Sei sulla pagina 1di 15

Il rapporto fra norme di ius cogens e la regola sull’immunità degli Stati:

alcune osservazioni critiche sulla sentenza


della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012*

di
Riccardo Pisillo Mazzeschi

SOMMARIO: 1. Alcune osservazioni generali sulla sentenza. - 2. Il punto centrale della controversia: il rapporto fra la
regola dell’immunità degli Stati e le norme sostanziali di ius cogens. Argomenti della Corte e critiche a tali
argomenti – 3. Possibilità di una tesi diversa: conflitto fra regola sull’immunità e norme strumentali di ius cogens. –
4. Segue: Il diritto individuale di accesso alla giustizia per la violazione dei diritti umani nel diritto internazionale
consuetudinario. – 5. Segue: Il diritto dell’individuo alla riparazione per violazione dei diritti umani come norma di
diritto internazionale consuetudinario. – 6. Segue: Collegamento essenziale e funzionale fra le norme primarie sul
divieto di gravi violazioni di diritti umani fondamentali e le norme strumentali sull’accesso alla giustizia e sulla
riparazione. – 7. Segue: Conflitto reale e concreto fra le suddette norme strumentali e la regola sull’immunità degli
Stati. – 8. Conclusioni.

1. Alcune osservazioni generali sulla sentenza

L’esito della sentenza della Corte internazionale di giustizia1 sfavorevole all’Italia era prevedibile e
ritengo che esso non abbia destinato grande sorpresa nella comunità scientifica degli internazionalisti italiani.
Tuttavia la motivazione della sentenza mi sembra criticabile sotto molti punti di vista. Non è possibile, per
motivi di spazio, trattare tutti i punti critici e pertanto mi limiterò soltanto ad alcuni di essi, che concernono
la parte III della sentenza, che si occupa della violazione dell’immunità giurisdizionale della Germania a
causa dei processi instaurati da ricorrenti italiani dinanzi ai giudici interni del nostro Stato. In particolare, nel
quadro di tale parte III della sentenza, mi occuperò soltanto dei problemi relativi al secondo argomento
difensivo sostenuto dall’Italia; cioè dei temi relativi alla gravità della violazione, al rapporto fra ius cogens e
regola sull’immunità, al c.d. last resort argument e alla tesi italiana circa l’effetto combinato delle
circostanze .
Tuttavia, prima di affrontare queste tematiche, vorrei premettere alcune osservazioni generali sulla
sentenza.
In primo luogo, la sentenza appare assai conservatrice, sia per il metodo di ricostruzione delle norme
consuetudinarie, fondato su un esame specie di carattere quantitativo della prassi; sia per lo scarso rilievo
dato all’elemento dell’opinio iuris; sia per la poca attenzione prestata al ruolo dell’individuo

* Scritto in corso di pubblicazione in Diritti umani e diritto internazionale, 2-2012


** Professore ordinario presso l'Università degli Studi di Siena
1
ICJ, Jurisdictional Immunities of the State (Germany v. Italy: Greece Intervening), Judgment of 3 February 2012, in
www.icj-cij.org/homepage/index.php. Un primo commento alla sentenza è stato scritto da N.RONZITTI, “L’Italia nel
sottoporre a giudizio la Germania ha violato l’immunità giurisdizionale degli Stati”, in Guida al diritto –Il sole 24 ore,
10 marzo 2012, p.89 ss.
1
nell’ordinamento internazionale anche nelle controversie fra Stati2; sia per non aver approfondito il tema e le
possibilità di applicazione dello ius cogens; sia per una soluzione assai formalistica di certi problemi
importanti. In sostanza, la sentenza appare ancorata ad una visione esclusivamente stato-centrica del diritto
internazionale e non offre alcun segnale di apertura nei confronti dello sviluppo progressivo di tale diritto e
forse neppure nei confronti di certe norme consuetudinarie che si sono già affermate, sia pure recentemente.
In secondo luogo, anche nella ricostruzione e nella disamina della prassi e della giurisprudenza, la Corte
talvolta dà l’impressione di citare con abbondanza quella parte della prassi, interna e internazionale, che
favorisce la soluzione poi adottata dalla Corte; e di trascurare invece certe manifestazioni della prassi che
vanno in una direzione diversa. Inoltre la Corte ha dato più importanza alla giurisprudenza e prassi
internazionale che alla giurisprudenza e prassi interna in materia internazionale. Per questi aspetti, il giudice
Yusuf, nella sua opinione dissidente, ha detto che la Corte ha dato talora l’impressione di usare un metodo di
cherry picking nell’esame della prassi3.
In terzo luogo, la sentenza non è molto chiara nel distinguere fra gross violations dei diritti umani da parte
di Stati (cioè pratiche di violazioni flagranti e sistematiche di diritti umani), fra violazioni gravi ma isolate di
diritti umani assolutamente fondamentali (ad esempio tortura, violazioni illegittime del diritto alla vita,
schiavitù, servitù, lavoro forzato, deportazione forzata, prigionia arbitraria) che costituiscono anch’esse
violazioni di norme consuetudinarie di ius cogens da parte di Stati, ed infine fra crimini di guerra e crimini
contro l’umanità, che appartengono invece più propriamente agli illeciti ad opera di individui, e sono regolati
dal diritto internazionale penale più che dal diritto internazionale dei diritti umani4. Naturalmente, nel
valutare gli sviluppi recenti dell’ordinamento internazionale, il diritto internazionale penale poteva avere
un’influenza, ma solo di carattere indiretto, poiché il problema centrale era la responsabilità dello Stato
tedesco per gravi violazioni di diritti umani fondamentali e del diritto internazionale umanitario, ed il
rapporto fra tale responsabilità e la regola dell’immunità.
In quarto luogo, la sentenza, dal punto di vista metodologico, opera una specie di “spezzettamento” dei
vari argomenti difensivi dell’Italia, specie in relazione al secondo argomento sopra citato. Tale argomento di
difesa italiano, che conteneva tre tesi strettamente collegate ma in realtà inscindibili fra di loro, è stato invece
“scorporato” dalla Corte in tre sottoargomenti (strands) separati, i quali, affrontati singolarmente, hanno

2
Diversamente da altre recenti decisioni della CIG, come le notissime sentenze LaGrand e Avena, nelle quali la CIG ha
riconosciuto che gli individui possono essere destinatari diretti di norme internazionali. Vedi: ICJ, LaGrand (Germany
v. USA), Merits, Judgment of 27 June 2001, in ICJ Reports 2001, p. 466 ss.; ICJ, Avena and Other Mexican Nationals
(Mexico v. USA), Judgment of 31 March 2004, in ICJ Reports 2004, p.121 ss.
3
Vedi l’opinione dissidente di Yusuf, par.23.
4
La Corte, nel paragrafi 52, 81 e 108 della sentenza, con riferimento agli atti della Germania (e non solo dei suoi
individui organi), parla di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità, e nel par 85 parla di crimini di diritto
internazionale, trascurando il fatto che la CDI, nel suo Progetto di articoli sulla responsabilità dello Stato, anche sulla
base dell’opinio juris espressa da molti Stati, ha eliminato tale terminologia, sostanzialmente sostituendola con il
concetto di gravi violazioni di obblighi derivanti da norme imperative del diritto internazionale generale. Vedi l’art.40
del Progetto.
2
perso molta della forza ed efficacia che avrebbero avuto se fossero stati trattati unitariamente. Anche su
questo punto, la sentenza appare piuttosto formalistica.

