı̀ da ottenere una situazione “materialmente corri-
spondente” a quella che sarebbe stata in assenza di inadempimento (64).
È proprio in relazione a casi come questo, in cui i danni materiali siano
derivati da adempimento inesatto qualitativamente, che l’invocazione del

(61) Sulla scorta dell’ipotesi, benché non sia la regola nel contratto di comodato, che il
contratto sia sinallagmatico e, dunque, che per aver dato il bene in comodato il proprietario
riceva un corrispettivo.
L’immagine è già stata ipotizzata sopra per portare conferma alla tesi secondo cui, nel
caso della distruzione dell’automobile locata, la richiesta di ricevere una vettura simile alla
prima è azione di adempimento, e non già di risarcimento in natura (parte di testo corri-
spondente alla nt. 53). Qui, le stesse ragioni portano conferma della soluzione opposta.
(62) È il noto caso oggetto di App. Milano 4 febbraio 1947, cit.: v. supra, nt. 11.
(63) Sulla scorta dell’assunto secondo cui, in ambito contrattuale, l’art. 2058 non
sarebbe applicabile: ma sul punto v. supra, par. 1.
(64) Cfr. D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 4, 242.
296 rivista di diritto civile 1/2017

rimedio risarcitorio in natura acquista una sua propria dimensione nel-


l’ambito della responsabilità contrattuale (65).
Si pensi ancora, ad esempio, all’ipotesi in cui un’impresa, chiamata ad
effettuare degli interventi di restauro su un edificio, abbia provocato delle
lesioni all’immobile a causa dell’installazione di una gru (66); qui, in parti-
colare, la distinzione tra il danno materiale conseguente all’inadempimento
e l’inadempimento stesso è chiara: la cattiva esecuzione delle opere di
restauro (inadempimento) è stata la causa delle lesioni all’edificio (danno
materiale). In tale ultimo caso, pertanto, gli interventi di ripristino che il
creditore potrà chiedere per rimediare all’inadempimento esulano dall’a-
dempimento dell’obbligazione originaria, che doveva consistere nella cor-
retta esecuzione delle opere di manutenzione: sicché detti interventi non
possono essere, ora, il frutto dell’azione di esatto adempimento, poiché
non mirano al risultato dovuto in virtù di tale obbligazione; essi sono,
piuttosto, il mezzo attraverso cui rimuovere, in natura, le conseguenze
dannose della cattiva esecuzione dei lavori commissionati e corrispondono,
pertanto, alla funzione cui è preposta l’azione di reintegrazione in forma
specifica ex art. 2058 c.c. (67). Il fatto che poi, come anche nell’esempio
precedente (e come non di rado avviene), la situazione creata dall’operare
del risarcimento in natura sia analoga al risultato che il creditore si sarebbe
atteso con l’adempimento (da cui trae partito infatti la generalizzata con-
fusione tra gli obiettivi delle due tutele specifiche in parola), non legittima
però ad attendersi che la riparazione in natura debba sempre provocare
tale esito: come abbiamo detto, la funzione propria dell’art. 2058 è risar-
citoria, né le sue attitudini restitutorie possono portarlo a tradire tale
funzione (68).
Uguale schema si applica in generale, altresı̀, all’inadempimento di
obbligazioni negative, dove l’esatto adempimento consiste nell’astenersi
dal fare qualcosa, cosı̀ che, una volta realizzata l’opera in ipotesi vietata,
la sua distruzione da parte del debitore (69) non è l’effetto dell’azione di

(65) Cfr. LUMINOSO, Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per vizi nella vendi-
ta, cit., p. 849 s. Si veda altresı̀ EBENE COBELLI, Risarcimento in forma specifica, cit., p. 489.
(66) È il caso oggetto di Cass. 25 luglio 1997, n. 6985, cit. Similmente Cass. 17 giugno
2015, n. 12582, cit. Analogo è l’esempio riportato da NICOLUSSI, Diritto europeo della
vendita di beni di consumo e categorie dogmatiche, cit., p. 572.
(67) In alternativa alla richiesta di una somma di denaro a tacitazione del pregiudizio
subı̀to, secondo i criteri propri della quantificazione del risarcimento per equivalente: v.
D’ADDA, Il risarcimento in forma specifica, cit., p. 121 ss.
(68) V. supra, parte di testo corrispondente alla nt. 9.
(69) La richiesta è indirizzata al debitore per essere la domanda di risarcimento appar-
tenente alla fase della cognizione, al pari di quella di adempimento (v. supra, par. 2).
commenti 297

