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In copertina: Calcografia dal front. di: Philippi Mariae Renazzi ... Elementa juris criminalis liber I. [-IV.]
... - Editio quarta Italica. - Senis : ex typographia Aloysii, et Benedicti Bindi, 1794. - 4 v. - 8° [F.A. 130
/1-4]. Posseduto dall'Università di Modena e Reggio Emilia - Biblioteca universitaria di area giuridica.
ISBN 978-88-97385-04-2
Stampato per conto della casa editrice dell’Università di Padova - Padova University Press
nel mese di luglio 2011.
Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo
(comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati.
Elisa Pavanello
Capitolo 1
Profili del problema della punizione del sovrano
Capitolo 2
La responsabilità penale delle persone giuriche di diritto pubblico nell’ordinamento olandese
9. Le linee guida adottate dai pubblici ministeri sulla perseguibilità degli enti
pubblici decentrati: diritto penale come ultimo rimedio 62
13. Le reazioni positive del Governo alle nuove indicazioni della giurisprudenza.
La posizione del Consiglio di Stato sull’impossibilità di perseguire gli enti
pubblici decentrati. La ribadita necessità da parte dei pubblici ministeri di
utilizzare lo strumento penale nei confronti degli enti pubblici decentrati solo
come extrema ratio. 73
15. La conferma del principio dell’immunità penale concessa agli enti pubblici
decentrati che hanno commesso l’illecito penale nell’ambito di un’attività
pubblica di esclusiva competenza dei pubblici funzionari nella giurisprudenza
successiva al caso Pikmeer ii 76
24. Verso una modifica del codice penale olandese sulla responsabilità penale
di enti pubblici decentrati e Stato? 102
Capitolo 3
La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento francese
10. L’azione da parte del rappresentante o dell’organo, per conto della persona
giuridica: aspetti peculiari connessi alla natura pubblica dei soggetti 138
15. Le posizioni critiche della dottrina sulla responsabilità penale delle persone
giuridiche di diritto pubblico 154
15.1. Gli argomenti addotti contro la responsabilità penale delle persone
giuridiche di diritto pubblico: il perseguimento dell’interesse pubblico e la
dannosità dell’applicazione della sanzione pecuniaria. Critiche 155
15.2. L’asserita violazione del principio di separazione dei poteri:
l’impossibilità per il giudice penale di vagliare la legittimità dell’azione
amministrativa. Critiche 157
15.3. La violazione del principio della competenza esclusiva del giudice
amministrativo a conoscere dell’azione civile di risarcimento del danno 158
15.4. Il rischio di un’eccessiva penalizzazione dell’azione amministrativa.
Critiche 159
15.5. Gli argomenti addotti a favore della responsabilità penale. La
necessità di garantire il principio di eguaglianza 161
15.6. La necessità di far fronte alla crescente penalizzazione dell’attività dei
rappresentanti politici locali. La connessione esistente tra responsabilità
individuale dei politici e collettiva dell’ente pubblico cui appartengono 163
16. Istituzione di una Commissione ad hoc per lo studio delle cause e dei
rimedi da adottare per limitare il fenomeno della crescente penalizzazione
dell’attività dei politici locali e dei funzionari pubblici 165
16.1. Analisi critica da parte della Commissione degli argomenti addotti
a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto
pubblico. Affermazione dell’inesistenza di ragioni di carattere sostanziale
che impongano di escludere tale forma di responsabilità. 166
16.2. Proposte di estensione della responsabilità penale allo Stato e alle
collettività territoriali anche nell’ipotesi di attività di servizio pubblico
non delegabile 168
20. Gli argomenti addotti dalla dottrina contro la perseguibilità dello Stato.
La titolarità della potestà penale 177
20.1. Il contrasto tra responsabilità penale e il principio della sovranità
dello Stato. Critiche 178
20.2. La ripercussione della sanzione pecuniaria inflitta sui cittadini 180
Capitolo 4
La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento belga
9. Conclusioni 215
Capitolo 5
La responsabilità penale della corona in Inghilterra
Capitolo 6
La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico negli Stati Uniti
2. La responsabilità penale degli enti locali: dalle origini ai giorni nostri 253
2.1. La responsabilità penale degli enti territoriali nella legge federale 256
4. Conclusioni 263
Capitolo 7
La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico nell’ordinamento italiano
4. L’esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti che
svolgono funzioni costituzionali 284
6. L’applicazione del decreto agli enti pubblici economici e agli enti privati di
interesse pubblico 293
Capitolo 8
Profili comparati
Bibliografia 333
1
Capitolo 1
Il tempo nel quale viviamo potrebbe essere chiamato il tempo delle imprese1, tale
è il potere non solo economico di cui le stesse dispongono. Un potere che mira ad
assicurare il primato dell’economia e condiziona lo stesso potere politico2, a tal punto
da ergersi sopra la tradizionale sovranità statale, influenzando financo la potestà
sovranazionale3.
L’accresciuto ruolo delle imprese si è manifestato anche nel progressivo aumento
della loro «capacità a delinquere» e ha svelato l’inadeguatezza di un diritto penale
rivolto esclusivamente all’individuo4. La frequente intercambiabilità dei dipendenti,
1
F. Benvenuti, Dalla sovranità dello Stato alla sovranità dell’ordinamento, in «Jus», 1995, p. 199.
2
P. Patrono, Diritto penale dell’impresa e interessi umani fondamentali, cedam, Padova 1993, p. 16;
V. Plantamura, Diritto penale ed economia pubblica: tra esigenze di determinatezza e nuove prospettive
di tutela, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 2007, p. 787 parla espressamente di
commistione tra potere politico ed economico.
3
K. Tiedemann, Wirtschaftsstrafrecht und wirtschaftskriminalität, Allgemeiner Teil, Reibek bei Hamburg
1976, p. 24.
4
C. De Maglie, L’etica e il mercato, Giuffré, Milano 2002, p. 1 e F. Giunta, Apertura dei lavori, in
2 E. Pavanello
introdotto una responsabilità (formalmente) amministrativa degli enti per alcuni reati
tassativamente individuati, responsabilità che ha visto progressivamente incrementare
il numero delle fattispecie cui è connessa12. Si tratta di una riforma reputata, molto
significativamente, «improcrastinabile» in ragione della constatazione che le principali
e più pericolose manifestazioni di reato sono poste in essere da soggetti a struttura
organizzata e complessa. La nuova disciplina introdotta nel nostro Paese si «allinea» a
una tendenza manifestatasi anche in altri ordinamenti europei che, negli ultimi anni,
hanno introdotto espressamente la responsabilità penale degli enti13.
Il fenomeno della criminalità dell’ente economico è stato oggetto di approfonditi
studi da parte della riflessione scientifica; la dottrina si è preoccupata in particolare di
individuare un modello di responsabilità efficace per (tentare di) porre rimedio alla
criminalità collettiva e ha valutato criticamente la congruità delle scelte operate dai
diversi legislatori14.
Per quanto concerne l’Italia il sistema di responsabilità di cui al d.lgs. 231/2001
àncora l’applicazione di sanzioni fortemente afflittive, quali in particolare quelle in-
delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo
costituzionale». La Relazione al decreto può essere reperita in appendice al testo di S. Gennai, A.
Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, Giuffré, Milano
2001, p. 380.
12
Peraltro, seppure in relazione a fattispecie specifiche, è stato rilevato che il nostro ordinamento
già prevedeva sanzioni amministrative aventi natura schiettamente punitiva comminate a persone
giuridiche direttamente responsabili. È questo il caso dell’art. 31, l. 6 agosto 1990, n. 223 sul sistema
radiotelevisivo pubblico e privato che conferisce al Garante il potere di disporre la sospensione dei
provvedimenti concessivi o autorizzativi o dell’art. 7, l. 17 maggio 1991, n. 157, che conferisce alla
Consob specifici poteri repressivi dell’insider trading. In questo senso, S. Riondato, Il reato, delitto,
contravvenzione, illecito amministrativo, illecito depenalizzato, illecito dell’ente giuridico, in Il reato, opera
diretta da M. Ronco, Zanichelli, Bologna 2007, p. 52.
13
È questo il caso della Francia che con la riforma del codice penale del 1994 ha introdotto la
responsabilità degli enti (sul punto si veda capitolo 3), del Belgio (cfr. capitolo 4) che con la l. n. 60 del
4 maggio del 1999 ha modificato l’art. 5 del c.p. includendo espressamente tra i soggetti responsabili
anche gli enti collettivi e della Romania che con la legge 278/2006 ha introdotto l’art. 19, primo
comma, nel codice penale che disciplina espressamente la responsabilità delle persone giuridiche. La
responsabilità concerne tutte le persone giuridiche con l’eccezione dello Stato, delle autorità pubbliche
e degli istituti pubblici che svolgono funzioni che non possano essere poste in essere da società private,
per i reati commessi nell’interesse o per conto delle persone giuridiche. Per un primo commento si veda
M. Basarab, V. Paşca, G. Mateut, C. Butiuc, Codul penal comentat, vol. iv Partea generalā, Editura
Hamangiu, Bucarest 2007, p. 103 ss.
14
In relazione al d.lgs. 231/2001 numerose le opere monografiche tra cui si segnalano: M. Arena,
G. Cassano, La responsabilità da reato degli enti collettivi, Giuffré, Milano 2007; A. Giarda, E.M.
Mancuso, G. Spangher, G. Varraso, Responsabilità «penale» delle persone giuridiche, ipsoa, Milano 2007;
R. Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, Giuffré, Milano 2006; A. Bassi, T. E. Epidendio,
Enti e responsabilità da reato, Giuffré, Milano 2006; M.A. Pasculli, La responsabilità da reato degli enti
collettivi nell’ordinamento italiano, Cacucci, Bari 2005; G. De Francesco, Reati e responsabilità degli enti,
a cura di G. Lattanzi, Giuffré, Milano 2005; La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia
Profili del problema della punizione del sovrano 5
D’altro canto, anche il diritto comunitario propende nel senso dell’esclusione degli
enti pubblici dal novero dei soggetti collettivi responsabili. Nei diversi documenti
adottati dall’Unione in cui si impone agli Stati di reprimere una determinata
condotta illecita, prevedendo anche nei confronti delle persone giuridiche sanzioni
proporzionate, dissuasive ed efficaci, viene chiarito che la persona giuridica è l’ente
definito tale in forza del diritto nazionale applicabile, a eccezione degli Stati e delle
istituzioni pubbliche nell’esercizio di pubblici poteri18.
Non deve stupire, quindi, che la scelta del legislatore nel d.lgs. 231/2001 di
escludere dal novero dei soggetti responsabili tutti gli enti pubblici, a eccezione
degli enti pubblici economici19, non abbia destato particolari riflessioni da parte
della dottrina, la quale, seppure con diverse sfumature, ha sostanzialmente avallato
la «irresponsabilità» penale degli enti pubblici. I commenti critici si sono per lo più
appuntati sulla congruità del sistema di responsabilità extra codice in relazione ai
criteri individuati per l’attribuzione della condotta all’ente, ovvero la commissione del
reato da parte di un soggetto in posizione apicale o a lui subordinato nell’interesse o a
vantaggio dell’ente.
Eppure, la centralità della questione circa la legittimità di un sistema di responsabilità
differenziato pubblico-privato non può essere sottaciuta, sol che si consideri che lo Stato
nelle sue diverse articolazioni in realtà entra nel traffico dell’economia, ad esempio
attraverso imprese di gestione di servizi pubblici che sono controllate dagli enti locali20,
in cui pubblico e privato convivono. Vi è poi da considerare che, al di là delle attività
economiche poste in essere da taluni enti pubblici di cui si dirà nel prosieguo, è lecito
chiedersi se sia opportuno mantenere una distinzione di trattamento tra enti pubblici
e privati, anche alla luce dell’estensione della responsabilità delle persone giuridiche
regolazione pubblica, in «Diritto e Società», 2000, p. 22, il quale rileva che solo le funzioni legislativa,
giurisdizionale ed esecutivo-amministrativa garantiscono gli aspetti vitali e il funzionamento essenziale
dell’ordinamento nel suo complesso e in quanto tali possono dirsi volte a soddisfare l’interesse pubblico.
Non sarebbe invece corretto qualificare come pubblico qualunque tipo di servizio, a qualsiasi tipo di
settore esso si riferisca, poiché non sempre esso sarà idoneo a soddisfare il conseguimento degli interessi
essenziali e vitali nell’accezione sopra indicata.
18
Si confronti, a titolo esemplificativo, il ii Protocollo della Convenzione ue sulla tutela degli interessi
finanziari comunitari del 1997 il quale esige che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché
le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili di delitti di natura finanziaria, nonché la
decisione quadro 2003/568/Gai del Consiglio dell’Unione sulla lotta contro la corruzione nel settore
privato la quale ugualmente esclude gli enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili.
19
L’art. 1, comma 3, del d.lgs. 231/2001 prevede che le disposizioni relative alla responsabilità degli enti
«non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché
agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale». Già nella legge delega 300/2000 si chiariva che
«per persone giuridiche si intendono gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato e gli altri
enti pubblici che esercitano pubblici poteri» (art. 11, comma 2).
20
Sulla correlazione tra enti pubblici e attività di impresa cfr. V. Domenichelli, L’Amministrazione
pubblica e l’impresa, in «Rivista amministrativa della Repubblica», 2002, ii, p. 1160.
Profili del problema della punizione del sovrano 7
soggetti responsabili degli enti che esercitano pubblici poteri è volta a esimere dalla
responsabilità le singole Pubbliche Amministrazioni dotate di poteri espressione, pare
doversi ritenere, della sovranità33.
Lo Stato esercita la sovranità, attraverso propri organi titolari di funzioni che
promana direttamente dal popolo (art. 1 Cost.). Il cittadino a sua volta esercita la
propria personalità giuridica attraverso meccanismi in grado di rendere effettivo
un rapporto di eguaglianza formale con lo Stato34. Non v’è dubbio che tra i poteri
dello Stato la potestà punitiva rivesta un ruolo preminente, poiché l’ente statale è
il solo competente a esercitare l’azione penale: di qui la constatazione che sarebbe
contraddittorio prevedere un sistema di responsabilità penale dello Stato, poiché «il
titolare della pretesa punitiva non può allo stesso tempo esserne destinatario35».
Storicamente la nozione di sovranità36, intesa quale somma delle potestà pubbli-
che dello Stato che si esercita su di un territorio definito e sul corpo sociale su di esso
stanziato, è stata coniata nel xvi secolo a opera di Bodin37. Da allora la sovranità è
33
Per la disamina del sistema di responsabilità degli enti in Italia si fa rinvio al capitolo 7.
34
G. Berti, Sovranità, in «Jus», 2007, p. 282.
35
M. Ronco, voce Responsabilità delle persone giuridiche, in Enciclopedia Giuridica Treccani, xxvii,
Istituto dell’Enciclopedia Giovanni Treccani, Roma, aggiornamento, 2002, p. 4. Nella definizione di
G. Vassalli, voce Potestà punitiva, in Enciclopedia del diritto, xxxiv, Giuffré, Milano 1985, p. 793, la
potestà punitiva è quel complesso di attribuzioni di contenuto giuridico sostanziale aventi per oggetto
le previsioni di illeciti e di corrispondenti sanzioni punitive, l’accertamento dei presupposti richiesti in
concreto per l’irrogazione di dette sanzioni e l’effettiva loro inflazione, con tutte le sue conseguenze fino
alla fase esecutiva.
36
Sul concetto di sovranità la bibliografia è ampia. Senza pretese di esaustività si confrontino tra gli altri:
D. Quaglioni, La sovranità, Laterza, Roma-Bari 2004 e la bibliografia ivi citata; M. S. Giannini, voce
Sovranità b) diritto vigente, in Enciclopedia del diritto, xliii, 1990, p. 205 ss. e la bibliografia ivi citata.;
N. Matteucci, voce Sovranità, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di Politica,
utet, Torino 1983, p. 1102 ss.; G. Berti, Profili dinamici della sovranità statale, in Studi in onore di
Lorenzo Spinelli, vi, Mucchi, Modena 1989, p. 1283 ss.; L. Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno,
Laterza, Roma-Bari 1997.
37
Jean Bodin è giurista-umanista vissuto tra il 1529 e il 1596 che nella sua opera Six livres de la
République, redatti in francese nel 1576 e rielaborati in latino nel 1586 definisce i concetti di Stato e di
sovranità. Per la traduzione in italiano si veda M. Isnardi Parente, D. Quaglioni, I sei libri dello Stato
di Jean Bodin, utet, Torino 1988. M. S. Giannini, voce Sovranità, cit., p. 225 ricorda che secondo
alcuni storiografi il concetto di sovranità, pur senza che ne apparisse espressamente il nome, fosse stato
teorizzato già in precedenza. Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno, cit., p. 11 ss. ritiene che l’idea
di sovranità nasca innanzitutto nel significato di una sovranità esterna ben prima che sul piano interno
Bodin e Hobbes teorizzassero la sovranità come potere superiore rispetto al quale nessun altro potere è
riconosciuto. Secondo lo studioso, il concetto di sovranità sarebbe attribuibile a Vitoria Francisco Suarez,
Alberico Gentili e altri teorici spagnoli che vi avrebbero fatto riferimento per fornire una legittimazione
alla conquista del Nuovo Mondo all’indomani della sua scoperta. La sovranità troverebbe origine in
esigenze «pratiche» e sarebbe poi articolata attorno a tre «pilastri»: l’ordine mondiale è configurato
come società naturale di Stati sovrani tutti sottoposti al diritto, vi sono una serie di diritti naturali dei
popoli e degli Stati e, infine, la guerra giusta costituirebbe sanzione giuridica delle iniuriae subite. Solo
successivamente si assisterebbe, invece, alla teorizzazione del concetto di sovranità interna.
Profili del problema della punizione del sovrano 11
Anche Hobbes41 ritiene che le leggi imposte da chi governa non possano costituire li-
mite per il governante il quale, altrimenti, auto-obbligherebbe se stesso. L’ente statale
in quanto persona giuridica sarebbe, infatti, titolare di diritti e doveri, al pari di ogni
altro soggetto, e contemporaneamente sarebbe contenuto e fondamento dell’ordina-
mento giuridico. La dicotomia è ben riassunta nel concetto di «uomo artificiale»: da
un lato, infatti, lo Stato in quanto soggetto pubblico è un’essenza separata ed estranea
rispetto ai singoli che lo compongono, l’uomo artificiale appunto; dall’altro, vi sareb-
be un’analogia innegabile tra pubblico e privato, nel senso che lo Stato riprodurrebbe
esattamente la condizione del singolo, della persona (giuridica) privata42.
Sebbene l’idea che lo Stato possa essere paragonato alle altre persone giuridiche
sia a parere di alcuni studiosi criticabile43, è stato affermato che lo Stato-persona po-
litica non può volere l’illecito nell’ordinamento giuridico di cui lo stesso è fautore44.
A parere di Kelsen, in particolare, riconoscere un illecito dello Stato significherebbe
ammettere l’esistenza di una norma giuridica che lo definisce tale, poiché solo la fat-
tispecie fissata dalla norma può essere imputata allo Stato. A differenza degli organi
delle comuni persone giuridiche, i quali possono agire illegalmente in ragione della
funzione rivestita, gli organi dello Stato, nel momento in cui agiscono illecitamente,
si porranno al di fuori dello stesso e non lo rappresenteranno. Se un funzionario
pubblico commette un fatto illecito questo non sarebbe imputabile all’ente statuale,
in quanto
dovendo l’organo esprimere ed attuare la volontà dello Stato, non può aver voluto la vio-
lazione dell’ordinamento giuridico45.
Pertanto,
non può mai essere lo Stato - persona a ledere nel caso concreto il suo obbligo giuridico,
ma sempre soltanto l’organo fisico che, ledendo il suo dovere d’ufficio di realizzare la vo-
lontà dello Stato, la lascia in realtà inadempiuta o agisce contro di essa. Ciò che si verifica
non è illecito dello Stato, ma illecito dell’organo46.
41
Si veda quanto indicato da Quaglioni con riferimento a questi aspetti del pensiero hobbesiano.
Quaglioni, La sovranità, cit., p. 77-78.
42
Cfr. F. Gentile, Il privato e il pubblico, in Intelligenza politica e ragion di Stato, Giuffré, Milano 1984,
p. 12 e ss.
43
O. V. Gierke, Die Genossenschaftstheorie und die deutsche Rechtsprechung, Reprografischer Nachdruck,
Berlino 1887, p. 752.
44
H. Kelsen, L’illecito dello Stato,1913-1914, a cura di A. Abignente, Edizioni Scientifiche italiane,
Napoli 1988, p. 23.
45
Sul punto si veda Loccisano, Esercizio dell’attività legislativa, cit., p. 476 e ss. il quale ripercorre il
pensiero di Kelsen.
46
Kelsen, L’illecito dello Stato, cit., p. 55.
Profili del problema della punizione del sovrano 13
sensi dell’art. 28 Cost. che mira a creare un presidio contro gli abusi e le violazio-
ni poste in essere dai dipendenti e funzionari i quali per il solo fatto che operano
per la collettività non possono sottrarsi al riscontro di legalità del proprio operato53.
Fatta questa precisazione, occorre comunque interrogarsi sulla capacità a delinquere
dell’ente pubblico e sulla necessità o opportunità di garantire il primato dello Stato,
origine del diritto, sullo Stato, soggetto al diritto, in ambito penale. Si tratta della
questione del primato della legittimità sulla legalità54. Affermare a priori l’impos-
sibilità di procedere nei confronti degli enti pubblici, sulla scorta del principio di
sovranità, pare contraddittorio, anche in ragione delle limitazioni che la stessa soffre,
tanto sul piano interno, quanto sul piano esterno.
È indubbio che la sovranità intesa come potere assoluto sia in crisi sul piano
interno ed esterno: un potere illimitato, un sovrano (Stato) che impone la legge ma
non è tenuto a rispettarla non può trovare giustificazione nei moderni Stati di diritto.
La questione della limitazione del potere ha attraversato molti secoli, tant’è che lo
stesso Rousseau aveva affermato che il sovrano è limitato nella misura in cui
ciascun individuo, contrattando, per così dire, con se stesso, si trova obbligato sotto un
duplice rapporto: cioè come membro del corpo sovrano verso i singoli e come membro
dello Stato verso il corpo sovrano. Ma non si può applicare qui il principio del diritto civi-
le per cui nessuno è vincolato dalle obbligazioni contratte con se stesso; perché vi è molta
differenza tra l’obbligarsi verso se stesso e l’obbligarsi verso un tutto di cui si faccia parte55.
sa condurre lo Stato ad esimersi dal rispetto anche delle norme penali. Laddove pro-
gredisce infatti lo spazio di tutela della libertà, dovrebbe contestualmente regredire
l’azione libera e irresponsabile dello Stato66.
Si stentano a comprendere in questa prospettiva le ragioni che, come si vedrà,
hanno indotto il legislatore italiano ad escludere – oltre allo Stato – anche gli «altri»
enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili67, quasi che l’attributo della sovra-
nità ammanti di legittimità l’azione di qualunque ente si fregi della connotazione
pubblicistica. Il ragionamento non pare convincente, soprattutto in considerazione
del fatto che i singoli funzionari pubblici non sono considerati immuni e che, anche
a livello internazionale, l’art. 27 dello Statuto di Roma68 esclude che l’immunità del
singolo possa essere fatta discendere dalla natura pubblica della funzione esercitata.
L’obiezione a più riprese avanzata è che della sovranità elemento costitutivo è la
potestà punitiva69, la quale compete in via esclusiva allo Stato. Laddove si configuras-
se una soggezione penale della persona giuridica Stato, nelle sue varie articolazioni, vi
sarebbe un’indebita sovrapposizione tra chi punisce e chi viene punito. A differenza
che nel diritto internazionale ove esistono norme e strutture sovraordinate allo Stato
che consentono di accertarne l’illecito, a livello interno è lo stesso Stato che pone il
precetto a dover giudicare della sua violazione. Sul punto si ritiene che tale constata-
zione non possa costituire un ostacolo teorico-dogmatico di fondo alla configurazio-
ne della responsabilità, quanto semmai una questione «pratica» che potrebbe essere
risolta prevedendo accorgimenti da un punto di vista procedurale.
Occorre ovviamente capire come nell’ottica dell’affermazione della supremazia
del diritto si possa configurare (e conseguentemente risolvere) la questione
della responsabilità penale dell’ente collettivo pubblico che comporta anche la
configurazione di un modello «adeguato» di responsabilità alla persona giuridica di
diritto pubblico Stato.
Ragionare in termini di sovranità come elemento in grado di escludere la
responsabilità dell’ente pubblico rischia di legittimare un’irresponsabilità allargata
effettive e l’attuazione di un sistema sanzionatorio che consenta di proteggere concretamente il diritto
alla vita. Quanto al sistema sanzionatorio da applicare, la Corte ha ritenuto che in caso di infrazioni
non intenzionali (come nell’ipotesi esaminata) non sempre sarà necessario approntare un sistema penale
di repressione; tuttavia, ove vengano in rilievo attività particolarmente pericolose (quali la gestione di
una discarica) che possono condurre alla morte di taluni soggetti, il ricorso alla via penale è ineludibile.
All’analisi della decisione è dedicato il capitolo 2, paragrafo 23.
66
C. Panzera, La responsabilità del legislatore e la caduta dei miti, in «Politica del diritto», n. 3, settembre
2007, p. 349.
67
Ai sensi dell’art. 1, d.lgs. 231/2001 sono infatti esclusi tutti gli enti pubblici a eccezione degli enti
pubblici economici.
68
Per un commento allo Statuto della Corte Penale Internazionale si veda fra tutti, A. Cassese, P.
Gaeta, John R.W.D. Jones et al., The Rome Statute for an International Criminal Court: a commentary,
Oxford University Press, Oxford 2002.
69
Sul punto si confronti Vassalli, voce Potestà punitiva, cit., p. 793.
18 E. Pavanello
3. Il potere rappresentativo dello Stato quale limite alla sua responsabilità penale.
in cui ancorché sia presente una forma di «controllo» pubblicistico, non è possibile
affermare la loro rappresentatività rispetto alla comunità in cui essi operano76.
4. La tutela della funzione «pubblica» dello Stato e degli enti territoriali. Riflessioni in
ordine all’immunità politica dei singoli e all’irresponsabilità dell’ente.
glianza che pure era stato addotto dai fautori dell’introduzione della responsabilità
penale degli enti pubblici per censurare la scelta del legislatore.
Interesse pubblico vs. interesse privato: il controllo penale rischierebbe, in questa
prospettiva, di nuocere all’intero sistema, anziché apportare dei benefici in ragione
dell’affermazione della responsabilità penale degli enti pubblici.
Non a caso sia nell’ordinamento francese che in quello olandese la delimitazione
della responsabilità degli enti pubblici è avvenuta sulla base della tipologia delle at-
tività svolte dagli enti, alla stregua di una valutazione della rilevanza «politica» delle
attività stesse. Il legislatore francese nel 1994, infatti, con l’introduzione del nuovo
codice penale, ha statuito che la responsabilità delle collectivités territoriales viene in
rilievo solo per quelle attività suscettibili di costituire oggetto di delega di servizio
pubblico85. In buona sostanza il legislatore d’oltralpe ha inteso limitare l’intervento
penale nei confronti degli enti pubblici territoriali per le attività delegabili a soggetti
privati: si tratta di scelta discutibile e assai criticata, a ragione, per l’incoerenza che
produce negli effetti ma che si poneva l’obiettivo di garantire che nell’esercizio delle
attività strettamente pubblicistiche detti enti fossero del tutto immuni dall’azione
penale e dovessero, al limite, rispondere sul piano civilistico e amministrativo.
Analoghi tentativi di delimitare l’attività punibile in ragione delle funzioni svol-
te dall’ente sono stati effettuati dalla giurisprudenza olandese86: tentativi che hanno
tuttavia dimostrato le difficoltà – fatte salve alcune attività che tradizionalmente sono
state considerate come non delegabili a privati, quali l’attività di polizia e giurisdizio-
nale dei Tribunali – di distinguere ciò che è (di esclusivo interesse) pubblico da ciò
che è (di interesse) privato.
Nello stesso senso parrebbe essersi posto il legislatore italiano con la legge dele-
ga 300/2000: egli ha ritenuto di individuare la linea di discrimine della punibilità
dell’ente pubblico nell’esercizio o meno da parte sua di pubblici poteri. Detto criterio
poi non è stato correttamente tradotto nel d. lgs. 231/2001, il quale ha incluso tra i
destinatari della normativa i soli enti pubblici economici, che tuttavia non esaurisco-
no gli enti pubblici che non esercitano pubblici poteri (il riferimento espresso fatto
dal legislatore va alle Aziende Ospedaliere, alle Università e a taluni enti pubblici
associativi quali aci, cri).
gativi) che esse potrebbero determinare. Infatti se, da un lato, la sanzione pecuniaria
rischierebbe di determinare conseguenze pregiudizievoli in capo alla generalità dei
consociati, i quali si troverebbero loro malgrado a pagare le conseguenze di un illecito
commesso dall’ente, le altre sanzioni interdittive mal si attaglierebbero alla natura
pubblica dell’ente.
Peraltro, già prima dell’introduzione del d.lgs. 231/2001, si è sostenuto – nel
vagliare la possibile introduzione di un sistema penale per le persone giuridiche – che
le sanzioni idonee a colpire gli enti pubblici dovrebbero essere limitate a quelle di
carattere più propriamente politico87. L’ente pubblico è tuttavia già soggetto a san-
zioni politiche che si traducono, in primis, nei controlli cui detti enti sono sottoposti
e, in secondo luogo, nell’indiretto controllo che il cittadino può esercitare mediante
l’espressione del proprio voto. Un intervento su questo fronte del giudice penale ri-
schierebbe di tradursi in una vera e propria giustizializzazione della politica, ovvero in
un controllo del sistema politico.
5.1. L’asserita incompatibilità delle sanzioni penali con la natura pubblica dell’ente.
87
M. Parisi, Riflessioni in tema di responsabilità penale delle persone giuridiche, in «Rivista penale», i,
1999, p. 1061.
88
Si tratta di provvedimento applicabile, ai sensi del successivo art. 146, anche agli altri enti locali [...],
nonché ai consorzi di comuni e province, agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie
locali ed ospedaliere, alle aziende speciali dei comuni e delle province e ai consigli circoscrizionali, in
24 E. Pavanello
escluse quelle sanzioni che conducono all’estinzione della persone giuridica pubblica,
in ragione della natura «necessitata» dell’ente.
Le preoccupazioni manifestate con riferimento al versante sanzionatorio potreb-
bero essere superate mediante previsioni specifiche, analoghe a quelle contenute nel
d.lgs. 231/2001. L’art. 15 del decreto prevede, infatti, che laddove sussistano i pre-
supposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva che determina l’interruzione
dell’attività dell’ente, il giudice potrà disporre la continuazione della sua attività da
parte di un commissario ad hoc quando «l’ente svolge un pubblico servizio o un ser-
vizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla
collettività91». La norma sembra proprio riferirsi a quelle ipotesi per le quali si teme
che un intervento del giudice penale possa pregiudicare lo svolgimento delle proprie
funzioni da parte dell’ente e supera le rimostranze avanzate in relazione all’applica-
zione di sanzioni interdittive nei confronti di enti pubblici. L’ipotesi di commissa-
riamento sembra ben attagliarsi allo scopo di prevenire la possibile commissione di
ulteriori reati da parte di quell’ente, mediante la rimozione dei soggetti che hanno
espresso l’agire illecito dell’ente.
5.2. Valenza simbolica del diritto penale e responsabilità degli enti pubblici.
94
Dette riflessioni sono state effettuate da Carl Ludwig von Bar il 3 giugno 1896, a nome della Georg
Augustus Universität di Göttingen, in apertura della cerimonia annuale per il conferimento dei premi
accademici a ricerche scientifiche. Sul punto si veda la traduzione italiana di A.M. Beltrame, Ricordo
di Carl Ludwig von Bar (1836-1913).In margine a problemi di diritto penale, in «Atti e Memorie»,
Accademia Patavina di ss.ll.aa., vol. cix, parte iii, 1996-1997, p. 289 ss.
95
J.C. Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, L’Harmattan, Paris
2003. Le considerazioni dell’autore sono esaminate al capitolo 3, paragrafo 22.
Profili del problema della punizione del sovrano 27
Diverso il discorso per gli «altri» enti pubblici cui abbiamo fatto riferimento
nell’incipit di questo capitolo.
Dall’analisi di diritto comparato effettuata, emerge che gli enti pubblici che non
possono considerarsi immediatamente parte della pubblica amministrazione in sen-
so stretto, quali le società pubbliche, sono tendenzialmente inclusi nel novero dei
soggetti penalmente responsabili.
Non così è avvenuto in Italia, dove la scelta del legislatore è stata particolarmente
restrittiva: sono infatti stati esclusi tutti gli enti pubblici a eccezione di quelli eco-
nomici. Il discorso assume particolare rilievo se si pensa al numero assai elevato di
enti pubblici «altri» che svolgono un ruolo di rilievo nell’ambito economico-sociale.
Il riferimento va alle numerose aziende municipalizzate, alle Aziende Sanitarie e alle
Università che, sempre più, sono informate nella loro struttura e azione a criteri di
economicità, pur erogando pubblici servizi. Non è un caso che le A.s.l. della Re-
gione Lombardia abbiano deciso di dotarsi di modelli organizzativi alla stregua del
d.lgs. 231/2001: pur ritenendo che il decreto non sia loro applicabile, le A.s.l. citate
hanno comunque reputato opportuno dotarsi di modelli organizzativi, al fine di
garantire la massima efficienza e trasparenza nella gestione della propria attività96.
Si tratta di un esperimento assai interessante in linea con la finalità di cui al d.lgs.