2. Il punto centrale della controversia: il rapporto fra la regola dell’immunità degli Stati e le norme
sostanziali di ius cogens. Argomenti della Corte e critiche a tali argomenti

A mio avviso, l’aspetto più importante della controversia5 era costituito dal problema se la norma
internazionale consuetudinaria sull’immunità giurisdizionale degli Stati esteri, essendo una norma di
carattere dispositivo, può essere derogata quando essa contrasta in maniera reale e concreta con norme
internazionali consuetudinarie di ius cogens. E se, nel caso di specie, esistevano norme consuetudinarie di ius
cogens in conflitto con la norma sull’immunità.
E’ forse vero che la dichiarazione di inammissibilità della counterclaim italiana, decisa dalla CIG con
l’ordinanza del 6 luglio 2010, ha in parte condizionato negativamente la trattazione approfondita di questo
aspetto ad opera della Corte. Ma, se si legge la sentenza, si nota che la Corte ha in realtà affrontato tale
problema, nella parte della sentenza dedicata a respingere il secondo argomento della difesa italiana6.
Tuttavia, a mio parere, è proprio questa parte della sentenza quella più debole e più criticabile.
In primo luogo, la Corte ha trattato l’importante problema del rapporto fra la regola dell’immunità e lo ius
cogens in maniera troppo rapida. In secondo luogo, come avevo già accennato, nel quadro del secondo
argomento della difesa italiana, la Corte ha isolato il tema dello ius cogens dagli altri problemi strettamente
connessi. Forse su questo aspetto vi è anche una certa responsabilità della difesa italiana, che ha insistito
troppo sulla specificità del caso di specie, e non ha voluto attaccare in maniera più decisa e più generale la
regola dell’immunità, tramite la tesi delle deroghe che tale regola subisce in caso di contrasto con lo ius
cogens. In un certo senso la difesa italiana non ha sposato in pieno la tesi della Cassazione italiana, espressa
soprattutto nei casi Ferrini7 e Milde8.
In terzo luogo, e questo è il punto più importante, la Corte ha affrontato, con riferimento allo ius cogens,
solo il problema dell’eventuale conflitto fra le norme primarie del diritto dei conflitti armati che proibiscono
l’uccisione di civili, la deportazione ed il lavoro forzato di civili e di prigionieri di guerra e la norma
sull’immunità degli Stati esteri9. Tuttavia, è proprio questo il punto più criticabile della sentenza. Gli
argomenti della Corte, in relazione allo ius cogens, sono espressi nei paragrafi 92-97 della sentenza.

5
Sulla controversia fra Germania ed Italia dinanzi alla CIG e sulle varie sentenze italiane, che hanno dato luogo alla
controversia, la dottrina è ormai vastissima ed non può essere qui citata per motivi di spazio. Si rinvia, da ultimo, a F.
MARONGIU BUONAIUTI, “Azioni risarcitorie per la commissioni di crimini internazionali ed immunità degli Stati dalla
giurisdizione: la controversia tra la Germania e l’Italia innanzi alla Corte internazionale di giustizia”, in DUDI 2001, p.
232 ss. ed alla ampia dottrina e giurisprudenza ivi citate, spec. nelle note 2 e 3.
6
Vedi la parte III della sentenza, paragrafi 3 e 4.
7
Corte di cassazione (sez. un. civ.), sentenza 11 marzo 2004 n.5044, Ferrini c. Repubblica federale di Germania, in
RDI 2004, p. 539 ss.
8
Corte di cassazione (sez. I pen.), sentenza 13 gennaio 2009 n.1072, Milde, in RDI 2009, p.618 ss.
9
Vedi soprattutto i paragrafi 92, 93 e 94 della sentenza.
3
Francamente (e con il dovuto rispetto) sono rimasto assai sorpreso dal modo con cui la Corte ha affrontato
e risolto, con poche frasi ed una motivazione non approfondita, l’importate e complesso problema del
rapporto fra le norme di ius cogens e la regola dell’immunità degli Stati.
Innanzitutto ritengo che sia estremamente formalistica e non convincente la tesi della Corte, formulata nel
par. 93, laddove essa afferma che non esiste un conflitto fra le eventuali norme di ius cogens che vietano i
suddetti crimini di guerra e la norma sull’immunità giurisdizionale degli Stati esteri. La Corte afferma, in
maniera lapidaria, che non vi può essere conflitto perché “The two sets of rules address different matters”. E
poi aggiunge che le regole sull’immunità dello Stato hanno carattere procedurale e quindi non incidono sulla
questione se la condotta della Germania sia stata lecita o illecita. Per il medesimo motivo, riconoscere
l’immunità ad uno Stato estero secondo il diritto internazionale non significa riconoscere come lecita una
situazione creata dalla violazione di una norma di ius cogens.
Nel successivo par.94, la Corte ribadisce in sostanza la stessa tesi anche in relazione ad un eventuale
conflitto fra la norma sull’immunità e l’obbligo dello Stato autore dell’illecito di fornire la riparazione. In
particolare, essa afferma che l’obbligo dello Stato di riparare l’illecito è una regola indipendente rispetto alle
regole che stabiliscono i mezzi con i quali si deve fornire la riparazione; e che la regola sull’immunità degli
Stati concerne solo tali seconde regole.
La Corte adotta concetti simili, anch’essi non convincenti, in altri passaggi della sua sentenza. Ad
esempio, per quanto riguarda l’argomento della gravità della violazione10, la Corte, nel par.82, afferma che il
problema dell’immunità dello Stato estero dalla giurisdizione è necessariamente preliminare nella sua natura,
rispetto al problema della gravità dell’illecito. Ciò comporta un impedimento logico per il giudice ad entrare
nel merito della controversia. In altri termini, il giudice nazionale deve determinare se uno Stato estero abbia
diritto all’immunità prima di affrontare il merito della questione. In effetti, si potrebbe replicare che la natura
preliminare dell’immunità non impedisce al giudice interno di entrare nel merito, per stabilire la natura
dell’atto statale e l’eventuale presenza di deroghe o limiti all’immunità11.
Infine, un altro concetto simile viene utilizzato dalla Corte anche quando essa affronta la questione del
c.d. last resort argument12. Nel par.100 della sentenza, la Corte fa due affermazioni che ci sembrano
contraddittorie. Prima sostiene che il fatto che l’immunità possa impedire l’esercizio della giurisdizione in un
certo caso non pregiudica l’applicazione delle regole sostanziali del diritto internazionale; ma poi afferma
che la questione se uno Stato abbia diritto all’immunità dinanzi ai giudici di un altro Stato è una questione
totalmente separata da quella se la responsabilità internazionale di tale Stato esista e se esso abbia un obbligo
di riparare l’illecito.
Come si può notare, tutti i suddetti argomenti utilizzati dalla Corte sono collegati fra di loro e tendono
tutti a distinguere nettamente il problema delle norme primarie e sostanziali violate dalla Germania, ed anche