esatto adempimento, bensı̀ della rimozione dei danni che l’inadempimento


ha (già) provocato.
Cosı̀ è, ad esempio, nel caso in cui un fabbricato sia stato posto in
essere in spregio ad un obbligo di non costruire assunto in virtù di un
contratto: potrebbe essere questa l’ipotesi in cui uno dei due proprietari di
fondi vicini abbia edificato su un fondo di entrambi, nonostante che i due
si fossero accordati per adibirlo a parcheggio comune (70). Anche in questo
caso, l’azione promossa dal contraente non inadempiente al fine di ridurre
in pristino lo stato dei luoghi mediante la demolizione dell’opera non può
realizzare l’esatto adempimento, poiché la prestazione originaria sarebbe
consistita nel non costruire; realizza, piuttosto, un intervento volto a can-
cellare i danni, conseguenti alla violazione di detto obbligo, prodotti dal-
l’esistenza dell’opera che le parti avevano ritenuto loro comune interesse
non erigere (consistenti, ad esempio, nella perdita della vista lago, di cui i
due fondi in proprietà esclusiva prima godevano); il fatto poi che anche
qui, rimuovendo il danno, si ottenga una situazione analoga al risultato
atteso con l’adempimento è ancora una volta il frutto delle attitudini
restitutorie del risarcimento in natura, su cui già ci siamo soffermati (71).
L’ipotesi da ultimo delineata non è tuttavia priva di insidie: come
sempre nel caso di obblighi di non fare, la distruzione di quanto fatto
potrebbe infatti in astratto essere, oltre che l’effetto dell’attuazione del-
l’obbligazione risarcitoria predicata dall’art. 2058 c.c., anche il frutto del-
l’esecuzione coattiva di cui all’art. 2933 c.c., secondo cui “l’avente diritto
può ottenere che sia distrutto, a spese dell’obbligato, ciò che è stato fatto
in violazione dell’obbligo”.
Il dubbio è legittimo, atteso che la differenza tra la distruzione di
un’opera come esecuzione in natura della prestazione risarcitoria o, invece,
come il risultato di un’esecuzione in forma specifica di un obbligo di non
fare, potrebbe sembrare non netta, specie in quei casi – che sono frequenti
– in cui l’obbligazione risarcitoria in natura venga eseguita dal debitore per
il tramite della corresponsione di una somma di denaro pari a quella
necessaria per la riduzione in pristino (nell’esempio fatto, se il compro-
prietario non costruisse – e non demolisse – da sé, ma si rivolgesse ad
un’impresa edile, sostenendone le spese) (72).
Il problema, in realtà, è solo apparente: innanzitutto, nel caso del
risarcimento in forma specifica è il debitore a designare il terzo (l’impresa

(70) È il caso di Cass. 30 luglio 2004, n. 14599, cit.


(71) V. supra, parte di testo corrispondente alle note 9 e 68.
(72) V. supra, nt. 17.
298 rivista di diritto civile 1/2017

edile, nell’esempio di cui sopra) cui far eseguire il ripristino, laddove


invece nel caso dell’esecuzione in forma specifica tale terzo viene designato
dal giudice dell’esecuzione, ai sensi, e nei modi, dell’art. 612 c.p.c. (73). In
secondo luogo, la soluzione non può che passare attraverso l’analisi del
caso di volta in volta in esame, condotta attraverso la consapevolezza –
secondo quanto detto sopra (74) – che la distinzione tra risarcimento in
natura ed esecuzione coattiva corre lungo il filo della differenza tra pro-
cesso cognitivo e processo esecutivo: e quindi, se la condanna alla demo-
lizione avviene all’esito del giudizio cognitivo, si tratterà di una condanna
risarcitoria; se invece quest’ultima, disattesa, ha dato occasione per l’aper-
tura della fase esecutiva, o se il creditore – come spesso avviene – dispone
già di un titolo esecutivo (ad esempio, di un atto pubblico certificante la
servitù di veduta), e può quindi agire direttamente con l’esecuzione in
forma specifica, si tratterà piuttosto di esecuzione diretta ex art. 2933
c.c., attuata secondo le modalità di cui all’art. 612 c.p.c.

4. – Sono note, in dottrina, le riflessioni di chi ha rilevato come – per


dare un senso al rimedio del risarcimento in forma specifica in ambito
contrattuale – l’inesattezza che ha afflitto la prestazione, e da cui sia
derivato un danno materiale, debba essere stata di ordine “qualita-
tivo” (75).
Invero, come nell’esempio di cui sopra, in cui il debitore è chiamato a
riparare i danni procurati all’immobile dal suo intervento imperito (76),
nella generalità delle ipotesi di adempimento inesatto “qualitativamente”
il creditore non ha più modo di ottenere la prestazione oggetto dell’ob-
bligazione originaria, poiché l’inadempimento si è tradotto in una “com-
promissione” non più reversibile di tutta quanta la prestazione dovuta,
tanto che non è più possibile, nemmeno impiegando altri strumenti, giun-
gere a quel risultato utile inizialmente atteso: la prospettiva rimediale che il
creditore ha di fronte non è allora più – si è osservato – quella della
coazione, quanto piuttosto, ormai, quella della eliminazione degli effetti

(73) Stando al quale il giudice dell’esecuzione – adı̀to con ricorso dal creditore che
intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un
obbligo di fare o di non fare – sentita la parte obbligata, con ordinanza “designa l’ufficiale
giudiziario che deve procedere all’esecuzione e le persone che debbono provvedere al
compimento dell’opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta”.
(74) Par. 2.
(75) V. supra, parte di testo corrispondente alla nt. 65.
(76) V. supra, parte di testo corrispondente alle note 66-67.
commenti 299

dannosi (77). In questo senso, si potrebbe affermare che l’alterazione “ma-


teriale” conseguente all’inadempimento ha investito il bene su cui la pre-
stazione doveva essere svolta.
È quanto accade ad esempio nei casi, frequenti in giurisprudenza, di
responsabilità del notaio per omessa o negligente esecuzione delle visure
catastali di un immobile, quando questo risulti gravato da ipoteca nono-
stante che, all’atto di alienazione, il notaio ne avesse garantito la liber-
tà (78). A nulla servirebbe, qui, l’azione di esatto adempimento: al momen-
to in cui l’illecito del notaio viene ad essere contestato, infatti, i dati
catastali sono già stati ormai ricostruiti correttamente o, comunque, è
già stato individuato l’errore da cui è scaturito il danno; obbligare il notaio
ad effettuare nuovamente le visure non potrebbe in alcun modo ripristi-
nare la situazione di fatto e di diritto che si sarebbe avuta qualora l’inca-
rico fosse stato espletato diligentemente sin dall’inizio.
A questo punto, pertanto, altra soluzione non v’è se non quella di
rimuovere gli effetti pregiudizievoli del cattivo operato di quest’ultimo: il
che significa obbligarlo – se possibile e non eccessivamente oneroso (79) –
alla cancellazione dell’ipoteca gravante sull’immobile, in modo da elimina-
re gli effetti del procedimento espropriativo (quando in corso) o il loro
concreto rischio (80).
La distinzione tra esatto adempimento e risarcimento in forma speci-
fica, spesso cosı̀ sfumata, è in quest’ultima ipotesi molto chiara: non vi è
infatti alcun dubbio che la cancellazione dell’ipoteca non possa essere fatta
rientrare nella prestazione originaria (la corretta effettuazione delle visure),
come è certo che detta cancellazione non miri più, ormai, a dare “attua-
zione al rapporto in funzione di quel risultato utile al creditore che era

(77) Cosı̀ EBENE COBELLI, Risarcimento in forma specifica, cit., p. 489.