231/2001, il quale, per il tramite dei modelli organizzativi, intende garantire la
miglior gestione e organizzazione della struttura aziendale. Per tale ragione è stato
considerato opportuno che anche la struttura sanitaria si dotasse di modelli organiz-
96
Con la d.g.r. n. vii/17864 dell’11 giugno 2004 Introduzione in via sperimentale nelle Aziende Sanitarie
pubbliche di un Codice etico-comportamentale, seguita dal Decreto del Direttore Generale Sanità
n. 22361 del 9 dicembre 2004 e dalla d.g.r. n. viii/1375 del 14 dicembre 2005 Determinazioni in
ordine alla gestione del servizio socio sanitario regionale per l’esercizio 2006, la Regione Lombardia ha
mutuato i principi contenuti nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ai fini dell’introduzione del Codice
etico e dell’implementazione del modello organizzativo nelle Aziende Sanitarie Locali ed Ospedaliere.
Il governo regionale ha previsto l’applicazione – in via sperimentale − all’Azienda sanitaria locale di
Lecco, all’Azienda Ospedaliera Circolo di Busto Arsizio ed all’Azienda Ospedaliera della Provincia di
Lodi, seguita dall’applicazione − in una seconda fase – all’Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda,
all’Azienda Ospedaliera di Cremona e all’Azienda sanitaria locale di Mantova.
Infine, con la D.g.r. del 13 dicembre 2006 − n. viii/003776 Determinazioni in ordine alla gestione
del servizio socio sanitario regionale per l’esercizio 2007, il governo regionale ha terminato il periodo di
sperimentazione (durato due anni) ed ha inserito l’adeguamento del Codice etico-comportamentale e
del modello organizzativo ex d.lgs 231/2001 tra le «regole» per la gestione del sistema socio sanitario
lombardo per il 2007, emettendo le relative Linee guida regionali per l’adozione del codice etico e dei
modelli di organizzazione e controllo delle Aziende Sanitarie Locali e Aziende Ospedaliere. Al riguardo di
veda P. Previtali, L’applicazione del d.lgs. 231/2001 in sanità. Il caso delle aziende sanitarie e ospedaliere
lombarde, in« La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», <http://www.rivista231.it>.
28 E. Pavanello
Il quadro sin qui tratteggiato mette in luce come alcune delle tradizionali argo-
mentazioni avanzate contro la responsabilità penale degli enti pubblici possano essere
superate. Ferma restando la necessità di individuare criteri congrui di attribuzione
97
Sul punto si veda diffusamente capitolo 7.
98
M.G. Scala, Le società legali pubbliche, in «Diritto Amministrativo», 2005, n. 2, p. 414.
99
Così Scala nel riferire il pensiero di Napolitano. Scala, Le società legali pubbliche, cit., p. 416.
Profili del problema della punizione del sovrano 29
della condotta penalmente rilevante all’ente (sotto il profilo in particolare della co-
siddetta colpa di organizzazione), non si può sottacere la potenzialità espansiva di
una responsabilità che probabilmente potrebbe ben attagliarsi a quelle ipotesi in cui
colpose omissioni delle amministrazioni sono causa di tragedie che gli episodi di
cronaca pongono tristemente alla nostra attenzione.
È certo che le considerazioni in ordine al ruolo politico rivestito dagli enti pub-
blici assume rilievo in ordine all’opportunità di perseguirli: tuttavia, occorrerebbe
individuare con precisione le funzioni e le attività che potrebbero eventualmente giu-
stificare detta immunità. Una delle principali argomentazioni addotte dalla dottrina
straniera in favore della responsabilità del soggetto collettivo pubblico è proprio,
come si vedrà, la necessità di garantire un trattamento di eguaglianza tra soggetti
pubblici e privati che si trovano in alcune occasioni «fianco a fianco» nella gestione di
attività e ricevono un trattamento sul piano penale diametralmente opposto.
D’altronde in questo senso sembra militare anche il Corporate Manslaughter and
Corporate Homicide Act 2007100 entrato in vigore nell’aprile del 2008 nel Regno Unito,
paese ove tradizionalmente trovava riconoscimento il principio the King can do no wrong,
che statuisce espressamente che le organizzazioni pubbliche (in law by the Crown) – sep-
pure con le limitazioni di cui si dirà – non possono essere per ciò solo considerate immu-
ni e devono essere equiparate alle persone giuridiche private e, in quanto tali, devono
essere ritenute responsabili per il reato di corporate manslaughter (omicidio colposo).
Riguardo alla possibile individuazione di un modello di responsabilità «congruo»,
particolarmente interessante si rivelerà l’esame delle considerazioni formulate dalla
commissione istituita alcuni anni orsono dal governo olandese, incaricata di valutare
l’opportunità di istituire un sistema di responsabilità nei confronti dello Stato (com-
missione Roelvink)101.
Mutuando il pensiero di un giurista americano102, il quale ha ipotizzato la possibi-
lità di perseguire le municipalities, non v’è dubbio che il diritto penale dovrebbe tro-
vare spazio unicamente come ultimo rimedio, quando è chiaro che ogni altro mezzo
punitivo non è sufficiente a sanzionare in modo efficace (anche in una funzione di
prevenzione) la condotta illecita dell’ente. Tuttavia, proprio il ricorso alla sanzione
criminale si potrebbe rivelare di particolare efficacia, soprattutto nella prospettiva
dell’adozione da parte dell’ente di tutte le misure volte ad evitare che una condotta
100
Si tratta del Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act del 26 luglio 2007, il cui testo è
reperibile nel sito <http://www.opsi.gov.uk/Acts/acts2007/ukpga_20070019_en_1>.
101
Il rapporto della commissione, Strafrechtelijke aansprakelijkheid van de Staat, è rinvenibile in <http://
www.justitie.nl/images/20020311_5154510%20rapport%20roelvink_tcm35-7881.pdf>.
102
P. Green Stuart, The criminal prosecution of local governments, in «72 North Carolina Law Review»,
1993-1994, p. 1232 ss.
illecita venga nuovamente e in futuro posta in essere, per orientare la politica dell’en-
te. Né l’interesse generale che gli enti sono chiamati a soddisfare può giustificare una
limitazione generalizzata della responsabilità degli enti pubblici.
31
Capitolo 2
L’Olanda è stato uno dei primi Paesi europei a tradizione continentale a prevedere
in modo generalizzato la responsabilità penale delle persone giuridiche1. L’articolo
51 del codice penale del 1976 equipara, infatti, le persone giuridiche a quelle fisiche
quali soggetti attivi del reato2.
Tuttavia, già prima di allora, era conosciuta nei Paesi Bassi una limitata forma
di responsabilità penale delle persone giuridiche3. L’art. 15 della Wet op economische
1
J.A.E. Vervaele, La responsabilité pénale de et au sein de la personne morale aux Pays-Bas. Mariage
entre pragmatisme et dogmatisme juridique, in «Révue de science criminelle», 1997, avril-juin, p. 325
(nel senso che sino a poco tempo fa i Paesi Bassi erano l’unico Paese europeo di tradizione giuridica
e dogmatica continentale a prevedere la responsabilità penale delle persone giuridiche). Si confronti,
inoltre, Vervaele, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti,
in Societas puniri potest, cit., p. 135 ss., per una completa illustrazione dell’evoluzione storica della
responsabilità penale delle persone giuridiche nell’ordinamento olandese e un’attenta analisi della
giurisprudenza.
2
Il primo comma dell’art. 51 c.p. prevede espressamente che i reati possono essere commessi dalle
persone fisiche e giuridiche.
3
H. De Doelder , Criminal liability of corporations – Netherlands, in La criminalisation du comportement
collectif , a cura di H. De Doelder, K. Tiedemann, The Hague, Kluwer Law International, 1996, p. 290
rileva che risalgono al 1800 le norme che prevedevano una forma di responsabilità penale delle persone
34 E. Pavanello
delicten (di seguito, wed)4, entrata in vigore nel 1951, annoverava espressamente la
persona giuridica tra i soggetti autori del reato, in quanto tale punibile penalmente
e sanzionabile al pari delle persone fisiche, limitatamente alle ipotesi delittuose ivi
previste. Al fine di attribuire il comportamento illecito alla persona giuridica, era
necessario, ai sensi del secondo comma dell’art. 15 della wed, che la condotta illecita
fosse tenuta «nella sfera» della stessa persona giuridica. La previsione denota il carat-
tere di «finzione giuridica» della responsabilità penale degli enti collettivi nella wed:
questi ultimi, infatti, non potevano commettere alcuna infrazione in quanto tali ma
solo nella misura in cui determinate persone fisiche avessero agito nell’ambito della
loro sfera5.
Sotto il vigore dell’art. 15 della wed la giurisprudenza olandese ha elaborato im-
portanti criteri in materia di attribuzione della condotta della persona fisica alla per-
sona giuridica, sia per quanto concerne il profilo oggettivo che per quello soggettivo.
Particolarmente significativa al riguardo la sentenza Ijzerdraad6, nella quale la Corte
di Cassazione (Hoge Raad), giudicando della responsabilità di un imprenditore indi-
viduale, ha chiarito che tutti i fatti colposi realizzati all’interno di un’impresa possono
essere considerati di responsabilità dell’imprenditore solo quando promanano dalla
sfera di potere di quest’ultimo e sono stati accettati in modo generale. L’applicazio-
ne dei criteri del potere (machtscriterium) e dell’accettazione (aanvaardingscriterium)
sono stati successivamente estesi con la sentenza Kabelijauw7 anche alle persone giu-
ridiche. Essi inoltre sono assurti a parametro di valutazione della responsabilità degli
enti anche nell’applicazione dell’art. 51 del codice penale (su cui infra).
Dopo l’adozione della wed, nel 1965 si procedette ad un’ulteriore innovazione nel
sistema olandese con l’introduzione dell’art. 50-a nel codice penale (Strafrecht, SR),
in base al quale veniva espressamente riconosciuta la possibilità che una persona giu-
ridica fosse soggetto attivo di un fatto illecito. La punibilità, tuttavia, restava limitata
alle sole persone fisiche, ovvero agli amministratori, ai membri del consiglio di am-
ministrazione e alle persone che avevano dato l’ordine o che avevano effettivamente
giuridiche in materia doganale e fiscale.
4
La wed è una legge quadro che disciplina i reati economici ed integra le previsioni contenute nel
codice penale olandese. In particolare, al suo interno sono previsti i cosiddetti ordeningsdelicten che
si contrappongono ai commune delicten previsti nel codice penale. La distinzione tra questi due tipi
di reato si basa storicamente sul fatto che mentre le fattispecie delittuose previste nel codice penale
sono volte a tutelare i beni giuridici «tradizionali» (quali la vita e l’onore), quelle previste nelle leggi
speciali (wed, legge sull’ambiente, legge tributaria etc.) sono volte a tutelare beni giuridici per così dire
di seconda generazione. Oggi tuttavia la distinzione è prettamente formale e non dispone di un solido
fondamento giuridico; molto spesso, infatti, gli stessi beni giuridici vengono tutelati da fattispecie
diverse previste nella parte speciale del codice penale (commune delicten) e dalla wed (ordeningsdelicten).
5
J.A.E. Vervaele, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti,
cit., p. 143.
6
Hoge Raad, 23.2.1954, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1954/378.
7
Hoge Raad, 1.7.1981, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1982/80.
L’ordinamento olandese 35
8
De Doelder, Criminal liability of corporations – Netherlands, cit., p. 292.
9
De Doelder, Criminal liability of corporations – Netherlands, cit., p. 293 e Vervaele, La responsabilità
penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, cit., p. 145.
36 E. Pavanello
In base all’art. 51 c.p. potranno essere perseguiti sia le persone fisiche che hanno
posto in essere la condotta criminosa10 e (cumulativamente o alternativamente) le
persone giuridiche, oltre a coloro che hanno dato l’ordine di commettere il reato o
che hanno materialmente diretto il comportamento illecito («dirigenti di fatto»11).
Coloro che hanno dato l’ordine e i dirigenti di fatto potranno essere perseguiti solo
qualora la persona giuridica possa a sua volta essere sottoposta a procedimento pena-
le. Sarà invece sempre possibile perseguire questi soggetti in base alla loro qualità di
autore o compartecipe del reato qualora sussistano gli elementi oggettivo e soggettivo
di attribuibilità della condotta al soggetto agente sulla base dei normali criteri di
imputazione.
3. I criteri di attribuzione della condotta alla persona giuridica: la teoria del potere e
dell’accettazione.
reato, sarà possibile valutare l’eventuale responsabilità delle persone che hanno dato
l’ordine di commettere il fatto illecito e dei dirigenti di fatto.
Mancando indicazioni circa i criteri per attribuire la condotta alla persona giuri-
dica, la dottrina ha invocato l’applicazione dei principi del potere e dell’accettazione,
già delineati nella sentenza Ijzerdraad sotto il vigore della wed13. Anche la giuri-
sprudenza ha accolto questa impostazione, estendendo, con la sentenza Kabeljauw,
l’applicabilità di siffatti principi per l’attribuibilità della condotta illecita alle persone
giuridiche.
Il criterio del potere (machtscriterium) esclude dal novero delle attività imputabili
alla persona giuridica quelle estranee all’attività quotidiana della società che costitui-
sconocome corpus alienum rispetto all’attività tipica dell’impresa. Esse, infatti, si col-
locano al di fuori della sfera d’influenza e di controllo della persona giuridica. Al fine
di esemplificare il concetto, si pensi al caso di un venditore porta a porta per conto
di una società che, nel corso della propria attività, spaccia droga: si tratta di attività
che è estranea alla società e che, in quanto tale, non può comportare la responsabilità
di quest’ultima. Diversamente se lo spaccio di droga ha luogo sistematicamente e
con proporzioni notevoli, l’attività illecita potrà essere considerata espressione della
normale politica di impresa14.
Con il criterio dell’accettazione (aanvaardingscriterium), invece, si fa riferimento
al fatto che il comportamento vietato debba essere «approvato» dall’impresa: sarà, al
riguardo, sufficiente che la persona fisica abbia agito nella consapevolezza di com-
piere un reato o abbia accettato tale eventualità, omettendo di compiere quanto in
suo potere per evitare il prodursi di un fatto illecito15. È evidente, tuttavia, che ove
sussista pure un’approvazione «ufficiale» dell’illecito, la prova del fatto che la persona
giuridica è soggetto attivo del reato sarà più agevole.
L’utilizzo del duplice criterio consente, da un punto di vista oggettivo, di riferire
determinate condotte alle persone giuridiche solo qualora vi sia stata accettazione
delle stesse quale normale sviluppo della politica di impresa e sia esistita, in concreto,
la possibilità per la persona giuridica di intervenire per l’eliminazione del rischio di
realizzazione dello stesso. In mancanza di una delle due condizioni la condotta non
potrà mai essere riferita alle persone giuridiche, ma rimarranno perseguibili i singoli
autori fisici (ove individuabili)16.
Dall’analisi di questi criteri si può dedurre peraltro che la responsabilità penale
delle persone giuridiche non è legata esclusivamente all’attività del quadro dirigen-
ziale dell’impresa (cosiddetta teoria dell’alter ego), ma può discendere dall’attività di
13
Field, Jorg, Corporate liability and manslaughter: should we be going Dutch?, cit., 164.
14
R.A. Torringa, De rechtspersoon als dader, strafbaar leidinggeven aan rechtspersonen, Gouda Quint bv,
Arnhem 1988, p. 33-34.
15
Ibidem.
16
Field, Jorg, Corporate liability and manslaughter: should we be going Dutch?, cit., p. 164.
38 E. Pavanello
La figura del dirigente di fatto, peculiare del sistema olandese, consente di evitare
la «fuga» dal diritto penale da parte di coloro che hanno svolto un ruolo determinan-
te nella commissione del reato ma, nonostante ciò, non possono essere considerati
tecnicamente né autori del reato o compartecipi, né soggetti responsabili in quanto
titolari di delega formale dell’attività illecita posta in essere nell’impresa. L’individua-
zione di questa peculiare figura nasce, quindi, dall’esigenza pratica di ovviare ad una
delinquenza molto spesso «inafferrabile» nell’ambito della persona giuridica.
Non è un caso che proprio in una sentenza relativa ad un istituto bancario noto
per le diffuse pratiche di riciclaggio di denaro sporco (caso Slavenburg), ma difficil-
mente attribuibili a soggetti determinati, siano stati precisati i criteri per individuare
le responsabilità dei dirigenti di fatto. Nel corso dell’istruttoria era risultato, infatti,
che molte delle condotte illecite erano state poste in essere da parte di agenzie non
17
De Doelder, Criminal liability of corporations – Netherlands, cit., p. 300.
18
Vervaele, La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, cit.,
p. 154.
19
Torringa, De rechtspersoon als dader, strafbaar leidinggeven aan rechtspersonen, cit., p. 37 e Vervaele,
La responsabilità penale della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti, cit., p. 155.
L’ordinamento olandese 39
che la possibilità di procedere nei loro confronti non può essere radicalmente esclu-
sa25. Si è proposto allora di distinguere a seconda che il fatto illecito sia posto in essere
dall’ente pubblico nell’esecuzione di un’attività di impresa che può essere eseguita
anche da soggetti di natura privatistica o piuttosto nell’esecuzione di un compito
pubblico (sia esso di carattere generale o specifico) di competenza dell’ente pubblico.
Nella prima ipotesi, non dovrebbero sussistere ostacoli alla procedibilità penale, anzi
l’esclusione della responsabilità degli enti pubblici che agiscano come imprese viene
qualificata lesiva del principio di eguaglianza giuridica perché ove analoghe condotte
illecite venissero poste in essere da persone giuridiche di diritto privato esse sarebbero
passibili di sanzione penale. Qualora, invece, agiscano nell’esecuzione di un compito
pubblico la loro procedibilità dovrebbe essere esclusa.
Nonostante le indicazioni fornite nella Relazione al codice penale, restano aper-
te alcune questioni fondamentali, quali in primis l’inquadramento dogmatico del-
la cosiddetta «non procedibilità» nei confronti delle persone giuridiche di diritto
pubblico: non è dato comprendere, infatti, se il legislatore abbia inteso escludere la
responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico a livello di dirit-
to «materiale» o, piuttosto, abbia individuato una causa di non procedibilità (con
evidenti conseguenze quanto alla posizione di coloro che hanno dato l’ordine o dei
dirigenti di fatto, la cui responsabilità è strettamente ancorata a quella delle persone
giuridiche: nel primo caso essi non saranno punibili, mentre nel secondo sì26).
Non è poi chiaro se la nozione di «persona giuridica di diritto pubblico» coinci-
da con quella di cui all’art. 1, libro ii del codice civile (Burgerlijke wet). Ai sensi di
tale disposizione sono tali lo Stato, le Province, i Comuni, le Autorità per le acque
(waterschappen) così come tutti gli enti che sono qualificati tali dal capitolo 7 della
Costituzione (ad esempio, l’Ordine Olandese degli Avvocati), oltre che tutti gli enti
cui sono attribuite competenze di diritto pubblico (Università, gli ospedali universi-
tari ma anche il Fondo pensionistico)27.
La Relazione non chiarisce, infatti, se anche la nozione «penalistica» di perso-
na giuridica di diritto pubblico debba attingere a tale fonte normativa o se, come
auspicato da certa dottrina, sia opportuno individuare una nozione autonoma in
ragione del fatto che non sempre la qualificazione pubblico/privato è correlata al
tipo di attività (imprenditoriale o meno) esercitata dall’ente. Vi sono infatti persone
giuridiche qualificate dal diritto civile enti di diritto pubblico (è questo il caso della
Nederlandsche Bank nv) le quali, di fatto, agiscono in forma privatistica e sono or-
ganizzate come persone giuridiche di diritto privato. Come pure esistono persone
25
Si veda il testo del paragrafo 10 della MvT riportato da J. De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie
voor de verdachte overheid?, in Strafbaarheid van overheden, Tjeenk Willink, Deventer 1998, p. 49-50.
26
D. Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid
van overheden voor milieuverstoring, Intersentia, Antwerpen 2001, p. 83.
27
W.C.L. Van Der Grinten, De rechtspersoon, Tjeenk Willink, Deventer 1991, p. 137 ss.
42 E. Pavanello
6.1. L’irresponsabilità penale degli enti decentrati che hanno posto in essere la condotta
illecita nell’ambito di attività esecutive di un compito pubblico (caso Tilburg).
Senza contare che, in assenza di una precisa definizione legislativa, la stessa nozione
di compito pubblico è di difficile individuazione34.
Altra dottrina, invece, ha condiviso la sentenza poiché ha ritenuto che la stessa
giustamente esimesse da responsabilità l’ente pubblico che agisce nell’esercizio di un
compito pubblico: non sarebbe infatti concepibile che la persona giuridica di diritto
pubblico ponga in essere un’attività illecita e per tale ragione occorre escludere a
priori la sussistenza di un fatto penalmente rilevante35.
La Corte di Cassazione non sembra in realtà aver profondamente meditato sulla
soluzione adottata: a fronte della prima concreta applicazione dell’art. 51 c.p. si è
inteso negare tout court la possibilità di dichiarare penalmente responsabile l’ente
pubblico decentrato, senza definire cosa sia un compito pubblico né indicare il fon-
damento giuridico di detta esclusione.
6.2. La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico diverse dagli
enti territoriali (caso dell’Università di Groningen).
6.3. La conferma del principio della responsabilità penale degli enti decentrati
unicamente nel caso in cui abbiano commesso l’illecito al di fuori di attività esecutive di
un compito pubblico (il caso Voorburg).
L’argomentare della Corte non può che destare perplessità: mediante questa sen-
tenza, infatti, l’organo giudicante ha erroneamente attribuito rilevanza all’esistenza
di un accordo di diritto privato. Infatti non è revocabile in dubbio che anche in
questo caso lo Stato ha avuto di mira la difesa di un compito pubblico e un accor-
do di diritto privato non è in grado di mutarne la natura. Preferibile allora pensare
che la Corte abbia voluto dare priorità alla tutela dell’ambiente, condannando il
Comune56, al fine di sopperire alle carenze di tutela cui l’applicazione dei principi
dell’overheidstaak avrebbe condotto.
Nella dottrina olandese, tradizionalmente, i tre casi citati vengono trattati con-
giuntamente in quanto costituiscono la consacrazione del criterio dell’esecuzione
di un compito pubblico da parte di un ente pubblico ai sensi del capitolo 7 della
Costituzione.
In particolare, nei casi Waterschap West Friesland57 e Provincie Noord Holland58
gli enti pubblici de quibus avevano proceduto a bruciare della paglia sulla riva di un
fiume senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione. Ciò costituisce una violazione
dell’articolo 10.3 comma 2 della legge sulla protezione dell’ambiente, condotta san-
zionata penalmente ai sensi dell’articolo 1 della wed, nonché violazione dei regola-
menti comunali (algemeen plaatselijke verordening, apv) rispettivamente del comune
di Alkmaar e di Obdam.
In primo grado il Tribunale aveva verificato la sussistenza delle condizioni richie-
ste dalla giurisprudenza e aveva ritenuto che gli enti in questione fossero organi pub-
blici ai sensi del capitolo 7 della Costituzione. Inoltre, il Tribunale aveva ritenuto che
l’attività fosse stata eseguita nell’adempimento di un compito di carattere pubblico,
il mantenimento e la gestione dei canali provinciali: per tale ragione l’azione della
pubblica accusa era stata dichiarata irricevibile.
A fronte di detta decisione, il p.m. ha proposto ricorso in Cassazione ritenendo
che pur esistendo per gli enti pubblici alternative di condotte «lecite» – ovvero bru-
ciare la paglia previa autorizzazione o, in alternativa, rimuovere la stessa dalla riva del
fiume – essi avevano violato la normativa vigente, senza perseguire alcun compito
56
Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 37 e Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie
naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 94.
57
Hoge Raad 23 aprile 1996, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1996/512.
58
Hoge Raad 23. aprile 1996, in «Nederlands Juristenblad», n.61, 14 giugno 1996.
L’ordinamento olandese 51
potrà venire in rilievo. Parte della dottrina, nel condividere la decisione della Corte,
ha evidenziato che i soggetti menzionati sono partecipi, al pari dell’ente pubblico,
di competenze di carattere pubblicistico, il che impedisce di procedere nei loro con-
fronti60. Secondo altri studiosi invece, la sentenza va criticata poiché non sussistono
ostacoli nel prevedere una responsabilità penale nei confronti dei soggetti menzionati
al secondo comma n. 2 dell’art. 51 c.p.61, indipendentemente dall’immunità goduta
dagli enti pubblici.
L’interpretazione proposta dalla Corte di Cassazione determina, in concreto, la
violazione del principio di eguaglianza giuridica tra i soggetti fisici, a seconda che
gli stessi siano alle dipendenze delle persone giuridiche di diritto privato o di diritto
pubblico. Proprio nel caso di specie detta disuguaglianza è risultata manifesta in
quanto i soggetti dipendenti della società privata che avevano partecipato alla realiz-
zazione della condotta criminosa sono stati condannati, mentre quelli alle dipenden-
ze del Comune hanno potuto fare appello all’irresponsabilità.
porre al proprio vaglio l’attività della pubblica amministrazione perché ciò contra-
sterebbe con il principio proprio di ogni stato di diritto della divisione dei poteri.
Anche se la Corte di Cassazione non ha fatto espressamente riferimento nelle proprie
decisioni a questo principio, l’argomentazione emerge implicitamente nella misura
in cui si esclude che i fatti illeciti compiuti nell’esercizio di un compito pubblico
possano essere sottoposti a giudizio penale.
Come noto il fondamento del principio risiede nella necessità di prevenire la
concentrazione e l’arbitrarietà del potere: a tal fine è necessario che i tre poteri le-
gislativo, esecutivo e giudiziario, mantengano un’autonomia l’uno rispetto all’altro
e siano esercitati da organi distinti. Sulla scorta di tale ragionamento la dottrina
olandese che si è posta a favore dell’irresponsabilità degli enti pubblici ha chiarito
che l’azione amministrativa dovrebbe essere libera da controlli e da condizionamenti
giudiziari (in modo cioè che sia garantita la beleidsvrijheid, libertà di scelta, e la beo-
ordelingsvrijheid, libertà di giudizio dell’amministrazione).
In modo criticabile è stato sostenuto, ad esempio, che la persona giuridica di
diritto pubblico non potrà essere perseguita per fatti che sono stati eseguiti in at-
tuazione di una decisione adottata secondo le regole democratiche da un organo a
ciò legittimato, come nel caso di una decisione adottata dal Consiglio Comunale62.
È pur vero tuttavia che la libertà d’azione dell’amministrazione può essere garantita
limitando la sfera di controllo del giudice penale alla legittimità della scelta dell’am-
ministrazione e non estendendo il giudizio anche all’opportunità politica della stessa:
quest’ultima non potrà mai essere posta in discussione, ma dovrà rimanere piuttosto
terreno di discrezionalità amministrativa. Proprio il giudizio penale sembra essere
l’unico in grado di garantire la necessaria trasparenza dell’attività pubblica63.
L’argomento in esame non risulta, dunque, realmente decisivo per giustificare
l’irresponsabilià penale degli enti pubblici, vieppiù in considerazione del fatto che
nulla impedisce di perseguire penalmente i singoli funzionari per i reati commessi
nell’esercizio delle loro funzioni, ancorch’è gli stessi detengano parte dell’autorità
pubblica propria degli enti pubblici cui appartengono64.
Non di secondario rilievo è poi la circostanza che esiste un controllo da parte
del giudice civile e amministrativo sull’attività dell’amministrazione pubblica. Al ri-
62
Van Strien, De strafrechter en de bestuurlijke mantel der liefde (*1) over de vervolgbaarheid van
publiekrechtelijke rechtspersonen, cit., p. 593.
63
De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor de verdachte overheid?, in Strafbaarheid van
overheden, cit., p. 56.
64
Roef, Strafbare overheden. Een rechtsvergelijkende studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 284 ricorda che nel sistema giuridico olandese, ad esempio,
i Ministri e i Segretari di Stato possono essere perseguiti penalmente tramite una procedura ad hoc
indicata nella Costituzione per gli atti illeciti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni (si confrontino
in particolare gli art. 42, 46, 119 Costituzione olandese); A. De Lange, De dictatuur van de magistratuur,
in «Nederlands Juristenblad», afl. 12, 1995, p. 442.
54 E. Pavanello
guardo ci si è interrogati sulla ragione per la quale al giudice penale dovrebbe essere
precluso un ambito di indagine che invece compete in modo pacifico ai giudici civile
e amministrativo65.
Forti perplessità sono state manifestate dalla dottrina in ordine alla possibilità di
utilmente irrogare sanzioni penali nei confronti degli enti pubblici.
Per ciò che concerne in particolare le sanzioni pecuniarie, è stato ravvisato un
pericolo per la stessa continuità del servizio pubblico, il quale rischierebbe di essere
65
Hendriks, De lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 42.
66
U.T. Hoekstra, Reactie op «De dictatuur van de magistratuur», in «Nederlandse Jurisprudentie»,
1995, afl. 33, p. 1243.
67
Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 43 e chr.
brants, Word vervolgd [...] Het Pikmeer ii-arrest, in «Delikt en Delinkwent», afl. 4, 1998, p. 328.
L’ordinamento olandese 55
75
D.J. Elzinga, Heethoofdige reacties op het Pikmeerarrest, in «Binnenlands Bestuur», n. 20, 1997, p.
39. Detta argomentazione è stata sostenuta anche dal Consiglio di Stato nel parere emesso in data 28
aprile 1999 su cui infra.
76
A.M. Fransen, Crimineel overheidsgedrag in de doofpot Een ongeschreven titel van het Wetboek
van Strafrecht, in «Nederlands Juristenblad», afl. 1, 1997, p. 13; Th.G. Drupsteen, De overheid
straffeloos, in «Milieu en Recht», n. 9, 1996, p. 155; P. Bordewijk, Strafvervolging van overheden,
een bestuurlijk labyrint, in «Openbaar bestuur», afl. 11, 1997, p. 17; Roef, De strafbaarheid van
overheden en leidinggevende ambtenaren; enkele beschouwingen naar aanleiding van het Pikmeer-arrest, in
«Jurisprudentie Bestuursrecht», afl. 16, 1996, p. 1116.
77
Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 42; Wortel,
Verdachte overheden, cit., p. 1516; Fransen, Crimineel overheidsgedrag in de doofpot Een ongeschreven titel
van het Wetboek van Strafrecht, cit., p. 12-13; Brants, De lange, Strafvervolging van overheden, Gouda
Quint,Deventer, 1996, p. 80; Brants, Word vervolgd... Het Pikmeer ii-arrest, cit., p. 328.
78
Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 296.
79
De Lange, De dictatuur van de magistratuur, cit., p. 445; De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke
positie voor de verdachte overheid?, cit., p. 62.
58 E. Pavanello
Sino ad ora sono stati illustrati gli argomenti addotti a sostegno dell’immunità
penale degli enti pubblici.
A questo punto della ricerca si intendono enucleare le ragioni sostenute da coloro
che invece hanno invocato la necessità di procedere penalmente nei confronti delle
persone giuridiche di diritto pubblico.
Come è possibile notare molto spesso gli argomenti addotti a sostegno dell’im-
munità, vengono posti alla base delle riflessioni di quella parte della dottrina che
invece ritiene imprescindibile prevedere una responsabilità penale delle persone giu-
ridiche di diritto pubblico. Si tratta di una circostanza assai indicativa poiché dà atto
della spinosità della questione, non esistendo argomentazioni dirimenti che possono
essere addotte a sostegno dell’una o dell’altra opzione.
Si rileva comunque che anche se la maggior parte della dottrina auspica la parifi-
cazione della posizione delle persone giuridiche di diritto pubblico a quelle di diritto
privato (un’indubbia maggioranza), essa non contesta che l’ente pubblico presenti
caratteristiche del tutto peculiari che inducono a limitare il ricorso allo strumento
penale. Strumento che dovrà essere calibrato sia per ciò che concerne le sanzioni da
applicare, sia per ciò che riguarda le norme che regolano la procedura, rendendo ad
esempio particolarmente pregnanti le valutazioni in ordine alla possibilità di eserci-
tare l’azione penale che nel sistema olandese non è obbligatoria85.
8. La posizione del Governo: la necessità di perseguire gli enti pubblici che hanno posto
in essere la condotta illecita al di fuori dell’attività di esecuzione di un compito pubblico
intesa in senso «materiale».
Si tratta della relazione presentata dal Governo alla seconda Camera rinvenibile in «Tweede Kamer,
86
una persona giuridica di diritto pubblico potrebbe avere effetti deleteri nei confronti
dei cittadini87. Il Governo ha chiarito in particolare che la sanzione penale dovrebbe
trovare applicazione al di fuori delle ipotesi in cui l’ente pubblico agisce per l’esecu-
zione di un compito pubblico. E ciò in quanto la libertà di azione dell’amministra-
zione, ovvero la libertà di valutare i diversi interessi in gioco e di adottare le misure
ritenute più opportune, non può essere limitata dal controllo del giudice penale88.
Per determinare quando l’ente abbia agito nell’esecuzione di un compito pubbli-
co non è sufficiente rinvenire una norma giuridica che attribuisca una determinata
competenza all’ente in questione (criterio formale), ma si ritiene piuttosto necessario
valutare anche se l’attività sia stata posta in essere proprio nell’esecuzione di (ter uit-
voering van) quel compito pubblico (criterio materiale). In particolare, per valutare
l’esecuzione del compito pubblico occorre procedere a due distinte considerazioni
di carattere tipicamente «materiale», ovvero la verifica della misura in cui la condot-
ta posta in essere sia connessa all’esecuzione del compito de quo e dell’esistenza di
un procedimento decisionale di approvazione da parte dei soggetti rappresentativi
dell’ente democraticamente eletti (ad esempio, nel caso del Comune, il Consiglio
Comunale). Quanto alla seconda valutazione anche laddove la condotta sia stata
legittimata da un organo democraticamente eletto, ciò non significherà automatica-
mente che la relativa decisione sia stata adottata in modo diligente e rispettando le
norme di diritto89.
In ogni caso è indubbio che l’approccio del Governo alla questione si diversifi-
ca rispetto al criterio eminentemente formale del compito pubblico indicato dalla
Corte di Cassazione, nonostante le dichiarazioni dell’esecutivo di condividere pie-
namente la giurisprudenza del Supremo Collegio90. Come si ricorderà quest’ultima,
infatti, si era limitata nelle proprie sentenze a ricercare una norma che attribuisse un
determinato compito all’ente pubblico, al fine di considerare immune l’attività dallo
stesso posto in essere.
