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Elisa Pavanello

La responsabilità penale delle persone giuridiche


di diritto pubblico

Societas publica delinquere potest

PADOVA UNIVERSITY PRESS


La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico
Societas publica delinquere potest.

In copertina: Calcografia dal front. di: Philippi Mariae Renazzi ... Elementa juris criminalis liber I. [-IV.]
... - Editio quarta Italica. - Senis : ex typographia Aloysii, et Benedicti Bindi, 1794. - 4 v. - 8° [F.A. 130
/1-4]. Posseduto dall'Università di Modena e Reggio Emilia - Biblioteca universitaria di area giuridica.

Il testo è disponibile gratuitamente all'indirizzo: <http://www.padovauniversitypress.it/monografie>

© 2011 Padova University Press


Università degli Studi di Padova
via 8 Febbraio 2, Padova
www.padovauniversitypress.it

ISBN 978-88-97385-04-2

Stampato per conto della casa editrice dell’Università di Padova - Padova University Press
nel mese di luglio 2011.

Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo
(comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati.
Elisa Pavanello

La responsabilità penale delle persone


giuridiche di diritto pubblico

Societas publica delinquere potest

PADOVA UNIVERSITY PRESS


Ringraziamenti

Ringrazio i docenti, italiani e stranieri, che ho avuto occasione di conoscere durante


la stesura di questo lavoro.
Desidero ringraziare, in particolar modo, il Prof. John Vervaele, dell’Università di
Utrecht, per il suo costante e prezioso supporto, fondamentale per la realizzazione della
mia opera, e il Max Planck Institut für ausländisches und internationales Strafrecht di
Freiburg i. Br. che ha favorito la mia ricerca di diritto comparato.
Ringrazio il Prof. Silvio Riondato dell’Università di Padova, che mi ha costantemente
stimolata alla riflessione critica e che mi ha sempre incoraggiata durante questi anni di
lavoro.
A Paolo, Matteo,
ai miei genitori e a mia sorella Valentina.
Indice

Capitolo 1
Profili del problema della punizione del sovrano

1. Dalla responsabilità penale dell’impresa economica alla responsabilità


penale dell’impresa pubblica non economica 1

2. Il tradizionale principio dell’irresponsabilità penale dello Stato sovrano 9


2.1. I limiti «interni» ed «esterni» della sovranità e le possibili implicazioni
per il superamento del dogma della irresponsabilità 14

3. Il potere rappresentativo dello Stato quale limite alla sua responsabilità


penale 18

4. La tutela della funzione «pubblica» dello Stato e degli enti territoriali.


Riflessioni in ordine all’immunità politica dei singoli e all’irresponsabilità
dell’ente 20

5. Le questioni connesse all’applicabilità di sanzioni penali nei confronti


dello Stato 22
5.1. L’asserita incompatibilità delle sanzioni penali con la natura pubblica
dell’ente 23
5.2. Valenza simbolica del diritto penale e responsabilità degli enti
pubblici 25

6. La limitata responsabilità penale degli «altri» enti pubblici 27

7. Conclusioni (cenni e rinvio) 28

Capitolo 2
La responsabilità penale delle persone giuriche di diritto pubblico nell’ordinamento olandese

1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Olanda: evoluzione


storica 33
2. La responsabilità penale delle persone giuridiche, degli enti privi di
personalità giuridica, delle associazioni e delle fondazioni per i reati dagli stessi
posti in essere 35

3. I criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica: la teoria del


potere e dell’accettazione 36

4. La responsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno impartito


l’ordine criminoso all’interno delle persone giuridiche. Attribuzione della
condotta sulla base dei criteri del potere e dell’accettazione 38

5. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico.


Questioni interpretative intorno all’inclusione degli enti di diritto pubblico
nella nozione di persona giuridica 39

6. Le pronunce della giurisprudenza sulla responsabilità penale delle persone


giuridiche di diritto pubblico (enti pubblici decentrati) 42
6.1. L’irresponsabilità penale degli enti decentrati che hanno posto in
essere la condotta illecita nell’ambito di attività esecutive di un compito
pubblico (caso Tilburg) 42
6.2. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico
diverse dagli enti territoriali (caso dell’Università di Groningen) 44
6.3. La conferma del principio della responsabilità penale degli enti
decentrati unicamente nel caso in cui abbiano commesso l’illecito al di
fuori di attività esecutive di un compito pubblico (il caso Voorburg) 46
6.4. Le incongruenze applicative connesse al principio dell’esecuzione
del compito pubblico individuato dalla giurisprudenza quale criterio
discriminante per determinare la responsabilità penale degli enti pubblici
decentrati (sentenze Arnhem e Streekgewest Zuid-Limburg) 48
6.5. Le connessioni tra irresponsabilità penale delle persone giuridiche
di diritto pubblico e irresponsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro
che hanno dato l’ordine criminoso. (I casi Waterschap West Friesland,
Provincie Noord Holland e Pikmeer i) 50

7. Le posizioni della dottrina sulla perseguibilità delle persone giuridiche di


diritto pubblico (enti decentrati) 52
7.1. Gli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità penale 52
7.2. L’impossibilità per il giudice penale di vagliare la legittimità dell’attività
della pubblica amministrazione: responsabilità penale delle persone
giuridiche di diritto pubblico e violazione del principio della divisione dei
poteri. Critiche 52
7.3. La perdita di fiducia da parte dei consociati nell’ente e di legittimazione
dell’attività di quest’ultimo in caso di condanna penale. Critiche 54
7.4. Il versante sanzionatorio: il rischio per la continuità dell’attività
dell’ente pubblico in caso di condanna e la dannosità per i cittadini
dell’eventuale sanzione pecuniaria inflitta all’ente. Critiche 54
7.5. L’impossibilità di sovrapporre il controllo penale dell’attività degli enti
pubblici a quelli già esistenti sul piano politico e amministrativo. Critiche 56
7.6. Gli argomenti contro l’irresponsabilità penale 58
7.7. La necessità di fronteggiare la criminalità diffusa all’interno degli
enti pubblici. L’immunità e la conseguente violazione del principio di
eguaglianza tra le diverse persone giuridiche 58

8. La posizione del Governo: la necessità di perseguire gli enti pubblici che


hanno posto in essere la condotta illecita al di fuori dell’attività di esecuzione
di un compito pubblico intesa in senso «materiale» 60

9. Le linee guida adottate dai pubblici ministeri sulla perseguibilità degli enti
pubblici decentrati: diritto penale come ultimo rimedio 62

10. Primi rilievi critici 63

11. La revisione dei criteri adottati dalla giurisprudenza sulla possibilità di


perseguire penalmente gli enti pubblici decentrati (caso Pikmeer ii) 65
11.1. La statuizione del principio della necessità della sottoposizione
dell’ente pubblico decentrato alla legge penale. Le critiche al criterio
dell’attività di esecuzione di un compito pubblico e l’affermazione della
compatibilità dei controlli politico, amministrativo e penale sull’attività
degli enti pubblici 65
11.2. L’affinamento dei criteri per l’attribuzione dell’immunità agli enti
pubblici decentrati. La statuizione della loro irresponsabilità penale
laddove la condotta illecita sia esecuzione di un compito pubblico che può
essere posto in essere esclusivamente dal funzionario pubblico 66
11.3. La possibile applicazione nei confronti degli enti decentrati che
hanno posto in essere la condotta illecita al di fuori dell’esecuzione di un
compito pubblico di esclusiva competenza del funzionario pubblico delle
cause di giustificazione dello stato di necessità e dell’adempimento del
dovere 67
11.4. La necessità di valutare l’opportunità di procedere penalmente
nei confronti dell’ente pubblico responsabile e la possibilità di applicare
sanzioni penali alternative rispetto a quella pecuniaria 68

12. Le reazioni critiche della dottrina 69


12.1. L’ambito di operatività dell’irresponsabilità penale: alcuni dubbi
interpretativi in ordine alla nozione di compito pubblico che può essere
posto in essere esclusivamente dal funzionario pubblico 70
12.2. La mancanza di ratio dell’immunità concessa agli enti pubblici
decentrati alla luce della giurisprudenza che ha sostenuto la compatibilità
dei sistemi di controllo politico, amministrativo e penale sull’attività degli
stessi 72

13. Le reazioni positive del Governo alle nuove indicazioni della giurisprudenza.
La posizione del Consiglio di Stato sull’impossibilità di perseguire gli enti
pubblici decentrati. La ribadita necessità da parte dei pubblici ministeri di
utilizzare lo strumento penale nei confronti degli enti pubblici decentrati solo
come extrema ratio. 73

14. Conclusioni sull’evoluzione di giurisprudenza e dottrina in ordine alla


possibilità di perseguire penalmente gli enti pubblici decentrati 75

15. La conferma del principio dell’immunità penale concessa agli enti pubblici
decentrati che hanno commesso l’illecito penale nell’ambito di un’attività
pubblica di esclusiva competenza dei pubblici funzionari nella giurisprudenza
successiva al caso Pikmeer ii 76

16. La possibilità di configurare una responsabilità penale dello Stato 77


16.1. L’affermazione dell’irresponsabilità penale dello Stato nella
giurisprudenza (caso Volkel) 78
16.2. Argomenti addotti dalla dottrina a sostegno dell’irresponsabilità
assoluta dello Stato: titolarità dello jus puniendi e impossibilità per lo
Stato di punire se stesso 80
16.3. L’impossibilità di perseguire lo Stato in ragione dell’asserita identità
tra soggetto perseguito e autorità procedente 82
16.4. L’inutilità e la dannosità per i cittadini dell’inflizione di sanzioni
penali, in particolare di carattere pecuniario, a carico dello Stato 83

17. Critiche della dottrina alla giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità


penale dello Stato 84

18. Necessità di una revisione della giurisprudenza che ha sancito


l’irresponsabilità dello Stato in ragione dell’affermazione della compatibilità
tra i sistemi di controllo penale, politico e amministrativo sull’attività degli
enti pubblici decentrati 85

19. La valutazione dell’opportunità di punire lo Stato da parte della dottrina: la


possibilità di configurare la responsabilità delle singole entità che compongono
lo Stato 86
19.1. Valutazioni in ordine alla responsabilità penale dei dirigenti di fatto
e di coloro che hanno dato l’ordine all’interno dello Stato 88

20. L’istituzione da parte del Ministero della Giustizia di una commissione ad


hoc per valutare l’opportunità di prevedere un sistema di responsabilità penale
nei confronti dello Stato 89
20.1. Analisi da parte della Commissione del fondamento e della
legittimità delle argomentazioni addotte a sostegno dell’immunità penale
dello Stato, ovvero l’asserita identità tra soggetto perseguito e soggetto che
esercita l’azione penale, l’ineffettività di una sanzione penale di carattere
pecuniario, l’asserita incompatibilità dei sistemi di controllo politico,
penale e amministrativo e il pericolo di una giustizializzazione della
politica. Critiche 89
20.2. Il modello di responsabilità proposto: la possibilità di perseguire le
singole entità facenti capo allo Stato per i reati di carattere economico 92

21. Le reazioni critiche del Governo e della dottrina al modello di responsabilità


proposto 94
22. Gli esiti applicativi del sistema di limitata responsabilità penale degli enti
pubblici decentrati e dello Stato. L’impunità «incomprensibile» delle persone
giuridiche, dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine in relazione
a disastri imputabili alle colpose omissioni dell’amministrazione pubblica 96
23. La necessità di accertare la responsabilità penale dei soggetti fisici esercenti
funzioni pubbliche che hanno attentato al diritto alla vita nella giurisprudenza
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e i possibili riflessi di tale principio
in relazione alla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto
pubblico (caso Öneryildiz v. Turchia) 100

24. Verso una modifica del codice penale olandese sulla responsabilità penale
di enti pubblici decentrati e Stato? 102

25. Il sistema di responsabilità penale e di immunità delle persone giuridiche


di diritto pubblico nel sistema olandese 104

26. Considerazioni conclusive 105

Capitolo 3
La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento francese

1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento francese:


evoluzione storica 112

2. Le posizioni della dottrina contro la previsione di una responsabilità penale


delle persone giuridiche: l’ente come finzione, il principio di specialità e
l’impossibilità di applicare sanzioni penali a carico della persona giuridica 114

3. Le posizioni espresse dalla dottrina francese a sostegno della responsabilità


penale delle persone giuridiche. La necessità di far fronte alla crescente
criminalità d’impresa 115

4. La responsabilità penale delle persone giuridiche per i reati commessi per


loro conto dagli organi o rappresentanti delle stesse 116
4.1 La nozione di organo e rappresentante della persona giuridica 119
4.2. L’azione commessa da parte dell’organo o rappresentante «per conto»
della persona giuridica 121
4.3. L’iniziale limitazione della responsabilità delle persone giuridiche
alle fattispecie di reato tassativamente previste. Critiche della dottrina e
pronunce «estensive» della giurisprudenza. Definitiva espansione della
responsabilità delle persone giuridiche a tutte le fattispecie di reato 122
4.4. Problematiche interpretative connesse all’individuazione dell’elemento
soggettivo della condotta in capo alla persona giuridica e alla natura della
responsabilità di quest’ultima: diretta o di riflesso rispetto a quella della
persona fisica organo o dirigente? 125

5. La responsabilità concorrente della persona fisica, organo o rappresentante,


che ha posto in essere la condotta 129
5.1. Limitazione della concorrente responsabilità della persona fisica
per i delitti non intenzionali posti in essere per imprudenza, negligenza,
violazione di un obbligo di prudenza o sicurezza (l. 2000-264) 129

6. Il sistema sanzionatorio previsto per le persone giuridiche: pene e misure


di sicurezza 130

7. Le applicazioni giurisprudenziali della responsabilità penale delle persone


giuridiche 133

8. Il dibattito che ha preceduto l’adozione della norma che ha sancito una


limitata responsabilità penale per le persone giuridiche di diritto pubblico 135

9. L’irresponsabilità assoluta dello Stato, la responsabilità delle collettività


territoriali limitata alle attività suscettibili di costituire oggetto di delega di
servizio pubblico e la responsabilità delle altre persone giuridiche di diritto
pubblico 136

10. L’azione da parte del rappresentante o dell’organo, per conto della persona
giuridica: aspetti peculiari connessi alla natura pubblica dei soggetti 138

11. Le limitazioni della responsabilità penale delle collettività territoriali


e relativi groupements: questioni interpretative connesse alla definizione di
attività suscettibile di costituire oggetto di servizio pubblico 141
11.1. La nozione di delega di servizio pubblico in diritto amministrativo 141
11.2. Le indicazioni in ordine alla definizione di attività suscettibile di
costituire oggetto di delega di servizio pubblico 145

12. La ratio della limitata previsione della responsabilità di collettività


territoriali e groupements: la necessità di garantire il rispetto del principio di
eguaglianza rispetto alle persone giuridiche di diritto privato 147
12.1. Critiche 147

13. Considerazioni in relazione al novero di delitti e crimini inizialmente


previsti come oggetto di incriminazione con riferimento alle persone
giuridiche di diritto pubblico 150

14. Le sanzioni penali previste per le persone giuridiche di diritto pubblico.


L’inapplicabilità della sanzione della dissoluzione e della sottoposizione a
sorveglianza giudiziaria 151

15. Le posizioni critiche della dottrina sulla responsabilità penale delle persone
giuridiche di diritto pubblico 154
15.1. Gli argomenti addotti contro la responsabilità penale delle persone
giuridiche di diritto pubblico: il perseguimento dell’interesse pubblico e la
dannosità dell’applicazione della sanzione pecuniaria. Critiche 155
15.2. L’asserita violazione del principio di separazione dei poteri:
l’impossibilità per il giudice penale di vagliare la legittimità dell’azione
amministrativa. Critiche 157
15.3. La violazione del principio della competenza esclusiva del giudice
amministrativo a conoscere dell’azione civile di risarcimento del danno 158
15.4. Il rischio di un’eccessiva penalizzazione dell’azione amministrativa.
Critiche 159
15.5. Gli argomenti addotti a favore della responsabilità penale. La
necessità di garantire il principio di eguaglianza 161
15.6. La necessità di far fronte alla crescente penalizzazione dell’attività dei
rappresentanti politici locali. La connessione esistente tra responsabilità
individuale dei politici e collettiva dell’ente pubblico cui appartengono 163

16. Istituzione di una Commissione ad hoc per lo studio delle cause e dei
rimedi da adottare per limitare il fenomeno della crescente penalizzazione
dell’attività dei politici locali e dei funzionari pubblici 165
16.1. Analisi critica da parte della Commissione degli argomenti addotti
a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto
pubblico. Affermazione dell’inesistenza di ragioni di carattere sostanziale
che impongano di escludere tale forma di responsabilità. 166
16.2. Proposte di estensione della responsabilità penale allo Stato e alle
collettività territoriali anche nell’ipotesi di attività di servizio pubblico
non delegabile 168

17. Le decisioni della giurisprudenza in tema di responsabilità penale delle


persone giuridiche di diritto pubblico diverse dallo Stato 169
17.1. Tentativi di definizione dell’attività suscettibile di delega di servizio
pubblico: la non delegabilità dell’attività scolastica 169
17.2. La delegabilità dell’attività di messa a norma dell’impianto elettrico
di un impianto comunale 173
17.3. La configurabilità della responsabilità a carico delle Ferrovie francesi,
società di diritto pubblico 174

18. Rilievi critici (cenni e rinvio) 175

19. L’irresponsabilità penale dello Stato 176

20. Gli argomenti addotti dalla dottrina contro la perseguibilità dello Stato.
La titolarità della potestà penale 177
20.1. Il contrasto tra responsabilità penale e il principio della sovranità
dello Stato. Critiche 178
20.2. La ripercussione della sanzione pecuniaria inflitta sui cittadini 180

21. La possibile violazione del principio di eguaglianza derivante dall’


esclusione dello Stato dalla responsabilità penale 180

22. Difficoltà e opportunità di creare un sistema di controllo penale delle


attività statali 182

23. Conclusioni 184

Capitolo 4
La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento belga

1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento belga:


evoluzione storica 187
2. L’ambito di applicazione della responsabilità e i criteri di attribuzione della
condotta alla persona giuridica 190

3. La responsabilità concorrente della persona fisica e della persona giuridica 193


3.1. Sulla natura e sull’inapplicabilità retroattiva della causa che esclude il
cumulo di responsabilità della persona fisica e giuridica 196

4. Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche: ammenda, confisca,


dissoluzione, divieto di esercitare una determinata attività, chiusura di uno o
più stabilimenti 198

5. La responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico: l’esclusione


espressa dalla responsabilità di Stato, regioni, comunità locali, province, organi
territoriali infra comunali, Commissione della comunità francese, fiamminga
e comune, centri pubblici d’aiuto sociale, poiché dotati di un organo
direttamente eletto secondo le regole democratiche 200

6. Il sistema sanzionatorio: inapplicabilità di talune sanzioni nei confronti


delle persone giuridiche di diritto pubblico o delle persone giuridiche che
svolgono una attività di servizio pubblico 202

7. Le critiche della dottrina rispetto alle argomentazioni addotte per legittimare


il sistema di sostanziale irresponsabilità delle persone giuridiche di diritto
pubblico 204
7.1. Le critiche avanzate in relazione alla ratio dell’esclusione degli enti
pubblici dall’ambito di applicazione della responsabilità, ovvero l’esistenza
al loro interno di un organo democraticamente eletto 205

8. Le decisioni della Corte Costituzionale belga sulla legittimità delle esclusioni


dalla responsabilità penale degli enti pubblici 207
8.1. La giustificazione della Corte Costituzionale dell’esclusione
delle persone giuridiche di diritto pubblico dotate di un organo
democraticamente eletto, poiché soggetti sottoposti al controllo politico 208
8.2. Le reazioni critiche della dottrina alla decisione della Corte
Costituzionale. 210
8.3. La dichiarazione di legittimità da parte della Corte Costituzionale
della norma che limita la responsabilità delle persone giuridiche di diritto
pubblico, anche con riferimento al regime di responsabilità ad essa
correlato delle persone fisiche 212

9. Conclusioni 215

Capitolo 5
La responsabilità penale della corona in Inghilterra

1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Inghilterra. Dalla


vicarious liability all’identification theory: i modelli della corporation liability 217

2. La responsabilità penale delle persone giuridiche per le strict liability offences


(reati bagatellari) e per i reati di mens rea (dolosi o colposi) 222

3. Il concetto di Corona e di ente pubblico nel diritto inglese 224


3.1. L’individuazione degli enti appartenenti alla Corona: la qualificazione
contenuta nella legge istitutiva dell’ente 226
3.2. Criteri sussidiari di qualificazione dell’ente in senso «pubblico». Le
funzioni svolte dallo stesso 227
3.3. Il controllo esercitato sull’ente «pubblico» da parte del Governo 228
3.4. Gli enti che non fanno parte della Corona: governo locale e industrie
nazionalizzate 229

4. L’irresponsabilità assoluta della Corona e degli enti della Corona 230


4.1. Le affermazioni giurisprudenziali circa l’irresponsabilità penale della
Corona 231
4.2. Recenti pronunce e nuove previsioni degli statuti: prime indicazioni
verso il superamento del principio dell’irresponsabilità penale della Corona 233

5. Gli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità penale. L’asserita


«impossibilità» per la Corona di commettere illeciti 236
5.1. L’impossibilità per la Corona di perseguire se stessa e l’asserita inutilità
dell’applicazione di una sanzione pecuniaria 237
6. L’introduzione del reato di omicidio colposo per le persone giuridiche
(corporate manslaughter) e il (parziale) superamento dell’immunità dei Crown
bodies 238
6.1. La responsabilità per il reato di corporate manslaughter sussiste quando
una delle attività gestite o organizzate dal senior management causa la
morte di una persona ed è dipesa da una grave violazione dell’obbligo di
diligenza cui l’organizzazione era tenuta nei confronti della vittima 240
6.2. L’inclusione della Corona tra i soggetti destinatari della nuova
fattispecie. Limiti della disposizione 243
6.3. Critiche alla limitata responsabilità della Corona. In particolare,
l’asserita incompatibilità di tali limitazioni con le previsioni della
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo 245

7. Riflessioni conclusive 248

Capitolo 6
La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico negli Stati Uniti

1. La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti: evoluzione


storica. Il modello della vicarious liability e la colpevolezza d’impresa 251

2. La responsabilità penale degli enti locali: dalle origini ai giorni nostri 253
2.1. La responsabilità penale degli enti territoriali nella legge federale 256

3. Le ragioni addotte contro la responsabilità penale degli enti territoriali: la


dannosità di un’eventuale sanzione pecuniaria inflitta, lo svolgimento di attività
di carattere “pubblico” e la teoria della sovranità. Critiche 260
3.1. Gli argomenti addotti in favore della perseguibilità penale degli enti
territoriali: la “necessità” di punire il vero responsabile dell’illecito e la
funzione di “prevenzione” svolta dal diritto penale 261

4. Conclusioni 263
Capitolo 7
La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento italiano

1. La responsabilità penale-amministrativa delle persone giuridiche in Italia e


il decreto legislativo 231/2001 265
1.2. I criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica 270
1.3. L’apparato sanzionatorio 273

2. La controversa qualificazione della natura penale, amministrativa o di terzo


genere della responsabilità degli enti 276

3. L’ambito soggettivo di applicazione del decreto. Le indicazioni contenute


nella legge delega: l’esclusione degli enti che esercitano pubblici poteri. La non
corretta attuazione del criterio nel decreto 280

4. L’esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti che
svolgono funzioni costituzionali 284

5. L’esclusione degli enti pubblici non economici 287

6. L’applicazione del decreto agli enti pubblici economici e agli enti privati di
interesse pubblico 293

7. Alcune incertezze applicative. Società miste, società privatizzate e società


c.d. pubbliche 295

8. Valutazione critica delle esclusioni 301


8.1. Ripercussioni in ambito privatistico delle limitazioni della
responsabilità degli enti pubblici 304

9. Considerazioni in ordine alla possibilità di configurare una responsabilità


penale degli enti pubblici alla stregua del d.lgs. 231/2001, con riferimento ai
reati presupposto, alla nozione di interesse e vantaggio, nonché all’apparato
sanzionatorio previsto 305
10. La previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche nel
progetto della Commissione Pisapia 313

Capitolo 8
Profili comparati

1. I tratti «comuni» della responsabilità degli enti pubblici. L’irresponsabilità


penale dello Stato e la previsione di una limitata responsabilità degli altri enti
pubblici. 317
1.1. Le critiche avanzate in relazione ai criteri utilizzati per individuare gli
enti pubblici responsabili penalmente diversi dallo Stato 321
1.2. L’irresponsabilità penale dello Stato 323

2. La tensione tra responsabilità politica e responsabilità penale degli enti


pubblici 324

3. Le argomentazioni avanzate contro la configurazione di una responsabilità


penale degli enti pubblici 325

4. Sulla possibilità e sull’opportunità di configurare un sistema di responsabilità


penale degli enti pubblici alla luce delle indicazioni di diritto comparato 327

5. Verso un possibile modello di responsabilità penale degli enti pubblici?


Considerazioni conclusive 328

Bibliografia 333
1

Capitolo 1

Profili del problema della punizione del sovrano

Sommario. 1. Dalla responsabilità penale dell’impresa economica alla responsabilità penale


dell’«impresa» pubblica non economica. – 2. Il tradizionale principio dell’irresponsabilità
penale dello Stato sovrano. – 2.1. I limiti «interni» ed «esterni» della sovranità e le possibili
implicazioni per il superamento del dogma dell’irresponsabilità – 3. Il potere rappresentativo
dello Stato quale limite alla sua responsabilità penale. – 4. La tutela della funzione «pubblica»
dello Stato e degli enti territoriali. Riflessioni in ordine all’immunità politica dei singoli e
all’irresponsabilità dell’ente. – 5. Le questioni connesse all’applicabilità delle sanzioni penali
nei confronti dello Stato. – 5.1. L’asserita incompatibilità delle sanzioni penali con la natura
pubblica degli enti. – 5.2. Valenza simbolica del diritto penale e responsabilità degli enti
pubblici. – 6. La limitata responsabilità degli «altri» enti pubblici. – 7. Conclusioni (cenni e
rinvio).

1. Dalla responsabilità penale dell’impresa economica alla responsabilità penale


dell’«impresa» pubblica non economica.

Il tempo nel quale viviamo potrebbe essere chiamato il tempo delle imprese1, tale
è il potere non solo economico di cui le stesse dispongono. Un potere che mira ad
assicurare il primato dell’economia e condiziona lo stesso potere politico2, a tal punto
da ergersi sopra la tradizionale sovranità statale, influenzando financo la potestà
sovranazionale3.
L’accresciuto ruolo delle imprese si è manifestato anche nel progressivo aumento
della loro «capacità a delinquere» e ha svelato l’inadeguatezza di un diritto penale
rivolto esclusivamente all’individuo4. La frequente intercambiabilità dei dipendenti,
1
  F. Benvenuti, Dalla sovranità dello Stato alla sovranità dell’ordinamento, in «Jus», 1995, p. 199.
2
  P. Patrono, Diritto penale dell’impresa e interessi umani fondamentali, cedam, Padova 1993, p. 16;
V. Plantamura, Diritto penale ed economia pubblica: tra esigenze di determinatezza e nuove prospettive
di tutela, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2007, p. 787 parla espressamente di
commistione tra potere politico ed economico.
3
  K. Tiedemann, Wirtschaftsstrafrecht und wirtschaftskriminalität, Allgemeiner Teil, Reibek bei Hamburg
1976, p. 24.
4
  C. De Maglie, L’etica e il mercato, Giuffré, Milano 2002, p. 1 e F. Giunta, Apertura dei lavori, in
2 E. Pavanello

la sostanziale inefficacia di pene dirette alle singole persone fisiche e, da ultimo, la


tendenza alla cosiddetta irresponsabilità organizzata, hanno messo in luce l’opportunità
di pensare a un sistema di responsabilità delle persone giuridiche5. Infatti i «crimini»
degli enti trovano origine nella stessa struttura dell’organizzazione societaria, che
finisce per costituire il motore nella ideazione, preparazione e perpetrazione del
crimine. L’agire in gruppo determina condotte sostanzialmente inconcepibili dal
singolo individuo con inevitabili ripercussioni sulla gravità del reato.
Le constatazioni che precedono hanno indotto a ripensare un sistema di
responsabilità penale che da sempre è stato diretto principalmente all’individuo.
Come noto, la dottrina italiana aveva rilevato l’incompatibilità di una responsabilità
penale dell’ente con il principio di responsabilità penale personale sancito dall’art. 27
della Costituzione. In particolare, è stata per lungo tempo affermata l’incapacità di
azione e di colpevolezza – nella sua accezione psicologica – della persona giuridica6.
Non essendo l’ente, infatti, capace di comportamenti dolosi e colposi non sarebbe
stato possibile considerarlo colpevole, poiché il dolo e la colpa sarebbero propri
esclusivamente della persona fisica. Sotto il profio sanzionatorio, poi, a ostacolare
la configurabilità di una responsabilità dell’ente è stata posta l’impossibilità di una
finalità rieducativa della pena e, in ogni caso, l’inadeguatezza della sola sanzione
pecuniaria, il cui continuo innalzamento è stato paragonato a una vera e propria
«lotta di sumo»7. L’irresponsabilità penale delle persone giuridiche nel sistema
italiano è stata (seppur indirettamente) desunta dalla previsione di cui all’art. 197
c.p. che disciplina l’obbligazione civile di garanzia a carico della persona giuridica,
a significare che il sistema codicistico esclude una responsabilità penale dell’ente.
Societas puniri potest, a cura di F. Palazzo, cedam, Padova 2003, p. 4 secondo cui «la criminalità delle
persone giuridiche e degli enti collettivi in genere è una realtà che, specie al giorno d’oggi, non può seriamente
revocarsi in dubbio». Sul c.d. crimine dei colletti bianchi, si veda l’interessante lavoro di G. Forti, Il
crimine dei colletti bianchi, in A. Alessandri, E. Amodio, G. Forti, P. Marchetti, M. Onadi, G.
Rossi, S. Seminara, Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, xxv, Giuffré, Milano 2009, p. 173 ss.
5
  C. Bertel, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in «Rivista trimestrale di diritto penale
dell’economia», 1998, p. 59 ss.
6
  Per un inquadramento generale della questione circa la configurabilità di una vera e propria
responsabilità penale delle persone giuridiche nella dottrina italiana si vedano, tra gli altri, G. Battaglini,
Responsabilità penale delle persone giuridiche, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 1930,
p. 661 ss.; F. Bricola, Il costo del principio «societas delinquere non potest» nell’attuale dimensione del
fenomeno societario, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 1970, p. 951 ss.; Bricola, Luci
e ombre nella prospettiva di una responsabilità penale degli enti (nei Paesi della cee), in «Giurisprudenza
commerciale», i, 1979, p. 647 ss.; M. Romano, Societas delinquere non potest (nel ricordo di Franco
Bricola), in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 1995, p. 1031 ss.; C.E. Paliero, Problemi e
prospettive della responsabilità penale dell’ente nell’ordinamento italiano, in «Rivista trimestrale di diritto
penale dell’economia», 1996, p. 1173 ss.
7
  F. Stella, Criminalità d’impresa: lotta di sumo e lotta di judo, in «Rivista trimestrale di diritto penale
dell’economia», 1998, p. 459 ss.
Profili del problema della punizione del sovrano 3

Le argomentazioni addotte sono state progressivamente superate attraverso


il riconoscimento che la persona giuridica non è una finzione ed è in grado di
esprimere la propria condotta (anche illecita) mediante l’azione dei propri organi.
Sotto il profilo della colpa inoltre, è stato rilevato che può esistere una vera e propria
volontà sociale distinta rispetto a quella dei singoli soci ed è stata individuata nella
colpa di organizzazione un criterio congruo di attribuzione della responsabilità8.
La finalità garantista dell’art. 27 della Costituzione non sarebbe, dunque, frustrata
dalla configurazione di una responsabilità penale della persona giuridica: semmai,
il principio di eguaglianza indurrebbe a considerare ingiustificata la disparità
di trattamento tra imprenditore individuale e societario9 e la punizione esclusiva
dei singoli comporterebbe il grave rischio di colpire i soli autori materiali senza
raggiungere gli «organizzatori» che hanno imposto la commissione del reato. Sempre
per ciò che concerne il profilo sanzionatorio, la dottrina prevalente ha incentrato la
propria attenzione sulla funzione preventiva che la pena può esplicare nei confronti
degli enti, seppure con gli opportuni adattamenti10, rispetto alle persone fisiche.
È in questa prospettiva che in Italia è stato adottato, anche dietro la spinta
proveniente dal diritto comunitario e internazionale, il d.lgs. 231/200111, il quale ha
8
  G. Flora, L’attualità del principio societas delinquere non potest, in «Rivista trimestrale di diritto
penale dell’economia», 1995, p. 11 ss.; G. Insolera, Nozione di responsabilità individuale e collettiva,
in «Indice penale», 1996, 259 ss.; C. E. Paliero, Problemi e prospettive della responsabilità dell’ente
nell’ordinamento italiano, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1996, p. 1173; A.M.
Castellana, Diritto penale dell’Unione europea e principio societas delinquere non potest, in «Rivista
trimestrale di diritto penale dell’economia», 1996, p. 747 ss.; A. Manna, La responsabilità delle persone
giuridiche: il problema delle sanzioni, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1999, p.
919 ss.; V. Militello, Prospettive e limiti di una responsabilità della persona giuridica nel sistema penale
italiano, in «Studium Iuris», ii, 2000, p. 779 ss.
9
  E. Dolcini, Principi costituzionali e diritto penale alle soglie del nuovo millennio, in «Rivista italiana di
diritto e procedura penale», i, 1999, p. 21 e 23.
10
  A. Manna, La c.d. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: un primo sguardo d’insieme,
in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2002, p. 506, che evidenzia particolarmente la
funzione di prevenzione speciale perseguita attraverso condotte legate al c.d. post factum, cioè risarcitorie,
reintegrative e di adozione posteriore dei «compliance programs»; De Maglie, L’etica e il mercato, cit.,
p. 280 ss., ove si evidenzia come «il modello più evoluto di prevenzione generale» − «nuovo modello di
prevenzione» − in relazione al fenomeno criminoso in esame, consista nell’introduzione dei compliance
programs, ossia in regole di cui la stessa impresa si autodota in chiave di controllo preventivo e cui la
legge conferisce una determinata valenza giuridica.
11
  Il decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 costituisce, infatti, attuazione della legge 29 settembre
2000, n. 300 con cui sono stati ratificati una serie di atti internazionali tra cui figurano la Convenzione
ocse del dicembre 1997 sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni
economiche internazionali e il secondo Protocollo della Convenzione pif del 1997 che prevedevano la
necessità di introdurre una forma di responsabilità per gli enti che, a mezzo dei propri dipendenti, si
rendono responsabili di atti di corruzione. La legge aveva espressamente attribuito al Governo la delega
«ad emanare, entro otto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo 
avente  ad  oggetto  la disciplina della responsabilità amministrativa delle  persone    giuridiche    e   
4 E. Pavanello

introdotto una responsabilità (formalmente) amministrativa degli enti per alcuni reati
tassativamente individuati, responsabilità che ha visto progressivamente incrementare
il numero delle fattispecie cui è connessa12. Si tratta di una riforma reputata, molto
significativamente, «improcrastinabile» in ragione della constatazione che le principali
e più pericolose manifestazioni di reato sono poste in essere da soggetti a struttura
organizzata e complessa. La nuova disciplina introdotta nel nostro Paese si «allinea» a
una tendenza manifestatasi anche in altri ordinamenti europei che, negli ultimi anni,
hanno introdotto espressamente la responsabilità penale degli enti13.
Il fenomeno della criminalità dell’ente economico è stato oggetto di approfonditi
studi da parte della riflessione scientifica; la dottrina si è preoccupata in particolare di
individuare un modello di responsabilità efficace per (tentare di) porre rimedio alla
criminalità collettiva e ha valutato criticamente la congruità delle scelte operate dai
diversi legislatori14.
Per quanto concerne l’Italia il sistema di responsabilità di cui al d.lgs. 231/2001
àncora l’applicazione di sanzioni fortemente afflittive, quali in particolare quelle in-
delle   società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni  di  rilievo 
costituzionale». La Relazione al decreto può essere reperita in appendice al testo di S. Gennai, A.
Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, Giuffré, Milano
2001, p. 380.
12
  Peraltro, seppure in relazione a fattispecie specifiche, è stato rilevato che il nostro ordinamento
già prevedeva sanzioni amministrative aventi natura schiettamente punitiva comminate a persone
giuridiche direttamente responsabili. È questo il caso dell’art. 31, l. 6 agosto 1990, n. 223 sul sistema
radiotelevisivo pubblico e privato che conferisce al Garante il potere di disporre la sospensione dei
provvedimenti concessivi o autorizzativi o dell’art. 7, l. 17 maggio 1991, n. 157, che conferisce alla
Consob specifici poteri repressivi dell’insider trading. In questo senso, S. Riondato, Il reato, delitto,
contravvenzione, illecito amministrativo, illecito depenalizzato, illecito dell’ente giuridico, in Il reato, opera
diretta da M. Ronco, Zanichelli, Bologna 2007, p. 52.
13
  È questo il caso della Francia che con la riforma del codice penale del 1994 ha introdotto la
responsabilità degli enti (sul punto si veda capitolo 3), del Belgio (cfr. capitolo 4) che con la l. n. 60 del
4 maggio del 1999 ha modificato l’art. 5 del c.p. includendo espressamente tra i soggetti responsabili
anche gli enti collettivi e della Romania che con la legge 278/2006 ha introdotto l’art. 19, primo
comma, nel codice penale che disciplina espressamente la responsabilità delle persone giuridiche. La
responsabilità concerne tutte le persone giuridiche con l’eccezione dello Stato, delle autorità pubbliche
e degli istituti pubblici che svolgono funzioni che non possano essere poste in essere da società private,
per i reati commessi nell’interesse o per conto delle persone giuridiche. Per un primo commento si veda
M. Basarab, V. Paşca, G. Mateut, C. Butiuc, Codul penal comentat, vol. iv Partea generalā, Editura
Hamangiu, Bucarest 2007, p. 103 ss.
14
  In relazione al d.lgs. 231/2001 numerose le opere monografiche tra cui si segnalano: M. Arena,
G. Cassano, La responsabilità da reato degli enti collettivi, Giuffré, Milano 2007; A. Giarda, E.M.
Mancuso, G. Spangher, G. Varraso, Responsabilità «penale» delle persone giuridiche, ipsoa, Milano 2007;
R. Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, Giuffré, Milano 2006; A. Bassi, T. E. Epidendio,
Enti e responsabilità da reato, Giuffré, Milano 2006; M.A. Pasculli, La responsabilità da reato degli enti
collettivi nell’ordinamento italiano, Cacucci, Bari 2005; G. De Francesco, Reati e responsabilità degli enti,
a cura di G. Lattanzi, Giuffré, Milano 2005; La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia
Profili del problema della punizione del sovrano 5

terdittive, alla commissione da parte di soggetti determinati, in posizione apicale e


non, all’interno dell’ente di reati tassativamente individuati nell’interesse o vantaggio
dell’ente stesso. Particolare rilievo è stato attribuito ai c.d. modelli organizzativi, che
riecheggiano i compliance programs cari all’esperienza statunitense. Infatti, laddove il
reato sia stato posto in essere dai «soggetti che si collocano in posizione apicale» l’en-
te non risponde (unicamente) se dimostra di aver adottato ed efficacemente attuato
«modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello
verificatosi» (art. 6): si tratta di una «presunzione» di responsabilità, giustificabile in
ragione del fatto che, normalmente, il soggetto in posizione apicale è espressione della
politica di impresa. Quando, invece, la fattispecie criminosa sia stata posta in essere
da «soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza» – soggetti che sono inquadrati
all’interno dell’ente in uno stabile rapporto di lavoro subordinato o che comunque
ancorché non dipendenti dell’ente svolgano un determinato incarico sotto la direzione
o il controllo dei vertici dell’ente stesso – l’ente risponde del reato unicamente se la sua
realizzazione è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi connessi alle funzio-
ni di direzione e vigilanza. L’inosservanza è esclusa se l’ente prima della commissione
del reato ha adottato ed attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire il reato.
Se ampio è stato il dibattito nella dottrina volto a esaminare la congruità delle
scelte effettuate15, è stata relegata, invece, a un ruolo marginale la questione della
configurabilità di una responsabilità penale degli enti pubblici non economici. La
ragione del sostanziale «disinteresse» alla questione è comprensibile e risiede nel fatto
che terreno di elezione della responsabilità collettiva è tradizionalmente il diritto
penale dell’economia, estraneo, pare doversi ritenere, alla realtà degli enti pubblici
i quali (tendenzialmente) perseguono interessi di carattere generale e collettivo che
prescindono da scopi di lucro16. Con la nozione «ente pubblico» si fa riferimento a
tutte le persone giuridiche dotate di personalità giuridica di diritto pubblico, ovvero
lo Stato, gli enti territoriali, le società di diritto pubblico. Nonostante l’eterogeneità
della categoria, il minimo comun denominatore parrebbe essere costituito da peculiari
modalità di funzionamento e finalità di azione affatto diverse rispetto a quelle proprie
del privato, poiché esse perseguono l’interesse pubblico17.
punitiva, G. Giappichelli, Torino 2004; A. Fiorella, G. Lancellotti, La responsabilità dell’impresa per
i fatti di reato, G. Giappichelli, Torino 2004; F. Palazzo, Societas puniri potest, cedam, Padova 2003; S.
di Pinto, La responsabilità amministrativa da reato degli enti, G. Giappichelli, Torino 2003; G. Garuti,
Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cedam, Padova 2002; S. Gennai,
A. Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, Giuffré, Milano
2001. Per l’ulteriore bibliografia sul punto si rimanda al capitolo 7.
15
  Per la bibliografia sul punto si rimanda al capitolo 7.
16
  Invero le norme dedicate alla tutela della c.d. economia pubblica vedono destinatari della tutela lo
Stato e gli enti pubblici. Sul rapporto tra diritto penale ed economia pubblica si v. G. Fornasari, Il
concetto di economia pubblica nel diritto penale, Giuffré, Milano 1994, in particolare la sezione ii.
17
  In ordine alla nozione di «interesse pubblico», si cfr. S. Fois, Servizi e interessi tra privatizzazioni e
6 E. Pavanello

D’altro canto, anche il diritto comunitario propende nel senso dell’esclusione degli
enti pubblici dal novero dei soggetti collettivi responsabili. Nei diversi documenti
adottati dall’Unione in cui si impone agli Stati di reprimere una determinata
condotta illecita, prevedendo anche nei confronti delle persone giuridiche sanzioni
proporzionate, dissuasive ed efficaci, viene chiarito che la persona giuridica è l’ente
definito tale in forza del diritto nazionale applicabile, a eccezione degli Stati e delle
istituzioni pubbliche nell’esercizio di pubblici poteri18.
Non deve stupire, quindi, che la scelta del legislatore nel d.lgs. 231/2001 di
escludere dal novero dei soggetti responsabili tutti gli enti pubblici, a eccezione
degli enti pubblici economici19, non abbia destato particolari riflessioni da parte
della dottrina, la quale, seppure con diverse sfumature, ha sostanzialmente avallato
la «irresponsabilità» penale degli enti pubblici. I commenti critici si sono per lo più
appuntati sulla congruità del sistema di responsabilità extra codice in relazione ai
criteri individuati per l’attribuzione della condotta all’ente, ovvero la commissione del
reato da parte di un soggetto in posizione apicale o a lui subordinato nell’interesse o a
vantaggio dell’ente.
Eppure, la centralità della questione circa la legittimità di un sistema di responsabilità
differenziato pubblico-privato non può essere sottaciuta, sol che si consideri che lo Stato
nelle sue diverse articolazioni in realtà entra nel traffico dell’economia, ad esempio
attraverso imprese di gestione di servizi pubblici che sono controllate dagli enti locali20,
in cui pubblico e privato convivono. Vi è poi da considerare che, al di là delle attività
economiche poste in essere da taluni enti pubblici di cui si dirà nel prosieguo, è lecito
chiedersi se sia opportuno mantenere una distinzione di trattamento tra enti pubblici
e privati, anche alla luce dell’estensione della responsabilità delle persone giuridiche
regolazione pubblica, in «Diritto e Società», 2000, p. 22, il quale rileva che solo le funzioni legislativa,
giurisdizionale ed esecutivo-amministrativa garantiscono gli aspetti vitali e il funzionamento essenziale
dell’ordinamento nel suo complesso e in quanto tali possono dirsi volte a soddisfare l’interesse pubblico.
Non sarebbe invece corretto qualificare come pubblico qualunque tipo di servizio, a qualsiasi tipo di
settore esso si riferisca, poiché non sempre esso sarà idoneo a soddisfare il conseguimento degli interessi
essenziali e vitali nell’accezione sopra indicata.
18
  Si confronti, a titolo esemplificativo, il ii Protocollo della Convenzione ue sulla tutela degli interessi
finanziari comunitari del 1997 il quale esige che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché
le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili di delitti di natura finanziaria, nonché la
decisione quadro 2003/568/Gai del Consiglio dell’Unione sulla lotta contro la corruzione nel settore
privato la quale ugualmente esclude gli enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili.
19
  L’art. 1, comma 3, del d.lgs. 231/2001 prevede che le disposizioni relative alla responsabilità degli enti
«non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché
agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale». Già nella legge delega 300/2000 si chiariva che
«per persone giuridiche si intendono gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato e gli altri
enti pubblici che esercitano pubblici poteri» (art. 11, comma 2).
20
  Sulla correlazione tra enti pubblici e attività di impresa cfr. V. Domenichelli, L’Amministrazione
pubblica e l’impresa, in «Rivista amministrativa della Repubblica», 2002, ii, p. 1160.
Profili del problema della punizione del sovrano 7

a un numero crescente di reati, non strettamente legati a ipotesi di criminalità


economica (come nel caso della responsabilità dell’ente per il reato di mutilazioni
genitali femminili21 o dell’omicidio e lesioni colpose commessi con violazione di
norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro22).
Di particolare rilievo, inoltre, la circostanza che a livello internazionale – al di
là dei progetti di codificazione elaborati23 – è possibile affermare l’esistenza di un
vero e proprio regime criminale di responsabilità a carico degli Stati. Esso si desume
direttamente dalle forme di reazione a talune tipologie qualificate di illecito24,
consistenti in condotte internazionalmente criminali, commesse sotto l’egida dello
Stato da individui fisici che agiscono per conto dello Stato e ne attuano la politica.
Anche in questo caso il ricorso a sanzioni «criminali» nei confronti dell’ente si è reso
necessario poiché la punizione del singolo soggetto fisico, ancorché importante, si è
spesso rivelata relativa.
Non si ritiene poi insignificante nemmeno il fenomeno che ha condotto ad affermare
in sempre più numerose occasioni la responsabilità della pubblica amministrazione nel
diritto civile e amministrativo e ciò non solo quando la stessa agisca iure privatorum
ma anche nell’esercizio dei poteri sovrani25. La stessa giurisprudenza comunitaria ha
affermato l’esistenza di una responsabilità (civile) dello Stato nell’esercizio della sua
funzione legislativa, per mancata o non corretta attuazione nel diritto interno delle
direttive comunitarie26. Si consideri, al riguardo, che già nella sua Responsabilità dello
Stato nel diritto processuale penale del 190427, Arturo Rocco prendeva lo spunto dalla
disamina della proposta di legge Lucchini28 per affrontare la questione di una possibile
21
  Art. 25 quater d.lgs. 231/2001 inserito dall’art. 3, l. 7/2006.
22
  Art. 25 septies d.lgs. 231/2001, inserito dall’art. 9, l. 123/2007 e successivamente modificato dall’art.
300 d.lgs. 81/2008.
23
 V. progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti approvato
dalla Commissione Internazionale delle Nazioni Unite nelle sessioni 2683 e 2701 del 2001. Il testo è
reperibile nel sito www.un.org.
24
  R. Borsari, Diritto punitivo sopranazionale come sistema, cedam, Padova 2007, p. 226.
25
  V. Loccisano, Esercizio dell’attività legislativa, limiti ai poteri sovrani dello Stato e responsabilità, in
«Responsabilità comunicazione impresa», 2004, p. 456. Tra gli esempi citati la c.d. «legge Pinto» la
quale ha riconosciuto il diritto al risarcimento di un equo indennizzo in caso di irragionevole durata
dei processi.
26
  E. Calzolaio, L’illecito dello Stato tra diritto comunitario e diritto interno, Giuffré, Milano 2004,
esamina la giurisprudenza comunitaria in materia che ha preso avvio con la nota sentenza Francovich-
Bonifaci del 19 novembre 1991 la quale ha sancito la responsabilità dello Stato italiano per il mancato
recepimento della direttiva concernente la tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del
datore di lavoro.
27
  A. Rocco, La responsabilità dello Stato nel diritto processuale penale, in «Rivista penale», lx, fasc. 1,
1904, p. 5 ss.
28
  Si tratta della proposta del Prof. Luigi Lucchini, concernente Provvedimenti per la prevenzione della
recidiva e per la riparazione degli errori giudiziari presentata sin dal 31 gennaio 1903 e presa in considerazione
nella seduta del 21 maggio dello stesso anno, che prevedeva una forma di «riparazione» economica degli
8 E. Pavanello

responsabilità dello Stato di carattere civilistico, a contenuto risarcitorio − riparatorio


nell’esplicazione della personalità giuridica pubblica penale. La disamina dello scritto
contiene interessanti spunti di riflessione: ivi si affermava molto significativamente
che, in linea di principio, non vi sono ostacoli all’affermazione di una responsabilità
dello Stato, anche per ciò che concerne atti compiuti nell’esercizio della sua attività
pubblica. Non sono considerati impedimenti, infatti, né la natura pubblica
delle norme che ne regolano l’attività, né la natura pubblica dei diritti soggettivi
lesi. Semmai il problema si sposta sulla diversa modulazione dei presupposti cui
ancorare la responsabilità (azione materiale, imputabile, illecita e causa di danno),
in considerazione della natura pubblica dell’ente. La conclusione è che un’azione
può dirsi voluta dallo Stato e perciò deve considerarsi ad esso imputabile, quando
è riferibile all’individuo che per lo Stato ha agito. Lo Stato può commettere un
illecito poiché, in linea di principio, è sottoposto al pari degli altri individui al
diritto oggettivo, a eccezione dell’azione considerata sovrana, insofferente al rispetto
delle norme giuridiche, ovvero l’attività legislativa. Se lo Stato «commette» un
illecito, la sua azione potrà essere foriera di risarcimento quando abbia causato un
danno apprezzabile. A fronte di tali premesse di fondo, lo studioso giunge tuttavia
alla conclusione che solo l’esecuzione di provvedimenti amministrativi avvenuta
dolosamente e illecitamente da parte del funzionario che ha agito poteva dare origine
alla responsabilità dello Stato.
Se dunque occorre tenere a mente che le diverse responsabilità si pongono su
piani differenti e che la constatazione dell’esistenza di un regime di responsabilità
amministrativa o civile, diretto essenzialmente alla tutela del danneggiato, non può
indurre a ritenere sic et simpliciter necessaria l’introduzione di una vera e propria
responsabilità penale degli enti pubblici, tuttavia, l’affermazione della «capacità»
dell’ente pubblico di commettere l’illecito introduce un ulteriore elemento
di riflessione che induce a valutare l’opportunità di prevedere limitazioni alla
responsabilità «penale», da un punto di vista soggettivo.
Storicamente, il fenomeno della responsabilità degli enti pubblici non è
sconosciuta. Nelle fonti tardo-romane si trovano, infatti, testimonianze dell’esistenza
di una responsabilità penale dei Comuni, i quali rispondevano del proprio operato
illecito29. E ancora, negli statuti comunali italiani dei secoli xiv e xv erano previste
sanzioni nei confronti dei Comuni del distretto urbano che non impiegavano la
moneta comunale, omettevano di conservare in buono stato i mulini, impedivano
che la gente di campagna si recasse in città30. Si tratta, ovviamente, di esperienze
errori giudiziari, al fine di provvedere in quei casi nei quali l’errore giudiziario abbia recato tale nocumento,
da cui altrimenti l’individuo ingiustamente perseguito soffrirebbe una vera e irreparabile rovina.
29
  F. D’urso, Verso una novità antica: la responsabilità penale delle persone giuridiche, in «Quaderni
Costituzionali», 2002, p. 825 ss.
30
  G. Marinucci, La responsabilità penale delle persone giuridiche. Uno schizzo storico-dogmatico, in «Rivista
Profili del problema della punizione del sovrano 9

molto lontane dall’attuale configurazione degli enti territoriali ma che consentono


di affermare che la questione non è del tutto sconosciuta come potrebbe prima facie
apparire.
L’opportunità di estendere la responsabilità penale agli enti pubblici è tema quindi
che, per le ragioni sin qui sommariamente indicate, merita di essere approfondito,
anche in virtù delle sollecitazioni provenienti dal diritto comparato31. La disciplina
introdotta sul punto in alcuni paesi europei è stata oggetto di qualche vaglio da parte
dei commentatori, i quali hanno enucleato una serie di argomenti a favore e contro la
configurazione di una responsabilità penale di Stato ed enti pubblici, tentando altresì
di verificare le «ricadute» sul piano pratico-applicativo della loro responsabilità.
Taluni problemi di fondo sono stati solo menzionati e le indagini hanno posto
sollecitazioni o interrogativi più che offerto disamine approfondite delle questioni.
Tuttavia, dal loro esame si evince come molto spesso gli argomenti sostenuti dalla
dottrina a favore di una o dell’altra tesi nei diversi ordinamenti siano coincidenti, a
significare che gli interrogativi sono comuni.
Pare quindi sin da subito opportuno sinteticamente affrontare alcuni degli aspetti
maggiormente critici che un sistema di responsabilità penale degli enti pubblici
sollecita.
A tal fine, è imprescindibile distinguere la posizione dello Stato, da intendersi
comprensivo dell’intero apparato amministrativo, e degli enti territoriali, da quella
degli «altri» enti pubblici, i quali molto spesso, pur essendo dotati di personalità
giuridica di diritto pubblico, svolgono attività equiparabili a quelle delle persone
giuridiche di diritto privato, di cui ripetono anche la struttura organizzativa (il
riferimento va, in particolare, alle società di diritto pubblico che assumono la veste
di S.p.a.).

2. Il tradizionale principio dell’irresponsabilità penale dello Stato sovrano.

Una delle principali argomentazioni addotte per negare la possibilità di configurare


una responsabilità penale degli enti pubblici è il possibile contrasto rispetto al
principio di sovranità.
A questo principio pare essersi riferito anche il legislatore italiano il quale,
nella Relazione al d.lgs. 231/200132, ha chiarito che l’esclusione dal novero dei
italiana di diritto e procedura penale», 2007, p. 445 ss. Di particolare rilievo le pene irrogate alla città di
Donauworth nel 1608, consistenti nella privazione del suo diritto di città libera e di città capoluogo di
provincia e alla città di Magdeburgo nel 1631, sottoposta a distruzione per la ribellione all’imperatore.
31
  Sui metodi e le funzioni della ricerca comparata, si cfr. A. Eser, Funzioni, metodo e limiti della ricerca
in diritto penale comparato, in «Diritto penale xxi secolo», 2002, p. 1 ss.
32
  Cfr. Relazione al d.lgs. 231/2001 paragrafo n. 2.
10 E. Pavanello

soggetti responsabili degli enti che esercitano pubblici poteri è volta a esimere dalla
responsabilità le singole Pubbliche Amministrazioni dotate di poteri espressione, pare
doversi ritenere, della sovranità33.
Lo Stato esercita la sovranità, attraverso propri organi titolari di funzioni che
promana direttamente dal popolo (art. 1 Cost.). Il cittadino a sua volta esercita la
propria personalità giuridica attraverso meccanismi in grado di rendere effettivo
un rapporto di eguaglianza formale con lo Stato34. Non v’è dubbio che tra i poteri
dello Stato la potestà punitiva rivesta un ruolo preminente, poiché l’ente statale è
il solo competente a esercitare l’azione penale: di qui la constatazione che sarebbe
contraddittorio prevedere un sistema di responsabilità penale dello Stato, poiché «il
titolare della pretesa punitiva non può allo stesso tempo esserne destinatario35».
Storicamente la nozione di sovranità36, intesa quale somma delle potestà pubbli-
che dello Stato che si esercita su di un territorio definito e sul corpo sociale su di esso
stanziato, è stata coniata nel xvi secolo a opera di Bodin37. Da allora la sovranità è
33
  Per la disamina del sistema di responsabilità degli enti in Italia si fa rinvio al capitolo 7.
34
  G. Berti, Sovranità, in «Jus», 2007, p. 282.
35
  M. Ronco, voce Responsabilità delle persone giuridiche, in Enciclopedia Giuridica Treccani, xxvii,
Istituto dell’Enciclopedia Giovanni Treccani, Roma, aggiornamento, 2002, p. 4. Nella definizione di
G. Vassalli, voce Potestà punitiva, in Enciclopedia del diritto, xxxiv, Giuffré, Milano 1985, p. 793, la
potestà punitiva è quel complesso di attribuzioni di contenuto giuridico sostanziale aventi per oggetto
le previsioni di illeciti e di corrispondenti sanzioni punitive, l’accertamento dei presupposti richiesti in
concreto per l’irrogazione di dette sanzioni e l’effettiva loro inflazione, con tutte le sue conseguenze fino
alla fase esecutiva.
36
  Sul concetto di sovranità la bibliografia è ampia. Senza pretese di esaustività si confrontino tra gli altri:
D. Quaglioni, La sovranità, Laterza, Roma-Bari 2004 e la bibliografia ivi citata; M. S. Giannini, voce
Sovranità b) diritto vigente, in Enciclopedia del diritto, xliii, 1990, p. 205 ss. e la bibliografia ivi citata.;
N. Matteucci, voce Sovranità, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di Politica,
utet, Torino 1983, p. 1102 ss.; G. Berti, Profili dinamici della sovranità statale, in Studi in onore di
Lorenzo Spinelli, vi, Mucchi, Modena 1989, p. 1283 ss.; L. Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno,
Laterza, Roma-Bari 1997.
37
  Jean Bodin è giurista-umanista vissuto tra il 1529 e il 1596 che nella sua opera Six livres de la
République, redatti in francese nel 1576 e rielaborati in latino nel 1586 definisce i concetti di Stato e di
sovranità. Per la traduzione in italiano si veda M. Isnardi Parente, D. Quaglioni, I sei libri dello Stato
di Jean Bodin, utet, Torino 1988. M. S. Giannini, voce Sovranità, cit., p. 225 ricorda che secondo
alcuni storiografi il concetto di sovranità, pur senza che ne apparisse espressamente il nome, fosse stato
teorizzato già in precedenza. Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno, cit., p. 11 ss. ritiene che l’idea
di sovranità nasca innanzitutto nel significato di una sovranità esterna ben prima che sul piano interno
Bodin e Hobbes teorizzassero la sovranità come potere superiore rispetto al quale nessun altro potere è
riconosciuto. Secondo lo studioso, il concetto di sovranità sarebbe attribuibile a Vitoria Francisco Suarez,
Alberico Gentili e altri teorici spagnoli che vi avrebbero fatto riferimento per fornire una legittimazione
alla conquista del Nuovo Mondo all’indomani della sua scoperta. La sovranità troverebbe origine in
esigenze «pratiche» e sarebbe poi articolata attorno a tre «pilastri»: l’ordine mondiale è configurato
come società naturale di Stati sovrani tutti sottoposti al diritto, vi sono una serie di diritti naturali dei
popoli e degli Stati e, infine, la guerra giusta costituirebbe sanzione giuridica delle iniuriae subite. Solo
successivamente si assisterebbe, invece, alla teorizzazione del concetto di sovranità interna.
Profili del problema della punizione del sovrano 11

divenuta concetto proprio di tutte le scienze costituzionalistiche anche se intenso è


stato il dibattito volto a definirne contenuti e limiti. La sovranità ha consentito di
giustificare l’attribuzione della somma di poteri supremi necessari a reggere la cosa
pubblica al sovrano dei regni e dei principati liberati dal vincolo con l’Impero38. Nel
pensiero di Bodin, la sovranità era il potere assoluto detenuto dal Sovrano e si sostan-
ziava nella possibilità di derogare alle leggi: l’unica limitazione era data dal diritto
divino-naturale. Il re era, infatti, perfetto ed era «costretto» nella sua perfezione a fare
leggi altrettanto perfette e giuste che dovevano essere però conformi al piano divino39.
Per il teorico francese il Sovrano non sarebbe stato veramente tale laddove avesse sot-
toposto se stesso alle norme giuridiche che egli imponeva o che altri suoi predecessori
avevano imposto (principe-legislatore come legibus solutus). Questo passaggio è par-
ticolarmente significativo poiché l’affermazione della sovranità passa necessariamente
attraverso l’accettazione di un principe che agisce libero da vincoli pattizi imposti
dalle norme: laddove egli si sottoponesse alle norme non potrebbe essere considerato
sovrano e non sarebbe in grado di assicurare la vita felice di tutti i sudditi. Unico li-
mite alla sovranità e, quindi, al potere del principe sarebbe costituito dal rispetto delle
leggi naturali e divine40. Se questa è la posizione dello Stato, impersonato dal sovrano,
diverso è, invece, il potere attribuito ai corpi e ai collegi diversi dallo Stato, ovvero
quello di fare ordinanze solo a patto di non derogare alle leggi pubbliche. È evidente
che – seppure impropriamente – si può parlare di una sovranità limitata degli enti
«pubblici» diversi dallo Stato, i quali sono vincolati al rispetto delle norme pubbliche
ma sono comunque dotati di forza cogente e vincolante.
Il pensiero bodiniano caratterizzato da un forte senso dell’assolutismo, viene ela-
borato da Hobbes, il quale attribuisce agli accordi che intercorrono tra gli individui e
lo Stato carattere artificiale, cosicché l’obbligazione politica costituisce una sottomis-
sione necessaria della volontà dei singoli all’unica volontà sovrana dello Stato-perso-
na, il cui potere assoluto implica la possibilità di comminare pene e di usare la forza.
38
  F. Salvia, L’ordine giuridico feudale e l’organizzazione mafiosa. I problemi della globalità e il nuovo
«medioevo» conseguente alla crisi della sovranità, in «Diritto e società», 2000, p. 37 e 39 indica che
nel mondo feudale l’idea di Stato considerato come ente di diritto pubblico posto al di sopra della
comunità è ancora assente. «La nascita dello Stato – di una entità capace di assumere rispetto alle “altre”
organizzazioni sociali una posizione di completa superiorità – si spiega quindi proprio in questa chiave:
nell’esigenza di ricomporre un’autorità sovrana ponendo fine al particolarismo».
39
  Cfr. A. Biral, La crisi della monarchia di diritto divino e il problema della costituzione, in P. Schiera,
A. Biral, C. Pacchiani, L. Gasparini, M. Giubilato, G. Duso, Il concetto di rivoluzione, De Donato,
Bari 1979, p. 21.
40
  Isnardi Parente, Quaglioni, I sei libri dello Stato di Jean Bodin, iii, cit., p. 482. Critico rispetto
a questa concezione della sovranità e dello Stato, lo studioso tedesco Giovanni Althusius, il quale
seppure condivide con Bodin l’idea di un potere sovrano dello Stato come simile all’anima di un corpo,
assolutamente unico, immediato e indivisibile, ritiene che la sovranità spetti al popolo che nella sua
collettività la genera e la custodisce. In merito al pensiero di Althusius si veda O. von Gierke, Giovanni
Althusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche, 1880, G. Einaudi, Torino 1974, p. 41.
12 E. Pavanello

Anche Hobbes41 ritiene che le leggi imposte da chi governa non possano costituire li-
mite per il governante il quale, altrimenti, auto-obbligherebbe se stesso. L’ente statale
in quanto persona giuridica sarebbe, infatti, titolare di diritti e doveri, al pari di ogni
altro soggetto, e contemporaneamente sarebbe contenuto e fondamento dell’ordina-
mento giuridico. La dicotomia è ben riassunta nel concetto di «uomo artificiale»: da
un lato, infatti, lo Stato in quanto soggetto pubblico è un’essenza separata ed estranea
rispetto ai singoli che lo compongono, l’uomo artificiale appunto; dall’altro, vi sareb-
be un’analogia innegabile tra pubblico e privato, nel senso che lo Stato riprodurrebbe
esattamente la condizione del singolo, della persona (giuridica) privata42.
Sebbene l’idea che lo Stato possa essere paragonato alle altre persone giuridiche
sia a parere di alcuni studiosi criticabile43, è stato affermato che lo Stato-persona po-
litica non può volere l’illecito nell’ordinamento giuridico di cui lo stesso è fautore44.
A parere di Kelsen, in particolare, riconoscere un illecito dello Stato significherebbe
ammettere l’esistenza di una norma giuridica che lo definisce tale, poiché solo la fat-
tispecie fissata dalla norma può essere imputata allo Stato. A differenza degli organi
delle comuni persone giuridiche, i quali possono agire illegalmente in ragione della
funzione rivestita, gli organi dello Stato, nel momento in cui agiscono illecitamente,
si porranno al di fuori dello stesso e non lo rappresenteranno. Se un funzionario
pubblico commette un fatto illecito questo non sarebbe imputabile all’ente statuale,
in quanto

dovendo l’organo esprimere ed attuare la volontà dello Stato, non può aver voluto la vio-
lazione dell’ordinamento giuridico45.

Pertanto,

non può mai essere lo Stato - persona a ledere nel caso concreto il suo obbligo giuridico,
ma sempre soltanto l’organo fisico che, ledendo il suo dovere d’ufficio di realizzare la vo-
lontà dello Stato, la lascia in realtà inadempiuta o agisce contro di essa. Ciò che si verifica
non è illecito dello Stato, ma illecito dell’organo46.
41
  Si veda quanto indicato da Quaglioni con riferimento a questi aspetti del pensiero hobbesiano.
Quaglioni, La sovranità, cit., p. 77-78.
42
  Cfr. F. Gentile, Il privato e il pubblico, in Intelligenza politica e ragion di Stato, Giuffré, Milano 1984,
p. 12 e ss.
43
  O. V. Gierke, Die Genossenschaftstheorie und die deutsche Rechtsprechung, Reprografischer Nachdruck,
Berlino 1887, p. 752.
44
  H. Kelsen, L’illecito dello Stato,1913-1914, a cura di A. Abignente, Edizioni Scientifiche italiane,
Napoli 1988, p. 23.
45
  Sul punto si veda Loccisano, Esercizio dell’attività legislativa, cit., p. 476 e ss. il quale ripercorre il
pensiero di Kelsen.
46
  Kelsen, L’illecito dello Stato, cit., p. 55.
Profili del problema della punizione del sovrano 13

Nonostante tali nette dichiarazioni, Kelsen ritiene comunque possibile prevedere


una responsabilità dello Stato per il danno causato da uno dei suoi organi, a titolo
di responsabilità risarcitoria per illecito o debito altrui, a condizione che vi sia una
norma giuridica positiva che lo preveda espressamente. Naturalmente questa obbli-
gazione risarcitoria non va confusa con l’imputazione dell’illecito allo Stato persona,
poiché l’illecito resta comunque dell’organo47.
Le ragioni storiche che ostacolano la configurabilità di una responsabilità penale
dello Stato sembrano, dunque, doversi rinvenire nel fatto che esso è fondamento
dell’ordinamento giuridico. L’illecito dello Stato costituirebbe un’ipotesi irreale e del
tutto illogica poiché l’ente statuale che trasgredisce il «suo» obbligo giuridico, agireb-
be contro la propria volontà48.
L’impossibilità di configurare una responsabilità penale dello Stato sarebbe, poi,
intimamente connessa al fatto che l’ente statale sovrano sarebbe infallibile49 e, in
quanto tale, incapace ontologicamente di commettere l’illecito50. Qualunque azione
posta in essere dal Re sarebbe da considerarsi legittima. Il Sovrano, infatti, avrebbe
in sé due «corpi»: uno, quello naturale, corpo mortale, soggetto a tutte le infermità
naturali e accidentali, alla debolezza dell’infanzia e della vecchiaia e a tutti i consimili
inconvenienti cui vanno incontro i corpi naturali delle altre persone e l’altro, politico,
un corpo che non può essere visto o toccato, consistente di condotta politica e di
governo. Esso sarebbe costituito per la direzione del popolo e la conservazione del
bene pubblico, e sarebbe privo di tutti i difetti e le debolezze cui è soggetto il corpo
naturale, e per questo motivo, ciò che il Re fa con il suo corpo politico non potrebbe
essere invalidato o annullato a causa di alcuna debolezza del suo corpo naturale51. La
coesistenza di questi due corpi in capo alla stessa persona, ha determinato il fondato
convincimento che gli atti compiuti dal Re-politico siano assolutamente «immuni»,
espressione di un potere pseudo divino52.
Se queste statuizioni possono oramai dirsi superate in ambito civilistico-ammini-
strativo, essendo ampiamente riconosciuta la responsabilità dello Stato, rectius della
pubblica amministrazione nelle sue diverse articolazioni, per gli illeciti commessi dai
propri funzionari nell’esercizio delle loro mansioni, non è superato il radicale convin-
cimento, invece, circa la necessità che venga assicurata l’irresponsabilità penale dello
Stato. Certo, la responsabilità amministrativa dello Stato assolve principalmente la
funzione di tutela del danneggiato, mentre è la responsabilità del singolo agente ai
47
  Id., p. 120.
48
  Id., p. 29 e 40.
49
  Gierke, Die Genossenschaftstheorie und die deutsche Rechtsprechung, cit., p. 752.
50
  M. Sunkin, Crown immunity from criminal liability in English Law, in «Public Law», 2003, p. 716 ss.
51
  E. Plowden, Commentaries on reports, S. Brooke, London 1816, 212 a.
52
  E.H. Kantorowicz, The King’s two bodies: a study in mediaeval political theology, Princeton 1957
nella traduzione italiana con introduzione di A. Boureau, I due corpi del Re, Einaudi, Torino 1989.
14 E. Pavanello

sensi dell’art. 28 Cost. che mira a creare un presidio contro gli abusi e le violazio-
ni poste in essere dai dipendenti e funzionari i quali per il solo fatto che operano
per la collettività non possono sottrarsi al riscontro di legalità del proprio operato53.
Fatta questa precisazione, occorre comunque interrogarsi sulla capacità a delinquere
dell’ente pubblico e sulla necessità o opportunità di garantire il primato dello Stato,
origine del diritto, sullo Stato, soggetto al diritto, in ambito penale. Si tratta della
questione del primato della legittimità sulla legalità54. Affermare a priori l’impos-
sibilità di procedere nei confronti degli enti pubblici, sulla scorta del principio di
sovranità, pare contraddittorio, anche in ragione delle limitazioni che la stessa soffre,
tanto sul piano interno, quanto sul piano esterno.

2.1. I limiti «interni» ed «esterni» della sovranità e le possibili implicazioni per il


superamento del dogma della irresponsabilità.

È indubbio che la sovranità intesa come potere assoluto sia in crisi sul piano
interno ed esterno: un potere illimitato, un sovrano (Stato) che impone la legge ma
non è tenuto a rispettarla non può trovare giustificazione nei moderni Stati di diritto.
La questione della limitazione del potere ha attraversato molti secoli, tant’è che lo
stesso Rousseau aveva affermato che il sovrano è limitato nella misura in cui

ciascun individuo, contrattando, per così dire, con se stesso, si trova obbligato sotto un
duplice rapporto: cioè come membro del corpo sovrano verso i singoli e come membro
dello Stato verso il corpo sovrano. Ma non si può applicare qui il principio del diritto civi-
le per cui nessuno è vincolato dalle obbligazioni contratte con se stesso; perché vi è molta
differenza tra l’obbligarsi verso se stesso e l’obbligarsi verso un tutto di cui si faccia parte55.

Il teorico francese aveva messo in luce un punto cruciale: la sottoposizione al di-


ritto e, quindi, l’obbligo del suo rispetto anche da parte del Sovrano.
Proprio nella prospettiva della supremazia del diritto si è affermato che sussiste-
rebbe un’insuperabile contraddizione tra il concetto di sovranità e quello di Stato di
diritto, cosicché dov’è l’uno non può esservi l’altra56, poiché è necessario affermare
53
  Sul punto si veda P. Cerbo, Leggi idonee a ledere posizioni giuridiche di soggetti individuati (o
individuabili) e responsabilità dei pubblici agenti nell’art. 28 Cost.: alla ricerca di un equilibrio, in
«Giurisprudenza costituzionale», marzo-aprile 2009, p. 1364 ss.
54
  Cfr. C. Galli, Diritto e politica: profili teorici e politici del loro rapporto, in Delitto politico e diritto penale
del nemico, a cura di A. Gamberini, R. Orlandi, Monduzzi, Bologna 2007, p. 51, il quale contrappone
l’ambito di legittimità della politica da quello della legalità del diritto.
55
  J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, 1762, trad. it. e note di V. Gerratana, con un saggio introduttivo
di R. Derathé, Einaudi, Torino 1994, i, 7, p. 26.
56
  L. Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno. Crisi e metamorfosi, in M. Basciu, Crisi e metamorfosi
Profili del problema della punizione del sovrano 15

la soggezione alla legge di qualunque potere. La sovranità sarebbe, invece, assenza di


limiti e di regole, cioè il contrario di ciò in cui il diritto consiste57. O quantomeno
ciascuna delle potestà che compongono la sovranità dovrebbe essere sottoposta a pre-
cisi limiti, potendo essere esercitata unicamente per quello che è il suo contenuto58.
Si è ritenuto ad esempio che il riconoscimento delle libertà civili mediante le garanzie
costituzionali non costituisca altro che una limitazione del potere governativo, poi-
ché le libertà garantite dalle leggi del governo costituzionale sono tutte di carattere
negativo, sono insomma non poteri in se stessi, ma semplicemente una difesa dagli
abusi del potere; non rivendicano il diritto di partecipare al governo, ma offrono una
difesa contro il governo59.
Di crisi della sovranità si può parlare anche sul piano esterno. Se, infatti, per sovra-
nità si intende l’«esercizio indisturbato del potere entro un certo territorio»60, è neces-
sario constatare che attualmente determinati beni e interessi devono essere protetti,
indipendentemente da qualsiasi legame con il territorio dello Stato. Basti pensare,
da un lato, al fatto che il dogma del monopolio statale della produzione legislativa
è messo fortemente in crisi dal crescente ruolo attribuito dalla giurisprudenza61, e
dall’altro, allo stesso regime della giustizia, tradizionalmente demandato ai tribunali
interni, è messo in discussione dalla creazione della Corte penale internazionale, la
quale, seppure in via sussidiaria, ha competenza a conoscere della commissione dei
crimini internazionali. Essa cioè erode parte di quei poteri statali che costituiscono il
«nocciolo» duro della sovranità. E, infatti, occorre prendere atto dell’esautoramento
dello Stato nazione che si declina anche nella sua perdita di autonomia (lo Stato non
dispone più della forza necessaria per proteggere i suoi cittadini dagli effetti dei fe-
della sovranità, Atti del xix Congresso nazionale di filosofia giuridica e politica (Trento, 29-30 settembre
1994) Giuffré, Milano 1996, p. 9.
57
  Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno, cit., p. 61 ss. Tuttavia, P. Belloli, L’antinomia tra
sovranità e diritto, in Diritti umani e sovranità, a cura di F.A. Cappelletti, G. Giappichelli, Torino 2000,
p. 148 ss. sostiene che «a ben vedere...anche la sovranità legibus soluta presuppone l’esistenza di regole» e,
in particolare, delle regole che la studiosa definisce «costitutive», in contrapposizione a quelle regolative.
Si tratta delle norme che, ad esempio, attribuiscono la qualità di carattere dinastico al re: «l’esercizio
del potere di un monarca assoluto (o di un autocrate) è soluto da regole, ma vi sono tuttavia regole che
determinano la condizione di monarca».
58
  Giannini, voce Sovranità b) diritto vigente, cit., p. 228.
59
  H. Arendt, On revolution, 1963, traduzione italiana a cura di M. Magrini, Sulla rivoluzione, Edizioni
di Comunità, Torino 1999, p. 157-158.
60
  T. Treves La sovranità monetaria oggi, in La moneta tra sovranità statale e diritto internazionale,
Editoriale Scientifica, Napoli 2001, p. 12.
61
  In questo senso B. Pastore, Il diritto internazionale in un mondo in trasformazione: verso un diritto
giurisprudenziale?, in «Ars interpretandi», 2000, p. 166, il quale evidenzia «l’interazione» tra livello
statale e livello sovranazionale «che rende, nell’epoca odierna, la giuridicità dislocata in un continuum
che va dal locale al globale»; cfr. anche K.W. Abboyy, R.O. Keohane, A. Moravcsik, A.M. Slaughter,
D. Snidal, The concept of legalization, in «International organisation», 2000, p. 401 ss.
16 E. Pavanello

nomeni di «globalizzazione»), nella mancanza di legittimazione nell’ambito di taluni


processi decisionali (si pensi proprio al caso dell’Unione Europea) e nella difficoltà di
intervenire per far fronte a fenomeni che travalicano i confini nazionali62.
Non si può poi trascurare – anche se ciò esula dallo specifico oggetto del presente
lavoro – il ruolo rivestito dal diritto comunitario e dal processo di integrazione euro-
pea che contribuisce alla progressiva erosione del concetto di sovranità63. La necessità
di tutelare diritti e situazioni di tale importanza da prescindere dal legame della terri-
torialità, determina una progressiva perdita di significato del concetto di sovranità in
ambito sovranazionale. La stessa configurabilità di crimini internazionali dello Stato,
è stata ritenuta inscindibile dal concetto di Stato quale entità collettiva autonoma
dotata di personalità giuridica e soggetta alle regole di diritto internazionale64.
Se si ammette che lo Stato possa delinquere, quantomeno a livello internazionale,
e che lo stesso non disponga di un potere illimitato, logica conseguenza sembrereb-
be che l’ente statuale, in quanto persona giuridica, è soggetto esso stesso ai precetti
(penali) posti. Estendendo il ragionamento dal piano internazionale al piano interno,
è da ritenere che negare la soggezione dell’ente statale al diritto si porrebbe in con-
traddizione con una moderna concezione dello Stato di diritto che non può ammet-
tere il potere illimitato di un «sovrano», il quale impone la legge ma non è tenuto a
rispettarla. Inoltre, il limite dei diritti fondamentali, cui lo Stato deve attenersi nello
svolgimento della propria azione di governo e di amministrazione65, non sembra pos-
62
  J. Habermas, La costellazione postnazionale, Feltrinelli, Milano 2002, p. 107 ss.
63
  S. Riondato, Competenza penale della comunità europea, cedam, Padova 1996, p. 19 ss. analizza il
possibile conflitto tra sovranità statuale e competenza penale della Comunità Europea e mette in luce
come sia opportuno delinare un concetto di sovranità legato a ogni organizzazione della comunità
politica. Cfr. inoltre C. Sotis, Il diritto senza codice, Giuffré, Milano 2007, p. 47 ss. con riferimento
in particolare agli obblighi comunitari di tutela penale; I. Pernice, Multilevel Constitutionalism and
the Treaty of Amsterdam: European Constitution-Making Revisited, in «Common Market Law Review»,
1999, p. 703 ss. e E. Canizzaro, Democrazia e sovranità nei rapporti fra Stati membri e Unione Europea,
in Riforme costituzionali: prospettiva europea e prospettiva internazionale, Atti del iv Convegno, Salerno,
29-30 aprile 1999, Editoriale Scientifica, Napoli 2000, p. 59 ss. secondo cui se lo Stato sovrano è
concepito come ente a competenza generale, nel senso che esso costituisce un centro unitario di
imputazione di rapporti giuridici, sia di quelli che derivano dall’esercizio di competenze interne che di
quelle internazionali, l’esercizio di competenze da parte di enti internazionali può essere concepito entro
limiti materiali assai stretti ed esattamente definiti dagli strumenti internazionali che hanno operato il
trasferimento. In questa prospettiva, quindi, di carattere internazionalista, il trasferimento di poteri ad
un ente internazionale rappresenta niente di più che l’esercizio eccezionale di competenze da parte di
organi comuni a più Stati. Si veda, inoltre, L. Scarno, I rapporti di diritto penale, Giuffré, Milano 1942,
p. 229 in ordine alla delegabilità da parte dello Stato della potestà punitiva.
64
  Testualmente, Borsari, Diritto punitivo, cit., p. 238.
65
  Sul punto preme qui indicare sin da ora le sollecitazioni provenienti dalla sentenza cedh, Öneryildiz
v Turchia, n. 48939/1999, secondo cui il rispetto del diritto alla vita impone allo Stato e agli enti
pubblici oltre all’obbligo di astenersi dal causare volontariamente la morte di un soggetto, anche taluni
obblighi positivi, tra cui assicurare una reazione adeguata. Ciò comporta il compimento di indagini
Profili del problema della punizione del sovrano 17

sa condurre lo Stato ad esimersi dal rispetto anche delle norme penali. Laddove pro-
gredisce infatti lo spazio di tutela della libertà, dovrebbe contestualmente regredire
l’azione libera e irresponsabile dello Stato66.
Si stentano a comprendere in questa prospettiva le ragioni che, come si vedrà,
hanno indotto il legislatore italiano ad escludere – oltre allo Stato – anche gli «altri»
enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili67, quasi che l’attributo della sovra-
nità ammanti di legittimità l’azione di qualunque ente si fregi della connotazione
pubblicistica. Il ragionamento non pare convincente, soprattutto in considerazione
del fatto che i singoli funzionari pubblici non sono considerati immuni e che, anche
a livello internazionale, l’art. 27 dello Statuto di Roma68 esclude che l’immunità del
singolo possa essere fatta discendere dalla natura pubblica della funzione esercitata.
L’obiezione a più riprese avanzata è che della sovranità elemento costitutivo è la
potestà punitiva69, la quale compete in via esclusiva allo Stato. Laddove si configuras-
se una soggezione penale della persona giuridica Stato, nelle sue varie articolazioni, vi
sarebbe un’indebita sovrapposizione tra chi punisce e chi viene punito. A differenza
che nel diritto internazionale ove esistono norme e strutture sovraordinate allo Stato
che consentono di accertarne l’illecito, a livello interno è lo stesso Stato che pone il
precetto a dover giudicare della sua violazione. Sul punto si ritiene che tale constata-
zione non possa costituire un ostacolo teorico-dogmatico di fondo alla configurazio-
ne della responsabilità, quanto semmai una questione «pratica» che potrebbe essere
risolta prevedendo accorgimenti da un punto di vista procedurale.
Occorre ovviamente capire come nell’ottica dell’affermazione della supremazia
del diritto si possa configurare (e conseguentemente risolvere) la questione
della responsabilità penale dell’ente collettivo pubblico che comporta anche la
configurazione di un modello «adeguato» di responsabilità alla persona giuridica di
diritto pubblico Stato.
Ragionare in termini di sovranità come elemento in grado di escludere la
responsabilità dell’ente pubblico rischia di legittimare un’irresponsabilità allargata
effettive e l’attuazione di un sistema sanzionatorio che consenta di proteggere concretamente il diritto
alla vita. Quanto al sistema sanzionatorio da applicare, la Corte ha ritenuto che in caso di infrazioni
non intenzionali (come nell’ipotesi esaminata) non sempre sarà necessario approntare un sistema penale
di repressione; tuttavia, ove vengano in rilievo attività particolarmente pericolose (quali la gestione di
una discarica) che possono condurre alla morte di taluni soggetti, il ricorso alla via penale è ineludibile.
All’analisi della decisione è dedicato il capitolo 2, paragrafo 23.
66
  C. Panzera, La responsabilità del legislatore e la caduta dei miti, in «Politica del diritto», n. 3, settembre
2007, p. 349.
67
  Ai sensi dell’art. 1, d.lgs. 231/2001 sono infatti esclusi tutti gli enti pubblici a eccezione degli enti
pubblici economici.
68
  Per un commento allo Statuto della Corte Penale Internazionale si veda fra tutti, A. Cassese, P.
Gaeta, John R.W.D. Jones et al., The Rome Statute for an International Criminal Court: a commentary,
Oxford University Press, Oxford 2002.
69
  Sul punto si confronti Vassalli, voce Potestà punitiva, cit., p. 793.
18 E. Pavanello

senza adeguato fondamento. Se si riconosce che la sovranità è per sua ontologica


natura limitata – un potere illimitato sarebbe di per sé espressione contraria allo
Stato di diritto – sembra essere passaggio logico conseguente ammettere anche che
l’«autoesclusione» dall’applicazione di una norma costituisce un privilegio che non
trova adeguata giustificazione.

3. Il potere rappresentativo dello Stato quale limite alla sua responsabilità penale.

La previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pub-


blico ha sollecitato riflessioni in ordine al possibile contrasto con la posizione che
esse rivestono in qualità di rappresentanti rispetto alla comunità, sia essa nazionale
o locale. L’elezione da parte dei cittadini degli organi dello Stato sarebbe da sola suf-
ficiente a garantire l’immunità degli enti pubblici e ciò poiché il controllo politico
sarebbe in grado di escludere ogni considerazione in ordine alla rilevanza penale dei
comportamenti adottati da quell’ente70.
Frutto di queste considerazioni pare essere stata la scelta del legislatore belga che
ha escluso gli enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili71: ciò si desume dalla
lettura della Relazione al novellato codice penale che sul punto statuisce in modo
chiaro come gli enti pubblici siano immuni poiché dotati di un organo democratica-
mente eletto. L’affermazione ha destato non poche perplessità in dottrina, poiché si è
rilevato come il criterio citato presupponga l’esistenza di un contrasto ineluttabile tra
controllo politico e penale: l’esistenza del primo sarebbe infatti di per sé sufficiente ad
escludere il sindacato penale sull’attività delle persone giuridiche di diritto pubblico.
Anche in altri ordinamenti, l’idea della rappresentanza è stata addotta per limitare la
responsabilità penale dell’ente72.
Sostenere questa argomentazione significa tuttavia non riconoscere le diverse fi-
nalità della responsabilità giuridica e politica. Paiono rilevanti sul punto alcune con-
70
  Cfr. G. Duso, Rivoluzione e legittimazione in Hegel, in P. Schiera, A. Biral, C. Pacchiani, L.
Gasparini, M. Giubilato, G. Duso, Il concetto di rivoluzione, cit., p. 187 e ss. quanto alle critiche
mosse da Hegel in relazione al concetto di sovranità popolare che non potrebbe darsi, poiché il
popolo considerato senza il suo monarca e senza l’organizzazione connettiva della totalità non è che
una moltitudine informe. La sola sovranità sarebbe dunque dello Stato che non avrebbe bisogno di
legittimazione alcuna dall’esterno, poiché esso trova la sua legittimità nell’organizzazione razionale dei
poteri e dell’amministrazione e nella capacità di recepire e mediare la soggettività e le contraddizioni
che si esprimono nella società civile.
71
  L’art. 5 c.p., infatti, esclude espressamente dal novero dei soggetti responsabili: l’Etat fédéral, les régions,
les communautés, les provinces, l’agglomé ration bruxelloise, les communes, les zones pluricommunales,
les organe territoriaux intra-communaux, la Commission communautaire française, la Commission
communautaire flamande, la Commission communautaire commune et les centres publics d’aide sociale. Sul
punto si veda diffusamente il capitolo 4.
72
  Il riferimento va, ad esempio, all’ordinamento olandese su cui si veda diffusamente il capitolo 2,
Profili del problema della punizione del sovrano 19

siderazioni espresse dalla dottrina costituzionalistica, all’indomani dell’approvazione


e successiva declaratoria di illegittimità del c.d. lodo Schifani73, ancorché ci si riferisse
in quell’occasione a prerogative concesse a singole persone fisiche, in quanto titolari
di cariche politiche. In tale sede è stato rilevato che non è coerente ritenere che il lodo
avrebbe assicurato il rispetto della volontà popolare espressa nel momento elettorale e
ciò poiché il voto popolare o del Parlamento non può essere considerato un sostituto
dell’esercizio della giurisdizione. Infatti, a ben vedere, il voto popolare non assolve e
non condanna, e il rischio della previsione di simili prerogative è cancellare le diffe-
renze tra circuito della responsabilità politica e giuridica74.
La coesistenza dei due controlli, politico e giudiziario, non pare quindi preclusa,
quantomeno in relazione al piano individuale: se si assume, infatti, che il diritto,
anche se posto originariamente dal potere politico, sia fortemente autonomo rispetto
alla politica75, non potrà che concludersi che la funzione giudiziaria serva ai cittadini
per difendersi dal potere oltre che dal delitto. Diversamente, occorrerebbe riconosce-
re il primato della politica, o meglio della ragion di Stato sul diritto.
La rappresentatività dell’ente non è comunque sufficiente per giustificare le scelte
del legislatore italiano che ha sancito l’irresponsabilità penale di tutte le persone
giuridiche connotate da elementi di pubblicità, in ragione del fatto che le stesse
avrebbero ricevuto legittimazione dai cittadini che rappresentano. Infatti, non tutte
le persone giuridiche escluse dall’ambito di applicazione del d.lgs. 231/2001 sono
effettivamente rappresentative della comunità ove esse operano. Il riferimento va alle
varie aziende municipalizzate, agli ospedali pubblici, alle società pubbliche, organismi
paragrafo 7.
73
  Si tratta della l. 140/2003, il cui articolo 1 prevedeva la possibilità di non processare le più alte cariche
dello Stato per reati commessi prima o durante l’assunzione del loro ufficio, dichiarato illegittimo dalla
sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 2004. Peraltro, il 23 luglio 2008 è stato approvato il
c.d. lodo Alfano, l. 124/2008 (recante Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei
confronti delle alte cariche dello Stato) il cui articolo 1 prevede «salvi i casi previsti dagli articoli 90 e
96 della Costituzione, i processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente
della Repubblica, di Presidente del Senato della Repubblica, di Presidente della Camera dei Deputati
e di Presidente del Consiglio dei Ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione
della carica o della funzione. La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti
l’assunzione della carica o della funzione». Anche questa norma è stata dichiarata incostituzionale con
sentenza n. 262 del 7 ottobre 2009, pubblicata in g.u. il successivo 21 ottobre, per violazione degli
articoli 3 e 138 della Costituzione in relazione alla disciplina delle prerogative di cui agli art. 68, 90
e 96 della stessa Costituzione. Per un commento alle due sentenze della Corte Costituzionale si veda
F. Modugno, Prerogative (o privilegi?) costituzionali e principio di uguaglianza, in «Giurisprudenza
costituzionale», settembre-ottobre 2009, p. 3969 ss.
74
  A. Puggiotto, Improcedibilità e sospensione del processo per le alte cariche dello Stato, in Immunità
politiche e giustizia penale, a cura di A. Puggiotto, R. Orlandi, G. Giappichelli, Torino 2005, p. 484.
75
  Cfr. Galli, Diritto e politica, cit., p. 55 il quale nello schematizzare le ipotesi di rapporto tra diritto e
politica, oltre a individuare quella che riconosce l’autonomia del diritto, cui ci si è riferiti, illustra la tesi
che vede la politica come possibilità di deroga dal diritto.
20 E. Pavanello

in cui ancorché sia presente una forma di «controllo» pubblicistico, non è possibile
affermare la loro rappresentatività rispetto alla comunità in cui essi operano76.

4. La tutela della funzione «pubblica» dello Stato e degli enti territoriali. Riflessioni in
ordine all’immunità politica dei singoli e all’irresponsabilità dell’ente.

Connesso al ruolo rappresentativo dello Stato e degli enti pubblici territoriali si


pone la questione del difficile contemperamento tra responsabilità e tutela della fun-
zione77: se cioè e fino a che punto sia consentito al titolare di potere politico andare
esente da responsabilità a tutela della funzione che lo stesso svolge.
Al riguardo occorre chiedersi se esista un’analogia tra immunità dei singoli e ir-
responsabilità dell’ente. Vengono in rilievo, da un lato, l’istituto della responsabilità
ministeriale di cui all’art. 96 Cost. e, dall’altro, quello dell’immunità parlamentare.
Sebbene normalmente si parli in modo unitario di immunità politiche è indubbio
che la ratio che le sorregge sia assai diversa.
Storicamente l’inviolabilità della persona del deputato si ricollegava strettamente
alla concezione dell’assemblea parlamentare che non doveva ricevere ordini da nessu-
no e che, pertanto, si ergeva al di sopra delle leggi. Nel nostro ordinamento le immu-
nità parlamentari sono state improntate più che altro a una logica «difensiva», contro
atti suscettibili di attentare alla libertà e all’indipendenza della funzione parlamentare
per garantire la libertà e l’indipendenza della funzione esercitata. Tuttavia, non v’è
dubbio che la prassi applicativa abbia dato nel corso degli anni fondamento all’idea
che essa consista in un odioso privilegio78, non foss’altro perché ha riguardato non
tanto e non solo i reati commessi nell’esercizio della funzione, ma è stata estesa anche
a reati di altra natura. Si tratta di un’ulteriore dimostrazione del fatto che i detentori
del potere tendono a legittimare sistemi di privilegio in ragione della posizione di
superiorità di cui gli stessi pretendono di essere titolari.
Viceversa, la (ir)responsabilità governativa è stata in origine concepita come stru-
mento di attacco al potere, per modo che il Ministro non venisse a trovarsi in condi-
zione privilegiata79. Successivamente, tuttavia, essa ha svelato i chiari intenti difensivi
che ne stanno alla base: la valutazione «politica» effettuata dall’assemblea in sede di
76
Si veda sul punto capitolo 7.
77
 L. Carlassare, Responsabilità giuridica e funzioni politico-costituzionali: considerazioni introduttive, in
Diritti e responsabilità dei soggetti investiti di potere, a cura di L. Carlassare, cedam, Padova 2003, p. 3 ss.
78
  Carlassare, Genesi, evoluzione e involuzione delle immunità politiche in Italia, in R. Orlandi, A.
Puggiotto, A Ambrosi, Immunità politiche e giustizia penale, G. Giappichelli, Torino 2005, p. 47-48.
79
  Carlassare, Genesi, evoluzione e involuzione delle immunità politiche in Italia, cit., 34, In generale
sull’immunità parlamentare cfr. S. Traversa, voce Immunità parlamentare, in Enciclopedia del diritto,
xx, 1970, p. 179 ss.
Profili del problema della punizione del sovrano 21

autorizzazione a procedere in ordine alle ragioni che hanno condotto il ministro a


violare la legge penale comporta la valutazione della tutela di interessi costituzio-
nalmente rilevanti nell’esercizio della funzione di governo, tutela che in taluni casi
conduce a «legittimare» la violazione della legge penale80.
Posta questa distinzione, occorre osservare che, al di là delle constatazioni circa
la tendenza a «estendere» l’istituto dell’immunità per fini che non le sono propri, da
un esame del sistema delineato dalla Costituzione si evince che la regola è quella del-
la responsabilità dei soggetti politici (persone fisiche). L’irresponsabilità penale deve
(rectius, dovrebbe) essere riconosciuta unicamente come garanzia di esercizio libero
e indipendente della funzione nei limiti necessari a tale libero e indipendente eserci-
zio81 e non dovrebbe, invece, trasformarsi in un privilegio personale.
Le immunità concesse a singole persone fisiche che, in ragione delle funzioni svol-
te, vengono sottratte al potere coercitivo dello Stato, si giustificano quindi unicamen-
te in ragione della necessità di garantire un adeguato espletamento delle mansioni
affidate a chi ne può beneficiare82.
Per quanto riguarda gli enti collettivi, la loro integrale esclusione dal novero dei
soggetti responsabili non pare fondatamente riconducibile alla ratio che sorregge le
immunità interne. In questo caso si è proceduto infatti ad un’automatica valutazione
della preminenza della funzione pubblica rispetto all’opportunità di procedere penal-
mente, quasi a sostenere che lo Stato e gli enti pubblici per estensione possono anche
delinquere, poiché si pongono al di sopra della stessa legge penale. Nell’ambito della
responsabilità collettiva la valutazione è stata effettuata a priori per considerazioni di
carattere politico, valutando il «tipo» di attività e di funzioni esercitate di tali enti83.
Interessanti sul punto due decisioni della Corte Costituzionale belga che si esa-
mineranno nel prosieguo84 e che hanno avuto ad oggetto proprio la valutazione della
legittimità del sistema di responsabilità penale introdotto che esclude gli enti pubblici
territoriali: la Corte ha sostenuto infatti che essendo detti enti deputati al persegui-
mento di fini pubblici generali non possono essere equiparati alle persone giuridiche
di diritto privato. La Corte si è spinta sino al punto di sostenere che non vi è per il
legislatore alcun obbligo di prevedere identica forma di responsabilità tra enti pubbli-
ci ed enti privati, superando così l’argomento della violazione del principio di egua-
80
  Carlassare, Genesi, evoluzione e involuzione delle immunità politiche in Italia, cit., p. 34.
81
  Carlassare, Responsabilità giuridica e funzioni politico-costituzionali: considerazioni introduttive, cit., p. 20.
82
  F. Bellagamba, Sulla natura giuridica delle immunità, in «Indice penale», 2001, p. 1265 ss.
83
  G. Berti, La parabola della persona Stato, in «Quaderni Fiorentini», 1982-1983, p. 1003 nell’analizzare
la contrapposizione diritto privato-diritto pubblico ha rilevato che così come in origine concepito il
diritto pubblico ha ruotato introno all’idea di uno Stato come super soggetto di talché «ci sono infatti
delle regole di fondo in virtù delle quali il soggetto stato deve prevalere tutte le volte che gli interessi che
gli vengono riconosciuti si scontrano con le libertà dei privati.»
84
  Cour d’Arbitrage, sent. 128/2002 e 8/2005 su cui si veda capitolo 4, paragrafo 8.
22 E. Pavanello

glianza che pure era stato addotto dai fautori dell’introduzione della responsabilità
penale degli enti pubblici per censurare la scelta del legislatore.
Interesse pubblico vs. interesse privato: il controllo penale rischierebbe, in questa
prospettiva, di nuocere all’intero sistema, anziché apportare dei benefici in ragione
dell’affermazione della responsabilità penale degli enti pubblici.
Non a caso sia nell’ordinamento francese che in quello olandese la delimitazione
della responsabilità degli enti pubblici è avvenuta sulla base della tipologia delle at-
tività svolte dagli enti, alla stregua di una valutazione della rilevanza «politica» delle
attività stesse. Il legislatore francese nel 1994, infatti, con l’introduzione del nuovo
codice penale, ha statuito che la responsabilità delle collectivités territoriales viene in
rilievo solo per quelle attività suscettibili di costituire oggetto di delega di servizio
pubblico85. In buona sostanza il legislatore d’oltralpe ha inteso limitare l’intervento
penale nei confronti degli enti pubblici territoriali per le attività delegabili a soggetti
privati: si tratta di scelta discutibile e assai criticata, a ragione, per l’incoerenza che
produce negli effetti ma che si poneva l’obiettivo di garantire che nell’esercizio delle
attività strettamente pubblicistiche detti enti fossero del tutto immuni dall’azione
penale e dovessero, al limite, rispondere sul piano civilistico e amministrativo.
Analoghi tentativi di delimitare l’attività punibile in ragione delle funzioni svol-
te dall’ente sono stati effettuati dalla giurisprudenza olandese86: tentativi che hanno
tuttavia dimostrato le difficoltà – fatte salve alcune attività che tradizionalmente sono
state considerate come non delegabili a privati, quali l’attività di polizia e giurisdizio-
nale dei Tribunali – di distinguere ciò che è (di esclusivo interesse) pubblico da ciò
che è (di interesse) privato.
Nello stesso senso parrebbe essersi posto il legislatore italiano con la legge dele-
ga 300/2000: egli ha ritenuto di individuare la linea di discrimine della punibilità
dell’ente pubblico nell’esercizio o meno da parte sua di pubblici poteri. Detto criterio
poi non è stato correttamente tradotto nel d. lgs. 231/2001, il quale ha incluso tra i
destinatari della normativa i soli enti pubblici economici, che tuttavia non esaurisco-
no gli enti pubblici che non esercitano pubblici poteri (il riferimento espresso fatto
dal legislatore va alle Aziende Ospedaliere, alle Università e a taluni enti pubblici
associativi quali aci, cri).

5. Le questioni connesse all’applicabilità di sanzioni penali nei confronti dello Stato.

L’impossibilità di configurare un sistema di responsabilità degli enti pubblici è


stata sostenuta anche in considerazione delle sanzioni applicabili e degli effetti (ne-
  Per un’analisi della disciplina francese si rinvia al capitolo 3.
85

  Si veda riassuntivamente capitolo 2, paragrafo 14.


86
Profili del problema della punizione del sovrano 23

gativi) che esse potrebbero determinare. Infatti se, da un lato, la sanzione pecuniaria
rischierebbe di determinare conseguenze pregiudizievoli in capo alla generalità dei
consociati, i quali si troverebbero loro malgrado a pagare le conseguenze di un illecito
commesso dall’ente, le altre sanzioni interdittive mal si attaglierebbero alla natura
pubblica dell’ente.
Peraltro, già prima dell’introduzione del d.lgs. 231/2001, si è sostenuto – nel
vagliare la possibile introduzione di un sistema penale per le persone giuridiche – che
le sanzioni idonee a colpire gli enti pubblici dovrebbero essere limitate a quelle di
carattere più propriamente politico87. L’ente pubblico è tuttavia già soggetto a san-
zioni politiche che si traducono, in primis, nei controlli cui detti enti sono sottoposti
e, in secondo luogo, nell’indiretto controllo che il cittadino può esercitare mediante
l’espressione del proprio voto. Un intervento su questo fronte del giudice penale ri-
schierebbe di tradursi in una vera e propria giustizializzazione della politica, ovvero in
un controllo del sistema politico.

5.1. L’asserita incompatibilità delle sanzioni penali con la natura pubblica dell’ente.

Per comprendere le censure avanzate in relazione al fatto che le sanzioni politiche


sarebbero le uniche utilmente applicabili agli enti pubblici, occorre innanzitutto ri-
flettere in ordine all’estensione e agli effetti di tali sanzioni politiche. Come si vedrà,
esse possono in taluni casi avere effetti particolarmente invasivi sulla vita dell’ente
pubblico.
A titolo esemplificativo, si consideri l’art. 143 del t.u. 267 del 2000 che prevede
la rimozione dei vertici di taluni enti pubblici in presenza di collusioni con la mafia.
La disposizione prevede, in particolare, che si possa procedere allo scioglimento dei
consigli comunali e provinciali ad opera del Presidente della Repubblica, su proposta
del Ministro dell’Interno, quando

emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la crimina-


lità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compro-
mettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle ammi-
nistrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse
affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato
della sicurezza pubblica88.

87
  M. Parisi, Riflessioni in tema di responsabilità penale delle persone giuridiche, in «Rivista penale», i,
1999, p. 1061.
88
  Si tratta di provvedimento applicabile, ai sensi del successivo art. 146, anche agli altri enti locali [...],
nonché ai consorzi di comuni e province, agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie
locali ed ospedaliere, alle aziende speciali dei comuni e delle province e ai consigli circoscrizionali, in
24 E. Pavanello

Si tratta di un atto che conduce al commissariamento dell’ente, al fine di garantire


la regolarità dell’esercizio dell’azione amministrativa, avente funzione eminentemen-
te preventiva.
Occorre chiedersi se effettivamente sia incompatibile con la natura pubblica
dell’ente la previsione di sanzioni penali, in presenza dell’accertata commissione di
ipotesi delittuose individuate. Invece di lasciare la decisione alla discrezione dell’ese-
cutivo, si potrebbe riflettere in ordine all’opportunità di rimettere al giudice penale,
in presenza di presupposti chiaramente accertati, la possibilità di sanzionare l’ente
pubblico qualora siano attribuibili allo stesso fattispecie penalmente rilevanti.
Non deve sfuggire, quindi, l’incongruenza di un sistema che nega la responsa-
bilità penale degli enti pubblici e, al contempo, ricorre a vere e proprie misure di
prevenzione ante delictum89 che non presuppongono l’accertamento in concreto e
in un giudizio penale di fatti di reato e che hanno contenuto estremamente affitti-
vo90. Analogamente alle misure di prevenzione, infatti, che comportano limitazioni
della sfera giuridica del soggetto nei cui confronti vengono attuate, senza che tale
limitazione sia ancorata a garanzie e presupposti determinati, le sanzioni politiche
paralizzano l’attività dell’ente, con effetti fortemente invasivi.
Ciò posto, per quanto concerne la compatibilità di sanzioni propriamente penali
con la natura pubblica dell’ente, si è sostenuta l’illogicità nonché la dannosità del
pagamento da parte dello Stato o dell’ente pubblico di una sanzione pecuniaria, la
quale finirebbe per tradursi in un aggravio per i cittadini i quali dovrebbero subire le
conseguenze negative dell’agire illecito dell’ente. Tale assunto se può essere parzial-
mente condiviso più che altro in ragione della scarsa incisività di pene pecuniarie a
danno di enti pubblici, non tiene in considerazione il fatto che analoghe considera-
zioni potrebbero essere avanzate in relazione alle sanzioni civili e amministrative che
gli enti pubblici sono tenuti a pagare. Anche in quel caso si tratta di danaro pubblico
che, sebbene diretto ai cittadini danneggiati, viene reperito nella finanza pubblica
con la conseguenza che il costo della sanzione rischia di essere riversato sui cittadini.
Quanto alle sanzioni interdittive, si è detto, esse potrebbero risultare inutili o danno-
se, come nel caso dell’impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione
o di accedere ai finanziamenti pubblici. Senza contare, poi, che dovrebbero essere
quanto compatibili con i relativi ordinamenti. In ordine alla legittimità dello scioglimento di un’Asl e
del conseguente commissariamento per infiltrazioni mafiose, si v. tar Campania, Napoli – Sez. i, 10
marzo 2006 n. 2874 pubblicata in «Giurisprudenza di merito», n. 11, 2006, p. 2512 con commento
di L. Simeoli, La rimovibilità dei vertici Asl per condizionamento della criminalità di stampo mafioso, ivi,
p. 2515 ss.
89
  Nel senso del progressivo slittamento del diritto penale verso istanze di prevenzione, cfr. Gamberini,
Delitto politico e diritto penale del nemico. Considerazioni introduttive, cit., p. 29.
90
  R. Guerrini, L. Mazza, S. Riondato, Le misure di prevenzione, cedam, Padova 20042, p. 9.
Profili del problema della punizione del sovrano 25

escluse quelle sanzioni che conducono all’estinzione della persone giuridica pubblica,
in ragione della natura «necessitata» dell’ente.
Le preoccupazioni manifestate con riferimento al versante sanzionatorio potreb-
bero essere superate mediante previsioni specifiche, analoghe a quelle contenute nel
d.lgs. 231/2001. L’art. 15 del decreto prevede, infatti, che laddove sussistano i pre-
supposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva che determina l’interruzione
dell’attività dell’ente, il giudice potrà disporre la continuazione della sua attività da
parte di un commissario ad hoc quando «l’ente svolge un pubblico servizio o un ser-
vizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla
collettività91». La norma sembra proprio riferirsi a quelle ipotesi per le quali si teme
che un intervento del giudice penale possa pregiudicare lo svolgimento delle proprie
funzioni da parte dell’ente e supera le rimostranze avanzate in relazione all’applica-
zione di sanzioni interdittive nei confronti di enti pubblici. L’ipotesi di commissa-
riamento sembra ben attagliarsi allo scopo di prevenire la possibile commissione di
ulteriori reati da parte di quell’ente, mediante la rimozione dei soggetti che hanno
espresso l’agire illecito dell’ente.

5.2. Valenza simbolica del diritto penale e responsabilità degli enti pubblici.

Nell’ambito di queste riflessioni sulle pene applicabili alle persone giuridiche


non può essere sottovalutato il rilievo che il diritto penale può comunque assumere
in chiave simbolica. Infatti, accanto alla funzione strumentale propria del diritto
punitivo, atta a prescrivere modelli di comportamento mediante l’imposizione di
comandi e divieti, da sempre ne è stata affermata la rilevanza simbolica92 che ha
condotto spesso all’emanazione di una legislazione penale dettata da fattori emotivi
più che espressione di un coerente disegno di politica nazionale93.
La responsabilità penale delle persone giuridiche è sicuramente uno dei settori in
cui maggiormente il diritto penale è stato chiamato a soddisfare esigenze di tal fatta.
Sintomatico ad esempio il fatto che in Italia per tentare di far fronte alle carenze
in materia di sicurezza sul lavoro e tutela degli individui, si sia sentita la necessità
di estendere la responsabilità degli enti anche ai reati di omicidio e lesioni gravi,
connessi alla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, a prescindere dalla
difficile compatibilità tra i reati colposi citati e il modello di responsabilità dolosa
delineato dal decreto.
91
  Sul punto si veda capitolo 7, paragrafo 1.3.
92
  S. Bonini, Quali spazi per una funzione simbolica del diritto penale?, in «Indice penale», 2003, p. 498.
93
  E. Musco, Diritto penale e politica: conflitto, coesistenza o cooperazione, in Studi in onore di Giuliano
Vassalli. Evoluzione e riforma del diritto e della procedura penale 1945-1990, a cura di M.C. Bassiouni,
A.R. Latagliata, A.M. Stile, Giuffré, Milano 1991, p. 7-8.
26 E. Pavanello

In quest’ottica v’è da chiedersi se l’estensione della responsabilità anche agli enti


pubblici non possa rivestire una funzione simbolica. L’ideale della giustizia penale
dovrebbe tradursi nella superfluità della pena per lasciare spazio a un’epoca in cui
per impedire le condotte criminose dovrebbe essere sufficiente il rimprovero mo-
rale della società94. Ammettere la possibilità di accertare la responsabilità degli enti
pubblici, al di là della sanzione irrogata in concreto, significherebbe riconoscere la
gravità del fatto e la sua censurabilità di fronte ai consociati. Viepiù in un sistema
quale quello introdotto dal legislatore italiano, per il tramite dei modelli organiz-
zativi, che mira a prescrivere precisi processi e modelli di comportamento al fine di
prevenire la commissione del reato. Il riconoscimento dell’applicabilità del decreto
anche agli enti pubblici avrebbe il vantaggio di «procedimentalizzare» l’attività e di
ridurre la commissione di illeciti al suo interno.
Merita poi di essere ricordato che non è mancato chi nell’ambito della dottrina
francese, pur riconoscendo le difficoltà di configurare la responsabilità penale degli
enti pubblici, ha comunque ritenuto opportuno delineare un sistema di accerta-
mento della responsabilità cui conseguisse la sola sanzione ritenuta efficacemente
applicabile, ovvero la pubblicazione della sentenza e la sua diffusione. Infatti, in
questo modo lo scopo di far conoscere ai cittadini la riprovevolezza del comporta-
mento dello Stato sarebbe pienamente raggiunto e, al contempo, verrebbero supe-
rate le difficoltà riscontrate in relazione a un sistema di responsabilità penale degli
enti95.
Il diritto penale si porrebbe quindi come strumento di garanzia per l’intera col-
lettività e consentirebbe di censurare il fatto illecito attribuibile all’ente pubblico,
senza porre in discussione o limitare l’attività pubblica fondamentale, volta a con-
seguire l’interesse pubblico. Si tratterebbe di accertare il fatto illecito, attraverso un
modello che esclude, per ragioni di opportunità, l’applicazione di una sanzione di
carattere pecuniario o interdittivo e si limita a far conoscere ai consociati la riprove-
volezza del fatto, per modo che essi non percepiscano l’ingiustizia di uno Stato che
può delinquere senza essere sottoposto ad alcun vaglio.

94
  Dette riflessioni sono state effettuate da Carl Ludwig von Bar il 3 giugno 1896, a nome della Georg
Augustus Universität di Göttingen, in apertura della cerimonia annuale per il conferimento dei premi
accademici a ricerche scientifiche. Sul punto si veda la traduzione italiana di A.M. Beltrame, Ricordo
di Carl Ludwig von Bar (1836-1913).In margine a problemi di diritto penale, in «Atti e Memorie»,
Accademia Patavina di ss.ll.aa., vol. cix, parte iii, 1996-1997, p. 289 ss.
95
  J.C. Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, L’Harmattan, Paris
2003. Le considerazioni dell’autore sono esaminate al capitolo 3, paragrafo 22.
Profili del problema della punizione del sovrano 27

6. La limitata responsabilità penale degli «altri» enti pubblici.

Diverso il discorso per gli «altri» enti pubblici cui abbiamo fatto riferimento
nell’incipit di questo capitolo.
Dall’analisi di diritto comparato effettuata, emerge che gli enti pubblici che non
possono considerarsi immediatamente parte della pubblica amministrazione in sen-
so stretto, quali le società pubbliche, sono tendenzialmente inclusi nel novero dei
soggetti penalmente responsabili.
Non così è avvenuto in Italia, dove la scelta del legislatore è stata particolarmente
restrittiva: sono infatti stati esclusi tutti gli enti pubblici a eccezione di quelli eco-
nomici. Il discorso assume particolare rilievo se si pensa al numero assai elevato di
enti pubblici «altri» che svolgono un ruolo di rilievo nell’ambito economico-sociale.
Il riferimento va alle numerose aziende municipalizzate, alle Aziende Sanitarie e alle
Università che, sempre più, sono informate nella loro struttura e azione a criteri di
economicità, pur erogando pubblici servizi. Non è un caso che le A.s.l. della Re-
gione Lombardia abbiano deciso di dotarsi di modelli organizzativi alla stregua del
d.lgs. 231/2001: pur ritenendo che il decreto non sia loro applicabile, le A.s.l. citate
hanno comunque reputato opportuno dotarsi di modelli organizzativi, al fine di
garantire la massima efficienza e trasparenza nella gestione della propria attività96.
Si tratta di un esperimento assai interessante in linea con la finalità di cui al d.lgs.
231/2001, il quale, per il tramite dei modelli organizzativi, intende garantire la
miglior gestione e organizzazione della struttura aziendale. Per tale ragione è stato
considerato opportuno che anche la struttura sanitaria si dotasse di modelli organiz-
96
  Con la d.g.r. n. vii/17864 dell’11 giugno 2004 Introduzione in via sperimentale nelle Aziende Sanitarie
pubbliche di un Codice etico-comportamentale, seguita dal Decreto del Direttore Generale Sanità
n. 22361 del 9 dicembre 2004 e dalla d.g.r. n. viii/1375 del 14 dicembre 2005 Determinazioni in
ordine alla gestione del servizio socio sanitario regionale per l’esercizio 2006, la Regione Lombardia ha
mutuato i principi contenuti nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ai fini dell’introduzione del Codice
etico e dell’implementazione del modello organizzativo nelle Aziende Sanitarie Locali ed Ospedaliere.
Il governo regionale ha previsto l’applicazione – in via sperimentale − all’Azienda sanitaria locale di
Lecco, all’Azienda Ospedaliera Circolo di Busto Arsizio ed all’Azienda Ospedaliera della Provincia di
Lodi, seguita dall’applicazione − in una seconda fase – all’Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda,
all’Azienda Ospedaliera di Cremona e all’Azienda sanitaria locale di Mantova.
Infine, con la D.g.r. del 13 dicembre 2006 − n. viii/003776 Determinazioni in ordine alla gestione
del servizio socio sanitario regionale per l’esercizio 2007, il governo regionale ha terminato il periodo di
sperimentazione (durato due anni) ed ha inserito l’adeguamento del Codice etico-comportamentale e
del modello organizzativo ex d.lgs 231/2001 tra le «regole» per la gestione del sistema socio sanitario
lombardo per il 2007, emettendo le relative Linee guida regionali per l’adozione del codice etico e dei
modelli di organizzazione e controllo delle Aziende Sanitarie Locali e Aziende Ospedaliere. Al riguardo di
veda P. Previtali, L’applicazione del d.lgs. 231/2001 in sanità. Il caso delle aziende sanitarie e ospedaliere
lombarde, in« La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», <http://www.rivista231.it>.
28 E. Pavanello

zativi che, al di là della natura pubblica o meno dell’ente, possono concretamente


influire, se correttamente applicati, a favorire una gestione lecita dell’«impresa».
Quanto al magmatico universo delle società pubbliche, si tratta di enti che ripeto-
no schemi propri del diritto privato. In relazione a queste ultime, il d.lgs. 231/2001
non è chiaro. Si ritiene infatti che non si possa concludere né nel senso della loro si-
cura inclusione tra i soggetti responsabili né nel senso di una loro totale immunità97.
Se si accoglie quella impostazione che considera pubblici gli enti che, ancorché co-
stituiti nelle forme del diritto privato, perseguono gli interessi di carattere pubblico,
attraverso modalità proprie degli enti pubblici, la conclusione non potrà che essere
nel senso della loro esclusione dalla responsabilità. Ma se, invece, si ritiene che la
struttura societaria di cui sono dotate sia di per sé sola sufficiente a qualificarle come
soggetti «privati», la conclusione sarà diametralmente opposta. Le prime indicazioni
giurisprudenziali – che verranno esaminate nel prosieguo – fanno propendere nel
senso dell’applicabilità nei loro confronti del decreto.
Peraltro, come è stato rilevato da alcuni studiosi, queste persone giuridiche mo-
strano la contraddizione della compatibilità tra struttura societaria e funzione di in-
teresse generale98 che è poi uno dei nodi cruciali della questione. L’interesse di natura
generale-collettiva sarebbe di per sé solo sufficiente a garantire l’immunità degli enti
e si porrebbe come elemento distintivo rispetto al privato. Tuttavia, occorre chiedersi
se l’attuale ricorso a istituti propri del diritto privato per la disciplina di rapporti, di
attività, strutture organizzative in ambito pubblico consenta ancora di attribuire un
qualche rilievo alla dicotomica opposizione tra pubblico e privato o invece debba
indurre a considerarli semplici riferimenti normativi propri di una dialettica interna
al diritto amministrativo99.
Si tratta, evidentemente, di alcuni spunti di riflessione che danno tuttavia l’idea
di come la sostanziale immunità degli enti pubblici prevista dal legislatore italiano
non possa ritenersi del tutto esente da critiche e ponga più problemi di quanti inve-
ce vorrebbe risolverne. Il rischio è che prevedendo sistemi diversi di responsabilità,
seppur supportati da ragioni di opportunità, si crei una sostanziale disuguaglianza
difficilmente giustificabile che ha il sapore di un odioso privilegio.

7. Conclusioni (cenni e rinvio).

Il quadro sin qui tratteggiato mette in luce come alcune delle tradizionali argo-
mentazioni avanzate contro la responsabilità penale degli enti pubblici possano essere
superate. Ferma restando la necessità di individuare criteri congrui di attribuzione
97
  Sul punto si veda diffusamente capitolo 7.
98
  M.G. Scala, Le società legali pubbliche, in «Diritto Amministrativo», 2005, n. 2, p. 414.
99
  Così Scala nel riferire il pensiero di Napolitano. Scala, Le società legali pubbliche, cit., p. 416.
Profili del problema della punizione del sovrano 29

della condotta penalmente rilevante all’ente (sotto il profilo in particolare della co-
siddetta colpa di organizzazione), non si può sottacere la potenzialità espansiva di
una responsabilità che probabilmente potrebbe ben attagliarsi a quelle ipotesi in cui
colpose omissioni delle amministrazioni sono causa di tragedie che gli episodi di
cronaca pongono tristemente alla nostra attenzione.
È certo che le considerazioni in ordine al ruolo politico rivestito dagli enti pub-
blici assume rilievo in ordine all’opportunità di perseguirli: tuttavia, occorrerebbe
individuare con precisione le funzioni e le attività che potrebbero eventualmente giu-
stificare detta immunità. Una delle principali argomentazioni addotte dalla dottrina
straniera in favore della responsabilità del soggetto collettivo pubblico è proprio,
come si vedrà, la necessità di garantire un trattamento di eguaglianza tra soggetti
pubblici e privati che si trovano in alcune occasioni «fianco a fianco» nella gestione di
attività e ricevono un trattamento sul piano penale diametralmente opposto.
D’altronde in questo senso sembra militare anche il Corporate Manslaughter and
Corporate Homicide Act 2007100 entrato in vigore nell’aprile del 2008 nel Regno Unito,
paese ove tradizionalmente trovava riconoscimento il principio the King can do no wrong,
che statuisce espressamente che le organizzazioni pubbliche (in law by the Crown) – sep-
pure con le limitazioni di cui si dirà – non possono essere per ciò solo considerate immu-
ni e devono essere equiparate alle persone giuridiche private e, in quanto tali, devono
essere ritenute responsabili per il reato di corporate manslaughter (omicidio colposo).
Riguardo alla possibile individuazione di un modello di responsabilità «congruo»,
particolarmente interessante si rivelerà l’esame delle considerazioni formulate dalla
commissione istituita alcuni anni orsono dal governo olandese, incaricata di valutare
l’opportunità di istituire un sistema di responsabilità nei confronti dello Stato (com-
missione Roelvink)101.
Mutuando il pensiero di un giurista americano102, il quale ha ipotizzato la possibi-
lità di perseguire le municipalities, non v’è dubbio che il diritto penale dovrebbe tro-
vare spazio unicamente come ultimo rimedio, quando è chiaro che ogni altro mezzo
punitivo non è sufficiente a sanzionare in modo efficace (anche in una funzione di
prevenzione) la condotta illecita dell’ente. Tuttavia, proprio il ricorso alla sanzione
criminale si potrebbe rivelare di particolare efficacia, soprattutto nella prospettiva
dell’adozione da parte dell’ente di tutte le misure volte ad evitare che una condotta
100
  Si tratta del Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act del 26 luglio 2007, il cui testo è
reperibile nel sito <http://www.opsi.gov.uk/Acts/acts2007/ukpga_20070019_en_1>.
101
  Il rapporto della commissione, Strafrechtelijke aansprakelijkheid van de Staat, è rinvenibile in <http://
www.justitie.nl/images/20020311_5154510%20rapport%20roelvink_tcm35-7881.pdf>.
102
  P. Green Stuart, The criminal prosecution of local governments, in «72 North Carolina Law Review»,
1993-1994, p. 1232 ss.
illecita venga nuovamente e in futuro posta in essere, per orientare la politica dell’en-
te. Né l’interesse generale che gli enti sono chiamati a soddisfare può giustificare una
limitazione generalizzata della responsabilità degli enti pubblici.
31

Capitolo 2

La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico


nell’ordinamento olandese

Sommario. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Olanda: evoluzione


storica. – 2. La responsabilità penale delle persone giuridiche, degli enti privi di personalità
giuridica, delle associazioni e delle fondazioni per i reati dagli stessi posti in essere. – 3. I
criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica: la teoria del potere e
dell’accettazione. – 4. La responsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno impartito
l’ordine criminoso all’interno delle persone giuridiche. Attribuzione della condotta sulla base
dei criteri del potere e dell’accettazione. – 5. La responsabilità penale delle persone giuridiche
di diritto pubblico. Questioni interpretative intorno all’inclusione degli enti di diritto
pubblico nella nozione di persona giuridica. – 6. Le pronunce della giurisprudenza sulla
responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. – 6.1. La responsabilità
penale degli enti pubblici decentrati. – 6.2. L’irresponsabilità penale degli enti decentrati che
hanno posto in essere la condotta illecita nell’ambito di attività esecutive di un compito
pubblico (caso Tilburg). – 6.3. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto
pubblico diverse dagli enti territoriali (caso dell’Università di Groningen). – 6.4. La conferma
del principio della responsabilità penale degli enti decentrati unicamente nel caso in cui
abbiano commesso l’illecito al di fuori di attività esecutive di un compito pubblico (il caso
Voorburg). – 6.5. Le incongruenze applicative connesse al principio dell’esecuzione del
compito pubblico individuato dalla giurisprudenza quale criterio discriminante per
determinare la responsabilità penale degli enti pubblici decentrati (sentenze Arnhem e
Streekgewest Zuid-Limburg). – 6.6. Le connessioni tra irresponsabilità penale delle persone
giuridiche di diritto pubblico e irresponsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno
dato l’ordine criminoso. (I casi Waterschap West Friesland, Provincie Noord Holland e
Pikmeer i). – 7. Le posizioni della dottrina sulla perseguibilità delle persone giuridiche di
diritto pubblico (enti decentrati). – 7.1. Gli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità
penale. – 7.2. L’impossibilità per il giudice penale di vagliare la legittimità dell’attività della
pubblica amministrazione: responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico
e violazione del principio della divisione dei poteri. Critiche. – 7.3. La perdita di fiducia da
parte dei consociati nell’ente e di legittimazione dell’attività di quest’ultimo in caso di
condanna penale. Critiche. – 7.4. Il versante sanzionatorio: il rischio per la continuità
dell’attività dell’ente pubblico in caso di condanna e la dannosità per i cittadini dell’eventuale
sanzione pecuniaria inflitta all’ente. Critiche. – 7.5. L’impossibilità di sovrapporre il controllo
penale dell’attività degli enti pubblici a quelli già esistenti sul piano politico e amministrativo.
Critiche. – 7.6. Gli argomenti contro l’irresponsabilità penale. – 7.7. La necessità di
fronteggiare la criminalità diffusa all’interno degli enti pubblici. L’immunità e la conseguente
violazione del principio di eguaglianza tra le diverse persone giuridiche. – 8. La posizione del
Governo: la necessità di perseguire gli enti pubblici che hanno posto in essere la condotta
32 E. Pavanello

illecita al di fuori dell’attività di esecuzione di un compito pubblico intesa in senso «materiale».


– 9. Le linee guida adottate dai pubblici ministeri sulla perseguibilità degli enti pubblici
decentrati: diritto penale come ultimo rimedio. – 10. Primi rilievi critici. – 11. La revisione
dei criteri adottati dalla giurisprudenza sulla possibilità di perseguire penalmente gli enti
pubblici decentrati (caso Pikmeer ii). – 11.1. La statuizione del principio della necessità della
sottoposizione dell’ente pubblico decentrato alla legge penale. Le critiche al criterio dell’attività
di esecuzione di un compito pubblico e l’affermazione della compatibilità dei controlli
politico, amministrativo e penale sull’attività degli enti pubblici. – 11.2. L’affinamento dei
criteri per l’attribuzione dell’immunità agli enti pubblici decentrati. La statuizione della loro
irresponsabilità penale laddove la condotta illecita sia esecuzione di un compito pubblico che
può essere posto in essere esclusivamente dal funzionario pubblico. – 11.3. La possibile
applicazione nei confronti degli enti decentrati che hanno posto in essere la condotta illecita
al di fuori dell’esecuzione di un compito pubblico di esclusiva competenza del funzionario
pubblico delle cause di giustificazione dello stato di necessità e dell’adempimento del dovere.
–11.4. La necessità di valutare l’opportunità di procedere penalmente nei confronti dell’ente
pubblico responsabile e la possibilità di applicare sanzioni penali alternative rispetto a quella
pecuniaria. – 12. Le reazioni critiche della dottrina. – 12.1. L’ambito di operatività
dell’immunità penale: alcuni dubbi interpretativi in ordine alla nozione di compito pubblico
che può essere posto in essere esclusivamente dal funzionario pubblico. – 12.2. La mancanza
di ratio dell’immunità concessa agli enti pubblici decentrati alla luce della giurisprudenza che
ha sostenuto la compatibilità dei sistemi di controllo politico, amministrativo e penale
sull’attività degli stessi. – 13. Le reazioni positive del Governo alle nuove indicazioni della
giurisprudenza. La posizione del Consiglio di Stato sull’impossibilità di perseguire gli enti
pubblici decentrati. La ribadità necessità da parte dei pubblici ministeri di utilizzare lo
strumento penale nei confronti degli enti pubblici decentrati solo come extrema ratio. – 14.
Conclusioni sull’evoluzione di giurisprudenza e dottrina in ordine alla possibilità di perseguire
penalmente gli enti pubblici decentrati. – 15. La conferma del principio dell’immunità
penale concessa agli enti pubblici decentrati che hanno commesso l’illecito penale nell’ambito
di un’attività pubblica di esclusiva competenza dei pubblici funzionari nella giurisprudenza
successiva al caso Pikmeer ii. – 16. La possibilità di configurare una responsabilità penale dello
Stato. – 16.1. L’affermazione dell’irresponsabilità penale dello Stato nella giurisprudenza
(caso Volkel). – 16.2. Argomenti addotti dalla dottrina a sostegno dell’immunità assoluta
dello Stato: sua titolarità dello jus puniendi e impossibilità per lo Stato di punire se stesso. –
16.3. L’impossibilità di perseguire lo Stato in ragione dell’asserita identità tra soggetto
perseguito e autorità procedente. – 16.4. L’inutilità e la dannosità per i cittadini dell’inflizione
di sanzioni penali, in particolare di carattere pecuniario, a carico dello Stato. – 17. Critiche
della dottrina alla giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità penale dello Stato. – 18.
Necessità di una revisione della giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità dello Stato in
ragione dell’affermazione della compatibilità tra i sistemi di controllo penale, politico e
amministrativo sull’attività degli enti pubblici decentrati. – 19. La valutazione dell’opportunità
di punire lo Stato da parte della dottrina: la possibilità di configurare la responsabilità delle
singole entità che compongono lo Stato. – 19.1. Valutazioni in ordine alla responsabilità
penale dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine all’interno dello Stato. – 20.
L’istituzione da parte del Ministero della Giustizia di una commissione ad hoc per valutare
L’ordinamento olandese 33

l’opportunità di prevedere un sistema di responsabilità penale nei confronti dello Stato. –


20.1. Analisi da parte della Commissione del fondamento e della legittimità delle
argomentazioni addotte a sostegno dell’immunità penale dello Stato, ovvero l’asserita identità
tra soggetto perseguito e soggetto che esercita l’azione penale, l’ineffettività di una sanzione
penale di carattere pecuniario, l’asserita incompatibilità dei sistemi di controllo politico,
penale e amministrativo e il pericolo di una giustizializzazione della politica. Critiche. – 20.2.
Il modello di responsabilità proposto: la possibilità di perseguire le singole entità facenti capo
allo Stato per i reati di carattere economico. – 21. Le reazioni critiche del Governo e della
dottrina al modello di responsabilità proposto. – 22. Gli esiti applicativi del sistema di limitata
responsabilità penale degli enti pubblici decentrati e dello Stato. L’impunità “incomprensibile”
delle persone giuridiche, dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine in relazione
a disastri imputabili alle colpose omissioni dell’amministrazione pubblica. – 23. La necessità
di accertare la responsabilità penale dei soggetti fisici esercenti funzioni pubbliche che hanno
attentato al diritto alla vita nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e
i possibili riflessi di tale principio in relazione alla responsabilità penale delle persone
giuridiche di diritto pubblico (caso Öneryildiz v. Turchia). – 24. Verso una modifica del
codice penale olandese sulla responsabilità penale di enti pubblici decentrati e Stato? – 25. Il
sistema di responsabilità penale e di immunità delle persone giuridiche di diritto pubblico nel
sistema olandese. – 26. Considerazioni conclusive.