(78) V. Cass. 3 gennaio 1994, n. 6, cit.; Cass. 27 giugno 2006, n. 14813, cit.; Cass. 20
gennaio 2009, n. 1335, cit., con nota di G. MUSOLINO, Responsabilità del notaio e risarci-
mento del danno; Cass. 2 luglio 2010, n. 15726, cit., con nota di MUSOLINO, Responsabilità
notarile per visure errate e risarcimento del danno in forma specifica. Un altro esempio di
risarcimento in forma specifica a seguito di inesattezza “qualitativa” dell’adempimento
potrebbe essere quello della prestazione medica male effettuata, in modo che occorra un
secondo intervento per ovviare al pregiudizio provocato dal primo.
(79) “A condizione […cioè] che vi sia la possibilità di ottenere, a tal fine, il consenso
del creditore procedente e che il relativo incombente non sia eccessivamente gravoso, sia per
la natura dell’attività occorrente, che per la congruità, rispetto al danno, della somma da
pagare”: Cass. 26 gennaio 2004, n. 1330, cit.; Cass. 27 giugno 2006, n. 14813, cit.; Cass. 2
luglio 2010, n. 15726, cit.
(80) L’acquirente potrà altrimenti agire per ottenere il risarcimento per equivalente,
dato dalle somme necessarie per la cancellazione dell’ipoteca (e l’estinzione del debito
garantito).
300 rivista di diritto civile 1/2017

originariamente dovuto” (81) (ossia un’esatta informazione circa le vicende


che interessavano l’immobile al fine di consentire, all’aspirante acquirente,
una corretta determinazione della propria volontà negoziale). La cancel-
lazione dell’ipoteca, piuttosto, mira a “ricongiungere”, a inadempimento
avvenuto, quanto erroneamente dichiarato (che, cioè, il bene fosse libero
da pesi), con la realtà (rendendo, cioè, l’immobile davvero libero da pesi) e
in tal modo a rimuovere le conseguenze pregiudizievoli della falsa dichia-
razione, di cui si è detto (82).
Significativamente, le ipotesi di adempimento inesatto o negligente,
che rivendicano una certa importanza con riguardo al tema del risarcimen-
to del danno in forma specifica in ambito contrattuale, sono quelle stesse
in cui, a rendere “inesatta” l’esecuzione della prestazione (principale) de-
dotta in obbligazione, è l’avverarsi della violazione di quegli obblighi rite-
nuti ad essa accessori, e che su di essa si riversano, noti come “obblighi di
protezione” (83).

(81) NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche,
cit., p. 570.
(82) Per questo LENER, Inadempimento contrattuale e risarcimento in forma specifica,
cit., c. 1786, ha parlato di “risarcimento in forma specifica, inteso quale rimozione dei danni
nel più ampio senso […che] si attua senza l’adempimento della prestazione dedotta ad
oggetto dell’obbligazione”: l’assunto si inserisce, come abbiamo rilevato supra, nt. 51, al-
l’interno di una nozione di danno ampia, che si sovrappone finanche all’inadempimento
stesso.
(83) Ovverosia quegli obblighi – nascenti dalla legge anche quando la fonte dell’obbligo
di prestazione è il contratto – accessori rispetto alla prestazione, ma dotati di autonomia in
sé (in quanto, ad esempio, autonomamente azionabili), la funzione dei quali sarebbe di
consentire il conseguimento di un “risultato integralmente utile” (CASTRONOVO, voce Obbli-
ghi di protezione, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma 1990, p. 1 ss.), e inseriti all’interno della
teoria secondo cui l’obbligazione non si esaurisce nell’obbligo di prestazione, ma al contrario
consta di una struttura complessa (c.d. Organismus) al cui interno rientrano una serie di
obblighi che si presentano come il risvolto e l’integrazione dello scopo positivo dell’obbli-
gazione: cfr. ancora CASTRONOVO, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e
torto, in Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, 1, Diritto civile, Milano
1995, p. 147 ss.
Alla base della distinzione tra prestazione e protezione è l’idea che un obbligo di
protezione, fino a quando si limita ad essere un dovere di “buona condotta” (di “Wohlver-
halten” parlava al riguardo K. LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts, erster Band allgemeiner
Teil, 14a ed., München 1987, p. 8), non si traduce in un comportamento determinato, e
perciò non è ritenuto idoneo ad essere oggetto di una prestazione contrattuale: anche da qui
l’esigenza di elaborare una categoria di obblighi a sé, non assimilabili all’obbligo di presta-
zione – che invece è fin da subito determinato e dunque può costituire oggetto di pretesa da
parte del creditore – ma presenti tutt’intorno a quest’ultimo a corredare il rapporto obbli-
gatorio. Quando però, finalmente, tali doveri di protezione e lealtà si specificano in conte-
nuti determinati, assumerebbero il rilievo di “obblighi di prestazione accessori”; a quel
punto anch’essi potrebbero essere oggetto di pretesa in giudizio e, pertanto, in nulla più
si differenzierebbero, quanto alla natura, dall’obbligo di prestazione, se non per il fatto che
commenti 301