Colpisce il fatto, poi, che il Governo non abbia esaminato il criterio adottato dal-
la giurisprudenza per distinguere i soggetti pubblici immuni – ovvero la loro enun-
87
De Hullu, Een bijzondere strafrechtelijke positie voor de verdachte overheid?, cit., p. 60 è critico rispetto
a questo approccio poiché ogni sanzione penale produce inevitabilmente degli effetti negativi nei
confronti dei terzi e, per tale ragione, l’argomentazione non è in alcun modo probante.
88
Roef, Strafbare. overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 109 osserva sul punto che la medesima argomentazione non
viene invocata per limitare il controllo da parte del giudice civile o amministrativo. È evidente che
il controllo sull’operato dell’amministrazione da parte del giudice penale dovrebbe essere consentito
nella stessa misura in cui è ammesso per il giudice civile o amministrativo, ovvero con riferimento alla
legittimità del comportamento e non certo all’opzione scelta.
89
Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar de strafrechtelijke aansprakelijkheid van
overheden voor milieuverstoring, cit., p. 110.
90
Sul punto cfr. Roef, ibidem.
62 E. Pavanello
9. Le linee guida adottate dai pubblici ministeri sulla perseguibilità degli enti pubblici
decentrati: diritto penale come ultimo rimedio.
L’opinione dei pubblici ministeri che si illustra nel presente paragrafo si pone in
contrasto rispetto alle posizioni espresse dalla giurisprudenza e dal Governo: la pub-
blica accusa ha mostrato, infatti, di condividere talune perplessità rispetto al sistema
di (ir)responsabilità consacrato dalla giurisprudenza. La posizione dei pubblici mini-
steri con riferimento alla responsabilità penale degli organi pubblici è stata espressa
nelle linee guida del 199791.
In prima battuta, nel 1994, il Collegio dei pubblici ministeri aveva rilevato come
le persone giuridiche di diritto pubblico che violano le prescrizioni legali in principio
non possano ricevere un trattamento sanzionatorio diverso rispetto alle altre perso-
ne giuridiche92. In un sistema democratico, infatti, tutti i comportamenti dell’ente
pubblico devono poter essere sottoposti al sindacato del giudice penale. Le persone
giuridiche di diritto pubblico sono dunque punibili e perseguibili penalmente indi-
pendentemente dal tipo di attività svolta.
Nel dicembre del 1996, in reazione al rapporto governativo sopra illustrato, il
Collegio dei pubblici ministeri ha emesso un nuovo parere circa la perseguibilità
degli enti pubblici. Nello stesso è emersa la preoccupazione della pubblica accusa che
la giurisprudenza Pikmeer i lasci poco spazio alla possibilità di perseguire penalmente
gli enti pubblici ed è stata messa in luce l’esistenza di alcuni aspetti che fanno dubi-
tare della correttezza della posizione adottata in tale sentenza.
Essi si sono interrogati sulla ragione per cui la teoria della separazione dei poteri
dovrebbe valere con riferimento alla sanzione penale e non, invece, alle sanzioni civili
e amministrative che vengono comminate agli enti pubblici. È stato poi posto in
discussione il criterio degli enti pubblici di cui al capitolo 7 della Costituzione, che
esclude dal novero dei soggetti che possono fare appello all’immunità penale tutte le
altre persone giuridiche di diritto pubblico, ancorch’è agiscano nell’esecuzione di un
compito pubblico.
Sotto il profilo della teoria del diritto penale relegare il controllo penale ad ambiti
ristretti come quelli auspicati dalla giurisprudenza risulta, a parere del Collegio dei
Procuratori, molto pericoloso perchè solo il diritto criminale può assolvere a una
91
I pubblici ministeri hanno la possibilità in Olanda di dotarsi di specifiche linee guida in determinate
materie alle quali si atterranno nell’esercizio dell’azione penale.
92
Trattasi del parere reso dal Collegio dei p.m. nel luglio 1994, pubblicato in «Leidraad Milieu,
Openbaar Ministerie», 1994, p. 16-22.
L’ordinamento olandese 63
93
Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 97.
L’ordinamento olandese 65
11. La revisione dei criteri adottati dalla giurisprudenza sulla possibilità di perseguire
penalmente gli enti pubblici decentrati (caso Pikmeer ii).
11.1. La statuizione del principio della necessità della sottoposizione dell’ente pubblico
decentrato alla legge penale. Le critiche al criterio dell’attività di esecuzione di un compito
pubblico e l’affermazione della compatibilità dei controlli politico, amministrativo e
penale sull’attività degli enti pubblici.
Tre sono le premesse fondamentali che la Corte di Cassazione pone per giustifi-
care la propria decisione.
Innanzitutto, afferma che l’ente pubblico decentrato è sottoposto alla legge: per
la prima volta si statuisce espressamente che, al pari di ogni cittadino, anche l’ente
pubblico deve rispettare le norme. Tuttavia, a parere della Corte, da tale premessa
non discende automaticamente che l’attività degli enti pubblici possa essere sempre
sottoposta al controllo penale: l’irresponsabilità dovrà pertanto essere mantenuta,
anche se diversi sono i criteri che la Corte indica per delimitare la stessa95.
La seconda premessa della Corte costituisce una constatazione di fatto, ovvero
che il criterio (formale) dell’overheidstaak individuato per delimitare le ipotesi di
irresponsabiliità penale non è soddisfacente. Esso infatti non consente al giudice di
valutare in concreto quando un comportamento penalmente rilevante sia stato tenu-
to nell’esecuzione di un compito pubblico: la semplice esistenza di una norma che
attribuisca un compito di natura pubblicistica ad un ente pubblico decentrato non
potrà sic et sempliciter ritenersi sufficiente. Occorrerà piuttosto valutare se l’azione pe-
nalmente rilevante posta in essere dalla persona giuridica di diritto pubblico sia giu-
stificata in relazione agli interessi in gioco, considerati i principi di proporzionalità e
sussidiarietà. Inoltre, molti dei compiti pubblici di competenza degli enti decentrati
vengono oggi giorno eseguiti da persone giuridiche di diritto privato (la Corte ha
94
Hoge Raad, 6 gennaio 1998, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1998/367, con nota di JdH.
95
Con ciò i giudici mostrano di condividere l’approccio espresso sulla questione dal Governo nel
rapporto Strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheidsorganen.
66 E. Pavanello
portato l’esempio della salvaguardia dei monumenti o del mantenimento delle strade
pubbliche), il che determina evidenti disparità di trattamento tra le diverse persone
giuridiche non accettabile.
Terza e ultima premessa posta dalla Corte concerne l’affermazione della piena
compatibilità dei controlli politico e amministrativo sugli organi decentrati con la
responsabilità penale. Anche questo è un dato importante che pone fine all’asserita
incompatibilità tra i diversi sistemi di controllo esistenti per giudicare sulla legittimi-
tà dell’attività pubblica.
11.2. L’affinamento dei criteri per l’attribuzione dell’immunità agli enti pubblici
decentrati. La statuizione della loro irresponsabilità penale laddove la condotta illecita
sia esecuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dal
funzionario pubblico.
Con l’estensione delle ipotesi in cui le persone giuridiche di diritto pubblico sono
perseguibili penalmente, aumenta anche il numero delle persone fisiche perseguibili
(dirigenti di fatto o coloro che hanno dato l’ordine): l’immunità di tali persone è
strettamente correlata a quella degli enti decentrati ove essi esplicano la propria at-
tività.
Alla luce dei nuovi criteri, è possibile ritenere pertanto che molti dei casi giuri-
sprudenziali in precedenza illustrati sarebbero stati risolti in modo diverso e avreb-
bero condotto ad una condanna dell’ente pubblico. Si pensi, ad esempio, al caso
Tilburg in cui è stato affermato il principio dell’attività esecutiva di un compito
pubblico: l’apposizione dei rallentatori di velocità è attività che può essere eseguita
anche da una società di diritto privato e, in quanto tale, non sarebbe più coperta
dall’immunità penale.
11.3. La possibile applicazione nei confronti degli enti decentrati che hanno posto in
essere la condotta illecita al di fuori dell’esecuzione di un compito pubblico di esclusiva
competenza del funzionario pubblico delle cause di giustificazione dello stato di necessità
e dell’adempimento del dovere.
Laddove l’ente decentrato non possa fare appello all’immunità (o perchè non ri-
entra tra quelli indicati nel capitolo 7 della Costituzione o perchè non ha agito nell’e-
secuzione di un compito pubblico nel senso sopra indicato), la Corte di Cassazione
ha indicato la necessità di procedere ad un’ulteriore verifica e valutare l’eventuale
sussistenza di cause di giustificazione (rechtsvaardigingsgronden) in favore dell’ente
che escludano l’antigiuridicità del fatto. La sentenza ha fatto espresso riferimento
all’ipotesi dell’adempimento di un dovere previsto da una norma di legge (art. 42
c.p., wettelijke voorschriften98) da parte dell’ente: l’attività posta in essere dallo stesso,
ancorché in violazione della norma penale, dovrebbe andare esente da pena in quan-
to un’altra previsione di legge imponeva all’ente di porre in essere quella determinata
condotta. La dottrina ha successivamente esteso tale ragionamento anche all’ipotesi
dello stato di necessità (art. 40 c.p., noodtoestand) cui eventualmente gli enti possono
fare appello99.
In questo modo la Suprema Corte ha dimostrato di optare per un approccio «ma-
teriale», volto a valutare gli interessi pubblici in gioco. Il controllo del giudice penale
98
L’articolo 42 c.p. prevede che non è punibile la persona che ha commesso il reato in esecuzione di un
dovere imposto da una norma di legge.
99
L’art. 40 c.p. prevede che non è punibile la persona che ha commesso il reato in conseguenza di
forza maggiore (overmacht). Mentre nella disposizione dell’art. 42 c.p. relativa all’adempimento di una
prescrizione di legge sussiste un contrasto tra due diverse norme di legge, nel caso dell’art. 40 c.p. (stato
di necessità), il contrasto sussiste tra due interessi giuridici diversi. Secondo Hendriks, De Lange,
68 E. Pavanello
dovrà essere limitato alla legittimità del comportamento e l’interesse che potrà giusti-
ficare la violazione della norma penale non potrà mai essere di natura finanziaria, ma
dovrà trattarsi piuttosto di interessi di particolare rilievo quali, ad esempio, la tutela
della salute o della sicurezza pubblica.
Nell’ipotesi in cui l’ente decentrato non possa nemmeno invocare una causa di
giustificazione e si debba quindi procedere a condanna, il giudice penale nell’applicare
la sanzione potrà comunque tenere in considerazione la peculiare natura dell’ente stes-
so, decidendo di applicare una sanzione diversa rispetto a quella che applicherebbe in
situazione analoga ad una persona giuridica di diritto privato. Si potrà così ipotizzare
la condanna dell’ente a sanzioni «alternative» rispetto a quella pecuniaria, quali, ad
esempio, l’eliminazione del danno patito dalla parte offesa del reato, l’annullamento
dell’ingiusto profitto ottenuto dall’ente, la pubblicazione della sentenza. L’indicazio-
ne è di primaria importanza perchè consente di rispondere ad una delle principali
obiezioni avanzate in relazione all’impossibilità di perseguire penalmente una persona
giuridica di diritto pubblico, ovvero il cosiddetto argomento del vestzak-broekzak.
Ciò posto, la Corte di Cassazione ha voluto lasciare un’ulteriore spazio di «fuga» dal
diritto penale per gli enti pubblici decentrati indicando che, in ogni caso, il pubblico
ministero deve poter valutare liberamente l’effettiva opportunità di procedere penal-
mente (vervolgingsbeleid). Una ragione che, ad esempio, conduce a negare la necessità
di un intervento penale, si verifica quando sia già in corso un procedimento ammini-
strativo: sarà opportuno attendere l’esito dello stesso, prima di procedere penalmente.
Si ribadisce, quindi, il principio che il diritto penale costituisce ultimum remedium:
un uso sconsiderato della sanzione penale condurrebbe inevitabilmente ad una totale
apatia nei confronti degli altri sistemi di controllo. È bene dunque che lo stesso venga
utilizzato solo laddove gli altri mezzi repressivi non abbiano alcuna efficacia.
Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 44-46, proprio per tale motivo la
seconda scriminante indicata potrà essere invocata con maggior frequenza da parte di un ente pubblico
che ha agito violando la prescrizione penale nell’esecuzione di un’attività. Infatti, in queste ipotesi l’ente
avrà plausibilmente soppesato i diversi interessi giuridici in gioco e avrà ritenuto di agire violando le
norme penali, per garantire il perseguimento di un interesse pubblico. Con riferimento allo stato di
necessità Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer ii, cit., p. 78
ritengono che la scriminante potrà trovare applicazione nell’ipotesi in cui non è possibile attendere per
l’ente pubblico i tempi tecnici per l’emissione di una determinata autorizzazione in quanto ciò potrebbe
determinare ad esempio un grave pregiudizio all’ambiente.
L’ordinamento olandese 69
Il sistema delineato dalla Corte di Cassazione per gli enti pubblici decentrati pre-
vede una serie di verifiche che dovranno necessariamente essere effettuate prima di
poter procedere all’irrogazione della sanzione. Innanzitutto, il giudice deve chiedersi
se l’ente pubblico decentrato appartenga o meno a quelli indicati nel capitolo 7 della
Costituzione; poi dovrà procedere a verificare se la condotta vietata sia stata tenuta in
esecuzione di un compito pubblico attribuito all’ente pubblico dalla legge, compito
che può essere eseguito unicamente dai funzionari pubblici. Ove le risposte siano en-
trambe affermative, l’ente decentrato potrà fare appello all’immunità penale. In caso
contrario invece, si dovrà procedere a verificare l’eventuale operatività delle cause di
giustificazione e a valutare l’effettiva opportunità di procedere penalmente. Solo lad-
dove si ritenga assolutamente necessaria l’applicazione della sanzione penale, residua
comunque in capo al giudice la possibilità di utilizzare misure punitive diverse rispetto
a quelle che sarebbero state applicate in situazione analoga ad una persona giuridica
di diritto privato.
Dall’analisi della sentenza emerge come il sistema penale olandese attraverso la di-
screzionalità dell’azione penale, ben consenta di modulare la risposta sanzionatoria nel
caso in cui soggetti attivi del reato siano enti pubblici (decentrati). Tale impostazione
non potrebbe invece trovare applicazione in sistemi quale quello italiano, fortemente
vincolati al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Occorre osservare che, a differenza della sentenza Pikmeer i che aveva destato forti
critiche e perplessità da parte degli studiosi, la sentenza Pikmeer ii è stata accolta in
modo positivo dalla dottrina che ha condiviso l’impostazione di fondo della pronun-
cia, attraverso la quale è stato ristretto l’ambito di operatività dell’immunità penale
degli enti pubblici100. La pronuncia è stata valutata come un segnale positivo della
giurisprudenza che ha saputo interpretare le esigenze di eguaglianza giuridica cui la
dottrina con la propria critica aveva dato voce. Tuttavia, come si rileverà infra, essa è
stata criticata da taluni perché frutto di un «compromesso» non ancora sufficiente a
far fronte alle richieste di ampliamento dell’applicabilità dell’art. 51 c.p. alle persone
giuridiche di diritto pubblico avanzate e legittima, in alcuni casi, l’ente pubblico de-
centrato possa violare impunemente la legge penale101.
100
Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 44.
101
Viering, Widdershoven, De strafrechtelijke positie van de overheid na Pikmeer ii, cit., p. 80.
70 E. Pavanello
Circa la misura dell’effettiva estensione della responsabilità penale degli enti pub-
blici, diverse sono state le interpretazioni della nozione di compito pubblico indivi-
duato nella sentenza.
Secondo un’interpretazione estensiva, infatti, l’immunità penale degli enti pub-
blici sarebbe stata completamente abolita poiché essa sarebbe limitata dopo Pikmeer
II alle sole condotte «giuridiche» (rechtshandelingen) degli enti pubblici, condotte
che già di per sé non sono penalmente rilevanti e non invece ai comportamen-
ti materiali (feitelijke gedrangigen). Per comprendere il ragionamento è opportuno
utilizzare un esempio. Nell’ipotesi della concessione di un sussidio pubblico (ciò
che costituisce una condotta giuridica, rechtshandeling) da parte di un Comune ad
un’organizzazione criminale che poi, anche grazie a tale denaro, pone in essere at-
tività illecite (ovvero feitelijke gedrangigen), il Comune godrebbe dell’immunità in
riferimento alla concessione del sussidio, mentre potrebbe essere perseguito per aver
partecipato all’associazione criminale così come previsto dall’art. 140 c.p.
L’interpretazione esaminata trova il proprio fondamento nel fatto che nella sen-
tenza la Corte di Cassazione ha sostenuto che l’immunità può essere invocata esclu-
sivamente in relazione a quelle condotte che solo i funzionari pubblici possono porre
in essere, ovvero, sembrerebbe doversi intendere, le condotte giuridiche102.
Si tratta di un’ipotesi interpretativa che non convince poiché rende il criterio
indicato dalla Suprema Corte una «scatola vuota» in nulla modificando la situazione
esistente. La concessione di un sussidio in sé e per sé non potrà mai determinare
l’applicazione di una sanzione penale all’ente (a meno che naturalmente il sussidio
non venga concesso illegalmente ed esista un’apposita fattispecie penale che sanzioni
la condotta). Sarebbe quindi proprio la condotta materiale ad essere «coperta» da
immunità (nell’esempio citato la partecipazione all’associazione criminosa)103 con la
conseguenza che la Corte di Cassazione con la pronuncia Pikmeer II non ha abolito
l’immunità, ma l’ha piuttosto limitata.
102
H.Ph.J.A.M. Hennekens, De gemeente als rechtspersoon, in Gemeentestem, 1998, p. 435.
103
Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 109 e Roef, Strafbare overheden een rechtsvergelijken studie naar
de strafrechtelijke aansprakelijkheid van overheden voor milieuverstoring, cit., p. 267 il quale rileva che nel
diritto ambientale ciò comporta che ogni qual volta l’ente pubblico abbia concesso un’autorizzazione
illegittima nell’ipotesi in cui si tratti di un compito che può essere eseguito esclusivamente da funzionari
pubblici, l’ente in questione non potrà mai essere perseguito per i fatti illeciti posti in essere da terzi sulla
base di tale illecita autorizzazione.
L’ordinamento olandese 71
13. Le reazioni positive del Governo alle nuove indicazioni della giurisprudenza. La
posizione del Consiglio di Stato sull’impossibilità di perseguire gli enti pubblici decentrati.
La ribadità necessità da parte dei pubblici ministeri di utilizzare lo strumento penale nei
confronti degli enti pubblici decentrati solo come extrema ratio.
All’indomani della pronuncia Pikmeer ii, diverse sono state le reazioni a livel-
lo politico. Mentre, infatti, secondo alcuni parlamentari era corretta l’impostazione
della Corte di Cassazione che aveva distinto a seconda dell’attività posta in essere
74 E. Pavanello
dall’ente pubblico, altri hanno ritenuto che meglio sarebbe stato procedere a un’inte-
grale abolizione dell’immunità111.
Il Governo, dal canto suo, ha rinvenuto nella sentenza Pikmeer ii una sostanziale
conferma della posizione espressa in precedenza nel rapporto Responsabilità penale
degli enti pubblici.
Il Ministro della Giustizia ha fatto pervenire alla seconda Camera del Parlamento
le proprie conclusioni circa l’opportunità di procedere ad una modifica dell’art. 51
c.p.112 e ha dichiarato di condividere solo parzialmente l’opinione espressa nel pro-
prio parere dal Consiglio di Stato con riferimento alla possibilità di perseguire gli
enti pubblici113. Secondo quest’ultimo organo infatti sarebbe da escludere, allo stato
della legislazione vigente, tanto la possibilità di perseguire lo Stato, quanto quella di
perseguire gli enti pubblici. Se dunque si volesse procedere penalmente nei confronti
di dette persone giuridiche, sarebbe necessario procedere ad una modifica dell’art. 51
c.p. Tuttavia, ad avviso del Consiglio di Stato tale opzione non sarebbe consigliabile
in quanto troppi ostacoli si frapporrebbero all’esercizio dell’azione penale nei con-
fronti degli enti pubblici (in particolare il Consiglio di Stato menziona la possibile
incidenza della condanna penale sulla continuità dei servizi pubblici offerti, il fatto
che l’eventuale sanzione comminata sarebbe patita dai cittadini). Meglio optare per
la sola perseguibilità dei funzionari pubblici: al riguardo, il Consiglio di Stato pro-
pone di aumentare il numero delle ipotesi in cui è possibile perseguire penalmente i
funzionari e di introdurre specifiche cause di giustificazione per gli enti pubblici, in
modo da garantire che gli stessi non possano essere perseguiti penalmente.
Il Ministro della Giustizia ha affermato che, pur condividendo la posizione del
Consiglio di Stato con riferimento all’irresponsabilità penale dello Stato (su cui dif-
fusamente infra), non è a suo avviso necessaria alcuna modifica legislativa dell’art. 51
c.p. L’applicazione giurisprudenziale avrebbe, infatti, dimostrato che gli enti pub-
blici decentrati sono perseguibili penalmente e che non vi sarebbe alcuna necessità
di precisare tale concetto. Il Governo si è espresso in senso negativo anche riguardo
all’eventuale necessità di indicare in un testo di legge i fondamenti dell’immunità,
ritenendo più opportuno demandare il giudizio sull’opportunità di procedere penal-
mente al giudice nella valutazione del caso concreto.
Da ultimo, il Governo non ha ritenuto nemmeno necessario introdurre un’ap-
posita scriminante che operi nei confronti degli enti pubblici, essendo sufficienti sul
111
Van der Jagt, Decentraal bestuur vervolgbaar? Een onderzoek naar de strafrechtelijke en bestuursrechtelijke
aspecten van het Pikmeer ii arrest, cit., p. 113.
112
Seconda Camera, anno 1996-1997, 25 294, n. 8.
113
Il Consiglio di Stato ha espresso il proprio parere in data 8.5.1998. Su tale posizione, si vedano in
particolare Th.W. van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, in «RMThemis», n.
5, 2000, p. 163-164; De Roos, Geen strafrechtelijke aansprakelijkheid voor de Staat? Minister Korthals
als Oblomow, p. 92-96.
L’ordinamento olandese 75
Dall’analisi delle posizioni della dottrina, del Governo e dei p.m. rispetto alla
sentenza Pikmeer ii emergono alcuni interessanti spunti di riflessione.
Senza dubbio la dottrina ha valutato positivamente la restrizione dell’ambito di
operatività dell’irresponsabilità penale fatta discendere dal criterio del compito che
può essere eseguito esclusivamente dai funzionari pubblici, così come l’affermazione
della perfetta compatibilità tra il sistema di controllo penale e i sistemi politico
e amministrativo. Essa ha inoltre generalmente condiviso il ribadito principio
secondo cui il diritto penale deve costituire l’ultimum remedium e deve intervenire
unicamente laddove gli altri sistemi di controllo non siano in grado di offrire una
risposta sanzionatoria adeguata.
Tuttavia, secondo la maggioranza della dottrina, tali premesse non legittimano
la scelta della Corte di Cassazione di considerare sempre e a priori giustificate le
College van procureurs-generaal, Aanwijzing voor de opsporing en vervolging van overheden, in
114
attività che possono essere poste in essere esclusivamente dai funzionari pubblici e ciò
perché in questo modo la Suprema Corte ha dato per scontata l’esistenza di un’area
di attività in cui gli enti pubblici possono agire impunemente. Al contrario, sarebbe
opportuno valutare anche in queste ipotesi, alla luce dei principi di proporzionalità
e sussidiarietà, l’effettiva opportunità della condotta tenuta dall’ente pubblico in
violazione delle prescrizioni penali115.
Il problema che si pone è dunque di opportunità e la soluzione andrebbe
rinvenuta nella norma di diritto processuale dell’art. 167, secondo comma, che
ben consente di modulare l’utilizzo del processo penale alle sole ipotesi in cui ciò
si riveli effettivamente necessario116. Non sarebbe possibile creare a priori a livello
giurisprudenziale delle regole rigide di immunità che inevitabilmente conducono a
violare il principio di eguaglianza giuridica tra soggetti privati e pubblici.
Il Governo e i pubblici ministeri sembrano, invece, aver posto maggiormente
l’accento sugli elementi positivi di novità contenuti nella giurisprudenza Pikmeer ii.
Né l’uno, né gli altri hanno fatto cenno all’indeterminatezza del criterio del compito
pubblico che può essere posto in essere esclusivamente dai funzionari pubblici.
Positivo inoltre è stato generalmente considerata l’attenzione dedicata alla valutazione
circa l’opportunità di procedere e alla necessità di modulare la misura della pena.
15. La conferma del principio dell’immunità penale concessa agli enti pubblici decentrati
che hanno commesso l’illecito penale nell’ambito di un’attività pubblica di esclusiva
competenza dei pubblici funzionari nella giurisprudenza successiva al caso Pikmeer ii.
115
Hendriks, De Lange, Strafvervolging van overheden na het Tweede Pikmeer-arrest, cit., p. 46.
116
Th.a. De Roos, Het Pikmeerarrest en zijn gevolgen, in «Ars Aequi», 1997, p. 230.
117
Hof Leeuwarden, 4.11.1997, in «Milieu en Recht», n. 18, 1998, con nota di De Lange.
L’ordinamento olandese 77
La sentenza è stata criticata perché presuppone che laddove un ente pubblico ab-
bia la competenza per concedere un’autorizzazione, ancorché la stessa sia illegittima,
esso può andare esente da sanzione penale118.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che per giudicare dell’eventuale responsabilità
penale di un ente pubblico occorra fare riferimento ai criteri indicati da Pikmeer ii e
che nessun rilievo possa assumere il fatto che l’ente pubblico sia il soggetto che può
rilasciare detta autorizzazione. Per tale ragione la Suprema Corte ha annullato la sen-
tenza del Tribunale e ha rinviato il caso alla Corte d’Appello di Arnhem119.
Il criterio del compito pubblico esclusivo ha condotto, di converso, alla condanna
del Comune di Utrecht120. Il Comune era stato infatti accusato di omicidio colposo
per la morte di un pompiere il quale era deceduto nel corso dell’esercitazione subac-
quea cui lo stesso aveva preso parte. A parere del pubblico ministero sussistevano gli
estremi della responsabilità penale atteso che il Comune, in qualità di datore di lavo-
ro, avrebbe dovuto organizzare l’esercitazione predetta seguendo le opportune nor-
me di sicurezza, ciò che nel caso di specie non era avvenuto. La difesa del Comune
aveva sostenuto che quest’ultimo avesse agito nell’esecuzione di un’attività di natura
«esclusivamente» pubblica e avesse invocato a fondamento dell’assunto l’art. 1 della
legge sui pompieri del 1985 che conferisce espressamente al Comune il compito di
salvaguardia dai pericoli del fuoco.
Al fine di pervenire alla qualificazione dell’attività in oggetto, il Tribunale ha esa-
minato la relazione della legge citata da cui è risultato che effettivamente la compe-
tenza in materia di prevenzione degli incendi spetta al Comune. Tuttavia, le eserci-
tazioni e l’addestramento dei pompieri non sono compiti espressamente attribuiti
al Comune − ancorché siano in stretta correlazione con i compiti fondamentali di
prevenzione degli incendi eseguiti dai pompieri − e possono essere eseguiti anche da
società private cui vengono demandati. Sulla base di tale ragionamento che ricalca
pienamente le indicazioni di Pikmeer ii, l’azione del p.m. è stata dichiarata ricevibile
e il Comune condannato al pagamento di una multa di 18.000 euro.
problema della possibile applicazione dell’art. 51 c.p. poiché non vi è alcun divieto
espresso al riguardo.
A differenza della posizione degli enti pubblici decentrati, nessuna indicazione
è fornita sul punto nemmeno dalla Relazione al codice penale121, la quale si limi-
ta a esaminare la controversa posizione degli enti pubblici decentrati. La ragione
dell’assenza di indicazioni va probabilmente rinvenuta nel fatto che esistono ostacoli
«storici» ancor prima che giuridici all’affermazione di una responsabilità penale dello
Stato. Tradizionalmente infatti si ritiene che un’immunità assoluta debba essere rico-
nosciuta alle attività dell’ente statale.
Il dibattito sviluppatosi nell’ordinamento olandese dimostra tuttavia che il tema
è di crescente attualità e che occorre analizzare in modo critico il fondamento delle
ragioni che inducono molti ordinamenti ad escludere totalmente la responsabilità
penale dello Stato.
Come si avrà modo di illustrare nel prosieguo, infatti, è stato da molte parti sot-
tolineato che non avrebbe senso distinguere tra la posizione degli enti decentrati e
quella dello Stato: entrambi godono di prerogative «pubblicistiche» che potrebbero,
al limite, giustificare un trattamento differenziato rispetto alle altre persone giuridi-
che di diritto privato. Tuttavia, mentre per gli enti decentrati è stata ammessa una
(limitata) forma di responsabilità penale, per lo Stato essa è stata recisamente negata,
con le conseguenze che è possibile immaginare e che derivano da un trattamento
giuridico differenziato a fronte di condotte «materiali» analoghe.
al Ministro della Giustizia, la subordinazione del p.m. alla persona giuridica di diritto
pubblico Stato. In secondo luogo, una simile interpretazione della legge sull’organiz-
zazione del Regno sarebbe parziale perchè non terrebbe in considerazione il fatto che il
pubblico ministero è molto più di un semplice funzionario pubblico nel momento in
cui esercita le proprie funzioni e decide se procedere o meno con l’azione penale. Egli,
nonostante sia inquadrato all’interno dell’organizzazione statale, deve poter esercitare
un giudizio indipendente circa l’esistenza della responsabilità penale (quindi, anche
nei confronti dello Stato), atteso che il suo compito è quello di realizzare il diritto
nello Stato e non lo Stato nel diritto134.
È indubbio, tuttavia, che laddove il pubblico ministero decida di esercitare l’azione
penale nei confronti dello Stato, potrebbero sussistere problemi di ordine «pratico».
Atteso che nell’esercizio dell’azione penale il Ministro della Giustizia può fornire in-
dicazioni allo stesso organo della pubblica accusa circa l’opportunità di procedere o
meno135, ove fosse in gioco la responsabilità penale dello Stato, il Ministro plausibil-
mente potrebbe «invitare» il pubblico ministero a non procedere. Si realizzerebbe così
un controllo politico dell’attività giurisdizionale. Tuttavia, a parere di taluni nemme-
no dette difficoltà «pratiche» possono giustificare un’assoluta immunità dello Stato:
esse devono piuttosto essere risolte attraverso altri «accorgimenti». Alcuni studiosi
propongono, ad esempio, di dettare una speciale procedura, analoga a quella prevista
per la perseguibilità di Ministri e Segretari di Stato136. Altri ancora, invece, propon-
gono di imporre l’obbligo in capo al Ministro dell’astensione dal fornire indicazioni
di alcun tipo al pubblico ministero nel caso in cui si proceda nei confronti dello Stato
ed eventualmente la decisione se procedere o meno sia lasciata all’intero Collegio dei
procuratori137.
Sul piano sanzionatorio parte della dottrina (oltre che la stessa Corte di Cassazio-
ne) ritiene che sia insensato applicare una sanzione penale (a carattere pecuniario)
allo Stato, atteso che quest’ultimo in sostanza pagherebbe l’ammenda a se stesso138. Il
134
Roef, Strafbare, cit., p. 302-304.
135
Corstens, nella nota a sentenza Volkel, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1994/598.
136
Brants, The king can do no wrong, cit., p. 516. Roef dubita fortemente della praticabilità di una
simile soluzione e della sua effettiva valenza. Roef, Strafbare, cit., p. 304.
137
J.H.P. van Spanje, Staat en straf, in «Nederlands Juristenblad», afl. 22, 2002.
138
Torringa, Strafbaarheid, cit., p. 158 e A.L.J. van Strien, De rechtspersoon in het strafproces. Een
onderzoek naar de procesrechtelijke aspecten van de strafbaarheid van de rechtspersoon, Sdu Uitgever, Den
Haag 1996, p. 59.
84 E. Pavanello
ragionamento viene poi traslato dal piano sanzionatorio a quello sostanziale e si arriva
a concludere che è altresì irragionevole prevedere la responsabilità penale dello Stato.
L’argomentazione parte evidentemente dal principio che lo Stato costituisce un’u-
nità inscindibile; principio questo ritenuto da parte della dottrina erroneo, oltre che
semplicistico: lo Stato è, infatti, un’organizzazione complessa che dispone di speci-
fiche funzioni e di diversi dipartimenti. Il fatto che il denaro venga trasferito da un
dipartimento ad un altro non è poi così strano139. Inoltre, non si può seriamente so-
stenere una simile posizione laddove si consideri che proprio nel caso Volkel lo stesso
Stato aveva fatto già ricorso alla transazione (pagando quindi una somma di denaro
al Ministero della Giustizia): anche in questo caso era avvenuto un trasferimento di
denaro da un dipartimento all’altro senza che tuttavia sia stato avanzato alcun dubbio
sull’effettività del pagamento140.
Si ritiene inoltre che non sia utile confondere il piano sostanziale con quello san-
zionatorio: una cosa è sostenere che in qualche modo la sanzione pecuniaria potrebbe
rivelarsi «inutile» (anche se è opportuno ricordare che vi sono altre sanzioni penali
applicabili oltre a quella pecuniaria), altro è invece far discendere da ciò l’inutilità della
stessa responsabilità penale dello Stato.
17. Critiche della dottrina alla giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità penale
dello Stato.
illecito da parte dello Stato: al contrario, occorrerà dimostrare e verificare caso per caso
se questo interesse sia stato concretamente valutato e perseguito.
Detta affermazione desta poi alcune perplessità in relazione al caso concreto:
difficile, infatti, rinvenire un interesse di carattere generale nella condotta negligente
tenuta all’interno dell’aeroporto militare Volkel. Se sicuramente si può ritenere che
la difesa della sicurezza aerea sia di interesse generale, non si vede in che modo la
fuoriuscita di kerosene per mancanza di adeguata manutenzione persegua tale
interesse. Si può al contrario sostenere che in questo caso si è di fronte alla violazione
delle norme di tutela dell’ambiente che costituisce oggetto di interesse generale e che,
al pari della sicurezza aerea, deve essere tutelato dallo Stato142.