1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Olanda: evoluzione storica.

L’Olanda è stato uno dei primi Paesi europei a tradizione continentale a prevedere
in modo generalizzato la responsabilità penale delle persone giuridiche1. L’articolo
51 del codice penale del 1976 equipara, infatti, le persone giuridiche a quelle fisiche
quali soggetti attivi del reato2.
Tuttavia, già prima di allora, era conosciuta nei Paesi Bassi una limitata forma
di responsabilità penale delle persone giuridiche3. L’art. 15 della Wet op economische
1
  J.A.E. Vervaele, La responsabilité pénale de et au sein de la personne morale aux Pays-Bas. Mariage
entre pragmatisme et dogmatisme juridique, in «Révue de science criminelle», 1997, avril-juin, p. 325
(nel senso che sino a poco tempo fa i Paesi Bassi erano l’unico Paese europeo di tradizione giuridica
e dogmatica continentale a prevedere la responsabilità penale delle persone giuridiche). Si confronti,
inoltre, Vervaele, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti,
in Societas puniri potest, cit., p. 135 ss., per una completa illustrazione dell’evoluzione storica della
responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento olandese e un’attenta analisi della
giurisprudenza.
2
  Il primo comma dell’art. 51 c.p. prevede espressamente che i reati possono essere commessi dalle
persone fisiche e giuridiche.
3
  H. De Doelder , Criminal liability of corporations – Netherlands, in La criminalisation du comportement
collectif , a cura di H. De Doelder, K. Tiedemann, The Hague, Kluwer Law International, 1996, p. 290
rileva che risalgono al 1800 le norme che prevedevano una forma di responsabilità penale delle persone
34 E. Pavanello

delicten (di seguito, wed)4, entrata in vigore nel 1951, annoverava espressamente la
persona giuridica tra i soggetti autori del reato, in quanto tale punibile penalmente
e sanzionabile al pari delle persone fisiche, limitatamente alle ipotesi delittuose ivi
previste. Al fine di attribuire il comportamento illecito alla persona giuridica, era
necessario, ai sensi del secondo comma dell’art. 15 della wed, che la condotta illecita
fosse tenuta «nella sfera» della stessa persona giuridica. La previsione denota il carat-
tere di «finzione giuridica» della responsabilità penale degli enti collettivi nella wed:
questi ultimi, infatti, non potevano commettere alcuna infrazione in quanto tali ma
solo nella misura in cui determinate persone fisiche avessero agito nell’ambito della
loro sfera5.
Sotto il vigore dell’art. 15 della wed la giurisprudenza olandese ha elaborato im-
portanti criteri in materia di attribuzione della condotta della persona fisica alla per-
sona giuridica, sia per quanto concerne il profilo oggettivo che per quello soggettivo.
Particolarmente significativa al riguardo la sentenza Ijzerdraad6, nella quale la Corte
di Cassazione (Hoge Raad), giudicando della responsabilità di un imprenditore indi-
viduale, ha chiarito che tutti i fatti colposi realizzati all’interno di un’impresa possono
essere considerati di responsabilità dell’imprenditore solo quando promanano dalla
sfera di potere di quest’ultimo e sono stati accettati in modo generale. L’applicazio-
ne dei criteri del potere (machtscriterium) e dell’accettazione (aanvaardingscriterium)
sono stati successivamente estesi con la sentenza Kabelijauw7 anche alle persone giu-
ridiche. Essi inoltre sono assurti a parametro di valutazione della responsabilità degli
enti anche nell’applicazione dell’art. 51 del codice penale (su cui infra).
Dopo l’adozione della wed, nel 1965 si procedette ad un’ulteriore innovazione nel
sistema olandese con l’introduzione dell’art. 50-a nel codice penale (Strafrecht, SR),
in base al quale veniva espressamente riconosciuta la possibilità che una persona giu-
ridica fosse soggetto attivo di un fatto illecito. La punibilità, tuttavia, restava limitata
alle sole persone fisiche, ovvero agli amministratori, ai membri del consiglio di am-
ministrazione e alle persone che avevano dato l’ordine o che avevano effettivamente
giuridiche in materia doganale e fiscale.
4
  La wed è una legge quadro che disciplina i reati economici ed integra le previsioni contenute nel
codice penale olandese. In particolare, al suo interno sono previsti i cosiddetti ordeningsdelicten che
si contrappongono ai commune delicten previsti nel codice penale. La distinzione tra questi due tipi
di reato si basa storicamente sul fatto che mentre le fattispecie delittuose previste nel codice penale
sono volte a tutelare i beni giuridici «tradizionali» (quali la vita e l’onore), quelle previste nelle leggi
speciali (wed, legge sull’ambiente, legge tributaria etc.) sono volte a tutelare beni giuridici per così dire
di seconda generazione. Oggi tuttavia la distinzione è prettamente formale e non dispone di un solido
fondamento giuridico; molto spesso, infatti, gli stessi beni giuridici vengono tutelati da fattispecie
diverse previste nella parte speciale del codice penale (commune delicten) e dalla wed (ordeningsdelicten).
5
  J.A.E. Vervaele, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti,
cit., p. 143.
6
  Hoge Raad, 23.2.1954, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1954/378.
7
  Hoge Raad, 1.7.1981, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1982/80.
L’ordinamento olandese 35

diretto l’azione criminosa: trovava così riconoscimento nell’ordinamento olandese il


principio societas delinquere potest sed puniri non potest. Bisognerà attendere il 1976 e
l’introduzione dell’articolo 51 c.p. per un integrale riconoscimento della responsabi-
lità penale delle persone giuridiche.

2. La responsabilità penale delle persone giuridiche, degli enti privi di personalità


giuridica, delle associazioni e delle fondazioni per i reati dagli stessi posti in essere.

L’introduzione dell’art. 51 c.p. nel 1976 ha determinato l’abrogazione dell’art. 15


wed, cosicché oggi nei Paesi Bassi la disciplina della responsabilità penale degli enti è
contenuta unicamente nel codice penale, anche per i reati previsti dalla legislazione
speciale (ivi inclusa la wed per quanto concerne i reati economici).
L’art. 51 c.p. prevede che: «1. I reati possono essere commessi dalle persone fisiche
e giuridiche. 2. Se un reato è commesso da una persona giuridica, i procedimenti
possono essere promossi e le pene e le misure di sicurezza previste dalla legge posso-
no essere pronunciate, qualora ne sia consentita l’applicazione: (1) contro la persona
giuridica oppure, (2) contro chi ha ordinato la commissione del reato, così come
contro chi ha effettivamente diretto il comportamento illecito oppure, (3) contro le
persone nominate ai punti (1) e (2) insieme. 3. Per l’applicazione delle disposizioni
che precedono sono equiparati alla persona giuridica gli enti privi di personalità giu-
ridica, le associazioni e le fondazioni».
La persona giuridica viene considerata come un vero e proprio soggetto di diritto
capace di porre in essere condotte illecite e di risponderne penalmente, con un’evi-
dente rottura rispetto al passato8.
La responsabilità è a spettro totale e non limitata esclusivamente alle fattispecie
costruite in modo oggettivo (strict liability offences), per le quali non è necessario di-
mostrare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa. Inoltre, la nozione di persona
giuridica è più estesa rispetto a quella propria del diritto civile poiché sono compresi
tutti gli enti collettivi eccettuate le società unipersonali9, nelle quali la persona fisica
sarà unico soggetto responsabile penalmente, attesa la coincidenza tra patrimonio
dell’azienda e patrimonio personale dell’autore.
Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche sono diverse: pena pecuniaria, pub-
blicazione della sentenza, confisca dei proventi illecitamente ottenuti dalla commis-
sione del reato, condanna al risarcimento dei danni causati dalla commissione del
reato.

8
  De Doelder, Criminal liability of corporations – Netherlands, cit., p. 292.
9
  De Doelder, Criminal liability of corporations – Netherlands, cit., p. 293 e Vervaele, La responsabilità
penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, cit., p. 145.
36 E. Pavanello

In base all’art. 51 c.p. potranno essere perseguiti sia le persone fisiche che hanno
posto in essere la condotta criminosa10 e (cumulativamente o alternativamente) le
persone giuridiche, oltre a coloro che hanno dato l’ordine di commettere il reato o
che hanno materialmente diretto il comportamento illecito («dirigenti di fatto»11).
Coloro che hanno dato l’ordine e i dirigenti di fatto potranno essere perseguiti solo
qualora la persona giuridica possa a sua volta essere sottoposta a procedimento pena-
le. Sarà invece sempre possibile perseguire questi soggetti in base alla loro qualità di
autore o compartecipe del reato qualora sussistano gli elementi oggettivo e soggettivo
di attribuibilità della condotta al soggetto agente sulla base dei normali criteri di
imputazione.

3. I criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica: la teoria del potere e
dell’accettazione.

Nel sistema giuridico olandese al fine di valutare la sussistenza della responsa-


bilità penale delle persone giuridiche, è necessario individuare le condotte (attive o
omissive) delle persone fisiche che hanno dato origine al fatto illecito12. Successiva-
mente, occorre verificare se dette condotte siano riconducibili (anche sotto il profilo
soggettivo) alla persona giuridica. A differenza della wed, in cui il legislatore aveva
indicato come criterio risolutivo di attribuzione della condotta il fatto che l’attività
fosse stata posta in essere «nella sfera» della persona giuridica, il codice penale non
fornisce alcuna indicazione sul punto e demanda la soluzione della questione − se un
determinato fatto illecito sia stato commesso o meno dalla persona giuridica − alla
giurisprudenza. Solo qualora sia accertato che la persona giuridica è «autore» del
10
  In particolare gli articoli 47 e 48 c.p. delineano rispettivamente le figure di autore del reato e
compartecipe.
11
  L’espressione «dirigenti di fatto» necessita di alcune puntualizzazioni. Il codice penale olandese
elenca, infatti, tra le persone punibili, al secondo comma n. 2 dell’art. 51, coloro che hanno dato
l’ordine di commettere l’azione criminosa (e che disponevano da un punto di vista formale delle
competenze per dare quest’ordine), ovvero hen die tot het feit opdracht hebben gegeven, e coloro che,
invece, materialmente hanno diretto l’azione criminosa (il che non necessariamente implica che gli
stessi disponessero delle relative competenze da un punto di vista formale), ovvero hen die feitelijke
leiding hebben gegeven aan de verboden gedraging. A questa seconda categoria di soggetti si farà d’ora in
avanti sempre riferimento con l’espressione «dirigenti di fatto», restando inteso che si tratta di soggetti
i quali hanno svolto una determinata funzione all’interno della persona giuridica e ne sono responsabili
anche se non necessariamente disponevano della relativa competenza da un punto di vista formale.
12
  S. Field, N. Jorg, Corporate liability and manslaughter: should we be going Dutch?, in «Criminal Law
Review», March, 167, 1991. In Olanda tra l’altro trova applicazione la «teoria dell’aggregazione», per cui
sarà possibile «aggregare» le responsabilità delle diverse persone fisiche per determinare la responsabilità
della persona giuridica nel suo complesso.
L’ordinamento olandese 37

reato, sarà possibile valutare l’eventuale responsabilità delle persone che hanno dato
l’ordine di commettere il fatto illecito e dei dirigenti di fatto.
Mancando indicazioni circa i criteri per attribuire la condotta alla persona giuri-
dica, la dottrina ha invocato l’applicazione dei principi del potere e dell’accettazione,
già delineati nella sentenza Ijzerdraad sotto il vigore della wed13. Anche la giuri-
sprudenza ha accolto questa impostazione, estendendo, con la sentenza Kabeljauw,
l’applicabilità di siffatti principi per l’attribuibilità della condotta illecita alle persone
giuridiche.
Il criterio del potere (machtscriterium) esclude dal novero delle attività imputabili
alla persona giuridica quelle estranee all’attività quotidiana della società che costitui-
sconocome corpus alienum rispetto all’attività tipica dell’impresa. Esse, infatti, si col-
locano al di fuori della sfera d’influenza e di controllo della persona giuridica. Al fine
di esemplificare il concetto, si pensi al caso di un venditore porta a porta per conto
di una società che, nel corso della propria attività, spaccia droga: si tratta di attività
che è estranea alla società e che, in quanto tale, non può comportare la responsabilità
di quest’ultima. Diversamente se lo spaccio di droga ha luogo sistematicamente e
con proporzioni notevoli, l’attività illecita potrà essere considerata espressione della
normale politica di impresa14.
Con il criterio dell’accettazione (aanvaardingscriterium), invece, si fa riferimento
al fatto che il comportamento vietato debba essere «approvato» dall’impresa: sarà, al
riguardo, sufficiente che la persona fisica abbia agito nella consapevolezza di com-
piere un reato o abbia accettato tale eventualità, omettendo di compiere quanto in
suo potere per evitare il prodursi di un fatto illecito15. È evidente, tuttavia, che ove
sussista pure un’approvazione «ufficiale» dell’illecito, la prova del fatto che la persona
giuridica è soggetto attivo del reato sarà più agevole.
L’utilizzo del duplice criterio consente, da un punto di vista oggettivo, di riferire
determinate condotte alle persone giuridiche solo qualora vi sia stata accettazione
delle stesse quale normale sviluppo della politica di impresa e sia esistita, in concreto,
la possibilità per la persona giuridica di intervenire per l’eliminazione del rischio di
realizzazione dello stesso. In mancanza di una delle due condizioni la condotta non
potrà mai essere riferita alle persone giuridiche, ma rimarranno perseguibili i singoli
autori fisici (ove individuabili)16.
Dall’analisi di questi criteri si può dedurre peraltro che la responsabilità penale
delle persone giuridiche non è legata esclusivamente all’attività del quadro dirigen-
ziale dell’impresa (cosiddetta teoria dell’alter ego), ma può discendere dall’attività di
13
  Field, Jorg, Corporate liability and manslaughter: should we be going Dutch?, cit., 164.
14
  R.A. Torringa, De rechtspersoon als dader, strafbaar leidinggeven aan rechtspersonen, Gouda Quint bv,
Arnhem 1988, p. 33-34.
15
  Ibidem.
16
  Field, Jorg, Corporate liability and manslaughter: should we be going Dutch?, cit., p. 164.
38 E. Pavanello

qualsiasi soggetto, anche un semplice impiegato o addirittura un consulente ester-


no della società (come nel caso di uno studio legale o di uno studio di consulenti
contabili)17.
Da un punto di vista soggettivo, non è chiaro quando l’elemento soggettivo (dolo
o colpa) del reato possa essere attribuito alla persona giuridica, mancando indicazioni
testuali nel codice penale. L’esistenza del dolo o della colpa implicherà quanto meno
la conoscenza di quel fatto illecito (o dell’esistenza di fatti analoghi che denotino una
politica di impresa «criminosa») da parte dell’organo dirigente, senza che opportune
misure di prevenzione siano state adottate18. Ovviamente detta conoscenza si atteg-
gerà diversamente a seconda che il comportamento vietato sia frutto di una decisione
del consiglio di amministrazione o meno: nel primo caso, in linea di principio, il
dolo e la colpa devono sempre essere imputati alla persona giuridica; nel secondo
caso, invece, occorrerà verificare l’eventuale esistenza di una delega di funzioni o
l’accettazione cosciente di atti colposi in modo da accertare che l’elemento soggettivo
del reato è ravvisabile nella stessa politica di impresa. Qualora invece non sussista
alcuna di queste ipotesi, sarà necessario verificare l’esistenza delle diverse colpe e delle
diverse intenzioni delle singole persone fisiche19.

4. La responsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno impartito l’ordine


criminoso all’interno delle persone giuridiche. Attribuzione della condotta sulla base dei
criteri del potere e dell’accettazione.

La figura del dirigente di fatto, peculiare del sistema olandese, consente di evitare
la «fuga» dal diritto penale da parte di coloro che hanno svolto un ruolo determinan-
te nella commissione del reato ma, nonostante ciò, non possono essere considerati
tecnicamente né autori del reato o compartecipi, né soggetti responsabili in quanto
titolari di delega formale dell’attività illecita posta in essere nell’impresa. L’individua-
zione di questa peculiare figura nasce, quindi, dall’esigenza pratica di ovviare ad una
delinquenza molto spesso «inafferrabile» nell’ambito della persona giuridica.
Non è un caso che proprio in una sentenza relativa ad un istituto bancario noto
per le diffuse pratiche di riciclaggio di denaro sporco (caso Slavenburg), ma difficil-
mente attribuibili a soggetti determinati, siano stati precisati i criteri per individuare
le responsabilità dei dirigenti di fatto. Nel corso dell’istruttoria era risultato, infatti,
che molte delle condotte illecite erano state poste in essere da parte di agenzie non
17
  De Doelder, Criminal liability of corporations – Netherlands, cit., p. 300.
18
  Vervaele, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, cit.,
p. 154.
19
  Torringa, De rechtspersoon als dader, strafbaar leidinggeven aan rechtspersonen, cit., p. 37 e Vervaele,
La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, cit., p. 155.
L’ordinamento olandese 39

strettamente riconducibili all’istituto bancario o che non evidenziavano un’implica-


zione diretta delle persone indagate con l’attività criminosa della banca. Per ovviare a
tale situazione, la Corte di Cassazione ha delineato le figure del dirigente di fatto e di
colui che ha dato l’ordine, chiarendo come la possibilità di perseguire e condannare
i soggetti indagati fosse collegata all’obbligo di diligenza che incombeva sugli stessi
(obbligo che includeva ovviamente la necessità di intervenire a fronte della conoscen-
za di fatti illeciti che si verificano nell’ambito della società)20.
Per essere perseguito il dirigente di fatto deve occupare una posizione dirigenziale
(a prescindere da un preciso incarico formale) e deve essere stato a conoscenza del fat-
to illecito specifico o, quantomeno, di fatti analoghi che denotino l’esistenza di una
certa cultura di impresa e, nonostante ciò, non deve aver compiuto quanto era in suo
potere per evitare la commissione del reato. Naturalmente la possibilità di perseguire
i dirigenti di fatto resta strettamente legata alla punibilità della persona giuridica
poiché la responsabilità di detti soggetti sussiste nella misura in cui è stata verificata
l’attribuibilità della condotta illecita di una persona fisica, che può essere anche un
semplice impiegato, alla persona giuridica, attraverso i criteri del potere e dell’ac-
cettazione. Una volta accertata la responsabilità dell’ente, e la sussistenza quindi dei
criteri oggettivo e soggettivo di responsabilità dello stesso, si procederà a verificare se
la medesima condotta possa essere attribuita ai dirigenti di fatto o a coloro che hanno
dato l’ordine, attraverso i medesimi criteri del potere e dell’accettazione.
I criteri in materia di responsabilità penale delle persone giuridiche sin qui trat-
teggiati trovano applicazione anche nelle ipotesi di responsabilità penale delle perso-
ne giuridiche di diritto pubblico.

5. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Questioni


interpretative intorno all’inclusione degli enti di diritto pubblico nella nozione di persona
giuridica.

La possibilità di perseguire penalmente le persone giuridiche di diritto pubblico è


questione che da più di mezzo secolo occupa la dottrina e la giurisprudenza olandesi.
Infatti, già prima dell’introduzione dell’art. 51 del codice penale, sotto il vigore
della wed, era stata ammessa la possibilità di perseguire i Comuni. Nel 1951, ad
esempio, il Comune di Alpedoorn era stato condannato dalla sezione economica del
Tribunale di Zutphen al pagamento della multa di 25.000 fiorini olandesi per aver
20
  Hoge Raad, 19.11.1985, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1986/125-126.
40 E. Pavanello

violato l’art. 17 della Wederopbouwwet (legge sulla ristrutturazione). La condanna


è stata poi ridotta in grado d’appello al pagamento della somma di 5.000 fiorini21.
Nel commentare la sentenza citata, certa dottrina ha sostenuto che la persona
giuridica di diritto pubblico può essere condannata penalmente solo laddove abbia
arrecato pregiudizio con la propria condotta alle regole del mercato e della concor-
renza22. L’accento è stato posto, quindi, sulla diversa tipologia di attività posta in
essere dall’ente pubblico.
Anche le successive riflessioni dottrinali si sono indirizzate in questo senso: così
si è espressa, infatti, nel 1966 l’associazione olandese dei giuristi (Nederlandse Juri-
stenvereninging). A conclusione dei lavori, l’associazione ha approvato un documento
in cui ha sostenuto che l’applicazione della sanzione penale nei confronti degli enti
pubblici dovrebbe essere relegata unicamente al caso di loro partecipazione all’at-
tività commerciale (come nel caso di una società di trasporti comunale) e non, in-
vece, essere estesa all’ipotesi di esplicazione di funzioni tipicamente pubblicistiche.
La generalizzata perseguibilità penale degli enti pubblici in quanto tali non viene
considerata auspicabile perché finirebbe per indebolire in modo irreversibile la loro
autorità e il loro prestigio. Nell’ipotesi della commissione di fatti illeciti sarebbe più
opportuno, invece, far ricorso agli strumenti sanzionatori offerti dal diritto ammini-
strativo e civile23.
Con l’entrata in vigore dell’art. 51 del codice penale la questione non è stata
risolta ma piuttosto demandata alla soluzione giurisprudenziale, atteso che il testo
normativo de quo non ha operato alcuna distinzione tra persone giuridiche di diritto
privato e persone giuridiche di diritto pubblico. Il che ha indotto parte della dottrina
a ritenere che - in virtù del brocardo ubi lex voluit dixit − tutte le persone giuridiche
senza alcuna esclusione debbano essere soggette a responsabilità penale24.
Contrariamente a ciò si è espressa, tuttavia, la relazione accompagnatoria del co-
dice penale (Memorie van Toelichting), la quale ha indicato una soluzione affatto di-
versa che ricalca in buona sostanza le posizioni espresse in precedenza dalla dottrina.
Nel paragrafo 10 della relazione, si è affermato, infatti, che la perseguibilità penale
delle persone giuridiche di diritto pubblico è poco opportuna ma si è aggiunto altresì
21
  R.A. Torringa, Strafbaarheid van rechtspersonen, Gouda Quint bv, Arnhem 1984, p. 154.
22
  A. Mulder, De gemeenten en de verbodsbepaling van art. 17 Wederopbouwwet, in «De Nederlandse
gemeente», n. 38, 1963, p. 517.
23
  Torringa, Strafbaarheid van rechtspersonen, cit., p. 154 con commento critico alle conclusioni
dell’associazione.
24
  G.A.M. Strijards, Aansprakelijkheidsgronden, Tjeenk Willink, Zwolle 1988, p. 60 secondo cui, sotto
il profilo della soggettività penale, non esistono ragioni di principio per operare una distinzione tra
persone giuridiche di diritto pubblico e di diritto privato. Tuttavia l’Autore sostiene che la possibilità
di perseguire gli enti pubblici per la violazione delle norme che essi stessi hanno posto costituisce
un’operazione «viziosa» in quanto detti enti finirebbero per punire se stessi e per pagare a se stessi la
sanzione pecuniaria.
L’ordinamento olandese 41

che la possibilità di procedere nei loro confronti non può essere radicalmente esclu-
sa25. Si è proposto allora di distinguere a seconda che il fatto illecito sia posto in essere
dall’ente pubblico nell’esecuzione di un’attività di impresa che può essere eseguita
anche da soggetti di natura privatistica o piuttosto nell’esecuzione di un compito
pubblico (sia esso di carattere generale o specifico) di competenza dell’ente pubblico.
Nella prima ipotesi, non dovrebbero sussistere ostacoli alla procedibilità penale, anzi
l’esclusione della responsabilità degli enti pubblici che agiscano come imprese viene
qualificata lesiva del principio di eguaglianza giuridica perché ove analoghe condotte
illecite venissero poste in essere da persone giuridiche di diritto privato esse sarebbero
passibili di sanzione penale. Qualora, invece, agiscano nell’esecuzione di un compito
pubblico la loro procedibilità dovrebbe essere esclusa.
Nonostante le indicazioni fornite nella Relazione al codice penale, restano aper-
te alcune questioni fondamentali, quali in primis l’inquadramento dogmatico del-
la cosiddetta «non procedibilità» nei confronti delle persone giuridiche di diritto
pubblico: non è dato comprendere, infatti, se il legislatore abbia inteso escludere la
responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico a livello di dirit-
to «materiale» o, piuttosto, abbia individuato una causa di non procedibilità (con
evidenti conseguenze quanto alla posizione di coloro che hanno dato l’ordine o dei
dirigenti di fatto, la cui responsabilità è strettamente ancorata a quella delle persone
giuridiche: nel primo caso essi non saranno punibili, mentre nel secondo sì26).
Non è poi chiaro se la nozione di «persona giuridica di diritto pubblico» coinci-
da con quella di cui all’art. 1, libro ii del codice civile (Burgerlijke wet). Ai sensi di
tale disposizione sono tali lo Stato, le Province, i Comuni, le Autorità per le acque
(waterschappen) così come tutti gli enti che sono qualificati tali dal capitolo 7 della
Costituzione (ad esempio, l’Ordine Olandese degli Avvocati), oltre che tutti gli enti
cui sono attribuite competenze di diritto pubblico (Università, gli ospedali universi-
tari ma anche il Fondo pensionistico)27.
La Relazione non chiarisce, infatti, se anche la nozione «penalistica» di perso-
na giuridica di diritto pubblico debba attingere a tale fonte normativa o se, come
auspicato da certa dottrina, sia opportuno individuare una nozione autonoma in
ragione del fatto che non sempre la qualificazione pubblico/privato è correlata al
tipo di attività (imprenditoriale o meno) esercitata dall’ente. Vi sono infatti persone
giuridiche qualificate dal diritto civile enti di diritto pubblico (è questo il caso della
Nederlandsche Bank nv) le quali, di fatto, agiscono in forma privatistica e sono or-
ganizzate come persone giuridiche di diritto privato. Come pure esistono persone
25
  Si veda il testo del paragrafo 10 della MvT riportato da J. De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie
voor de verdachte overheid?, in Strafbaarheid van overheden, Tjeenk Willink, Deventer 1998, p. 49-50.
26
  D. Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid
van overheden voor milieuverstoring, Intersentia, Antwerpen 2001, p. 83.
27
  W.C.L. Van Der Grinten, De rechtspersoon, Tjeenk Willink, Deventer 1991, p. 137 ss.
42 E. Pavanello

giuridiche di diritto privato che, di fatto, pongono in essere attività propriamente


pubblicistiche e che per tale ragione dovrebbero forse essere considerate alla stessa
stregua delle persone giuridiche di diritto pubblico, quantomeno con riferimento al
diritto penale28. Sembra deporre nel senso dell’autonomia anche la circostanza che
l’art. 51 c.p. individua una nozione di persona giuridica più ampia rispetto a quello
del diritto civile, includendo nella categoria anche quegli enti che non sono dotati di
personalità giuridica.

6. Le pronunce della giurisprudenza sulla responsabilità penale delle persone giuridiche


di diritto pubblico (enti pubblici decentrati).

La giurisprudenza, nell’affrontare la questione circa la configurabilità di una re-


sponsabilità penale nei confronti degli enti pubblici, ha sempre distinto nettamente
la posizione degli enti decentrati (Comuni, Province, Autorità della Acque, Univer-
sità etc.) da quella dello Stato. Si ritiene opportuno mantenere questa distinzione e
analizzare separatamente la posizione degli enti pubblici decentrati e dello Stato.
Con riferimento agli enti pubblici decentrati, la disamina delle pronunce terrà
conto dell’evoluzione intervenuta sino alla sentenza Pikmeer i, la quale ha segnato, di
fatto, l’epilogo dell’interpretazione restrittiva della responsabilità penale delle perso-
ne giuridiche di diritto pubblico. Solo dopo aver dato conto delle diverse pronunce
intervenute si esamineranno le posizioni della dottrina. Ancorch’è tale modo di pro-
cedere non rispetti un preciso criterio «cronologico», dette argomentazioni dovranno
essere esaminate in modo unitario, al fine di essere compiutamente esposte e di più
agevole comprensione.
Successivamente, si procederà all’analisi della sentenza Pikmeer ii e a considerare
le reazioni e gli sviluppi della dottrina con riferimento a questa «seconda fase» della
giurisprudenza.

6.1. L’irresponsabilità penale degli enti decentrati che hanno posto in essere la condotta
illecita nell’ambito di attività esecutive di un compito pubblico (caso Tilburg).

La prima sentenza che ha affrontato la questione circa la possibilità di procedere


nei confronti degli enti pubblici decentrati, dopo l’entrata in vigore del nuovo co-
dice penale, ha avuto ad oggetto la condotta illecita posta in essere dal Comune di
Tilburg29. Il Comune de quo aveva fatto apporre dei rallentatori di velocità su una
28
  A.L.J. van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van
publiekrechtelijke rechtspersonen, in «Delikt en Delinkwent», afl. 6, 17, 1987, p. 588.
29
  Hoge Raad, 27.10.1981, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1982/474 con nota di gem.
L’ordinamento olandese 43

strada pubblica, senza aver previamente ottenuto la relativa autorizzazione in viola-


zione dell’art. 427 (6) del codice penale, il quale punisce con la pena pecuniaria chi,
senza autorizzazione dell’autorità competente, blocca le strade pubbliche o le acque
pubbliche o chi impedisce il traffico su tali strade o acque.
La Corte di Cassazione ha dichiarato irricevibile l’azione, ritenendo che la con-
dotta posta in essere dal soggetto indagato riguardasse l’attuazione di un compito
pubblico (overheidstaak), ovvero il mantenimento e la sicurezza delle strade pubbli-
che, in quanto tale esente da ogni valutazione di carattere penale.
La sentenza è stata criticata sotto più profili.
Innanzitutto, si è rilevato che la pronuncia ha di fatto individuato un criterio di
esclusione della perseguibilità, facendolo discendere esclusivamente dalla natura e
dal contesto del comportamento tenuto dall’ente pubblico30. Criterio di esclusione
sui generis che non disporrebbe di un fondamento normativo, in quanto l’art. 51
c.p. non distingue tra persone giuridiche di diritto pubblico e privato. In luogo di
tale criterio, parte della dottrina ha evidenziato l’opportunità di verificare l’operati-
vità delle cause di giustificazione dello stato di necessità e dell’adempimento di una
prescrizione legale, in ragione della natura pubblica dei compiti posti in essere dagli
enti in questione che potrebbero, al limite, «giustificare» anche la commissione di un
illecito31.
La distinzione tra atti compiuti nell’esecuzione di un compito pubblico e atti
compiuti nell’ambito di attività privatistica riecheggia peraltro classificazioni proprie
del diritto civile in relazione alla possibilità di configurare la responsabilità nei con-
fronti dello Stato. In passato, infatti, si differenziava tra acta iure imperii, per i quali
lo Stato godeva dell’immunità assoluta e acta iure gestionis, per i quali, al contrario,
lo stesso poteva essere dichiarato responsabile. Atteso che la contrapposizione è stata
oggi superata nel diritto civile sono stati manifestati dubbi in ordine alla validità di
simili criteri nel diritto penale32.
La decisione de qua è stata criticata anche sotto altro profilo, poiché la Corte di
Cassazione non ha chiarito se intendeva riferirsi ad un’ipotesi di improcedibilità (on-
vervolgbaarheid) a livello processuale o piuttosto intendesse statuire una vera e pro-
pria irresponsabilità dell’ente che ha agito per l’attuazione di un compito pubblico33.
30
  J.A.E. van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en
bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer ii arrest, Gouda Quint, Deventer 2000, p. 30.
31
  Van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van
publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 591.
32
  G.A.M. Strijards, Hoofdstukken van materieel strafrecht, Lemma, Utrecht 1992, p. 95.
33
  Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 87.
44 E. Pavanello

Senza contare che, in assenza di una precisa definizione legislativa, la stessa nozione
di compito pubblico è di difficile individuazione34.
Altra dottrina, invece, ha condiviso la sentenza poiché ha ritenuto che la stessa
giustamente esimesse da responsabilità l’ente pubblico che agisce nell’esercizio di un
compito pubblico: non sarebbe infatti concepibile che la persona giuridica di diritto
pubblico ponga in essere un’attività illecita e per tale ragione occorre escludere a
priori la sussistenza di un fatto penalmente rilevante35.
La Corte di Cassazione non sembra in realtà aver profondamente meditato sulla
soluzione adottata: a fronte della prima concreta applicazione dell’art. 51 c.p. si è
inteso negare tout court la possibilità di dichiarare penalmente responsabile l’ente
pubblico decentrato, senza definire cosa sia un compito pubblico né indicare il fon-
damento giuridico di detta esclusione.

6.2. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico diverse dagli
enti territoriali (caso dell’Università di Groningen).

Nella fattispecie in esame i giudici hanno preso in considerazione la responsabi-


lità penale di una persona giuridica di diritto pubblico, diversa da un ente pubblico
territoriale, ovvero l’Università di Groningen.
Il fatto alla base del procedimento può essere così riassunto. Un archeologo in
servizio presso l’istituto di archeologia dell’Università aveva eseguito dei lavori di
scavo su di un sepolcro senza aver ottenuto previamente l’apposita autorizzazione
del Ministero competente, autorizzazione necessaria trattandosi di un monumento
protetto ai sensi di legge (Monumentenwet). In seguito a detti lavori la tomba aveva
subito dei danni e, pertanto, si era verificata la fattispecie penale di cui all’art. 14
della legge sui monumenti.
L’Università di Groningen è stata perseguita, insieme all’archeologo che mate-
rialmente aveva posto in essere la condotta. L’ente universitario, in virtù del criterio
statuito dalla Corte di Cassazione nella precedente sentenza Tilburg, si era difeso
sostenendo che, ai sensi dell’art. 23 della Costituzione36, l’Università ha come scopo
l’educazione e la ricerca, all’interno delle quali vanno annoverati anche la cura e il
34
  Van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van
publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 591-592; De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor
de verdachte overheid?, cit., p. 56.
35
  Strijards, Aansprakelijkheidsgronden, cit., p. 63.
36
  L’art. 23 della Costituzione stabilisce che l’istruzione costituisce compito permanente del Governo,
il quale detiene il potere di controllo sulle forme di istruzione privata. Cfr. A.J.M Kortmann, P.T.
Bonvend’eert, Dutch constitutional Law, Kluwer Law International, The Hague 2000, con il testo in
lingua inglese della costituzione olandese.
L’ordinamento olandese 45

restauro dei monumenti. Trattandosi di compiti pubblici, pertanto, l’istituto univer-


sitario non avrebbe potuto essere perseguito penalmente.
La Corte di Cassazione ha rigettato questa argomentazione poiché, a suo parere,
la cura dei monumenti non rientrava tra i compiti pubblici dell’insegnamento e della
ricerca. Pertanto, in caso di violazione della legge sui monumenti non sussisterebbe
alcun ostacolo alla perseguibilità penale della persona giuridica, anche se di diritto
pubblico.
Il giudice di legittimità ha introdotto inoltre un criterio di limitazione soggettiva
della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, statuendo che
solo gli enti indicati nel capitolo 7 della Costituzione olandese – essenzialmente gli
enti territoriali – possono godere della «irresponsabilità» propria degli enti pubblici37.
Nel caso di specie, atteso che l’Università non poteva essere considerata un ente
pubblico ai sensi del capitolo 7 della Costituzione, e l’illecito non era stato posto in
essere nell’esercizio di un compito pubblico, essa è stata condannata al pagamento di
una sanzione pecuniaria38.
La sentenza in esame ha introdotto un criterio formale per individuare le per-
sone giuridiche di diritto pubblico perseguibili che non trova alcun fondamento
né nel codice penale né nella Relazione allo stesso39. Al fine di giudicare l’eventuale
responsabilità penale della persona giuridica di diritto pubblico, occorrerà, quindi,
innanzitutto verificare se detta persona giuridica appartenga a quelle indicate nel
capitolo 7 della Costituzione. Qualora, infatti, la risposta a tale quesito sia negativa,
poco importerà che la stessa abbia agito nell’esecuzione di un compito pubblico
perché essa sarà sempre perseguibile, non venendo in rilievo il criterio “sostanziale”
dell’esecuzione del compito pubblico40.
Si possono già intuire le incongruenze e i rischi di violazione del principio di
eguaglianza cui un siffatto sistema può dare origine, soprattutto in considerazione
del fatto che la Corte di Cassazione non ha chiarito la ratio in base alla quale ha
distinto nella categoria degli enti pubblici quelli indicati nel capitolo 7 della
37
  Il capitolo 7 della Costituzione olandese indica quali enti pubblici le province, i comuni, gli
enti preposti alle acque e altri enti pubblici, tra cui vengono espressamente menzionati gli ordini
professionali. Si veda Kortmann, Bonvend’eert, Dutch constitutional Law, cit., p. 43-58 per un
commento sull’organizzazione e sulle funzioni svolte dagli enti decentrati.
38
  Hoge Raad, 10 novembre 1987, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1988/303 con nota di Strijards,
Aansprakelijkheidsgronden, cit., p. 66 pur condividendo la sentenza della Hoge Raad in quanto ritiene
che effettivamente la cura e la protezione dei monumenti non sia un compito di natura pubblica,
non ritiene decisivo l’accento posto dalla Corte sulla diversa posizione che gli enti rivestono a livello
costituzionale.
39
  Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 88.
40
  L.E.M. Hendriks, A. De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, in
«Milieu en recht», 1998, p. 41.
46 E. Pavanello

Costituzione. La Corte ha probabilmente considerato che gli enti di cui al capitolo


7 della Costituzione svolgono funzioni di diritto pubblico: tuttavia, a ben valutare,
essi non sono gli unici. Basti pensare alle persone giuridiche di diritto privato che
possono porre in essere attività pubblicisticamente rilevanti o addirittura al singolo
cittadino che, ai sensi dell’art. 53 del codice di procedura penale, può compiere
un arresto in flagranza. Essi eseguono tecnicamente attività pubblicistiche, pur non
essendo soggetti menzionati nel capitolo 7 della Costituzione41.

6.3. La conferma del principio della responsabilità penale degli enti decentrati
unicamente nel caso in cui abbiano commesso l’illecito al di fuori di attività esecutive di
un compito pubblico (il caso Voorburg).

Con la sentenza Voorburg42, la Corte di Cassazione ha confermato il principio


secondo cui le persone giuridiche di diritto pubblico, indicate nel capitolo 7 della
Costituzione, non sono responsabili penalmente qualora abbiano commesso un ille-
cito nell’ambito di un’attività esecutiva di un compito pubblico.
Il Comune in questione aveva fatto distruggere dei nidi di aironi in un parco
perchè questi uccelli inquinavano il luogo. Per poter procedere alla distruzione dei
nidi il Comune aveva necessità di ricevere l’autorizzazione da parte del Commissario
governativo che, nel caso de quo, non era stata rilasciata: il Comune, pertanto, con la
propria condotta aveva violato l’articolo 8, comma 1 della legge di protezione degli
uccelli, condotta sanzionata penalmente ai sensi dell’articolo 28 della stessa legge.
L’ente si era difeso asserendo che la protezione e il mantenimento del parco co-
stituivano compiti pubblici espressamente attribuiti al Comune ai sensi dell’art. 209
della legge comunale. Il Tribunale di Gravenhage in accoglimento di tale impostazio-
ne, ha ritenuto che il Comune non fosse perseguibile, fondando la decisione anche
sul fatto che vi era stata l’approvazione del Sindaco e dei consiglieri comunali per la
distruzione dei nidi, così come previsto dalla legge comunale43.
Il pubblico ministero44 ha presentato ricorso in Cassazione evidenziando come
il Comune, qualora agisca nel perseguimento dei compiti allo stesso attribuiti dalla
legge comunale, deve comunque rispettare le prescrizioni di legge. Secondo l’assunto
41
  Strijards, Hoofdstukken van materieel strafrecht, cit., p. 93.
42
  Hoge Raad, 23 ottobre 1990, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1991/496 con nota di Sch.
43
  Rechbank ’s, Gravernhage, 22 maggio 1989. Desta perplessità la circostanza che per il solo fatto
del rispetto delle norme procedurali per l’adozione della delibera con la quale si ordinava di distruggere
i nidi di uccelli, la condotta del Comune sia stata considerata legittima.
44
  In particolare, trattasi dell’officier van justitie che è il funzionario appartenente alla procura che esercita
l’azione penale. Il termine Openbaar Ministerie viene invece utilizzato nell’ordinamento olandese per
indicare l’insieme dei singoli pubblici ministeri, ovvero l’organo della pubblica accusa.
L’ordinamento olandese 47

accusatorio, infatti, il Comune avrebbe dovuto richiedere, in presenza di uno stato di


particolare necessità, un’espressa dispensa dall’autorizzazione de qua.
La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha statuito che il Comune era un
ente pubblico ai sensi del capitolo 7 della Costituzione e che l’art. 209 della legge
comunale attribuiva il compito (pubblico) di cura dei giardini pubblici proprio a
detto ente. Per tale motivo l’ente è stato dichiarato non perseguibile e l’azione penale
è stata rigettata45.
È da rilevare che la Corte di Cassazione ha erroneamente individuato nell’art.
209 della legge comunale il fondamento legale del compito pubblico attribuito al
Comune: al contrario di quanto asserito dal Giudice di legittimità, infatti, tale di-
sposizione si limita a delineare le competenze interne al Comune per l’adozione delle
misure necessarie per il mantenimento e la cura dei parchi pubblici. Si tratta dunque
di una prescrizione a carattere «interno» su cui non può fondarsi l’esclusione dalla
responsabilità penale46.
Il fatto che venga esclusa qualsiasi valutazione circa l’opportunità di procedere pe-
nalmente e che si guardi esclusivamente alla nozione «formale» di ente pubblico non
pare del tutto condivisibile47. E ciò anche perchè la decisione di fare ricorso a detta
nozione non è stata adeguatamente motivata da parte della Suprema Corte, la quale
si è limitata a rilevare che per gli enti di cui al capitolo 7 della Costituzione esistono
adeguati controlli politici e amministrativi48. Tale argomento non pare sufficiente
ad escludere la responsabilità penale degli enti pubblici. Anche laddove si ritenesse
di condividere tale posizione, infatti, occorre considerare che i controlli non sempre
sono effettivi: il rischio è dunque che a fronte di una condotta illecita non segua al-
cuna sanzione né di carattere amministrativo né di carattere politico49.
Al di là delle critiche espresse in ordine alla congruità dei criteri scelti, vi sono
state diverse sentenze di condanna ai danni di enti territoriali decentralizzati: la Cas-
sazione ha infatti ritenuto che, in talune ipotesi, ancorché gli enti soggetti attivi del
reato fossero enti pubblici ai sensi del capitolo 7 della Costituzione, gli stessi non
avessero agito nell’esecuzione di un compito pubblico con la conseguenza che non
45
  Hoge Raad, 23 ottobre 1990, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1991/496.
46
  Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 34-35 e Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie
naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 90.
47
  È bene precisare che nei Paesi Bassi l’azione penale non è obbligatoria. Il collegio dei pubblici
ministeri emana delle circolari di politica criminale in cui indica i criteri in base ai quali procedere o
meno con l’azione penale all’interno dei casi legislativamente previsti. Queste circolari molto spesso
indicano anche le condizioni in cui è possibile concludere delle transazioni al fine di evitare il processo.
48
  D. Roef, Strafvervolging van overheden. Een evaluatie naar aanleiding van de ramp in Enschede, in «Ars
Aequi», 2001, p. 143.
49
  ThWvV, nota a Hoge Raad, 10 novembre 1987, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1988/303.
48 E. Pavanello

potevano godere dell’immunità. È questo il caso, ad esempio, del Comune di Stein50


che nel 1992 venne condannato dalla Corte di Cassazione, poiché, in «qualità» di
datore di lavoro, aveva consentito ad un proprio dipendente di utilizzare una gru
con un carico di materiale avente un peso superiore rispetto a quello per il quale
la macchina era stata omologata, in violazione dell’art. 26 dell’Arbowet (legge sulla
sicurezza nei luoghi di lavoro). Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha rilevato
che il Comune non stava agendo nell’esecuzione di un compito pubblico e pertanto
non poteva fare appello all’immunità.
Analogamente, il comune di Urk venne condannato al pagamento di una sanzio-
ne pecuniaria per aver violato l’art. 3, terzo comma della legge sulla pesca. Il Comune
de quo aveva organizzato un’asta in violazione delle regole in materia di registrazione
delle quote: trattandosi di attività commerciale che non poteva essere considerata
esecuzione di un compito pubblico, il Comune venne condannato51.

6.4. Le incongruenze applicative connesse al principio dell’esecuzione del compito


pubblico individuato dalla giurisprudenza quale criterio discriminante per determinare
la responsabilità penale degli enti pubblici decentrati (sentenze Arnhem e Streekgewest
Zuid-Limburg).

Il criterio formale del compito pubblico (overheidstaak) assurto a discrimine tra


attività punibile e non, presenta caratteri di incertezza e ambiguità come si arguisce
dall’esame di alcune delle decisioni adottate dagli organi giudicanti olandesi.
Nel caso che ha visto la condanna del Comune di Arnhem – che aveva costruito e
messo in opera una barriera contro il rumore, senza disporre dell’opportuna autoriz-
zazione prescritta dalla Afvalstoffenwet (legge sull’inquinamento), ponendo in essere,
quindi, un reato ai sensi dell’art. 1 della wed – l’ente aveva sostenuto di andare esente
da responsabilità poiché la protezione dell’ambiente e la difesa dall’inquinamento
atmosferico costituiscono compiti pubblici52. La Corte ha tuttavia rigettato tali ar-
50
  Hoge Raad 19 marzo 1991 in «Nederlandse Jurisprudentie», 1992/122 con nota di Corstens.
51
  Hoge Raad 8 luglio 1993, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1993/12.
52
  O. Jansen, La legge olandese sui reati economici festeggia il suo cinquantesimo anniversario, in «Rivista
trimestrale di diritto penale dell’economia», 2002, p. 123 ss. Le fattispecie penali nell’ordinamento
olandese risultano in alcuni casi costruite attraverso il duplice richiamo alla legislazione complementare
che prevede la fattispecie e alla wed che qualifica come penalmente rilevante quel comportamento
(come avviene nel caso ora esaminato). La wed, infatti, all’articolo 1 richiama un gran numero di
disposizioni a carattere precettivo che sono previste nella legislazione complementare e le qualifica come
reati economici. In particolare, i reati elencati ai commi 1 e 2 dell’articolo 1 costituiscono delitto o
contravvenzione a seconda che siano stati commessi intenzionalmente o no; quelli elencati al comma 3
dell’articolo 1 costituiscono invece delitto o contravvenzione a seconda di quanto stabilito nella relativa
legislazione complementare. L’articolo 6 wed stabilisce la pena per detti illeciti che può consistere in
L’ordinamento olandese 49

gomentazioni rilevando che sarebbe stato ingiusto escludere la responsabilità penale


della persona giuridica di diritto pubblico per un’attività che avrebbe potuto essere
posta in essere anche da una persona giuridica di diritto privato. Il Comune è stato
così condannato al pagamento dell’ammenda di 5.000 fiorini53. Ciò che colpisce
in questa sentenza è il fatto che, a differenza dell’approccio seguito dalla Corte di
Cassazione nel caso Tilburg, il Tribunale non si è interrogato sulla presenza o meno
di un’attività esecutiva di un compito pubblico, ma ha piuttosto considerato la cir-
costanza che qualsiasi impresa privata avrebbe potuto porre in essere analoga attività.
L’argomentare del Tribunale per certi versi anticipa l’orientamento che sarà adottato
successivamente dalla giurisprudenza e, per altri versi, è chiaro sintomo del disagio
cui i giudici si trovano di fronte nell’utilizzare il criterio dell’overheidstaak. Essi in-
fatti, nel caso di specie, si sono interrogati sull’opportunità di mantenere un sistema
che distingue il trattamento delle persone giuridiche di diritto privato e pubblico, a
fronte dell’esecuzione di una medesima condotta materiale.
Nel caso streekgewest Ostelijk Zuid-Limburg54 l’ente pubblico venne condannato
per aver tagliato delle siepi (houtopstand), senza aver preventivamente dato notizia
del fatto agli enti preposti, così come previsto all’articolo 2 della legge sui boschi
(Boswet)55. Ciò costituisce una contravvenzione ai sensi dell’art. 2, comma 3 della
Boswet e la sanzione penale è prevista nell’articolo 1 sub 4, comma 6 della wed. Gli al-
beri erano stati tagliati per garantire la sicurezza aerea della compagnia awacs, in ese-
cuzione dell’accordo che quest’ultima aveva concluso con il Ministero della Difesa.
La Corte di Cassazione ha considerato che la violazione della Boswet era avvenuta,
nel caso di specie, non in adempimento di uno specifico compito pubblico attribuito
dalla legge (ovvero la sicurezza aerea), bensì in esecuzione di un accordo concluso tra
lo Stato (nella persona del Ministero della Difesa) e la persona giuridica di diritto
privato e che, per tale ragione, l’immunità non poteva operare.

pene detentive e alternativamente o congiuntamente in multe a seconda della «classe» di appartenenza


del reato. In particolare, se il fatto punito è commesso da una persona giuridica il giudice può optare
per l’applicazione della multa massima prevista dalla classe di appartenenza immediatamente superiore.
Per i delitti economici trovano applicazione le disposizioni del Libro I del codice penale contenenti
i principi generali (ivi incluso come abbiamo visto l’art. 51 del codice penale) e, con riferimento
alle investigazioni, le disposizioni del codice di procedura penale, salvo che vi sia un’espressa deroga
contenuta nella legge complementare o nella legislazione economica richiamata agli articoli 1 e 1a
wed. Particolare competenza è attribuita per i reati economici all’officier van justitie nell’applicazione
di misure di carattere provvisorio, consistenti, ad esempio, nell’ordine all’indagato di astenersi dal
compiere determinati atti o di vigilare affinché i beni sottoposti a sequestro siano mantenuti e conservati
nel luogo indicato nel relativo provvedimento.
53
  Hof Arnhem 22 maggio 1989, in «Milieu en Recht», n. 81, 1989.
54
  Lo streekgewest è un’organizzazione di Comuni regolata dall’art. 1 della legge sulle organizzazioni
comunali.
55
  Hoge Raad 9 giugno 1992, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1992/749.
50 E. Pavanello

L’argomentare della Corte non può che destare perplessità: mediante questa sen-
tenza, infatti, l’organo giudicante ha erroneamente attribuito rilevanza all’esistenza
di un accordo di diritto privato. Infatti non è revocabile in dubbio che anche in
questo caso lo Stato ha avuto di mira la difesa di un compito pubblico e un accor-
do di diritto privato non è in grado di mutarne la natura. Preferibile allora pensare
che la Corte abbia voluto dare priorità alla tutela dell’ambiente, condannando il
Comune56, al fine di sopperire alle carenze di tutela cui l’applicazione dei principi
dell’overheidstaak avrebbe condotto.

6.5. Le connessioni tra irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto


pubblico e irresponsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine
criminoso. (I casi Waterschap West Friesland, Provincie Noord Holland e Pikmeer i).

Nella dottrina olandese, tradizionalmente, i tre casi citati vengono trattati con-
giuntamente in quanto costituiscono la consacrazione del criterio dell’esecuzione
di un compito pubblico da parte di un ente pubblico ai sensi del capitolo 7 della
Costituzione.
In particolare, nei casi Waterschap West Friesland57 e Provincie Noord Holland58
gli enti pubblici de quibus avevano proceduto a bruciare della paglia sulla riva di un
fiume senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione. Ciò costituisce una violazione
dell’articolo 10.3 comma 2 della legge sulla protezione dell’ambiente, condotta san-
zionata penalmente ai sensi dell’articolo 1 della wed, nonché violazione dei regola-
menti comunali (algemeen plaatselijke verordening, apv) rispettivamente del comune
di Alkmaar e di Obdam.
In primo grado il Tribunale aveva verificato la sussistenza delle condizioni richie-
ste dalla giurisprudenza e aveva ritenuto che gli enti in questione fossero organi pub-
blici ai sensi del capitolo 7 della Costituzione. Inoltre, il Tribunale aveva ritenuto che
l’attività fosse stata eseguita nell’adempimento di un compito di carattere pubblico,
il mantenimento e la gestione dei canali provinciali: per tale ragione l’azione della
pubblica accusa era stata dichiarata irricevibile.
A fronte di detta decisione, il p.m. ha proposto ricorso in Cassazione ritenendo
che pur esistendo per gli enti pubblici alternative di condotte «lecite» – ovvero bru-
ciare la paglia previa autorizzazione o, in alternativa, rimuovere la stessa dalla riva del
fiume – essi avevano violato la normativa vigente, senza perseguire alcun compito
56
  Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 37 e Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie
naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 94.
57
  Hoge Raad 23 aprile 1996, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1996/512.
58
  Hoge Raad 23. aprile 1996, in «Nederlands Juristenblad», n.61, 14 giugno 1996.
L’ordinamento olandese 51

pubblico specifico. La pubblica accusa ha reiterato la richiesta di condanna. La Corte


di Cassazione ha rigettato il ricorso, rilevando come correttamente il Tribunale avesse
ritenuto che le condotte tenute dalla Provincia e dall’Autorità per le acque pubbliche
integrassero l’esecuzione di un compito pubblico. Il fatto che nel caso specifico gli
imputati avessero omesso di compiere quanto necessario per evitare che si verificasse-
ro fatti penalmente rilevanti non ha inciso sulla decisione della Corte.
Il caso Pikmeer, invece, risulta particolarmente interessante perché la Suprema
Corte non si è occupata (solamente) della perseguibilità penale della persona giuridi-
ca, ma (soprattutto) della posizione dei dirigenti di fatto e delle persone che hanno
dato l’ordine di porre in essere la condotta illecita.
Nel caso specifico, il Comune di Boarnsterhim era stato accusato di aver gettato
nel lago Pikmeer dei fanghi inquinanti, in violazione dell’art. 1 comma 3 sull’in-
quinamento ambientale, fattispecie sanzionata penalmente ai sensi dell’art. 1 wed.
Insieme al Comune era stata indagata anche una società di diritto privato che aveva
partecipato alla realizzazione della condotta illecita.
In primo grado il Tribunale ha ritenuto che il Comune avesse agito nell’esecu-
zione di un compito pubblico e che, trattandosi di ente ai sensi del capitolo 7 della
Costituzione, lo stesso non poteva essere perseguito. Tuttavia ciò, a parere dell’orga-
no giudicante, non impediva di considerare il Comune autore del fatto illecito con
la conseguenza che i dirigenti di fatto e coloro che avevano dato l’ordine avrebbero
potuto essere perseguiti.
La Corte di Cassazione ha contraddetto questa tesi sostenendo che la persegui-
bilità delle persone giuridiche, da un lato, e dei dirigenti di fatto e di coloro che
hanno dato l’ordine, dall’altro, si trovano in una posizione di interdipendenza che
determina la non perseguibilità dei funzionari pubblici, qualora abbiano agito nell’e-
secuzione di un compito pubblico. La Cassazione ha sostenuto che l’irresponsabilità
della persona giuridica di diritto pubblico, impedisce di considerare la stessa «autore»
del fatto illecito con la conseguenza che nemmeno coloro che hanno agito in quel-
le particolari posizioni possono essere perseguiti. Rimarranno quindi perseguibili
unicamente le persone fisiche che materialmente hanno posto in essere la condotta
incriminata59.
Il ragionamento può essere condiviso nella misura in cui si considera l’irrespon-
sabilità degli enti pubblici non come una semplice causa di non procedibilità, ma
come un vero e proprio ostacolo all’affermazione della responsabilità penale dell’ente
pubblico. Infatti, se non è possibile qualificare autore del reato la persona giuridica,
nemmeno la responsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine
59
  Roef, Th. De Ros, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de rechtspersoon im Nederland;
rechtstheoretische beschouwingen bij enkele praktische knelpunten, in De strafrechtelijke en civielrechtelijke
aansprakelijkheid van de rechtspersoon en zijn bestuurders, red. Michael Faure, Intersentia, Antwerpen
1998, p. 98.
52 E. Pavanello

potrà venire in rilievo. Parte della dottrina, nel condividere la decisione della Corte,
ha evidenziato che i soggetti menzionati sono partecipi, al pari dell’ente pubblico,
di competenze di carattere pubblicistico, il che impedisce di procedere nei loro con-
fronti60. Secondo altri studiosi invece, la sentenza va criticata poiché non sussistono
ostacoli nel prevedere una responsabilità penale nei confronti dei soggetti menzionati
al secondo comma n. 2 dell’art. 51 c.p.61, indipendentemente dall’immunità goduta
dagli enti pubblici.
L’interpretazione proposta dalla Corte di Cassazione determina, in concreto, la
violazione del principio di eguaglianza giuridica tra i soggetti fisici, a seconda che
gli stessi siano alle dipendenze delle persone giuridiche di diritto privato o di diritto
pubblico. Proprio nel caso di specie detta disuguaglianza è risultata manifesta in
quanto i soggetti dipendenti della società privata che avevano partecipato alla realiz-
zazione della condotta criminosa sono stati condannati, mentre quelli alle dipenden-
ze del Comune hanno potuto fare appello all’irresponsabilità.

7. Le posizioni della dottrina sulla perseguibilità delle persone giuridiche di diritto


pubblico (enti decentrati).

7.1. Gli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità penale.

La dottrina olandese si è interrogata sul fondamento dell’irresponsabilità degli


enti pubblici e sull’opportunità di una simile soluzione, enucleando le argomentazio-
ni a favore e contro una siffatta impostazione. La riflessione scientifica molto spesso
si è tuttavia limitata ad accennare alle questioni senza approfondirle in modo com-
piuto: si ritiene comunque opportuno dare conto dei diversi argomenti individuati
dalla dottrina, ancorch’è si tratti di mere sollecitazioni critiche.

7.2. L’impossibilità per il giudice penale di vagliare la legittimità dell’attività della


pubblica amministrazione: responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto
pubblico e violazione del principio della divisione dei poteri. Critiche.

Uno dei principali argomenti addotti a sostegno dell’irresponsabilità penale delle


persone giuridiche di diritto pubblico è l’impossibilità per il giudice penale di sotto-
60
  Van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van
publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 591; J. Wortel, Verdachte overheden, in «Nederlands
Juristenblad» 1988, p. 1518.
61
  Torringa, Strafbaarheid van rechtspersonen, cit., p. 157.
L’ordinamento olandese 53

porre al proprio vaglio l’attività della pubblica amministrazione perché ciò contra-
sterebbe con il principio proprio di ogni stato di diritto della divisione dei poteri.
Anche se la Corte di Cassazione non ha fatto espressamente riferimento nelle proprie
decisioni a questo principio, l’argomentazione emerge implicitamente nella misura
in cui si esclude che i fatti illeciti compiuti nell’esercizio di un compito pubblico
possano essere sottoposti a giudizio penale.
Come noto il fondamento del principio risiede nella necessità di prevenire la
concentrazione e l’arbitrarietà del potere: a tal fine è necessario che i tre poteri le-
gislativo, esecutivo e giudiziario, mantengano un’autonomia l’uno rispetto all’altro
e siano esercitati da organi distinti. Sulla scorta di tale ragionamento la dottrina
olandese che si è posta a favore dell’irresponsabilità degli enti pubblici ha chiarito
che l’azione amministrativa dovrebbe essere libera da controlli e da condizionamenti
giudiziari (in modo cioè che sia garantita la beleidsvrijheid, libertà di scelta, e la beo-
ordelingsvrijheid, libertà di giudizio dell’amministrazione).
In modo criticabile è stato sostenuto, ad esempio, che la persona giuridica di
diritto pubblico non potrà essere perseguita per fatti che sono stati eseguiti in at-
tuazione di una decisione adottata secondo le regole democratiche da un organo a
ciò legittimato, come nel caso di una decisione adottata dal Consiglio Comunale62.
È pur vero tuttavia che la libertà d’azione dell’amministrazione può essere garantita
limitando la sfera di controllo del giudice penale alla legittimità della scelta dell’am-
ministrazione e non estendendo il giudizio anche all’opportunità politica della stessa:
quest’ultima non potrà mai essere posta in discussione, ma dovrà rimanere piuttosto
terreno di discrezionalità amministrativa. Proprio il giudizio penale sembra essere
l’unico in grado di garantire la necessaria trasparenza dell’attività pubblica63.
L’argomento in esame non risulta, dunque, realmente decisivo per giustificare
l’irresponsabilià penale degli enti pubblici, vieppiù in considerazione del fatto che
nulla impedisce di perseguire penalmente i singoli funzionari per i reati commessi
nell’esercizio delle loro funzioni, ancorch’è gli stessi detengano parte dell’autorità
pubblica propria degli enti pubblici cui appartengono64.
Non di secondario rilievo è poi la circostanza che esiste un controllo da parte
del giudice civile e amministrativo sull’attività dell’amministrazione pubblica. Al ri-
62
  Van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van
publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 593.
63
  De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor de verdachte overheid?, in Strafbaarheid van
overheden, cit., p. 56.
64
  Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 284 ricorda che nel sistema giuridico olandese, ad esempio,
i Ministri e i Segretari di Stato possono essere perseguiti penalmente tramite una procedura ad hoc
indicata nella Costituzione per gli atti illeciti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni (si confrontino
in particolare gli art. 42, 46, 119 Costituzione olandese); A. De Lange, De dictatuur van de magistratuur,
in «Nederlands Juristenblad», afl. 12, 1995, p. 442.
54 E. Pavanello

guardo ci si è interrogati sulla ragione per la quale al giudice penale dovrebbe essere
precluso un ambito di indagine che invece compete in modo pacifico ai giudici civile
e amministrativo65.

7.3. La perdita di fiducia da parte dei consociati nell’ente e di legittimazione


dell’attività di quest’ultimo in caso di condanna penale. Critiche.

Un’altra argomentazione che tradizionalmente viene addotta a sostegno dell’ir-


responsabilità degli enti pubblici decentrati è che i cittadini perderebbero la fiducia
nelle istituzioni pubbliche qualora gli enti in questione venissero sottoposti a proce-
dimento penale. Infatti, l’ente pubblico in quanto istituzione fondamentale nella vita
sociale avente come scopo il perseguimento del bene pubblico, sarebbe considerato
alla stregua di un comune «criminale», il che determinerebbe un senso di sconforto
in capo ai consociati66.
Strettamente legata alla sfiducia, si pone l’idea del venir meno della stessa legitti-
mità dell’azione pubblica: infatti, gli enti hanno la competenza di porre le norme e
di farle rispettare e la loro autorità – si sostiene − verrebbe minata laddove si ritenesse
che le autorità pubbliche sono sottoposte alle norme che esse pongono.
Queste argomentazioni paiono francamente poco convincenti e persuasive. Non
si può infatti seriamente sostenere che la perdita di fiducia da parte dei cittadini
consegua al fatto che l’ente viene sottoposto ad un procedimento penale. Piuttosto
si verificherà il contrario: la consapevolezza dell’impunità degli enti pubblici desterà
un senso di diffidenza nei confronti delle istituzioni e minerà la legittimità della loro
azione67.

7.4. Il versante sanzionatorio: il rischio per la continuità dell’attività dell’ente pubblico


in caso di condanna e la dannosità per i cittadini dell’eventuale sanzione pecuniaria
inflitta all’ente. Critiche.

Forti perplessità sono state manifestate dalla dottrina in ordine alla possibilità di
utilmente irrogare sanzioni penali nei confronti degli enti pubblici.
Per ciò che concerne in particolare le sanzioni pecuniarie, è stato ravvisato un
pericolo per la stessa continuità del servizio pubblico, il quale rischierebbe di essere
65
  Hendriks, De lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 42.
66
  U.T. Hoekstra, Reactie op «De dictatuur van de magistratuur», in «Nederlandse Jurisprudentie»,
1995, afl. 33, p. 1243.
67
  Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 43 e chr.
brants, Word vervolgd [...] Het Pikmeer ii-arrest, in «Delikt en Delinkwent», afl. 4, 1998, p. 328.
L’ordinamento olandese 55

paralizzato dal pagamento di somme rilevanti da parte dell’ente. Quest’ultimo, in-


fatti, rischierebbe di non disporre dei fondi necessari per poter garantire la regolare
prosecuzione della propria attività, rischio che non può essere tollerato perché, in
ultima analisi, l’effetto negativo della sanzione si ripercuoterebbe proprio sui citta-
dini68. Inoltre, si è criticamente rilevato che la sanzione pecuniaria si tradurrebbe in
un mero passaggio di danaro da un dipartimento statale ad un altro producendo il
paradossale effetto che l’ente pubblico pagherebbe l’ammontare della sanzione ad
altro ente pubblico (vestzak-broekzak69). A seguito di una condanna, i consociati ve-
drebbero in sostanza diminuire la qualità dei servizi loro offerti dall’ente pubblico
(con eventuale aumento dei costi di detto servizio), mentre la sanzione pecuniaria
inflitta all’ente sarebbe (quasi) senza effetto per quest’ultimo.
A fronte di dette critiche occorre evidenziare, in primis, che la condanna penale
riveste un valore simbolico notevole. Essa, infatti, potrebbe determinare conseguenze
politiche di particolare rilievo sull’ente condannato, a beneficio quindi dei cittadini
i quali vedrebbero mutare l’assetto organizzativo «criminoso» dell’ente pubblico. Pe-
raltro gli effetti negativi della condanna si avrebbero anche qualora venisse irrogata
una sanzione pecuniaria nei confronti di una persona giuridica di diritto privato:
in tal caso saranno inevitabilmente colpiti anche i lavoratori e i detentori di azioni
sociali i quali non hanno partecipato al processo decisionale della condotta illecita,
ma nonostante ciò subiranno di fatto le conseguenze della sanzione eventualmente
applicata70. Inoltre, anche le persone giuridiche di diritto privato potrebbero far ri-
cadere la sanzione pecuniaria subita sui propri clienti attraverso l’aumento dei prezzi
dei prodotti o dei servizi71.
L’asserita inutilità della sanzione penale pecuniaria può altresì essere posta in dub-
bio laddove si consideri che molto spesso gli enti pubblici sono organizzati al pari di
qualsiasi società a carattere privato, dispongono di un proprio budget e sono partico-
68
  Analoghe argomentazioni sono state utilizzate sia dal legislatore francese che dal legislatore italiano
per giustificare l’impossibilità di estendere la responsabilità penale delle persone giuridiche anche agli
enti statali. Al riguardo si vedano in particolare i capitoli 3 e 7.
69
  Torringa, Strafbaarheid van rechtspersonen, cit., p. 158; Strijards, Aansprakelijkheidsgronden, cit., p.
6. L’espressione vestzak-broekzak che letteralmente significa «taschino della camicia-tasca dei pantaloni»,
può essere tradotta con l’espressione italiana «ciò che esce dalla porta, entra dalla finestra» e rende bene
l’idea dell’asserita «inutilità» dell’applicazione di un’eventuale sanzione pecuniaria.
70
  Van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van
publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 593. Contra Th.W. Van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid
van de overheid, in «RMThemis», n. 5, 2000, p. 166 (diversa è la posizione delle persone giuridiche di
diritto pubblico e privato, poiché nel caso delle persone giuridiche di diritto privato il fatto che la
sanzione pecuniaria ricada sugli azionisti della società, sarebbe giustificabile in quanto gli stessi si sono
legati volontariamente alla società. Ciò invece non avviene per le persone giuridiche di diritto pubblico
in cui la sottoposizione alle stesse è per così dire «automatica» e soprattutto non volontaria).
71
  Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 46.
56 E. Pavanello

larmente «sensibili» a un’eventuale condanna che potrebbe determinare conseguenze


negative anche sotto il profilo finanziario.
È bene considerare inoltre che l’arsenale sanzionatorio penale non è limitato alle
sole pene pecuniarie e che si potrebbero utilizzare sanzioni alternative ove ad essere
condannati fossero gli enti pubblici. Al fine di evitare una paralisi del servizio pub-
blico sarebbe ad esempio sufficiente escludere legislativamente l’applicazione delle
disposizioni sanzionatorie che potrebbero determinare un’effettiva interruzione del
servizio, quali la chiusura dello stabilimento72.
Da ultimo secondo alcuni studiosi le medesime argomentazioni addotte con ri-
ferimento al diritto penale dovrebbe valere nell’ipotesi dell’applicazione di sanzioni
civili o amministrative: anche in questo caso infatti l’ente potrebbe rivalersi sui citta-
dini attraverso l’aumento dei prezzi dei servizi e la sanzione potrebbe diventare in ul-
tima analisi «inutile»73. Tuttavia, tale rilievo non ha finora limitato l’utilizzo di detto
sistema sanzionatorio nel diritto civile e amministrativo74. Si tratta di un’obiezione
sicuramente suggestiva che, tuttavia, rischia di confondere i diversi piani di indagine.

7.5. L’impossibilità di sovrapporre il controllo penale dell’attività degli enti pubblici


a quelli già esistenti sul piano politico e amministrativo. Critiche.

Un’ulteriore ragione che ha indotto ad affermare l’impossibilità del controllo pe-


nale dei comportamenti posti in essere da parte degli enti pubblici viene rinvenuta
nel fatto che gli stessi sarebbero già sottoposti ai controlli politico e amministrativo.
Per controllo politico si fa riferimento al fatto che in molti casi l’ente deve rispon-
dere del proprio operato di fronte ad un organo che dispone di poteri di controllo
sulla sua attività, così come avviene a livello comunale per il Sindaco e gli assessori
i quali sono responsabili nei confronti del Consiglio Comunale (art. 169, comma 1
della legge comunale). Quanto al controllo amministrativo, si cita l’esempio della
necessità da parte dei membri del Consiglio Comunale di ricevere l’approvazione da
parte dei deputati statali (art. 259, comma 1 legge comunale).
La dottrina che invoca siffatto ostacolo fonda il proprio ragionamento sul fatto
che accettare la possibilità di una sanzione penale nei confronti degli organi pubblici
72
  Questa è stata la scelta operata dal legislatore francese che ha espressamente escluso l’applicabilità di
talune sanzioni qualora siano coinvolti enti pubblici nella commissione del reato.
73
  Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 300.
74
  Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 59-60.
L’ordinamento olandese 57

decentrati significherebbe in sostanza controllare il potere politico: si parla in questo


senso di una giustizializzazione della politica75.
Anche questa argomentazione, come quelle sino a qui illustrate, è stata sottoposta
ad analisi critica per più di una ragione.
In primo luogo perché si è contestata l’ineffettività del controllo politico e la
diversa natura delle sanzioni comminate76. Esse, infatti, sono correlate a presupposti
diversi e comportano ovviamente conseguenze assai differenti.
Inoltre, anche in questo caso si sono messe a paragone le sanzioni previste nel
diritto civile e amministrativo ove da molto tempo si ammette la possibilità di pro-
cedere nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico: conseguentemente
non è dato comprendere la ragione di preclusione di un controllo penale77.
Una terza critica viene mossa, invece, in relazione al fatto che l’esistenza di un
controllo politico non ha mai impedito di perseguire penalmente le singole per-
sone fisiche che giocano un ruolo nell’ambito dell’ente. Se si può condividere, per
un verso, che la perseguibilità della singola persona fisica e della persona giuridica
siano ancorati a presupposti diversi, per l’altro, è innegabile che la condotta mate-
riale rilevante sia la stessa in entrambi i casi e concerna il comportamento illecito di
determinate persone nell’esercizio di una funzione pubblica78. L’asserita incompati-
bilità tra funzione pubblica e controllo penale può quindi essere fortemente messa
in discussione.
Infine, è stato stigmatizzato il fatto che detta argomentazione escluda in toto l’ap-
plicazione di sanzione penale nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubbli-
co e non attribuisca invece al diritto penale un ruolo meramente sussidiario79.

75
  D.J. Elzinga, Heethoofdige reacties op het Pikmeerarrest, in «Binnenlands Bestuur», n. 20, 1997, p.
39. Detta argomentazione è stata sostenuta anche dal Consiglio di Stato nel parere emesso in data 28
aprile 1999 su cui infra.
76
  A.M. Fransen, Crimineel overheidsgedrag in de doofpot Een ongeschreven titel van het Wetboek
van Strafrecht, in «Nederlands Juristenblad», afl. 1, 1997, p. 13; Th.G. Drupsteen, De overheid
straffeloos, in «Milieu en Recht», n. 9, 1996, p. 155; P. Bordewijk, Strafvervolging van overheden,
een bestuurlijk labyrint, in «Openbaar bestuur», afl. 11, 1997, p. 17; Roef, De strafbaarheid van
overheden en leidinggevende ambtenaren; enkele beschouwingen naar aanleiding van het Pikmeer-arrest, in
«Jurisprudentie Bestuursrecht», afl. 16, 1996, p. 1116.
77
  Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 42; Wortel,
Verdachte overheden, cit., p. 1516; Fransen, Crimineel overheidsgedrag in de doofpot Een ongeschreven titel
van het Wetboek van Strafrecht, cit., p. 12-13; Brants, De lange, Strafvervolging van overheden, Gouda
Quint,Deventer, 1996, p. 80; Brants, Word vervolgd... Het Pikmeer ii-arrest, cit., p. 328.
78
  Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 296.
79
  De Lange, De dictatuur van de magistratuur, cit., p. 445; De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke
positie voor de verdachte overheid?, cit., p. 62.
58 E. Pavanello

7.6. Gli argomenti contro l’irresponsabilità penale.

Sino ad ora sono stati illustrati gli argomenti addotti a sostegno dell’immunità
penale degli enti pubblici.
A questo punto della ricerca si intendono enucleare le ragioni sostenute da coloro
che invece hanno invocato la necessità di procedere penalmente nei confronti delle
persone giuridiche di diritto pubblico.

7.7. La necessità di fronteggiare la criminalità diffusa all’interno degli enti pubblici.


L’immunità e la conseguente violazione del principio di eguaglianza tra le diverse persone
giuridiche.

Al di là delle argomentazioni specificamente addotte per contestare l’irresponsa-


bilità penale degli enti pubblici (su cui infra), la necessità di utilizzare lo strumento
penale anche nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico è stato giu-
stificato per l’esigenza di far fronte ad una criminalità diffusa all’interno di enti e
società, in cui la semplice individuazione delle persone fisiche responsabili (ammesso
che ciò sia possibile) non è in grado di garantire una risposta sanzionatoria adeguata.
Il fondamento quindi è il medesimo che ha condotto il legislatore olandese ad in-
trodurre nel 1976 la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto privato.
Seguendo la posizione della Corte di Cassazione sin qui illustrata, infatti, le uni-
che persone che dovrebbero «rispondere» per le violazioni del diritto penale sono i
soggetti fisici che hanno agito nell’ambito degli enti pubblici, i quali spesso saran-
no solo i capri espiatori di un’organizzazione «criminosa» ben più estesa. È esclusa,
infatti, la responsabilità dei dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine
di commettere un’attività illecita i quali potranno fare appello all’immunità penale.
Risultato, questo, non accettabile secondo parte della dottrina olandese.
L’impossibilità di procedere penalmente nei confronti delle persone giuridiche di
diritto pubblico sarebbe vieppiù ingiustificata se si raffronta la posizione degli enti
pubblici con quella delle persone giuridiche di diritto privato.
È il principio di eguaglianza quindi ad essere violato sotto più di un profilo laddo-
ve venga riservato un trattamento penale differenziato ai diversi soggetti di diritto80.
Infatti, da un punto di vista generale, mentre le persone giuridiche di diritto pubbli-
co ai sensi del capitolo 7 della Costituzione che hanno agito in esecuzione di un com-
pito pubblico sono esenti da responsabilità, le persone giuridiche di diritto privato
(ancorché abbiano agito in esecuzione di analogo compito pubblico) sono sempre
80
  M.L.W.M. Viering, R.J.G.M. Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer
ii, in «Strafbaarheid van overheden», Tjeenk Willink, Deventer 1998, p. 70.
L’ordinamento olandese 59

soggette a responsabilità penale. L’esecuzione del compito pubblico (overheidstaak) −


la cui nozione resta peraltro vaga ed oscura − può infatti essere attribuita anche agli
enti privati: se il fondamento dell’irresponsabilità risiede nel fatto che la natura del
compito sia di tale rilievo che qualsiasi controllo sulla legittimità della sua esecuzione
è precluso al giudice penale, non si vede per quale ragione le persone giuridiche di
diritto privato non dovrebbero godere di analoga irresponsabilità81. Peraltro dubbi
sono stati fondatamente espressi in relazione all’effettiva linea di discrimine tra «pub-
blico» e «privato»82.
Senza contare che, anche all’interno della stessa categoria «persone giuridiche di
diritto pubblico», il principio di eguaglianza verrebbe violato poiché gli enti elencati
nel capitolo 7 della Costituzione potrebbero invocare l’esenzione da responsabilità,
mentre gli altri enti pubblici − a prescindere dal fatto che abbiano agito o meno per
l’esecuzione di un compito pubblico − non potrebbero mai invocare detta esenzio-
ne. Esemplificativo al riguardo il caso delle autorità amministrative indipendenti:
ove esse siano dotate di propria personalità giuridica risponderanno penalmente in
quanto trattasi di enti non indicati nel capitolo 7 della Costituzione; laddove, invece,
non abbiano rilevanza autonoma e siano parte di uno degli enti indicati nel capitolo
7 della Costituzione potranno fare appello all’immunità83.
Da ultimo, è stata criticamente valutata la posizione delle persone fisiche che
hanno agito in qualità di dirigenti di fatto o di coloro che hanno dato l’ordine: il trat-
tamento giuridico cui le stesse sono sottoposte è diversificato a seconda che abbiano
agito per una persona giuridica di diritto privato (o un ente pubblico che non può
essere considerato tale ai sensi del capitolo 7 della Costituzione) e un ente pubblico.
Disparità di trattamento che è manifesta dall’analisi del caso Pikmeer i: i giudici han-
no infatti condannato le persone fisiche che avevano agito nell’ambito della società
di diritto privato, mentre non hanno proceduto nei confronti dei dipendenti del
Comune di Boarnsterhim, in quanto anch’essi hanno potuto invocare l’immunità.
Detta disuguaglianza determinerebbe, secondo parte della dottrina, sfiducia dei
cittadini nei confronti delle istituzioni che hanno violato la legge penale: il rischio
è che venga messa in discussione la stessa legittimità dell’azione degli enti pubblici.
Senza contare poi che l’ente pubblico dovrebbe svolgere una funzione di esempio per
gli altri soggetti: quale esempio potranno trarre i cittadini dal fatto che le istituzioni
di diritto pubblico hanno violato la legge penale e per di più restano impunite84?
81
  De Lange, De dictatuur van de magistratuur, cit., p. 444; Hendriks, De Lange, Strafvervolging van
overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 43.
82
Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit.,p. 64.
83
  Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer ii, cit., p. 71.
84
  Ivi, p. 70; Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p.
43; van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar?, cit., p. 62-71 e bibliografia ivi citata.
60 E. Pavanello

Come è possibile notare molto spesso gli argomenti addotti a sostegno dell’im-
munità, vengono posti alla base delle riflessioni di quella parte della dottrina che
invece ritiene imprescindibile prevedere una responsabilità penale delle persone giu-
ridiche di diritto pubblico. Si tratta di una circostanza assai indicativa poiché dà atto
della spinosità della questione, non esistendo argomentazioni dirimenti che possono
essere addotte a sostegno dell’una o dell’altra opzione.
Si rileva comunque che anche se la maggior parte della dottrina auspica la parifi-
cazione della posizione delle persone giuridiche di diritto pubblico a quelle di diritto
privato (un’indubbia maggioranza), essa non contesta che l’ente pubblico presenti
caratteristiche del tutto peculiari che inducono a limitare il ricorso allo strumento
penale. Strumento che dovrà essere calibrato sia per ciò che concerne le sanzioni da
applicare, sia per ciò che riguarda le norme che regolano la procedura, rendendo ad
esempio particolarmente pregnanti le valutazioni in ordine alla possibilità di eserci-
tare l’azione penale che nel sistema olandese non è obbligatoria85.

8. La posizione del Governo: la necessità di perseguire gli enti pubblici che hanno posto
in essere la condotta illecita al di fuori dell’attività di esecuzione di un compito pubblico
intesa in senso «materiale».

In seguito alle pronunce giurisprudenziali che hanno sancito la parziale irrespon-


sabilità penale degli enti pubblici decentrati, il Governo, su istanza di alcuni par-
lamentari che chiedevano un chiarimento della posizione dell’esecutivo, in data 4
aprile 1997, ha adottato il rapporto Strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheidsor-
ganen (Responsabilità penale degli enti pubblici)86. In tale rapporto il Governo si è
dichiarato in sostanziale accordo con i principi statuiti dalla giurisprudenza Pikmeer
i e ha ritenuto non necessario procedere ad una modifica legislativa dell’art. 51 c.p.
L’esecutivo ha affermato, infatti, che alla stregua del principio di eguaglianza giu-
ridica è necessario riconoscere che anche le persone giuridiche di diritto pubblico
sono sottoposte al diritto e alle sanzioni dallo stesso previste, così come avviene per
tutti i cittadini. Tuttavia, ciò non implica, secondo il Governo, che la sanzione debba
essere necessariamente di carattere penale. Al contrario, occorrerà incentivare l’uso
delle sanzioni di carattere amministrativo e politico, ad esempio, estendendo la possi-
bilità di annullare le decisioni adottate dagli organi pubblici in caso di contrasto con
la legge penale o aumentando le ispezioni di carattere amministrativo.
Il controllo penale non è, quindi, escluso ma deve essere relegato ad ipotesi ben li-
mitate, soprattutto in considerazione del fatto che una sanzione pecuniaria inflitta ad
  De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor de verdachte overheid? , cit., p. 57-58.
85

  Si tratta della relazione presentata dal Governo alla seconda Camera rinvenibile in «Tweede Kamer,
86

vergaderjaar», 25, 1996-1997, p. 294.


L’ordinamento olandese 61

una persona giuridica di diritto pubblico potrebbe avere effetti deleteri nei confronti
dei cittadini87. Il Governo ha chiarito in particolare che la sanzione penale dovrebbe
trovare applicazione al di fuori delle ipotesi in cui l’ente pubblico agisce per l’esecu-
zione di un compito pubblico. E ciò in quanto la libertà di azione dell’amministra-
zione, ovvero la libertà di valutare i diversi interessi in gioco e di adottare le misure
ritenute più opportune, non può essere limitata dal controllo del giudice penale88.
Per determinare quando l’ente abbia agito nell’esecuzione di un compito pubbli-
co non è sufficiente rinvenire una norma giuridica che attribuisca una determinata
competenza all’ente in questione (criterio formale), ma si ritiene piuttosto necessario
valutare anche se l’attività sia stata posta in essere proprio nell’esecuzione di (ter uit-
voering van) quel compito pubblico (criterio materiale). In particolare, per valutare
l’esecuzione del compito pubblico occorre procedere a due distinte considerazioni
di carattere tipicamente «materiale», ovvero la verifica della misura in cui la condot-
ta posta in essere sia connessa all’esecuzione del compito de quo e dell’esistenza di
un procedimento decisionale di approvazione da parte dei soggetti rappresentativi
dell’ente democraticamente eletti (ad esempio, nel caso del Comune, il Consiglio
Comunale). Quanto alla seconda valutazione anche laddove la condotta sia stata
legittimata da un organo democraticamente eletto, ciò non significherà automatica-
mente che la relativa decisione sia stata adottata in modo diligente e rispettando le
norme di diritto89.
In ogni caso è indubbio che l’approccio del Governo alla questione si diversifi-
ca rispetto al criterio eminentemente formale del compito pubblico indicato dalla
Corte di Cassazione, nonostante le dichiarazioni dell’esecutivo di condividere pie-
namente la giurisprudenza del Supremo Collegio90. Come si ricorderà quest’ultima,
infatti, si era limitata nelle proprie sentenze a ricercare una norma che attribuisse un
determinato compito all’ente pubblico, al fine di considerare immune l’attività dallo
stesso posto in essere.
Colpisce il fatto, poi, che il Governo non abbia esaminato il criterio adottato dal-
la giurisprudenza per distinguere i soggetti pubblici immuni – ovvero la loro enun-
87
  De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor de verdachte overheid?, cit., p. 60 è critico rispetto
a questo approccio poiché ogni sanzione penale produce inevitabilmente degli effetti negativi nei
confronti dei terzi e, per tale ragione, l’argomentazione non è in alcun modo probante.
88
  Roef, Strafbare. overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 109 osserva sul punto che la medesima argomentazione non
viene invocata per limitare il controllo da parte del giudice civile o amministrativo. È evidente che
il controllo sull’operato dell’amministrazione da parte del giudice penale dovrebbe essere consentito
nella stessa misura in cui è ammesso per il giudice civile o amministrativo, ovvero con riferimento alla
legittimità del comportamento e non certo all’opzione scelta.
89
  Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 110.
90
  Sul punto cfr. Roef, ibidem.
62 E. Pavanello

ciazione nel capitolo 7 della Costituzione – considerando evidentemente corretta


l’opzione interpretativa adottata dalla Suprema Corte.

9. Le linee guida adottate dai pubblici ministeri sulla perseguibilità degli enti pubblici
decentrati: diritto penale come ultimo rimedio.

L’opinione dei pubblici ministeri che si illustra nel presente paragrafo si pone in
contrasto rispetto alle posizioni espresse dalla giurisprudenza e dal Governo: la pub-
blica accusa ha mostrato, infatti, di condividere talune perplessità rispetto al sistema
di (ir)responsabilità consacrato dalla giurisprudenza. La posizione dei pubblici mini-
steri con riferimento alla responsabilità penale degli organi pubblici è stata espressa
nelle linee guida del 199791.
In prima battuta, nel 1994, il Collegio dei pubblici ministeri aveva rilevato come
le persone giuridiche di diritto pubblico che violano le prescrizioni legali in principio
non possano ricevere un trattamento sanzionatorio diverso rispetto alle altre perso-
ne giuridiche92. In un sistema democratico, infatti, tutti i comportamenti dell’ente
pubblico devono poter essere sottoposti al sindacato del giudice penale. Le persone
giuridiche di diritto pubblico sono dunque punibili e perseguibili penalmente indi-
pendentemente dal tipo di attività svolta.
Nel dicembre del 1996, in reazione al rapporto governativo sopra illustrato, il
Collegio dei pubblici ministeri ha emesso un nuovo parere circa la perseguibilità
degli enti pubblici. Nello stesso è emersa la preoccupazione della pubblica accusa che
la giurisprudenza Pikmeer i lasci poco spazio alla possibilità di perseguire penalmente
gli enti pubblici ed è stata messa in luce l’esistenza di alcuni aspetti che fanno dubi-
tare della correttezza della posizione adottata in tale sentenza.
Essi si sono interrogati sulla ragione per cui la teoria della separazione dei poteri
dovrebbe valere con riferimento alla sanzione penale e non, invece, alle sanzioni civili
e amministrative che vengono comminate agli enti pubblici. È stato poi posto in
discussione il criterio degli enti pubblici di cui al capitolo 7 della Costituzione, che
esclude dal novero dei soggetti che possono fare appello all’immunità penale tutte le
altre persone giuridiche di diritto pubblico, ancorch’è agiscano nell’esecuzione di un
compito pubblico.
Sotto il profilo della teoria del diritto penale relegare il controllo penale ad ambiti
ristretti come quelli auspicati dalla giurisprudenza risulta, a parere del Collegio dei
Procuratori, molto pericoloso perchè solo il diritto criminale può assolvere a una
91
  I pubblici ministeri hanno la possibilità in Olanda di dotarsi di specifiche linee guida in determinate
materie alle quali si atterranno nell’esercizio dell’azione penale.
92
 Trattasi del parere reso dal Collegio dei p.m. nel luglio 1994, pubblicato in «Leidraad Milieu,
Openbaar Ministerie», 1994, p. 16-22.
L’ordinamento olandese 63

funzione di prevenzione e correzione. A ciò si aggiunge che i controlli politico e am-


ministrativo, nella pratica, non sempre risultano molto efficaci, sia perchè gli organi
di controllo a ciò preposti non dispongono di mezzi investigativi efficaci, sia perchè,
molto spesso, sono proprio gli organi che hanno violato la norma a disporre della
potestà di controllo. Il deficit di controllo penale determinerebbe, secondo i pubblici
ministeri, una perdita di fiducia da parte dei cittadini nell’integrità e nella credibilità
dell’ente pubblico.
Da un punto di vista della procedura penale si è rilevato, inoltre, come tanto nel
codice penale quanto nella wed siano messi a disposizione una serie di strumenti
investigativi maggiormente incisivi al fine di punire le violazioni della legge, rispetto
agli strumenti propri dei controlli amministrativo e politico.
Il Collegio ha proposto quindi di procedere ad una revisione dell’art. 51 c.p.
mediante l’introduzione di un quarto comma in cui si indichi chiaramente che nel
concetto di persona giuridica sono compresi anche lo Stato e gli altri enti pubblici.
A fronte di queste riflessioni, nel 1997, sono state pubblicate le linee guida in
materia che hanno indicato una serie di criteri da seguire nel caso in cui si debba
procedere nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico. Innanzitutto
occorre verificare se la persona giuridica possa essere considerata autore del reato e se
sussista la colpa, in virtù dei criteri del potere e dell’accettazione. In secondo luogo,
si valuterà se la persona giuridica de qua appartenga o meno agli enti elencati nel
capitolo 7 della Costituzione. Ove la risposta alle due domande precedenti sia affer-
mativa, il p.m. può procedere con l’azione penale solo se:

i) la condotta tenuta dall’ente pubblico in violazione delle norme penali non


rilevi per l’esecuzione di un compito pubblico;
ii) la condotta in oggetto pur rilevando per l’esecuzione del compito pubblico,
non sia stata adottata soppesando con attenzione tutti gli interessi amministrativi
in gioco;
iii) la condotta metta in pericolo la vita degli essere umani;
iv) si tratti di un’ipotesi di flagranza di reato;
v) si tratti di una violazione intenzionale delle cosiddette prescrizioni fondamen-
tali (kernvoorschriften) che comporta una minaccia ai beni giuridici protetti dalle
stesse norme.

10. Primi rilievi critici.

Dall’analisi della giurisprudenza e della dottrina sviluppatesi a seguito


dell’introduzione dell’art. 51 c.p. emerge che, nonostante la disposizione codicistica
non prevedesse preclusioni di sorta al perseguimento degli enti pubblici, forte è stata
64 E. Pavanello

l’esigenza di garantire alle persone giuridiche di diritto pubblico un trattamento


diversificato.
I primi tentativi giurisprudenziali di circoscrivere l’ambito di operatività del-
la norma non possono essere considerati soddisfacenti, atteso che lasciano spazio
a dubbi interpretativi. Quanto alle posizioni espresse dalla dottrina, nessuno degli
argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità degli enti pubblici sembra cogliere
nel segno ed essere del tutto convincente. A parere di chi scrive né la dottrina, né
la giurisprudenza sono riuscite ad individuare delle ragioni persuasive per negare la
possibilità di procedere nei confronti degli enti di cui al capitolo 7 della Costituzione
nell’esecuzione di un compito pubblico.
Al contrario, più convincenti sono le considerazioni addotte dalla dottrina e dai
pubblici ministeri in favore della perseguibilità penale degli enti decentrati: l’approc-
cio «materiale» invocato, consente infatti al pubblico ministero di limitare l’azione
penale alle sole ipotesi in cui ciò si riveli effettivamente necessario. Questo approccio
contrasta con quello indicato dalla Corte di Cassazione la quale ha adottato, come
visto, un criterio «formale» e non ha mai fatto alcun riferimento, nelle proprie sen-
tenze, alla valutazione dell’interesse pubblico in gioco. La Suprema Corte ha ritenuto
addirittura sufficiente affinché l’ente decentrato vada esente da responsabilità l’esi-
stenza di un’approvazione della decisione da parte di un organo rappresentativo: ciò
tuttavia non garantisce in alcun modo che la decisione de qua sia stata adottata con
i dovuti criteri di diligenza, ma è semplicemente indicativo del fatto che la scelta è
stata fatta nel rispetto delle regole procedurali democraticamente stabilite93.
Al fine di verificare se sia stato effettivamente rispettato il dovere di diligenza da
parte dell’ente pubblico, e quindi se questi possa andare esente da responsabilità
penale, è più opportuno allora guardare al contenuto della condotta e comparare la
natura degli interessi protetti: da un lato, quello tutelato dal codice penale attraverso
la previsione della fattispecie e, dall’altro, quello cui mira la norma che conferisce
l’esecuzione di determinati compiti pubblici agli enti de quibus.
Si rileva infine che anche la dottrina che così fortemente ha contrastato l’idea
dell’irresponsabilità penale in favore di tali soggetti di diritto, ha tuttavia sostenuto
che l’azione penale nei confronti degli enti pubblici debba essere limitata a poche
ipotesi in cui è manifesta la violazione dell’interesse pubblico e che debbano sempre
essere privilegiati i controlli amministrativo e politico.

93
  Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 97.
L’ordinamento olandese 65

11. La revisione dei criteri adottati dalla giurisprudenza sulla possibilità di perseguire
penalmente gli enti pubblici decentrati (caso Pikmeer ii).

La possibilità di perseguire penalmente l’ente pubblico decentrato è tornata al


centro della riflessione giurisprudenziale olandese con la sentenza Pikmeer ii94: infatti,
il caso Pikmeer i giunto in Cassazione e sottoposto a revisione, è stato nuovamente
esaminato dalla Suprema Corte che ha adottato criteri di giudizio affatto diversi ri-
spetto a quelli in precedenza utilizzati.
Dalla lettura della sentenza emerge chiaramente che il Supremo Collegio ha te-
nuto in considerazione le forti critiche che la dottrina aveva espresso in relazione alla
giurisprudenza Pikmeer i e ha così (parzialmente) modificato il proprio orientamento.

11.1. La statuizione del principio della necessità della sottoposizione dell’ente pubblico
decentrato alla legge penale. Le critiche al criterio dell’attività di esecuzione di un compito
pubblico e l’affermazione della compatibilità dei controlli politico, amministrativo e
penale sull’attività degli enti pubblici.

Tre sono le premesse fondamentali che la Corte di Cassazione pone per giustifi-
care la propria decisione.
Innanzitutto, afferma che l’ente pubblico decentrato è sottoposto alla legge: per
la prima volta si statuisce espressamente che, al pari di ogni cittadino, anche l’ente
pubblico deve rispettare le norme. Tuttavia, a parere della Corte, da tale premessa
non discende automaticamente che l’attività degli enti pubblici possa essere sempre
sottoposta al controllo penale: l’irresponsabilità dovrà pertanto essere mantenuta,
anche se diversi sono i criteri che la Corte indica per delimitare la stessa95.
La seconda premessa della Corte costituisce una constatazione di fatto, ovvero
che il criterio (formale) dell’overheidstaak individuato per delimitare le ipotesi di
irresponsabiliità penale non è soddisfacente. Esso infatti non consente al giudice di
valutare in concreto quando un comportamento penalmente rilevante sia stato tenu-
to nell’esecuzione di un compito pubblico: la semplice esistenza di una norma che
attribuisca un compito di natura pubblicistica ad un ente pubblico decentrato non
potrà sic et sempliciter ritenersi sufficiente. Occorrerà piuttosto valutare se l’azione pe-
nalmente rilevante posta in essere dalla persona giuridica di diritto pubblico sia giu-
stificata in relazione agli interessi in gioco, considerati i principi di proporzionalità e
sussidiarietà. Inoltre, molti dei compiti pubblici di competenza degli enti decentrati
vengono oggi giorno eseguiti da persone giuridiche di diritto privato (la Corte ha
94
  Hoge Raad, 6 gennaio 1998, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1998/367, con nota di JdH.
95
  Con ciò i giudici mostrano di condividere l’approccio espresso sulla questione dal Governo nel
rapporto Strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheidsorganen.
66 E. Pavanello

portato l’esempio della salvaguardia dei monumenti o del mantenimento delle strade
pubbliche), il che determina evidenti disparità di trattamento tra le diverse persone
giuridiche non accettabile.
Terza e ultima premessa posta dalla Corte concerne l’affermazione della piena
compatibilità dei controlli politico e amministrativo sugli organi decentrati con la
responsabilità penale. Anche questo è un dato importante che pone fine all’asserita
incompatibilità tra i diversi sistemi di controllo esistenti per giudicare sulla legittimi-
tà dell’attività pubblica.

11.2. L’affinamento dei criteri per l’attribuzione dell’immunità agli enti pubblici
decentrati. La statuizione della loro irresponsabilità penale laddove la condotta illecita
sia esecuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dal
funzionario pubblico.

Poste le premesse di cui sopra, la Corte ha ritenuto necessario affinare i criteri


dell’irresponsabilità, ciò che costituisce sicuramente la novità di maggior rilievo della
sentenza.
La Cassazione ha statuito infatti che possono fare appello all’«immunità» esclusi-
vamente gli enti pubblici indicati nel capitolo 7 della Costituzione, qualora abbiano
tenuto una condotta che per la sua natura e in base alle indicazioni legislative, può
essere posta in essere esclusivamente da funzionari pubblici che eseguono un compi-
to pubblico loro espressamente attribuito, cosicché è escluso che persone giuridiche
di diritto privato possano partecipare alla medesima attività96. In questo modo, per-
tanto, la Corte ha ristretto l’ambito di applicazione dell’immunità ai soli comporta-
menti che sono di dominio esclusivo degli enti pubblici in quanto si tratta di attività
che possono essere eseguite unicamente da funzionari pubblici97.
Nella sentenza non vi è alcuna indicazione per individuare quali siano detti com-
piti pubblici e la dottrina al riguardo non ha mancato di rilevare, come vedremo
infra, la genericità e la scarsa puntualità di detto criterio. Esso, tuttavia, nell’opinione
della Corte consentirebbe di superare le critiche avanzate dalla dottrina alla sentenza
Pikmeer i con riferimento alla disuguaglianza tra le diverse persone giuridiche: se,
infatti, le attività coperte da immunità sono di esclusiva competenza degli enti pub-
blici, ciò significa che una persona giuridica di diritto privato non potrà mai porre in
essere una condotta analoga e, pertanto, non vi sarà il rischio che a fronte di identi-
che condotte materiali, diverso sia il trattamento sanzionatorio.
  Si veda in particolare il punto 5.7. della sentenza citata.
96

  « De gedragingen niet anders dan door bestuursfunctionarissen konen worden verricht».


97
L’ordinamento olandese 67

Con l’estensione delle ipotesi in cui le persone giuridiche di diritto pubblico sono
perseguibili penalmente, aumenta anche il numero delle persone fisiche perseguibili
(dirigenti di fatto o coloro che hanno dato l’ordine): l’immunità di tali persone è
strettamente correlata a quella degli enti decentrati ove essi esplicano la propria at-
tività.
Alla luce dei nuovi criteri, è possibile ritenere pertanto che molti dei casi giuri-
sprudenziali in precedenza illustrati sarebbero stati risolti in modo diverso e avreb-
bero condotto ad una condanna dell’ente pubblico. Si pensi, ad esempio, al caso
Tilburg in cui è stato affermato il principio dell’attività esecutiva di un compito
pubblico: l’apposizione dei rallentatori di velocità è attività che può essere eseguita
anche da una società di diritto privato e, in quanto tale, non sarebbe più coperta
dall’immunità penale.

11.3. La possibile applicazione nei confronti degli enti decentrati che hanno posto in
essere la condotta illecita al di fuori dell’esecuzione di un compito pubblico di esclusiva
competenza del funzionario pubblico delle cause di giustificazione dello stato di necessità
e dell’adempimento del dovere.

Laddove l’ente decentrato non possa fare appello all’immunità (o perchè non ri-
entra tra quelli indicati nel capitolo 7 della Costituzione o perchè non ha agito nell’e-
secuzione di un compito pubblico nel senso sopra indicato), la Corte di Cassazione
ha indicato la necessità di procedere ad un’ulteriore verifica e valutare l’eventuale
sussistenza di cause di giustificazione (rechtsvaardigingsgronden) in favore dell’ente
che escludano l’antigiuridicità del fatto. La sentenza ha fatto espresso riferimento
all’ipotesi dell’adempimento di un dovere previsto da una norma di legge (art. 42
c.p., wettelijke voorschriften98) da parte dell’ente: l’attività posta in essere dallo stesso,
ancorché in violazione della norma penale, dovrebbe andare esente da pena in quan-
to un’altra previsione di legge imponeva all’ente di porre in essere quella determinata
condotta. La dottrina ha successivamente esteso tale ragionamento anche all’ipotesi
dello stato di necessità (art. 40 c.p., noodtoestand) cui eventualmente gli enti possono
fare appello99.
In questo modo la Suprema Corte ha dimostrato di optare per un approccio «ma-
teriale», volto a valutare gli interessi pubblici in gioco. Il controllo del giudice penale
98
  L’articolo 42 c.p. prevede che non è punibile la persona che ha commesso il reato in esecuzione di un
dovere imposto da una norma di legge.
99
  L’art. 40 c.p. prevede che non è punibile la persona che ha commesso il reato in conseguenza di
forza maggiore (overmacht). Mentre nella disposizione dell’art. 42 c.p. relativa all’adempimento di una
prescrizione di legge sussiste un contrasto tra due diverse norme di legge, nel caso dell’art. 40 c.p. (stato
di necessità), il contrasto sussiste tra due interessi giuridici diversi. Secondo Hendriks, De Lange,
68 E. Pavanello

dovrà essere limitato alla legittimità del comportamento e l’interesse che potrà giusti-
ficare la violazione della norma penale non potrà mai essere di natura finanziaria, ma
dovrà trattarsi piuttosto di interessi di particolare rilievo quali, ad esempio, la tutela
della salute o della sicurezza pubblica.

11.4. La necessità di valutare l’opportunità di procedere penalmente nei confronti


dell’ente pubblico responsabile e la possibilità di applicare sanzioni penali alternative
rispetto a quella pecuniaria.

Nell’ipotesi in cui l’ente decentrato non possa nemmeno invocare una causa di
giustificazione e si debba quindi procedere a condanna, il giudice penale nell’applicare
la sanzione potrà comunque tenere in considerazione la peculiare natura dell’ente stes-
so, decidendo di applicare una sanzione diversa rispetto a quella che applicherebbe in
situazione analoga ad una persona giuridica di diritto privato. Si potrà così ipotizzare
la condanna dell’ente a sanzioni «alternative» rispetto a quella pecuniaria, quali, ad
esempio, l’eliminazione del danno patito dalla parte offesa del reato, l’annullamento
dell’ingiusto profitto ottenuto dall’ente, la pubblicazione della sentenza. L’indicazio-
ne è di primaria importanza perchè consente di rispondere ad una delle principali
obiezioni avanzate in relazione all’impossibilità di perseguire penalmente una persona
giuridica di diritto pubblico, ovvero il cosiddetto argomento del vestzak-broekzak.
Ciò posto, la Corte di Cassazione ha voluto lasciare un’ulteriore spazio di «fuga» dal
diritto penale per gli enti pubblici decentrati indicando che, in ogni caso, il pubblico
ministero deve poter valutare liberamente l’effettiva opportunità di procedere penal-
mente (vervolgingsbeleid). Una ragione che, ad esempio, conduce a negare la necessità
di un intervento penale, si verifica quando sia già in corso un procedimento ammini-
strativo: sarà opportuno attendere l’esito dello stesso, prima di procedere penalmente.
Si ribadisce, quindi, il principio che il diritto penale costituisce ultimum remedium:
un uso sconsiderato della sanzione penale condurrebbe inevitabilmente ad una totale
apatia nei confronti degli altri sistemi di controllo. È bene dunque che lo stesso venga
utilizzato solo laddove gli altri mezzi repressivi non abbiano alcuna efficacia.

Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 44-46, proprio per tale motivo la
seconda scriminante indicata potrà essere invocata con maggior frequenza da parte di un ente pubblico
che ha agito violando la prescrizione penale nell’esecuzione di un’attività. Infatti, in queste ipotesi l’ente
avrà plausibilmente soppesato i diversi interessi giuridici in gioco e avrà ritenuto di agire violando le
norme penali, per garantire il perseguimento di un interesse pubblico. Con riferimento allo stato di
necessità Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer ii, cit., p. 78
ritengono che la scriminante potrà trovare applicazione nell’ipotesi in cui non è possibile attendere per
l’ente pubblico i tempi tecnici per l’emissione di una determinata autorizzazione in quanto ciò potrebbe
determinare ad esempio un grave pregiudizio all’ambiente.
L’ordinamento olandese 69

Il sistema delineato dalla Corte di Cassazione per gli enti pubblici decentrati pre-
vede una serie di verifiche che dovranno necessariamente essere effettuate prima di
poter procedere all’irrogazione della sanzione. Innanzitutto, il giudice deve chiedersi
se l’ente pubblico decentrato appartenga o meno a quelli indicati nel capitolo 7 della
Costituzione; poi dovrà procedere a verificare se la condotta vietata sia stata tenuta in
esecuzione di un compito pubblico attribuito all’ente pubblico dalla legge, compito
che può essere eseguito unicamente dai funzionari pubblici. Ove le risposte siano en-
trambe affermative, l’ente decentrato potrà fare appello all’immunità penale. In caso
contrario invece, si dovrà procedere a verificare l’eventuale operatività delle cause di
giustificazione e a valutare l’effettiva opportunità di procedere penalmente. Solo lad-
dove si ritenga assolutamente necessaria l’applicazione della sanzione penale, residua
comunque in capo al giudice la possibilità di utilizzare misure punitive diverse rispetto
a quelle che sarebbero state applicate in situazione analoga ad una persona giuridica
di diritto privato.
Dall’analisi della sentenza emerge come il sistema penale olandese attraverso la di-
screzionalità dell’azione penale, ben consenta di modulare la risposta sanzionatoria nel
caso in cui soggetti attivi del reato siano enti pubblici (decentrati). Tale impostazione
non potrebbe invece trovare applicazione in sistemi quale quello italiano, fortemente
vincolati al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.

12. Le reazioni critiche della dottrina.

Occorre osservare che, a differenza della sentenza Pikmeer i che aveva destato forti
critiche e perplessità da parte degli studiosi, la sentenza Pikmeer ii è stata accolta in
modo positivo dalla dottrina che ha condiviso l’impostazione di fondo della pronun-
cia, attraverso la quale è stato ristretto l’ambito di operatività dell’immunità penale
degli enti pubblici100. La pronuncia è stata valutata come un segnale positivo della
giurisprudenza che ha saputo interpretare le esigenze di eguaglianza giuridica cui la
dottrina con la propria critica aveva dato voce. Tuttavia, come si rileverà infra, essa è
stata criticata da taluni perché frutto di un «compromesso» non ancora sufficiente a
far fronte alle richieste di ampliamento dell’applicabilità dell’art. 51 c.p. alle persone
giuridiche di diritto pubblico avanzate e legittima, in alcuni casi, l’ente pubblico de-
centrato possa violare impunemente la legge penale101.

100
  Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 44.
101
  Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer ii, cit., p. 80.
70 E. Pavanello

12.1. L’ambito di operatività dell’irresponsabilità penale: alcuni dubbi interpretativi


in ordine alla nozione di compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente
dal funzionario pubblico.

Circa la misura dell’effettiva estensione della responsabilità penale degli enti pub-
blici, diverse sono state le interpretazioni della nozione di compito pubblico indivi-
duato nella sentenza.
Secondo un’interpretazione estensiva, infatti, l’immunità penale degli enti pub-
blici sarebbe stata completamente abolita poiché essa sarebbe limitata dopo Pikmeer
II alle sole condotte «giuridiche» (rechtshandelingen) degli enti pubblici, condotte
che già di per sé non sono penalmente rilevanti e non invece ai comportamen-
ti materiali (feitelijke gedrangigen). Per comprendere il ragionamento è opportuno
utilizzare un esempio. Nell’ipotesi della concessione di un sussidio pubblico (ciò
che costituisce una condotta giuridica, rechtshandeling) da parte di un Comune ad
un’organizzazione criminale che poi, anche grazie a tale denaro, pone in essere at-
tività illecite (ovvero feitelijke gedrangigen), il Comune godrebbe dell’immunità in
riferimento alla concessione del sussidio, mentre potrebbe essere perseguito per aver
partecipato all’associazione criminale così come previsto dall’art. 140 c.p.
L’interpretazione esaminata trova il proprio fondamento nel fatto che nella sen-
tenza la Corte di Cassazione ha sostenuto che l’immunità può essere invocata esclu-
sivamente in relazione a quelle condotte che solo i funzionari pubblici possono porre
in essere, ovvero, sembrerebbe doversi intendere, le condotte giuridiche102.
Si tratta di un’ipotesi interpretativa che non convince poiché rende il criterio
indicato dalla Suprema Corte una «scatola vuota» in nulla modificando la situazione
esistente. La concessione di un sussidio in sé e per sé non potrà mai determinare
l’applicazione di una sanzione penale all’ente (a meno che naturalmente il sussidio
non venga concesso illegalmente ed esista un’apposita fattispecie penale che sanzioni
la condotta). Sarebbe quindi proprio la condotta materiale ad essere «coperta» da
immunità (nell’esempio citato la partecipazione all’associazione criminosa)103 con la
conseguenza che la Corte di Cassazione con la pronuncia Pikmeer II non ha abolito
l’immunità, ma l’ha piuttosto limitata.

102
  H.Ph.J.A.M. Hennekens, De gemeente als rechtspersoon, in Gemeentestem, 1998, p. 435.
103
  Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 109 e Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar
de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 267 il quale rileva che nel
diritto ambientale ciò comporta che ogni qual volta l’ente pubblico abbia concesso un’autorizzazione
illegittima nell’ipotesi in cui si tratti di un compito che può essere eseguito esclusivamente da funzionari
pubblici, l’ente in questione non potrà mai essere perseguito per i fatti illeciti posti in essere da terzi sulla
base di tale illecita autorizzazione.
L’ordinamento olandese 71

La sentenza Pikmeer ii ha costituito poi oggetto di critiche in ragione della diffi-


coltà di individuare i compiti pubblici che possono essere posti in essere esclusiva-
mente da funzionari pubblici, poiché nessuna indicazione è stata fornita al riguardo.
Gli studiosi hanno comunque tentato di enucleare i compiti appartenenti a tale
categoria: la difesa104, l’amministrazione della giustizia, la concessione di autoriz-
zazioni105. Dalla diversità di risposte individuate si può chiaramente dedurre che
il concetto di compito esclusivamente pubblico non è univocamente individuabile
ed è strettamente legato al tempo, potendo variare in relazione ai diversi momenti
storici. Singolare il fatto che la riflessione scientifica abbia individuato il medesimo
esempio per illustrare le difficoltà cui il criterio indicato dalla Corte di Cassazione
può condurre, ovvero il rilascio dei passaporti106. Trattasi infatti di attività che si
ritiene essere comunemente un compito esclusivamente pubblico. Nulla vieta che
lo Stato decida di conferire ad un istituto privato la fase iniziale della procedura che
porta alla concessione del documento (come ad esempio la raccolta dei certificati
necessari). In applicazione del criterio individuato dalla Corte di Cassazione si tratta
di un compito pubblico esclusivo anche se non vi sarebbero ostacoli a immaginare
che la sua esecuzione sia di fatto concessa a terzi. Con il che potrebbero emergere
nuovamente delle questioni di disuguaglianza nel trattamento sanzionatorio.
Inoltre, residuano alcuni dubbi in ordine al soggetto legittimato a indicare cos’è
un compito pubblico esclusivo: non è più sufficiente un’indicazione legislativa che
attribuisca una determinata attività all’ente pubblico, è necessaria questa conno-
tazione di esclusività. Sul punto il Consiglio di Stato ha rilevato che il compito
pubblico esclusivo non è dotato di caratteristiche peculiari rispetto ad altri compiti
pubblici. Il fatto che si tratti di un compito che può essere posto in essere solo da
funzionari pubblici sarà piuttosto frutto di una scelta politica107. Dubbi interpreta-
tivi concernono poi l’esatta nozione di funzionario pubblico, figura che non trova
definizione nel diritto olandese.
Riassumendo si potrebbe affermare che i dubbi manifestati dalla dottrina con-
cernono ancora una volta il fatto che la Corte di Cassazione ha scelto un criterio
104
  Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer ii, cit., p. 76.
105
  In questo senso si è espresso Corstens, consigliere della Corte di Cassazione, nell’intervista rilasciata
a Van Der Jagt pubblicata in Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de
strafrechtelijke en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 248.
106
 Tra gli altri, Viering-Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer ii, cit.,
p. 76; Brants, Wordt vervolgd, cit., 339; JdH in nota alla sentenza Pikmeer ii; Hendriks, De Lange,
Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 44; D. Roef, De ommekeer in Pikmeer.
Over de vervolgbaarheid van overheden na Pikmeer ii, in «Jurisprudentie Bestuursrecht», afl. 47, 1998,
p. 221.
107
  Si veda il parere del Consiglio di Stato riportato con un interessante commento in Th.A. De Roos,
Geen strafrechtelijke aansprakelijkheid voor de Staat? Minister Korthals als Oblomow, in «Ars Aequi» n.
49, 2000, p. 93.
72 E. Pavanello

formale per delineare le ipotesi di irresponsabilità108. Il compito pubblico esclusivo


non sembra consentire un’indagine degli interessi in gioco al giudice, il quale dovrà
limitarsi a verificare che l’attività possa essere o meno posta in essere anche da altri
soggetti.
Nonostante sia apprezzabile il tentativo della Corte di dare ascolto alle esigenze
manifestate dalla dottrina (tentativo che si è tradotto, ad esempio, nell’indicazione
della necessità di valutare la possibile applicazione delle cause di giustificazione), la
soluzione individuata non viene considerata risolutiva. Tale circostanza è risultata
chiara in occasione di due tragedie causate dalla simultanea incuria di autorità pub-
bliche e di privati che hanno fortemente scioccato l’opinione pubblica olandese: si
tratta dei casi Volendam e Enschede su cui infra.
Dubbi sono infine stati manifestati in relazione al fatto che l’attività dei pubblici
ministeri potrebbe rivelarsi eccessivamente rigorosa nei confronti degli enti pubblici
con l’auspicio di rafforzare i controlli politico e amministrativo109.

12.2. La mancanza di ratio dell’immunità concessa agli enti pubblici decentrati


alla luce della giurisprudenza che ha sostenuto la compatibilità dei sistemi di controllo
politico, amministrativo e penale sull’attività degli stessi.

Le critiche alla decisione della Corte di Cassazione, oltre a concernere le difficoltà


dell’individuazione del compito pubblico che può essere posto in essere esclusiva-
mente dal funzionario pubblico, hanno riguardato anche la ratio che sostiene detto
criterio.
Infatti, con la sentenza Pikmeer ii sembra superato l’argomento secondo cui il
giudice penale non potrebbe giudicare sui comportamenti della pubblica ammi-
nistrazione poiché gli sarebbe precluso qualsiasi giudizio (anche di legittimità) sul-
la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, al fine di assicurare a
quest’ultima la più ampia discrezionalità in tema di libertà decisionale e di giudi-
zio. La decisione citata ha affermato, infatti, che la perseguibilità penale degli enti
pubblici non contrasta con i sistemi di controllo politico e amministrativo. Non
sarebbe, quindi, corretto precludere al giudice penale i controlli sull’attività posta in
essere nell’esecuzione di un compito pubblico riservata esclusivamente ai pubblici
funzionari110. Infatti, non tutti i comportamenti che possono essere posti in essere
esclusivamente dai funzionari pubblici automaticamente portano con sé una scelta
108
  In questo senso Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke
en bestuursrechtelijke aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 111.
109
  D.J. Elzinga, Openbaar ministerie loopt wel erg van stapel, Strafbare overheden, in «Binnenlands
Bestuur», n. 8, 1998, p. 33.
110
  Roef, Strafbare, cit., p. 272 ss.
L’ordinamento olandese 73

che manifesta la libertà «politica» dell’amministrazione. Al riguardo viene citato l’e-


sempio della concessione edilizia (compito esclusivamente pubblico, atteso che le
autorizzazioni possono essere rilasciate esclusivamente dai funzionari pubblici): il
suo rilascio può essere rifiutato ai sensi dell’art. 44 della Bouwwet, legge sull’edilizia,
solo nei casi tassativamente previsti da tale norma. Orbene, se il Comune rilascia la
licenza in contrasto con quanto stabilito dalla legge, non si ravvisa alcun ostacolo a
che il giudice penale possa operare un controllo sulla legittimità dell’operato dell’en-
te; si tratterebbe, infatti, di verificare il rispetto di precise e tassative indicazioni
legislative. Attraverso il criterio del compito esclusivamente pubblico, invece, ogni
controllo penale sarebbe precluso, anche in quelle ipotesi in cui non esiste alcuna
forma di discrezionalità nell’attività della pubblica amministrazione.
In secondo luogo, vi sono attività a carattere pubblico che possono essere eseguite
anche attraverso terzi i quali dispongono in questo modo di una certa libertà di
giudizio, ma nonostante ciò vengono sottoposti a sanzione penale. Si ritiene infine
inconsistente il fatto che un Comune che sceglie, ad esempio, di abbattere un nido
di uccelli senza l’apposita autorizzazione sia perseguibile penalmente (trattandosi
di attività che può essere eseguita anche dalle persone giuridiche di diritto privato),
mentre l’ente pubblico che illegalmente ha concesso un’autorizzazione per abbattere
un nido di uccelli non sia perseguibile (la concessione di un’autorizzazione è infatti
attività che può essere eseguita esclusivamente da un funzionario pubblico). In
entrambi i casi vi è un fatto penalmente rilevante (abbattimento del nido di uccelli
senza legittima autorizzazione) che porta con sé il medesimo disvalore giuridico.
Ove si accetti il principio che il giudice penale può sottoporre al controllo della
legge penale la legittimità delle scelte discrezionali degli enti pubblici, detto princi-
pio deve essere generalizzato. Con la conseguenza che anche le attività che possono
essere poste in essere esclusivamente da funzionari pubblici devono sottostare al con-
trollo penale.

13. Le reazioni positive del Governo alle nuove indicazioni della giurisprudenza. La
posizione del Consiglio di Stato sull’impossibilità di perseguire gli enti pubblici decentrati.
La ribadità necessità da parte dei pubblici ministeri di utilizzare lo strumento penale nei
confronti degli enti pubblici decentrati solo come extrema ratio.

All’indomani della pronuncia Pikmeer ii, diverse sono state le reazioni a livel-
lo politico. Mentre, infatti, secondo alcuni parlamentari era corretta l’impostazione
della Corte di Cassazione che aveva distinto a seconda dell’attività posta in essere
74 E. Pavanello

dall’ente pubblico, altri hanno ritenuto che meglio sarebbe stato procedere a un’inte-
grale abolizione dell’immunità111.
Il Governo, dal canto suo, ha rinvenuto nella sentenza Pikmeer ii una sostanziale
conferma della posizione espressa in precedenza nel rapporto Responsabilità penale
degli enti pubblici.
Il Ministro della Giustizia ha fatto pervenire alla seconda Camera del Parlamento
le proprie conclusioni circa l’opportunità di procedere ad una modifica dell’art. 51
c.p.112 e ha dichiarato di condividere solo parzialmente l’opinione espressa nel pro-
prio parere dal Consiglio di Stato con riferimento alla possibilità di perseguire gli
enti pubblici113. Secondo quest’ultimo organo infatti sarebbe da escludere, allo stato
della legislazione vigente, tanto la possibilità di perseguire lo Stato, quanto quella di
perseguire gli enti pubblici. Se dunque si volesse procedere penalmente nei confronti
di dette persone giuridiche, sarebbe necessario procedere ad una modifica dell’art. 51
c.p. Tuttavia, ad avviso del Consiglio di Stato tale opzione non sarebbe consigliabile
in quanto troppi ostacoli si frapporrebbero all’esercizio dell’azione penale nei con-
fronti degli enti pubblici (in particolare il Consiglio di Stato menziona la possibile
incidenza della condanna penale sulla continuità dei servizi pubblici offerti, il fatto
che l’eventuale sanzione comminata sarebbe patita dai cittadini). Meglio optare per
la sola perseguibilità dei funzionari pubblici: al riguardo, il Consiglio di Stato pro-
pone di aumentare il numero delle ipotesi in cui è possibile perseguire penalmente i
funzionari e di introdurre specifiche cause di giustificazione per gli enti pubblici, in
modo da garantire che gli stessi non possano essere perseguiti penalmente.
Il Ministro della Giustizia ha affermato che, pur condividendo la posizione del
Consiglio di Stato con riferimento all’irresponsabilità penale dello Stato (su cui dif-
fusamente infra), non è a suo avviso necessaria alcuna modifica legislativa dell’art. 51
c.p. L’applicazione giurisprudenziale avrebbe, infatti, dimostrato che gli enti pub-
blici decentrati sono perseguibili penalmente e che non vi sarebbe alcuna necessità
di precisare tale concetto. Il Governo si è espresso in senso negativo anche riguardo
all’eventuale necessità di indicare in un testo di legge i fondamenti dell’immunità,
ritenendo più opportuno demandare il giudizio sull’opportunità di procedere penal-
mente al giudice nella valutazione del caso concreto.
Da ultimo, il Governo non ha ritenuto nemmeno necessario introdurre un’ap-
posita scriminante che operi nei confronti degli enti pubblici, essendo sufficienti sul
111
  Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 113.
112
  Seconda Camera, anno 1996-1997, 25 294, n. 8.
113
  Il Consiglio di Stato ha espresso il proprio parere in data 8.5.1998. Su tale posizione, si vedano in
particolare Th.W. van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, in «RMThemis», n.
5, 2000, p. 163-164; De Roos, Geen strafrechtelijke aansprakelijkheid voor de Staat? Minister Korthals
als Oblomow, p. 92-96.
L’ordinamento olandese 75

punto le indicazioni degli articoli 40 e 42 c.p., in materia di adempimento del dovere


ed esercizio del diritto.
Quanto alla posizione espressa dai pubblici ministeri, essa è stata sostanzialmen-
te positiva e potrebbe essere riassunta con l’espressione actief opsporen, genuanceerd
vervolgen, ovvero indagare attivamente, perseguire con cautela114. Nell’opinione della
pubblica accusa occorre constatare innanzitutto che le persone giuridiche di diritto
pubblico sono, in linea di principio, responsabili penalmente al pari di quelle di
diritto privato. Da ciò consegue che, in generale, l’indagine sui delitti nei quali sono
probabilmente coinvolti enti pubblici deve sempre essere possibile, salvo poi verifica-
re l’eventuale appartenenza dell’ente a quelli indicati nel capitolo 7 della Costituzione
e l’esecuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente
da funzionari pubblici. Ove sia possibile procedere, si dovrà verificare la sussistenza
dell’elemento soggettivo (dolo o colpa). Inoltre, il pubblico ministero dovrà valutare
attentamente se l’ente pubblico possa fare appello alle cause di giustificazione della
prescrizione legale o dello stato di necessità. Il Collegio dei Procuratori individua
quali «controindicazioni» alla perseguibilità degli enti pubblici il fatto che il compor-
tamento illecito sia stato tenuto per considerazioni di interesse pubblico o ancora che
vi sia stata un’effettiva reazione politica o amministrativa a fronte di tali violazioni. La
risposta alla domanda circa la procedibilità dell’azione penale passa necessariamente
attraverso considerazioni di carattere «materiale».

14. Conclusioni sull’evoluzione di giurisprudenza e dottrina in ordine alla possibilità di


perseguire penalmente gli enti pubblici decentrati.

Dall’analisi delle posizioni della dottrina, del Governo e dei p.m. rispetto alla
sentenza Pikmeer ii emergono alcuni interessanti spunti di riflessione.
Senza dubbio la dottrina ha valutato positivamente la restrizione dell’ambito di
operatività dell’irresponsabilità penale fatta discendere dal criterio del compito che
può essere eseguito esclusivamente dai funzionari pubblici, così come l’affermazione
della perfetta compatibilità tra il sistema di controllo penale e i sistemi politico
e amministrativo. Essa ha inoltre generalmente condiviso il ribadito principio
secondo cui il diritto penale deve costituire l’ultimum remedium e deve intervenire
unicamente laddove gli altri sistemi di controllo non siano in grado di offrire una
risposta sanzionatoria adeguata.
Tuttavia, secondo la maggioranza della dottrina, tali premesse non legittimano
la scelta della Corte di Cassazione di considerare sempre e a priori giustificate le
  College van procureurs-generaal, Aanwijzing voor de opsporing en vervolging van overheden, in
114

«Staatscourant», n. 82, 1998, p. 18.


76 E. Pavanello

attività che possono essere poste in essere esclusivamente dai funzionari pubblici e ciò
perché in questo modo la Suprema Corte ha dato per scontata l’esistenza di un’area
di attività in cui gli enti pubblici possono agire impunemente. Al contrario, sarebbe
opportuno valutare anche in queste ipotesi, alla luce dei principi di proporzionalità
e sussidiarietà, l’effettiva opportunità della condotta tenuta dall’ente pubblico in
violazione delle prescrizioni penali115.
Il problema che si pone è dunque di opportunità e la soluzione andrebbe
rinvenuta nella norma di diritto processuale dell’art. 167, secondo comma, che
ben consente di modulare l’utilizzo del processo penale alle sole ipotesi in cui ciò
si riveli effettivamente necessario116. Non sarebbe possibile creare a priori a livello
giurisprudenziale delle regole rigide di immunità che inevitabilmente conducono a
violare il principio di eguaglianza giuridica tra soggetti privati e pubblici.
Il Governo e i pubblici ministeri sembrano, invece, aver posto maggiormente
l’accento sugli elementi positivi di novità contenuti nella giurisprudenza Pikmeer ii.
Né l’uno, né gli altri hanno fatto cenno all’indeterminatezza del criterio del compito
pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dai funzionari pubblici.
Positivo inoltre è stato generalmente considerata l’attenzione dedicata alla valutazione
circa l’opportunità di procedere e alla necessità di modulare la misura della pena.

15. La conferma del principio dell’immunità penale concessa agli enti pubblici decentrati
che hanno commesso l’illecito penale nell’ambito di un’attività pubblica di esclusiva
competenza dei pubblici funzionari nella giurisprudenza successiva al caso Pikmeer ii.

La giurisprudenza sviluppatasi successivamente alla sentenza Pikmeer ii ha con-


fermato che gli enti pubblici di cui al capitolo 7 della Costituzione non sono perse-
guibili qualora abbiano commesso l’illecito in esecuzione di un compito pubblico di
esclusiva competenza dei funzionari pubblici.
Si consideri ad esempio il caso della provincia Friesland, la quale era stata perse-
guita per aver trasferito materiale inquinante nel deposito Meerslot al deposito De
Goudem Bodem senza l’opportuna autorizzazione. Nel caso di specie la Provincia
era contemporaneamente sia l’ente che concedeva le autorizzazioni, sia l’ente che
controllava la legittimità delle stesse e il Tribunale di Leeuwarden ha ritenuto che
trattandosi di rilascio di autorizzazione, ovvero di un compito che per la sua natura
e in base alle prescrizioni di legge può essere eseguito esclusivamente da parte di fun-
zionari pubblici, la Provincia poteva fare appello all’immunità117.

115
  Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 46.
116
  Th.a. De Roos, Het Pikmeerarrest en zijn gevolgen, in «Ars Aequi», 1997, p. 230.
117
  Hof Leeuwarden, 4.11.1997, in «Milieu en Recht», n. 18, 1998, con nota di De Lange.
L’ordinamento olandese 77

La sentenza è stata criticata perché presuppone che laddove un ente pubblico ab-
bia la competenza per concedere un’autorizzazione, ancorché la stessa sia illegittima,
esso può andare esente da sanzione penale118.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che per giudicare dell’eventuale responsabilità
penale di un ente pubblico occorra fare riferimento ai criteri indicati da Pikmeer ii e
che nessun rilievo possa assumere il fatto che l’ente pubblico sia il soggetto che può
rilasciare detta autorizzazione. Per tale ragione la Suprema Corte ha annullato la sen-
tenza del Tribunale e ha rinviato il caso alla Corte d’Appello di Arnhem119.
Il criterio del compito pubblico esclusivo ha condotto, di converso, alla condanna
del Comune di Utrecht120. Il Comune era stato infatti accusato di omicidio colposo
per la morte di un pompiere il quale era deceduto nel corso dell’esercitazione subac-
quea cui lo stesso aveva preso parte. A parere del pubblico ministero sussistevano gli
estremi della responsabilità penale atteso che il Comune, in qualità di datore di lavo-
ro, avrebbe dovuto organizzare l’esercitazione predetta seguendo le opportune nor-
me di sicurezza, ciò che nel caso di specie non era avvenuto. La difesa del Comune
aveva sostenuto che quest’ultimo avesse agito nell’esecuzione di un’attività di natura
«esclusivamente» pubblica e avesse invocato a fondamento dell’assunto l’art. 1 della
legge sui pompieri del 1985 che conferisce espressamente al Comune il compito di
salvaguardia dai pericoli del fuoco.
Al fine di pervenire alla qualificazione dell’attività in oggetto, il Tribunale ha esa-
minato la relazione della legge citata da cui è risultato che effettivamente la compe-
tenza in materia di prevenzione degli incendi spetta al Comune. Tuttavia, le eserci-
tazioni e l’addestramento dei pompieri non sono compiti espressamente attribuiti
al Comune − ancorché siano in stretta correlazione con i compiti fondamentali di
prevenzione degli incendi eseguiti dai pompieri − e possono essere eseguiti anche da
società private cui vengono demandati. Sulla base di tale ragionamento che ricalca
pienamente le indicazioni di Pikmeer ii, l’azione del p.m. è stata dichiarata ricevibile
e il Comune condannato al pagamento di una multa di 18.000 euro.