10
Vedi i paragrafi 81-91 della sentenza.
11
Su questo punto vedi anche l’opinione dissidente di Yusuf, par.37.
12
Vedi i paragrafi 98-104 della sentenza.
4
il problema della riparazione dell’illecito, dalla questione dell’immunità, considerata come preliminare e di
natura meramente procedurale. Tali argomenti costituiscono, a mio avviso, strumenti giuridici, forse eleganti,
minuziosi e sofisticati, ma in realtà del tutto astratti e formalistici, per evitare di affrontare il punto cruciale
della controversia, ovvero il possibile conflitto fra norme consuetudinarie ed il modo per risolverlo. Inoltre, i
medesimi argomenti finiscono per restringere in maniera eccessiva gli effetti dello ius cogens nel diritto
internazionale contemporaneo, che, secondo la Corte potrebbe operare, in sostanza, solo in caso di contrasto
fra norme che si occupano della medesima materia. In altri termini, seguendo tale interpretazione restrittiva,
resterebbe in pratica un margine di funzionamento assai limitato allo ius cogens; e ciò contraddice
l’importanza innovativa che è stata attribuita a tale concetto sia dagli Stati sia dalla dottrina
internazionalistica maggioritaria.
Peraltro, non sono affatto convinto circa la fondatezza ed anche la razionalità giuridica, sul piano di una
logica concreta e non astratta, dei suddetti argomenti della Corte. Infatti per me è chiaro che è del tutto
inutile che vi siano norme di ius cogens che proibiscono gravi violazioni dei diritti umani fondamentali e del
diritto internazionale umanitario da parte degli Stati, e che tali norme creino obblighi per gli Stati e
corrispondenti diritti per altri Stati e per gli individui vittime, se poi questi ultimi non possono in concreto far
valere tali norme. Ciò corrisponde ad un principio generale di giustizia, per cui non esiste un diritto effettivo,
in mancanza di rimedi per la sua violazione13. In altri termini, anche se si può riconoscere l’utilità, a scopi
sistematici, della distinzione fra norme primarie e norme secondarie (oppure, nell’ottica della Corte, fra
norme sostanziali e norme processuali), tali distinzioni non significano che i due gruppi di norme
appartengano a due campi del diritto internazionale totalmente separati, impermeabili e incomunicabili fra
loro.
Come è noto, argomenti simili sono stati sostenuti da una minoranza di otto giudici della Corte europea
dei diritti dell’uomo nella sentenza Al-Adsani v. United Kingdom,14 i quali hanno affermato che la natura di
ius cogens del divieto di tortura comporta che lo Stato autore dell’illecito non può invocare la norma
sull’immunità statale poiché essa è gerarchicamente inferiore rispetto alla norma di ius cogens. Ma la
maggioranza di nove giudici ha non ha accolto questo argomento.
Tuttavia, per quanto la tesi della Corte internazionale di giustizia appaia formalistica e non convincente,
non si può certo dire che essa fosse una novità neppure in dottrina. Infatti vari studiosi avevano già sostenuto
questa tesi15, che invece era stata respinta da altri autori16. In sostanza su di essa la dottrina era, ed è tuttora,

13
Vedi B. CONFORTI, Diritto internazionale, 7° ed., Napoli, 2010, pp.380-381, sulla artificiosità della distinzione fra
norme primarie e norme secondarie che prevedono una sanzione per la loro violazione.
14
Corte europea dei diritti dell’uomo, Al-Adsani v. UK, sentenza del 21 novembre 2001, opinione dissidente congiunta
dei giudici Rozakis, Caflish, Wildhaber, Costa, Cabral Barreto e Vajić, par.3, e opinioni dissidenti dei giudici Ferrari
Bravo e Loucaides, in www.echr.coe.int/
15
Vedi, ad es., A. ZIMMERMAN, “Sovereign Immunity and Violation of International Jus Cogens. Some Critical
Remarks”, in Michigan JIL 1995, p.438 ss.; J.BRÖMER, State Immunity and the Violation of Human Rights, The Hague,
1997, p. 195 ss.; C. TOMUSCHAT, “L’immunité des états en cas de violations graves des droits de l’homme”, in RGDIP
2005, p.51 ss., spec. pp.57-63; C. FOCARELLI, “I limiti dello jus cogens nella giurisprudenza più recente”, in RDI 2007,
p.637 ss.; ID., “Immunité des états et jus cogens. La dynamique du droit international et la fonction du jus cogens dans
5
divisa. Pertanto era necessario che l’Italia predisponesse degli argomenti piuttosto solidi per confutare tale
tesi.

3. Possibilità di una tesi diversa: conflitto fra regola sull’immunità e norme strumentali di ius cogens

A mio parere, questi argomenti potevano essere forniti dalle norme internazionali, ricavabili soprattutto
dal settore dei diritti umani ma anche da altri settori, sull’accesso alla giustizia, sul diniego di giustizia e sulla
riparazione. Si poteva cercare di dimostrare: 1) che esiste una norma consuetudinaria di diritto internazionale
che prevede il diritto di accesso alla giustizia (o il diritto ad un rimedio effettivo) per gli individui vittime di
violazioni dei diritti umani e che il mancato rispetto di tale norma può comportare, quantomeno in certi casi,
un diniego di giustizia; 2) che esiste una norma consuetudinaria che prevede anche il diritto alla riparazione
per tali individui vittime; 3) che queste due norme impongono obblighi allo Stato accusato dell’illecito sia
verso gli individui sia verso i loro Stati nazionali; 4) che tali ultimi Stati possono agire dinanzi alla Corte
internazionale di giustizia per far valere i diritti propri e quelli dei propri cittadini; 5) che le due norme
consuetudinarie hanno di regola carattere dispositivo e possono subire restrizioni; ma che, quando esse sono
assolutamente essenziali e funzionali per tutelare le norme internazionali primarie e sostanziali di ius cogens,
anche tali norme di carattere strumentale divengono norme di ius cogens; 6) che, infine, in caso di conflitto
reale e concreto fra le due norme strumentali di ius cogens e la norma consuetudinaria sull’immunità degli
Stati esteri, le prime devono prevalere perché di rango superiore o comunque perché hanno una speciale
forza di resistenza (sono appunto imperative perché sono espressione dei valori supremi della comunità
internazionale).