Occorre poi considerare la peculiare posizione dello Stato rispetto agli enti decentrati:
anche questi ultimi perseguono in linea di principio interessi a carattere generale ma
nonostante ciò, qualora pongano in essere condotte illecite nell’esecuzione di un
compito sì pubblico ma non esclusivo (alla luce dell’insegnamento Pikmeer ii), sono
perseguibili. La disuguaglianza può essere ben compresa se si pensa a ipotesi concrete
di violazione: infatti, se un reato ambientale è posto in essere nel quadro di un’attività
comunale, allora il Comune è perseguibile, mentre se è posto in essere dal Ministero
la responsabilità penale è esclusa. Analogamente la posizione di disuguaglianza emerge
nelle ipotesi in cui l’esecuzione di un’attività di interesse generale venga conferita ad
una società privata: quest’ultima non potrebbe fare appello ad alcuna immunità143.
18. Necessità di una revisione della giurisprudenza che ha sancito l’irresponsabilità dello
Stato in ragione dell’affermazione della compatibilità tra i sistemi di controllo penale,
politico e amministrativo sull’attività degli enti pubblici decentrati.
Una delle critiche di maggior rilievo nei confronti della sentenza Volkel è stata volta
a contestare l’incompatibilità tra controlli di natura politica o amministrativa sull’ope-
rato dello Stato e lo strumento penale. Già al momento della pronuncia della sentenza
si era ritenuto che non esistessero validi motivi per sostenere una simile argomenta-
zione, atteso che non esisteva alcuna incompatibilità tra i diversi mezzi di controllo144.
La critica è apparsa vieppiù fondata alla luce della giurisprudenza Pikmeer ii, la
quale ha stabilito espressamente che l’asserita incompatibilità non è reale ma frutto di
una presa di posizione che non trova fondamento. Da ciò discende che l’esistenza di
un controllo politico sull’operato statale non è più in grado di giustificare l’irrespon-
sabilità assoluta dello Stato.
142
Van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, cit., p. 165.
143
Roef, Kan de Staat, cit., p. 341.
144
Brants, The king can do no wrong, cit., p. 515.
86 E. Pavanello
possibile strutturare la responsabilità dello Stato e verificare sulla base di quali criteri la
condotta illecita sia attribuibile allo stesso149 e, in particolare, in che modo dovrebbero
atteggiarsi i criteri del potere e dell’accettazione. Al riguardo si è rilevato che atteso che
lo Stato, al pari delle altre persone giuridiche di diritto privato, è organizzato attra-
verso una struttura interna ove le competenze sono ben definite e ciascuna «entità»
impartisce ordini o conferisce incarichi a determinati soggetti, adottando decisioni
che possono dare origine alla commissione di fatti illeciti, è plausibile che esso sia a
conoscenza delle attività che si svolgono all’interno della propria organizzazione. Solo
laddove vi sia un’attività qualificabile come corpus alienum, sarà possibile ritenere che
la stessa non sia in alcun modo riconducibile allo Stato. Quanto, invece, al criterio
dell’accettazione, esso risulterebbe probabilmente di più difficile applicazione poiché
occorrerebbe verificare se sussista il potere in capo alla persona giuridica di adottare
tutte quelle misure idonee a prevenire la commissione del reato. Si considerino le
contravvenzioni: esse postulano in generale un dovere di diligenza che comporta per
l’organizzazione l’adozione di specifiche istruzioni, procedure o regole affinché all’in-
terno dell’ente non si verifichi alcun fatto penalmente rilevante. Mentre abbastanza
semplice è determinare quando materialmente vi sia stata la violazione di una norma,
più complicato invece risulta stabilire quando un certo comportamento è stato accet-
tato dall’organizzazione. E poi occorre determinare a che livello dell’organizzazione
vi sia stata l’accettazione. Ad esempio, nel caso Volkel in cui la violazione contestata
era di natura contravvenzionale, deve ritenersi sufficiente per attribuire la condotta
allo Stato che il responsabile della base militare fosse a conoscenza della potenziale
situazione di pericolo esistente o è piuttosto necessario che detta situazione fosse a
conoscenza dei più alti vertici dello Stato (sino ad arrivare al Ministero della Difesa)?
Mentre nella prima ipotesi sarà più agevole fornire la prova sul punto, nel secondo
caso occorrerà ricostruire una serie di responsabilità a catena e la prova sarà inevitabil-
mente più complessa150. Infatti, un deficit di organizzazione di una struttura «distante»
dai vertici statali ma facente parte dello stesso organismo, difficilmente potrà essere
riferita direttamente allo Stato151.
Il problema si acuisce ove si pensi ad ipotesi di reati in cui sia necessario dimostra-
re l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, come avviene nell’ipotesi di corporate
killing.
Stante l’esistenza di queste indubbie difficoltà, parte della dottrina olandese ha
proposto di non considerare lo Stato come un’unità inscindibile, quanto piuttosto di
attribuire soggettività giuridica anche alle singole entità che non sono dotate di pro-
149
Roef, Strafbare, cit., p. 307.
150
Brants, The king can do no wrong, cit., p. 521-528.
151
Roef, Strafbare, cit., p. 393-397.
88 E. Pavanello
pria personalità giuridica. A tal proposito si è proposto di apportare una modifica del
codice penale che si indirizzi esplicitamente in questo senso152.
19.1. Valutazioni in ordine alla responsabilità penale dei dirigenti di fatto e di coloro
che hanno dato l’ordine all’interno dello Stato.
152
Roef, Strafare, cit., p. 400-401.
153
Brants, The king can do no wrong, cit., p. 526 ss.
154
Van Veen, De strafrechtelijke aansprakelijkheid van de overheid, cit., p. 166.
L’ordinamento olandese 89
20. L’istituzione da parte del Ministero della Giustizia di una commissione ad hoc per
valutare l’opportunità di prevedere un sistema di responsabilità penale nei confronti dello
Stato.
20.1. Analisi da parte della Commissione del fondamento e della legittimità delle
argomentazioni addotte a sostegno dell’immunità penale dello Stato, ovvero l’asserita
identità tra soggetto perseguito e soggetto che esercita l’azione penale, l’ineffettività di una
sanzione penale di carattere pecuniario, l’asserita incompatibilità dei sistemi di controllo
politico, penale e amministrativo e il pericolo di una giustizializzazione della politica.
Critiche.
degli studiosi è, dunque, di limitare l’uso della sanzione penale alle sole ipotesi in cui
ciò risulti effettivamente necessario.
Dopo aver precisato i principi sopra esaminati, si analizzano gli argomenti che
sono stati addotti dal Governo ad ostacolo della perseguibilità penale dello Stato, cer-
cando di dimostrare che nessuno di essi è in grado di giustificare la totale immunità
dello stesso.
Il primo ostacolo rinvenuto dal Governo concerne l’asserita identità tra soggetto
che esercita l’azione penale e soggetto perseguito: lo Stato perseguirebbe e punirebbe
se stesso e ciò determinerebbe una perdita di credibilità nell’azione penale e nella
punizione stessa.
Ad avviso della Commissione questo argomento non è convincente perché lo Sta-
to a ben vedere non verrebbe perseguito e punito da se stesso, bensì da entità diverse
che si collocano al suo interno (pubblico ministero e giudice penale). Il problema è
ad avviso della Commissione facilmente risolvibile attraverso degli accorgimenti di
carattere procedurale.
La seconda argomentazione addotta a sostegno dell’irresponsabilità attiene alla
controversa posizione in cui si verrebbe a trovare il Ministro di Giustizia, contem-
poraneamente membro del Governo e responsabile per l’operato del pubblico mini-
stero. Ciò comporterebbe un’inevitabile influenza nella scelta se perseguire o meno
lo Stato da parte del Ministro della Giustizia con la conseguenza che vi sarebbe un
controllo politico sull’attività giudiziaria. La Commissione non nasconde l’esistenza
di detto rischio che considera attuale e presente, ma ritiene che ciò possa essere su-
perato attraverso l’adozione di apposite procedure (in particolare, la Commissione
suggerisce di prevedere che il Ministro si astenga dal dare le proprie indicazioni ove
venga perseguito lo Stato).
Il terzo ostacolo addotto alla procedibilità concerne l’effettività del diritto penale e
della pena nei confronti di una persona giuridica di diritto pubblico e, in particolare,
dello Stato (vestzak-broekzak). Ad opinione della Commissione, il problema si pone
unicamente qualora vengano condannati Ministeri o entità all’interno dello Stato che
non sono dotati di un proprio budget e non dispongono, quindi, di risorse finanziarie
proprie. In ogni caso, anche in quest’ultima ipotesi, a parere degli esperti, è innega-
bile il valore simbolico della condanna penale, a prescindere dal fatto che alla stessa
segua poi l’effettiva applicazione della sanzione. Pertanto, la Commissione propone
di procedere ad una semplice dichiarazione di colpevolezza dello Stato cui poi non
segua l’applicazione di alcuna sanzione.
Quanto all’asserita incompatibilità con l’eventuale esistenza di sistemi di con-
trollo politici e amministrativi, la Commissione ritiene che ciò non costituisca alcun
ostacolo. Se infatti occorre assicurare che lo strumento penale trovi applicazione solo
come extrema ratio, laddove gli altri sistemi di controllo non producono risultati
92 E. Pavanello
Una volta accertata la necessità di procedere ad una punizione penale delle condotte
poste in essere all’interno dello Stato, si pone il problema di come strutturare detta
responsabilità.
Secondo la Commissione non è opportuno fare riferimento al concetto di Stato
in generale: più appropriato, invece, fare riferimento alle singole unità o ai singoli
Ministeri i quali tuttavia molto spesso non detengono la personalità giuridica. La
Commissione propone di perseguire dette entità a condizione che le stesse siano
dotate di una indipendenza «esterna», che consenta loro di prendere parte al mercato
societario. Per determinare quando detta indipendenza esterna sussista occorrerà
tenere in considerazione una serie di fattori, quali, in via esemplificativa, l’esistenza
in capo all’ente di determinate competenze o funzioni, la disponibilità di un budget
autonomo, la capacità di avere relazioni con gli altri soggetti di diritto (ad esempio, un
fattore indicativo sarà il fatto che l’entità in questione può concludere autonomamente
contratti), la presenza di una certa autonomia decisionale, la disponibilità di una sede
di lavoro indipendente o addirittura di un autonomo indirizzo e-mail.
Lo Stato in quanto tale non può essere perseguito, ma devono esserlo le singole
entità allo stesso facenti capo, ancorché non dotate di personalità giuridica: di qui
L’ordinamento olandese 93
la necessità di modificare l’art. 51 c.p. nel senso che anche dette entità rientrano nel
concetto di persona giuridica159.
La Commissione indica, poi, che alcune entità, indipendentemente dalla loro
rilevanza esterna, non potranno mai sottostare alla responsabilità penale: trattasi del
pubblico ministero, del Consiglio di Stato e dei Tribunali. E ciò non tanto perché vi
siano ostacoli di principio, quanto piuttosto per ragioni di opportunità pratica.
Una volta chiarito l’ambito soggettivo di applicazione della responsabilità penale
dello Stato, la Commissione indica che, da un punto di vista oggettivo, le entità statali
potranno essere considerate responsabili unicamente per i cosiddetti ordeningsdelicten,
ovvero quei delitti che non sono previsti nel codice penale ma nelle leggi speciali (per
lo più si tratta di delitti economici contenuti nella wed).
La Commissione giustifica la propria scelta sostenendo innanzitutto che la con-
temporanea presenza di controllo sul piano penale, politico e amministrativo po-
trebbe determinare una situazione di confusione per i commune delicten. In secondo
luogo, essa ritiene che la maggior parte dei delitti che potranno essere riferiti allo
Stato apparterranno a questa categoria e che per gli stessi sarà più agevole la pro-
va dell’elemento soggettivo, atteso che sarà sufficiente nella maggior parte dei casi
dimostrare la sussistenza della colpa. A ciò si aggiunge che per i commune delicten
(pensiamo all’ipotesi di omicidio) sarà molto difficile provare sul piano causale che la
condotta dello Stato ha determinato il verificarsi di quel delitto. La presa di posizione
della Commissione è stata fortemente criticata dalla dottrina, vieppiù per il fatto che
la stessa propone la medesima soluzione anche qualora si tratti di fatti illeciti posti in
essere da enti pubblici decentrati160.
Quanto infine alla posizione delle persone fisiche indicate nell’art. 51 c.p.,
appare opportuno a parere della Commissione consentire che le stesse rispondano
penalmente indipendentemente dal fatto che l’ente pubblico (decentrato o Stato) cui
appartengono possa godere dell’immunità.
159
Brants, Vervolgbaarheid van de Staat, in «Overheid en aansprakelijkheid», n.1, gennaio 2003, p. 10
rileva che nulla impedisce di estendere la proposta di scindere lo Stato in diverse unità anche ad altri enti
pubblici come i comuni di grandi dimensioni.
160
La Commissione nel proprio rapporto fa infatti riferimento anche alla posizione degli enti pubblici
decentrati e propone che la loro responsabilità penale emerga solo nell’ipotesi di ordeningsdelicten. Da
condividere sono le critiche avanzate dalla Commissione sul fondamento giuridico e sull’opportunità
pratica di utilizzare il criterio dell’esecuzione di un compito pubblico che può essere posto in essere
solo da funzionari pubblici, individuato da Pikmeer ii per escludere la responsabilità penale degli enti
pubblici decentrati. Gli esperti infatti ritengono che il criterio non sia sufficientemente determinato e
lasci spazio a diverse opzioni interpretative, senza contare poi che la distinzione tra attività che possono
essere poste in essere esclusivamente da soggetti pubblici e quelle che possono essere eseguite anche da
privati non è convincente. Al contrario, in virtù dei principi di legittimità ed effettività è necessario che
qualsiasi attività, anche quelle «tipiche» o «esclusive», siano sottoposte al controllo penale.
94 E. Pavanello
21. Le reazioni critiche del Governo e della dottrina al modello di responsabilità proposto.
to. In questo modo verrebbe garantita l’indipendenza della scelta da ogni influenza
politica165.
Critiche sono state avanzate rispetto al rapporto della Commissione Roelvink, ol-
tre che per l’irragionevolezza della distinzione tra delitti comuni e ordeningsdelicten,
anche in relazione alla proposta di distinguere all’interno dello Stato i diversi servizi,
stabilimenti, imprese o unità organizzative che godono di «indipendenza»166.
22. Gli esiti applicativi del sistema di limitata responsabilità penale degli enti pubblici
decentrati e dello Stato. L’impunità «incomprensibile» delle persone giuridiche, dei
dirigenti di fatto e di coloro che hanno dato l’ordine in relazione a disastri imputabili alle
colpose omissioni dell’amministrazione pubblica.
I casi esaminati nel presente paragrafo hanno suscitato grande scalpore in Olanda
perché hanno evidenziato le limitazioni cui l’applicazione dei principi giurispruden-
ziali in materia di (ir)responsabilità penale di enti decentrati e Stato possono dare
origine167.
Nel caso di Enschede, un magazzino di fuochi artificiali era esploso nel centro della
città con conseguenze catastrofiche: oltre 20 morti e più di 1.000 feriti, senza contare
che l’incidente aveva comportato anche ingenti danni materiali.
La commissione statale di indagine aveva stabilito che diversi enti pubblici non
avevano compiuto quanto era di loro competenza per prevenire il disastro incendia-
rio. Dalla relazione de qua era emerso, in particolare, che tanto la condotta del Co-
mune di Enschede nella veste di ente che concedeva l’autorizzazione per il deposito dei
fuochi artificiali, quanto quella degli organi statali preposti al controllo della sicurezza
(ufficio Milan del Ministero della Difesa), avevano mostrato gravi lacune.
Il Tribunale di Almelo nel considerare la posizione dello Stato, si è limitato a con-
statare l’impossibilità di perseguire detto ente pubblico, in ragione dei principi con-
tenuti nella sentenza Volkel, nonché l’impossibilità di perseguire i dirigenti di fatto e
coloro che avevano dato l’ordine all’interno dell’organizzazione statale168.
165
P. de Haan, Nogmaals de strafbaarheid van de overheid: onderscheid tussen rechtspersoon en openbaar
gezag, in «RMThemis», n. 3, 2003, p. 148 secondo cui il rischio di un’effettiva influenza politica nella
scelta di procedere penalmente o meno è solo teorico.
166
De Haan, Nogmaals de strafbaarheid van de overheid: onderscheid tussen rechtspersoon en openbaar
gezag, cit., p. 147-148.
167
Nel senso che pochi casi dopo quello Pikmeer hanno destato interesse nell’opinione pubblica e, tra
questi, quelli di Volendam ed Enschede si veda J.A.F. Peters, Na Pikmeer: Volendam of Enschede?, in
«Nederlands Tijdschrift voor Bestuursrecht», n.2, 2002, p. 42.
168
Rechtbank Almelo 2 aprile 2002, LJN: AE0935, reperibile nel sito web <http://zoeken.rechtspraak.
nl/zoeken/dtluitspraak.asp>.
L’ordinamento olandese 97
non è stato escluso che questi compiti di natura esclusivamente pubblica possano
essere posti in essere anche da persone giuridiche di diritto privato, ma nonostante
ciò ha ritenuto improcedibile l’azione penale.
Quanto al caso Volendam, le reazioni sono state contrastanti. La maggior parte
della dottrina ha considerato la soluzione per la quale ha optato il pubblico ministero
alquanto discutibile. Sul punto si è ritenuto come nel caso di specie la responsabilità
del Comune fosse manifesta e quest’ultimo avrebbe pertanto dovuto essere punito. Il
Sindaco aveva addirittura ammesso la propria responsabilità dichiarando che, nono-
stante il Comune avesse indicato ai proprietari del caffé le modificazioni da apportare
al locale per renderlo conforme alla normativa vigente, lo stesso ente non aveva poi
proceduto ad adottare misure adeguate per prevenire un simile incidente. Evidente
poi il nesso diretto tra la negligenza (colpevole) del Comune e l’incendio, nesso che
raramente è così chiaro nell’ipotesi di condotte di carattere omissivo173. Se dunque
è vero che l’estinzione degli incendi è compito di carattere prettamente pubblico, in
quanto tale non delegabile a terzi e sottoposto a immunità penale, nel caso specifico
le negligenze del Comune atterrebbero in realtà ad una fase precedente rispetto alla
vera e propria estinzione dell’incendio. Dette funzioni di prevenzione possono essere
poste in essere anche da terzi privati, con la conseguenza che non sono sottoposte a
immunità penale.
Non é mancato, tuttavia, chi ha adottato un approccio diverso, con l’invito ad
abbandonare la retorica e a guardare alla realtà: il diritto penale non potrebbe infatti
soddisfare le aspettative dei cittadini a fronte di un comportamento negligente di un
Comune174. In questo senso è stata negata l’esistenza del nesso di causalità tra l’omis-
sione del Comune da un lato e l’incendio dall’altro e ciò perché la causa e l’effetto
devono trovarsi in termini di tempo e di immediatezza vicini l’uno all’altro, cosa che
nel caso di specie non si sarebbe verificata. La sola esistenza di un generale dovere di
diligenza e l’eventuale responsabilità per le conseguenze che si determinano in viola-
zione di detta diligenza, non sarebbe in questa prospettiva sufficiente a determinare
la responsabilità del soggetto: è necessario, piuttosto, che esista un compito specifico
cui adempiere o un comportamento ben definito da tenere. Secondo lo Studioso non
vi sarebbe, pertanto, alcuna connessione diretta tra la negligenza dell’ente pubblico
e il disastro incendiario, sia perché le negligenze del Comune si erano verificate nei
dieci anni precedenti alla realizzazione dell’incendio, sia perché non sarebbe esistito
Aequi», n. 50, 2001, p. 149.
173
T.M. Schalken, Waarom wordt de gemeente Volendam niet vervolgd?, in «Delikt en Delinkwent», n.
31 afl. 12, 2001, p. 115.
174
S.A.M. Stolwijk, Retoriek en realiteit in Volendam, in «Delikt en Delinkwent», n. 31, afl. 6, 2001,
p. 525 ss.
100 E. Pavanello
23. La necessità di accertare la responsabilità penale dei soggetti fisici esercenti funzioni
pubbliche che hanno attentato al diritto alla vita nella giurisprudenza della Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo e i possibili riflessi di tale principio in relazione alla responsabilità
penale delle persone giuridiche di diritto pubblico (caso Öneryildiz v. Turchia).
Per quanto qui interessa si farà cenno alla sentenza Öneryildiz v. Turchia176 che
risulta particolarmente rilevante ai fini della materia oggetto di studio, sia per le
analogie con i casi Enschede e Volendam sotto il profilo fattuale, sia per la motivazione
contenuta nella decisione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Il caso riguardava un’esplosione di metano avvenuta all’interno di una discarica
comunale nelle vicinanze della quale si erano insediate in modo abusivo nel corso degli
anni dodici famiglie. Le autorità locali non avevano concesso alcuna autorizzazione
all’insediamento in tali luoghi, ma, nel contempo, non avevano fornito adeguate
informazioni sui rischi cui gli abitanti della zona andavano incontro vivendo vicino
alla discarica, né avevano adottato alcuna misura idonea a trasferire detti soggetti in
un luogo sicuro, nonostante da un rapporto governativo emergesse in modo chiaro
l’esistenza di un rischio per la vita degli abitanti della bidonville. A causa di questa
esplosione erano decedute 39 persone, delle quali molte facevano parte della famiglia
del ricorrente.
Il signor Öneryildiz, dopo aver esperito le azioni penale e amministrativa a livello
nazionale, esperiva il ricorso avanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (in
seguito, cedh), allegando la violazione da parte dello Stato turco dell’art. 2 della
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che tutela il diritto alla vita, dell’articolo
1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione che protegge il diritto alla proprietà,
dell’articolo 6 della Convenzione che prevede il diritto al giusto processo e dell’articolo
8 della Convenzione, il quale tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Ci limiteremo ad analizzare l’argomentare giuridico della cedh con riferimento
all’allegata violazione dell’articolo 2 della Convenzione, in quanto riteniamo che
175
T. Barkhuysen, M.L. van Emmerik, Het evrm dwingt tot verruiming van de strafrechtelijke
vervolgbaarheid van overheden, in «Nederlands Juristenblad», afl. 28, 2003, p. 1444.
176
cedh, Öneryildiz v. Turchia, n. 48939/1999.
L’ordinamento olandese 101
questa parte della sentenza rilevi in particolar modo ai fini della presente ricerca.
Innanzitutto, la cedh ha ritenuto che il rispetto del diritto alla vita imponga
oltre all’obbligo per lo Stato di astenersi dal causare volontariamente la morte di un
soggetto, anche taluni obblighi positivi per gli enti pubblici.
La cedh ha individuato nel caso di specie, in primis, l’obbligo di adottare tutte
le misure legislative e amministrative atte a prevenire il pericolo e, in secondo luogo,
l’obbligo di informare il pubblico circa i rischi che i soggetti potevano correre
continuando ad abitare nelle vicinanze della discarica. È evidente, ad opinione della
Corte, il nesso causale tra la negligenza delle autorità e l’incidente mortale.
Ma la Corte è andata oltre e ha ritenuto esistente un ulteriore obbligo positivo
per lo Stato, ovvero quello di assicurare una reazione adeguata nel caso in cui venga
violato il diritto alla vita protetto dall’articolo 2 della Convenzione: ciò comporta
il compimento di indagini effettive e l’attuazione di un sistema sanzionatorio che
consenta di proteggere concretamente il diritto alla vita (obbligazione questa che
si fonda su quella più generale prevista all’art. 13 della Convenzione che prevede il
diritto ad un ricorso interno adeguato ed effettivo). Quanto al sistema sanzionatorio
da applicare, la Corte ha evidenziato che in caso di infrazioni non intenzionali (come
nell’ipotesi che ci occupa) non sempre sarà necessario approntare un sistema penale
di repressione; tuttavia, ove vengano in rilievo attività particolarmente pericolose
(quali la gestione di una discarica) che possono condurre alla morte di taluni soggetti,
il ricorso alla via penale è ineludibile.
Nel caso di specie, la cedh ha evidenziato che, sul piano interno, la procedura penale
è stata instaurata unicamente nei confronti dei sindaci della città di Istanbul e della
città di Ümraniye con l’accusa di negligenza-omissione rispetto alle proprie mansioni
di controllo, senza che sia stata considerata in alcun modo la messa in pericolo della
vita degli abitanti della bidonville in ragione di tali negligenze (il capo d’accusa non
era infatti di omicidio involontario). Ciò, ad avviso della cedh, rivelava una grande
lacuna del sistema turco in quanto è innegabile il legame tra queste omissioni e la
morte degli abitanti della bidonville (da rilevare peraltro come la condanna inflitta
dal Tribunale turco ai due sindaci sia stata estremamente esigua, ovvero un’ammenda
pari a circa 10 euro). Quanto alle responsabilità del Ministero dell’Ambiente e delle
altre autorità governative coinvolte nella vicenda, esse erano state accertate mediante
la sola procedura amministrativa: la condanna al risarcimento del danno è stata
limitata a poco più di 2.000,00 euro che, all’epoca della sentenza della cedh, non
erano ancora stati pagati al ricorrente. Orbene, a parere della cedh il meccanismo
repressivo turco, sia penale che amministrativo, non si è rivelato adeguato ed effettivo
così come dovrebbe essere alla luce dei principi stabiliti dalla Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo e, in particolare, della protezione del diritto alla vita.
A questo punto ci si può interrogare sulla rilevanza di una simile pronuncia
nel panorama giuridico olandese. Gli studiosi che si sono posti tale interrogativo,
102 E. Pavanello
24. Verso una modifica del codice penale olandese sulla responsabilità penale di enti
pubblici decentrati e Stato?
181
Roef, Strafbare, cit., p. 573.
182
Pvda: ook overheid is te vervolgen, in De Volkskrant, 19 maggio 2005.
183
Il testo del disegno di legge «Wijziging van het Wetboek van Strafrecht strekkende tot het strafrecjtelijk
vervolgbaar maken van het opdracht geven tot en het feitelijke leiding geven aan verbose gedragingen
van overheidsorganen» è reperibile nel sito www.justitie.nl. Per un commento si veda E. Sikkema, Twee
wetsvoorstellen over de strafbare overheid, in «Nederlands Juristenblad», 2006, p. 1994 ss.
L’ordinamento olandese 105
fondamento di una simile opzione interpretativa ma, a parere di chi scrive, ha proba-
bilmente inteso far riferimento al fatto che laddove una determinata attività sia ese-
guita da un ente pubblico esistono ragioni di interesse generale che inducono a non
considerare penalmente rilevante l’attività illecita dallo stesso eventualmente posta
in essere. Tuttavia, proprio dall’analisi dei casi giurisprudenziali esaminati, è palese il
fatto che non sempre l’ente pubblico nel decidere di agire in un certo modo,«sceglie»
la difesa dell’interesse pubblico.
Successivamente, la Corte di Cassazione con la sentenza Pikmeer ii, si è orientata
verso il criterio dell’esecuzione di un compito pubblico esclusivo, ovvero che può
essere posto in essere esclusivamente da funzionari pubblici, intendendo così rispon-
dere (tra l’altro) alle critiche mosse dalla dottrina relativamente alla violazione del
principio di uguaglianza. Il principio de quo verrebbe infatti violato laddove, a fronte
di medesime condotte materiali tenute da enti pubblici e da persone giuridiche di
diritto privato, diversa fosse la risposta sanzionatoria. Attraverso l’introduzione del
criterio del compito pubblico esclusivo il problema a parere della Corte di Cassazione
viene risolto in quanto le attività esclusivamente pubbliche non potranno mai essere
poste in essere da persone giuridiche di diritto privato, con la conseguenza che non si
potrà verificare alcuna situazione di disuguaglianza.
A dire il vero, anche il criterio oggettivo nella sua seconda «versione» determina
alcune incongruenze applicative, atteso che si tratta di principio di carattere formale
che non consente al giudice di valutare l’effettivo interesse sottostante alla scelta (il-
lecita) operata dall’ente pubblico. Le difficoltà di applicare un simile criterio si mani-
festano laddove si consideri che la Corte di Cassazione non ha fornito precise indica-
zioni al fine di individuare il compito pubblico esclusivo. Esso, in ogni caso, non pare
legato alla natura dell’attività svolta ma è soggetto alle mutevoli scelte politiche dei
diversi periodi storici. A parte alcune attività per le quali non sussistono particolari
difficoltà di qualificazione nel senso dell’esclusività pubblica (si può pensare all’atti-
vità giudiziaria ad esempio), ciò che può essere eseguito esclusivamente da funzionari
pubblici oggi, potrebbe invece essere delegato a persone giuridiche di diritto privato
domani. Il criterio è relativo e non consente di pervenire a soluzioni sicure.
Inoltre, si ritiene di condividere le critiche che indicano come il principio di ugua-
glianza venga violato anche con l’utilizzo del criterio del compito pubblico esclusivo.
Infatti, se un Comune inquina un fiume versandovi materiale radioattivo, esso sarà
passibile di sanzione penale. Al contrario, qualora il Comune conceda un’autorizza-
zione che consente ad un terzo di procedere alla discarica del materiale radioattivo,
l’ente pubblico non sarà perseguibile penalmente, atteso che la concessione dell’au-
torizzazione costituisce esercizio di un compito pubblico esclusivo. Nonostante il
disvalore giuridico della condotta in entrambi i casi sia paragonabile, il trattamento
sanzionatorio è diversificato.
L’ordinamento olandese 107
Affinché l’ente pubblico possa fare appello all’immunità penale la Corte di Cassa-
zione ha statuito che i criteri predetti devono essere entrambi presenti: è necessario,
infatti, che un ente pubblico tra quelli indicati nel capitolo 7 della Costituzione pon-
ga in essere l’illecito nell’esercizio di un compito pubblico esclusivo. Il collegamento
effettuato tra i due criteri lascia adito a qualche perplessità, stante la mancanza di
relazione biunivoca tra gli stessi: è ben possibile, infatti, che un ente pubblico non
elencato tra quelli appartenenti al capitolo 7 della Costituzione ponga in essere un
compito esclusivamente pubblico. A parere di chi scrive, ciò rende ancor più chiaro
il fatto che l’immunità di cui godono gli enti pubblici non viene fatta discendere da
una scelta di valore basata sul contenuto dell’attività, ma da una considerazione di
carattere formale. Il criterio riecheggia peraltro una distinzione largamente superata
nella dottrina civilistica olandese che distingueva tra acta jure imperi e acta jure gestio-
nis per negare la responsabilità civile dello Stato (oggi invece pacificamente ammessa).
Accanto ai criteri formali sopra indicati, la Corte di Cassazione nella sentenza
Pikmeer ii ha indicato altresì la necessità di comparare i diversi interessi in gioco at-
traverso l’uso delle scriminanti dello stato di necessità e dell’adempimento del dovere,
al fine di determinare la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pub-
blico non elencate nel capitolo 7 della Costituzione. A queste ultime quindi dovrebbe
essere riservato un trattamento analogo a quello delle persone giuridiche di diritto
privato, fatta salva la possibilità di applicare le cause di giustificazione menzionate e,
sul piano sanzionatorio, considerare l’opportunità di comminare pene diverse rispet-
to a quelle che in casi analoghi sarebbero state applicate ai privati.
Per quanto concerne lo Stato, si rileva come la giurisprudenza, nell’unica pro-
nuncia adottata sul punto (sentenza Volkel), si sia mostrata assolutamente contraria
nell’ammettere una forma di responsabilità penale. La difesa dell’interesse generale
affidata allo Stato gli consentirebbe di violare impunemente la legge penale. Ancora
una volta la scelta della giurisprudenza pare eccessivamente restrittiva perché esclude
a priori il vaglio del giudice penale su qualsiasi attività dello Stato. Se è pur vero infatti
che in molti casi quest’ultimo nell’agire per il perseguimento di un interesse pubblico
si troverà di fronte alla «necessità» di violare le norme penali, è anche vero che spesso
esisteranno soluzioni alternative che consentiranno di contemperare adeguatamente
i diversi interessi in gioco. Esemplificativo al riguardo proprio il caso Volkel poiché
nel caso di specie la fuoriuscita di kerosene dai serbatoi avrebbe potuto agevolmente
essere evitata pur nel perseguimento di un interesse di carattere generale, quale quello
della sicurezza aerea.
Alla stregua dei principi enucleati nella sentenza Pikmeer i, non è possibile poi
perseguire le persone fisiche indicate nell’art. 51 secondo comma n. 2 codice penale
− dirigenti di fatto o coloro che hanno dato l’ordine − qualora le stesse abbiano agito
all’interno degli enti pubblici decentrati e dello Stato. Ad eccezione di qualche voce
contraria in dottrina, si è ritenuto, infatti, che la giurisprudenza Pikmeer i che esclude
108 E. Pavanello
del fatto criminoso e non ha fatto quanto era in suo potere per evitare il verificarsi del
fatto stesso. Il rischio in questi casi sarà di creare spazi per una sostanziale impunità.
ma occorre valutare, caso per caso, se esistano delle ragioni di pubblico interesse che
hanno indotto l’ente pubblico a violare la norma penale. Sembra quindi quanto mai
opportuno il riferimento operato dalla giurisprudenza olandese alle cause di giu-
stificazione dello stato di necessità e dell’adempimento della prescrizione di legge.
111
Capitolo 3
La previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche nel codice pe-
nale francese del 1994 è stata considerata una delle novità più significative introdotte
nel codice stesso1.
1
F. Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, in «Juristes Classeur pénal», n. 4, 2001; G.
Coeuret, La nouvelle donne en matière de responsabilité, in «Droit social», n.7/8, juillet-août 1994, p.
627; G. De Simone, Il nuovo codice francese e la responsabilità penale delle personnes morales, in «Rivista
L’ordinamento francese 113
Infatti, il codice napoleonico del 1810 aveva escluso la possibilità che le persone
giuridiche in quanto tali potessero essere soggetti attivi del reato2. La ragione di tale
esclusione va rinvenuta nel fatto che il diritto «rivoluzionario» si era limitato a rico-
noscere la capacità giuridica di pochi enti, quali gli enti di diritto pubblico (come lo
Stato e i Comuni) e alcune società commerciali che non erano tuttavia considerati
«capaci» di commettere infrazioni alla legge penale3.