La cosa non stupisce se si pensa che, essendo detti obblighi volti alla
tutela della persona o dei beni del creditore contro i rischi specificamente
derivanti dall’obbligazione stessa, essi sono generalmente “destinati ad
inverarsi alla sola occasione dell’insorgere di danni” (84), e, oltretutto,
che i danni che la loro violazione genera – proprio per avere essi ad
oggetto la persona del creditore o i suoi beni – sono sempre (anche) di
tipo materiale (85); e infine che, una volta che tali obblighi siano violati,
non è ormai più possibile l’adempimento (86).

quelli sarebbero di ordine “accessorio” e quest’ultimo, invece, di ordine principale e carat-


terizzante il tipo di rapporto. Significativo, al riguardo, è un passo dello stesso LARENZ, op.
cit., p. 105, che per entrambi utilizza – dal momento in cui è stato determinato il compor-
tamento specifico in cui si concreta l’obbligo di protezione – lo stesso termine “Leistung”,
vale a dire “prestazione”. Gli obblighi di protezione, perciò, se differenti da quello alla
prestazione “principale”, non lo sono però da quello alla prestazione tout court: anche i
primi, come il secondo, contengono in realtà una prestazione, e sono perciò passibili di
specifica pretesa; la loro differenza diventa, cosı̀, puramente descrittiva ed è data dal fatto
che i secondi – per il contenuto e la funzione loro propri – si prestano, se isolati dalla
prestazione principale, ad essere letti come specificazione degli obblighi di correttezza di cui
all’art. 1175 c.c.
Di risarcimento in forma specifica con riferimento alla violazione di obblighi di pro-
tezione parlano, in particolare, CASTRONOVO, Il risarcimento in forma specifica come risarci-
mento del danno, cit., p. 492; EBENE COBELLI, Risarcimento in forma specifica, cit., p. 489;
NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche, cit.,
p. 573.
(84) DI MAJO, L’obbligazione “protettiva”, in Europ. e d. priv., 2015, p. 1 ss. e, in
particolare, 14.
Anche se, a volte, gli obblighi di protezione si “inverano” già al momento della loro
violazione: si pensi al caso in cui, durante il trasporto di un passeggero, il tassista guidi in
modo spericolato, cosı̀ da metterne a serio rischio l’incolumità; in questo caso l’obbligo di
protezione verso la persona del passeggero può dirsi “inverato”, benché alla sua violazione
non sia (ancora) seguito alcun danno; sicché il passeggero ben potrebbe richiamare l’autista
all’osservanza di detti obblighi o, in alternativa, risolvere il contratto. Non v’è infatti ragione
alcuna per escludere che, idealmente, i cd. obblighi di protezione siano passibili di pretesa,
al pari dell’obbligo di prestazione principale (vedi le argomentazioni svolte supra, nota
precedente. Si potrebbe, al più, discutere dell’utilità di una loro pretesa separatamente dalla
pretesa alla prestazione principale).
(85) Diverso è il problema se tale danno sia passibile di una riparazione in natura o
meno; ma questo non perché sia in dubbio la sua qualifica di danno reale, bensı̀ perché,
essendo il più delle volte (altresı̀) un danno non patrimoniale, potrebbe non essere più
possibile intervenire in natura: si pensi al vettore che, responsabile di un sinistro stradale,
cagioni la morte del trasportato. Ciò non significa, però, che i beni non patrimoniali, per
loro natura insostituibili, siano anche genericamente tutti non riparabili: nel caso in cui il
passeggero sia solo ferito, anziché deceduto nell’incidente, è possibile curarlo; o, nel caso in
cui un bene che abbia un importante valore affettivo per il suo proprietario si rompa, è
possibile ripararlo; e via dicendo. Accurata a tal proposito è l’analisi di D’ADDA, Il risarci-
mento in forma specifica, cit., p. 242 s.; v. anche supra, nt. 48.
(86) Dell’obbligazione principale, cui l’azione di adempimento per definizione si riferi-
sce: v. infra, nel testo, e nt. 88. V. anche supra, parte di testo corrispondente alla nt. 77.
302 rivista di diritto civile 1/2017

Gli esempi sarebbero molti. Si pensi, per tutti, al caso paradigmatico


del contratto di trasporto di persone, per il quale l’art. 1681 c.c. sancisce la
responsabilità del vettore per i “sinistri che colpiscono la persona del
viaggiatore durante il viaggio e della perdita o dell’avaria delle cose che
il viaggiatore porta con sé”: si potrebbe dire che, in tal caso, il vettore si è
preso carico dell’obbligo di condurre il passeggero a destinazione (presta-
zione principale), corredato dell’obbligo di condurvelo sano e salvo (ob-
bligo di protezione, che ha fonte nell’art. 1681, citato). Ora, se lungo il
tragitto l’autista provocasse per distrazione un incidente stradale e ferisse il
trasportato, le lesioni a quest’ultimo procurate, derivanti dalla violazione
degli obblighi di protezione, sarebbero certamente inquadrabili nel novero
dei pregiudizi materiali, per i quali avrebbe dunque senso porsi il proble-
ma del ripristino in natura della situazione come sarebbe stata in assenza di
inadempimento. Nel nostro esempio si tratterebbe della richiesta, da parte
del trasportato, che il vettore sostenga le spese necessarie alla sua piena
guarigione (calcolate ex post, ma entro i limiti del danno che poteva dirsi
prevedibile al tempo della stipulazione del contratto di trasporto, secondo
la prescrizione imposta, in sede di responsabilità contrattuale, dall’art.
1225 c.c.) (87).
A questo fine, invocare l’adempimento (88) non avrebbe alcuna utilità,
poiché esso non potrebbe “rimediare” alla violazione degli obblighi di
protezione e, comunque, non sarebbe più praticabile.
La spiegazione è evidente, e completa il presupposto da cui siamo
partiti: l’osservanza degli obblighi di protezione è il riflesso dell’osservanza
dell’obbligazione principale, con cui normalmente si misura il concetto di