le processus de changement de la règle sur l’immunité juridictionnelle des états étrangers”, in RGDIP 2008, p.761 ss.,
spec. p.772 ss.; J. VERHOEVEN, “Considérations sur ce qui est commun. Cours général de droit international public
(2002)”, in Recueil des Cours, 2008 (vol.334), p. 15 ss., a pp.234-236.; R. KOLB, “Observations sur l’évolution du
concept de jus cogens”, in RGDIP 2009, p. 837 ss., a pp.844-846; A. GATTINI, “The Dispute on Jurisdictional Immunity
of the State before the ICJ: Is the Time Rape for a Change in the Law?”, in Leiden JIL 2011, p. 178 ss.
16
Vedi, ad es., M. REIMANN, “A Human Rights Exception to Sovereign Immunity: Some Thoughts on Princz v. Federal
Republic of Germany”, in Michigan JIL 1995, p. 407 ss.; J.A. GERGEN, “Human Rights and the Foreign Sovereign
Immunities”, in Virginia JIL 1996, p. 765 ss., a pp.783-787; P.-M. DUPUY, “ L’unité de l’ordre juridique international.
Cours général de droit international public (2000)”, in Recueil des Cours 2002 (vol.297), p. 15 ss., a pp. 280-283; A.
BIANCHI, “L’immunité des états et les violations graves de droits de l’homme: la function de l’interprète dans la
determination du droit international”, in RGDIP 2004, p.53 ss., spec. p.96 ss.; A. ORAKHELASHVILI, “State Immunity
and International Public Order Revisited”, in GYIL 2006, p. 327 ss., a pp.353-363; A. CASSESE, Diritto internazionale,
Bologna, 2006, p. 111; N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, 2° ed., Torino, 2007, p.172; ID., “Ius
cogens”, in M. FLORES, T. GROPPI, R. PISILLO MAZZESCHI (a cura di), Diritti Umani: Cultura dei diritti e dignità della
persona nell’epoca della globalizzazione - Dizionario, vol. II, Torino, 2007, p. 806, il quale afferma che “le norme
cogenti, essendo al vertice delle fonti, prevalgono sulle semplici norme consuetudinarie”. Da ultimo vedi anche F.
SALERNO, Diritto internazionale: Principi e norme, Padova, 2008, pp.420-429, spec. pp.426-429, il quale sostiene che
una norma consuetudinaria imperativa prevale su una norma consuetudinaria dispositiva, anche se le due norme non
insistono sulla stessa materia.
6
In realtà, la difesa dell’Italia ha cercato di far valere alcuni di tali argomenti; ma, a mio parere, in maniera
piuttosto implicita, con qualche incertezza17, e privilegiando un approccio più fondato sulla specificità e
eccezionalità del caso di specie e sull’effetto combinato di una serie di circostanze. A mio avviso, una tesi
difensiva più netta e coraggiosa, che cercasse di dimostrare l’esistenza, nel diritto internazionale
contemporaneo, di deroghe di carattere generale alla regola sull’immunità fondate sul concetto di ius cogens,
anche se era forse più ardita, sarebbe stata preferibile18. Se non altro, perché, se fosse stata accolta, avrebbe
contribuito maggiormente allo sviluppo progressivo del diritto internazionale.
Conviene adesso esaminare separatamente, sia pure sintetizzati per gruppi omogenei, i sei argomenti
sopra suggeriti.

4. Segue: Il diritto individuale di accesso alla giustizia per la violazione dei diritti umani nel diritto
internazionale consuetudinario

A mio parere, esiste oggi una norma consuetudinaria di diritto internazionale, che impone agli Stati
l’obbligo di garantire all’individuo vittima di una violazione dei diritti umani l’accesso ad un apparato di
amministrazione della giustizia che sia idoneo ad accertare in maniera indipendente ed imparziale l’eventuale
violazione. Si può parlare, in proposito, di un obbligo dello Stato di garantire la protezione giudiziaria (in
senso lato) contro la violazione dei diritti umani19. A quest’obbligo dello Stato corrisponde un diritto
dell’individuo all’accesso alla giustizia20 o, usando una terminologia diversa ma analoga, un diritto
dell’individuo ad un ricorso interno effettivo, inteso qui in senso procedurale21.
Questo obbligo deriva innanzitutto, come logica estensione anche al campo dei diritti umani, dal
tradizionale obbligo dello Stato di proteggere gli stranieri, che hanno subito offese nel proprio territorio o
negli spazi sotto la propria “giurisdizione”, anche tramite misure repressive, quali l’accesso ai propri
tribunali o ad altri meccanismi di accertamento della violazione. L’accesso alla giustizia deve essere
adeguato e effettivo, come logica contropartita dell’obbligo dello straniero di esaurire i ricorsi interni nello