I temperamenti al principio di irresponsabilità penale degli enti apportati dal legi-
slatore e dalla giurisprudenza nel corso del tempo sono stati molto limitati. Quanto
alla legislazione, tre ordinanze risalenti al 1945 (rispettivamente del 5 maggio, del
30 maggio e del 30 giugno) in materia di associazione di stampa collaborazionista
con il nemico, in materia economica e di regolamentazione dei cambi prevedevano
la responsabilità delle società4. Dal punto di vista giurisprudenziale, invece, alcune
sentenze avevano considerato la persona giuridica responsabile ma solo per le in-
frazioni cosiddette «materiali», ovvero ipotesi in cui il soggetto attivo era «datore di
lavoro» o «proprietario» e la punibilità prescindeva dalla dimostrazione dell’elemento
soggettivo che le animava5.
I tentativi di estendere la responsabilità penale delle persone giuridiche sono
stati inizialmente frustrati dalle resistenze della dottrina la quale riteneva le stesse
«incapaci» di agire penalmente. Tuttavia, la necessità di far fronte alla crescente
capacità delle persone giuridiche di commettere dei reati ha spinto, come si vedrà nel
prosieguo, (parte del)la dottrina a considerare imprescindibile l’introduzione della
responsabilità penale degli enti6.
Il codice del 1994 segna una svolta di primaria importanza all’interno del pano-
rama giuridico francese, anche perché prevede una forma limitata di responsabilità
pure per le persone giuridiche di diritto pubblico. La prima parte del presente ca-
pitolo sarà dedicata ad una breve analisi delle posizioni della dottrina in materia di
italiana di diritto e procedura penale», n.1, 1995, p. 194 e M. Veron, La responsabilité pénale des
personnes morales, in «La semaine Juridique édition générale», i, Chronique, 157, 2004, p. 1469; F.
Desportes, F. Le Gunehec, Droit pénal général, Economica, Paris 200916, p. 540 ss.; Pradel, Manuel
de droit pénal général, Cujas, Paris 200816, p. 497 ss.
2
È pur vero che sotto il vigore dell’Ancien droit un’ordinanza del 1670 prevedeva la possibilità di
instaurare un processo nei confronti delle comunità cittadine, dei borghi, dei villaggi e delle società
che si fossero resi colpevoli di ribellione, violenza o di altro crimine. Tuttavia, detta previsione è stata
successivamente abrogata. Si confronti De Simone, Il nuovo codice francese e la responsabilità penale delle
personnes morales, cit., p. 189 ss. per un’analisi anche storica dello sviluppo del principio di responsabilità
3
M.L. Rassat, Droit pénal général, Presse Universitaire de France, Paris 19992, p. 485.
4
Cfr. Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 6 e C. De Maglie, L’etica e il
mercato, Giuffré, Milano 2002, p. 188 ss., e la bibliografia ivi indicata.
5
Si cfr. per esempio, Cassation Criminelle 6 marzo 1958. Nel senso che la responsabilità degli enti è in
«Diritto penale xxi secolo», n. 2, 2008, p. 269 ss.
6
J. Pradel, La responsabilité des personnes morales en France, in Societas puniri potest, a cura di F. Palazzo,
cedam, Padova 2003, p. 77.
114 E. Pavanello
Diversi sono stati gli argomenti avanzati dalla dottrina francese per negare in
passato la possibilità di prevedere una responsabilità penale delle persone giuridiche7.
Innanzitutto, alcuni autori hanno fatto appello alla teoria della finzione giuridica8
in base alla quale la persona giuridica in quanto tale non disporrebbe di una propria
volontà e, pertanto, non potrebbe mai porre in essere l’elemento soggettivo dell’in-
frazione, necessario affinché un reato le sia imputato. La mancanza di volontà pro-
pria, sarebbe dunque uno dei primi ostacoli alla punizione di una persona giuridica.
In secondo luogo, è stato evocato il principio di spécialité, derivato anch’esso dal
diritto civile, secondo il quale le persone giuridiche possono agire solamente nei li-
miti previsti dal loro oggetto sociale. Non potendo il reato costituire fine per il quale
la persona giuridica è creata, ne discende che questa non potrà mai porre in essere un
crimine o un delitto.
Gli ostacoli addotti contro la previsione di una responsabilità penale delle persone
giuridiche hanno riguardato anche il profilo sanzionatorio e, in particolare, il princi-
pio di personalità della pena. È stato rilevato, infatti, che la sanzione penale contro la
persona giuridica colpirebbe senza distinzione alcuna tutti i componenti del gruppo,
anche le persone fisiche che non hanno in alcun modo inteso porre in essere degli
illeciti. La punizione sarebbe pertanto generalizzata e colpirebbe anche persone «in-
nocenti» che, pur non essendo in accordo con la politica criminosa attuata dall’ente
o non avendo in alcun modo partecipato alla sua formazione, dovrebbero subirne le
conseguenze negative9.
7
Si veda R. Bernardini, Personne morale, in «Répertoire droit pénal et de procédure pénale Dalloz»,
novembre 2001, pp. 8 ss. per una sintesi delle argomentazioni addotte contro e a favore della
responsabilità penale delle persone giuridiche e relativa bibliografia.
8
F.-J. Pansier, La responsabilité pénale des personnes morales, in «Gazette du Palais», 28 mars 1996, p.
249 ricorda che nel diritto civile è stato necessario attendere una decisione del 1954 (Ray c. Comité
d’Entreprise de St.-Chamond) affinché fosse riconosciuta la piena «realtà» delle persone giuridiche.
9
Rassat, Droit pénal général, cit., p. 488, secondo cui cet argument n’est pas faux. Mais il pose un problème
technique de répartition du poids de la condamnation pénale qui n’est pas insoluble. Et surtout la solution
contraire est plus lourde des conséquences regrettables, ovvero «l’argomentazione non è falsa. Ma comporta
un problema tecnico di ripartizione delle conseguenze della condanna penale che non è irrisolvibile. E
L’ordinamento francese 115
Oltre a ciò, alcuni autori hanno sostenuto che la pena sarebbe utilmente applica-
bile solamente alla persona fisica, potendo raggiungere gli scopi alla stessa connatu-
rati, retributivo o preventivo, solo in tale caso10.
3. Le posizioni espresse dalla dottrina francese a sostegno della responsabilità penale delle
persone giuridiche. La necessità di far fronte alla crescente criminalità d’impresa.
4. La responsabilità penale delle persone giuridiche per i reati commessi per loro conto
dagli organi o rappresentanti delle stesse.
La Commissione di riforma del codice penale istituita nel 1974 non poteva certo
ignorare la questione della responsabilità penale delle persone giuridiche, se non altro
per le sollecitazioni provenienti dalla dottrina14. E infatti, già nel progetto risalente
al 1978, era prevista all’art. 37 la responsabilità penale di qualsiasi gruppo che eser-
citasse attività di natura commerciale, industriale e finanziaria. La limitazione di re-
p. 266. Gli autori citati deducono la necessità dell’introduzione di una responsabilità penale anche
dal fatto che à notre époque, de nombreuses infractions [...] sont de plus en plus souvent commises par
des êtres physiques agissant au nom et sous le couvert d’une personne morale ou d’une société. Dans ce cas,
si les représentants de la société sont insolvables, il y a intérêt à retenir, en plus de la responsabilité pénale
personnelle de ces représentants, la responsabilité pénale de la personne morale elle-même, tout au moins
en ce qui concerne les sanctions pécuniaires («alla nostra epoca, sempre più spesso numerosi reati sono
commessi da persone fisiche che agiscono in nome e sotto la coperutra di una persona giuridica o di una
società. In questo caso, se i rappresentanti della società sono insolventi, c’è un interesse a far valere, oltre
alla responsabilità penale personale di tali rappresentanti, anche la responsabilità penale della persona
giuridica, per lo meno per ciò che concerne il profilo pecuniario»).
13
La decisione è pubblicata in «Journal Officiel», 31 juillet 1982, p. 2470.
14
B. Bouloc, La criminalisation du comportement collectif en France, in La criminalisation du
comportement collectif, a cura di H. De Doelder, K. Tiedemann, Kluwer Law International, The Hague
1996, p. 236 e J. Pradel, Droit pénal comparé, Dalloz, Paris 20022, p. 351.
L’ordinamento francese 117
sponsabilità, come si evince dalla lettura della relazione accompagnatoria, era dovuta
al fatto che le maggiori espressioni di criminalità si erano manifestate soprattutto in
tali settori.
Il successivo progetto del 1986 prevedeva, invece, l’estensione della responsabili-
tà penale a tutte le persone giuridiche, indipendentemente dalla natura dell’attività
posta in essere, con l’unica eccezione delle collettività pubbliche e dei gruppi di col-
lettività pubblici. La responsabilità era comunque limitata a determinate fattispecie
di reato che avrebbero dovuto essere previste dalla legge15.
Il testo adottato nell’art. 121-2 del nuovo codice penale, entrato in vigore il pri-
mo marzo 1994, ha infine previsto che:
18
Bernardini, Personne morale, cit., p. 24.
19
Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 13.
20
Sul punto si è posta la questione se sia possibile perseguire la società francese anche in assenza di
una norma che preveda espressamente la punibilità della persona giuridica nel territorio in cui è stato
commesso il fatto. Stefani, Levasseur, Bouloc, Droit pénal général, cit., p. 272 e Rassat, Droit pénal
général, cit., p. 497 ritengono necessaria detta previsione anche nella legislazione straniera; M. Delmas-
Marty, Personnes morales étrangères et françaises, in «Révue des sociétés», 1993, p. 260 ritiene invece
che la condizione si dovrà considerare sussistente anche se nell’ordinamento in cui è stato commesso
il fatto è prevista una forma di responsabilità quasi-penale. Secondo questa ultima impostazione, la
responsabilità penale-amministrativa introdotta nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 231/2001
sarebbe sufficiente a integrare la condizione di reciprocità, anche se difficoltà potrebbero sorgere in
ordine al limitato numero di reati presupposto per i quali la responsabilità opera.
21
D. Guirimand, La responsabilité pénale des personnes morales. La mise en oeuvre du nouveau dispositif,
in «Droit social», n. 7/8 juillet-août 1994, p. 648.
22
Stefani, Levasseur, Bouloc, Droit pénal général, cit., p. 272 e Rassat, Droit pénal général, cit.,
p. 497; Bouloc, La criminalisation du comportement collectif en France, cit., p. 239. L’esistenza della
persona giuridica straniera dovrà in ogni caso essere valutata alla stregua del diritto nazionale. In questo
senso Delmas-Marty, Personnes morales étrangères et françaises, cit., p. 256, atteso che si tratta di
questione «extra penale». Contra Bernardini, secondo cui è necessario che le persone giuridiche straniere
godano della personalità giuridica in base alla legge francese. Bernardini, Droit pénal général, cit.,
p. 36. Quanto alla possibilità di perseguire anche le persone giuridiche straniere di diritto pubblico,
Rassat, Droit pénal général, cit., p. 497 ritiene che le limitazioni cui la legge francese sottopone la
responsabilità delle stesse dovranno applicarsi anche agli omologhi stranieri con le inevitabili difficoltà
del caso.
L’ordinamento francese 119
Le condizioni in base alle quali opera la responsabilità sono indicate nell’art. 121-
2 del codice penale. La persona giuridica è responsabile penalmente solo se è stata
posta in essere una condotta illecita da parte di una persona fisica, organo o rappre-
sentante della stessa, che ha agito per suo conto.
Per organo deve intendersi il soggetto che, sulla base dello statuto o della legge,
dispone dei poteri di agire in nome e per conto della persona giuridica. La dottrina
francese ha sin da subito sostenuto in modo unanime che nel concetto di organo
debbano essere inclusi tutti gli organi di diritto quali gli amministratori, il presiden-
te, il consiglio di amministrazione, mentre non è pacifico se debbano ritenersi inclusi
anche i dirigenti di fatto. Alcuni autori hanno propeso per l’affermativa, motivando
la propria posizione con considerazioni di carattere pratico: una loro esclusione dal
novero dei soggetti capaci di involgere la responsabilità della persona giuridica de-
terminerebbe per certi versi l’immunità degli enti, essendo sufficiente individuare un
prestanome che non rivesta alcuna qualifica «formale» al fine di sfuggire alla sanzione
penale23. Altri studiosi, invece, hanno sostenuto l’incapacità del dirigente di fatto di
generare la responsabilità dell’ente collettivo sia perché la legge, laddove intenda fare
riferimento anche al dirigente di fatto lo indica espressamente, sia perchè il dirigente
di fatto non sarebbe tecnicamente un organo della persona giuridica24.
Tuttavia, è bene segnalare che, allo stato attuale, anche la dottrina inizialmente
contraria all’inclusione del dirigente di fatto nella nozione di organo propende per una
posizione «intermedia», facendo discendere la responsabilità della persona giuridica
dalla circostanza che il dirigente di fatto sia stato o meno conosciuto dagli organi del-
la persona giuridica e abbia o meno espresso la volontà dell’ente collettivo25. La giuri-
sprudenza, peraltro, sin da subito si è orientata nel senso che anche il dirigente di fat-
to possa impegnare con il proprio operato la responsabilità della persona giuridica26.
Per rappresentante deve, invece, intendersi il soggetto che ha la rappresentanza
legale della persona giuridica. Tuttavia, molto spesso l’organo della persona giuridica,
nel senso sopra delineato, è anche rappresentante della medesima: la disposizione
legislativa costituirebbe un’inutile ripetizione laddove fosse interpretata in modo
restrittivo. Di qui i tentativi della dottrina di individuare i rappresentanti in grado
23
Delmas-Marty, Les conditions de fond de mise en jeu de la responsabilité pénale, in «Révue des sociétés»,
1993, p. 305.
24
R. Merle, A. Vitu, Traité de droit criminel, cit., n. 605, Pansier, La responsabilité pénale des personnes
morales, cit., p. 251; Pradel, Il nuovo codice penale francese. Alcune note sulla parte generale, in «Indice
Penale», 1994, p. 16 ; H. Matsopoulou, La généralisation de la responsabilité pénale des personnes
morales, in «Revue des Sociétés», n. 2, 2004, p. 289-290.
25
Merle, Vitu, Traité de droit criminel, cit., n. 647.
26
Si veda, ad esempio, Tribunal correctionnel Strasbourg, 9 febbraio 1996.
120 E. Pavanello
considerazione del fatto che l’esclusione della responsabilità del dipendente dotato
di delega ridurrebbe considerevolmente l’interesse e l’efficacia della responsabilità
penale delle persone giuridiche31.
La questione sembra essere stata risolta, da ultimo, con una sentenza della Corte
di Cassazione che ha stabilito come anche un semplice dipendente possa dare origine
alla responsabilità della persona giuridica qualora questi abbia ricevuto una delega
di poteri32.
In secondo luogo, resta da capire se coloro che hanno agito oltre i limiti della de-
lega ricevuta impegnino o meno la responsabilità della persona giuridica. La dottrina
si è schierata nel senso della necessità di prevedere una simile responsabilità, soprat-
tutto in considerazione del fatto che la risposta negativa porterebbe alla creazione di
una zona di irresponsabilità non accettabile33.
4.2. L’azione commessa da parte dell’organo o rappresentante «per conto» della persona
giuridica.
4.3. L’iniziale limitazione della responsabilità delle persone giuridiche alle fattispecie
di reato tassativamente previste. Critiche della dottrina e pronunce «estensive» della
giurisprudenza. Definitiva espansione della responsabilità delle persone giuridiche a tutte
le fattispecie di reato.
L’articolo 121-2 del codice penale francese non chiarisce se sia sufficiente verificare
la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo alle persone fisiche che agiscono per
conto della società o se, invece, sia necessario anche accertare l’elemento soggettivo
che ha animato la persona giuridica. La questione riflette la configurazione della na-
tura della responsabilità, diretta della persona giuridica o indiretta, per riflesso, che si
«trasmette» dalle persone fisiche a quella giuridica.
Alla stregua delle indicazioni codicistiche è possibile affermare che è sufficiente
verificare la sussistenza della colpevolezza in capo ai soggetti fisici e che la stessa si tra-
smette per riflesso (par ricochet) alle persone giuridiche48. Secondo tale impostazione,
il legislatore francese avrebbe strutturato la responsabilità in relazione alla colpevolez-
za delle persone fisiche. In questo modo per accertare se un reato è stato commesso
dalla persona giuridica, il giudice dovrà limitarsi a valutare l’esistenza di un rapporto
di causalità tra la realizzazione del reato e l’attività svolta dall’ente49.
Parte della dottrina si è tuttavia mostrata critica nei confronti dell’interpretazione
de qua, ritenendo che la stessa privi di qualsiasi interesse l’istituto della responsabilità
penale delle persone giuridiche − basti pensare alle difficoltà di individuare la persona
fisica che ha posto in essere gli elementi dell’infrazione soprattutto nel caso di deci-
sione collegiale di una persona giuridica o in caso di reati colposi − e sia contraria al
principio di personalità della pena in quanto per lo stesso fatto verrebbero incriminate
due persone diverse50. Infatti, la persona giuridica verrebbe sanzionata per un fatto
che è stato voluto e realizzato da una persona diversa e ciò si porrebbe in contrasto con
la previsione dell’art. 121-1 del codice che prevede testualmente «nul n’est responsabile
n. 23, Point de vue, 2004, p. 1650.
47
Matsopoulou, La généralisation de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 289.
48
Nel senso che la responsabilità è per riflesso, Pradel, La responsabilité, cit., p. 79. M.E.Cartier,
Nature et fondement de la résponsabilité pénale des personnes morales dans le nouveau code pénal français,
in «Petites affiches», n. 149, décembre 1996, p. 24 ritiene che laddove non sia possibile individuare
l’elemento soggettivo che ha animato la persona fisica anche la responsabilità della persona giuridica
debba essere esclusa.
49
Cfr. De Maglie, L’etica e il mercato, cit., p. 206-207, la quale riassume gli argomenti al riguardo
addotti dalla dottrina.
50
Rassat, Droit pénal général, cit., p. 506.
126 E. Pavanello
que de son propre fait». Il fondamento di questa seconda impostazione risiede nel fatto
che il codice francese prevede la responsabilità concorrente e non (necessariamente)
cumulativa delle persone fisiche con quella delle persone giuridiche: la responsabilità
delle seconde può andare disgiunta da quella delle prime. Oltre a ciò, la posizione il-
lustrata sarebbe conforme al principio di realtà della persona giuridica e si rivelerebbe
maggiormente garantista in quanto consentirebbe di evitare un’automatica imputa-
zione di responsabilità in capo alla persona giuridica, laddove venisse in rilievo la
responsabilità della persona fisica. Secondo taluni, questa prospettiva comporterebbe
la necessità di accertare una faute distinta e autonoma della persona giuridica rispetto
a quella della persona fisica, anche se risulta complesso, in assenza di indicazioni legi-
slative, delineare gli elementi da cui dedurre la presenza di tale faute51.
In ogni caso è necessario prevedere il collegamento tra condotta della persona fisi-
ca e condotta della persona giuridica, anche se non è escluso che la responsabilità della
seconda possa venire in rilievo indipendentemente dall’accertamento della prima. La
regola sarebbe nel senso della responsabilità diretta ed esclusiva della persona giuridica
in caso di infractions non intentionnelles (e, in particolare, nel caso in cui non sia pos-
sibile stabilire la responsabilità della persona fisica o qualora l’infrazione sia di scarsa
gravità) e solo in caso di infractions intentionnelles vi sarebbe cumulo di responsabilità
di persona fisica e giuridica52. La tesi sembra oggi avallata anche dall’introduzione
dell’art. 121-3 che ha espressamente previsto un’ipotesi di responsabilità esclusiva del-
le persone giuridiche in caso di reato colposo (infraction non intentionnelle)53.
Quanto alla posizione della giurisprudenza, le giurisdizioni di merito si sono divi-
se in ordine alla necessità di individuare una faute autonoma della persona giuridica
arrivando, in alcuni casi, a sostenere che una società «ha posto in essere» una grave
negligenza, dando così sostegno alla teoria della responsabilità diretta.
La Corte di Cassazione che ha avuto modo di pronunciarsi sul punto ha assunto
posizioni diversificate. In una prima sentenza ha sostenuto, infatti, che «la faute pénale
de l’organe ou du représentant suffit, lorsqu’elle est commise pour le compte de la personne
morale, à engager la responsabilité pénale de celle-ci, sans que doit être établie une faute
51
J.C.Saint-Pau, La responsabilité pénale des personnes morales est-elle une responsabilité par ricochet?, in
«Dalloz», n. 30, Jurisprudence, 2000, p. 636 ss. rileva che in ogni caso la responsabilità della persona
giuridica è responsabilità per fatto proprio e il fatto di stabilire la colpevolezza della stessa mediante la
colpevolezza della persona fisica non costituisce null’altro che una regola di prova.
52
C. Sucouloux-Favard, Un primo tentativo di comparazione della responsabilità penale delle persone
giuridiche francese con la cosiddetta responsabilità amministrativa delle persone giuridiche italiana, in
Societas puniri potest, cit., p. 100-103 e A.F. Morone, La responsabilità penale par ricochet della personne
morale in Francia dopo la l. 10 luglio 2000 n. 2000-647, in «Diritto penale xxi secolo», n.1, 2003, p. 152.
53
Planque, La détérmination, cit., p. 281 e E. Fortis, Chronique de jurisprudence, in «Revue de
science criminelle», n. 2, 2004, p. 341 ritiene che l’introduzione della legge del 10 luglio 2000, su cui
diffusamente infra, consentirebbe di sostenere la teoria della responsabilità diretta della persona fisica.
L’ordinamento francese 127
guito della legge del 2000, è necessario differenziare la valutazione della posizione di
persone fisiche e giuridiche. È plausibile, quindi, che la Corte abbia ritenuto che, in
assenza di colpa grave in capo alla persona fisica − elemento questo imprescindibile
per condannare la stessa − non fosse possibile omettere la verifica dell’eventuale sus-
sistenza della colpa lieve in capo alla persona giuridica, sufficiente, al contrario, per
punire quest’ultima.
Invero, come rilevato da taluno, non sembra possa essere messa in discussione
la natura «riflessa» della responsabilità delle persone giuridiche, così come affermata
dalla Cassazione nelle sentenze sopra citate e confermata anche da talune pronunce
di merito57.
Per dovere di completezza si accenna, infine, in questa sede alla questione sollevata
circa la possibile applicazione anche alle persone giuridiche delle cause di irrespon-
sabilità penale previste dagli articoli da 122-1 a 122-7. Esse comprendono tanto le
cause «soggettive», ovvero l’incapacità mentale, la costrizione fisica e l’errore di diritto,
quanto le cause «oggettive» , ovvero la condotta posta in essere per ordine o autorizza-
zione della legge, la legittima difesa, lo stato di necessità. Ci si è chiesti se le cause che
possono essere invocate dalle persone fisiche, organi o rappresentanti, giovino anche
alle persone giuridiche.
Si ritiene che la questione vada affrontata ora in quanto la stessa è intimamente
legata alla qualificazione della responsabilità penale delle persone giuridiche come
diretta o per riflesso. Se si propende, infatti, per una responsabilità indiretta della
persona giuridica, è da ritenere che qualsiasi causa di irresponsabilità che riguarda
gli organi o i rappresentanti debba essere applicata anche alla persona giuridica, non
essendo possibile scindere le due condotte58. Se, invece, si qualifica la responsabilità
della persona giuridica come diretta, occorre distinguere a seconda della natura della
causa di irresponsabilità: mentre le cause oggettive opererebbero anche in favore della
persona giuridica (il che pare logico ove si consideri che le stesse determinano il venir
meno del reato), per le cause soggettive di irresponsabilità non esisterebbe una solu-
zione univoca59.
57
Sul punto si veda S. Giavazzi, La responsabilità penale delle persone giuridiche: dieci anni di esperienza
francese, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», n. 3, 2005, p. 637 ss.
58
Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 28.
59
Planque, La détermination, cit., p. 403-445 ritiene, ad esempio, che l’incapacità mentale non sia
applicabile alle persone giuridiche, mentre lo sia la costrizione fisica.
L’ordinamento francese 129
L’art. 121-3 del codice penale francese indica che la responsabilità delle persone
giuridiche non esclude la responsabilità concorrente delle persone fisiche autori o
complici del fatto criminoso. Il principio del cumulo di responsabilità è stato giusti-
ficato dal legislatore per il fatto che la responsabilità penale degli enti non deve costi-
tuire uno schermo dietro il quale le persone fisiche si possono celare per mascherare
le responsabilità personali. Peraltro, come rilevato da illustre dottrina, la regola del
cumulo è variamente interpretata dai Tribunali: così, se a Parigi e Versailles normal-
mente il dirigente della società non è perseguito, e si afferma espressamente che l’ente
ha commesso il reato, in altre circoscrizioni invece si procede nei confronti tanto della
persona fisica quanto della persona giuridica60.
La dichiarazione di intenti per quanto pregevole è singolare ove si consideri che,
nel contempo, l’introduzione di una limitata responsabilità delle persone giuridiche
di diritto pubblico è stata considerata un mezzo per ridurre il controllo penale sull’o-
perato dei rappresentanti politici, intesi come persone fisiche61.
Detta dichiarazione contrasta, inoltre, con la stessa ratio che ha indotto il legisla-
tore francese ad adottare la legge 2000-647, ovvero ridurre il campo di responsabilità
delle persone fisiche in caso di reati colposi, settore nel quale molto spesso si procede-
va a un’automatica condanna del soggetto fisico in virtù della posizione dallo stesso
rivestita (una sorta di responsabilità da posizione), a prescindere da una sua effettiva
conoscenza del fatto e dalla rimproverabilità della condotta.
5.1. Limitazione della concorrente responsabilità della persona fisica per i delitti
non intenzionali posti in essere per imprudenza, negligenza, violazione di un obbligo di
prudenza o sicurezza (l. 2000-264).
121-3 distingue, infatti, a seconda che il nesso di causalità tra la condotta del soggetto
e il danno siano diretti o indiretti. In caso di nesso di causalità diretto − come avveniva
in passato − anche la faute più lieve potrà determinare la responsabilità penale della
persona fisica. In caso di nesso di causalità indiretto, invece - detto legame sussiste ai
sensi di legge qualora le persone fisiche abbiano unicamente contribuito a creare la si-
tuazione che ha permesso il verificarsi del danno o non abbiano adottato le misure che
avrebbero consentito di evitarlo − la persona fisica risponderà del reato solo se risulta
che essa abbia violato in modo volontario un’obbligazione particolare di prudenza o
di sicurezza prevista dalla legge o dal regolamento e che abbia commesso una faute
caracterisée, esponendo altri ad un rischio di particolare gravità che non poteva igno-
rare. Tre sono quindi i presupposti che contraddistinguono questa faute caracterisée:
innanzitutto, deve sussistere una colpa di particolare intensità; in secondo luogo, il
fatto colposo caratterizzato deve aver prodotto un rischio di particolare gravità e, da
ultimo, deve trattarsi di un rischio che l’agente non poteva ignorare. Questa limita-
zione di responsabilità delle persone fisiche non trova analogo riscontro per le persone
giuridiche che pertanto risponderanno dei delitti non intenzionali a prescindere dal
nesso di causalità esistente.
C’è chi ha rilevato criticamente che la riforma crea delle incoerenze nella logica del
sistema di responsabilità delle persone giuridiche, atteso che queste ultime possono
essere considerate responsabili solo ove l’azione o l’omissione sia stata commessa da
parte dei rappresentanti o degli organi per suo conto. La dottrina si interroga sull’op-
portunità di prevedere la responsabilità delle persone giuridiche in caso di esclusione
totale della responsabilità delle persone fisiche: è pur vero, infatti, che la giurispru-
denza ha chiarito non essere necessario individuare nominativamente la persona fisica
che ha commesso l’infrazione, ma in ogni caso sarà necessario procedere ad un’im-
putazione «virtuale» o «potenziale» del fatto alla stessa, ciò che in virtù della riforma
esaminata non può avvenire63.
di quanto stabilito dall’art. 131-37 n.1: essa potrà raggiungere la misura massima
del quintuplo rispetto alla pena pecuniaria applicabile alla persona fisica (art. 131-
38). Questo articolo nulla prevede nell’ipotesi in cui il reato commesso dalle persone
fisiche non sia punito con l’ammenda, bensì con altre sanzioni e, segnatamente, la
reclusione. L’art. 55 della legge Perben ii ha posto fine a tale lacuna, introducendo un
ulteriore comma all’art. 131-38 il quale prevede che «lorsqu’il s’agit d’un crime pour
lequel aucune peine d’amende n’est prévue à l’encontre des personnes physiques, l’amende
encourue par les personnes morales est de 1.000.000 d’euros».
Il legislatore francese ha optato per sanzioni pecuniarie abbastanza elevate, senza
distinguere a seconda della forma giuridica dell’ente e quindi del capitale sociale di
cui lo stesso dispone. La previsione si giustifica peraltro nella logica del codice penale
francese il quale, da un lato, non prevede i limiti minimi della pena, e, dall’altro, non
pone alcuna limitazione alla diminuzione delle pene pecuniarie rispetto al massimo
previsto dalla legge65.
A fronte della sanzione generale sopra indicata, l’art. 131-37 n. 2 indica, inoltre,
che saranno applicabili anche le sanzioni elencate dettagliatamente all’articolo 131-39
nei casi previsti dalla legge. Dette sanzioni possono essere distinte in tre diversi grup-
pi, in ragione della loro gravità e degli effetti che esse producono.
In una prima categoria vanno inserite le sanzioni che pregiudicano la regolare atti-
vità della persona giuridica o addirittura pongono fine alla sua esistenza: trattasi della
dissoluzione, della chiusura dello stabilimento e del divieto di esercitare determinate
attività. La dissoluzione della persona giuridica può essere pronunciata dal giudice
qualora quest’ultima sia stata creata per commettere i fatti incriminati o qualora essa,
discostandosi dal proprio oggetto sociale, abbia commesso il fatto penalmente rile-
vante. Mentre la prima ipotesi non dà adito a particolari problemi interpretativi, nella
seconda eventualità ci troviamo di fronte ad un concetto più vago che presuppone,
in ogni caso, che l’oggetto (lecito) dell’attività non sia stato perseguito66. La sanzione
de qua non si applica alle persone giuridiche di diritto pubblico, ai partiti e ai gruppi
politici, ai sindacati professionali e alle istituzioni rappresentative del personale (su cui
infra). Essa è stata fortemente criticata in quanto sarebbe paragonabile in tutto e per
tutto alla pena di morte, sanzione che è stata abrogata da lungo tempo per le persone
fisiche nell’ordinamento francese67. Altrettanto affittiva è la sanzione della chiusura
sociétés», 1993, p. 327-329 con particolare riferimento alla funzione che la sanzione penale può
esplicare nei confronti della persona giuridica.
65
Ai sensi dell’art. 132-34, peraltro, nel pronunciare un’ammenda si terrà conto «des resources et des
charges» dell’autore dell’infrazione, disposizione questa che si applica anche alle persone giuridiche. Sul
punto si cfr. M. Boizard, Amende, confiscation, affichage ou communication de la décision, in «Révue des
sociétés», 1993, p. 332.
66
P. Le Cannu, Dissolution, fermeture d’établissement et interdiction d’activités, in «Révue des sociétés»,
1993, p. 343.
67
Pansier, La responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 250.
132 E. Pavanello
definitiva o per un periodo al massimo di 5 anni dello stabilimento che è servito alla
commissione del reato. La pena era già conosciuta nell’ordinamento francese ed era
prevista come sanzione accessoria, ad esempio, nel caso di traffico di stupefacenti
qualora l’infrazione fosse stata commessa in uno stabilimento aperto al pubblico o
utilizzato dal pubblico (art. 222-50 codice penale).
L’ultima sanzione appartenente alla categoria in esame è il divieto di esercitare una
determinata attività professionale o sociale in via definitiva o per un periodo pari ad un
massimo di 5 anni: l’attività vietata, secondo quanto indicato dall’art. 131-28, deve
essere legata all’infrazione che è stata commessa o, in ogni caso, ancorché non presenti
alcun legame con l’infrazione, deve essere espressamente indicata dalla legge.
Sanzioni di minor gravità sono invece la confisca, la pubblicazione della sentenza
e la comunicazione della decisione. La confisca ha ad oggetto il bene che è servito (o
è stato destinato) a commettere l’infrazione o il bene che ne ha costituito il prodotto.
Quanto alla pubblicazione e alla comunicazione della sentenza esse possono avvenire
con ogni mezzo, sia attraverso la stampa scritta che mediante i mezzi di comunicazio-
ne televisiva.
In una terza categoria possono essere incluse le rimanenti sanzioni che hanno
come scopo la diminuzione della capacità di azione delle persone giuridiche, ma non
il loro totale annichilimento68, tra le quali va annoverata innanzitutto la sottoposi-
zione a sorveglianza giudiziaria della persona giuridica, pena questa che ha carattere
necessariamente temporaneo, non potendo essere inflitta per un periodo superiore a
cinque anni (ove la pena non conoscesse limiti temporali, la persona giuridica ver-
rebbe posta in uno stato di incapacità permanente69). La pena in oggetto presuppone
che un terzo controlli l’attività dell’ente: il mandataire sarà nominato dal tribunale
contestualmente alla pronuncia della pena. Sono escluse dal campo di applicazione
della norma le persone giuridiche di diritto pubblico, i partiti, i gruppi politici e i
sindacati professionali (su cui infra). Vi è poi la sanzione dell’esclusione dagli appalti
pubblici della persona giuridica a titolo definitivo o per un periodo non superiore a 5
anni: l’obiettivo è quello di ristabilire la «dignità» della cosa pubblica. Atteso, infatti,
che gli appalti pubblici concernono la collettività è opportuno che solo le persone
fisiche e giuridiche «integre» vi facciano ricorso. L’estensione della sanzione è notevole
se si considera che la legge non distingue in alcun modo tra i diversi appalti pubblici,
impedendo tout court la partecipazione agli stessi.