(87) Laddove, invece, nel risarcimento per equivalente, le spese di ripristino sarebbero
state calcolate ex ante (siamo in quei casi in cui il danno non può che essere calcolato sulle
spese di ripristino, sı̀ che le due modalità risarcitorie – per equivalente e in natura – spesso
conducono alla medesima posta risarcitoria, anche se, in astratto, potrebbero anche com-
portare alcune differenze: V. D’ADDA, Il risarcimento del danno in forma specifica, cit., p. 145
ss., 186. In sede di responsabilità contrattuale, tuttavia, tali differenze tendono ancor più
marcatamente a zero, posto che le spese non previste, in caso di inadempimento colposo,
non devono essere risarcite per via del disposto dell’art. 1225 c.c. Sicché, nel caso in parola,
il rischio di costi aggiuntivi per trattamenti sanitari ulteriori non potrebbe essere addebitato
al vettore e le due poste risarcitorie – rispettivamente, secondo la modalità risarcitoria per
equivalente e secondo quella in natura – verrebbero a coincidere. Non, ovviamente, se
l’inadempimento fosse doloso. V. anche supra, nt. 30).
(88) Dell’obbligazione principale; non consideriamo neppure l’idea di invocare l’adem-
pimento dei soli obblighi di protezione, che in questo caso – come in tutti quelli in cui la
violazione degli obblighi di protezione abbia già generato un danno – non sarebbe possibile,
prima ancora di essere una soluzione priva di senso (cfr. supra, nt. 84).
commenti 303

adempimento (89) (e non potrebbe essere diversamente: l’obbligo, acces-


sorio, di tutelare l’integrità fisica del passeggero è riferito a quello, princi-
pale, di trasportarlo); e, per contro, la violazione degli obblighi di prote-
zione necessariamente inficia l’esattezza della prestazione principale (90),
provocando una situazione non più reversibile attraverso l’adempimento,
che non ha modo di “annullare” gli effetti di detta violazione: se la tra-
sgressione degli obblighi di protezione ha già creato danno, l’unica tutela
possibile rimane quella risarcitoria (91).
È netta anche in questo caso – come già nell’esempio precedente della
responsabilità del notaio – la distinzione tra adempimento e risarcimento
in forma specifica: nessuno metterebbe in dubbio, infatti, che la richiesta
del passeggero ferito di essere tenuto indenne delle spese necessarie alla
propria guarigione esuli dalla prestazione originariamente attesa (il tra-
sporto; o, in maniera equivalente, dal risultato utile originariamente atteso:
l’arrivare a destinazione sano e salvo). La differenza con il caso della
responsabilità del notaio, come pure con il caso della responsabilità del-

(89) Non consideriamo, volutamente, l’ipotesi – benché nota e autorevolmente soste-


nuta – della “obbligazione senza prestazione” (espressione introdotta in Italia da CASTRO-
NOVO, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in Le ragioni del
diritto cit., p. 147 ss. e, in particolare, 168), perché, se è ozioso distinguere tra obblighi
di prestazione e protezione in base alla loro natura, ché entrambi avrebbero dignità di
prestazione (v. anche supra, nt. 83), allora a maggior ragione non vi può essere spazio per
l’esistenza di un’obbligazione senza prestazione, poiché una simile figura si risolverebbe in
una sorta di contenitore vuoto: cfr. DI MAJO, L’obbligazione senza prestazione approda in
Cassazione, in Corr. giur., 1999, p. 441 ss. e, in particolare, 450 s.; M. MAGGIOLO, Il
risarcimento della pura perdita patrimoniale, Milano 2003, p. 145 s.; M. GAZZARA, Danno
alla persona da contatto sociale: responsabilità e assicurazione, Napoli 2007, p. 74 s.).
(90) A questa stregua, si potrebbe forse allora anche dubitare dell’utilità di distinguere
tra obblighi di prestazione e obblighi di protezione: il posto fatto occupare agli obblighi di
protezione, infatti, potrebbe essere quello dedicato, nella concezione classica dell’obbliga-
zione, alla diligenza che il debitore deve impiegare nell’adempiere, ex art. 1176 c.c. e,
quindi, potrebbe descrivere il modo in cui l’obbligazione – intesa in senso unitario – è
adempiuta (v. però anche infra, nt. 92). Negano autonomia alla categoria degli obblighi
di protezione, tra gli altri, U. BRECCIA, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto
obbligatorio, Milano 1968, p. 72 s.; U. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in
Tratt. Cicu-Messineo, XVI, 1, Milano 1974, p. 14 ss.; BIANCA, Inadempimento delle obbliga-
zioni, in Comm. Scialoja-Branca, sub art. 1218, 2a ed., Bologna-Roma 1979, p. 36.
Non sempre, per contro, l’inesattezza nell’adempimento della prestazione principale si
traduce nella violazione degli obblighi di protezione. Si pensi, ad esempio, al caso del
medico che, obbligatosi verso il paziente – a seguito della stipulazione di un contratto di
cure con questi – ad eseguire un’operazione chirurgica, esegua male l’operazione concor-
data, creandogli un danno: qui non vi è violazione di obblighi di protezione; rectius, qui
neppure vi sono obblighi di protezione, poiché la cura del paziente rientra nell’obbligazione
principale.
(91) E, se la tutela invocata è specifica, quella del risarcimento in natura.
304 rivista di diritto civile 1/2017