16. La possibilità di configurare una responsabilità penale dello Stato.

La possibilità di configurare la responsabilità penale dello Stato è stata pure og-


getto di dibattito a livello dottrinale e politico: anche in questo caso si è posto il
118
  Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 127.
119
  Hoge Raad, 30 giugno 1998, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1998/819.
120
  Rechtbank Utrecht, 9 luglio 2003, in «Administratiefrechtelijke beslissingen», 2003/332, con
nota di Peters.
78 E. Pavanello

problema della possibile applicazione dell’art. 51 c.p. poiché non vi è alcun divieto
espresso al riguardo.
A differenza della posizione degli enti pubblici decentrati, nessuna indicazione
è fornita sul punto nemmeno dalla Relazione al codice penale121, la quale si limi-
ta a esaminare la controversa posizione degli enti pubblici decentrati. La ragione
dell’assenza di indicazioni va probabilmente rinvenuta nel fatto che esistono ostacoli
«storici» ancor prima che giuridici all’affermazione di una responsabilità penale dello
Stato. Tradizionalmente infatti si ritiene che un’immunità assoluta debba essere rico-
nosciuta alle attività dell’ente statale.
Il dibattito sviluppatosi nell’ordinamento olandese dimostra tuttavia che il tema
è di crescente attualità e che occorre analizzare in modo critico il fondamento delle
ragioni che inducono molti ordinamenti ad escludere totalmente la responsabilità
penale dello Stato.
Come si avrà modo di illustrare nel prosieguo, infatti, è stato da molte parti sot-
tolineato che non avrebbe senso distinguere tra la posizione degli enti decentrati e
quella dello Stato: entrambi godono di prerogative «pubblicistiche» che potrebbero,
al limite, giustificare un trattamento differenziato rispetto alle altre persone giuridi-
che di diritto privato. Tuttavia, mentre per gli enti decentrati è stata ammessa una
(limitata) forma di responsabilità penale, per lo Stato essa è stata recisamente negata,
con le conseguenze che è possibile immaginare e che derivano da un trattamento
giuridico differenziato a fronte di condotte «materiali» analoghe.

16.1. L’affermazione dell’irresponsabilità penale dello Stato nella giurisprudenza


(caso Volkel).

La ricerca intorno alla possibile configurazione di una responsabilità penale dello


Stato non può che prendere avvio dall’analisi della sentenza Volkel nella quale per
la prima volta è stato esaminato il peculiare rapporto tra diritto penale e Stato. La
soggezione del secondo al primo è stata negata, con la conseguente affermazione che
lo Stato, di fatto, si pone al di sopra della legge penale122.
I fatti da cui trae origine la pronuncia concernono l’aeroporto militare Volkel. Al
suo interno si erano verificate numerose fughe di kerosene dai serbatoi e si era così
configurata la violazione dell’art. 14 della legge sulla protezione del suolo che impone
a chiunque utilizzi un terreno, sia esso soggetto privato o pubblico, di tenere un com-
121
  D. Roef, Kan de Staat in zijn eigen staart bijten?, in «Delikt en Delinkwent», n. 25 afl. 4, 1995, p.
333 ss.
122
  De Lange, De dictatuur van de magistratuur, cit., p. 445.
L’ordinamento olandese 79

portamento diligente al fine di prevenire l’inquinamento dei luoghi. La fattispecie è


sanzionata penalmente dalla wed.
L’aeroporto aveva già concluso una prima volta una transazione con il pubblico
ministero grazie alla quale lo Stato aveva evitato il procedimento penale mediante
il pagamento di 10.000 fiorini. Tuttavia, a fronte delle persistenti inadempienze da
parte di quest’ultimo, il pubblico ministero aveva deciso di esercitare l’azione penale
nei suoi confronti, cosicché lo Stato, in persona del Ministero della Difesa, è stato
chiamato a sedere sul banco degli imputati.
Il Tribunale di primo grado nella sentenza, pur riconoscendo che lo Stato (rectius,
l’aeroporto militare) era effettivamente responsabile di dette fughe di kerosene, ha
dichiarato che non era possibile procedere nei suoi confronti in quanto aveva agito
nell’esecuzione di un compito pubblico, ovvero la difesa e la sicurezza aerea, e sarebbe
stato (eventualmente) chiamato a rispondere politicamente del proprio operato123. Il
Tribunale ha aggiunto altresì che esisteva un ostacolo di carattere procedurale poiché
lo Stato non avrebbe potuto essere perseguito da uno dei propri organi, ovvero il
pubblico ministero. Ai sensi dell’art. 5 della legge sull’organizzazione del Regno (Wet
Rechterlijke Organisatie), infatti, il pubblico ministero esercita la propria attività sotto
la responsabilità del Ministro della Giustizia che fa parte del Governo, ovvero di un
organo dello Stato, il quale può anche dare indicazioni al pubblico ministero circa la
possibilità di procedere penalmente o meno.
Diverso, invece, l’approccio della Corte di Cassazione secondo la quale non era
possibile procedere nei confronti dello Stato non (tanto) perchè lo stesso aveva agito
nell’esecuzione di un compito pubblico, quanto piuttosto perchè lo Stato in quanto tale
non poteva essere perseguito né dichiarato penalmente responsabile124.
La Corte giunge a tale decisione dopo aver chiarito che lo Stato ha come scopo il
perseguimento di interessi generali e che, per tale ragione, può porre in essere ogni con-
dotta, sia sul piano legislativo che su quello amministrativo, rivolta a tale scopo.
La sentenza prosegue con l’illustrazione delle argomentazioni, sia di carattere
sostanziale che di tipo procedurale, che sino a quel momento erano state espresse
dalla dottrina maggioritaria per avallare la tesi dell’impossibilità di perseguire lo Stato.
Dette argomentazioni, in parte coincidenti con le motivazioni addotte per escludere
la responsabilità penale degli enti decentrati, riguardano la sostanziale identità tra
autorità procedente e soggetto inquisito; la teoria della divisione dei poteri; l’asserita
violazione del rapporto gerarchico tra le diverse istituzioni dello Stato (in quanto il
pubblico ministero perseguirebbe un ente rispetto a lui superiore); l’inutilità delle
123
  Rechtbank’s, Hertogenbosch, 1° febbraio 1993, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1993/257.
124
  Hoge Raad, 25 gennaio 1994, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1994/598 con nota di C.
80 E. Pavanello

sanzioni pecuniarie eventualmente applicate (vestzak-broekzak) e la perdita di fiducia


dei cittadini nell’ente pubblico.
La Corte di Cassazione, decidendo nel senso dell’irresponsabilità penale dello Sta-
to, ha mostrato di condividere (quantomeno) parte degli argomenti citati. Essa ha
in particolare sostenuto che le condotte dello Stato sono controllate a livello politico
attraverso il dibattito parlamentare e che per le stesse sono penalmente responsabili,
al limite, i Ministri e i Segretari di Stato i quali possono essere perseguiti per i crimini
commessi nell’esercizio delle proprie funzioni ai sensi dell’art. 483 c.p.p. Stante l’esi-
stenza di questi sistemi di controllo non residua alcuno spazio per la repressione delle
condotte illecite dello Stato da parte del giudice penale.
Il Giudice di legittimità ha mostrato poi di condividere le preoccupazioni connesse
alla sostanziale inutilità di un’eventuale sanzione pecuniaria che si tradurrebbe in un
semplice passaggio di risorse economiche da un dipartimento all’altro dell’organiz-
zazione statale. Senza contare infine che la possibilità che lo Stato venga perseguito
attraverso uno dei propri organi contrasterebbe con i principi dello Stato di diritto. Il
controllo penale finirebbe quindi per creare ostacoli al processo democratico più che
rafforzarlo, pervenendo così a risultati opposti rispetto a quelli che i sostenitori della
responsabilità penale dello Stato intendono perseguire.
La lettura della sentenza non lascia spazio a molti dubbi interpretativi: a differenza
della responsabilità penale degli enti decentrati in cui occorreva individuare la nozione
di compito pubblico esclusivo, qui la responsabilità viene negata tout court.
La Corte non si è nemmeno preoccupata di indicare quale sia la posizione dei dirigen-
ti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine di commettere l’illecito125.
La sentenza, come è possibile arguire, ha destato grande fermento in dottrina, ed
è stata vieppiù criticata in seguito alla pronuncia Pikmeer ii, secondo cui l’esistenza
di un controllo politico sulla condotta di un ente non impedisce la contemporanea
esistenza di un sistema di controllo penale.

16.2. Argomenti addotti dalla dottrina a sostegno dell’irresponsabilità assoluta dello


Stato: titolarità dello jus puniendi e impossibilità per lo Stato di punire se stesso.

Gli argomenti addotti dalla dottrina a sostegno dell’irresponsabilità penale dello


Stato in parte coincidono con quelli invocati per sostenere l’impossibilità di perseguire
gli enti decentrati.
125
  In analogia con quanto stabilito per gli enti pubblici decentrati dalla sentenza Pikmeer i, laddove la
persona giuridica non sia «autore» del reato, manca quel nesso che consente di attribuire la condotta
illecita anche alle persone fisiche specificamente indicate nell’art. 51 c.p. e pertanto le stesse non possono
essere sanzionate.
L’ordinamento olandese 81

L’irresponsabilità è stata sostenuta dalla maggioranza della dottrina, anche da co-


loro che si erano mostrati favorevoli alla possibilità di perseguire gli enti pubblici
decentrati. Infatti, pur riconoscendo la necessità che le persone giuridiche di diritto
pubblico vengano perseguite qualora abbiano agito al pari di una persona giuridica di
diritto privato, si nega la possibilità di perseguire lo Stato126.
Le argomentazioni addotte a sostegno dell’immunità assoluta dello Stato partono
da una concezione «unitaria» dello stesso: atteso che quest’ultimo è titolare dello ius
puniendi, esso non può essere al contempo oggetto del controllo penale127.
Non si è mancato di obiettare sul punto che ciò corrisponde a un’idea di Stato
la quale non coincide pienamente con la realtà sociale. Lo Stato sarebbe piuttosto
paragonabile ad una multinazionale, composta di diverse unità «operative» le quali di-
spongono ciascuna di un proprio budget e hanno determinati obiettivi da conseguire,
al pari di un soggetto di diritto privato128.
Anche con riferimento allo Stato viene invocato l’argomento della divisione dei
poteri, il quale assumerebbe peculiare rilievo in relazione alla concezione «unitaria»
cui sopra si è fatto cenno. Si ritiene infatti che sottoporre a procedimento penale lo
Stato determinerebbe una situazione assurda, ovvero lo Stato in quanto potere giudi-
ziario punisce lo Stato quale organo amministrativo perchè quest’ultimo ha agito in
contrasto con le regole che lo stesso Stato ha posto in quanto legislatore129.
Unitamente alla divisione dei poteri viene inoltre fatto cenno ad un problema
gerarchico: infatti, il pubblico ministero, organo di rango inferiore, si troverebbe a
perseguire un organo superiore, ovvero lo Stato. La situazione potrebbe secondo talu-
ni determinare la violazione degli stessi principi dello Stato di diritto130.
Le argomentazioni esposte per quanto suggestive sono state criticate da altra dot-
trina poiché analoghi problemi non si pongono quando le condotte dello Stato de-
126
  Van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van
publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 595-596 e 598.
127
  A. Mulder, nota alla sentenza Tilburg, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1988/474. Contra A.M.
De Koning , H. Nijboer, Strafrechtelijke verantwoordelijkheid van de Nederlandse Staat, in «Nederlands
Juristenblad», afl. 15, 1997, p. 681 secondo cui la punizione dello Stato è possibile e necessaria, non
essendo sufficiente prevedere la semplice responsabilità delle persone fisiche.
128
  Si vedano le indicazioni bibliografiche in Chr. Brants, The king can do no wrong, in «Delikt
en Delinkwent», n. 26, afl. 6, 1996, p. 514, la quale pur ritenendo che anche lo Stato debba essere
sottoposto a responsabilità penale, non condivide l’assimilazione dello stesso alla multinazionale, atteso
che diversa è l’organizzazione giuridica del primo rispetto alle seconde. Mentre infatti le imprese “figlie”
della multinazionale dispongono ciascuna di una propria personalità giuridica e sono responsabili delle
proprie attività, la stessa cosa non vale per lo lo Stato all’interno del quale le diverse unità operative e
i differenti dipartimenti non godono di un’autonoma personalità giuridica e non sono responsabili in
quanto tali.
129
  T.M. Schalken, nota alla sentenza Voorburg, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1991/496. Analogamente
Torringa, Strafbaarheid, cit., p. 158.
130
  J. de Hullu, De Staat zelf in de verdachtenbank, in «Ars Aequi», n. 44, 1995, p. 53, rileva che questo
82 E. Pavanello

vono essere sottoposte al vaglio dei giudici civile e amministrativo. Al riguardo si è


indicato che addirittura nel caso della responsabilità civile dello Stato la giurispruden-
za ha ammesso che il giudice possa valutare la legittimità della condotta del pubblico
ministero, ovvero una condotta che attiene tipicamente alla sfera penale, senza che ciò
abbia destato particolari problemi131.
Essenzialmente sono comunque due le argomentazioni che la dottrina ha invocato
per escludere la responsabilità penale dello Stato. La prima si colloca sul piano pro-
cessuale e concerne l’identità esistente tra soggetto perseguito e autorità procedente.
L’altra invece si colloca sul piano sanzionatorio e concerne la sostanziale inutilità della
sanzione pecuniaria eventualmente irrogata allo Stato: si tratta del cosiddetto vestzak-
broekzak cui è stato fatto appello anche per escludere la responsabilità penale degli
enti decentrati.

16.3. L’impossibilità di perseguire lo Stato in ragione dell’asserita identità tra soggetto


perseguito e autorità procedente.

L’asserita identità tra soggetto perseguito e autorità procedente discenderebbe dal


fatto che tanto il pubblico ministero quanto il giudice si trovano alle dipendenze
dell’amministrazione statale. Il pubblico ministero non potrebbe perseguire lo Stato
perchè sottoposto alla diretta responsabilità del Ministro della Giustizia, il quale, a
sua volta, è responsabile dell’attività giudiziale per quanto concerne le ispezioni, la
decisione di procedere (vervolging) e l’esecuzione giudiziale132.
Lo stesso Consiglio di Stato ha rilevato che in questo modo lo Stato perseguirebbe
se stesso, si autogiudicherebbe e si autopunirebbe atteso che il giudice e il pubblico
ministero sono entrambi organi del Regno133: da ciò discenderebbe la necessità di ga-
rantire allo Stato una totale immunità. Questa posizione è stata sostenuta anche dal
Governo, il quale nel proprio rapporto sulla responsabilità penale degli enti pubblici,
ha condiviso la preoccupazione espressa dal Consiglio di Stato sul punto.
Ad una più approfondita analisi, tuttavia, l’argomento si rivelerebbe secondo alcu-
ni studiosi incapace di giustificare un’assoluta immunità penale dello Stato. Infatti co-
stituirebbe un errore di giudizio dedurre dalla «subordinazione» della pubblica accusa
specifico argomento non è stato addotto dalla Corte di Cassazione nella motivazione della sentenza per
negare la responsabilità dello Stato. L’autore ritiene comunque che l’obiezione possa essere superata
creando una procedura ad hoc nel caso in cui venga perseguito lo Stato.
131
  Brants, The king can do no wrong, cit., p. 514 e De Hullu, De Staat zelf in de verdachtenbank, cit., p. 53.
132
  Roef, Kan de staat, cit., p. 344; van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde
(*1) over de vervolgbaarheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 595-596 ritiene che questo
argomento costituisca principale e insormontabile ostacolo alla perseguibilità penale dello Stato.
133
 TK 1999-2000, 25 294, nr. 10, A, 2.
L’ordinamento olandese 83

al Ministro della Giustizia, la subordinazione del p.m. alla persona giuridica di diritto
pubblico Stato. In secondo luogo, una simile interpretazione della legge sull’organiz-
zazione del Regno sarebbe parziale perchè non terrebbe in considerazione il fatto che il
pubblico ministero è molto più di un semplice funzionario pubblico nel momento in
cui esercita le proprie funzioni e decide se procedere o meno con l’azione penale. Egli,
nonostante sia inquadrato all’interno dell’organizzazione statale, deve poter esercitare
un giudizio indipendente circa l’esistenza della responsabilità penale (quindi, anche
nei confronti dello Stato), atteso che il suo compito è quello di realizzare il diritto
nello Stato e non lo Stato nel diritto134.
È indubbio, tuttavia, che laddove il pubblico ministero decida di esercitare l’azione
penale nei confronti dello Stato, potrebbero sussistere problemi di ordine «pratico».
Atteso che nell’esercizio dell’azione penale il Ministro della Giustizia può fornire in-
dicazioni allo stesso organo della pubblica accusa circa l’opportunità di procedere o
meno135, ove fosse in gioco la responsabilità penale dello Stato, il Ministro plausibil-
mente potrebbe «invitare» il pubblico ministero a non procedere. Si realizzerebbe così
un controllo politico dell’attività giurisdizionale. Tuttavia, a parere di taluni nemme-
no dette difficoltà «pratiche» possono giustificare un’assoluta immunità dello Stato:
esse devono piuttosto essere risolte attraverso altri «accorgimenti». Alcuni studiosi
propongono, ad esempio, di dettare una speciale procedura, analoga a quella prevista
per la perseguibilità di Ministri e Segretari di Stato136. Altri ancora, invece, propon-
gono di imporre l’obbligo in capo al Ministro dell’astensione dal fornire indicazioni
di alcun tipo al pubblico ministero nel caso in cui si proceda nei confronti dello Stato
ed eventualmente la decisione se procedere o meno sia lasciata all’intero Collegio dei
procuratori137.

16.4. L’inutilità e la dannosità per i cittadini dell’inflizione di sanzioni penali, in


particolare di carattere pecuniario, a carico dello Stato.

Sul piano sanzionatorio parte della dottrina (oltre che la stessa Corte di Cassazio-
ne) ritiene che sia insensato applicare una sanzione penale (a carattere pecuniario)
allo Stato, atteso che quest’ultimo in sostanza pagherebbe l’ammenda a se stesso138. Il
134
  Roef, Strafbare, cit., p. 302-304.
135
  Corstens, nella nota a sentenza Volkel, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1994/598.
136
  Brants, The king can do no wrong, cit., p. 516. Roef dubita fortemente della praticabilità di una
simile soluzione e della sua effettiva valenza. Roef, Strafbare, cit., p. 304.
137
  J.H.P. van Spanje, Staat en straf, in «Nederlands Juristenblad», afl. 22, 2002.
138
  Torringa, Strafbaarheid, cit., p. 158 e A.L.J. van Strien, De rechtspersoon in het strafproces. Een
onderzoek naar de procesrechtelijke aspecten van de strafbaarheid van de rechtspersoon, Sdu Uitgever, Den
Haag 1996, p. 59.
84 E. Pavanello

ragionamento viene poi traslato dal piano sanzionatorio a quello sostanziale e si arriva
a concludere che è altresì irragionevole prevedere la responsabilità penale dello Stato.
L’argomentazione parte evidentemente dal principio che lo Stato costituisce un’u-
nità inscindibile; principio questo ritenuto da parte della dottrina erroneo, oltre che
semplicistico: lo Stato è, infatti, un’organizzazione complessa che dispone di speci-
fiche funzioni e di diversi dipartimenti. Il fatto che il denaro venga trasferito da un
dipartimento ad un altro non è poi così strano139. Inoltre, non si può seriamente so-
stenere una simile posizione laddove si consideri che proprio nel caso Volkel lo stesso
Stato aveva fatto già ricorso alla transazione (pagando quindi una somma di denaro
al Ministero della Giustizia): anche in questo caso era avvenuto un trasferimento di
denaro da un dipartimento all’altro senza che tuttavia sia stato avanzato alcun dubbio
sull’effettività del pagamento140.
Si ritiene inoltre che non sia utile confondere il piano sostanziale con quello san-
zionatorio: una cosa è sostenere che in qualche modo la sanzione pecuniaria potrebbe
rivelarsi «inutile» (anche se è opportuno ricordare che vi sono altre sanzioni penali
applicabili oltre a quella pecuniaria), altro è invece far discendere da ciò l’inutilità della
stessa responsabilità penale dello Stato.

17. Critiche della dottrina alla giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità penale
dello Stato.

La sentenza Volkel è stata criticata dalla dottrina innanzitutto perché nessuno


degli argomenti addotti dalla Corte è realmente probante: infatti, molte delle ragioni
avanzate a sostegno dell’irresponsabilità assoluta dello Stato potrebbero essere utilizzate
al contempo per negare la competenza dei giudici civile e amministrativo a conoscere
delle condotte illecite poste in essere dallo Stato.
Il riferimento al perseguimento dell’interesse generale da parte dello Stato è stato
considerato una tautologia: è ovvio infatti che scopo dello Stato è il perseguimento di
interessi di carattere generale; in caso contrario lo stesso si confonderebbe con gli enti
di carattere privato141. Tuttavia, ciò non può giustificare la commissione di qualsiasi
139
  Si veda sul punto Roef, Strafbare, cit., p. 306 il quale cita un passaggio di W. Hogg, Liability of the
Crown, Carswell, Sidney, 1971, p. 178-179.
140
  N. Roezemond, Past de Staat der Nederlanden in het verdachtenbankje?, in «Rechtsfilosofie &
Rechtstheorie», n. 3, 2002, p. 5.
141
  Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer ii, cit., p. 81 rilevano
criticamente che l’argomento non può essere addotto per distinguere la posizione dello Stato da quella
degli enti decentrati in quanto anche questi ultimi, in linea di principio, tendono alla realizzazione
dell’interesse pubblico.
L’ordinamento olandese 85

illecito da parte dello Stato: al contrario, occorrerà dimostrare e verificare caso per caso
se questo interesse sia stato concretamente valutato e perseguito.
Detta affermazione desta poi alcune perplessità in relazione al caso concreto:
difficile, infatti, rinvenire un interesse di carattere generale nella condotta negligente
tenuta all’interno dell’aeroporto militare Volkel. Se sicuramente si può ritenere che
la difesa della sicurezza aerea sia di interesse generale, non si vede in che modo la
fuoriuscita di kerosene per mancanza di adeguata manutenzione persegua tale
interesse. Si può al contrario sostenere che in questo caso si è di fronte alla violazione
delle norme di tutela dell’ambiente che costituisce oggetto di interesse generale e che,
al pari della sicurezza aerea, deve essere tutelato dallo Stato142.
Occorre poi considerare la peculiare posizione dello Stato rispetto agli enti decentrati:
anche questi ultimi perseguono in linea di principio interessi a carattere generale ma
nonostante ciò, qualora pongano in essere condotte illecite nell’esecuzione di un
compito sì pubblico ma non esclusivo (alla luce dell’insegnamento Pikmeer ii), sono
perseguibili. La disuguaglianza può essere ben compresa se si pensa a ipotesi concrete
di violazione: infatti, se un reato ambientale è posto in essere nel quadro di un’attività
comunale, allora il Comune è perseguibile, mentre se è posto in essere dal Ministero
la responsabilità penale è esclusa. Analogamente la posizione di disuguaglianza emerge
nelle ipotesi in cui l’esecuzione di un’attività di interesse generale venga conferita ad
una società privata: quest’ultima non potrebbe fare appello ad alcuna immunità143.

18. Necessità di una revisione della giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità dello
Stato in ragione dell’affermazione della compatibilità tra i sistemi di controllo penale,
politico e amministrativo sull’attività degli enti pubblici decentrati.

Una delle critiche di maggior rilievo nei confronti della sentenza Volkel è stata volta
a contestare l’incompatibilità tra controlli di natura politica o amministrativa sull’ope-
rato dello Stato e lo strumento penale. Già al momento della pronuncia della sentenza
si era ritenuto che non esistessero validi motivi per sostenere una simile argomenta-
zione, atteso che non esisteva alcuna incompatibilità tra i diversi mezzi di controllo144.
La critica è apparsa vieppiù fondata alla luce della giurisprudenza Pikmeer ii, la
quale ha stabilito espressamente che l’asserita incompatibilità non è reale ma frutto di
una presa di posizione che non trova fondamento. Da ciò discende che l’esistenza di
un controllo politico sull’operato statale non è più in grado di giustificare l’irrespon-
sabilità assoluta dello Stato.
142
  Van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, cit., p. 165.
143
  Roef, Kan de Staat, cit., p. 341.
144
  Brants, The king can do no wrong, cit., p. 515.
86 E. Pavanello

Ugualmente non convincente è stata reputata la motivazione addotta dalla Corte


di Cassazione secondo cui l’esistenza di una responsabilità penale dei funzionari esclu-
derebbe quella dello Stato. Le perplessità sorgono anche per il fatto che detti funziona-
ri partecipano delle stesse competenze pubbliche al pari della persona giuridica alle cui
dipendenze lavorano e pertanto dovrebbero godere di analoga immunità145. Inoltre,
nella pratica è molto spesso difficile accertare un’effettiva responsabilità dei funzionari
i quali agiscono nell’ambito di una più generalizzata politica d’impresa «criminale»,
senza tuttavia che agli stessi possa essere attribuita una precisa condotta illecita146. La
possibilità di procedere penalmente nei confronti dei funzionari non costituisce per-
tanto una valida alternativa.
Come rilevato da certa dottrina peraltro le stesse argomentazioni che hanno indot-
to la Suprema Corte a modificare la giurisprudenza Pikmeer i e a restringere l’ambito
di operatività dell’immunità penale per gli enti pubblici decentrati dovrebbero valere
anche nel caso dello Stato147. Innanzitutto, perchè la ratio della «nuova» interpretazio-
ne giurisprudenziale sugli enti pubblici decentrati è quella di garantire una posizione
di uguaglianza tra persone giuridiche di diritto pubblico e i terzi privati che pongono
in essere le medesime attività. In secondo luogo, perché anche nel caso dello Stato do-
vrebbe parlarsi di una funzione di esempio per i cittadini: questi ultimi rimarrebbero
negativamente colpiti dal fatto che proprio lo Stato può violare la legge penale impu-
nemente. Da qui la richiesta, anche a livello politico, di provvedere ad una revisione
della giurisprudenza Volkel, richiesta che ha condotto, come si vedrà, all’istituzione di
una commissione ad hoc incaricata di dare la propria opinione sulla questione.

19. La valutazione dell’opportunità di punire lo Stato da parte della dottrina: la possibilità


di configurare la responsabilità delle singole entità che compongono lo Stato.

La dottrina olandese non è unanime nel ritenere necessaria la previsione di una


responsabilità penale anche dello Stato: si ritiene infatti sufficiente la responsabilità
penale dei funzionari, dei Ministri e dei Segretari di Stato per i crimini commessi
nell’esercizio delle loro funzioni148.
Inoltre, anche la dottrina che ha avversato la giurisprudenza Volkel ha espresso
alcune riserve circa l’effettiva perseguibilità dello Stato in quanto tale, in ragione delle
difficoltà di delineare un sistema di responsabilità penale per lo Stato, persona giuridi-
ca dotata di una struttura estremamente complessa. Occorre chiedersi in che modo sia
145
  H.Ph.J.A.M. Hennekens, nota a sentenza della Hoge Raad 23.10.1990, in «Gemeentestem»,
1991, p. 330.
146
  Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer ii, cit., p. 81-82.
147
  Viering, Widdershoven, ibidem.
148
  Van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, cit., p. 166.
L’ordinamento olandese 87

possibile strutturare la responsabilità dello Stato e verificare sulla base di quali criteri la
condotta illecita sia attribuibile allo stesso149 e, in particolare, in che modo dovrebbero
atteggiarsi i criteri del potere e dell’accettazione. Al riguardo si è rilevato che atteso che
lo Stato, al pari delle altre persone giuridiche di diritto privato, è organizzato attra-
verso una struttura interna ove le competenze sono ben definite e ciascuna «entità»
impartisce ordini o conferisce incarichi a determinati soggetti, adottando decisioni
che possono dare origine alla commissione di fatti illeciti, è plausibile che esso sia a
conoscenza delle attività che si svolgono all’interno della propria organizzazione. Solo
laddove vi sia un’attività qualificabile come corpus alienum, sarà possibile ritenere che
la stessa non sia in alcun modo riconducibile allo Stato. Quanto, invece, al criterio
dell’accettazione, esso risulterebbe probabilmente di più difficile applicazione poiché
occorrerebbe verificare se sussista il potere in capo alla persona giuridica di adottare
tutte quelle misure idonee a prevenire la commissione del reato. Si considerino le
contravvenzioni: esse postulano in generale un dovere di diligenza che comporta per
l’organizzazione l’adozione di specifiche istruzioni, procedure o regole affinché all’in-
terno dell’ente non si verifichi alcun fatto penalmente rilevante. Mentre abbastanza
semplice è determinare quando materialmente vi sia stata la violazione di una norma,
più complicato invece risulta stabilire quando un certo comportamento è stato accet-
tato dall’organizzazione. E poi occorre determinare a che livello dell’organizzazione
vi sia stata l’accettazione. Ad esempio, nel caso Volkel in cui la violazione contestata
era di natura contravvenzionale, deve ritenersi sufficiente per attribuire la condotta
allo Stato che il responsabile della base militare fosse a conoscenza della potenziale
situazione di pericolo esistente o è piuttosto necessario che detta situazione fosse a
conoscenza dei più alti vertici dello Stato (sino ad arrivare al Ministero della Difesa)?
Mentre nella prima ipotesi sarà più agevole fornire la prova sul punto, nel secondo
caso occorrerà ricostruire una serie di responsabilità a catena e la prova sarà inevitabil-
mente più complessa150. Infatti, un deficit di organizzazione di una struttura «distante»
dai vertici statali ma facente parte dello stesso organismo, difficilmente potrà essere
riferita direttamente allo Stato151.
Il problema si acuisce ove si pensi ad ipotesi di reati in cui sia necessario dimostra-
re l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, come avviene nell’ipotesi di corporate
killing.
Stante l’esistenza di queste indubbie difficoltà, parte della dottrina olandese ha
proposto di non considerare lo Stato come un’unità inscindibile, quanto piuttosto di
attribuire soggettività giuridica anche alle singole entità che non sono dotate di pro-
149
  Roef, Strafbare, cit., p. 307.
150
  Brants, The king can do no wrong, cit., p. 521-528.
151
  Roef, Strafbare, cit., p. 393-397.
88 E. Pavanello

pria personalità giuridica. A tal proposito si è proposto di apportare una modifica del
codice penale che si indirizzi esplicitamente in questo senso152.

19.1. Valutazioni in ordine alla responsabilità penale dei dirigenti di fatto e di coloro
che hanno dato l’ordine all’interno dello Stato.

La possibilità di perseguire lo Stato assume nell’ordinamento olandese connotazio-


ni peculiari, in relazione alla possibilità di punire anche i soggetti fisici indicati nell’art.
51 comma 2) n. 2) c.p., ovvero i dirigenti di fatto e coloro che hanno dato l’ordine.
Se si nega la possibilità che lo Stato sia autore di un reato, automaticamente si nega
anche la possibilità di punire detti soggetti. L’affermazione trova consacrazione nella
sentenza Pikmeer i la quale ha ritenuto che la posizione giuridica dell’ente e delle per-
sone fisiche indicate sia così strettamente legata da non poter essere scissa. Atteso che
nessuna indicazione particolare sul punto è contenuta nella sentenza Volkel né nella
successiva giurisprudenza relativa agli enti decentrati, si deve ritenere che ciò debba
valere anche nell’ipotesi di dirigenti di fatto o di coloro che hanno dato l’ordine alle
dipendenze dello Stato153.
La questione, come si può agevolmente intuire, ha dei risvolti pratici di notevole
rilevanza. Secondo il sistema delineato dalla Corte, infatti, saranno punibili le sole
persone fisiche che hanno materialmente posto in essere la condotta illecita le quali
non sempre saranno facilmente individuabili o per le quali non sempre vi sarà un
reale interesse a procedere penalmente. Di fatto verrà quindi garantita una situazione
di generalizzata impunità.
L’esistenza della responsabilità penale delle persone fisiche in quanto tali (ai sen-
si quindi degli art. 47 e 48 c.p.) e dei funzionari che hanno commesso un delitto
nell’esercizio delle loro funzioni (ambtsdelicten), non esclude la necessità di prevedere
un’autonoma responsabilità dei dirigenti di fatto o di coloro che hanno dato l’ordine
ai sensi dell’art. 51 c.p. per ovviare a tale limitazione, si propone di prevedere espres-
samente la possibilità di punire detti soggetti, anche nell’ipotesi in cui essi agiscano
all’interno di una persona giuridica di diritto pubblico, non perseguibile154.
La costruzione proposta desta perplessità per il fatto che occorrerebbe comunque
attribuire la condotta allo Stato e accertarne la qualità di autore del reato, essendo la
responsabilità dei soggetti fisici indicati conseguente rispetto a quella della persona
giuridica.

152
  Roef, Strafare, cit., p. 400-401.
153
  Brants, The king can do no wrong, cit., p. 526 ss.
154
  Van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, cit., p. 166.
L’ordinamento olandese 89

20. L’istituzione da parte del Ministero della Giustizia di una commissione ad hoc per
valutare l’opportunità di prevedere un sistema di responsabilità penale nei confronti dello
Stato.

Anche i politici si sono interrogati sulla necessità di modificare l’art. 51 c.p.


con riferimento alla peculiare posizione dello Stato proprio in seguito alla sentenza
Pikmeer II che ha revocato in dubbio la fondatezza delle argomentazioni giuridiche
circa l’irresponsabilità penale dello Stato e la correttezza della scelta effettuata dalla
Corte di Cassazione.
Governo e membri della seconda Camera del Parlamento avevano espresso
posizioni divergenti sul punto: mentre il primo si era sostanzialmente dichiarato
contrario a qualsiasi forma di responsabilità penale dello Stato, i secondi si erano
espressi nel senso della perseguibilità penale dello Stato155.
Nel maggio del 2001 il Ministro della Giustizia olandese, a fronte di detto contrasto,
ha istituito una commissione ad hoc affinché quest’ultima fornisse il proprio parere
circa la possibilità di procedere penalmente nei confronti dello Stato156. I quesiti
posti alla Commissione miravano a verificare la fondatezza e l’opportunità di istituire
una responsabilità penale dello Stato nonché la struttura e le conseguenze giuridiche
dell’introduzione di una simile responsabilità.
Il rapporto della Commissione dal titolo Strafrechtelijke aansprakelijkheid van de
Staat (Responsabilità penale dello Stato) è stato presentato nel febbraio del 2002157.

20.1. Analisi da parte della Commissione del fondamento e della legittimità delle
argomentazioni addotte a sostegno dell’immunità penale dello Stato, ovvero l’asserita
identità tra soggetto perseguito e soggetto che esercita l’azione penale, l’ineffettività di una
sanzione penale di carattere pecuniario, l’asserita incompatibilità dei sistemi di controllo
politico, penale e amministrativo e il pericolo di una giustizializzazione della politica.
Critiche.

Nel rapporto elaborato la Commissione ha, innanzitutto, preso in considerazione


le disposizioni vigenti in materia, sottolineando come l’art. 51 c.p. non contenga-
alcuna previsione specifica e lasci, quindi, aperta la possibilità che anche lo Stato in
quanto tale venga perseguito penalmente. La Commissione ha proceduto poi all’e-
same della giurisprudenza sviluppatasi sino ad allora sulla responsabilità penale degli
155
  Si veda Verslag 14 luglio 2000, Kamerstukken 1999/2000, 25 n. 11, p. 294.
156
  La Commissione era composta di quattro giuristi: H.L.J. Roelvink (presidente della Commissione
da cui la stessa ha preso il nome), Prof. M.A.P. Bovens, Prof. G. Knigge e Prof. H.R.B.M. Kummeling.
157
  Il testo completo della relazione può essere rinvenuto nel sito web http://www.justitie.nl/
images/20020311_5154510%20rapport%20roelvink_tcm35-7881.pdf.
90 E. Pavanello

enti pubblici e ha rilevato che la Corte di Cassazione, nel distinguere nettamente la


posizione dello Stato da quella degli enti decentrati, non ha indicato un valido fon-
damento per giustificare simile differenziazione.
La Commissione ha poi esaminato gli argomenti che erano stati addotti sino ad
allora a favore di una totale immunità penale dello Stato, valutandone l’effettivo fon-
damento alla luce dei principi di legittimità ed effettività.
Con il principio di legittimità, la Commissione fa riferimento alla conformità
degli atti del Governo alla legge: laddove l’ente pubblico agisca in contrasto con le
norme di diritto lo stesso perde la propria credibilità. La Commissione ha ritenuto
che analogo principio debba valere anche per lo Stato, non esistendo alcuna ragione
in base alla quale quest’ultimo possa violare le disposizioni penali impunemente.
La condizione della legittimità degli atti del Governo è strettamente legata al prin-
cipio di uguaglianza perché, sostenendo che l’attività dello Stato non può mai essere
sottoposta al giudizio penale, si creerebbe un’evidente disparità di trattamento rispet-
to ad analoghi comportamenti tenuti dagli enti pubblici decentrati158.
La disuguaglianza si rende ancor più manifesta in relazione alle diverse posizioni
in cui si trovano entità governative indipendenti che pongono in essere condotte
penalmente rilevanti ma che, non disponendo di propria personalità giuridica ed es-
sendo direttamente incardinate nella struttura statale, non possono essere perseguite
rispetto ad entità che, al contrario, dispongono di personalità giuridica autonoma.
Esemplificativo il caso delle autorità amministrative indipendenti: l’autorità indipen-
dente per la posta e le telecomunicazioni (Onafhankelijke Post en Telecommunicatie
Autoriteit-opta) dispone di propria personalità giuridica e, per tale ragione, laddove
ponga in essere un fatto penalmente rilevante sarà perseguibile; di contro, l’autorità
olandese per la concorrenza (Nederlandse Mededingingsautoriteit-nma) si trova alle
dipendenze del Ministero per gli affari economici e non dispone di propria perso-
nalità giuridica, cosicché la stessa gode dell’immunità concessa allo Stato. Non si
comprende quale sia la ragione che induce a trattare in modo diverso le due autorità
nonostante dispongano di analoga struttura e svolgano funzioni assimilabili.
Sempre legata alla legittimità, viene in rilievo la questione dell’eventuale possibi-
lità di perseguire penalmente anche le persone fisiche che hanno agito per la realiz-
zazione del fatto penalmente rilevante in qualità di dirigenti di fatto o di coloro che
hanno dato l’ordine. Contrariamente a quanto indicato dalla Corte di Cassazione, la
Commissione non vede ragione alcuna per negare la possibilità di perseguire dette
persone fisiche.
Con il principio dell’effettività, la Commissione si riferisce invece al fatto che il
diritto penale può essere utilizzato solo come ultimum remedium: l’invito da parte
158
  La Commissione considera interessante che in Danimarca, uno dei pochi Paesi in cui è riconosciuta
la responsabilità penale dello Stato, non si faccia alcuna distinzione in relazione al trattamento penale
tra enti decentrati e Stato.
L’ordinamento olandese 91

degli studiosi è, dunque, di limitare l’uso della sanzione penale alle sole ipotesi in cui
ciò risulti effettivamente necessario.
Dopo aver precisato i principi sopra esaminati, si analizzano gli argomenti che
sono stati addotti dal Governo ad ostacolo della perseguibilità penale dello Stato, cer-
cando di dimostrare che nessuno di essi è in grado di giustificare la totale immunità
dello stesso.
Il primo ostacolo rinvenuto dal Governo concerne l’asserita identità tra soggetto
che esercita l’azione penale e soggetto perseguito: lo Stato perseguirebbe e punirebbe
se stesso e ciò determinerebbe una perdita di credibilità nell’azione penale e nella
punizione stessa.
Ad avviso della Commissione questo argomento non è convincente perché lo Sta-
to a ben vedere non verrebbe perseguito e punito da se stesso, bensì da entità diverse
che si collocano al suo interno (pubblico ministero e giudice penale). Il problema è
ad avviso della Commissione facilmente risolvibile attraverso degli accorgimenti di
carattere procedurale.
La seconda argomentazione addotta a sostegno dell’irresponsabilità attiene alla
controversa posizione in cui si verrebbe a trovare il Ministro di Giustizia, contem-
poraneamente membro del Governo e responsabile per l’operato del pubblico mini-
stero. Ciò comporterebbe un’inevitabile influenza nella scelta se perseguire o meno
lo Stato da parte del Ministro della Giustizia con la conseguenza che vi sarebbe un
controllo politico sull’attività giudiziaria. La Commissione non nasconde l’esistenza
di detto rischio che considera attuale e presente, ma ritiene che ciò possa essere su-
perato attraverso l’adozione di apposite procedure (in particolare, la Commissione
suggerisce di prevedere che il Ministro si astenga dal dare le proprie indicazioni ove
venga perseguito lo Stato).
Il terzo ostacolo addotto alla procedibilità concerne l’effettività del diritto penale e
della pena nei confronti di una persona giuridica di diritto pubblico e, in particolare,
dello Stato (vestzak-broekzak). Ad opinione della Commissione, il problema si pone
unicamente qualora vengano condannati Ministeri o entità all’interno dello Stato che
non sono dotati di un proprio budget e non dispongono, quindi, di risorse finanziarie
proprie. In ogni caso, anche in quest’ultima ipotesi, a parere degli esperti, è innega-
bile il valore simbolico della condanna penale, a prescindere dal fatto che alla stessa
segua poi l’effettiva applicazione della sanzione. Pertanto, la Commissione propone
di procedere ad una semplice dichiarazione di colpevolezza dello Stato cui poi non
segua l’applicazione di alcuna sanzione.
Quanto all’asserita incompatibilità con l’eventuale esistenza di sistemi di con-
trollo politici e amministrativi, la Commissione ritiene che ciò non costituisca alcun
ostacolo. Se infatti occorre assicurare che lo strumento penale trovi applicazione solo
come extrema ratio, laddove gli altri sistemi di controllo non producono risultati
92 E. Pavanello

soddisfacenti, si rileva che in principio nessun ostacolo si frappone alla compatibilità


tra i diversi sistemi.
Quanto, infine, al rischio di una giustizializzazione (juridisering) della politica,
essa ad avviso della Commissione non dipende tanto dalla possibilità di perseguire lo
Stato, quanto piuttosto dal modo in cui ciò nella pratica viene realizzato; occorre cioè
valutare l’interesse alla prosecuzione penale nei diversi casi specifici.
La Commissione non rinviene, dunque, alcun argomento sufficientemente fon-
dato, in grado di escludere la responsabilità penale dello Stato. Al contrario, essa rile-
va che la necessità di punizione dello Stato discende dalla cosiddetta normbevestiging
(letteralmente, conferma della norma): con questo concetto la Commissione intende
fare riferimento all’effettività del diritto penale che è maggiore nel caso in cui anche
gli enti pubblici siano perseguibili e che invece viene minata in caso contrario. La
volontà dei cittadini di rispettare la legge diminuisce, infatti, laddove sia diffusa l’idea
che il Governo possa impunemente violare la legge.

20.2. Il modello di responsabilità proposto: la possibilità di perseguire le singole entità


facenti capo allo Stato per i reati di carattere economico.

Una volta accertata la necessità di procedere ad una punizione penale delle condotte
poste in essere all’interno dello Stato, si pone il problema di come strutturare detta
responsabilità.
Secondo la Commissione non è opportuno fare riferimento al concetto di Stato
in generale: più appropriato, invece, fare riferimento alle singole unità o ai singoli
Ministeri i quali tuttavia molto spesso non detengono la personalità giuridica. La
Commissione propone di perseguire dette entità a condizione che le stesse siano
dotate di una indipendenza «esterna», che consenta loro di prendere parte al mercato
societario. Per determinare quando detta indipendenza esterna sussista occorrerà
tenere in considerazione una serie di fattori, quali, in via esemplificativa, l’esistenza
in capo all’ente di determinate competenze o funzioni, la disponibilità di un budget
autonomo, la capacità di avere relazioni con gli altri soggetti di diritto (ad esempio, un
fattore indicativo sarà il fatto che l’entità in questione può concludere autonomamente
contratti), la presenza di una certa autonomia decisionale, la disponibilità di una sede
di lavoro indipendente o addirittura di un autonomo indirizzo e-mail.
Lo Stato in quanto tale non può essere perseguito, ma devono esserlo le singole
entità allo stesso facenti capo, ancorché non dotate di personalità giuridica: di qui
L’ordinamento olandese 93

la necessità di modificare l’art. 51 c.p. nel senso che anche dette entità rientrano nel
concetto di persona giuridica159.
La Commissione indica, poi, che alcune entità, indipendentemente dalla loro
rilevanza esterna, non potranno mai sottostare alla responsabilità penale: trattasi del
pubblico ministero, del Consiglio di Stato e dei Tribunali. E ciò non tanto perché vi
siano ostacoli di principio, quanto piuttosto per ragioni di opportunità pratica.
Una volta chiarito l’ambito soggettivo di applicazione della responsabilità penale
dello Stato, la Commissione indica che, da un punto di vista oggettivo, le entità statali
potranno essere considerate responsabili unicamente per i cosiddetti ordeningsdelicten,
ovvero quei delitti che non sono previsti nel codice penale ma nelle leggi speciali (per
lo più si tratta di delitti economici contenuti nella wed).
La Commissione giustifica la propria scelta sostenendo innanzitutto che la con-
temporanea presenza di controllo sul piano penale, politico e amministrativo po-
trebbe determinare una situazione di confusione per i commune delicten. In secondo
luogo, essa ritiene che la maggior parte dei delitti che potranno essere riferiti allo
Stato apparterranno a questa categoria e che per gli stessi sarà più agevole la pro-
va dell’elemento soggettivo, atteso che sarà sufficiente nella maggior parte dei casi
dimostrare la sussistenza della colpa. A ciò si aggiunge che per i commune delicten
(pensiamo all’ipotesi di omicidio) sarà molto difficile provare sul piano causale che la
condotta dello Stato ha determinato il verificarsi di quel delitto. La presa di posizione
della Commissione è stata fortemente criticata dalla dottrina, vieppiù per il fatto che
la stessa propone la medesima soluzione anche qualora si tratti di fatti illeciti posti in
essere da enti pubblici decentrati160.
Quanto infine alla posizione delle persone fisiche indicate nell’art. 51 c.p.,
appare opportuno a parere della Commissione consentire che le stesse rispondano
penalmente indipendentemente dal fatto che l’ente pubblico (decentrato o Stato) cui
appartengono possa godere dell’immunità.
159
  Brants, Vervolgbaarheid van de Staat, in «Overheid en aansprakelijkheid», n.1, gennaio 2003, p. 10
rileva che nulla impedisce di estendere la proposta di scindere lo Stato in diverse unità anche ad altri enti
pubblici come i comuni di grandi dimensioni.
160
  La Commissione nel proprio rapporto fa infatti riferimento anche alla posizione degli enti pubblici
decentrati e propone che la loro responsabilità penale emerga solo nell’ipotesi di ordeningsdelicten. Da
condividere sono le critiche avanzate dalla Commissione sul fondamento giuridico e sull’opportunità
pratica di utilizzare il criterio dell’esecuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere
solo da funzionari pubblici, individuato da Pikmeer ii per escludere la responsabilità penale degli enti
pubblici decentrati. Gli esperti infatti ritengono che il criterio non sia sufficientemente determinato e
lasci spazio a diverse opzioni interpretative, senza contare poi che la distinzione tra attività che possono
essere poste in essere esclusivamente da soggetti pubblici e quelle che possono essere eseguite anche da
privati non è convincente. Al contrario, in virtù dei principi di legittimità ed effettività è necessario che
qualsiasi attività, anche quelle «tipiche» o «esclusive», siano sottoposte al controllo penale.
94 E. Pavanello

La Commissione conclude il proprio rapporto proponendo di indicare espressamente


nell’art. 51 c.p. che nel concetto di persona giuridica di diritto pubblico sono compresi
anche tutti i servizi, le strutture e quelle autorità che partecipano al mercato societario
oltre al fatto che le persone giuridiche di diritto pubblico potranno essere perseguite
unicamente per gli ordeningsdelicten. Essa inoltre propone di introdurre una modifica
all’art. 127 della legge sull’organizzazione del Regno in cui si indichi che il Ministro
della Giustizia non può fornire alcuna indicazione relativamente alle indagini e alla
perseguibilità nei casi in cui siano coinvolte persone giuridiche di diritto pubblico,
incluse le entità indipendenti indicate nell’art. 51 c.p.

21. Le reazioni critiche del Governo e della dottrina al modello di responsabilità proposto.

Il rapporto presentato dalla Commissione di giuristi è stato accolto in modo po-


sitivo dal Governo, il quale ha condiviso le linee generali in esso indicate. Affinché il
modello di responsabilità possa trovare applicazione è necessario, a parere dell’esecu-
tivo, individuare esattamente le entità e i servizi all’interno dello Stato che assumono
rilievo autonomo e che, in quanto tali, possono essere considerati responsabili.
Il Governo non ha, invece, condiviso la necessità, espressa dalla Commissione, di
introdurre la modifica della legge sulle competenze del Ministero della Giustizia in
materia di indicazioni da fornire al pubblico ministero161.
Quanto alla dottrina, essa si è mostrata più critica nei confronti del parere de quo
con particolare riferimento al diverso regime di responsabilità proposto per gli orde-
ningsdelicten e i commune delicten. Come è stato rilevato, infatti, le argomentazioni
addotte dalla Commissione sul punto prendono spunto da considerazioni di carattere
pratico che non dispongono di un fondamento teorico convincente162. La Commis-
sione ha ritenuto ad esempio che i commune delicten sono normalmente posti in esse-
re da persone fisiche e che per tale ragione la punizione sarebbe più effettiva nei con-
fronti delle persone fisiche che delle persone giuridiche. Ancora, da un punto di vista
sanzionatorio (retributivo), il procedimento nei confronti delle persone giuridiche
di diritto pubblico avrebbe come unico sicuro effetto una «condanna» a livello me-
diatico mentre la condanna ad una sanzione pecuniaria inciderebbe inesorabilmente
sul budget dell’ente. La Commissione in questo modo ha previsto gli effetti negativi
che la perseguibilità penale dello Stato potrebbe produrre, senza tuttavia verificare sul
campo se ciò corrisponda alla realtà e senza considerare che analoghe preoccupazioni
potrebbero essere avanzate per i commune delicten.
161
  G.J.M. Corstens, Vervolgbaarheid van de overheid, in «Nederlands Juristenblad», afl. 22, 2002.
162
  Rozemond, Past de Staat der Nederlanden in het verdachtenbankje?, cit., p. 7.
L’ordinamento olandese 95

I giuristi incaricati di redigere il parere inoltre hanno rinvenuto la ragione per


limitare la responsabilità penale dello Stato nel fatto che nei commune delicten l’ele-
mento centrale è la colpa individuale, cosicché non sarebbe possibile prevedere una
responsabilità penale delle persone giuridiche. L’argomento è stato criticato poiché,
come risulta dalle sentenze pronunciate in relazione agli enti decentrati, è possibile
costruire l’elemento soggettivo della colpa anche per le persone giuridiche e, soprat-
tutto, la responsabilità penale di queste ultime non esclude che sussista anche la re-
sponsabilità penale individuale163. In secondo luogo perché l’asserita «confusione»
addotta dalla Commissione in caso di previsione di una responsabilità penale oltre
che di un controllo politico e amministrativo, non convince poiché analoghi pro-
blemi potrebbero profilarsi con riferimento ai commune delicten. La stessa obiezione
viene mossa al rilievo che in caso di condanna dello Stato le vittime proverebbero
«sconcerto»: oltre al fatto che non è chiaro a che tipo di sconcerto la Commissione
faccia riferimento, la stessa situazione si verificherebbe in caso di condanna per un
ordeningdelict164.
Per comprendere la difficile situazione in cui ci si troverebbe qualora si ritenesse
di mantenere detta distinzione, si fornisce un esempio. Supponiamo che un Mi-
nistero, pel tramite dei propri funzionari, elimini senza aver previamente ottenuto
l’autorizzazione necessaria rifiuti dannosi, gettandoli nel mare ove i bambini normal-
mente si tuffano. Qualora uno di essi muoia a seguito del contatto con le sostanze
dannose (e sia dimostrato ovviamente che esiste un diretto nesso di causalità tra il
contatto con le sostanze nocive e la morte) il Ministero potrebbe essere perseguito
per aver eliminato rifiuti tossici senza autorizzazione, mentre non potrebbe essere
perseguito per l’omicidio colposo, trattandosi in questa ipotesi di un commune delict.
Chi scrive condivide pienamente le critiche mosse alla differenziazione di tratta-
mento a seconda del tipo di delitto commesso: nessuna delle argomentazioni addotte
è, infatti, convincente né dispone di solidi fondamenti giuridici. Al contrario, ogni
limitazione della responsabilità penale rischia di creare incongruenze maggiori nel
sistema rispetto alla sua totale eliminazione.
Quanto alla peculiare posizione del Ministro della Giustizia, la Commissione ha
segnalato la necessità di introdurre una modifica all’art. 127 della legge sull’organiz-
zazione del Regno prevedendo che in questo caso il Ministro si astenga dall’utilizzare
la propria competenza a dare istruzioni ai pubblici ministeri. Sarebbe più opportuno
per alcuni utilizzare un’apposita procedura attraverso la quale il Ministro − previo
scrutino da parte del collegio dei Procuratori generali − riceva la competenza di adire
un tribunale per valutare l’opportunità giuridica di procedere nei confronti dello Sta-
163
  J .H.P. van Spanje, Staat en straf, in «Nederlands Juristenblad», afl. 22, 2002.
164
  Van Spanje, Staat en straf, cit., afl. 22.
96 E. Pavanello

to. In questo modo verrebbe garantita l’indipendenza della scelta da ogni influenza
politica165.
Critiche sono state avanzate rispetto al rapporto della Commissione Roelvink, ol-
tre che per l’irragionevolezza della distinzione tra delitti comuni e ordeningsdelicten,
anche in relazione alla proposta di distinguere all’interno dello Stato i diversi servizi,
stabilimenti, imprese o unità organizzative che godono di «indipendenza»166.

22. Gli esiti applicativi del sistema di limitata responsabilità penale degli enti pubblici
decentrati e dello Stato. L’impunità «incomprensibile» delle persone giuridiche, dei
dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine in relazione a disastri imputabili alle
colpose omissioni dell’amministrazione pubblica.

I casi esaminati nel presente paragrafo hanno suscitato grande scalpore in Olanda
perché hanno evidenziato le limitazioni cui l’applicazione dei principi giurispruden-
ziali in materia di (ir)responsabilità penale di enti decentrati e Stato possono dare
origine167.
Nel caso di Enschede, un magazzino di fuochi artificiali era esploso nel centro della
città con conseguenze catastrofiche: oltre 20 morti e più di 1.000 feriti, senza contare
che l’incidente aveva comportato anche ingenti danni materiali.
La commissione statale di indagine aveva stabilito che diversi enti pubblici non
avevano compiuto quanto era di loro competenza per prevenire il disastro incendia-
rio. Dalla relazione de qua era emerso, in particolare, che tanto la condotta del Co-
mune di Enschede nella veste di ente che concedeva l’autorizzazione per il deposito dei
fuochi artificiali, quanto quella degli organi statali preposti al controllo della sicurezza
(ufficio Milan del Ministero della Difesa), avevano mostrato gravi lacune.
Il Tribunale di Almelo nel considerare la posizione dello Stato, si è limitato a con-
statare l’impossibilità di perseguire detto ente pubblico, in ragione dei principi con-
tenuti nella sentenza Volkel, nonché l’impossibilità di perseguire i dirigenti di fatto e
coloro che avevano dato l’ordine all’interno dell’organizzazione statale168.
165
  P. de Haan, Nogmaals de strafbaarheid van de overheid: onderscheid tussen rechtspersoon en openbaar
gezag, in «RMThemis», n. 3, 2003, p. 148 secondo cui il rischio di un’effettiva influenza politica nella
scelta di procedere penalmente o meno è solo teorico.
166
  De Haan, Nogmaals de strafbaarheid van de overheid: onderscheid tussen rechtspersoon en openbaar
gezag, cit., p. 147-148.
167
  Nel senso che pochi casi dopo quello Pikmeer hanno destato interesse nell’opinione pubblica e, tra
questi, quelli di Volendam ed Enschede si veda J.A.F. Peters, Na Pikmeer: Volendam of Enschede?, in
«Nederlands Tijdschrift voor Bestuursrecht», n.2, 2002, p. 42.
168
  Rechtbank Almelo 2 aprile 2002, LJN: AE0935, reperibile nel sito web <http://zoeken.rechtspraak.
nl/zoeken/dtluitspraak.asp>.
L’ordinamento olandese 97

Quanto invece al Comune di Enschede, il Tribunale ha preso in considerazione le


diverse attività che lo stesso aveva posto in essere (o meglio, le negligenti omissioni
dello stesso). Dalle indagini era, infatti, risultato che la domanda per ottenere l’auto-
rizzazione da parte della società privata che si occupava della gestione del materiale
esplosivo era stata insufficientemente esaminata dal Comune. Inoltre, in numerose
occasioni il Comune aveva omesso di esercitare il proprio controllo sull’attività della
società stessa: di fatto, l’ente pubblico aveva permesso il perpetuarsi di una situazio-
ne in contrasto con la legge penale. Ancorch’è la società privata fosse stata più volte
ammonita circa la situazione irregolare in cui si trovava, il Comune aveva comunque
consentito il protrarsi della situazione e non aveva adottato alcuna misura volta a
prevenire eventuali incidenti169.
Il rilascio dell’autorizzazione de qua, a parere del Tribunale, integrava, alla luce del
sistema legislativo attualmente vigente, un’ipotesi di «compito pubblico esclusivo».
Ad analoghe conclusioni sono pervenuti i Giudici con riferimento ai compiti del
mantenimento della sicurezza e del controllo in relazione al deposito dei fuochi
artificiali. Per tali ragioni, sulla base dei principi indicati nella sentenza Pikmeer ii, la
responsabilità del Comune è stata esclusa.
Per quanto concerne la posizione delle persone fisiche che avevano agito all’in-
terno del Comune, la sentenza ha precisato che la perseguibilità delle stesse avrebbe
potuto venire in rilievo sotto un duplice profilo: ai sensi dell’art. 51 c.p., in quanto
soggetti che hanno dato l’ordine di eseguire l’attività illecita o dirigenti di fatto, e, ai
sensi degli artt. 47 e 48 c.p., in quanto autori o compartecipi del reato.
In relazione alla prima ipotesi, il Tribunale si è limitato a rilevare che ove non sus-
sista la responsabilità penale della persona giuridica, come nel caso di specie, nessuno
spazio residuerà nemmeno per la responsabilità di coloro che hanno dato l’ordine
e dei dirigenti di fatto (detto principio discende dall’insegnamento della sentenza
Pikmeer i).
Quanto, invece, al ruolo delle persone fisiche autori del reato o compartecipi, il
Tribunale ha rilevato che non era stata provata nel corso del procedimento l’effettiva
posizione di questi soggetti e che, in ogni caso, non sarebbe sussistito alcun interesse
al loro perseguimento. Nel caso di Enschede pertanto non vi è stata condanna né per
le autorità statali e il Comune, né per coloro che avevano dato l’ordine o i dirigenti
di fatto che avevano agito al loro interno. Il direttore della società privata è stato in-
vece condannato ad un periodo di reclusione di sei mesi e al risarcimento del danno
169
  A parere di Brants, Vervolgbaarheid van de Staat, cit., p. 7, questa decisione dimostra che la
sussistenza dell’immunità degli enti pubblici decentrati non garantisce comunque che il giudice penale
si astenga da qualsiasi tipo di giudizio circa la condotta posta in essere dall’amministrazione. Nel caso di
specie infatti il giudice ammette che vi siano state una serie di negligenze rimproverabili in capo all’ente
pubblico, salvo poi escludere la loro rilevanza penale in quanto si tratta di condotte poste in essere
nell’ambito di un’attività di competenza esclusiva dell’ente pubblico.
98 E. Pavanello

pari ad euro 2.250,00. La Corte d’Appello ha poi confermato la sentenza di primo


grado170.
A conclusioni analoghe sono giunti i giudici in relazione all’incidente avvenuto
a Volendam. In questo caso la notte di Capodanno si era verificato uno spaventoso
incendio in un caffé a seguito del quale morirono una dozzina di persone. L’incen-
dio era stato causato dalla non conformità alle norme vigenti del sistema elettrico
e dall’uso di lampade natalizie facilmente incendiabili. Dalle indagini era risultato
che sussisteva la responsabilità di molti enti pubblici i quali non avevano adempiuto
diligentemente ai propri compiti di sorveglianza cui erano tenuti secondo quanto
stabilito dalla legge di prevenzione degli incendi.
Nella conferenza stampa dell’8 gennaio 2001, il pubblico ministero di Haarlem ha
dichiarato che non intendeva procedere con l’azione penale nei confronti né del Co-
mune né degli altri enti pubblici coinvolti nella vicenda, richiamando a tal proposito
i criteri stabiliti da Pikmeer ii. Infatti, le condotte censurate riguardavano il rilascio
di una licenza da parte del Comune nonostante il locale non rispettasse le condizioni
di sicurezza. A dire il vero il Comune aveva rilasciato la licenza dietro la condizione
che venissero effettuati determinati lavori in modo da rendere il locale conforme alle
disposizioni vigenti: inutile dire tuttavia che questi lavori non vennero mai eseguiti
e che il Comune non fece quanto nelle sue possibilità per modificare la situazione.
Secondo il pubblico ministero questi comportamenti ricadevano nell’ambito dei
compiti pubblici che possono essere posti in essere esclusivamente da funzionari pub-
blici atteso che la prevenzione degli incendi è, ai sensi dell’art. 1 comma 4 della legge
sulla prevenzione degli incendi, un compito di esclusiva competenza del Consiglio
Comunale. Il pubblico ministero ha ritenuto, invece, fondati i sospetti nei confronti
del proprietario del caffè, sia in relazione al reato di incendio colposo che a quello di
omicidio colposo, rilevando che egli era a conoscenza sia dello stato pericoloso dei
luoghi, quanto della rischiosità delle lampade utilizzate171.
Entrambi i casi menzionati si caratterizzano per evidenti omissioni da parte degli
enti pubblici.
Per quanto riguarda il caso di Enschede è stato rilevato che per ammettere una
responsabilità penale a carico del Comune, alla luce del criterio del compito pubblico
esclusivo, occorrerebbe riconoscere che, quantomeno da un punto di vista astratto, i
compiti di prevenzione degli incendi potrebbero essere attribuiti a persone giuridiche
di diritto pubblico che non sono enti pubblici o addirittura a persone giuridiche di
diritto privato172. L’affermazione non sembra probante a parere di chi scrive: infatti,
170
  Hof Arnhem 24 settembre 2002, in «Administratiefrechtelijke Beslissingen», 2003/268 con nota di bpv.
171
  Si veda il comunicato stampa del pubblico ministero di Haarlem in data 8 gennaio 2001 De ramp
in Volendam en de strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, in «Nederlands Juristenblad», n. 3,
2001, p. 148-149.
172
  D. Roef, Strafvervolging van overheden Een evaluatie naar aanleiding van de ramp in Enschede, in «Ars
L’ordinamento olandese 99

non è stato escluso che questi compiti di natura esclusivamente pubblica possano
essere posti in essere anche da persone giuridiche di diritto privato, ma nonostante
ciò ha ritenuto improcedibile l’azione penale.
Quanto al caso Volendam, le reazioni sono state contrastanti. La maggior parte
della dottrina ha considerato la soluzione per la quale ha optato il pubblico ministero
alquanto discutibile. Sul punto si è ritenuto come nel caso di specie la responsabilità
del Comune fosse manifesta e quest’ultimo avrebbe pertanto dovuto essere punito. Il
Sindaco aveva addirittura ammesso la propria responsabilità dichiarando che, nono-
stante il Comune avesse indicato ai proprietari del caffé le modificazioni da apportare
al locale per renderlo conforme alla normativa vigente, lo stesso ente non aveva poi
proceduto ad adottare misure adeguate per prevenire un simile incidente. Evidente
poi il nesso diretto tra la negligenza (colpevole) del Comune e l’incendio, nesso che
raramente è così chiaro nell’ipotesi di condotte di carattere omissivo173. Se dunque
è vero che l’estinzione degli incendi è compito di carattere prettamente pubblico, in
quanto tale non delegabile a terzi e sottoposto a immunità penale, nel caso specifico
le negligenze del Comune atterrebbero in realtà ad una fase precedente rispetto alla
vera e propria estinzione dell’incendio. Dette funzioni di prevenzione possono essere
poste in essere anche da terzi privati, con la conseguenza che non sono sottoposte a
immunità penale.
Non é mancato, tuttavia, chi ha adottato un approccio diverso, con l’invito ad
abbandonare la retorica e a guardare alla realtà: il diritto penale non potrebbe infatti
soddisfare le aspettative dei cittadini a fronte di un comportamento negligente di un
Comune174. In questo senso è stata negata l’esistenza del nesso di causalità tra l’omis-
sione del Comune da un lato e l’incendio dall’altro e ciò perché la causa e l’effetto
devono trovarsi in termini di tempo e di immediatezza vicini l’uno all’altro, cosa che
nel caso di specie non si sarebbe verificata. La sola esistenza di un generale dovere di
diligenza e l’eventuale responsabilità per le conseguenze che si determinano in viola-
zione di detta diligenza, non sarebbe in questa prospettiva sufficiente a determinare
la responsabilità del soggetto: è necessario, piuttosto, che esista un compito specifico
cui adempiere o un comportamento ben definito da tenere. Secondo lo Studioso non
vi sarebbe, pertanto, alcuna connessione diretta tra la negligenza dell’ente pubblico
e il disastro incendiario, sia perché le negligenze del Comune si erano verificate nei
dieci anni precedenti alla realizzazione dell’incendio, sia perché non sarebbe esistito
Aequi», n. 50, 2001, p. 149.
173
  T.M. Schalken, Waarom wordt de gemeente Volendam niet vervolgd?, in «Delikt en Delinkwent», n.
31 afl. 12, 2001, p. 115.
174
  S.A.M. Stolwijk, Retoriek en realiteit in Volendam, in «Delikt en Delinkwent», n. 31, afl. 6, 2001,
p. 525 ss.
100 E. Pavanello

un compito specifico cui il Comune doveva adempiere.


Contrariamente alla posizione da ultimo illustrata, chi scrive condivide l’opinione
di altri Studiosi secondo i quali è difficile giustificare in queste tragedie l’inattività
(colpevole) degli enti pubblici175. La posizione espressa si basa, tra l’altro, su alcune
sollecitazioni provenienti dallla recente giurisprudenza della Corte Europea dei Di-
ritti dell’Uomo.

23. La necessità di accertare la responsabilità penale dei soggetti fisici esercenti funzioni
pubbliche che hanno attentato al diritto alla vita nella giurisprudenza della Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo e i possibili riflessi di tale principio in relazione alla responsabilità
penale delle persone giuridiche di diritto pubblico (caso Öneryildiz v. Turchia).

Per quanto qui interessa si farà cenno alla sentenza Öneryildiz v. Turchia176 che
risulta particolarmente rilevante ai fini della materia oggetto di studio, sia per le
analogie con i casi Enschede e Volendam sotto il profilo fattuale, sia per la motivazione
contenuta nella decisione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Il caso riguardava un’esplosione di metano avvenuta all’interno di una discarica
comunale nelle vicinanze della quale si erano insediate in modo abusivo nel corso degli
anni dodici famiglie. Le autorità locali non avevano concesso alcuna autorizzazione
all’insediamento in tali luoghi, ma, nel contempo, non avevano fornito adeguate
informazioni sui rischi cui gli abitanti della zona andavano incontro vivendo vicino
alla discarica, né avevano adottato alcuna misura idonea a trasferire detti soggetti in
un luogo sicuro, nonostante da un rapporto governativo emergesse in modo chiaro
l’esistenza di un rischio per la vita degli abitanti della bidonville. A causa di questa
esplosione erano decedute 39 persone, delle quali molte facevano parte della famiglia
del ricorrente.
Il signor Öneryildiz, dopo aver esperito le azioni penale e amministrativa a livello
nazionale, esperiva il ricorso avanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (in
seguito, cedh), allegando la violazione da parte dello Stato turco dell’art. 2 della
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che tutela il diritto alla vita, dell’articolo
1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione che protegge il diritto alla proprietà,
dell’articolo 6 della Convenzione che prevede il diritto al giusto processo e dell’articolo
8 della Convenzione, il quale tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Ci limiteremo ad analizzare l’argomentare giuridico della cedh con riferimento
all’allegata violazione dell’articolo 2 della Convenzione, in quanto riteniamo che
175
  T. Barkhuysen, M.L. van Emmerik, Het evrm dwingt tot verruiming van de strafrechtelijke
vervolgbaarheid van overheden, in «Nederlands Juristenblad», afl. 28, 2003, p. 1444.
176
  cedh, Öneryildiz v. Turchia, n. 48939/1999.
L’ordinamento olandese 101

questa parte della sentenza rilevi in particolar modo ai fini della presente ricerca.
Innanzitutto, la cedh ha ritenuto che il rispetto del diritto alla vita imponga
oltre all’obbligo per lo Stato di astenersi dal causare volontariamente la morte di un
soggetto, anche taluni obblighi positivi per gli enti pubblici.
La cedh ha individuato nel caso di specie, in primis, l’obbligo di adottare tutte
le misure legislative e amministrative atte a prevenire il pericolo e, in secondo luogo,
l’obbligo di informare il pubblico circa i rischi che i soggetti potevano correre
continuando ad abitare nelle vicinanze della discarica. È evidente, ad opinione della
Corte, il nesso causale tra la negligenza delle autorità e l’incidente mortale.
Ma la Corte è andata oltre e ha ritenuto esistente un ulteriore obbligo positivo
per lo Stato, ovvero quello di assicurare una reazione adeguata nel caso in cui venga
violato il diritto alla vita protetto dall’articolo 2 della Convenzione: ciò comporta
il compimento di indagini effettive e l’attuazione di un sistema sanzionatorio che
consenta di proteggere concretamente il diritto alla vita (obbligazione questa che
si fonda su quella più generale prevista all’art. 13 della Convenzione che prevede il
diritto ad un ricorso interno adeguato ed effettivo). Quanto al sistema sanzionatorio
da applicare, la Corte ha evidenziato che in caso di infrazioni non intenzionali (come
nell’ipotesi che ci occupa) non sempre sarà necessario approntare un sistema penale
di repressione; tuttavia, ove vengano in rilievo attività particolarmente pericolose
(quali la gestione di una discarica) che possono condurre alla morte di taluni soggetti,
il ricorso alla via penale è ineludibile.
Nel caso di specie, la cedh ha evidenziato che, sul piano interno, la procedura penale
è stata instaurata unicamente nei confronti dei sindaci della città di Istanbul e della
città di Ümraniye con l’accusa di negligenza-omissione rispetto alle proprie mansioni
di controllo, senza che sia stata considerata in alcun modo la messa in pericolo della
vita degli abitanti della bidonville in ragione di tali negligenze (il capo d’accusa non
era infatti di omicidio involontario). Ciò, ad avviso della cedh, rivelava una grande
lacuna del sistema turco in quanto è innegabile il legame tra queste omissioni e la
morte degli abitanti della bidonville (da rilevare peraltro come la condanna inflitta
dal Tribunale turco ai due sindaci sia stata estremamente esigua, ovvero un’ammenda
pari a circa 10 euro). Quanto alle responsabilità del Ministero dell’Ambiente e delle
altre autorità governative coinvolte nella vicenda, esse erano state accertate mediante
la sola procedura amministrativa: la condanna al risarcimento del danno è stata
limitata a poco più di 2.000,00 euro che, all’epoca della sentenza della cedh, non
erano ancora stati pagati al ricorrente. Orbene, a parere della cedh il meccanismo
repressivo turco, sia penale che amministrativo, non si è rivelato adeguato ed effettivo
così come dovrebbe essere alla luce dei principi stabiliti dalla Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo e, in particolare, della protezione del diritto alla vita.
A questo punto ci si può interrogare sulla rilevanza di una simile pronuncia
nel panorama giuridico olandese. Gli studiosi che si sono posti tale interrogativo,
102 E. Pavanello

hanno proceduto a verificare se la giurisprudenza Pikmeer i e ii, che ha in sostanza


condotto all’impunità delle persone giuridiche e delle persone fisiche nei casi di
Enschede e Volendam, sia effettivamente compatibile con le indicazioni provenienti
dalla giurisprudenza di Strasburgo. Come si ricorderà alla luce di Pikmeer i e ii viene
garantita l’impunità non tanto per il comportamento «giuridico» dell’ente pubblico
(rechtshandeling), ma per il comportamento materiale in violazione della legge penale
che ne segue. Ciò determina anche l’impunità per i dirigenti di fatto e per coloro che
hanno dato l’ordine all’interno della persona giuridica.
Giova ricordare che la cedh ha ritenuto non rispondente ai principi di un
adeguato sistema sanzionatorio perseguire i sindaci delle due città turche unicamente
per le negligenze compiute a livello amministrativo (rechtshandeling) e non anche
per gli omicidi involontari che ne sono derivati. In secondo luogo, la cedh ancorché
non abbia imposto l’obbligo di procedere penalmente nei confronti delle persone
giuridiche di diritto pubblico, ha comunque «imposto» di considerare responsabili,
in caso di violazione del diritto alla vita, le persone fisiche che hanno avuto un
ruolo nel verificarsi dell’incidente, a prescindere dal fatto che le stesse esercitino una
funzione di carattere pubblico. Da ciò discende che non è possibile escludere a priori
la responsabilità penale (quantomeno) delle persone fisiche che esercitano funzioni
pubbliche, creandosi in caso contrario uno spazio di impunità che mette in serio
pericolo la tutela del diritto alla vita. È proprio questo che la giurisprudenza Pikmeer i
fa, ritenendo che anche i dirigenti di fatto e coloro che hanno dato l’ordine in quanto
svolgono funzioni di natura pubblica debbono andare esenti da pena.
Non siamo in grado di dire se e in che modo la giurisprudenza di Strasburgo potrà
influenzare o addirittura modificare le posizioni attuali della giurisprudenza olandese:
quel che è certo è che occorre attentamente riflettere sulle motivazioni enunciate dalla
cedh, al fine di valutare se l’immunità penale di taluni soggetti fisici (e anche delle
persone giuridiche) disponga di un solido fondamento giuridico.

24. Verso una modifica del codice penale olandese sulla responsabilità penale di enti
pubblici decentrati e Stato?

Le soluzioni giurisprudenziali sin qui illustrate hanno indotto la dottrina (ma


anche il Governo e la Commissione Roelvink) ad interrogarsi sulla necessità di una
modifica legislativa al fine di consentire che anche le attività degli enti pubblici (de-
centrati e Stato) siano sottoposte al sindacato del giudice penale. Come si vedrà sul
punto non c’è accordo.
Quanto agli enti pubblici decentrati, da un lato, vi è chi rileva che il disposto
legislativo non ponga espressamente alcun ostacolo alla perseguibilità penale di detti
enti: ogni limitazione è stata «creata» dalla giurisprudenza. Pertanto nessuna modifica
L’ordinamento olandese 103

è necessaria: sarà sufficiente, al contrario, che il giudice penale motivi adeguatamente


il fatto di non procedere penalmente dando conto dei diversi interessi in gioco177. Il
Governo, dal canto suo, ritiene che essendosi oramai cristallizzati i principi dell’ese-
cuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere da parte dei funzionari
pubblici, non vi sia alcuna necessità di procedere ad una modifica legislativa ad hoc.
Dall’altro lato, invece, c’è chi ritiene che una modifica del codice penale sia neces-
saria al fine di rendere definitivamente chiaro che anche gli enti pubblici decentrati
possono essere perseguiti penalmente. Sull’entità di tale modifica le posizioni si diffe-
renziano. Per alcuni, l’art. 51 c.p. dovrebbe indicare espressamente che nel concetto
di persone giuridiche sono comprese anche quelle istituite in base alle norme del
diritto pubblico178. Altri ritiene invece che sarebbe necessario introdurre un ulteriore
comma nell’art. 51 c.p. in cui indicare che le persone giuridiche sono quelle elencate
nell’art. 1 del ii libro del codice civile179. Altri ancora individuano alcune raccoman-
dazioni da seguire in materia di responsabilità penale degli enti pubblici decentrati tra
le quali l’introduzione di un’apposita norma che consenta di eliminare ogni dubbio
circa la possibilità di procedere penalmente nei confronti degli enti decentrati. Al ri-
guardo si evocano due diverse soluzioni, ovvero: i) l’introduzione di una disposizione
sull’immunità degli enti pubblici decentrati del tipo «un ente pubblico ai sensi del
capitolo 7 della Costituzione può invocare l’immunità solo qualora il comportamen-
to incriminato sia stato tenuto nel quadro dell’esecuzione di un esclusivo compito
pubblico che per sua natura e in relazione alle norme di legge può essere eseguito solo
da funzionari pubblici», da inserire nel titolo 8 del i libro del codice penale dedicato
alle cause di estinzione della procedibilità; ii) l’inserimento nel primo comma dell’art.
51 c.p. di un apposito inciso in cui si specifichi che tra le persone giuridiche vanno
incluse anche quelle di diritto pubblico180.
Quanto alla posizione dello Stato, anche qui si registrano opinioni diverse. Men-
tre infatti secondo taluno non è necessario procedere ad alcuna modifica legislativa
e lo Stato dovrebbe essere perseguito nella sua interezza, vi è chi ritiene imprescindi-
bile modificare l’art. 51 c.p. ed indicare che anche le singole autorità «indipendenti»
all’interno dello Stato, ancorché non dotate di personalità giuridica, possano essere
177
  In questo senso Roef, Strafbare, cit., p. 275; De Roos, Het Pikmeerarrest en zijn gevolgen, cit., p. 232;
Drupsteen, De overheid straffeloos, cit., p. 155.
178
  Brants, De Lange, Strafvervolging van overheden, cit., p. 98.
179
  Fransen, Crimineel overheidsgedrag in de doofpot, cit., p. 14-15.
180
  Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 243-245 ritiene necessario il rafforzamento del controllo
amministrativo sull’attività degli enti pubblici per modo che il diritto penale sia effettivamente relegato
a ultimum remedium; la valutazione da parte del p.m. dell’opportunità di procedere nei confronti
di detti enti attraverso l’introduzione di una pre-procedura, mediante la presentazione di un’apposita
istanza al Ministro di Giustizia; la valutazione attraverso i principi di proporzionalità e sussidiarietà della
correttezza dell’attività posta in essere dall’ente pubblico.
104 E. Pavanello

perseguite penalmente181. Anche il Governo ha ritenuto di condividere la posizione


espressa dalla Commissione Roelvink e consentire così che sia possibile procedere nei
confronti delle entità indipendenti.
Il Consiglio di Stato si è mostrato assolutamente contrario alla possibilità di pre-
vedere una responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico.
Allo stato attuale nessuna modifica legislativa è stata introdotta nel codice penale
olandese anche se sono al vaglio diverse ipotesi di modifica, volte a fare in modo
che tanto gli enti decentrati quanto lo Stato possano essere considerati penalmen-
te responsabili. Secondo quanto indicato da un membro della Seconda Camera del
Parlamento appartenente al partito socialista, infatti, tra il 1999 e il 2002 si sono
registrate 552 violazioni della legge penale da parte dello Stato e degli enti pubblici
decentrati182.
Il progetto di legge presentato dal Governo, nell’ottobre del 2005, prevede l’in-
troduzione espressa della responsabilità penale di Stato ed enti decentrati, oltre che la
possibilità di perseguire anche i dirigenti di fatto e coloro che hanno dato l’ordine di
commettere il fatto criminoso, anche nel caso in cui il fatto illecito sia stato posto in
essere da parte di un ente pubblico che gode dell’immunità. Resta salva la possibilità
di invocare per gli enti pubblici la clausola di non punibilità se il fatto commesso era
«ragionevolmente» necessario per l’esecuzione di un dovere pubblico imposto dalla
legge183.
Con tale proposta il Governo ha posto l’accento sul fatto che in questo modo ver-
rebbe assicurato il dovere degli Stati di proteggere il diritto alla vita, così come sancito
dall’art. 2 della cedu. Attraverso la modifica dell’art. 51 c.p., l’esecutivo ritiene infatti
che il sistema olandese si conformerebbe alle indicazioni provenienti dalla giurispru-
denza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (il riferimento è fatto in particolare
al caso Öneryildiz, analizzato nel paragrafo che precede) in quanto sarebbe possibile
assicurare alla giustizia i funzionari pubblici che hanno con le proprie condotte attive
od omissive dato origine all’illecito penale. La questione dunque resta di scottante
attualità.

181
  Roef, Strafbare, cit., p. 573.
182
  Pvda: ook overheid is te vervolgen, in De Volkskrant, 19 maggio 2005.
183
  Il testo del disegno di legge «Wijziging van het Wetboek van Strafrecht strekkende tot het strafrecjtelijk
vervolgbaar maken van het opdracht geven tot en het feitelijke leiding geven aan verbose gedragingen
van overheidsorganen» è reperibile nel sito www.justitie.nl. Per un commento si veda E. Sikkema, Twee
wetsvoorstellen over de strafbare overheid, in «Nederlands Juristenblad», 2006, p. 1994 ss.
L’ordinamento olandese 105

25. Il sistema di responsabilità penale e di immunità delle persone giuridiche di diritto


pubblico nel sistema olandese.

La disposizione normativa di cui all’art. 51 c.p. prevede in modo generalizzato la


responsabilità penale delle persone giuridiche senza distinguere a seconda della loro
natura privata o pubblica. Le sole indicazioni − peraltro non vincolanti − relative
alle eventuali limitazioni circa la possibilità di perseguire le persone giuridiche di
diritto pubblico sono contenute nella Relazione al codice penale: la stessa indica la
necessità di verificare se la condotta illecita dell’ente pubblico sia stata adottata nello
svolgimento di un compito che anche le persone giuridiche di diritto privato avreb-
bero potuto porre in essere. Solo in questo caso, infatti, sarebbe possibile procedere
penalmente nei loro confronti.
La giurisprudenza si è spinta oltre rispetto a tali indicazioni e ha «creato» un si-
stema di immunità che, come ha rilevato la dottrina, non trova espliciti fondamenti
normativi, distinguendo in maniera netta la posizione degli enti pubblici decentrati
da quella dello Stato.
Per quanto concerne la posizione degli enti pubblici decentrati occorre osservare
quanto segue.
Il criterio soggettivo di esclusione dalla responsabilità penale (ente pubblico ai sensi
del capitolo 7 della Costituzione), è stato plausibilmente adottato dalla Corte di Cas-
sazione nella convinzione che gli enti ivi indicati siano dotati di una legittimazione
democratica e siano sottoposti ad un controllo politico o amministrativo che rende
esente il loro operato da un possibile vaglio da parte del giudice penale, nonostante
nessuna indicazione esplicita fosse contenuta nella Relazione al codice penale.
La soluzione indicata dalla Suprema Corte ignora, innanzitutto, che non tutte
le persone giuridiche di diritto pubblico elencate nel capitolo 7 della Costituzione
sono effettivamente dotate di sistemi di controllo politico − così avviene, ad esempio,
nel caso dell’Ordine degli Avvocati olandesi − e che, nel contempo, esistono persone
giuridiche di diritto pubblico che non rientrano nell’elencazione predetta ma sono
sottoposte ad un controllo politico delle attività dalle stesse poste in essere. È questo
il caso del Politieregio, organo della polizia olandese organizzato su base regionale.
Inoltre, lo stesso fondamento giuridico su cui si baserebbe la scelta effettuata dalla
Corte di Cassazione è stato messo fortemente in discussione dalla sentenza Pikmeer
ii. A seguito di tale decisione, infatti, la Corte ha statuito che non esistono ostacoli al
(contestuale) uso di diversi sistemi di controllo sull’operato degli enti pubblici.
Da un punto di vista oggettivo, inizialmente la giurisprudenza ha escluso la possi-
bilità di perseguire penalmente un ente pubblico qualora lo stesso avesse agito nell’e-
secuzione di un compito pubblico, dando per scontato che laddove esista una norma
che attribuisce l’esecuzione di un determinato compito all’ente pubblico, l’attività
dallo stesso posta in essere sia legittima. La Corte di Cassazione non ha indicato il
106 E. Pavanello

fondamento di una simile opzione interpretativa ma, a parere di chi scrive, ha proba-
bilmente inteso far riferimento al fatto che laddove una determinata attività sia ese-
guita da un ente pubblico esistono ragioni di interesse generale che inducono a non
considerare penalmente rilevante l’attività illecita dallo stesso eventualmente posta
in essere. Tuttavia, proprio dall’analisi dei casi giurisprudenziali esaminati, è palese il
fatto che non sempre l’ente pubblico nel decidere di agire in un certo modo,«sceglie»
la difesa dell’interesse pubblico.
Successivamente, la Corte di Cassazione con la sentenza Pikmeer ii, si è orientata
verso il criterio dell’esecuzione di un compito pubblico esclusivo, ovvero che può
essere posto in essere esclusivamente da funzionari pubblici, intendendo così rispon-
dere (tra l’altro) alle critiche mosse dalla dottrina relativamente alla violazione del
principio di uguaglianza. Il principio de quo verrebbe infatti violato laddove, a fronte
di medesime condotte materiali tenute da enti pubblici e da persone giuridiche di
diritto privato, diversa fosse la risposta sanzionatoria. Attraverso l’introduzione del
criterio del compito pubblico esclusivo il problema a parere della Corte di Cassazione
viene risolto in quanto le attività esclusivamente pubbliche non potranno mai essere
poste in essere da persone giuridiche di diritto privato, con la conseguenza che non si
potrà verificare alcuna situazione di disuguaglianza.
A dire il vero, anche il criterio oggettivo nella sua seconda «versione» determina
alcune incongruenze applicative, atteso che si tratta di principio di carattere formale
che non consente al giudice di valutare l’effettivo interesse sottostante alla scelta (il-
lecita) operata dall’ente pubblico. Le difficoltà di applicare un simile criterio si mani-
festano laddove si consideri che la Corte di Cassazione non ha fornito precise indica-
zioni al fine di individuare il compito pubblico esclusivo. Esso, in ogni caso, non pare
legato alla natura dell’attività svolta ma è soggetto alle mutevoli scelte politiche dei
diversi periodi storici. A parte alcune attività per le quali non sussistono particolari
difficoltà di qualificazione nel senso dell’esclusività pubblica (si può pensare all’atti-
vità giudiziaria ad esempio), ciò che può essere eseguito esclusivamente da funzionari
pubblici oggi, potrebbe invece essere delegato a persone giuridiche di diritto privato
domani. Il criterio è relativo e non consente di pervenire a soluzioni sicure.
Inoltre, si ritiene di condividere le critiche che indicano come il principio di ugua-
glianza venga violato anche con l’utilizzo del criterio del compito pubblico esclusivo.
Infatti, se un Comune inquina un fiume versandovi materiale radioattivo, esso sarà
passibile di sanzione penale. Al contrario, qualora il Comune conceda un’autorizza-
zione che consente ad un terzo di procedere alla discarica del materiale radioattivo,
l’ente pubblico non sarà perseguibile penalmente, atteso che la concessione dell’au-
torizzazione costituisce esercizio di un compito pubblico esclusivo. Nonostante il
disvalore giuridico della condotta in entrambi i casi sia paragonabile, il trattamento
sanzionatorio è diversificato.
L’ordinamento olandese 107

Affinché l’ente pubblico possa fare appello all’immunità penale la Corte di Cassa-
zione ha statuito che i criteri predetti devono essere entrambi presenti: è necessario,
infatti, che un ente pubblico tra quelli indicati nel capitolo 7 della Costituzione pon-
ga in essere l’illecito nell’esercizio di un compito pubblico esclusivo. Il collegamento
effettuato tra i due criteri lascia adito a qualche perplessità, stante la mancanza di
relazione biunivoca tra gli stessi: è ben possibile, infatti, che un ente pubblico non
elencato tra quelli appartenenti al capitolo 7 della Costituzione ponga in essere un
compito esclusivamente pubblico. A parere di chi scrive, ciò rende ancor più chiaro
il fatto che l’immunità di cui godono gli enti pubblici non viene fatta discendere da
una scelta di valore basata sul contenuto dell’attività, ma da una considerazione di
carattere formale. Il criterio riecheggia peraltro una distinzione largamente superata
nella dottrina civilistica olandese che distingueva tra acta jure imperi e acta jure gestio-
nis per negare la responsabilità civile dello Stato (oggi invece pacificamente ammessa).
Accanto ai criteri formali sopra indicati, la Corte di Cassazione nella sentenza
Pikmeer ii ha indicato altresì la necessità di comparare i diversi interessi in gioco at-
traverso l’uso delle scriminanti dello stato di necessità e dell’adempimento del dovere,
al fine di determinare la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pub-
blico non elencate nel capitolo 7 della Costituzione. A queste ultime quindi dovrebbe
essere riservato un trattamento analogo a quello delle persone giuridiche di diritto
privato, fatta salva la possibilità di applicare le cause di giustificazione menzionate e,
sul piano sanzionatorio, considerare l’opportunità di comminare pene diverse rispet-
to a quelle che in casi analoghi sarebbero state applicate ai privati.
Per quanto concerne lo Stato, si rileva come la giurisprudenza, nell’unica pro-
nuncia adottata sul punto (sentenza Volkel), si sia mostrata assolutamente contraria
nell’ammettere una forma di responsabilità penale. La difesa dell’interesse generale
affidata allo Stato gli consentirebbe di violare impunemente la legge penale. Ancora
una volta la scelta della giurisprudenza pare eccessivamente restrittiva perché esclude
a priori il vaglio del giudice penale su qualsiasi attività dello Stato. Se è pur vero infatti
che in molti casi quest’ultimo nell’agire per il perseguimento di un interesse pubblico
si troverà di fronte alla «necessità» di violare le norme penali, è anche vero che spesso
esisteranno soluzioni alternative che consentiranno di contemperare adeguatamente
i diversi interessi in gioco. Esemplificativo al riguardo proprio il caso Volkel poiché
nel caso di specie la fuoriuscita di kerosene dai serbatoi avrebbe potuto agevolmente
essere evitata pur nel perseguimento di un interesse di carattere generale, quale quello
della sicurezza aerea.
Alla stregua dei principi enucleati nella sentenza Pikmeer i, non è possibile poi
perseguire le persone fisiche indicate nell’art. 51 secondo comma n. 2 codice penale
− dirigenti di fatto o coloro che hanno dato l’ordine − qualora le stesse abbiano agito
all’interno degli enti pubblici decentrati e dello Stato. Ad eccezione di qualche voce
contraria in dottrina, si è ritenuto, infatti, che la giurisprudenza Pikmeer i che esclude
108 E. Pavanello

la possibilità di perseguire dette persone fisiche, debba continuare a trovare applica-


zione. Il sistema normativo vigente non consente, infatti, di procedere all’accerta-
mento della responsabilità penale di dette persone fisiche senza che ci sia stato un
previo accertamento della responsabilità penale della persona giuridica. La decisione
è inoltre coerente con i principi che hanno indotto ad escludere in alcune ipotesi la
perseguibilità penale di enti pubblici decentrati e Stato: se la ratio dell’immunità è
quella di salvaguardare l’attività pubblica, analoga protezione deve essere riservata
anche per l’attività di quei soggetti che hanno agito nell’esecuzione di attività di
carattere pubblico. Ciò non toglie tuttavia che l’area dell’impunità venga in questo
modo notevolmente estesa.
L’analisi delle argomentazioni addotte dalla dottrina a sostegno dell’immunità
penale degli enti decentrati ha evidenziato che molto spesso i medesimi argomenti
possono essere utilizzati anche in senso contrario, per sostenere la necessità di procedere
penalmente nei loro confronti. Questo avviene, ad esempio, con riferimento alla
teoria della divisione dei poteri e della perdita di fiducia da parte dei cittadini nelle
istituzioni. In quest’ultimo caso, si pensi alle tragedie di Enschede e Volendam: siamo
sicuri che la mancanza di un procedimento penale abbia consentito ai cittadini di
mantenere la fiducia nelle istituzioni pubbliche? O non sarà piuttosto vero il contrario,
ovvero che i cittadini sono stati negativamente colpiti dal fatto che a fronte dei deficit
nell’organizzazione comunale e statale emerse nel corso delle indagini non ha fatto
seguito alcuna condanna? In quei casi la mancanza di un procedimento penale da un
lato e l’impossibilità per gli enti pubblici di difendersi in modo adeguato in un’aula
di giustizia dall’altro, ha condotto l’opinione pubblica ad una condanna morale degli
enti de quibus, probabilmente ancora più severa della stessa condanna penale.
L’argomento vestzak-broekzak, ovvero dell’inutilità della sanzione pecuniaria in-
flitta agli enti pubblici, potrebbe essere superato attraverso l’uso di sanzioni penali
alternative.
Infine, l’asserita impossibilità di sovrapporre i controlli penale, politico e ammi-
nistrativo è stata negata dalla stessa Corte di Cassazione che ha chiarito che ciò non
corrisponde al vero proprio con la sentenza Pikmeer ii.
Per quanto concerne le argomentazioni specificamente addotte per negare la
possibilità di perseguire lo Stato occorre osservare quanto segue. L’identità tra autorità
procedente e soggetto inquisito è fondata ma potrebbe essere superata grazie ad alcuni
accorgimenti procedurali. Così come il riferimento alla violazione delle posizioni
gerarchiche e alla difficile situazione in cui si troverebbero il pubblico ministero e il
Ministro di Giustizia.
Ciò che, a parere di chi scrive, potrebbe ostacolare effettivamente la configurazio-
ne della responsabilità penale dello Stato è, invece, l’utilizzo dei criteri del potere e
dell’accettazione al fine di attribuire la condotta illecita allo Stato, perché nella mag-
gior parte dei casi sarà difficile dimostrare che lo Stato in quanto tale era a conoscenza
L’ordinamento olandese 109

del fatto criminoso e non ha fatto quanto era in suo potere per evitare il verificarsi del
fatto stesso. Il rischio in questi casi sarà di creare spazi per una sostanziale impunità.

26. Considerazioni conclusive.

A conclusione dell’analisi del sistema di responsabilità penale delle persone


giuridiche di diritto pubblico in Olanda, ci siano consentite alcune riflessioni di
carattere generale.
La questione della responsabilità penale degli enti pubblici non è sicuramente di
semplice soluzione anche se è indubbio che gli argomenti addotti non sembrano in
grado di giustificare l’immunità (assoluta o parziale) degli enti de quibus.
Con riferimento in particolare agli enti decentrati, la soluzione delineata dalla
giurisprudenza lascia adito a perplessità in quanto l’idea che esista un’area di assoluta
impunità non pare accettabile, anche alla luce delle indicazioni provenienti dalla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Quanto allo Stato, non si nega che in questa ipotesi le difficoltà di delinearne
la responsabilità penale siano maggiori. Ciò, si ritiene, non solo per gli argomenti
tradizionalmente addotti dalla dottrina a sostegno della sua totale immunità, quanto
piuttosto per le difficoltà di attribuire una determinata condotta alla stregua dei
criteri del potere e dell’accettazione ai vertici dell’organizzazione statale. Corretta
allora la soluzione indicata sul punto dalla Commissione Roelvink di attribuire
soggettività giuridica in diritto penale anche alle singole entità che agiscono
all’interno dell’organizzazione statale.
Il sistema penale olandese offre agli studiosi italiani molti spunti positivi di
riflessione: il legislatore italiano nel d.lgs. 231/2001 si è affrettato ad escludere
dal campo soggettivo di applicazione gli enti pubblici tranne quelli economici. Le
scelte olandesi inducono a considerare, al contrario, che un sistema di responsabilità
penale delle persone giuridiche di diritto pubblico deve essere introdotto, atteso che
la responsabilità delle sole persone fisiche non è sufficiente. Certo, detto sistema
deve essere utilizzato con «misura» (diritto penale come ultimo rimedio), solo
laddove si renda effettivamente necessario.
È inoltre necessario tener conto della peculiare struttura di detti enti e prevedere,
ad esempio, l’applicazione di sanzioni alternative rispetto a quella pecuniaria (anche
se, a quanto ci consta, nei casi esaminati le Corti olandesi hanno sempre applicato
la pena pecuniaria).
Le difficoltà logiche e storiche di immaginare una responsabilità penale delle per-
sone giuridiche di diritto pubblico dovrebbero essere superate di fronte a una realtà
che dimostra come sempre più spesso proprio dette persone giuridiche violino le
disposizioni penali. L’impunità di detti soggetti non può essere giustificata a priori,
110 E. Pavanello

ma occorre valutare, caso per caso, se esistano delle ragioni di pubblico interesse che
hanno indotto l’ente pubblico a violare la norma penale. Sembra quindi quanto mai
opportuno il riferimento operato dalla giurisprudenza olandese alle cause di giu-
stificazione dello stato di necessità e dell’adempimento della prescrizione di legge.
111

Capitolo 3

La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico


nell’ordinamento francese

Sommario. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento francese:


evoluzione storica. – 2. Le posizioni della dottrina contro la previsione di una responsabilità
penale delle persone giuridiche: l’ente come finzione, il principio di specialità e l’impossibilità
di applicare sanzioni penali a carico della persona giuridica. – 3. Le posizioni espresse
dalla dottrina francese a sostegno della responsabilità penale delle persone giuridiche. La
necessità di far fronte alla crescente criminalità d’impresa. – 4. La responsabilità penale delle
persone giuridiche per i reati commessi per loro conto dagli organi o rappresentanti delle
stesse. – 4.1 La nozione di organo e rappresentante della persona giuridica. – 4.2. L’azione
commessa da parte dell’organo o rappresentante «per conto» della persona giuridica. – 4.3.
L’iniziale limitazione della responsabilità delle persone giuridiche alle fattispecie di reato
tassativamente previste. Critiche della dottrina e pronunce «estensive» della giurisprudenza.
Definitiva espansione della responsabilità delle persone giuridiche a tutte le fattispecie
di reato. – 4.4. Problematiche interpretative connesse all’individuazione dell’elemento
soggettivo della condotta in capo alla persona giuridica e alla natura della responsabilità di
quest’ultima: diretta o di riflesso rispetto a quella della persona fisica organo o dirigente? – 5.
La responsabilità concorrente della persona fisica, organo o rappresentante, che ha posto in
essere la condotta. – 5.1. Limitazione della concorrente responsabilità della persona fisica per
i delitti non intenzionali posti in essere per imprudenza, negligenza, violazione di un obbligo
di prudenza o sicurezza (l. 2000-264). – 6. Il sistema sanzionatorio previsto per le persone
giuridiche: pene e misure di sicurezza. – 7. Le prime applicazioni giurisprudenziali della
responsabilità penale delle persone giuridiche. – 8. Il dibattito che ha preceduto l’adozione
della norma che ha sancito una limitata responsabilità penale per le persone giuridiche di
diritto pubblico. – 9. L’irresponsabilità assoluta dello Stato, la responsabilità delle collettività
territoriali limitata alle attività suscettibili di costituire oggetto di delega di servizio pubblico
e la responsabilità delle altre persone giuridiche di diritto pubblico. – 10. L’azione da parte del
rappresentante o dell’organo, per conto della persona giuridica: aspetti peculiari connessi alla
natura pubblica dei soggetti. – 11. Le limitazioni della responsabilità penale delle collettività
territoriali e relativi groupements: questioni interpretative connesse alla definizione di attività
suscettibile di costituire oggetto di servizio pubblico. – 11.1. La nozione di delega di servizio
pubblico in diritto amministrativo. – 11.2. Le indicazioni per il diritto penale in ordine alla
definizione di attività suscettibile di costituire oggetto di delega di servizio pubblico. – 12. La
ratio della limitata previsione della responsabilità di collettività territoriali e groupements: la
necessità di garantire il rispetto del principio di eguaglianza rispetto alle persone giuridiche
di diritto privato. – 12.1. Critiche. – 13. Considerazioni in relazione al novero di delitti e
crimini inizialmente previsti come oggetto di incriminazione con riferimento alle persone
giuridiche di diritto pubblico. – 14. Le sanzioni penali previste per le persone giuridiche
112 E. Pavanello

di diritto pubblico. L’inapplicabilità della sanzione della dissoluzione e della sottoposizione


a sorveglianza giudiziaria. – 15. Le posizioni critiche della dottrina sulla responsabilità
penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. – 15.1. Gli argomenti addotti contro la
responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico: il perseguimento da parte
loro dell’interesse pubblico e la dannosità dell’applicazione della sanzione pecuniaria. Critiche.
– 15.2. L’asserita violazione del principio di separazione dei poteri: l’impossibilità per il giudice
penale di vagliare la legittimità dell’azione amministrativa. Critiche. – 15.3. La violazione
del principio della competenza esclusiva del giudice amministrativo a conoscere dell’azione
civile di risarcimento del danno. – 15.4. Il rischio di un’eccessiva penalizzazione dell’azione
amministrativa. Critiche. – 15.5. Gli argomenti addotti a favore della responsabilità penale.
La necessità di garantire il principio di eguaglianza. – 15.6. La necessità di far fronte alla
crescente penalizzazione dell’attività dei rappresentanti politici locali. La connessione esistente
tra responsabilità individuale dei politici e collettiva dell’ente pubblico cui appartengono. –
16. Istituzione di una Commissione ad hoc per lo studio delle cause e dei rimedi da adottare
per limitare il fenomeno della crescente penalizzazione dell’attività dei politici locali e dei
funzionari pubblici. – 16.1. Analisi critica da parte della Commissione degli argomenti
addotti a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico.
Affermazione dell’inesistenza di ragioni di carattere sostanziale che impongano di escludere
tale forma di responsabilità. – 16.2. Proposte di estensione della responsabilità penale allo Stato
e alle collettività territoriali anche nell’ipotesi di attività di servizio pubblico non delegabile.
– 17. Le prime decisioni della giurisprudenza in tema di responsabilità penale delle persone
giuridiche di diritto pubblico diverse dallo Stato. – 17.1. Tentativi di definizione dell’attività
suscettibile di delega di servizio pubblico: la non delegabilità dell’attività scolastica. – 17.2. La
delegabilità dell’attività di messa a norma dell’impianto elettrico di un impianto comunale. –
17.3. La configurabilità della responsabilità a carico delle Ferrovie francesi, società di diritto
pubblico. – 18. Rilievi critici (cenni e rinvio). – 19. L’irresponsabilità penale dello Stato. – 20.
Gli argomenti addotti dalla dottrina contro la perseguibilità dello Stato. La titolarità della
potestà penale. – 20.1. Il contrasto tra responsabilità penale e il principio della sovranità dello
Stato. Critiche. – 20.2. La ripercussione della sanzione pecuniaria inflitta sui cittadini. – 21.
La possibile violazione del principio di eguaglianza derivante dall’esclusione dello Stato dalla
responsabilità penale. – 22. Difficoltà e opportunità di creare un sistema di controllo penale
delle attività statali. – 23. Conclusioni.

1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento francese: evoluzione


storica.

La previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche nel codice pe-
nale francese del 1994 è stata considerata una delle novità più significative introdotte
nel codice stesso1.
1
  F. Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, in «Juristes Classeur pénal», n. 4, 2001; G.
Coeuret, La nouvelle donne en matière de responsabilité, in «Droit social», n.7/8, juillet-août 1994, p.
627; G. De Simone, Il nuovo codice francese e la responsabilità penale delle personnes morales, in «Rivista
L’ordinamento francese 113

Infatti, il codice napoleonico del 1810 aveva escluso la possibilità che le persone
giuridiche in quanto tali potessero essere soggetti attivi del reato2. La ragione di tale
esclusione va rinvenuta nel fatto che il diritto «rivoluzionario» si era limitato a rico-
noscere la capacità giuridica di pochi enti, quali gli enti di diritto pubblico (come lo
Stato e i Comuni) e alcune società commerciali che non erano tuttavia considerati
«capaci» di commettere infrazioni alla legge penale3.
I temperamenti al principio di irresponsabilità penale degli enti apportati dal legi-
slatore e dalla giurisprudenza nel corso del tempo sono stati molto limitati. Quanto
alla legislazione, tre ordinanze risalenti al 1945 (rispettivamente del 5 maggio, del
30 maggio e del 30 giugno) in materia di associazione di stampa collaborazionista
con il nemico, in materia economica e di regolamentazione dei cambi prevedevano
la responsabilità delle società4. Dal punto di vista giurisprudenziale, invece, alcune
sentenze avevano considerato la persona giuridica responsabile ma solo per le in-
frazioni cosiddette «materiali», ovvero ipotesi in cui il soggetto attivo era «datore di
lavoro» o «proprietario» e la punibilità prescindeva dalla dimostrazione dell’elemento
soggettivo che le animava5.
I tentativi di estendere la responsabilità penale delle persone giuridiche sono
stati inizialmente frustrati dalle resistenze della dottrina la quale riteneva le stesse
«incapaci» di agire penalmente. Tuttavia, la necessità di far fronte alla crescente
capacità delle persone giuridiche di commettere dei reati ha spinto, come si vedrà nel
prosieguo, (parte del)la dottrina a considerare imprescindibile l’introduzione della
responsabilità penale degli enti6.
Il codice del 1994 segna una svolta di primaria importanza all’interno del pano-
rama giuridico francese, anche perché prevede una forma limitata di responsabilità
pure per le persone giuridiche di diritto pubblico. La prima parte del presente ca-
pitolo sarà dedicata ad una breve analisi delle posizioni della dottrina in materia di
italiana di diritto e procedura penale», n.1, 1995, p. 194 e M. Veron, La responsabilité pénale des
personnes morales, in «La semaine Juridique édition générale», i, Chronique, 157, 2004, p. 1469; F.
Desportes, F. Le Gunehec, Droit pénal général, Economica, Paris 200916, p. 540 ss.; Pradel, Manuel
de droit pénal général, Cujas, Paris 200816, p. 497 ss.
2
  È pur vero che sotto il vigore dell’Ancien droit un’ordinanza del 1670 prevedeva la possibilità di
instaurare un processo nei confronti delle comunità cittadine, dei borghi, dei villaggi e delle società
che si fossero resi colpevoli di ribellione, violenza o di altro crimine. Tuttavia, detta previsione è stata
successivamente abrogata. Si confronti De Simone, Il nuovo codice francese e la responsabilità penale delle
personnes morales, cit., p. 189 ss. per un’analisi anche storica dello sviluppo del principio di responsabilità
3
  M.L. Rassat, Droit pénal général, Presse Universitaire de France, Paris 19992, p. 485.
4
  Cfr. Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 6 e C. De Maglie, L’etica e il
mercato, Giuffré, Milano 2002, p. 188 ss., e la bibliografia ivi indicata.
5
  Si cfr. per esempio, Cassation Criminelle 6 marzo 1958. Nel senso che la responsabilità degli enti è in
«Diritto penale xxi secolo», n. 2, 2008, p. 269 ss.
6
  J. Pradel, La responsabilité des personnes morales en France, in Societas puniri potest, a cura di F. Palazzo,
cedam, Padova 2003, p. 77.
114 E. Pavanello

responsabilità penale delle persone giuridiche e delle previsioni normative introdotte


dall’art. 121-2 del codice penale. Successivamente, si procederà ad analizzare la posi-
zione delle persone giuridiche di diritto pubblico, delle collettività territoriali e dello
Stato.

2. Le posizioni della dottrina contro la previsione di una responsabilità penale delle


persone giuridiche: l’ente come finzione, il principio di specialità e l’impossibilità di
applicare sanzioni penali a carico della persona giuridica.

Diversi sono stati gli argomenti avanzati dalla dottrina francese per negare in
passato la possibilità di prevedere una responsabilità penale delle persone giuridiche7.
Innanzitutto, alcuni autori hanno fatto appello alla teoria della finzione giuridica8
in base alla quale la persona giuridica in quanto tale non disporrebbe di una propria
volontà e, pertanto, non potrebbe mai porre in essere l’elemento soggettivo dell’in-
frazione, necessario affinché un reato le sia imputato. La mancanza di volontà pro-
pria, sarebbe dunque uno dei primi ostacoli alla punizione di una persona giuridica.
In secondo luogo, è stato evocato il principio di spécialité, derivato anch’esso dal
diritto civile, secondo il quale le persone giuridiche possono agire solamente nei li-
miti previsti dal loro oggetto sociale. Non potendo il reato costituire fine per il quale
la persona giuridica è creata, ne discende che questa non potrà mai porre in essere un
crimine o un delitto.
Gli ostacoli addotti contro la previsione di una responsabilità penale delle persone
giuridiche hanno riguardato anche il profilo sanzionatorio e, in particolare, il princi-
pio di personalità della pena. È stato rilevato, infatti, che la sanzione penale contro la
persona giuridica colpirebbe senza distinzione alcuna tutti i componenti del gruppo,
anche le persone fisiche che non hanno in alcun modo inteso porre in essere degli
illeciti. La punizione sarebbe pertanto generalizzata e colpirebbe anche persone «in-
nocenti» che, pur non essendo in accordo con la politica criminosa attuata dall’ente
o non avendo in alcun modo partecipato alla sua formazione, dovrebbero subirne le
conseguenze negative9.
7
 Si veda R. Bernardini, Personne morale, in «Répertoire droit pénal et de procédure pénale Dalloz»,
novembre 2001, pp. 8 ss. per una sintesi delle argomentazioni addotte contro e a favore della
responsabilità penale delle persone giuridiche e relativa bibliografia.
8
  F.-J. Pansier, La responsabilité pénale des personnes morales, in «Gazette du Palais», 28 mars 1996, p.
249 ricorda che nel diritto civile è stato necessario attendere una decisione del 1954 (Ray c. Comité
d’Entreprise de St.-Chamond) affinché fosse riconosciuta la piena «realtà» delle persone giuridiche.
9
  Rassat, Droit pénal général, cit., p. 488, secondo cui cet argument n’est pas faux. Mais il pose un problème
technique de répartition du poids de la condamnation pénale qui n’est pas insoluble. Et surtout la solution
contraire est plus lourde des conséquences regrettables, ovvero «l’argomentazione non è falsa. Ma comporta
un problema tecnico di ripartizione delle conseguenze della condanna penale che non è irrisolvibile. E
L’ordinamento francese 115

Oltre a ciò, alcuni autori hanno sostenuto che la pena sarebbe utilmente applica-
bile solamente alla persona fisica, potendo raggiungere gli scopi alla stessa connatu-
rati, retributivo o preventivo, solo in tale caso10.

3. Le posizioni espresse dalla dottrina francese a sostegno della responsabilità penale delle
persone giuridiche. La necessità di far fronte alla crescente criminalità d’impresa.

La dottrina che, invece, si è dichiarata favorevole all’introduzione della responsa-


bilità penale degli enti, oltre a contrastare gli argomenti sin qui citati, ha individuato
ulteriori motivazioni a sostegno.
Procediamo con l’analisi degli argomenti «difensivi». Ad avversare la teoria del-
la finzione giuridica, la dottrina ha sostenuto innanzitutto che la persona giuridica
dispone di una volontà autonoma che esprime attraverso i propri organi e che si
concretizza attraverso le riunioni e le decisioni dell’assemblea, dei suoi membri o del
consiglio di amministrazione o del collegio dei sindaci. Da ciò discende che la perso-
na giuridica dispone anche della capacità di commettere un crimine.
Per quanto concerne il principio di specialità, ci si è limitati a far rilevare che anche
se la commissione di un reato non può entrare nell’oggetto dichiarato di una persona
giuridica, ciò non significa che l’attività dalla stessa posta in essere non possa integra-
re una fattispecie criminosa11.
Con riferimento al profilo sanzionatorio, la dottrina favorevole alla penalizza-
zione del comportamento collettivo ha evidenziato come l’impossibilità di imporre
delle sanzioni penali alle persone giuridiche non sia fondata: infatti, nel momento
in cui le stesse dispongono di un proprio patrimonio e godono di propri diritti, esse
possono diventare destinatarie di sanzioni che sopprimono, o quanto meno riduco-
no, il loro patrimonio o limitano la loro attività (come l’ammenda, la chiusura di
uno stabilimento, le misure di sicurezza, i divieti di esercizio di determinate attività
etc.). Inoltre, alcune sanzioni sono in grado di raggiungere i propri fini preventivo o
retributivo anche nei confronti delle persone giuridiche, come, ad esempio, la sotto-
posizione ad amministrazione controllata (tutelle)12. In definitiva, le difficoltà legate
soprattutto la soluzione contraria si rivelerebbe più onerosa rispetto alle conseguenze negative citate».
10
  E. Picard, Les personnes morales de droit public, in «Révue des sociétés», 1993, p. 268, rileva che se si
può ammettere attraverso una finzione che le persone giuridiche dispongano di una propria volontà, non
si può comunque accettare che le stesse abbiano una coscienza morale, la quale appartiene unicamente
agli esseri umani, presupposto − sembrerebbe doversi ritenere – indispensabile per l’applicazione di
sanzioni penali.
11
  R. Merle, A. Vitu, Traité de droit criminel, Cujas, Paris 19977, n. 638 sostengono che non è più
possibile contestare il fatto che la delinquenza delle persone giuridiche e di tutti i gruppi che sono dotati
della possibilità di esprimersi collettivamente sia una realtà criminologica.
12
  In questo senso G. Stefani, G. Levasseur, B. Bouloc, Droit pénal général, Dalloz, Paris 200318,
116 E. Pavanello

all’incapacità delle persone giuridiche di essere condannate alla pena detentiva o ad


altre pene può essere risolta attraverso l’applicazione di sanzioni determinate. Infine,
con riferimento al pregiudizio che verrebbe cagionato alle persone fisiche estranee
alla condotta criminosa, è stato messo in rilievo che la sanzione penale normalmente
colpisce anche dei terzi «innocenti».
Il Conseil Constitutionnel ha sostanzialmente avallato queste posizioni mediante
una decisione del 30 luglio del 1982 nella quale ha chiarito che non esiste alcuna pre-
clusione di carattere costituzionale nell’imposizione di una sanzione pecuniaria nei
confronti della persona giuridica, ivi incluso il principio della personalità della pena13.
A favore della criminalizzazione del comportamento collettivo la dottrina ha in-
dividuato ulteriori argomenti: si è detto, infatti, che in mancanza di una previsione
della responsabilità penale della persona giuridica, i dirigenti dell’ente diverrebbero
capri espiatori per ogni attività illecita posta in essere dalla stessa. Ogni conseguenza
sanzionatoria ricadrebbe su dette persone fisiche, anche ove le stesse in ipotesi non
fossero a conoscenza dei fatti criminosi che vengono realizzati all’interno dell’ente
per il quale prestano la propria attività. Insomma, solo attraverso una punizione dei
comportamenti collettivi si assicurerà una maggiore efficacia repressiva del diritto
penale.

4. La responsabilità penale delle persone giuridiche per i reati commessi per loro conto
dagli organi o rappresentanti delle stesse.

La Commissione di riforma del codice penale istituita nel 1974 non poteva certo
ignorare la questione della responsabilità penale delle persone giuridiche, se non altro
per le sollecitazioni provenienti dalla dottrina14. E infatti, già nel progetto risalente
al 1978, era prevista all’art. 37 la responsabilità penale di qualsiasi gruppo che eser-
citasse attività di natura commerciale, industriale e finanziaria. La limitazione di re-
p. 266. Gli autori citati deducono la necessità dell’introduzione di una responsabilità penale anche
dal fatto che à notre époque, de nombreuses infractions [...] sont de plus en plus souvent commises par
des êtres physiques agissant au nom et sous le couvert d’une personne morale ou d’une société. Dans ce cas,
si les représentants de la société sont insolvables, il y a intérêt à retenir, en plus de la responsabilité pénale
personnelle de ces représentants, la responsabilité pénale de la personne morale elle-même, tout au moins
en ce qui concerne les sanctions pécuniaires («alla nostra epoca, sempre più spesso numerosi reati sono
commessi da persone fisiche che agiscono in nome e sotto la coperutra di una persona giuridica o di una
società. In questo caso, se i rappresentanti della società sono insolventi, c’è un interesse a far valere, oltre
alla responsabilità penale personale di tali rappresentanti, anche la responsabilità penale della persona
giuridica, per lo meno per ciò che concerne il profilo pecuniario»).
13
  La decisione è pubblicata in «Journal Officiel», 31 juillet 1982, p. 2470.
14
  B. Bouloc, La criminalisation du comportement collectif en France, in La criminalisation du
comportement collectif, a cura di H. De Doelder, K. Tiedemann, Kluwer Law International, The Hague
1996, p. 236 e J. Pradel, Droit pénal comparé, Dalloz, Paris 20022, p. 351.
L’ordinamento francese 117

sponsabilità, come si evince dalla lettura della relazione accompagnatoria, era dovuta
al fatto che le maggiori espressioni di criminalità si erano manifestate soprattutto in
tali settori.
Il successivo progetto del 1986 prevedeva, invece, l’estensione della responsabili-
tà penale a tutte le persone giuridiche, indipendentemente dalla natura dell’attività
posta in essere, con l’unica eccezione delle collettività pubbliche e dei gruppi di col-
lettività pubblici. La responsabilità era comunque limitata a determinate fattispecie
di reato che avrebbero dovuto essere previste dalla legge15.
Il testo adottato nell’art. 121-2 del nuovo codice penale, entrato in vigore il pri-
mo marzo 1994, ha infine previsto che:

le persone giuridiche sono responsabili penalmente, secondo le distinzioni degli articoli


da 121-4 a 121-7, e nei casi previsti dalla legge, per i reati commessi per loro conto dagli
organi o rappresentanti delle stesse. Tuttavia gli enti territoriali e i relativi raggruppamenti
sono responsabili esclusivamente dei reati commessi nell’esercizio di attività suscettibili di
costituire oggetto di delega di servizio pubblico. La responsabilità della persona giuridica
non esclude quella delle persone fisiche autrici o complici del medesimo fatto di reato,
secondo le disposizioni del quarto comma dell’articolo 121-316.

La nuova disposizione ha stabilito un regime di responsabilità penale differenzia-


to a seconda della persona giuridica soggetto attivo del reato: per gli enti di diritto
privato e di diritto pubblico diversi dalle collettività territoriali, la responsabilità con-
cerne tutti gli illeciti compiuti in relazione a qualsiasi attività dalle stesse esercitata17;
per le collettività territoriali e i loro raggruppamenti la responsabilità è limitata agli
illeciti posti in essere nell’esercizio di attività che possono costituire oggetto di delega
di servizio pubblico; per lo Stato vi è l’esclusione totale di responsabilità.
Il legislatore francese, nella relazione accompagnatoria al testo, ha chiarito che
l’introduzione dell’art. 121-2 del codice penale è stata giustificata da un duplice
15
  Sulle caratteristiche dei diversi progetti di riforma al codice del 1994 si cfr. De Simone, Il nuovo
codice francese e la responsabilità penale delle personnes morale, cit., p. 221-223 e Bernardini, Personne
morales, cit., p. 22 ss.
16
  Les personnes morales, à l’exclusion de l’Etat, sont responsables pénalement, selon les distinctions des articles
de 121-4 à 121-7 et dans le cas prévus par la loi ou le règlement, des infractions commises, pour leur
compte, par leurs organes ou représentants. Toutefois les collectivités territoriales et leurs groupements ne sont
responsables pénalement que des infractions commises dans l’exercice d’activités susceptibles de faire l’objet de
conventions de délégation de service public. La responsabilité pénale des personnes morales n’exclut pas celle
des personnes physique auteurs ou complices des mêmes faits, sous réserve des dispositions du quatrième alinéa
de l’article 121-3.
17
  Come si vedrà in seguito, la legge Perben ii ha esteso la responsabilità penale delle persone giuridiche
a tutte le ipotesi di illecito. A partire dal 31dicembre 2005, pertanto, non esiste più alcuna limitazione
di responsabilità legata al tipo di reato, salvo ovviamente quelle fattispecie criminose che per loro natura
non possono essere poste in essere dalle persone giuridiche nonché alcune eccezioni relative ai reati
commessi a mezzo stampa.
118 E. Pavanello

ordine di motivi: innanzitutto, dalla constatazione che le persone giuridiche sono


molto spesso all’origine di gravi attentati alla salute pubblica, all’ambiente, all’ordine
pubblico economico o alla legislazione sociale, e, in secondo luogo, dalla necessità di
assicurare il rispetto del principio nul n’est responsable que de son propre fait (art. 121-1
codice penale), principio che sarebbe violato ogni qualvolta ad essere puniti fossero i
soli dirigenti della persona giuridica e non, invece, l’ente nel suo complesso18.
I soggetti destinatari della norma sono i soli enti collettivi dotati di personalità
giuridica19 a differenza di quanto previsto nel progetto del 1978 in cui i soggetti
collettivi responsabili erano i «gruppi», nozione che comprendeva anche le persone
giuridiche non dotate di autonoma identità.
La persona giuridica francese potrà essere perseguita anche qualora abbia com-
messo un’infrazione all’estero20. Di converso le persone giuridiche straniere saranno
responsabili penalmente laddove il reato sia stato commesso in Francia o laddove
esse abbiano commesso una violazione della legge penale all’estero che pregiudica
gli interessi nazionali dello Stato francese21. Al riguardo non si è mancato di rilevare
le difficoltà tecniche cui potrà dare luogo un eventuale procedimento penale e l’ap-
plicazione di sanzioni nel caso in cui detta persona giuridica non disponga di uno
stabilimento in territorio francese22.

18
  Bernardini, Personne morale, cit., p. 24.
19
  Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 13.
20
  Sul punto si è posta la questione se sia possibile perseguire la società francese anche in assenza di
una norma che preveda espressamente la punibilità della persona giuridica nel territorio in cui è stato
commesso il fatto. Stefani, Levasseur, Bouloc, Droit pénal général, cit., p. 272 e Rassat, Droit pénal
général, cit., p. 497 ritengono necessaria detta previsione anche nella legislazione straniera; M. Delmas-
Marty, Personnes morales étrangères et françaises, in «Révue des sociétés», 1993, p. 260 ritiene invece
che la condizione si dovrà considerare sussistente anche se nell’ordinamento in cui è stato commesso
il fatto è prevista una forma di responsabilità quasi-penale. Secondo questa ultima impostazione, la
responsabilità penale-amministrativa introdotta nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 231/2001
sarebbe sufficiente a integrare la condizione di reciprocità, anche se difficoltà potrebbero sorgere in
ordine al limitato numero di reati presupposto per i quali la responsabilità opera.
21
  D. Guirimand, La responsabilité pénale des personnes morales. La mise en oeuvre du nouveau dispositif,
in «Droit social», n. 7/8 juillet-août 1994, p. 648.
22
  Stefani, Levasseur, Bouloc, Droit pénal général, cit., p. 272 e Rassat, Droit pénal général, cit.,
p. 497; Bouloc, La criminalisation du comportement collectif en France, cit., p. 239. L’esistenza della
persona giuridica straniera dovrà in ogni caso essere valutata alla stregua del diritto nazionale. In questo
senso Delmas-Marty, Personnes morales étrangères et françaises, cit., p. 256, atteso che si tratta di
questione «extra penale». Contra Bernardini, secondo cui è necessario che le persone giuridiche straniere
godano della personalità giuridica in base alla legge francese. Bernardini, Droit pénal général, cit.,
p. 36. Quanto alla possibilità di perseguire anche le persone giuridiche straniere di diritto pubblico,
Rassat, Droit pénal général, cit., p. 497 ritiene che le limitazioni cui la legge francese sottopone la
responsabilità delle stesse dovranno applicarsi anche agli omologhi stranieri con le inevitabili difficoltà
del caso.
L’ordinamento francese 119

4.1 La nozione di organo e rappresentante della persona giuridica.

Le condizioni in base alle quali opera la responsabilità sono indicate nell’art. 121-
2 del codice penale. La persona giuridica è responsabile penalmente solo se è stata
posta in essere una condotta illecita da parte di una persona fisica, organo o rappre-
sentante della stessa, che ha agito per suo conto.
Per organo deve intendersi il soggetto che, sulla base dello statuto o della legge,
dispone dei poteri di agire in nome e per conto della persona giuridica. La dottrina
francese ha sin da subito sostenuto in modo unanime che nel concetto di organo
debbano essere inclusi tutti gli organi di diritto quali gli amministratori, il presiden-
te, il consiglio di amministrazione, mentre non è pacifico se debbano ritenersi inclusi
anche i dirigenti di fatto. Alcuni autori hanno propeso per l’affermativa, motivando
la propria posizione con considerazioni di carattere pratico: una loro esclusione dal
novero dei soggetti capaci di involgere la responsabilità della persona giuridica de-
terminerebbe per certi versi l’immunità degli enti, essendo sufficiente individuare un
prestanome che non rivesta alcuna qualifica «formale» al fine di sfuggire alla sanzione
penale23. Altri studiosi, invece, hanno sostenuto l’incapacità del dirigente di fatto di
generare la responsabilità dell’ente collettivo sia perché la legge, laddove intenda fare
riferimento anche al dirigente di fatto lo indica espressamente, sia perchè il dirigente
di fatto non sarebbe tecnicamente un organo della persona giuridica24.
Tuttavia, è bene segnalare che, allo stato attuale, anche la dottrina inizialmente
contraria all’inclusione del dirigente di fatto nella nozione di organo propende per una
posizione «intermedia», facendo discendere la responsabilità della persona giuridica
dalla circostanza che il dirigente di fatto sia stato o meno conosciuto dagli organi del-
la persona giuridica e abbia o meno espresso la volontà dell’ente collettivo25. La giuri-
sprudenza, peraltro, sin da subito si è orientata nel senso che anche il dirigente di fat-
to possa impegnare con il proprio operato la responsabilità della persona giuridica26.
Per rappresentante deve, invece, intendersi il soggetto che ha la rappresentanza
legale della persona giuridica. Tuttavia, molto spesso l’organo della persona giuridica,
nel senso sopra delineato, è anche rappresentante della medesima: la disposizione
legislativa costituirebbe un’inutile ripetizione laddove fosse interpretata in modo
restrittivo. Di qui i tentativi della dottrina di individuare i rappresentanti in grado
23
 Delmas-Marty, Les conditions de fond de mise en jeu de la responsabilité pénale, in «Révue des sociétés»,
1993, p. 305.
24
  R. Merle, A. Vitu, Traité de droit criminel, cit., n. 605, Pansier, La responsabilité pénale des personnes
morales, cit., p. 251; Pradel, Il nuovo codice penale francese. Alcune note sulla parte generale, in «Indice
Penale», 1994, p. 16  ; H. Matsopoulou, La généralisation de la responsabilité pénale des personnes
morales, in «Revue des Sociétés», n. 2, 2004, p. 289-290.
25
  Merle, Vitu, Traité de droit criminel, cit., n. 647.
26
  Si veda, ad esempio, Tribunal correctionnel Strasbourg, 9 febbraio 1996.
120 E. Pavanello

di «impegnare» la responsabilità della persona giuridica che non siano al contempo


organo della stessa. Innanzitutto, andrebbero inclusi i soggetti individuati dalla legge
per assicurare la gestione della società. In secondo luogo, sarebbero rappresentanti
coloro che, sulla base di un provvedimento giurisdizionale, hanno ricevuto il potere
di rappresentare la società, ciò che avviene, ad esempio, nel caso di un amministratore
provvisorio della società o di un liquidatore. La dottrina è inoltre sostanzialmente
unanime nel ritenere che anche il destinatario di una delega speciale di poteri
conferita ad un soggetto dotato della competenza, dell’autorità e dei mezzi necessari
all’esercizio del compito che gli è attribuito, impegni la responsabilità della persona
giuridica, soluzione questa considerata «logica» atteso che con la delega il delegatario
si sostituisce agli organi della persona giuridica di cui esercita prerogative e poteri27.
La giurisprudenza dal canto suo ha sostanzialmente avallato detta posizione, prima
assimilando solo in modo implicito il delegatario al rappresentante e poi affermando
in modo esplicito che il destinatario di una delega impegna la responsabilità penale
della persona giuridica in quanto rappresentante della stessa28.
Sulla delega restano aperte due questioni. Innanzitutto, non è chiaro se anche un
semplice impiegato dotato di regolare delega possa impegnare la responsabilità della
persona giuridica. Nel senso negativo si sono espressi diversi autori sulla base del
fatto che nella circolare adottata a seguito dell’introduzione del nuovo codice (crim
93/9/fi del 14 maggio 1993) è espressamente indicato che «la personne morale ne sera
pénalement responsable des infractions commises [...] par l’un de ses employés»29, nonché
sul fatto che l’art. 706-43 del codice di procedura penale elenca espressamente tra
i soggetti che possono rappresentare in giudizio la persona giuridica anche il dele-
gatario. Atteso che analoga previsione non è contenuta nell’art. 121-2, ciò significa,
secondo un’argomentazione a contrario, che il legislatore non ha inteso farvi riferi-
mento30. Tuttavia, la nota del ministero citata si riferisce al fatto che i soli rappre-
sentanti od organi della società possono determinare la responsabilità della persona
giuridica, mentre nulla dice con riferimento all’ipotesi di delega di poteri. A parere di
chi scrive pertanto, non esistendo specifiche indicazioni al riguardo, è da condividere
la posizione della dottrina favorevole alla responsabilità della persona giuridica, in
27
  Per le peculiarità connesse alla nozione di delega di «firma» e delega di «servizio» nell’ambito della
persona giuridica di diritto pubblico si veda infra.
28
  Sul punto si vedano i riferimenti giurisprudenziali indicati in Desportes, Responsabilité pénale des
personnes morales, cit., p. 131 e le sentenze Cassation Criminelle, 9 novembre 1999 e 14 dicembre 1999
pubblicate in «Droit pénal», Edition Juriste Classeur, mai 2000, p. 11-12.
29
  Bouloc, La criminalisation du comportement collectif en France, cit., p. 241. Tuttavia, la nota citata
si riferisce unicamente al fatto che i soli rappresentanti od organi della società possono determinare la
responsabilità della persona giuridica, mentre nulla si dice con riferimento all’ipotesi di delega di poteri.
A parere di chi scrive pertanto, non esistendo specifiche indicazioni al riguardo, è da condividere la
posizione della dottrina favorevole alla responsabilità della persona giuridica anche in queste ipotesi.
30
  Matsopoulou, La généralisation de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 291.
L’ordinamento francese 121

considerazione del fatto che l’esclusione della responsabilità del dipendente dotato
di delega ridurrebbe considerevolmente l’interesse e l’efficacia della responsabilità
penale delle persone giuridiche31.
La questione sembra essere stata risolta, da ultimo, con una sentenza della Corte
di Cassazione che ha stabilito come anche un semplice dipendente possa dare origine
alla responsabilità della persona giuridica qualora questi abbia ricevuto una delega
di poteri32.
In secondo luogo, resta da capire se coloro che hanno agito oltre i limiti della de-
lega ricevuta impegnino o meno la responsabilità della persona giuridica. La dottrina
si è schierata nel senso della necessità di prevedere una simile responsabilità, soprat-
tutto in considerazione del fatto che la risposta negativa porterebbe alla creazione di
una zona di irresponsabilità non accettabile33.