68
P. Delebecque, Les sanctions de l’article 131-39, 3o, 5o, 6o et 7o, in «Révue des sociétés», 1993, p. 349
ss. si interroga sulla natura di queste sanzioni e ritiene che non possano essere considerate delle vere e
proprie pe-ne in quanto le stesse non dispongono di alcuna connotazione morale e mirano a prevenire la
commissione di un ulteriore reato; tuttavia, esse non possono essere considerate nemmeno delle misure
di sicurezza tout court in quanto presentano un carattere afflittivo e infamante, per lo meno nel mondo
degli affari.
69
Ibidem, p. 350 ss.
L’ordinamento francese 133
All’interno della categoria in esame vanno collocate altresì le sanzioni che deter-
minano il divieto definitivo o per un periodo non superiore a 5 anni di fare appello al
pubblico risparmio e il divieto per un periodo massimo di 5 anni di emettere assegni o
di utilizzare determinati mezzi di pagamento.
Da segnalare che, così come per le persone fisiche, anche per le persone giuridiche
è prevista la creazione di un apposito casellario giudiziario e la registrazione nello stes-
so delle condanne inflitte alle persone giuridiche70. Le persone giuridiche potranno
giovarsi, inoltre, della sospensione condizionale della pena (sursis simple) che consi-
ste nella cancellazione della condanna pronunciata a condizione che nei cinque anni
successivi alla sua pronuncia non sia stata emessa altra condanna senza sospensione
condizionale71.
L’analisi dei dati relativi all’applicazione della nuova responsabilità delle persone
giuridiche mostra, da un punto di vista «quantitativo», un sostanziale e progressivo
aumento del numero di condanne delle persone giuridiche.
Se, infatti, dopo due anni dall’entrata in vigore della riforma si contavano solo
tre sentenze di condanna pronunciate nei confronti delle persone giuridiche72, dopo
quattro anni il numero di pronunce era già salito a cento73. Nel 2002, infine, oltre
millequattrocento condanne sono state iscritte nel casellario giudiziario delle persone
giuridiche74. Peraltro, nell’applicazione pratica il diritto penale della sicurezza sul la-
voro sembra costituire uno dei terreni di elezione di questa forma di responsabilità75.
Quanto alle pene applicate, nella maggior parte dei casi il giudice si è limitato ad
irrogare un’ammenda (di un importo medio calcolato pari a 8.000 euro) e raramente
70
B. Bouloc, Le casier judiciaire des personnes morales, in «Révue des sociétés», 1993, p. 364 ss.
71
Per le condizioni in cui la sospensione condizionale della pena opera si vedano in particolare gli
articoli 132-29, 132-30, 132-32, 132-33, 132-34 del codice penale.
72
L. Vichnievsky, Bilan sommaire de la mise en œuvre de la répression à l’encontre des personnes morales,
in «Revue de science criminale», avril-juin 1996, p. 289 ss.
73
Si veda sul punto la circolare del Ministero della Giustizia sopra citata e i relativi commenti di A.
Maron, J.H. Robert, Cent personnes morales pénalement condamnées, in «Droit pénal», Editions du
Juriste-Classeur, n. 28, Chronique, 1998, p. 4 ss. e C. Ducouloux Favard, Quatre années de sanctions
pénales à l’encontre des personnes morales, in «Recueil Dalloz», n. 41, Chronique, 1998, p. 397 ss.
74
Z. Belmokhtar, La responsabilité pénale des personnes morales, in Infostat Justice, n. 82, mai 2005
rinvenibile nel sito <http://www.justice.gouv.fr/publicat/infostat.htm>. Secondo quanto risulta da
questo studio peraltro non tutte le condanne sono state regolarmente iscritte nel casellario giudiziario,
con la conseguenza che il numero di persone giuridiche condannate sarebbe in realtà maggiore. Il trend
dei reati contestati non è mutato atteso che nella maggior parte dei casi si è trattato di illeciti in materia
di lavoro clandestino, lesioni colpose e omicidio, illeciti in materia di concorrenza sleale.
75
A. Coeuret, E. Fortis, Droit pénal du travail, Lexis Nexis, Paris 20043, p. 4.
134 E. Pavanello
ha pronunciato una delle pene accessorie indicate nell’art. 131-39. Quando ciò è
avvenuto, ha fatto ricorso alla comunicazione e alla diffusione della decisione o alla
confisca dei beni. Inoltre, le prime pronunce confermano che il cumulo di responsa-
bilità tra persone fisiche e giuridiche previsto nel testo del codice è eminentemente fa-
coltativo: solo in trentotto casi tra le prime cento sentenze pronunciate nei confronti
delle persone giuridiche si è proceduto infatti a condannare anche le persone fisiche76.
Occorre comunque rilevare come le decisioni delle corti francesi abbiano dedica-
to attenzione solo ad alcune delle spinose questioni interpretative sin qui illustrate.
Innanzitutto, la giurisprudenza ha avallato la dottrina che aveva inteso la nozione di
organo e rappresentante in senso ampio, in modo da includervi tanto gli organi di
fatto, quanto il lavoratore munito di delega77.
In relazione poi alla volontà colpevole che deve caratterizzare il comportamento
della persona giuridica, non esiste ancora chiarezza. Le pronunce che hanno sostenuto
la natura indiretta della responsabilità della persona giuridica, nella determinazione
dell’elemento soggettivo della persona fisica hanno distinto a seconda del tipo di de-
litto. Mentre, infatti, in caso di reato punibile a solo titolo doloso si è ritenuto che
l’organo o il rappresentante debbano essere coscienti di commettere il delitto78, nel
caso di reati puniti anche a titolo colposo o nel caso delle contravvenzioni la tendenza
è stata quella di dimostrare l’avvenuta violazione di una determinata norma giuridica,
senza interrogarsi sull’elemento soggettivo che ha animato organi o rappresentanti,
per trasferire poi la responsabilità in capo alla persona giuridica e senza nemmeno,
come visto, individuare la persona fisica che ha commesso la condotta illecita79. I
giudici, nella maggioranza dei casi, non si sono preoccupati di individuare la singola
persona fisica che ha commesso l’infrazione80. La Corte di Cassazione con sentenza
del 29 aprile 2003 ha tuttavia ritenuto che l’impostazione predetta non potesse essere
seguita, in quanto la condanna della persona giuridica senza la previa individuazione
degli organi o dei rappresentanti responsabili dell’illecito all’interno della persona giu-
ridica, mancherebbe di necessarie basi legali81. La Corte di Cassazione pareva aver così
76
Si confronti sul punto la Circolare Chacellerie, N. crim. 98-1-F1, pubblicata in «La semaine
Juridique», iii, 20035, 1998, p. 403.
77
In questo senso come già ricordato Cassation Criminelle 9 novembre 1999 e 14 dicembre 1999.
78
Si confronti in questo senso Cassation Criminelle 2 dicembre 1997 in «Revue de science criminelle»,
1998, p. 536 e Cassation Criminelle 7 luglio 1998, in «Revue de science criminelle», 1998, p. 317.
79
Cassation Criminelle 18 gennaio 2000 in «Gazette du Palais», jullet-aout 2000, p. 1774 e Cassation
Criminelle, 1° dicembre 1998 in «Recueil Dalloz», n. 2, jurisprudence commentaire, 2000, p. 34 con
nota di M.A. Houtmann. Nella seconda sentenza citata, in particolare, la Corte di Cassazione ha
unicamente rilevato la mancanza di diligenza da parte del presidente della società e della persona da lui
delegata alla sicurezza nell’adozione delle misure volte ad impedire il verificarsi dell’incidente che ha
condotto alla morte di un dipendente della società.
80
Si vedano sul punto le decisioni citate da Maron, Robert, Cent personnes morales pénalement
condamnées, cit., p. 5.
81
Cassation Criminelle 29 aprile 2003 in «Recueil Dalloz», n. 3, Jurisprudence commentaire, 2004, p.
L’ordinamento francese 135
rifiutato l’idea che sia possibile condannare una persona giuridica sulla base dell’art.
121-2 in presenza di una faute diffuse, ovvero di una violazione della legge penale che
non sia strettamente riconducibile ad alcun organo o rappresentante della persona
giuridica stessa.
Da segnalare che di recente la Corte di legittimità ha accolto con due diverse
sentenze l’impostazione secondo cui la condanna dell’ente può avvenire a prescin-
dere dall’individuazione della persona fisica, organo o rappresentante, che ha posto
in essere la condotta criminosa. È stata sancita, dunque, una sorta di presunzione in
base alla quale viene dichiarata la responsabilità dell’ente sulla base di una omissione
imputabile all’organo o rappresentante della società che avrebbe dovuto adottare le
misure necessarie per evitare la realizzazione del reato82. Tale prospettazione è assai
criticabile, poiché come rilevato dalla dottrina una cosa è che venga sancita la respon-
sabilità dell’ente sulla base di una faute diffuse, senza alcun riferimento all’organo o
al rappresentante, altro è invece che vi sia una presunzione di responsabilità poiché
l’obbligo di agire per porre in essere le azioni atte a evitare l’illecito necessariamente
incombeva su questi ultimi, a prescindere da qualsiasi verifica concreta83.
8. Il dibattito che ha preceduto l’adozione della norma che ha sancito una limitata
responsabilità penale per le persone giuridiche di diritto pubblico.
Possono essere incluse, secondo taluni, anche le società di diritto misto e gli ordini
professionali; tuttavia, sul punto non vi è accordo in dottrina90.
10. L’azione da parte del rappresentante o dell’organo, per conto della persona giuridica:
aspetti peculiari connessi alla natura pubblica dei soggetti.
La responsabilità penale degli enti pubblici, così come delle persone giuridiche di
diritto privato, viene in rilievo quando una persona fisica, organo o rappresentante
della stessa, abbia posto in essere l’attività illecita per conto della persona giuridica.
Quanto alla nozione di organo, si ritiene generalmente che la sua individuazione
non presenti particolari difficoltà nell’ambito delle persone giuridiche di diritto pub-
blico, trattandosi di quel soggetto di diritto che dispone dei poteri di agire in nome
e per conto della persona giuridica e quindi evidentemente anche di impegnare la
responsabilità penale della persona giuridica. Organi del Comune nell’accezione in-
dicata sono ad esempio, il Sindaco, il Consiglio Comunale e i Consiglieri Comunali;
per quanto concerne i gruppi comunali, il Presidente del comitato di cooperazione
tra i Comuni o il Consiglio di una Comunità di Cooperazione tra i Comuni; quanto
invece agli altri enti pubblici, sono organi le assemblee deliberanti, ma anche i Presi-
denti e i Direttori delle stesse.
La nozione di rappresentante pare, invece, limitata unicamente agli organi esecutivi
che hanno la rappresentanza della persona giuridica di diritto pubblico. Al di là delle
ipotesi istituzionalmente individuate, la dottrina ha tentato di verificare se vi siano
altri soggetti capaci di impegnare la responsabilità dell’ente pubblico e, segnatamente,
coloro che dispongono di una delega di firma o di poteri. Con la delega di firma il
delegante concede il potere di agire per conto della persona giuridica, al delegatario,
che deve essere nominativamente indicato. Il delegante sarà sempre responsabile per
aver conferito detto potere e risponderà dell’operato del delegatario (l’ipotesi è assimi-
lata in questo senso a quella di un mandato)91. Con la delega di competenza, invece, il
90
Planque, La determination, cit., p. 116-117 ritiene che le società di diritto misto potrebbero essere
considerate persone giuridiche di diritto pubblico, in quanto trattasi di entità che sono strutturate al
pari di persone giuridiche di diritto privato, ma sottoposte al controllo esclusivo dell’amministrazione
pubblica. Si oppongono a questa ricostruzione, A. Levy, S. Bloch, J.D. Bloch, La responsabilité
pénale des collectivités territoriales, de leurs élus et de leurs agents, Litec, Paris 1995, p. 12, ritenendo
che sia in caso di società di diritto misto sia in caso di ordini professionali, si debba parlare di persone
giuridiche di natura privata. Comunque si qualifichino dette persone giuridiche, esse saranno soggette
alla regola della responsabilità penale per gli illeciti posti in essere in relazione a qualsiasi tipo di attività
svolta. La distinzione rileverà unicamente sul piano sanzionatorio, in quanto non sono applicabili alle
persone giuridiche di diritto pubblico le sanzioni della dissoluzione e della sottoposizione a sorveglianza
giudiziaria.
91
E. Desmons, La responsabilité pénale des agents publics, Presse Universitaire de France, Paris 1998, p. 71 ss.
L’ordinamento francese 139
tata nei confronti della persona giuridica in persona del proprio rappresentante legale
nel momento in cui detta azione viene posta in essere. Il Presidente del Tribunale, su
istanza del pubblico ministero, del giudice d’istruzione o della parte civile può no-
minare un mandataire en justice quando l’azione penale viene esercitata non solo nei
confronti della persona giuridica, ma anche nei confronti del rappresentante legale
in qualità di persona fisica che ha posto in essere l’illecito o quando non esiste alcun
soggetto abilitato a rappresentare la persona fisica. Con riferimento agli enti pubblici
è stato denunciato che il meccanismo indicato dalla legge determina un’ingerenza
inaccettabile da parte del potere giudiziario nell’attività dell’amministrazione e la con-
seguente violazione del principio della separazione delle autorità amministrative e
giudiziarie95. Infatti, il Presidente del Tribunale opera la propria scelta d’ufficio, senza
avere alcun obbligo di consultare i rappresentanti della persona giuridica e senza che
gli sia posto alcun limite né che gli sia fornita alcuna indicazione quanto al soggetto
su cui deve ricadere la scelta96. Il Presidente del Tribunale, secondo quanto indicato
dal disposto legislativo, non ha nemmeno l’obbligo di sollecitare la persona giuridica
prima di procedere d’ufficio alla nomina del soggetto abilitato a stare in giudizio
affinché, nell’ipotesi in cui il rappresentante legale non possa rappresentare la perso-
na giuridica, quest’ultima nomini un diverso soggetto. L’imposizione di una simile
regola avrebbe consentito di evitare quantomeno l’eccessiva commistione dei poteri
giudiziario e amministrativo, anche se avrebbe significato, nella pratica, emettere un
ordine di ingiunzione nei confronti di una persona giuridica di diritto pubblico97.
Con la conseguenza che laddove la persona giuridica di diritto pubblico non avesse
ottemperato all’ingiunzione, il Presidente del Tribunale avrebbe comunque dovuto
ricorrere d’imperio alla nomina del rappresentante.
La nostra attenzione sarà ora dedicata all’analisi della responsabilità penale degli
enti territoriali e dei relativi gruppi. La responsabilità penale delle altre persone giuri-
diche di diritto pubblico non ha infatti destato particolari problemi interpretativi né
ha suscitato accesi dibattiti. Unica peculiarità connessa alla responsabilità penale delle
altre persone giuridiche di diritto pubblico rispetto agli enti di diritto privato è il fatto
che nei confronti delle stesse non sono applicabili né la sanzione della dissoluzione, né
quella della sottoposizione a sorveglianza giudiziaria. Le ragioni dell’esclusione sono
da rinvenire nel fatto che l’applicazione delle sanzioni predette potrebbe pregiudicare
la continuità del servizio pubblico e rivelarsi dannosa per i cittadini.
95
In questo senso, tra gli altri, Mondou, Responsabilité pénale des collectivités territoriales, cit., p. 545.
96
J.C. Bonichot, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public, in «Gazette du Palais»,
1er semestre 1999, p. 771.
97
F. Meyer, Réflexions sur la responsabilité pénale des personnes de droit public à la lumière des premières
applications jurisprudentielles, in «Revue française de droit administratif», n. 15, 1999, p. 927.
L’ordinamento francese 141
«La semaine Juridique» Édition générale, n. 14, Etudes, 2002, p. 649 ss. per un commento alla legge Murcef.
142 E. Pavanello
sia un servizio pubblico delegabile a terzi. Sarebbe stato probabilmente più opportuno
che il legislatore avesse consentito alla giurisprudenza di adattare il concetto di delega
in queste particolari situazioni alle circostanze concrete, anziché adottare un modello
predefinito e statico che ruota attorno ai due concetti dell’utilizzo di un servizio
pubblico e della remunerazione, come quello adottato nella legge Murcef110.
Proprio in ragione di tali difficoltà, parte della dottrina ha invocato la tesi dell’au-
tonomia del diritto penale, evidenziando che il riferimento al diritto amministrativo
darebbe origine a una disuguaglianza di trattamento inacettabile tra le diverse perso-
ne giuridiche, e ha ritenuto che la responsabilità penale debba sussistere per qualsiasi
attività suscettibile di essere delegata, a prescindere dallo strumento giuridico con cui
ciò avviene (non solo il contratto quindi)112. Tale autonomia troverebbe fondamento
sia nel principio contenuto nell’art. 111-5 codice penale secondo cui la giurisdizione
penale è competente ad interpretare gli atti amministrativi, regolamentari o indivi-
duali quando dalla loro interpretazione dipende la soluzione del processo penale113,
sia nella ratio della disposizione riguardo la responsabilità penale delle persone giuri-
diche (su cui torneremo tra breve), ovvero garantire in situazione analoghe un uguale
trattamento alle diverse persone giuridiche. Cosicché, anche la nozione di servizio
pubblico dovrebbe essere interpretata in modo ampio per assicurare la responsabilità
penale di collettività territoriali e gruppi in ipotesi quali l’esecuzione di lavori pub-
blici (che, a rigore, non sono riconducibili alla nozione amministrativa di servizio
pubblico)114.
Altra parte della dottrina, invece, pur riconoscendo la «indipendenza» del diritto
penale rispetto agli altri settori del diritto, ritiene che all’espressione utilizzata dal
legislatore penale non possa essere attribuito significato diverso (ed eventualmente
più ampio) rispetto a quello amministrativo. La tesi trova il proprio fondamento nel
fatto che l’articolo 432-14 del codice penale, introdotto con la legge 95-127 relativa
agli appalti pubblici e alla delega di servizio pubblico, incrimina coloro che, titolari
di autorità pubbliche o incaricati di pubblico servizio, con la propria condotta at-
tentino alla libertà di accesso e all’uguaglianza dei candidati negli appalti pubblici
e nelle attività oggetto di delega di servizio pubblico. L’articolo citato vincolerebbe
il significato penale della delega di servizio pubblico a quella amministrativa che si
desume dal sistema generale delle leggi che intendono combattere il fenomeno della
corruzione: è inimmaginabile, secondo i sostenitori di questa tesi, infatti, che l’auto-
nomia del diritto penale esplichi i propri effetti anche con riferimento a nozioni già
utilizzate nello stesso codice penale115.
Sul fronte giurisprudenziale, i giudici di merito sono maggiormente inclini a for-
nire un’interpretazione ampia di attività delegabile, mentre la Corte di Cassazione
112
In questo senso Levy, Bloch, Bloch, La responsabilité pénale des collectivités territoriales, de leurs élus
et de leurs agents, cit., p. 19
113
Secondo Palazzo, Papa, Lezioni di diritto penale comparato, cit., p. 104 la norma citata garantisce che
la responsabilità penale non possa mai discendere da un atto illegittimo della pubblica amministrazione,
atteso che è attribuito al giudice penale il compito di sindacarne la legittimità, sempre che ovviamente
da questo esame dipenda la soluzione del processo penale.
114
Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 135.
115
Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 200.
L’ordinamento francese 147
12.1. Critiche.
Il nuovo codice penale ha inteso seguire una linea di continuità rispetto alla pre-
cedente proposta di riforma, anche se ha finito per adottare un criterio più confuso
e meno appagante rispetto al precedente117. Più confuso, per le difficoltà di limitare
l’azione espansiva della responsabilità delle collettività territoriali di diritto pubblico,
116
Circulaire (Crim. 93 F/1, 14 mai 1993), sub b), paragrafo 27, riprodotta nel commento di
Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 4 ss.
117
Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 135 nell’esaminare la
limitazione relativa alle modalità contrattuali di delega, indica che «l’avant projet de 1978, prévoyant une
responsabilité pénale des personnes morales uniquement pour leurs activités commerciales allait exactement
dans le même sens, mais il été plus clair».
148 E. Pavanello
122
In questo senso Desportes, Responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 11 il quale tuttavia
ammette che il sistema non è coerente in quanto esistono attività espressione di prerogative pubbliche
che vengono esercitate anche da persone giuridiche di diritto privato.
123
Di Marino, Le développement de la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 37.
150 E. Pavanello
pubblico sia perseguito per aver compiuto una denuncia calunniosa (art. 226-10) o
per aver offerto condizioni di alloggio e di lavoro contrari alla dignità della persona
(art. 225-13 e 225-14).
Nell’ambito della seconda categoria, il codice penale prevede la possibilità di in-
criminare una persona giuridica per il reato di omicidio involontario (art. 221-6) che
è definito come il fatto di causare per maladresse, imprudenza, imperizia, negligenza
o violazione ad un obbligo di sicurezza o di prudenza, imposto da una legge o da un
regolamento, la morte di una persona, nonché in generale i reati concernenti la messa
in pericolo dell’integrità fisica della persona. Le ipotesi de quibus avranno soprattutto
rilievo in tre settori, ovvero quello dei trasporti, dell’educazione e della salute125.
Nell’ambito della categoria dei crimini e delitti contro i beni, potranno venire in
rilievo gli attentati al sistema informatico (art. 323-1), la realizzazione fraudolenta
di una situazione di insolvenza (art. 314-7) e la sottrazione di un bene mediante
violenza (art. 311-16)126.
Tra i delitti e dei crimini contro lo Stato e la pace pubblica, le sole ipotesi, se-
condo taluni, contestabili anche alla persona giuridica di diritto pubblico sarebbero
la corruzione e il cosiddetto «trafic d’influence», consistente nell’abuso dei poteri che
le competono al fine di ottenere un favore da parte di un’autorità pubblica o delle
amministrazioni pubbliche (art. 433-1 e 433-2)127.
14. Le sanzioni penali previste per le persone giuridiche di diritto pubblico. L’inapplicabilità
della sanzione della dissoluzione e della sottoposizione a sorveglianza giudiziaria.
Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche di diritto pubblico sono, alla stre-
gua di quanto indicato nell’art. 131-37, le medesime che possono essere applicate
alle persone giuridiche di diritto privato, ad eccezione della dissoluzione e della sot-
toposizione dell’ente pubblico a sorveglianza giudiziaria.
La ratio di tale disposizione è facilmente comprensibile. Il carattere obbligatorio
degli enti pubblici e il principio della continuità del servizio pubblico impedisce
125
In questo senso Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 140 e
Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence, cit.,
p. 191.
126
Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 141 si chiede se con
riferimento a quest’ultima ipotesi e ad altre in teoria applicabili anche alla persona giuridica di diritto
pubblico (truffa, estorsione), l’ente pubblico, depositario dell’interesse generale, possa effettivamente
considerarsi in grado di compiere simili orrori.
127
Levy, Bloch, Bloch, La responsabilité pénale des collectivités territoriales, de leurs élus et de leurs
agents, cit., p. 23.
152 E. Pavanello
una loro «eliminazione» che, oltretutto, potrebbe arrecare pregiudizio alla collettività
nella misura in cui questi enti perseguono obiettivi e interessi di carattere generale128.
Quanto alla sottoposizione a sorveglianza giudiziaria, una sua applicazione nei con-
fronti delle persone giuridiche di diritto pubblico sarebbe stata contraria al principio co-
stituzionale della separazione dei poteri giudiziario e amministrativo, atteso che deter-
minerebbe un’ingerenza da parte del giudice penale nella gestione dell’ente pubblico129.
Alla luce delle indicazioni codicistiche, restano comunque applicabili nei con-
fronti della persona giuridica di diritto pubblico le altre pene elencate all’art. 131-37.
La dottrina, tuttavia, ha ritenuto che ove si esamino con attenzione le ipotesi san-
zionatorie previste, ci si rende conto che difficilmente dette sanzioni sono applicabili
agli enti pubblici. È questo il caso del divieto di esercitare una determinata attività
professionale in via definitiva o per un periodo non superiore a cinque anni: infatti
la sua applicazione potrebbe cagionare la violazione del principio della continuità del
servizio pubblico. Nell’ipotesi invece in cui la persona giuridica di diritto pubblico
abbia tra i propri compiti statutari unicamente l’esercizio di quell’attività, l’interdi-
zione equivarrebbe a condannare alla sostanziale non operatività la persona giuridica
e sarebbe pertanto paragonabile negli effetti alla sanzione della dissoluzione dell’ente
stesso che, per le motivazioni viste sopra, è stata esclusa dallo stesso legislatore130.
Del pari inadatta è stata considerata la sanzione della chiusura dello stabilimento
dell’impresa in via definitiva o per un periodo non superiore a 5 anni: l’impossibilità
di applicare la sanzione alle persone giuridiche di diritto pubblico discende dalla
stessa interpretazione letterale della norma che parla di chiusura dello stabilimento
di impresa, escludendo evidentemente gli enti pubblici territoriali e gli stabilimen-
ti pubblici amministrativi. In ogni caso, anche per le persone giuridiche di diritto
pubblico assimilabili ad un’impresa, osterà all’applicazione della disposizione il fatto
che la chiusura dello stabilimento comporterà l’interruzione del servizio pubblico e
contrasterà con il principio dell’inalienabilità del demanio pubblico131.
Per ciò che concerne la confisca è stato rilevato che la sua esecuzione contrastereb-
be con il principio di inalienabilità del demanio pubblico.
128
In questo senso, Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 119.
129
In questo senso, tra gli altri J. Moreau, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public
en droit français, in «Les Petites Affiches», n. 149, décembre 1996, p. 44. Come si ricorderà analoghe
limitazioni sono state previste dal legislatore francese anche per altre persone giuridiche di diritto
privato. È infatti preclusa la possibilità di pronunciare la dissoluzione di partiti e gruppi politici e degli
organi di rappresentanza del personale e ciò plausibilmente al fine di garantire l’esercizio delle libertà
politiche e sindacali. È altresì esclusa la possibilità di sottoporre a sorveglianza giudiziaria i gruppi e i
partiti politici, costituendo questa pena una forma di ingerenza molto forte nell’attività politica che il
legislatore francese intendeva evitare.
130
Viret, La responsabilité pénale de l’administration à l’épreuve du droit pénal contemporain, cit., p. 775.
131
Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 149.
L’ordinamento francese 153
Inefficaci, invece, sono state giudicate le sanzioni del divieto di fare appello al
pubblico risparmio (modalità di finanziamento che viene utilizzata raramente dalle
persone giuridiche di diritto privato e ancor meno da quelle di diritto pubblico) in
quanto la sanzione non impedisce che gli enti pubblici facciano ricorso ad altre for-
me di finanziamento e il divieto di emettere assegni, atteso che normalmente i mezzi
di pagamento utilizzati dalle persone giuridiche di diritto pubblico sono diversi. Per
quanto concerne il divieto di partecipare agli appalti pubblici, esso è stato reputato
di difficile applicazione pratica, in quanto le persone giuridiche di diritto pubblico
normalmente non si trovano nella posizione di soggetti che partecipano all’appalto,
ma sono piuttosto coloro che commissionano l’opera.
Sull’efficacia delle sanzioni dell’ammenda e della pubblicazione della sentenza, le
posizioni della dottrina divergono.
Con riferimento, in particolare, alla pronuncia dell’ammenda, molti studiosi stig-
matizzano l’inutilità e la dannosità della sanzione stessa, in quanto essa renderebbe
le persone fisiche vittime una seconda volta: il costo sociale dell’ammenda sarebbe
iscritto nel budget della persona giuridica come una spesa e quindi verrebbe ripagata
dai cittadini attraverso il prelievo fiscale o l’aumento del costo dei servizi pubblici (su
questa argomentazione si veda infra).
Quanto infine alla pubblicazione della sentenza, non c’è accordo sulla sua sostan-
ziale utilità: c’è chi infatti la giudica come la sola sanzione «giusta e efficace»132 e chi
invece la ritiene assolutamente «inefficace» 133. La presunta ineffettività della sanzione
andrebbe desunta dal fatto che suo scopo è quello di portare a conoscenza di chiun-
que la condanna e mettere in guardia i soggetti sull’affidabilità di quella persona
giuridica, in modo che la clientela possa scegliere consapevolmente a chi rivolgersi
per ottenere una determinata prestazione. Nel caso della persona giuridica di diritto
pubblico, tuttavia, detta scelta molto spesso non sarà possibile, atteso che essa agisce
sovente in situazioni di monopolio o pseudo monopolio, in cui non è sottoposta a
concorrenza134. Unica conseguenza reale dell’applicazione di una simile pena sarebbe
pertanto la perdita di credibilità della persona giuridica additata come colpevole da
parte dell’intera collettività.
Il sistema sanzionatorio applicabile alle persone giuridiche di diritto pubblico
lascia quindi perplessa la maggioranza della dottrina: si rimprovera, in particolare,
al legislatore di non aver preso in considerazione le peculiarità connesse alla natura
pubblica delle persone giuridiche.
132
Viret, La responsabilité pénale de l’administration à l’épreuve du droit pénal contemporain, cit., p. 776.
133
A. Bertrand, La responsabilité pénale du maire et de la commune, sub ii, <http://juripole.fr/memoires/
penal/Agnes_Bertrand/>.
134
Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 125-126.
154 E. Pavanello
La giurisprudenza dal canto suo ha sino ad ora pronunciato nella (quasi) totalità
dei casi unicamente la sanzione dell’ammenda, senza quindi offrire possibilità di
riflessione sulla natura e sull’efficacia di altre sanzioni.
Questa è solo una delle argomentazioni utilizzate per contestare il fondamento e
l’opportunità dell’introduzione di una forma di responsabilità penale per le persone
giuridiche di diritto pubblico. Infatti, anche coloro che hanno ritenuto condivisibile
la previsione di detta responsabilità sul piano teorico-dogmatico, a garanzia del ri-
spetto del principio di eguaglianza giuridica tra i diversi enti, hanno poi ritenuto che
essa si riveli poco efficace da un punto di vista pratico per la mancanza di un sistema
repressivo adeguato.
15. Le posizioni critiche della dottrina sulla responsabilità penale delle persone giuridiche
di diritto pubblico.
15.1. Gli argomenti addotti contro la responsabilità penale delle persone giuridiche di
diritto pubblico: il perseguimento dell’interesse pubblico e la dannosità dell’applicazione
della sanzione pecuniaria. Critiche.
distanza che intercorre tra le diverse tipologie di sanzioni, ma non può certo offrire
spiegazioni convincenti sul piano pratico.
15.2. L’asserita violazione del principio di separazione dei poteri: l’impossibilità per il
giudice penale di vagliare la legittimità dell’azione amministrativa. Critiche.
Una delle ragioni principali che sono state avanzate per sostenere l’irresponsabilità
penale delle persone giuridiche di diritto pubblico è costituita dall’asserita violazione
del principio della separazione dei poteri.
Detto principio è stato sancito nell’ordinamento francese già nel 1790 con le leggi
del 16 e del 24 agosto, secondo le quali «le funzioni giudiziarie sono distinte e rimar-
ranno sempre separate dalle funzioni amministrative. I giudici non potranno, se non
abusando della propria autorità, ostacolare le operazioni del corpo amministrativo, né
citare davanti a loro gli amministratori in ragione della loro funzione». Il principio
sembra escludere la possibilità per le persone giuridiche di diritto pubblico di com-
parire avanti a un giudice penale. Tuttavia, anche laddove si volesse accedere a tale
interpretazione, il principio è sancito in un testo legislativo e, pertanto, non dispone
di valore costituzionale. La sola riserva costituzionale concerne la competenza ammi-
nistrativa per il contenzioso dell’annullamento e della riforma delle decisioni adottate
dalle autorità amministrative relative alle attività che prevedono l’esercizio di potestà
pubbliche140.
Nonostante ciò, parte della dottrina ha sostenuto che la responsabilità penale delle
persone giuridiche di diritto pubblico costituisca violazione manifesta del principio
di separazione dei poteri. E ciò a motivo del fatto che si interpreta il principio nella
sua nozione più ristretta (divieto assoluto per il giudice penale di giudicare l’ammini-
strazione) e che si ritiene la responsabilità penale un’ingerenza eccessiva nella gestione
degli enti locali. Si teme, infatti, che la legge penale modifichi la libera amministra-
zione di detti enti141.
Altri Autori hanno ritenuto, invece, che il principio della separazione dei poteri
non sia violato perché, alla luce delle indicazioni provenienti dalla Corte costituzio-
nale, esso è limitato alle sole attività che implicano esercizio di potestà pubbliche,
settore a rigori escluso dalla responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto
pubblico142. L’affermazione può essere contestata nella misura in cui la limitazione
della responsabilità alle ipotesi di attività suscettibili di delega di servizio pubblico non
è in grado effettivamente di escludere dalla sanzione penale ogni attività espressione
140
In questo senso, Conseil Constitutionnel, decisione n. 86-224 del 23 gennaio 1987.
141
Gartner, L’extension de la répression pénale aux personnes publiques, cit., p. 130-131.
142
J.C. Froment, Remarques sur les enjeux et la porte d’une «criminalisation» du droit administratif, in
«Revue de droit public», i, 2001, p. 569.
158 E. Pavanello
15.3. La violazione del principio della competenza esclusiva del giudice amministrativo
a conoscere dell’azione civile di risarcimento del danno.
responsabilità degli enti pubblici era stata la difesa del principio di uguaglianza tra i
diversi soggetti giuridici151.
Detto argomento è stato evocato successivamente anche da altra dottrina che
ha condiviso l’introduzione della responsabilità penale per le persone giuridiche
di diritto pubblico152, ritenendo necessario garantire un eguale trattamento tra i
diversi soggetti perché sarebbe contraddittorio assicurare aree di impunità a fronte di
medesime condotte materiali.
Critiche e riserve sono state, invece, espresse in relazione al fatto che il legislatore
francese abbia deciso di sottoporre a responsabilità le collettività territoriali e i
rispettivi gruppi solo qualora questi esercitino attività che siano suscettibili di delega
di servizio pubblico, lasciando così esente da responsabilità il settore del domaine
privé.
La dottrina non ha invece criticato la legittimità della scelta di escludere la
responsabilità per le attività che siano espressione di prerogative pubblicistiche: è stata,
infatti, contestata la bontà del criterio dell’attività suscettibile di costituire oggetto
di delega, ma non il fatto che determinate attività vadano esenti da controllo penale.