l’appaltatore per il danno causato nel restauro dell’edificio, o del proprie-


tario del fondo per avere costruito un fabbricato in spregio all’obbligo,
assunto, di non farlo, sta invece nel fatto che, in quelli, il risarcimento in
forma specifica riesce, mentre ripara in natura il danno, a farne cessare la
fonte, consentendo al creditore di creare una situazione materialmente
analoga a quella che poteva attendersi in caso di esatto adempimento;
qui invece, come in tutti i casi in cui il danno deriva dalla violazione
dell’obbligo di protezione, la riparazione in natura non “interviene” già
anche sull’inadempimento, bensı̀ unicamente sul danno ad esso conse-
guente; sicché il creditore può essere ricondotto soltanto alla situazione
che avrebbe avuto in assenza di inadempimento, e non già a quella che si
sarebbe creata in costanza di adempimento: ma ciò dipende soltanto dalla –
o, si potrebbe anche dire, è conferma della – natura risarcitoria, e non già
reintegratoria, della disposizione ex art. 2058, la quale solo episodicamente
riesce a far cessare l’illecito, mentre è per definizione deputata a rimuovere
il danno (92).
Ciascuno degli esempi fatti porta testimonianza della tesi, che qui si
sostiene, secondo cui il risarcimento in forma specifica non può essere
assorbito, e la sua funzione non può essere usurpata, dal ricorso all’azione
di adempimento: adempimento e risarcimento in forma specifica, pur
tendendo entrambi idealmente al medesimo scopo di “ritoccare” la realtà
naturale al fine di “riparare all’inadempimento”, rispondono in realtà a
logiche e presupposti molto diversi, come diversi sono – lo si è visto – i
risultati cui concretamente giungono.

5. – Un’ultima occasione di riflessione può essere suggerita, infine,


dalle ipotesi di garanzia di buon funzionamento per il caso di vendita di
cosa affetta da vizi, ex art. 1512 c.c., oltre che dalle ipotesi di tutela del
compratore nella vendita di beni di consumo, di cui ora al titolo III, capo
I, del d. legisl. n. 206/2005 (93).
Cosı̀ il disposto del comma 2 dell’art. 1512 c.c., come pure quello
dell’art. 130 c. cons., prevedono infatti, per il caso di malfunzionamento

(92) V. supra, parte di testo corrispondente alle note 9, 68 e 71.


Se, alla luce delle riflessioni condotte precedentemente (v. supra, nt. 90), si poteva
mettere in dubbio l’opportunità di distinguere tra obblighi di prestazione e obblighi di
protezione, questo aspetto, concernente i diversi effetti dell’operare dell’art. 2058 sulla
situazione del creditore, potrebbe costituire una delle ragioni per mantenere la distinzione.
(93) D. legisl. 6 settembre 2005, n. 206, noto come Codice del Consumo, in cui sono
confluite le norme degli artt. 1519-bis ss. c.c., aggiunte al codice civile per effetto della
direttiva 25 maggio 1999, n. 1999/44/CE.
commenti 305

della cosa venduta, o comunque di difetto di conformità al contratto, la


possibilità per il compratore di domandare il ripristino delle condizioni
attese mediante la riparazione o la sostituzione del bene acquistato.
Il contesto è di viva importanza in relazione al tema oggetto del pre-
sente studio, poiché la funzione di consumo – alla cui logica obbedisce
anche la categoria codicistica del buon funzionamento (94) – impone di
tenere conto del valore d’uso del bene compravenduto, anziché del – o
comunque con preferenza rispetto al – suo valore di scambio (95). E, come
si è detto, l’interesse al valore d’uso giustifica la predilezione per la tutela
specifica, sia essa da declinare come tutela reintegratoria (in termini di
esatto adempimento, o secondo i più, nel caso dei vizi della vendita, di
garanzia “in forma specifica del risultato atteso dal compratore” (96)) o,
piuttosto, risarcitoria (in termini di risarcimento in forma specifica). La
questione della natura dei rimedi della riparazione e della sostituzione del
bene difettoso è al centro di vivaci contrasti in dottrina.
Il problema del loro inquadramento sistematico riflette, a monte, le
difficoltà nel rinvenire un’obbligazione a carico del venditore con riguardo
alle caratteristiche del bene venduto, attesa l’incertezza nell’individuare
quale sia il dovere di condotta, presupposta dall’obbligazione, cui il ven-
ditore sia tenuto in occasione della vendita del bene (97).
Avverso la tesi secondo cui “il diritto al rispristino si iscrive a pieno
titolo tra i rimedi contro l’inadempimento e ciò nei termini di un’azione
per l’esatto adempimento” (98) – per avere il venditore, con il trasferimen-

(94) Pur abbracciando infatti casi che non rientrano nel rapporto impresa-consumato-
re, comunque si tratta di situazioni in cui il compratore è interessato all’uso personale del
bene più che al suo rendimento in termini economico-imprenditoriali.
(95) Cfr. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie
dogmatiche, cit., p. 552.
(96) NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche,
cit., p. 549. V., meglio, nel prosieguo.
(97) Cosı̀ NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie
dogmatiche, cit., p. 541; LUMINOSO, Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per vizi
nella vendita, cit., p. 837 ss.
(98) DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita dei beni di consumo, in Europ. e
d. priv., 2002, p. 1 ss. e, in particolare, 8. Cosı̀ anche R. DE MATTEIS, Il difetto di conformità e
l’equilibrio contrattuale dello scambio, in Contratto e impr. eur., 2001, p. 51 s.; ROMEO, I
presupposti sostanziali della domanda di adempimento, cit., p. 226 ss. Nello stesso senso,
attenuando il profilo del comportamento dovuto e accentuando quello del “risultato ogget-
tivo che si deve garantire al creditore”, P. SCHLESINGER, Le garanzie nella vendita di beni di
consumo, in Corr. giur., 2002, p. 561 s. Ancora, v. G. BONFANTE - O. CAGNASSO, Risoluzione
del contratto ed «azione di adempimento» quali strumenti di tutela del consumatore o del-
l’impresa?, in Contratto e impr. eur., 2001, p. 23 ss.
Questa visione potrebbe sembrare in linea con la lettera dell’art. 1512 c.c., che dopo
306 rivista di diritto civile 1/2017