4.2. L’azione commessa da parte dell’organo o rappresentante «per conto» della persona
giuridica.

La seconda condizione cui la legge francese subordina la responsabilità penale


della persona giuridica è il fatto che i soggetti fisici individuati abbiano agito per suo
conto. Detto presupposto ha soppiantato quello indicato nel progetto del 1978 che
faceva, invece, riferimento al reato commesso in nome della persona giuridica e nel
suo interesse collettivo: il legislatore ha preferito, quindi, adottare una nozione più
ampia che non presuppone la dimostrazione del profitto che la persona giuridica ha
tratto dalla commissione del reato.
L’agire per conto è il nesso che consente di passare dalla responsabilità individuale
a quella collettiva: si tratta cioè di quella liaison che consente di «proiettare» la
responsabilità individuale sul piano collettivo. È evidente infatti che il solo fatto
che l’organo o il rappresentante siano i soggetti capaci di «incarnare» la persona
giuridica non consente di stabilire con certezza che la condotta illecita posta in essere
costituisca espressione della volontà della persona giuridica. Potrebbe, al contrario,
verificarsi che i soggetti citati abbiano semplicemente agito nel proprio interesse o
al di fuori dei poteri agli stessi conferiti e, quindi, al di là dell’ambito di espressione
della volontà della persona giuridica.
31
  Bernardini, Personne morale, cit., 44; Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit.,
n. 134.
32
  Cassation Criminelle, 30 maggio 2000, Sté Cécométal, in «Bulletin d’Information» n. 520 del 15
settembre 2000, n. 1050.
33
  Merle, Vitu, Traité de droit criminel, cit., p. 647; Pradel, Il nuovo codice penale francese. Alcune
note sulla parte generale, cit., p. 16; Delmas-Marty, Les conditions de fond de mise en jeu de la
responsabilité pénale, cit., p. 305; Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 193.
122 E. Pavanello

L’espressione utilizzata dal legislatore non dà adito a dubbi interpretativi quanto


all’esclusione di determinate attività dall’ambito di responsabilità della persona
giuridica: non sono commessi per conto della stessa gli illeciti posti in essere
nell’interesse personale dell’organo o del rappresentante o nell’interesse di una
minoranza34. Quanto, invece, ai comportamenti che integrano l’agire per conto, la
dottrina sembra concorde nell’ammettere che ciò si verifica non solo qualora si agisca
al fine di ottenere un profitto materiale (anche nel senso di evitare una perdita), ma
anche quando si tratta di un vantaggio morale, diretto o indiretto35.

4.3. L’iniziale limitazione della responsabilità delle persone giuridiche alle fattispecie
di reato tassativamente previste. Critiche della dottrina e pronunce «estensive» della
giurisprudenza. Definitiva espansione della responsabilità delle persone giuridiche a tutte
le fattispecie di reato.

La responsabilità penale delle persone giuridiche è stata (inizialmente) limitata


alle ipotesi criminose espressamente previste dalla legge: in questo modo si intendeva
lasciare al legislatore il compito di valutare caso per caso l’opportunità di prevede-
re siffatta responsabilità. La persona giuridica doveva essere indicata espressamente
quale soggetto attivo del reato, non essendo sufficiente che la fattispecie prevedesse
genericamente «chiunque» (toute personne) come autore del reato36.
La dottrina ha sin da subito espresso forti riserve con riferimento alle limitazioni
delineate: già nel 1989 davanti alla Commissione legislativa dell’Assemblea nazionale
erano state avanzate critiche al principio di specialità, in quanto lo stesso avrebbe
condotto ad una discontinuità della responsabilità delle persone giuridiche37. C’è
34
  Coeuret, La nouvelle donne en matière de responsabilité, cit., p. 633 ritiene che la formula utilizzata
dal legislatore sia più esplicita nel delineare ciò che è escluso da ciò che è incluso.
35
 Tra gli altri si vedano Pradel, Il nuovo codice penale francese, cit., p. 17; Desportes, Responsabilité
pénale des personnes morales, cit., p. 186-193; Bernardini, Personne morale, cit., p. 46.
36
  «Il résulte de l’article 121-2 du Code pénal que la responsabilité pénale des personnes morales ne peut être
mise en oeuvre que si elle est expressément prévue par une disposition spéciale pour l’infraction considérée.»
(«Dall’art. 121-2 del codice penale discende che la responsabilità penale della persona giuridica non
può venire in rilievo se non quando la stessa è espressamente prevista da una disposizione di legge in
relazione alla violazione considerata»). Così Cassation Criminelle 18 aprile 2000, Lerousseau c/Sté ttl,
rinvenibile nel sito <http://www.courdecassation.fr/_arrets/arrets.htm>.
37
  La maggior parte degli studiosi si è dichiarata favorevole ad una generalizzata estensione della
responsabilità. Si vedano tra gli altri Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p.
8 ss. il quale illustra gli inconvenienti legati ad un simile principio di specialità; G. di Marino, Le
développement de la responsabilité pénale des personnes morales, in «Révue Pénitentiaire et de droit pénal»,
2004, p. 36 e F. Franchi, A quoi peut bien servir la responsabilité pénale des personnes morales?, in «Révue
de science criminelle et de droit pénal comparé», 1996, p. 286, il quale rileva che «il existe des domaines
importants de délinquance du droit économique et financier où la responsabilité pénale des personnes morales
L’ordinamento francese 123

inoltre chi ha sollevato la questione dell’effettiva conoscibilità da parte delle diverse


persone giuridiche del precetto penale. Il principio di specialità presuppone, infatti,
che l’ente, e quindi i suoi organi o rappresentanti, siano a conoscenza delle diverse
fattispecie penali che comportano una responsabilità collettiva. Mentre per una so-
cietà di grandi dimensioni questo non dovrebbe costituire un problema perché nella
maggioranza dei casi la stessa disporrà di un servizio di consulenza legale interno,
più complessa si rivela la situazione per le società di piccole dimensioni le quali non
dispongono dei mezzi e dell’organizzazione delle grandi imprese: il che potrebbe
condurre ad una violazione del principio di eguaglianza38.
Ciò è tanto più vero ove si consideri che il legislatore francese ha provveduto nel
corso degli anni ad estendere progressivamente l’ambito di responsabilità penale delle
persone giuridiche, a tal punto che taluni studiosi hanno affermato essere più sem-
plice individuare le infrazioni per le quali la responsabilità è ancora esclusa piuttosto
di quelle in cui essa è prevista39.
Nonostante detta estensione sotto il profilo «quantitativo», il sistema delineato
mostrava incoerenze sotto il profilo «qualitativo»40. Solo per citare due esempi fra
i molti, mentre la persona giuridica poteva essere considerata responsabile per la
corruzione attiva, la stessa andava esente da pena in caso di corruzione attiva in atti
giudiziari. E ancora: le persone giuridiche non rispondevano delle infrazioni previste
nel diritto penale del lavoro, se non nelle ipotesi di attentato involontario alla vita o
alla sicurezza e agli omicidi involontari nell’ambito degli incidenti sul lavoro41.
n’a pas été prévue, alors que cette sanction paraît utile et nécessaire.» («Esistono dei settori importanti della
delinquenza economico-finanziaria dove la responsabilità penale delle persone giuridiche non è stata
prevista, quando invece la sanzione penale pare utile e necessaria»). J. Mouly, La responsabilité pénale des
personnes morales et le droit du travail, in «Petites Affiches», n. 120, 1993, p. 33 ha comunque condiviso
la scelta iniziale del legislatore francese, in ragione delle peculiarità connesse a questa nuova forma di
responsabilità.
38
  J.C. Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, L’Harmattan, Paris
2003, p. 330-331.
39
  Veron, La responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 1470. Inizialmente, le ipotesi di reato
sono state limitate a fattispecie disciplinate nel codice penale al libro ii relativo a crimini e delitti contro
le persone, al libro iii relativo a crimini e delitti contro i beni, al libro iv relativo a crimini e a delitti
contro la nazione, lo Stato e la pace pubblica e a poche fattispecie previste nelle leggi speciali.
40
  O. Sautel, La mise en œuvre de la responsabilité pénale des personnes morales: entre litanie et liturgie, in
«Le Dalloz», n. 14, 2002, p. 1148; N. Stolowy, La disparition du principe de spécialité dans la mise en
cause pénale des personnes morales, in «La semaine Juridique édition générale», i-138, Doctrine, 2004, p.
998, secondo cui pur riconoscendo che il legislatore ha introdotto il principio di specialità in un’ottica
di prudenza per verificare lo sviluppo della nuova responsabilità, il sistema delineato è fonte di lacune
e di incoerenze.
41
  M.C. Sordino, La disparition du principe de spécialité de la responsabilité pénale des personnes morales:
une fin espérée […] adoptée dans la plus grande discrétion, in «Gazette du Palais», Doctrine, 11 septembre
2004, p. 2842.
124 E. Pavanello

Sotto il profilo giurisprudenziale, una sentenza risalente al 2003 si è indirettamen-


te (ma in modo inequivocabile) orientata nel senso dell’abolizione del principio di
specialità42. La Corte di Cassazione, infatti, ha cassato e annullato la sentenza emessa
in grado d’appello in base alla quale non era stata perseguita la persona giuridica in
quanto l’infrazione contestatale, ovvero la violazione dell’art. 399 del codice delle
dogane che punisce chiunque partecipi in qualsiasi modo al delitto di contrabbando,
non prevedeva quale soggetto attivo l’ente collettivo. Con una decisione che ha mu-
tato il precedente orientamento giurisprudenziale la Corte di Cassazione ha sostenuto
che nel concetto di «chiunque» rientrasse (quantomeno nel caso di specie) anche la
persona giuridica, nonostante le indicazioni contenute sul punto nella relazione all’ar-
ticolo 121-2 del codice penale43.
La decisione ha destato ovvie perplessità in dottrina in considerazione della sostan-
ziale violazione dei principi di legalità e di interpretazione stretta del diritto penale44.
Tuttavia, per quanto si tratti di decisione che esce dai limiti del disposto normativo,
essa ha avuto sicuramente il pregio di mettere in primo piano la questione dell’incoe-
renza del sistema allora vigente e ha probabilmente contribuito alla modifica dell’art.
121-2 del codice penale.
Di lì a poco, infatti, l’art. 54 della legge Perben ii (l. 2004-204)45 ha disposto l’a-
brogazione della parte dell’art. 121-2 del codice penale ove si fa riferimento alla puni-
bilità delle persone giuridiche nei soli casi previsti dalla legge e dai regolamenti. Unica
eccezione in cui non opera la responsabilità delle persone giuridiche concerne i reati
relativi alla stampa o commessi attraverso mezzi di comunicazione audiovisiva. Tenuto
conto della sua ampiezza, la modifica è entrata in vigore solo il 31 dicembre 2005 con
la conseguenza che non trova applicazione per i fatti verificatisi prima di tale data46.
Non è mancato comunque chi si è mostrato critico nei confronti di det-
ta modifica legislativa, sostenendo che invece di procedere ad una genera-
42
  Planque, Elargissement jurisprudentiel du domaine de application de la responsabilité pénale des
personnes morales, in «Recueil Dalloz», n. 42, 2003, Jurisprudence, p. 2860. La sentenza della Corte
di Cassazione del 5 febbraio 2003 è pubblicata in «Revue de science criminelle», n. 3, Chronique
Jurisprudentielle,2003, p. 554-555.
43
  La relazione de qua prevede infatti alla lettera b) che «la responsabilité de la personne morale n’est
pas générale. Elle ne peut être mise en oeuvre qu’à condition d’être spécialement prévue pour l’infraction
considérée.» («La responsabilità penale della persona giuridica non è generale. Essa può venire in rilievo
sono a condizione di essere espressamente prevista dalla violazione considerata»).
44
  Sul punto Sordino, La disparition du principe de spécialité de la responsabilité pénale des personnes
morales: une fin espérée […] adoptée dans la plus grande discrétion, cit., p. 2843.
45
  La legge citata introduce importanti modifiche anche nella procedura penale francese con particolare
riferimento alla lotta contro il crimine organizzato. Si veda B. De Lamy, La loi 9 mars 2004 portant
adaptation de la justice aux évolutions de la criminalité, in «Recueil Dalloz», n. 27, Chronique, 2004, p. 1910
ss. e B. De Lamy, La loi 9 mars 2004 portant adaptation de la justice aux évolutions de la criminalité suite et
fin, in «Recueil Dalloz», n. 28, Chronique, 2004, p. 1982 ss. per un commento generale della normativa.
46
  E. Pire, Responsabilité pénale des personnes morales: difficultés de droit transitoire, in «Recueil Dalloz»,
L’ordinamento francese 125

lizzazione della responsabilità penale, sarebbe stato probabilmente più op-


portuno chiedersi in quali ipotesi rilevasse maggiormente l’infrazione del-
la persona giuridica per procedere, solo in tale ipotesi, alla sua punizione47.

4.4. Problematiche interpretative connesse all’individuazione dell’elemento soggettivo della


condotta in capo alla persona giuridica e alla natura della responsabilità di quest’ultima:
diretta o di riflesso rispetto a quella della persona fisica organo o dirigente?

L’articolo 121-2 del codice penale francese non chiarisce se sia sufficiente verificare
la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo alle persone fisiche che agiscono per
conto della società o se, invece, sia necessario anche accertare l’elemento soggettivo
che ha animato la persona giuridica. La questione riflette la configurazione della na-
tura della responsabilità, diretta della persona giuridica o indiretta, per riflesso, che si
«trasmette» dalle persone fisiche a quella giuridica.
Alla stregua delle indicazioni codicistiche è possibile affermare che è sufficiente
verificare la sussistenza della colpevolezza in capo ai soggetti fisici e che la stessa si tra-
smette per riflesso (par ricochet) alle persone giuridiche48. Secondo tale impostazione,
il legislatore francese avrebbe strutturato la responsabilità in relazione alla colpevolez-
za delle persone fisiche. In questo modo per accertare se un reato è stato commesso
dalla persona giuridica, il giudice dovrà limitarsi a valutare l’esistenza di un rapporto
di causalità tra la realizzazione del reato e l’attività svolta dall’ente49.
Parte della dottrina si è tuttavia mostrata critica nei confronti dell’interpretazione
de qua, ritenendo che la stessa privi di qualsiasi interesse l’istituto della responsabilità
penale delle persone giuridiche − basti pensare alle difficoltà di individuare la persona
fisica che ha posto in essere gli elementi dell’infrazione soprattutto nel caso di deci-
sione collegiale di una persona giuridica o in caso di reati colposi − e sia contraria al
principio di personalità della pena in quanto per lo stesso fatto verrebbero incriminate
due persone diverse50. Infatti, la persona giuridica verrebbe sanzionata per un fatto
che è stato voluto e realizzato da una persona diversa e ciò si porrebbe in contrasto con
la previsione dell’art. 121-1 del codice che prevede testualmente «nul n’est responsabile
n. 23, Point de vue, 2004, p. 1650.
47
  Matsopoulou, La généralisation de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 289.
48
  Nel senso che la responsabilità è per riflesso, Pradel, La responsabilité, cit., p. 79. M.E.Cartier,
Nature et fondement de la résponsabilité pénale des personnes morales dans le nouveau code pénal français,
in «Petites affiches», n. 149, décembre 1996, p. 24 ritiene che laddove non sia possibile individuare
l’elemento soggettivo che ha animato la persona fisica anche la responsabilità della persona giuridica
debba essere esclusa.
49
  Cfr. De Maglie, L’etica e il mercato, cit., p. 206-207, la quale riassume gli argomenti al riguardo
addotti dalla dottrina.
50
  Rassat, Droit pénal général, cit., p. 506.
126 E. Pavanello

que de son propre fait». Il fondamento di questa seconda impostazione risiede nel fatto
che il codice francese prevede la responsabilità concorrente e non (necessariamente)
cumulativa delle persone fisiche con quella delle persone giuridiche: la responsabilità
delle seconde può andare disgiunta da quella delle prime. Oltre a ciò, la posizione il-
lustrata sarebbe conforme al principio di realtà della persona giuridica e si rivelerebbe
maggiormente garantista in quanto consentirebbe di evitare un’automatica imputa-
zione di responsabilità in capo alla persona giuridica, laddove venisse in rilievo la
responsabilità della persona fisica. Secondo taluni, questa prospettiva comporterebbe
la necessità di accertare una faute distinta e autonoma della persona giuridica rispetto
a quella della persona fisica, anche se risulta complesso, in assenza di indicazioni legi-
slative, delineare gli elementi da cui dedurre la presenza di tale faute51.
In ogni caso è necessario prevedere il collegamento tra condotta della persona fisi-
ca e condotta della persona giuridica, anche se non è escluso che la responsabilità della
seconda possa venire in rilievo indipendentemente dall’accertamento della prima. La
regola sarebbe nel senso della responsabilità diretta ed esclusiva della persona giuridica
in caso di infractions non intentionnelles (e, in particolare, nel caso in cui non sia pos-
sibile stabilire la responsabilità della persona fisica o qualora l’infrazione sia di scarsa
gravità) e solo in caso di infractions intentionnelles vi sarebbe cumulo di responsabilità
di persona fisica e giuridica52. La tesi sembra oggi avallata anche dall’introduzione
dell’art. 121-3 che ha espressamente previsto un’ipotesi di responsabilità esclusiva del-
le persone giuridiche in caso di reato colposo (infraction non intentionnelle)53.
Quanto alla posizione della giurisprudenza, le giurisdizioni di merito si sono divi-
se in ordine alla necessità di individuare una faute autonoma della persona giuridica
arrivando, in alcuni casi, a sostenere che una società «ha posto in essere» una grave
negligenza, dando così sostegno alla teoria della responsabilità diretta.
La Corte di Cassazione che ha avuto modo di pronunciarsi sul punto ha assunto
posizioni diversificate. In una prima sentenza ha sostenuto, infatti, che «la faute pénale
de l’organe ou du représentant suffit, lorsqu’elle est commise pour le compte de la personne
morale, à engager la responsabilité pénale de celle-ci, sans que doit être établie une faute
51
  J.C.Saint-Pau, La responsabilité pénale des personnes morales est-elle une responsabilité par ricochet?, in
«Dalloz», n. 30, Jurisprudence, 2000, p. 636 ss. rileva che in ogni caso la responsabilità della persona
giuridica è responsabilità per fatto proprio e il fatto di stabilire la colpevolezza della stessa mediante la
colpevolezza della persona fisica non costituisce null’altro che una regola di prova.
52
  C. Sucouloux-Favard, Un primo tentativo di comparazione della responsabilità penale delle persone
giuridiche francese con la cosiddetta responsabilità amministrativa delle persone giuridiche italiana, in
Societas puniri potest, cit., p. 100-103 e A.F. Morone, La responsabilità penale par ricochet della personne
morale in Francia dopo la l. 10 luglio 2000 n. 2000-647, in «Diritto penale xxi secolo», n.1, 2003, p. 152.
53
  Planque, La détérmination, cit., p. 281 e E. Fortis, Chronique de jurisprudence, in «Revue de
science criminelle», n. 2, 2004, p. 341 ritiene che l’introduzione della legge del 10 luglio 2000, su cui
diffusamente infra, consentirebbe di sostenere la teoria della responsabilità diretta della persona fisica.
L’ordinamento francese 127

distincte à la charge de la personne morale»54. In una pronuncia di poco successiva,


tuttavia, essa ha statuito che, pur non sussistendo alcuna faute délibérée in capo alle
persone fisiche organi o rappresentanti della società, occorreva accertare l’eventuale
esistenza di un difetto nell’organizzazione del lavoro di impresa per verificare se la
persona giuridica potesse essere considerata responsabile del reato55. Il caso riguardava
la caduta di un dipendente della società mentre si accingeva a riparare una lamiera:
su indicazione del caporeparto egli aveva utilizzato una scala anziché l’apposito car-
rello elevatore (mezzo più sicuro che avrebbe con ogni probabilità evitato la caduta
dell’operaio). Il dipendente aveva riportato diverse ferite e la procura aveva proceduto
nei confronti del direttore dello stabilimento, del capo dell’unità produttiva, del capo-
reparto che aveva fornito le indicazioni all’operaio nonché della società. La sentenza
interviene in un momento successivo all’adozione della legge 2000-647 (su cui infra)
la quale dispone che, nei reati colposi, laddove la condotta delle persone fisiche abbia
contribuito solo in modo indiretto alla realizzazione del reato, esse sono responsabili
unicamente in presenza di una faute deliberée mentre le persone giuridiche sono re-
sponsabili anche in caso di colpa lieve. La Corte di Cassazione ha ritenuto che nessuna
colpa grave sussistesse in capo alle persone fisiche organi e rappresentanti della società
(nel caso di specie, infatti, il direttore dello stabilimento e il responsabile dell’unità
operativa sono stati prosciolti); tuttavia, la stessa ha invitato a procedere all’accerta-
mento dell’eventuale sussistenza degli elementi del reato in capo alla persona giuridi-
ca, per valutare se il comportamento imprudente dell’operaio fosse ascrivibile o meno
a un deficit nella sorveglianza o nell’organizzazione del lavoro imputabile al capo dello
stabilimento o alla persona incaricata della sicurezza in grado di impegnare la respon-
sabilità della persona giuridica. Diversamente da quanto ritenuto dalle Corti di meri-
to, il fatto che non fosse perseguibile l’organo o il rappresentante, non viene ritenuto
elemento sufficiente a negare la sussistenza della responsabilità della persona giuridica.
Tale elemento è stato interpretato come la volontà della Corte di Cassazione di
optare per una responsabilità diretta della persona giuridica, con la conseguenza che
sarebbe necessario accertare tutti gli elementi del reato nei suoi confronti, elementi
beninteso desumibili dai comportamenti delle persone fisiche56. L’interpretazione de
qua non tiene, a nostro avviso, in considerazione il contesto in cui la pronuncia è
stata pronunciata: si trattava infatti di un reato colposo in presenza del quale, a se-
54
  Cassation Criminelle 21 marzo 2000, in «Bullettin criminal», n. 128, 2000, e, in precedenza,
Cassation Criminelle 2 dicembre 1997, in «La semaine juridique», ii, 1998, p. 10023.
55
  Cassation Criminelle 24 ottobre 2000, in «Recueil Dalloz», Jurisprudence, 2002, p. 514 ss.
56
  J.C. Planque, Influence de la loi du 10 juillet 2000 sur la responsabilité pénale des personnes morales, in
«Recueil Dalloz», Jurisprudence, 2002, p. 514 ss. Contra Morone, La responsabilità penale par ricochet
della personne morale in Francia dopo la l. 10 luglio 2000 n. 2000-647, cit., p. 154 il quale ritiene
che anche a seguito dell’entrata in vigore della legge citata, resta fermo lo schema della responsabilità
penale par ricochet, indipendentemente dal tipo di reato e dal fatto che esso non sia punibile per difetto
dell’elemento soggettivo in capo alla persona fisica.
128 E. Pavanello

guito della legge del 2000, è necessario differenziare la valutazione della posizione di
persone fisiche e giuridiche. È plausibile, quindi, che la Corte abbia ritenuto che, in
assenza di colpa grave in capo alla persona fisica − elemento questo imprescindibile
per condannare la stessa − non fosse possibile omettere la verifica dell’eventuale sus-
sistenza della colpa lieve in capo alla persona giuridica, sufficiente, al contrario, per
punire quest’ultima.
Invero, come rilevato da taluno, non sembra possa essere messa in discussione
la natura «riflessa» della responsabilità delle persone giuridiche, così come affermata
dalla Cassazione nelle sentenze sopra citate e confermata anche da talune pronunce
di merito57.
Per dovere di completezza si accenna, infine, in questa sede alla questione sollevata
circa la possibile applicazione anche alle persone giuridiche delle cause di irrespon-
sabilità penale previste dagli articoli da 122-1 a 122-7. Esse comprendono tanto le
cause «soggettive», ovvero l’incapacità mentale, la costrizione fisica e l’errore di diritto,
quanto le cause «oggettive» , ovvero la condotta posta in essere per ordine o autorizza-
zione della legge, la legittima difesa, lo stato di necessità. Ci si è chiesti se le cause che
possono essere invocate dalle persone fisiche, organi o rappresentanti, giovino anche
alle persone giuridiche.
Si ritiene che la questione vada affrontata ora in quanto la stessa è intimamente
legata alla qualificazione della responsabilità penale delle persone giuridiche come
diretta o per riflesso. Se si propende, infatti, per una responsabilità indiretta della
persona giuridica, è da ritenere che qualsiasi causa di irresponsabilità che riguarda
gli organi o i rappresentanti debba essere applicata anche alla persona giuridica, non
essendo possibile scindere le due condotte58. Se, invece, si qualifica la responsabilità
della persona giuridica come diretta, occorre distinguere a seconda della natura della
causa di irresponsabilità: mentre le cause oggettive opererebbero anche in favore della
persona giuridica (il che pare logico ove si consideri che le stesse determinano il venir
meno del reato), per le cause soggettive di irresponsabilità non esisterebbe una solu-
zione univoca59.

57
  Sul punto si veda S. Giavazzi, La responsabilità penale delle persone giuridiche: dieci anni di esperienza
francese, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», n. 3, 2005, p. 637 ss.
58
  Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 28.
59
  Planque, La détermination, cit., p. 403-445 ritiene, ad esempio, che l’incapacità mentale non sia
applicabile alle persone giuridiche, mentre lo sia la costrizione fisica.
L’ordinamento francese 129

5. La responsabilità concorrente della persona fisica, organo o rappresentante, che ha posto


in essere la condotta.

L’art. 121-3 del codice penale francese indica che la responsabilità delle persone
giuridiche non esclude la responsabilità concorrente delle persone fisiche autori o
complici del fatto criminoso. Il principio del cumulo di responsabilità è stato giusti-
ficato dal legislatore per il fatto che la responsabilità penale degli enti non deve costi-
tuire uno schermo dietro il quale le persone fisiche si possono celare per mascherare
le responsabilità personali. Peraltro, come rilevato da illustre dottrina, la regola del
cumulo è variamente interpretata dai Tribunali: così, se a Parigi e Versailles normal-
mente il dirigente della società non è perseguito, e si afferma espressamente che l’ente
ha commesso il reato, in altre circoscrizioni invece si procede nei confronti tanto della
persona fisica quanto della persona giuridica60.
La dichiarazione di intenti per quanto pregevole è singolare ove si consideri che,
nel contempo, l’introduzione di una limitata responsabilità delle persone giuridiche
di diritto pubblico è stata considerata un mezzo per ridurre il controllo penale sull’o-
perato dei rappresentanti politici, intesi come persone fisiche61.
Detta dichiarazione contrasta, inoltre, con la stessa ratio che ha indotto il legisla-
tore francese ad adottare la legge 2000-647, ovvero ridurre il campo di responsabilità
delle persone fisiche in caso di reati colposi, settore nel quale molto spesso si procede-
va a un’automatica condanna del soggetto fisico in virtù della posizione dallo stesso
rivestita (una sorta di responsabilità da posizione), a prescindere da una sua effettiva
conoscenza del fatto e dalla rimproverabilità della condotta.

5.1. Limitazione della concorrente responsabilità della persona fisica per i delitti
non intenzionali posti in essere per imprudenza, negligenza, violazione di un obbligo di
prudenza o sicurezza (l. 2000-264).

Un temperamento al principio del cumulo di responsabilità è stato introdotto con


la l. 2000-264 in tema di delitti non intenzionali, posti in essere per imprudenza, ne-
gligenza, violazione di un obbligo di prudenza o sicurezza62. Il quarto comma dell’art.
60
  Pradel, Manuel de droit pénal général, cit., p. 510.
61
  Sul punto si veda in particolare il paragrafo dedicato all’analisi del Rapporto Massot che ha indagato
il rapporto tra responsabilità dei singoli rappresentanti politici locali e degli enti pubblici cui gli stessi
afferiscono.
62
  Nel sistema penale francese la responsabilità per i crimini sussiste esclusivamente in caso di dolo
(intention), mentre per i delitti la regola è analoga a quella prevista nell’ordinamento italiano, ovvero
normalmente è necessario il dolo mentre è sufficiente la colpa ove così sia espressamente previsto dalla
norma di parte speciale. La colpa viene poi distinta in imprudence ordinaire e in imprudence caracterisée.
Per quanto riguarda la contravvenzione è invece sufficiente la responsabilità oggettiva. Sul punto si veda,
130 E. Pavanello

121-3 distingue, infatti, a seconda che il nesso di causalità tra la condotta del soggetto
e il danno siano diretti o indiretti. In caso di nesso di causalità diretto − come avveniva
in passato − anche la faute più lieve potrà determinare la responsabilità penale della
persona fisica. In caso di nesso di causalità indiretto, invece - detto legame sussiste ai
sensi di legge qualora le persone fisiche abbiano unicamente contribuito a creare la si-
tuazione che ha permesso il verificarsi del danno o non abbiano adottato le misure che
avrebbero consentito di evitarlo − la persona fisica risponderà del reato solo se risulta
che essa abbia violato in modo volontario un’obbligazione particolare di prudenza o
di sicurezza prevista dalla legge o dal regolamento e che abbia commesso una faute
caracterisée, esponendo altri ad un rischio di particolare gravità che non poteva igno-
rare. Tre sono quindi i presupposti che contraddistinguono questa faute caracterisée:
innanzitutto, deve sussistere una colpa di particolare intensità; in secondo luogo, il
fatto colposo caratterizzato deve aver prodotto un rischio di particolare gravità e, da
ultimo, deve trattarsi di un rischio che l’agente non poteva ignorare. Questa limita-
zione di responsabilità delle persone fisiche non trova analogo riscontro per le persone
giuridiche che pertanto risponderanno dei delitti non intenzionali a prescindere dal
nesso di causalità esistente.
C’è chi ha rilevato criticamente che la riforma crea delle incoerenze nella logica del
sistema di responsabilità delle persone giuridiche, atteso che queste ultime possono
essere considerate responsabili solo ove l’azione o l’omissione sia stata commessa da
parte dei rappresentanti o degli organi per suo conto. La dottrina si interroga sull’op-
portunità di prevedere la responsabilità delle persone giuridiche in caso di esclusione
totale della responsabilità delle persone fisiche: è pur vero, infatti, che la giurispru-
denza ha chiarito non essere necessario individuare nominativamente la persona fisica
che ha commesso l’infrazione, ma in ogni caso sarà necessario procedere ad un’im-
putazione «virtuale» o «potenziale» del fatto alla stessa, ciò che in virtù della riforma
esaminata non può avvenire63.

6. Il sistema sanzionatorio previsto per le persone giuridiche: pene e misure di sicurezza.

Il sistema sanzionatorio applicabile alle persone giuridiche è regolato dagli articoli


da 131-37 a 131-3964. La sanzione generalmente applicabile è l’ammenda ai sensi
F. Palazzo, M. Papa, Lezioni di diritto penale comparato, G. Giappichelli, Torino, 20052, p. 122 ss.
63
  Sul punto si cfr. Y. Mayaud, Infractions contre les personnes, in «Revue de Science Criminelle», janvier-
mars 2001, p. 163 ; Di Marino, Le développement de la responsabilité pénale des personnes morales, cit.,
p. 37, e J. Amar, Contribution à l’analyse économique de la responsabilité pénale des personnes morales, in
«Droit Pénal», n. 37, 2001, Chronique, p. 6 ritengono che la legge citata ponga inevitabili problemi
quanto all’uguaglianza tra persone fisiche e giuridiche.
64
  Si veda B. Bouloc, Généralités sur les sanctions applicables aux personnes morales, in «Révue des
L’ordinamento francese 131

di quanto stabilito dall’art. 131-37 n.1: essa potrà raggiungere la misura massima
del quintuplo rispetto alla pena pecuniaria applicabile alla persona fisica (art. 131-
38). Questo articolo nulla prevede nell’ipotesi in cui il reato commesso dalle persone
fisiche non sia punito con l’ammenda, bensì con altre sanzioni e, segnatamente, la
reclusione. L’art. 55 della legge Perben ii ha posto fine a tale lacuna, introducendo un
ulteriore comma all’art. 131-38 il quale prevede che «lorsqu’il s’agit d’un crime pour
lequel aucune peine d’amende n’est prévue à l’encontre des personnes physiques, l’amende
encourue par les personnes morales est de 1.000.000 d’euros».
Il legislatore francese ha optato per sanzioni pecuniarie abbastanza elevate, senza
distinguere a seconda della forma giuridica dell’ente e quindi del capitale sociale di
cui lo stesso dispone. La previsione si giustifica peraltro nella logica del codice penale
francese il quale, da un lato, non prevede i limiti minimi della pena, e, dall’altro, non
pone alcuna limitazione alla diminuzione delle pene pecuniarie rispetto al massimo
previsto dalla legge65.
A fronte della sanzione generale sopra indicata, l’art. 131-37 n. 2 indica, inoltre,
che saranno applicabili anche le sanzioni elencate dettagliatamente all’articolo 131-39
nei casi previsti dalla legge. Dette sanzioni possono essere distinte in tre diversi grup-
pi, in ragione della loro gravità e degli effetti che esse producono.
In una prima categoria vanno inserite le sanzioni che pregiudicano la regolare atti-
vità della persona giuridica o addirittura pongono fine alla sua esistenza: trattasi della
dissoluzione, della chiusura dello stabilimento e del divieto di esercitare determinate
attività. La dissoluzione della persona giuridica può essere pronunciata dal giudice
qualora quest’ultima sia stata creata per commettere i fatti incriminati o qualora essa,
discostandosi dal proprio oggetto sociale, abbia commesso il fatto penalmente rile-
vante. Mentre la prima ipotesi non dà adito a particolari problemi interpretativi, nella
seconda eventualità ci troviamo di fronte ad un concetto più vago che presuppone,
in ogni caso, che l’oggetto (lecito) dell’attività non sia stato perseguito66. La sanzione
de qua non si applica alle persone giuridiche di diritto pubblico, ai partiti e ai gruppi
politici, ai sindacati professionali e alle istituzioni rappresentative del personale (su cui
infra). Essa è stata fortemente criticata in quanto sarebbe paragonabile in tutto e per
tutto alla pena di morte, sanzione che è stata abrogata da lungo tempo per le persone
fisiche nell’ordinamento francese67. Altrettanto affittiva è la sanzione della chiusura
sociétés», 1993, p. 327-329 con particolare riferimento alla funzione che la sanzione penale può
esplicare nei confronti della persona giuridica.
65
  Ai sensi dell’art. 132-34, peraltro, nel pronunciare un’ammenda si terrà conto «des resources et des
charges» dell’autore dell’infrazione, disposizione questa che si applica anche alle persone giuridiche. Sul
punto si cfr. M. Boizard, Amende, confiscation, affichage ou communication de la décision, in «Révue des
sociétés», 1993, p. 332.
66
  P. Le Cannu, Dissolution, fermeture d’établissement et interdiction d’activités, in «Révue des sociétés»,
1993, p. 343.
67
  Pansier, La responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 250.
132 E. Pavanello

definitiva o per un periodo al massimo di 5 anni dello stabilimento che è servito alla
commissione del reato. La pena era già conosciuta nell’ordinamento francese ed era
prevista come sanzione accessoria, ad esempio, nel caso di traffico di stupefacenti
qualora l’infrazione fosse stata commessa in uno stabilimento aperto al pubblico o
utilizzato dal pubblico (art. 222-50 codice penale).
L’ultima sanzione appartenente alla categoria in esame è il divieto di esercitare una
determinata attività professionale o sociale in via definitiva o per un periodo pari ad un
massimo di 5 anni: l’attività vietata, secondo quanto indicato dall’art. 131-28, deve
essere legata all’infrazione che è stata commessa o, in ogni caso, ancorché non presenti
alcun legame con l’infrazione, deve essere espressamente indicata dalla legge.
Sanzioni di minor gravità sono invece la confisca, la pubblicazione della sentenza
e la comunicazione della decisione. La confisca ha ad oggetto il bene che è servito (o
è stato destinato) a commettere l’infrazione o il bene che ne ha costituito il prodotto.
Quanto alla pubblicazione e alla comunicazione della sentenza esse possono avvenire
con ogni mezzo, sia attraverso la stampa scritta che mediante i mezzi di comunicazio-
ne televisiva.
In una terza categoria possono essere incluse le rimanenti sanzioni che hanno
come scopo la diminuzione della capacità di azione delle persone giuridiche, ma non
il loro totale annichilimento68, tra le quali va annoverata innanzitutto la sottoposi-
zione a sorveglianza giudiziaria della persona giuridica, pena questa che ha carattere
necessariamente temporaneo, non potendo essere inflitta per un periodo superiore a
cinque anni (ove la pena non conoscesse limiti temporali, la persona giuridica ver-
rebbe posta in uno stato di incapacità permanente69). La pena in oggetto presuppone
che un terzo controlli l’attività dell’ente: il mandataire sarà nominato dal tribunale
contestualmente alla pronuncia della pena. Sono escluse dal campo di applicazione
della norma le persone giuridiche di diritto pubblico, i partiti, i gruppi politici e i
sindacati professionali (su cui infra). Vi è poi la sanzione dell’esclusione dagli appalti
pubblici della persona giuridica a titolo definitivo o per un periodo non superiore a 5
anni: l’obiettivo è quello di ristabilire la «dignità» della cosa pubblica. Atteso, infatti,
che gli appalti pubblici concernono la collettività è opportuno che solo le persone
fisiche e giuridiche «integre» vi facciano ricorso. L’estensione della sanzione è notevole
se si considera che la legge non distingue in alcun modo tra i diversi appalti pubblici,
impedendo tout court la partecipazione agli stessi.
68
  P. Delebecque, Les sanctions de l’article 131-39, 3o, 5o, 6o et 7o, in «Révue des sociétés», 1993, p. 349
ss. si interroga sulla natura di queste sanzioni e ritiene che non possano essere considerate delle vere e
proprie pe-ne in quanto le stesse non dispongono di alcuna connotazione morale e mirano a prevenire la
commissione di un ulteriore reato; tuttavia, esse non possono essere considerate nemmeno delle misure
di sicurezza tout court in quanto presentano un carattere afflittivo e infamante, per lo meno nel mondo
degli affari.
69
  Ibidem, p. 350 ss.
L’ordinamento francese 133

All’interno della categoria in esame vanno collocate altresì le sanzioni che deter-
minano il divieto definitivo o per un periodo non superiore a 5 anni di fare appello al
pubblico risparmio e il divieto per un periodo massimo di 5 anni di emettere assegni o
di utilizzare determinati mezzi di pagamento.
Da segnalare che, così come per le persone fisiche, anche per le persone giuridiche
è prevista la creazione di un apposito casellario giudiziario e la registrazione nello stes-
so delle condanne inflitte alle persone giuridiche70. Le persone giuridiche potranno
giovarsi, inoltre, della sospensione condizionale della pena (sursis simple) che consi-
ste nella cancellazione della condanna pronunciata a condizione che nei cinque anni
successivi alla sua pronuncia non sia stata emessa altra condanna senza sospensione
condizionale71.

7. Le applicazioni giurisprudenziali della responsabilità penale delle persone giuridiche.

L’analisi dei dati relativi all’applicazione della nuova responsabilità delle persone
giuridiche mostra, da un punto di vista «quantitativo», un sostanziale e progressivo
aumento del numero di condanne delle persone giuridiche.
Se, infatti, dopo due anni dall’entrata in vigore della riforma si contavano solo
tre sentenze di condanna pronunciate nei confronti delle persone giuridiche72, dopo
quattro anni il numero di pronunce era già salito a cento73. Nel 2002, infine, oltre
millequattrocento condanne sono state iscritte nel casellario giudiziario delle persone
giuridiche74. Peraltro, nell’applicazione pratica il diritto penale della sicurezza sul la-
voro sembra costituire uno dei terreni di elezione di questa forma di responsabilità75.
Quanto alle pene applicate, nella maggior parte dei casi il giudice si è limitato ad
irrogare un’ammenda (di un importo medio calcolato pari a 8.000 euro) e raramente
70
  B. Bouloc, Le casier judiciaire des personnes morales, in «Révue des sociétés», 1993, p. 364 ss.
71
  Per le condizioni in cui la sospensione condizionale della pena opera si vedano in particolare gli
articoli 132-29, 132-30, 132-32, 132-33, 132-34 del codice penale.
72
  L. Vichnievsky, Bilan sommaire de la mise en œuvre de la répression à l’encontre des personnes morales,
in «Revue de science criminale», avril-juin 1996, p. 289 ss.
73
  Si veda sul punto la circolare del Ministero della Giustizia sopra citata e i relativi commenti di A.
Maron, J.H. Robert, Cent personnes morales pénalement condamnées, in «Droit pénal», Editions du
Juriste-Classeur, n. 28, Chronique, 1998, p. 4 ss. e C. Ducouloux Favard, Quatre années de sanctions
pénales à l’encontre des personnes morales, in «Recueil Dalloz», n. 41, Chronique, 1998, p. 397 ss.
74
  Z. Belmokhtar, La responsabilité pénale des personnes morales, in Infostat Justice, n. 82, mai 2005
rinvenibile nel sito <http://www.justice.gouv.fr/publicat/infostat.htm>. Secondo quanto risulta da
questo studio peraltro non tutte le condanne sono state regolarmente iscritte nel casellario giudiziario,
con la conseguenza che il numero di persone giuridiche condannate sarebbe in realtà maggiore. Il trend
dei reati contestati non è mutato atteso che nella maggior parte dei casi si è trattato di illeciti in materia
di lavoro clandestino, lesioni colpose e omicidio, illeciti in materia di concorrenza sleale.
75
  A. Coeuret, E. Fortis, Droit pénal du travail, Lexis Nexis, Paris 20043, p. 4.
134 E. Pavanello

ha pronunciato una delle pene accessorie indicate nell’art. 131-39. Quando ciò è
avvenuto, ha fatto ricorso alla comunicazione e alla diffusione della decisione o alla
confisca dei beni. Inoltre, le prime pronunce confermano che il cumulo di responsa-
bilità tra persone fisiche e giuridiche previsto nel testo del codice è eminentemente fa-
coltativo: solo in trentotto casi tra le prime cento sentenze pronunciate nei confronti
delle persone giuridiche si è proceduto infatti a condannare anche le persone fisiche76.
Occorre comunque rilevare come le decisioni delle corti francesi abbiano dedica-
to attenzione solo ad alcune delle spinose questioni interpretative sin qui illustrate.
Innanzitutto, la giurisprudenza ha avallato la dottrina che aveva inteso la nozione di
organo e rappresentante in senso ampio, in modo da includervi tanto gli organi di
fatto, quanto il lavoratore munito di delega77.
In relazione poi alla volontà colpevole che deve caratterizzare il comportamento
della persona giuridica, non esiste ancora chiarezza. Le pronunce che hanno sostenuto
la natura indiretta della responsabilità della persona giuridica, nella determinazione
dell’elemento soggettivo della persona fisica hanno distinto a seconda del tipo di de-
litto. Mentre, infatti, in caso di reato punibile a solo titolo doloso si è ritenuto che
l’organo o il rappresentante debbano essere coscienti di commettere il delitto78, nel
caso di reati puniti anche a titolo colposo o nel caso delle contravvenzioni la tendenza
è stata quella di dimostrare l’avvenuta violazione di una determinata norma giuridica,
senza interrogarsi sull’elemento soggettivo che ha animato organi o rappresentanti,
per trasferire poi la responsabilità in capo alla persona giuridica e senza nemmeno,
come visto, individuare la persona fisica che ha commesso la condotta illecita79. I
giudici, nella maggioranza dei casi, non si sono preoccupati di individuare la singola
persona fisica che ha commesso l’infrazione80. La Corte di Cassazione con sentenza
del 29 aprile 2003 ha tuttavia ritenuto che l’impostazione predetta non potesse essere
seguita, in quanto la condanna della persona giuridica senza la previa individuazione
degli organi o dei rappresentanti responsabili dell’illecito all’interno della persona giu-
ridica, mancherebbe di necessarie basi legali81. La Corte di Cassazione pareva aver così
76
  Si confronti sul punto la Circolare Chacellerie, N. crim. 98-1-F1, pubblicata in «La semaine
Juridique», iii, 20035, 1998, p. 403.
77
  In questo senso come già ricordato Cassation Criminelle 9 novembre 1999 e 14 dicembre 1999.
78
  Si confronti in questo senso Cassation Criminelle 2 dicembre 1997 in «Revue de science criminelle»,
1998, p. 536 e Cassation Criminelle 7 luglio 1998, in «Revue de science criminelle», 1998, p. 317.
79
  Cassation Criminelle 18 gennaio 2000 in «Gazette du Palais», jullet-aout 2000, p. 1774 e Cassation
Criminelle, 1° dicembre 1998 in «Recueil Dalloz», n. 2, jurisprudence commentaire, 2000, p. 34 con
nota di M.A. Houtmann. Nella seconda sentenza citata, in particolare, la Corte di Cassazione ha
unicamente rilevato la mancanza di diligenza da parte del presidente della società e della persona da lui
delegata alla sicurezza nell’adozione delle misure volte ad impedire il verificarsi dell’incidente che ha
condotto alla morte di un dipendente della società.
80
  Si vedano sul punto le decisioni citate da Maron, Robert, Cent personnes morales pénalement
condamnées, cit., p. 5.
81
  Cassation Criminelle 29 aprile 2003 in «Recueil Dalloz», n. 3, Jurisprudence commentaire, 2004, p.
L’ordinamento francese 135

rifiutato l’idea che sia possibile condannare una persona giuridica sulla base dell’art.
121-2 in presenza di una faute diffuse, ovvero di una violazione della legge penale che
non sia strettamente riconducibile ad alcun organo o rappresentante della persona
giuridica stessa.
Da segnalare che di recente la Corte di legittimità ha accolto con due diverse
sentenze l’impostazione secondo cui la condanna dell’ente può avvenire a prescin-
dere dall’individuazione della persona fisica, organo o rappresentante, che ha posto
in essere la condotta criminosa. È stata sancita, dunque, una sorta di presunzione in
base alla quale viene dichiarata la responsabilità dell’ente sulla base di una omissione
imputabile all’organo o rappresentante della società che avrebbe dovuto adottare le
misure necessarie per evitare la realizzazione del reato82. Tale prospettazione è assai
criticabile, poiché come rilevato dalla dottrina una cosa è che venga sancita la respon-
sabilità dell’ente sulla base di una faute diffuse, senza alcun riferimento all’organo o
al rappresentante, altro è invece che vi sia una presunzione di responsabilità poiché
l’obbligo di agire per porre in essere le azioni atte a evitare l’illecito necessariamente
incombeva su questi ultimi, a prescindere da qualsiasi verifica concreta83.

8. Il dibattito che ha preceduto l’adozione della norma che ha sancito una limitata
responsabilità penale per le persone giuridiche di diritto pubblico.

Il dibattito parlamentare che ha preceduto l’adozione della norma che consente


di perseguire penalmente le persone giuridiche di diritto pubblico − seppure con le
limitazioni che verranno illustrate − non è stato molto intenso. Mentre approfondito
è stato il confronto circa l’opportunità di introdurre la responsabilità penale delle per-
sone giuridiche, evocando argomenti favorevoli e contrari a detta responsabilità, poco
o nulla è stato detto nel corso dei lavori parlamentari con riferimento alle persone
giuridiche di diritto pubblico84.
Sul versante dottrinale, invece, la questione era già stata delineata prima dell’in-
troduzione del nuovo codice penale e, per quanto ovvio, le argomentazioni addotte
a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche in generale, venivano
fatte valere anche per le persone giuridiche di diritto pubblico. Oggi il tema continua
167 con nota di J.C. Saint-Pau.
82
  Cassation Criminelle 20 giugno 2006 in «Recueil Dalloz», n. 9, Études et commentaires, 2007, p. 617
e Cassation Criminelle 26 giugno 2007.
83
  In questo senso, J.C. Saint-Pau, La présomption d’imputation d’une infraction aux organes ou
représentants d’una personne morale, in «Recueil Dalloz», n. 9, Études et commentaires, 2007, p. 619 e,
nello stesso senso, C. Mascala, La responsabilité pénale des persone morales, in «Recueil Dalloz», n. 23,
Études et commentaires, 2008, p. 1573 ss.
84
  Così J. Hermann, Le juge pénal, juge ordinaire de l’administration?, in «Recueil Dalloz», Chronique,
1998, p. 200.
136 E. Pavanello

a costituire per gli studiosi oggetto di un interessante dibattito: molti si interrogano,


infatti, sui fondamenti dogmatici di detta responsabilità, ritenendo che si tratti di
un’assoluta contraddizione in termini prevedere che anche gli enti pubblici siano
soggetti alle sanzioni penali. I più, che si dimostrano scettici sull’efficacia dell’intro-
duzione di una simile responsabilità, temono, da un lato, che la sanzione pecuniaria
inflitta finisca per punire due volte le vittime (soggetti passivi del reato ma al contem-
po contribuenti che dovrebbero partecipare al pagamento della sanzione pecuniaria
inflitta all’ente), e, dall’altro, che l’attività amministrativa venga sostanzialmente «pe-
nalizzata», lasciando poca libertà all’amministrazione nel decidere il comportamento
più opportuno da adottare. L’attività amministrativa finirebbe cioè per essere «con-
trollata» dal giudice penale e si produrrebbe un’inammissibile violazione del principio
della separazione dei poteri. Di queste argomentazioni si darà conto nel prosieguo.
Peraltro, il Consiglio di Stato già nel 1989, nel corso dei lavori che hanno condot-
to all’adozione del nuovo codice, aveva sostenuto che le persone giuridiche di diritto
pubblico, in quanto tali, sono tutte «dépositaire d’une part de la puissance publique»
e «ne sauraient être placées sous le contrôle des juridictions répressives sans qu’il soit porté
atteinte au principe de la séparation des pouvoirs une atteinte particulièrement grave»85.
Contrario a detta opzione si era detto anche il governo, il quale aveva invocato la
necessità di preservare il funzionamento delle istituzioni repubblicane da una possibi-
le paralisi conseguente all’introduzione della responsabilità penale86.
Le posizioni contrarie sostenute dalla dottrina e dall’esecutivo nonché l’asserita
esistenza di un’innata puissance publique in tutti gli enti pubblici, decentrati e non,
non hanno tuttavia costituito ostacolo alla previsione della responsabilità penale degli
enti pubblici. Al contrario, la necessità di assicurare un eguale trattamento sanziona-
torio alle persone giuridiche di diritto privato e di diritto pubblico è risultata prepon-
derante (quanto meno su un piano teorico) ed ha indotto il legislatore ad instaurare
il sistema attualmente vigente87.

9. L’irresponsabilità assoluta dello Stato, la responsabilità delle collettività territoriali


limitata alle attività suscettibili di costituire oggetto di delega di servizio pubblico e la
responsabilità delle altre persone giuridiche di diritto pubblico.

Le persone giuridiche di diritto pubblico responsabili penalmente vanno distinte


in relazione alla tipologia di responsabilità cui sono sottoposte.
85
  Parere citato nel corso del dibattito del Senato, pubblicato nel JO Sénat 11 maggio 1989, p. 624.
86
  Si vedano i riferimenti in J. Viret, La responsabilité pénale de l’administration à l’épreuve du droit pénal
contemporain, in «Actualité juridique de droit administratif», novembre 1995, p. 773.
87
  C. Mondou, Responsabilité pénale des collectivités territoriales, in «Actualité juridique de droit
administratif», juillet-août 1993, p. 540.
L’ordinamento francese 137

Lo Stato è stato infatti espressamente escluso dai destinatari della responsabilità:


esso, dunque, non potrà mai essere responsabile di alcun reato.
Quanto alle altre persone giuridiche di diritto pubblico, le collettività territoriali,
ovvero i Comuni, i Dipartimenti, i Territori d’oltre mare, le Regioni e i groupements
de collectivités territoriales sono responsabili limitatamente alle attività suscettibili
di costituire oggetto di delega di servizio pubblico. Il legislatore francese non ha
indicato quali persone giuridiche debbano essere incluse nella nozione di groupements
e, almeno in principio, sembrano possibili due distinte interpretazioni. Si potrebbe,
infatti, guardare all’esistenza all’interno del gruppo di alcuni indizi «pubblicistici»
(quali, il fatto che il consiglio di amministrazione della persona giuridica in questione
sia composto in maggioranza da rappresentanti delle collettività locali o che le
risorse finanziarie provengano essenzialmente dai contributi versati da queste stesse
collettività) dando così un’interpretazione estensiva della nozione, oppure ritenere
che sono tali solo quei gruppi qualificati in questo senso espressamente dalla legge.
A seconda dell’opzione scelta varierà l’estensione dei soggetti responsabili: nel primo
caso, infatti, la nozione estesa consentirà a tutti i gruppi di godere di una limitata
responsabilità penale (ovvero nelle sole ipotesi in cui l’illecito viene commesso
nell’ambito di un’attività suscettibile di costituire oggetto di convenzione di delega di
servizio pubblico); nella seconda ipotesi, invece, l’ambito della responsabilità sarà più
esteso, in quanto i gruppi pubblici non qualificati espressamente come groupements
dal legislatore, saranno inclusi nella nozione generale di persona giuridica di diritto
pubblico e, in relazione a ciò, risponderanno penalmente del proprio operato,
indipendentemente dalla natura dell’attività dagli stessi posta in essere88. In assenza
di indicazioni precise è da ritenere che debbano essere collocati all’interno dei
groupements tutti i gruppi espressione di forme associative tra le diverse collettività
territoriali, ovvero i cosiddetti sindacati comunali (forme di cooperazione tra i diversi
Comuni), i Distretti, le Comunità Urbane e le Associazioni di Comuni.
Le altre persone giuridiche di diritto pubblico sono penalmente responsabili
per gli illeciti posti in essere nell’esercizio di qualsiasi attività. Rientrano, dunque,
nella categoria gli stabilimenti pubblici sia di natura amministrativa che di natura
commerciale e industriale, i gruppi di interesse pubblico e le imprese nazionalizzate89.
88
  Per un’illustrazione delle due opzioni interpretative si confronti Viret, La responsabilité pénale de
l’administration à l’épreuve du droit pénal contemporain, cit., p. 773.
89
  Sarà possibile immaginare pertanto la responsabilità di un ospedale pubblico o di una società di
diritto pubblico che gestisce i trasporti, indipendentemente dal fatto che gli stessi esercitino un’attività
suscettibile di essere delegata ad un terzo. Gli ospedali normalmente, sono degli stabilimenti pubblici
che dipendono dalle collettività locali, mentre solo in pochi casi dipendono dallo Stato: in entrambe le
ipotesi comunque essi sono sottoposti alla disposizione dell’art. 121-2 del codice penale e rispondono
penalmente degli illeciti posti in essere indipendentemente dalla natura dell’attività svolta.
138 E. Pavanello

Possono essere incluse, secondo taluni, anche le società di diritto misto e gli ordini
professionali; tuttavia, sul punto non vi è accordo in dottrina90.

10. L’azione da parte del rappresentante o dell’organo, per conto della persona giuridica:
aspetti peculiari connessi alla natura pubblica dei soggetti.

La responsabilità penale degli enti pubblici, così come delle persone giuridiche di
diritto privato, viene in rilievo quando una persona fisica, organo o rappresentante
della stessa, abbia posto in essere l’attività illecita per conto della persona giuridica.
Quanto alla nozione di organo, si ritiene generalmente che la sua individuazione
non presenti particolari difficoltà nell’ambito delle persone giuridiche di diritto pub-
blico, trattandosi di quel soggetto di diritto che dispone dei poteri di agire in nome
e per conto della persona giuridica e quindi evidentemente anche di impegnare la
responsabilità penale della persona giuridica. Organi del Comune nell’accezione in-
dicata sono ad esempio, il Sindaco, il Consiglio Comunale e i Consiglieri Comunali;
per quanto concerne i gruppi comunali, il Presidente del comitato di cooperazione
tra i Comuni o il Consiglio di una Comunità di Cooperazione tra i Comuni; quanto
invece agli altri enti pubblici, sono organi le assemblee deliberanti, ma anche i Presi-
denti e i Direttori delle stesse.
La nozione di rappresentante pare, invece, limitata unicamente agli organi esecutivi
che hanno la rappresentanza della persona giuridica di diritto pubblico. Al di là delle
ipotesi istituzionalmente individuate, la dottrina ha tentato di verificare se vi siano
altri soggetti capaci di impegnare la responsabilità dell’ente pubblico e, segnatamente,
coloro che dispongono di una delega di firma o di poteri. Con la delega di firma il
delegante concede il potere di agire per conto della persona giuridica, al delegatario,
che deve essere nominativamente indicato. Il delegante sarà sempre responsabile per
aver conferito detto potere e risponderà dell’operato del delegatario (l’ipotesi è assimi-
lata in questo senso a quella di un mandato)91. Con la delega di competenza, invece, il
90
  Planque, La determination, cit., p. 116-117 ritiene che le società di diritto misto potrebbero essere
considerate persone giuridiche di diritto pubblico, in quanto trattasi di entità che sono strutturate al
pari di persone giuridiche di diritto privato, ma sottoposte al controllo esclusivo dell’amministrazione
pubblica. Si oppongono a questa ricostruzione, A. Levy, S. Bloch, J.D. Bloch, La responsabilité
pénale des collectivités territoriales, de leurs élus et de leurs agents, Litec, Paris 1995, p. 12, ritenendo
che sia in caso di società di diritto misto sia in caso di ordini professionali, si debba parlare di persone
giuridiche di natura privata. Comunque si qualifichino dette persone giuridiche, esse saranno soggette
alla regola della responsabilità penale per gli illeciti posti in essere in relazione a qualsiasi tipo di attività
svolta. La distinzione rileverà unicamente sul piano sanzionatorio, in quanto non sono applicabili alle
persone giuridiche di diritto pubblico le sanzioni della dissoluzione e della sottoposizione a sorveglianza
giudiziaria.
91
  E. Desmons, La responsabilité pénale des agents publics, Presse Universitaire de France, Paris 1998, p. 71 ss.
L’ordinamento francese 139

delegante si «spoglia» delle proprie attribuzioni e le trasferisce al delegatario, il quale


diventa il solo competente a conoscere della materia e responsabile per conto della
persona giuridica in quel settore. Sul punto si è detto che mentre con la delega di
firma il delegatario sarà considerato a tutti gli effetti un rappresentante della perso-
na giuridica, il delegatario di competenza sarà, invece, considerato un organo della
persona giuridica92. Per il momento la soluzione della questione rimane sul piano
dottrinale, atteso che la giurisprudenza non ha ancora avuto modo di pronunciarsi
sull’effettiva capacità del soggetto titolare di delega, di firma o di competenza, di met-
tere in discussione la responsabilità della persona giuridica di diritto pubblico.
La seconda condizione che deve sussistere affinché la responsabilità della persona
giuridica venga in rilievo è che il soggetto agente abbia agito per conto della persona
giuridica: analogamente a quanto avviene per le persone giuridiche di diritto privato,
restano esclusi i casi in cui il rappresentante o l’organo abbia posto in essere l’illecito
nel proprio esclusivo interesse o nell’interesse di una minoranza.
C’è inoltre chi ha negato l’esistenza di questa condizione anche quando la persona
giuridica di diritto pubblico abbia agito per il perseguimento di un interesse pubblico
generale dello Stato o della collettività territoriale: laddove cioè si sia in presenza di
un simile interesse, si deve concludere che la condizione dell’agire per conto della
persona giuridica non venga soddisfatta93. Sottesa a tale argomento sembra essere la
considerazione che il soggetto agirebbe per conto, o meglio nell’interesse, della collet-
tività tutta e, per tale ragione, la sanzione penale non sarebbe in alcun modo idonea
a soddisfare le esigenze dell’interesse pubblico.
L’argomentazione è interessante in quanto evoca quanto sostenuto sia dalla dottri-
na sia dalla giurisprudenza olandesi. Si ricorderà, infatti, che nei Paesi Bassi esplicito
era il riferimento alla possibilità per gli enti pubblici di invocare la scriminante dell’a-
dempimento del dovere o dello stato di necessità94 poiché, in entrambe le ipotesi,
si può ravvisare un interesse generale superiore che scusa in presenza dei requisiti
normativi richiesti dalla legge e che autorizza a non fare ricorso alla sanzione penale.
Nel caso francese, è bene ricordare, la valutazione della sussistenza di detto interesse
generale è stata comunque sollecitata esclusivamente dalla dottrina, mentre non è
stata, almeno per il momento, accolta sul fronte giurisprudenziale.
Una breve notazione di diritto processuale a questo punto si impone. Secondo il
disposto dell’art. 706-43 del codice di procedura penale, l’azione penale viene eserci-
92
  B. Wertenschlag, Mise en cause de la responsabilité pénale des collectivités territoriales et délégations du
droit administratif, in «La semaine juridique», i, 1994, p. 465 ss.
93
  J. Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence,
in «Gazette du Palais», i, Doctrine, janvier-février 2001, p. 194 indica che la responsabilità delle persone
giuridiche deve essere esclusa quando «l’action a été accomplie […] dans la perspective du seul intérêt
général, de l’Etat ou d’une collectivité territoriale».
94
  Si rinvia sul punto a quanto indicato al capitolo 2, paragrafo 11.3.
140 E. Pavanello

tata nei confronti della persona giuridica in persona del proprio rappresentante legale
nel momento in cui detta azione viene posta in essere. Il Presidente del Tribunale, su
istanza del pubblico ministero, del giudice d’istruzione o della parte civile può no-
minare un mandataire en justice quando l’azione penale viene esercitata non solo nei
confronti della persona giuridica, ma anche nei confronti del rappresentante legale
in qualità di persona fisica che ha posto in essere l’illecito o quando non esiste alcun
soggetto abilitato a rappresentare la persona fisica. Con riferimento agli enti pubblici
è stato denunciato che il meccanismo indicato dalla legge determina un’ingerenza
inaccettabile da parte del potere giudiziario nell’attività dell’amministrazione e la con-
seguente violazione del principio della separazione delle autorità amministrative e
giudiziarie95. Infatti, il Presidente del Tribunale opera la propria scelta d’ufficio, senza
avere alcun obbligo di consultare i rappresentanti della persona giuridica e senza che
gli sia posto alcun limite né che gli sia fornita alcuna indicazione quanto al soggetto
su cui deve ricadere la scelta96. Il Presidente del Tribunale, secondo quanto indicato
dal disposto legislativo, non ha nemmeno l’obbligo di sollecitare la persona giuridica
prima di procedere d’ufficio alla nomina del soggetto abilitato a stare in giudizio
affinché, nell’ipotesi in cui il rappresentante legale non possa rappresentare la perso-
na giuridica, quest’ultima nomini un diverso soggetto. L’imposizione di una simile
regola avrebbe consentito di evitare quantomeno l’eccessiva commistione dei poteri
giudiziario e amministrativo, anche se avrebbe significato, nella pratica, emettere un
ordine di ingiunzione nei confronti di una persona giuridica di diritto pubblico97.
Con la conseguenza che laddove la persona giuridica di diritto pubblico non avesse
ottemperato all’ingiunzione, il Presidente del Tribunale avrebbe comunque dovuto
ricorrere d’imperio alla nomina del rappresentante.
La nostra attenzione sarà ora dedicata all’analisi della responsabilità penale degli
enti territoriali e dei relativi gruppi. La responsabilità penale delle altre persone giuri-
diche di diritto pubblico non ha infatti destato particolari problemi interpretativi né
ha suscitato accesi dibattiti. Unica peculiarità connessa alla responsabilità penale delle
altre persone giuridiche di diritto pubblico rispetto agli enti di diritto privato è il fatto
che nei confronti delle stesse non sono applicabili né la sanzione della dissoluzione, né
quella della sottoposizione a sorveglianza giudiziaria. Le ragioni dell’esclusione sono
da rinvenire nel fatto che l’applicazione delle sanzioni predette potrebbe pregiudicare
la continuità del servizio pubblico e rivelarsi dannosa per i cittadini.

95
  In questo senso, tra gli altri, Mondou, Responsabilité pénale des collectivités territoriales, cit., p. 545.
96
  J.C. Bonichot, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public, in «Gazette du Palais»,
1er semestre 1999, p. 771.
97
  F. Meyer, Réflexions sur la responsabilité pénale des personnes de droit public à la lumière des premières
applications jurisprudentielles, in «Revue française de droit administratif», n. 15, 1999, p. 927.
L’ordinamento francese 141

11. Le limitazioni della responsabilità penale delle collettività territoriali e relativi


groupements: questioni interpretative connesse alla definizione di attività suscettibile di
costituire oggetto di servizio pubblico.

La possibilità di perseguire penalmente gli enti pubblici territoriali e i relativi


groupements è stata limitata dal legislatore francese − con buona pace per il principio di
certezza della norma penale − alle sole ipotesi in cui l’illecito venga commesso nell’esercizio
di un’attività che può costituire oggetto di convenzione di delega di un servizio pubblico.
Non essendo rinvenibile alcuna definizione di «delega di servizio pubblico» nel
diritto penale, occorre necessariamente fare riferimento al diritto amministrativo che
sovente utilizza detta espressione. Il ragionamento logico che il giudice penale dovrà
effettuare è, tuttavia, contrario rispetto a quello che normalmente viene effettuato
dal giudice amministrativo: mentre quest’ultimo, infatti, di fronte ad un accordo tra
l’amministrazione pubblica ed un terzo dovrà chiedersi se esso possa essere qualificato
come una delega di servizio pubblico, il giudice penale in presenza di un fatto illecito
posto in essere da una collettività territoriale o da un suo groupement dovrà verificare
se lo stesso sia stato realizzato nel quadro di un’attività suscettibile di essere delegata,
anche se di fatto non lo è stata. Si tratterà pertanto di verificare se l’attività de qua
disponga, in astratto, delle caratteristiche tipiche che la rendono suscettibile di delega.
Al fine di risolvere la questione penalistica, risulta pertanto di primaria importanza
verificare quali siano le caratteristiche di un’attività suscettibile di delega. Per fare
ciò sarà necessario esaminare le indicazioni provenienti dalla dottrina e dalle poche
pronunce della giurisprudenza amministrativa nonché, da ultimo, dalla legge Murcef
che nel 2001 ha tentato di fissare − secondo molti studiosi senza riuscirvi appieno − i
limiti della delega di servizio pubblico98. Una volta delineato il concetto di delega di
servizio pubblico in diritto amministrativo, si procederà a esaminare se e in che modo
detta nozione consenta effettivamente al giudice penale di stabilire quando l’attività
illecita della collettività territoriale o del suo groupement divengano penalmente
rilevanti. Solo allora potremo interrogarci sull’opportunità di utilizzare un simile
criterio, alla luce della ratio che ha ispirato l’introduzione della stessa responsabilità
penale delle persone giuridiche di diritto pubblico.

11.1. La nozione di delega di servizio pubblico in diritto amministrativo.

Le indicazioni provenienti dai testi legislativi in cui viene utilizzata la nozione di


delega di servizio pubblico non conducono a risultati appaganti: infatti, non viene
mai definita la natura e l’estensione di simile delega.
  Si confronti, M. Ubaud-Bergeron, Loi Murcef: la définition législative des délégations de service public, in
98

«La semaine Juridique» Édition générale, n. 14, Etudes, 2002, p. 649 ss. per un commento alla legge Murcef.
142 E. Pavanello

In via di semplificazione è possibile affermare che la dottrina – nonostante le


posizioni diversificate dei differenti Autori – individua tendenzialmente la delega
nell’insieme dei contratti o convenzioni di gestione di tutto o parte del servizio
pubblico, conclusi tra una persona pubblica dotata delle competenze per farlo e un
altro soggetto, fisico o giuridico, di diritto privato o pubblico99. I criteri che indicano
la presenza di delega sono, pertanto, secondo l’opinione comune ai diversi studiosi,
la sussistenza di un contratto (criterio della forma) che abbia ad oggetto un servizio
pubblico (criterio dell’oggetto) e trasferisca effettivamente le competenze in capo al
soggetto delegato (criterio della competenza).
Sotto il profilo formale, atteso che la delega di servizio pubblico deve essere
conferita attraverso un contratto, sono escluse dal novero delle attività delegabili
quelle per le quali non è possibile fare ricorso al metodo contrattuale ovvero quando
siamo di fronte a una delega statutaria o unilaterale100.
Oggetto di delega è esclusivamente un servizio pubblico, la cui definizione non è
chiara. Secondo le indicazioni della dottrina il servizio pubblico deve essere collegato
a una missione riconducibile a un’attività pubblica e l’attività deve essere esercitata in
vista della realizzazione di un interesse pubblico101. Il Consiglio di Stato ha precisato
che non è necessario che la persona giuridica di diritto pubblico competente per il
servizio sia dotata di prerogative e di potestà pubbliche. Così, a titolo esemplificativo,
anche se si ritiene generalmente che l’azione che gli enti pubblici esercitano in quanto
privati (cosiddetta gestion du domaine privé) non costituisca un servizio pubblico,
poiché volta al conseguimento di fini di lucro, non è da escludere che questa gestione
possa avvenire a scopi di carattere generale, come nel caso dell’amministrazione
di alloggi sociali: in questa ipotesi saremmo, comunque, in presenza di servizio
pubblico102.
Oggetto di delega possono essere tanto i servizi commerciali e industriali, quanto
quelli di natura amministrativa. Non sono invece delegabili i servizi che vengono
esercitati in nome e per conto dello Stato (censimento militare, stato civile, redazione
delle liste elettorali) o per i quali esista un divieto legislativo in tal senso103.
Alla luce di quanto precede, è palese la necessità di distinguere attentamente
all’interno dei diversi servizi per stabilire quali siano di carattere pubblico delegabile
e quali, al contrario, siano di competenza esclusiva dell’amministrazione. In alcuni
99
  Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence,
cit., p. 187.
100
  Si confronti C. Huglo, Point de vue sur une notion très discutée: la délégation de service public, in
«Petites Affiches», n. 58,16 maggio 1998.
101
  R. Chapus, Droit administratif général, vol. i, Montchrestien, Paris 19959, p. 628 ss.
102
  Auby, Bilan et limites de l’analyse juridique de la gestion déléguée du service public, cit., p. 5.
103
  Come indicato dal Consiglio di Stato nella circolare del Ministero dell’Interno del 7 agosto 1987, ci
sono servizi pubblici che «par leur nature ou par la volonté du législateur […] ne peuvent être assurés que
par la collectivité territoriale elle-même».
L’ordinamento francese 143

casi la qualificazione sarà semplice: così, ad esempio, il servizio di distribuzione


d’acqua potabile e di trasporto scolastico sono di natura pubblica ma delegabili
(anche se una sentenza della Corte di Cassazione in materia di responsabilità penale
di un ente territoriale ha chiarito che la sola esecuzione del servizio di trasporto
scolastico è delegabile, mentre non lo è la sua organizzazione104). In altri casi, invece,
la qualificazione sarà meno semplice in quanto nell’ambito dello stesso settore sarà
possibile rinvenire servizi pubblici delegabili e altri, invece, non delegabili: in ambito
urbanistico si fa l’esempio della gestione di un quartiere, attività pubblica che può
essere delegata, e al rilascio di autorizzazioni e licenze, attività che, al contrario, non
può essere delegata105.
Già queste prime considerazioni inducono a riflettere sulle difficoltà del giudice
penale nella delimitazione delle attività oggetto di convenzione di delega: l’estensione
del penalmente rilevante sarà suscettibile di variare a seconda del tipo di qualifica che
si attribuirà a una certa attività, senza che vengano sempre in soccorso criteri sicuri
per operare simili distinzioni.
Il criterio del trasferimento di competenza in capo al soggetto delegato implica
che quest’ultimo sia effettivamente incaricato di gestire ed eseguire un determinato
servizio pubblico per un certo periodo di tempo. Naturalmente, l’amministrazione
conserverà il controllo su quell’attività, ma il delegato godrà di una certa autonomia
nella gestione del servizio per il periodo di tempo predeterminato. Per tale ragione
si ritiene di inquadrare questo tipo di contratti all’interno di quelli intuitus personae,
in quanto gli stessi implicano la sussistenza di fiducia dell’amministrazione nel terzo,
cui viene attribuita una parte delle competenze spettanti all’ente pubblico.
Sin qui gli elementi su cui la dottrina è sostanzialmente in accordo per
l’individuazione della delega del servizio pubblico. Più incerto è, invece, il valore
da attribuire al criterio della remunerazione, in base al quale si distingue tra servizio
pubblico delegabile e non, a seconda che il corrispettivo per l’attività prestata non
sia pagato dall’amministrazione secondo parametri predeterminati, ma dipenda dallo
sviluppo di quel servizio e sia corrisposto dall’utilizzatore finale dello stesso106.
104
  Cassation Criminelle 6 aprile 2004 pubblicata in «Actualité juridique de droit administratif», 2005,
n. 8 con nota di P. Le Goff, p. 446 ss., su cui si veda infra.
105
  Si cfr. P. Terneyre, La notion de convention de délégation. Eléments constitutifs et tentative de
délimitation sommaire, in «L’actualité juridique. Droit administratif», 1996, p. 592-593 per un tentativo
di elencazione delle attività delegabili alla luce dei criteri sopra delineati.
106
  J.-B. Auby, C. Maugüé, Les contrats de délégation de service public, in «La semaine Juridique», i,
Doctrine, 1994, p. 118, ritengono il criterio della remunerazione un «elemento costitutivo probabile»,
ancorché molto discusso in quanto implica la sostanziale esclusione dall’oggetto di delega di quei
servizi nei quali non sussista un utilizzatore diretto che paghi le prestazioni ricevute – ad esempio
perché il servizio è gratuito –, il che avviene nella maggioranza dei casi in cui si tratti di un servizio
amministrativo). Terneyre, La notion de convention de délégation. Eléments constitutifs et tentative de
délimitation sommaire, cit., p. 595, non ritiene probante l’eventuale qualificazione attribuita dalle
144 E. Pavanello

La giurisprudenza dal canto suo ha ritenuto invece che la remunerazione sia


proprio uno dei criteri cui ancorare il concetto di delega; in particolare, alcune
pronunce hanno evidenziato che la remunerazione, nel caso di delega di servizio
pubblico, sia essenzialmente assicurata dai risultati dell’utilizzo del servizio stesso
e che potrà variare in relazione al prodotto economico del servizio107. Tra le diverse
tipologie di deleghe, vengono normalmente menzionate la concession de service public,
l’affermage, la régie intéressée e la gérance.
I contorni della delega di servizio pubblico, così come forgiati da dottrina e
giurisprudenza, sono stati in sostanza avallati dalla legge Murcef (l. 2001-1168)108
la quale, all’art. 3, ha definito delega di servizio pubblico «un contrat par le quel
une personne morale de droit public confie la gestion d’un service public dont elle a la
responsabilité à un délégataire public ou privé, dont la rémunération est substantiellement
liée aux résultats de l’exploitation du service. Le délégataire peut être chargé de construire
des ouvrages ou d’acquérir des biens nécessaires au service». Come si può agevolmente
notare sono stati utilizzati sia il criterio formale del contratto, sia quello relativo
all’oggetto del servizio pubblico quanto quello tanto discusso della remunerazione.
Il legislatore non ha comunque posto limiti al fatto che anche il servizio pubblico
amministrativo possa essere delegato, a meno che per la loro peculiare natura o per
espressa volontà del legislatore vi sia un divieto in tale senso109. Tuttavia, nel caso del
servizio pubblico amministrativo i criteri della «exploitation» e della «remuneration»
potrebbero essere riduttivi: in alcuni casi infatti sarà difficile sostenere che la
remunerazione del servizio sia strettamente legata all’utilizzo dello stesso. Ad esempio,
per le attività di organizzazione dell’assetto urbanistico, consistente nell’acquisto di
terreni e nella realizzazione delle opere di viabilità e organizzazione dei terreni stessi,
i proventi deriveranno nella maggioranza dei casi dalla rivendita dei terreni e non
dall’utilizzazione di un servizio. Eppure, non si dubita che anche in questa ipotesi vi
parti all’accordo, la natura privata o pubblica del soggetto cui viene delegato il servizio, il fatto che le
spese e i rischi della gestione incombano sul soggetto delegato o ancora il fatto che il terzo assicuri gli
investimenti di partenza.
107
  In questo senso, Préfet des Bouches du Rhône, 15 aprile 1996.
108
  Come ricorda Auby, Bilan et limites de l’analyse juridique de la gestion déléguée du service public, in
«Revue française de droit administratif», 1997, p. 3, la nozione di delega di servizio pubblico «expressis
verbis [...]date de la loi Sapin du 26 janvier 1993». Essa è stata utilizzata anche in testi legislativi successivi
quali la l. 95-127 in materia di appalti pubblici e delega di servizi pubblici, senza tuttavia che sia mai stata
fornita la nozione di delega di servizio pubblico. In definitiva, per reperire detta definizione occorrerà
attendere la menzionata legge Murcef la quale, come vedremo in seguito, si è limitata a cristallizzare le
indicazioni giurisprudenziali sino ad allora emerse.
109
  Hermann, Le juge pénal, juge ordinaire de l’administration?, cit., p. 201 riflette circa la possibilità
che anche un servizio amministrativo possa essere delegato a terzi: a suo parere ciò comporterebbe un
trattamento penale più sfavorevole per le persone giuridiche di diritto pubblico rispetto alle persone
giuridiche di diritto privato, atteso che difficilmente queste ultime si interesseranno a questo tipo di
servizio.
L’ordinamento francese 145

sia un servizio pubblico delegabile a terzi. Sarebbe stato probabilmente più opportuno
che il legislatore avesse consentito alla giurisprudenza di adattare il concetto di delega
in queste particolari situazioni alle circostanze concrete, anziché adottare un modello
predefinito e statico che ruota attorno ai due concetti dell’utilizzo di un servizio
pubblico e della remunerazione, come quello adottato nella legge Murcef110.

11.2. Le indicazioni in ordine alla definizione di attività suscettibile di costituire


oggetto di delega di servizio pubblico.

Sin qui è stata sommariamente tratteggiata la nozione di delega di servizio pub-


blico alla luce delle indicazioni provenienti dalla dottrina e dalla giurisprudenza am-
ministrative e, da ultimo, con riferimento alla nozione indicata dalla legge Murcef.
La definizione «amministrativa» di delega di servizio pubblico non comprende né
le ipotesi in cui l’esecuzione di un determinato servizio pubblico venga affidato ad
un terzo attraverso una modalità diversa rispetto a quella contrattuale, né l’ipotesi
in cui oggetto di delega non sia un servizio pubblico. Per esemplificare la situazio-
ne, quanto al primo degli aspetti cui si è fatto cenno, non sarà responsabile per gli
eventuali illeciti compiuti il comitato comunale d’azione sociale, persona giuridica
di diritto pubblico legata al Comune, il quale non dispone della capacità di conclu-
dere contratti. Quanto al secondo degli aspetti cennati, occorre pensare all’ipotesi
dell’amministrazione che conclude con un soggetto terzo un contratto di lavori pub-
blici: in questo caso, non si è in presenza di una delega di servizio pubblico, atteso
che oggetto del contratto non è un servizio pubblico. La conseguenza è che laddove
il Comune effettui dei lavori di raccolta dei rifiuti in proprio e danneggi un palazzo
esso non sarà responsabile penalmente; in analoga situazione, invece, una persona
giuridica di diritto privato risponderà penalmente del proprio operato111.
Non sono poi da sottovalutare le difficoltà interpretative cui la definizione «am-
ministrativa» di delega può dare luogo: poiché non esiste un elenco di attività su-
scettibili di costituire oggetto di delega di servizio pubblico ed essendo, al contrario,
la definizione affidata all’esegesi dei giudici amministrativi, il giudice penale dovrà
avventurarsi in un terreno che non gli è proprio al fine di definire uno degli elementi
essenziali per delimitare la fattispecie di cui all’art. 121-2 del codice penale. Delle
due l’una: o il giudice penale «accetterà» le indicazioni che gli provengono al riguardo
da altro settore del diritto oppure, affermando così l’autonomia del diritto penale,
forgerà una nozione «penalistica» di delega di servizio pubblico.
110
  Ubaud-Bergeron, Loi Murcef: la définition législative des délégations de service public, cit., p. 655.
111
  L’esempio è tratto da F. Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, in «Revue
française de droit administratif», 10, 1994, p. 135.
146 E. Pavanello

Proprio in ragione di tali difficoltà, parte della dottrina ha invocato la tesi dell’au-
tonomia del diritto penale, evidenziando che il riferimento al diritto amministrativo
darebbe origine a una disuguaglianza di trattamento inacettabile tra le diverse perso-
ne giuridiche, e ha ritenuto che la responsabilità penale debba sussistere per qualsiasi
attività suscettibile di essere delegata, a prescindere dallo strumento giuridico con cui
ciò avviene (non solo il contratto quindi)112. Tale autonomia troverebbe fondamento
sia nel principio contenuto nell’art. 111-5 codice penale secondo cui la giurisdizione
penale è competente ad interpretare gli atti amministrativi, regolamentari o indivi-
duali quando dalla loro interpretazione dipende la soluzione del processo penale113,
sia nella ratio della disposizione riguardo la responsabilità penale delle persone giuri-
diche (su cui torneremo tra breve), ovvero garantire in situazione analoghe un uguale
trattamento alle diverse persone giuridiche. Cosicché, anche la nozione di servizio
pubblico dovrebbe essere interpretata in modo ampio per assicurare la responsabilità
penale di collettività territoriali e gruppi in ipotesi quali l’esecuzione di lavori pub-
blici (che, a rigore, non sono riconducibili alla nozione amministrativa di servizio
pubblico)114.
Altra parte della dottrina, invece, pur riconoscendo la «indipendenza» del diritto
penale rispetto agli altri settori del diritto, ritiene che all’espressione utilizzata dal
legislatore penale non possa essere attribuito significato diverso (ed eventualmente
più ampio) rispetto a quello amministrativo. La tesi trova il proprio fondamento nel
fatto che l’articolo 432-14 del codice penale, introdotto con la legge 95-127 relativa
agli appalti pubblici e alla delega di servizio pubblico, incrimina coloro che, titolari
di autorità pubbliche o incaricati di pubblico servizio, con la propria condotta at-
tentino alla libertà di accesso e all’uguaglianza dei candidati negli appalti pubblici
e nelle attività oggetto di delega di servizio pubblico. L’articolo citato vincolerebbe
il significato penale della delega di servizio pubblico a quella amministrativa che si
desume dal sistema generale delle leggi che intendono combattere il fenomeno della
corruzione: è inimmaginabile, secondo i sostenitori di questa tesi, infatti, che l’auto-
nomia del diritto penale esplichi i propri effetti anche con riferimento a nozioni già
utilizzate nello stesso codice penale115.
Sul fronte giurisprudenziale, i giudici di merito sono maggiormente inclini a for-
nire un’interpretazione ampia di attività delegabile, mentre la Corte di Cassazione
112
  In questo senso Levy, Bloch, Bloch, La responsabilité pénale des collectivités territoriales, de leurs élus
et de leurs agents, cit., p. 19
113
  Secondo Palazzo, Papa, Lezioni di diritto penale comparato, cit., p. 104 la norma citata garantisce che
la responsabilità penale non possa mai discendere da un atto illegittimo della pubblica amministrazione,
atteso che è attribuito al giudice penale il compito di sindacarne la legittimità, sempre che ovviamente
da questo esame dipenda la soluzione del processo penale.
114
  Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 135.
115
  Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 200.
L’ordinamento francese 147

tende a restringere notevolmente l’ambito di applicabilità della norma e ricondurla


alla nozione «amministrativa».

12. La ratio della limitata previsione della responsabilità di collettività territoriali e


groupements: la necessità di garantire il rispetto del principio di eguaglianza rispetto alle
persone giuridiche di diritto privato.

Per comprendere la ragion d’essere della limitazione della responsabilità penale


di collettività territoriali e relativi gruppi, occorre richiamare il progetto di riforma
elaborato nel 1978 il quale, a differenza di quello successivo del 1986, aveva previsto
che tutte le persone giuridiche, anche quelle di diritto pubblico, fossero penalmente
responsabili limitatamente alle ipotesi in cui gli illeciti si fossero verificati nell’eserci-
zio di attività di natura commerciale, finanziaria e industriale. L’obiettivo era evitare
situazioni di disparità e circoscrivere la responsabilità alle sole ipotesi in cui le persone
giuridiche di diritto pubblico si trovassero ad agire al pari delle persone giuridiche di
diritto privato, escludendo, quindi, tutte le attività di esclusiva prerogativa pubblica.
Naturalmente, si può contestare il fatto che solo in queste ipotesi il principio di egua-
glianza sia suscettibile di essere violato. Tuttavia, il legislatore del 1978 aveva ritenuto
che i rischi maggiori di disuguaglianza potessero verificarsi proprio in tale settore.
Analoga preoccupazione ha sorretto le scelte del legislatore nell’adottare il codice
del 1994, come emerge dalla lettura della stessa circolare di commento al testo legi-
slativo adottato e dall’esempio che molto significativamente viene citato sul punto,
ovvero l’ipotesi di un Comune che svolge la funzione di distribuzione dell’acqua la
cui responsabilità deve essere garantita al pari di quella della società privata che ese-
gue identica attività116.

12.1. Critiche.

Il nuovo codice penale ha inteso seguire una linea di continuità rispetto alla pre-
cedente proposta di riforma, anche se ha finito per adottare un criterio più confuso
e meno appagante rispetto al precedente117. Più confuso, per le difficoltà di limitare
l’azione espansiva della responsabilità delle collettività territoriali di diritto pubblico,
116
  Circulaire (Crim. 93 F/1, 14 mai 1993), sub b), paragrafo 27, riprodotta nel commento di
Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 4 ss.
117
  Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 135 nell’esaminare la
limitazione relativa alle modalità contrattuali di delega, indica che «l’avant projet de 1978, prévoyant une
responsabilité pénale des personnes morales uniquement pour leurs activités commerciales allait exactement
dans le même sens, mais il été plus clair».
148 E. Pavanello

legata alla definizione di delega di servizio pubblico. Meno appagante, in quanto


finisce per comportare un’effettiva violazione del principio di eguaglianza tra i diversi
soggetti giuridici118.
Nella logica del legislatore, infatti, il rispetto del principio de quo è garantito at-
traverso il criterio della delega di servizio pubblico, in quanto la risposta penale viene
assicurata, a prescindere dal fatto che la collettività territoriale o il relativo gruppo,
decidano di delegare l’esecuzione del servizio pubblico ad un terzo soggetto o meno.
Tuttavia, il legislatore francese non ha preso in considerazione le ipotesi, per nulla
scolastiche, in cui l’amministrazione pubblica agisca nell’ambito del domaine privé:
qui non si è in presenza di un servizio pubblico delegabile119 e, pertanto, non ricorre
l’ipotesi delineata dall’art. 121-2 del codice penale. Semplicemente, l’ente pubblico
compie attività che qualsiasi persona giuridica di diritto privato ha il potere e la
competenza di porre in essere: non è irrealistico pensare che anche in tale ambito la
persona giuridica di diritto pubblico possa realizzare illeciti penali120. Anzi, le attività
comprese in questo settore cui scopo è, normalmente, la realizzazione del profitto,
diventerà zona privilegiata di commissione di reati, atteso che la persona giuridica
godrà di un’assoluta immunità. Alla luce dell’interpretazione dell’art. 121-2 del co-
dice penale, la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico è
esclusa proprio per quelle attività di carattere commerciale, industriale e finanziario
− ambito del domaine privé − che il legislatore (già) nel 1978 intendeva colpire.
Non si condivide la posizione di chi ritiene di dare un’interpretazione diversa
all’art. 121-2 del codice penale, pur nella consapevolezza che ciò finirebbe per deter-
minare un contrasto con il principio di interpretazione stretta sancito all’art. 111-4:
secondo tale prospettiva se un servizio pubblico può costituire oggetto di delega, a
maggior ragione ciò deve avvenire per le attività che attengono alla sfera privatisti-
ca della persona giuridica, ambito estraneo alle ipotesi che il legislatore ha inteso
«esonerare» dalla sanzione penale121. La posizione non sembra condivisibile perché
il disposto legislativo, pur nelle difficoltà interpretative che pone con riferimento
all’identificazione delle attività suscettibili di delega di servizio pubblico, sul punto
non dà adito a equivoci: la norma è cristallina nell’escludere dalla sanzione penale
le collettività territoriali e i relativi gruppi, salvo quando l’infrazione sia stata realiz-
zata nel corso di attività suscettibili di delega di servizio pubblico. Probabilmente
118
  Come rilevato da J. Leveissiere, Le mouvement de «pénalisation» de l’action locale, in «Les Petites
Affiches», n. 75, 15 aprile 1999, p. 16, le persone giuridiche di diritto pubblico, in apparenza, sono
trattate al pari di quelle di diritto privato (in particolare, lo studioso fa riferimento all’applicabilità anche
alle persone giuridiche di diritto pubblico delle norme in materia di casellario giudiziario, sospensione
della pena, riabilitazione) ma la realtà è totalmente diversa.
119
  La giurisprudenza amministrativa francese non pone alcun dubbio sul punto. Si vedano le indicazioni
in Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 208-209.
120
  Ibidem.
121
  Picard, Les personnes morales de droit public, cit., p. 281.
L’ordinamento francese 149

il legislatore, preoccupato di garantire un eguale trattamento alle diverse persone


giuridiche nelle ipotesi di attività pubblicisticamente rilevanti ma delegabili, si è (cla-
morosamente) «dimenticato» di considerare il settore in esame.
Né la formulazione dell’art. 121-2 raggiunge lo scopo di escludere dalla persegui-
bilità le persone giuridiche di diritto pubblico per gli illeciti commessi nell’esercizio
di attività espressione di prerogative pubblicistiche122. Infatti, seppure in prima bat-
tuta potrebbe dedursi che le attività espressione della potestà pubblica siano escluse
dall’ambito del penalmente rilevante, ad un’analisi più attenta si potrà notare come
dette attività possono essere esercitate anche da persone diverse. È questa l’ipotesi che
si verifica per talune persone giuridiche di diritto pubblico che non appartengono
alla categoria degli enti pubblici territoriali e per alcune persone giuridiche di diritto
privato che in talune circostanze − come nel caso dei poteri espropriativi di un ente
nel momento in cui esercita attività nell’ambito dell’organizzazione del territorio
pubblico − godono di prerogative pubblicistiche.
Il sistema delineato dall’art. 121-2 del codice penale dà dunque adito a qualche
perplessità perché non sembra in grado di garantire la coerenza logica e l’eguaglian-
za cui il legislatore francese mirava. Il fatto di aver associato il criterio oggettivo
dell’attività suscettibile di delega di servizio pubblico a quello soggettivo, collettività
territoriali e relativi gruppi, lascia insoddisfatti perché i due termini non si trovano
in relazione biunivoca. Se da un lato, infatti, non tutte le attività di natura commer-
ciale vengono incluse nella sfera di penalizzazione, dall’altro non tutte le attività di
natura «pubblica» (intendendosi con questo termine le attività che implicano delle
prerogative di diritto pubblico) vengono escluse dalla penalizzazione. È ben possibi-
le, infatti, che altri soggetti di diritto pubblico esercitino attività suscettibili di delega
e quindi siano passibili di sanzione penale laddove venga posto in essere un illecito,
così come è possibile che persone giuridiche di diritto privato esercitino attività in
cui si manifestano prerogative di diritto pubblico ma nonostante ciò vengano punite
per l’eventuale commissione di illeciti.
Per tale ragione c’è chi ha immaginato che, presto o tardi, il limite alla responsa-
bilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, già oggetto di dibattito in
dottrina, finirà per essere affrontato in modo problematico dallo stesso legislatore,
anche alla luce dei progressi che sono stati raggiunti in materia di trasparenza ammi-
nistrativa123.

122
  In questo senso Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 11 il quale tuttavia
ammette che il sistema non è coerente in quanto esistono attività espressione di prerogative pubbliche
che vengono esercitate anche da persone giuridiche di diritto privato.
123
  Di Marino, Le développement de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 37.
150 E. Pavanello

13. Considerazioni in relazione al novero di delitti e crimini inizialmente previsti come


oggetto di incriminazione con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico.

La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, al pari di


quelle di diritto privato, è stata limitata sino al 31 dicembre 2005 alle ipotesi cri-
minose espressamente previste dalla legge. Anche se detto principio è stato abrogato
con la legge Perben ii − a partire da tale data pertanto la responsabilità è stata estesa
ad ogni fattispecie criminosa – è opportuno verificare quali tra le fattispecie ini-
zialmente elencate dalla legge e dai regolamenti siano maggiormente rilevanti con
riferimento agli enti pubblici.
Il legislatore francese ha inizialmente predisposto l’elenco dei crimini, dei delitti e
delle contravvenzioni rilevanti con la circolare del maggio 1993 (93 F/1). Dalla let-
tura del testo predetto emerge come nessuna norma sia stata in particolare dedicata
alle persone giuridiche di diritto pubblico, non ritenendosi evidentemente necessario
predisporre un trattamento differenziato in favore degli enti pubblici sotto questo
profilo.
Senza pretesa di esaustività, si indicheranno qui di seguito alcune delle ipotesi
maggiormente significative e, nel fare ciò, si distinguerà tra le infrazioni previste nel
codice penale sulla base del bene giuridico protetto.
Innanzitutto, vengono in rilievo i crimini e i delitti contro la persona che possono
essere distinti tra le infrazioni che reprimono ogni attacco ai diritti e alla libertà della
stessa e le infrazioni che attentano alla sua integrità.
Nell’ambito della prima categoria si potrà ipotizzare una condanna della persona
giuridica di diritto pubblico per il delitto di discriminazione (art. 225-1 c.p.), di cui
può essere vittima ogni persona fisica o giuridica in ragione della propria origine,
del proprio sesso, della propria situazione familiare, del proprio stato di salute, del
proprio handicap, delle proprie abitudini, delle proprie opinioni politiche, dell’atti-
vità sindacale svolta, della propria appartenenza o meno, vera o supposta che sia, a
un’etnia, una nazione, una razza o una religione determinata. La fattispecie è integra-
ta e la discriminazione rileverà in cinque ipotesi distinte, ovvero in caso di rifiuto di
fornire un bene o un servizio, ostacolo ad un’attività economica, rifiuto di assunzione
o licenziamento, subordinazione di una fornitura di un bene o di un servizio ad un
condizione discriminatoria o subordinazione di un’offerta di lavoro ad una condizio-
ne analoga124.
Ancora, sarà possibile prevedere che una persona giuridica di diritto pubblico vio-
li le norme relative alla tutela della vita privata (art. 226-1) o quelle relative all’utiliz-
zo e al trattamento dei dati personali (art. 226-16). Non è poi da escludere che l’ente
  La fattispecie potrà riguardare ad esempio un Comune che rifiuta di concedere il beneficio di un
124

servizio pubblico, in ragione di motivi razziali e politici.


L’ordinamento francese 151

pubblico sia perseguito per aver compiuto una denuncia calunniosa (art. 226-10) o
per aver offerto condizioni di alloggio e di lavoro contrari alla dignità della persona
(art. 225-13 e 225-14).
Nell’ambito della seconda categoria, il codice penale prevede la possibilità di in-
criminare una persona giuridica per il reato di omicidio involontario (art. 221-6) che
è definito come il fatto di causare per maladresse, imprudenza, imperizia, negligenza
o violazione ad un obbligo di sicurezza o di prudenza, imposto da una legge o da un
regolamento, la morte di una persona, nonché in generale i reati concernenti la messa
in pericolo dell’integrità fisica della persona. Le ipotesi de quibus avranno soprattutto
rilievo in tre settori, ovvero quello dei trasporti, dell’educazione e della salute125.
Nell’ambito della categoria dei crimini e delitti contro i beni, potranno venire in
rilievo gli attentati al sistema informatico (art. 323-1), la realizzazione fraudolenta
di una situazione di insolvenza (art. 314-7) e la sottrazione di un bene mediante
violenza (art. 311-16)126.
Tra i delitti e dei crimini contro lo Stato e la pace pubblica, le sole ipotesi, se-
condo taluni, contestabili anche alla persona giuridica di diritto pubblico sarebbero
la corruzione e il cosiddetto «trafic d’influence», consistente nell’abuso dei poteri che
le competono al fine di ottenere un favore da parte di un’autorità pubblica o delle
amministrazioni pubbliche (art. 433-1 e 433-2)127.

14. Le sanzioni penali previste per le persone giuridiche di diritto pubblico. L’inapplicabilità
della sanzione della dissoluzione e della sottoposizione a sorveglianza giudiziaria.

Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche di diritto pubblico sono, alla stre-
gua di quanto indicato nell’art. 131-37, le medesime che possono essere applicate
alle persone giuridiche di diritto privato, ad eccezione della dissoluzione e della sot-
toposizione dell’ente pubblico a sorveglianza giudiziaria.
La ratio di tale disposizione è facilmente comprensibile. Il carattere obbligatorio
degli enti pubblici e il principio della continuità del servizio pubblico impedisce
125
  In questo senso Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 140 e
Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence, cit.,
p. 191.
126
  Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 141 si chiede se con
riferimento a quest’ultima ipotesi e ad altre in teoria applicabili anche alla persona giuridica di diritto
pubblico (truffa, estorsione), l’ente pubblico, depositario dell’interesse generale, possa effettivamente
considerarsi in grado di compiere simili orrori.
127
  Levy, Bloch, Bloch, La responsabilité pénale des collectivités territoriales, de leurs élus et de leurs
agents, cit., p. 23.
152 E. Pavanello

una loro «eliminazione» che, oltretutto, potrebbe arrecare pregiudizio alla collettività
nella misura in cui questi enti perseguono obiettivi e interessi di carattere generale128.
Quanto alla sottoposizione a sorveglianza giudiziaria, una sua applicazione nei con-
fronti delle persone giuridiche di diritto pubblico sarebbe stata contraria al principio co-
stituzionale della separazione dei poteri giudiziario e amministrativo, atteso che deter-
minerebbe un’ingerenza da parte del giudice penale nella gestione dell’ente pubblico129.
Alla luce delle indicazioni codicistiche, restano comunque applicabili nei con-
fronti della persona giuridica di diritto pubblico le altre pene elencate all’art. 131-37.
La dottrina, tuttavia, ha ritenuto che ove si esamino con attenzione le ipotesi san-
zionatorie previste, ci si rende conto che difficilmente dette sanzioni sono applicabili
agli enti pubblici. È questo il caso del divieto di esercitare una determinata attività
professionale in via definitiva o per un periodo non superiore a cinque anni: infatti
la sua applicazione potrebbe cagionare la violazione del principio della continuità del
servizio pubblico. Nell’ipotesi invece in cui la persona giuridica di diritto pubblico
abbia tra i propri compiti statutari unicamente l’esercizio di quell’attività, l’interdi-
zione equivarrebbe a condannare alla sostanziale non operatività la persona giuridica
e sarebbe pertanto paragonabile negli effetti alla sanzione della dissoluzione dell’ente
stesso che, per le motivazioni viste sopra, è stata esclusa dallo stesso legislatore130.
Del pari inadatta è stata considerata la sanzione della chiusura dello stabilimento
dell’impresa in via definitiva o per un periodo non superiore a 5 anni: l’impossibilità
di applicare la sanzione alle persone giuridiche di diritto pubblico discende dalla
stessa interpretazione letterale della norma che parla di chiusura dello stabilimento
di impresa, escludendo evidentemente gli enti pubblici territoriali e gli stabilimen-
ti pubblici amministrativi. In ogni caso, anche per le persone giuridiche di diritto
pubblico assimilabili ad un’impresa, osterà all’applicazione della disposizione il fatto
che la chiusura dello stabilimento comporterà l’interruzione del servizio pubblico e
contrasterà con il principio dell’inalienabilità del demanio pubblico131.
Per ciò che concerne la confisca è stato rilevato che la sua esecuzione contrastereb-
be con il principio di inalienabilità del demanio pubblico.
128
  In questo senso, Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 119.
129
  In questo senso, tra gli altri J. Moreau, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public
en droit français, in «Les Petites Affiches», n. 149, décembre 1996, p. 44. Come si ricorderà analoghe
limitazioni sono state previste dal legislatore francese anche per altre persone giuridiche di diritto
privato. È infatti preclusa la possibilità di pronunciare la dissoluzione di partiti e gruppi politici e degli
organi di rappresentanza del personale e ciò plausibilmente al fine di garantire l’esercizio delle libertà
politiche e sindacali. È altresì esclusa la possibilità di sottoporre a sorveglianza giudiziaria i gruppi e i
partiti politici, costituendo questa pena una forma di ingerenza molto forte nell’attività politica che il
legislatore francese intendeva evitare.
130
  Viret, La responsabilité pénale de l’administration à l’épreuve du droit pénal contemporain, cit., p. 775.
131
  Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 149.
L’ordinamento francese 153

Inefficaci, invece, sono state giudicate le sanzioni del divieto di fare appello al
pubblico risparmio (modalità di finanziamento che viene utilizzata raramente dalle
persone giuridiche di diritto privato e ancor meno da quelle di diritto pubblico) in
quanto la sanzione non impedisce che gli enti pubblici facciano ricorso ad altre for-
me di finanziamento e il divieto di emettere assegni, atteso che normalmente i mezzi
di pagamento utilizzati dalle persone giuridiche di diritto pubblico sono diversi. Per
quanto concerne il divieto di partecipare agli appalti pubblici, esso è stato reputato
di difficile applicazione pratica, in quanto le persone giuridiche di diritto pubblico
normalmente non si trovano nella posizione di soggetti che partecipano all’appalto,
ma sono piuttosto coloro che commissionano l’opera.
Sull’efficacia delle sanzioni dell’ammenda e della pubblicazione della sentenza, le
posizioni della dottrina divergono.
Con riferimento, in particolare, alla pronuncia dell’ammenda, molti studiosi stig-
matizzano l’inutilità e la dannosità della sanzione stessa, in quanto essa renderebbe
le persone fisiche vittime una seconda volta: il costo sociale dell’ammenda sarebbe
iscritto nel budget della persona giuridica come una spesa e quindi verrebbe ripagata
dai cittadini attraverso il prelievo fiscale o l’aumento del costo dei servizi pubblici (su
questa argomentazione si veda infra).
Quanto infine alla pubblicazione della sentenza, non c’è accordo sulla sua sostan-
ziale utilità: c’è chi infatti la giudica come la sola sanzione «giusta e efficace»132 e chi
invece la ritiene assolutamente «inefficace» 133. La presunta ineffettività della sanzione
andrebbe desunta dal fatto che suo scopo è quello di portare a conoscenza di chiun-
que la condanna e mettere in guardia i soggetti sull’affidabilità di quella persona
giuridica, in modo che la clientela possa scegliere consapevolmente a chi rivolgersi
per ottenere una determinata prestazione. Nel caso della persona giuridica di diritto
pubblico, tuttavia, detta scelta molto spesso non sarà possibile, atteso che essa agisce
sovente in situazioni di monopolio o pseudo monopolio, in cui non è sottoposta a
concorrenza134. Unica conseguenza reale dell’applicazione di una simile pena sarebbe
pertanto la perdita di credibilità della persona giuridica additata come colpevole da
parte dell’intera collettività.
Il sistema sanzionatorio applicabile alle persone giuridiche di diritto pubblico
lascia quindi perplessa la maggioranza della dottrina: si rimprovera, in particolare,
al legislatore di non aver preso in considerazione le peculiarità connesse alla natura
pubblica delle persone giuridiche.
132
  Viret, La responsabilité pénale de l’administration à l’épreuve du droit pénal contemporain, cit., p. 776.
133
  A. Bertrand, La responsabilité pénale du maire et de la commune, sub ii, <http://juripole.fr/memoires/
penal/Agnes_Bertrand/>.
134
  Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 125-126.
154 E. Pavanello

La giurisprudenza dal canto suo ha sino ad ora pronunciato nella (quasi) totalità
dei casi unicamente la sanzione dell’ammenda, senza quindi offrire possibilità di
riflessione sulla natura e sull’efficacia di altre sanzioni.
Questa è solo una delle argomentazioni utilizzate per contestare il fondamento e
l’opportunità dell’introduzione di una forma di responsabilità penale per le persone
giuridiche di diritto pubblico. Infatti, anche coloro che hanno ritenuto condivisibile
la previsione di detta responsabilità sul piano teorico-dogmatico, a garanzia del ri-
spetto del principio di eguaglianza giuridica tra i diversi enti, hanno poi ritenuto che
essa si riveli poco efficace da un punto di vista pratico per la mancanza di un sistema
repressivo adeguato.

15. Le posizioni critiche della dottrina sulla responsabilità penale delle persone giuridiche
di diritto pubblico.

Nell’illustrare le posizioni espresse dalla dottrina francese sul fondamento e


sull’opportunità dell’introduzione della responsabilità penale delle persone giuridi-
che di diritto pubblico occorre constatare che gli argomenti addotti contro l’intro-
duzione della responsabilità penale sono sicuramente preponderanti rispetto agli ar-
gomenti addotti a sostegno della nuova disposizione codicistica. La dottrina francese
nell’esprimere le proprie posizioni in relazione alla nuova normativa introdotta con
il codice del 1994, fa riferimento a tutte le persone giuridiche di diritto pubblico,
il che sembra sottintendere la categoria nel suo insieme, comprensiva delle imprese
nazionalizzate, degli ospedali pubblici etc. Tuttavia, è da ritenere che in molti casi gli
studiosi intendano riferirsi esclusivamente alla categoria delle collettività territoriali e
dei loro gruppi, non avendo in caso contrario molti argomenti alcun effettivo valore.
Alle motivazioni tradizionalmente addotte circa l’impossibilità per una persona
giuridica di essere soggetto attivo del reato, si aggiungono specifiche ragioni connesse
alla natura pubblica degli enti de quibus. Soprattutto gli studiosi di diritto ammini-
strativo si sono mostrati ostili nel commentare la nuova forma di responsabilità che,
a loro avviso, mette in pericolo il principio della separazione dei poteri e conduce a
una sostanziale penalizzazione dell’attività amministrativa, con la conseguente inac-
cettabile ingerenza da parte del giudice penale nel settore amministrativo. Ingerenza
che non apporterebbe alcun effettivo vantaggio né garantirebbe una maggiore demo-
crazia dell’ordinamento.
L’ordinamento francese 155

15.1. Gli argomenti addotti contro la responsabilità penale delle persone giuridiche di
diritto pubblico: il perseguimento dell’interesse pubblico e la dannosità dell’applicazione
della sanzione pecuniaria. Critiche.

Da un punto di vista sostanziale le difficoltà connesse alla previsione di una re-


sponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico sono state individuate
nel fatto che esse avrebbero come obiettivo il perseguimento di interessi di natura
generale, circostanza che conferirebbe loro una sorta di «supremazia». A differenza
delle persone giuridiche di diritto privato che invece agirebbero sempre e solo a fini
di lucro.
Le persone giuridiche di diritto pubblico, in virtù della missione loro conferita,
non possono essere perseguite penalmente perché ciò finirebbe per ripercuotersi nei
confronti degli stessi cittadini. Infatti, atteso che gli enti pubblici rappresenterebbero
la collettività, di fatto la sanzione penale sarebbe applicata alla totalità dei cittadini135.
La dottrina francese non lo dice esplicitamente ma pare doversi intuire che la sussi-
stenza di un interesse pubblico consenta di escludere a priori che la persona giuridica
di diritto pubblico commetta illeciti o quantomeno che ove gli stessi vengano posti
in essere, essi siano giustificati.
L’argomentazione de qua riecheggia la posizione espressa dal Consiglio di Stato136:
le persone giuridiche di diritto pubblico disporrebbero tutte di prerogative di diritto
pubblico e, in quanto tali, non potrebbero essere perseguite senza arrecare pregiudizio
al sistema giuridico nel suo complesso.
Ad una simile argomentazione si può rispondere, semplificando alquanto la que-
stione, che il legislatore francese ha inteso sanzionare la persona giuridica di diritto
pubblico (collettività territoriale e gruppo) nel momento in cui agisce al pari di una
persona giuridica di diritto privato, ovvero nel conseguimento di scopi puramente
lucrativi137. O quantomeno questo era l’obiettivo che si poneva con l’introduzione
della limitazione delle attività suscettibili di delega di servizio pubblico, anche se non
sembra che il fine possa considerarsi realizzato.
Da un punto di vista sostanziale, viene inoltre contestato l’approccio del legislatore
francese che avrebbe per questa via messo in pericolo la stessa autonomia del diritto
amministrativo. Alla questione sarà in particolare dedicato il prossimo paragrafo.
135
  Picard, Les personnes morales de droit public, in «Révue des sociétés», 1993, p. 273. È questo uno degli
argomenti che sembra possa essere riferito esclusivamente alle collettività territoriali e ai loro gruppi.
136
  Conseil d’Etat, La responsabilité pénale des agents publics en cas d’infractions non intentionnelles: étude
adoptée par l’Assemblée générale du Conseil d’Etat le 9 mai 1996, La documentation française, Paris 1996,
p. 96 ss.
137
  Contra Hermann, Le juge pénal, juge ordinaire de l’administration?, cit., p. 201 secondo cui in tutti i
casi le persone giuridiche di diritto pubblico non sono sottoposte alla legge del profitto e il loro interesse
risiede altrove.
156 E. Pavanello

Molte delle obiezioni avanzate si sono concentrate comunque sull’aspetto sanzio-


natorio: al di là delle critiche di carattere generale circa la possibilità di colpire una
persona giuridica attraverso una sanzione penale, critica questa fatta valere anche nei
confronti degli enti di diritto privato, si è rilevato come l’ammenda − una delle poche
sanzioni a poter essere effettivamente applicata anche alle persone giuridiche di diritto
pubblico − presenti un duplice inconveniente. Da un lato, essa, finirebbe inevitabil-
mente per colpire cittadini innocenti; dall’altro, metterebbe in pericolo lo stesso prin-
cipio di continuità del servizio pubblico. L’ammenda rappresenta infatti una spesa e i
fondi per il suo pagamento possono derivare da risorse provenienti o dagli utilizzatori
del servizio o dalle tasse imposte a livello locale, con la conseguenza che finirebbe per
gravare sui cittadini (innocenti). Ciò comporterebbe una palese violazione del prin-
cipio di personalità della pena, oltre che del principio di eguaglianza tra i cittadini:
infatti, solo coloro che risiedono in quel Comune o territorio di competenza dell’ente
pubblico condannato, finirebbero per pagare le conseguenze dell’illecito commesso,
mentre gli altri cittadini non dovrebbero sopportare alcuna conseguenza138. Si ritie-
ne inoltre che l’irrogazione di un’ammenda porterebbe con sé un aumento dei costi
per l’ente pubblico, con conseguente diminuzione dei mezzi che potrebbero, invece,
essere efficacemente utilizzati in favore di quel servizio e, in generale, in favore dei
bisogni della collettività. Di qui a dire che la sanzione metterebbe in pericolo la stessa
continuità del servizio pubblico il passo è breve.
A chi fa rilevare che analoghe problematiche insorgono ogni qualvolta l’ente
pubblico sia condannato a corrispondere una determinata somma di denaro, ad
esempio sul piano civile a titolo di risarcimento del danno, si replica che esiste una
differenza nei fondamenti che inducono a pronunciare una sanzione penale e civile.
Nel diritto civile, infatti, l’indennità versata alla vittima è manifestazione di solidarietà
e consente di ristabilire il principio di eguaglianza degli amministrati avanti al potere
pubblico: così, il fatto che tutti i contribuenti partecipino al suo pagamento attraverso
il prelievo fiscale, sarebbe giustificabile in quanto rientrerebbe in questa logica di
solidarietà. Il diritto penale, invece, non ha come obiettivo migliorare la situazione
della vittima, né contribuisce a migliorare il funzionamento del servizio pubblico e,
per tale ragione, non si vede il motivo per il quale tutti i contribuenti dovrebbero
sopportarne le spese139.
La tesi da ultimo illustrata non sembra convincente: al di là dell’effettiva diversa
incontestabile natura della sanzione civile e penale, non si vede in che modo il fatto
che un cittadino sia a conoscenza del fatto che l’ipotizzato aumento delle tasse sia
dovuto a ragioni di solidarietà o meno possa concretamente rilevare da un punto di
vista «pratico». Si tratta di una tesi che può spiegare sul piano teorico-dogmatico la
138
  Picard, Les personnes morales de droit public, cit., p. 274.
139
  Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 150.
L’ordinamento francese 157

distanza che intercorre tra le diverse tipologie di sanzioni, ma non può certo offrire
spiegazioni convincenti sul piano pratico.

15.2. L’asserita violazione del principio di separazione dei poteri: l’impossibilità per il
giudice penale di vagliare la legittimità dell’azione amministrativa. Critiche.

Una delle ragioni principali che sono state avanzate per sostenere l’irresponsabilità
penale delle persone giuridiche di diritto pubblico è costituita dall’asserita violazione
del principio della separazione dei poteri.
Detto principio è stato sancito nell’ordinamento francese già nel 1790 con le leggi
del 16 e del 24 agosto, secondo le quali «le funzioni giudiziarie sono distinte e rimar-
ranno sempre separate dalle funzioni amministrative. I giudici non potranno, se non
abusando della propria autorità, ostacolare le operazioni del corpo amministrativo, né
citare davanti a loro gli amministratori in ragione della loro funzione». Il principio
sembra escludere la possibilità per le persone giuridiche di diritto pubblico di com-
parire avanti a un giudice penale. Tuttavia, anche laddove si volesse accedere a tale
interpretazione, il principio è sancito in un testo legislativo e, pertanto, non dispone
di valore costituzionale. La sola riserva costituzionale concerne la competenza ammi-
nistrativa per il contenzioso dell’annullamento e della riforma delle decisioni adottate
dalle autorità amministrative relative alle attività che prevedono l’esercizio di potestà
pubbliche140.
Nonostante ciò, parte della dottrina ha sostenuto che la responsabilità penale delle
persone giuridiche di diritto pubblico costituisca violazione manifesta del principio
di separazione dei poteri. E ciò a motivo del fatto che si interpreta il principio nella
sua nozione più ristretta (divieto assoluto per il giudice penale di giudicare l’ammini-
strazione) e che si ritiene la responsabilità penale un’ingerenza eccessiva nella gestione
degli enti locali. Si teme, infatti, che la legge penale modifichi la libera amministra-
zione di detti enti141.
Altri Autori hanno ritenuto, invece, che il principio della separazione dei poteri
non sia violato perché, alla luce delle indicazioni provenienti dalla Corte costituzio-
nale, esso è limitato alle sole attività che implicano esercizio di potestà pubbliche,
settore a rigori escluso dalla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto
pubblico142. L’affermazione può essere contestata nella misura in cui la limitazione
della responsabilità alle ipotesi di attività suscettibili di delega di servizio pubblico non
è in grado effettivamente di escludere dalla sanzione penale ogni attività espressione
140
  In questo senso, Conseil Constitutionnel, decisione n. 86-224 del 23 gennaio 1987.
141
  Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 130-131.
142
  J.C. Froment, Remarques sur les enjeux et la porte d’une «criminalisation» du droit administratif, in
«Revue de droit public», i, 2001, p. 569.
158 E. Pavanello

di prerogative pubblicistiche. Come visto in alcuni casi anche le attività suscettibili di


delega costituiscono espressione di prerogative pubblicistiche.
Più convincenti risultano invece altre obiezioni. L’interpretazione restrittiva che
si vuole attribuire alle leggi del 1790 creerebbe una situazione di disuguaglianza tra
soggetti pubblici e persone giuridiche di diritto privato. Occorre allora guardare alla
vera ratio delle leggi citate che non è mai stata quella di dispensare l’amministrazione
da un eventuale giudizio del giudice penale, ma evitare che quest’ultimo interferisca
nella gestione della cosa pubblica, sostituendosi al giudice amministrativo attraverso
l’adozione, ad esempio, di regolamenti o la nomina degli amministratori per dare
loro istruzioni nel merito143. In questo senso il principio della separazione dei pote-
ri tra autorità amministrativa e penale non verrebbe violato perché la responsabilità
penale avrebbe come unico obiettivo quello di giudicare della legittimità dell’azione
amministrativa e non certo di sostituirsi nel merito delle scelte effettuate. Inoltre, è
stato evidenziato che analogo problema non si pone quando si tratti di perseguire
un Sindaco e di ricercare la sua responsabilità penale, indipendentemente dal tipo di
attività che sia stata esercitata. Se è possibile ricercare la responsabilità dell’uno senza
che il principio della divisione dei poteri sia violato, non si vede cosa osti alla ricerca
della responsabilità del comune in cui detto Sindaco opera144.

15.3. La violazione del principio della competenza esclusiva del giudice amministrativo
a conoscere dell’azione civile di risarcimento del danno.

L’introduzione della responsabilità penale della persona giuridica di diritto pubbli-


co comporterebbe ulteriori difficoltà legate alla possibilità di chiedere il risarcimento
dei danni civili da parte della vittima in sede penale. Normalmente, la vittima può
esercitare l’azione civile nell’ambito del procedimento penale (con la costituzione di
parte civile). Tuttavia, nel caso della responsabilità civile delle persone giuridiche di
diritto pubblico, il meccanismo vigente è tale per cui solo il giudice amministrativo
è competente a conoscere del risarcimento dei danni civili nelle ipotesi di cosiddetta
faute de service (trattasi delle ipotesi in cui la colpa non è scindibile dall’attività di ser-
vizio e denota l’esistenza di una colpa a livello di ente collettivo nel suo insieme)145.
Solo qualora l’infrazione penale commessa dal funzionario pubblico sia inquadrabile
nella faute personnelle (a tal fine deve sussistere una violazione della legge colpevole
a lui direttamente imputabile e non qualificabile come colpa dell’ente), il giudice
143
  Froment, Remarques sur les enjeux et la porte d’une «criminalisation» du droit administratif, cit., p.
567-568.
144
  Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 11.
145
  La differenziazione tra faute de service e faute personnelle è stata posta dalla sentenza Thépaz, risalente
al 1935.
L’ordinamento francese 159

penale sarà contemporaneamente competente a conoscere dell’azione penale e dell’a-


zione civile volta ad ottenere il risarcimento dei danni. Secondo la dottrina questo
meccanismo garantisce autonomia di giudizio in ambito risarcitorio al giudice am-
ministrativo; esso tuttavia, rischia di essere messo fortemente in discussione con l’in-
troduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico.
Non è infatti chiaro se il giudice penale sia competente o meno a conoscere anche
dell’azione di risarcimento dei danni civili o se, invece, non sia competente il giudice
amministrativo. In quest’ultima ipotesi occorrerà poi chiarire in che misura il giudice
amministrativo potrà valutare autonomamente i fatti sulla cui base si è proceduto a
condannare la persona giuridica, fatti che sono stati già attentamente valutati in sede
penale146.
La giurisprudenza per il momento si è divisa: mentre in alcune ipotesi è stato
lo stesso giudice penale a decidere del risarcimento dei danni, in altre occasioni ha
rinviato la questione al giudice amministrativo147.

15.4. Il rischio di un’eccessiva penalizzazione dell’azione amministrativa. Critiche.

La dottrina (amministrativa) ha altresì contestato la nuova forma di responsabili-


tà per una serie di motivazioni che possono essere riassunte nel rischio di un’eccessiva
penalizzazione dell’attività pubblica che non produrrebbe alcun effetto positivo per
i cittadini. Tali critiche portano a concludere che l’introduzione del vaglio penale in
relazione alle condotte poste in essere dalle persone giuridiche di diritto pubblico
non costituisce un reale progresso della democrazia, quanto piuttosto una «banaliz-
zazione» dell’azione amministrativa che reca con sé effetti oltremodo indesiderati. E
ciò in quanto le persone giuridiche di diritto pubblico legittimamente, in relazione
alla loro natura e alla tipologia di attività esercitate, si trovano in una posizione di
privilegio.
Con l’espressione «penalizzazione dell’attività pubblica» si fa riferimento al fe-
nomeno per cui la domanda sociale, amplificata dai moderni mezzi di circolazio-
ne delle informazioni, spinge sempre più verso la richiesta (e l’esecuzione) di una
pena tangibile che condanni inequivocabilmente il soggetto, fisico o giuridico, che
ha commesso un’infrazione. Nessuno sembra più in grado di tollerare incidenti di
146
  Meyer, Réflexions sur la responsabilité pénale des personnes de droit public à la lumière des premières
applications jurisprudentielles, cit., p. 929 e Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit
public à la lumière de la jurisprudence, cit., p. 202-203. A parere di quest’ultimo, è necessario riconoscere
al giudice penale la legittimazione a conoscere dell’azione civile e del risarcimento dei danni.
147
  La Corte d’Appello di Grenoble nella sentenza del 12 giugno 1998 ha rinviato al giudice
amministrativo la questione della determinazione dei danni risarcibili dichiarandosi incompetente a
conoscerne.
160 E. Pavanello

qualsiasi natura o entità o di classificarli come fatalità, cosicché ogniqualvolta si ve-


rificano eventi disastrosi si va alla ricerca dei singoli colpevoli. In questa prospettiva,
l’impossibilità di far riferimento al singolo soggetto fisico induce a ricorrere anche
alla responsabilità penale delle persone giuridiche.
Nell’ordinamento giuridico francese la penalizzazione dell’attività pubblica si è
manifestata non solo attraverso l’introduzione della responsabilità penale delle per-
sone giuridiche di diritto pubblico, ma anche mediante una crescente responsabilità
penale dei rappresentanti politici (numerose sono le fattispecie penali che prevedono
la responsabilità delle persone fisiche in virtù della posizione di «garanzia» che le
stesse rivestono) e un progressivo aumento delle fattispecie suscettibili di essere poste
in essere dai titolari di poteri pubblici148.
Il diritto amministrativo vede quindi progressivamente ridurre il proprio margi-
ne d’azione a profitto del diritto penale: il dato è criticabile in quanto esiste(rebbe)
un’ontologica differenziazione tra persone giuridiche di diritto privato ed enti pub-
blici. In questa prospettiva, solo il diritto amministrativo e il sistema di responsabilità
da esso delineato sarebbero in grado di assicurare il rispetto della diversità che carat-
terizza le due tipologie di enti.
La responsabilità amministrativa è, infatti, sorta per evitare l’impunità assoluta
degli enti pubblici e superare così la distinzione civilistica tra atti posti in essere da
parte dell’amministrazione in qualità di privato, per i quali la stessa era responsabile,
e in qualità di autorità pubblica, per i quali al contrario detta responsabilità non ope-
rava (actes de gestions et acte de puissance publique)149. Essa ha come obiettivo garantire
il risarcimento del danno in favore di coloro che sono vittime del comportamento
illecito dell’amministrazione e il ristabilimento della solidarietà sociale: i cittadini, at-
traverso detto meccanismo, sono quindi eguali di fronte all’amministrazione e hanno
diritto a ricevere eguale trattamento. Proprio la natura e il fine di questa responsa-
bilità inducono a percepire il regime sanzionatorio esclusivamente amministrativo
o civilistico cui sono sottoposte le amministrazioni pubbliche come privilegio ed
eccezione. Da ciò consegue la richiesta di intervento del diritto penale, affinché si
lasci spazio ad una totale eguaglianza tra le diverse persone giuridiche.
Tuttavia − ancorché la richiesta di un’effettiva eguaglianza sia comprensibile − la
dottrina ritiene che un simile intervento non costituisca un avanzamento dei siste-
mi giuridici, quanto piuttosto un attentato alla democrazia, poiché ogni condanna
dell’ente pubblico porterebbe con sé la perdita di fiducia da parte dei cittadini nell’i-
stituzione pubblica (come si ricorderà questo è un argomento caro anche alla dottri-
na olandese150). Non sarebbe, infatti, possibile rispondere alla crescente domanda di
148
  In questo senso Leveissiere, Le mouvement de «pénalisation» de l’action locale, cit., p. 18.
149
  Froment, Remarques sur les enjeux et la porte d’une «criminalisation» du droit administratif, cit., p.
589-591.
150
  Si confronti sul punto, infra 2, 7.3.
L’ordinamento francese 161

«giustizia» attraverso una generalizzata penalizzazione dell’attività degli enti pubblici,


i quali sono per loro natura differenti dagli enti privati. La condanna penale inoltre
non sarebbe in grado di produrre alcun effetto diretto in favore della vittima − né di
rieducazione o di riabilitazione della persona giuridica − se non attraverso il contem-
poraneo esercizio dell’azione civile.
L’argomentazione non sembra probante a parere di chi scrive, innanzitutto perché
non è chiaro su quali basi sia possibile affermare la sussistenza di detta supremazia e
in secondo luogo perché non è stata dimostrata l’inutilità di un’eventuale condanna
inflitta. Oltre a ciò, l’argomentazione della eguaglianza giuridica e della necessità
di trattamento identico a fronte di identiche condotte dovrebbe prevalere anche in
considerazione del fatto che la violazione impunita di una norma penale desterà nei
consociati maggior sfiducia di quella che può generare la punizione di un comporta-
mento illecito anche se posto in essere da una amministrazione pubblica.
La prospettiva che contesta l’introduzione della responsabilità penale ritiene inol-
tre che ogni condanna porterebbe necessariamente uno sconvolgimento politico e
avrebbe effetti a breve o a lungo termine tali da far venir meno la legittimazione
dell’attività dello stesso ente pubblico. In realtà, si ritiene che l’argomento per quanto
evocativo non costituisca un reale ostacolo alla previsione della responsabilità: i citta-
dini debitamente informati di quanto accaduto, effettueranno le proprie valutazioni
che esprimeranno attraverso il voto politico.

15.5. Gli argomenti addotti a favore della responsabilità penale. La necessità di


garantire il principio di eguaglianza.

La dottrina francese che ha sostenuto l’introduzione della responsabilità penale


delle persone giuridiche di diritto pubblico ha contestato le argomentazioni sopra
illustrate e ha addotto la necessità di difendere il principio di eguale trattamento
tra persone giuridiche di diritto pubblico e privato. Alla base di queste riflessioni
sta il rilievo che la capacità a delinquere non è prerogativa esclusiva delle persone
giuridiche di diritto privato.
Già nel 1982, ovvero ben prima dell’introduzione del nuovo codice penale, una
parte minoritaria della dottrina si era interrogata sul fondamento della scelta di non
perseguire penalmente le amministrazioni pubbliche evocando, a tal proposito,
l’esistenza di una grave lacuna nella democrazia francese. Già allora si era tentato di
individuare possibilità e limiti di un’eventuale responsabilità penale nei confronti degli
enti di diritto pubblico, sostenendo che una simile previsione fosse imprescindibile
al fine di garantire un effettivo stato di diritto. Caratteristica principale dello stesso
è infatti proprio quella di sottoporre a dei limiti il potere pubblico che non può
essere esercitato in modo arbitrario. Uno degli argomenti addotti a sostegno della
162 E. Pavanello

responsabilità degli enti pubblici era stata la difesa del principio di uguaglianza tra i
diversi soggetti giuridici151.
Detto argomento è stato evocato successivamente anche da altra dottrina che
ha condiviso l’introduzione della responsabilità penale per le persone giuridiche
di diritto pubblico152, ritenendo necessario garantire un eguale trattamento tra i
diversi soggetti perché sarebbe contraddittorio assicurare aree di impunità a fronte di
medesime condotte materiali.
Critiche e riserve sono state, invece, espresse in relazione al fatto che il legislatore
francese abbia deciso di sottoporre a responsabilità le collettività territoriali e i
rispettivi gruppi solo qualora questi esercitino attività che siano suscettibili di delega
di servizio pubblico, lasciando così esente da responsabilità il settore del domaine
privé.
La dottrina non ha invece criticato la legittimità della scelta di escludere la
responsabilità per le attività che siano espressione di prerogative pubblicistiche: è stata,
infatti, contestata la bontà del criterio dell’attività suscettibile di costituire oggetto
di delega, ma non il fatto che determinate attività vadano esenti da controllo penale.
Tuttavia, vi è chi si è interrogato sul fondamento e sull’opportunità di garantire
questa sorta di «immunità» agli enti pubblici territoriali quando esercitano attività
espressione di prerogative pubblicistiche: il sistema sarebbe, infatti, incoerente rispetto
alla posizione delle persone fisiche che agiscono all’interno dello stesso ente. Mentre
la persona fisica che ha commesso un illecito viene sempre punita anche qualora
abbia agito nell’esercizio di prerogative pubblicistiche (anzi, la pena è normalmente
aggravata in relazione alla peculiare posizione rivestita dalla persona fisica stessa), la
persona giuridica andrebbe completamente esente da pena153.
Quanto al fatto che la sanzione eventualmente inflitta ricadrebbe su cittadini
innocenti, è stato rilevato che tutti gli utilizzatori di un servizio pubblico ne traggono
beneficio e, pertanto, non è insensato che tutti contribuiscano al pregiudizio patito
dall’ente.
Infine, con riferimento alla sanzione pecuniaria si è osservato che è necessario
distinguere a seconda del tipo di ente cui la sanzione è inflitta. Una cosa è condannare
infatti uno stabilimento pubblico o una società nazionalizzata, altro è condannare
un Comune: se nel secondo caso si possono porre problemi in ordine all’efficacia
151
  B. Ferrier, Une grave lacune de notre démocratie: l’irresponsabilité pénale des personnes administratives,
in «Revue de science criminelle», 1983, p. 395 ss.
152
  In questo senso Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la
jurisprudence, cit., p. 205.
153
  In questo senso F. Le Gunehec, Les collectivités locales et le nouveau code pénal, in «Les Petites
Affiches», n. 110, settembre 1995, p. 21 ss.
L’ordinamento francese 163

della sanzione che finirebbe per ricadere sui cittadini, nelle prime ipotesi ciò non
avviene154.