Tuttavia, vi è chi si è interrogato sul fondamento e sull’opportunità di garantire
questa sorta di «immunità» agli enti pubblici territoriali quando esercitano attività
espressione di prerogative pubblicistiche: il sistema sarebbe, infatti, incoerente rispetto
alla posizione delle persone fisiche che agiscono all’interno dello stesso ente. Mentre
la persona fisica che ha commesso un illecito viene sempre punita anche qualora
abbia agito nell’esercizio di prerogative pubblicistiche (anzi, la pena è normalmente
aggravata in relazione alla peculiare posizione rivestita dalla persona fisica stessa), la
persona giuridica andrebbe completamente esente da pena153.
Quanto al fatto che la sanzione eventualmente inflitta ricadrebbe su cittadini
innocenti, è stato rilevato che tutti gli utilizzatori di un servizio pubblico ne traggono
beneficio e, pertanto, non è insensato che tutti contribuiscano al pregiudizio patito
dall’ente.
Infine, con riferimento alla sanzione pecuniaria si è osservato che è necessario
distinguere a seconda del tipo di ente cui la sanzione è inflitta. Una cosa è condannare
infatti uno stabilimento pubblico o una società nazionalizzata, altro è condannare
un Comune: se nel secondo caso si possono porre problemi in ordine all’efficacia
151
B. Ferrier, Une grave lacune de notre démocratie: l’irresponsabilité pénale des personnes administratives,
in «Revue de science criminelle», 1983, p. 395 ss.
152
In questo senso Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la
jurisprudence, cit., p. 205.
153
In questo senso F. Le Gunehec, Les collectivités locales et le nouveau code pénal, in «Les Petites
Affiches», n. 110, settembre 1995, p. 21 ss.
L’ordinamento francese 163
della sanzione che finirebbe per ricadere sui cittadini, nelle prime ipotesi ciò non
avviene154.
A parere di chi scrive nello studio della responsabilità penale delle persone giuri-
diche di diritto pubblico nell’ordinamento francese non ci si può esimere dall’analiz-
zare la relazione che molti studiosi hanno individuato tra la nuova forma di responsa-
bilità degli enti pubblici e la crescente penalizzazione dell’attività dei rappresentanti
politici locali.
Come rilevato da taluno155, l’interesse dei rappresentanti politici locali si è rivelato
cruciale nell’approvazione dell’art. 121-2, atteso che i due termini di responsabilità
− collettiva e individuale − si troverebbero in una relazione inversamente proporzio-
nale: l’ampliamento dell’una dovrebbe consentire la riduzione dell’altra.
Per comprendere l’assunto occorre innanzitutto chiarire che con «crescente pena-
lizzazione dell’attività dei rappresentanti politici locali» si fa riferimento al progressi-
vo incremento delle ipotesi in cui vengono perseguiti penalmente i soggetti fisici che
svolgono funzioni istituzionali all’interno dell’ente pubblico (sindaci, consiglieri co-
munali etc.). In ragione della posizione di garanzia dagli stessi rivestita, essi vengono
ritenuti responsabili dei fatti illeciti realizzati nell’ambito di attività istituzionalmente
di loro competenza anche laddove il fatto lesivo sia (solo) indirettamente legato alla
loro condotta attiva od omissiva: la risposta sanzionatoria scatta in modo pressoché
automatico, senza un previo accertamento né dell’esistenza di una volontà colpevole
(molto spesso si tratta di infrazioni involontarie, a carattere omissivo imputate a tito-
lo di imprudenza o negligenza) né della conoscenza della norma che si assume essere
stata violata (ciò è dovuto al numero sempre crescente di norme che impongono
obblighi di prudenza e diligenza in capo ai soggetti fisici).
Il pericolo denunciato, soprattutto negli enti pubblici di piccole dimensioni, è
individuare nei rappresentanti politici i capri espiatori per un’attività illecita di cui
molto spesso essi non sono i veri responsabili. Il fenomeno acquisisce particolare rilie-
vo in relazione ai reati omissivi: così, ogni qualvolta viene constatata un’omissione in
relazione a un obbligo di prudenza previsto dalla legge, la responsabilità del rappre-
sentante politico che riveste una determinata posizione istituzionale è automatica. A
154
Jorda, La responsabilité pénale des personnes morales de droit public à la lumière de la jurisprudence,
cit., p. 206.
155
P. Raimbault, La discrète généralisation de la responsabilité pénale des personnes morales, in «Actualité
juridique de droit administratif», dicembre 2004, p. 2427.
164 E. Pavanello
16. Istituzione di una Commissione ad hoc per lo studio delle cause e dei rimedi da
adottare per limitare il fenomeno della crescente penalizzazione dell’attività dei politici
locali e dei funzionari pubblici.
Nel 1999, su iniziativa del Governo, è stato istituito un ulteriore gruppo di studio
(Groupe d’étude sur la responsabilité des décideurs publics) con l’obiettivo di «rechercher
des remèdes au malaise de nombreux décideurs publics, élus ou fonctionnaires, face à ce
166 E. Pavanello
16.1. Analisi critica da parte della Commissione degli argomenti addotti a sostegno
dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Affermazione
dell’inesistenza di ragioni di carattere sostanziale che impongano di escludere tale forma
di responsabilità.
Tra i rimedi possibili per far fronte alla crescente responsabilizzazione dell’am-
ministrazione, il gruppo di studio ha indicato la possibile estensione della responsa-
bilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico, anche se ha precisato che
occorrerebbe valutare le conseguenze di una simile estensione prima di adottare una
posizione definitiva sul punto160.
Il gruppo esclude, innanzitutto, che possa essere accolta la richiesta avanzata dai
rappresentanti politici interpellati secondo cui in ipotesi definite (in particolare trat-
tasi dei delitti di pura omissione e delle infrazioni non intenzionali) dovrebbe essere
ricercata unicamente la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pub-
blico e non quella delle persone fisiche. Ovviamente, per fare ciò sarebbe necessario
prevedere un’apposita modifica del codice penale, atteso che, ai sensi del disposto
dell’art. 121-2, la responsabilità penale delle persone fisiche non è esclusa ma con-
159
L’incarico al gruppo di studio è stato conferito l’8 giugno 1999 a un gruppo di esperti, magistrati
e deputati. Il rapporto è conosciuto con il nome di Rapport Massot, dal nome del suo presidente Jean
Massot, Presidente di sezione del Consiglio di Stato. J. Massot, La responsabilité pénale des decideurs
publics Rapports officiels, Paris 2000. Per una breve disamina del rapporto si veda O. Dufour,
Responsabilité pénale des decideurs publics: un rapport serein pour un sujet brûlant, in «Les Petites
Affiches», 2000, p. 3 ss.
160
Gli altri mezzi individuati sono: la riduzione del campo dei delitti non intenzionali, la limitazione
nella creazione di nuove fattispecie penali, il fatto di ricondurre le infrazioni meno gravi al codice del
commercio qualificandole come contravvenzioni, la limitazione dei ricorsi abusivi al giudice penale.
L’ordinamento francese 167
corre con quella delle persone giuridiche. Il gruppo di studio ritiene che accogliere
una simile richiesta significherebbe violare il principio di eguaglianza tra i cittadini
avanti alla giustizia e verrebbe percepito dalla collettività come una sorta di amnistia
accordata dal Parlamento a persone che molto spesso rivestono anche la carica di
parlamentare (una sorta quindi di auto-immunità).
La seconda opzione presa in considerazione è allora quella dell’estensione dell’am-
bito di responsabilità delle persone giuridiche e il contestuale mantenimento di una
responsabilità concorrente delle persone fisiche che potrebbe, al limite, essere «secon-
daria» rispetto alla responsabilità delle persone giuridiche, le quali sarebbero le prime
responsabili del fatto illecito.
Tale ipotesi offre lo spunto al gruppo di studio per verificare se gli argomenti
tradizionalmente addotti contro la responsabilità penale delle persone giuridiche di
diritto pubblico ostino a una siffatta estensione.
Il gruppo di studio si sofferma, in primis, sull’analisi dell’asserita inefficacia delle
sanzioni penali ove applicate alle persone giuridiche di diritto pubblico. Gli studiosi
ammettono che molte delle sanzioni previste dal codice penale sono inadatte alle per-
sone giuridiche di diritto pubblico; tuttavia, essi ritengono che le sanzioni dell’am-
menda e della pubblicazione o diffusione della decisione di condanna possano rive-
stire un ruolo importante. Il fatto di far conoscere la decisione alla collettività può
rivelarsi particolarmente importante sotto il profilo dissuasivo-preventivo: il gruppo
rileva, infatti, che non è piacevole per il rappresentante politico dover effettuare una
contro-pubblicità a difesa del buon funzionamento dell’ente pubblico presso cui egli
opera. Per quanto concerne l’ammenda, non si nasconde che da più parti sia stato
sollevato il problema della sua dannosità: essa, infatti, incidendo negativamente sul
budget della persona giuridica finirebbe per arrecare pregiudizio ai cittadini, già vit-
time del reato. Il gruppo di studio si limita sul punto a rilevare che analogo problema
si verifica ogni qualvolta l’amministrazione viene condannata al pagamento del risar-
cimento del danno civile, anche se in quel caso non viene posta nessuna obiezione al
pagamento della sanzione.
Quanto al rischio di un’ulteriore estensione della penalizzazione dell’attività am-
ministrativa − con un maggiore «slancio» delle vittime nel ricorso al giudice penale
anziché a quello amministrativo − il gruppo di studio si dichiara sprovvisto degli
strumenti necessari per compiere un’approfondita analisi a riguardo e si limita a
indicare che questi rischi non sono né certi né comprovati, per ora, dalla pratica
giudiziaria.
Per quanto concerne la violazione del principio della separazione dei poteri am-
ministrativo e giudiziario, gli esperti, con una motivazione che a dire il vero lascia
perplessi, ritengono che un’eccezione a tale principio sia già stata introdotta con il
codice del 1994 che ha statuito una limitata forma di responsabilità per le persone
giuridiche di diritto pubblico. Anziché cioè sostenere che detta responsabilità non
168 E. Pavanello
16.2. Proposte di estensione della responsabilità penale allo Stato e alle collettività
territoriali anche nell’ipotesi di attività di servizio pubblico non delegabile.
Uno dei primi casi assurti agli onori della cronaca giudiziaria in materia di re-
sponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico ha fortemente scosso
l’opinione pubblica ed ha coinvolto la responsabilità di un Comune, nella fattispecie
quello di Grenoble. Il caso – che è giunto sino al vaglio della Corte di Cassazione -
oltre a presentare interessanti spunti di riflessione in ordine alla nozione di attività
170 E. Pavanello
codice penale, sono gli organi che avrebbero potuto originare la responsabilità della
persona giuridica. Il Tribunale contesta questa posizione ritenendo che se la gestione
del centro delle attività era affidato a un’animatrice dipendente del Comune che non
rivestiva la qualifica di organo o rappresentante dello stesso, al Sindaco competeva
comunque il compito di verificare che dette attività non comportassero alcun rischio
per la salute o la sicurezza dei bambini. Nel caso di specie ciò non sarebbe avvenuto
e il Comune è stato condannato per omicidio involontario al pagamento di un’am-
menda di 100.000 franchi (circa 15.000 euro). Il Tribunale ha pronunciato invece
un’ordinanza di non luogo a procedere nei confronti del Sindaco e del Consigliere
delegato, in quanto ha ritenuto che non fosse stato dimostrato l’elemento soggettivo
del reato. Il Tribunale ha confermato così il principio che il comportamento illecito
di una persona fisica che riveste la qualifica di organo dell’ente può rilevare ai fini
della responsabilità della persona giuridica ma non per questo comporta l’automatica
condanna della persona fisica.
La sentenza è stata successivamente confermata in grado d’appello con riferimen-
to alla responsabilità del Comune e l’ammenda aumentata all’importo di 76.000
euro164. Il Comune nel proprio ricorso aveva sostenuto, infatti, che l’attività di ac-
compagnamento degli alunni non fosse suscettibile di costituire oggetto di delega in
quanto si trattava di una funzione che comportava l’esercizio di poteri pubblicistici,
legata alla missione dell’insegnamento che compete allo Stato. La Corte d’Appello,
tuttavia, ha contestato questo ragionamento e confermato che si tratta di attività
suscettibile di delega in quanto, sulla base di una circolare ministeriale, è possibile
conferire le attività di animazione a terzi soggetti. La Corte ha ribadito altresì che
le ordinanze di non luogo a procedere pronunciate nei confronti del Sindaco e del
Consigliere delegato non impediscono che venga contestualmente accertata la re-
sponsabilità del Comune, a condizione che sia stabilita una faute a carico degli organi
o rappresentanti del Comune stesso.
Successivamente, la Corte di Cassazione ha mutato la posizione sostenuta dalle
Corti di merito ritenendo che l’attività di animazione partecipi direttamente dell’at-
tività dell’insegnamento pubblico e, in quanto tale, non sia suscettibile di costitu-
ire oggetto di delega. Conseguenza diretta di tale qualificazione è la dichiarazione
dell’impossibilità di procedere nei confronti del Comune di Grenoble165.
Ad analoghe conclusioni è giunta, sempre con riferimento all’insegnamento pub-
blico, una sentenza della Corte di Cassazione dell’11 dicembre 2000 secondo cui le
164
Cour d’Appel Grenoble, 12 giugno 1998 in «Gazette du Palais», 1998, p. 460 ss. con nota di Petit
e in «Recueil Dalloz», 1999, p. 151-152 con nota di R. De Boubée.
165
Cassation Criminelle, 12 dicembre 2000 in «Droit Pénal», 2001, p. 13 ss. con nota di Véron, il quale
condivide la decisione ritenendo che sia difficile ammettere che l’animazione organizzata nell’ambito
dell’attività di insegnamento pubblico sia assimilabile ad un’attività di carattere commerciale o
industriale, ambito escluso dal campo di applicazione della norma penale. Analogamente Petit, nota
172 E. Pavanello
pello hanno ritenuto che l’attività di trasporto scolastico fosse suscettibile di delega e
che esistesse un nesso di causalità tra la decisione di mantenere la fermata collocata in
un luogo pericoloso e l’incidente stradale. I giudici di merito hanno così condannato
il Dipartimento al pagamento dell’ammenda di 5.000 euro per omicidio colposo.
La Corte di Cassazione167 − accogliendo così il ricorso presentato dall’ente
pubblico − ha invece cassato e annullato la sentenza predetta, ritenendo mancante
uno dei presupposti in base ai quali operava la responsabilità penale delle persone
giuridiche di diritto pubblico, ovvero l’attività suscettibile di delega. I giudici hanno,
infatti, ritenuto che solo l’attività di servizio dei trasporti pubblici fosse delegabile,
mentre non lo fosse la sua organizzazione: atteso che la determinazione del percorso e
delle fermate che l’autobus doveva effettuare rientrava nel concetto di organizzazione
del servizio, essa non era delegabile e il dipartimento non poteva essere perseguito
penalmente.
Da questa breve disamina si deduce che la scissione all’interno della medesima
attività pubblica tra ciò che è delegabile e ciò che non lo è, rischia di ridurre oltremodo
il campo di applicazione della responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto
pubblico.
121-2 c.p. La Cassazione ha ritenuto, infatti, che detta circostanza non avesse alcun
rilievo in quanto il ragionamento che deve effettuare il giudice al fine di valutare la
delegabilità o meno dell’attività è di tipo eminentemente astratto e deve prescindere
dalle circostanze del caso concreto.
La soluzione offerta dalla Corte è corretta poiché la lettera dell’art. 121-2 c.p. pre-
vede che la responsabilità delle collettività territoriali sussista laddove esse esercitino
attività suscettibili di costituire oggetto di delega. Proprio il termine «suscettibile» sta
ad indicare la potenzialità ma non la necessità che l’attività venga delegata mediante
contratto e quindi indica una «qualità» dell’attività, a prescindere dagli accordi con-
cretamente posti in essere. Quanto ai criteri per definire l’attività come delegabile,
i giudici fanno riferimento alle indicazioni sulla remunerazione provenienti dalla
legge Murcef. Nel caso di specie, atteso che si tratta di servizio la cui remunerazione
è strettamente legata all’utilizzo del servizio offerto, ovvero il teatro, l’attività è stata
considerata delegabile e, per tali ragioni, il Comune è stato condannato al pagamento
di un’ammenda di poco più di 7.000 euro168.
in ordine al fatto che l’entità statale (comprensiva dei differenti Ministeri ed entità
che dipendono direttamente dallo Stato) non risponde penalmente del proprio
operato illecito. Il legislatore ha giustificato questa scelta per il fatto che sarebbe stato
inconcepibile prevedere una responsabilità penale dello Stato per «actes relevants par
nature de sa puissance souveraine». Il presupposto è che ogni qualvolta lo Stato pone
in essere un’attività (ed eventualmente pone in essere una condotta illecita) esercita
un potere di natura pubblica.
La dottrina francese, dal canto suo, ha enucleato diversi argomenti volti a
giustificare la decisione del legislatore; pochi studiosi hanno sostenuto la necessità di
introdurre la responsabilità penale dello Stato171 (seppure nei limiti che si illustreranno
in seguito), considerando la scelta operata nel 1994 «scioccante» perché dà origine ad
una forma di disuguaglianza di trattamento rispetto alle altre persone giuridiche di
diritto pubblico (nonché ovviamente quelle di diritto privato)172.
De jure condendo, il rapporto Massot ha fatto cenno alla necessità di estendere la
responsabilità penale anche allo Stato; tuttavia, almeno per il momento, il legislatore
francese non ha provveduto ad introdurre alcuna modifica sul punto.
Di seguito si illustreranno le argomentazioni che sono state addotte contro la
responsabilità penale dello Stato, per poi procedere all’esame delle motivazioni che
invece dovrebbero indurre, secondo parte della dottrina, ad un ampliamento della
responsabilità anche nei suoi confronti.
20. Gli argomenti addotti dalla dottrina contro la perseguibilità dello Stato. La titolarità
della potestà penale.
nione espressa dalla dottrina olandese, è quella che più di sovente viene invocata dagli
studiosi francesi per giustificare la decisione del legislatore174.
Il fatto che i funzionari pubblici vengano puniti per la condotta illecita posta in
essere nell’esercizio delle loro funzioni, mentre lo Stato resti impunito per la me-
desima condotta, non sarebbe fonte di alcuna incoerenza sistematica: l’azione del
funzionario, infatti, ancorché commessa nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche,
arrecherebbe pregiudizio allo Stato ed è per questa ragione che viene punita175. Tutta-
via, qualche perplessità sorge per il fatto che resta difficile spiegare per quale ragione
un Comune che non segue le norme di igiene in una mensa viene punito, mentre un
Ministero alle dipendenze dello Stato che gestisce altresì una mensa va assolto per la
medesima condotta.
L’opportunità di garantire l’irresponsabilità dello Stato è stata sostenuta anche dal
Consiglio di Stato, il quale ha messo in luce un ulteriore aspetto problematico cui
darebbe origine un sistema diverso: la sanzione penale si caratterizza, infatti, per il suo
carattere vincolante e, normalmente, spetta allo Stato il compito di dare esecuzione a
detta pena. Ove si immaginasse un sistema sanzionatorio anche per lo Stato, quest’ul-
timo dovrebbe «obbligare» se stesso nell’esecuzione della pena176.
20.1. Il contrasto tra responsabilità penale e il principio della sovranità dello Stato.
Critiche.
Strettamente legato all’idea della sovranità vi è poi il fatto che lo Stato non può
essere sottoposto a sanzione penale in quanto persegue interessi di carattere generale
(collettivi o individuali che siano)180.
Anche in Francia è forte, quindi, l’idea che l’ente statale sia preposto alla tutela di
interessi superiori ed abbia scopi di carattere generale da giustificare ogni eventuale
violazione della legge penale. In questa prospettiva, il riconoscimento della respon-
sabilità penale dello Stato costituirebbe addirittura una forma di arretramento del
diritto penale: infatti, se il sistema di repressione pubblica ha potuto sostituirsi alle
forme di vendetta privata, è perché, si è sostenuto, alla base c’è l’idea che lo Stato che
rappresenta la società si situa al di sopra degli interessi particolari181.
21. La possibile violazione del principio di eguaglianza derivante da’esclusione dello Stato
dalla responsabilità penale.
22. Difficoltà e opportunità di creare un sistema di controllo penale delle attività statali.
Uno dei pochi studiosi che in Francia ha ipotizzato l’introduzione di una forma di
responsabilità penale per lo Stato, ha tentato di mettere in luce ostacoli e possibilità
concrete della configurazione della stessa187.
Innanzitutto, è stato criticato il riferimento al concetto generico di Stato. Infatti, lo
Stato non sarebbe paragonabile a nessun’altra entità collettiva di natura pubblica o
privata poiché è composto di diverse entità relativamente autonome. Se si accedesse
alla tesi secondo cui lo Stato è entità unica e inscindibile occorrerebbe ammettere, ad
esempio, che all’atto del pagamento dell’iva verrebbero poste in essere due operazioni
contabili che si annullerebbero reciprocamente. Da un lato, infatti, il Ministero
delle Finanze riceve il pagamento e, dall’altro, i diversi enti statali sono sottoposti
al tributo: solo ove si considerino il Ministero e i diversi enti come ontologicamente
diversi, sarà possibile giustificare il pagamento dell’imposta.
Detta inesattezza conduce in questa prospettiva, a un risultato non appagante in
quanto vengono escluse dalla repressione penale non solo quelle attività che non do-
vrebbero mai essere sottoposte a sanzione (poiché espressione di prerogative pubbli-
cistiche quali l’attività di polizia, promulgazione delle leggi), ma anche quelle attività
in cui l’entità statale agisce, in ipotesi, in condizioni identiche a quelle in cui agisce
qualsiasi altra società di diritto privato.
Un uso attento della terminologia avrebbe condotto pertanto ad operare una di-
stinzione più accorta in quanto lo «Stato» (o quanto meno alcune delle sue entità)
186
Conseil d’Etat, La responsabilité pénale des agents publics en cas d’infractions non intentionnelles:
étude adoptée par l’Assemblée générale du Conseil d’Etat le 9 mai 1996, p. 96 ss.
187
Planque, La détermination de la personne morale pénalement responsable, cit., p. 98 ss.
L’ordinamento francese 183
previsione della sua responsabilità. In buona sostanza non sembra possibile, nemme-
no per la dottrina francese, rinunciare in modo assoluto all’immunità dello Stato.
23. Conclusioni.
Una delle innovazioni di maggiore interesse introdotte con il codice penale francese
del 1994 è stata l’introduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche,
delineata dall’art. 121-2.
Il codice francese esclude dall’ambito di responsabilità oltre che lo Stato, anche le
collettività territoriali che abbiano agito nell’esecuzione di un’attività suscettibile di
essere oggetto di delega. Il criterio scelto, con riferimento alle collettività territoriali, è
stato criticato per la sua indeterminatezza, atteso che il giudice penale, per qualificare
detta attività, dovrebbe utilizzare concetti propri del diritto amministrativo. Esso
inoltre non risponde alla ratio che ha sostenuto la limitazione di responsabilità,
ovvero preservare alcune attività espressione di poteri pubblicistici dal sindacato
del giudice penale, poiché esclude che gli enti territoriali possano essere perseguiti
quando agiscano nell’ambito privatistico.
Sotto questo profilo si condividono le critiche mosse alle scelte operate dal legislatore
che ha optato per il criterio dell’attività delegabile proprio del diritto amministrativo,
poiché, in questo modo, vengono radicalmente escluse dall’ambito di responsabilità
le attività in cui la persona giuridica di diritto pubblico esercita attività e funzioni
proprie del diritto privato.
Nonostante le critiche avanzate al criterio scelto dal legislatore, solo un numero
esiguo di studiosi ha auspicato un’estensione generalizzata della responsabilità
delle persone giuridiche di diritto pubblico: la maggior parte ha ritenuto infatti di
condividere la linea tracciata dal legislatore, reputando che le peculiarità connesse alla
struttura e alle funzioni delle persone giuridiche di diritto pubblico e, in particolar
modo dello Stato, debba condurre a una limitazione del penalmente rilevante. Non
si è quindi fatta questione sull’opportunità di introdurre simili limitazioni, quanto
piuttosto sulle modalità di delimitazione dell’ambito di responsabilità.
Sul fronte degli oppositori all’introduzione di detta responsabilità, gli studiosi di
diritto amministrativo hanno in particolare ritenuto che il diritto penale non possa
giudicare di un illecito avvenuto in un contesto in cui tradizionalmente la competenza
è esclusiva del giudice amministrativo. L’idea che sta alla base di tali contestazioni
è che esisterebbe una distinzione netta tra i soggetti che perseguono interessi di
carattere generale, ovvero gli enti pubblici, e i soggetti che, invece, perseguono
esclusivamente scopi di lucro, ovvero persone giuridiche di diritto privato. Se una
persona giuridica di diritto pubblico persegue interessi di carattere generale, ogni
attività dalla stessa posta in essere sarebbe legittima: l’assunto non considera, tuttavia,
L’ordinamento francese 185
che detta distinzione così netta tra enti che perseguono interessi di carattere generale
ed enti che invece perseguono fini di lucro non trova un solido fondamento189.
A riprova di ciò, basti considerare che lo stesso legislatore francese ha ritenuto di
introdurre la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico e, con
riferimento alle collettività territoriali, enti il cui fine dovrebbe essere il perseguimento
dell’interesse generale, ha ammesso l’esistenza di un ambito in cui esse agiscono al pari
delle persone giuridiche di diritto privato. Inoltre, non sembra che esista sempre una
corrispondenza biunivoca tra interesse generale e legittimità dell’azione: è fonte di
riflessione la circostanza secondo cui ogni attività (asseritamente) di interesse generale
legittimi la commissione di qualsivoglia reato.
Ostacoli alla configurazione della responsabilità sono stati evidenziati anche
sotto il profilo sanzionatorio: la sanzione penale eventualmente inflitta, si è detto,
produrrebbe effetti solo in relazione alle persone giuridiche di diritto privato, le quali
dispongono di un proprio patrimonio, mentre l’inflizione della sanzione a carico
della persona giuridica di diritto pubblico cagionerebbe un pregiudizio a carico della
collettività.
La scelta poi di escludere dal novero di responsabilità penale le attività poste
in essere dallo Stato può essere criticata alla luce della ratio della riforma e della
constatazione che gli argomenti tradizionalmente addotti per giustificare detta
forma di irresponsabilità non sono in alcun modo probanti. Ritenere infatti che
l’irresponsabilità anziché costituire una lacuna dell’ordinamento, attenti alla sua
stabilità mettendone in pericolo i fondamenti, non pare corretto. O quanto meno
non sembra che ciò possa essere sostenuto in modo generale: basti pensare a quelle
attività che lo Stato compie al pari di qualsiasi altra persona giuridica di diritto
privato. Quanto alle altre attività espressione di prerogative e poteri tipicamente
pubblici, occorre chiedersi se effettivamente esse dispongano di caratteristiche tali da
necessitare un esonero dal controllo penale. Infatti, se è proprio dello Stato di diritto
che lo stesso Stato sia sottoposto alla legge, a rigore nessuna esclusione dovrebbe
essere prevista. A nulla varrebbe l’esistenza della scriminante dell’adempimento del
dovere imposto dalla legge o dall’ordine dell’autorità legittima per scusare in via
generale e a priori l’azione dell’amministrazione190. Tuttavia, la dottrina sembra
restia ad ammettere una simile estensione della responsabilità penale e il legislatore
l’ha in sostanza escluso con la formulazione dell’art. 121-2 del codice penale. La
189
Hermann, Le juge pénal, juge ordinaire de l’administration?, cit., p. 201 sostiene peraltro che anche
nello svolgimento di attività di carattere industriale o commerciale le peculiarità delle persone giuridiche
di diritto pubblico sono tali da escludere che venga perseguito uno scopo di lucro: esse agirebbero
quindi sempre e comunque nell’interesse generale e, in ragione di ciò, non dovrebbero essere perseguite
penalmente.
190
Ferrier, Une grave lacune de notre démocratie: l’irresponsabilité pénale des personnes administratives,
cit., p. 400.
186 E. Pavanello
legislazione francese offre spunti di rilievo critico con riferimento alla necessità di un
ripensamento dell’intero sistema di responsabilità delle persone giuridiche di diritto
pubblico. L’esistenza di interessi generali e il bene supremo della collettività fungono
da freno rispetto alla responsabilità della persona giuridica. Il problema centrale della
questione è capire se ciò sia corretto o frutto di pregiudizi connessi all’idea dello Stato
sovrano, legibus solutus che pone le regole ma non è tenuto a rispettarle.
Occorre inoltre interrogarsi sulla possibile interferenza tra potere giudiziario e
potere politico e se l’intervento penale sull’operato di collettività territoriali e Stato sia
davvero un ostacolo alla realizzazione dello Stato di diritto o non costituisca piuttosto
una modalità attraverso il quale lo stesso assurge a contropotere in grado di realizzare
in modo pieno il bilanciamento dei poteri.
187
capitolo 4
Livre 119.3, éditions juridiques Belgique, Diegem 2001, 2e édition, p. 15-16 ricorda, tuttavia, che
188 E. Pavanello
le persone giuridiche di diritto pubblico siano perseguibili, salvo poi stabilire delle
eccezioni che limitano notevolmente la portata della regola generale. A mente del
quarto comma dell’art. 5 c.p. non possono, infatti, essere soggetti attivi del reato lo
Stato federale, le Regioni, le Comunità, le Province e, in generale, tutte le collettività
territoriali. La legge belga è quindi, sotto questo profilo, più restrittiva rispetto alle
legislazioni olandese e francese.
L’interesse allo studio del sistema de quo è tuttavia duplice e scaturisce, da un lato,
dall’analisi delle ragioni che hanno condotto il legislatore belga a limitare la respon-
sabilità solo a talune persone giuridiche di diritto pubblico e, dall’altro, dal fatto che
in due occasioni la Cour d’Arbitrage (Corte Costituzionale belga) ha avuto modo di
pronunciarsi sulla legittimità della norma.
Dopo aver delineato il meccanismo di funzionamento della responsabilità penale
delle persone giuridiche, si passerà a considerare la situazione peculiare delle persone
giuridiche di diritto pubblico e si analizzeranno, infine, le sentenze della Corte Co-
stituzionale cui si è fatto cenno.
Il regime di responsabilità cui sono state sottoposte le persone giuridiche ha
conosciuto nell’ordinamento belga, così come in altri ordinamenti, un’evoluzione
intrinsecamente legata alla mutata concezione di persona giuridica, prima conside-
rata unicamente una «finzione», poi considerata vero e proprio soggetto di diritto.
Inizialmente, infatti, la giurisprudenza, con argomentazioni condivise dalla dot-
trina, aveva ritenuto che societas delinquere non potest in ragione del fatto che le per-
sone giuridiche, non essendo dotate di autonoma volontà, non potevano porre in
essere gli illeciti penali per i quali sarebbe stato necessario accertare la sussistenza
dell’elemento soggettivo, espressione di una volontà libera e cosciente. Inoltre, ad
ostacolo ulteriore della perseguibilità penale dell’ente veniva invocato il principio
della personalità della pena192.
Successivamente, la giurisprudenza ha ammesso la possibilità che anche le perso-
ne giuridiche potessero porre in essere un illecito penale: societas delinquere potest, sed
puniri non potest193. Tuttavia, laddove si fosse accertato che l’ente, per il tramite di un
a fronte dell’impossibilità di punire direttamente le società per le infrazioni poste in essere dai loro
rappresentanti, il legislatore aveva previsto un regime che, di fatto, mirava in taluni casi a punire le
persone giuridiche. Ad esempio, erano previste la responsabilità civile delle società per il pagamento
delle sanzioni pecuniarie irrogate alle persone fisiche e la pubblicazione della sentenza di condanna
all’esterno dello stabilimento societario in cui era stata posta in essere l’infrazione.
192
Per un’illustrazione delle ragioni a sostegno dell’irresponsabilità penale delle persone giuridiche, si
confrontino J. Constant, La responsabilité pénale des personnes morales et de leur organs en droit belge, in
«Revue internationale de droit pénal», 1951, p. 597 ss. e S. Glaser, L’Etat en tant que personne morale
est-il pénalement responsabile?, in «Revue de droit pénal et de criminologie», 1949, p. 425 ss. il quale
tratta anche della problematica concernente l’eventuale responsabilità penale dello Stato per crimini
internazionali.
193
Si confronti per l’evoluzione della posizione di dottrina e giurisprudenza sulla (ir)responsabilità
L’ordinamento belga 189
soggetto fisico, aveva posto in essere un illecito penale, solo la persona fisica veniva
punita. L’individuazione del soggetto fisico punibile era nella maggioranza delle ipo-
tesi demandata al giudice (cosiddetta imputazione giudiziale) il quale, partendo dagli
elementi del caso concreto, stabiliva quale soggetto fisico, organo di fatto o di diritto,
fosse responsabile per la violazione della legge penale (accertava quindi che lo stesso
avesse materialmente posto in essere la condotta illecita per conto della società o non
avesse fatto quanto in suo potere per evitare che l’illecito penale si verificasse). Solo
in taluni casi, invece, era la stessa legge a indicare il soggetto punibile. Ad esempio,
l’art. 81 della legge 4 agosto 1996 prevedeva la responsabilità del datore di lavoro, dei
suoi preposti o dei suoi mandatari per violazione delle norme relative alla salute dei
lavoratori all’interno dell’azienda194.
Il sistema così delineato, tuttavia, non consentiva di far fronte alla crescente cri-
minalità d’impresa di cui da più parti si denunciava la pericolosità. Il rischio era tra
l’altro di punire taluni soggetti fisici sulla base di un criterio oggettivo per fatti di cui
essi, al limite, non erano nemmeno a conoscenza.
Così, (anche) su sollecitazione della dottrina e sulla base delle indicazioni prove-
nienti dagli organismi internazionali (tra cui la raccomandazione n. 18 del Consiglio
d’Europa del 1988), è stata adottata la legge del 4 maggio 1999 (Loi instaurant la
responsabilité pénale des personnes morales)195.