17
Questa incertezza è rilevata dalla CIG nel par.86 della sua sentenza. Del resto, nella counter-memorial dell’Italia del
22 dicembre 2009, nel par.4.67, si afferma che “… Italian case law is not based on the formal, a priori, prevalence of
jus cogens primary rules over immunity procedural rules. Italy does not pretend in general terms that when confronted
with a claim arising out of the violation of a jus cogens norm municipal courts have jurisdiction. Italy fully agrees with
Germany that such a general exception to immunity does not yet find confirmation in international practice, nor can it
be theoretically inferred from the jus cogens character of the rule violated …”.
18
In realtà sembra che l’Italia abbia evitato di attaccare direttamente la regola dell’immunità. Vedi la nota precedente.
19
Mi permetto di rinviare al mio corso su “Responsabilité de l’Etat pour violation des obligations positives relatives aux
droits de l’homme”, in Recueil des Cours, vol.333 (2008), pp.352-365.
20
Sul tema generale del diritto individuale di accesso alla giustizia, anche al di fuori del settore dei diritti umani, vedi di
recente F. FRANCIONI, “Il diritto di accesso alla giustizia nel diritto internazionale generale”, in F. FRANCIONI, M.
GESTRI, N. RONZITTI, T. SCOVAZZI (a cura di), Accesso alla giustizia dell’individuo nel diritto internazionale e
dell’Unione europea, Milano, 2008, p. 3 ss.
21
Vedi F. FRANCIONI,”Il diritto di accesso”, cit., p.20, il quale nota giustamente che, nella prassi, il concetto di
“rimedio effettivo” assume talora un significato solo procedurale e talora anche un significato sostanziale, che
corrisponde in sostanza al diritto dell’individuo ad ottenere la riparazione dell’illecito.
7
Stato territoriale, purché essi siano appunto adeguati ed effettivi, prima che il proprio Stato nazionale possa
eventualmente esercitare la protezione diplomatica. Come è noto, la conseguenza della violazione da parte
dello Stato territoriale del proprio obbligo di rendere giustizia agli stranieri lesi consiste nel c.d. diniego di
giustizia.
In secondo luogo, nel settore specifico dei diritti umani, l’obbligo degli Stati di garantire alle vittime
l’accesso alla giustizia risulta dai trattati e dagli atti giuridici più importanti in tale settore: l’art.25(1) della
Convenzione americana dei diritti umani è la norma più esplicita e completa; ma obblighi analoghi si
ricavano dall’art.8 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dall’art.13 della CEDU, dall’art.2(3)
del Patto sui diritti civili e politici, dall’art.7(1)(a) della Carta africana sui diritti dell’uomo e dei popoli,
dall’art.47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, l’art.6 della Convenzione sulla eliminazione di ogni
forma di discriminazione razziale. Queste norme, al di là di certe differenze non significative fra loro,
garantiscono tutte un contenuto minimo di tutela giudiziaria, espresso nelle formula dell’obbligo di offrire
alla vittima un rimedio interno effettivo (sia dinanzi a veri e propri organi giurisdizionali sia ad altri organi
che abbiano funzioni di risoluzione delle controversie in base a criteri giuridici). Anche nel settore dei diritti
umani, come in quello della protezione degli stranieri, una conferma di tale obbligo generale degli Stati è
fornita dalla regola consuetudinaria che richiede all’individuo vittima il previo esaurimento dei ricorsi interni
prima che egli possa adire le istanze internazionali. Questa regola ha, come corollario necessario, l’obbligo
dello Stato autore della presunta violazione di offrire ricorsi interni adeguati e effettivi22.
Vi sono poi altre norme convenzionali che vanno oltre nella protezione giudiziaria dell’individuo vittima,
perché prevedono addirittura un equo processo, dettando standard processuali più precisi e più incisivi. Basti
pensare all’art.6 della CEDU, l’art.8 della Convenzione americana, l’art.14 del Patto sui diritti civili e politici
ed altre norme simili. Tuttavia ritengo che queste norme più dettagliate abbiano solo carattere convenzionale
e non siano state finora recepite dal diritto internazionale consuetudinario.
In terzo luogo, la giurisprudenza e la prassi delle corti e degli altri organi internazionali di controllo dei
trattati sui diritti umani hanno confermato l’esistenza del diritto individuale di accesso alla giustizia in
moltissimi casi23. A mio parere, questa prassi e l’opinio iuris che la sorregge hanno un ruolo molto
importante nel ricostruire l’esistenza di una norma consuetudinaria sull’accesso alla giustizia, in caso di
violazione dei diritti umani.
Comunque, se anche si volesse sostenere una tesi più restrittiva, si deve oggi riconoscere che esiste una
norma consuetudinaria sul diritto individuale di accesso alla giustizia quantomeno per le gross violations dei
diritti umani24 e per le singole violazioni così gravi di diritti umani fondamentali (fra le quali: tortura,

22
Vedi R. PISILLO MAZZESCHI, Esaurimento dei ricorsi interni e diritti umani, Torino, 2004, spec. Cap. IV.
23
ID., “Responsabilité”, cit., pp.345-365 e 414-422.
24
Cioè pratiche di violazioni flagranti e sistematiche di diritti umani. Vedi supra, par.1
8
violazioni illegittime del diritto alla vita, servitù, lavoro forzato, prigionia arbitraria, deportazione forzata)
che costituiscono certamente violazioni di norme di ius cogens da parte degli Stati25.
Un discorso a sé meriterebbe l’importanza oramai centrale del diritto di accesso effettivo alla giustizia
nell’ordinamento dell’UE, quale principio generale e diritto fondamentale dell’UE26. Ciò può giustificare la
tesi che, fra gli Stati membri dell’UE, si sia creata una consuetudine particolare in questa materia. Ma non
sembra necessario sviluppare oltre questo tema.
In conclusione, il diritto individuale di accesso alla giustizia (o se si preferisce il diritto individuale ad un
rimedio interno effettivo) , quantomeno nei casi di gross violations o di singole gravi violazioni di diritti
umani fondamentali, appare come un vero e proprio diritto umano di natura strumentale, tutelato da una
norma di diritto internazionale consuetudinario. Ciò significa anche riconoscere che limiti o restrizioni
ingiustificati o addirittura assoluti di tale diritto costituiscono un diniego di giustizia, che comporta la
responsabilità internazionale dello Stato autore dell’illecito.
Si è parlato finora dell’accesso dell’individuo alla giustizia interna per violazione dei diritti umani. E’
chiaro che un discorso diverso vale per l’accesso dell’individuo alla giustizia internazionale, intesa in senso
lato come comprendente sia veri e propri organi giurisdizionali, sia organi quasi-giurisdizionali. Infatti è
ben noto che l’individuo ha una capacità limitata di accedere direttamente ai rimedi processuali
internazionali, poiché ciò si realizza solo in quei sistemi convenzionali o in quei singoli trattati, che
dispongono di meccanismi di risoluzione delle controversie aperti anche agli individui. Ma ormai molti
trattati sui diritti umani prevedono l’accesso diretto degli individui a meccanismi giurisdizionali o quasi-
giurisdizionali di controllo.
Tuttavia, questa limitata capacità dell’individuo non significa che il suo Stato nazionale non possa far
valere il proprio diritto ed anche il diritto del proprio cittadino dinanzi a tribunali o altri organi di controllo
internazionali contro lo Stato autore o presunto autore della violazione, invocando le norme sulla
responsabilità internazionale degli Stati. Ciò risulta chiaro, limitandoci alla giurisprudenza della Corte
internazionale di giustizia, dalle notissime sentenze LaGrand27 e Avena28, che hanno chiarito che lo Stato
nazionale della vittima può far valere contemporaneamente sia i propri diritti sia i diritti individuali. Inoltre,
quando si tratta di violazioni di obblighi erga omnes (come nei casi oggetto della sentenza qui in esame)
anche Stati diversi da quello leso sono legittimati a far valere la responsabilità dello Stato autore dell’illecito,
ex artt. 48 e 54 del Progetto di articoli della CDI sulla responsabilità dello Stato.