15.6. La necessità di far fronte alla crescente penalizzazione dell’attività dei


rappresentanti politici locali. La connessione esistente tra responsabilità individuale dei
politici e collettiva dell’ente pubblico cui appartengono.

A parere di chi scrive nello studio della responsabilità penale delle persone giuri-
diche di diritto pubblico nell’ordinamento francese non ci si può esimere dall’analiz-
zare la relazione che molti studiosi hanno individuato tra la nuova forma di responsa-
bilità degli enti pubblici e la crescente penalizzazione dell’attività dei rappresentanti
politici locali.
Come rilevato da taluno155, l’interesse dei rappresentanti politici locali si è rivelato
cruciale nell’approvazione dell’art. 121-2, atteso che i due termini di responsabilità
− collettiva e individuale − si troverebbero in una relazione inversamente proporzio-
nale: l’ampliamento dell’una dovrebbe consentire la riduzione dell’altra.
Per comprendere l’assunto occorre innanzitutto chiarire che con «crescente pena-
lizzazione dell’attività dei rappresentanti politici locali» si fa riferimento al progressi-
vo incremento delle ipotesi in cui vengono perseguiti penalmente i soggetti fisici che
svolgono funzioni istituzionali all’interno dell’ente pubblico (sindaci, consiglieri co-
munali etc.). In ragione della posizione di garanzia dagli stessi rivestita, essi vengono
ritenuti responsabili dei fatti illeciti realizzati nell’ambito di attività istituzionalmente
di loro competenza anche laddove il fatto lesivo sia (solo) indirettamente legato alla
loro condotta attiva od omissiva: la risposta sanzionatoria scatta in modo pressoché
automatico, senza un previo accertamento né dell’esistenza di una volontà colpevole
(molto spesso si tratta di infrazioni involontarie, a carattere omissivo imputate a tito-
lo di imprudenza o negligenza) né della conoscenza della norma che si assume essere
stata violata (ciò è dovuto al numero sempre crescente di norme che impongono
obblighi di prudenza e diligenza in capo ai soggetti fisici).
Il pericolo denunciato, soprattutto negli enti pubblici di piccole dimensioni, è
individuare nei rappresentanti politici i capri espiatori per un’attività illecita di cui
molto spesso essi non sono i veri responsabili. Il fenomeno acquisisce particolare rilie-
vo in relazione ai reati omissivi: così, ogni qualvolta viene constatata un’omissione in
relazione a un obbligo di prudenza previsto dalla legge, la responsabilità del rappre-
sentante politico che riveste una determinata posizione istituzionale è automatica. A
154
  Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence,
cit., p. 206.
155
  P. Raimbault, La discrète généralisation de la responsabilité pénale des personnes morales, in «Actualité
juridique de droit administratif», dicembre 2004, p. 2427.
164 E. Pavanello

dimostrazione di ciò peraltro, sempre più spesso la giurisprudenza paragona il Sinda-


co a un dirigente di una società privata e lo ritiene responsabile, in virtù della propria
posizione, di ogni violazione alla legge penale che si verifica all’interno del comune156.
Tre sarebbero i rischi cui un simile sistema può dare origine: lo scoraggiamento
dei rappresentanti politici dal presentarsi alle elezioni, il rischio di una professiona-
lizzazione eccessiva della funzione pubblica e la minaccia della paralisi dell’attività
pubblica a livello locale (ad esempio, per evitare di essere accusato di lesioni colpose,
un Sindaco potrebbe rifiutare di organizzare manifestazioni sportive a livello locale).
Da qualche anno in Francia si discute dell’opportunità e dell’effettività di un
simile sistema, cercando di individuare soluzioni che, da un lato, consentano ai rap-
presentanti politici di poter esercitare la propria attività senza essere paralizzati dal
pericolo costante della sottoposizione a giudizio penale e, dall’altro, non diano nuovo
impulso a sistemi di sostanziale immunità, altrettanto pericolosi e inaccettabili. Di-
verse sono state le iniziative legislative rivolte in questa direzione e i gruppi di studio
incaricati di analizzare il tema.
Nel 1995, ad esempio, il gruppo di studio Fauchon157 ha prodotto un rapporto
in cui ha sottolineato l’ampiezza del fenomeno di criminalizzazione della vita dei
soggetti politici e ha suggerito la modifica della norma relativa ai delitti non inten-
zionali. A seguito della presentazione di tale rapporto è stata così adottata la l. 96-393
con la quale è stato modificato l’articolo 121-3 del codice penale158. Il primo comma
dell’articolo citato sancisce il principio secondo cui «il n’y a point de crime ou délit sans
intention de le commettre, toutefois, lorsque la loi le prévoit, il y a délit en cas de mis en
ranger d’autrui», mentre il secondo comma introduce il criterio dell’apprezzamento
in concreto degli elementi dell’imprudenza e della negligenza. La norma, che inizial-
mente doveva essere diretta esclusivamente ai rappresentanti politici, ha poi assunto
carattere generale: il legislatore ha inteso così evitare la creazione di un privilegio
che consentisse ai soli rappresentanti politici di fuggire la responsabilità penale. Il
dispositivo si inserisce comunque nel contesto di riduzione dell’area di penalizzazio-
156
  Ad opinione di Bertrand, La responsabilité pénale du maire et de la commune, sub i, <http://juripole.
fr/memoires/penal/Agnes­­_Bertrand/partie1.html>, cit., però la posizione del Sindaco va distinta da
quella dell’imprenditore al vertice di una società per più di una ragione. Innanzitutto, il Sindaco non
controlla il proprio ambito di intervento: egli è investito di determinati poteri e funzioni direttamente
dalla legge o dai regolamenti. Egli, inoltre, non ha seguito alcuna formazione specifica ed esercita
spesso oltre all’attività politica,  anche la propria attività professionale. Il Sindaco poi non gode di
una remunerazione e di un’assicurazione sociale comparabili a quelle di un professionista (questo vale
evidentemente per i comuni di piccole e medie dimensioni) né gode di alcuna garanzia di stabilità o
beneficia di alcuna indennità di fine rapporto.
157
  Il gruppo di studio (detto Fauchon dal nome del senatore che ha presentato il documento finale) ha
elaborato un rapporto rinvenibile in Rapports du Sénat 1994-1995; per un breve riassunto dello stesso si
veda D. Dutrieux, Démocratie locale et responsabilité, in «Les Petites Affiches», n. 41, aprile 1996, p. 28.
158
  Per un commento al nuovo articolo si veda Y. Mayaud, De l’article 121-3 du code pénal à la théorie de
la culpabilité en matière criminell et délictuelle, in «Recueil Dalloz», Chronique, 1997, p. 37 ss.
L’ordinamento francese 165

ne dell’attività dei rappresentanti pubblici: infatti è chiaro che l’imposizione di una


valutazione in concreto dell’elemento soggettivo garantisce una apprezzamento caso
per caso e dovrebbe evitare di attribuire un illecito alla persona fisica unicamente in
considerazione della posizione istituzionale che la stessa riveste.
Oltre a ciò, anche l’introduzione della responsabilità penale delle persone giuri-
diche di diritto pubblico è stata considerata un mezzo per sottrarre i rappresentanti
politici al peso della responsabilità penale personale. La ratio della norma è, infatti,
secondo questa prospettiva, quella di fare in modo che le persone fisiche non venga-
no colpite qualora siano responsabili le persone giuridiche.
Il ragionamento non è tuttavia condivisibile per diverse ragioni. Innanzitutto,
perché a tenore dell’art. 121-2 del codice penale è necessario accertare la responsabi-
lità della persona fisica per procedere poi ad individuare la responsabilità della perso-
na giuridica. È pur vero che il principio è attenuato, secondo quanto indicato dallo
stesso legislatore nella relazione accompagnatoria, in caso di infrazioni di omissione,
caratterizzate da negligenza, contraddistinte cioè dall’assenza di una vera e propria
intenzione delittuosa. Inoltre, in questo senso si è orientata anche la legge 2000-647
che esclude in talune ipotesi la responsabilità penale delle persone fisiche, pur rite-
nendo sussistente quella delle persone giuridiche. Tuttavia, è altresì vero che la norma
non può assicurare un’automatica assenza di responsabilità del funzionario pubbli-
co: ciò infatti sarebbe in contrasto con un altro dei principi che hanno sorretto la
riforma, ovvero evitare che la responsabilità delle persone giuridiche costituisca uno
schermo dietro il quale le persone fisiche possono proteggersi per non essere consi-
derate responsabili. Questa dunque la seconda ragione per la quale la norma dell’art.
121-2 non può escludere automaticamente la concorrente responsabilità della per-
sona fisica, soggetto politico. Inoltre, non va sottovalutato il pericolo di una fuga
dal diritto penale da parte della persona fisica che potrebbe abusare dello «schermo»
persona giuridica per porre in essere gli illeciti penali che ritenga più opportuni per
realizzare i propri interessi. Il rischio è quindi quello di creare un rimedio peggiore
del male, limitando la responsabilità alle sole persone giuridiche e garantendo una
sostanziale immunità alle persone fisiche.

16. Istituzione di una Commissione ad hoc per lo studio delle cause e dei rimedi da
adottare per limitare il fenomeno della crescente penalizzazione dell’attività dei politici
locali e dei funzionari pubblici.

Nel 1999, su iniziativa del Governo, è stato istituito un ulteriore gruppo di studio
(Groupe d’étude sur la responsabilité des décideurs publics) con l’obiettivo di «rechercher
des remèdes au malaise de nombreux décideurs publics, élus ou fonctionnaires, face à ce
166 E. Pavanello

qu’ils ressentent comme une pénalisation croissante et injuste de leur responsabilité»159.


Il rapporto è particolarmente interessante ai fini della presente ricerca perché ana-
lizza anche le norme che consentono di perseguire le persone giuridiche di diritto
pubblico, ponendo in stretto collegamento il problema dell’eccessiva penalizzazione
dell’attività dei rappresentanti politici a quello della limitata penalizzazione dell’atti-
vità degli enti pubblici.
Il rapporto Massot analizza, innanzitutto, le possibili cause dell’eccessiva «pressio-
ne» che il sistema penale esercita sui rappresentanti politici e sui funzionari pubblici
e le individua principalmente nella ricerca sistematica di un colpevole da parte delle
vittime, nel costante aumento delle ipotesi in cui viene in rilievo la responsabilità
penale di detti soggetti e nel sistema di responsabilità amministrativa che ha instillato
il senso della progressiva deresponsabilizzazione dei funzionari, a profitto di un’area
più ampia di responsabilità dell’amministrazione.

16.1. Analisi critica da parte della Commissione degli argomenti addotti a sostegno
dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Affermazione
dell’inesistenza di ragioni di carattere sostanziale che impongano di escludere tale forma
di responsabilità.

Tra i rimedi possibili per far fronte alla crescente responsabilizzazione dell’am-
ministrazione, il gruppo di studio ha indicato la possibile estensione della responsa-
bilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, anche se ha precisato che
occorrerebbe valutare le conseguenze di una simile estensione prima di adottare una
posizione definitiva sul punto160.
Il gruppo esclude, innanzitutto, che possa essere accolta la richiesta avanzata dai
rappresentanti politici interpellati secondo cui in ipotesi definite (in particolare trat-
tasi dei delitti di pura omissione e delle infrazioni non intenzionali) dovrebbe essere
ricercata unicamente la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pub-
blico e non quella delle persone fisiche. Ovviamente, per fare ciò sarebbe necessario
prevedere un’apposita modifica del codice penale, atteso che, ai sensi del disposto
dell’art. 121-2, la responsabilità penale delle persone fisiche non è esclusa ma con-
159
  L’incarico al gruppo di studio è stato conferito l’8 giugno 1999 a un gruppo di esperti, magistrati
e deputati. Il rapporto è conosciuto con il nome di Rapport Massot, dal nome del suo presidente Jean
Massot, Presidente di sezione del Consiglio di Stato. J. Massot, La responsabilité pénale des decideurs
publics Rapports officiels, Paris 2000. Per una breve disamina del rapporto si veda O. Dufour,
Responsabilité pénale des decideurs publics: un rapport serein pour un sujet brûlant, in «Les Petites
Affiches», 2000, p. 3 ss.
160
  Gli altri mezzi individuati sono: la riduzione del campo dei delitti non intenzionali, la limitazione
nella creazione di nuove fattispecie penali, il fatto di ricondurre le infrazioni meno gravi al codice del
commercio qualificandole come contravvenzioni, la limitazione dei ricorsi abusivi al giudice penale.
L’ordinamento francese 167

corre con quella delle persone giuridiche. Il gruppo di studio ritiene che accogliere
una simile richiesta significherebbe violare il principio di eguaglianza tra i cittadini
avanti alla giustizia e verrebbe percepito dalla collettività come una sorta di amnistia
accordata dal Parlamento a persone che molto spesso rivestono anche la carica di
parlamentare (una sorta quindi di auto-immunità).
La seconda opzione presa in considerazione è allora quella dell’estensione dell’am-
bito di responsabilità delle persone giuridiche e il contestuale mantenimento di una
responsabilità concorrente delle persone fisiche che potrebbe, al limite, essere «secon-
daria» rispetto alla responsabilità delle persone giuridiche, le quali sarebbero le prime
responsabili del fatto illecito.
Tale ipotesi offre lo spunto al gruppo di studio per verificare se gli argomenti
tradizionalmente addotti contro la responsabilità penale delle persone giuridiche di
diritto pubblico ostino a una siffatta estensione.
Il gruppo di studio si sofferma, in primis, sull’analisi dell’asserita inefficacia delle
sanzioni penali ove applicate alle persone giuridiche di diritto pubblico. Gli studiosi
ammettono che molte delle sanzioni previste dal codice penale sono inadatte alle per-
sone giuridiche di diritto pubblico; tuttavia, essi ritengono che le sanzioni dell’am-
menda e della pubblicazione o diffusione della decisione di condanna possano rive-
stire un ruolo importante. Il fatto di far conoscere la decisione alla collettività può
rivelarsi particolarmente importante sotto il profilo dissuasivo-preventivo: il gruppo
rileva, infatti, che non è piacevole per il rappresentante politico dover effettuare una
contro-pubblicità a difesa del buon funzionamento dell’ente pubblico presso cui egli
opera. Per quanto concerne l’ammenda, non si nasconde che da più parti sia stato
sollevato il problema della sua dannosità: essa, infatti, incidendo negativamente sul
budget della persona giuridica finirebbe per arrecare pregiudizio ai cittadini, già vit-
time del reato. Il gruppo di studio si limita sul punto a rilevare che analogo problema
si verifica ogni qualvolta l’amministrazione viene condannata al pagamento del risar-
cimento del danno civile, anche se in quel caso non viene posta nessuna obiezione al
pagamento della sanzione.
Quanto al rischio di un’ulteriore estensione della penalizzazione dell’attività am-
ministrativa − con un maggiore «slancio» delle vittime nel ricorso al giudice penale
anziché a quello amministrativo − il gruppo di studio si dichiara sprovvisto degli
strumenti necessari per compiere un’approfondita analisi a riguardo e si limita a
indicare che questi rischi non sono né certi né comprovati, per ora, dalla pratica
giudiziaria.
Per quanto concerne la violazione del principio della separazione dei poteri am-
ministrativo e giudiziario, gli esperti, con una motivazione che a dire il vero lascia
perplessi, ritengono che un’eccezione a tale principio sia già stata introdotta con il
codice del 1994 che ha statuito una limitata forma di responsabilità per le persone
giuridiche di diritto pubblico. Anziché cioè sostenere che detta responsabilità non
168 E. Pavanello

costituisce attentato ai principi dell’ordinamento, gli studiosi si limitano a dichiarare


che essendo già stata introdotta un’eccezione al principio, un’eventuale estensione
della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico non potrebbe
arrecare ulteriore pregiudizio.
Alla luce delle considerazioni sin qui illustrate il gruppo ritiene di aver dimostrato
che non vi sono argomentazioni di carattere sostanziale che ostacolano l’estensione
della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e, pertanto,
individua le proposte a suo avviso più idonee per contrastare l’eccessiva penalizzazio-
ne dell’attività dei décideurs publics.

16.2. Proposte di estensione della responsabilità penale allo Stato e alle collettività
territoriali anche nell’ipotesi di attività di servizio pubblico non delegabile.

Il gruppo di studio suggerisce innanzitutto, in alcune ipotesi di faute non inten-


tionnelle, di prevedere la responsabilità penale delle persone giuridiche anche laddove
non vi sia un’attività suscettibile di costituire oggetto di delega di servizio pubblico.
L’ambito in cui detta estensione dovrebbe operare sarebbe limitato, comunque, alle
sole ipotesi di violazione non deliberata di una norma che impone un obbligo di pru-
denza o sicurezza così come definito agli articoli 221-6 (che prevede la fattispecie di
omicidio involontario) e 222-19 (che punisce colui che cagiona ad altri un’incapacità
lavorativa per un periodo superiore a tre mesi) del codice penale.
In secondo luogo, il gruppo ritiene opportuno distinguere nel caso di violazione
delle norme relative alla sicurezza o che impongono un obbligo di prudenza, a secon-
da che la violazione sia avvenuta in modo volontario (délibéré) o meno. Nel primo
caso poiché vi è una volontà cosciente di infrangere la norma, sarebbe necessario
coinvolgere anche la responsabilità della persona fisica. Ove invece vi fosse un’omis-
sione non volontaria, allora solo la responsabilità della persone giuridica dovrebbe
venire in rilievo. Il gruppo propone quindi di modificare l’art. 121-2 del codice
penale, introducendo una norma del tipo: «les personnes morales de droit public sont,
sauf s’ils ont été commis de façon délibérée, responsables des manquements à une obliga-
tion de sécurité ou de prudence imposée par la loi ou le règlement commis par leurs organes
et représentants ayant causé la mort d’autrui ou une incapacité totale de travail pendant
plus de trois mois».
L’ultimo accorgimento che il gruppo di studio indica è l’introduzione della re-
sponsabilità penale dello Stato. Gli argomenti che sono normalmente addotti per
avversare l’introduzione di questa responsabilità (come si vedrà infra, la sovranità
dello Stato, il suo monopolio nell’esercizio dell’azione pubblica) devono piegarsi di
fronte alle esigenze di eguaglianza tra soggetti statali e delle altre collettività territo-
riali. Consapevole delle implicazioni che l’introduzione di una simile responsabilità
L’ordinamento francese 169

potrebbe comportare, il gruppo propone di sperimentarla per un periodo di tempo


con la riserva di verificarne poi i risultati sul piano pratico.
Il rapporto sin qui illustrato evidenzia le tensioni esistenti nel sistema giuridico
francese: da un lato, la volontà di estendere la responsabilità penale delle persone giu-
ridiche di diritto pubblico, anche se non si intende generalizzarla in modo assoluto;
dall’altro, la consapevolezza che detta estensione non può giovare ai rappresentanti
politici come schermo dietro il quale celare la propria responsabilità.
In ogni caso, delle indicazioni fornite dal gruppo Massot il legislatore non sembra
aver fatto tesoro. Quest’ultimo si è infatti limitato ad introdurre con la legge 2000-
647 un differente regime per la responsabilità delle persone fisiche e giuridiche a
seconda del nesso di causalità esistente tra la condotta del soggetto e il danno. Solo
in caso di nesso di causalità diretto sarà possibile procedere anche nei confronti delle
persone fisiche, in caso contrario l’azione penale si dovrà limitare esclusivamente alla
persona giuridica.
Nulla tuttavia la legge ha disposto con riferimento alle persone giuridiche di di-
ritto pubblico: non è escluso naturalmente che negli anni a venire il legislatore fran-
cese decida di seguire le indicazioni del gruppo Massot ma è probabile che prima di
procedere ad ulteriori modifiche del testo legislativo, valuterà i risultati che detta
responsabilità è in grado di assicurare.

17. Le decisioni della giurisprudenza in tema di responsabilità penale delle persone


giuridiche di diritto pubblico diverse dallo Stato.

Le decisioni adottate in tema di responsabilità penale delle persone giuridiche di


diritto pubblico sono state per lo più dedicate a determinare quando un’attività sia
suscettibile di costituire oggetto di delega di servizio pubblico o meno: trattasi evi-
dentemente di una questione spinosa che il giudice penale si trova a dover affrontare
nel momento in cui deve decidere della responsabilità dell’ente pubblico.

17.1. Tentativi di definizione dell’attività suscettibile di delega di servizio pubblico:


la non delegabilità dell’attività scolastica.

Uno dei primi casi assurti agli onori della cronaca giudiziaria in materia di re-
sponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico ha fortemente scosso
l’opinione pubblica ed ha coinvolto la responsabilità di un Comune, nella fattispecie
quello di Grenoble. Il caso – che è giunto sino al vaglio della Corte di Cassazione -
oltre a presentare interessanti spunti di riflessione in ordine alla nozione di attività
170 E. Pavanello

suscettibile di delega di servizio pubblico, affronta la problematica della responsabi-


lità concorrente della persona giuridica e della persona fisica.
I tragici eventi che hanno dato origine alla vicenda giudiziaria possono essere così
riassunti: ventidue alunni di una scuola pubblica di Grenoble sono stati sorpresi dalla
brusca risalita della marea causata dall’apertura delle dighe di sbarramento del fiume
Drac, mentre stavano effettuando un’escursione lungo il corso d’acqua per osservarne
l’habitat naturale. Gli alunni, accompagnati dalla loro insegnante e da una persona
dipendente del Comune, incaricata di gestire il centro comunale che organizzava
questo tipo di escursioni, sono stati trasportati dalla corrente: sei bambini sono de-
ceduti, insieme alla loro insegnante, mentre gli altri sono riusciti a salvarsi insieme
all’accompagnatrice.
Il Tribunale di Grenoble, in primo grado161, ha deciso di procedere per omicidio
involontario nei confronti dell’accompagnatrice, dipendente del Comune, nonché
nei confronti del Comune, del Sindaco e di un Consigliere Comunale.
Per quanto qui interessa ci si limiterà ad analizzare la posizione del Comune. La
difesa di quest’ultimo ha contestato, per l’un verso, la possibilità di delegare l’attività
effettuata al di fuori dell’orario scolastico e, per l’altro, la mancanza di responsabilità
da parte degli organi del Comune.
Il Tribunale, con riferimento alla possibilità di delegare a terzi l’attività di organiz-
zazione e gestione delle escursioni lungo il corso d’acqua, ha rilevato che si tratta di
attività che si situa alla «periferia» dell’attività dell’insegnamento pubblico, in quanto
tale delegabile, che esclude qualsiasi responsabilità pedagogica degli insegnanti. In
secondo luogo, il Tribunale ha posto in luce che l’attività in questione presenta le ca-
ratteristiche di autonomia e durata che la rendono suscettibile di costituire oggetto di
servizio autonomo e quindi delegabile. Quanto infine al criterio della remunerazione
che, ad avviso del Comune, ostacolava la qualifica dell’attività come delegabile162, i
giudici hanno sostenuto che la stessa è caratteristica del contratto di delega e non
del servizio, con la conseguenza che essa non è rivelatrice della natura dell’attività.
In tal modo l’organo giudicante si è discostato dalle indicazioni provenienti dalla
giurisprudenza amministrativa e dai criteri successivamente indicati nella stessa legge
Murcef (all’epoca non era in vigore163) circa il rilievo da attribuire alla remunerazione,
quale indicatore della sussistenza di delega.
Sotto il profilo della responsabilità degli organi e dei rappresentanti del Comune,
l’ente pubblico si era difeso poi sostenendo che nessuna imprudenza poteva essere
rimproverata al Sindaco o al Consigliere delegato i quali, ai sensi dell’art. 121-2 del
161
  tgi Grenoble, 15 settembre 1997 in «Droit Pénal», comm. n. 5, 1998, con nota di M. Veron, p. 10-11.
162
  Il Comune aveva sostenuto, infatti, che, non essendo il servizio finanziato tramite il contributo dei
suoi utilizzatori ma attraverso dei fondi comunali, non poteva essere delegato.
163
  Per un commento alla nozione di delega di servizio pubblico come forgiata dalla legge Murcef, si
rinvia al paragrafo 9.1.
L’ordinamento francese 171

codice penale, sono gli organi che avrebbero potuto originare la responsabilità della
persona giuridica. Il Tribunale contesta questa posizione ritenendo che se la gestione
del centro delle attività era affidato a un’animatrice dipendente del Comune che non
rivestiva la qualifica di organo o rappresentante dello stesso, al Sindaco competeva
comunque il compito di verificare che dette attività non comportassero alcun rischio
per la salute o la sicurezza dei bambini. Nel caso di specie ciò non sarebbe avvenuto
e il Comune è stato condannato per omicidio involontario al pagamento di un’am-
menda di 100.000 franchi (circa 15.000 euro). Il Tribunale ha pronunciato invece
un’ordinanza di non luogo a procedere nei confronti del Sindaco e del Consigliere
delegato, in quanto ha ritenuto che non fosse stato dimostrato l’elemento soggettivo
del reato. Il Tribunale ha confermato così il principio che il comportamento illecito
di una persona fisica che riveste la qualifica di organo dell’ente può rilevare ai fini
della responsabilità della persona giuridica ma non per questo comporta l’automatica
condanna della persona fisica.
La sentenza è stata successivamente confermata in grado d’appello con riferimen-
to alla responsabilità del Comune e l’ammenda aumentata all’importo di 76.000
euro164. Il Comune nel proprio ricorso aveva sostenuto, infatti, che l’attività di ac-
compagnamento degli alunni non fosse suscettibile di costituire oggetto di delega in
quanto si trattava di una funzione che comportava l’esercizio di poteri pubblicistici,
legata alla missione dell’insegnamento che compete allo Stato. La Corte d’Appello,
tuttavia, ha contestato questo ragionamento e confermato che si tratta di attività
suscettibile di delega in quanto, sulla base di una circolare ministeriale, è possibile
conferire le attività di animazione a terzi soggetti. La Corte ha ribadito altresì che
le ordinanze di non luogo a procedere pronunciate nei confronti del Sindaco e del
Consigliere delegato non impediscono che venga contestualmente accertata la re-
sponsabilità del Comune, a condizione che sia stabilita una faute a carico degli organi
o rappresentanti del Comune stesso.
Successivamente, la Corte di Cassazione ha mutato la posizione sostenuta dalle
Corti di merito ritenendo che l’attività di animazione partecipi direttamente dell’at-
tività dell’insegnamento pubblico e, in quanto tale, non sia suscettibile di costitu-
ire oggetto di delega. Conseguenza diretta di tale qualificazione è la dichiarazione
dell’impossibilità di procedere nei confronti del Comune di Grenoble165.
Ad analoghe conclusioni è giunta, sempre con riferimento all’insegnamento pub-
blico, una sentenza della Corte di Cassazione dell’11 dicembre 2000 secondo cui le
164
  Cour d’Appel Grenoble, 12 giugno 1998 in «Gazette du Palais», 1998, p. 460 ss. con nota di Petit
e in «Recueil Dalloz», 1999, p. 151-152 con nota di R. De Boubée.
165
  Cassation Criminelle, 12 dicembre 2000 in «Droit Pénal», 2001, p. 13 ss. con nota di Véron, il quale
condivide la decisione ritenendo che sia difficile ammettere che l’animazione organizzata nell’ambito
dell’attività di insegnamento pubblico sia assimilabile ad un’attività di carattere commerciale o
industriale, ambito escluso dal campo di applicazione della norma penale. Analogamente Petit, nota
172 E. Pavanello

attività connesse all’insegnamento non sono delegabili166. In questo caso un alunno


era stato ferito mentre utilizzava una macchina fresatrice nell’ambito di un laborato-
rio organizzato in un liceo tecnico riportando un’incapacità per un periodo inferiore
a tre mesi. La regione Franche-Comté era stata perseguita per lesioni involontarie
atteso che detto ente pubblico, proprietario della macchina, non aveva predisposto
l’apposito dispositivo di protezione così come previsto dalla normativa sulla sicurezza
sul lavoro. I giudici di merito hanno ritenuto che il criterio per distinguere tra attività
delegabili o meno è quello relativo all’esistenza di prerogative pubbliche e, nel caso
di specie, non sussistendo tali prerogative l’attività fosse pienamente delegabile. La
Corte di Cassazione invece ha ritenuto che l’attività non fosse delegabile in quanto
partecipa dell’insegnamento pubblico. La posizione della Corte desta perplessità in
considerazione del fatto che viene esclusa dalla delega un’attività connessa all’inse-
gnamento in senso assai lato e consistente nel rispetto di leggi e regolamenti sulla
sicurezza sul lavoro.
In un caso è stata poi valutata la delegabilità (in senso penalistico) del traspor-
to scolastico di alunni che, nel caso di specie, era stato conferito da parte del di-
partimento dell’Orna ad una società privata attraverso una convenzione ad hoc. Il
trasporto degli alunni avveniva sulla base di fermate prestabilite ed una di queste,
in particolare, risultava particolarmente pericolosa in quanto si trovava all’incrocio
di diverse strade, era sprovvista di opportuna segnalazione e non vi era lo spazio
necessario alle per fermarsi al fine di far scendere o salire i bambini. La decisione di
mantenere questa fermata era stata adottata, su richiesta espressa dei genitori, dal
Presidente del Consiglio generale del Dipartimento. Purtroppo, come prevedibile,
proprio in questo punto di sosta dell’autobus si era verificato un incidente a seguito
del quale diverse persone avevano perso la vita.
La vicenda processuale che ne è seguita dimostra come la giurisprudenza di meri-
to tenda a dare una definizione abbastanza ristretta di attività delegabile. Il Tribunale
di primo grado ha deciso, infatti, di non procedere nei confronti delle persone fisiche
che operavano all’interno del Dipartimento pubblico per il reato di omicidio colpo-
so, mancando la faute deliberée necessaria per imputare un reato colposo alle persone
fisiche a seguito dell’introduzione della legge del 2000. Solo il dipartimento dell’Or-
na, persona giuridica, è stato perseguito. Tanto il Tribunale quanto la Corte d’Ap-
a Cour d’Appel Grenoble, 12 giugno 1998, in «Gazette du Palais», 1998, p. 471, che ritiene difficile
paragonare un’attività educativa (per quanto periferica rispetto all’attività dell’insegnamento, n.d.s.)
che si colloca all’interno di un obbligo nazionale e di una funzione di potestà pubblica ad un’attività
economica tout court. Amar, Contribution à l’analyse économique de la responsabilité pénale des personnes
morales, cit., p. 6 si mostra critico rispetto all’utilizzo di un criterio formale che non guarda alla natura
dell’attività in oggetto, ovvero se la stessa possa essere qualificata come qualitativamente diversa rispetto
ad un’attività privata, il quale denuncia il rischio di trattare diversamente persone giuridiche in relazione
a condotte del tutto analoghe.
166
  Cassation Criminelle, 11 dicembre 2000, in «Droit Pénal», 2002, p. 13 ss.
L’ordinamento francese 173

pello hanno ritenuto che l’attività di trasporto scolastico fosse suscettibile di delega e
che esistesse un nesso di causalità tra la decisione di mantenere la fermata collocata in
un luogo pericoloso e l’incidente stradale. I giudici di merito hanno così condannato
il Dipartimento al pagamento dell’ammenda di 5.000 euro per omicidio colposo.
La Corte di Cassazione167 − accogliendo così il ricorso presentato dall’ente
pubblico − ha invece cassato e annullato la sentenza predetta, ritenendo mancante
uno dei presupposti in base ai quali operava la responsabilità penale delle persone
giuridiche di diritto pubblico, ovvero l’attività suscettibile di delega. I giudici hanno,
infatti, ritenuto che solo l’attività di servizio dei trasporti pubblici fosse delegabile,
mentre non lo fosse la sua organizzazione: atteso che la determinazione del percorso e
delle fermate che l’autobus doveva effettuare rientrava nel concetto di organizzazione
del servizio, essa non era delegabile e il dipartimento non poteva essere perseguito
penalmente.
Da questa breve disamina si deduce che la scissione all’interno della medesima
attività pubblica tra ciò che è delegabile e ciò che non lo è, rischia di ridurre oltremodo
il campo di applicazione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto
pubblico.

17.2. La delegabilità dell’attività di messa a norma dell’impianto elettrico di un


impianto comunale.

La Corte di Cassazione ha ritenuto, invece, delegabile l’attività di messa a norma


dell’impianto elettrico di un teatro comunale. La Corte ha confermato, infatti, la
condanna nei confronti di un Comune che aveva incaricato, nell’ambito di un appal-
to pubblico, una società privata di eseguire i predetti lavori. Secondo quanto stabilito
dalle norme in materia di lavoro il Comune, in qualità di impresa appaltatrice, avreb-
be dovuto predisporre un piano di prevenzione, di concerto con la società privata,
al fine di adottare le misure necessarie ad evitare il verificarsi di incidenti. Invece, il
piano citato non era stato adottato e nel corso dell’esecuzione dei lavori de quibus un
dipendente della società privata era caduto da un’altezza di dieci metri e aveva perso
la vita. Il Comune e la società sono stati perseguiti per omicidio involontario e per
violazione delle norme che impongono di adottare il piano di prevenzione predetto.
Limitandoci all’analisi della posizione dell’ente pubblico, si rileva che non è stata
accolta la tesi prospettata dal Comune secondo cui l’attività de qua non era delegabile
per il fatto che tra l’ente territoriale e la società privata era stato concluso un appalto
pubblico e non un contratto, così come sembrerebbe presupporre la norma dell’art.
  Cassation Criminelle 6 aprile 2004 pubblicata in «Actualité juridique de droit administratif», n. 8
167

2005, con nota di P. Le Goff, p. 446 ss.


174 E. Pavanello

121-2 c.p. La Cassazione ha ritenuto, infatti, che detta circostanza non avesse alcun
rilievo in quanto il ragionamento che deve effettuare il giudice al fine di valutare la
delegabilità o meno dell’attività è di tipo eminentemente astratto e deve prescindere
dalle circostanze del caso concreto.
La soluzione offerta dalla Corte è corretta poiché la lettera dell’art. 121-2 c.p. pre-
vede che la responsabilità delle collettività territoriali sussista laddove esse esercitino
attività suscettibili di costituire oggetto di delega. Proprio il termine «suscettibile» sta
ad indicare la potenzialità ma non la necessità che l’attività venga delegata mediante
contratto e quindi indica una «qualità» dell’attività, a prescindere dagli accordi con-
cretamente posti in essere. Quanto ai criteri per definire l’attività come delegabile,
i giudici fanno riferimento alle indicazioni sulla remunerazione provenienti dalla
legge Murcef. Nel caso di specie, atteso che si tratta di servizio la cui remunerazione
è strettamente legata all’utilizzo del servizio offerto, ovvero il teatro, l’attività è stata
considerata delegabile e, per tali ragioni, il Comune è stato condannato al pagamento
di un’ammenda di poco più di 7.000 euro168.

17.3. La configurabilità della responsabilità a carico delle Ferrovie francesi, società


di diritto pubblico.

Per quanto concerne le «altre» persone giuridiche di diritto pubblico, si segnala


una decisione con la quale la Corte di Cassazione ha cassato e annullato la sentenza
della Corte d’Appello di Nîmes che aveva condannato la sncf − società pubblica
che gestisce il traffico ferroviario e che dispone dello status di stabilimento pubblico
commerciale e industriale − per omicidio involontario169.
Nel caso di specie un bambino di 11 anni dopo essere sceso dal treno e aver attra-
versato i binari nell’apposito passaggio pedonale non sorvegliato, era stato travolto
da un treno a grande velocità che sopraggiungeva nell’altro binario. L’impatto aveva
provocato la morte del bambino. Il Tribunale di primo grado e la Corte d’Appello
di Nîmes avevano condannato la sncf per omicidio involontario dopo aver rilevato
che, nonostante gli ingegneri e i responsabili locali, avessero classificato quel passag-
gio come pericoloso e avessero indicato la necessità di adottare opportune misure di
prevenzione, le Ferrovie non avevano posto in essere alcuna misura atta a salvaguar-
dare i viaggiatori dai pericoli che potevano derivare dall’attraversamento del passag-
gio pedonale sui binari (ad esempio mediante la presenza di un agente delle ferrovie
incaricato ad hoc).
168
  Sono state considerate attività delegabili anche la gestione di un macello comunale (Cassation
Criminelle 23 maggio 2000) e di un impianto di sci (Cassation Criminal 14 marzo 2000).
169
  Cassation Criminelle 18 gennaio 2000 in «Recueil Dalloz», jurisprudence, commentaire, 2000, con
nota di J.C. Saint-Pau, p. 636 ss.
L’ordinamento francese 175

Con la decisione indicata il giudice di legittimità non ha contestato le circostanze


di fatto che hanno dato origine all’incidente, né che vi fossero state effettive omis-
sioni da parte della società pubblica. La Corte ha rilevato, piuttosto, che i giudici di
merito non si fossero preoccupati di valutare se l’inadempimento agli obblighi di
sicurezza e diligenza fossero imputabili o meno a soggetti organi o rappresentanti
dell’ente. Essendo questa una condicio sine qua non della responsabilità della persona
giuridica (pubblica o privata che sia), la Cassazione ha ritenuto opportuno che la
questione venga attentamente vagliata dalla Corte d’Appello cui ha rinviato.

18. Rilievi critici (cenni e rinvio).

Il sistema di responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico,


diverse dallo Stato, ha dato origine a un certo dibattito in Francia.
La formulazione dell’art. 121-2 del codice penale comporta alcune difficoltà in-
terpretative, quali l’esatta definizione di organo e rappresentante, nonché l’indivi-
duazione dell’elemento soggettivo che deve caratterizzare la condotta della persona
giuridica.
Le critiche sono state vieppiù severe in relazione all’introduzione della responsa-
bilità penale per le persone giuridiche di diritto pubblico. Le argomentazioni fatte
valere sia dai fautori che dagli oppositori dell’introduzione di una simile responsabi-
lità sono state analoghe – pur nelle peculiarità dei diversi ordinamenti giuridici – a
quelle avanzate nei Paesi Bassi170. Anche in Francia, infatti, coloro (espressione di
un orientamento minoritario) che hanno condiviso l’introduzione di detta respon-
sabilità, hanno indicato che ciò sia necessario per assicurare un eguale trattamento a
persone giuridiche di diritto pubblico e privato.
Proprio in questa prospettiva è stato criticato il discrimine per stabilire quando un
ente pubblico territoriale sia responsabile, ovvero la delegabilità dell’attività. Da un
lato, sussiste infatti un’indubbia difficoltà per il giudice penale di far ricorso a con-
cetti propri del diritto amministrativo che gli sono estranei; dall’altro, la mancanza
di precedenti giurisprudenziali certi cui ancorare la definizione, rende oltremodo
incerta la configurabilità della responsabilità.
Le prime decisioni giurisprudenziali testimoniano proprio questa difficoltà: men-
tre le giurisdizioni di merito sembrano più orientate nel punire le persone giuridiche
di diritto pubblico, la giurisdizione di legittimità sembra invece accogliere (almeno
per il momento) un concetto più ristretto di attività suscettibile di delega. La con-
seguenza tangibile di un simile sistema è che, ad esempio, il settore dell’educazione
è stato escluso integralmente dall’ambito di applicazione della responsabilità penale.
170
  Si rinvia, al riguardo, al capitolo 2.
176 E. Pavanello

Oltre alle difficoltà interpretative menzionate, il criterio dell’attività delegabile


ad una più approfondita analisi non consente di garantire il rispetto del principio
di eguaglianza, in quanto viene escluso dall’ambito di responsabilità delle persone
giuridiche di diritto pubblico il c.d. domain privé e, di converso, vi sono attività che
presentano le caratteristiche della delegabilità che vengono esercitate anche da perso-
ne giuridiche di diritto privato.
In considerazione di ciò, alcuni Autori hanno ritenuto che sarebbe stato più op-
portuno distinguere non tanto a seconda del soggetto attivo del reato (contrappo-
sizione persona giuridica di diritto privato-persona giuridica di diritto pubblico),
quanto semplicemente in relazione alla tipologia di attività esercitata (espressione di
prerogative pubblicistiche o meno). Sulla necessità di assicurare alle attività espres-
sione di prerogative pubblicistiche un’assoluta immunità si ritornerà in seguito: per
comprendere se un simile criterio abbia ragion d’essere, occorre infatti definire in
primis la nozione di dette attività e interrogarsi poi sulla necessità di assicurare una
totale immunità in questo settore.
Non si può nascondere, infine, che le riflessioni dottrinali francesi si caratteriz-
zano per una maggiore ostilità nei confronti della nuova forma di responsabilità
rispetto alla dottrina olandese.
La tesi secondo cui una simile responsabilità sarebbe in grado di far fronte alla
crescente responsabilità dei politici eletti a livello locale non sembra probante. Se,
infatti, si può condividere l’esigenza di ridurre l’eccessiva personalizzazione della re-
sponsabilità dei politici, non si può tuttavia sostenere che l’istituzione della respon-
sabilità degli enti collettivi in cui prestano l’attività sia il rimedio corretto.
In ogni caso, le riserve avanzate alla configurabilità di una responsabilità penale
degli enti pubblici, oltre a contestare la bontà del criterio scelto, si basano sul timo-
re che venga sovvertito lo Stato di diritto, attraverso una banalizzazione dell’azione
amministrativa.
Il piano sanzionatorio è, poi, la questione che più di ogni altra desta preoccupa-
zioni: si ritiene, infatti, che anche laddove in ipotesi fosse possibile sostenere la re-
sponsabilità penale, resterebbero comunque numerosi ostacoli in ordine alla effettiva
efficacia delle sanzioni imposte. La più contestata resta l’ammenda, unica sanzione
che, a quanto ci consta, è sino ad ora stata applicata, in quanto si ritiene che essa oltre
a costituire un inutile passaggio di denaro tra i diversi enti di diritto pubblico, finisce
per danneggiare tutti i cittadini.

19. L’irresponsabilità penale dello Stato.

La disposizione dell’art. 121-2 esclude espressamente dall’ambito di applicabilità


della responsabilità penale lo Stato: non possono quindi sussistere dubbi interpretativi
L’ordinamento francese 177

in ordine al fatto che l’entità statale (comprensiva dei differenti Ministeri ed entità
che dipendono direttamente dallo Stato) non risponde penalmente del proprio
operato illecito. Il legislatore ha giustificato questa scelta per il fatto che sarebbe stato
inconcepibile prevedere una responsabilità penale dello Stato per «actes relevants par
nature de sa puissance souveraine». Il presupposto è che ogni qualvolta lo Stato pone
in essere un’attività (ed eventualmente pone in essere una condotta illecita) esercita
un potere di natura pubblica.
La dottrina francese, dal canto suo, ha enucleato diversi argomenti volti a
giustificare la decisione del legislatore; pochi studiosi hanno sostenuto la necessità di
introdurre la responsabilità penale dello Stato171 (seppure nei limiti che si illustreranno
in seguito), considerando la scelta operata nel 1994 «scioccante» perché dà origine ad
una forma di disuguaglianza di trattamento rispetto alle altre persone giuridiche di
diritto pubblico (nonché ovviamente quelle di diritto privato)172.
De jure condendo, il rapporto Massot ha fatto cenno alla necessità di estendere la
responsabilità penale anche allo Stato; tuttavia, almeno per il momento, il legislatore
francese non ha provveduto ad introdurre alcuna modifica sul punto.
Di seguito si illustreranno le argomentazioni che sono state addotte contro la
responsabilità penale dello Stato, per poi procedere all’esame delle motivazioni che
invece dovrebbero indurre, secondo parte della dottrina, ad un ampliamento della
responsabilità anche nei suoi confronti.

20. Gli argomenti addotti dalla dottrina contro la perseguibilità dello Stato. La titolarità
della potestà penale.

La sottoposizione dello Stato al diritto penale avrebbe, in questa prospettiva, ef-


fetti pratici «ridicoli». Lo Stato, infatti, che pone il precetto penale attraverso l’inter-
mediazione del legislatore, commetterebbe l’infrazione pel tramite dei propri organi
o rappresentanti, verrebbe perseguito dalle sue stesse procure, giudicato dai suoi stessi
Tribunali e pagherebbe l’ammenda, cui eventualmente fosse condannato, a se stes-
so173. L’impossibilità logico-giuridica di perseguire lo Stato si baserebbe sul fatto che
lo stesso soggetto, unico detentore del potere punitivo, giudicherebbe e nel contempo
sarebbe imputato nel procedimento penale. L’argomentazione, che riecheggia l’opi-
171
  Desportes, Le Gunehec, Droit pénal général, cit., p. 552 non si spingono a tanto ma ritengono
che in ogni caso l’esclusione dello Stato finisca per configurare una situazione di diseguaglianza rispetto
all’operato dei diversi funzionari pubblici, a seconda che essi dipendano dall’ente statale o locale.
172
  C. Mondou, Responsabilité pénale des collectivités territoriales, cit., p. 539.
173
  Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 129.
178 E. Pavanello

nione espressa dalla dottrina olandese, è quella che più di sovente viene invocata dagli
studiosi francesi per giustificare la decisione del legislatore174.
Il fatto che i funzionari pubblici vengano puniti per la condotta illecita posta in
essere nell’esercizio delle loro funzioni, mentre lo Stato resti impunito per la me-
desima condotta, non sarebbe fonte di alcuna incoerenza sistematica: l’azione del
funzionario, infatti, ancorché commessa nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche,
arrecherebbe pregiudizio allo Stato ed è per questa ragione che viene punita175. Tutta-
via, qualche perplessità sorge per il fatto che resta difficile spiegare per quale ragione
un Comune che non segue le norme di igiene in una mensa viene punito, mentre un
Ministero alle dipendenze dello Stato che gestisce altresì una mensa va assolto per la
medesima condotta.
L’opportunità di garantire l’irresponsabilità dello Stato è stata sostenuta anche dal
Consiglio di Stato, il quale ha messo in luce un ulteriore aspetto problematico cui
darebbe origine un sistema diverso: la sanzione penale si caratterizza, infatti, per il suo
carattere vincolante e, normalmente, spetta allo Stato il compito di dare esecuzione a
detta pena. Ove si immaginasse un sistema sanzionatorio anche per lo Stato, quest’ul-
timo dovrebbe «obbligare» se stesso nell’esecuzione della pena176.

20.1. Il contrasto tra responsabilità penale e il principio della sovranità dello Stato.
Critiche.

La dottrina francese ha sostenuto che la titolarità della sovranità determinerebbe


l’impossibilità di perseguire lo Stato. Infatti, la responsabilità penale minerebbe la sua
credibilità e sarebbe in contrasto con l’idea dello Stato sovrano.
L’argomento è stato criticato in quanto la sovranità dello Stato ammetterebbe già
numerose limitazioni sia sul piano interno che internazionale. Paradigmatico l’istitu-
to della responsabilità civile dello Stato che oggi non viene più posta in discussione177.
Tant’è che vi è chi si è provocatoriamente interrogato se sussistano ancora attività che
possono considerarsi del tutto sovrane: la stessa attività legislativa, atto eminentemen-
te sovrano è sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale. La conseguenza è che un
organo dello Stato dichiara illegittimo un atto proveniente dallo Stato stesso: anche
174
  Pradel, La responsabilité, cit., 84; Stefani, Levasseur, Bouloc, Droit pénal général, cit., p. 271;
Viret, La responsabilité pénale de l’administration à l’épreuve du droit pénal contemporain, cit., p. 774; Le
Gunehec, Les collectivités locales et le nouveau code pénal, cit., p. 22.
175
  Rassat, Droit pénal général, cit., p. 495.
176
  Conseil d’Etat, La responsabilité pénale des agents publics en cas d’infractions non intentionnelles :
étude adoptée par l’Assemblée générale du Conseil d’Etat le 9 mai 1996, La documentation française, Paris,
1996, p. 98-99.
177
  Moureau, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public en droit français, cit., p.
44 ; Le Gunehec, Les collectivités locales et le nouveau code pénal, cit., p. 22 e Raimbault, La discrète
généralisation de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 2429.
L’ordinamento francese 179

in questo caso assisteremmo ad una forma di auto-punizione, alla quale, tuttavia,


nessuno si oppone.
È indubbio però che la declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma e
la condanna penale per la commissione di un atto illecito, per quanto possano essere
considerate entrambe forme di auto-punizione dello Stato, rispondono a logiche e
obiettivi del tutto diversi. Nel caso della declaratoria di illegittimità costituzionale lo
Stato procederebbe ad auto-sanzionarsi per garantire i diritti dei soggetti; il diritto
penale avrebbe, invece, come unico obiettivo soddisfare la domanda di giustizia delle
vittime del reato e, per tale motivo, non venendo in rilievo i diritti della collettivi-
tà, non giustificherebbe un intervento punitivo nei confronti dello Stato178. L’autore
inoltre rileva che anche le collettività territoriali decentrate possono disporre di parte
del monopolio di punire (pensiamo al Sindaco che può adottare un’ordinanza che,
ove violata, costituisce il presupposto per perseguire penalmente il soggetto), eppure
il legislatore le ha comunque sottoposte a sanzione penale.
L’argomento della sovranità andrebbe escluso come valido fondamento dell’ir-
responsabilità penale dello Stato, anche in considerazione del fatto che non tutte le
attività dallo stesso esercitate possono essere ricondotte all’idea di sovranità (pensia-
mo, ad esempio, all’ipotesi in cui lo Stato agisce al pari di altri enti di diritto privato
o collettività territoriali in ambito economico).
La scelta di non punire lo Stato, per taluni corretta, dovrebbe trovare un fonda-
mento diverso. Vi è chi ha invocato, a tal proposito, il concetto di puissance publique:
l’ente pubblico nel momento in cui esercita poteri pubblici non può essere sottoposto
all’intervento penale179. Inutile dire però che ove questa fosse stata la ratio della ri-
forma, il legislatore avrebbe dovuto distinguere la tipologia di attività posta in essere
dallo Stato, analogamente a quanto ha fatto, seppure adottando un criterio insoddi-
sfacente, per le collettività territoriali. Atteso che ciò non si è verificato si deve ritenere
che questo non sia stato il filo conduttore della riforma.
178
  Critico Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, op. cit., p. 97,
secondo cui atteso che uno degli obiettivi del diritto penale è, tra l’altro, quello special-preventivo di
evitare che l’autore del reato commetta nuovamente un illecito, l’auto-sanzione dello Stato garantirebbe
i diritti dei cittadini e, anche in questa prospettiva, sarebbe giustificata.
179
  Picard, Les personnes morales de droit public, cit., p. 275 ss. e, nello stesso senso, Jorda, La
responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence, cit., p. 187.
Secondo le indicazioni provenienti dal diritto amministrativo, la pubblica amministrazione per
esercitare la propria attività può utilizzare sia i mezzi che le sono offerti dal diritto privato, sia i mezzi
propri del diritto pubblico di cui la stessa gode in virtù della propria qualità di puissance publique.
Nella seconda categoria possono essere annoverate le prerogative che esorbitano dal diritto comune o
prerogative del potere pubblico, tra cui vanno ricordate le prerogative d’azione (potere di adottare le
decisioni necessarie in vista del conseguimento di un interesse generale) e le prerogative di protezione
(ad esempio, la sottomissione di una determinata attività al regime di monopolio per sottrarlo alla
concorrenza). Chapus, Droit administratif général, cit., p. 419 ss.
180 E. Pavanello

Strettamente legato all’idea della sovranità vi è poi il fatto che lo Stato non può
essere sottoposto a sanzione penale in quanto persegue interessi di carattere generale
(collettivi o individuali che siano)180.
Anche in Francia è forte, quindi, l’idea che l’ente statale sia preposto alla tutela di
interessi superiori ed abbia scopi di carattere generale da giustificare ogni eventuale
violazione della legge penale. In questa prospettiva, il riconoscimento della respon-
sabilità penale dello Stato costituirebbe addirittura una forma di arretramento del
diritto penale: infatti, se il sistema di repressione pubblica ha potuto sostituirsi alle
forme di vendetta privata, è perché, si è sostenuto, alla base c’è l’idea che lo Stato che
rappresenta la società si situa al di sopra degli interessi particolari181.

20.2. La ripercussione della sanzione pecuniaria inflitta sui cittadini.

Da ultimo, viene invocato anche per lo Stato l’argomento connesso all’inutilità


e dannosità della sanzione pecuniaria eventualmente inflitta: l’ammenda, oltre che
costituire una semplice operazione contabile che non produrrebbe alcun effetto nei
confronti dello Stato, finirebbe per punire una seconda volta i cittadini, i quali do-
vrebbero subire un’assurda ingiustizia182.

21. La possibile violazione del principio di eguaglianza derivante da’esclusione dello Stato
dalla responsabilità penale.

Le argomentazioni volte a contestare la possibilità di perseguire lo Stato trovano il


proprio fondamento in una concezione unitaria dello stesso. Tuttavia, v’è chi ha op-
portunamente posto in discussione detta concezione «monolitica» di Stato in quanto
la stessa non corrisponde a realtà e − anche in ragione di ciò − ha invocato l’introdu-
zione della responsabilità penale dello stesso.
Critiche al fatto che la detenzione del monopolio dell’azione penale possa davve-
ro servire a giustificare l’irresponsabilità penale dello Stato sono state avanzate sulla
base del fatto che il privilegio dell’immunità accordato non possa avere un simile
fondamento, atteso che lo stesso Consiglio di Stato, già nel 1905, aveva ipotizzato la
configurazione della responsabilità dello Stato183.
180
  Stefani, Levasseur, Bouloc, Droit pénal général, cit., p. 271, Bouloc, La criminalisation, cit., p.
238.
181
  Conseil d’Etat, La responsabilité pénale des agents publics en cas d’infractions non intentionnelles:
étude adoptée par l’Assemblée générale du Conseil d’Etat le 9 mai 1996, p. 99.
182
  Bernardini, Personne morale, cit., p. 6.
183
  Moureau, La responsabilité, cit., p. 42.
L’ordinamento francese 181

La necessità di introdurre un sistema di responsabilità penale anche per lo Stato


trova il proprio fondamento principale nel fatto che omettere una simile previsione
significherebbe violare il principio di eguaglianza giuridica. Si consideri, ad esempio,
la situazione degli stabilimenti di diritto pubblico nazionali i quali, pur costituendo
una decentralizzazione funzionale dello Stato, sono perseguibili penalmente, non ri-
entrando nel novero degli enti territoriali immuni184.
Parte della dottrina ha rilevato che, paradossalmente, garantire l’immunità solo a
determinati enti pubblici si ripercuote negativamente sulla condizione dei cittadini
che usufruiscono di un determinato servizio pubblico185. L’argomentazione può es-
sere meglio compresa laddove si pensi all’esempio citato sul punto. L’ipotesi è quella
di tre diverse mense, due gestite da collettività territoriali e una invece che dipende
dal Ministero. Nel caso di infrazione alle norme in materia igienica commessa all’in-
terno di due delle tre mense, quella gestita da un Ministero e quella gestita da una
delle collettività, solo la violazione posta in essere nella mensa gestita da quest’ultima
potrà essere perseguita. Se si guarda la situazione dalla prospettiva degli utilizzatori
della mensa, non vi sarà alcun cambiamento né per coloro che fanno uso della mensa
gestita dal Ministero, né per coloro che utilizzano la mensa gestita dalla collettività
in cui non è stato posto in essere alcun fatto penalmente rilevante. Verranno, invece,
penalizzati – mediante, ad esempio, un aggravamento dei costi − coloro che fanno ri-
corso al servizio della mensa gestita dalla collettività in cui è stato posto in essere l’ille-
cito: mentre la differenziazione ha un senso tra le mense gestite dalle due collettività,
non ha alcun senso mantenere un trattamento differenziato tra la mensa gestita dal
Comune e quella gestita dal Ministero, atteso che in esse si è prodotta analoga fatti-
specie delittuosa. Questa differenziazione che determina una violazione del principio
di eguaglianza non è giustificata nella misura in cui non rientra in quelle ipotesi in
cui la differenza di trattamento è giustificata dalla diversità delle situazioni. I cittadini
pagheranno le conseguenze di un diverso e ingiustificato trattamento sanzionatorio.
184
  Meyer, Réflexions sur la responsabilité pénale des personnes de droit public à la lumière des premières
applications jurisprudentielles, cit., p. 923-924. Contra Bonichot, La responsabilité pénale des personnes
morales de droit public, cit., p. 769 secondo cui essendo possibile perseguire penalmente gli stabilimenti
pubblici nazionali, l’irresponsabilità penale dello Stato non sarebbe poi così scioccante. Infatti, in ambito
educativo, se non sono perseguibili i servizi centrali di educazione, restano comunque perseguibili gli
altri servizi pubblici che si occupano dell’istruzione. Anche se probabilmente, da un punto di vista
pratico, questo ragionamento corrisponde a verità, non si vede, a parere di chi scrive, come sia possibile
assicurare l’esistenza di un trattamento diversificato che lascia inevitabili vuoti di tutela. Il principio
di eguaglianza davanti alla legge dovrebbe implicare che, a fronte di situazioni identiche, identico
deve essere il trattamento sanzionatorio assicurato. Invece, solo per citare un esempio, nell’ipotesi di
inquinamento causato dal mal funzionamento di un’installazione di depurazione, occorrerà verificare se
la stessa dipende dalle collettività territoriali o dallo Stato: solo nel primo caso sarà possibile procedere
penalmente.
185
  Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 91 ss.
182 E. Pavanello

Lo stesso Consiglio di Stato ha indicato che diversi studiosi si sono espressi a


favore dell’introduzione della responsabilità penale dello Stato e ciò, oltre che per
garantire il rispetto del principio di eguaglianza nei confronti dei cittadini e tra le
diverse persone giuridiche, siano esse di diritto pubblico o privato, anche per indivi-
duare in modo corretto il responsabile di una condotta illecita maturata all’interno
di un contesto di mala gestio dell’amministrazione pubblica186. Non sarebbe, infatti,
corretto imputare una condotta illecita al solo funzionario persona fisica piuttosto
che allo Stato qualora il danno generato dalla condotta illecita non sia conseguenza
di un’attitudine colpevole esclusiva dell’agente-persona fisica. Il Consiglio di Stato ha
concluso però nel proprio studio nel senso che ancorché siano condivisibili gli obiet-
tivi che la dottrina citata si pone, non sono comunque superabili gli ostacoli che ven-
gono tradizionalmente addotti alla configurazione di una responsabilità dello Stato.

22. Difficoltà e opportunità di creare un sistema di controllo penale delle attività statali.

Uno dei pochi studiosi che in Francia ha ipotizzato l’introduzione di una forma di
responsabilità penale per lo Stato, ha tentato di mettere in luce ostacoli e possibilità
concrete della configurazione della stessa187.
Innanzitutto, è stato criticato il riferimento al concetto generico di Stato. Infatti, lo
Stato non sarebbe paragonabile a nessun’altra entità collettiva di natura pubblica o
privata poiché è composto di diverse entità relativamente autonome. Se si accedesse
alla tesi secondo cui lo Stato è entità unica e inscindibile occorrerebbe ammettere, ad
esempio, che all’atto del pagamento dell’iva verrebbero poste in essere due operazioni
contabili che si annullerebbero reciprocamente. Da un lato, infatti, il Ministero
delle Finanze riceve il pagamento e, dall’altro, i diversi enti statali sono sottoposti
al tributo: solo ove si considerino il Ministero e i diversi enti come ontologicamente
diversi, sarà possibile giustificare il pagamento dell’imposta.
Detta inesattezza conduce in questa prospettiva, a un risultato non appagante in
quanto vengono escluse dalla repressione penale non solo quelle attività che non do-
vrebbero mai essere sottoposte a sanzione (poiché espressione di prerogative pubbli-
cistiche quali l’attività di polizia, promulgazione delle leggi), ma anche quelle attività
in cui l’entità statale agisce, in ipotesi, in condizioni identiche a quelle in cui agisce
qualsiasi altra società di diritto privato.
Un uso attento della terminologia avrebbe condotto pertanto ad operare una di-
stinzione più accorta in quanto lo «Stato» (o quanto meno alcune delle sue entità)
186
  Conseil d’Etat, La responsabilité pénale des agents publics en cas d’infractions non intentionnelles:
étude adoptée par l’Assemblée générale du Conseil d’Etat le 9 mai 1996, p. 96 ss.
187
  Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 98 ss.
L’ordinamento francese 183

è pienamente in grado di delinquere. In particolare, la sua struttura articolata, la


possibilità di intervento in qualsiasi settore e il numero elevato di agenti che attuano
per suo conto lo rende uno degli attori più temibili da un punto di vista di politica
criminale.
La responsabilità penale dello Stato non dovrebbe essere prevista a tutto campo
ma solo con riferimento a quelle attività in cui lo stesso agisce al pari di qualsiasi altra
persona giuridica di diritto privato. Verrebbero quindi escluse le attività espressione
di poteri pubblicistici per le quali dovrebbe essere riconosciuta l’immunità allo Stato,
per consentirgli di agire liberamente in settori in cui è il solo a poter intervenire.
Tuttavia, l’esclusione di responsabilità in questi settori non dovrebbe essere assolu-
ta: anche laddove lo Stato goda di prerogative pubbliche, dovrà essere perseguito
se omette di intervenire o comunque non utilizza i propri poteri, causando così un
danno o mettendo in pericolo la vita altrui (l’esempio addotto è quello della mancata
riparazione di una strada pubblica lungo la quale si producono una serie di incidenti
stradali). La soluzione proposta è quella di riformulare l’art. 121-2 c.p. prevedendo
che: «l’Etat est pénalement responsable lorsqu’il agit dans un domaine ouvert aux per-
sonnes privées sans utiliser ses prérogatives de puissance publique. Dans les domaines où
il fait habituellement usage de ses prérogatives de puissance publique, il n’est pénalement
responsable que lorsque son abstention constitue une infraction»188.
Sotto il profilo sanzionatorio, emergono le perplessità che la dottrina ha espresso
già con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico. L’ammenda, infatti,
finirebbe per costituire un’autosanzione; la chiusura dello stabilimento contrastereb-
be con il principio di responsabilità della pena in quanto andrebbe a toccare diretta-
mente gli amministrati. Tra le pene esistenti, l’unica efficacemente applicabile viene
individuata nella pubblicazione della sentenza e nella sua diffusione: infatti, in questo
modo lo scopo di far conoscere ai cittadini la riprovevolezza del comportamento
dello Stato sarebbe pienamente raggiunto. Inoltre, si ipotizza l’introduzione di una
pena ad hoc per lo Stato, ovvero l’ingiunzione ad un obbligo di fare, a condizione
tuttavia che i poteri del giudice penale siano limitati e non si traducano nell’adozione
di veri e propri atti dell’amministrazione (con una sostanziale sostituzione del potere
giudiziario al ruolo della pubblica amministrazione) ma siano guidati esclusivamente
dall’interesse generale.
Il sistema sin qui descritto consentirebbe, quindi, di perseguire lo Stato, o meglio
le singole entità che lo compongono, anche se non si possono nascondere le difficoltà
che detta ipotesi potrebbe comportare. Se cioè dal punto di vista dei principi è possi-
bile ritenere che l’assoluta irresponsabilità dello Stato sia contraria alla stessa coscien-
za giuridica moderna, dal punto di vista concreto si pongono notevoli limitazioni alla
188
  P lanque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 459.
184 E. Pavanello

previsione della sua responsabilità. In buona sostanza non sembra possibile, nemme-
no per la dottrina francese, rinunciare in modo assoluto all’immunità dello Stato.

23. Conclusioni.

Una delle innovazioni di maggiore interesse introdotte con il codice penale francese
del 1994 è stata l’introduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche,
delineata dall’art. 121-2.
Il codice francese esclude dall’ambito di responsabilità oltre che lo Stato, anche le
collettività territoriali che abbiano agito nell’esecuzione di un’attività suscettibile di
essere oggetto di delega. Il criterio scelto, con riferimento alle collettività territoriali, è
stato criticato per la sua indeterminatezza, atteso che il giudice penale, per qualificare
detta attività, dovrebbe utilizzare concetti propri del diritto amministrativo. Esso
inoltre non risponde alla ratio che ha sostenuto la limitazione di responsabilità,
ovvero preservare alcune attività espressione di poteri pubblicistici dal sindacato
del giudice penale, poiché esclude che gli enti territoriali possano essere perseguiti
quando agiscano nell’ambito privatistico.
Sotto questo profilo si condividono le critiche mosse alle scelte operate dal legislatore
che ha optato per il criterio dell’attività delegabile proprio del diritto amministrativo,
poiché, in questo modo, vengono radicalmente escluse dall’ambito di responsabilità
le attività in cui la persona giuridica di diritto pubblico esercita attività e funzioni
proprie del diritto privato.
Nonostante le critiche avanzate al criterio scelto dal legislatore, solo un numero
esiguo di studiosi ha auspicato un’estensione generalizzata della responsabilità
delle persone giuridiche di diritto pubblico: la maggior parte ha ritenuto infatti di
condividere la linea tracciata dal legislatore, reputando che le peculiarità connesse alla
struttura e alle funzioni delle persone giuridiche di diritto pubblico e, in particolar
modo dello Stato, debba condurre a una limitazione del penalmente rilevante. Non
si è quindi fatta questione sull’opportunità di introdurre simili limitazioni, quanto
piuttosto sulle modalità di delimitazione dell’ambito di responsabilità.
Sul fronte degli oppositori all’introduzione di detta responsabilità, gli studiosi di
diritto amministrativo hanno in particolare ritenuto che il diritto penale non possa
giudicare di un illecito avvenuto in un contesto in cui tradizionalmente la competenza
è esclusiva del giudice amministrativo. L’idea che sta alla base di tali contestazioni
è che esisterebbe una distinzione netta tra i soggetti che perseguono interessi di
carattere generale, ovvero gli enti pubblici, e i soggetti che, invece, perseguono
esclusivamente scopi di lucro, ovvero persone giuridiche di diritto privato. Se una
persona giuridica di diritto pubblico persegue interessi di carattere generale, ogni
attività dalla stessa posta in essere sarebbe legittima: l’assunto non considera, tuttavia,
L’ordinamento francese 185

che detta distinzione così netta tra enti che perseguono interessi di carattere generale
ed enti che invece perseguono fini di lucro non trova un solido fondamento189.
A riprova di ciò, basti considerare che lo stesso legislatore francese ha ritenuto di
introdurre la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e, con
riferimento alle collettività territoriali, enti il cui fine dovrebbe essere il perseguimento
dell’interesse generale, ha ammesso l’esistenza di un ambito in cui esse agiscono al pari
delle persone giuridiche di diritto privato. Inoltre, non sembra che esista sempre una
corrispondenza biunivoca tra interesse generale e legittimità dell’azione: è fonte di
riflessione la circostanza secondo cui ogni attività (asseritamente) di interesse generale
legittimi la commissione di qualsivoglia reato.
Ostacoli alla configurazione della responsabilità sono stati evidenziati anche
sotto il profilo sanzionatorio: la sanzione penale eventualmente inflitta, si è detto,
produrrebbe effetti solo in relazione alle persone giuridiche di diritto privato, le quali
dispongono di un proprio patrimonio, mentre l’inflizione della sanzione a carico
della persona giuridica di diritto pubblico cagionerebbe un pregiudizio a carico della
collettività.
La scelta poi di escludere dal novero di responsabilità penale le attività poste
in essere dallo Stato può essere criticata alla luce della ratio della riforma e della
constatazione che gli argomenti tradizionalmente addotti per giustificare detta
forma di irresponsabilità non sono in alcun modo probanti. Ritenere infatti che
l’irresponsabilità anziché costituire una lacuna dell’ordinamento, attenti alla sua
stabilità mettendone in pericolo i fondamenti, non pare corretto. O quanto meno
non sembra che ciò possa essere sostenuto in modo generale: basti pensare a quelle
attività che lo Stato compie al pari di qualsiasi altra persona giuridica di diritto
privato. Quanto alle altre attività espressione di prerogative e poteri tipicamente
pubblici, occorre chiedersi se effettivamente esse dispongano di caratteristiche tali da
necessitare un esonero dal controllo penale. Infatti, se è proprio dello Stato di diritto
che lo stesso Stato sia sottoposto alla legge, a rigore nessuna esclusione dovrebbe
essere prevista. A nulla varrebbe l’esistenza della scriminante dell’adempimento del
dovere imposto dalla legge o dall’ordine dell’autorità legittima per scusare in via
generale e a priori l’azione dell’amministrazione190. Tuttavia, la dottrina sembra
restia ad ammettere una simile estensione della responsabilità penale e il legislatore
l’ha in sostanza escluso con la formulazione dell’art. 121-2 del codice penale. La
189
  Hermann, Le juge pénal, juge ordinaire de l’administration?, cit., p. 201 sostiene peraltro che anche
nello svolgimento di attività di carattere industriale o commerciale le peculiarità delle persone giuridiche
di diritto pubblico sono tali da escludere che venga perseguito uno scopo di lucro: esse agirebbero
quindi sempre e comunque nell’interesse generale e, in ragione di ciò, non dovrebbero essere perseguite
penalmente.
190
  Ferrier, Une grave lacune de notre démocratie: l’irresponsabilité pénale des personnes administratives,
cit., p. 400.
186 E. Pavanello

legislazione francese offre spunti di rilievo critico con riferimento alla necessità di un
ripensamento dell’intero sistema di responsabilità delle persone giuridiche di diritto
pubblico. L’esistenza di interessi generali e il bene supremo della collettività fungono
da freno rispetto alla responsabilità della persona giuridica. Il problema centrale della
questione è capire se ciò sia corretto o frutto di pregiudizi connessi all’idea dello Stato
sovrano, legibus solutus che pone le regole ma non è tenuto a rispettarle.
Occorre inoltre interrogarsi sulla possibile interferenza tra potere giudiziario e
potere politico e se l’intervento penale sull’operato di collettività territoriali e Stato sia
davvero un ostacolo alla realizzazione dello Stato di diritto o non costituisca piuttosto
una modalità attraverso il quale lo stesso assurge a contropotere in grado di realizzare
in modo pieno il bilanciamento dei poteri.
187

capitolo 4

La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico


nell’ordinamento belga

Sommario. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento belga:


evoluzione storica. – 2. L’ambito di applicazione della responsabilità e i criteri di attribuzione
della condotta alla persona giuridica. – 3. La responsabilità concorrente della persona fisica
e della persona giuridica. – 3.1. Sulla natura e sull’inapplicabilità retroattiva della causa che
esclude il cumulo di responsabilità della persona fisica e giuridica. – 4. Le sanzioni applicabili
alle persone giuridiche: ammenda, confisca, dissoluzione, divieto di esercitare una determinata
attività, chiusura di uno o più stabilimenti. – 5. La responsabilità delle persone giuridiche
di diritto pubblico: l’esclusione espressa dalla responsabilità di Stato, regioni, comunità
locali, province, organi territoriali intra comunali, Commissione della comunità francese,
fiamminga e comune, centri pubblici d’aiuto sociale, poiché dotati di un organo direttamente
eletto secondo le regole democratiche. – 6. Il sistema sanzionatorio: inapplicabilità di talune
sanzioni nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico o delle persone giuridiche
che svolgono una attività di servizio pubblico. – 7. Le critiche della dottrina rispetto alle
argomentazioni addotte per legittimare il sistema di sostanziale irresponsabilità delle persone
giuridiche di diritto pubblico. – 7.1. Le critiche avanzate in relazione alla ratio dell’esclusione
degli enti pubblici dall’ambito di applicazione della responsabilità, ovvero l’esistenza al loro
interno di un organo democraticamente eletto. – 8. Le decisioni della Corte Costituzionale
belga sulla legittimità delle esclusioni dalla responsabilità penale degli enti pubblici. – 8.1. La
giustificazione della Corte Costituzionale dell’esclusione delle persone giuridiche di diritto
pubblico dotate di un organo democraticamente eletto, poiché soggetti sottoposti al controllo
politico. – 8.2. Le reazioni critiche della dottrina alla decisione della Corte Costituzionale. –
8.3. La dichiarazione di legittimità da parte della Corte Costituzionale della norma che limita
la responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico, anche con riferimento al regime
di responsabilità ad essa correlato delle persone fisiche. – 9. Conclusioni.

1. La responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento belga: evoluzione


storica.

La responsabilità penale delle persone giuridiche è stata introdotta in Belgio con


la legge n. 60 del 4 maggio del 1999 − entrata in vigore il 2 luglio dello stesso anno
− che ha modificato l’art. 5 del codice penale. Prima di allora solo i soggetti fisici
erano perseguibili penalmente191In linea di principio l’art. 5 c.p. prevede che anche
  A. Masset, La responsabilité pénale dans l’entreprise, in «Guide Juridique de l’entreprise», Titre xii,
191

Livre 119.3, éditions juridiques Belgique, Diegem 2001, 2e édition, p. 15-16 ricorda, tuttavia, che
188 E. Pavanello

le persone giuridiche di diritto pubblico siano perseguibili, salvo poi stabilire delle
eccezioni che limitano notevolmente la portata della regola generale. A mente del
quarto comma dell’art. 5 c.p. non possono, infatti, essere soggetti attivi del reato lo
Stato federale, le Regioni, le Comunità, le Province e, in generale, tutte le collettività
territoriali. La legge belga è quindi, sotto questo profilo, più restrittiva rispetto alle
legislazioni olandese e francese.
L’interesse allo studio del sistema de quo è tuttavia duplice e scaturisce, da un lato,
dall’analisi delle ragioni che hanno condotto il legislatore belga a limitare la respon-
sabilità solo a talune persone giuridiche di diritto pubblico e, dall’altro, dal fatto che
in due occasioni la Cour d’Arbitrage (Corte Costituzionale belga) ha avuto modo di
pronunciarsi sulla legittimità della norma.
Dopo aver delineato il meccanismo di funzionamento della responsabilità penale
delle persone giuridiche, si passerà a considerare la situazione peculiare delle persone
giuridiche di diritto pubblico e si analizzeranno, infine, le sentenze della Corte Co-
stituzionale cui si è fatto cenno.
Il regime di responsabilità cui sono state sottoposte le persone giuridiche ha
conosciuto nell’ordinamento belga, così come in altri ordinamenti, un’evoluzione
intrinsecamente legata alla mutata concezione di persona giuridica, prima conside-
rata unicamente una «finzione», poi considerata vero e proprio soggetto di diritto.
Inizialmente, infatti, la giurisprudenza, con argomentazioni condivise dalla dot-
trina, aveva ritenuto che societas delinquere non potest in ragione del fatto che le per-
sone giuridiche, non essendo dotate di autonoma volontà, non potevano porre in
essere gli illeciti penali per i quali sarebbe stato necessario accertare la sussistenza
dell’elemento soggettivo, espressione di una volontà libera e cosciente. Inoltre, ad
ostacolo ulteriore della perseguibilità penale dell’ente veniva invocato il principio
della personalità della pena192.
Successivamente, la giurisprudenza ha ammesso la possibilità che anche le perso-
ne giuridiche potessero porre in essere un illecito penale: societas delinquere potest, sed
puniri non potest193. Tuttavia, laddove si fosse accertato che l’ente, per il tramite di un
a fronte dell’impossibilità di punire direttamente le società per le infrazioni poste in essere dai loro
rappresentanti, il legislatore aveva previsto un regime che, di fatto, mirava in taluni casi a punire le
persone giuridiche. Ad esempio, erano previste la responsabilità civile delle società per il pagamento
delle sanzioni pecuniarie irrogate alle persone fisiche e la pubblicazione della sentenza di condanna
all’esterno dello stabilimento societario in cui era stata posta in essere l’infrazione.
192
  Per un’illustrazione delle ragioni a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche, si
confrontino J. Constant, La responsabilité pénale des personnes morales et de leur organs en droit belge, in
«Revue internationale de droit pénal», 1951, p. 597 ss. e S. Glaser, L’Etat en tant que personne morale
est-il pénalement responsabile?, in «Revue de droit pénal et de criminologie», 1949, p. 425 ss. il quale
tratta anche della problematica concernente l’eventuale responsabilità penale dello Stato per crimini
internazionali.
193
  Si confronti per l’evoluzione della posizione di dottrina e giurisprudenza sulla (ir)responsabilità
L’ordinamento belga 189

soggetto fisico, aveva posto in essere un illecito penale, solo la persona fisica veniva
punita. L’individuazione del soggetto fisico punibile era nella maggioranza delle ipo-
tesi demandata al giudice (cosiddetta imputazione giudiziale) il quale, partendo dagli
elementi del caso concreto, stabiliva quale soggetto fisico, organo di fatto o di diritto,
fosse responsabile per la violazione della legge penale (accertava quindi che lo stesso
avesse materialmente posto in essere la condotta illecita per conto della società o non
avesse fatto quanto in suo potere per evitare che l’illecito penale si verificasse). Solo
in taluni casi, invece, era la stessa legge a indicare il soggetto punibile. Ad esempio,
l’art. 81 della legge 4 agosto 1996 prevedeva la responsabilità del datore di lavoro, dei
suoi preposti o dei suoi mandatari per violazione delle norme relative alla salute dei
lavoratori all’interno dell’azienda194.
Il sistema così delineato, tuttavia, non consentiva di far fronte alla crescente cri-
minalità d’impresa di cui da più parti si denunciava la pericolosità. Il rischio era tra
l’altro di punire taluni soggetti fisici sulla base di un criterio oggettivo per fatti di cui
essi, al limite, non erano nemmeno a conoscenza.
Così, (anche) su sollecitazione della dottrina e sulla base delle indicazioni prove-
nienti dagli organismi internazionali (tra cui la raccomandazione n. 18 del Consiglio
d’Europa del 1988), è stata adottata la legge del 4 maggio 1999 (Loi instaurant la
responsabilité pénale des personnes morales)195.
La legge de qua ha modificato l’art. 5 del c.p. belga il quale prevede che:

Toute personne morale est pénalement responsable des infractions qui sont intrinsèque-
ment liées à la réalisation de son objet ou à la défense de ses intérêts, ou de celles dont les
faits concrets démontrent qu’elles ont été commises pour son compte.
penale delle persone giuridiche, tra gli altri, A. Masset, La responsabilité pénale dans l’entreprise, cit, p.
13-14; A. Masset, La loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales: une
extension du filet pénal modalisée, in «Journal des Tribunaux», 1999, p. 653 ss.; F. Lagasse, Manuel de
droit pénal social, Larcier, Bruxelles 2003, p. 92 ss., F. Roggen, Participation et imputabilité: l’application
de ces principes à l’épreuve de la responsabilité pénale des personnes morales, in Actualités de droit pénal et
procédure pénale, Editions du jeune Barreau de Bruxelles, Bruxelles 2001, p. 12 ss.; W. Cassiers, La
responsabilité pénale des personnes morales: une solution en trompe-l’œil?, in «Revue de droit pénale et de
criminologie», 1999, p. 823 ss.; F. Kefer, La responsabilité pénale de la personne morale: une réponse de
plus à la délinquence d’entreprise, in Roggen F., Schamps G., Le point de vue sur le droit pénal, cup, février
2000, p. 15 ss.
194
  Masset, La responsabilité pénale dans l’entreprise, cit., p. 14.
195
  La legge è stata adottata nonostante il parere contrario espresso in data 5 ottobre 1998 dal Consiglio
di Stato. La bibliografia sul punto è estesa. Si confrontino, tra gli altri, oltre ai contributi indicati sub
nota n. 193, P. Hamer, S. Romanello, La responsabilité des personnes morales, Kluwer éditions juridique
Belgique, Diegem 1999; M. Gollier, F. Lagasse, La responsabilité pénale des personnes morales: le point
sur la question après l’entrée en vigeur de la loi du 4 mai 1999, in «Chroniques de droit social», 1999,
p. 521 ss.; La responsabilité pénale des personnes morales en Belgique, sous la direction de M. Nihoul, La
Charte, Bruxelles 2005; J. Overath, M. Geron, C. Gheur, T. Matray, La responsabilité pénale des
personnes morales, Larcier, Bruxelles 2007.
190 E. Pavanello

Lorsque la responsabilité de la personne morale est engagée exclusivement en raison de


l’intervention d’une personne physique identifiée, seule la personne qui a commis la faute
la plus grave peut être condamnée. Si la personne physique identifiée a commis la faute
sciemment et volontairement, elle peut être condamnée en même temps que la personne
morale responsable.
Sont assimilées à la personne morale:
les associations momentanées et les associations en participation;
les sociétés visées à l’article 2, alinéa 3, des lois cordonnées sur les sociétés commer-
ciales, ainsi que les sociétés commerciales en formation;
les sociétés civiles qui n’ont pas pris la forme d’une société commerciale.
Ne peuvent pas être considérées comme des personnes morales responsables pénalement
pour l’application du présent article: l’Etat fédéral, les régions, les communautés, les pro-
vinces, l’agglomération bruxelloise, les communes, les zones pluricommunales, les organe
territoriaux intra-communaux, la Commission communautaire française, la Commission
communautaire flamande, la Commission communautaire commune et les centres pu-
blics d’aide sociale196.

Come è agevole intuire l’attenzione sarà dedicata in particolar modo alle previsio-
ni contenute nel quarto comma. Si ritiene tuttavia opportuno delineare in generale il
sistema di responsabilità configurato: il passaggio si rivela tra l’altro necessario al fine
di comprendere le ragioni che hanno dato origine alle questioni pregiudiziali avanti
alla Corte Costituzionale cui sopra si è fatto cenno.

2. L’ambito di applicazione della responsabilità e i criteri di attribuzione della condotta


alla persona giuridica.

Il sistema di responsabilità penale belga è generale per quanto concerne i reati che
possono essere posti in essere dalla persona giuridica, non esistendo alcuna limitazione
sul punto.
196
 Le persone giuridiche sono responsabili penalmente delle violazioni che sono strettamente connesse
alla realizzazione del loro oggetto o dei loro interessi, o di quelle i cui fatti concreti dimostrano che
sono commesse per loro conto. Quando la responsabilità della persona giuridica deriva esclusivamente
dell’intervento di una persona fisica identificata, solo il soggetto che ha posto in essere la condotta più
grave può essere condannato. Se la persona fisica ha posto in essere la violazione volontariamente e
consapevolmente, potrà essere condannata insieme alla persona giuridica. Sono assimilate alla persona
giuridica: le associazioni temporanee e le associazioni in partecipazione, le società previste dall’art. 2,
comma 3, delle leggi sulle società commerciali, così come le società commerciali in via di costituzione.
Non possono essere considerate persone giuridiche responsabili penalmente per l’applicazione di questo
articolo: lo Stato federale, le Regioni, le Comunità, le Province, l’agglomerato di Bruxelles, i Comuni,
le zona pluricomunali, gli Organi Territoriali intra comunali, la Commissione della comunità francese,
la Commissione della comunità fiamminga, la Commissione comune alle comunità, i centri pubblici
di aiuto sociale.
L’ordinamento belga 191

Quanto ai soggetti attivi del reato, la nozione penalistica di persona giuridica


include oltre agli enti dotati di personalità giuridica anche altri soggetti collettivi che,
pur non disponendo del riconoscimento giuridico, sono stati inclusi nell’elencazione
dell’art. 5. La parificazione delle due categorie di soggetti non è, tuttavia, totale in
quanto non sono inclusi nella nozione di persona giuridica le associazioni senza
scopo di lucro in formazione e alcune associazioni di fatto, come i sindacati e i partiti
politici197.
A differenza di quanto è avvenuto in altri ordinamenti, il legislatore belga non
ha individuato i soggetti fisici in grado di impegnare la responsabilità della persona
giuridica198, con la conseguenza che, al fine di attribuire un fatto di reato all’ente
stesso, sarà necessario che la condotta gli sia ascrivibile sotto il profilo oggettivo e
soggettivo199.
Il codice penale indica al comma 2, in via alternativa, i criteri oggettivi di impu-
tazione della condotta alla persona giuridica. La violazione della legge penale le sarà
attribuibile se (i) intrinsecamente legata alla realizzazione dell’oggetto sociale della
persona giuridica o (ii) alla difesa dei propri interessi o se (iii) i fatti concreti dimo-
strino che essa è stata posta in essere per suo conto. I criteri citati non danno luogo a
particolari problemi interpretativi ed escludono sostanzialmente che siano attribuibi-
li alla persona giuridica i fatti di reato posti in essere dalla persona fisica che ha agito
all’interno dell’ente giovandosi del quadro istituzionale in cui operava per porre in
197
  C. Hennau, J. Verhaegen, Droit pénal général, Bruylant, Bruxelles 20033, p. 291. Criticamente
Kefer, La responsabilité pénale de la personne morale: une réponse de plus à la délinquence d’entreprise,
cit., p. 30 rileva che detta distinzione di trattamento all’interno delle persone giuridiche che non sono
dotate di personalità è difficile da giustificare alla luce dei principi costituzionali di eguaglianza e non
discriminazione. Il rilievo è tanto più pertinente laddove si guardi alle motivazioni contenute nella
relazione alla legge di riforma, in cui si precisa che l’assimilazione parziale degli enti non dotati di
personalità alle persone giuridiche è dovuta alla volontà di evitare possibili discriminazioni nel trattamento
delle diverse persone giuridiche. Si confronti la relazione presentata dalla Commissione Giustizia
Exposé des motifs, Doc. Parl., Sénat, s.o. 1998-99, 1-1217/6 (in seguito Rapporto 1217/6), par 1.1.
198
  Rapporto 1217/6, par. 1.2.: la scelta è stata determinata dal fatto che l’elencazione tassativa dei
soggetti fisici avrebbe potuto risultare limitativa, poiché, da un punto di vista pratico, avrebbe consentito
a tali soggetti di eludere la responsabilità, nella misura in cui essi evitano di prendere formalmente parte
alle decisioni aventi carattere illecito.
199
  A. Misonne, Le concours de responsabilités, in La responsabilité pénale des personnes morales en Belgique,
cit., p. 89 ritiene che il legislatore belga abbia optato per una responsabilità intermedia tra il sistema
francese – in cui vengono espressamente elencate le persone fisiche in grado di impegnare la responsabilità
delle persone giuridiche – e il sistema olandese – in cui invece il legislatore si è limitato a sancire che le
persone giuridiche sono responsabili penalmente al pari delle persone fisiche e la determinazione dei
criteri attraverso cui individuare i soggetti fisici che impegnano la responsabilità della persona giuridica
è stata demandata all’individuazione della giurisprudenza. A parere di B. Gervasoni, La loi du 4 mai
1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales: incidences en droit de l’environnement, in
«Aménagement Environnement», 2003, p. 206, il legislatore ha in questo modo evitato il rischio di
punire la persona fisica semplicemente per la posizione che essa riveste nell’ambito dell’ente.
192 E. Pavanello

essere una violazione della legge penale nel proprio esclusivo interesse. Criticamente
vi è chi ha rilevato che l’ipotesi dell’infrazione posta in essere per il conseguimento
dell’oggetto sociale della persona giuridica, sarà di limitata applicazione in quanto
è difficilmente ipotizzabile che un ente ponga espressamente tra i propri obiettivi
istituzionali attività a carattere illecito200.
La legge nulla dice, invece, quanto all’elemento soggettivo che deve essere ac-
certato in capo alla persona giuridica. Nel corso dei lavori preparatori si è ritenu-
to trattarsi di una questione di fatto che deve essere lasciata alla libera valutazione
del giudice e, in particolare, «il devra être établi soit que la réalisation de l’infraction
découle d’une décision intentionnelle prise dans le chef de la personne morale, soit qu’elle
provient par un lien de causalité déterminé, d’une négligence dans le chef de la personne
morale»201. Gli esempi che vengono addotti per illustrare il principio sono l’esistenza
di un deficit nell’organizzazione interna o di tagli al budget che creano le condizioni
per la realizzazione del reato.
Parte della dottrina belga si è mostrata scettica nei confronti di una simile soluzio-
ne che presuppone l’accertamento di una volontà distinta in capo alla persona giu-
ridica: secondo questo approccio, infatti, la persona giuridica non sarebbe capace di
esprimere detta volontà se non per il tramite dei soggetti fisici che la compongono202.
A ben vedere, tuttavia, i lavori preparatori sembrano contraddire l’impostazione
«antropomorfica». Infatti in tale sede si è sostenuta la necessità di verificare oltre all’e-
sistenza dell’elemento soggettivo in capo alla persona giuridica secondo le modalità
illustrate, anche di fornire la prova dell’elemento soggettivo della colpa o del dolo in
capo alle autorità dirigenti della persona giuridica quando la violazione commessa sia
intenzionale203. Il che sembra voler dire che sarà sempre necessario verificare anche
l’elemento soggettivo che ha animato la persona fisica che materialmente ha posto in
essere la condotta.

200
  Lagasse, Manuel de droit pénal social, cit., p. 96. Secondo Misonne, Le concours de responsabilités,
cit., p. 92, non sarà sufficiente guardare allo scopo sociale dichiarato nello statuto, ma occorrerà prendere
in considerazione anche lo scopo realmente perseguito dalla persona giuridica: solo in questo modo il
disposto avrà un reale significato e si eviterà che sia la persona giuridica a determinare la misura in cui la
stessa è responsabile penalmente.
201
  Rapporto 1217/6, par. 1.3.
202
  Per un’illustrazione delle posizioni dottrinali sull’imputazione soggettiva della condotta alla persona
giuridica, si confronti Hamer, Romanello, La responsabilité des personnes morales, cit., p. 6-12. Misonne,
Le concours de responsabilités, cit., p. 133 ritiene che la difficoltà maggiore presentata dalla legge del
1999 è proprio la logica antropomorfica adottata dal legislatore, atteso che è difficile concepire che una
persona giuridica possa agire senza l’intervento e la volontà delle persone fisiche che ne fanno parte.
203
  Rapporto 1217/6, par. 1.3.
L’ordinamento belga 193

3. La responsabilità concorrente della persona fisica e della persona giuridica.

Il sistema belga prevede la responsabilità concorrente di persona fisica e giuridica


solo in via residuale, unicamente nell’ipotesi in cui la responsabilità dell’ente sia stata
determinata dall’intervento di una persona fisica individuata. La scelta, secondo
quanto indicato nella relazione legislativa, è stata determinata dalla volontà di
evitare che il soggetto fisico possa giovarsi dello «schermo» dell’ente per compiere
qualsivoglia attività illecita nel proprio interesse.
Il secondo comma dell’art. 5 c.p. indica, con una previsione considerata
inutilmente complicata, entro che limiti detto cumulo operi. Sarà innanzitutto
necessario individuare la persona fisica all’interno dell’ente che ha posto in essere
la condotta illecita e accertare che il reato si è prodotto esclusivamente in ragione
del suo intervento. In presenza di siffatte condizioni occorrerà valutare se la persona
fisica abbia agito sciemment et volontairement. In caso affermativo, essa potrà essere
condannata unitamente alla persona giuridica (non vi è comunque da parte del
giudice un obbligo di procedere anche nei confronti del soggetto fisico, essendo la
valutazione demandata alla sua decisione discrezionale); nel caso in cui, invece, la
condotta illecita non sia stata posta in essere sciemment et volontairement, il giudice
dovrà condannare alternativamente la persona (fisica o giuridica) che ha posto in
essere la faute la plus grave.
La previsione legislativa mette in evidenza alcune problematiche interpretative.
Innanzitutto, prevede come condizione perché non operi la regola del cumulo di
responsabilità il fatto che l’illecito sia stato determinato esclusivamente dall’intervento
della persona fisica. Ad interpretare letteralmente la norma sembrerebbe doversi
intendere che, a fronte di un’infrazione alla legge penale dovuta unicamente alla
condotta illecita della persona fisica, ne risponde anche la persona giuridica o
addirittura solo la persona giuridica qualora venga accertato che essa ha posto in
essere la colpa più grave. Il che parrebbe privo di significato perché se l’illecito è
dovuto esclusivamente alla condotta della persona fisica, non sarà possibile accertare
una faute plus grave in capo alla persona giuridica204: esiste infatti una contraddizione
204
  In questo senso, Masset, La loi du 4 mai 1999, cit., p. 656; L. Bihain, Responsabilité pénale des
personnes morales: présentation synthetique, in «Revue de jurisprudence de Liège, Mons et Bruxelles»,
n. 10, 2001 p. 2; Roggen, Participation et imputabilité: l’application de ces principes à l’épreuve de
la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 16 e Hamer, Romanello, La responsabilité des
personnes morales, cit., pp. 22 ss., i quali si chiedono se l’inserimento del termine esclusivamente non
abbia svuotato di significato la stessa regola del non cumulo, atteso che i casi di responsabilità penale
della persona giuridica esclusivamente dovuti all’intervento della persona fisica sono assai rari. Sul
fronte giurisprudenziale, la Corte d’Appello di Gand con sentenza del 5 settembre 2001 n. 1803 –
che ha rilevato l’esistenza di detta contraddizione in termini e la difficoltà di giungere a una soluzione
coerente – ha affermato che se vi è stato l’intervento esclusivo da parte della persona fisica, deve ritenersi
che la stessa ha posto in essere la faute la plus grave, considerato che non vi sono altre condotte colpose
194 E. Pavanello

tra il concetto di intervento esclusivo e quello di responsabilità concorrente dei


soggetti, l’uno escludendo in linea di principio l’altra205.
L’unica interpretazione possibile per non «svuotare» di significato la norma −
eccettuata l’ipotesi di omettere il termine «esclusivamente» dalla lettura del disposto
in quanto ciò sarebbe contrario ai principi di interpretazione stretta del diritto penale
− resta quella di attribuire significati distinti alla nozione di «intervention» e «faute»:
il primo dovrà essere inteso come il compimento di un’azione determinata, mentre il
secondo come l’elemento soggettivo richiesto per la realizzazione di un’infrazione. In
questo modo il concorso di responsabilità si verificherà unicamente nell’ipotesi in cui
le condotte colpose della persona fisica e della persona giuridica si sono manifestate
attraverso l’intervento esclusivo (condotta) della persona fisica206.
Altro punto critico della disposizione è la mancata individuazione del significato
della faute la plus grave. La dottrina è pressoché concorde nel ritenere che si faccia
riferimento alla condotta che ha avuto un ruolo di maggior rilievo nella realizzazione
del reato207. Quanto ai criteri cui il giudice deve attenersi per valutare quale delle
due condotte sia stata maggiormente determinante nella realizzazione del reato, la
giurisprudenza ha tenuto in considerazione il criterio della funzione esercitata in
concreto dal soggetto, con la conseguenza che più elevata sarà la posizione gerarchica
rivestita dallo stesso, più grave sarà la sua faute.
In terzo luogo, controversa è la nozione di condotta posta in essere dalla persona
fisica sciemment et volontairement. Secondo quanto potrebbe dedursi dalla relazione
accompagnatoria alla legge, l’espressione fa riferimento alla distinzione tra infrazioni
volontarie (ovvero dolose) e non, cosicché il concorso di responsabilità tra persona
fisica e giuridica potrebbe verificarsi solo laddove fossimo in presenza di un’infraction
intentionnelle208. Preliminare alla valutazione del possibile concorso di responsabilità
cui comparare quella della persona fisica.
205
 Va precisato che l’avverbio «esclusivamente» non era presente nel testo in origine sottoposto alla
Commissione giustizia del Senato: la responsabilità della persona fisica e della persona giuridica potevano
sussistere contemporaneamente nel caso in cui la condotta illecita fosse stata posta in essere da parte di
una persona fisica individuata.
206
  Sul punto si confronti Misonne, Le concours de responsabilités, cit., p. 110.
207
  In questo senso depone anche il Sénat de Belgique, session de 1998-99, 1217/1 (in seguito Rapporto
1217/1) par. 1.4. in cui si legge «il appartiendra au juge de vérifier au cas par cas laquelle de la responsabilité
de la personne morale ou de la personne physique est déterminante».
208
  Si confronti Rapporto 1217/1, par. 1.4., secondo cui «contrairement à ce que le Conseil d’État semble
affirmer dans son avis, l’exclusion du cumul des responsabilités ne concerne que les délits commis avec la
négligence comme élément intentionnel. Le point de départ est par conséquent la qualification légale de
l’infraction». Per comprendere quanto indicato nella relazione è necessario tenere a mente che nel diritto
penale belga normalmente si distingue tra infrazioni intentionnelles e non intentionnelles. Le prime sono
quelle poste in essere da parte del soggetto con cognizione di causa e con la volontà di violare la legge
penale − dolo diretto − o quantomeno accettando il rischio di violare la legge penale − dolo eventuale
– (quella del dolo è la regola per le infrazioni contenute nel codice penale); nelle seconde è sufficiente,
L’ordinamento belga 195

sarebbe quindi la qualificazione legale dell’infrazione: solo in caso di infrazioni dolose


sarebbe possibile il cumulo di responsabilità tra persona fisica e giuridica, sempre che
il giudice lo ritenga opportuno (seconda parte del secondo comma dell’art. 5 c.p.); nel
caso di infrazioni colpose, invece, si procederà alla punizione del solo soggetto che ha
posto in essere la condotta che ha svolto un ruolo preponderante nella realizzazione
del reato (prima parte del secondo comma dell’art. 5 c.p.).
Tuttavia, a ben vedere, così come rilevato dalla dottrina maggioritaria, il dettato
legislativo non risponde a questo intento, atteso che il concetto di sciemment et
volontairement non corrisponde appieno alla nozione di dolo e che anche le infrazioni
cosiddette regolamentari − quindi non intentionnelles − possono essere realizzate
con coscienza e volontà209. In questo senso si è orientata anche la giurisprudenza
maggioritaria, la quale ha chiarito che per determinare se sia possibile o meno applicare
il cumulo, sarà necessario guardare allo stato d’animo del soggetto e verificare in
concreto se egli abbia agito con coscienza e volontà210. È possibile concludere che
se il legislatore, al di là di quanto indicato nella relazione preparatoria, avesse voluto
fare riferimento alla distinzione tra infrazioni intenzionali e non, avrebbe dovuto
utilizzare una terminologia diversa.
Da segnalare, tuttavia, che le difficoltà interpretative cui si è fatto cenno hanno
condotto lo stesso legislatore a proporre l’abrogazione dell’art. 5, comma 2, con il
progetto di legge n. 51 del 19 febbraio 2007211. La proposta di abrogazione è stata
invece, l’elemento soggettivo della colpa (per le infrazioni non previste nel codice penale, in mancanza
di indicazioni espresse, l’elemento soggettivo richiesto è di regola la colpa). Parte della dottrina distingue
un’ulteriore categoria di infrazioni (da collocare comunque all’interno di quelle non intentionnelles) dette
materiali o regolamentari: per queste ultime sarebbe sufficiente la semplice constatazione che vi è stata
violazione della norma per rendere punibile il soggetto, a prescindere dalla dimostrazione dell’elemento
soggettivo. Altra parte della dottrina e la giurisprudenza ritengono che anche in questa ipotesi, in virtù
delle regole generali che presiedono al diritto penale, non possa esistere una responsabilità oggettiva: è
dunque necessario ricercare l’elemento soggettivo in capo al soggetto agente che si potrà concretare nel
dolo o nella colpa. Sul punto si vedano Misonne, Le concours de responsabilités, cit., p. 147 ss. e Kefer,
La responsabilité pénale de l’entreprise et le droit social, cit., p. 26.
209
  Roggen, Participation et imputabilité: l’application de ces principes à l’épreuve de la responsabilité pénale
des personnes morales, cit., p. 15; Kefer, La responsabilité pénale de l’entreprise et le droit social, cit., p. 26
e Masset, La responsabilité, cit., p. 22 ss. Depongono nel senso della non coincidenza della nozione di
sciemment et volontairement con la nozione di dolo, anche le indicazioni fornite dal Ministero della
Giustizia il quale, citando un esempio concreto sul punto, ha rilevato come pure il reato di scarico delle
acque possa essere posto in essere sciemment et volontairement nonostante la fattispecie non richieda il
dolo come elemento soggettivo dell’infrazione. L’esempio è contenuto nel Rapporto 1217/6, par. 23 e 24.
210
  Si confronti Corte di Cassazione 4 marzo 2003, rinvenibile nel sito <http://www.projuop.cit.be/
Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>, la quale ha sostenuto che il cumulo di responsabilità può applicarsi
tanto nel caso di infrazioni intenzionali quanto nel caso di infrazioni non intenzionali. Analogamente
e più di recente, Cassation Criminelle, 7 settembre 2004, in «Pasicrisie Belge», i, 2004, p. 1263.
211
  Il progetto n. 51 2929/001 è rinevibile nel sito della Camera <http://www.dekamer.be/kvvcr/index.
cfm?language=fr.>. Cfr. F. Lugentz, O. Klees, Le point sur la responsabilité pénale des personnes morales,
196 E. Pavanello

giustificata per il fatto che è contraddittorio prevedere la responsabilità autonoma della


persona giuridica e nel contempo che detta responsabilità consegua esclusivamente
all’intervento di una persona fisica determinata. Tuttavia allo stato la proposta
legislativa non è stata approvata.

3.1. Sulla natura e sull’inapplicabilità retroattiva della causa che esclude il cumulo di
responsabilità della persona fisica e giuridica.

La dottrina belga ha qualificato come una causa d’excuse absolutoire, ovvero una
circostanza che lascia sussistere il carattere delittuoso dei fatti e che ha come unica
conseguenza di escludere l’applicazione della pena, il meccanismo attraverso cui viene
esclusa la responsabilità penale della persona fisica nel caso in cui essa non abbia posto
in essere la faute la plus grave212.
Nonostante detta qualificazione, le giurisdizioni di merito hanno ritenuto, nella
maggior parte dei casi, di assolvere l’imputato persona fisica o addirittura di dichiarare
l’azione non procedibile nei suoi confronti, utilizzando quindi formule assolutorie
che mal si conciliano con una causa di esenzione da pena213.
La Corte di Cassazione in una sentenza del 3 ottobre 2000 ha avallato la tesi della
causa di non punibilità e ha in particolare sostenuto che «l’article 5, alinéa 1er et 2, du
Code pénal, crée, dans le cas visé par le préambule du deuxième alinéa, une cause d’excuse
absolutoire applicable, lorsqu’une infraction a été commise tant par une personne physique
que par une personne morale, à celle de ces deux personnes ayant commis la faute la moins
grave»214.
in «Revue de droit pénal et de criminologie», 2008, p. 190 ss. per un’analisi delle principali pronunce
giurisprudenziali e della proposta di modifica al codice penale del 2007.
212
  Misonne, Le concours de responsabilités, cit., p. 150 e Kefer, La responsabilité pénale de l’entreprise
et le droit social, cit., p. 25. Si tratta di quelle cause di esenzione da pena, le quali lasciano sussistere sia
l’antigiuridicità del fatto sia la colpevolezza del soggetto agente e sono previste dal legislatore per ragioni
di opportunità.
213
  Si veda sul punto Tribunale Turnhout, sentenza dell’8 gennaio 2001 inedita e citata da Misonne,
Le concours de responsabilités, cit., p. 150. Occorre considerare che, in presenza di una causa di excuse
absolutoire, il giudice dovrebbe comunque accertare la colpevolezza del soggetto anche se non potrebbe
poi procedere all’applicazione della pena. Da un punto di vista risarcitorio questo meccanismo è molto
importante perché consente alla vittima di rivalersi nei confronti dell’autore del reato, il quale resta
responsabile civilmente dell’illecito.
214
  Corte di Cassazione 3 ottobre 2000, rinvenibile nel sito <http://www.projuop.cit.be/Colloques_
JpRPPM-Class.chrono.htm>. Si confronti sul punto anche L. Bihain, Responsabilité pénale des personnes
morales petite synthèse cinq ans après l’entrée en vigeur, in «Revue de jurisprudence de Liège, Mons et
Bruxelles», n. 40, 2004, p. 1762.
L’ordinamento belga 197

Con riferimento a questo specifico aspetto della norma ci si è interrogati sulla


sua eventuale applicabilità retroattiva, in quanto legge penale più favorevole215.
Infatti, mentre l’introduzione della responsabilità penale della persona giuridica è
sicuramente legge più severa rispetto al passato e, quindi, in quanto tale, essa non è
applicabile retroattivamente, più controversa risulta invece la posizione delle persone
fisiche. Queste ultime sono punibili solo nel caso in cui abbiano agito sciemment et
volontairement; ove ciò non avvenga, ovvero qualora abbiano agito senza coscienza
e volontà, esse possono essere punite solo se è dimostrato che hanno commesso la
faute la plus grave rispetto alla persona giuridica. La nuova disposizione determina un
trattamento più favorevole delle persone fisiche rispetto al passato.
Parte della dottrina ha invocato l’applicazione del disposto con riferimento a
questo specifico aspetto anche per i casi anteriori all’entrata in vigore della legge,
sostenendo che in questo modo le persone fisiche avrebbero potuto beneficiare di un
trattamento più favorevole216.
La giurisprudenza ha però propeso per la soluzione negativa. In particolare, la
Corte di Cassazione, già nella sentenza del 3 ottobre 2000, ha sostenuto che la causa
di non punibilità può applicarsi unicamente sotto il vigore della legge del 1999 atteso
che «il ressort de la circonstance que la loi associe la cause d’excuse absolutoire au fait
que la personne morale puisse être sanctionnée, que l’objectif poursuivi par la nouvelle
disposition légale n’était incontestablement pas que cette cause exclusive de peine puisse être
applicable aux infractions commises sous l’empire de l’ancienne loi, mais uniquement à
celles qui auraient été commises après l’entrée en vigueur de la nouvelle loi».
L’orientamento è stato confermato anche da una successiva sentenza della
Suprema Corte, in cui i giudici hanno rilevato la compatibilità dell’irretroattività
del disposto, oltre che con le regole sancite all’art. 2 del codice penale belga, anche
con i principi contenuti nell’articolo 15 del Patto internazionale dei diritti civili e
politici (che riconosce il principio di retroattività della norma penale più favorevole
a livello internazionale) e nell’art. 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo
(che sancisce il principio del nulla poena sine lege), invocate a sostegno della diversa
tesi dell’applicabilità retroattiva. La Corte ha ritenuto che la causa di non punibilità
non sia indice della volontà del legislatore di eliminare l’illiceità della condotta
della persona fisica, ma sia dettata da una semplice valutazione di opportunità, in
considerazione della possibilità di perseguire la persona giuridica: per tale ragione non
215
  Ai sensi dell’art. 2 del codice penale belga, infatti, «nulle infraction ne peut être punie de peines qui
n’étaient pas portées par la loi avant que l’infraction fut commise. Si la peine établie au temps du jugement
diffère de celle qui était portée au temps de l’infraction, la peine la moins forte sera appliquée».
216
  Kefer, La responsabilité pénale de l’entreprise et le droit social, in Les sociétés bientôt punissables,
Bruylant, Bruxelles 1999, p. 198-199.
198 E. Pavanello

è possibile sostenerne l’efficacia retroattiva perché ciò significherebbe, al contrario,


lasciare impunita l’azione illecita del soggetto fisico217.
La questione è giunta poi al vaglio della Corte Costituzionale cui è stato chiesto di
valutare la compatibilità dell’irretroattività del secondo comma dell’art. 5 c.p. con gli
articoli 10 e 11 della Costituzione belga218, che sanciscono il principio di eguaglianza,
nonché con le norme internazionali sopra citate.
L’organo di giustizia costituzionale ha rigettato la questione ritenendo che «la
personne physique qui est poursuivie pour des infractions commises, ni sciemment ni
volontairement, avant l’entrée en vigueur de la loi du 4 mai 1999, et qui ne peut bénéficier
de la même cause exclusive de peine, se trouve dans une situation qui ne permet pas de
la comparer à la personne dont la situation est décrite en B.5.1 (ovvero, quella successiva
all’introduzione della legge del 1999). Il serait illogique pour la Cour d’examiner si le
législateur ne viole pas le principe d’égalité en refusant à la personne physique, alors qu’elle
est seule punissable, une cause exclusive de peine qui n’a de sens que parce qu’il a instauré
un concours de responsabilités»219.
La questione dell’eventuale applicabilità retroattiva della norma è quindi stata
definitivamente risolta in senso negativo, sulla base della considerazione che la causa di
esclusione trova la propria ragione d’essere solo in correlazione alla responsabilità degli enti.

4. Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche: ammenda, confisca, dissoluzione,


divieto di esercitare una determinata attività, chiusura di uno o più stabilimenti

Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche sono regolate dall’art. 7 bis del codi-
ce penale, il quale distingue le pene a seconda del tipo di violazione cui afferiscono. Il
217
  Corte di Cassazione 11 dicembre 2000, rinvenibile nel sito <http://www.projuop. cit.be/Colloques_
JpRPPM-Class.chrono.htm>. Successivamente un’ulteriore conferma del principio di irretroattività
della causa di non punibilità è venuta dalla sentenza della Cassazione del 19 novembre 2003 rinvenibile
anch’essa nel sito <http://www.projuop. cit.be/Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>.
218
  L’art. 10 della Costituzione belga prevede: «(1) Nello Stato non vi è alcuna distinzione di ordini. (2)
I belgi sono uguali davanti alla legge; soltanto essi possono venire ammessi agli impieghi civili e militari,
salvo le eccezioni che possono essere stabilite da una legge in casi particolari». L’art. 11 prevede: «Il
godimento della libertà e dei diritti riconosciuti ai belgi deve essere assicurato senza discriminazione. A
tal fine, la legge e i decreti garantiscono in particolare i diritti e le libertà delle minoranze ideologiche
e filosofiche». La Cour d’Arbitrage nel proprio giudizio ha lo scopo di verificare se le disposizioni
sottoposte al suo vaglio siano conformi alle norme della Costituzione. Per reperire la traduzione italiana
della Costituzione belga nonché un commento al testo costituzionale, si confronti Le Costituzioni dei
Paesi dell’Unione Europea, a cura di E. Palici di Suni Prat, F. Cassella, M. Comba, seconda ed., cedam,
Padova 2001.
219
  Cour d’Arbitrage, decisione n. 99 del 2 luglio 2003 rinvenibile nel sito <http://www.projuop. cit.be/
Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>.
L’ordinamento belga 199

disposto prevede, infatti, l’applicazione per tutte le infrazioni della legge penale (siano
esse crimini, delitti o contravvenzioni) dell’ammenda e della confisca.
L’ammenda è la pena principale con riferimento alle persone giuridiche: la de-
terminazione della misura in cui essa deve essere irrogata − fatte salve ovviamente le
ipotesi in cui la violazione della legge penale da parte della persona fisica sia anch’essa
sanzionata con l’ammenda − è regolata dall’art. 41 bis, il quale fissa i tassi di conver-
sione delle altre pene alla sanzione pecuniaria.
Quanto alla confisca, si tratta di una sanzione accessoria di natura patrimoniale
che priva la persona condannata del vantaggio tratto dalla propria attività illecita.
Essa può riguardare sia le cose che hanno costituito oggetto della violazione della
legge penale, sia quelle che sono servite o che sono state destinate alla commissione
del reato quando la proprietà delle stesse appartenga al condannato. In queste ipotesi
la confisca trova una limitazione con riferimento alle persone giuridiche di diritto
pubblico, atteso che non sono suscettibili di confisca i beni che non possono essere
sottoposti ad esecuzione forzata ai sensi dell’art. 1412 bis del codice di procedura (su
cui in particolare infra). Oltre a ciò, la confisca può anche avere ad oggetto le cose
che sono il prodotto della violazione della legge penale (ad esempio, dei biglietti falsi
fabbricati da un falsario) nonché i vantaggi patrimoniali tratti dalla violazione della
legge penale: in questa ipotesi la sanzione accessoria non trova limitazioni con riferi-
mento alle persone giuridiche di diritto pubblico.
L’art. 7 bis elenca poi altre sanzioni accessorie, le quali possono trovare applicazio-
ne solo in ipotesi di crimini o delitti: trattasi in particolare della dissoluzione, che non
potrà essere pronunciata nei confronti di persone giuridiche di diritto pubblico, del
divieto di esercitare un’attività che abbia a che vedere con l’oggetto sociale, ad eccezio-
ne delle attività che vengono in rilievo con riferimento ad un servizio pubblico, della
chiusura di uno o più stabilimenti, ad eccezione di quelli ove si svolgono attività che
rilevano per il servizio pubblico e della pubblicazione o della diffusione delle sentenze.
Allo stato attuale, nonostante la legge di riforma ne avesse previsto la creazione,
non esiste ancora un casellario giudiziario delle persone giuridiche analogo a quello
esistente per le persone fisiche.
200 E. Pavanello

5. La responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico: l’esclusione espressa


dalla responsabilità di Stato, regioni, comunità locali, province, organi territoriali
infra comunali, Commissione della comunità francese, fiamminga e comune, centri
pubblici d’aiuto sociale, poiché dotati di un organo direttamente eletto secondo le regole
democratiche.

L’articolo 5 del codice penale conia una nozione «penalistica» di persona giuri-
dica che differisce rispetto a quella civilistica220 poiché, da un lato, include anche
le persone giuridiche che non sono dotate di personalità e, dall’altro, esclude dalla
nozione di persona responsabile determinati enti collettivi pubblici in virtù del fat-
to, come indicato nella relazione accompagnatoria alla legge, che essi dispongono di
un organo direttamente eletto secondo regole democratiche221. Le esclusioni riguardano
espressamente lo Stato federale, le Regioni, le Comunità, le province, l’agglomera-
zione di Bruxelles, i Comuni, gli organi territoriali intercomunali, la Commissione
della comunità fiamminga, la Commissione della comunità francese, la Commis-
sione comune delle comunità e i centri pubblici di aiuto sociale (cosiddetti cpas)222.
Il fondamento dell’esclusione − ancorché esso non venga esplicitato dal legislato-
re − è da rinvenirsi nel fatto che se la persona giuridica è dotata di un organo eletto
dai cittadini, essa è soggetta ad un controllo politico il quale rende superfluo − pare
doversi ritenere − ogni eventuale controllo penale sul suo operato.
Il legislatore belga non si è tuttavia limitato ad escludere alcune persone giuri-
diche di diritto pubblico dal novero dei soggetti responsabili, ma ha anche previsto
che non trovino applicazione determinate sanzioni nei confronti di soggetti di dirit-
220
  M. Nihoul, Le champ d’application, in La responsabilité pénale des personnes morales en Belgique,
cit., p. 25 parla di phénomène de marée in quanto la legge include nella nozione «penalistica» di persona
giuridica gruppi che non sono dotati di personalità e, in compenso, deposita sull’argine dell’immunità
una categoria privilegiata di soggetti collettivi. A suo parere la differenziazione di trattamento tra
persone giuridiche di diritto privato e pubblico non è giustificabile.
221
  Si confronti sul punto il Rapporto 1217/6 par. 1.1. Con l’art. 133 della legge del 26 aprile 2002,
nell’elenco dei soggetti esclusi sono state aggiunte anche le zones pluricommunales.
222
  L’esclusione degli organi territoriali intercomunali è stata introdotta a seguito di un emendamento
proposto dal senatore Erdman, in ragione del fatto che «l’article 41 de la Constitution prévoit la possibilité
de créer des organes territoriaux intracommunaux. Le texte exclut les communes et les centres publics d’aide
sociale, il faut aussi exclure les organes en question». Si confronti Sénat de Belgique, session 1998-99, 20
janvier 1999, n. 1 1217/2, amendements. Critico rispetto all’introduzione di tale emendamento, S.van
Garsse, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, in «Chroniques de
droit public», n. 4, 2000, p. 350, il quale ha ritenuto che al legislatore deve essere sfuggito che detti
organi non sono a rigori delle persone giuridiche di diritto pubblico dotate di autonoma personalità
bensì dei distretti intercomunali parti integranti dei Comuni stessi.
Successivamente, con l’art. 133 della legge del 26 aprile 2002, nell’elenco dei soggetti esclusi sono state
aggiunte anche le zones pluricommunales.
L’ordinamento belga 201

to pubblico o di soggetti che, indipendentemente dalla loro natura pubblica o priva-


ta, svolgono attività di natura pubblica (su questo specifico aspetto si veda infra)223.
Il fatto che gli enti non dotati della personalità giuridica penale siano esenti da
responsabilità, non esclude che le persone fisiche che hanno agito al loro interno
possano essere perseguite penalmente secondo i normali criteri di responsabilità224.
Al di là della «opportunità» di utilizzare il criterio dell’organo democraticamente
eletto per individuare le persone giuridiche di diritto pubblico che non sono per-
seguibili − su cui come si vedrà nel prossimo paragrafo si è espressa in modo assai
critico la dottrina belga − si possono avanzare dubbi circa l’effettiva coerenza tra
il criterio individuato e le persone che sono state escluse. Già nel corso dei lavori
preparatori si è rilevato, ad esempio, che solo pochi centri di aiuto sociale225 sono
dotati di un organo democraticamente eletto ma, nonostante ciò, non sono perse-
guibili penalmente. Per tale ragione era stato proposto un emendamento volto a cir-
coscrivere l’irresponsabilità penale ai soli centri di aiuto dotati di un organo eletto;
tuttavia, si è poi ritenuto che ciò avrebbe determinato una discriminazione di tratta-
mento non giustificabile tra i diversi centri e, conseguentemente, si è proceduto ad
escludere l’intera categoria dall’ambito di applicazione della responsabilità penale226.

223
  Si confronti Rapport de la Commission de Justice, Doc. Parl., Camera sess. Ord., 1998-1999, 2093/5-
98/99 (in seguito Rapporto 2093/5), 28. Come ricordano Hamer, Romanello, La responsabilité des
personnes morales, cit., p. 33, nel corso dei lavori preparatori era stato proposto di applicare lo stesso
regime sanzionatorio agevolato a tutte le persone giuridiche che svolgono attività attinenti al servizio
pubblico: tuttavia, si è ritenuto che ciò avrebbe dato spazio ad abusi da parte delle associazioni criminali
le quali, per beneficiare di detto regime sanzionatorio, avrebbero posto tra i loro obiettivi istituzionali il
perseguimento di attività di servizio pubblico.
224
  Sul punto si veda in particolare la legge n. 85 del 4 maggio 1999, entrata in vigore il successivo
7 agosto, relativa alla responsabilità civile e penale di sindaci, assessori, membri della délégation
permanente. La legge prevede che nel caso in cui dette persone fisiche debbano rispondere civilmente
o penalmente del proprio operato, esse possono chiamare in causa il Comune o lo Stato (a seconda
che abbiano agito in qualità di organo dello Stato o in qualità di organo comunale), i quali saranno
considerati civilmente responsabili per il reato posto in essere dalla persona fisica. Lo scopo della norma
è evidentemente quello di assicurare che le vittime del reato verranno adeguatamente compensate sotto
il profilo risarcitorio. Per un commento alla normativa, si confrontino A. Masset, La loi du 4 mai
1999 relative à la responsabilité civile et pénale des bourgemestres, échevins et membres de la diputation
permanente, in «Le point de vue sur le droit pénal», febbraio 2000, p. 250-267 e T. De Gendt, De
strafrechtelijke aansprakelijkheid van burgmeesters en schepenen na de wet van 4 mei 1999, Die Keure,
Brugge 2001.
225
  I centri di aiuto sociale sono persone giuridiche di diritto pubblico che si occupano dell’assistenza
sociale dei soggetti più bisognosi e gestiscono, ad esempio, l’assegnazione dei sussidi statali.
226
  Secondo Van Garsse, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van publiekrechtelijke rechtspersonen,
cit., p. 351, l’esclusione della responsabilità di tutti i centri di aiuto è altrettanto discriminatoria
nella misura in cui le strutture gestite da detti centri (come ad esempio gli ospedali) sono immuni
dall’azione penale. In particolare, non sarebbe chiara la ragione per cui dovrebbe esistere una differenza
di trattamento dal punto di vista penalistico tra ospedali gestiti dai centri ed ospedali privati, atteso che
202 E. Pavanello

6. Il sistema sanzionatorio: inapplicabilità di talune sanzioni nei confronti delle persone


giuridiche di diritto pubblico o delle persone giuridiche che svolgono una attività di
servizio pubblico.

Per quanto qui interessa particolare attenzione sarà dedicata alle disposizioni
che, sotto il profilo sanzionatorio, concernono le persone giuridiche di diritto
pubblico o le persone giuridiche che svolgono attività di servizio pubblico,
indipendentemente dalla loro natura pubblica o privata.
L’articolo 7 bis del codice penale prevede, in particolare, che la confisca speciale
disciplinata dall’art. 42, primo comma, c.p. concernente le cose che hanno
costituito oggetto dell’infrazione penale e quelle che sono state utilizzate per la
sua realizzazione, abbia un limite qualora sia applicata nei confronti delle persone
giuridiche di diritto pubblico (nozione questa che fa riferimento alle persone
giuridiche diverse dalle collettività territoriali elencate al quarto comma dell’art.
5 c.p.). Detta confisca infatti potrà riguardare unicamente i beni civilmente
confiscabili al fine di assicurare la continuità del servizio pubblico227.
Per comprendere quali siano i beni civilmente confiscabili occorre fare
riferimento all’art. 1412 bis del code judiciare, secondo il quale, in principio, i
beni appartenenti alle persone giuridiche di diritto pubblico non possono essere
confiscati; tuttavia, possono essere sottoposti a confisca i beni che le persone
giuridiche di diritto pubblico (rectius, i relativi organi competenti) hanno indicato
come «confiscabili» o − in assenza di detta indicazione o qualora i beni elencati non
siano sufficienti a soddisfare il creditore − i beni che non sono utili alle persone
giuridiche di diritto pubblico per l’esercizio delle loro funzioni o per la continuità
del servizio pubblico228. Come già precisato, la confisca concernente gli utili
provenienti dal reato non è sottoposta ad analoghe limitazioni.
La dissoluzione della persona giuridica, sanzione che normalmente può essere
applicata quando l’ente sia stato creato allo scopo preciso di svolgere attività illecite
entrambi partecipano del traffico economico ed offrono analoghi servizi. Anche P. Waeterinckx, De
strafrechtelijke verantwoordelijkheid van de rechtspersoon, in «Strafrecht van nu en straks», Die Keure,
Brugge 2003, p. 199 si è mostrato critico circa la compatibilità del criterio scelto e l’esclusione dei
centri di aiuto.
227
  O. Leroux, Les sanctions pénales, in «La responsabilité pénale des personnes morales en Belgique»,
cit., p. 190.
228
  Per comprendere le ragioni che hanno indotto il legislatore belga ad adottare l’art. 1412 bis, occorre
tratteggiare brevemente l’evoluzione della disciplina della confisca dei beni appartenenti alle persone
giuridiche di diritto pubblico. Sulla base della disciplina anteriore al 1994 non era possibile procedere in
via esecutiva nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico, al fine di assicurare la continuità
del servizio pubblico. Diversi i fondamenti che venivano addotti per giustificare l’impossibilità
di procedere con la confisca: la buona fede e la presunzione di solvibilità dell’amministrazione,
l’impossibilità logica di ricorrere alla forza pubblica contro l’autorità pubblica titolare della medesima
forza, l’esistenza di altre vie di esecuzione quale quella amministrativa e il principio della separazione dei
L’ordinamento belga 203

o quando esso abbia deviato dal proprio oggetto sociale ed abbia posto in essere
illeciti penali, non si applica alle persone giuridiche di diritto pubblico. Anche in
questo caso si deve ritenere che la ratio sia stata quella di garantire la continuità
del servizio pubblico. La limitazione non concerne le persone giuridiche di diritto
privato che svolgono attività di servizio pubblico: esse potranno quindi essere
sciolte, nonostante perseguano un interesse di carattere generale229.
La sanzione del divieto temporaneo o definitivo di esercitare una delle attività
previste dall’oggetto dello statuto non può essere applicata quando si tratti di
attività che rilevano per il servizio pubblico. Ciò ovviamente non significa che
la sanzione non possa essere pronunciata nei confronti di una persona giuridica
di diritto pubblico: il giudice dovrà valutare la sussistenza o meno di un’attività
rilevante per il servizio pubblico. È sottoposta ad identico limite la sanzione della
chiusura di uno o più stabilimenti in cui è stata posta in essere l’attività illecita.
Sia nel caso del divieto di esercizio di attività, sia nell’ipotesi della chiusura
dello stabilimento, la ragione che ha indotto il legislatore belga ad introdurre detti
vincoli è stata evidentemente quella di evitare che l’applicazione delle sanzioni
rechi un qualche pregiudizio al servizio pubblico, indipendentemente dalla natura
pubblica o privata delle persone giuridiche che lo pongono in essere. Ciò, ad avviso
di chi scrive, costituisce un ulteriore elemento che depone in favore del fatto che
il legislatore belga ha voluto, da un lato, escludere talune persone giuridiche di
diritto pubblico dal novero dei soggetti responsabili in virtù della loro funzione
«politica» e, dall’altro, preservare talune attività di interesse generale dalla possibile
paralisi conseguente all’applicazione di determinate sanzioni.
Non esistono, invece, limitazioni nell’applicabilità delle sanzioni dell’ammenda
e della pubblicazione e diffusione della sentenza con riferimento alle persone
giuridiche di diritto pubblico.
poteri. Alcune deroghe al principio sono state apportate dalla giurisprudenza, attraverso decisioni che
avevano dichiarato possibile la confisca dei beni a patto che ciò non risultasse in concreto in contrasto
con il principio di continuità del servizio pubblico. Tuttavia, solo nel 1994 è stato introdotto l’art. 1412
bis del codice di procedura che ha previsto una limitata forma di esecuzione forzata nei confronti delle
persone giuridiche di diritto pubblico. La disposizione pone una disciplina che contempera la duplice
esigenza di salvaguardare le continuità del servizio pubblico e di garantire che il creditore possa trovare
soddisfazione delle proprie ragioni. Per un commento alla legge che ha introdotto l’art. 1412 bis si
confrontino, A.M. Stranart, P. Goffaux, L’immunité d’execution des personnes publiques et l’article 1412
bis du code judiciare, in «Journal des Tribunaux», 1995, p. 437-447 e C. Nyssens, Le principe de l’immunité
d’éxécution des pouvoirs publics assoupli par le législateur, in «Revue régionale de droit», 1994, p. 299 ss.
229
  Masset, La loi du 4 mai, cit., p. 658. Secondo Messinne, Propos provisoires sur un texte curieux: la loi
du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 646, l’inapplicabilità della
dissoluzione alle persone giuridiche di diritto pubblico costituisce una discriminazione di trattamento.
204 E. Pavanello

7. Le critiche della dottrina rispetto alle argomentazioni addotte per legittimare il


sistema di sostanziale irresponsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico.

Alcuni studiosi hanno avanzato critiche in relazione alle argomentazioni che sono
state invocate per negare la possibilità di procedere penalmente nei confronti delle
persone giuridiche di diritto pubblico.
In relazione all’asserita violazione del principio della separazione dei poteri è
stato rilevato come analoghe questioni non si pongano qualora si tratti di perseguire
penalmente i singoli funzionari delle persone giuridiche di diritto pubblico
per condotte illecite che essi hanno tenuto nell’esercizio delle proprie funzioni e
nell’ambito dei poteri pubblicistici di cui gli stessi sono dotati. In queste ipotesi,
sebbene il giudice sarà chiamato a valutare la legittimità dell’azione amministrativa
e, quindi, vi sarà una commistione tra i diversi poteri, nessuna obiezione viene
sollevata. Inoltre, il principio della separazione dei poteri non pone ostacoli a che
venga in gioco la responsabilità civile o amministrativa delle persone giuridiche230.
Piuttosto, l’esclusione della responsabilità degli enti pubblici assicura un’area
di ingiustificata immunità che contrasta con la necessità, a più riprese affermata,
di rendere maggiormente trasparente l’azione amministrativa e con il principio
del bilanciamento dei poteri (cosiddetta teoria del check and bilance) che trova sua
origine proprio nel principio della separazione dei poteri231.
Non vengono poi ritenuti meritevoli di menzione né l’argomentazione della
perdita di fiducia dei cittadini nelle istituzioni, diretta conseguenza dell’esercizio del
procedimento penale nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico, né la
messa in pericolo della continuità del servizio pubblico stesso. Infatti, la continuità
del servizio pubblico ha costituito preoccupazione del legislatore che per tale ragione
ha limitato l’applicazione di talune sanzioni nei confronti di persone giuridiche di
diritto pubblico. Inoltre, proprio la Corte di Cassazione ha limitato la portata del
principio, statuendo che lo stesso tende unicamente ad assicurare l’esistenza delle
istituzioni pubbliche e il loro funzionamento, ma non esclude in principio il vaglio
penale dell’attività pubblica232.
Trova un qualche riscontro, invece, l’argomentazione che viene precipuamente
invocata in relazione alla posizione dello Stato, ovvero il fatto che quest’ultimo
condannerebbe se stesso a pagare una somma di denaro, ciò che risulterebbe inutile
230
  H. van Driessche, Evolutie naar de strafrechtelijke (mileu)-aansprakelijkheid van alle publiekrechtelijke
rechtspersonen?, in «Rechtskundig weekblad», n. 25, 1999-2000, p. 838.
231
  In questo senso P. van de Bon, De beperkte strafrechtelijke verantwoordelkijkheid van de publiekrechtelijke
rechtspersoon wegens niet-naleving van de wet inzake het welzijn van de werknemers bij de uitvoering van
hun werk, in «Rechtskundig weekblad», n. 31, 2002-2003, p. 1214.
232
  Nihoul, L’immunité pénale des collectivités publiques est-elle «constitutionnellement correcte»?, in
«Revue de droit pénal et de criminologie», ii, 2003, p. 805 ss.
L’ordinamento belga 205

(vestzak-broekzak). Anche chi condivide questa argomentazione ritiene comunque


auspicabile che si pronunci una condanna cui non segua però l’applicazione di alcuna
sanzione (e in ogni caso non l’ammenda) ogni qualvolta sia coinvolta la responsabilità
delle entità territoriali233.
Non sono mancate le critiche basate sulla considerazione che lo Stato non può
essere considerato un’unità inscindibile e che l’ammenda potrebbe rivestire da un
punto di vista pratico una funzione di prevenzione in quanto ove inflitta potrebbe
costituire una perdita anche per l’ente pubblico, altri sostengono, pur condividendo
queste riflessioni234.
In una prospettiva de jure condendo la dottrina belga è comunque orientata
nel senso di un ampliamento dell’ambito applicativo della legge, sotto il profilo
soggettivo, e ciò per assicurare il rispetto del principio di eguaglianza tra le diverse
persone giuridiche e fisiche.