to di un bene viziato, disatteso in toto l’obbligazione di consegnare beni


conformi al contratto – si schiera invero la tesi che, cavalcando i dubbi
sopra espressi, non concepisce l’idea che sostituzione e riparazione possa-
no concretare un’azione di esatto adempimento: non vi è inadempimento
di un’obbligazione, cioè, secondo quest’ultima impostazione, per la ragio-
ne che non può esservi la stessa obbligazione, non esistendo un’obbliga-
zione che riguardi lo stato e le qualità della cosa venduta, in quanto “la
condizione materiale del bene [costituisce] il suo modo di essere e non il
possibile risultato di una condotta del (venditore) debitore” (99).
Secondo tale ultima impostazione, in particolare, la tutela del compra-
tore – se faticosa sul piano dell’obbligazione – potrebbe essere recuperata
sul piano contrattuale attraverso il riferimento alla lex contractus, la quale
risulterebbe vanificata dalla violazione dell’effetto traslativo voluto dalle
parti. Il trasferimento di un bene difforme da quello pattuito, in altri
termini, avendo impedito l’attuazione del contratto e vanificatone lo sco-
po, verrebbe allora letto non già come inadempimento di un’obbligazione
del venditore – attese le esposte incertezze nell’individuare di quale ob-
bligazione si possa trattare – bensı̀, direttamente, come inadempimento del
contratto in quanto tale. A questa stregua dunque, se l’effetto della com-
pravendita prescinde dalla condotta del venditore, il vincolo da questi
assunto sarebbe non già un’obbligazione, bensı̀ una garanzia. In quest’ot-
tica, il sinallagma del contratto di compravendita verrebbe preservato
attraverso l’attribuzione, alla parte acquirente, di un diritto di garanzia
per il rischio di vizi della cosa compravenduta (100). Riparazione e sostitu-
zione sarebbero allora non già azioni di esatto adempimento, bensı̀ azioni
di garanzia.
Ma – ciò che più conta per la prospettiva che assumiamo in questa
sede – in entrambi i casi (che si tratti cioè di inadempimento di un’ob-

avere nominato i rimedi della riparazione e della sostituzione indica, altresı̀, la possibilità per
il compratore di ottenere il risarcimento dei danni. Non pare questo, tuttavia, un argomento
da solo dirimente, perché il riferimento al risarcimento dei danni sembra essere riservato,
con tutta probabilità, alla modalità di risarcimento più comune, ossia quella per equivalente.
(99) LUMINOSO, Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per vizi nella vendita, cit.,
p. 840. In questo senso anche MENGONI, Profili di una revisione della garanzia per vizi nella
vendita, in R. d. comm., 1953, I, p. 18.
In giurisprudenza la posizione non è molto chiara, oscillando le motivazioni tra tesi
dell’adempimento e tesi della garanzia: cfr. Cass. 14 gennaio 2011, n. 747, in Nuova g. civ.
comm., 2011, p. 798 ss.; Cass. 20 aprile 2012, n. 6263, in Notariato, 2012, p. 366 ss.
(100) Cosı̀ NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie
dogmatiche, cit., p. 535 s.; cfr. altresı̀ MAZZAMUTO, Equivoci e concettualismi nel diritto
europeo dei contratti, cit., p. 1047.
commenti 307

bligazione ovvero di garanzia per un rischio assunto – i cui confini sono


mobili, come si è prontamente osservato (101)) si verserebbe nel genere dei
rimedi reintegratori, anziché risarcitori: quale che sia la visuale privilegiata
tra adempimento e garanzia, cioè, le impostazioni evocate concordano nel
ravvisare nei rimedi della sostituzione e della riparazione del bene difettoso
il fine di ripristinare le utilità attese dal contratto.
A fronte della consegna di un bene non conforme a quello pattuito,
invero, la richiesta del compratore di renderlo conforme, o di sostituirlo
con uno adeguato, non mira all’eliminazione di conseguenze dannose, bensı̀
al conseguimento in natura del risultato originariamente dovuto; e una
richiesta avente il fine da ultimo evocato, secondo i ragionamenti sopra
svolti, realizza null’altro che l’adempimento – o in questo caso potremmo
anche dire l’effetto – inizialmente mancato (102).
Non mancano certamente opinioni discordi – rispetto a quelle a so-
stegno della natura reintegratoria di detti rimedi, che abbiamo accomuna-
to secondo una sintesi autorizzata dalla prospettiva qui adottata – secondo
cui riparazione e sostituzione attuerebbero strumenti di risarcimento in
forma specifica, per la ragione che esulerebbero dalla prestazione contrat-
tuale, ormai interamente e definitivamente compromessa dal trasferimento
del bene difettoso (103); sicché, secondo questa lettura, non essendo più
possibile reiterare la richiesta inizialmente oggetto del contratto, la tutela
specifica non potrebbe che realizzarsi tramite un “emendamento” dei
pregiudizi conseguiti all’imperfetta attribuzione traslativa: la richiesta di
eliminare il vizio della cosa, cioè, esorbiterebbe dal contenuto del pro-
gramma contrattuale per riversarsi a pieno nell’obbligazione risarcitoria a
carico del venditore (104).