25
Il Relatore Speciale Theo van Boven, nell’illustrare la risoluzione 60/47 dell’AG delle NU (v. infra, nota 36) affermò
che “…the right to an effective remedy for violations of human rights and a fortiori of gross human rights violations,
may be regarded as forming part of customary international law” (T. VAN BOVEN, The United Nations Basic Principles
and Guidelines on the Right to a Remedy and Reparation for Victims of Gross Violations of International Human Rights
Law and Serious Violations of International Humanitarian Law, UN Audiovisual Library of International Law, pp.1-2).
26
Su questo tema vedi, fra gli altri, A.WARD, Judicial Review and the Rights of Private Parties in EU Law, 2° ed.,
Oxford, 2007; M.GESTRI, “Portata e limiti del diritto individuale di accesso alla giustizia nell’ordinamento dell’Unione
Europea” in F. FRANCIONI ET AL.(eds.), Accesso alla giustizia, cit., p. 463 ss.
27
Vedi supra, nota 2.
28
Ibidem.
9
5. Segue: Il diritto dell’individuo alla riparazione per violazione dei diritti umani come norma di
diritto internazionale consuetudinario

Si può sostenere, a mio avviso, che esiste oggi nel diritto internazionale contemporaneo anche una norma
internazionale consuetudinaria, che impone allo Stato autore di una violazione dei diritti umani di fornire una
riparazione direttamente a favore degli individui vittime della violazione29. In alternativa, sulla base di una
certa prassi degli organi giurisdizionali di controllo sui diritti umani, si potrebbe anche sostenere la tesi che il
diritto di accesso alla giustizia (o il diritto ad un rimedio effettivo) comprende già, nel suo contenuto, il
diritto alla riparazione (in caso di accertamento della violazione), nelle sue forme classiche della restitutio in
integrum, del risarcimento dei danni o della soddisfazione30. Questa tesi ha il merito di chiarire che per
l’individuo è inutile ottenere l’accesso alla giustizia se poi, una volta accertato l’illecito, egli non può
ottenere la riparazione31. Tuttavia ritengo sia più corretto distinguere fra accesso alla giustizia (o diritto ad un
rimedio interno effettivo inteso in senso procedurale) e diritto alla riparazione.
Ciò premesso, anche in materia di riparazione, vi sono norme convenzionali sui diritti umani che
stabiliscono un obbligo di riparazione a favore degli individui vittime. Basti citare l’art.50 della CEDU,
l’art.63(1) della Convenzione americana, il già citato art.6 della Convenzione sull’eliminazione della
discriminazione razziale32, l’art.14 della Convenzione delle NU contro la tortura. Ma è soprattutto la
giurisprudenza e la prassi degli organi di controllo sui diritti umani che dimostra, in maniera molto ampia,
che le decisioni di tali organi stabiliscono una riparazione che è direttamente a favore degli individui vittime,
anche se l’obbligo di riparare spetta poi in pratica allo Stato autore della violazione.33 Pertanto si può
concludere che l’individuo è titolare di un diritto alla riparazione per violazione dei diritti umani, conferito
direttamente dal diritto internazionale34.
Anche a proposito della riparazione, qualora si volesse applicare un’interpretazione restrittiva della prassi
e dell’opinio iuris, si dovrebbe comunque ammettere che l’obbligo dello Stato di riparare ed il

29
Su questo problema vedi, ad es., R. PISILLO MAZZESCHI, “International Obligations to Provide for Reparation
Claims?”, in A. RANDELZHOFER, C. TOMUSCHAT (eds.), State Responsibility and the Individual: Reparation in Instances
of Grave Violations of Human Rights, The Hague/London/Boston, 1999, p. 149 ss.; ID. “The Marginal Role of the
Individual in the ILC Articles on State Responsibility”, in IYIL, 2004 (Vol.14), p. 39 ss.; ID., “Responsabilité”, cit.,
pp.365-373 e 422-424; P. D’ARGENT, “Le droit de la responsabilité international complété? Examen des principes
fondamentaux et directives concernant le droit à un recours et à la réparation des victimes de violations flagrantes du
droit international des droits de l’homme et de violations graves du droit international humanitaire”, in AFDI, 2005, p.
27 ss.; G. BARTOLINI, Riparazione per violazione dei diritti umani e ordinamento internazionale, Napoli, 2009.
30
Su questo punto v. G. BARTOLINI, Riparazione, cit., spec. Cap. III, che mette in evidenza come, nel settore dei diritti
umani, la riparazione nei confronti dell’individuo assuma le stesse forme della riparazione tradizionale nei confronti
degli Stati.
31
Questa tesi sembra avvalorata da quella prassi che considera il diritto ad un rimedio effettivo come avente natura non
solo processuale ma anche sostanziale.
32
Che comprende sia l’accesso alla giustizia che il diritto alla riparazione.
33
Anche su questa ampia prassi v. G. BARTOLINI, Riparazione, cit., spec. Capp. III e IV.
34
Vedi gli autori citati supra, nella nota 29.
10
corrispondente diritto dell’individuo di ottenere la riparazione vale quantomeno per le gross violations e per
le singole violazioni di quelle norme fondamentali sui diritti umani e del diritto umanitario, che hanno
carattere di ius cogens.
Su questo aspetto la giurisprudenza e la prassi degli organi internazionali di controllo sui diritti umani mi
sembra oramai consolidata. Inoltre, a favore di questa soluzione, si può ricordare il parere della CIG
sull’edificazione di un muro nel territorio palestinese occupato35, la risoluzione dell’AG delle NU del 2005
sui Principi fondamentali sul diritto ad un ricorso ed a una riparazione per le vittime di violazioni flagranti
dei diritti umani e le violazioni gravi del diritto umanitario36, il Rapporto della Commissione internazionale
di inchiesta sul Darfur37 e la risoluzione dell’Institut de Droit International sull’immunità degli Stati adottata
a Napoli nel 200938. Si noti infine che anche che il Progetto di articoli della CDI sulla responsabilità dello
Stato non esclude, ed anzi lascia intendere implicitamente, che gli individui possono essere titolari di diritti
derivanti da illeciti di Stati39.
Anche per quanto riguarda più specificamente le gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, a
mio parere, vi sono norme che impongono agli Stati che hanno commesso l’illecito di fornire la riparazione
anche direttamente agli individui vittime40. Si possono ricordare soprattutto l’art.3 della IV Convenzione
dell’Aja del 1907 e l’art.91 del Primo Protocollo Addizionale del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del
1949. Naturalmente queste norme vanno interpretate alla luce del diritto internazionale contemporaneo e non
del diritto internazionale classico. Questo punto viene bene illustrato nella opinione dissidente del giudice
Yusuf41. Anche la risoluzione adottata dall’ILA nel 2010 all’Aja sulla riparazione per le vittime dei conflitti
armati42 dimostra una concezione più moderna del diritto internazionale umanitario, che permette di stabilire
diritti di riparazione anche per gli individui.
Infine, si pone anche per la riparazione, il problema della capacità dell’individuo di ricorrere ai
meccanismi di risoluzione delle controversie interni e internazionali. La risposta è simile a quella già data
sopra in materia di diritto di accesso alla giustizia. Per quanto riguarda i ricorsi ai giudici interni, la norma
internazionale consuetudinaria sul diritto alla riparazione, in quanto recepita dagli ordinamenti giuridici
statali, dovrebbe aprire la possibilità degli individui di far valere il proprio diritto alla riparazione dinanzi ai