7.1. Le critiche avanzate in relazione alla ratio dell’esclusione degli enti pubblici
dall’ambito di applicazione della responsabilità, ovvero l’esistenza al loro interno di un
organo democraticamente eletto.

Le censure più rilevanti hanno riguardato il criterio individuato dal legislatore


quale discrimine per considerare responsabile un determinato ente pubblico,
ovvero l’esistenza di un organo democraticamente eletto. Detto criterio, infatti,
non sarebbe dotato di un fondamento giuridico in grado di giustificare l’esenzione
dall’applicazione della legge penale nei confronti di talune persone giuridiche di
diritto pubblico e violerebbe il principio di eguaglianza giuridica sancito agli articoli
10 e 11 della Costituzione belga.
Da sempre il diritto penale, infatti, prevede delle forme di immunità (si pensi
alle immunità parlamentari o diplomatiche) allo scopo di assicurare il buon
funzionamento delle istituzioni cui questi soggetti appartengono235. Nel caso di
specie, invece, l’esclusione non avrebbe questo scopo.
A voler ragionare in questo modo si arriva a sostenere che la democrazia
«giustifica» e legittima la delinquenza: atteso infatti che gli organi delle persone
giuridiche di diritto pubblico, anche se come visto non tutti, sono eletti dai cittadini,
233
  Ivi p. 813 e Nihoul, Le champ d’application, cit., p. 31.
234
  H. van Driessche, Evolutie naar de strafrechtelijke (mileu)-aansprakelijkheid van alle publiekrechtelijke
rechtspersonen?, cit., p. 840.
235
 A. Messinne, Propos provisoires sur un texte curieux: la loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité
pénale des personnes morales, in «Revue de droit pénale et de criminologie», i, 2000, p. 645-646.
206 E. Pavanello

esse riceverebbero il mandato di compiere qualsiasi attività, ivi incluse le attività di


carattere illecito236.
Al di là della mancanza di un provato fondamento del criterio predetto, la
censura che in generale viene avanzata nei confronti del principio dell’organo
democraticamente eletto è che lo stesso dà per presupposta l’esistenza di un contrasto
ineluttabile tra controllo politico o amministrativo: l’esistenza del primo sarebbe
infatti di per sé sufficiente ad escludere il sindacato penale sull’attività delle persone
giuridiche di diritto pubblico. Tuttavia, non esistono ragioni di principio in grado di
ostacolare la contemporanea esistenza delle due tipologie di responsabilità237.
Anche perchè la responsabilità politica concerne il singolo soggetto e non l’ente
nel suo insieme. L’uomo politico risponde quindi dell’illecito che è stato commesso
nell’interesse dell’ente avanti agli organi dell’ente medesimo. Ciò significa che, anche
sotto il profilo della responsabilità politica, vi è una carenza di tutela con riferimento
alla persona giuridica. Il che condurrà inevitabilmente a far pesare sul soggetto fisico
responsabilità che sono proprie dell’ente collettivo238.
Il criterio sarebbe, a parere di taluno, discriminatorio in quanto l’immunità
concessa dalla legge si estenderebbe all’intera persona giuridica anche se solo uno dei
suoi organi è eletto secondo regole democratiche. Senza contare poi che il tenore della
disposizione legislativa conduce a ritenere, per antitesi, che le regole di designazione
degli organi delle altre persone giuridiche non sono democratiche, assunto questo
inaccettabile239.
Infine, il criterio è stato stigmatizzato perchè non conduce a soluzioni rigorose
quanto al trattamento di persone giuridiche belghe e straniere. Poiché non esiste
236
  A questo proposito M.A. Delvaux, L’eventuelle inconstitutionnalité de la loi du 4 mai 1999, in
«Recueil annuel de jurisprudence en droit des sociétés commerciales», 2003, p. 275 si interroga circa
il fatto che l’esistenza di un organo democraticamente eletto sia effettivamente in grado di escludere la
possibilità che all’interno della persona giuridica vengano posti in essere reati.
237
  Gervasoni, La loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales: incidences
en droit de l’environnement, cit., p. 209. Cfr. Van Garsse, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van
publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 349 e H. Van Driessche, Evolutie naar de strafrechtelijke (mileu)-
aansprakelijkheid van alle publiekrechtelijke rechtspersonen?, cit., p. 839 criticano il criterio indicato anche
in ragione del fatto che per le persone fisiche esso non vale. L’esistenza della responsabilità politica di un
ministro, infatti, non impedisce la sua contestuale responsabilità penale.
238
  Si veda Van Driessche, Evolutie naar de strafrechtelijke (mileu)-aansprakelijkheid van alle
publiekrechtelijke rechtspersonen?, cit., p. 833 il quale censura la scelta del legislatore belga con particolare
riferimento al diritto penale ambientale.
239
  In questo senso Nihoul, L’immunité pénale des collectivités publiques est-elle «constitutionnellement
correcte»?, cit., p. 797 e Nessinne, Propos provisoires sur un texte curieux: la loi du 4 mai 1999 instaurant
la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 645-646. Sotto questo profilo lo studioso ha ritenuto
quindi che vi fosse una violazione del principio di eguaglianza consacrato dagli articoli 10 e 11 della
Costituzione belga ed ha ipotizzato l’intervento sul punto della Corte Costituzionale, anticipando così
quello che in effetti è avvenuto.
L’ordinamento belga 207

alcuna indicazione sul punto nell’articolo 5 c.p., le persone giuridiche di diritto


pubblico straniere, ancorché dispongano di un organo democraticamente eletto,
potranno essere perseguite penalmente, fatta salva l’eventuale applicazione delle
immunità esistenti in diritto internazionale240.
In posizione minoritaria vi è stato chi ha, invece, considerato la scelta del legislatore
giustificabile per il fatto che le persone giuridiche di diritto pubblico adempiono ad
un’attività rilevante per il servizio pubblico (e, quindi, sembra doversi ritenere, per
l’interesse generale dei consociati)241.
Tuttavia, non sembra essere stato questo il criterio di discrimine adottato dal
legislatore: basti considerare il fatto che sono inclusi tra i soggetti responsabili anchele
persone giuridiche di diritto privato, ancorché esercitino una missione di servizio
pubblico, quali gli ospedali e le scuole242.
Il legislatore sembra piuttosto aver voluto distinguere da un lato la sussistenza di
un organo democraticamente eletto e, dall’altro, lo svolgimento di attività di natura
pubblica, cui consegue la non applicabilità di determinate sanzioni243.

8. Le decisioni della Corte Costituzionale belga sulla legittimità delle esclusioni dalla
responsabilità penale degli enti pubblici.

Come già ricordato nell’introdurre la responsabilità penale delle persone giuridiche


di diritto pubblico in Belgio, ciò che rende particolarmente interessante (e unico nel
panorama europeo) lo studio del sistema belga è il fatto che la Corte Costituzionale è
stata chiamata a pronunciarsi in due diverse occasioni sulla legittimità della limitata
responsabilità attribuita alle persone giuridiche di diritto pubblico.
In particolare, la prima decisione ha espressamente riguardato la violazione
del principio di eguaglianza del disposto che esclude le collettività territoriali dal
240
  Nihoul, L’immunité pénale des collectivités publiques est-elle «constitutionnellement correcte»?, cit., p. 800.
241
  Lagasse, Manuel, cit., p. 94.
242
  Ch. Vanderlinden, La loi instaurant la responsabilité pénale des personnes morales et le droit pénal
social, in «Revue de droit pénale et criminologie», i, 2000, p. 661.
243
  Gervasoni, La loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales: incidences en
droit de l’environnement, cit., p. 212 nota criticamente che l’utilizzo del criterio della natura dell’attività
svolta dall’ente (così come è avvenuto in Francia) in alternativa a quello dell’organo democraticamente
eletto per discriminare tra comportamenti perseguibili penalmente e non, potrebbe rivelarsi foriero di
difficoltà correlate «à l’extrême plasticité du critère sur le quel elle repose», ovvero la definizione di attività
di servizio pubblico. Da un lato, infatti, ove detta attività fosse intesa in senso restrittivo, essa non
sarebbe in grado di limitare il ricorso all’azione penale nella misura in cui una persona giuridica di
diritto pubblico, per definizione, non ha tra i suoi scopi statutari quello di porre in essere attività illecite.
Ove invece fosse intesa in senso ampio, il rischio sarebbe quello di includere tutte le attività poste in
essere dai poteri pubblici e di condurre all’immunità pressoché totale dell’attività svolta dalle persone
giuridiche di diritto pubblico.
208 E. Pavanello

novero dei soggetti responsabili. La seconda sentenza, invece, ha riguardato solo


indirettamente la legittimità della scelta di limitare la responsabilità a talune persone
giuridiche in quanto la Cour d’Arbitrage ha valutato il diverso trattamento cui sono
sottoposte le persone fisiche a seconda che le stesse prestino la propria attività alle
dipendenze di un ente pubblico o privato.

8.1. La giustificazione della Corte Costituzionale dell’esclusione delle persone


giuridiche di diritto pubblico dotate di un organo democraticamente eletto, poiché soggetti
sottoposti al controllo politico.

Con la sentenza 128/2002, la Cour d’Arbitrage è stata chiamata a giudicare tre


diverse questioni pregiudiziali244: le prime due hanno avuto ad oggetto le disposizioni
contenute nell’art. 5, comma 2 del c.p. e, segnatamente, la loro compatibilità rispetto
al diritto della difesa e al principio di legalità delle incriminazioni, della procedura
penale e della pena245. La terza questione – quella che più interessa ai fini della ricerca
– ha invece riguardato l’(eventuale) illegittimità costituzionale dell’art. 5, quarto
244
  Cour d’Arbitrage, sentenza 128 del 10 luglio 2002 rinvenibile nel sito <http://www.projuop. cit.
be/Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>. Per la traduzione italiana della sentenza e il relativo
commento si veda A.F. Morone, Belgio: La responsabilità penale degli enti al vaglio della Costituzione, in
«Diritto penale xxi secolo», n.1, 2005, p. 159 ss.
245
  La prima questione pregiudiziale ha riguardato la compatibilità della discrezionalità attribuita al
giudice di condannare o meno la persona fisica in caso di infrazione posta in essere da quest’ultima
«sciemment et volontairement» con gli articoli 10 e 11 della Costituzione belga – i quali pongono il
principio di eguaglianza – e con gli articoli 6 e 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo – i
quali sanciscono i principi del diritto ad un processo equo e di legalità della pena. La Corte Costituzionale
si è pronunciata nel senso della piena compatibilità della disposizione e ha motivato la propria posizione
facendo riferimento ai lavori parlamentari che hanno condotto all’adozione della norma: la ratio della
disposizione era infatti quella di evitare, da un lato, l’impunità delle persone fisiche che avrebbero
altrimenti potuto celarsi dietro lo schermo delle persone giuridiche e, dall’altro, una sistematica
condanna di persone fisiche e giuridiche, a prescindere dalla valutazione del caso concreto. Legittima
è dunque la discrezionalità attribuita al giudice nella valutazione della posizione della persona fisica.
La seconda questione pregiudiziale ha riguardato invece la disposizione che consente di condannare
unicamente quella tra persona fisica e giuridica che ha commesso la faute la plus grave: veniva chiesto
alla Corte di valutare la compatibilità della norma predetta nella misura in cui non definisce la nozione
di la faute la plus grave con gli articoli 10 e 11 della Costituzione belga, nonché 6 e 7 della Convenzione
Europea dei Diritti dell’uomo. Anche in questo caso la Corte ha respinto la questione ritenendo che la
mancata definizione della faute plus grave contrasterebbe con i principi di eguaglianza e con il diritto di
difesa solo laddove comportasse l’impossibilità sia per la persona fisica, sia per la persona giuridica di
valutare a priori il rischio penale cui vanno incontro. Il che non avviene nel caso specifico in quanto la
disposizione non modifica in alcun modo né la definizione dei crimini né impedisce alle persone, siano
esse fisiche o giuridiche, di valutare esattamente le conseguenze penali del loro comportamento.
L’ordinamento belga 209

comma c.p. nella parte in cui esclude talune persone giuridiche di diritto pubblico
dal novero dei soggetti destinatari della responsabilità penale.
La ricorrente, società belga di diritto privato che gestiva una brasserie, avevano in
particolare fatto valere che «les communes et les organes territoriaux intercommunaux
gèrent des exploitations de même nature que celles qu’ils [i ricorrenti] exploitent, qu’ils
sont dans un rapport de concurrence étroit avec eux et qu’ils exercent leur activité
dans des conditions similaires»246. Dunque essi ritenevano che la loro immunità non
fosse giustificabile e che, al contrario, violasse il principio di uguaglianza sancito agli
articoli 10 e 11 della Costituzione belga.
A fronte di tale questione, la Cour d’Arbitrage ha messo innanzitutto in luce come
le persone giuridiche di diritto pubblico si distinguano dalle persone giuridiche di
diritto privato in quanto pongono in essere attività di servizio pubblico e, nel fare
ciò, tendano a soddisfare unicamente l’interesse generale. Attesa questa diversità, ad
avviso della Corte il legislatore, nel promulgare una legge che ha come scopo quello
di contrastare la criminalità organizzata, non era obbligato ad adottare nei confronti
delle persone giuridiche di diritto pubblico misure identiche a quelle adottate per le
persone giuridiche di diritto privato.
Ciò posto, i giudici hanno preso in considerazione il fatto che alcune persone
giuridiche di diritto pubblico svolgono attività che sono simili, sotto il profilo
contenutistico, a quelle esercitate dalle persone giuridiche di diritto privato e che,
nell’esercizio di tali attività, le prime possono rendersi colpevoli di infrazioni che non
si distinguono in alcun modo da quelle che possono porre in essere le seconde. È
compito del legislatore, quindi, per assicurare il rispetto del principio di eguaglianza
includere nel campo di applicazione della legge anche le persone giuridiche di diritto
pubblico che non si distinguono, se non per il loro status giuridico, da quelle di
diritto privato.
Dopo aver evidenziato queste premesse teorico-generali, la Corte ha quindi
analizzato la scelta in concreto effettuata dal legislatore belga. Il giudice costituzionale
ha osservato che la differenza di trattamento tra persone giuridiche di diritto privato e
talune persone giuridiche di diritto pubblico si fonda su di un criterio oggettivo, ovvero
il fatto che la persona giuridica disponga o meno di un organo democraticamente
eletto. Le persone giuridiche escluse dal campo di applicazione sono incaricate di
una missione politica essenziale e dispongono di un’assemblea democraticamente
eletta e di organi sottoposti al controllo politico. Alla luce di ciò, il legislatore ha
ragionevolmente temuto che l’estensione della responsabilità penale anche alle
persone giuridiche di diritto pubblico avrebbe comportato più inconvenienti che
vantaggi e, segnatamente, avrebbe causato dei ricorsi in cui l’obiettivo reale sarebbe
stato quello di condurre delle battaglie politiche attraverso lo strumento giudiziario
246
  Sentenza para A.4.1.
210 E. Pavanello

(battaglie che dovrebbero, invece, essere condotte esclusivamente sul piano politico).
L’immunità accordata è dunque, a parere della Corte, giustificata.
Il ragionamento della Corte belga è stato di recente confermato anche nella
sentenza n. 31/2007247 in cui si era posta la questione della responsabilità penale delle
wateringues, persone giuridiche di diritto pubblico che si occupano di sviluppare,
gestire e mantenere le reti idriche. I giudici hanno ritenuto che detti enti non
possano beneficiare dell’esclusione dalla responsabilità penale poiché, da un lato, essi
non si occupano di svolgere una missione politica essenziale, al pari delle persone
giuridiche di diritto pubblico escluse, e dall’altro non dispongono di un organo
democraticamente eletto248.

8.2. Le reazioni critiche della dottrina alla decisione della Corte Costituzionale.

Le reazioni della dottrina a detta decisione sono state critiche. Infatti, anche co-
loro che in certa misura hanno condiviso il ragionamento della Corte, ritenendo
che le persone giuridiche di diritto pubblico non possano vedere paralizzata la loro
attività a causa di ricorsi intempestivi destinati a destabilizzare il loro assetto più che
a reprimere le violazioni alla legge penale, hanno poi riconosciuto che, sotto il profilo
dei risultati, detta immunità può condurre a conseguenze deplorevoli, soprattutto in
taluni settori quale quello ambientale. Molto spesso infatti è impossibile risalire alla
persona fisica individualmente responsabile e si tende a sanzionare il comportamen-
to dell’ente nel suo insieme: ciò, tuttavia, non potrà avvenire nel caso delle persone
giuridiche di diritto pubblico249.
Le critiche che sono state mosse alla decisione adottata dalla Corte Costituzio-
nale si sono comunque concentrate soprattutto sulla sommarietà della motivazione
addotta. La Corte, infatti, si è limitata a chiarire che il principio dell’organo demo-
craticamente eletto indica che laddove esiste un controllo politico non può sussistere
anche il controllo penale. Essa tuttavia non ha spiegato per quale ragione il controllo
politico sarebbe in grado di escludere il controllo penale.
La stessa Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha chiarito in più di un’occasione
che anche le persone giuridiche di diritto pubblico possono rendersi responsabili, da
247
  Cour d’Arbitrage, sentenza 31 del 21 febbraio 2007, rinvenibile nel sito <http://www.const-court.be/
fr/common/home.html>.
248
  Per un commento alle sentenze citate si veda Overath, La responsabilité pénale des personnes morales,
cit., p. 17 ss.
249
  M.A. Delvaux, L’eventuelle inconstitutionnalité de la loi du 4 mai 1999, in «Recueil annuel de
jurisprudence en droit des sociétés commerciales», 2003, p. 275-276.
L’ordinamento belga 211

un punto di vista civilistico, degli eventuali illeciti commessi. In quest’ottica sarebbe


dunque ingiustificato prevedere l’impunità penale di detti enti pubblici250.
Inoltre, la Corte sarebbe caduta in contraddizione nella misura in cui ha ricono-
sciuto che in principio vi sono persone giuridiche di diritto pubblico (anche tra quel-
le che sono state escluse dall’applicabilità della nuova normativa) che non eseguono
attività rilevanti per il servizio pubblico, ma nonostante questo ha loro riservato un
trattamento più favorevole rispetto alle persone giuridiche di diritto privato, il che è
contrario al principio di eguaglianza.
La Cour d’Arbitrage non è stata poi in grado di individuare gli svantaggi che
conseguono all’instaurazione del procedimento penale nei confronti delle persone
giuridiche di diritto pubblico, ma si è limitata ad elencarne solamente uno, ovvero
il pericolo di una sovrapposizione tra controllo politico e giudiziario. In che misura
questo rischio sia reale non è dato sapere, anche perché la Corte ha effettuato questa
affermazione in maniera apodittica, senza prendere in considerazione le circostanze
del caso concreto251.
Infine, è stato rilevato che se effettivamente si volesse evitare che determinate
battaglie venissero condotte sul piano giudiziario, anziché su quello politico, sarebbe
necessario prevedere un’immunità penale anche dell’attività dei singoli uomini poli-
tici, atteso che attraverso l’esercizio del procedimento penale nei loro confronti si va
incontro allo stesso rischio252.
Che si condivida o meno il giudizio della Corte Costituzionale, dalla lettura della
sentenza emerge un dato incontestabile: la questione che era stata posta circa il ri-
spetto del principio di eguaglianza giuridica della previsione che disciplina in modo
differenziato la responsabilità di persone giuridiche di diritto pubblico e privato ha
trovato, almeno per il momento, risposta negativa.
Quanto alla motivazione che i giudici costituzionali hanno offerto a sostegno
della propria decisione essa pare alquanto «superficiale». Essi infatti si sono limitati
a citare parte dei lavori preparatori della norma e, in tal modo, hanno inteso farsi
interpreti della volontà del legislatore, senza tuttavia rispondere in modo esaustivo
al quesito che veniva loro sottoposto alla luce dei parametri invocati dai ricorrenti.

250
  Waeterinckx, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van de rechtspersoon, cit., p. 197. Lo studioso
sottolinea peraltro come nei casi di impunità della persona giuridica si procederà nei confronti della
persona fisica. Tuttavia, nel caso di violazioni della legge penale che conseguiranno molto spesso da
decisioni collegiali, sarà difficile risalire al soggetto che ha materialmente posto in essere l’infrazione.
251
  Nihoul, L’immunité pénale des collectivités publiques est-elle «constitutionnellement correcte»?, cit., p. 788.
252
  Ivi, p. 793.
212 E. Pavanello

8.3. La dichiarazione di legittimità da parte della Corte Costituzionale della norma


che limita la responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico, anche con
riferimento al regime di responsabilità ad essa correlato delle persone fisiche.

Con la decisione 8/2005 la Corte Costituzionale ha valutato il possibile contrasto


dell’art. 5 comma 4 c.p. con gli articoli 10 e 11 della Costituzione belga sotto un
diverso profilo, ovvero quello della possibile discriminazione nel trattamento delle
persone fisiche a seconda che esse svolgano la propria attività alle dipendenze di
una persona giuridica di diritto privato o pubblico. Nella prima ipotesi, infatti, la
persona fisica eviterà la condanna, laddove sia accertato che essa non ha commesso
la faute la plus grave, che è stata invece posta in essere dalla persona giuridica, mentre
nel secondo caso la stessa non potrà invocare questa causa di esenzione da pena e
sarà condannata (sempre che siano accertati a suo carico gli elementi costitutivi del
reato)253. Come si ricorderà, infatti, il cumulo di responsabilità tra persona fisica e
giuridica è previsto nella legislazione belga solo in via eccezionale.
Il caso concreto traeva origine da un incidente verificatosi in una strada di pro-
prietà della regione della Wallonie, a seguito del quale alcune persone avevano ri-
portato delle lesioni e una era deceduta. Una perizia sul rivestimento della strada
regionale, aveva posto in dubbio le qualità tecniche dello stesso. Per tale ragione,
l’ingegnere funzionario in servizio presso la regione della Wallonie era stato persegui-
to per omicidio involontario e lesioni involontarie.
Avanti al Tribunale di Police di Verviers, l’imputato aveva fatto valere l’irricevibili-
tà dell’azione penale nei suoi confronti in quanto, a suo avviso, l’irresponsabilità delle
persone giuridiche di diritto pubblico avrebbe dovuto estendersi anche alle persone
fisiche che lavorano per conto di una delle persone giuridiche escluse perché altri-
menti si sarebbe creata una disparità di trattamento a seconda che la persona fisica
operi alle dipendenze di una persona giuridica di diritto pubblico o privato.
Il Tribunale solleva allora la questione di legittimità avanti alla Corte Costituzio-
nale, affinché quest’ultima chiarisca se il regime diversificato violi o meno il principio
di eguaglianza giuridica254.
Nella memoria a sostegno della propria posizione, l’imputato ha fatto in par-
ticolare valere che non trovando applicazione la regola della faute la plus grave il
253
  Cour d’Arbitrage, sentenza 8 del 12 gennaio 2005 rinvenibile nel sito <http://www.projuop.cit.be/
Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>.
254
  La questione pregiudiziale sollevata avanti alla Corte era del seguente tenore: «l’article 5, alinéa 2, du
Code pénal, tel qu’il a été rétabli par la loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes
morales, viole-t-il les articles 10 et 11 de la Constitution en ce que la personne employée par une personne
morale de droit privé qui a commis une infraction involontaire, peut ne pas être condamnée si elle a commis
une faute moins grave que son employeur, alors que la personne employée par une personne morale de droit
public qui a commis la même infraction devra nécessairement être condamnée, le cumul des responsabilités
étant possible dans le second cas, non visé par ledit article?».
L’ordinamento belga 213

giudice, ove accerti a carico del funzionario tutti gli elementi del reato, procederà
alla sua condanna, anziché operare una valutazione comparata tra la condotta della
persona giuridica e quella della persona fisica, così come avverrebbe nel caso in cui
il funzionario fosse alle dipendenze di una persona giuridica di diritto privato. La
differenziazione di trattamento è, ad avviso dell’imputato, ancor meno giustificabile
ove si consideri che il legislatore ha voluto, adottando il principio del non cumulo in
caso di infrazioni commesse non sciemment e volontairement, proteggere i lavoratori
ed evitare che la loro responsabilità sia sistematicamente messa in gioco. L’imputato
indica inoltre che un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità non rimetterebbe
in questione le esclusioni di responsabilità di cui al comma 4, ma si limiterebbe alla
disposizione di cui al comma 2, concernenti le persone fisiche.
Il Consiglio dei Ministri, a difesa della disposizione legislativa contenuta nel se-
condo comma dell’articolo 5 c.p., ha invece sostenuto che la norma non pone alcun
problema sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, in quanto in
nessuna ipotesi essa consente di procedere al cumulo di responsabilità tra perso-
na fisica e giuridica qualora si tratti di faute commessa sciemment e volontairement.
Infatti, se viene posta in essere una faute involontaire da parte di una persona fisica
per conto di una persona giuridica di diritto privato, allora sarà punita unicamente
la persona che ha posto in essere la colpa più grave; se invece la persona giuridica è
di diritto pubblico allora solo la persona fisica sarà perseguita. Tuttavia, il Consiglio
dei Ministri non considera che il problema consiste non nell’esistenza di un cumulo
di responsabilità, quanto nel fatto che laddove il reato sia stato posto in essere da
parte di un soggetto fisico nell’interesse di una persona giuridica di diritto pubblico,
solo la persona fisica risponderà del proprio operato. Ad opinione dell’esecutivo,
in ogni caso, la differenza di trattamento fatta valere dal giudice a quo trova la sua
fonte non nell’art. 5, comma 2 c.p. quanto piuttosto nel comma 4 che esclude in
linea generale la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico
espressamente elencate ed in quanto tale è giustificabile. La questione pregiudiziale
concerne pertanto, sempre ad avviso del Consiglio dei Ministri, categorie di persone
giuridiche che non sono comparabili, in quanto la logica che ha condotto ad attri-
buire l’immunità alle persone giuridiche di diritto pubblico non è applicabile alle
persone giuridiche di diritto privato. La differenza di trattamento si fonda, quindi,
su di un criterio obiettivo e l’esclusione della perseguibilità ha come scopo di evitare
che talune persone giuridiche, dotate di un organo eletto a suffragio universale, siano
paralizzate nel loro funzionamento da ricorsi giudiziali. Se si dovesse estendere l’im-
munità anche alle persone fisiche che sono alle dipendenze delle persone giuridiche
di diritto pubblico, di fatto, l’infrazione penale resterebbe impunita, non potendo es-
sere condannata né la persona fisica né la persona giuridica. Ora, l’obiettivo dell’art.
214 E. Pavanello

5, comma 2 era evitare che un’infrazione fosse sistematicamente punita due volte e
non che un’infrazione rimanesse assolutamente impunita.
La risposta fornita dalla Corte Costituzionale a fronte di questa nuova questione
pregiudiziale, la quale come è dato comprendere è intimamente legata al problema
dell’irresponsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico, non è nemmeno in
questa occasione, sufficientemente motivata.
I giudici hanno innanzitutto ribadito che attraverso la previsione del meccanismo
della faute la plus grave, il legislatore ha instaurato una cause d’excuse absolutoire la
quale non esclude comunque l’antigiuridicità o la colpevolezza dell’azione e che la
legge ha consacrato il principio del cumulo di responsabilità unicamente laddove
l’infrazione possa essere imputata personalmente a una persona fisica che ha agito in
modo volontario. Il fatto, dunque, che la persona fisica possa godere della causa di
esclusione della pena è dovuto unicamente alla circostanza che la legge designa due
possibili autori dell’infrazione, ovvero la persona fisica e la persona giuridica per la
quale la stessa ha agito. La regola del non cumulo non avrebbe dunque ragion d’esse-
re laddove solo la persona fisica potesse essere punita e questa è la condizione che si
verifica rispetto a talune persone giuridiche di diritto pubblico, le quali non possono
essere considerate responsabili penalmente. La Corte quindi nello spiegare la ratio in
base alla quale è stata prevista la regola del non cumulo, indica che essa può operare
nella misura in cui sarà possibile punire quantomeno la persona giuridica.
Tuttavia, a ben vedere, tale spiegazione non costituisce null’altro che l’esegesi
dell’art. 5 c.p., senza che sia stato fatto alcun riferimento alla ragione per la quale il
legislatore ha limitato la responsabilità a taluni soggetti. La Corte si limita a riportare
integralmente la scarna motivazione della precedente sentenza e non argomenta ul-
teriormente circa la legittimità dell’opzione.
Si ha la sensazione che anche in questo caso i giudici costituzionali non abbiano
inteso porre in discussione le scelte del legislatore, né analizzare le argomentazioni
addotte dalla dottrina contro dette scelte. Limitandosi ad affermare infatti che il si-
stema del non cumulo di responsabilità ha un senso solo ove sussista la responsabilità
della persona giuridica, senza tuttavia chiedersi in che misura l’esclusione di talune
persone giuridiche dal novero dei soggetti responsabili sia corretta, i giudici hanno, a
parere di chi scrive, scelto una comoda via di «fuga».
La decisione è stata ritenuta criticabile soprattutto in considerazione del fatto che
i giudici hanno adottato un approccio affatto diverso rispetto a quello della Corte
Europea dei diritti dell’Uomo la quale nel momento in cui deve effettuare una va-
lutazione comparata tra interessi privati e pubblici in gioco, normalmente procede a
un’analisi in concreto, anziché affidarsi ad una semplice clausola di stile255.

255
  Nihoul, La protection de l’immunité pénale des collectivités publiques par la Cour d’Arbitrage, in
L’ordinamento belga 215

9. Conclusioni.

La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico è stata ogget-


to di analisi critica anche in questo Paese ove, almeno in linea di principio, esse sono
perseguibili penalmente. Tuttavia, a fronte del principio generale di applicabilità del-
la nuova disposizione anche alle persone giuridiche di diritto pubblico, vengono po-
ste una serie notevole di eccezioni che mira ad escludere, di fatto, tutte le collettività
territoriali (non solo lo Stato centrale quindi).
In particolare, l’applicazione dell’art. 5 c.p. rischia di determinare una discrimi-
nazione non solo tra le diverse persone giuridiche di diritto privato e pubblico ma
anche tra le persone fisiche che prestano la propria attività lavorativa al loro interno,
così come dimostra il fatto che sono state sollevate delle questioni pregiudiziali sul
punto avanti la Cour d’Arbitrage.
La dottrina, dal canto suo, ha mostrato le proprie riserve critiche nei confronti
del sistema di responsabilità delineato, stigmatizzando soprattutto il criterio che con-
sente di distinguere tra persone giuridiche di diritto pubblico punibili e non, ovvero
l’esistenza di un organo democraticamente eletto al loro interno. Il criterio risulta
infatti limitativo perché l’esistenza di tale presupposto non sembra essere in grado di
giustificare di per sé l’assenza di un controllo penale sul loro operato. Senza contare
poi che le persone giuridiche escluse dal novero dei soggetti responsabili non sono
tutte dotate di un organo democraticamente eletto, da intendersi come di elezione
popolare.
Il dato interessante che emerge è tra l’altro che il legislatore già al momento dell’a-
dozione della norma si è mostrato consapevole del fatto che anche le persone giuridi-
che di diritto pubblico possono porre in essere illeciti penalmente rilevanti. Analoga-
mente ha fatto la Corte Costituzionale nella prima delle decisioni citate. Eppure tale
consapevolezza non si è poi tradotta in una normazione conseguente.
È poi legittimo dubitare del fatto che il disposto dell’art. 5 c.p. non violi il prin-
cipio di eguaglianza: l’esperienza belga ci dimostra tuttavia come nemmeno la Corte
Costituzionale sia stata in grado di abbandonare i preconcetti legati alla teoria della
sovranità e abbia, pertanto, avallato le scelte legislative.

«Revue de jurisprudence de Liège, Mons et Bruxelles», n. 14, 2005, p. 603. Lo studioso rileva tra
l’altro che in ragione della questione pregiudiziale sollevata, la Corte avrebbe dovuto concentrarsi sulla
situazione concreta del lavoratore e non sulla ratio che ha ispirato l’adozione del sistema legale. Già in
altre occasioni, infatti, la Corte Costituzionale aveva preso le distanze da queste posizioni invocando
l’immunità in favore dei lavoratori dalla loro responsabilità civile, proteggendoli così dal rischio cui gli
stessi vengono esposti nell’esecuzione del contratto di lavoro.
217

capitolo 5

La responsabilità penale della Corona in Inghilterra

Sommario. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Inghilterra. Dalla


vicarious liability all’identification theory: i modelli della corporation liability. – 2. La
responsabilità penale delle persone giuridiche per le strict liability offences (reati bagatellari)
e per i reati di mens rea (dolosi o colposi). – 3. Il concetto di Corona e di ente pubblico nel
diritto inglese. – 3.1. L’individuazione degli enti appartenenti alla Corona: la qualificazione
contenuta nella legge istitutiva dell’ente. – 3.2. Criteri sussidiari di qualificazione dell’ente
in senso «pubblico». Le funzioni svolte dallo stesso. – 3.3. Il controllo esercitato sull’ente
«pubblico» da parte del Governo. – 3.4. Gli enti che non fanno parte della Corona: governo
locale e industrie nazionalizzate. – 4. L’rresponsabilità assoluta della Corona e degli enti della
Corona. – 4.1. Le affermazioni giurpsrudenziali circa l’irresponsabilità penale della Corona. –
4.2. Recenti pronunce e nuove previsioni degli statute: prime indicazioni verso il superamento
del principio dell’irresponsabilità penale della Corona. – 5. Gli argomenti addotti a favore
dell’irresponsabilità penale. L’asserita «impossibilità» per la Corona di commettere illeciti. –
5.1. L’impossibilità per la Corona di perseguire se stessa e l’asserita inutilità dell’applicazione
di una sanzione pecuniaria. – 6. L’introduzione del reato di omicidio colposo per le persone
giuridiche (corporate manslaughter) e il (parziale) superamento dell’immunità dei Crown
bodies. – 6.1. La responsabilità per il reato di corporate manslaughter sussiste quando una delle
attività gestite o organizzate dal senior management causa la morte di una persona ed è dipesa
da una grave violazione del dovere di diligenza cui l’organizzazione era tenuta nei confronti
della persona fisica. – 6.2. L’inclusione della Corona tra i soggetti destinatari della nuova
fattispecie. Limiti della disposizione. – 6.3. Critiche alla limitata responsabilità della Corona.
In particolare, l’asserita incompatibilità di tali limitazioni con le previsioni della Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo. – 7. Riflessioni conclusive.

1. La responsabilità penale delle persone giuridiche in Inghilterra. Dalla vicarious


liability all’ identification theory: i modelli della corporation liability.

Preliminare all’analisi dei principi che governano la responsabilità penale delle


persone giuridiche di diritto pubblico in Inghilterra è l’illustrazione, seppure per
cenni, del sistema di responsabilità penale delle persone giuridiche, nonché la defi-
nizione dei concetti di Corona e crown body. Con tale espressione si fa riferimento
218 E. Pavanello

agli enti che sono emanazione della Corona e che vengono esclusi dalla responsabilità
penale. Solo recentemente, con il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide
Act 20071, è stata prevista, come si illustrerà in seguito, la responsabilità il reato di
omicidio colposo anche per i Crown bodies.
In Inghilterra la possibilità di perseguire penalmente le persone giuridiche ha ori-
gini lontane nel tempo. Sebbene in un primo momento siano stati invocati ostacoli
di carattere teorico (quali la natura impalpabile della persona giuridica e il fatto che
il diritto penale si rivolge per natura ai soli soggetti fisici) e pratico (l’impossibilità
di infliggere alla persona giuridica la sanzione della reclusione o la difficoltà di im-
maginare una società sulla sbarra degli imputati)2, ad oggi la possibilità di procedere
penalmente nei confronti degli enti non è contestata.
Essenzialmente due i modelli di responsabilità che si sono susseguiti e convivono
tuttora nell’ordinamento inglese. Oltre a quello della vicarious liability o respondeat
superior − che trova limitata applicazione nell’ordinamento inglese mentre conosce
una maggiore estensione negli Stati Uniti − esistono il modello dell’identification the-
ory o alter ego e il modello organicistico. La identification theory che trova applicazione
in Inghilterra ma anche in Canada con riferimento ai reati di mens rea, si fonda sulla
piena identificazione della persona giuridica con alcuni membri che la compongono
e che si trovano al suo vertice. Il modello olistico, fa invece riferimento alla cultura
illecita di impresa ed è stato di recente riconosciuto proprio con la previsione del
reato di corporate manslaughter3.
La vicarious liability «costruisce» la responsabilità della persona giuridica come
responsabilità oggettiva: il dirigente di una persona giuridica risponde degli illeciti
posti in essere dai suoi dipendenti. Il modello è stato «utilizzato» per sanzionare la
responsabilità della persona giuridica sul piano civilistico prima e sul piano penale
1
  Il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007 è stato approvato il 26 luglio 2007 ed è
entrato in vigore il 6 aprile 2008. Il testo è rinvenibile nel sito <www.opsi.gov.uk>.
2
  A. Pinto, M. Evans, Corporate criminal liability, Sweet & Maxwell, London 2003, p. 15-16. Per la
manualistica si confrontino Ard, Cross and Jones, Criminal law, Oxford University Press, Oxford
200818, p. 798 e ss., J. Herring, Criminal law, Palgrave Macmilian, Basingstoke 20096, p. 81 ss.
3
  C. Wells, Corporations and criminal responsibility, Oxford University Press, Oxford 20012, p. 84 ss.
e, in lingua italiana, Wells, La responsabilità penale delle persone giuridiche nel diritto di common law,
in Verso un codice penale modello per l’Europa, Offensività e colpevolezza, a cura di A. Cadoppi, cedam,
Padova 2002, p. 41 ss. Per una prima ricostruzione del modello di responsabilità canadese si confronti
C. de Maglie, L’etica e il mercato, cit., p. 163 ss. e la bibliografia ivi citata, S. Don, Canadian criminal
law, Carswell, Toronto 20014, p. 629-634 e P. Beliveau, La responsabilité pénale des corporations en
droit canadien, in «Révue de Science Criminelle», 1999, p. 1 ss. Si ritiene opportuno precisare che nel
corso del presente lavoro si effettueranno riferimenti a casi provenienti dall’ordinamento canadese,
australiano e neozelandese. Tale modo di procedere è dettato dalla constatazione che le giurisdizioni
inglesi si richiamano a precedenti appartenenti ad altri ordinamenti di common law (e viceversa):
sarebbe stato impossibile offrire un quadro della situazione inglese senza citare contemporaneamente
decisioni appartenenti a questi ordinamenti.
L’ordinamento inglese 219

poi4. Così, la persona giuridica sarà responsabile degli illeciti posti in essere da uno
dei suoi dipendenti nei limiti in cui l’infrazione contestata sia di natura oggettiva (c.d.
strict liability offences). Inizialmente si tendeva a limitare la responsabilità alle sole
ipotesi in cui vi fosse stata una vera e propria delega di funzioni da parte del manager
della società al dipendente, mentre successivamente si è ammessa la punizione del re-
sponsabile della persona giuridica per la posizione che lo stesso riveste, indipendente-
mente dalla sua partecipazione, diretta o indiretta, all’azione criminosa5. Qualunque
dipendente della società può involgere la responsabilità della persona giuridica; tale
modello trova, tuttavia, un limite fondamentale nel fatto che solo le strict liability
offences sono contestabili all’ente.
Le limitazioni suddette hanno dato origine a delle critiche sia sul piano giuri-
sprudenziale che dottrinale. Ci si è interrogati, infatti, sulla opportunità di punire le
persone giuridiche anche per i reati di mens rea, per i quali è necessario dimostrare la
sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al soggetto agente. Le difficoltà connesse
all’estensione della responsabilità degli enti a qualsiasi tipo di reato erano collegate
alla problematica dimostrazione dell’elemento soggettivo della condotta richiesto in
capo ad un’entità giuridica, in quanto tale non dotata di una propria e autonoma
volontà6.
Per superare le difficoltà delineate, nel corso del 1900 ha cominciato a farsi strada
l’idea che non occorra individuare dei criteri di attribuzione particolari della colpevo-
lezza alla persona giuridica7, in quanto l’operato di determinati soggetti fisici all’in-
terno della società coincide con l’operato della stessa persona giuridica ed è, quindi,
espressione della sua volontà8.
Dopo una serie di pronunce in cui timidamente trova cittadinanza questo princi-
pio, il riconoscimento definitivo del principio dell’identificazione è contenuto nella
sentenza Tesco Supermarkets Ltd v. Natrass9. La pronuncia de qua ha stabilito, infatti,
4
  Leading case in materia sono R. v. Birmingham and Gloucester Rly. Co. del 1842 e R. v. Great North
of England Rly. Co. del 1846. Entrambi sono citati da De Maglie, L’etica, cit., p. 148.
5
  Affinché sia possibile procedere alla punizione sarà necessario che la condotta illecita possa essere
posta in essere da persona diversa rispetto a chi poi ne risponde penalmente. Un esempio è quello
dell’offence collegata alla vendita di carne. Nel caso in cui l’assistente del titolare dell’esercizio abbia
venduto della carne, anche in assenza del suo principale, è ragionevole ritenere che la carne sia stata
venduta da quest’ultimo. Non sarà invece possibile attribuire al titolare quelle condotte illecite che per
loro natura possono essere poste in essere unicamente da un soggetto, come avviene nel caso dei reati
connessi alla guida di un autoveicolo. Gli illeciti suddetti potranno essere attribuiti al solo soggetto che
materialmente stava conducendo l’auto.
6
  Cfr. B. Sullivan, The attribution of culpability to limited companies, in «Cambridge Law Journal», 55,
1996, p. 515 ss., il quale analizza la colpevolezza della persona giuridica così come intesa nell’ambito
della identification theory e del modello olistico.
7
  Sullivan, The attribution of culpability to limited companies, cit., p. 546.
8
  R.S. Welsh, The criminal liability of corporation, in «The law quarterly review», 1946, p. 357.
9
  House of Lords, Tesco Supermarkets Ltd v. Natrass, in «Weekly Law reports», 1971, p. 1166.
220 E. Pavanello

provveduto ad azionare il meccanismo di chiusura e si era addormentata. L’inchiesta


aveva altresì evidenziato come non esistessero sulla nave dispositivi in grado di
segnalare l’apertura della porta sul ponte di comando. Queste dunque potevano
sembrare le cause della tragedia. Tuttavia, il team di esperti addetti alle indagini aveva
evidenziato come le condizioni generali di sicurezza della nave fossero precarie e che
pertanto «all concerned in management […] were guilty of fault in that all must be
regarded as sharing responsibility for the failure od management». Il giudice ha ritenuto
nonostante ciò di non poter condannare i soggetti membri dell’equipaggio in quanto
non erano emersi nel corso del procedimento elementi sufficienti a dimostrare la
sussistenza in capo a loro degli elementi del reato e per tale ragione aveva escluso
altresì la possibilità di condannare la società12.
D’altro canto, nell’ordinamento inglese non ha trovato riconoscimento la teoria
dell’aggregazione, una forma di responsabilità collettiva in cui vengono associate le
condotte dei singoli rappresentanti della persona giuridica di per sé non illecite in
quanto nessuna di essa integra i presupposti del reato, ma nel complesso rilevanti da
un punto di vista penale13.
Di qui la tipizzazione del reato di corporate manslaughter da intendersi come una
carenza dell’intera amministrazione della persona giuridica, piuttosto che comporta-
mento illecito di un singolo soggetto fisico attribuibile alla persona giuridica, al fine
di superare il modello di attribuzione della responsabilità di carattere antropocentrico
sin qui analizzato e adattare lo schema di responsabilità alla peculiarità delle persone
giuridiche.
È bene precisare, infine, che nel diritto inglese si ritiene vi siano dei limiti intrin-
seci alla possibilità di perseguire le persone giuridiche, legati alla natura del reato (ad
esempio, bigamia e incesto) o al fatto che detti reati siano sanzionati con la sola pena
della reclusione.
12
  Per un commento critico alla decisione seguita alla tragedia di Zeebrugge si veda Wells, Corporations
and criminal responsibility, cit., p. 107 ss. e P. Leyland, Corporate manlsaughter: where should the blame
lie?, in «Annali dell’ Università di Ferrara», xvi, 2002, p. 105 ss., il quale evidenzia altresì i limiti della
identification theory: essa presuppone infatti che una persona giuridica possa essere condannata per
manslaughter solo se un senior manager è personalmente colpevole, il che come detto nel caso di specie
era stato escluso.
13
  Per una descrizione dell’aggregation theory si veda Sullivan, The attribution of culpability to limited
companies, cit., p. 527 ss. C.M.V. Clarkson, Kicking corporate bodies and damning their souls, in «The
Modern Law review», 59, 1996, p. 569 rileva, con riferimento alla dottrina dell’aggregazione che
la stessa in realtà perpetui la costruzione della responsabilità penale della persona giuridica secondo
parametri «personalistici». L’unica differenza rispetto alla identification theory sarebbe costituita dal fatto
che anziché ricercare la persona (che ha posto in essere la condotta) con cui può essere identificata
la società, verranno individuate le persone costituenti la directing mind della società. L’autore rileva
pertanto che anche questo modello non consenta di prendere in considerazione le strutture organizzative
della società, le policies della stessa, in breve non consente di considerare le persone giuridiche in sé ma
semplicemente come summa dei singoli componenti persone fisiche.
L’ordinamento inglese 221

che la persona giuridica può essere «autore» di un illecito: le persone fisiche agiscono
non in nome e per conto della società, ma in quanto ente collettivo. Cosicché, non ci
troveremmo di fronte ad un meccanismo di attribuzione della responsabilità riflessa
rispetto a quella della persona giuridica come avviene nella vicarious liability, bensì
alla individuazione della condotta illecita della stessa persona giuridica. Il modello
dell’identificazione consente nell’ordinamento inglese di procedere penalmente nei
confronti della persona giuridica per qualsiasi tipo di reato.
Secondo questa ricostruzione, la colpevolezza della società è diretta derivazio-
ne della colpevolezza del soggetto fisico: l’accertamento della sussistenza della mens
rea richiesta per il reato in capo alla persona giuridica corrisponde all’accertamento
dell’elemento soggettivo richiesto in capo a taluni soggetti della società.
Essenziale, dunque, individuare le persone fisiche in grado di esprimere la volontà
dell’ente. Pur non esistendo parametri predefiniti, dall’analisi della giurisprudenza
sviluppatasi sul punto, è possibile affermare che le condotte delle persone fisiche rile-
vanti sono unicamente quelle di coloro che dispongono di un certo potere di control-
lo all’interno della società e, in particolare, di un potere discrezionale nell’attività alla
quale il crimine è correlato. Fattore di rilievo è dato dalla circostanza che la persona
fisica in discorso non sia subordinata agli ordini di altro soggetto all’interno della
società ed abbia quindi libertà di agire.
La ragione della limitazione del numero di soggetti espressione della volontà della
società va rinvenuta nel fatto che un semplice impiegato, non dotato di poteri discre-
zionali o autonomi di decisione, difficilmente sarà espressione della directing mind
and will della società.
Limite alla costruzione teorica in esame è il fatto che qualora non sia possibile
identificare gli elementi della condotta illecita in capo ad un senior officer, la corpora-
tion sarà esente da responsabilità, con il rischio che si determini una strutturazione
della società nel senso della «organised irresponsibility»10.
Anche questo modello è stato sottoposto a valutazione critica, poiché sembra
adattarsi unicamente alle ipotesi in cui alcuni individui al suo interno abbiano agito
in modo cosciente e indipendente11. Invece, la realtà ha dimostrato che nell’ambito
di grandi società molto spesso non sia possibile identificare la condotta illecita del
singolo agente, ma le azioni criminose derivano dai comportamenti di più soggetti
in sé non illeciti. Esemplificativo al riguardo il caso verificatosi presso il porto di
Zeebrugge: la nave inglese Herald of Free Enterprise, dopo poco essere partita dal
porto, aveva cominciato ad imbarcare acqua fino ad affondare, causando la morte
di centonovantadue persone. Dalle indagini svolte successivamente alla tragedia
era emerso che la persona addetta alla chiusura del portellone della nave non aveva
  Così, Pinto, Evans, Corporate criminal liability, cit., p. 59.
10

  Harding, Criminal liability of corporations-United Kingdom, in Criminal liability of corporations, cit.,


11

p. 374.
222 E. Pavanello

2. La responsabilità penale delle persone giuridiche per le strict liability offences (reati
bagatellari) e per i reati di mens rea (dolosi o colposi).

Il soggetto, persona fisica o giuridica, può essere condannato per il reato se l’accu-
sa dimostra sia l’actus reus, ovvero la condotta intesa da un punto di vista oggettivo,
sia la colpevolezza dell’agente stesso. Solo in alcune limitate ipotesi – strict liability
offences – non sarà necessario per l’accusa dimostrare la mens rea, ma sarà sufficiente
allegare la materiale violazione della norma14. Si configura, quindi, una vera e propria
ipotesi di responsabilità oggettiva.
L’elemento soggettivo della mens rea si ritiene integrato in due distinte ipotesi, ov-
vero quando il soggetto abbia agito con intention o con recklessness. L’intenzione viene
tradizionalmente distinta nella due forme della direct intention – quando il soggetto
intende realizzare un determinato risultato illecito attraverso la propria condotta – e
oblique intention – quando, invece, il soggetto agisce non mirando a quel determinato
illecito, ma considerando e accettando lo stesso quale effetto collaterale della propria
condotta. Le ipotesi sono dunque paragonabili rispettivamente alle categorie del dolo
intenzionale e del dolo diretto15. Il criterio di valutazione adottato dalla giurispruden-
za per determinare quale sia l’intenzione è soggettivo, poiché occorrerà verificare la
volontà del reo al momento della sua azione o omissione16.
Più complicato sembra invece il secondo parametro della recklessness, che trova
il proprio fondamento in considerazioni di ordine psicologico: un soggetto che ha
maturato una certa esperienza nel passato è in grado di prevedere le conseguenze dei
propri atti nel futuro. Ed è perciò in grado di evitare le condotte che possono ragio-
nevolmente produrre illeciti penalmente rilevanti. La nozione non è di semplice in-
terpretazione in quanto la giurisprudenza per determinare quando un soggetto abbia
agito con recklessness ha mostrato di utilizzare, a seconda delle ipotesi, criteri di giudi-
zio soggettivo e oggettivo. Con la prima opzione interpretativa si valuta la consapevo-
lezza del soggetto agente nel caso specifico di assumere un rischio, previsto e accettato
14
  La distinzione di cui ci si occupa concerne dunque il profilo della colpevolezza dell’agente. La
distinzione tra reati di common law e statute law trova invece tradizionalmente origine nella diversità di
fonti che caratterizza il diritto penale inglese (e, per estensione, dei Paesi di Common Law): mentre il
diritto penale di common law trova fondamento nel diritto comune e si è evoluto nel tempo attraverso
le diverse pronunce adottate dai giudici (gli interventi della legge scritta sono stati in questo ambito
alquanto limitati), la statute law trova origine a partire dalla metà del xix secolo in numerosi testi scritti
che sono andati ad integrare il diritto di common law. I due sistemi tuttora convivono e interagiscono
reciprocamente, dando origine ad un unicum. Per un approfondimento dei rapporti tra common law e
statute law nel diritto inglese, si veda S. Vinciguerra, Diritto penale inglese comparato, cedam, Padova
20022, p. 45 ss.
15
  Sul punto si veda Vinciguerra, Diritto penale inglese comparato, cit., p. 280 ss.
16
  C. Elliott, F. Quinn, Criminal Law, Pearson Longman, London 20045, p. 14.
L’ordinamento inglese 223

nella propria mente17, mentre con la seconda si considera la capacità di prevedere il


rischio insito nella condotta, e quindi di evitarlo, dell’uomo diligente, del sogget-
to ragionevole. La nozione di recklessness intesa oggettivamente comprende pertanto
non solo le nozioni di dolo diretto (rappresentazione della probabilità dell’offesa) e di
dolo eventuale (rappresentazione della possibilità dell’offesa) ma anche di colpa inco-
sciente grave (non rappresentarsi un’offesa ovvia per qualsiasi persona ragionevole)18.
Nonostante la dottrina abbia avanzato argomenti convincenti volti a sostenere
tanto la nozione oggettiva quanto quella soggettiva di recklessness, non esiste un’inter-
pretazione univoca19.
Le strict liability offences sono, invece, ipotesi di responsabilità oggettiva: un sog-
getto verrà condannato per il semplice fatto che si trovi in possesso di una cosa o
abbia causato un determinato evento senza che lo statute richieda una verifica dell’ele-
mento soggettivo che ha animato il soggetto agente20. Esse mirano a tutelare interessi
di natura sociale e ad attivare quel meccanismo in base al quale i soggetti, potenziali
trasgressori della norma, sono indotti ad adottare tutte le precauzioni necessarie af-
finché detta violazione non si verifichi. Le materie che tradizionalmente sono rego-
late dalla strict liability concernono la circolazione stradale, l’inquinamento, il diritto
alimentare e la tutela del consumatore. È dunque esclusa qualsiasi valutazione circa
l’immoralità del fatto: così, superare il limite di velocità non ha nulla di immorale, ma
il Legislatore ha previsto una offence per tutelare l’interesse generale della sicurezza.
La legittimità di tali offences viene rinvenuta in ragioni sia di carattere sostanziale (si è
detto, ad esempio, che se un soggetto trae vantaggio da un’attività rischiosa, egli deve
pure subirne le conseguenze o, ancora, che il rispetto della norma riveste un interesse
sociale tale per cui è giustificato provvedere alla condanna senza procedere alla verifica
della colpevolezza), sia di carattere più pragmatico (l’onere della prova nelle ipotesi di
strict liability offences è limitato all’actus reus, il che rende più agevole la possibilità per
l’accusa di perseguire dette violazioni).
Parte della dottrina si oppone però a queste argomentazioni e stigmatizza il fatto
che se un soggetto ha violato la norma viene punito, a prescindere dalla circostanza
17
  Secondo la definizione offerta nella pronuncia House of Lords, R. v. Cunningham (1957), il soggetto
ha agito con recklessness ove «has foreseen that the particolar kind of harm might be done and yet has gone
on to take risk of it». Il caso è citato in Elliott, Quinn, Criminal Law, cit., 16.
18
  Così Vinciguerra, Diritto penale inglese comparato, cit., p. 313.
19
  Vinciguerra, Diritto penale inglese comparato, cit., p. 317, secondo cui normalmente la nozione
soggettiva viene utilizzata con più frequenza in riferimento ai delitti contro la persona, mentre l’indirizzo
oggettivo trova applicazione per i reati patrimoniali.
20
 Tuttavia dovrà essere dimostrato l’actus reus. Così se un soggetto viene accusato di aver guidato
sotto l’effetto dell’alcol, l’accusa non dovrà provare la mens rea del soggetto, ma dovrà dimostrare che
quel soggetto era effettivamente alla guida del veicolo. Esse si differenziano pertanto dalle ipotesi di
absolute liability in cui non è richiesta legal fault in relazione all’intero actus reus. T. Storey, A. Lidbury,
Criminal law, Willan, Cullompton 20043, p. 45.
224 E. Pavanello

che abbia adottato tutte le misure possibili atte ad evitare l’illecito. Ciò condurrebbe,
sulla base delle critiche avanzate, al risultato opposto a quello auspicato: il soggetto
consapevole di essere punito a prescindere dalla dimostrazione di mens rea, riterrà irri-
levante l’adozione delle misure volte ad evitare la violazione della norma e considererà
la sua punizione ingiusta. Inoltre, il rilievo secondo cui le ipotesi di responsabilità
oggettiva sono «bagatellari» e, di conseguenza, la loro violazione è sanzionata con
una pena mite, non corrisponde, secondo parte degli studiosi, alla realtà dei fatti: si
assiste in alcuni casi infatti all’irrogazione della pena della reclusione per strict liability
offences21.
Quando una offence sia di strict liability o invece richieda mens rea è questione che
viene lasciata alla determinazione del caso concreto. In linea generale è possibile af-
fermare che laddove lo statute indichi espressamente che si tratta di un reato con mens
rea tale indicazione sarà vincolante22. In mancanza di espressa indicazione, verranno
in rilievo criteri sussidiari come l’utilizzo di determinati termini (ad esempio knowin-
gly farebbe riferimento a un’ipotesi di mens rea), l’entità e la tipologia della pena23. In
alcuni casi tuttavia, la qualificazione della tipologia di reato cui i giudici si trovano di
fronte non è semplice.
Dopo queste opportune premesse si intende ora verificare se anche gli enti pubbli-
ci, rectius i Crown bodies, siano responsabili penalmente nell’ordinamento inglese in
quanto persone giuridiche e, in caso affermativo, per quale tipologia di reati. Per fare
ciò è in primis essenziale delineare il concetto di Corona.

3. Il concetto di Corona e di ente pubblico nel diritto inglese.

In Inghilterra non esiste un concetto di Stato e di ente pubblico così come tipiz-
zata negli ordinamenti continentali24. Qui infatti ci si riferisce alla Corona, nozione
che tuttavia solo in parte può essere fatta coincidere con quella di Stato25. In questo
21
  Cfr. M. Jefferson, Criminal Law, Longman Pearson, Harlow 20036, p. 189-194 per l’illustrazione
degli argomenti addotti contro e a favore delle ipotesi di strict liability offence.
22
  Jefferson, Criminal Law, cit., p. 178 rileva che i reati di common law costituiscono ipotesi di reati
con mens rea, ad eccezione di alcune ipotesi determinate: molestia pubblica (public nuisance), oltraggio
alla Corte (contempt of Court), pubblicazione diffamatoria e oltraggio alla pubblica decenza (oltraging
public decency).
23
  Secondo Jefferson, Criminal Law, cit., p. 184 nel caso in cui sia prevista una due diligence defence,
sussiste un’ipotesi di strict liability offence. In caso contrario, ovvero in presenza di un reato che
presuppone mens rea, infatti, la previsione della defence non avrebbe senso perché in ogni caso l’accusa
dovrebbe dimostrare tutti gli elementi del crimine. La conclusione tuttavia non pare certa in quanto
molto spesso in caso di due diligence defence ci si trova di fronte ad una categoria «ibrida» di reati.
24
  D. Foulkes, Administrative law, Butterworths, London 19958, p. 12 indica che, a dimostrazione di
ciò, si pone la circostanza che raramente nelle leggi inglesi si utilizza la parola Stato.
25
  Si veda M. Luoghin, The State, the Crown and the law, in M. Sunkin, S. Payne, The nature of the
L’ordinamento inglese 225

senso è stato infatti sostenuto che: «instead of the State we have the Crown, which serves
as a central, organizing principle of government. The Crown is associated with the idea of
executive authority rather than with that of the common interest: the major public pow-
ers are vested in the Crown, or in ministers who are servants of the Crown. The Crown is
characterized in law as a corporation, though of what kind there is some doubt»26.
La nozione di Corona parrebbe corrispondere «though not exactly, with terms of
political science like “the Executive” or “the Administration” or “the Government”, barely
known to the law, which has retained the historical terminology. The legal concept which
seems to me to fit best the contemporary situation is to consider the Crown as a corporation
aggregate headed by the Queen. The departments of state including the ministers at their
head (whether or not either the department or the minister has been incorporated) are
then themselves members of the corporation aggregate of the Crown»27.
Semplificando, è possibile affermare che la Corona in generale rappresenti la som-
ma dei poteri del Governo centrale. La nozione non include l’intera pubblica ammi-
nistrazione, atteso che parte delle attività amministrative sono di titolarità di enti che
non sono parte o membri della Corona28. Questi ultimi, ove sussistano i presupposti
giuridici e siano organizzati in una corporation, potranno essere perseguiti penalmente
alla stregua dei principi che governano la responsabilità penale delle persone giuridi-
che.
Sul fronte giurisprudenziale, le pronunce in ordine alla possibilità di perseguire
i Crown bodies sono limitate e si occupano per lo più di indicare l’estensione della
Crown immunity. L’illustrazione delle argomentazioni in esse contenute costituisce
comunque un’importante traccia di riflessione da cui cominciare.
Crown, Oxford University Press, Oxford 1999, p. 33 ss. sulle difficoltà di costruire un concetto di
«Stato» nell’ordinamento inglese.
26
  «In luogo dello Stato abbiamo la Corona, che costituisce l’organizzazione centrale del geoverno.
La Corona è associata all’idea di autorità esecutiva più che a quella di interesse comune. La maggior
parte del pubblici poteri sono riferiti alla Corona, o ai ministri che sono funzionari della Corona. La
Corona è una società, ma vi è qualche dubbio sulla sua natura». C. Turpin, British Government and the
Constitution. Text, Cases and Materials, Weidenfeld and Nicolson, London 1990, p. 138.
27
  «Anche se non esattamente con teminologia delle scienze politiche a “esecutivo” o “amministrazione”
o “governo” conosciuti dalla legge, che fanno riferimento alla terminologia storica. Il concetto legale
che mi sembra adattarsi meglio alla situazione contemporanea è quello di considerare la Corona una
società con a capo la Regina. I dipartimenti di Stato inclusi i ministeri che vi sono a capo (sia che i
ministri o i dipartimenti siano stati incorporati) sono essi stessi parte della società della Corona. Così
nella sentenza Town Investments Ltd v Department of the Environment, in «Law Reports, Appeal
Cases», 1978, p. 359. W. Wade, Crown, ministers and officials: legal status and liability, in The nature of
the Crowns, cit., p. 24 rileva invece come il termine Corona faccia unicamente riferimento a «Queen»,
la quale verrà considerata nelle sue capacità legali sia come persona fisica che come corporation sole.
28
  Foulkes, Administrative law, cit., p. 14.
226 E. Pavanello

3.1. L’individuazione degli enti appartenenti alla Corona: la qualificazione contenuta


nella legge istitutiva dell’ente.

Fondamentale ai fini della presente ricerca è determinare quando un soggetto sia


emanazione della Corona e quando invece, pur esplicando funzioni attinenti alla
pubblica amministrazione, non ne sia parte.
Da un punto di vista soggettivo, nel concetto di Corona non rientra unicamente
il Sovrano, persona fisica, ma sono compresi anche il Governo e l’amministrazione
statale oltre che le persone fisiche o giuridiche qualificabili come Crown bodies.
È bene considerare, infatti, che il diritto inglese fa molto spesso riferimento al con-
cetto di crown agent29 per indicare i soggetti che godono delle prerogative tipiche della
Corona, ivi inclusa − come si avrà cura di illustrare in seguito − l’immunità dall’azione
penale (in questo senso si parla di scudo della Corona). Non rientrano nella nozione
di crown agent gli enti che non ne sono parte costitutiva come le local authorities.
La questione dell’appartenenza di un determinato soggetto alla Corona non è pia-
na poiché non è sempre chiaro sulla base di quali parametri sia possibile qualificare
come Crown body un determinato ente o, meglio, non esiste una regola generale ap-
plicabile in tutti i casi.
Il primo criterio che viene in rilievo è la qualificazione data dallo statute costituivo
dell’ente. In linea di principio, laddove lo statute indichi espressamente la sua natura
di agent of the Crown, esso dovrà essere considerato tale e godrà di immunità analoga
a quella di cui gode il Sovrano, ivi inclusa quella dall’azione penale. La ratio risiede
nel fatto che il Parlamento è libero di conferire nell’ambito delle proprie competenze
ad un ente di diritto pubblico le immunità e i privilegi che ritenga più opportuni30.
L’immunità varrà nei limiti funzionalistici in cui essa è legislativamente concessa.
Ad esempio, nel caso che ha riguardato la British Columbia Electric Ltd. (compagnia
canadese che si occupava della distribuzione dell’energia elettrica e che era qualificata
dallo Statuto come «an agent of Her Majesty the Queen in right of the Province»), la
Corte d’Appello dello Stato del British Columbia ha ritenuto che la società non potes-
se far valere la propria immunità in quanto la stessa non aveva agito per i fini che, a
29
  L’espressione è diventata di uso comune per designare enti che godono delle prerogative della Corona.
Sinonimi talvolta utilizzati sono «servant of the Crown», «instrumentality of the Crown», «emanation of
the Crown». La terminologia citata è tuttavia, a parere di W.P. Hogg, P.J. Monahan, Liability of the
Crown, Carswell, Toronto 20003, p. 332, equivoca in quanto potrebbe far pensare che gli enti sono
parte costitutiva della Corona, mentre è più opportuno considerarli come organismi distinti.
30
  Hogg, Monahan, Liability of the Crown, cit., p. 337 ss. Di converso, non potrà essere considerato
organo della Corona quell’ente per il quale sia espressamente esclusa la qualifica. A titolo esemplificativo
si veda la section 6(5) del Post Office Act del 1969 il quale prevede che «it is hereby declared that the Post
Office is not to be regarded as the servant or agent of the Crown, or as enjoying any status, immunity or
privileg of the Crown».
L’ordinamento inglese 227

mente dello statuto, le erano stati conferiti e permettevano di qualificarla agente della
Corona31.
Ciò conferma l’esistenza di una stretta correlazione tra l’attribuzione della quali-
fica di crown body da parte del legislatore e le funzioni che lo stesso deve perseguire.
Laddove questi agisca al di fuori delle previsioni statutarie, la presunzione di legitti-
mità dell’azione, strettamente connessa alla valutazione effettuata ab origine dal Parla-
mento, viene meno e riemerge la discrezionalità dell’organo giudiziario che assume il
potere di vagliare in concreto la «pubblicità» o meno dell’ente.

3.2. Criteri sussidiari di qualificazione dell’ente in senso «pubblico». Le funzioni svolte


dallo stesso.

La giurisprudenza, al fine di determinare la natura pubblica dell’ente, ha fatto


applicazione anche dei criteri del function test e del control test.
Il primo criterio, che si è sviluppato in Inghilterra nel corso del xix secolo32, ha
avuto, in talune più recenti decisioni, nuova linfa vitale33. Esso, come suggerisce il
nome, prende in considerazione le funzioni svolte da un ente: se rientrano nell’ambito
di competenza del Governo, allora l’immunità sussiste, in caso contrario l’ente potrà
essere perseguito.
Come si può arguire, il criterio si rivela di difficile applicazione nei casi ove non
sia chiara la natura «pubblica» dell’attività esercitata, anche in considerazione del fatto
che sarebbe necessario previamente definire cosa è pubblico e cosa non lo è. Il com-
pito si rivela vieppiù complicato oggi giorno poiché i Governi, attraverso le maggiori
competenze di cui sono dotati, tendono ad «invadere» settori di tradizionale compe-
tenza privatistica.
31
  British Columbia Power Corporation Limited v Attorney General, in «Western Weekly Reports»
657, 1962, 38 34 d.l.r. (2d) p. 25. Il principio vale anche laddove l’ente abbia agito illecitamente e
quindi ovviamente al di fuori dei limiti statutari. Sul punto si confronti il caso Canadian Broadcasting
Corporation v The Queen, in «Supreme Court Reports, Canada» 1, 1983, p. 339. La fattispecie riguardava
la proiezione di film osceni da parte di questo ente qualificato come agent of the crown. In virtù di tale
qualifica, l’ente aveva fatto valere la propria immunità, ma il rilievo venne respinto in quanto la società,
nel proiettare film osceni, aveva agito al di fuori delle proprie competenze.
32
  Si confrontino sul punto tra le altre le decisioni, Mersey Docks and Harbour Bd. V. Cameron, in «Clark
& Finnelly’s House of Lords Reports New Series», 1, 1865, p. 443, e Middlesex County Council v St.
George’s Union, in «Law Reports Queen’s Bench Q.B. 64 (c.a.)», 1897, p. 1.
33
  Esemplificativa al riguardo la decisione Tamlin v Hannaford risalente al 1950 nella quale si legge che
la British Transport Commission non è mandatario della Corona in quanto esercita funzioni di natura
commerciale. Il solo fatto che la renderebbe mandatario della Corona è la circostanza che essa è controllata
dal Ministero dei Trasporti, ma tale cricostanza non pare decisiva ai fini della qualificazione in senso
«pubblicistico». Tamlin v Hannaford (1950) Court of Appeal, in «Law reports», King’s Bench, k.b., 1, p. 18.
228 E. Pavanello

È stato osservato criticamente34 che il function test condurrebbe a soluzioni con-


traddittorie in quanto non sarebbe mai possibile assimilare in tutto e per tutto la
posizione del Governo a quella delle società private: anche laddove, infatti, un ente
pubblico acceda ad attività commerciali, lo stesso non sarà motivato unicamente da
fini di lucro, così come avviene per una società di diritto privato, ma − pare doversi
ritenere − dovrà evidentemente prendere in considerazione anche l’interesse pubblico
nel quale agisce.

3.3. Il controllo esercitato sull’ente «pubblico» da parte del Governo.

Secondo il criterio del controllo, un ente è mandatario della Corona e, pertanto,


è titolare delle relative prerogative, qualora il Governo eserciti sullo stesso un certo
grado di vigilanza. Al fine di verificare quale sia il controllo necessario e sufficiente
che l’Esecutivo deve esercitare rileveranno, ad esempio, la possibilità di un Ministro di
nominare i componenti della compagine societaria, il diritto di ricevere informazioni
circa la gestione dell’attività sociale, l’eventuale titolarità dello Stato del capitale socia-
le. Dalla lettura delle decisioni che hanno preso in considerazione la questione non è
comunque chiara l’intensità di controllo cui si fa riferimento: la tendenza pare essere
quella di considerare operante l’immunità solo laddove vi sia una vigilanza molto
serrata da parte dell’esecutivo sull’attività dell’ente stesso.
Uno dei leading case in materia è rappresentato dalla decisione della Corte d’Ap-
pello del New South Wales, Metropolitan Meat Industry Board v. Sheedy, risalente al
1927. Nel caso di specie, i membri del Consiglio di amministrazione della società
erano di nomina pubblica, ad opera del governatore di New South Wales e tanto il
Governatore quanto il Ministro avevano poteri diretti all’interno del Consiglio. No-
nostante ciò, la Corte ha ritenuto di escludere la qualifica dell’ente come mandatario
della Corona sulla base del fatto che il Consiglio disponeva di propri poteri autonomi
e poteva agire in modo discrezionale senza dover previamente consultare i rappresen-
tanti della Corona35.
Nella sentenza R. v Forest protection Ltd., emessa dalla Corte d’Appello canadese
di New Brunswick, i Giudici hanno riconosciuto l’esistenza di diversi criteri per de-
terminare la natura di mandatario della Corona di un determinato ente pubblico e,
segnatamente, quelli della natura e delle funzioni svolte, del grado di controllo eser-
34
  Hogg, Monahan, Liability of the Crown, cit., p. 334.
35
 Metropolitan Meat Industry Board v Sheedy, in «Law Reports, Appeal Cases», 1927, p. 899. Ha
fatto applicazione del medesimo principio richiamandosi espressamente a questo precedente anche la
decisione della Corte Suprema canadese Perehinec v. Northern Pipeline Agency, in «Canada Law Reports,
Supreme Court, r.c.s.», 1983, p. 2.
L’ordinamento inglese 229

citato dal Governo e dei poteri che sono conferiti allo stesso, ma hanno poi ritenuto
applicabile esclusivamente il criterio del controllo da parte dell’esecutivo36.
Il Giudice dovrà considerare il controllo di diritto (quello cioè che il Governo ha
il potere legale di esercitare) e non quello di fatto che l’esecutivo può eventualmente
esercitare sull’ente.
Da quanto sopra emerge, dunque, che l’immunità di cui gode la Corona vale
anche per quelle persone giuridiche che, o sulla base di quanto disposto dallo statuto
o alla stregua dei criteri sin qui indicati, sono qualificabili come agenti della Corona.

3.4. Gli enti che non fanno parte della Corona: governo locale e industrie nazionalizzate.

Si ritiene interessante sottolineare come altri enti, pure pubblici, non rientrino
nel concetto di Corona. Questo è il caso innanzitutto del local government: si tratta di
persone giuridiche istituite mediante legge, dotate di autonoma personalità giuridica
che non fanno parte del Governo centrale (la disciplina applicabile è contenuta nel
Local Government Act del 1972 e successive modifiche)37. I poteri di cui esse sono dotate
derivano o da leggi generali di diritto pubblico o da specifici Atti del Parlamento e,
in quanto persone giuridiche, sono sottoposte alle norme di diritto civile e penale cui
sono sottoposte le persone giuridiche di diritto privato, con la conseguenza che non
sono soggette all’immunità di cui gode la Corona38. Alla stregua di tale principio nel
1974 lo West Mersea Urban District Council è stato condannato per non aver fornito
l’acqua così come avrebbe dovuto ad un utente39 e nel 1982 il London Borough of
Southwark è stato condannato ad una multa di £ 2.000 per non aver provveduto a
rimuovere una catasta di sabbia sulla strada, causa della morte di un uomo40.
36
  R. v Forest Protection, in «CarswellNB», 1979, 274, par. 29. I Giudici hanno ritenuto che il grado
di controllo esercitato dal Governo sulla società fosse così incisivo da renderlo paragonabile a quello
che il Governo esercita sui propri dipendenti, persone fisiche e, così, hanno qualificato la società
come mandatario della Corona. Da tale qualifica è discesa l’immunità della società con riferimento
all’applicazione del Pest Control Products Act espressamente non applicabile alla Corona (di converso
la società non è stata ritenuta esente dall’applicazione del Fisheries Act, di cui si contestava altresì la
violazione nel caso di specie,atteso che tale Atto prevedeva espressamente di vincolare la Corona).
37
  Cfr. Ch. Cross and S. Bailey, Cross on Local Government Law, Sweet & Maxwell, London 1986, p.
2. secondo cui «The term local authority is applied to principal councils and to the councils of parishes
and communities. Joint authorities and residuary bodies are treated als local authorties for specified
purposes. All these authorities are corporate bodies and have the characteristics of corporations […]
One feature common to local authorities is their corporate status».
38
  In questo senso, M. Sunkin, Crown immunity from criminal liability in English Law, in «Public Law»,
2003, p. 716, sub nota n. 4.
39
  West Mersea Urban District Council v Fraser, in «All Englands Law Reports», 1, 1950, p. 990.
40
  Il caso è citato in Foulkes, Administrative law, cit., p. 511-512, il quale indica tuttavia che
diversamente nei casi Leeds City Council v West Yorkshire Police, in «Law Reports Appeal Cases» 1, 1983,
230 E. Pavanello

Con il concetto di nationalised industries si fa, invece, tradizionalmente rife-


rimento a quelle società controllate dallo Stato il quale, pel tramite del Ministro,
nomina i responsabili e amministratori. Questi ultimi hanno il dovere di gestire
la società nel rispetto di una serie di obblighi imposti dal Ministro stesso, il quale
è responsabile in Parlamento per le decisioni che sono state adottate in seno alla
società41. Le società che fanno parte di questa categoria sono ad esempio la British
Railways , il London Regional Transport e il Post Office.
Anche se la loro importanza sta diminuendo in ragione della crescente privatizza-
zione cui sono state sottoposte negli ultimi anni, degno di nota è il fatto che esse non
sono considerate Crown bodies (salvo naturalmente che ciò sia espressamente indicato
o che alla stregua del control test i Giudici ritengano praticabile tale qualifica). Al pari
di qualsiasi altra corporation, pertanto, sono sottoposte alle norme di diritto civile e
penale.

4. L’irresponsabilità assoluta della Corona e degli enti della Corona.

In Inghilterra per lungo tempo ha trovato riconoscimento il principio dell’assolu-


ta immunità della Corona e dei crown bodies, non solo in materia penale, ma anche
in diritto civile. Infatti, affinché uno statute sia applicabile alla Corona, deve esservi
un’espressa indicazione in tal senso. Basti pensare che sino all’introduzione del Crown
Proceedings Act nel 1947 si riteneva che la Corona non rispondesse del proprio opera-
to nemmeno in ambito di tort42.
Il principio the king can do no wrong ha origini antiche e risale al periodo del
feudalesimo, quando il monarca veniva considerato come colui che dispensava giu-
stizia e, in quanto tale, non poteva essere perseguito penalmente43. Egli, dunque, non
disponeva dei poteri per compiere attività illecite e, per tale ragione, non poteva mai
p. 29 e R v Horseferry Ropad Magistrate Ct, ex Broadcasting Authority, in «Law Reports Queen’s Bench»,
p. 54, si è ritenuto di non poter procedere nei confronti delle autorità pubbliche coinvolte.
In Canada, è lo stesso art. 2 del codice penale ad includere espressamente le autorità locali all’interno
dei soggetti che possono essere soggetti attivi del reato. Critico tuttavia riguardo alla prospettiva che
anche i comuni possano essere perseguiti penalmente Beliveau, La responsabilité pénale des corporations
en droit canadien, cit., 6-7, il quale rileva che non esiste giurisprudenza sul punto. L’autore ritiene che
la possibilità di perseguire dette persone giuridiche di diritto pubblico che non sono emanazione della
Corona potrebbe rivelarsi controproducente: se da un lato, infatti, il ruolo economico che le stesse
rivestono potrebbe deporre in favore di una loro responsabilità, quest’ultima comporterebbe l’inflizione
di una sanzione che verrebbe in sostanza pagata dai cittadini innocenti la cui unica colpa è quella di
risiedere in un determinato luogo e si tradurrebbe nella semplice trasmissione di fondi da un’autorità
locale all’altra.
41
  Così Foulkes, Administrative law, cit., p. 31.
42
  Si confronti sul punto Foulkes, Administrative law, cit., p. 466-467.
43
  In questo senso si confronti Sunkin, Crown immunity from criminal liability in English Law, cit., p. 720.
L’ordinamento inglese 231

essere perseguito (l’interpretazione è riconducibile in particolare ai giuristi medievali).


Il principio è stato successivamente inteso nel senso che qualunque azione posta in
essere dal Re fosse legittima, in quanto Egli rispetta i principi di legge. Nemmeno in
questo secondo senso si porrà il problema della sottomissione del Sovrano alla legge
penale per ragioni, tuttavia, diverse rispetto alla prima interpretazione indicata: vi è,
infatti, una sorta di «presunzione» di legittimità dell’azione posta in essere dal monar-
ca anche se in principio il Re, nell’ambito delle proprie competenze, potrebbe porre
in essere attività illecite.
La natura di questa immunità ancorché simile, coinciderebbe solo in parte con
l’immunità conferita ai capi di Stato nel diritto internazionale perché diverse sono le
ragioni sulla cui base essa è attribuita. La crown immunity, infatti, è personale della
Corona in un duplice senso: essa mira a proteggere la persona che esercita le funzioni
di Sovrano e l’istituzione della monarchia in quanto tale. L’immunità concessa ai capi
di Stato a livello internazionale sarebbe, invece, personale unicamente nel primo senso
e mira a proteggerli in quanto personificazione dello Stato44.
Il principio dell’immunità penale della Corona che per anni è stato riconosciuto come
valido anche dalla giurisprudenza, è stato in parte scalfito dall’introduzione del Corpo-
rate Manslaughter and Corporate Homicide Act che, seppure con le limitazioni di cui si
dirà, prevede espressamente che anche gli enti della Corona, come ad esempio i dipar-
timenti governativi, possano essere puniti in relazione alla nuova fattispecie introdotta.

4.1. Le affermazioni giurisprudenziali circa l’irresponsabilità penale della Corona.

Tradizionalmente si ritiene che il principio dell’immunità della Corona dall’azio-


ne penale abbia trovato riconoscimento giurisprudenziale in un caso che la lettera-
tura inglese cita a sostegno dell’impossibilità di perseguire la Corona nelle ipotesi di
strict liability offences.
Si tratta del caso Cain v Doyle45 deciso dalla Corte australiana in cui veniva in ri-
lievo la responsabilità della Corona per il tramite del responsabile di uno stabilimen-
to governativo di munizioni, accusato di aver favorito la commissione di un reato
previsto dal Commonwealth australiano. Nel caso di specie non vi era alcun dubbio
che lo statute di cui si contestava la violazione vincolasse la Corona, atteso che ciò
veniva indicato espressamente nel testo legislativo.
La questione verteva, dunque, intorno alla responsabilità penale della persona
giuridica che godeva degli attributi della Corona, in presenza di uno statute che la
rendeva direttamente destinataria del precetto normativo.
44
  Sunkin, Crown immunity from criminal liability in English Law, cit., p. 722 e 724.
45
  Cain v Doyle, in «Criminal law review», 1946, p. 409.
232 E. Pavanello

L’opinione espressa sul punto dai giudici è stata diversificata. La posizione più
critica è stata espressa dal giudice Latham il quale ha ritenuto che il fatto che fosse
stata ammessa la responsabilità per tort nei confronti della Corona, non costituiva
ragione per estendere detta responsabilità anche in ambito penale. Egli ha motivato
la propria posizione rilevando che la Corona, ove condannata, avrebbe perseguito
se stessa e ciò avrebbe attentato alla King’s peace; in secondo luogo, egli ha ritenuto
che l’eventuale irrogazione di una sanzione pecuniaria al Governo si sarebbe tradotta
in un’auto-condanna poiché l’Esecutivo avrebbe pagato a se stesso la sanzione pecu-
niaria. L’impossibilità di procedere penalmente nei confronti della Corona è stata
motivata anche in ragione del fatto che, laddove la sanzione prevista fosse stata la
reclusione, essa non avrebbe potuto essere applicata nei confronti dell’ente giuridico.
Due diversi giudici componenti del collegio, pur ammettendo la possibilità che
lo statute trovasse applicazione in ogni sua parte anche nei confronti della Corona e
dei suoi organi, hanno ritenuto che le argomentazioni volte a sostenere la posizione
contraria dovessero prevalere. Innanzitutto, essi hanno messo in rilievo come non vi
fossero precedenti di condanna nei confronti della Corona, il che doveva far depor-
re nel senso dell’impossibilità di procedere penalmente. In secondo luogo, hanno
ritenuto insuperabile l’argomentazione secondo cui il Ministero del Tesoro avrebbe
dovuto, di fatto, pagare la sanzione a se stesso e hanno concluso quindi nel senso che
sarebbe stato più opportuno infliggere la sanzione penale alle sole persone fisiche
componenti l’ente de quo.
Infine, due giudici hanno ammesso expressis verbis la possibilità che anche la Corona
fosse perseguita penalmente, ritenendo pienamente ammissibile che un organo sovrano
statuisca dei diritti e delle obbligazioni nei suoi confronti, sottoponga la determinazione
di detti diritti ed obblighi alle Corti e stabilisca i mezzi per dare applicazione agli stessi.
La maggioranza dei Giudici ha concluso, tuttavia, che la Corona (rectius, la per-
sona giuridica che disponeva delle prerogative della Corona), nel caso di specie, non
potesse essere condannata penalmente per il fatto, adducendo tuttavia impostazioni
teoriche e motivazioni di natura diversa.
Ad opinione di alcuni commentatori la sentenza, se letta nel modo corretto, por-
terebbe ad un risultato opposto rispetto a quello al quale tradizionalmente si ritiene
conduca. Infatti, la maggioranza dei giudici non avrebbe escluso che la Corona possa
essere responsabile penalmente del proprio operato, l’unica posizione preclusiva della
possibilità di prevedere una simile responsabilità essendo stata espressa dal giudice
Latham46.
In particolare, nel criticare la decisione, è stato osservato come in un’epoca in cui
i dipartimenti governativi e molte società indipendenti controllate direttamente o
indirettamente dal Governo, assumono un numero crescente di funzioni e respon-
  In questo senso Hogg, Monahan, Liability of the Crown, cit., p. 315.
46
L’ordinamento inglese 233

sabilità nella vita sociale ed economica, non sia possibile giustificare un’immunità
dall’azione penale che ha come scopo stigmatizzare il loro comportamento47.
In questa prospettiva, il tradizionale fondamento volto a sostenere l’impianto
dell’immunità dall’azione penale della Corona e dei suoi organi non si rivelerebbe
così solido come si vorrebbe pensare. Il che dovrebbe indurre a rivedere le posizioni
preclusive dell’esercizio dell’azione penale.

4.2. Recenti pronunce e nuove previsioni degli statute: prime indicazioni verso il
superamento del principio dell’irresponsabilità penale della Corona.

Le critiche espresse in relazione alla sentenza Cain v Doyle e l’esito di alcune re-
centi pronunce da parte delle giurisdizioni di common law – di cui si darà conto nel
presente paragrafo − dimostrano come si cominci a fare strada l’idea che anche la
Corona48, al pari degli altri soggetti fisici e giuridici, sia responsabile penalmente del
proprio operato. A testimonianza di ciò starebbe, inoltre, la tendenza emersa in In-
ghilterra negli ultimi anni di indicare negli statute che disciplinano alcune ipotesi di
strict liability offences la Corona come destinataria dell’atto stesso.
Sul fronte giurisprudenziale viene in rilievo un caso analizzato dalla Corte Supre-
ma australiana49, il quale trova origine dal ricorso presentato dal signor Bropho, citta-
dino australiano di origini aborigene, nei confronti dello Stato dell’Western Australia
e della società Western developement Corporation. A suo dire, infatti, gli imputati ave-
vano violato la sezione 17 dell’Aboriginal Heritage Act del 1972 in quanto intende-
vano sfruttare alcuni terreni che si trovavano nella zona dell’ovest dell’Australia e
che, ai sensi della citata legislazione, erano protetti in quanto facenti parte della zona
aborigena. La Western Australia Development Corporation era stata chiamata in causa,
in quanto era la società istituita con l’Western Australia Developement Corporation
Act del 1983 con lo scopo generale di promuovere lo sviluppo economico nell’ovest
47
W. Friedmann, Law in a changing society, Stevens, London 1972, p. 211. Analogamente con riferimento
all’ordinamento canadese M. Belanger, La responsabilité de l’Etat et ses sociétés en environnement, in
Droits de la personne: l’émergence de droits nouveaux, Les éditions Yvon Blais Inc., 1992, p. 417 che
considera la subordinazione dello Stato alla responsabilità civile e penale una condizione essenziale
affinché i cittadini dispongano della fiducia nelle istituzioni che li rappresentano. Si interrogano sulla
questione M. Andenas, D. Fairgrieve, Reforming crown immunity – the comparative Law perspective,
in «Public Law», 2003, p. 730 ss., i quali si chiedono se «can or should the state or public authorities
be held criminally liable?» e ritengono alla luce delle esperienze di diritto comparato che gli argomenti
tradizionalmente invocati ad ostacolo di una simile responsabilità dovrebbero essere superati in ragione
del fatto che lo Stato, in quanto tale, non può e non deve godere di privilegi.
48
  La Corona viene naturalmente utilizzata sempre nel senso ampio comprensivo anche di quelle persone
fisiche e giuridiche che sono qualificati come crown bodies.
49
  Bropho v State of Western Australia and other, in «Commonwealth law Report», 171, p. 1.
234 E. Pavanello

dell’Australia, attraverso attività di varia natura. Secondo quanto espressamente stabi-


lito dallo Statuto, la società era agent of the Crown per cui avrebbe goduto dell’immu-
nità propria della Corona. Tuttavia, la High Court ha ritenuto di poter condannare la
società − rectius i dipendenti e i funzionari di quella società − in quanto ha stabilito
che vi fosse un chiaro proposito legislativo di vincolare la società alla disposizione
normativa. Dalla lettura della motivazione della Corte emerge come la maggiore pre-
occupazione dei Giudici, nel rendere la propria decisione, sia stata quella di evitare
che l’immunità trovasse un terreno di fertile applicazione nel contesto australiano,
laddove molte società che ruotavano intorno all’ambito governativo pongono in es-
sere attività di carattere commerciale. Sarebbe stato limitativo, oltre che ingiusto,
esonerare da responsabilità dette società per il semplice fatto che esse sono agent of
the crown.
La sentenza viene invocata a sostegno del fatto che laddove lo statute lo indichi
espressamente, la Corona è vincolata allo stesso anche agli effetti penali50. Tuttavia
da tale principio non potrebbe automaticamente discendere la responsabilità penale
della Corona51. Infatti, la sentenza ha addotto ragioni di opportunità più che di so-
stanza, riferendosi al fatto che l’applicazione del principio dell’immunità condurreb-
be a risultati non auspicabili laddove applicato nel territorio australiano, ove operano
molte società emanazione della Corona. A ben vedere poi la High Court, per quanto
concerne il profilo penale che più strettamente ci occupa, ha ritenuto che la legislazio-
ne in oggetto fosse applicabile ai funzionari e agenti della società ma non alla società
stessa. Con ciò i Giudici hanno fatto applicazione dell’art. 17 dell’Aborigenal Heritage
Act che prevede la sua applicazione per le «natural persons» e non contempla, invece,
le ipotesi di responsabilità penale delle corporations. Con il che evidentemente viene
sensibilmente sminuito il risultato della pronuncia, dettato da ragioni di carattere
equitativo, più che da un meditato orientamento interpretativo.
Due ulteriori casi vengono, poi, invocati a fondamento di un’apertura rispetto
all’immunità assoluta della Corona. Nel primo, si contestava la violazione da parte
di una società canadese, agent of the Crown, del Sunday Observance Act. Quattro dei
sette giudici che componevano la Corte hanno ritenuto che fosse possibile perseguire
la Corona, ma che per fare ciò lo statute avrebbe dovuto prevederlo in modo espresso.
Nel caso specifico si è ritenuto che lo statute non intendesse vincolare la Corona e, per
tale, ragione non si è proceduto nei suoi confronti52.
50
  In questo senso Hogg, Monahan, Liability of the Crown, cit., p. 315.
51
  S. Kneebone, The Crown’s presumptive immunity from statute: new light in Australia, in «Public Law»,
1991, p. 368.
52
  Il caso cui si fa riferimento è Canadian Broadcasting Corporation v. Attorney General for Ontario,,
1959, Canada Law Reports, Supreme Court, 188 r.c.s., 188, ed è citato in Hogg, Monahan, Liability
of the Crown, cit., p. 315, i quali ritengono di poter offrire questa interpretazione della pronuncia.
L’ordinamento inglese 235

Il secondo caso invocato è, invece, stato oggetto di esame da parte di una Corte
neozelandese, la quale, nella motivazione della sentenza, ha ritenuto che la Corona
possa essere considerata responsabile penalmente, ma che ciò costituisca un problema
di interpretazione dello statute. Tuttavia, anche in questo caso specifico, si è ritenuto
che la Corona non fosse vincolata dal testo legislativo53.
Le pronunce sin qui analizzate se, da un lato, hanno avuto il merito di indicare
che uno statute può vincolare la Corona anche laddove contenga previsioni penali,
dall’altro, non costituiscono indice certo di una modificazione dell’orientamento che
considera l’immunità una prerogativa irrinunciabile per i crown bodies.
Come sopra accennato, poi, diversi statute (che prevedono anche sanzioni penali)
in Inghilterra hanno negli ultimi anni espressamente dichiarato la loro applicabilità
alla Corona. Con riferimento alla possibilità di dichiarare quest’ultima penalmente
responsabile, si sono tuttavia dimostrati più restii e hanno adottato un approccio di
compromesso in base al quale nel caso in cui la Corona non adempia a quanto previ-
sto nello statute si procederà a una dichiarazione di non adempimento (non complian-
ce) piuttosto che a una vera e propria condanna sul piano penale54.
Da sottolineare, inoltre, il fatto che le pronunce sino ad ora esaminate fanno rife-
rimento unicamente ad ipotesi di strict liability offences. Sulla possibilità di perseguire
gli enti della Corona in ipotesi di mens rea, non si segnalano precedenti.
Interessante tuttavia, l’opinione di parte della dottrina secondo cui, alla luce delle
recenti pronunce giurisprudenziali qui esaminate, la Corona è soggetta alle sanzioni
penali previste per statute sia in ipotesi di strict liability offences, quanto in caso di
mens rea offences, non sussistendo ostacoli nel configurare la responsabilità della Co-
rona anche in queste ipotesi55. Sarà tuttavia necessario identificare il dipartimento
governativo che è responsabile per l’attività in discorso; identificare il Ministro o l’uf-
ficiale di tale dipartimento che costituiscono i directing mind dell’attività e stabilire se
la persona in questione disponga del necessario state of mind.
A parere di chi scrive queste (timide) indicazioni circa l’opportunità di escludere
l’immunità dei crown bodies hanno trovato definitiva consacrazione nel Corporate
manslaughter and Corporate homicide Act di cui diremo infra.

53
  Sothland Acclimatisation Society v Anderson and the Minister of Mines, in «New Zeland Law
Reports», 1978, p. 838.
54
  Esemplificativo al riguardo l’articolo 54 del Food Safety Act del 1990. Esso dispone che le previsioni
dello statute (il quale introduce una serie di offences in materia di diritto alimentare volte a tutelare il
consumatore da possibili abusi) vincolino la Corona. Tuttavia, il secondo comma dell’articolo aggiunge
che nessuna violazione delle disposizioni citate possono rendere la Corona responsabile penalmente; la
High Court e, in Scozia, la Court of Session potranno unicamente dichiarare che la stessa ha agito o ha
omesso di agire contravvenendo alle disposizioni di legge.
55
  Hogg, Monahan, Liability of the crown, cit., p. 316-317.
236 E. Pavanello

5. Gli argomenti addotti a favore dell’irresponsabilità penale. L’asserita “impossibilità”


per la Corona di commettere illeciti.

Dall’analisi delle sentenze sin qui citate emerge come sostanzialmente tre siano le
ragioni che conducono a ritenere la Corona esente dalla responsabilità penale.
Innanzitutto, il principio secondo cui The king can do no wrong ha indotto a
ritenere che la Corona non può porre in essere alcuna azione penalmente illecita. Si
parte cioè dal presupposto che la legittimità dell’azione del Sovrano e degli organi che
rappresentano la monarchia non possa essere contestata. È invece possibile perseguire
i funzionari pubblici in quanto persone fisiche, anche se non sono mancate voci criti-
che in ragione del fatto che i civil servants «it seems» are not libale for crimes committed
in their representative (official) capacities56.
Particolarmente rilevante al riguardo un passaggio della sentenza Home Office che,
pur riguardando l’ipotesi di responsabilità civile del Governo, ben esprime le preoc-
cupazioni connesse alla possibilità di perseguire la Corona. Dopo aver dichiarato che
la Corona, in quanto tale, can do no wrong, viene affermato che «a litigant complain-
ing of a breach of the law by the executive can sue the Crown as executive bringing his
action against the minister who is responsible for the departement of State involved»57.
Ciò sarebbe di per sé sufficiente a garantire che il reato eventualmente commesso
venga punito. Critiche al riguardo sono state avanzate in ragione della contraddittoria
posizione attribuita alla Corona, cui viene riconosciuta la piena personalità giuridica
quando debba concludere un contratto e nel contempo detta personalità viene negata
quando debba rispondere penalmente o civilmente del proprio operato. Inoltre, la
responsabilità di un Ministro non sarebbe sufficiente a escludere la contemporanea
responsabilità della Corona, non esistendo alcuna preclusione al riguardo. In questa
prospettiva, la Corona potrebbe essere giudicata davanti alle Corti, senza che ciò
rechi attentato ai principi della separazione dei poteri o allo status di cui è titolare la
Corona stessa58.
Inoltre, taluni hanno rilevato che la possibilità di perseguire lo Stato o gli enti
pubblici contribuirebbe sicuramente a dare applicazione al principio di eguaglianza
tra i diversi soggetti giuridici e costituirebbe manifestazione della riprovevolezza della
condotta posta in essere59.

56
  Halbury’s Laws Of England, Lord Lester of Herne Hill and D. Oliver editors, 1998, 4th edition
Butterworths, vol. 8 (2), para. 388.
57
  House of Lords, M. v Home office, in «Law Reports Appeal Courts», 1, 1994,p. 395.
58
  S. Sedley, The Crown in its own Courts, in C. Forsyth, I. Hare, The golden metwand and the crooked
cord, Christopher Forsyth, Ivan Hare, Oxford 1998, p. 253 ss.
59
  Sul punto si confrontino Andenas, Fairgrieve, Reforming crown immunity – the comparative Law
perspective, cit., p. 752.
L’ordinamento inglese 237

5.1. L’impossibilità per la Corona di perseguire se stessa e l’asserita inutilità


dell’applicazione di una sanzione pecuniaria.

Ostacoli alla perseguibilità della Corona sono stati avanzati anche in ragione
dell’asserita impossibilità di perseguire se stessa60. Infatti, il Crown Prosecution Office
detiene il monopolio dell’esercizio dell’azione penale. Si finirebbe, quindi, per creare
una sovrapposizione tra autorità procedente e soggetto perseguito. Correlata a questa
argomentazione emerge l’idea che il principio della separazione dei poteri non con-
senta di perseguire un ente che opera ed è stato creato in nome della Corona.
Anche nell’ordinamento inglese è venuta in rilievo, sotto il profilo sanzionatorio,
la difficoltà di applicare una sanzione pecuniaria alla Corona. Nella sentenza Cain v
Doyle il giudice Latham ha ritenuto che non vi fosse alcuna ragione che legittimasse
il pagamento da parte del Commonwealth di un’ammenda a se stesso61. Critiche a
questo principio sono state espresse da parte della dottrina, la quale ha ritenuto che
non vi sia nulla di controproducente nel prevedere il pagamento di una sanzione con
un passaggio di denaro da un dipartimento governativo all’altro62.
Particolarmente rilevante una pronuncia della Corte Canadese, R. v Right in Bri-
tish Columbia63, in cui la Corte ha affermato come vada contestata la posizione della
difesa, società agent of the Crown, secondo cui un’eventuale condanna al pagamento
di una sanzione pecuniaria non troverebbe fondamento perché i cittadini di fatto
pagherebbero la sanzione inflitta. La sanzione pecuniaria costituisce infatti, a parere
della Corte, un chiaro segno di disapprovazione della condotta della società. In ogni
caso, nell’ipotesi di uno Stato federale laddove sia condannato un ente provinciale, la
multa dovrà essere corrisposta alla Corona federale, per cui non si porrebbero proble-
mi di identità tra soggetto che effettua il pagamento e soggetto che lo riceve. L’unica
ipotesi di identità si potrebbe verificare nel caso in cui fosse un ente federale ad essere
sottoposto alla sanzione. Ma anche in questo caso, l’effetto stigmatizzante della san-
zione dovrebbe prevalere. Essa costituirebbe infatti uno stimolo per i funzionari pub-
blici a rispettare le procedure previste dalla legge, soprattutto laddove, come avveniva
nel caso di specie, si trattava di ipotesi di inquinamento ambientale che offendeva
l’interesse di tutti i cittadini.
60
  Si confronti Cain v Doyle, in «Common Law Report», 72, 1946, p. 418.
61
  Cain v Doyle, cit., p. 418.
62
  Si veda sul punto lo studio dell’Australian Institute of Criminology: Government illegality, edited
by P. Grabosky, Canberra, Australian Institute of Criminology, 1986, p. 130-138, in cui si analizzano
le argomentazioni che vengono tradizionalmente addotte per negare sotto il profilo sanzionatorio la
possibilità di procedere nei confronti delle entità governative. Lo studio conclude nel senso che le
motivazioni citate sono infondate e si auspica che, in ragione della maggiore efficacia di cui le stesse
godono,si prevedano delle «ingiunzioni penali» volte ad esempio a prevedere delle riforme istituzionali
all’interno dell’ente per prevenire il verificarsi di futuri illeciti.
63
  R. Right in British Columbia, cit., par. 35.
238 E. Pavanello

6. L’introduzione del reato di omicidio colposo per le persone giuridiche (corporate


manslaughter) e il (parziale) superamento dell’immunità dei Crown bodies.

La crescente consapevolezza della crisi di effettività del modello dell’identification


theory di responsabilità degli enti in caso di incidenti con conseguenze mortali, ha
condotto il legislatore inglese a un ripensamento della responsabilità degli enti con
riferimento alle ipotesi di omicidio.
Condotte che nel passato si consideravano semplicemente frutto di un errore
umano, oggi si ritengono meritevoli di sanzione penale64 e hanno palesato la neces-
sità di adottare una riforma efficace65. Prima dell’introduzione del reato di corpora-
te manslaughter, l’ordinamento inglese conosceva diverse forme di omicidio. La più
grave è il murder in base al quale viene punito il soggetto agente che ha provocato
la morte di una persona che egli aveva effettivamente la volontà di uccidere. L’altra
ipotesi è invece quella di manslaughter che si distingue in voluntary − quando il reo
intendeva causare la morte della vittima o procurarle delle lesioni, ma non è integrata
l’ipotesi di murder − e involuntary, in cui non vi è intenzione del soggetto agente di
uccidere. Quest’ultima forma di manslaughter, a sua volta si distingue in unlawful act
manslaughter, quando la persona che ha causato la morte del soggetto lo ha fatto in
esecuzione di un’attività che normalmente porta con sé il rischio di cagionare lesioni,
e gross negligence manslaughter, la quale è di più difficile definizione ma può essere in
via di semplificazione ricondotta a quelle ipotesi in cui il reato è posto in essere da chi
ha causato la morte di un soggetto per grave negligenza.
Nel corso degli anni la realtà ha dimostrato come l’applicazione dell’ipotesi di
manslaughter nei confronti delle persone giuridiche fosse particolarmente difficile, in
considerazione delle limitazioni che presentava il modello della identification theory.
Il risultato è stato che solo in poche occasioni le Corti inglesi hanno provveduto a
condannare delle persone giuridiche per manslaughter. Il più delle volte quando si
sono verificati disastri che hanno cagionato la morte di diverse persone, strettamente
collegati al mancato rispetto delle misure di sicurezza necessarie per tutelare la salute
degli individui, si è proceduto nei confronti della persona giuridica sulla base dell’He-
alth and Safety Act del 1974. Tale atto consente di perseguire, infatti, gli enti sulla base
del modello della vicarious liability, quando sia dimostrato che il datore di lavoro ha
violato l’obbligo di tutelare, per quanto possibile, la salute, la sicurezza e il benessere
al lavoro di tutti i suoi dipendenti. L’organo preposto ad assicurare l’esecuzione di tale
normativa è l’Health and Safety Executive (hse)66, il quale ha il potere di indicare alle
64
  C. Wells, Corporate manslaughter: a cultural and legal form, in «Criminal Law Forum», 1995, p. 45 ss.
65
  Cfr. D. Bergman, Manslaughter and corporate immunity, in «New Law Journal», 2000, p. 316 ss.
parla di un «desperate desire for reform».
66
  Si tratta di un ispettorato che si occupa dell’attuazione della normativa in materia di sicurezza. In
relazione all’attività svolta dall’Istituto si veda E. Fronza, La tutela della sicurezza del lavoro in Inghilterra,
L’ordinamento inglese 239

società quali questioni meritino da parte loro particolare attenzione sotto il profilo
della sicurezza nonché di svolgere le indagini che condurranno all’apertura di un pro-
cedimento penale nei confronti della società stessa. Nei pochi casi in cui le indagini
dell’hse hanno condotto a perseguire le persone giuridiche, le sanzioni inflitte sono
state pene pecuniarie di non rilevante entità67. Le violazioni di norme relative alla
sicurezza e alla salute, normalmente conducono all´imposizione di sanzioni ammi-
nistrative e possono dare luogo al risarcimento dei danni sotto il profilo civilistico68.
La constatazione dell’incapacità del diritto penale di porre rimedio a gravi negli-
genze delle persone giuridiche – con esiti spesso mortali – ha condotto all’introduzio-
ne di una nuova fattispecie di corporate manslaughter, affatto diversa rispetto a quella
prevista dalla common law, costruita in modo tale da superare gli ostacoli che sino ad
oggi si ponevano alla perseguibilità delle persone giuridiche, al fine di punire gli enti
in relazione alle condotte che dimostrino come non siano stati rispettati gli standard
minimi relativi alla sicurezza69. Il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide
Act 2007 (in seguito, per brevità, cmch Act), entrato in vigore in Gran Bretagna il
6 aprile del 2008, è stato adottato dopo più di dieci anni dalla prima proposta le-
gislativa70. La doppia denominazione, corporate and homicide, dipende dal fatto che
in La riforma dei reati contro la salute pubblica, a cura di M. Donini, cedam, Padova 2007, p. 155 ss.
67
  C.M.V. Clarkson, Corporate manslaughter: yet more Government proposals, in «Criminal Law
Review», 2005, p. 677-678.
68
  V. Howes, B. Wright Frank, Corporate manslaughter: an international perspective, in G. Forlin,
Corporate Liability: work related deaths and criminal prosecutions, Forlin general editor, Lexisnexis,
London 2003, p. 485 ss.
69
  Per un commento alle raccomandazioni espresse sul punto dalla Law Commission inglese e scozzese
che già prima dell’introduzione del nuovo reato si era espressa nel senso della necessità di una riforma, si
vedano C. Wells, A new offence of corporate killing – the English Law Commission’s proposal, in A. Eser,
G. Heine, B. Huber, Criminal responsibility of legal and collective entities. International colloquium,
Iuscrim, Freiburg im Bresgau 1998, p. 119 ss.
70
  La prima proposta della Law Commission, organo indipendente creato dal Parlamento che ha tra i
suoi compiti quello di vagliare la legislazione esistente e di proporre eventuali riforme, risale al 1996 e si
inserisce nell’ambito del progetto di studio di riforma del codice penale. In particolare, la Commissione
intendeva introdurre la seguente fattispecie:
«(1) Una società è responsabile di corporate killing se:
(a) una carenza nell’amministrazione della società è la causa o una delle cause della morte di una
persona e (b) questa carenza integra una condotta che rientra al di sotto di ciò che può ragionevolmente
aspettarsi dalla società in dette circostanze.
(2) Ai fini del paragrafo(1) che precede:
(a) vi è carenza nell’amministrazione da parte della società quando il modo in cui essa amministra o
gestisce le sue attività è tale da non riuscire ad assicurare la salute e la sicurezza delle persone dipendenti
della società stessa o delle persone che sono interessate da dette attività;
(b) tale carenza deve essere considerata come la causa della morte della persona nonostante la causa
immediata sia l’azione o l’omissione di un individuo.»
Sullivan, The attribution of culpability to limited companies, cit., p. 530 ritiene che l’espressione inglese
utilizzata – management failure – si riferisse a un’ipotesi di carenza strutturale e organizzativa della
240 E. Pavanello

diverse sono le tradizioni linguistiche degli ordinamenti locali: mentre in Inghilterra,


Galles e Irlanda del Nord la denominazione è corporate manslaughter, in Scozia si fa
riferimento al corporate homicide.

6.1. La responsabilità per il reato di corporate manslaughter sussiste quando una delle
attività gestite o organizzate dal senior management causa la morte di una persona ed è
dipesa da una grave violazione dell’obbligo di diligenza cui l’organizzazione era tenuta
nei confronti della vittima.

La nuova fattispecie costituisce una statutory offence, fondata – pare doversi


ritenere – su un criterio corrispondente alla gross negligence. A differenza di quanto
avveniva in passato per condannare una persona giuridica per omicidio involontario
non sarà più necessario individuare una responsabilità personale di un soggetto posto
al vertice della società71.
Ai sensi dell’art. 1 del cmch Act l’organizzazione è responsabile del reato di omici-
dio colposo se le modalità attraverso le quali una delle attività di organizzazione sono
gestite o organizzate della stessa:
società stessa. Detta carenza era integrata quando la morte del soggetto non si sarebbe mai verificata se
la società fosse stata organizzata in modo diverso per quanto concerne le misure di sicurezza e le misure
a tutela della salute dei soggetti. Il progetto era stato rivisto attraverso un consultation paper dal Governo
nel 2000 che rispecchiava la proposta della Law Commission, anche se indicava la necessità di estendere
la nuova fattispecie agli undertakings, quali ospedali, scuole etc. Per un commento su tale testo si vedano
tra gli altri: Sullivan, Corporate killing – some governmental proposals, in «Criminal Law review», 2001,
p. 31-39; J. Gobert, Corporate killing at home and abroad- Reflesctions on the Governmental’s proposals, in
«Law Quarterly review» vol. 118, 2002, p. 72 ss.; S. Parsons, The doctrine of identification, causation and
corporate liability for manslaughter, in «The Journal of Criminal law», 2003, p. 69 ss. e V. Todarello,
Corporations don’t kill people – peolple do: exploring the goals of the United Kingdom’s Corporate Homicide
bill, in «New York Law School review», 2003, p. 851 ss., il quale ultimo aveva assunto una posizione
molto critica con riferimento all’effettiva utilità di introdurre una fattispecie ad hoc per le persone
giuridiche. Critiche al Progetto, ma per ragioni diverse, erano state avanzate anche da Clarkson,
Corporate manslaughter: yet more Government proposals, cit., p. 569, il quale non metteva in discussione
l’opportunità dell’adozione di questa forma di corporate killing ma riteneva limitativo introdurre la
responsabilità esclusivamente per la fattispecie di omicidio. Detta consultazione ha dato poi origine nel
2005 alla redazione di un Draft Bill, successivamente emendato dalla House of Commons e trasmesso
all’analisi della Camera dei Lords con il nome di Corporate manslaughter and Corporate Homicide Act
2006. Critico rispetto al testo da ultimo approvato in relazione alla mancata penalizzazione delle
condotte dei dirigenti e dei senior managers, F.B. Wright, Criminal liability of Directors and Senior
Mangers for Deaths at work, in «Criminal Law review», 2007, p. 950.
71
  D. Castronuovo, La responsabilità dell’impresa come organizzazione complessa per i reati colposi: profili
comparativi sulle recenti riforme introdotte in taluni Paesi dell’ue, in Il diritto penale nella prospettiva di
riforma dei trattati europei, relazione al Convegno di studi di Verona (27-28 giugno 2008), p. 5.
L’ordinamento inglese 241

a) causa la morte di una persona e,


b) dipende da una grave violazione di un obbligo di diligenza (relevant duty of
care) cui l’organizzazione era tenuta nei confronti della vittima.
La fattispecie trova applicazione sia nei confronti delle persone giuridiche di dirit-
to privato, ad eccezione delle persone giuridiche unipersonali, nonché nei confronti
dei dipartimenti governativi o degli enti della Corona espressamente indicati nella
lista annessa alla proposta di legge72, oltre che nei confronti delle forze di polizia.
L’ente è responsabile solo nel caso in cui le modalità attraverso cui le sue attività
sono organizzate o gestite dal senior management73 costituiscono un elemento sostan-
ziale della violazione del dovere di diligenza sopra indicato.
La pena prevista in caso di violazione della norma è la sanzione pecuniaria, la
cui entità non è specificata (section 1,6)74. Inoltre, le Corti potranno imporre dei
remedial orders, misure che le persone giuridiche dovranno adottare per rimediare alla
violazione dell’obbligo di diligenza che è stato violato75, ovvero dei publicity orders,
consistenti nel dare notizia della condanna inflitta76.
72
  La lista include tra gli altri l’Ufficio del Gabinetto, il Crown Prosecution Service, i vari dipartimenti
governativi e diversi uffici statali, quali il Foreign and Commonwealth Office, l’Office of the Deputy of the
Prime Minister, Departement for Transport. Il Segretario di Stato ha il potere, secondo quanto stabilito
dall’art. 22, di modificare l’elenco dei soggetti responsabili con apposito provvedimento.
73
  Con l’espressione senior management deve intendersi «the persons who play significant roles in (a)
the making of decisions about how the whole or a substantial part of its activities are to be managed or
organised or (b) the actual managing or organizing of the whole or a substantial part of those activities».
Essa ha sostituito la precedente espressione senior manager per far fronte alle critiche avanzate circa la
definizione del senior manager e la difficoltà di individuare i soggetti che hanno organizzato l’attività che
ha determinato la morte della persona. S. Griffin, Corporate manslaughter: a radical reform?, in «Journal
of Criminal Law», 71, 2007, p. 154 hanno rilevato che che il riferimento al senior management non
introduce alcuna novità sostanziale, poiché seppure la nuova espressione ha il merito di porre l’accento
sul fatto che al fine di stabilire la responsabilità della persona giuridica è necessario individuare una
carenza in capo alla struttura di comando della stessa (e non ad esempio ad un junior manager), la
definizione di senior management contenuta nel testo emendato è sostanzialmente analoga a quella di
senior manager indicata nel precedente Draft Bill.
74
  Sotto il profilo sanzionatorio è stato rilevato da E. Mujih, Sentencing for Health and Safety Offences:
Is the Court of Appeal Going Soft?, in «Journal of Criminal Law», 72, 2008, p. 370, che le corti di
merito hanno dimostrato nel corso degli ultimi anni di applicare agli enti pubblici sanzioni pecuniarie
di minor entità rispetto a quelle applicate agli enti privati. A parere dello Studioso la ragione di ciò va
rinvenuta nel fatto che i fondi per il pagamento della sanzione andrebbero rinvenuti nei fondi pubblici:
si vuole evitare, dunque, che venga fatta ricadere sulla collettività il costo della sanzione. È da ritenere
che analogo ragionamento verrà effettuato anche nell’applicazione di sanzioni in virtù del Corporate
manslaughter act.
75
  Castronuovo, La responsabilità dell’impresa come organizzazione complessa per i reati colposi, cit.,
rileva che il remedial order è istituto che presenta analogie con il sistema delle prescrizioni previsto nel
nostro ordinamento dal d.lgs. 758/1994.
76
  Secondo quanto indicato nelle linee guida del Ministero della Giustizia (A guide to the Corporate
Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007, reperibili nel sito <www.nio.gov.uk/corp_mans_
242 E. Pavanello

La nuova fattispecie dovrà trovare applicazione solo come ultimo rimedio, a inte-
grazione delle ipotesi già previste nell’ordinamento da specifiche offences a tutela della
salute e della sicurezza. Per tale ragione, anche se il cmch Act esclude la responsa-
bilità delle singole persone fisiche che abbiano eventualmente favorito, consigliato,
raccomandato la commissione del reato di corporate manslaughter, le stesse possono
essere perseguite individualmente per il reato di manslaughter o per la violazione delle
offences a tutela della salute e della sicurezza.
Affinché la persona giuridica possa essere condannata, sarà necessario dimostrare
la violazione dello specifico obbligo di diligenza cui era tenuta, violazione che ha
causato la morte di una persona.
La legge indica che l’ente è tenuto a rispettare il dovere di diligenza quando esso
sussista «under the law of negligence» in relazione alla vita delle persone coinvolte
nell’organizzazione. Detto obbligo sussiste in connessione a talune specifiche posi-
zioni rivestite dal soggetto, ovvero quella di datore di lavoro che implica, ad esempio,
la creazione di un ambiente di lavoro sicuro; quella di occupante di un determinato
immobile che comporta la responsabilità per la sicurezza; quello di fornitore di merci
o servizi che determina, ad esempio, il dovere della società di fornire prodotti sicuri
e, infine, quella relativa a qualsiasi altra attività commerciale77.
Si anticipa sin da ora che la legge espressamente esclude la sussistenza di un simile
dovere di diligenza qualora venga in rilievo una attività di natura esclusivamente
pubblica (public policy decision), inclusa in particolare la distribuzione di risorse pub-
bliche o la comparazione tra diversi interessi pubblici. Sono poi esclusi dal concetto
di dovere di diligenza le funzioni che sono nelle prerogative della Corona o che per
loro natura sono esercitabili solo attraverso l’autorità conferita dall’esercizio di queste
prerogative o attraverso le previsioni statutarie (sul punto infra).
La grave violazione (gross breach) di tale dovere di diligenza è integrata quando la
condotta della persona giuridica si situa al di sotto di quanto ci si poteva legittima-
mente aspettare dall’ente in quelle circostanze. Il Giudice, nel valutare se vi sia stata
gross breach, dovrà considerare l’eventuale violazione di norme relative alla salute e alla
sicurezza e, in caso positivo, quanto grave sia stata questa violazione e se il senior ma-
nagement fosse a conoscenza della stessa o quantomeno avrebbe dovuto conoscerla78.

leaflet_web_revised.pdf_9_oct_07-3.pdf>), la determinazione dell’entità della pena pecuniaria dovrà


essere operata caso per caso dal giudice, in accordo con le sentencing guideline che dovranno essere
adottate entro l’autunno del 2008.
77
  Gli esempi citati erano espressamente indicati nel Corporate manslaughter: the Government’s Draft Bill
reform, p. 36 ss.
78
  Criticamente Clarkson, Corporate manslaughter: yet more Government proposals, cit., p. 682 ss.
osserva che il concetto di condotta al di sotto di ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare dall’ente
è vago e indeterminato.
L’ordinamento inglese 243

6.2. L’inclusione della Corona tra i soggetti destinatari della nuova fattispecie. Limiti
della disposizione.

Con l’entrata in vigore del cmch Act, per la prima volta nella storia inglese, la Co-
rona in quanto tale potrà essere perseguita penalmente. L’articolo 11 prevede, infatti,
che an organization that is servant or agent of the Crown is not immune from prosecution
under this Act for that reason79. L’articolo 11, al comma 2, specifica espressamente che,
ai fini dell’atto, i dipartimenti governativi elencati nell’apposito allegato nonché le
società che sono agent della Corona devono essere equiparati alle persone giuridiche
di diritto privato.
Tuttavia, a fronte di questa statuizione che consentirebbe di affermare il supera-
mento del principio dell’immunità penale, quantomeno con riferimento al reato di
corporate manslaughter, vengono poste una serie di limitazioni che, de facto, limitano
fortemente la responsabilità penale degli enti emanazione della Corona.
L’articolo 3 infatti, nel disciplinare il dovere di diligenza, dispone che un ente
autorità pubblica80 non è tenuto a tale dovere qualora si tratti di questione attinente
alla public policy, quando costituisca esercizio di una pubblica funzione o quando
si tratti di ispezioni governative. È funzione pubblica quella attività che rientra tra
le prerogative specifiche della Corona o è per sua natura esercitabile solo mediante
poteri autoritativi espressamente conferiti. Resta salva, invece, la responsabilità della
Corona quando l’ente assuma la qualità di datore di lavoro rispetto ai suoi dipenden-
ti, nonché la qualifica di proprietario dell’immobile in relazione alla sicurezza dello
stesso anche nel caso si tratti di esercizio di funzione pubblica.
Esiste, inoltre, un’ulteriore limitazione alla responsabilità delle autorità locali e
delle altre autorità pubbliche le quali non saranno tenute al dovere di diligenza in
79
  Peraltro, già il Draft Bill del 2005 prevedeva, in modo generale, «to the extent provided by this Act,
it binds the Crown».
80
  Per reperire una nozione di autorità pubblica occorre fare riferimento, all’articolo 6 dello Human
Rights Act del 1998 il quale definisce tali le Corti, i Tribunali e qualsiasi persona le cui funzioni sono di
natura pubblica. Lo Human Rights Act, entrato in vigore il 2 ottobre 2000, dà attuazione in Inghilterra
alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, consentendo che i diritti in essa riconosciuti possano
essere fatti valere davanti alle Corti inglesi. In particolare, l’Atto intende garantire che la legislazione
inglese sia compatibile con i diritti dallo stesso riconosciuti e, come vedremo, una particolare sezione
attribuisce ai cittadini la possibilità di ricorrere alle Corti per ottenere il risarcimento del danno nel
caso in cui le autorità pubbliche abbiano agito illecitamente. Sullo Human Rights Act si vedano tra gli
altri, senza pretesa di esaustività, D. Cheney, Criminal justice and the Human Rights Act 1998, Jordans,
Bristol 2001; J. Wadham, H. Mountfield, A. Edmundson, Blackstone’s Guide to The Human Rights
Act 1998, Oxford University Press, Oxford 2003; S. Grosz, J. Beatson, P. Duffy, Human Rights the
1998 Act and the European Convention, Sweet & Maxwell, London 2000; P. Chandran, A Guide to the
Human Rights Act 1998, Butterworths, London 1998.
244 E. Pavanello

relazione all’esercizio di quelle funzioni che hanno come scopo la protezione del mi-
nore o le attività esplicate dal probation service81.
La legge esplicita chiaramente, quindi, che le decisioni che coinvolgono questioni
di pubblico interesse sono al di fuori dello scopo dell’offence: non si ritiene, infatti,
possibile per le Corti procedere ad una valutazione degli interessi pubblici che hanno
determinato l’ente ad assumere una certa decisione, ancorché la stessa integri un ille-
cito penalmente rilevante. Come indicato nelle note predisposte dal Ministero della
Giustizia, la ragione di dette esclusioni va rinvenuta nel fatto che, in taluni casi, gli
enti pubblici svolgono attività a beneficio della comunità nel suo complesso, piut-
tosto che limitarsi a fornire servizi ai singoli individui. Con particolare riferimento
all’esclusione da responsabilità per fatti concernenti decisioni di politica pubblica il
Ministero afferma che esse coinvolgono priorità di carattere pubblico o altre que-
stioni di politica pubblica che non sono suscettibili di essere sottoposte al vaglio
giudiziario82.
Alla stregua di queste indicazioni, le persone giuridiche di diritto pubblico po-
tranno essere perseguite nella misura in cui non esercitino una pubblica funzione e
le autorità pubbliche potranno essere perseguite nella misura in cui non si tratti di
questioni che concernono il pubblico interesse.
Esiste quindi una sostanziale e incolmabile differenza tra enti di diritto pubblico,
emanazione della Corona, ed enti di diritto privato non tanto in ragione della loro
natura, quanto in relazione alla tipologia di attività svolte. Non sarebbe stato, infatti,
auspicabile perseguire il Governo o altri enti pubblici nella misura in cui esercitino
funzioni di natura esclusivamente pubblica (core public functions). Gli esempi citati
già nel corso dei lavori preparatori in favore di tale assunto riguardano le attivi-
tà svolte dal Governo in una situazione di emergenza civile o le attività connesse
alla custodia dei detenuti. Nel caso in cui ad esempio si verifichino dei decessi in
prigione ricollegabili ad una cultura illecita di impresa verranno eseguite indagini
di natura pubblica i cui risultati saranno a disposizione dei cittadini. Con la con-
seguenza che in questi casi sarà «superfluo» l’esercizio dell’azione penale. In questi
settori la responsabilità dei singoli funzionari continua ad essere presente, mentre
con riferimento all’ente potranno venire in rilievo eventuali meccanismi alternativi
di controllo, quali la responsabilità dei Ministri per il proprio operato nei confronti
del Parlamento o i meccanismi di responsabilità disposti dallo Human Rights Act83.
81
  Ciò significa che, ad esempio, non potrà essere rinvenuta alcuna responsabilità in capo all’ente
pubblico per la morte di un minore che non era stato individuato come a rischio e, per tale ragione,
non era stato sottoposto a forme di protezione adeguate.
82
  Cfr. sul punto Corporate manslaughter and corporate homicide act 2007, Explanatory notes, rinvenibili
nel sito <http://www.opsi.gov.uk>.
83
  La section 6 dello Human Rights Act dispone che «it is unlawful for a public authority to act in a way
which is incompatible with a Convention right». Come già ricordato, sono tali quegli organi non solo
L’ordinamento inglese 245

La soluzione adottata intende consentire un contemperamento delle esigenze


pubblico/privato mediante, da un lato, la parificazione degli enti della Corona agli
enti privati con riferimento alle attività di carattere privatistico e, dall’altro, una fon-
damentale differenziazione per quelle attività che non possono essere svolte dalle per-
sone giuridiche di diritto privato o il cui esercizio presuppone particolari prerogative
attribuite dalla legge.
L’articolo 4 esclude poi la sussistenza del dovere di diligenza qualora l’illecito si
verifichi nell’esecuzione di operazioni di peacekeeping, attività di preparazione o sup-
porto o pianificazione di operazioni di combattimento o di attività rischiose84. L’ec-
cezione da ultimo indicata può dare adito a qualche perplessità nella misura in cui
anche le operazioni di peacekeeping vengono incluse nella nozione di operazioni di
combattimento: se esse sicuramente sono volte a garantire la sicurezza, destinatario
di detta sicurezza non è lo Stato cui appartengono le Forze Armate, bensì lo Stato ove
le truppe sono chiamate a prestare servizio. Attraverso detta esclusione si è con ogni
probabilità voluto tutelare l’interesse dello Stato, in un settore tanto delicato quale
quello della difesa, a prescindere da una meditata riflessione sul punto.

6.3. Critiche alla limitata responsabilità della Corona. In particolare, l’asserita


incompatibilità di tali limitazioni con le previsioni della Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo.

Nel lungo iter che ha condotto da ultimo all’approvazione del cmch Act, le di-
sposizioni volte a limitare la responsabilità della Corona sono state oggetto di rifles-
sione critica da parte del Centre for Corporate Accountability’s (cca). Si tratta di un’as-
sociazione che si occupa della tutela dei lavoratori e della loro sicurezza. Tra le varie
attività che esso ha promosso vi è stata proprio la campagna per l’adozione del reato
di corporate manslaughter85. Il cca – coinvolto nelle attività di consultazioni svolte dal
pubblici per definizione (Corti, Tribunali, polizia etc.) ma anche quelli che, indipendentemente dalla
loro natura pubblica o privata, esercitano una funzione pubblica. Nel caso in cui detta autorità abbia
contravvenuto alle disposizioni dell’Atto, è previsto che la vittima possa instaurare un giudizio nei
confronti dell’Autorità al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla decisione illecita
o fare in modo che la Corte annulli detta decisione o impedisca all’autorità pubblica per il futuro di
adottare decisioni analoghe. Non si tratta, quindi, di responsabilità penale, ma di un meccanismo
di risarcimento del danno in forma pecuniaria o per equivalente per l’attività illecita delle autorità
pubbliche.
84
  La ragione di tale esclusione, che era stata già inserita nella proposta formulata dal Governo, è stata
rinvenuta nel fatto che si è ritenuto che l’interesse pubblico sia perseguito in modo più efficace da parte
delle Forze Armate se queste sono immuni dall’azione penale in relazione alle attività dalle stesse poste
in essere. Infatti, sarebbe controproducente eseguire indagini e perseguire penalmente le Forze Armate
le quali svolgono un compito di difesa e di sicurezza fondamentale per tutelare lo Stato.
85
  I documenti del cca di cui si discute sono rinvenibili nel sito dell’organizzazione http://www.
246 E. Pavanello

Governo – ha redatto un documento contenente i propri rilievi riguardo alla parziale


immunità che veniva (e viene tuttora) garantita alla Corona86.
Innanzitutto, il cca ha criticato il criterio del duty of care poiché si tratta di prin-
cipio che trova la propria origine nel diritto civile e ha scopi completamente diversi
rispetto a quelli propri del diritto penale. In secondo luogo, il cca ha pure criticato
l’esclusione dalla responsabilità degli enti che esercitino esclusive funzioni pubbliche,
in ragione delle difficoltà di individuazione delle funzioni predette, atteso che non
esiste uno specifico elenco che le indichi in modo tassativo. Il Centro ha ritenuto che
i meccanismi alternativi di controllo non siano efficaci al pari dell’azione penale cui
non sono in alcun modo sovrapponibili.
Quanto all’esclusione dalla perseguibilità penale dei public body nella misura in
cui sono coinvolti interessi di carattere generale, si è stigmatizzato il fatto che ciò
contribuisca a fornire un messaggio sbagliato in base al quale anche se sussistono i
presupposti di responsabilità dell’ente, esso andrà esente da sanzione.
Critiche sono state avanzate, inoltre, per il fatto che le Forze Armate siano state
escluse dal novero dei soggetti responsabili: infatti, viene sostanzialmente esclusa la
responsabilità per qualsiasi attività dalle stesse poste in essere. La esclusione è tanto più
criticabile per il fatto che le Forze Armate sono sottoposte alle nome poste a tutela del-
la sicurezza e della salute degli individui. Incongruo risulterebbe quindi renderle im-
muni dall’azione penale nel caso in cui da dette attività derivi la morte di un soggetto.
Un parere ad hoc era stato inoltre redatto dal cca al fine di valutare la compati-
bilità della prima proposta di legge del Governo rispetto alla Convenzione Europea
dei diritti dell’uomo (cedu) nella misura in cui determinati soggetti vengono esclusi
dal novero dei soggetti responsabili87. In particolare, era stata rilevata l’asserita in-
corporateaccountability.org/.
86
  Il cca aveva espresso le proprie perplessità anche rispetto ad alcuni passaggi del primo progetto.
In particolare il Draft proposto dalla Law Commission prevedeva di non perseguire penalmente la
Corona, ma di creare un meccanismo alternativo come quello previsto dal Food Safety Act, in base
al quale si sarebbe potuto procedere ad una dichiarazione di non compliance, anzichè ad una vera e
propria condanna. Ciò creava a parere del centro un’assurda discriminazione rispetto alla situazione
delle local authorities, le quali invece avrebbero potuto essere perseguite. Già allora peraltro si era
paventata l’ipotesi di una possibile violazione della normativa degli articoli 2,13,14 della Convenzione
Europea dei diritti dell’Uomo. In particolare si veda il documento del cca, Joint opinion on the proposed
criminal offence of corporate killing and its compatibility with the echr, rinvenibile nel sito <http://www.
corporateaccountability.org/>.
87
 Trattasi del parere pubblicato del 28 maggio 2005: cca, Crown bodies - Liability for corporate manlsaughter
under the Government’s new draft bill, rinvenibile nel sito http://www.corporateaccountability.org/ Il cca
aveva evidenziato che seppure degna di nota fosse l’inclusione dei soggetti appartenenti alla Corona tra i
destinatari dell’Atto, le limitazioni poste al riguardo erano in contrasto non solo con le disposizioni della
cedu, per le ragioni che si esporranno infra, ma anche con altre disposizioni esistenti nell’ordinamento.
Basti pensare ad esempio al fatto che le previsioni contenute nell’Health and Safety Act sono più ampie e
prevedono che gli enti destinatari delle disposizioni penali siano un numero maggiore rispetto a quanto
L’ordinamento inglese 247

compatibilità della previsione in relazione all’articolo 2, che tutela il diritto alla vita,
all’articolo 13, che impone l’obbligo per gli Stati di prevedere un rimedio effettivo a
tutela dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione e all’articolo 14, che
impone agli Stati l’obbligo di assicurare il godimento dei diritti e delle libertà ricono-
sciuti dalla Convenzione senza nessuna discriminazione.
L’articolo 2, secondo quanto indicato nel parere citato, imporrebbe agli Stati tre
diversi obblighi: (i) non privare una persona della vita; (ii) adottare tutte le misure
possibili volte a salvaguardare la vita delle persone e (iii) indagare sulla morte del
soggetto qualora si possa ritenere che uno dei due obblighi precedenti sia stato vio-
lato. Il cca evidenzia che la giurisprudenza di Strasburgo ha interpretato l’articolo
2, in correlazione con l’articolo 13 imponendo in generale il diritto ad un ricorso
interno adeguato ed effettivo, nel senso che in alcuni casi sarà necessario fare ricorso
al diritto penale al fine di assicurare il diritto alla vita, in particolare quando gli altri
rimedi previsti dall’ordinamento si rivelino inadeguati allo scopo. Nel rapporto viene
espressamente citata, tra le altre, la sentenza Oneryildiz v Turchia88 – che come si
ricorderà era già stata oggetto di particolare analisi da parte della dottrina olandese
con riferimento ai casi Enschede e Volendam89 − ad indicare il fatto che qualora non
siano sufficienti i rimedi extrapenali, l’esercizio dell’azione penale deve essere assicu-
rato e garantito da parte dello Stato. L’articolo 2, infatti, impone il rimedio penale
qualora gli altri mezzi di tutela disponibili siano insufficienti e ciò a prescindere dalla
natura giuridica della persona che ha violato la norma e dalle funzioni dalle stessa
esercitate. Consentire il ricorso all’azione penale solo qualora la morte di un soggetto
sia riconducibile alla politica del management di determinati enti o meglio di enti che
esercitino determinate attività, crea una palese violazione della disposizione.
Alla stregua di questa impostazione era stato riconosciuto, inoltre, che l’immu-
nità violasse anche la disposizione dell’art. 14 cedu nella misura in cui è previsto
l’esercizio dell’azione penale solo con riferimento a determinati autori del reato: tale
differenziazione non è stata ritenuta giustificabile. Difficile infatti spiegare ai familia-
ri di una persona deceduta per quali ragioni essi possono o non avere, a seconda delle
circostanze, accesso all’azione penale.
Il cca nelle proprie conclusioni aveva quindi ritenuto incompatibile il Draft Bill
con gli articoli citati della cedu sia per la formulazione incerta di talune sue parti (ad
esempio non sarebbe chiara la nozione di attività pubblica), sia perché la limitazione
dei soggetti responsabili viola il diritto delle vittime alla giustizia. Nonostante le criti-
che espresse, il testo definitivo del cmch Act non ha apportato le modifiche auspicate
volte a superare la parziale immunità concessa agli enti della Corona.

previsto nel Draft Bill.