(101) DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita dei beni di consumo, cit., p. 4.
(102) V. supra, parte di testo corrispondente alla nt. 56.
(103) Gli argomenti a favore della tesi secondo cui riparazione e sostituzione concre-
terebbero forme di risarcimento in natura non si accompagnano, anzi di regola avversano,
l’idea secondo cui la vendita di cosa difettosa consisterebbe in un inesatto adempimento.
Nella mente dei sostenitori di tale tesi, perciò, la responsabilità del venditore non nasce-
rebbe dall’inadempimento di un’obbligazione, bensı̀ dall’inadempimento della lex contrac-
tus, o direttamente dall’inesatta realizzazione dell’effetto traslativo (v. nota seguente).
(104) Per la tesi secondo cui riparazione e sostituzione realizzano rimedi risarcitori in
forma specifica propendono BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, VII, 2a ed.,
Torino 1993, p. 1008 ss.; B. GRASSO, Garanzia per i vizi della cosa venduta, azione di esatto
adempimento e risarcimento del danno, in Rass. d. civ., 1980, p. 213 ss.; L. CAO, Vendita di
cosa viziata e azione di esatto adempimento, in G. it., 1981, I, 2, c. 303 ss. e, in particolare,
313 ss.; C. BELFIORE, Sulla pretesa del compratore alla riparazione della cosa venduta, in F.
pad., 1974, I, c. 397 ss. e, in particolare, 403. Vicino ad una posizione siffatta è anche
LUMINOSO, Riparazione o sostituzione della cosa e garanzia per vizi nella vendita, cit., p. 846
308 rivista di diritto civile 1/2017

Tale ultima ricostruzione – di cui non si è trascurato di sottolineare


come al più essa si possa adattare al rimedio della riparazione, più che a
quello della sostituzione (105) – potrebbe sembrare incoraggiata dal riferi-
mento, ora contenuto nell’art. 130, comma 3, c. cons., all’impossibilità e
all’eccessiva onerosità, cui la norma subordina l’esercizio dei rimedi della
sostituzione e della riparazione (106); i quali limiti richiamano alla mente le
condizioni di cui al comma 2 dell’art. 2058 c.c., istituendo cosı̀ con que-
st’ultimo un collegamento in un certo senso automatico e precodifi-
cato (107).
Ma, all’infuori dell’assonanza tra i due linguaggi, poco altro rimane:
l’avere acquistato un bene difettoso non è un danno che deriva dall’ina-
dempimento del contratto o dell’obbligazione che dir si voglia, ma è la
stessa inesatta realizzazione dell’attribuzione traslativa pattuita, sicché la
riparazione o la sostituzione non sono un mezzo per rimuovere le conse-
guenze pregiudizievoli di tale inadempimento (108), bensı̀ proprio un modo
per operare sull’inadempimento stesso, riportando il contratto nei termini
originari.
Il quadro disegnato, per la varietà di sfumature interpretative cui si
presta, offre un banco di prova della complessità del reale, in cui le ragioni
esposte, se non sempre in grado di spostare con certezza l’ago della bi-

ss., che ipotizza una “responsabilità speciale del venditore per inesatta realizzazione dell’ef-
fetto traslativo”, anche se poi finisce per propendere verso la garanzia a causa dell’irrile-
vanza, nelle fattispecie esaminate, del requisito della colpa in capo al venditore, escludendo
l’ipotesi che possa trattarsi di responsabilità oggettiva.
(105) Cosı̀ A. PLAIA, Sull’ammissibilità dell’azione di esatto adempimento in presenza di
vizi del bene venduto o promesso in vendita, in Contratto e impr., 1998, p. 123 ss. e, in
particolare, 127 ss. V. altresı̀ le considerazioni svolte da R. FADDA, La riparazione e la
sostituzione del bene difettoso nella vendita (dal codice civile al codice del consumo), Napoli
2007, p. 126 ss.
(106) È bene osservare tuttavia come il limite dell’eccessiva onerosità di cui all’art. 130
cod. cons. non già è posto in relazione con i costi del risarcimento per equivalente, ma si
riferisce invece esclusivamente al rapporto tra sostituzione e riparazione, e dunque è ristretto
all’ambito del ripristino (il comma 3 dell’art. 130 c. cons. recita infatti: “Il consumatore può
chiedere, a sua scelta, al venditore di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese in entrambi
i casi, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso
rispetto all’altro”, e il comma 4 pone i criteri per valutare l’eccessiva onerosità): v. DI MAJO,
Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, cit., p. 10.
(107) Cosı̀ pure il testo dell’art. 46 della Convenzione di Vienna sulla vendita interna-
zionale dei beni mobili (CISG), che subordina la possibilità di chiedere la riparazione del
bene difettoso alla reasonability del rimedio, avuto riguardo per le circostanze del caso. Il
disordinato richiamo ai limiti dell’impossibilità e dell’eccessiva onerosità, nel nostro ordina-
mento propri del risarcimento in forma specifica, è presente in vari progetti di diritto
contrattuale europeo: v. supra, nt. 23.
(108) Dell’obbligazione o del contratto: v. supra, in questo paragrafo.
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lancia verso l’una o l’altra categoria, di certo però forniscono spunti nel
guidare il ragionamento, nella consapevolezza che la soluzione non è mai
unica e indiscutibile.
Tali ambiguità non sconfessano però le conclusioni cui siamo giunti,
secondo cui adempimento e risarcimento in natura – pur nella comunanza
data dall’essere entrambi forme di tutela specifica – coprono differenti
ambiti di operatività, diversi essendo, come abbiamo visto, i fini cui ten-
dono e i presupposti sulla cui base operano. Ciò rende ragione dell’op-
portunità di mantenerli separati e, cosa che più preme per la prospettiva
da cui abbiamo guardato al fenomeno, di riconoscere all’azione di risarci-
mento ex art. 2058 c.c., anche in materia di responsabilità contrattuale,
identità e funzione proprie.

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