35
CIJ, Avis consultatif du 9 juillet 2004, in Recueil 2004, parr.147, 152, 153.
36
GA Resolution 60/147 del 16 December 2005.
37
Report of the International Commission of Inquiry on Darfur to the United Nations Secretary General, Pursuant to
Security Council Resolution 1564 of 18 September 2004, Geneva, 25 January 2005, parr.595-599.
38
Institute of International Law, Third Commission Resolution, Resolution on the Immunity from Jurisdiction of the
State and of Persons Who Act on Behalf of the State in Case of International Crimes, 10 September 2009.
39
Vedi gli artt. 33(2) e 48(2)(b) del Progetto ed il Commentario dell’art.33. Cfr. anche J. CRAWFORD, “The ILC’s
Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts: A Retrospect”, in AJIL 2002, p. 27, il quale ha
affermato che il Progetto di articoli sulla responsabilità dello Stato non ha voluto affrontare la responsabilità dello Stato
nei confronti degli individui; ma ha anche implicitamente ammesso che tale responsabilità è configurabile nel diritto
internazionale contemporaneo.
40
Vedi R. PISILLO MAZZESCHI, “Reparation Claims by Individuals for State Breaches of Humanitarian Law and Human
Rights: An Overview”, in JICJ 2003, p. 339 ss.
41
Vedi i paragrafi 12-20 di tale opinione.
42
In www.ila-hq.org/en/committees/index.cfm/cid/1018.
11
giudici nazionali, quantomeno quando tale diritto è self-executing e giustiziabile, come nel caso del
risarcimento monetario.
Invece, per quanto riguarda la capacità dell’individuo di accedere direttamente ai rimedi processuali
internazionali, essa vale solo per quei sistemi convenzionali o quei singoli trattati, che dispongono di
meccanismi di risoluzione delle controversie aperti anche agli individui. Ma anche in questo caso nulla vieta
che lo Stato nazionale dell’individuo vittima o (per la violazione di obblighi erga omnes) anche altri Stati
siano legittimati ad invocare a livello internazionale la responsabilità dello Stato autore della violazione, e
quindi a chiedere anche la riparazione, rispettivamente ex art. 42 o ex art. 48(2)(b) del Progetto di articoli
della CDI sulla responsabilità dello Stato.

6. Segue: Collegamento essenziale e funzionale fra le norme primarie sul divieto di gravi violazioni di
diritti umani fondamentali e le norme strumentali sull’accesso alla giustizia e sulla riparazione.

Vengo finalmente alla tesi, che forse poteva essere sostenuta con maggiore chiarezza e forza dall’Italia.
Essa parte dal presupposto che esiste un legame funzionale assai stretto e necessario fra l’obbligo sostanziale
dello Stato di non commettere gravi violazioni dei diritti umani fondamentali e del diritto umanitario e gli
obblighi successivi di garantire l’accesso alla giustizia e la riparazione in caso di pretese violazioni. In altri
termini, si poteva sostenere che vi è un collegamento essenziale fra norme sostanziali e norme strumentali.
Questa tesi presenta il vantaggio di trasferire il problema del conflitto fra norme consuetudinarie dal
campo insidioso del contrasto fra norme aventi natura diversa (la tesi della Corte) al campo del contrasto fra
norme aventi la medesima natura. In altri termini, si poteva sostenere che, nella controversia fra Germania ed
Italia, il vero conflitto era fra la norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati, da una parte, e le norme
consuetudinarie sull’accesso alla giustizia e sulla riparazione, dall’altra parte. In tal modo, trattandosi di
due gruppi di norme aventi ambedue natura strumentale o procedurale, la Corte non avrebbe potuto
ragionevolmente affermare che “The two set of rules address different matters” e che pertanto ogni ipotesi di
conflitto veniva esclusa a priori.43
Naturalmente ciò non era sufficiente. Occorreva anche dimostrare che le norme consuetudinarie
strumentali sull’accesso alla giustizia e la riparazione sono, in certi casi eccezionali, norme di ius cogens. In
sostanza, per me il punto cruciale è il seguente: se i divieti di gravi violazioni di diritti umani fondamentali e
di diritto umanitario sono stabiliti da norme di ius cogens, anche le norme consuetudinarie sul diritto di
accesso alla giustizia e sul diritto alla riparazione per le violazioni di tali divieti (e solo per tali gravissime
violazioni) devono essere ritenute come norme di ius cogens, perché sono funzionalmente e necessariamente
collegate alle prime. Ciò non significa ovviamente che esse impediscano sempre e comunque il
funzionamento della norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati esteri. Si doveva anche dimostrare che,

43
Vedi supra, par. 2.
12
nel caso specifico dinanzi alla Corte, esisteva un conflitto reale e concreto fra i due gruppi di norme. In
pratica, se le norme sull’accesso alla giustizia ed il diritto alla riparazione non possono essere applicate
dinanzi ai giudici dello Stato autore della violazione, né possono essere soddisfatte per equivalenti, cioè
tramite altri rimedi effettivi e alternativi, nazionali o internazionali, tali norme devono prevalere, in forza
della loro natura imperativa, sulla norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati, che ha carattere solo
dispositivo.
Come è noto, un approccio di questo tipo è contenuto nelle sentenze Waite and Kennedy v. Germany44 e
Beer and Regan v. Germany45 della Corte europea dei diritti dell’uomo, laddove la Corte ha affermato la
necessità di verificare se la concessione dell’immunità alle organizzazioni internazionali sia contraria al
diritto di accesso alla giustizia ed al diritto ad un rimedio effettivo, quando gli individui vittime dell’illecito
non hanno mezzi alternativi e ragionevoli per proteggere effettivamente i propri diritti derivanti dalla
Convenzione europea. Mi sembra logico che un argomento simile valga anche per l’immunità degli Stati.