88
  cedh, Öneryildiz v. Turchia, no. 48939/1999.
89
  Si confronti, in particolare, il capitolo 2, paragrafo 2.22.
248 E. Pavanello

7. Riflessioni conclusive.

Gli argomenti tradizionalmente invocati nell’ordinamento inglese a sostegno


dell’immunità della Corona sono correlati, come visto, sia al piano sostanziale che al
piano sanzionatorio.
Il fondamento dell’immunità sin qui analizzata è inoltre strettamente ancorato
al fatto che il soggetto, persona fisica o giuridica, sia emanazione della Corona e sia
quindi titolare di una serie di prerogative e poteri tali da renderlo esente non solo
dall’azione penale ma, in generale, dall’applicazione di uno statute in mancanza di
diverse indicazioni.
Diversamente, invece, le public authorities che pure gestiscono servizi di interesse
generale e le società controllate dallo Stato possono essere perseguite. Anche laddove
queste ultime siano, di fatto, sotto il controllo statale e quindi siano espressione pure
della volontà dello Stato, in assenza di qualifica di Crown body, sono sottoposte alle
sanzioni penali previste dall’ordinamento.
La linea di discrimine tra soggetti collettivi punibili e soggetti non punibili pro-
pria del diritto inglese è da ricollegare alla tradizione monarchica che considera il
Sovrano e l’intero apparato statale, legibus solutus.
La dottrina dei Paesi di Commonwealth ha auspicato un ripensamento di questa
tradizionale impostazione, in ragione dell’opportunità di includere tra i destinatari
della responsabilità penale anche la Corona, intesa non come persona fisica, bensì
come organizzazione dell’amministrazione centrale. Alcune recenti pronunce della
giurisprudenza, da un lato, e le recentissime scelte del legislatore inglese, dall’altro,
mostrano come tale esigenza sia stata in parte accolta.
Interessante è notare come la giurisprudenza, sino ad ora, nel valutare la possi-
bilità di perseguire la Corona, abbia sempre preso in esame ipotesi di strict liability
offences, ovvero ipotesi che si collocano quasi ai confini del diritto penale. Il fatto che
non si sia fatta menzione della responsabilità in caso di reati mens rea è probabilmen-
te dovuto, da un lato, alla difficoltà di immaginare che la Corona commetta illeciti
penali di rilevante gravità, attribuibili alla stessa anche sul piano della colpevolezza.
Dall’altro lato anche in questi casi si manifestano le limitazioni connesse all’utilizzo
della identification theory, poiché in tal caso sarebbe necessario identificare il funzio-
nario statale che riveste una posizione tale da poter essere ritenuto espressione della
volontà della Corona (e, quindi, ad esempio un Ministro o comunque la persona
al vertice di un dipartimento governativo), accertare che egli ha commesso il fatto
illecito e ritenere che lo stesso sia espressione della volontà dell’ente in questione. Il
che non è sicuramente operazione semplice.
È indubbio che così costruita, la responsabilità penale delle persone giuridiche (si-
ano esse Crown bodies o meno) rischia di rivelarsi meno efficace di quanto si vorrebbe.
L’ordinamento inglese 249

Tuttavia, nuovi scenari si aprono in considerazione dell’entrata in vigore del


cmch Act il quale ha sancito, seppure con le numerose limitazioni di cui si è detto,
il superamento dell’irresponsabilità penale degli enti della Corona.
La nuova fattispecie introdotta − che mira a sopperire alle carenze che il modello
della identification theory in relazione alla struttura complessa e articolata delle perso-
ne giuridiche e alla difficile imputazione di omissioni colpose agli enti − è applicabile
ai Crown bodies e alle società che sono espressione degli stessi. Limitazioni sono state
previste in relazione al tipo di attività esercitata dalle persone giuridiche pubbliche
che mirano a contemperare le esigenze di sottoporre anche la Corona al diritto pe-
nale (o meglio alla fattispecie di corporate manslaughter) e assicurare che determinate
attività non siano sottoposte al vaglio del giudice penale.
La scelta di porre dette limitazioni può essere stigmatizzata per più di una ragione.
Innanzitutto, perché l’unico criterio in base al quale sono riconoscibili le attività pub-
bliche è il fatto che le stesse siano accompagnate da prerogative pubblicistiche, senza
tuttavia che esista un elenco chiaro di quando ciò in concreto avvenga. In secondo
luogo, perché attraverso detto criterio il Governo ha inteso assicurare quell’immunità
tanto criticata nel caso in cui vengano in gioco attività per le quali lo Stato può anche
essere autorizzato a delinquere (esemplificativo al riguardo il caso delle Forze Armate
le quali, si è detto, meglio possono assicurare il perseguimento dell’interesse generale
se non sono vincolate dalla legislazione penale). Inoltre, la dottrina inglese verosimil-
mente si interrogherà sulle ragioni che inducono a punire lo Stato per un reato tanto
grave quanto l’omicidio e non per altre fattispecie (in questo momento pensiamo, ad
esempio, ai reati ambientali). È singolare, infatti, come si sia deciso di punire gli enti
della Corona, seppure con tutte le limitazioni già indicate, proprio con riferimento
ad un reato così grave, tralasciando invece altre manifestazioni criminose cui tuttavia
lo Stato non sembra sottrarsi.
251

capitolo 6

La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico negli


Stati Uniti

Sommario. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti: evoluzione
storica. Il modello della vicarious liability e la colpevolezza d’impresa. – 2. La responsabilità
penale degli enti locali: dalle origini ai giorni nostri. – 2.1. La responsabilità penale degli
enti territoriali nella legge federale. – 3. Le ragioni addotte contro la responsabilità penale
degli enti territoriali: la dannosità di un’eventuale sanzione pecuniaria inflitta, lo svolgimento
di attività di carattere «pubblico» e la teoria della sovranità. Critiche. – 3.1. Gli argomenti
addotti in favore della perseguibilità penale degli enti territoriali: la «necessità» di punire il
vero responsabile dell’illecito e la funzione di «prevenzione» svolta dal diritto penale. – 4.
Conclusioni.

1. La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti: evoluzione storica.
Il modello della vicarious liability e la colpevolezza d’impresa.

La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti ha origini (rela-
tivamente) lontane nel tempo1. In un primo momento la responsabilità penale delle
persone giuridiche era di carattere oggettivo, limitata alle ipotesi di strict liability, in
quanto si considerava insuperabile l’ostacolo legato alla definizione di colpevolezza
dell’ente; successivamente, sulla base del modello del respondeat superior, ha trovato
spazio anche negli Stati Uniti la vicarious liability, in base alla quale è possibile impu-
tare il comportamento di determinate persone fisiche alla persona giuridica, purché
la persona fisica (la cui nozione non è nell’interpretazione giurisprudenziale domi-
nante limitata ai soli soggetti che fanno parte della dirigenza della società ma è estesa
1
  V.S. Khanna, Corporate liability standards: when should corporations be held criminally liable?, in
«American Criminal Law Review», 37, 2000, p. 1239 ss. («corporate criminal liability is a doctrine of
considerable antiquity in the United States and one that has expended consistently over the years»); J.
Arlen, Corporate criminal liability in the United States: using prosecutorial discretion to induce corporations
to join the war against crime, in A. Alessandri, E. Amodio, G. Forti, P. Marchetti, M. Onadi, G.
Rossi, S. Seminara, Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, vol. xxv, Giuffré, Milano 2009, p.
303 ss.
252 E. Pavanello

a tutto il personale collocato a qualsiasi livello di gerarchia) abbia posto in essere il


reato nell’esercizio delle funzioni che gli sono state attribuite allo scopo di recare un
vantaggio alla persona giuridica2.
Nel 1962 è stato poi adottato il Model Penal Code che dettava, tra l’altro, disposi-
zioni precise con riferimento alla responsabilità delle persone giuridiche e tentava di
limitarla, in relazione alle mens rea offences, alle sole ipotesi in cui il comportamento
illecito costituisse emanazione diretta e inconfutabile del «cervello» della società3.
Dal canto suo la dottrina era dell’idea che fosse necessario costruire un concet-
to di colpevolezza autonomo della persona giuridica per i reati che richiedevano la
dimostrazione di un elemento soggettivo, anziché fare riferimento alla colpevolezza
di una o più persone fisiche operanti nell’ente. Così, mentre la giurisprudenza ha
cominciato a riferirsi al concetto del collective intent (la colpevolezza di impresa è,
quindi, la somma della colpevolezza dei soggetti fisici che compongono la persona
giuridica), la dottrina ha mostrato di adottare una nozione di colpevolezza strutturale
che inerisce all’impresa e che può essere desunta, ad esempio, dal mancato rispetto di
determinate procedure o dalla sistematica violazione delle norme deputate a garanti-
re la sicurezza all’interno della società.
Il Legislatore americano con le Federal Sentences Guidelines del 1991 ha preso
posizione nel senso indicato dalla dottrina e ha ritenuto che la colpevolezza della
persona giuridica – cui occorre fare riferimento per determinare l’entità della sanzio-
ne − si determini sia in relazione alle misure adottate dalla persona giuridica prima
della commissione del reato, al fine di prevenire i comportamenti criminosi, sia in
considerazione del comportamento tenuto dalla persona giuridica in un momento
successivo al reato4.
2
  Cfr. C. De Maglie, L’etica, cit., p. 12 ss.; M.E. Beck, M.E. O’Brien, Corporate criminal liability,
in «American Criminal Law Review», 37, 2000, p. 261-289; C.E. Carrasco, Corporate criminal
liability, in «American Criminal Law Review», 1999, p. 445, e S.R. Fisher, Corporate criminal liability,
in «American Criminal Law Review», 41, 2004, p. 367-395, e P. O’Malley, Appunti sulla responsabilità
penale societaria negli u.s.a., in «Diritto penale xxi sec.», 2, 2008, p. 347 ss.
3
  Il Model Penal Code è stato adottato dall’American Law Institute e al paragrafo 2.07 ha in particolare
tratteggiato un modello di responsabilità delle persone giuridiche, distinguendo a seconda della tipologia
di reato posta in essere. Nel caso di mens rea offences, il codice imponeva la responsabilità della persona
giuridica unicamente laddove l’amministratore della società o un funzionario che faceva parte del
management avesse autorizzato, ordinato, sollecitato, posto in essere o negligentemente tollerato un
illecito da parte di un funzionario o un dipendente della società. In ipotesi di reati meno gravi per
i quali si poteva desumere dal tenore della disposizione legislativa la volontà di rendere responsabili
anche le persone giuridiche, il codice estendeva la responsabilità alle persone giuridiche sulla base dei
principi del respondeat superior. Nelle ipotesi in cui uno statute imponesse specifici divieti alla società
che non venivano rispettati da quest’ultima, essa sarà responsabile in via oggettiva. Per un commento
alle previsioni contenute nel Model Penal Code con riferimento alle corporations si veda R.S. Gruner,
Corporate criminal liability and prevention, Law Journal Press, New York, 2004, par. 7.04.
4
  Cfr. H.J. Amoroso, Organizational ethos and corporate criminal liability, in «Campbell Law Review», 17,
L’ordinamento americano 253

Negli Stati Uniti è quindi possibile punire una persona giuridica per qualsiasi tipo
di reato. Sotto il profilo oggettivo, la condotta verrà imputata all’ente alla stregua dei
criteri del respondeat superior; sotto il profilo soggettivo, ove si sia in presenza di un’i-
potesi di mens rea offence, si farà affidamento al concetto di collective intent o, secondo
le indicazioni contenute nelle Federal Sentences Guidlines, di colpevolezza di impresa.
Con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico poche sono state le
pronunce che hanno preso in considerazione la questione − limitatamente peraltro
alle municipalities − e pochi anche i contributi della letteratura americana sul punto.
Nell’analizzare la possibilità di perseguire le persone giuridiche di diritto pubblico
nell’ordinamento americano si darà pertanto conto delle sentenze che hanno vaglia-
to la posizione delle municipalities. Quanto alla possibilità di perseguire lo Stato si
precisa che esso, a differenza dei Governi locali, gode di una protezione assoluta in
ragione della funzione fondamentale che si ritiene svolga nella politica nazionale ed
è considerato pertanto immune dall’azione penale5.

2. La responsabilità penale degli enti locali: dalle origini ai giorni nostri.

Negli Stati Uniti l’evoluzione della responsabilità penale delle persone giuridiche
segue un percorso (per certi versi) antitetico rispetto a quello che ha cartterizzato
altri ordinamenti giuridici. Curiosamente, infatti, la possibilità di perseguire
le municipalities è ad oggi (quantomeno) in dubbio, mentre alle origini della
responsabilità penale degli enti era possibile perseguire le città (in quanto persone
giuridiche) in relazione a quei reati che non richiedevano mens rea6. Infatti, a partire
dal 1819 e sino agli inizi del ventesimo secolo7, i local governments americani sono
1995, p. 47 ss. e W.S. Laufer, Culpability and the sentencing of corporations, in «Nebraska Law Review»,
71, 1992, p. 1049 ss., sul concetto di colpevolezza così come costruito nelle Federal Sentences Guidelines.
5
  R. Briffault, Our localism part i-The structure of local government law, in «Columbia Law Review»,
90, I, 1990, p. 93 e, in particolare, sub nota 385 afferma che a differenza dei governi locali che possono
aspirare ad una forma di autonomia dal governo centrale ma non di sovranità, lo Stato godrebbe di
prerogative tali da renderlo immune dall’azione penale.
6
  P. Stuart Green, The criminal prosecution of local governments, in North Carolina Law Review, 72,
1993-1994, p. 1197 ss. ha affrontato la questione dell’opportunità e degli eventuali ostacoli connessi alla
procedibilità penale nei confronti delle municipalities. Si tratta di uno dei pochi studi sul punto cui altri
Autori nei propri scritti concernenti la responsabilità penale delle persone giuridiche fanno riferimento
in relazione alla possibilità di configurare ad oggi una responsabilità penale delle municipalities.
7
  Invero, l’ultimo caso in cui viene in discussione la responsabilità di una persona giuridica di diritto
pubblico risalirebbe al 1984 e farebbe riferimento alla azione penale esercitata nei confronti della
Veterans Administration. L’agenzia governativa non è stata nel caso di specie condannata in quanto si è
ritenuto che la disposizione asseritamente violata da parte dell’ente non indicava se essa dovesse trovare
applicazione anche nei confronti dei dipartimenti governativi. United States Court of Appeals for the
ninth Circuit, People of the State of California v Veterans administration, in «United States Court of
254 E. Pavanello

stati sottoposti all’azione penale secondo statute law8.


La possibilità di procedere penalmente nei confronti delle municipalities derivava
direttamente dalle norme sulle corporation ed era limitata alle sole ipotesi di non-mens
rea offences che recassero pregiudizio alla collettività9. La ratio di tale esclusione era
dovuta al fatto che si ritenevano le corporation incapaci di formare una volontà colpe-
vole che necessariamente deve essere accertata nei reati con mens rea e, sotto il profilo
sanzionatorio, si evidenziava l’impossibilità per le stesse di essere condannate alla san-
zione della reclusione, pena che normalmente era associata a tale tipologia di reati.
Nelle ipotesi in cui era possibile procedere penalmente nei confronti delle muni-
cipalities, era invece preclusa la possibilità di far valere a loro carico la responsabilità
per tort in quanto sarebbe stato difficile concedere a tutti coloro che vedevano lesi i
propri interessi dall’azione illecita delle città la possibilità di esercitare l’azione di ri-
sarcimento del danno. Meglio allora attribuire il monopolio dell’esercizio dell’azione
penale allo Stato.
Con il passare del tempo, tuttavia, le città cominciano ad essere considerate non
solo degli enti autonomi, ma anche delle suddivisioni «organizzative» dello Stato che
svolgono (tra l’altro) attività e funzioni proprie dell’ente centrale in ambito locale
e sono, in quanto tali, destinatarie di immunità10. In considerazione della duplice
natura delle municipalities, organi politici e rappresentanti dello Stato, da un lato, e
vere e proprie corporation, dall’altro, si ritiene più opportuno distinguere, nell’appli-
care loro le norme penali degli statute, a seconda della tipologia di attività dalle stesse
poste in essere.
Una delle prime pronunce che ha fatto applicazione di detto principio è stata The
people of the State of Illinois v. The city of Chicago. Alla città di Chicago veniva conte-
stata la violazione della norma che imponeva un limite massimo nell’orario di lavoro
delle lavoratrici donne con riferimento ad una donna dipendente dell’ospedale della
Appeals report», lexis 1984, 17885.
8
  K. Brickey, Corporate criminal liability, vol. i, Clark Wilmette, Boardman Callaghan editor, 19922,
p. 74 ss. giustifica l’esercizio dell’azione penale nei confronti delle municipalities in relazione al fatto che
numerose erano all’epoca le persone giuridiche di diritto pubblico.
9
 Il pregiudizio pubblico cui si faceva riferimento poteva assumere due forme, ovvero quella del danno
creato al pubblico per un’azione connessa all’abuso del diritto (cosiddetta misfeasance) e quella connessa
ad un’omissione di un’attività loro dovuta (ipotesi di nonfeasance). Nel caso invece in cui non sussistesse
questo tipo di pregiudizio, poteva eventualmente essere invocata la responsabilità civile (per tort).
Secondo alcuni commentatori l’azione non era penale in senso stretto ma si collocava piuttosto ai confini
col diritto civile. Tuttavia, sembrano deporre nel senso della natura penale dell’azione sia l’espressa
indicazione in tal senso in tutti i manuali di diritto penale dell’epoca, sia la circostanza che tali azioni
non avevano alcuna funzione compensativa – così come avveniva per le azioni da tort – ma si ponevano
piuttosto l’obiettivo tipicamente penale di punire, correggere gli atteggiamenti scorretti e prevenire
la loro reiterazione. Stuart, Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 1201 ss.
10
  Per un’approfondita analisi dello status legale delle città americane dalle origini ad oggi si veda G.E.
Frug, The city as a legal concept, in «Harvard Law Review», vol. 93, 1980, p. 1062 ss.
L’ordinamento americano 255

città11. La città si è difesa sostenendo che non era possibile condannare penalmente
una municipal corporation che costituisce «a public political subdivision of the State,
formed for governmental purposes only, in the excersise of which is the mere instrument
agent of the State», con la conseguenza che «a criminal prosecution against the munici-
pality would be indirectly an action of the State against itself»12.
La Corte, preso atto delle difese avanzate dalle città, ha riconosciuto che la muni-
cipal corporation è organizzata sotto l’autorità dello Stato ma ha ritenuto anche che
fosse necessario operare una distinzione a seconda delle attività dalla stessa esercitate:
qualora infatti eserciti funzioni «governative» non risponderà penalmente del proprio
operato; quando invece si tratti di attività che si collocano più propriamente in ambi-
to privatistico, sarà responsabile penalmente al pari di ogni altro individuo e persona
giuridica di diritto privato. In questo modo la Corte esclude che si possa ipotizzare
una «auto-persecuzione» dello Stato: infatti, laddove la municipality eserciti una at-
tività di carattere privatistico lo farà in nome proprio e non vi sarà coincidenza tra
le due persone giuridiche. La sovrapposizione tra i due enti si verifica unicamente
nell’ipotesi in cui la municipal corporation agisca nell’esercizio di una funzione di ca-
rattere governativo e, quindi – pare doversi ritenere – per conto dello Stato. Nel caso
di specie, la Corte ha ritenuto che la gestione di un ospedale integrasse un’ipotesi di
attività privata e che pertanto la città dovesse essere condannata al pagamento della
sanzione pecuniaria.
Il criterio in base al quale decidere se si tratta di una funzione privatistica o gover-
nativa si è rivelato tuttavia non sempre di facile applicazione nei casi concreti13, anche
perché in alcune pronunce le Corti americane hanno mostrato di «ampliare» l’immu-
nità delle municipalities, ritenendola sussistente anche per funzioni «privatistiche».
In questo modo la determinazione della natura discrezionale o legislativa dell’attività
viene lasciata alla decisione del caso concreto e alla «sensibilità» dei giudici14.
Da questo breve excursus «storico» emerge che la responsabilità penale delle per-
sone giuridiche di diritto pubblico non era preclusa alla stregua delle disposizioni
penali previste dai singoli Stati.
11
  Supreme Court of Illinois, The People of the State of Illinois vs. The city of Chicago, in «Illinois
Reports», 256, p. 558.
12
  Supreme Court of Illinois, cit., p. 558.
13
  In una sentenza di poco successiva a quella citata, ad esempio, la Suprema Corte di Washington
ha ritenuto che integrasse una funzione governativa il mantenimento e la cura di un parco pubblico
cittadino, con la conseguenza che la municipal corporation era immune in quanto, nella gestione di tale
attività, rappresentava lo Stato. Supreme Court of Washington, State v. Metropolitan Park. Dist. Of
Tacoma, in «Washington reports», 100, p. 449.
14
  Nel caso Board of Chosen Freeholders of the County of Bergen v. State, ad esempio, la Corte si interroga a
lungo se il fatto di non aver riparato un ponte della città, costruito e poi utilizzato nell’interesse pubblico,
costituisca o meno un’attività discrezionale e alla fine opta per la soluzione negativa, considerando così
la Contea perseguibile. New Jersey Supreme Court, Board of Chosen Freeholders of the County of Bergen
256 E. Pavanello

Successivamente, la tendenza è stata di limitare il ricorso all’azione penale alle


sole ipotesi in cui non venissero esercitate funzioni governative da parte delle muni-
cipalities in ragione del fatto che in questo modo si intendevano superare gli ostacoli
connessi alla auto-persecuzione da parte dello Stato, cui avrebbe dato luogo l’ammis-
sione di una responsabilità senza limiti delle municipalities.
L’argomentazione da ultimo citata, in uno con la previsione del Model Penal
Code contenuta nel para 2:07 (4) secondo cui «a corporation does not include an entity
organized as or by a governmental agency for the execution of the governmental program»,
hanno contribuito al progressivo declino della possibilità di perseguire le municipali-
ties da parte dei singoli Stati federati.
È opportuno tuttavia interrogarsi sulla possibilità di perseguire detti enti pubbli-
ci da parte dello Stato federale: in questa ipotesi l’obiezione dell’auto-persecuzione
- che sembra costituire uno degli ostacoli maggiori che ha nel xix secolo frenato
l’espansione della responsabilità penale delle municipalities − verrebbe superata in
quanto soggetto procedente (Stato federale) e soggetto imputato (città che costituisce
«emanazione» dello Stato federato) sono diversi.

2.1. La responsabilità penale degli enti territoriali nella legge federale.

La legge federale non contiene disposizioni specifiche in relazione alla possibilità


di procedere penalmente nei confronti delle municipalities.
Il fatto che non vi siano previsioni esplicite sul punto non può tuttavia condurre
a nessuna conclusione certa. Occorre quindi procedere per gradi e verificare se nella
nozione di «persona» soggetto attivo del reato possano essere incluse anche le muni-
cipalities e, in caso affermativo, se esista una forma di immunità nei loro confronti
che osti all’esercizio dell’azione penale. Nel fare ciò, ovviamente, si terranno in consi-
derazione le pronunce giurisprudenziali che, direttamente o indirettamente, si sono
occupate della questione.
Normalmente, quando un federal statute indica i soggetti destinatari della norma,
fa riferimento ai concetti di person o whoever. In talune ipotesi lo statute specifica che
nella nozione debbano essere incluse anche le municipalities: così avviene ad esempio
nell’ambito del diritto ambientale15.
Laddove tuttavia non esistano indicazioni precise sul punto, l’estensione della
nozione dovrà essere valutata caso per caso. Nei limiti del presente lavoro si indiche-
v State, in «New Jersey Law reports», 42, p. 263.
15
  In questo senso Stuart Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 1215 e, in
particolare per l’indicazione degli statute contenenti l’espressa menzione dei destinatari, sub nota n.
107. Analogamente avviene con riferimento al Racketeer influenced and corrupt organization act il quale
disciplina le ipotesi in cui vi sia un investimento diretto o indiretto, l’acquisizione, il mantenimento di
L’ordinamento americano 257

ranno le sentenze che, con riferimento ad alcuni statute, hanno offerto, crediamo,
importanti spunti di riflessione sul punto.
Per quanto concerne la legge antitrust contenuta nello Sherman Act, assume ri-
lievo una decisione della Suprema Corte degli Stati Uniti del 1978, in cui è stato
affermato che nella nozione di persona sono incluse anche le municipalities16. Le città
imputate nel procedimento si sono difese sostenendo che esse, in quanto suddivi-
sioni dello Stato, non rientrano tra i soggetti destinatari dello statute17. In secondo
luogo, hanno rilevato che, dal punto di vista sanzionatorio, sarebbe stato incoerente
sottoporle ad una pena (civile o penale) e che, in ogni caso, la loro responsabilità do-
veva eventualmente essere fatta valere sul piano politico e non su quello giudiziario.
Inoltre, esse hanno sostenuto che l’obiettivo che si pongono con la propria attività
è di carattere pubblico, il che è sufficiente a renderle esenti da responsabilità penale.
La Corte risponde a queste argomentazioni, sostenendo che il richiamo effettuato
dalle città alla sentenza Parker v Brown non sia in grado provare alcunché: con la sen-
tenza citata, infatti, la Suprema Corte aveva statuito che lo Stato in quanto tale non è
sottoposto alla legge antitrust ma nulla aveva disposto in relazione alle municipalities
che restano organi ontologicamente distinti dall’ente centrale. Il fatto poi che sarebbe
possibile applicare loro altre sanzioni e, segnatamente, quelle di natura politica non
è sufficiente, nell’opinione dei giudici, ad escludere l’intervento del diritto punitivo.
Viene inoltre contestata l’argomentazione secondo cui l’interesse pubblico che esse
perseguono giustificherebbe una loro esclusione dall’azione penale: se è vero, ha so-
stenuto la Corte, che loro obiettivo è assicurare il massimo beneficio alla comunità,
è anche vero che nel fare ciò esse opereranno delle scelte di carattere «economico»
che in nulla si differenziano da quelle delle persone giuridiche di diritto privato. La
Corte conclude ritenendo che le municipalities devono essere incluse nella nozione
di person ma non dichiara espressamente che esse sono soggette all’azione penale che
deriva dalla violazione dello statute.
L’analisi della sentenza offre un panorama delle argomentazioni che normalmente
vengono addotte a sostegno dell’immunità dall’azione penale degli enti pubblici,
un interesse in o la partecipazione negli affari di un’enterprise che è impegnata o la cui attività concerne
il commercio tra gli Stati o all’estero. Le attività proibite devono avere diretta rilevanza in un quadro
di estorsione o di assunzione di un’obbligazione illecita. Tra le enterprise che possono essere coinvolte,
vengono espressamente incluse anche le public entities. Brickey Kathleen, Corporate criminal liability,
i, Clark Wilmette, Boardman Callaghan editor, 19912, 7:09.
16
  Lo Sherman Act prevede sanzioni sia civili che penali connesse alla violazione delle norme sull’antitrust.
La decisione cui ci si riferisce è Supreme Court of the United States, City of Lafayette v Louisiana Power
& Light Company, in «United States Supreme Court Reports», 435, p. 389.
17
  Con ciò dichiarano di richiamarsi alla decisione Parker v Brown, nella quale la Suprema Corte aveva
sostenuto l’inapplicabilità dello statute nel caso di azioni che venissero esperite nei confronti dello Stato
o di agenzie statali. Supreme Court of the United States, Parker v Brown, in «United States Supreme
Court Reports», 317, p. 341.
258 E. Pavanello

puntualmente contrastate dalla Corte Suprema. Inoltre emerge chiara l’idea che –
quantomeno con riferimento alla legge sull’antitrust – l’azione nei confronti dello
Stato sia assolutamente da escludere.
Il Criminal civil rights statute18 sanziona chiunque nell’esercizio delle funzioni che
gli sono attribuite dalla legge (under color of any law) abbia privato un soggetto dei
diritti, privilegi o immunità di cui egli è titolare in base alla Costituzione o alle leggi
degli Stati Uniti e lo sottopone a sanzioni che possono essere o di natura civile (che
mirano a compensare il soggetto per i danni subiti) o di natura penale (punitive da-
mages) qualora il soggetto abbia agito maliciously o wantonly. Al fine di poter agire in
base alla sezione 1983 sarà necessario dimostrare che una persona è stata privata dei
propri diritti civili, da parte di «state and local law officers who exert authority derived
from state law».
La questione che si è posta davanti alle Corti americane ha riguardato la possibi-
lità di includere nella nozione di soggetto anche un ente pubblico che fa parte della
municipalità, con particolare riferimento alle ipotesi di violazione poste in essere dal-
la polizia che sono manifestazione non della volontà del singolo individuo, quanto
piuttosto di precise «direttive» o «ordini» più o meno espliciti dell’ente e, quindi, di
una «politica» dell’ente.
Le risposte della giurisprudenza sono state diversificate. In un primo momento,
con la sentenza Monroe v Pape19, la Corte Suprema ha, infatti, ritenuto che la mu-
nicipality non sia una persona nel senso inteso dalla sezione 1983. Tale conclusione
viene raggiunta (anche) in considerazione del fatto che il Congresso, nell’approvare la
legge, aveva deciso di non includere l’ipotesi di municipal liability, così come invece
era stato proposto originariamente dal Senato: a parere della Corte, ciò deponeva in
favore del fatto che il Congresso non intendesse considerare le municipalities respon-
sabili alla stregua del disposto normativo.
Di contrario avviso una sentenza successiva, Monell v Departement of Social Ser-
vice20, secondo la quale, invece, i local governments sono persone ai sensi della sezione
1983 quando hanno agito attraverso i loro agenti e la condotta di questi ultimi ra-
gionevolmente rappresenta la politica ufficiale dell’ente. Alla stregua di quest’ulti-
18
  Statute introdotto nel codice americano (18 u.s.c. §§ 241 e 242) in seguito alla guerra civile in origine
diretto a sanzionare le condotte illecite volte a privare dei propri diritti gli schiavi e, in generale, le
persone di colore. Per un commento alla sezione 1983 si vedano M.R. Smith, Law enforcement liability
under section 1983, in «Criminal Law Bullettin», 1995, p. 129; N. Abrams, S.S. Beale, Federal criminal
Law and its enforcement, St. Paul Minn., West Group, 2000, p. 528 ss.; M. Avery, D. Rudovsky, K.
M. Blum, Police misconduct law and litigation, S.l., Thomson West, 20033, § 4:15 e V.E. Kappeler,
M.S. Vaughn, Law enforcement: when the pursuit becomes criminal-Municipal liability for police sexual
violence, in «Criminal Law Bullettin», 1997, p. 352-376.
19
 Supreme Court of United States, Monroe v Pape, in «United States Supreme Court Reports», 365, p. 167.
20
  Supreme Court of United States, Monell v Departement of social Services of the city of New York, in
«United States Supreme Court Reports», 436, p. 658.
L’ordinamento americano 259

ma pronuncia, è stato sostenuto che anche le municipalities sono persone giuridiche


nell’ambito della section 1983.
Ciò, tuttavia, non è sufficiente per affermare che le stesse, al pari di ogni altro
individuo, siano responsabili penalmente del proprio operato, poiché lo statute si
colloca a metà strada tra diritto civile e penale e prevede sanzioni tanto civili quanto
criminali.
Sembrerebbe deporre nel senso di precludere qualsiasi responsabilità penale della
municipality la sentenza City of Newport v Fact Cincerts Inc.21 in cui la Corte Suprema
ha ritenuto che se la municipality è sicuramente destinataria della section 1983, ciò
non significa che essa possa essere sanzionata attraverso punitive damages. La Cor-
te giunge a tale conclusione rilevando che il Congresso al momento dell’adozione
dello statute nel 1871 non si poneva come obiettivo quello di punire la municipality
(e tantomeno le corporation) con delle sanzioni punitive, ma unicamente con delle
sanzioni per tort: la ragione di tale limitazione era dovuta al fatto che si ritenevano le
corporation «incapaci» di manifestare alcun elemento soggettivo. La Corte rileva tra
l’altro che i punitive damages eventualmente inflitti nei confronti di una municipality
avrebbero avuto ricadute negative nei confronti dei cittadini-contribuenti, i quali
sarebbero di fatto stati sanzionati per una condotta illecita che altri ha posto in essere.
Criticamente è stato osservato che la decisione da ultimo citata non possa essere
interpretata nel senso di conferire un’immunità generale alle municipalities. Infatti
la Corte ha ricercato la voluntas legis dell’epoca in cui lo statute era stato adottato,
quando cioè si riteneva che non fosse possibile per la persona giuridica disporre di
una propria autonoma volontà e per tale ragione si considerava che né la municipality
né qualsiasi altra corporation di diritto privato potesse essere responsabile per i reati
di mens rea (cui normalmente era connessa l’applicazione di una sanzione penale).
Erroneamente la Corte avrebbe ritenuto di trasporre questo principio anche al gior-
no d’oggi, quando invece non è più messo in discussione che una corporation possa
«volere» una determinata condotta illecita e possa essere sottoposta ad una sanzione
penale22. Il fondamento fatto valere dalla Corte non sarebbe a ben vedere sufficiente
ad escludere la responsabilità penale dell’ente pubblico.
Secondo lo studioso americano, il quale conduce la propria ricerca, come ricorda-
to, essenzialmente in ambito di antitrust, delitti ambientali e civil rights, inoltre non
possono rinvenirsi disposizioni generali volte ad attribuire ai governi locali un’immu-
nità dall’azione penale23.
Allo stato attuale è quindi possibile affermare che la municipality in quanto tale
può essere destinataria di uno statute che preveda un federal crime e che non esiste
21
  Supreme Court of the United States, City of Newport v Fact concerts Inc., in «United States Supreme
Court Reports», 453, p. 247.
22
  Stuart, Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 1222 ss.
23
  In generale, a parere di Stuart, Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p.
260 E. Pavanello

un’immunità di carattere generale applicabile all’ente né un’immunità che deriva dal-


le particolari funzioni che lo stesso esercita (e ciò quantomeno nei tre ambiti oggetto
di analisi). Nonostante non vi siano preclusioni legislative al riguardo, tuttavia, non si
registrano procedimenti nei confronti delle municipalities sulla base della federal law.

3. Le ragioni addotte contro la responsabilità penale degli enti territoriali: la dannosità di


un’eventuale sanzione pecuniaria inflitta, lo svolgimento di attività di carattere «pubblico»
e la teoria della sovranità. Critiche.

Pare a questo punto imprescindibile individuare le argomentazioni a favore e con-


trarie alla possibilità di perseguire le municipalities, così come sono emerse dalle sen-
tenze sin qui citate e dalle riflessioni critiche della dottrina.
Gli argomenti giuridici che le decisioni hanno addotto per negare la possibilità
di perseguire la municipality hanno riguardato, innanzitutto, il profilo sanzionatorio.
Nella sentenza City of Newport v Fact Cincerts Inc., infatti, la Corte Suprema ha illu-
strato come una delle ragioni che ostacolerebbero la via penale è il fatto che l’eventua-
le sanzione pecuniaria ricadrebbe su cittadini innocenti (blameless), fenomeno questo
che dovrebbe essere scongiurato perché si otterrebbe un effetto contrario rispetto a
quello che si vorrebbe perseguire con la responsabilità penale dell’ente pubblico.
Sotto questo profilo, si è rilevato che analoghi ostacoli dovrebbero sussistere in
caso di responsabilità per tort, quando una municipality è condannata al pagamento
del risarcimento del danno causato. L’eventuale effetto negativo connesso al paga-
mento da parte della città – ad esempio sottrazione di fondi destinati ai cittadini
per reperire le risorse per pagare i danni – ricadrebbe anche in questo caso su tutti i
cittadini, indipendentemente dal fatto che essi abbiano supportato o meno la politica
del Governo locale che ha condotto all’attività illecita. Pur riconoscendo le diverse
finalità che queste differenti sanzioni si pongono, si ritiene che la comunità, anche
nel caso di sanzione penale, sarebbe disposta a sopportare tale «ingiustizia» – seppure
di lieve entità – pur di vivere in una città più tranquilla e purché coloro che hanno
posto in essere un reato vengano effettivamente puniti24.
In secondo luogo, dall’esame di alcune decisioni, emerge l’idea che laddove ve-
nisse inflitta alla città una sanzione penale (pecuniaria), ciò potrebbe provocare dei
dissesti economici che potrebbero condurre anche al fallimento della città stessa, con
1228-1229, è necessario ammettere che un’eventuale immunità delle municipalities non possa
trovare fondamento nella distinzione tra attività governative e privatistiche che per un certo periodo
ha interessato la giurisprudenza americana. Ad oggi infatti la distinzione sarebbe particolarmente
complessa, in considerazione delle crescenti competenze attribuite agli enti pubblici.
24
  Stuart, Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 1240 ss.
L’ordinamento americano 261

una ricaduta negativa nei confronti dei cittadini25. Anche questa obiezione viene ri-
tenuta da parte della dottrina superabile in considerazione del fatto che non esiste
alcuna prova della effettiva incidenza negativa maggiore della sanzione pecuniaria
penale rispetto a quella che avrebbe la sanzione pecuniaria civile.
Quanto al fatto che lo Stato perseguirebbe se stesso, in un ordinamento federale la
questione dell’identità tra soggetto che esercita l’azione penale e soggetto destinatario
della stessa non costituisce un vero problema in quanto i due agenti restano giuridi-
camente distinti. In caso di federal crime pertanto non vi sarebbe spazio per questo
tipo di obiezione.
Da ultimo, va rilevato come anche nell’ordinamento americano sia emersa l’idea
che esistano attività immuni nel cui ambito la municipality agisce in nome e per
conto dello Stato e perciò non può essere perseguita. La teoria della sovranità osta
quindi a procedere nei confronti dello Stato ma anche, sembra di potersi dedurre, nei
confronti di quegli enti pubblici che ne siano rappresentazione.

3.1. Gli argomenti addotti in favore della perseguibilità penale degli enti territoriali:
la «necessità» di punire il vero responsabile dell’illecito e la funzione di «prevenzione»
svolta dal diritto penale.

Gli argomenti «positivi», in favore della perseguibilità penale delle municipalities


sono individuati nel fatto che il diritto penale deve punire l’effettivo responsabile
della condotta illecita, che non sempre sarà il singolo individuo quanto piuttosto
l’ente nel suo insieme. Infatti, non si può procedere alla punizione di un singolo che
funge da capro espiatorio e lasciare poi l’ente ancora libero di delinquere. Esistono
delle situazioni in cui sarebbe più opportuno procedere nei confronti dell’ente nel suo
insieme piuttosto che nei riguardi del singolo individuo, in quanto la condotta illecita
è espressione della politica dell’ente più che frutto della scelta del singolo26.
Inoltre, e paradossalmente, il procedimento penale offre garanzie che il procedi-
mento civile ad esempio non assicura, sia sotto il profilo sostanziale sia sotto il profilo
25
  In questo senso si sono espressi con riferimento al civil rights statute la sentenza City of Newport v
Fact concerts, cit., p. 265 e, in relazione allo Sherman Act, il giudice Blackmun nella dissenting opinion
della sentenza City of Lafayette v Louisiana Power & Light Company. Quest’ultimo ha in particolare
evidenziato che la condanna della municipality avrebbe significato il fallimento per la città stessa. A
suo parere, «even if petitioners ultimately prevail, their citizens will have to bear the rapidly mounting costs
of antitrust litigation through increased taxes or decreased services». City of Lafayette v Louisiana Power &
Light Company, cit., p. 440-441.
26
  Stuart, Green, The criminal prosecution of local governments, cit., p. 1198 al riguardo cita un caso
concernente la polizia di Houston. I poliziotti erano soliti adottare la tecnica del throw-down guns,
ovvero normalmente disponevano di un’arma non registrata che veniva lasciata accanto alla vittima
per (tentare di) giustificare una morte che in realtà era stata provocata dagli stessi poliziotti senza alcun
262 E. Pavanello

procedurale (divieto del ne bis in idem, garanzie procedurali quanto alla confisca,
condanna solo quando sia stata provata la responsabilità del soggetto oltre ogni ragio-
nevole dubbio e così via): in questa prospettiva sarebbe quindi «conveniente» anche
per la città essere giudicata in un procedimento penale.
Connessa a questa argomentazione sta la constatazione che l’azione penale nei
confronti del local government si rivelerebbe più efficace rispetto a quella esercitata
nei confronti dei singoli individui: essa, infatti, consentirebbe di ovviare ai problemi
connessi all’individuazione della persona fisica che ha commesso la violazione. Senza
contare poi che normalmente le giurie sono più inclini a condannare una persona
giuridica piuttosto che una persona fisica.
Infine, ciò che sembra particolarmente rilevante, l’ente sarebbe in questo modo
più stimolato ad adottare tutte le misure volte ad evitare che una condotta illecita
venga nuovamente posta in essere27.
È auspicabile secondo parte della dottrina che le Corti federali procedano nei
confronti delle municipalities, laddove esse secondo statute siano dirette destinatarie
delle disposizioni normative e, in caso contrario, che il Legislatore americano prov-
veda a dichiarare gli statute in ambito di antitrust e di civil rights law espressamente
applicabili anche alle città. Il diritto penale dovrebbe trovare spazio unicamente come
ultimo rimedio, qualora fosse chiaro che ogni altro mezzo punitivo non è sufficiente
a sanzionare in modo efficace (anche in una prospettiva futura) la condotta illecita
dell’ente. In particolare tre sono gli ambiti in cui potrebbe risultare utile immagina-
re una responsabilità penale anche delle municipalities: trattasi dei reati ambientali,
delle sanzioni penali dettate a tutela dei diritti civili e delle norme sull’antitrust. La
responsabilità dovrebbe essere fatta valere nelle ipotesi in cui risulti evidente che la
condotta illecita non sia frutto dell’iniziativa della persona fisica ma di una vera e
propria cultura illecita di impresa.

motivo legittimo (in tal modo si intendeva dimostrare che i poliziotti erano stati costretti ad utilizzare le
proprie armi per contrastare il pericolo derivante dal fatto che l’altro soggetto era armato ed aveva fatto
fuoco). Secondo le indagini era risultato che gli stessi istruttori di polizia insegnavano le potenzialità
di un’arma non registrata e che dette armi erano a disposizione di circa l’80% dei poliziotti della città.
Ora, proprio in ipotesi come queste in cui a fronte di un responsabile diretto della morte del soggetto
(un determinato poliziotto) vi è anche una responsabilità «istituzionale» della polizia nel suo insieme,
appare più che mai opportuno l’utilizzo della responsabilità penale nei confronti dell’ente in quanto
tale, a prescindere dal fatto che si tratti di una persona giuridica di diritto pubblico.
27
  Per l’analisi delle argomentazioni «positive» si veda Green, The criminal prosecution of local
governments, cit., p. 1232 ss.
L’ordinamento americano 263

4. Conclusioni.

Al termine di questa breve analisi relativa alla disciplina della responsabilità penale
delle municipalities nell’ordinamento americano, ci siano consentite alcune riflessio-
ni.
In primo luogo va rilevato come non esistano norme che fanno espressamente
divieto dell’esercizio dell’azione penale nei confronti delle municipalities. Nonostan-
te ciò, costituisce un dato di fatto la non applicazione degli statute che prevedano
federal crimes (quantomeno quelli relativi all’ambiente, all’antitrust e ai civil rights)
nei confronti delle città. Osterebbero a ciò sia il fatto che le municipalities sono ema-
nazione dello Stato – il quale è immune sulla base della teoria della sovranità – sia le
considerazioni relative al pregiudizio che l’applicazione delle sanzioni penali potrebbe
causare loro.
In secondo luogo, occorre rilevare che non esiste negli Stati Uniti un dibattito
dottrinale sul punto come, invece, si è potuto verificare in altri ordinamenti.
Uno tra i pochi studiosi che si è occupato della materia, ha auspicato l’introdu-
zione di detta forma di responsabilità in quanto ha ritenuto che le argomentazioni
che tendono a negare la possibilità di perseguire le città evocate nelle sentenze qui
analizzate non siano convincenti. Egli ha proposto tuttavia di utilizzare detta azione
limitatamente alle ipotesi in cui ciò si riveli estremamente necessario, quando cioè la
condotta illecita non sia (solo) frutto del comportamento del singolo ma risponda ad
una generalizzata «politica» illecita.
Dette riflessioni paiono di particolare interesse perché pongono la questione della
legittimità di un’immunità che di fatto esiste ma che legislativamente non è previ-
sta. Tuttavia, occorre rilevare che allo stato attuale l’ordinamento americano sia ben
lungi dall’idea di introdurre modifiche legislative ad hoc al fine di perseguire gli enti
pubblici.
265

Capitolo 7

La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico


nell’ordinamento italiano

Sommario. 1. La responsabilità penale-amministrativa delle persone giuridiche in


Italia e il decreto legislativo 231/2001. – 1.2. I criteri di attribuzione della condotta alla
persona giuridica. – 1.3. L’apparato sanzionatorio. – 2. La controversa qualificazione
della natura penale, amministrativa o di terzo genere della responsabilità degli enti. – 3.
L’ambito soggettivo di applicazione del decreto. Le indicazioni contenute nella legge delega:
l’esclusione degli enti che esercitano pubblici poteri. La non corretta attuazione del criterio
nel decreto. – 4. L’esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti che
svolgono funzioni costituzionali. – 5. L’esclusione degli enti pubblici non economici. – 6.
L’applicazione del decreto agli enti pubblici economici e agli enti privati di interesse pubblico.
– 7. Alcune incertezze applicative. Società miste, società privatizzate e società c.d. pubbliche.
– 8. Valutazione critica delle esclusioni. – 8.1. Ripercussioni in ambito privatistico delle
limitazioni della responsabilità degli enti pubblici. – 9. Considerazioni in ordine alla
possibilità di configurare una responsabilità penale degli enti pubblici alla stregua del d.lgs.
231/2001, con riferimento ai reati presupposto, alla nozione di interesse e vantaggio, nonché
all’apparato sanzionatorio previsto. – 10. La previsione della responsabilità penale delle
persone giuridiche nel progetto della Commissione Pisapia.

1. La responsabilità penale-amministrativa delle persone giuridiche in Italia e il decreto


legislativo 231/2001.

Le questioni connesse all’introduzione di una responsabilità propriamente penale


delle persone giuridiche in Italia1 non sono state superate dall’entrata in vigore
del d.lgs. 231/20012, il quale ha istituito un sistema «punitivo» – formalmente
amministrativo – diretto alle persone giuridiche.
L’opportunità e gli ostacoli di prevedere una vera e propria responsabilità
penale dell’ente collettivo hanno costituito oggetto di intenso dibattito, anche in
1
  Cfr. F. Bricola, Il costo del principio «societas delinquere non potest» nell’attuale dimensione del fenomeno
societario, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 4, 1970, p. 951 ss. e lo stesso autore, Luci
e ombre nella prospettiva di una responsabilità penale degli enti (nei Paesi della cee), in «Giurisprudenza
Commerciale», i, 1979, p. 647 ss. ove analizza i «costi» che la mancanza di un adeguato sistema punitivo
delle società commerciali può determinare, nonché M. Romano, Societas delinquere non potest (nel
ricordo di Franco Bricola), in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 1995, p. 1031 ss.
2
  Il decreto legislativo 231/2001 relativo alla Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11
266 E. Pavanello

considerazione delle sollecitazioni provenienti da altri ordinamenti che si sono


orientati – come visto – nel senso della responsabilità penale dell’ente.
In particolare, ci si è a lungo interrogati sulla compatibilità della responsabilità
(penale) delle persone giuridiche con il principio della personalità della responsabilità
penale, sancito nell’articolo 27 della Costituzione, inteso sia nel suo significato minimo
sia nel suo significato massimo, oltre che sull’effettività delle sanzioni eventualmente
inflitte3. D’altro canto, la necessità di individuare delle risposte adeguate sul piano
legislativo con riferimento alla criminalità di impresa si è rivelata nel corso degli anni
sempre più pressante, in quanto la realtà ha dimostrato come le persone giuridiche
ben possano delinquere e, talvolta, con un potenziale lesivo maggiore rispetto a
quello dei singoli individui. Potenzialità che si rivela assolutamente «nociva» laddove
sia accompagnata da una sostanziale irresponsabilità degli enti4.
La «occasione» per l’introduzione della responsabilità collettiva è stata la ratifica
di una serie di atti internazionali5 che ha condotto alla creazione di un vero e proprio
della legge 29 settembre 2000, n. 300 è stato pubblicato nella g.u. n. 140 del 19 giugno 2001.
3
  Si confronti, inter alia, per una illustrazione di siffatte problematiche, M. Parisi, Riflessioni in tema
di responsabilità penale delle persone giuridiche, in «Rivista penale», ii, 1999, p. 1057-1064; in relazione
all’aspetto sanzionatorio, A. Manna, La responsabilità delle persone giuridiche: il problema della sanzioni,
in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1999, p. 919 ss.; C.E. Paliero, Problemi e
prospettive della responsabilità penale dell’ente nell’ordinamento italiano, in «Rivista trimestrale di diritto
penale dell’economia», 1996, p. 1173 ss., il quale ipotizza tre diverse soluzioni per superare gli ostacoli
connessi alla configurazione di una responsabilità penale della persona giuridica: (i) la costruzione di
un modello di colpevolezza ad hoc per le persone giuridiche che consenta di superare il principio nulla
poena sine culpa di cui all’art. 27 Cost.; (ii) il potenziamento di modelli extrapenali già esistenti, quale
ad esempio il meccanismo del civilmente obbligato di cui all’art. 197 c.p.; (iii) l’abbandono di ogni
questione dogmatica e l’opzione per una soluzione basata sull’effettività, attraverso l’adozione di misure
interdittive e sospensive che incidano sulla politica di impresa. Per un’illustrazione del dibattito sulla
responsabilità penale delle persone giuridiche si cfr. inoltre A. De Risio, Societas delinquere potest?, in
«Giurisprudenza di merito», 5, 2006, p. 1153 ss.
4
  Per F. Compagna, La responsabilizzazione delle società commerciali come scelta di politica criminale, in
«Indice penale», 2, 2007, p. 644, il diritto penale ha manifestato la propria inefficacia in taluni settori
sia da un punto di vista della prevenzione generale che della prevenzione speciale che hanno indotto il
legislatore a riconsiderare l’intero apparato punitivo nei confronti delle società commerciali.
5
  Il decreto legislativo costituisce attuazione, anche se come si vedrà non fedele, della legge delega
n. 300/2000 con la quale lo Stato italiano ha ratificato e dato esecuzione ad una serie di accordi
internazionali tra cui figurano la Convenzione ocse del dicembre 1997 sulla lotta alla corruzione dei
pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali e il secondo Protocollo della
Convenzione pif del 1997 che prevedevano la necessità di introdurre una forma di responsabilità per gli
enti che, a mezzo dei propri dipendenti, si rendono responsabili di atti di corruzione. Per un commento
alla legge delega si veda G. Marra, Note a margine dell’art. 6 ddl n. 3915-S contenente una «delega al
governo per la disciplina della responsabilità penale delle persone giuridiche», in «Indice penale», 2000,
p. 827 ss. Per un’analisi delle indicazioni provenienti dall’Unione Europea, dal Consiglio d’Europa
e dall’ocse in materia di responsabilità penale delle persone giuridiche si veda M.F. Fontanella,
Corruzione e superamento del principio societas delinquere non potest nel contesto internazionale, in «Liuc
Papiers» n. 83, serie «Impresa e Istituzioni», 15 febbraio 2001. Per un’illustrazione della disciplina
L’ordinamento italiano 267

sistema autonomo, extra codice, il quale detta la disciplina sostanziale e processuale


cui ancorare la responsabilità dell’ente definita amministrativa ma, nella sostanza,
dipendente da reato6. Un sistema di parte generale che è forse «sproporzionato»
relativa alla responsabilità penale degli enti nei Paesi aderenti all’ocse si veda R. Calderone, La
responsabilità degli enti nei Paesi aderenti all’ocse, in Responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro
interesse, in «Cassazione penale», 2003, supplemento al n. 6, p. 57 ss.
6
  Numerosi i contributi dottrinali di commento e analisi alla nuova normativa. Tra le opere monografiche
si segnalano: M. Arena, G. Cassano, La responsabilità da reato degli enti collettivi, Giuffré Milano
2007; A. Giarda, E.M. Mancuso, G. Spangher, G. Varraso, Responsabilità «penale» delle persone
giuridiche, ipsoa, Milano 2007; R. Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, Giuffré, Milano 2006;
Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, Giuffré, Milano 2006; M.A. Pasculli, La responsabilità
da reato degli enti collettivi nell’ordinamento italiano, Cacucci, Bari 2005; Reati e responsabilità degli enti,
a cura di G. Lattanzi, Giuffré, Milano 2005; La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia
punitiva, a cura di G. De Francesco, G. Giappichelli, Torino 2004; A. Fiorella, G. Lancellotti, La
responsabilità dell’impresa per i fatti di reato, G. Giappichelli, Torino 2004; Societas puniri potest, a cura
di F. Palazzo, cedam, Padova 2003; S. di Pinto, La responsabilità amministrativa da reato degli enti,
G. Giappichelli, Torino 2003; Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a
cura di G. Garuti, cedam, Padova 2002; S. Gennai, A. Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti
amministrativi dipendenti da reato, Giuffré, Milano 2001.
Per la manualistica, si confrontino tra gli altri L. Conti, La responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, xxv, cedam, Padova
2001, p. 861 ss.; A. Alessandri, Parte Generale, in C. Pedrazzi, A. Alessandri, L. Foffani, S.
Seminara, G. Spagnolo, Manuale di diritto penale dell’impresa, Monduzzi, Bologna 2000, p. 79 ss.;
E.M. Ambrosetti, Efficacia della legge penale nei confronti delle persone, in La legge penale, opera diretta
da M. Ronco, Zanichelli, Bologna 2006, p. 182 ss.; E.M. Ambrosetti, E. Mezzetti, M. Ronco,
Diritto penale dell’impresa, Zanichelli, Bologna 20092, p. 34 ss.; F. Mantovani, Diritto penale, parte
generale, cedam, Padova 20096, p. 114 ss.; T. Padovani, Diritto penale, Giuffré, Milano 20089, p. 91
ss.; A. di Amato, Diritto penale dell’impresa, Giuffré, Milano 2006, p. 531 ss.; A. Carmona, Premesse
a un corso di diritto penale dell’economia, cedam, Padova 2002, p. 202 ss.; G. Marinucci, E. Dolcini,
Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano 20062, p. 125 ss.; G. Fiandaca, E. Musco,
Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, Bologna 20096, p. 164 ss.; M. Pelissero, La responsabilità
degli enti, in F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, a cura di C.F. Grosso, Milano,
Giuffré 200713, i, p. 845 ss.
Per un inquadramento generale, si vedano inoltre i seguenti contributi: M. Pelissero, G. Fidelbo,
La «nuova» responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, in «La legislazione penale», 2002, p.
575 ss.; Ronco, voce Responsabilità delle persone giuridiche, in Enciclopedia Giuridica Treccani, xxvii,
Roma, aggiornamento, 2002, 1 ss.; Marinucci, «Societas puniri potest»: uno sguardo sui fenomeni e
sulle discipline contemporanee, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 2002, p. 1193 ss.; M.
Guernelli, La responsabilità delle persone giuridiche nel diritto penale-amministrativo interno dopo il
d.legisl. 8 giugno 2001, n. 231 (prima parte), in «Studium iuris», i, 2002, p. 281 ss. e lo stesso autore,
La responsabilità delle persone giuridiche nel diritto penale-amministrativo interno dopo il d.legisl. 8 giugno
2001, n. 231 (seconda parte), in «Studium iuris», i, 2002, p. 425 ss.; G. Amarelli, Mito giuridico ed
evoluzione della realtà: il crollo del principio societas delinquere non potest, in «Rivista trimestrale di diritto
penale dell’economia», 2003, p. 941 ss.; M. Romano, La responsabilità amministrativa degli enti, società
e associazioni: profili generali, in «Rivista delle Società», 2002, p. 393 ss.; S. Riondato, Prevenzione dei
reati riconducibili alla politica dell’ente e personalità delle responsabilità penale dell’ente (d.lgs. 8 giugno
2001, n. 231), in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2003, p. 824 ss.; L. Bertonazzi,
268 E. Pavanello

rispetto al numero di reati per i quali è stata pensata la nuova forma di responsabilità.
Tuttavia, è da ritenere che la scelta inizialmente restrittiva del legislatore sia stata
dettata principalmente da una certa cautela e dalla volontà di valutare l’impatto che
il nuovo sistema avrebbe potuto avere sulle persone giuridiche coinvolte. Tant’è che,
ad oggi, l’ambito di applicazione è stato notevolmente esteso, senza a dire il vero che
sia stata seguita un’organica politica7. Al contrario, il catalogo dei reati, inizialmente
limitato a ipotesi connesse alla criminalità di impresa, è stato poi incrementato,
includendo ogni categoria di reati che desta particolare allarme sociale8.
Obiettivo del presente lavoro è illustrare le scelte del legislatore con riferimento ai
destinatari della nuova normativa sul versante «pubblicistico»: sono stati esclusi dalla
responsabilità infatti tutti gli enti pubblici, a eccezione degli enti pubblici economici.
È opportuno interrogarsi sul fondamento di tali restrizioni e sull’opportunità di creare
un trattamento differenziato a seconda della natura pubblica o privata dell’ente,
natura che, in taluni casi, risulta di difficile individuazione.
Si ritiene comunque prima di ciò imprescindibile descrivere le modalità attraverso
le quali viene in gioco la responsabilità dell’ente e, in particolare, i presupposti oggettivo
e soggettivo in base ai quali opera la stessa nonché l’impianto sanzionatorio introdotto
Il d.lgs. n. 231 del 2001 e il nuovo modello sanzionatorio dei soggetti collettivi, in «Diritto processuale
amministrativo», 2001, p. 1167 ss., D. Pulitanò, La responsabilità «da reato» degli enti: i criteri di
imputazione, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 2002, p. 415 ss.; G. di Francesco,
Gli enti collettivi: soggetti dell’illecito o garanti dei precetti normativi?, in «Diritto penale e processo»,
2005, n. 6, p. 753 ss.; A. Travi, La responsabilità della persona giuridica nel d.lgs. n. 231/2000: prime
considerazioni di ordine amministrativo, in «Le società», n.11, 2005, p. 1305 ss.; F. Da Riva Grechi,
L’illecito funzionale degli enti collettivi, in «La giustizia penale», parte ii, 2003, p. 437 ss.; Pasculli,
Questioni insolute ed eccessi di delega nel d.L.vo n. 231/2001, in «Rivista penale», ii, 2002, p. 739 ss.; A.
Mereu, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi e i criteri di attribuzione della responsabilità tra
teoria e prassi, in «Indice penale», 1, 2006, p. 27 ss.; F. Vignoli, La responsabilità «da reato» dell’ente
collettivo fra rischio d’impresa e colpevolezza, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli
enti», 2, 2006, p. 103 ss., <http://www.rivista231.it/>. Con particolare riferimento all’attività bancaria,
F. Giunta, Attività bancaria e responsabilità ex crimine degli enti collettivi, in «Rivista trimestrale di
diritto penale dell’economia», 1, 2004, p. 1 ss.; per i profili giuslavoristici cfr. A. Garlatti, D.lgs.
231/01 e riflessi giuslavoristici, in «D&L Rivista critica di diritto del lavoro», 2006, p. 341 ss.
Gli esiti applicativi della nuova forma di responsabilità ad oltre un lustro dalla sua introduzione, sono
stati analizzati da diversi studiosi. Si confrontino, in particolare, La responsabilità da reato degli enti
collettivi, a cura di G. Spagnolo, Milano, Giuffré 2007; E. Garavaglia, La responsabilità amministrativa
da reato delle persone giuridiche: i primi anni di applicazione giurisprudenziale, in «Giurisprudenza
commerciale», parte ii, 2006, p. 383 ss.; G. Amato, Finalità, applicazione e prospettive della responsabilità
amministrativa degli enti, cit., p. 140 secondo cui il giudizio sull’efficacia e sull’operatività del sistema
è senz’altro positivo. Contra M. La Rosa, Teoria e prassi del controllo «interno» ed «esterno» sull’illecito
dell’ente collettivo, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 4, 2006, p. 1297 ss. che definisce il
sistema un «corpus normativo più “simbolico” che reale, poiché tende a perseguire uno scopo diverso da quello
espresso in modo chiaro nei precetti: rassicurare la collettività piuttosto che guarire il sistema».
7 
Pelissero, La progressiva espansione dei reati-presupposto, in «Giurisprudenza Italiana», 2009, p. 1834.
8
  N. Mazzacuva, E. Amati, Diritto penale dell’economia, cedam, Padova 2010, p. 64.
L’ordinamento italiano 269

dal nuovo decreto. Il d.lgs. 231/2001 prevede, infatti, ai fini della configurazione della
responsabilità, che venga posta in essere da parte di soggetti che rivestono peculiari
posizioni all’interno dell’ente (soggetti in posizione apicale o sottoposti alla vigilanza
di questi ultimi), una delle fattispecie criminose tassativamente indicate nel decreto9.
Non vi è stata, comunque, una chiara presa di posizione circa la natura della
responsabilità in discorso da parte del legislatore che ha preferito adottare
9
  L’elenco delle modifiche apportate al testo è lunghissimo. Sinteticamente si consideri che con la legge n.
116/2009 è stata estesa la responsabilità dell’ente anche per il reato di cui all’art. 377 bis c.p. (induzione
a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria); prima di allora
la l. 94/2009 aveva esteso la responsabilità per i reati in materia di criminalità organizzata. Con il d.lgs.
81/2008 era stato invece modificato l’art. 25 septies (introdotto dall’art. 9 della l. 123 del 3 agosto 2007)
relativo alla responsabilità degli enti per i reati di omicidio colposo, lesioni colpose gravi e gravissime,
commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul
lavoro. Per un commento si vedano Castronuovo, La responsabilità degli enti collettivi per omicidio e
lesioni alla luce del d.lgs. n. 81 del 2008, in La prevenzione dei rischi e la tutela della salute in azienda. Il
testo unico e le nuove sanzioni, a cura di Basenghi et al., ipsoa, Milano 2008, p. 159 ss.; M. Lepore, la
legge delega sulla sicurezza: prime riflessioni, in «Il lavoro nella giurisprudenza», 11, 2007, p. 1079 ss.; G.
Zanalda, La responsabilità degli enti per gli infortuni sul lavoro, prevista dalla legge 3 agosto 2007, n. 123,
in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2007, p. 97 ss, <http://www.rivista231.
it/>. In generale sul nuovo t.u. si veda, Il testo unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, a cura di
M. Tiraboschi, Giuffré, Milano 2008 e F. Giunta, D. Micheletti, Il nuovo diritto penale della sicurezza
nei luoghi di lavoro, Giuffré, Milano 2010. In precedenza la legge n. 146 del 16 marzo 2006, di ratifica
ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato
transnazionale, con la quale è stata introdotta la responsabilità delle persone giuridiche in relazione al
«reato transnazionale». Ai sensi dell’art. 3 è tale il reato che comporta il coinvolgimento di un gruppo
criminale organizzato, la cui pena non è inferiore nel massimo a quattro anni e che, in via alternativa sia
commesso: a) in più di uno Stato; b) in un solo Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione,
pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; c) in uno Stato, ma sia implicato un
gruppo criminale organizzato, impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) in un uno Stato,
ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato. La responsabilità delle persone giuridiche ai sensi del
d.lgs. 231/2001 è espressamente prevista dall’art. 10 della l. 146/2006, il quale indica la tipologia delle
sanzioni applicabili. Per un commento critico all’estensione della responsabilità degli enti in relazione al
reato transnazionale si veda S. Bartolomucci, «Reato transnazionale»: ultima (opinabile) novellazione al
d.lgs. n. 231/2001, in «Le società», 9, 2006, p. 1163 ss. In generale sul crimine transnazionale si veda A.
Martino, Criminalità organizzata e reato transnazionale, diritto penale nazionale: l’attuazione in Italia
della c.d. Convenzione di Palermo, in «Diritto penale e processo», 1, 2007, p. 15 ss. Prima di allora, la
legge n. 7 del 9 gennaio 2006 aveva introdotto la responsabilità degli enti per il reato di mutilazioni
genitali femminili, previsto all’articolo 583 bis del codice penale. Tale estensione desta qualche perplessità
con riferimento agli obiettivi che il legislatore aveva dichiarato di perseguire mediante l’introduzione
della responsabilità amministrativa dipendente da reato: nella relazione al decreto legislativo si legge,
infatti, che «il legislatore delegante aveva di mira la repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento
di attività di natura squisitamente economica e cioè assistite da fini di profitto». Cfr. Relazione al decreto
legislativo n. 231/2001 in appendice al testo di Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti
amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 380. Il reato di mutilazioni genitali femminili difficilmente
si inserisce in questa prospettiva, così come risulta dall’articolo 1 della l. 7/2006 in cui è chiaramente
statuito che le pratiche suddette costituiscono violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della
270 E. Pavanello

(formalmente) una soluzione di compromesso. Infatti, sebbene esistano elementi che


hanno consentito ai più di sostenere la natura schiettamente penale, è indubbio che
esistano anche «indizi» di una natura amministrativa della responsabilità, in primis
la formula legislativa utilizzata che parla, appunto, di responsabilità amministrativa
dipendente da reato.
È opportuno precisare, sin d’ora, che anche laddove si ritenesse di aderire alla
tesi che qualifica la responsabilità degli enti come amministrativa10, il discorso che
effettueremo con riferimento alla impossibilità di punire le persone giuridiche di
diritto pubblico resta rilevante. È evidente infatti come assuma rilievo la circostanza
che il legislatore nel momento in cui ha deciso di introdurre un sistema punitivo per
le persone giuridiche, ancorato alla commissione di un reato, abbia sentito l’esigenza
di escludere taluni soggetti dal novero dei destinatari. Ciò costituisce sintomo della
volontà di esonerare il potere pubblico dal sindacato del giudice penale ed assume
rilievo generale perché consente di riflettere sulle limitazioni di responsabilità
introdotte, vieppiù laddove si consideri che le argomentazioni utilizzate dal legislatore
e dalla dottrina − la quale non ha mostrato di dedicare particolare attenzione alla
questione − sono analoghe a quelle avanzate in altri ordinamenti.

1.2. I criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica.

Dopo aver individuato i soggetti destinatari della nuova forma di responsabilità


e sancito il principio di legalità e di successione delle leggi nel tempo, gli articoli da
5 a 7 descrivono le modalità attraverso cui la responsabilità delle persone giuridiche
viene in rilievo.
persona e alla salute delle donne e delle bambine. In questo senso si è espresso anche Amato, Finalità,
applicazione e prospettive della responsabilità amministrativa degli enti, in «Cassazione penale», 1, 2007,
p. 354. Criticamente, L.D. Cerqua, La responsabilità amministrativa degli enti collettivi: principi
generali e prime applicazioni giurisprudenziali, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli
enti», 2, 2006, p. 155, <http://www.rivista231.it/>, ha rilevato che l’introduzione di tale fattispecie
di reato quale presupposto della responsabilità dell’ente costituisce «ulteriore prova della disomogeneità
della categoria, trasformata in un contenitore nel quale sono stati inseriti alla rinfusa i più svariati illeciti
penale». Per un commento al reato, si vedano B. Giuditta, Prevenzione e divieto delle mutilazioni genitali
femminili: genealogia (e limiti) di una legge, in «Quaderni costituzionali», fasc. 3, 2007, p. 567 ss.; B.
Fabio, Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati (comprese le mutilazioni genitali
femminili), in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», fasc. 4, 2007, p. 1296 ss.
Con la l. 62/2005 era stato introdotto l’art. 25 sexies in relazione ai delitti di abuso di informazioni
privilegiate e di manipolazione del mercato. Per un commento si veda D. Fondaroli, La responsabilità
dell’ente, in F. Sgubbi, D. Fondaroli, A.F. Tripodi, Diritto penale del mercato finanziario, cedam,
Padova 2008, p. 147 ss.
10
  Il che parrebbe da escludere, stante l’espressa presa di posizione della Suprema Corte di cui si dirà
infra (Cass., sez. ii, 30 gennaio 2006, n. 3615).
L’ordinamento italiano 271

Sotto il profilo oggettivo, è necessario che i soggetti che si collocano in posizione


apicale e le persone sottoposte all’altrui vigilanza e direzione, compiano uno dei
reati per i quali è prevista la responsabilità dell’ente nell’interesse o a vantaggio di
quest’ultimo.
I concetti di interesse e vantaggio assumono connotazioni diversificate e sono stati
posti, secondo parte della dottrina, dal legislatore in via alternativa, come dimostreb-
be la possibilità di pagamento della sanzione in misura ridotta, disciplinata all’art.
12, quando l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio
e l’ente non ne ha ricavato vantaggio11. Altra parte della dottrina ritiene invece che i
due termini abbiano una sostanziale identica portata semantica12. La giurisprudenza
tanto di merito quanto di legittimità ha avallato la prima delle interpretazioni citate,
sostenendo che i termini interesse e vantaggio non costituiscono un’endiadi rafforza-
tiva ed «esprimono concetti giuridicamente diversi: potendosi distinguere un interesse “a
monte” della società ad una locupletazione – prefigurata, pur se di fatto, eventualmente,
non più realizzata – in conseguenza dell’illecito, rispetto ad un vantaggio obiettivamente
conseguito all’esito del reato, perfino se non espressamente divisato ex ante dall’agente»13.
L’interesse sarebbe quindi suscettibile di una verifica sul piano soggettivo e accer-
tabile ex ante sulla base dell’elemento volitivo che ha caratterizzato la condotta del
soggetto agente, a prescindere dagli esiti della condotta di tale soggetto. Il concetto
farebbe riferimento alla finalizzazione della condotta illecita che integra il reato pre-
supposto. Il vantaggio, invece, che non necessariamente assume carattere patrimo-
niale, farebbe riferimento a una valutazione di carattere oggettivo e richiederebbe
sempre una verifica ex post14, al fine di valutare gli effetti favorevoli che per l’ente sono
scaturiti dalla condotta penalmente illecita posta in essere dal dirigente o da persona
sottoposta all’altrui direzione o vigilanza.
11
  A. Astrologo, «Interesse» e «vantaggio» quali criteri di attribuzione della responsabilità dell’ente
nel d.lgs. 231/2001, in «Indice penale», 2003, p. 656 ss. e analogamente Epidendio, Bassi, Enti e
responsabilità da reato, cit., p. 162 ss.
12
  N. Selvaggi, L’interesse dell’ente collettivo quale criterio di iscrizione della responsabilità da reato, Jovene,
Napoli 2006, p. 112.
13
  Cassazione penale 20 dicembre 2005, n. 3615 pubblicata in «Foro Italiano», ii, 2006, p. 329 e in «Le
società», 6, 2006, p. 756, con nota di S. Bartolomucci, Reato dell’amministratore e parametro oggettivo
di imputazione della persona giuridica, ivi, p. 759 ss. e, analogamente, Trib. Milano, sez. xi, ordinanza 14
dicembre 2004, in «Foro Italiano», 2005, ii, col. 527. Secondo O. Di Giovine, Lineamenti sostanziali
del nuovo illecito punitivo, in Reati e responsabilità degli enti, a cura di G. Lattanzi, Giuffré, Milano
2005, p. 63, tuttavia, il criterio del vantaggio potrebbe rivelarsi di maggiore utilità in futuro «laddove
si dovesse allungare la lista dei reati, dal momento che si adatta particolarmente bene alle ipotesi in cui il
reato sia realizzato dalla persona fisica con colpa, piuttosto che dolosamente». Per l’illustrazione delle diverse
posizioni espresse dalla dottrina sul punto, si confronti De Risio, Societas delinquere potest?, cit., p. 1158.
14
  D. PulitanÒ, voce Responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche, in Enciclopedia del
Diritto, Garzanti, Milano, aggiornamento iv, 2002, p. 958.
272 E. Pavanello

La persona giuridica non risponde nel caso in cui le persone fisiche individuate
abbiano agito nel proprio esclusivo interesse o di terzi: la norma è espressione del
principio secondo cui laddove la persona fisica abbia potuto giovarsi della struttura
dell’ente per trarne esclusivo personale vantaggio, la persona giuridica non possa e
non debba rispondere dell’illecito essendo stata semplice occasione per la commis-
sione del reato. In questi casi occorre infatti prendere atto che la condotta illecita
costituisce addirittura deviazione rispetto all’attività dell’ente collettivo15.
Sulla congruità, tuttavia, dei concetti di interesse e vantaggio per ascrivere i fatti
di reato all’ente forti dubbi sono stati avanzati e, a ragione, dalla dottrina: difficile
immaginare, soprattutto per le ipotesi di reato colposo recenetemente introdotte,
che si possa (sempre) ravvisare un interesse o vantaggio dell’ente. Sarebbe stato pro-
babilmente più opportuno sancire che la responsabilità viene in gioco quando la
persona fisica ha agito «per conto» dell’ente, analogamente ad esempio a quanto
previsto dall’ordinamento francese, ovvero ha agito nello svolgimento delle proprie
funzioni16.
Sotto il profilo soggettivo, il legislatore indica i criteri di attribuzione della re-
sponsabilità che sono diversificati a seconda del soggetto che ha commesso il reato.
In particolare si distinguono due ipotesi. Laddove il reato sia stato posto in essere dai
soggetti che si collocano in posizione apicale – coloro che, secondo un criterio oggettivo
funzionale, rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione
dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia funzionale e finanzia-
ria, nonché quei soggetti che esercitano, di fatto, la gestione e il controllo dell’ente
stesso17 – l’ente non risponde (unicamente) se dimostra di aver adottato ed efficace-
mente attuato «modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della spe-
cie di quello verificatosi»(art. 6). La ragione di questa «presunzione» di responsabilità18
va rinvenuta nel fatto che, normalmente, il soggetto in posizione apicale è espressio-
15
  Cfr. Selvaggi, L’interesse dell’ente collettivo quale criterio di iscrizione della responsabilità da reato, cit.,
p. 181.
16
  P. Aldrovandi, I «modelli di organizzazione e di gestione» nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: aspetti
problematici dell’«ingerenza penalistica» nel «governo» delle società, in «Rivista trimestrale di diritto penale
dell’economia», 3, 2007, p. 481. V. Selvaggi, L’interesse dell’ente collettivo quale criterio di iscrizione della
responsabilità da reato, cit., p. 116 ss., il quale mette in guardia sui rischi di eccessiva estensione della
responsabilità dell’ente attraverso il criterio dell’aver agito per conto della persona giuridica.
17
  Alla stregua di questa definizione, sono esclusi dalla categoria i sindaci, i quali svolgono funzioni di
controllo ma non di effettiva gestione. Sul punto si vedano Ambrosetti, Efficacia della legge penale nei
confronti delle persone, cit., p. 198 e Mereu, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi e i criteri di
attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, cit., p. 50-51.
18
  Cerqua, La responsabilità amministrativa degli enti collettivi: principi generali e prime applicazioni
giurisprudenziali, cit., p. 162 ritiene che la scelta del legislatore di introdurre un’inversione dell’onere
della prova a carico dell’ente sia dovuta ad esigenze garantiste, al fine di poter recuperare una dimensione
di colpevolezza ed evitare sin troppo semplici automatismi di imputazione della condotta illecita
dell’amministratore alla società.
L’ordinamento italiano 273

ne della politica di impresa: solo laddove sia dimostrato che detta politica differisce
dall’operato del singolo soggetto fisico, l’ente andrà esente da responsabilità.
Quando, invece, la fattispecie criminosa sia stata posta in essere da soggetti sotto-
posti all’altrui direzione o vigilanza – soggetti che sono inquadrati all’interno dell’ente
in uno stabile rapporto di lavoro subordinato o che comunque ancorch’è non dipen-
denti dell’ente svolgano un determinato incarico sotto la direzione o il controllo dei
vertici dell’ente stesso19 – l’ente risponde del reato unicamente se la sua realizzazione
è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi connessi alle funzioni di direzio-
ne e vigilanza. L’inosservanza è esclusa se l’ente prima della commissione del reato ha
adottato ed attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire il reato.
Come si può arguire, elemento centrale nella nuova normativa è costituito dai
modelli organizzativi che laddove siano stati efficacemente predisposti e attuati pri-
ma della commissione del reato sono in grado di escludere la responsabilità dell’ente;
qualora invece siano adottati ex post (purché prima dell’apertura del dibattimento),
incidono sull’entità e sulla natura della pena applicabile all’ente20.

1.3. L’apparato sanzionatorio.

Le sanzioni cui può essere sottoposto l’ente sono disciplinate nella sezione ii del
d.lgs. 231/2001 (art. 9-22) e si distinguono in sanzioni generali (sanzione pecuniaria
e confisca); speciali, applicabili solo in occasione della commissione di determinati
illeciti, (misure interdittive) e accessorie (pubblicazione della sentenza di condanna).
La sanzione pecuniaria è disciplinata dagli articoli 10-12 del decreto sulla base
del meccanismo delle quote. Essa è strutturata in maniera tale che il Giudice, per
procedere alla determinazione della pena in concreto, debba passare attraverso due
distinti momenti valutativi: nel primo, determinerà il numero delle quote − che non
19
  In questo senso in dottrina, tra gli altri, Mereu, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi, cit.,
p. 53 e Garavaglia, La responsabilità amministrativa da reato, cit., p. 387. Contra, Gennai, Traversi,
La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 43. In giurisprudenza,
da segnalare l’ordinanza del Tribunale di Milano del 27 aprile 2004, con la quale è stato definito
come «sottoposto» ai sensi dell’art. 5, 1 comma, lett. b) un ex dipendente, divenuto successivamente
consulente esterno all’azienda. Critico rispetto a questa decisione F. Pernazza, Commento ad ordinanza
Tribunale di Milano 27 aprile 04, in «Le società», 2004, p. 1283 ss., nonché L. Antonetto, Sistemi
disciplinari e soggetti sottoposti ex d.lgs.231/2001, in «La responsabilità amministrativa delle società e
degli enti», 4, 2006, p. 70, <http://www.rivista231.it/>.
20
  Sul ruolo e sulla qualificazione dogmatica dei modelli di prevenzione si veda G. Cocco, L’illecito degli
enti dipendente da reato ed il ruolo dei modelli di prevenzione, in «Rivista italiana di diritto e procedura
penale», 2004, p. 90 ss., nonché A. Nisco, Responsabilità amministrativa degli enti: riflessioni sui criteri
ascrittivi «soggettivi» e sul nuovo assetto delle posizioni di garanzia delle società, in «Rivista trimestrale di
diritto penale dell’economia»,1-2, 2004, p. 295 ss., con particolare riferimento al ruolo svolto da tali
modelli in relazione all’individuazione dell’elemento soggettivo della condotta.
274 E. Pavanello

potrà essere inferiore a cento né superiore a mille − tenendo conto della gravità del
fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare
o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeci-
ti; nel secondo, invece, il Giudice fisserà il valore della singola quota − valore che può
andare da un minimo di duecentocinquanta a un massimo di millecinquecento euro
− tenendo in considerazione le condizioni economiche e patrimoniali dell’ente. La
previsione de qua si rivela quanto mai opportuna per garantire efficacia alla sanzione
pecuniaria che, ove non sia adeguatamente calibrata alle dimensioni e alle capacità
dell’ente21, rischierebbe di rivelarsi un mero costo di impresa (rischio che comunque
sussiste laddove sia irrogata la sola sanzione pecuniaria che potrebbe essere iscritta al
bilancio dell’ente al pari di altri costi di gestione dell’impresa). Nelle singole fattispe-
cie di reato previste agli articoli 24 e seguenti del decreto sono indicati gli intervalli
edittali delle quote associati alla singola figura di reato: così, ad esempio, nel caso
di concussione e corruzione il giudice potrà applicare la sanzione pecuniaria fino a
duecento quote.
La confisca, vera e propria sanzione a carattere generale, è disciplinata all’art. 19
e costituisce la «preoccupazione» maggiore per gli enti sottoposti a indagine22. Essa
consegue infatti obbligatoriamente alla sentenza di condanna e ha ad oggetto il prez-
zo o il profitto del reato, senza estendersi al patrimonio dell’impresa. Con la sentenza
2 luglio 2008, n. 26654, le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che «il
profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca disposto – ai sensi degli
artt. 19 e 53 d.lgs. 231/2001 – nei confronti dell’ente collettivo, è costituito dal vantag-
gio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente
determinato al netto della effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato,
nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente». In altre parole, per individuare il
profitto si deve tenere conto dell’insieme dei vantaggi economici tratti dall’illecito a
questo strettamente pertinenti, dovendosi escludere, invece, il ricorso a criteri azien-
dalistici di profitto che imporrebbero di dedurre gli eventuali costi affrontati per la
realizzazione del reato23. Obiettivo del legislatore è impedire che l’ente possa godere
21
  Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, cit., p. 159 ritiene che il meccanismo di commisurazione
sulla base delle quote sia «il maggior pregio della disciplina relativa alla pena pecuniaria». Parlano di un
sistema che consente una commisurazione «equa» della pena G. Fornasari, A. Meneghini, Percorsi
europei di diritto penale, cedam, Padova 2005, p. 203.
22
  L. Pistorelli, Il profitto oggetto di confisca ex art. 19 d.lgs. 231/2001 nell’interpretazione delle Sezioni
Unite della Cassazione, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 4, 2008, p. 136,
<http://www.rivista231.it/>.
23
  La sentenza è pubblicata in «Diritto penale e processo», 10, 2008, p. 1263 ss. Condivide la scelta
effettuata dalla Suprema Corte Pistorelli, Il profitto oggetto, cit., p. 146-147, poiché la sentenza nel
respingere in radice l’alternativa tra profitto lordo e profitto netto e nel riaffermare per converso il criterio
di diretta pertinenzialità come unico parametro di selezione dell’oggetto della confisca, ha restituito al dato
normativo un contenuto sufficientemente preciso. Analogamente, Epidendio, La nozione di profitto oggetto
L’ordinamento italiano 275

dei frutti derivanti dall’illecito commesso nel suo interesse o vantaggio ed evidente-
mente arginare la spinta alla criminalità del profitto24.
Quanto alle sanzioni interdittive, esse sono espressamente elencate nell’art. 9,
secondo comma e consistono nell’interdizione dall’esercizio dell’attività, nella so-
spensione o nella revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla
commissione dell’illecito, nel divieto di contrattare con la pubblica amministrazio-
ne25, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, nell’esclusione da
agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi o nell’eventuale revoca di quelli già
concessi e nel divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Le misure de quibus, all’interno delle quali non rientra la chiusura dello stabili-
mento o della sede commerciale26, hanno la finalità di privare di un determinato di-
ritto o di una capacità l’ente e ben si affiancano alla sanzione pecuniaria che, da sola,
potrebbe rivelarsi inefficace o addirittura controproducente in quanto rischierebbe di
riversarsi sull’utente-consumatore27.
Le sanzioni interdittive possono avere carattere temporaneo con durata compresa
da tre mesi a due anni e, in casi di particolare gravità, possono essere disposte in via
definitiva. Presupposto per la loro applicazione è che l’ente abbia tratto dal reato un
profitto di rilevante entità ovvero vi sia reiterazione degli illeciti28, mentre la loro
di confisca a carico degli enti, in «Diritto penale e processo», 10, 2008, p. 1267 ss., ritiene pregevole la
soluzione ermeneutica delineata dalla Suprema Corte anche se mette in guardia circa le difficoltà di
concretamente determinare la parte di profitto derivante dal reato rispetto a quella derivante dall’attività
lecita di impresa. In relazione a questo ultimo aspetto, A. Rossetti, La nozione di profitto oggetto di
confisca a carico degli enti, in «Diritto penale e processo», 10, 2008, p. 1281 ss., ritiene che si possa
parlare di un temperato accoglimento del c.d. «principio del netto».
24
  Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, cit., p. 182.
25
 Il Consiglio di Stato, con decisione adottata all’adunanza della sezione terza dell’11 gennaio 2005, in
relazione al Parere richiesto dal Ministero delle Attività Produttive in materia di applicazione delle misure
cautelari interdittive previste dagli art. 45 e ss. del d.lgs. 231/2001, ha chiarito con specifico riferimento
al divieto di contrattare con la pubblica amministrazione che la nozione di pubblica amministrazione
deve intendersi comprensiva dell’insieme di tutti i soggetti, ivi inclusi i privati concessionari di servizi
pubblici, le imprese pubbliche e gli organismi di diritto pubblico secondo la terminologia comunitaria,
che sono chiamati ad operare, in relazione all’ambito di attività considerato, nell’esercizio di una
pubblica funzione. La decisione è rinvenibile in «La responsabilità amministrativa delle società e degli
enti», Giurisprudenza, <http://www.rivista231.it/>.
26
  Non condivide la scelta G. De Marzo, Le sanzioni amministrative: pene pecuniarie e sanzioni
interdittive, in «Le società», 11, 2001, p. 1314. Analogamente, Guerrini, La responsabilità da reato degli
enti, cit., p. 170, rileva che la normativa contenuta nel decreto aspira comunque a porsi come disciplina
a carattere generale con riferimento alla responsabilità degli enti e che, in ogni caso, la sanzione de
qua avrebbe potuto contribuire ad evitare la reiterazione di illeciti legati alle particolari condizioni
ambientali in cui opera l’ente stesso.
27
  Così Lottini, Il sistema sanzionatorio, in Responsabilità degli enti, a cura di G. Garuti, cit., p. 153.
28
  Cfr. art. 13 d.lgs. 231/2001.
276 E. Pavanello

applicazione è esclusa laddove la sanzione pecuniaria sia ridotta ai sensi dell’art. 12


primo comma29.
Di particolare rilievo è la disposizione dell’articolo 15, che disciplina un’apposita
sanzione sostitutiva: il legislatore ha previsto, infatti, che laddove sussistano i pre-
supposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva che determina l’interruzione
dell’attività dell’ente, il giudice potrà disporre la continuazione della sua attività da
parte di un commissario ad hoc quando «l’ente svolge un pubblico servizio o un ser-
vizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla
collettività» o quando «l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto
delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti
ripercussioni sull’occupazione». In entrambe le ipotesi l’interruzione dell’attività com-
porterebbe gravi pregiudizi per la comunità o per la mancata fruizione di un servizio
essenziale ovvero per le ricadute negative sull’occupazione.
Laddove sia applicata una sanzione interdittiva, l’art. 18 del decreto dispone che
possa essere disposta dal Giudice, in via facoltativa la pubblicazione della sentenza,
per intero o per estratto, in uno o più giornali o mediante affissione nel Comune ove
l’ente ha la sede principale.

2. La controversa qualificazione della natura penale, amministrativa o di terzo genere


della responsabilità degli enti.

Nel commentare il nuovo decreto gli studiosi si sono divisi nel qualificare la re-
sponsabilità come amministrativa, penale o di terzo genere30, e a seconda della tesi
sostenuta hanno privilegiato taluni elementi presenti nel dettato normativo piuttosto
che altri. Non si intende qui ripercorrere in maniera approfondita gli iter interpre-
tativi seguiti − altri l’hanno già fatto in modo esaustivo31 − ma si richiameranno
brevemente i termini della questione.
Parte della dottrina ha ritenuto che la responsabilità introdotta sia amministra-
tiva32 sulla base del nomen juris che la legge attribuisce alla stessa: si parla, infatti, di
29
  Le ipotesi di riduzione della sanzione pecuniaria sono correlate al fatto che il reato sia stato commesso
dal soggetto persona fisica nel prevalente interesse proprio o di terzi o che il danno patrimoniale
cagionato sia di particolare tenuità o ancora al fatto che prima dell’apertura del dibattimento l’ente
abbia risarcito il danno ed abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal fatto di
reato o si sia dotato di un modello organizzativo idoneo atto a prevenire reati della specie di quello
verificatosi.
30
  Pulitanò, voce Responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche, cit., p. 954 ha ritenuto
comunque irrilevante la questione della qualificazione circa la tipologia della responsabilità: a suo avviso
infatti «la classificazione come “penale” o “amministrativa” si riduce a mera questione accademica».
31
  Pasculli, La responsabilità da reato degli enti collettivi nell’ordinamento italiano, cit., p. 128 ss.
32
  Si confrontino in particolare Romano, La responsabilità amministrativa degli enti, società e associazioni:
L’ordinamento italiano 277

una responsabilità amministrativa e non penale. Esistono, inoltre, altri elementi di


«sostanza» che legittimerebbero una lettura della nuova responsabilità in chiave am-
ministrativistica: trattasi, in particolare, della disciplina dettata con riferimento alla
prescrizione dell’illecito (articolo 22) che ricalca in modo pedissequo le disposizioni
contenute della l. 689/81, nonché del carattere amministrativo che può rivestire la
sanzione prevista nei confronti degli enti creditizi33.
In questa prospettiva verrebbe salvaguardato il principio della responsabilità pe-
nale personale di cui all’art. 27 della Costituzione e sarebbe possibile «aggirare» gli
ostacoli connessi al finalismo rieducativo della pena, difficilmente configurabile – si
sostiene – in relazione alla persona giuridica.
La dottrina che ha, invece, sostenuto la natura schiettamente penale della nuova
forma di responsabilità34 lo ha fatto sulla base innanzitutto dell’assonanza di talune
disposizioni del decreto con le norme contenute nel codice penale (si pensi al prin-
cipio di legalità, al principio di irretroattività e alla disciplina dettata per i reati com-
messi all’estero che richiama espressamente gli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale).
Inoltre, dato fondamentale è la considerazione che la responsabilità è ancorata alla
commissione di un reato. Non esistono, infatti, comportamenti tipizzati come illeciti
amministrativi, ma la responsabilità discende dalla realizzazione di fattispecie crimi-
nose espressamente previste nel codice penale, cosicché se si qualificasse la respon-
sabilità dell’ente come amministrativa, si finirebbe per differenziare la natura della
responsabilità a fronte di una medesima condotta materiale. Si è fatto inoltre notare
profili generali, cit., p. 398; Marinucci, «Societas puniri potest»: uno sguardo sui fenomeni e sulle
discipline contemporanee, cit., p. 1201 ss.; G. Ruggiero, Capacità penale e responsabilità degli enti, G.
Giappichelli, Torino 2004, p. 277 ss. e lo stesso Autore, Soggetto, persona, cittadino e diritto penale, in
«Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2006, p. 105 ss., nonché G. De Simone, I profili
sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la «parte generale» e la «parte speciale» del
d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in Responsabilità degli enti, a cura di G. Garuti, p. 77 ss., il quale ritiene che
anche se indici sintomatici della natura penale della responsabilità parrebbero rinvenirsi nelle modalità
di contestazione dell’illecito nonché nell’elevato grado di afflittività di certi meccanismi sanzionatori
introdotti nel decreto, tuttavia, occorre tenere in considerazione i referenti costituzionali dell’art. 27
e le difficoltà di strutturare una responsabilità penale tout court delle persone giuridiche che fanno
propendere nel senso di una responsabilità amministrativa.
33
  L’articolo 97 bis del d.lgs. n. 197/2004 impone, infatti, al pubblico ministero che inizi le indagini
verso una banca, di darne comunicazione alla Banca d’Italia e alla Consob. Non solo. L’esecuzione
delle sanzioni interdittive è affidata alla stessa Banca d’Italia, venendo quindi in considerazione «schemi
e modalità che evocano modelli tradizionalmente amministrativi di intervento». In questo senso D.
Tassinari, L. Stortoni, La responsabilità degli enti: quale natura? quali soggetti?, in «Rivista trimestrale
di diritto penale dell’economia», 1, 2006, p. 14.
34
 Contra Marinucci, Societas puniri potest: uno sguardo sui fenomeni e sulle discipline contemporanee, cit.,
p. 1202, il quale non considera l’accertamento nel processo penale elemento decisivo. A Parere dello
Studioso, infatti, la sanzione amministrativa può essere ben inflitta anche nel corso di un procedimento
penale, come avveniva già in passato in caso di connessione obiettiva di un illecito amministrativo con
un reato.
278 E. Pavanello

come, in taluni casi, il legislatore preveda testualmente che il reato sia commesso
dall’ente (artt. 28-30 d.lgs.)35. Da un punto di vista procedurale, poi, l’accertamento
della responsabilità si realizza attraverso e nel procedimento penale36: il che induce
a ritenere che il complesso apparato del processo penale e il rispetto delle garanzie37
previste nel processo stesso, siano indubbio sintomo di una responsabilità schietta-
mente penalistica.
Inoltre, sotto il profilo sostanziale, l’articolo 8 del decreto prevede la possibilità
di condannare la persona giuridica anche laddove l’autore del reato non sia stato
identificato o quando il reato si estingua per causa diversa dall’amnistia. Se la respon-
sabilità della persona giuridica è indipendente da quella della persona fisica, essa deve
necessariamente avere carattere penale in quanto, se così non fosse, si assisterebbe al
paradosso dell’archiviazione della notitia criminis per la persona fisica che non è stata
identificata o che non è imputabile e al contestuale proseguimento del procedimento
penale a carico dell’ente allo scopo di accertare la sua responsabilità amministrativa38.
Anche l’istituzione di un’anagrafe nazionale delle sanzioni applicate alle persone giu-
ridiche presso il casellario giudiziale depone nel senso di una responsabilità penale
dell’ente, attesa la funzione del casellario di documentare i precedenti penali di ogni
soggetto39.
Oltre a ciò, il sistema sanzionatorio, fortemente affittivo, sarebbe di chiara natura
penale. In particolare, la possibilità di punire l’ente anche in caso di tentativo costi-
tuisce un’anticipazione di tutela che può essere giustificata unicamente in relazione
ad una responsabilità di carattere penale40.
Alla stregua di tali argomentazioni, non pare seriamente dubitabile che vi sia una
capacità dell’ente di vedersi ascritta una responsabilità penale e ciò a prescindere dalla
qualificazione «formale» in senso amministrativo effettuata dal legislatore, dovuta
probabilmente alla difficoltà di giustificare l’inversione dell’onere della prova della
35
  Patrono, Verso la soggettività penale di società ed enti, cit., p. 188.
36
  Contra Marinucci, Societas puniri potest: uno sguardo sui fenomeni e sulle discipline contemporanee, cit.,
p. 1202, il quale non considera l’accertamento nel processo penale elemento decisivo. A parere dello
Studioso, infatti, la sanzione amministrativa può essere ben inflitta anche nel corso di un procedimento
penale, come avveniva già in passato in caso di connessione obiettiva di un illecito amministrativo con
un reato.
37
  In particolare, l’art. 35 del decreto prevede l’applicazione delle garanzie previste in favore dell’imputato
all’ente in quanto compatibili. Sul punto R. Garofoli, Manuale di diritto penale Parte generale, Giuffré,
Milano 2005, p. 194. A. Cadoppi, P. Veneziani, Manuale di diritto penale, cedam, Padova 2005, p. 225.
38
  Sul punto si veda in particolare Amarelli, Mito giuridico ed evoluzione della realtà: il crollo del principio
societas delinquere non potest, cit., 972 ss.
39
  Patrono, Verso la soggettività, cit., p. 188.
40
  Amarelli, Mito giuridico ed evoluzione della realtà: il crollo del principio societas delinquere non potest,
cit., 972 ss.
L’ordinamento italiano 279

colpa, per i fatti commessi dai soggetti apicali, che mal si concilia con il principio
della presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Costituzione41.
Per parte nostra si ritiene di condividere questa seconda impostazione: la soluzio-
ne compromissoria «pubblicizzata» dal legislatore non pare convincente in quanto
esistono i presupposti sostanziali e procedurali affinché si possa parlare di una vera e
propria responsabilità penale. A ciò si aggiunga che il progetto di riforma del codice
penale elaborato dalla Commissione Pisapia ha espressamente previsto, all’articolo
56, l’introduzione di un modello di responsabilità degli enti alla stregua del d.lgs.
231/2001 nel codice penale, previa l’eliminazione dei riferimenti a una responsabili-
tà di natura amministrativa42. Inoltre, di recente la stessa Suprema Corte ha statuito
che, «ad onta del nomen juris, la nuova responsabilità, nominalmente amministrativa,
dissimula la sua natura sostanzialmente penale»43.
Per completezza, non si nasconde comunque che vi è chi, mostrando di condi-
videre l’impostazione adottata dal legislatore44, ha ritenuto che gli elementi sin qui
menzionati a sostegno dell’una o dell’altra lettura non siano decisivi e che, per tale
ragione, sia più opportuno parlare di una responsabilità che si colloca a metà strada
e che è partecipe della natura di entrambi gli illeciti45.
41
  Donini, Il volto attuale dell’illecito penale, Giuffré, Milano 2004, 47-48, a parere del quale oggi è
possibile definire il reato come fatto tipico, antigiuridico e colpevole, di una persona fisica o giuridica,
sanzionato con la pena.
42
 Il Progetto Pisapia (articolato e relazione) è disponibile nel sito <http://www.giustizia.it>. Per l’analisi
del Progetto con riferimento alla responsabilità degli enti si veda in questo capitolo il paragrafo 10.
43
  Cass., sez. ii, 30 gennaio 2006, n. 3615 citata da C.E. Paliero, La responsabilità degli enti: profili di
diritto sostanziale, in A. Alessandri, E. Amodio, G. Forti, P. Marchetti, M. Monadi, G. Grossi, S.
Seminara, Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, vol. xxv, Giuffré, Milano 2009, p. 281.
44
  Nella relazione alla legge delega si legge infatti testualmente che la responsabilità così delineata diverge
in non pochi punti dal paradigma di illecito amministrativo (così ad esempio per il fatto che è legata alla
commissione di un reato e che sono state attribuite tutte una serie di garanzie tipicamente penali nel
processo) delineato dalla l. 689/81, con la conseguenza che esso dà luogo alla nascita di un tertium genus
«che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo». Relazione, cit., p. 377.
45
  Così Bertonazzi, Il d.lgs. n. 231 del 2001 e il nuovo modello sanzionatorio dei soggetti collettivi, cit., p.
1174, in particolare sub nota n. 12, il quale ritiene che ostacoli di ordine costituzionale impediscano di
qualificare la responsabilità come penale, ma che il modello sanzionatorio originale e innovativo diverga
altresì dal paradigma racchiuso nella l. 689/81. L’autore testualmente ritiene che «la soluzione che si è
preferita in ordine alla natura giuridica della “responsabilità amministrativa” dei soggetti collettivi, oltre a
rendere il d.lgs. 231 del 2001 compatibile con il quadro costituzionale, [...] appare altresì rispettosa del dato
letterale e dell’intenzione del legislatore». Analogamente G. Flora, Le sanzioni punitive nei confronti delle
persone giuridiche: un esempio di «metamorfosi» della sanzione penale?, in «Diritto penale e processo»,
11, 2003, p. 1399, N. Monfreda, D.lvo. n. 231/2001: l’ambito soggettivo di applicazione alla luce della
sentenza n. 18941/2004 della Corte di Cassazione, in «Rivista Penale», 12, 2005, p. 1306; Ambrosetti,
Efficacia della legge penale nei confronti delle persone, cit., p. 191 e De risio, Societas delinquere potest?,
cit., p. 1160 a parere del quale sembra «invalicabile il limite naturalistico che si pone come uno degli
indefettibili presupposti della responsabilità penale», cosicché potrebbe parlarsi di responsabilità penale
soltanto «se astrattamente risulti applicabile anche la sanzione principe del diritto penale, cioè la restrizione
280 E. Pavanello

3. L’ambito soggettivo di applicazione del decreto. Le indicazioni contenute nella legge


delega: l’esclusione degli enti che esercitano pubblici poteri. La non corretta attuazione
del criterio nel decreto.

Il d.lgs. 231/2001 indica i soggetti destinatari della nuova normativa e introduce


una nozione di ente peculiare rispetto al sistema di responsabilità in analisi. Secondo
quanto stabilito dall’articolo 1, infatti, le disposizioni previste nel decreto «si applica-
no agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di per-
sonalità giuridica» (comma 2), mentre non si applicano «allo Stato, agli enti pubblici
territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni
di rilievo costituzionale» (comma 3). Quest’ultima indicazione non si distingue sicu-
ramente per la chiarezza, lasciando spazio a diversi dubbi interpretativi.
Una breve notazione per quanto attiene i soggetti privati inclusi nella nozione di
«ente», al cui interno vanno annoverati, oltre agli enti dotati di personalità giuridica
anche agli enti che, pur essendo autonomi soggetti di diritto, non hanno attribui-
ta dall’ordinamento giuridico la distinzione del patrimonio comune da quello dei
singoli soci, associati o fondatori. La ratio dell’inclusione nel novero dei soggetti
responsabili anche degli enti non dotati di personalità giuridica va rinvenuta nel fatto
che essi sono sottoposti ad analogo rischio di realizzare attività illecite e, pertanto,
sarebbe stato ingiustificato creare vere e proprie aree di immunità46.
Dall’esame del decreto si evince che l’ente, per poter essere responsabile, deve
disporre di una propria organizzazione, perseguire un proprio interesse e vantaggio
e rispondere dell’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria con il pro-
prio patrimonio o con il fondo comune.
A parere di alcuni studiosi le società con partecipazione dello Stato e degli enti
pubblici (art. 2449 c.c.) e le società di interesse nazionale (art. 2451 c.c.)47, sarebbe-
della libertà personale». Secondo Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in Reati
e responsabilità, cit., p. 14-15 la soluzione di compromesso sembra più che mai giustificabile laddove si
consideri la peculiarità della materia.
46
  Con la sentenza della Corte di Cassazione 3 marzo 2004, n. 18941 è stato peraltro chiarito che
«l’ambito soggettivo di applicazione della recente disciplina in tema di responsabilità amministrativa delle
persone giuridiche non può essere esteso anche alle imprese individuali. Invero il divieto di analogia in
malam partem impedisce una lettura della normativa in esame che ne estenda le previsioni anche alle ditte
individuali, si tratterebbe infatti di interpretazione chiaramente contraria all’art. 25 comma 2 Cost.». La
sentenza è pubblicata in «Cassazione penale», 2004, p. 4046 ss. con nota di P. di Geronimo, La
Cassazione esclude l’applicabilità alle imprese individuali della responsabilità da reato prevista per gli enti
collettivi: spunti di diritto comparato, ivi, p. 4049-4051.
47
  Ritiene che si tratti di enti di natura essenzialmente privatistica, R. Galli, D. Galli, Corso di
diritto amministrativo, cedam, Padova 20044, p. 339, natura che non viene meno nonostante il loro
assoggettamento ad una disciplina derogatoria del diritto comune. Il modello di riferimento sarebbe
oggi costituito dalla Rai s.p.a., società a totale partecipazione pubblica che gestisce il servizio pubblico
radiotelevisivo, in virtù di apposita convenzione con il Ministero delle Comunicazioni.
L’ordinamento italiano 281

ro equiparabili agli enti privati e, per l’effetto, assoggettati a responsabilità48 poiché


dispongono di una struttura privatistica. Tuttavia, la questione a nostro avviso non è
piana poiché dubbi possono legittimamente essere avanzati in ordine all’inclusione
di dette società nel novero dei soggetti penalmente responsabili49.
Per quanto concerne la disposizione relativa agli enti a soggettività pubblica, essa,
oltre a destare perplessità in ordine all’estensione e al fondamento delle eccezioni
previste, contrasta con il principio di tassatività che dovrebbe governare il diritto
penale e costituisce una non fedele trasposizione delle indicazioni contenute nella
legge delega50.
L’art. 11, primo comma della legge 300/2000, indicava, infatti, tra i destinatari
della nuova disciplina le persone giuridiche, gli enti forniti di personalità giuridica,
eccettuati lo Stato e gli altri enti pubblici che esercitano pubblici poteri51. Criterio
discretivo per determinare quando una persona giuridica fosse tale era l’esercizio
di pubblici poteri, nozione questa che «non trova adeguato, tassativo pendant
nell’esperienza giuridica amministrativo-pubblicistica»52. Infatti, in una accezione
48
  Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., 15 e
A. Serafini, Riflessioni sull’applicazione del d.lgs. 231/2001 alle società pubbliche. Il caso di Enav s.p.a., in
«La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2, 2006, p. 225 ss., <http://www.rivista231.
it/>, il quale considera senza alcun dubbio applicabile la nuova normativa anche alle società pubbliche,
quale Enav spa (Società nazionale di assistenza al volo). G. Grassi, La responsabilità amministrativa
dipendente da reato delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prive di personalità giuridica,
in «Contratto e impresa», ii, 2001, p. 1451, in particolare sub nota n. 69, con riferimento ai soggetti
collettivi in cui uno degli azionisti sia lo Stato o il Ministero dell’Economia, osserva che − atteso che ai
sensi dell’articolo 27 del decreto dell’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde
soltanto l’ente con il suo patrimonio o con il fondo comune – in ogni caso il soggetto pubblico non
risponderà direttamente degli illeciti commessi dalla società partecipata. Saranno possibili tuttavia
«ricadute» indirette degli effetti pregiudizievoli connessi all’irrogazione di una sanzione pecuniaria
sull’ente pubblico-azionista, atteso che la sanzione grava sul patrimonio del soggetto controllato. Dello
stesso parere Mazzacuva, Amati, Diritto penale dell’economia, cit., p. 65.
49
  Sul punto si veda in particolare, il paragrafo 7.
50
  In questo senso, tra gli altri, Pulitanò, Responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche,
in «Enciclopedia del Diritto», iv aggiornamento, Garzanti, Milano 2002, p. 958; Riondato, Sulla
responsabilità penale degli amministratori di società pubbliche, et de publica societate quoe delinquere potest,
in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2005, p. 790; Ambrosetti, Efficacia della
legge penale, cit., p. 192-193; P. Ielo, Società a partecipazione pubblica e responsabilità degli enti, in «La
responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2, 2009, p. 102, <http://www.rivista231.it/>.
51
  In particolare l’articolo 11 primo comma prevedeva che fossero destinatari della nuova normativa
le società, le associazioni o gli enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo
costituzionale. M. Valero, La responsabilità amministrativa degli enti: brevi osservazioni sull’ambito
soggettivo di applicazione del D.L.vo n. 231/2001, in «Giustizia Amministrativa», ii, 2001, p. 687 ritiene
che la scelta del legislatore delegato sia stata dettata da ragioni di opportunità indicate espressamente
nella Relazione più che derivare da un dato oggettivo emergente dalla legge delega.
52
  Riondato, Sulla responsabilità penale degli amministratori di società pubbliche, et de publica societate
quoe delinquere potest, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2005, p. 790 e Travi, La
282 E. Pavanello

«minimalista» si sarebbe potuto fare riferimento a tutte le potestà di cui la pubblica


amministrazione è titolare in quanto tale, come quelle certificative, autoritative e di
autotutela. In questa prospettiva, sarebbero stati esclusi ad esempio le Università e le
aziende ospedaliere, soggetti per i quali, invece, molto spesso sarebbe stato opportuno
prevedere una forma di responsabilità collettiva.
L’accezione che forse meglio avrebbe potuto rispondere alle esigenze connesse
all’applicazione della nuova normativa53, sarebbe stata quella di includere i soli poteri
attinenti alla sovranità dello Stato e non delegabili ai privati, quali, ad esempio, l’at-
tività giudiziaria, tributaria, di polizia54. O ancora, si sarebbe potuto far coincidere
la nozione di prerogativa pubblica con quella di esercizio di poteri autoritativi, intesi
come possibilità di incidere unilateralmente sulla posizione di terzi, in linea con
quanto indicato dalla giurisprudenza comunitaria che ha chiarito, seppur a diversi
fini, come la deroga all’esercizio della libertà di investimento sia ammessa solo nei
casi in cui l’attività svolta o l’impiego previsto siano caratterizzati dall’autoritatività55.
Sin da queste prime notazioni, è possibile cogliere l’incertezza che regna con ri-
ferimento alla definizione di pubblico potere, la cui determinazione è essenziale per
valutare in che misura il criterio indicato nella legge delega sia stato correttamente
tradotto in sede di legge delegata.
In ogni caso, il Governo, forse anche per uscire dall’impasse in cui si trovava
nell’attuare la delega, ha preferito una nozione di pubblico potere alquanto estesa, di-
sattendendo la volontà del legislatore delegato di limitare il più possibile le eccezioni
all’applicazione della nuova normativa.
L’articolo 1 del decreto ha infatti disposto, oltre alla già prevista esclusione degli
enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (probabilmente sarebbe stato più
opportuno utilizzare la nozione di ente costituzionale) e alla (intervenuta) parifica-
zione tra Stato ed altri enti pubblici territoriali, l’esclusione di tutti gli enti pubblici
non economici. Eppure è pacifico che questi non sono gli unici enti a non esercitare
pubblici poteri, tant’è che la stessa Relazione al decreto legislativo indica che tra
gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici economici residua una zona d’ombra
perché «costituisce [...] un dato acquisito che da tale nozione esulano, accanto agli enti
pubblici economici, numerosi altri enti pubblici» che non esercitano pubblici poteri56.
responsabilità della persona giuridica nel d.lgs. n. 231/2000: prime considerazioni di ordine amministrativo,
cit., p. 1306.
53
  G. Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, in «Cassazione
penale», 2004, p. 2224, in particolare sub nota 82.
54
  Propende per un’interpretazione analoga anche C. De Maglie, Principi generali e criteri di attribuzione
della responsabilità, in «Diritto penale e processo», 11, 2001, p. 1350.
55
  Così riferisce E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffré, Milano 2005, p. 95.
56
  Relazione, cit., p. 379.
L’ordinamento italiano 283

Il Governo, ha incluso i soli enti pubblici economici, organismi di diritto pub-


blico ma che, di fatto, agiscono in regime di diritto privato. L’Esecutivo ha preferito
optare per una soluzione «drastica», al fine di salvaguardare le esigenze di certezza del
diritto57 ed ha giustificato poi tale opzione con argomentazioni di carattere pratico
e di opportunità. In questo modo però, la legge delega non è stata attuata corretta-
mente. Per completezza si segnala che in senso contrario c’è chi ha rilevato come la
legge di attuazione della delega avrebbe in realtà esteso l’area dei soggetti responsa-
bili, includendovi anche le società concessionarie di un servizio pubblico essenziale,
le quali, invece, avrebbero dovuto essere escluse ai sensi della legge delega in quanto
esercenti anche poteri pubblici58.
L’esclusione di taluni enti pubblici è ancora meno giustificata ove si consideri che
tra i soggetti destinatari della normativa sono inclusi anche quegli enti privati che
esercitano un servizio pubblico in virtù di concessione o altro atto amministrativo.
Non conta, sembrerebbe doversi ritenere, il tipo di attività esercitato dall’ente, quan-
to piuttosto la natura dell’ente che esercita quell’attività. Tale inclusione rivela la sua
incoerenza laddove si consideri che gli enti pubblici − che garantiscono un pubblico
servizio in condizioni magari analoghe a quelle in cui si trovano gli enti privati − non
possono essere ritenuti responsabili di reati commessi nel loro interesse e vantaggio:
la disparità di trattamento potrebbe essere giustificata solo laddove fosse possibile
reperire una ragione obiettiva a sostegno della scelta legislativa.
Inoltre, a ben vedere, il legislatore delegato confonde i criteri della natura dell’ente
(rectius, dei poteri esercitati dall’ente) e della funzione svolta, nella misura in cui affer-
ma che la ragione dell’inclusione degli enti che erogano un pubblico servizio tra i desti-
natari delle disposizioni è data (anche) dalla finalità economica perseguita dagli stessi.
La scelta del legislatore sarebbe da condividere in quanto gli enti privati che svol-
gono funzioni nell’interesse della collettività o un pubblico servizio o una pubblica
funzione, non potendo scaricare i costi di un’eventuale sanzione pecuniaria sulla
collettività, risultano sensibili agli effetti della sanzione che andrebbe a incidere di-
rettamente sui fondi dell’ente59. La finalità economica dell’attività esercitata assume-
rebbe in questa prospettiva rilievo nonostante l’indicazione iniziale da parte del le-
gislatore delegante − dell’esercizio da parte dell’ente di prerogative pubbliche − fosse
apparentemente slegata da qualsiasi valutazione circa la finalità di lucro perseguita
dall’ente60. L’obiezione appare debole in quanto anche in questo caso i costi della
sanzione potrebbero essere scaricati (indirettamente) sugli utenti attraverso l’aumen-
to del servizio offerto.
57
  Ibidem.
58
  S. Vinciguerra, Sui principali problemi in tema di responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo
interesse o vantaggio. Contestazioni e proposte, in «Giurisprudenza Italiana», 2009, p. 1828.
59
  Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 78.
60
  Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 17.
284 E. Pavanello

Ciò induce a ritenere che il vero criterio di discrimine utilizzato nell’individua-


zione dei soggetti responsabili sia quello del loro esercizio dell’attività economica,
giustificato anche in relazione all’obiettivo programmatico che il legislatore si è posto
con la nuova forma di responsabilità, ovvero contrastare la criminalità di impresa.
Resta poi da chiarire per quale ragione siano stati inclusi anche gli enti (privati) non
aventi scopo di lucro tra i destinatari della normativa. Inoltre, le recenti estensioni del
catalogo dei reati presupposto anche a fattispecie che nulla hanno a che vedere con i
reati economici, induce a chiedersi se effettivamente il criterio dell’economicità possa
coerentemente essere invocato per giustificare l’esclusione di tutti gli enti pubblici.
Sotto il versante degli enti pubblici, che più strettamente ci interessa, diamo ora
uno sguardo ai grandi esclusi61.

4. L’esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti che svolgono funzioni
costituzionali.

L’esclusione dello Stato, da intendersi nella accezione più ampia, comprensiva


di tutte le articolazioni62, non è stata posta sostanzialmente in discussione dalla
dottrina la quale, al contrario, nel commentare il decreto ha sostanzialmente
avallato l’esclusione. Anche se potrebbe ritenersi che l’esclusione dello Stato «abbia
il sapore di un odioso privilegio», essa sarebbe condivisibile in quanto costituisce
solo un’apparente ingiustificata immunità63. Sarebbe infatti, una contraddizione in
termini prevedere che lo Stato possa essere perseguito penalmente «per l’ovvia ragione
che il titolare della pretesa punitiva non può allo stesso tempo esserne destinatario»:
questa dunque la ratio che giustificherebbe in primis l’esclusione64.
L’eccezione troverebbe, inoltre, saldo fondamento nella nostra tradizione giuridica
che da sempre ha escluso la responsabilità dello Stato sotto il profilo penale. Non
61
  Pasculli, Responsabilità da reato degli enti collettivi nell’ordinamento italiano, cit., p. 167.
62
  Cfr. Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 75, secondo cui nonostante nel decreto
non siano contenute espresse indicazioni relative alla nozione cui occorre fare riferimento, deve ritenersi
che l’accezione sia quella più ampia possibile. A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo,
Jovene, Napoli 1989, p. 6 ss. distingue tra Stato-comunità, da intendersi come la comunità statale
nel suo complesso (e quindi come insieme degli individui che lo compongono); Stato-apparato, come
l’insieme delle strutture amministrative, tra cui vanno annoverati anche gli enti pubblici, che svolgono
l’attività amministrativa per il perseguimento degli interessi del medesimo Stato-comunità e, infine,
Stato-ordinamento, da intendersi come l’insieme di norme e degli organi che le pongono, attraverso i
quali in un’ottica super partes, si regolano i rapporti interni e si perseguono gli interessi statali.
63
  Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., p. 31; nello stesso senso Tassinari,
Stortoni, La responsabilità degli enti: quale natura? quali soggetti?, cit., p. 26; De Simone, I profili
sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la «parte generale» e la «parte speciale» del
d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, cit., p. 85.
64
  Ronco, voce Responsabilità delle persone giuridiche, cit., p. 4.
L’ordinamento italiano 285

a caso ciò è avvenuto anche con riferimento all’obbligazione civile discendente da


reato (il riferimento corre all’istituto disciplinato all’art. 197 c.p.)65.
Senza contare, poi, che le scelte di diritto positivo di altri Paesi si sono orientate
tutte nel senso di escludere lo Stato dal novero dei soggetti responsabili e che la scelta
sarebbe stata giustificata in origine in ragione del ristretto campo applicativo della
legge, di talché «l’ordinamento sarebbe entrato in contraddizione con se stesso se avesse
considerato la pubblica amministrazione come soggetto attivo ed al tempo stesso soggetto
passivo degli illeciti in esame»66.
La scelta effettuata dal legislatore è stata valutata come una sorta di «iter obbligato»
cui in nessun modo il Governo avrebbe potuto sottrarsi. Sarebbe stato impossibile
anche solo ipotizzare il contrario: immaginare uno Stato che persegue se stesso in
relazione alla tipologia di reati previsti nel decreto non era, pare doversi ritenere,
concepibile. E ciò essenzialmente perché lo Stato opera nel perseguimento di un
interesse pubblico, il quale sembrerebbe legittimarlo financo a violare la legge penale.
L’esclusione dello Stato consentirebbe inoltre di evitare un’indebita ingerenza della
magistratura che potrebbe strumentalizzare il sistema della responsabilità in esame
per influire sulle scelte statali67.
Dette argomentazioni riecheggiano l’idea dello Stato come legibus solutus. La
supremazia del potere statale comporta che il potere sovrano non subisca limitazioni
o condizionamenti, essendo non solo la volontà superiore a tutte le altre presenti
nell’ordinamento, ma anche la fonte di ogni competenza (competenza delle
competenze). In quanto tale lo Stato afferma la sua autorità su tutte le entità e
istituzioni esistenti nel proprio territorio che comunque, essendo legittimate da
norme dello Stato, acquistano posizione derivata68.
Del pari, è passata quasi sotto silenzio l’esclusione degli altri enti pubblici
territoriali, enti cioè nei quali il territorio è elemento costitutivo (Regioni, Province,
Comuni), politicamente rappresentativi del gruppo stanziato su quest’area e che
esercitano su di questo un potere in posizione di superiorità69. A tali enti vengono
equiparati le Comunità montane70, le Comunità isolane o di arcipelago e le Unioni
di Comuni in quanto entità che raggruppano diversi enti territoriali.
65
  Ambrosetti, Efficacia della legge penale, cit., p. 192.
66
  Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., p. 31-32 la quale considera che
il discorso meriterebbe di essere approfondito laddove il legislatore decidesse di ampliare il novero dei
reati cui consegue la responsabilità perché altrimenti rischierebbe di darsi corpo alla massima presuntiva
che lo Stato agisce sempre nell’interesse pubblico.
67
  Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 74.
68
  E. Cuocolo, Istituzioni di diritto pubblico, Giuffré, Milano 200312, p. 81.
69
  Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffré, Milano 20054, p. 84.
70
  S. Vinciguerra, La responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse, d.lgs. 231/2001,
cedam, Padova 2004, p. 7.
286 E. Pavanello

Il legislatore è stato sicuramente indotto a prevedere tale esclusione per il fatto


che si tratta di enti che svolgono funzioni prettamente pubblicistiche ed hanno rilievo
costituzionale71: si pongono infatti anche in questo caso problematiche analoghe
a quelle che si pongono per lo Stato. Oltre a ciò, la parificazione è stata voluta
presumibilmente per ragioni di carattere sistematico, in correlazione alla disposizione
dell’art. 197 c.p. che, nel delineare la figura del civilmente responsabile, assimila
gli enti pubblici territoriali de quibus allo Stato72. Si conferma quindi la posizione
di «preminenza» degli enti de quibus rispetto ai cittadini che si esplica mediante la
titolarità e l’esercizio di poteri sovrani. L’esercizio di detti poteri, in via esclusiva
o meno, comporta quegli stessi rischi, connessi all’ingerenza della magistratura
ordinaria in scelte politiche e sovrane palesati con riferimento allo Stato73.
Da queste riflessioni comincia ad emergere l’idea che la connessione tra l’esclusione
di un ente e l’esercizio da parte sua di prerogative pubbliche sia giustificata in ragione
di un pericolo di commistione tra il potere politico e il potere giudiziario. Fino
a che punto questo pericolo di commistione sia fondato è da dimostrare, anche
perché in queste ipotesi il potere della magistratura non si potrebbe tradurre in un
arbitrario giudizio relativo alla sussistenza di una condotta colpevole, ma sarebbe pur
sempre ancorato alla verifica dell’esistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi cui
il decreto ancora la responsabilità. Seppure con riferimento ad un diverso ambito,
ovvero il sindacato che il giudice penale può effettuare nei confronti dell’attività
amministrativa posta in essere dai singoli agenti, è stato ad esempio criticamente
rilevato che il pregiudizio della insindacabilità dell’azione penale, accreditato da
un’equivoca interpretazione del principio della separazione dei poteri, non può
trovare applicazione in termini assoluti nei confronti del giudice penale: il giudice
penale inquesti casi non si sostituisce all’amministrazione, ma giudica senza interferire
nella sfera del potere amministrativo74.
71
  Così Ronco, voce Responsabilità delle persone giuridiche, cit., p. 4.
72
  Cfr. Bertonazzi, Il d.lgs. n. 231 del 2001 e il nuovo modello sanzionatorio dei soggetti collettivi, cit.,
p. 1181 secondo cui deve considerarsi pacifica l’assimilazione allo Stato degli enti pubblici territoriali
e M. Romano, G. Grasso, T. Padovani, Commentario sistematico del codice penale, Giuffré, Milano
1994, sub art. 197, 341 a parere dei quali nonostante non esistano previsioni espresse in relazione alla
responsabilità solidale della persona giuridica per gli illeciti penali-amministrativi del rappresentante o
dipendente (art. 6 l. 689/1981), anche in queste ipotesi sia opportuno ritenere esclusi gli enti pubblici
territoriali, in quanto si tratta degli stessi enti beneficiari della sanzione amministrativa eventualmente
applicata.
73
  Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 74.
74
  C. Franchini, Giudice penale e sindacato dell’attività amministrativa (teoria e prassi nell’esperienza
di un recente caso in materia di opere ferroviarie), in «Diritto processuale amministrativo», 2001, p.
697-698. L’Autore rileva che qualora sia necessario ai fini dell’accertamento di un reato valutare se
l’attività amministrativa risponda ai fini previsti dalla legge, il giudice penale non può esimersi da
una valutazione intrinseca dell’attività che passa necessariamente anche attraverso la valutazione del
perseguimento effettivo dello scopo pubblico, cui l’azione amministrativa deve sempre essere volta.
L’ordinamento italiano 287

Non solo: la rappresentatività politica degli enti territoriali rispetto al gruppo


stanziato sul territorio e la loro operatività tendenzialmente nell’interesse di tutto il
gruppo, parrebbero divenire elementi sufficienti a garantire che il loro operato sia
esente da censure sul piano giudiziario. L’esistenza di un organo democraticamente
eletto parrebbe attribuire agli enti pubblici anche il mandato a delinquere.
Vengono esclusi inoltre dal novero dei soggetti responsabili gli organi che svolgono
funzioni di rilievo costituzionale. Probabilmente il legislatore ha voluto riferirsi agli
organi che trovano espressa previsione nella Costituzione attraverso cui vengono
svolte le funzioni legislativa, giurisdizionale e di governo. Con tale nozione, pertanto,
si fa riferimento alla Camera dei Deputati, al Senato della Repubblica, al Consiglio
dei Ministri, alla Corte Costituzionale, al Segretariato generale della Presidenza della
Repubblica, al CSM ed al Cnel75. L’esclusione è volta ad evitare ingerenze da parte
dell’autorità giudiziaria nell’attività di tali organi76.
La dottrina ha, inoltre, ritenuto dall’analisi di tale disposto come siano stati
esclusi anche i partiti politici e i sindacati, scelta di carattere politico77 in certo modo
apprezzata per il rischio che il diritto penale si tramuti in controllo de facto politico
per organismi che svolgono una funzione essenziale nella vita del Paese78.
Quanto agli altri enti pubblici, occorre distinguere tra enti pubblici economici
e non, al fine di comprendere quando un soggetto sia sottoposto alla forma di
responsabilità di cui al decreto legislativo 231/2001.

5. L’esclusione degli enti pubblici non economici.

Gli enti pubblici sono soggetti dotati della capacità di diritto pubblico e sono
sottoposti a un regime giuridico peculiare e diverso rispetto a quello che impone il
diritto comune. Si tratta di enti che costituiscono, insieme agli organi amministrativi
dello Stato, l’amministrazione pubblica in senso soggettivo79 e sono, quindi, deputati
alla cura degli interessi pubblici. Essi derivano i loro poteri direttamente dallo Stato,
75
  Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 76.
76
  Ivi, p. 75 ss.
77
  In questo senso, tra gli altri, M. Riverditi, La responsabilità degli enti: un crocevia tra repressione e
special prevenzione, Jovene, Napoli 2009, p. 142.
78
  De Simone, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la «parte generale» e
la «parte speciale» del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, cit., p. 84 ha rilevato che la soluzione avrebbe potuto
essere diversa, analogamente a quella adottata dal codice penale francese, attraverso la previsione di una
responsabilità anche di tali enti ma con l’esclusione di determinate sanzioni particolarmente invasive
per la «vita» di detti organismi.
79
  Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 293. L’amministrazione in senso soggettivo va
intesa come l’insieme dei soggetti giuridici pubblici e degli organi che sono competenti a curare gli
interessi dei soggetti pubblici.
288 E. Pavanello

sulla base del cosiddetto criterio gerarchico (dall’ente Stato vengono fatti derivare i
poteri degli enti ad esso subordinati) o, in un’altra concezione, dall’ordinamento nel
suo complesso.
L’ente pubblico deve svolgere l’attività amministrativa in adempimento della cura
di un interesse generale che fa capo alla comunità nel suo complesso, ritenuto me-
ritevole da parte dell’ordinamento, il quale ne garantisce i soggetti e i modi in cui
deve essere curato80. L’attività dell’ente pubblico si distingue, quindi, da quella di
un ente privato, poiché qui manca l’autonomia di scelta degli interessi da curare e
delle modalità attraverso cui farlo: l’interesse è pubblico e le modalità attraverso cui
perseguirlo sono fissate dalla legge.
Gli enti pubblici sono, inoltre, sottoposti a un regime giuridico particolare che
implica, innanzitutto, che gli stessi debbano necessariamente essere costituiti per
legge, abbiano il potere di auto-organizzarsi attraverso atti amministrativi e possano
darvi attuazione tramite provvedimenti autoritativi, esecutivi ed esecutori. Inoltre,
gli enti pubblici sono investiti di poteri di cura di interessi collettivi81.
La categoria degli enti pubblici comprende al suo interno soggetti giuridici as-
sai diversi, tant’è che la dottrina che si è occupata del tema non è stata in grado di
darne una definizione unitaria, attesa l’impossibilità di ricondurre ad unico modello
le figure in cui lo stesso si articola82. Autorevole dottrina ha ritenuto comunque che
possa escusivamente definirsi pubblico l’ente «la cui esistenza è considerata necessaria
dall’ente territoriale che vi intrattiene rapporti»83. In generale è possibile affermare che
l’ente viene considerato pubblico, in assenza di una esplicita previsione legislativa, in
ragione dei fini perseguiti (se un ente persegue fini di carattere pubblico, esso potrà
essere qualificato in senso pubblicistico), del regime dei controlli cui l’ente è sotto-
posto (sono pubblici quegli enti che sono assoggettati a controlli che assicurano la
rispondenza della loro azione alla tutela dell’interesse pubblico loro affidato) e del
controllo sulla gestione economica (sono pubblici quegli enti il cui rendiconto è sot-
toposto all’approvazione da parte di organi statali o regionali)84. Altro indice rivela-
tore della pubblicità è l’esistenza di una particolare relazione organizzativa con l’ente
territoriale da cui dipende: si guarderà, quindi, alle modalità di nomina dei titolari
degli organi, al potere di controllo e di direzione dell’attività o di conferimento dei
80
  V. Ottaviano, voce Ente pubblico, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1965, xiv, p. 964-965: «l’ente
per essere pubblico deve svolgere, anzitutto, attività amministrativa […] attività questa esercitata
nell’adempimento di un dovere ad al fine della cura di un interesse collettivo»; «per converso l’attività
privata presuppone che chi la compie goda di autonomia, sicchè egli sarà libero di scegliere gli interessi
da tutelare e il come e il quando farlo».
81
  Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., 293 ss.
82
  Ivi, p. 289 ss.
83
  G. Rossi, voce Ente Pubblico, in Enciclopedia giuridica Treccani, aggiornamento, xii, Istituto
dell’Enciclopedia italiana Giovanni Treccani, Roma 2004, p. 20
84
  A. Bardusco, voce Ente Pubblico, in Digesto delle discipline pubblicistiche, iii, utet, Torino 1993, p. 70.
L’ordinamento italiano 289

mezzi finanziari. Solo laddove gli indici rivelatori depongano tutti nello stesso senso,
sarà possibile classificare l’ente come pubblico85.
Come detto, il legislatore delegante all’interno della categoria degli enti pubblici,
ha ritenuto di escludere gli enti che esercitano pubblici poteri (di cui peraltro non è
stata fornita alcuna definizione): per stabilire quando un ente sia destinatario della
responsabilità dipendente da reato, il legislatore delegato avrebbe dovuto guardare,
quindi, non alle funzioni dallo stesso esercitate bensì alla natura dei poteri di cui è
dotato.
Non così è avvenuto. Il Governo, infatti, ha escluso tutti gli enti pubblici non
economici indipendentemente dall’esercizio di pubblici poteri. Per quanto concerne
gli enti associativi, il Governo ha ritenuto, in particolare, che la loro controversa
qualificazione non ne consigliasse la sottoposizione a responsabilità. Peraltro, a pa-
rere dell’esecutivo, la loro esclusione non avrebbe generato particolari problemi in
quanto detti enti sono soggetti ad una progressiva privatizzazione che ne comporterà
l’estinzione a breve86. È rimasta così una zona grigia costituita, in via esemplificativa
ma non esaustiva, da enti pubblici associativi dotati di una disciplina negoziale «ma
a cui le leggi hanno assegnato natura pubblicistica per ragioni contingenti (aci, cri)»,
da enti associativi istituzionali come gli Ordini o i Collegi Professionali e da «enti
che erogano un pubblico servizio» che pur non esercitando pubblici poteri, sono stati
esclusi dall’applicaizione del decreto.
Sono stati del pari esclusi anche gli enti pubblici esercenti un pubblico servi-
zio. Sul punto, il legislatore delegante ha evidenziato come sarebbe stata di ostacolo
all’affermazione della loro responsabilità la previsione di sanzioni interdittive, con
conseguente scarico dei costi sulla collettività.
A tale assunto si può obiettare che si sarebbe comunque potuto diversificare la
risposta sanzionatoria, riservando a questi enti la sola sanzione pecuniaria87. La solu-
zione non ha evidentemente convinto il legislatore delegato il quale ha ritenuto che
nei confronti degli enti pubblici la sanzione pecuniaria non avrebbe sortito quell’ef-
fetto generale e special-preventivo che è in grado di spiegare nei confronti degli enti
privati più sensibili alla ragione economica. Inoltre, il novero dei reati (inizialmente)
indicati dal legislatore dà la misura della volontà del legislatore di colpire gli enti
nello svolgimento di attività puramente economiche.
85
  Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2211.
86
  Ivi, p. 2210 segnala che gli ultimi orientamenti legislativi, in particolare la legge finanziaria del 2003,
mostrano di perseguire l’obiettivo di un drastico assottigliamento della categoria degli enti pubblici
non indispensabili, con l’esclusione di quegli enti, istituti, agenzie e organismi che svolgono «compiti
di garanzia di diritti di rilevanza costituzionale, o che gestiscono a livello di primario interesse nazionale la
previdenza sociale, o che risultano essenziali per le esigenze della difesa o la cui natura pubblica è garanzia
per la sicurezza, o che svolgono funzioni di prevenzione e vigilanza per la salute pubblica».
87
  In caso di società private che prestano servizi di pubblica necessità, il legislatore ha ovviato a questo
pericolo attraverso l’istituto del commissariamento di cui all’art. 15.
290 E. Pavanello

Queste le ragioni addotte per escludere tutti gli enti pubblici ad eccezione di
quelli economici: considerazioni di carattere pratico, di opportunità, ma non espres-
samente legate al criterio dei pubblici poteri indicato dal legislatore delegante.
Risulta, a nostro avviso, palese il difetto dell’attuazione della legge di delega nella
parte in cui ha circoscritto gli enti pubblici destinatari della normativa88. Occorrereb-
be a questo punto interrogarsi sull’opportunità di far valere l’incostituzionalità della
norma per difetto di delega: in dottrina v’è chi ha sostenuto che il difetto di esecu-
zione della legge delega non potrebbe confluire in una questione di costituzionalità89,
ma al contempo altri ha evidenziato che la prassi costituzionale è nel senso contrario
e che la disposizione determinerebbe, dal punto di vista penalistico, disuguaglianze
talmente gravi che non sarebbe eludibile l’affermazione della incostituzionalità della
scelta di includere soltanto alcuni enti pubblici90.
Guardando alle singole tipologie di enti esclusi, gli enti pubblici associativi sono
costituiti dall’associazione fra persone interessate alla loro attività91. Tra di essi mi-
litano enti che appartengono a quella zona grigia cui sopra si è fatto cenno ovvero
gli ordini e i collegi professionali, i quali sono sottoposti alla vigilanza del Ministero
della Giustizia ma sono dotati di autonomia ed indipendenza, sia sul piano organiz-
zativo che sul piano contabile.
Quanto, invece, agli enti che erogano servizi, si pensi a Università o ad Aziende
Sanitarie Locali92 o ad Aziende Autonome − aziende municipalizzate a livello statale
o locale93 − le quali ultime dispongono di soggettività giuridica. Di particolare rilievo
sembra quest’ultima categoria di enti pubblici i quali dispongono di un patrimonio
«separato» la cui titolarità resta in capo all’ente e la cui gestione è affidata all’azien-
da stessa. Si tratta di vere e proprie aziende che gestiscono attività imprenditoriali,
operano, come detto, in un sostanziale regime di diritto privato (sulla controversa
88
  Nel senso che si tratta di soluzione di «dubbia costituzionalità«, Ielo, Società a partecipazione pubblica
e responsabilità degli enti, cit., p. 103.
89
  Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2208.
90
  Quasi testualmente, Riondato, Publica societas delinquere potest, cit., p. 4.
91
  Sugli enti pubblici associativi si veda G. Rossi, Enti pubblici associativi, Jovene, Napoli 1979. Lo
studioso rileva come detti enti, costituiti da privati che tendono a curare gli interessi generali della
categoria di appartenenza, mettano in crisi i criteri di distinzione tra pubblico e privato. Queste figure
hanno infatti natura politica in quanto sono espressione della volontà degli individui e dei gruppi
di creare forme nuove e dirette di potere sociale ma offuscano la figura dello Stato rappresentativo
portatore di interesse generale, rispetto a enti particolari portatori di interessi particolari.
92
  Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 307 ritiene che nonostante le asl siano deputate
ad erogare servizi sociali in forma imprenditoriale, all’inquadramento delle stesse nell’ambito degli enti
pubblici imprenditoriali ostano varie ragioni, ovvero la natura del servizio che le stesse sono chiamate
a svolgere, tipicamente sociale, lo scopo non lucrativo che le stesse perseguono e la circostanza che
esse assumono un ruolo di mera gestione esecutiva dei programmi fissati a livello statale o regionale.
Pertanto, esse devono più propriamente essere inquadrate nell’ambito degli «altri enti pubblici».
93
  Per una analisi dell’evoluzione delle aziende municipalizzate, si veda ivi, p. 311-315.
L’ordinamento italiano 291

natura di tali aziende si è anche pronunciato il t.a.r. Friuli Venezia Giulia, il quale
si è interrogato sulla conciliabilità della «suddetta autonomia imprenditoriale, che do-
vrebbe accomunarle (le Aziende sanitarie) ad organizzazioni private tipiche di attività
a scopo di lucro, con il fine istituzionale di perseguimento dei livelli essenziali di assi-
stenza che, invece, la legge assegna alle aziende sanitarie, in quanto enti organizzativi
sub regionali»94, ma nonostante ciò sono, a rigori, esonerate dall’applicazione del
decreto in quanto tecnicamente non qualificabili come enti pubblici economici95.
Sul punto, autorevole dottrina ha rilevato che in relazione alle aziende sanitarie locali
o ospedaliere la limitazione di responsabilità si giustificherebbe innanzitutto per il
tipo di attività che le aziende predette svolgono, non di tipo economico tout court;
in secondo luogo, per l’assurdità di sanzionare con la pena pecuniaria un ente che si
troverebbe decurtato di fondi vincolati nella loro destinazione al raggiungimento dei
più alti livelli di assistenza e, in terzo luogo, in ragione della impossibilità di ipotizza-
re un reato commesso nell’interesse o vantaggio dell’ente. È piuttosto plausibile che
eventuali reati vengano commessi direttamente nell’interesse proprio (dei soggetti in
posizione apicale o dei dipendenti) o di terzi96.
Al di là di queste considerazioni desta comunque interesse la circostanza che, in
via sperimentale, il Governo regionale della Lombardia abbia previsto l’applicazione
del modello organizzativo 231/2001 a due Asl e a un’azienda ospedaliere. Pur non
considerando applicabile nei confronti di tali enti la nuova forma di responsabilità,
il Governo regionale ha ritenuto opportuno mutuare il contenuto dei modelli pre-
visti dal decreto quale ulteriore garanzia della migliore organizzazione e trasparenza
dell’operato delle aziende, definendone principi etici di comportamento97. Il sistema
di responsabilità di cui al d.lgs. 231/2001 finisce quindi per svolgere la propria fun-
zione (a carattere preventivo) anche nei confronti di enti espressamente esclusi dalla
sua applicazione.
94
  Tar Friuli Venezia Giulia, 22 aprile 2003, n. 159, che dopo aver rilevato che le aziende sanitarie,
configurate come enti pubblici, sono dotate di una non meglio precisata autonomia imprenditoriale e
agiscono mediante atti di diritto privato, conclude nel senso che vi è una certa contraddittorietà nella
normativa inerente la loro attività latu sensu economica.
95
  Per dovere di completezza si precisa peraltro che si sta assistendo al progressivo smantellamento delle
aziende autonome per far confluire l’attività di gestione di un servizio pubblico in capo ai cosiddetti
enti-impresa, i quali sono pur sempre creati pel tramite di un atto normativo da parte di Stato, Regioni
o enti pubblici e, quindi sotto il profilo organizzativo sono caratterizzati in senso pubblicistico, ma in
relazione al tipo di attività esercitata e alla gestione della stessa si caratterizzano in senso privatistico.
96
  A. Rossi, Responsabilità «penale-amministrativa» delle persone giuridiche (profili sostanziali), in Reati
societari, a cura di A. Rossi, utet, Torino 2005, p. 520 ss.
97
  Al riguardo di veda P. Previtali, L’applicazione del d.lgs. 231/2001 in sanità. Il caso delle aziende
sanitarie e ospedaliere lombarde, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», Interventi,
2007, <http://www.rivista231.it/>.
292 E. Pavanello

Sono poi sicuramente escluse le Autorità di Vigilanza, in quanto soggetti che


esercitano pubblici poteri e che hanno la veste di enti pubblici98. In particolare, esse
giocano un ruolo di rilievo con riferimento allo svolgimento dell’attività di impresa e
talvolta svolgono funzioni che si sovrappongono a quelle esercitate dalla magistratura
ordinaria in tema di accertamento di illeciti amministrativi e di reati99.
Il legislatore nel determinare l’ambito soggettivo di applicazione del decreto non
ha quindi preso in considerazione quella parte di attività della pubblica ammini-
strazione che non si svolge a mezzo di atti autoritativi e che per espressa previsione
legislativa è sottoposta alle norme di diritto privato. Infatti, l’art. 1 bis l. 241/1990,
così come modificato dalla l. 15/2005, espressamente prevede che «la pubblica am-
ministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme
di diritto privato»100. Si tratta del riconoscimento espresso della natura dicotomica
dell’amministrazione che può agire alla stregua di una persona giuridica di diritto
privato, ovvero mediante la potestà coercitiva che le consente di agire anche attra-
verso atti che limitano la sfera giuridica del singolo senza il consenso del destinatario
dell’atto101.
Se dunque questa distinzione è palpabile, reale, colpisce ancor di più che anche
per quegli atti residuali in cui l’amministrazione agisce seguendo logiche «economi-
che» proprie del diritto privato, si sia deciso di rendere immune l’azione di detti enti.
Sul fronte dottrinale si rileva come, anche in questo caso, poche siano state le
voci che hanno denunciato l’incoerenza di un sistema che è ancorato ad una linea
di discrimine alquanto labile, ovvero la qualifica legislativa di ente come pubblico
economico102.
Le scelte sono state considerate dai più logiche e conseguenti. Infatti, secondo
questa prospettazione, gli enti pubblici che non esercitano pubblici poteri (ma che
98
  In questo senso E. Galanti, Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ex d.lgs. n. 231/2001
e vigilanza sulle imprese finanziarie: quale coordinamento?, in «Diritto della banca e del mercato
finanziario», 2003, p. 233.
99
  Galanti, Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ex d.lgs. n. 231/2001 e vigilanza sulle
imprese finanziarie: quale coordinamento?, cit., p. 242 ss.
100
  Sul punto si vedano, tra gli altri, D. De Pretis, L’attività contrattuale della p.a. e l’art. 1- bis della
l. n. 241/1990: l’attività non autoritativa secondo le regole del diritto privato e il principio di specialità,
in «Giustizia amministrativa», 6, 2006, p. 1133 ss.; F. Gaspari, Rilievi critici in tema di attività
amministrativa di diritto privato, in «Giustizia amministrativa», 3, 2007, p. 573 ss.; G. Napolitano,
L’attività amministrativa e il diritto privato, in «Giornale di diritto amministrativo», 5, 2005, p. 481 ss.
101
  F. Trimarchi Banfi, Il principio di legalità e l’impiego del diritto privato per compiti dell’amministrazione
pubblica, in «Amministrare», 1-2, 2008, p. 6.
102
  Si veda in particolare Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio
interesse, cit., p. 2222 che mette in luce il rischio di disparità di trattamento con conseguente violazione
del principio di eguaglianza «se si colpisce un ente che spesso per ragioni contingenti si trova al di qua o al
di là di una linea di confine sempre più mobile e incerta», nonché Riverditi, La responsabilità degli enti,
cit., p. 132 ss., secondo cui la scelta di includere i soli enti pubblici economici non sia in sé e per sé
L’ordinamento italiano 293

non sono economici) non possono essere equiparati agli omologhi privati che svol-
gano analoghe attività. Negli enti pubblici permarrebbe un elemento differenziatore,
consistente nel dovere istituzionale di svolgere una determinata attività o di prestare
un certo servizio con la conseguenza che l’applicazione nei loro confronti di sanzioni
interdittive potrebbe rivelarsi controproducente103.
La nozione di ente pubblico nel decreto andrebbe, quindi, caratterizzata sulla
base del criterio di attribuzione dei poteri autoritativi all’ente che lo pongono in una
posizione di superiorità rispetto ai privati e che portano a qualificare la sua attività
come di diritto amministrativo, in quanto tale insindacabile dalla giurisdizione ordi-
naria. Il tipo di attività svolta, economica o meno, avrebbe rilievo solo in un secondo
momento qualora, a fronte della qualificazione dell’ente in senso pubblicistico, essa
possa essere considerata squisitamente privatistica, sia per le finalità lucrative che
persegue sia per gli strumenti che utilizza nel farlo104. Tuttavia, in questo modo, si
attribuisce rilievo ad un criterio – quello dell’economicità, pubblicizzato anche dal
legislatore che nella relazione aveva espressamente indicato come il legislatore dele-
gante aveva di mira la repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento di attività
di natura squisitamente economica e cioè assistite da fini di profitto – che viene con-
traddetto in altre parti del decreto, laddove ad esempio si consente di perseguire enti
che per statuto non dispongono di scopi di lucro o ancora si perseguono le persone
giuridiche per il reato di mutilazioni genitali femminili.

6. L’applicazione del decreto agli enti pubblici economici e agli enti privati di interesse
pubblico.

Gli unici enti pubblici cui è applicabile la normativa in discorso sono gli enti
pubblici economici, i quali ai sensi dell’art. 2201 del codice civile, «hanno per oggetto
esclusivo o principale un’attività commerciale». È da ritenere che proprio per questa ra-
gione essi siano stati inclusi tra i destinatari della normativa. Infatti, non vi sarebbero
rischi di indebita ingerenza dell’autorità giudiziaria in decisioni politiche e, d’altro
condivisibile, soprattutto in relazione all’ampia categoria di enti che erogano un servizio pubblico e che,
a seconda della loro qualificazione, possono essere destinatari della normativa o meno.
103
  Travi, La responsabilità della persona giuridica nel d.lgs. n. 231/2001: prime considerazioni di ordine
amministrativo, cit., p. 1306.
104
  Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 79. Contra, Di Giovine, Lineamenti sostanziali
del nuovo illecito punitivo, cit., p. 37, a parere della quale, invece, il legislatore ha inteso circoscrivere
l’area dell’intervento agli enti mossi da finalità lucrative, lasciandosi guidare dalla qualificazione
oggettivo funzionale piuttosto che dalla soggettività pubblica o privata dell’ente. Si veda Ruggiero,
Capacità penale e responsabilità degli enti, cit., p. 29, nel senso che il fatto che l’ente eserciti un’attività
economica non sarebbe comunque sufficiente a far venir meno l’esercizio di pubblici poteri da parte
dell’ente pubblico.
294 E. Pavanello

canto, gli enti de quibus sarebbero sensibili all’applicazione di una sanzione pecunia-
ria in quanto esercenti un’attività economica105.
Detti enti, pur non disponendo di poteri autoritativi, sono comunque dotati di
potestà pubbliche, quali la potestà di certificazione, il potere di autoorganizzazione
interna e la prerogativa dell’autotutela (caratteri questi che normalmente attengono
agli enti pubblici).
All’interno della categoria, la cui individuazione non è piana106, vengono normal-
mente distinti enti di gestione delle partecipazioni azionarie (quali iri ed eni) ed enti
di produzione veri e propri che, a differenza degli enti locali, sorgono per la tutela e
la gestione di un solo interesse.
Essi sono stati sottoposti, soprattutto negli ultimi anni, a penetranti modifiche
che hanno condotto alla loro trasformazione in società di diritto privato107 e poi alla
loro sostanziale estinzione108. Pochi, infatti, gli esempi di enti pubblici economici che
si possono oggi menzionare, tra cui ricordiamo l’Agenzia del Demanio, ente pubbli-
co ai sensi dell’art. 61 d.lgs. 300/1999109.
L’unica tipologia di ente incluso tra i destinatari del decreto di rilevanza pubbli-
cistica ha forse ben poco di pubblico poiché, al di là della qualificazione formale,
105
  Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 77-78.
106
  Nell’opinione di Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse,
cit., p. 2203, in particolare sub nota 4-bis sono economici gli enti pubblici comunque denominati
operanti nel campo della produzione e dediti ad attività prevalentemente o esclusivamente economica.
107
  Casetta, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 229 e N. Irti, L’ordine giuridico del mercato,
glf Editori Laterza, Roma-Bari 2003, p. 159 ss., il quale ricostruisce sotto il profilo storico il
«destino» dell’ente pubblico economico. In particolare con la l. 359/1992 si è dato avvio al processo
di privatizzazione per trasformare gli enti pubblici economici in società per azioni. Con tale legge
sono stati trasformati in società di diritto privato, l’iri, l’eni, l’ina e l’enel. È da precisare che, alla
luce di certa giurisprudenza e di certa dottrina, non è pacifica nemmeno la qualificazione nel senso
pubblicistico o privatistico della società che consegue alla trasformazione dell’ente pubblico economico:
infatti, secondo quanto sostenuto, ad esempio, dal Consiglio di Stato con la decisione 1206/2001, le
Poste Italiane Spa sono soggetto di diritto pubblico in quanto al di là della loro veste formale, ovvero
società di diritto speciale, esse sono ancora interamente possedute dallo Stato, deputate al conseguimento
di finalità pubblicistiche e soggette ai poteri decisionali e di controllo esercitati dall’unico azionista.
Critico rispetto a questa prospettiva Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 334 ss. poiché,
anche se si può concordare sul fatto che dette società presentino indubbi connotati pubblicistici, esse
comunque svolgono attività privatistica e sono assoggettati alle norme di diritto comune.
108
 Tendenza vieppiù rafforzata dalla legge finanziaria del 2003 il cui articolo 34 ha disposto la
soppressione di tutti gli enti pubblici che non abbiano come missione la tutela di diritti fondamentali,
quali previdenza ed assistenza. Sul punto si confronti Fares, La soppressione degli enti pubblici nella legge
finanziaria 2003, in «Studium Iuris», 2003, p. 291 ss.
109
  V. Ottaviano, voce Ente pubblico economico, in Digesto discipline pubblicistiche, vi, utet, Torino
1993, p. 87 elenca, inoltre, tra gli enti pubblici economici l’Istituto centrale per il credito a mediotermine
in favore di medie e piccole industrie, gli istituti regionali quali l’irfis o il cis, credito industriale sardo.
L’ordinamento italiano 295

l’attività economica pubblica esercitata non sarebbe attività della pubblica ammini-
strazione110 e, soprattutto, è un ente inesorabilmente destinato all’estinzione.
Inoltre, a ben vedere, si potrebbe pure dubitare della fondatezza e della legittimità
della inclusione dell’ente pubblico economico nel novero dei soggetti responsabili in
ragione delle funzioni imprenditoriali dallo stesso svolte: anche questi enti, infatti,
perseguono finalità pubblicistiche, ancorché attraverso strumenti di diritto privato.
L’interesse è «imposto» dall’esterno e non viene – come invece accade per gli enti pri-
vati – determinato dallo stesso ente, cosicché anche in ipotesi di esercizio di attività
commerciale (pensiamo alla commercializzazione di un prodotto) il prezzo di vendi-
ta potrebbe essere imposto dallo Stato al fine di calmierare, ad esempio, i cartelli che
si sono creati nel mercato.
In un’area contigua a quella degli enti pubblici si pongono, poi, gli enti privati di
interesse pubblico. Si tratta, infatti, di enti di natura privatistica a cui una norma im-
pone una connotazione marcatamente pubblicistica, pur non arrivando a qualificarli
come veri e proprio enti pubblici. Sono tali gli enti di patronato, e di assistenza socia-
le, gli enti lirici, le fondazioni bancarie. Essi si pongono a metà strada tra il pubblico
e il privato, poichè, ad esempio, hanno accesso alle fonti pubbliche di finanziamento,
ma non sono sottoposti ai controlli e ai vincoli di amministrazione tipico dei soggetti
pubblici111 e dispongono di una struttura marcatamente privatistica. Attesa la loro
qualifica di soggetti privati, è da ritenere che siano destinatari della nuova disciplina
in commento, pur potendo sorgere legittimi dubbi in ordine alla coerenza delle scelte
del legislatore che, basandosi su di una qualificazione eminentemente formale, an-
novera tra i destinatari del decreto anche soggetti giuridici che perseguono interessi
pubblici e che, quindi, avrebbero anche potuto essere esclusi dall’applicazione della
stessa.

7. Alcune incertezze applicative. Società miste, società privatizzate e società c.d. pubbliche.

La determinazione dell’ambito soggettivo di applicazione del decreto, da un lato,


si rivela problematica e, dall’altro, rende evidenti le incoerenze delle scelte legislative.
Incerta si rivela la determinazione del campo applicativo delle disposizioni in-
trodotte dal d.lgs. 231/2000 in relazione all’universo magmatico e complesso delle
società in mano pubblica e privatizzate.
Al riguardo, pare opportuno operare una distinzione tra le c.d. società miste,
società privatizzate e società pubbliche.
110
  Carmona, La responsabilità degli enti: alcune note sui reati presupposto, cit., p. 220.
111
  Sul punto si veda Rossi, Enti pubblici, cit., p. 11 ss.
296 E. Pavanello

Quanto alle prime, si tratta di società che possono essere costituite unicamente su
iniziativa del soggetto pubblico, il cui capitale è costituito da conferimenti effettuati
da soggetti pubblici e privati, utilizzate per la gestione dei servizi pubblici locali. La
natura di tali enti è stata variamente considerata dalla giurisprudenza: i giudici am-
ministrativi, ritenendo trattarsi di «moduli organizzativi dell’ente locale a preminente
connotazione pubblicistica»112, ne hanno riconosciuto la natura pubblica, mentre la
giurisprudenza civile li ha qualificati come soggetti di natura privata, sganciati dalla
collettività di riferimento113. È emersa, inoltre, una terza via interpretativa da parte
del Consiglio di Stato che ha qualificato dette società come «intermedie», in ragione
del vincolo funzionale con l’ente pubblico che va valutato di volta in volta114.
La differente qualifica rispecchia il fatto che detti soggetti sono dotati di una
struttura societaria, e che, da un punto di vista «sostanziale», presentano elementi di
«pubblicità». La soluzione circa l’applicabilità o meno della nuova forma di respon-
sabilità sarà diversa a seconda che si intenda dare prevalenza alla forma societaria,
ovvero alla «sostanza» dei fini perseguiti da detti soggetti115.
A sostegno della prima opzione interpretativa si pone l’utilizzo dell’espressione
«società», senza alcuna specificazione ulteriore, contenuta nell’articolo 1, secon-
do comma d.lgs. 231/2001: il legislatore sembra aver voluto in tal modo attrarre
nell’ambito applicativo del decreto qualsiasi forma organizzata societaria, indipen-
dentemente dal perseguimento di attività lucrative. Viene in rilievo, inoltre, il riferi-
mento contenuto nell’art. 15 agli enti che svolgono un servizio pubblico o di pubbli-
ca necessità, riferimento che sembra riguardare proprio le società miste deputate allo
svolgimento di un pubblico servizio.
L’opinione non è tuttavia pacifica e a sostegno della interpretazione opposta si
valorizza la giurisprudenza amministrativa che ha qualificato come soggetti pubblici
112
  In questo senso, Cons. Stato, ad. gen., 16 maggio 1996, n. 90, in «Il Consiglio di Stato», i, 1996,
p. 1640.
113
  Si veda, in particolare, Cass. sez. un., 6 maggio 1995 n. 4991, in «Rivista italiana di diritto pubblico
comunitarioe», 1996, p. 1266, secondo cui le società per azioni costituite dai comuni e dalle province a
norma dell’art. 22, comma 3, della l. 142/1990 per la gestione di pubblici servizi, operano come persone
giuridiche di diritto privato, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento
con l’ente pubblico di riferimento, nei cui confronti hanno assunto l’obbligo di gestire il servizio.
114
  Cons. Stato, sez. v, 25 giugno 2002, n. 3448, in «Diritto e Giustizia», 4, 2003, p. 91. La disposizione
dell’art. 26, comma 3 del Codice dei contratti pubblici individua tre diversi elementi costitutivi
dell’organismo di diritto pubblico: a) personalità giuridica; b) sottoposizione a un’influenza pubblica;
c) fine perseguito costituito dal soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere
industriale e commerciale.
115
  F. Vignoli, Brevi note sulla controversa responsabilità «da reato» ed erariale delle società a partecipazione
pubblica, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 4, 2006, p. 108, <http://www.
rivista231.it/>.
L’ordinamento italiano 297

le società miste e ritiene che «sembrerebbe illogico che venissero configurate, a suo carico,
anche le ipotesi di responsabilità amministrativa introdotte dal decreto 231» 116.
La Suprema Corte di Cassazione ha avuto di recente modo di pronunciarsi al
riguardo, aderendo alla prima linea interpretativa. La fattispecie riguardava un Isti-
tuto ospedaliero veneto (riconosciuto come ospedale specializzato interregionale),
partecipato per il 49% da capitale privato e per il 51% da capitale pubblico, cui
era stato contestato il reato di truffa. Il Gip del Tribunale di Belluno aveva disposto
il sequestro preventivo di una rilevante somma sul bilancio dell’Istituto predetto.
Successivamente, il Tribunale di Belluno, sezione riesame, aveva annullato la misura
cautelare, sul presupposto che il d.lgs. 231/2001 non si applicasse al citato Istituto
ospedaliero, da qualificarsi come «ente pubblico». La Corte di Cassazione, in ac-
coglimento del ricorso esperito dal p.m., ha a sua volta annullato l’ordinanza del
Tribunale di Belluno, ritenendo del tutto illegittima l’esclusione dall’applicazione del
d.lgs. 231/2001 dell’Istituto di cura. Infatti, nell’opinione della Corte, alla stregua
del tenore letterale del d.lgs. 231/2001 non è sufficiente che l’ente abbia natura pub-
blicistica per escluderlo dal novero dei soggetti responsabili, ma è anche necessario
che esso non eserciti attività economica. Nel caso di specie, l’Istituto ospedaliero
ha natura di s.p.a., il che contraddirrebbe in radice l’assenza di attività economica:
infatti, «ogni società è costituita pur sempre per l’esercizio di un’attività economica al fine
di dividerne gli utili, a prescindere da quella che sarà – poi – la destinazione degli utili
medesimi, se realizzati». Né, hanno ritenuto i giudici di legittimità, può sostenersi
(come affermato dalla difesa dell’Istituto) che l’ente in questione svolga attività di
rilievo costituzionale: infatti, «non può confondersi il valore [...] della tutela della salute
con il rilievo costituzionale dell’ente e della relativa funzione, riservato esclusivamente a
soggetti (almeno) menzionati nella Carta Costituzionale». Anche perché, conclude la
Corte molto significativamente, «supporre che basti – per l’esonero dal d.lgs. 231/2001
– la mera rilevanza costituzionale di uno dei valori più o meno coinvolti nella funzione
dell’ente è opzione interpretativa che condurrebbe all’abberrante conclusione di esclu-
dere dalla portata applicativa della disciplina un numero pressoché illimitato di enti
operanti non solo nel settore sanitario, ma in quello dell’informazione, della sicurezza
antinfortunistica e dell’igiene del lavoro, della tutela ambientale e del patrimonio storico
e artistico, dell’istruzione, della ricerca scientifica, del risparmio e via enumerando valori
(e non «funzioni») di rango costituzionale»117. La Corte ha quindi mostrato di optare
per una interpretazione restrittiva delle esclusioni normativamente previste, tenuto
conto della natura di società degli enti a capitale misto.
Quanto alle società c.d. privatizzate, occorre brevemente richiamare il concetto di
privatizzazione, che indica il passaggio da un regime di diritto pubblico ad un regime
116
  C. Manacorda, La responsabilità amministrativa delle società miste, in «La responsabilità
amministrativa delle società e degli enti», 1, 2006, p. 161, <http://www.rivista231.it/>.
117
  Corte di Cassazione, 21 luglio 2010, n. 28699, <http://www.cortedicassazione.it>.
298 E. Pavanello

di diritto privato e, in particolare, per quanto qui interessa, la sostituzione di un ente


pubblico con una società di capitali o con una persona giuridica del libro i del codice
civile. Tale processo può essere scisso in due fasi: la prima, c.d. fredda, comporta il
mutamento della veste formale delle imprese pubbliche in private mediante un ap-
posito provvedimento amministrativo o in virtù di una specifica previsione legale, la
seconda, c.d. calda, che prevede la determinazione del quanto privatizzare, ovvero di
quante azioni dismettere e di quante riservarne alla mano pubblica e del procedimen-
to da seguire per provvedervi118.
Allo stato attuale della privatizzazione, le neo costituite società, si trovano, di fat-
to, in una fase di stallo, in cui il Ministero del Tesoro, che detiene l’intero pacchetto
azionario, è tenuto alla loro gestione. Con il che, particolarmente complessa risulta la
loro qualificazione giuridica, la quale mal si concilia con un modello privatistico tout
court, al cui regime sono assoggettate solo da un punto di vista formale, mentre il loro
controllo resta integralmente in capo all’ente pubblico che detiene il pacchetto azio-
nario di maggioranza. Rilevante al riguardo sembra certa giurisprudenza penale che,
all’indomani della «privatizzazione formale» delle Ferrovie dello Stato, ha affermato
il permanere della qualifica di incaricato di pubblico servizio o pubblico ufficiale in
capo ai suoi dipendenti, sostenendo come «la privatizzazione delle Ferrovie dello Stato
si è esaurita in una operazione di natura formale e cioè nella trasformazione [...] in una
persona giuridica di diritto privato che, pur esercitando un’attività imprenditoriale in re-
gime di diritto privato, persegue, tuttavia, pubbliche e cogenti finalità», «ferma restando
la natura pubblicistica dell’attività di trasporto ferroviario e delle altre forme assimilate,
strettamente strumentale a finalità di preminente interesse generale»119.
La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi in sede di conflitto di attribu-
zioni, ha ritenuto che la linea di demarcazione tra ente privato ed ente pubblico sia
118
  Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 321 ss.
119
  Corte d’Appello di Roma, 27 aprile 1994 pubblicata con commento di G. Santacroce, Aspetti
penali della «privatizzazione»delle imprese pubbliche. Modificazioni «mediate» della fattispecie criminosa e
successione di leggi penali, in «Foro Italiano», 10, 1994, p. 605-612. Analogamente Cass. pen. 6 febbraio
1997 pubblicata in «Diritto penale e processo», 12, 1997, p. 1478 ss., con nota di G. Viciconte, La
vexata quaestio della responsabilità penale dei soggetti che operano nell’ambito delle società a partecipazione
statale, p. 1480 a parere del quale la giurisprudenza penale avvalora quella lettura in base alla quale dette
società mantengono connotazioni della loro peculiare natura pubblicistica nella misura in cui lo Stato
mantiene la partecipazione esclusiva o prevalente nel capitale azionario, con la conseguenza che sono in
sostanza disciplinate da una normativa di carattere pubblicistico ed appartengono all’amministrazione
svolgendo in senso lato un servizio pubblico. (Contra, Cass. pen., sez. iv, 30 novembre 1994 in «Rivista
penale», 1995, p. 906 ss., secondo cui la società in mano pubblica non muta la sua natura di soggetto
privato solo perché lo Stato o altri enti pubblici ne detengono le azioni.) Occorre interrogarsi sui riflessi
che può avere questa giurisprudenza con riferimento all’ente trasformato in Spa Se cioè i soggetti fisici
vengono mantengono le qualifiche pubblicistiche, dobbiamo evidenziare come diversamente avvenga
per la persona giuridica, la cui struttura privatistica è sufficiente ad inquadrarla tra i soggetti di diritto
privato, indipendentemente dalle funzioni svolte e dal controllo, magari molto incisivo, del pacchetto
L’ordinamento italiano 299

oggi sempre più affievolita, ma ha altresì ribadito che le società per azioni «priva-
tizzate» mantengono connotati propri della loro originaria natura pubblicistica120.
Tale indirizzo, sembra essere stato confermato anche da una recente decisione del
Consiglio di Stato, il quale ha affermato che Poste Italiane s.p.a. è soggetto di diritto
pubblico, in quanto società di diritto speciale ancora interamente posseduta dallo
Stato, deputata ex lege al perseguimento di finalità pubblicistiche e soggetta ai poteri
decisionali dell’unico azionista (Ministero del Tesoro)121. Anche in questa ipotesi si
pone la necessità di optare tra attribuire prevalente rilievo alla struttura societaria di
cui detti enti sono dotati e, quindi, ritenerli assoggettati alla nuova forma di respon-
sabilità o piuttosto, considerare la loro natura «pubblica» per ritenerle escluse dal
novero dei soggetti responsabili.
Dubbi, poi, possono sorgere in ordine all’applicabilità della normativa anche nei
confronti delle società pubbliche tout court, ovvero enti che presentano una struttura
analoga a quella delle società di diritto privato ma che sono qualificati come pubblici
in quanto perseguono interessi di carattere generale e per fare ciò sono dotati dei
poteri e delle prerogative di diritto pubblico122.
Volendo accogliere l’impostazione di quella dottrina − e giurisprudenza − che
qualifica l’ente come pubblico quando manca in capo allo stesso l’autonomia di scel-
azionario da parte dello Stato. Critico F. Goisis, Gli amministratori e funzionari di società in mano
pubblica come pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio, in «Diritto processuale amministrativo»,
2002, p. 779 e 790 il quale rileva che gli stessi enti pubblici economici, non ancora trasformati in Spa,
che non esercitano un pubblico servizio o una pubblica funzione rilevanti ai sensi degli articoli 357 e
358 c.p. non possono trasmettere la qualifica di pubblico agente ai loro organi. Per quanto concerne
le società in mano pubblica, non è comunque da escludere che laddove queste esercitino una funzione
pubblica delegata i dipendenti delle stesse siano classificabili come pubblici agenti. In generale, sulle
società in mano pubblica si veda Goisis, Contributo allo studio delle società in mano pubblica come
persone giuridiche, Giuffré, Milano 2004.
120
  Corte Cost. 28 dicembre 1996, n. 466, in «Giurisprudenza Costituzionale», 1994, p. 3829.
121
  Consiglio di Stato, sez. vi, 2 marzo 2001, n. 1206, in «Urbanistica e appalti», 2001, p. 563. Critico
Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 337, secondo cui «Si può anche concordare [...] sulla
configurazione giuridica dei nuovi soggetti come società di diritto speciale, perché presentano l’immanenza
di indubbi connotati pubblicistici [...] ma non si può condividere la tesi della natura sostanzialmente
pubblicistica dell’attività da essi svolta [...] se non nei circoscritti limiti temporali in cui si protragga la fase
della privatizzazione formale e fino a quando non divenga operativa quella della privatizzazione sostanziale.
Diversamente opinando si svuota di tutta la sua portata il programma di privatizzazione».
122
  Per la definizione di società pubbliche si veda Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit.,
p. 340, il quale ritiene che dette società debbano essere qualificate come pubbliche. Cfr. Serafini,
Riflessioni sull’applicazione del d.lgs. 231/2001 alle società pubbliche, cit., p. 230 il quale ritiene applicabile
la nuova forma di responsabilità alla società Enav Spa, società pubblica. Nel caso di specie il vantaggio
e l’interesse di cui al d.lgs. 231/2001 deve «essere valutato tenendo presente che essa [la società] persegue il
duplice obiettivo di massimizzare la creazione del valore pubblico, improntando la propria gestione a logiche
di funzionamento aziendale finalizzate al perseguimento dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità».
Emerge, quindi, chiara l’idea che nella società pubblica convivano l’obiettivo dell’interesse pubblico e la
gestione in senso privatistico dell’azienda.
300 E. Pavanello

ta degli interessi da curare e delle modalità attraverso cui farlo123, si deve concludere
che, al fine di determinare in modo inequivoco l’ambito di applicazione della respon-
sabilità, sarà necessario verificare di volta in volta se lo scopo dell’ente è per così dire
etero o autodeterminato. Solo in quest’ultimo caso, pare doversi ritenere, le società
risponderanno a titolo di responsabilità amministrativa dipendente da reato. Nel
caso di fini «etero» determinati, infatti, anche queste società, a prescindere dalla loro
struttura di carattere privatistico, ripetono caratteristiche tipiche degli enti pubblici,
le stesse caratteristiche cioè che hanno indotto il legislatore ad escludere gli altri enti
pubblici dal novero dei soggetti responsabili. Ed è questo il fil rouge che andrebbe
utilizzato anche per determinare quando un ente possa davvero essere considerato
«economico»: solo laddove esso sia davvero libero di orientare la propria politica di
impresa verso fini di carattere etero-individuali, non predeterminati dal referente
governativo che ne governa l’agire, allora si potrà ravvisare un indice rivelatore della
sua assimilabilità al soggetto privato che ne giustifica l’assoggettamento al decreto124.
Peraltro la posizione «sostanzialista» − che guarda, quindi, non alla qualifica formale
dei soggetti, quanto piuttosto agli interessi perseguiti e alle modalità attraverso cui
gli stessi sono perseguiti – è stata fatta propria, seppure in ambito diverso da quello
che ci occupa, prima dal Consiglio di Stato125 e poi dalla stessa Corte di Cassazio-
ne126 che si sono trovati a dover definire la natura (pubblica) di talune società. Con la
conseguenza che vi è «la tendenza a considerare come appartenenti all’area pubblicistica
soggetti costituiti con le forme del diritto privato»127.
Tuttavia, la Corte di Cassazione con la sentenza relativa all’Istituto ospedaliero
sopra richiamato e con una recentissima sentenza concernente una Spa che svolgeva
funzioni in in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti trasferite alla stessa da un
123
  Ottaviano, voce Ente pubblico, cit., p. 963 ss.
124
  Riverditi, La responsabilità degli enti, cit., p. 139-140.
125
  Consiglio di Stato, sez. vi, 28 ottobre 1998, n. 1478, in «Foro Italiano», iii, 1999, 178, con nota
di R. Garofoli, Sviluppi in tema di giurisdizione amministrativa e regole costituzionali: organo indiretto,
nozione comunitaria di amministrazione aggiudicatrice, riparto per blocchi di materie (d.leg. 80/98). Nel
caso di specie il Consiglio di Stato ha affermato che «l’Interporto toscano Spa, in quanto caratterizzato
dalla totale partecipazione pubblica e istituito per la gestione in esclusiva di un servizio pubblico
d’interesse generale, deve considerarsi, nonostante la veste societaria, «organismo di diritto pubblico» ai
sensi del d.leg. 406/91 e della l. 109/94».
126
  Cass. civ. sez. un., 3 maggio 2005 n. 9096, in «Foro Italiano», i, 2006, p. 195, secondo cui, «ai fini di
cui all’art. 3 r.d.l. n. 1578 del 1933, la qualificazione di un ente come società di capitali, non è sufficiente
ad escludere la natura di istituzione pubblica dell’ente stesso, dovendosi procedere, volta per volta,
alla valutazione concreta; pertanto, l’Ama − azienda municipale ambiente-spa, le cui quote societarie
sono integralmente detenute da soggetti pubblici − deve essere qualificata istituzione pubblica, poiché
costituisce una longa manus degli enti territoriali, per la gestione del servizio pubblico della raccolta dei
rifiuti, peraltro finanziato con entrate di natura pubblicistica».
127
  Vignoli, Brevi note sulla controversaresponsabilità da reato ed erariale delle società a partecipazione
pubblica, cit., p. 109.
L’ordinamento italiano 301

ente pubblico territoriale, nei cui confronti ha ritenuto applicabile il decreto128, ha


mostrato di optare per una diversa linea interpretativa. Linea interpretativa propu-
gnata anche da parte della dottrina secondo cui non sussisterebbero argomenti idonei
a escludere dalla disciplina della responsabilità degli enti le società a partecipazione
pubblica. Al contrario, l’inclusione tra i reati presupposto della concussione, reato
che può essere posto in essere esclusivamente dal pubblico ufficiale o dall’incaricato
di pubblico servizio, comporterebbe l’inclusione degli enti espressione della Pubblica
Amministrazione in senso oggettivo, tra cui le società a partecipazione pubblica in
cui i soggetti agenti sono qualificati come incaricato di pubblico servizio ovvero pub-
blico ufficiale in ragione delle funzioni concretamente svolte129.

8. Valutazione critica delle esclusioni.

A questo punto si ritiene opportuno trarre le prime conclusioni in relazione alle esclu-
sioni che il legislatore delegato ha posto con riferimento ai soggetti di natura pubblica.
Due sono le osservazioni di maggior rilievo. Da un lato, sta la constatazione che
l’esclusione dello Stato e degli enti pubblici territoriali è stata considerata dalla dot-
trina «comprensibile» per ragioni sistematiche, in ragione dell’esistenza di un sistema
legislativo improntato a escludere la responsabilità civile discendente da reato (il rife-
rimento va all’art. 197 c.p.). Inoltre, con riferimento specifico allo Stato non è parsa
al legislatore in alcun modo superabile la contraddizione di uno Stato, titolare della
potestà punitiva, che persegue se stesso. Le esclusioni paiono poi giustificate anche
in ragione dell’elemento della sovranità: i cittadini attribuiscono mediante la propria
scelta politica un mandato all’ente pubblico il quale è preposto alla tutela degli in-
teressi di tale comunità e perciò è autorizzato ad utilizzare anche poteri coercitivi e,
financo, a delinquere se ciò garantisce il perseguimento di quegli obiettivi.
Le argomentazioni indicate non sono, si ritiene, sufficienti a legittimare un si-
stema di sostanziale immunità. Il fatto che, ad esempio, sul piano internazionale sia
ammessa la rilevanza del comportamento illecito criminoso dello Stato, deve indurre
a riflettere sull’effettivo fondamento di una simile esclusione, legata evidentemente
all’idea che lo Stato, nelle sue articolazioni territoriali, possa anche agire illecitamente
poiché la finalità della sua azione è il perseguimento di un interesse pubblico di carat-
tere generale. O forse, a voler ragionare diversamente, che sia comunque inopportu-
na da un punto di vista politico la previsione di una responsabilità penale.
Dall’altro lato sta, invece, la riflessione che l’esclusione di tutti gli altri enti pubblici
tranne quelli economici è poco comprensibile e, forse, ancor meno giustificabile, non
128
  Corte di Cassazione, 10 gennaio 2011, n. 234, <http://www.cortedicassazione.it/>.
129
  Ielo, Società a partecipazione pubblica e responsabilità degli enti, cit., p. 106-107.
302 E. Pavanello

foss’altro per le difficoltà di proporre un’esatta qualificazione della natura giuridica


dell’ente. La qualificazione non è semplice come dimostra il fatto che, in alcuni casi,
la giurisprudenza è divisa nell’attribuire la soggettività pubblica a un ente a seconda
della decisione del caso concreto o, addirittura, è intervenuta una legge a dichiarare
la natura pubblica di un ente in precedenza dubbia (è il caso questo della Croce
Rossa Italiana130). Il fatto che un ente non sia qualificato come pubblico economico
non dice nulla di certo sulla sua natura, sui poteri di cui lo stesso è dotato e talvolta
nemmeno sul tipo di funzione che lo stesso svolge.
Quanto alla magmatica categoria delle società pubbliche, non sempre è piana la
loro qualificazione in senso pubblicistico e, soprattutto, non è chiaro se per il solo
fatto che esse siano costituite in forma societaria possano essere assoggettate a respon-
sabilità, sebbene le prime indicazioni giurisprudenziali facciano propendere per la
risposta affermativa. Naturalmente poi sorge la questione del valore che sotto il pro-
filo penalistico (o, per utilizzare un’espressione neutra, punitivo) assume la qualifica
operata dal diritto pubblico-amministrativo.
Le ragioni che hanno indotto il legislatore ad escludere determinati enti sono da
rinvenire nel fatto che questi sono dotati di pubblici poteri anche se non può essere
(solo) questa la ragione di una simile esclusione poiché a ben vedere considerazioni
di carattere economico hanno avuto rilievo preponderante nell’individuazione dei
soggetti responsabili. Il fatto che un ente eserciti attività di carattere economico,
anche se dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, è di per sé sufficiente a
renderlo responsabile ai sensi del decreto, come confermato dalle recenti pronunce
giurisprudenziali.
Tuttavia, questa interpretazione rischia di contrastare con il principio della neces-
saria continuità dell’attività pubblica: anche per gli enti pubblici economici rimane
valido il rilievo essi svolgono un’attività al fine del perseguimento di un interesse
pubblico e che, in quanto tale, può forse risentire negativamente dell’applicazione
di sanzioni penal-punitive. Le contraddizioni nel sistema, dunque, non mancano.
In quest’ambito a complicare la questione si pongono, inoltre, il diritto e la giu-
risprudenza comunitari che fanno riferimento talvolta a nozioni di pubblico/privato
diverse rispetto a quelle nazionali, forgiando così categorie «nuove». In particolare, il
diritto comunitario considera che, a prescindere dalla natura privatistica o pubblici-
stica della struttura, è comunque da considerare pubblico (con tutte le conseguenze
che da ciò discendono) l’ente che pur promuovendo, incentivando o sostenendo
l’altrui azione economica, non svolga attività di produzione di beni o servizi in regi-
me concorrenziale, o pur essendo preposto all’esercizio di attività commerciali, miri
al soddisfacimento di singoli enti pubblici. Per ciò che concerne le società miste si
  In particolare con la legge n. 613/1980 la Croce Rossa era stata riconosciuta come ente privato di
130

interesse pubblico, mentre poi con la l. 490/1995 è stata qualificata come ente pubblico non economico.
L’ordinamento italiano 303

segnala una pronuncia della Corte di Giustizia131, secondo cui il solo fatto che il
«capitale» sociale sia detenuto anche da privati, rende queste ultime incompatibili
con il perseguimento di interessi pubblici, con la conseguenza che esse, di fatto, sono
qualificabili in tutto e per tutto come soggetti di diritto privato132. Alla luce delle
difficoltà di individuare una categoria unitaria di ente pubblico, che si caratterizzi in
modo inequivoco, si condividono le critiche avanzate in ordine alla violazione del
principio di legalità, poiché l’applicazione della normativa è legata all’individuazione
nel caso concreto della natura dell’ente, natura talvolta contestata.
Occorre segnalare, peraltro, che la legittimità della limitazione della responsabilità
degli enti ai soli soggetti di diritto privato è stata sottopostadi recente, seppure in
modo incidentale, a vaglio critico dal giudice delle indagini preliminari di Firenze133.
Il caso riguardava le lesioni gravissime di un operaio e il decesso di un altro in
conseguenza dei lavori per la rimozione di alcuni dispositivi di sicurezza degli scambi
sui nodi ferroviari di Firenze per conto di rfi (Rete Ferroviaria Italiana). Nel capo di
imputazione veniva richiesto anche il rinvio a giudizio delle due società di cui erano
dipendenti gli operai, nei cui confronti gli imputati chiedevano potersi costituire
parti civili.
Il G.i.p. del Tribunale toscano rilevava che il d.lgs. n. 231/2001 e successive
modificazioni, non prevedeva «espressamente» la possibilità della costituzione di parte
civile nei confronti degli enti imputati nel processo penale. Detta interpretazione
della normativa è stata confermata dalla giurisprudenza in forza del fatto che la
responsabilità di cui si discute è di tipo indiretto e sussidiario e prevede sanzioni
proprie e tipiche di carattere pecuniario che escluderebbero una responsabilità diretta
nei confronti delle vittime.
Ciò posto, il Giudice si è interrogato sulla legittimità di una simile opzione legislativa
e ha chiesto alla Corte di Giustizia della Comunità Europea di pronunciarsi in via
pregiudiziale, ai sensi degli artt. 234 tce e 35 tue, sull’interpretazione delle norme
comunitarie adottate a tutela delle vittime del reato134 e di chiarire se la normativa
italiana in tema di responsabilità amministrativa degli enti/persone giuridiche di cui
al d.lgs. cit. sia conforme alla stessa laddove non prevede espressamente la possibilità
di costituirsi parte civile.
131
  cgce, Stadt/Halle 11 gennaio 2005, causa c-26/03.
132
  Critico rispetto a questa decisione M.M. Fracanzani, Le società degli enti pubblici: tra codice civile e
servizio ai cittadini, 2005, p. 27, <http://www.giustizia-amministrativa.it/>, poiché considera l’aspetto
«quantitativo» della partecipazione privata all’ente rispetto invece all’aspetto qualitativo dell’attività svolta
e della natura degli interessi perseguiti, in precedenza assunto a criterio discretivo per la medesima Corte.
133
  Ufficio del Giudice delle indagini preliminari di Firenze, rinvio pregiudiziale per interpretazione ex
art. 234 tce del 9 febbraio 2011.
134
 Trattasi in particolare della Decisione quadro n. 2001/220/Gai del 15 marzo 2001 e della Direttiva
2004/80/CE del 29 aprile 2004 relative all’indennizzo delle vittime del reato e alla loro posizione nel
procedimento penale.
304 E. Pavanello

Nell’argomentare le ragioni che inducono a ritenere una simile limitazione non


conforme al diritto comunitario, in quanto limitativa della possibilità per le vittime
di chiedere e ottenere il ristoro dei danni subiti nel medesimo procedimento penale
anche nei confronti degli enti per i quali venga ravvisato un profilo di responsabilità,
il Giudice ha osservato che ulteriore elemento di irrazionale discriminazione della
vittima è dato dall’esclusione dai soggetti punibili dello Stato e degli altri enti
pubblici. A parere del Giudice, la riserva leggermente «hobbesiana» di tutela della
sovranità dello Stato dalla responsabilità amministrativa da reato non significa che
un Organo dello Stato, della Pubblica Amministrazione o di un ente territoriale non
possa essere citato nel processo come responsabile civile per il fatto dell’imputato […].
Ancora, ha sostenuto che la limitazione è tanto più censurabile laddove si consideri
che pacificamente lo Stato o i suoi organi possono essere chiamati nel processo penale
per rispondere civilmente dei danni provocati secondo le leggi civili.
La questione posta non è di secondario rilievo e, con riferimento allo specifico
profilo di interesse, è indice della sottoposizione a vaglio critico della scelta del legislatore
italiano. La pronuncia interpretativa della Corte dovrà quindi, auspicabilmente,
affrontare anche il tema oggetto di indagine nel presente lavoro al fine di indicare
quale debba essere la corretta interpretazione alla luce delle disposizioni di diritto
comunitario. E se la limitazione del novero dei soggetti responsabili costituisca
davvero un «odioso privilegio» non giustificabile.

8.1. Ripercussioni in ambito privatistico delle limitazioni della responsabilità degli


enti pubblici.

Il «privilegio» dell’immunità concesso agli enti pubblici territoriali ed esercenti


funzioni costituzionali rischia inoltre di essere «trasportato» anche sul fronte
privatistico.
In una delle prime decisioni che hanno dato applicazione alla responsabilità da
reato degli enti, il Gip del Tribunale di Salerno ha, infatti, escluso l’applicabilità della
misura cautelare della revoca dei finanziamenti pubblici nei confronti di una società
privata che aveva ottenuto detti finanziamenti non direttamente dall’ente erogante,
ma mediante un’operazione di cessione del credito da parte del Comune e della Co-
munità montana, enti beneficiari del finanziamento statale135.
La fattispecie oggetto di esame concerneva l’attività illecita di un sodalizio cri-
minoso organizzatosi nel salernitano all’indomani dell’alluvione che aveva colpito
il Comune di Sarno del 1998. Il sistema aveva come scopo l’ottenimento di illegali
  Gip Salerno, ordinanza 28 marzo 2003, in «Cassazione penale», sub 114, 2004, p. 267 con nota di
135

G. Fidelbo, Misure cautelari nei confronti delle società: primi problemi applicativi in materia di tipologia
delle «sanzioni» e limiti all’operatività del commissario giudiziale, in «Cassazione penale», 2004, p. 276 ss.
L’ordinamento italiano 305

finanziamenti pubblici − a tal fine, attraverso la corruzione dei pubblici funzionari


ministeriali e degli amministratori locali, venivano prodotte false polizze fideiussorie,
false documentazioni fiscali e falsi collaudi − in favore di comuni e comunità mon-
tane che poi venivano integralmente ceduti, da parte dell’ente pubblico beneficiato,
a fronte della stipula da parte di quest’ultimo del contratto di appalto dei lavori con
una delle società gestite dai membri del sodalizio criminoso. Le indagini avevano
accertato che la pressoché totalità dei contributi statali erogati erano stati riconosciuti
in favore di enti che non ne avevano diritto136.
In relazione alla richiesta del p.m. di revoca dei finanziamenti illecitamente ero-
gati, la decisione è stata negativa poiché detta revoca avrebbe finito per colpire gli
enti pubblici territoriali che non sono destinatari della nuova forma di responsabilità.
Nella motivazione dell’ordinanza si legge che la ratio del decreto legislativo va indi-
viduata nella «volontà di reprimere comportamenti illeciti nello svolgimento di attività
di natura squisitamente economica», e cioè assistite dal fine di profitto, e che per tale
ragione sono state esclusi quegli enti pubblici che perseguono interessi pubblici pre-
scindendo da finalità lucrative. Il Gip ha ritenuto che l’eventuale applicazione di una
misura cautelare tesa a revocare dei finanziamenti pubblici avrebbe, di fatto, colpito
l’ente pubblico territoriale, con una misura eccedente rispetto al suo scopo originario.
Se è vero, infatti − sostiene il Gip − che a seguito della cessione del finanziamento
all’ente privato, quest’ultimo vanta direttamente nei confronti del Ministero un dirit-
to all’erogazione del contributo, è anche vero che in caso di revoca del finanziamento
predetto la sanzione verrebbe a produrre gli effetti suoi propri nei confronti dell’ente
pubblico, il quale non è destinatario della normativa.
La decisione è criticabile, anche perché si rischia di aprire lo spiraglio ad indebite
percezioni di denaro da parte di soggetti terzi, giustificate proprio per il fatto che esse
hanno in qualche modo destinazione pubblica137.

9. Considerazioni in ordine alla possibilità di configurare una responsabilità penale degli


enti pubblici alla stregua del d.lgs. 231/2001, con riferimento ai reati presupposto, alla
nozione di interesse e vantaggio, nonché all’apparato sanzionatorio previsto.

Si ritiene opportuno a questo punto indicare, seppure per cenni, se la configurazione


della responsabilità sia possibile alla stregua del sistema configurato dal d.lgs. 231/2001
136
  Per un’analisi esauriente e motivata della fattispecie oggetto di decisione, cfr. M.T. Belmonte,
L’esperienza giurisprudenziale in Campania, in La responsabilità da reato degli enti collettivi, a cura di G.
Spagnolo, cit., p. 73 ss.
137
  Criticamente rispetto a questa decisione si è espressa A. Rossi, La responsabilità degli enti (d.lgs.
231/2001): i soggetti responsabili, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2,
2008, p. 187, <http://www.rivista231.it/>.
306 E. Pavanello

e ciò a prescindere dalla tipologia dei reati che sino ad ora sono stati inclusi tra i reati-
presupposto che involgono tale responsabilità. Infatti, se si guarda alle fattispecie
individuate nell’art. 24, ovvero malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis)138,
indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter), truffa (art. 640),
frode informatica (art. 640-ter)139, sembra difficile ipotizzare una responsabilità degli
enti pubblici, poiché si tratta di fattispecie che tendono a tutelare proprio gli interessi
degli enti pubblici erogatori del finanziamento140. Analogo discorso può essere
effettuato in relazione all’articolo 26, che individua tra i reati-presupposto ipotesi
legate alla corruzione e alla concussione (in particolare, si tratta della corruzione
per un atto d’ufficio ex art. 318 c.p., della corruzione per un atto contrario ai doveri
d’ufficio ex art. 319 c.p., della corruzione in atti giudiziari ex art. 319-ter c.p., della
concussione ex art. 317 c.p., della corruzione di persona incaricata di pubblico
servizio ex art. 320 c.p., dell’istigazione alla corruzione ex art. 322 c.p. e del peculato,
concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle
Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri ex art.
322-bis c.p.): esisterebbe infatti una contraddizione tra l’interesse tutelato, ovvero il
buon andamento dell’attività amministrativa141, e il soggetto che viola tale interesse,
ovvero un ente pubblico il quale sarebbe al contempo destinatario della tutela e autore
138
  A. Pagliaro, Principi di diritto penale, Giuffré, Milano 2000, p. 95: bene tutelato è l’interesse dello
Stato o di altro ente pubblico o della Comunità Europea a che il sostegno ad attività economiche di
pubblico interesse non sia reso vano da abusi dello stesso soggetto che riceve la sovvenzione.
139
  Cfr. A. Carmona, La responsabilità degli enti: alcune note sui reati presupposto, in «Rivista trimestrale
di diritto penale dell’economia», 2003, p. 995 ss., per un commento con riferimento alla (iniziale) scelta
dei reati presupposto da parte del Governo cui è connessa la responsabilità della persona giuridica.
140
  Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit.,
p. 150 rileva che i reati elencati nell’articolo rappresenterebbero la manifestazione di comportamenti
illeciti attuabili nello svolgimento di attività economiche e, in quanto tali, destinatari privilegiati
sarebbero imprenditori di pochi scrupoli che pur di accedere a finanziamenti o agevolazioni sono anche
capaci di predisporre documentazione falsa.
141
  C. Pedrazzi, Manuale di diritto penale dell’impresa, Monduzzi, Bologna 2003, p. 144-151 rileva che
non esiste concordia in dottrina circa l’individuazione del bene giuridico tutelato dalle diverse ipotesi
di corruzione. Si è fatto riferimento alla tutela di un generico dovere d’ufficio o di fedeltà, alla tutela
dell’imparzialità dell’azione amministrativa, alla tutela contro l’indebita accettazione di doni o contro la
compravendita di atti d’ufficio. A prescindere dalla teoria che si intenda prediligere è comunque chiaro
che in queste ipotesi vi sarà offesa ad un bene giuridico che mira a tutelare l’attività della pubblica
amministrazione e sarebbe quindi una contraddizione in termini punire poi la stessa amministrazione
che si intende in linea di principio tutelare. È pur vero però che le qualifiche soggettive richieste da
questi reati sono integrate a prescindere dall’esistenza di un inquadramento organico del soggetto stesso
nell’amministrazione e solo in relazione alla svolgimento effettivo di una funzione pubblica, in senso
penalistico, (si pensi ad esempio al caso dell’Ente Ferrovie dello Stato sopra menzionato) ma resta
il fatto che laddove le qualifiche soggettive richieste ineriscono normalmente a soggetti che operano
nell’ambito di enti pubblici. Con la conseguenza che se non si tratta di un episodio isolato legato alla
condotta dei singoli ma costituisca piuttosto manifestazione della politica dell’ente, verrebbe ad essere
punito il singolo in luogo della collettività.
L’ordinamento italiano 307

della violazione142. Tuttavia con particolare riferimento al reato di concussione, è


stato rilevato che l’esclusione dello Stato e degli altri enti pubblici come destinatari
della normativa, fa perdere importanza alla portata applicativa del disposto, il quale
sarebbe essenzialmente ridotto alle ipotesi in cui l’autore sia incaricato di pubblico
servizio e, in particolare alle ipotesi di concessionario privato. Il che legittimerebbe
l’idea che l’inserimento della concussione tra i dei reati-base sia motivato più da
intenti simbolici che non da un reale finalismo preventivo-repressivo143. L’articolo
25-bis estende le fattispecie da cui deriva la responsabilità, anche a quelle concernenti
la cosiddetta tutela penale dell’euro: si ritiene difficilmente concepibile che gli enti
pubblici possano rendersi responsabili di dette violazioni. Analogamente può dirsi,
per i reati in materia societaria144 in quanto detti enti dovrebbero essere sottoposti
a controlli in virtù della loro natura pubblica, e per i reati con finalità di terrorismo
o di eversione dell’ordine democratico. Perplessità sussistono con riguardo alla
possibilità che un ente (e non solo pubblico) sia perseguito per il reato di mutilazioni
genitali femminili, nonché in relazione alla previsione concernente i delitti contro la
personalità individuale (art. 25-quinquies), gli abusi di mercato (art. 25-sexies), e il
reato transazionale, introdotto con la novella del 16 marzo 2006145.
Diversamente per la truffa, che mira a tutelare non solo il patrimonio ma anche
la libertà del consenso nei negozi patrimoniali146 e la frode informatica che tutela il
142
  Con particolare riferimento al delitto di concussione cfr. Gennai, Traversi, La responsabilità degli
enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 155 a parere dei quali il fatto che l’ente debba
necessariamente assumere in questi casi qualifica pubblicistica comporta che l’eventuale sanzione inflitta
finirebbe per gravare sulla stessa collettività che subirebbe un pregiudizio a causa del comportamento
illecito di un organo infedele, anche se quest’ultimo ha agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
143
  Stortoni, Tassinari, La responsabilità degli enti: quale natura? quali soggetti?, cit., p. 26.
144
  Per una disamina della riforma dei reati societari si veda F. Giunta, La vicenda delle false comunicazioni
sociali. Dalla selezione degli obiettivi di tutela alla cornice degli interessi in gioco, in «Rivista trimestrale di
diritto penale dell’economia», 2003, p. 601 ss., nonché lo stesso autore, La riforma dei reati societari ai
blocchi di partenza-Prima lettura del d.lg. 11 aprile 2002 n. 61, in «Studium iuris», 2002, p. 695 e 833.
Per un’analisi della responsabilità delle persone giuridiche in relazione ai «nuovi» reati societari, si veda
S. Putinati, Responsabilità amministrativa delle società, in S. Seminara, A. Giarda, A. Barazzetta, I
nuovi reati societari, a cura di A. Lanzi e A. Cadoppi, cedam, Padova 2002, p. 231 ss.
145
  In ordine ai riflessi dell’introduzione della fattispecie del reato transnazionale sulla responsabilità
degli enti, si vedano, oltre alle indicazioni contenute nella nota n. 562, i seguenti contributi: G.M.
Armone, La convenzione di Palermo sul crimine organizzato transnazionale e la responsabilità degli enti:
spunti di riflessione, in A. Astrologo, La nozione di reato commesso ex art. 3 legge 146/2006 e i riflessi
sul d.lgs. 231/2001, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 3, 2006, p. 111 ss.,
<http://www.rivista231.it/>; M.A. Pasculli, Sul rapporto esistente tra le fattispecie introdotte dalla legge
16 marzo 2006, n. 146, in tema di responsabilità da reato e le impostazioni dogmatiche relative al sistema
penale italiano, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 1, 2007, p. 109 ss.,
<http://www.rivista231.it/>.
146
  Così F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale i, Giuffré, Milano 2008, p. 364.
308 E. Pavanello

patrimonio attraverso la repressione della manipolazione di dati147. In queste ipotesi


non è dato escludere che determinati enti pubblici possano porre in essere le fat-
tispecie citate. Come pure è da ritenere che le ipotesi di omicidio e lesioni gravi e
gravissime legate alla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, possano venire
in rilievo anche per gli enti pubblici148, ferme restando le difficoltà di imputare la
responsabilità all’ente in relazione a un reato commesso nel suo interesse o vantaggio
per colpa di uno dei soggetti apicali149.
Al di là dei limiti che emergono in relazione all’attuale novero dei reati presuppo-
sto, non si può sottacere che la responsabilità potrebbe divenire rilevante anche per
altri reati. In tragedie come quelle che talvolta hanno segnato il nostro Paese (si pensi,
ad esempio, ai terremoti dovuti all’incuria di tante amministrazioni pubbliche che
non si sono premurate di concedere i permessi edilizi nel rispetto delle norme o che
hanno sottovalutato i rischi connessi a determinate situazioni) è opportuno interro-
garsi circa l’opportunità che solo l’amministratore di turno, persona fisica, risponda
personalmente dell’accaduto e che invece non sia coinvolta l’amministrazione nel
suo complesso, suscettibile di una sola censura in campo politico. Che la censura in
campo politico, ovvero attraverso un giudizio espresso dai cittadini nelle elezioni in
cui devono scegliere i propri rappresentanti a livello locale o nazionale, sia di dub-
bia forza è palese in quanto le persone difficilmente modificano così facilmente la
propria posizione politica. Restano gli altri controlli di natura politica che, tuttavia,
hanno natura discrezionale.
Per immaginare una simile forma di responsabilità, stante il modello del d.lgs.
147
  Per un commento al reato di frode informatica si veda, tra gli altri, C. Pecorella, Il diritto penale
dell’informatica, cedam, Padova 2000, p. 61 ss.
148
  L’art. 300 T.U. Sicurezza (d.lgs. 81/2008) ha sostituito l’art. 25 septies d.lgs. 231/2001 modificando
l’originaria formulazione, specialmente con riguardo alle conseguenze sanzionatorio. Il nuovo testo
prevede che: «1. In relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione
dell’articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007,
n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a
1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni
interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad
un anno. 2. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice
penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica
una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di
condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo
9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno. 3. In relazione al
delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme
sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore
a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni
interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi».
149
  V. Masia, Infortuni sul lavoro e responsabilità d’impresa: colpa di organizzazione e organizzazione della
colpa, anche alla luce del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in «La responsabilità amministrativa delle società e
degli enti», 3, 2008, p. 109, <http://www.rivista231.it/>.
L’ordinamento italiano 309

231/2001, si pongono diverse questioni. Innanzitutto, occorrerà valutare se e come


la responsabilità dell’ente pubblico possa venire in rilievo: se cioè anche per detto
ente sia effettivamente configurabile una «colpa d’organizzazione» e come la stessa
possa atteggiarsi150. Sarebbe probabilmente opportuno attribuire soggettività giuri-
dica alle singole entità componenti lo Stato, per consentire di risalire ad esempio al
soggetto in posizione apicale e imputare a sue omissioni la fattispecie rilevante.
In relazione a tale aspetto, occorre poi valutare cosa possa significare l’interesse
o il vantaggio per un ente pubblico e, dall’altro, la compatibilità e l’utilizzabilità del
sistema sanzionatorio vigente in relazione agli enti pubblici. Sotto il primo profilo,
si è dato atto delle perplessità espresse in ordine all’effettività di un simile criterio,
il quale probabilmente avrebbe potuto essere sostituito con il concetto di agire per
conto dell’ente. In ogni caso, per valutare quando si abbia interesse in capo ad un
ente pubblico occorre considerare quale sia in generale l’interesse di tale persona giu-
ridica. Gli studiosi rinvengono spesso la linea di discrimine tra ciò che è pubblico e
ciò che è privato nel fatto che solo nella prima ipotesi il soggetto agisca per la tutela
del bene comune, della generalità dei consociati. Potrebbe allora venire in rilievo la
responsabilità quando l’interesse per il quale l’ente ha agito (e quindi ha posto in es-
sere la condotta illecita) è solo apparentemente quello generale dei cittadini. Difficile
tuttavia ravvisare un interesse dell’ente alla commissione di reati.
Quanto invece al vantaggio − costituito in genere da un’utilità (non necessaria-
mente economica in quanto il concetto non coincide con quello di profitto) - esso
risulta più semplicemente configurabile anche con riferimento agli enti pubblici.
Infatti, potrebbe accadere che attraverso la violazione di una norma penale l’ente
pubblico sia in grado di ottenere detto vantaggio. Si pensi all’ipotesi in cui un ente,
non rispettando determinate procedure in materia di sicurezza ambientale, ottenga
un notevole risparmio sul piano finanziario e, quindi, consegua un’utilità.
Il secondo aspetto, ovvero quello del profilo sanzionatorio, è problematico in
generale con riferimento alla configurazione della responsabilità della persona giu-
ridica. Infatti, la sanzione penale per eccellenza è considerata la reclusione che, per
sua natura, si rivolge esclusivamente alle persone fisiche151. Esclusa la reclusione, la
sanzione applicabile alle persone giuridiche non può essere in primo luogo che quella
150
  Interessante al riguardo lo studio condotto da F. Vignoli, Il tormentato percorso della colpa
organizzativa della pubblica amministrazione: un confronto tra sistema punitivo e modello risarcitorio, in
«Giustizia Civile», 2006, p. 3 ss., con riferimento alla configurabilità di una colpa di organizzazione
in capo alla pubblica amministrazione: l’autore conclude la propria analisi ritenendo che malgrado
le perplessità di fondo, la colpa della pubblica amministrazione non solo possa enunciarsi, ma anche
trovare autonoma individuazione.
151
  Cfr. K. Volk, La responsabilità penale degli enti collettivi, in «Critica del diritto», 3-4, 2002, p. 231
secondo cui il fatto che non potrebbero essere utilmente applicate pene nei confronti delle imprese non
è condivisibile, poiché «basta […] togliere alle imprese quella libertà che esse hanno, cioè la loro libertà di
movimento nel mercato», prevedendo quindi sanzioni alternative a quella pecuniaria.
310 E. Pavanello

pecuniaria. E, infatti, l’articolo 10 del decreto in esame espressamente prevede l’ap-


plicazione di una sanzione pecuniaria la cui misura verrà determinata mediante quel
procedimento bifasico cui sopra si è fatto cenno. I costi della sanzione pecuniaria
potrebbero riflettersi nei confronti di soggetti innocenti, dipendenti della società,
amministratori che non hanno preso parte alla decisione e gli stessi cittadini su cui si
riversa il costo della sanzione. La critica sarebbe vieppiù fondata poiché trattandosi
di denaro pubblico i cittadini rischierebbero di veder aumentare i costi dei servizi
pubblici proprio perché all’ente erogante è stata applicata una sanzione pecuniaria.
Inoltre, la sanzione pecuniaria rischierebbe di rivelarsi sostanzialmente inutile poiché
costituirebbe un semplice passaggio di fondi da un «ramo» della pubblica ammini-
strazione ad un altro o in ultima analisi finirebbe per ricadere sui cittadini anziché sui
soci e sugli associati152. Oltre al fatto che per gli enti la sanzione pecuniaria potrebbe
essere considerata alla stregua di un normale costo, in quanto tale, imputata a bilan-
cio senza che ciò consenta di ottenere le finalità che la pena pecuniaria normalmente
si prefigge153, si consideri che la sanzione rischierebbe di rivelarla ancor più inefficace
perché in ogni caso andrebbe a colpire un ente (pubblico) in cui il profitto non assu-
me alcun rilievo e, quindi, un’eventuale sanzione che incida sull’aspetto economico
non avrebbe ragion d’essere.
Con riferimento a tale ultimo profilo, non sembra possibile escludere tout court
che l’eventuale inflizione di una sanzione pecuniaria passi davvero inosservata.
E ancora, è da rilevare che non solo gli enti pubblici sono finanziati con denaro
pubblico e, pertanto, non solo in riferimento a tali persone giuridiche si pone il
problema della inefficacia-inopportunità della sanzione pecuniaria eventualmente
inflitta: il riferimento va, ad esempio, agli enti privati, destinatari della responsabilità,
finanziati con risorse di natura pubblica quali gli enti di patronato154. Inoltre, con
riferimento al fatto che il costo della sanzione verrebbe scaricato sui cittadini, non
è da escludere che anche le società di diritto privato lo facciano aumentando i costi
dei servizi offerti o dei beni prodotti. Da ultimo, si consideri che gli enti pubblici
possono essere già sottoposti a sanzioni pecuniarie, ancorché non penali: con il che
si ritiene che le argomentazioni sin qui citate che intendono porre in dubbio la
legittimità e l’opportunità delle sanzioni pecuniarie dovrebbero trovare applicazione
anche in tali ipotesi. Non si ritiene, cioè, che ostacolo alla configurazione di una
responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico possa davvero essere
rinvenuta nell’eventuale inflizione di una sanzione pecuniaria.
152
  Galanti, Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ex d.lg. 231del 2001 e vigilanza sulle
imprese finanziarie: quale coordinamento?, in «Diritto della banca e del mercato finanziario», 2003, p. 234.
153
  Per alcune considerazioni (già prima dell’approvazione del decreto 231/2001) circa la compatibilità di
un sistema sanzionatorio penale con la struttura della persona giuridica si veda Manna, La responsabilità
delle persone giuridiche e il problema delle sanzioni, cit., p. 919-928.
154
  Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2223.
L’ordinamento italiano 311

L’articolato apparato sanzionatorio disciplinato dal decreto introduce poi una se-
rie di sanzioni interdittive cui è opportuno ora volgere lo sguardo.
Esse sono applicabili, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 231/2001, solo qualora l’ente
abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato sia stato commesso da
soggetti in posizione apicale o da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando la
commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative
o quando si tratti di reiterazione di reato. La sanzione interdittiva, ai sensi dell’art.
14 del decreto in commento, ha ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce
l’illecito dell’ente.
La sanzione interdittiva che presenta maggior carattere affittivo è senza alcun
dubbio l’interdizione dall’esercizio di attività che, in talune ipotesi, può essere di-
sposta in via definitiva (art. 16). Ad essa si accompagnano la sospensione o la revoca
della autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il
divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni,
finanziamenti, contributi o sussidi e il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Il decreto in esame ha, tuttavia, costruito un sistema per cui, qualora dette san-
zioni debbano essere applicate ad enti che svolgono un’attività connessa ad un pub-
blico servizio o ad un servizio di pubblica necessità155, è consentita la prosecuzione
dell’attività. Infatti, l’art. 15 dispone la nomina di un commissario giudiziale cui
sarà affidata la prosecuzione dell’attività per il tempo equivalente alla durata della
pena se l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui
interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività156. In questo modo
potrebbe essere superato il rilievo secondo cui l’applicazione delle sanzioni inter-
dittive, comportando la paralisi dell’attività dell’ente, sarebbero incompatibili con
155
  Cfr. Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 358 secondo cui per reperire una
definizione di servizio di pubblica necessità occorrerà riferirsi alle indicazioni provenienti da altro
settore dell’ordinamento e, segnatamente, in materia di diritto di sciopero. Quanto invece al servizio
pubblico, esso si connoterebbe per il fatto che può essere usufruito da una generalità indistinta di
utenti. Il pregiudizio si rivelerebbe quando il servizio pubblico incide sullo svolgimento delle attività
quotidiane della comunità statale.
156
  In particolare, una volta che il giudice avrà riscontrato i presupposti per la nomina del commissario
giudiziale, dovrà provvedere ad indicare i compiti e i poteri dello stesso, il cui operato sarà assoggettato
ad un controllo periodico da parte del giudice e del pubblico ministero. Per un’analisi della figura del
commissario giudiziale nominato in sede di irrogazione di sanzione cautelare, si veda P. Di Geronimo,
Responsabilità da reato degli enti: l’adozione dei modelli post factum ed il commissariamento giudiziale
nell’ambito delle dinamiche cautelari, in «Cassazione penale», i, 2004, p. 254 ss.; G. De Marzo, Le
sanzioni amministrative: pene pecuniarie e sanzioni interdittive, cit., p. 1320 rileva che il disposto
dell’art. 15 prevede la nomina del commissario giudiziale qualora vi sia stata applicazione di una
sanzione interdittiva «che determina l’interruzione dell’attività dell’ente», riferendosi pertanto non
solo all’interdizione dall’esercizio dell’attività, ma a tutte le sanzioni che nel determinare l’interruzione
dell’attività dell’ente, siano suscettibili di arrecare pregiudizio al regolare svolgimento del pubblico
servizio o del servizio di pubblica necessità.
312 E. Pavanello

la natura pubblica dell’ente157. Le ipotesi di commissariamento potrebbero, di con-


verso, giovare all’ente, anche in ragione del fatto che il commissario dovrà curare ed
attuare modelli di organizzazione e di controllo idonei a prevenire reati della specie
di quello verificatosi (art. 15, 3 comma). Sul punto vale rilevare che detto potere è
stato riconosciuto dal G.i.p. del Tribunale di Bari anche in sede cautelare. Nel caso di
specie, infatti, il Giudice ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 45 d.lgs.
231/2001, stante il pericolo di reiterazione del reato da parte delle società sottoposte
al procedimento, ha disposto in via cautelare l’interdizione dall’esercizio dell’attività
e il commissariamento dell’ente, che si rendeva necessario attesa l’attività di pubbli-
ca necessita (pulizia dei nosocomi) svolta, la cui interruzione avrebbe impedito alla
collettività di fruire di servizi essenziali. Tuttavia, in un primo momento il Giudice
aveva escluso espressamente che il commissario potesse adottare nuovi modelli di
organizzazione, in quanto tale onere sarebbe stato giustificato solo in presenza di una
sentenza di accertamento della responsabilità dell’ente, e non quindi in sede caute-
lare. Successivamente, il G.i.p., rilevato che è la stessa ratio della norma che prevede
la nomina del commissario per adeguare i modelli comportamentali della società,
ha parzialmente modificato l’ordinanza de qua attribuendo ai commissari i poteri di
adottare modelli comportamentali urgenti158.
Nell’ottica dell’applicazione anche agli enti pubblici del decreto in esame sarebbe,
invece, opportuno prevedere l’esclusione dell’applicazione della sanzione di interdi-
zione dall’esercizio dell’attività in via definitiva – ipotesi questa in cui è altresì esclusa
la nomina del commissario giudiziale – poiché si potrebbe verificare quella paralisi
dell’attività pubblica già denunciata dalla dottrina.
L’apparato sanzionatorio del decreto è stato costruito in modo tale da non pregiu-
dicare il regolare svolgimento del servizio pubblico, tant’è che il divieto di concludere
contratti con la pubblica amministrazione non si applica per quei contratti che sono
finalizzati al conseguimento di prestazioni di pubblico servizio.
Infine, non sembrano sussistere particolari ostacoli applicativi anche con rife-
rimento al divieto di pubblicizzare beni o servizi o all’esclusione da agevolazioni,
finanziamenti e sussidi pubblici. In particolare, con riferimento a quest’ultima san-
zione, sono inclusi tra i destinatari anche i soggetti che hanno comunque una fi-
nanza derivata dagli enti pubblici; pertanto costituirebbe una discriminazione non
  Galanti, Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, cit., p.234.
157

  L’ordinanza del Gip di Bari del 18 aprile 2005 è pubblicata in Le società, 3, 2006, p. 365 ss., con
158

commento critico di S. Bartolomucci, Esigenze cautelari ex d.lgs. n. 231/2001: nomina e ruolo del
commissario giudiziale, p. 370 ss. in ordine all’impossibilità per i commissari giudiziali di adottare nuovi
modelli organizzativi. Quanto alla modifica parziale dell’ordinanza, il testo e la spiegazione delle ragioni
che hanno indotto il Gip, dr. De Benedictis, ad operare tale correzione sono riportate dallo stesso De
Benedictis, Esperienze giurisprudenziali in Puglia, in La responsabilità da reato degli enti collettivi, a cura
di G. Spagnolo, cit., p. 118-119.
L’ordinamento italiano 313

giustificata includere solo taluni di detti enti pubblici tra i destinatari della sanzione
interdittiva159.

Allo stato attuale non esiste una forma di responsabilità degli enti pubblici ma
delle precise delimitazioni che sono da un lato molto eloquenti e dall’altro altrettanto
criticabili.
In una prospettiva de jure condendo e di allargamento progressivo dei reati presup-
posto è da immaginare che l’esclusione degli enti pubblici dalla responsabilità, pro-
vocherà critiche molto accese. Quanto all’aspetto sanzionatorio, non sembrano allo
stato sussistere aspetti problematici insuperabili con riferimento agli enti pubblici.
Il punto cruciale della questione resta la necessità o meno di prevedere un tratta-
mento differenziato per gli enti pubblici160.

10. La previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche nel progetto della
Commissione Pisapia.

La Commissione Pisapia in data 21 marzo 2008 ha consegnato al Ministro della


Giustizia la versione definitiva dello Schema di disegno di legge recante la delega
legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione della parte generale di un
nuovo codice penale161.
Ai nostri fini, particolarmente interessante risulta la previsione dell’art. 56 il cui
titolo è Responsabilità degli enti che prevede di inserire nel codice penale detta re-
sponsabilità, configurata sul modello di cui al d.lgs. 231/2001. Si indica, peraltro,
che la responsabilità non dovrebbe essere qualificata come amministrativa e che pure
le sanzioni non dovrebbero essere qualificate come amministrative: si tratta di un’im-
portante innovazione rispetto a quanto indicato nel precedente progetto di riforma
ad opera della Commissione Grosso.
159
  Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2223.
160
  Fares, La responsabilità dell’ente pubblico, cit., p. 2224-2225, ad esempio, ritiene comunque
opportuno considerare gli enti pubblici distinguendo a seconda che essi agiscano per tutelare interessi
collettivi di rilievo preminente altrimenti non realizzabili, sulla base del criterio della infungibilità della
funzione svolta. E ciò anche in considerazione del fatto che secondo la giurisprudenza recente della
Cassazione, l’amministrazione svolge attività amministrativa anche quando persegue finalità sue proprie
attraverso un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato. Ripropone la contrapposizione
esercizio di attività economica/attività non economica, De Maglie, L’etica, cit., p. 390 secondo la quale
nella nozione di persona giuridica di un «nuovo» modello di responsabilità dovrebbero essere inclusi
tutti gli enti pubblici che svolgono attività di natura economica.
161
  La Commissione ha avuto l’incarico con decreto del Ministro della Giustizia del 30 luglio 2006. Il
Progetto Pisapia è rinvenibile nel sito <www.giustizia.it>.
314 E. Pavanello

Per essere imputabili all’ente i reati devono essere commessi nel suo interesse:
viene meno, invece, il riferimento al vantaggio. La realizzazione delle fattispecie
criminose deve essere stata resa possibile da una lacuna organizzativa o dalla carenza
di sorveglianza o controllo o comunque devono essere state commesse su indicazione
dei vertici organizzativi e gestionali.
La responsabilità ipotizzata sarebbe dunque penale a tutti gli effetti e prenderebbe
a modello il d.lgs. 231/2001. Sotto il profilo dei soggetti attivi del reato vengono
confermate le esclusioni degli enti pubblici (Stato, Regioni, gli enti pubblici terri-
toriali), a eccezione di quelli che esercitano attività economica, oltre che delle Au-
torità indipendenti. Si tratta di organismi idonei ad assicurare per la loro terzietà la
massima indipendenza organizzativa e di giudizio da ogni tipo di condizionamento
politico o economico. Esse non curano interessi di natura pubblica di propria perti-
nenza ma dirimono in via preventiva potenziali conflitti di interessi collettivi, diffusi,
di categoria e individuali, fissando regole di disciplina di settore (in via preventiva)
e provvedendo, poi, attraverso l’uso di poteri correttivi e sanzionatori a ricondur-
re l’attività dei singoli o dei gruppi nella legalità e correttezza162. Si caratterizzano,
quindi, per un aspetto punitivo nel senso che sono in grado di infliggere sanzioni
che rilevano soprattutto nel diritto di impresa e che per certi versi assumono conno-
tazioni analoghe a quelle che caratterizzano il diritto penale, senza che tuttavia siano
offerte le medesime garanzie connaturate a quest’ultimo163. La ragione che ha indotto
la Commissione a escluderle espressamente dal novero dei soggetti responsabili è
probabilmente rinvenibile nel fatto che sebbene non esercitino una funzione stret-
tamente economica, sono destinate a «regolare» l’attività di impresa, intervenendo
magari prima che un illecito penale venga commesso ma ponendosi comunque come
giudice, anche se non assumono funzioni giurisdizionali in senso stretto.
Nella relazione allo schema di disegno di legge, si dà atto del fatto che l’inseri-
mento della responsabilità penale delle persone giuridiche nel codice penale, pur non
generalmente condivisa, si pone quale elemento di garanzia non potendo la relativa
disciplina discostarsi dai principi riconosciuti nella parte generale del codice penale.
Nessuna riflessione viene invece dedicata all’esclusione degli enti pubblici, quasi si
trattasse di un dato acquisito, in relazione al quale non si può porre alcun dubbio.
Del resto, già prima di questo progetto, il titolo vii del Progetto Grosso, così
come approvato dalla Commissione Ministeriale per la riforma del codice penale nel
162
  Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 254 ss.
163
  Per un primo inquadramento di tali autorità si veda Riondato, S. Zancani, Le autorità amministrative
indipendenti nelle reti penali e punitivo-amministrative, in P. Cavaleri, G. Dalle Vedove, P. Duret,
Autorità indipendenti e Agenzie. Una ricerca giuridica interdisciplinare, cedam, Padova 2003, p. 129 ss.
il quale rileva il crescente ruolo svolto dalle autorità amministrative indipendenti anche nella vicenda
penale con particolare riferimento al controllo dell’attività di impresa.
settembre del 2001, che era interamente dedicato alla responsabilità della persona
giuridica, aveva escluso gli enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili164.
Il titolo comprendeva dieci articoli che disciplinavano tanto l’aspetto sostanziale
di detta responsabilità, quanto quello sanzionatorio. In particolare, l’art. 121, com-
ma 2, disponeva che, ai fini della disposizione concernente la responsabilità, per
persona giuridica occorre intendere «tutti gli enti, società, associazioni anche non rico-
nosciute, che svolgono attività economica. Sono esclusi lo Stato, le Regioni, gli altri enti
pubblici territoriali e le Autorità indipendenti». Da segnalare il fatto che accanto agli
enti pubblici territoriali venivano espressamente escluse anche in questo caso le Au-
torità amministrative Indipendenti.
Il modello di responsabilità punitivo cui dunque si orienta l’ordinamento italiano
con il progetto di riforma da ultimo approvato prevede l’espressa esclusione della re-
sponsabilità degli enti che non esercitino attività economica, o meglio di quegli enti
che siano connotati da elementi di «pubblicità».

164
  La Commissione di riforma era stata istituita con d.m. 1 ottobre 1998. Il testo del progetto Grosso,
rinvenibile nel sito <http://www.giustizia.it>, è stato approvato dalla Commissione ministeriale per
la riforma il 26 maggio 2001. Cfr. C.F. Grosso, Relazione introduttiva: presentazione del progetto
preliminare di riforma della parte generale del codice penale, in La riforma della parte generale del codice
penale, a cura di A. Stile, Jovene, Napoli 2003, p. 26 il quale nota come «nonostante la convinzione
della maggioranza della Commissione della necessità di prevedere una responsabilità penale delle persone
giuridiche, rispettando le opinioni critiche abbiamo voluto essere particolarmente cauti: non abbiamo
definito espressamente come penale la nuova responsabilità, ma l’abbiamo intesa come una sorta di tertium
genus fra quella penale e quella amministrativa». In generale sull’aspetto della colpevolezza nel Progetto
Grosso si veda S. Canestrari, La responsabilità colpevole nell’articolato della parte generale del Progetto
Grosso, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 3, 2001, p. 884 ss.
317

capitolo 8

Profili comparati

Sommario. 1. I tratti «comuni» della responsabilità degli enti pubblici. L’irresponsabilità


penale dello Stato e la previsione di una limitata responsabilità degli altri enti pubblici. –
1.1. Le critiche avanzate in relazione ai criteri utilizzati per individuare gli enti pubblici
responsabili penalmente diversi dallo Stato. – 1.2. L’irresponsabilità penale dello Stato. – 2.
La tensione tra responsabilità politica e responsabilità penale degli enti pubblici. – 3. Le
argomentazioni avanzate contro la configurazione di una responsabilità penale degli enti
pubblici. – 4. Sulla possibilità e sull’opportunità di configurare un sistema di responsabilità
penale degli enti pubblici alla luce delle indicazioni di diritto comparato. 5. Verso un
possibile modello di responsabilità penale degli enti pubblici? Considerazioni conclusive.

1. I tratti «comuni» della responsabilità degli enti pubblici. L’irresponsabilità penale


dello Stato e la previsione di una limitata responsabilità degli altri enti pubblici.

L’analisi condotta con riferimento alla disciplina normativa, alla giurisprudenza


e al dibattito dottrinale sviluppatosi intorno alla controversa questione della respon-
sabilità penale degli enti pubblici ha messo in luce l’esistenza di elementi comuni
che denotano la condivisione di alcune questioni di fondo.
Innanzitutto, lo Stato, per espressa previsione legislativa1 o per applicazione giu-
risprudenziale2, è sempre escluso da responsabilità penale. Unica eccezione è co-
stituita dalla responsabilità della Corona per il reato di corporate manslaughter3 in
Inghilterra.
Quanto agli enti pubblici territoriali, esiste una tendenza, soprattutto nelle legi-
slazioni più recenti, a indicare in modo espresso se e in che misura essi siano desti-
natari della responsabilità penale. Nel codice penale francese del 1994, ad esempio,
si limita la responsabilità di tali enti alle attività suscettibili di delega ai privati4 e in
1
  Si ricordano al riguardo le previsioni espresse contenute nel codice penale francese, analizzate nel
capitolo 3, e nel codice penale belga, su cui si veda capitolo 4, nonché in Italia nel d.lgs. 231/2001, su
cui veda capitolo 7.
2
  In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione olandese nel caso Volkel in cui l’azione penale nei
confronti dello Stato è stata dichiarata improcedibile (si veda in particolare, il capitolo 2, paragrafo
2.16.).
3
  Si veda, in particolare, il capitolo 5, paragrafo 6.
4
  Per un’analisi delle limitazioni previste nel codice penale francese, si rinvia al capitolo 3.
318 E. Pavanello

quello belga del 19995, dopo aver stabilito che, in linea di principio, la responsa-
bilità penale delle persone giuridiche concerne tutti gli enti vengono introdotte, di
fatto, una serie ampia di eccezioni. Esse garantiscono, in misura maggiore o mino-
re, che gli enti pubblici siano esonerati dalla responsabilità penale. Si tratta di un
dato interessante, perché le dichiarazioni concernenti l’ambito di applicabilità della
norma parrebbero costituire implicite ammissioni del fatto che anche le persone
giuridiche pubbliche menzionate delinquono e vi sono ragioni (di opportunità o di
sostanza) che inducono ad escluderle dalla responsabilità penale.
Laddove il legislatore non è intervenuto in modo espresso, la giurisprudenza ha
provveduto, in ogni caso, a chiarire che non tutti gli enti pubblici possono essere
perseguiti penalmente: è questo, ad esempio, ciò che è avvenuto in Olanda, ove il
codice penale non contiene alcuna indicazione specifica con riferimento alla re-
sponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Ciò nonostante,
la prassi giurisprudenziale ha stabilito che taluni enti pubblici possono essere re-
sponsabili penalmente qualora l’illecito sia stato commesso nell’esercizio di funzioni
non pubbliche (che le sentenze hanno progressivamente tentato di individuare).
Tali pronunce hanno indicato inoltre i criteri in base ai quali le persone giuridiche
possono essere perseguite, individuando un «sistema» di responsabilità definito che
impone al giudice penale di valutare sempre l’opportunità di procedere nei con-
fronti dell’ente pubblico, verificando in particolare se siano applicabili le cause di
giustificazione dell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dovere, e di appli-
care in caso di condanna la sanzione più adatta alle peculiare natura pubblica della
persona giuridica6.
Scelta parzialmente diversa è stata effettuata nell’ordinamento italiano, in cui
sono stati esclusi tutti gli enti pubblici, a eccezione di quelli economici. L’opzione
riecheggia, per certi versi, il sistema di responsabilità degli enti previsto nell’ordi-
namento inglese laddove la Corona (e tutti gli organi che ad essa sono equiparati) è
stata tradizionalmente esclusa dalla responsabilità perché non può compiere alcun
male: qui il problema concerne come visto non tanto e non solo la sua punibilità,
ma addirittura la possibilità che le norme (non solo penali) trovino applicazione
nei suoi confronti. Si pone in sostanza il problema dell’applicabilità delle norme al
Sovrano-Stato, il quale risulta in tal modo legibus solutus7.
Peculiare la situazione nell’ordinamento americano: mentre in un passato non
troppo lontano le persone giuridiche di diritto pubblico (o meglio gli enti territo-
riali diversi dallo Stato) venivano perseguite sulla base della state law, oggi la giuri-
5
  Si veda, in particolare, sul punto quanto indicato al capitolo 4.
6
  Si rinvia sul punto al capitolo 2, paragrafo 2.6.
7
  Si rinvia al riguardo al capitolo 5, paragrafo 5.4.
Profili comparati 319

sprudenza, salvo alcuni limitati casi, tende ad escluderne la responsabilità sotto il


profilo penale8.
Il primo elemento su cui riflettere è, dunque, che esistono delle limitazioni –
che nel caso italiano si traducono in una pressoché generalizzata immunità – con
riferimento all’applicabilità alle persone giuridiche di diritto pubblico della respon-
sabilità penale, limitazioni che sono state introdotte per via legislativa o giurispru-
denziale.
La seconda circostanza su cui interessa porre l’accento è data dai criteri in base ai
quali viene operata la distinzione tra enti pubblici responsabili e non. Normalmen-
te, accanto ad un criterio di carattere prettamente «formale» (alla stregua del quale
sono esclusi dalla responsabilità lo Stato e gli enti pubblici territoriali tassativamente
individuati), convive un criterio «sostanziale», in base al quale tra gli enti pubblici
occorre operare una verifica atta a determinare l’attività nell’ambito della quale l’il-
lecito è stato commesso.
Nell’ordinamento olandese, ad esempio, un ente pubblico tra quelli elencati nel
capitolo 7 della Costituzione, ovvero le Province, i Comuni, gli enti preposti alla
cura delle acque (criterio formale) è escluso dalla responsabilità penale nella misura
in cui svolge un’attività «esclusiva», che non può essere posta in essere da persone
giuridiche di diritto privato. La ratio della delimitazione sta in ciò: poiché l’esercizio
di tale attività è per legge demandata in via esclusiva a un ente pubblico – tant’è
che la stessa non può essere delegata ai privati – essa viene considerata immune9.
Analogamente, il legislatore francese, dopo aver escluso espressamente lo Stato
(criterio formale) dal novero dei soggetti responsabili, ha previsto con riferimento
agli enti pubblici territoriali che la responsabilità sia esclusa per le attività che non
possono essere delegate ai privati (criterio sostanziale). La nozione cui fa riferimento
il legislatore francese è foriera di molti dubbi a livello interpretativo, poiché non
è dato comprendere se – al fine di determinare quando l’attività delegata presenti
o meno prerogative pubblicistiche il cui esercizio legittima la sua immunità – la
nozione di delega di attività sia quella conosciuta in diritto amministrativo o se,
piuttosto, il giudice penale debba autonomamente «coniare» un concetto penalisti-
co di delega10.
I criteri formale e sostanziale indicati convivono nell’ordinamento belga in cui
l’elencazione degli enti esclusi dal novero dei soggetti responsabili (in sostanza tutti
gli enti pubblici territoriali) è giustificata, come si evince dalla Relazione accompa-
gnatoria alla legge, dal fatto che essi dispongono di un organo direttamente eletto
8
  Per l’analisi dell’evoluzione del sistema di responsabilità degli enti decentrati negli Stati Uniti, si
confronti il capitolo 6, paragrafo 6.2.
9
   Il riferimento va ai criteri indicati nella sentenza Pikmeer ii, su cui si veda il capitolo 2, paragrafo 2.11.
10
   Per le problematiche connesse all’interpretazione del criterio dell’attività delegabile indicato dal
legislatore francese, si veda il capitolo 3, paragrafo 3.9.
320 E. Pavanello

secondo regole democratiche. In altre parole il legislatore ha considerato che trat-


tandosi di enti sottoposti ad un controllo politico, è superfluo l’eventuale controllo
sul loro operato da parte di un giudice penale11.
Anche negli Stati Uniti, per certi versi, nell’ambito del dibattito circa la possi-
bilità di perseguire le municipalities (enti territoriali) secondo la state law (legge dei
singoli Stati federati), si è distinto a seconda del tipo di attività esercitata e del tipo
di funzioni che l’ente pubblico era chiamato a porre in essere mentre ha violato la
legge penale. E ciò proprio perché occorrerebbe garantire agli enti pubblici territo-
riali un grado di immunità nell’esercizio di attività che sono coessenziali alla vita
della comunità12.
Dall’analisi di diritto comparato effettuata è possibile concludere che non è suffi-
ciente che l’ente sia pubblico e disponga di personalità giuridica di diritto pubblico
o persegua interessi di carattere generali per escluderlo dal novero dei soggetti re-
sponsabili. Infatti, negli ordinamenti di civil law presi in esame e nell’ordinamento
americano, affinché l’ente pubblico sia esonerato dalla responsabilità penale è ne-
cessario che queste condizioni sussistano contemporaneamente: l’ente deve essere
dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, deve aver agito nel perseguimen-
to di un interesse generale o comunque deve avere svolto una funzione a carattere
eminentemente pubblicistico.
Diversamente, invece, in Italia la semplice qualifica dell’ente come pubblico – al
di là della difficoltà di individuarne con esattezza la nozione – è sufficiente a esclu-
dere la persona giuridica da responsabilità, a prescindere dal tipo di attività esercita-
ta. È pur vero che nella Relazione al decreto è stato chiarito che l’esclusione di tutti
gli enti pubblici non economici è stata dettata più da ragioni di opportunità che di
sostanza: difficile, infatti, sarebbe stato individuare con esattezza gli enti pubblici
che non esercitano pubblici poteri da includere nel novero dei soggetti responsabili.
Si è preferito allora una soluzione «drastica» che, tuttavia, legittima l’idea che l’irre-
sponsabilità rischia di tradursi in un ingiusto privilegio.
Come in Italia, anche in Inghilterra la questione circa la possibilità di perseguire
penalmente un ente della Corona è ancorata alla valutazione della circostanza che
l’ente possa o meno essere classificato come crown body. In caso affermativo, in-
fatti, tale dato è di per sé sufficiente ad escludere qualsiasi vaglio sull’operato della
persona giuridica. Solo il recente Corporate manslaughter Act – che per la prima
volta considera la Corona diretta destinataria del precetto penale – ha previsto che
i Crown bodies possano essere responsabili del reato di omicidio a meno che esso sia
stato commesso nell’esercizio di funzioni pubbliche o di funzioni che possono essere
  Sul punto, si rinvia al capitolo 3.
11

  Per l’analisi dell’ordinamento americano, si rinvia al capitolo 6.


12
Profili comparati 321

esercitate esclusivamente attraverso poteri autoritativi, mostrando così di aderire a


una nozione sostanzialistica13.

1.1. Le critiche avanzate in relazione ai criteri utilizzati per individuare gli enti
pubblici responsabili penalmente diversi dallo Stato.

Sulla validità dei criteri individuati per determinare quando e in che modo l’ente
pubblico decentrato14 sia responsabile penalmente, si può fondatamente affermare
che qualsiasi distinzione porta con sé un margine di «insoddisfazione» e di incertez-
za. Lo studio compiuto ha mostrato, infatti, che i criteri utilizzati molto spesso sono
incoerenti e di difficile applicazione pratica.
Si consideri al riguardo il caso della Francia. Il legislatore – come emerge da una
lettura sistematica delle disposizioni – intendeva garantire la possibilità di persegui-
re gli enti pubblici territoriali qualora questi agissero illecitamente nello svolgimen-
to di attività che anche le persone giuridiche di diritto privato potevano porre in
essere. Tuttavia, di fatto, così non è. Infatti, l’art. 121-2 c.p., salvo volerne dare una
interpretazione estensiva preclusa in ambito penalistico, prevede la responsabilità
degli enti pubblici territoriali per quelle attività che siano suscettibili di delega ai
privati ma non per quelle attività esercitate iure privatorum. Con la conseguenza
che gli enti pubblici territoriali non rispondono penalmente del proprio operato
proprio per le attività di diritto privato. Il che inevitabilmente finisce per prestare il
fianco a critiche in ordine alla violazione del principio di eguaglianza15.
Analogamente avviene in Olanda in cui l’esercizio di una «attività pubblica
esclusiva» − presupposto questo che consente di esimere dalla responsabilità un ente
pubblico − è nozione fortemente criticata dalla dottrina, in ragione delle difficoltà
di individuarne esattamente la nozione16.
I criteri individuati si rifanno spesso a concetti propri del diritto amministrativo
o si riferiscono a nozioni i cui contorni non sono definiti: in mancanza di un’elen-
cazione tassativa di ciò che costituisce attività esclusivamente pubblica o di prero-
gativa pubblica o di attività delegabile, il giudice penale deciderà caso per caso, con
buona pace per il principio di tassatività e per l’efficienza del procedimento penale17.
Quanto alla sostanza dei criteri scelti, la parificazione ente pubblico-ente privato
si basa (quasi) sempre sulla considerazione che l’attività per la quale l’ente pubbli-
13
  Si veda sul punto il capitolo 5, paragrafo 5.8.1.
14
  Per quanto concerne le riflessioni relative allo Stato si veda il paragrafo che segue.
15
  Per l’analisi della dottrina francese che ha rilevato tale incongruenza si rinvia al capitolo 3, paragrafo
3.10.1.
16
  Sul punto, si veda il capitolo 2, paragrafo 12.1.
17
  Particolarmente significativo al riguardo è il caso della Francia ove la prima giurisprudenza ha
322 E. Pavanello

co dovrebbe rispondere penalmente mostra un sostrato economico o comunque è


diretta a fini di lucro e, quindi, non presenta quelle caratteristiche proprie che con-
notano l’attività pubblica, quali l’esercizio di prerogative di carattere pubblicistico.
Questo è uno dei criteri che – almeno formalmente – ha accompagnato anche
il legislatore italiano nell’adozione del d.lgs. 231/2001, il quale ha incluso tra i de-
stinatari della nuova responsabilità gli enti pubblici economici. Tuttavia, come si è
ricordato poco sopra, nella stessa Relazione al decreto il Governo ha ammesso che
detta esclusione non tiene conto della presenza di altri enti pubblici, oltre a quelli
economici, che alla stregua di questo criterio avrebbero dovuto essere sottoposti a
responsabilità (enti pubblici associativi).
Non può sfuggire l’incoerenza di un simile ragionamento nella misura in cui
anche nell’esercizio delle attività economiche l’ente pubblico dovrebbe agire per il
soddisfacimento di interessi collettivi e generali. A ben vedere, quindi, se si afferma
il principio dell’ontologica differenza tra enti pubblici e privati, essa dovrebbe valere
per qualsiasi tipo di attività esercitata dalle persone giuridiche dotate di personalità
giuridica pubblica.
Per quanto riguarda i Paesi di Common Law, in Inghilterra la qualificazione
dell’ente come Crown body è di per sé sufficiente ad esonerarlo da responsabilità
penale. L’approvazione del Corporate manslaughter Act e la sua applicabilità anche ai
crown bodies è particolarmente interessante poiché si tratta di reato che sicuramen-
te non presenta quelle connotazioni tipiche dei reati a finalità economica, propri
dell’impresa.
Anche negli Stati Uniti, il fatto che l’ente sia una municipality o un ente di
diritto pubblico lo esime di per sé dall’applicazione delle norme penali: è pur vero
che nell’ambito della state law si era manifestata la tendenza a distinguere a seconda
della natura dell’attività svolta dall’ente per determinarne la sua sottoposizione al
precetto penale, ma tale tendenza sembra oggi superata nell’ambito della legge fede-
rale che, invece, esclude la responsabilità penale degli enti territoriali18.

dimostrato come i giudici si siano soprattutto concentrati sull’individuazione della nozione di attività
suscettibile di delega, presupposto indefettibile affinché possa essere dichiarata la responsabilità penale
degli enti pubblici territoriali.
18
  Si rinvia sul punto al capitolo 6, paragrafo 6.2.
Profili comparati 323

1.2. L’irresponsabilità penale dello Stato.

Lo Stato è sempre esonerato da qualsiasi forma di responsabilità. Così


espressamente prevedono le legislazioni di Francia19, Belgio20 e Italia21 mentre
nulla dispone l’ordinamento americano, in cui si ritiene comunque esclusa la
responsabilità penale dello Stato in quanto tale.
L’unico caso in cui l’ente statale è stato oggetto di un’azione penale − azione poi
dichiarata improcedibile, nonostante in precedenza lo Stato avesse concluso delle
transazioni che prevedevano il pagamento di sanzioni pecuniarie per le medesime
violazioni della legge sull’ambiente perpetrate22 − si è verificato in Olanda, Paese
che si è rivelato particolarmente «attivo» nella ricerca di un sistema di responsabilità
penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. A tal punto che è stata istituita
anche un’apposita commissione governativa, al fine di vagliare l’opportunità e le
modalità cui dovrebbe essere sottoposta la responsabilità penale di tale ente.
In considerazione della sostanziale immunità concessa allo Stato, sarà interessante
verificare l’esito delle prime applicazioni giurisprudenziali in relazione al reato di
corporate manslaughter, in cui soggetti attivi possono essere anche gli enti della
Corona.
Elemento di particolare interesse è anche il fatto che in due Paesi diversi, e
cioè Olanda e Inghilterra, è stato fatto un richiamo alla giurisprudenza della
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e, in particolare, agli articoli 2, che tutela il
diritto alla vita, 13, che mira a garantire rimedi effettivi per la violazione dei diritti
riconosciuti, e 14, che tutela il godimento di diritti e libertà, così come hanno
trovato applicazione nel caso Öneryildiz v Turchia23. Tale riferimento, per certi versi
e secondo l’interpretazione che ne è stata data dagli studiosi dei Paesi citati, potrebbe
costituire uno dei fondamenti che imporrebbe la responsabilità penale degli enti
pubblici. Sebbene in quel caso la Corte Europea non abbia preso in considerazione
in modo specifico la possibilità di procedere penalmente nei confronti dello Stato
o di altri enti pubblici, tuttavia, la pronuncia ha statuito un importante principio,
ovvero la necessità di garantire mezzi di tutela adeguati ed effettivi al cittadino.
19
  Art. 121-2 c.p.
20
  Art. 5 c.p.
21
  Art. 1, comma 3, d.lgs. 231/2001. analogamente anche l’art. 191 c.p. rumeno, introdotto con la l.
278/2006.
22
  Sul punto, si rinvia al capitolo 2, paragrafo 2.16.1.
23
  cedh, Öneryildiz v Turchia, no. 48939/1999. La dottrina olandese ha, in particolare, effettuato tale
richiamo nel commentare i casi di Enschede e Volendam (su cui si rimanda al capitolo 2, paragrafo
2.22), mentre in Inghilterra è stato il Centre for Corporate Accountability’s nell’analisi del Draft Bill sul
reato di corporate manslaughter per l’introduzione del reato di corporate manslaughter ad invocare tale
precedente giurisprudenziale (su cui si veda il capitolo 5, paragrafo 5.9).
324 E. Pavanello

Detti mezzi di tutela dovranno essere anche di carattere penale e, al limite, diretti
nei confronti degli enti pubblici.
Sembra militare, invece, in senso contrario ai principi sin qui richiamati il fatto
che la Corte Costituzionale belga, chiamata a valutare la legittimità della norma che
esclude gli enti pubblici territoriali dal novero dei soggetti responsabili, ha ritenuto
che non sia contrario al principio di eguaglianza il fatto che il legislatore preveda
diversi regimi di responsabilità, a seconda della natura pubblica o privata dell’ente24.

2. La tensione tra responsabilità politica e responsabilità penale degli enti pubblici.

Alla stregua delle indicazioni provenienti dalle esperienze degli ordinamenti stra-
nieri, è possibile affermare che la responsabilità penale delle persone giuridiche di
diritto pubblico, e in particolare dello Stato, non è disgiunta da valutazioni di carat-
tere più propriamente politico.
Il caso belga è esemplificativo al riguardo. Le esclusioni previste nella legge
del 1999 sono giustificate per la presenza di un organo democraticamente eletto
nell’ambito delle persone giuridiche di diritto pubblico e quindi un controllo sul
piano politico esclude la possibilità di un controllo penale. A tal punto che anche la
Corte Costituzionale chiamata a vagliare la legittimità sotto il profilo del principio
di eguaglianza delle scelte effettuate dal legislatore si limita a richiamare il principio
suddetto, indicando che in virtù della missione essenzialmente politica perseguita dal-
le persone giuridiche di diritto pubblico, l’immunità concessa è giustificata, vieppiù
laddove si consideri che esse sono ontologicamente diverse rispetto agli enti di di-
ritto privato25.
Non è questo l’unico ordinamento in cui il richiamo alla politica è espressa-
mente effettuato: si pensi, ad esempio, all’ordinamento olandese in cui la dottrina,
smentita peraltro dalle più recenti pronunce giurisprudenziali, ha affermato a più
riprese l’impossibilità di sovrapporre le due tipologie di controlli, politico e pe-
nale26. Sebbene si tratti di controlli che hanno natura, oggetto e finalità diversi,
sembrerebbe affermarsi che il mandato ricevuto dai cittadini rende liberi gli enti
pubblici anche di delinquere.
L’asserita incompatibilità delle sanzioni politiche e penali è poco convincente
anche in considerazione del fatto che le persone fisiche che agiscono per conto delle
persone giuridiche di diritto pubblico sono perseguibili penalmente, salvi i casi di
immunità che mirano a garantire la tutela della funzione. Inoltre, si profila il rischio
24
 Cfr. in particolare, Cour d’Arbitrage, 10 luglio 2002, n. 128 e 12 gennaio 2005, n. 8. Per il commento
alle decisioni citate, si veda il capitolo 4, paragrafo 4.8.
25
  Capitolo 4, paragrafo 4.8.
26
  L’analisi della dottrina olandese citata è stata effettuata al capitolo 2, paragrafo 2.7.8.
Profili comparati 325

che, a fronte di un’attività delittuosa dell’ente, in cui sia tuttavia difficile individuare
le responsabilità dei singoli l’uomo politico rimanga incensurato e nel contempo
l’ente collettivo non venga perseguito penalmente.
A dimostrazione della stretta correlazione tra politica e diritto penale, si pone
anche il rapporto Massot27, documento elaborato nel 2000 dal Groupe d’étude sur la
responsabilité des décideurs publics, istituito su iniziativa del Governo francese, con
l’obiettivo di «rechercher des remèdes au malaise de nombreux décideurs publics, élus
ou fonctionnaires, face à ce qu’ils ressentent comme une pénalisation croissante et injuste
de leur responsabilité». Il Governo francese intendeva in particolare esaminare i pos-
sibili rimedi per far fronte a una eccessiva penalizzazione dell’attività politica dei
singoli rappresentanti che aveva condotto a una sostanziale paralisi dell’attività di
tali rappresentanti. Il rapporto analizza innanzitutto le possibili cause dell’eccessiva
«pressione» che il sistema penale esercita sui rappresentanti politici e sui funzionari
pubblici, individuando le ragioni nella necessità di una ricerca sistematica di un
colpevole da parte delle vittime, nel costante aumento delle ipotesi in cui viene in
rilievo la responsabilità penale di detti soggetti e nel sistema di responsabilità ammi-
nistrativa che instilla il senso della progressiva deresponsabilizzazione dei funzionari
a profitto di un’area più ampia di responsabilità dell’amministrazione. E proprio il
gruppo di studio propone quale «rimedio« l’estensione – in taluni casi – della re-
sponsabilità penale degli enti pubblici decentrati e addirittura la previsione di una
responsabilità penale dello Stato.

3. Le argomentazioni avanzate contro la configurazione di una responsabilità penale


degli enti pubblici.

Diverse sono state le argomentazioni addotte a sostegno dell’impossibilità di


perseguire penalmente gli enti pubblici, decentrati e Stato28. Esse sono riconducibili
a tre grandi «filoni»: la teoria del potere sovrano (cui è correlato l’esercizio di
prerogative pubblicistiche), le difficoltà procedurali connesse alla possibilità di
mettere sul banco degli imputati un ente pubblico e l’aspetto sanzionatorio.
L’argomento della sovranità che in più di un’occasione è stato avanzato dalla
dottrina in tutti gli ordinamenti analizzati, incluso l’Italia, parte dal presupposto che
esista un rapporto di sovraordinazione che pone gli enti pubblici in una posizione di
superiorità rispetto agli enti privati. E ciò porta con sé due considerazioni: ovvero,
il pubblico agisce per il perseguimento di finalità di interesse generale cui non può
sottrarsi e dispone di poteri e di prerogative che nessun altro ente ha a disposizione.
  Per l’analisi del quale si rinvia al capitolo 3, paragrafo 3.14.
27

 La possibilità, invece, di perseguire società pubbliche che agiscono nel mercato e che, quindi, per certi
28

versi sono in tutto e per tutto equiparabili agli enti privati non è sostanzialmente messa in discussione.
326 E. Pavanello

Al riguardo si ritiene opportuno richiamare quanto esposto in precedenza: il


concetto di sovranità, che oggi sta subendo un progressivo declino29, di per se solo
non pare sufficiente ad escludere a priori la responsabilità penale dello Stato e, in
generale, degli enti pubblici. Occorrerebbe piuttosto ammettere che anche lo Stato
nello svolgimento della propria attività è soggetto di diritto e, in quanto tale, deve
rispettarne limiti e contenuti.
Quanto alla considerazione che nello svolgimento della propria attività l’ente
pubblico persegua un interesse generale, nemmeno questo elemento sembra di per se
solo in grado di giustificare un’immunità assoluta dell’ente.
Tra le diverse argomentazioni che ostacolerebbero la possibilità di perseguire un
ente pubblico va menzionata poi la difficoltà, da un punto di vista procedurale, di
esercitare l’azione penale in ragione dell’asserita identità tra organo procedente e
imputato. L’argomentazione viene invocata in particolare con riferimento allo Stato,
laddove il pubblico ministero, organo dello Stato, dovrebbe perseguire un’altra
componente dello stesso Stato. Sembra sin troppo semplicistico scegliere questa via
per precludere un giudizio penale che vedrebbe è vero contrapposti organi dello
Stato, ma espressione di diversi poteri.
È comunque l’aspetto sanzionatorio a destare le maggiori preoccupazioni
poiché la sanzione pecuniaria applicabile agli enti pubblici decentrati e allo Stato
comporterebbe dei costi notevoli, non sortirebbe alcun effetto e, addirittura, potrebbe
rivelarsi controproducente. Infatti, i cittadini ne pagherebberro le conseguenze e non
ne trarrebbero vantaggio in quanto la funzione della sanzione inflitta non sarebbe
di carattere risarcitorio quanto piuttosto di carattere punitivo tout court. Quale
dunque la necessità di instaurare un regime di responsabilità che potrebbe addirittura
rivelarsi dannoso per i cittadini? Sul punto, se si può concordare con l’impossibilità
di applicare la sanzione della dissoluzione della persona giuridica agli enti pubblici,
non è invece pacifico che esistano ostacoli insuperabili all’applicazione di sanzioni
pecuniarie, cui Stato ed enti pubblici decentrati vengono condannati sia in ambito
civile che amministrativo.
L’analisi della situazione in altri Paesi offre indicazioni circa l’esistenza di diversi
fondamenti per escludere la responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico
e soprattutto dello Stato ma nessuno di questi pare realmente decisivo. Piuttosto, si
ha la fondata percezione che considerazioni di carattere politico abbiano avuto la
meglio.
Vi è da considerare però che l’irresponsabilità penale di taluni enti rischia di violare
il principio di eguaglianza, soprattutto quando ciò si traduce in una mancanza
  Sul punto si vedano le riflessioni già formulate al capitolo 1.
29
Profili comparati 327

di responsabilità anche per le persone fisiche che sono alle dipendenze degli enti
pubblici30.

4. Sulla possibilità e sull’opportunità di configurare un sistema di responsabilità penale


degli enti pubblici alla luce delle indicazioni di diritto comparato.

Dall’analisi comparata svolta emergono delle indicazioni in relazione


all’opportunità di prevedere un sistema di responsabilità per gli enti pubblici.
Numerose sono state le sollecitazioni avanzate da quella dottrina straniera che
ha considerato la previsione di una forma di immunità per gli enti pubblici come
un odioso privilegio. Gli studiosi hanno in taluni casi constatato che l’esclusione
di tali soggetti costituisce una violazione del principio di eguaglianza, mostrandosi
favorevoli all’estensione della responsabilità anche in relazione agli enti pubblici
territoriali, senza necessità di distinguere a seconda dell’attività svolta (e cioè che essa
sia esclusivamente pubblica o delegabile a terzi). Le esperienze di diritto comparato
mostrano infatti che il contenzioso legato alla definizione delle diverse attività e alla
loro classificazione rischia di essere smisurato.
La questione andrebbe più che altro risolta sul versante sanzionatorio, mediante
la previsione di pene ad hoc per gli enti pubblici o l’esclusione dell’applicazione
di talune sanzioni a questi ultimi. Così già avviene nell’ordinamento francese,
laddove è previsto che non siano applicabili agli enti pubblici territoriali la pena
della dissoluzione e della sottoposizione a sorveglianza giudiziaria, sanzione
quest’ultima esclusa proprio per evitare un’indebita ingerenza del potere giudiziario
nell’amministrazione della cosa pubblica.
Quanto alla necessità di escludere alcuni enti dall’applicazione della responsabilità
è evidente che sarebbe auspicabile un intervento legislativo per determinare
esattamente i soggetti esclusi.
La dottrina, in generale, si è mostrata invece più restia ad ammettere la
configurabilità di una responsabilità penale dello Stato. E ciò, non tanto per la
difficoltà di configurare un sistema che consenta di stabilire quale persona fisica
all’interno della complessa struttura statale sia in grado di impegnare la responsabilità
dell’ente in generale, quanto piuttosto in ragione del principio di sovranità e
dell’asserita inutilità di un’eventuale sanzione inflitta.

 Il riferimento va all’ordinamento olandese e all’impossibilità di perseguire i dirigenti di fatto e coloro


30

che hanno dato l’ordine quando non sia possibile perseguire la persona giuridica. Sul punto, si veda il
capitolo 2, paragrafo 2.6.6.
328 E. Pavanello

5. Verso un possibile modello di responsabilità penale degli enti pubblici? Considerazioni


conclusive.

Al fine di circoscrivere la responsabilità degli enti di diritto pubblico sono state


previste disposizioni specifiche a livello legislativo o sono state introdotte limitazioni
per via giurisprudenziale. Da constatare, peraltro, come a differenza degli altri paesi
esaminati, in cui le scelte effettuate sono state sottoposte a vaglio critico, in Italia
solo poche e isolate voci hanno evidenziato l’incoerenza di un sistema di sostanziale
irresponsabilità degli enti pubblici.
Le limitazioni esaminate paiono espressione di un convincimento radicato, in
base al quale le persone giuridiche di diritto pubblico, perseguendo in varia misura
interessi di carattere pubblico-generale ed essendo in taluni casi di diretta elezione
popolare, non possono essere punite e, quindi, fondatamente, godono di una
sostanziale immunità. I tentativi dei legislatori di delimitare la responsabilità penale
delle persone giuridiche di diritto pubblico ai soli atti che involgono attività di
non stretta rilevanza pubblicistica, sono stati fortemente criticati dalla dottrina in
quanto hanno svelato sistemi incoerenti e forieri di problematiche interpretative.
Se si ritiene che un’esclusione acritica e indifferenziata come quella operata dal
legislatore italiano non sia condivisibile, occorre chiedersi se sia opportuno pensare
a un sistema di responsabilità degli enti pubblici. Infatti, è indubbio che una estesa e
generalizzata immunità rischia di tradursi in un odioso privilegio. Potrebbe valutarsi
tuttavia l’ipotesi di esonerare dalla responsabilità gli enti nello svolgimento di talune
limitate funzioni, come ad esempio quella giurisdizionale e non invece, come ha
fatto il Governo, per tutte quelle attività che implicano l’esercizio di pubblici poteri.
Laddove l’ente pubblico abbia commesso un illecito nello svolgimento di funzione
che implica l’esercizio di pubblici poteri, sarebbe opportuno demandare a un organo
terzo e imparziale la valutazione circa la opportunità di perseguire l’ente.
Quanto all’individuazione di un modello di responsabilità «congruo» si riterrebbe
utile, analogamente a quando indicato dalla Commissione olandese31, attribuire
soggettività giuridica alle singole entità che agiscono all’interno dell’organizzazione
statale, a condizione che le stesse siano dotate di una indipendenza «esterna».
Una volta individuato il soggetto attivo Stato nei termini sopra indicati, sarà
determinante enucleare criteri congrui di attribuzione della responsabilità. Detti
criteri non potranno essere l’aver agito nell’interesse o vantaggio dell’ente, quanto
piuttosto l’aver operato per suo conto, poiché ciò pare rispondere alla logica che
giustifica la previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche di
diritto privato. Quanto poi alle preoccupazioni espresse in relazione alla possibile
lesione di interessi di carattere generale perseguiti dagli enti, l’ostacolo potrebbe
 Per l’analisi del rapporto adottato dalla Commissione Roelvink si rinvia al capitolo 2, paragrafo 2.20.
31
Profili comparati 329

essere superato facendo ricorso alle scriminanti dell’adempimento del dovere o


dell’esercizio del diritto. Ciò consentirebbe di contemperare i diversi interessi in
gioco e di salvaguardare la «suprema ragion di Stato» ove necessario.
C’è poi un dato su cui è opportuno riflettere, ovvero che proprio l’accertamento
della responsabilità nel procedimento penale è fonte di garanzia per l’ente, il quale
vedrebbe riconosciuta la propria responsabilità a fronte dell’accertamento di precisi
presupposti tassativamente individuati dalla legge. A differenza di quanto avviene
ad esempio in Italia con le sanzioni politiche nei confronti di alcuni enti pubblici
– sanzioni che conducono allo scioglimento dell’ente stesso – la sanzione penale
avrebbe il pregio di essere correlata all’individuazione di presupposti di fatto e di
diritto tassativamente indicati.
Per ciò che concerne le sanzioni, quella pecuniaria potrebbe, da un certo punto
di vista, rivelarsi controproducente, anche se potrebbero essere previste pene
alternative, quali la pubblicazione della sentenza di condanna in grado comunque
di dare un segnale ben preciso di rimproverabilità del fatto.
Diverso il discorso, invece, per gli «altri» enti pubblici. Dall’analisi di
diritto comparato emerge che gli enti pubblici che non possono considerarsi
immediatamente parte della pubblica amministrazione in senso stretto, quali le
società pubbliche, sono tendenzialmente inclusi nel novero dei soggetti penalmente
responsabili.
Nell’ordinamento italiano vi è un numero elevato di enti pubblici «altri» che
giocano un ruolo di rilievo nell’ambito economico-sociale. Il riferimento va alle
numerose aziende municipalizzate, alle Aziende Sanitarie e alle Università che,
sempre più, sono informate nella loro struttura e azione a criteri di economicità pur
erogando pubblici servizi, nonché al magmatico universo delle società pubbliche,
che ripetono schemi propri del diritto privato. In questo caso è da ritenere che
la responsabilità dovrebbe essere prevista al pari degli enti di diritto privato, fatta
salva l’eventuale applicazione delle cause di giustificazione dell’adempimento del
dovere o dell’esercizio del diritto e di eventuali accorgimenti da un punto di vista
sanzionatorio. Non è un caso che le Asl della Lombardia abbiano deciso di dotarsi
dei modelli organizzativi, anche se il d.lgs. 231/2001 li esclude espressamente dalla
responsabilità32.
Se dunque è certo che un sistema di responsabilità penale degli enti pubblici
dovrebbe essere modulato in modo da garantire il perseguimento degli interessi
pubblici di carattere generale, magari mediante la delimitazione delle attività
punibili e l’applicazione di sanzioni ad hoc (prevedendo, ad esempio, l’esclusione di
32
  Si vedano i riferimenti nel cap. 1 e 7.
talune sanzioni interdittive), è pure certo che dette delimitazioni dovrebbero essere
attentamente vagliate, al fine di evitare difficoltà interpretative.
Le esperienze degli ordinamenti stranieri sin qui esaminate hanno mostrato
come, talvolta, nonostante fosse chiara la volontà del legislatore di non punire gli enti
pubblici proprio in relazione a quelle attività «pubbliche» coessenziali alla vita della
stessa comunità, all’atto pratico i criteri indicati per operare il discrimine tra attività,
punibili e non, si siano rivelati incoerenti. Ciò che ovviamente contrasta con il principio
di legalità e certezza che dovrebbe presiedere all’applicazione del diritto penale.
É da ritenere che, in ogni caso, il sistema di responsabilità amministrativo-
penale predisposto dal legislatore italiano dovrebbe essere rivisto, poiché, allo
stato attuale, molte sono le incoerenze che esso rivela sul versante pubblicistico e
numerose sono le obiezioni che possono essere avanzate in relazione all’opportunità
di una scelta restrittiva di applicazione dello stesso, soprattutto con riferimento
a quegli enti pubblici diversi da Stato ed enti territoriali, la cui qualificazione in
senso pubblicistico è incerta e suscettibile di modifiche. Cosicché, con riferimento
a questi ultimi è difficile credere davvero che esistano delle ragioni di «sostanza» che
legittimano una loro esclusione dal novero dei soggetti responsabili.
333

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FRANCIA (capitolo 3)

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BELGIO (capitolo 4)

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ITALIA (capitolo 7)

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costituzionale», 1994, p. 3829.
Corte di Cassazione, sentenza 6 febbraio 1997 pubblicata in «Diritto penale e
processo», 1997, 12, p. 1478 ss., con nota di G. Viciconte.
Consiglio di Stato, sez. vi, sentenza 28 ottobre 1998, n. 1478, in «Foro Italiano»,
1999, iii, col. 178.
Consiglio di Stato, sez. v, sentenza 25 giugno 2002, n. 3448, in «Diritto e giustizia»,
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368

Tar Friuli Venezia Giulia, 22 aprile 2003, n. 159.


G.i.p. Salerno, ordinanza 28 marzo 2003, in «Cassazione penale», 2004, sub 114, p.
267, con nota di G. Fidelbo.
Corte di Cassazione, sentenza 3 marzo 2004, n. 18941, pubblicata in «Cassazione
penale», 2004, p. 4046 ss.
Tribunale di Milano, sez. xi, ordinanza 14 dicembre 2004, in «Foro Italiano», 2005,
ii, col. 527.
Cassazione civile, sezioni Unite, sentenza 3 maggio 2005, n. 9096, in «Foro Italiano»,
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G.i.p. Bari, ordinanza 18 aprile 2005, in «Le società», 3, 2006, p. 365 ss., con nota
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