7. Segue: Conflitto reale e concreto fra le suddette norme strumentali e la regola sull’immunità degli
Stati

A questo punto il discorso si sposta necessariamente sul piano di stabilire se e come fosse possibile per il
sig. Ferrini (e le altre persone vittime dei crimini nazisti che hanno ottenuto sentenze in Italia contro la
Germania) di ottenere l’accesso alla giustizia e alla riparazione. Nel caso di specie è noto che la Germania
aveva precluso la possibilità di tali individui di ottenere giustizia e riparazione presso i giudici tedeschi.
D’altra parte costoro non potevano adire alcun organo internazionale giurisdizionale o quasi-giurisdizionale.
Pertanto la CIG doveva investigare sul fatto se altre forme di accesso alla giustizia ed alla riparazione erano
possibili e effettivamente praticabili. Ad esempio, la possibilità per le vittime di chiedere un risarcimento allo
Stato italiano per gli accordi stipulati con la Germania, che avevano contribuito ad escludere per tali
categorie di vittime la riparazione.
In caso di risposta negativa, l’unica possibilità aperta alle vittime era quella di adire i giudici italiani per
chiedere il risarcimento alla Germania e questi ultimi avevano l’obbligo di negare l’immunità alla Germania,
sulla base di una deroga o eccezione alla regola dell’immunità fondata sulla prevalenza dello ius cogens e
forse anche sulla base dell’art.24 della Costituzione italiana46. Altrimenti si sarebbe creata una situazione di

44
Corte europea dei diritti dell’uomo, Waite and Kennedy v. Germany, sentenza del 18 febbraio 1999, parr.67-68, in
www.echr.coe.int/
45
Corte europea dei diritti dell’uomo, Beer and Regan v. Germany, sentenza del 18 febbraio 1999, parr.57-58, in
www.echr.coe.int/
46
Come è noto, la Corte costituzionale italiana (sentenza 18 giugno 1979 n.48, Russel, in RDI 1979, p. 797 ss.) ha
sostenuto che, in caso di conflitto fra una norma consuetudinaria internazionale sull’immunità (degli agenti diplomatici)
ed un principio fondamentale della Costituzione, come quello dell’art.24, quest’ultimo deve, sia pure con certi limiti
temporali, prevalere. Più recentemente, la Corte costituzionale ha indirettamente confermato la prevalenza dei principi
costituzionali fondamentali sul diritto internazionale consuetudinario: v. Corte cost., sentenza 22 marzo 2001 n.73,
Baraldini, in RDI 2001, p.489 ss., a p.503. Su questo tema vedi anche Cassazione (sez. un.), sentenza 8 giugno 1994
13
vero e proprio diniego di giustizia, situazione che non appare compatibile né con il tradizionale diritto
internazionale sul trattamento degli stranieri, né con il diritto internazionale sui diritti umani, né con il diritto
internazionale umanitario, né con il diritto dell’Unione Europea47, né infine con il principio fondamentale
della Costituzione italiana sancito dall’art.24.
In effetti, la tesi qui sostenuta non è radicalmente diversa dagli argomenti difensivi complessivamente
sostenuti dalla difesa dell’Italia. Tuttavia qualche diversità sussiste. Come si è già visto, l’Italia non ha
cercato di creare un collegamento forte fra norme sostanziali e norme strumentali di ius cogens. Inoltre ha
preferito focalizzarsi sulla specificità del caso concreto in esame. Infine mi sembra che l’argomento c.d. di
last resort, che a mio avviso era molto importante, sia stato sostenuto quasi come un argomento residuale e
fondato sull’equità. Ciò forse spiega anche il fatto che la Corte lo abbia trattato separatamente, isolandolo
rispetto agli altri argomenti dell’Italia, e abbia dato ad esso scarsa importanza. Invece, a mio avviso, tale
argomento sarebbe stato più forte, se fosse stato saldamente collegato alla tesi sulla violazione di norme
consuetudinarie strumentali di ius cogens.

8. Conclusioni

Sono consapevole che la tesi qui sostenuta non trova forte sostegno in una prassi internazionale specifica,
specie se tale prassi viene esaminata in un’ottica quantitativa, tramite una concezione statica e non dinamica
del diritto internazionale, trascurando il peso dell’opinio iuris, nonché l’importanza e le potenzialità del
concetto di ius cogens. Ma il diritto internazionale è in una fase di notevole evoluzione, anche di carattere
strutturale, e la Corte internazionale di giustizia poteva, se non aveva l’intenzione di favorire questa
evoluzione, quantomeno approfondire maggiormente il problema centrale della controversia e fornire
risposte più convincenti su tale problema. Il trattamento rapido e formalistico che la Corte ha invece dedicato
a questo tema è assai deludente, almeno per chi spera che il ruolo oramai pervasivo dei diritti umani e dei
diritti individuali nell’ordinamento internazionale contemporaneo ed i valori fondamentali della comunità
internazionale intesa in senso lato, rappresentati dallo ius cogens, trovino una tutela sempre crescente rispetto
alla classica concezione strettamente interstatale del diritto internazionale48. In conclusione, forse la sentenza

n.5565, Nacci, in RDI 1994, p.837 ss., a pp. 847-848; Cassazione (sez.un.civ.), ord. 27 maggio 2005 n.6532, Borri, in
RDI 2005, p. 856 ss., a p.858. La dottrina aveva già sostenuto da tempo la tesi della prevalenza dell’art.24 della
Costituzione: v. R. PISILLO MAZZESCHI, “Immunità giurisdizionale delle organizzazioni internazionali e Costituzione
italiana”, in RDI 1976, p. 489 ss.; L.CONDORELLI, “Le immunità diplomatiche e i principi fondamentali della
Costituzione”, in Giur. Cost. 1979, I, p. 455 ss.; B. CONFORTI, Diritto internazionale, 7°ed., cit., pp.321-322 ( ma anche
nelle precedenti edizioni).
47
Conviene ricordare che il problema di rafforzare la tutela giurisdizionale dei privati quando si tratta di evitare
situazioni di possibili dinieghi di giustizia è stato evocato anche nel diritto dell’UE, ad esempio nella famosa opinione
dell’Avvocato Generale Jacobs del 21 marzo 2002 nel caso Unión de Pequeños Agricultores v. Council of the European
Union, causa C-50/00 P, in Raccolta 2002, p.I-06677, parr. 62, 86, 100, 102.
48
Anche su questo aspetto condivido le osservazioni espresse nell’opinione dissidente del giudice Yusuf, parr. 21-22,
28-29, 57-59.
14
della Corte favorevole alla Germania era difficilmente evitabile; ma quantomeno il più importante tribunale
internazionale poteva adottare un approccio meno conservatore e dare qualche segnale di apertura verso lo
sviluppo progressivo del diritto internazionale.

15

Potrebbero piacerti anche