La legge de qua ha modificato l’art. 5 del c.p. belga il quale prevede che:
Toute personne morale est pénalement responsable des infractions qui sont intrinsèque-
ment liées à la réalisation de son objet ou à la défense de ses intérêts, ou de celles dont les
faits concrets démontrent qu’elles ont été commises pour son compte.
penale delle persone giuridiche, tra gli altri, A. Masset, La responsabilité pénale dans l’entreprise, cit, p.
13-14; A. Masset, La loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales: une
extension du filet pénal modalisée, in «Journal des Tribunaux», 1999, p. 653 ss.; F. Lagasse, Manuel de
droit pénal social, Larcier, Bruxelles 2003, p. 92 ss., F. Roggen, Participation et imputabilité: l’application
de ces principes à l’épreuve de la responsabilité pénale des personnes morales, in Actualités de droit pénal et
procédure pénale, Editions du jeune Barreau de Bruxelles, Bruxelles 2001, p. 12 ss.; W. Cassiers, La
responsabilité pénale des personnes morales: une solution en trompe-l’œil?, in «Revue de droit pénale et de
criminologie», 1999, p. 823 ss.; F. Kefer, La responsabilité pénale de la personne morale: une réponse de
plus à la délinquence d’entreprise, in Roggen F., Schamps G., Le point de vue sur le droit pénal, cup, février
2000, p. 15 ss.
194
Masset, La responsabilité pénale dans l’entreprise, cit., p. 14.
195
La legge è stata adottata nonostante il parere contrario espresso in data 5 ottobre 1998 dal Consiglio
di Stato. La bibliografia sul punto è estesa. Si confrontino, tra gli altri, oltre ai contributi indicati sub
nota n. 193, P. Hamer, S. Romanello, La responsabilité des personnes morales, Kluwer éditions juridique
Belgique, Diegem 1999; M. Gollier, F. Lagasse, La responsabilité pénale des personnes morales: le point
sur la question après l’entrée en vigeur de la loi du 4 mai 1999, in «Chroniques de droit social», 1999,
p. 521 ss.; La responsabilité pénale des personnes morales en Belgique, sous la direction de M. Nihoul, La
Charte, Bruxelles 2005; J. Overath, M. Geron, C. Gheur, T. Matray, La responsabilité pénale des
personnes morales, Larcier, Bruxelles 2007.
190 E. Pavanello
Come è agevole intuire l’attenzione sarà dedicata in particolar modo alle previsio-
ni contenute nel quarto comma. Si ritiene tuttavia opportuno delineare in generale il
sistema di responsabilità configurato: il passaggio si rivela tra l’altro necessario al fine
di comprendere le ragioni che hanno dato origine alle questioni pregiudiziali avanti
alla Corte Costituzionale cui sopra si è fatto cenno.
Il sistema di responsabilità penale belga è generale per quanto concerne i reati che
possono essere posti in essere dalla persona giuridica, non esistendo alcuna limitazione
sul punto.
196
Le persone giuridiche sono responsabili penalmente delle violazioni che sono strettamente connesse
alla realizzazione del loro oggetto o dei loro interessi, o di quelle i cui fatti concreti dimostrano che
sono commesse per loro conto. Quando la responsabilità della persona giuridica deriva esclusivamente
dell’intervento di una persona fisica identificata, solo il soggetto che ha posto in essere la condotta più
grave può essere condannato. Se la persona fisica ha posto in essere la violazione volontariamente e
consapevolmente, potrà essere condannata insieme alla persona giuridica. Sono assimilate alla persona
giuridica: le associazioni temporanee e le associazioni in partecipazione, le società previste dall’art. 2,
comma 3, delle leggi sulle società commerciali, così come le società commerciali in via di costituzione.
Non possono essere considerate persone giuridiche responsabili penalmente per l’applicazione di questo
articolo: lo Stato federale, le Regioni, le Comunità, le Province, l’agglomerato di Bruxelles, i Comuni,
le zona pluricomunali, gli Organi Territoriali intra comunali, la Commissione della comunità francese,
la Commissione della comunità fiamminga, la Commissione comune alle comunità, i centri pubblici
di aiuto sociale.
L’ordinamento belga 191
essere una violazione della legge penale nel proprio esclusivo interesse. Criticamente
vi è chi ha rilevato che l’ipotesi dell’infrazione posta in essere per il conseguimento
dell’oggetto sociale della persona giuridica, sarà di limitata applicazione in quanto
è difficilmente ipotizzabile che un ente ponga espressamente tra i propri obiettivi
istituzionali attività a carattere illecito200.
La legge nulla dice, invece, quanto all’elemento soggettivo che deve essere ac-
certato in capo alla persona giuridica. Nel corso dei lavori preparatori si è ritenu-
to trattarsi di una questione di fatto che deve essere lasciata alla libera valutazione
del giudice e, in particolare, «il devra être établi soit que la réalisation de l’infraction
découle d’une décision intentionnelle prise dans le chef de la personne morale, soit qu’elle
provient par un lien de causalité déterminé, d’une négligence dans le chef de la personne
morale»201. Gli esempi che vengono addotti per illustrare il principio sono l’esistenza
di un deficit nell’organizzazione interna o di tagli al budget che creano le condizioni
per la realizzazione del reato.
Parte della dottrina belga si è mostrata scettica nei confronti di una simile soluzio-
ne che presuppone l’accertamento di una volontà distinta in capo alla persona giu-
ridica: secondo questo approccio, infatti, la persona giuridica non sarebbe capace di
esprimere detta volontà se non per il tramite dei soggetti fisici che la compongono202.
A ben vedere, tuttavia, i lavori preparatori sembrano contraddire l’impostazione
«antropomorfica». Infatti in tale sede si è sostenuta la necessità di verificare oltre all’e-
sistenza dell’elemento soggettivo in capo alla persona giuridica secondo le modalità
illustrate, anche di fornire la prova dell’elemento soggettivo della colpa o del dolo in
capo alle autorità dirigenti della persona giuridica quando la violazione commessa sia
intenzionale203. Il che sembra voler dire che sarà sempre necessario verificare anche
l’elemento soggettivo che ha animato la persona fisica che materialmente ha posto in
essere la condotta.
200
Lagasse, Manuel de droit pénal social, cit., p. 96. Secondo Misonne, Le concours de responsabilités,
cit., p. 92, non sarà sufficiente guardare allo scopo sociale dichiarato nello statuto, ma occorrerà prendere
in considerazione anche lo scopo realmente perseguito dalla persona giuridica: solo in questo modo il
disposto avrà un reale significato e si eviterà che sia la persona giuridica a determinare la misura in cui la
stessa è responsabile penalmente.
201
Rapporto 1217/6, par. 1.3.
202
Per un’illustrazione delle posizioni dottrinali sull’imputazione soggettiva della condotta alla persona
giuridica, si confronti Hamer, Romanello, La responsabilité des personnes morales, cit., p. 6-12. Misonne,
Le concours de responsabilités, cit., p. 133 ritiene che la difficoltà maggiore presentata dalla legge del
1999 è proprio la logica antropomorfica adottata dal legislatore, atteso che è difficile concepire che una
persona giuridica possa agire senza l’intervento e la volontà delle persone fisiche che ne fanno parte.
203
Rapporto 1217/6, par. 1.3.
L’ordinamento belga 193
3.1. Sulla natura e sull’inapplicabilità retroattiva della causa che esclude il cumulo di
responsabilità della persona fisica e giuridica.
La dottrina belga ha qualificato come una causa d’excuse absolutoire, ovvero una
circostanza che lascia sussistere il carattere delittuoso dei fatti e che ha come unica
conseguenza di escludere l’applicazione della pena, il meccanismo attraverso cui viene
esclusa la responsabilità penale della persona fisica nel caso in cui essa non abbia posto
in essere la faute la plus grave212.
Nonostante detta qualificazione, le giurisdizioni di merito hanno ritenuto, nella
maggior parte dei casi, di assolvere l’imputato persona fisica o addirittura di dichiarare
l’azione non procedibile nei suoi confronti, utilizzando quindi formule assolutorie
che mal si conciliano con una causa di esenzione da pena213.
La Corte di Cassazione in una sentenza del 3 ottobre 2000 ha avallato la tesi della
causa di non punibilità e ha in particolare sostenuto che «l’article 5, alinéa 1er et 2, du
Code pénal, crée, dans le cas visé par le préambule du deuxième alinéa, une cause d’excuse
absolutoire applicable, lorsqu’une infraction a été commise tant par une personne physique
que par une personne morale, à celle de ces deux personnes ayant commis la faute la moins
grave»214.
in «Revue de droit pénal et de criminologie», 2008, p. 190 ss. per un’analisi delle principali pronunce
giurisprudenziali e della proposta di modifica al codice penale del 2007.
212
Misonne, Le concours de responsabilités, cit., p. 150 e Kefer, La responsabilité pénale de l’entreprise
et le droit social, cit., p. 25. Si tratta di quelle cause di esenzione da pena, le quali lasciano sussistere sia
l’antigiuridicità del fatto sia la colpevolezza del soggetto agente e sono previste dal legislatore per ragioni
di opportunità.
213
Si veda sul punto Tribunale Turnhout, sentenza dell’8 gennaio 2001 inedita e citata da Misonne,
Le concours de responsabilités, cit., p. 150. Occorre considerare che, in presenza di una causa di excuse
absolutoire, il giudice dovrebbe comunque accertare la colpevolezza del soggetto anche se non potrebbe
poi procedere all’applicazione della pena. Da un punto di vista risarcitorio questo meccanismo è molto
importante perché consente alla vittima di rivalersi nei confronti dell’autore del reato, il quale resta
responsabile civilmente dell’illecito.
214
Corte di Cassazione 3 ottobre 2000, rinvenibile nel sito <http://www.projuop.cit.be/Colloques_
JpRPPM-Class.chrono.htm>. Si confronti sul punto anche L. Bihain, Responsabilité pénale des personnes
morales petite synthèse cinq ans après l’entrée en vigeur, in «Revue de jurisprudence de Liège, Mons et
Bruxelles», n. 40, 2004, p. 1762.
L’ordinamento belga 197
Le sanzioni applicabili alle persone giuridiche sono regolate dall’art. 7 bis del codi-
ce penale, il quale distingue le pene a seconda del tipo di violazione cui afferiscono. Il
217
Corte di Cassazione 11 dicembre 2000, rinvenibile nel sito <http://www.projuop. cit.be/Colloques_
JpRPPM-Class.chrono.htm>. Successivamente un’ulteriore conferma del principio di irretroattività
della causa di non punibilità è venuta dalla sentenza della Cassazione del 19 novembre 2003 rinvenibile
anch’essa nel sito <http://www.projuop. cit.be/Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>.
218
L’art. 10 della Costituzione belga prevede: «(1) Nello Stato non vi è alcuna distinzione di ordini. (2)
I belgi sono uguali davanti alla legge; soltanto essi possono venire ammessi agli impieghi civili e militari,
salvo le eccezioni che possono essere stabilite da una legge in casi particolari». L’art. 11 prevede: «Il
godimento della libertà e dei diritti riconosciuti ai belgi deve essere assicurato senza discriminazione. A
tal fine, la legge e i decreti garantiscono in particolare i diritti e le libertà delle minoranze ideologiche
e filosofiche». La Cour d’Arbitrage nel proprio giudizio ha lo scopo di verificare se le disposizioni
sottoposte al suo vaglio siano conformi alle norme della Costituzione. Per reperire la traduzione italiana
della Costituzione belga nonché un commento al testo costituzionale, si confronti Le Costituzioni dei
Paesi dell’Unione Europea, a cura di E. Palici di Suni Prat, F. Cassella, M. Comba, seconda ed., cedam,
Padova 2001.
219
Cour d’Arbitrage, decisione n. 99 del 2 luglio 2003 rinvenibile nel sito <http://www.projuop. cit.be/
Colloques_JpRPPM-Class.chrono.htm>.
L’ordinamento belga 199
disposto prevede, infatti, l’applicazione per tutte le infrazioni della legge penale (siano
esse crimini, delitti o contravvenzioni) dell’ammenda e della confisca.
L’ammenda è la pena principale con riferimento alle persone giuridiche: la de-
terminazione della misura in cui essa deve essere irrogata − fatte salve ovviamente le
ipotesi in cui la violazione della legge penale da parte della persona fisica sia anch’essa
sanzionata con l’ammenda − è regolata dall’art. 41 bis, il quale fissa i tassi di conver-
sione delle altre pene alla sanzione pecuniaria.
Quanto alla confisca, si tratta di una sanzione accessoria di natura patrimoniale
che priva la persona condannata del vantaggio tratto dalla propria attività illecita.
Essa può riguardare sia le cose che hanno costituito oggetto della violazione della
legge penale, sia quelle che sono servite o che sono state destinate alla commissione
del reato quando la proprietà delle stesse appartenga al condannato. In queste ipotesi
la confisca trova una limitazione con riferimento alle persone giuridiche di diritto
pubblico, atteso che non sono suscettibili di confisca i beni che non possono essere
sottoposti ad esecuzione forzata ai sensi dell’art. 1412 bis del codice di procedura (su
cui in particolare infra). Oltre a ciò, la confisca può anche avere ad oggetto le cose
che sono il prodotto della violazione della legge penale (ad esempio, dei biglietti falsi
fabbricati da un falsario) nonché i vantaggi patrimoniali tratti dalla violazione della
legge penale: in questa ipotesi la sanzione accessoria non trova limitazioni con riferi-
mento alle persone giuridiche di diritto pubblico.
L’art. 7 bis elenca poi altre sanzioni accessorie, le quali possono trovare applicazio-
ne solo in ipotesi di crimini o delitti: trattasi in particolare della dissoluzione, che non
potrà essere pronunciata nei confronti di persone giuridiche di diritto pubblico, del
divieto di esercitare un’attività che abbia a che vedere con l’oggetto sociale, ad eccezio-
ne delle attività che vengono in rilievo con riferimento ad un servizio pubblico, della
chiusura di uno o più stabilimenti, ad eccezione di quelli ove si svolgono attività che
rilevano per il servizio pubblico e della pubblicazione o della diffusione delle sentenze.
Allo stato attuale, nonostante la legge di riforma ne avesse previsto la creazione,
non esiste ancora un casellario giudiziario delle persone giuridiche analogo a quello
esistente per le persone fisiche.
200 E. Pavanello
L’articolo 5 del codice penale conia una nozione «penalistica» di persona giuri-
dica che differisce rispetto a quella civilistica220 poiché, da un lato, include anche
le persone giuridiche che non sono dotate di personalità e, dall’altro, esclude dalla
nozione di persona responsabile determinati enti collettivi pubblici in virtù del fat-
to, come indicato nella relazione accompagnatoria alla legge, che essi dispongono di
un organo direttamente eletto secondo regole democratiche221. Le esclusioni riguardano
espressamente lo Stato federale, le Regioni, le Comunità, le province, l’agglomera-
zione di Bruxelles, i Comuni, gli organi territoriali intercomunali, la Commissione
della comunità fiamminga, la Commissione della comunità francese, la Commis-
sione comune delle comunità e i centri pubblici di aiuto sociale (cosiddetti cpas)222.
Il fondamento dell’esclusione − ancorché esso non venga esplicitato dal legislato-
re − è da rinvenirsi nel fatto che se la persona giuridica è dotata di un organo eletto
dai cittadini, essa è soggetta ad un controllo politico il quale rende superfluo − pare
doversi ritenere − ogni eventuale controllo penale sul suo operato.
Il legislatore belga non si è tuttavia limitato ad escludere alcune persone giuri-
diche di diritto pubblico dal novero dei soggetti responsabili, ma ha anche previsto
che non trovino applicazione determinate sanzioni nei confronti di soggetti di dirit-
220
M. Nihoul, Le champ d’application, in La responsabilité pénale des personnes morales en Belgique,
cit., p. 25 parla di phénomène de marée in quanto la legge include nella nozione «penalistica» di persona
giuridica gruppi che non sono dotati di personalità e, in compenso, deposita sull’argine dell’immunità
una categoria privilegiata di soggetti collettivi. A suo parere la differenziazione di trattamento tra
persone giuridiche di diritto privato e pubblico non è giustificabile.
221
Si confronti sul punto il Rapporto 1217/6 par. 1.1. Con l’art. 133 della legge del 26 aprile 2002,
nell’elenco dei soggetti esclusi sono state aggiunte anche le zones pluricommunales.
222
L’esclusione degli organi territoriali intercomunali è stata introdotta a seguito di un emendamento
proposto dal senatore Erdman, in ragione del fatto che «l’article 41 de la Constitution prévoit la possibilité
de créer des organes territoriaux intracommunaux. Le texte exclut les communes et les centres publics d’aide
sociale, il faut aussi exclure les organes en question». Si confronti Sénat de Belgique, session 1998-99, 20
janvier 1999, n. 1 1217/2, amendements. Critico rispetto all’introduzione di tale emendamento, S.van
Garsse, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van publiekrechtelijke rechtspersonen, in «Chroniques de
droit public», n. 4, 2000, p. 350, il quale ha ritenuto che al legislatore deve essere sfuggito che detti
organi non sono a rigori delle persone giuridiche di diritto pubblico dotate di autonoma personalità
bensì dei distretti intercomunali parti integranti dei Comuni stessi.
Successivamente, con l’art. 133 della legge del 26 aprile 2002, nell’elenco dei soggetti esclusi sono state
aggiunte anche le zones pluricommunales.
L’ordinamento belga 201
223
Si confronti Rapport de la Commission de Justice, Doc. Parl., Camera sess. Ord., 1998-1999, 2093/5-
98/99 (in seguito Rapporto 2093/5), 28. Come ricordano Hamer, Romanello, La responsabilité des
personnes morales, cit., p. 33, nel corso dei lavori preparatori era stato proposto di applicare lo stesso
regime sanzionatorio agevolato a tutte le persone giuridiche che svolgono attività attinenti al servizio
pubblico: tuttavia, si è ritenuto che ciò avrebbe dato spazio ad abusi da parte delle associazioni criminali
le quali, per beneficiare di detto regime sanzionatorio, avrebbero posto tra i loro obiettivi istituzionali il
perseguimento di attività di servizio pubblico.
224
Sul punto si veda in particolare la legge n. 85 del 4 maggio 1999, entrata in vigore il successivo
7 agosto, relativa alla responsabilità civile e penale di sindaci, assessori, membri della délégation
permanente. La legge prevede che nel caso in cui dette persone fisiche debbano rispondere civilmente
o penalmente del proprio operato, esse possono chiamare in causa il Comune o lo Stato (a seconda
che abbiano agito in qualità di organo dello Stato o in qualità di organo comunale), i quali saranno
considerati civilmente responsabili per il reato posto in essere dalla persona fisica. Lo scopo della norma
è evidentemente quello di assicurare che le vittime del reato verranno adeguatamente compensate sotto
il profilo risarcitorio. Per un commento alla normativa, si confrontino A. Masset, La loi du 4 mai
1999 relative à la responsabilité civile et pénale des bourgemestres, échevins et membres de la diputation
permanente, in «Le point de vue sur le droit pénal», febbraio 2000, p. 250-267 e T. De Gendt, De
strafrechtelijke aansprakelijkheid van burgmeesters en schepenen na de wet van 4 mei 1999, Die Keure,
Brugge 2001.
225
I centri di aiuto sociale sono persone giuridiche di diritto pubblico che si occupano dell’assistenza
sociale dei soggetti più bisognosi e gestiscono, ad esempio, l’assegnazione dei sussidi statali.
226
Secondo Van Garsse, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van publiekrechtelijke rechtspersonen,
cit., p. 351, l’esclusione della responsabilità di tutti i centri di aiuto è altrettanto discriminatoria
nella misura in cui le strutture gestite da detti centri (come ad esempio gli ospedali) sono immuni
dall’azione penale. In particolare, non sarebbe chiara la ragione per cui dovrebbe esistere una differenza
di trattamento dal punto di vista penalistico tra ospedali gestiti dai centri ed ospedali privati, atteso che
202 E. Pavanello
Per quanto qui interessa particolare attenzione sarà dedicata alle disposizioni
che, sotto il profilo sanzionatorio, concernono le persone giuridiche di diritto
pubblico o le persone giuridiche che svolgono attività di servizio pubblico,
indipendentemente dalla loro natura pubblica o privata.
L’articolo 7 bis del codice penale prevede, in particolare, che la confisca speciale
disciplinata dall’art. 42, primo comma, c.p. concernente le cose che hanno
costituito oggetto dell’infrazione penale e quelle che sono state utilizzate per la
sua realizzazione, abbia un limite qualora sia applicata nei confronti delle persone
giuridiche di diritto pubblico (nozione questa che fa riferimento alle persone
giuridiche diverse dalle collettività territoriali elencate al quarto comma dell’art.
5 c.p.). Detta confisca infatti potrà riguardare unicamente i beni civilmente
confiscabili al fine di assicurare la continuità del servizio pubblico227.
Per comprendere quali siano i beni civilmente confiscabili occorre fare
riferimento all’art. 1412 bis del code judiciare, secondo il quale, in principio, i
beni appartenenti alle persone giuridiche di diritto pubblico non possono essere
confiscati; tuttavia, possono essere sottoposti a confisca i beni che le persone
giuridiche di diritto pubblico (rectius, i relativi organi competenti) hanno indicato
come «confiscabili» o − in assenza di detta indicazione o qualora i beni elencati non
siano sufficienti a soddisfare il creditore − i beni che non sono utili alle persone
giuridiche di diritto pubblico per l’esercizio delle loro funzioni o per la continuità
del servizio pubblico228. Come già precisato, la confisca concernente gli utili
provenienti dal reato non è sottoposta ad analoghe limitazioni.
La dissoluzione della persona giuridica, sanzione che normalmente può essere
applicata quando l’ente sia stato creato allo scopo preciso di svolgere attività illecite
entrambi partecipano del traffico economico ed offrono analoghi servizi. Anche P. Waeterinckx, De
strafrechtelijke verantwoordelijkheid van de rechtspersoon, in «Strafrecht van nu en straks», Die Keure,
Brugge 2003, p. 199 si è mostrato critico circa la compatibilità del criterio scelto e l’esclusione dei
centri di aiuto.
227
O. Leroux, Les sanctions pénales, in «La responsabilité pénale des personnes morales en Belgique»,
cit., p. 190.
228
Per comprendere le ragioni che hanno indotto il legislatore belga ad adottare l’art. 1412 bis, occorre
tratteggiare brevemente l’evoluzione della disciplina della confisca dei beni appartenenti alle persone
giuridiche di diritto pubblico. Sulla base della disciplina anteriore al 1994 non era possibile procedere in
via esecutiva nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico, al fine di assicurare la continuità
del servizio pubblico. Diversi i fondamenti che venivano addotti per giustificare l’impossibilità
di procedere con la confisca: la buona fede e la presunzione di solvibilità dell’amministrazione,
l’impossibilità logica di ricorrere alla forza pubblica contro l’autorità pubblica titolare della medesima
forza, l’esistenza di altre vie di esecuzione quale quella amministrativa e il principio della separazione dei
L’ordinamento belga 203
o quando esso abbia deviato dal proprio oggetto sociale ed abbia posto in essere
illeciti penali, non si applica alle persone giuridiche di diritto pubblico. Anche in
questo caso si deve ritenere che la ratio sia stata quella di garantire la continuità
del servizio pubblico. La limitazione non concerne le persone giuridiche di diritto
privato che svolgono attività di servizio pubblico: esse potranno quindi essere
sciolte, nonostante perseguano un interesse di carattere generale229.
La sanzione del divieto temporaneo o definitivo di esercitare una delle attività
previste dall’oggetto dello statuto non può essere applicata quando si tratti di
attività che rilevano per il servizio pubblico. Ciò ovviamente non significa che
la sanzione non possa essere pronunciata nei confronti di una persona giuridica
di diritto pubblico: il giudice dovrà valutare la sussistenza o meno di un’attività
rilevante per il servizio pubblico. È sottoposta ad identico limite la sanzione della
chiusura di uno o più stabilimenti in cui è stata posta in essere l’attività illecita.
Sia nel caso del divieto di esercizio di attività, sia nell’ipotesi della chiusura
dello stabilimento, la ragione che ha indotto il legislatore belga ad introdurre detti
vincoli è stata evidentemente quella di evitare che l’applicazione delle sanzioni
rechi un qualche pregiudizio al servizio pubblico, indipendentemente dalla natura
pubblica o privata delle persone giuridiche che lo pongono in essere. Ciò, ad avviso
di chi scrive, costituisce un ulteriore elemento che depone in favore del fatto che
il legislatore belga ha voluto, da un lato, escludere talune persone giuridiche di
diritto pubblico dal novero dei soggetti responsabili in virtù della loro funzione
«politica» e, dall’altro, preservare talune attività di interesse generale dalla possibile
paralisi conseguente all’applicazione di determinate sanzioni.
Non esistono, invece, limitazioni nell’applicabilità delle sanzioni dell’ammenda
e della pubblicazione e diffusione della sentenza con riferimento alle persone
giuridiche di diritto pubblico.
poteri. Alcune deroghe al principio sono state apportate dalla giurisprudenza, attraverso decisioni che
avevano dichiarato possibile la confisca dei beni a patto che ciò non risultasse in concreto in contrasto
con il principio di continuità del servizio pubblico. Tuttavia, solo nel 1994 è stato introdotto l’art. 1412
bis del codice di procedura che ha previsto una limitata forma di esecuzione forzata nei confronti delle
persone giuridiche di diritto pubblico. La disposizione pone una disciplina che contempera la duplice
esigenza di salvaguardare le continuità del servizio pubblico e di garantire che il creditore possa trovare
soddisfazione delle proprie ragioni. Per un commento alla legge che ha introdotto l’art. 1412 bis si
confrontino, A.M. Stranart, P. Goffaux, L’immunité d’execution des personnes publiques et l’article 1412
bis du code judiciare, in «Journal des Tribunaux», 1995, p. 437-447 e C. Nyssens, Le principe de l’immunité
d’éxécution des pouvoirs publics assoupli par le législateur, in «Revue régionale de droit», 1994, p. 299 ss.
229
Masset, La loi du 4 mai, cit., p. 658. Secondo Messinne, Propos provisoires sur un texte curieux: la loi
du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales, cit., p. 646, l’inapplicabilità della
dissoluzione alle persone giuridiche di diritto pubblico costituisce una discriminazione di trattamento.
204 E. Pavanello
Alcuni studiosi hanno avanzato critiche in relazione alle argomentazioni che sono
state invocate per negare la possibilità di procedere penalmente nei confronti delle
persone giuridiche di diritto pubblico.
In relazione all’asserita violazione del principio della separazione dei poteri è
stato rilevato come analoghe questioni non si pongano qualora si tratti di perseguire
penalmente i singoli funzionari delle persone giuridiche di diritto pubblico
per condotte illecite che essi hanno tenuto nell’esercizio delle proprie funzioni e
nell’ambito dei poteri pubblicistici di cui gli stessi sono dotati. In queste ipotesi,
sebbene il giudice sarà chiamato a valutare la legittimità dell’azione amministrativa
e, quindi, vi sarà una commistione tra i diversi poteri, nessuna obiezione viene
sollevata. Inoltre, il principio della separazione dei poteri non pone ostacoli a che
venga in gioco la responsabilità civile o amministrativa delle persone giuridiche230.
Piuttosto, l’esclusione della responsabilità degli enti pubblici assicura un’area
di ingiustificata immunità che contrasta con la necessità, a più riprese affermata,
di rendere maggiormente trasparente l’azione amministrativa e con il principio
del bilanciamento dei poteri (cosiddetta teoria del check and bilance) che trova sua
origine proprio nel principio della separazione dei poteri231.
Non vengono poi ritenuti meritevoli di menzione né l’argomentazione della
perdita di fiducia dei cittadini nelle istituzioni, diretta conseguenza dell’esercizio del
procedimento penale nei confronti delle persone giuridiche di diritto pubblico, né la
messa in pericolo della continuità del servizio pubblico stesso. Infatti, la continuità
del servizio pubblico ha costituito preoccupazione del legislatore che per tale ragione
ha limitato l’applicazione di talune sanzioni nei confronti di persone giuridiche di
diritto pubblico. Inoltre, proprio la Corte di Cassazione ha limitato la portata del
principio, statuendo che lo stesso tende unicamente ad assicurare l’esistenza delle
istituzioni pubbliche e il loro funzionamento, ma non esclude in principio il vaglio
penale dell’attività pubblica232.
Trova un qualche riscontro, invece, l’argomentazione che viene precipuamente
invocata in relazione alla posizione dello Stato, ovvero il fatto che quest’ultimo
condannerebbe se stesso a pagare una somma di denaro, ciò che risulterebbe inutile
230
H. van Driessche, Evolutie naar de strafrechtelijke (mileu)-aansprakelijkheid van alle publiekrechtelijke
rechtspersonen?, in «Rechtskundig weekblad», n. 25, 1999-2000, p. 838.
231
In questo senso P. van de Bon, De beperkte strafrechtelijke verantwoordelkijkheid van de publiekrechtelijke
rechtspersoon wegens niet-naleving van de wet inzake het welzijn van de werknemers bij de uitvoering van
hun werk, in «Rechtskundig weekblad», n. 31, 2002-2003, p. 1214.
232
Nihoul, L’immunité pénale des collectivités publiques est-elle «constitutionnellement correcte»?, in
«Revue de droit pénal et de criminologie», ii, 2003, p. 805 ss.
L’ordinamento belga 205
7.1. Le critiche avanzate in relazione alla ratio dell’esclusione degli enti pubblici
dall’ambito di applicazione della responsabilità, ovvero l’esistenza al loro interno di un
organo democraticamente eletto.
8. Le decisioni della Corte Costituzionale belga sulla legittimità delle esclusioni dalla
responsabilità penale degli enti pubblici.
comma c.p. nella parte in cui esclude talune persone giuridiche di diritto pubblico
dal novero dei soggetti destinatari della responsabilità penale.
La ricorrente, società belga di diritto privato che gestiva una brasserie, avevano in
particolare fatto valere che «les communes et les organes territoriaux intercommunaux
gèrent des exploitations de même nature que celles qu’ils [i ricorrenti] exploitent, qu’ils
sont dans un rapport de concurrence étroit avec eux et qu’ils exercent leur activité
dans des conditions similaires»246. Dunque essi ritenevano che la loro immunità non
fosse giustificabile e che, al contrario, violasse il principio di uguaglianza sancito agli
articoli 10 e 11 della Costituzione belga.
A fronte di tale questione, la Cour d’Arbitrage ha messo innanzitutto in luce come
le persone giuridiche di diritto pubblico si distinguano dalle persone giuridiche di
diritto privato in quanto pongono in essere attività di servizio pubblico e, nel fare
ciò, tendano a soddisfare unicamente l’interesse generale. Attesa questa diversità, ad
avviso della Corte il legislatore, nel promulgare una legge che ha come scopo quello
di contrastare la criminalità organizzata, non era obbligato ad adottare nei confronti
delle persone giuridiche di diritto pubblico misure identiche a quelle adottate per le
persone giuridiche di diritto privato.
Ciò posto, i giudici hanno preso in considerazione il fatto che alcune persone
giuridiche di diritto pubblico svolgono attività che sono simili, sotto il profilo
contenutistico, a quelle esercitate dalle persone giuridiche di diritto privato e che,
nell’esercizio di tali attività, le prime possono rendersi colpevoli di infrazioni che non
si distinguono in alcun modo da quelle che possono porre in essere le seconde. È
compito del legislatore, quindi, per assicurare il rispetto del principio di eguaglianza
includere nel campo di applicazione della legge anche le persone giuridiche di diritto
pubblico che non si distinguono, se non per il loro status giuridico, da quelle di
diritto privato.
Dopo aver evidenziato queste premesse teorico-generali, la Corte ha quindi
analizzato la scelta in concreto effettuata dal legislatore belga. Il giudice costituzionale
ha osservato che la differenza di trattamento tra persone giuridiche di diritto privato e
talune persone giuridiche di diritto pubblico si fonda su di un criterio oggettivo, ovvero
il fatto che la persona giuridica disponga o meno di un organo democraticamente
eletto. Le persone giuridiche escluse dal campo di applicazione sono incaricate di
una missione politica essenziale e dispongono di un’assemblea democraticamente
eletta e di organi sottoposti al controllo politico. Alla luce di ciò, il legislatore ha
ragionevolmente temuto che l’estensione della responsabilità penale anche alle
persone giuridiche di diritto pubblico avrebbe comportato più inconvenienti che
vantaggi e, segnatamente, avrebbe causato dei ricorsi in cui l’obiettivo reale sarebbe
stato quello di condurre delle battaglie politiche attraverso lo strumento giudiziario
246
Sentenza para A.4.1.
210 E. Pavanello
(battaglie che dovrebbero, invece, essere condotte esclusivamente sul piano politico).
L’immunità accordata è dunque, a parere della Corte, giustificata.
Il ragionamento della Corte belga è stato di recente confermato anche nella
sentenza n. 31/2007247 in cui si era posta la questione della responsabilità penale delle
wateringues, persone giuridiche di diritto pubblico che si occupano di sviluppare,
gestire e mantenere le reti idriche. I giudici hanno ritenuto che detti enti non
possano beneficiare dell’esclusione dalla responsabilità penale poiché, da un lato, essi
non si occupano di svolgere una missione politica essenziale, al pari delle persone
giuridiche di diritto pubblico escluse, e dall’altro non dispongono di un organo
democraticamente eletto248.
8.2. Le reazioni critiche della dottrina alla decisione della Corte Costituzionale.
Le reazioni della dottrina a detta decisione sono state critiche. Infatti, anche co-
loro che in certa misura hanno condiviso il ragionamento della Corte, ritenendo
che le persone giuridiche di diritto pubblico non possano vedere paralizzata la loro
attività a causa di ricorsi intempestivi destinati a destabilizzare il loro assetto più che
a reprimere le violazioni alla legge penale, hanno poi riconosciuto che, sotto il profilo
dei risultati, detta immunità può condurre a conseguenze deplorevoli, soprattutto in
taluni settori quale quello ambientale. Molto spesso infatti è impossibile risalire alla
persona fisica individualmente responsabile e si tende a sanzionare il comportamen-
to dell’ente nel suo insieme: ciò, tuttavia, non potrà avvenire nel caso delle persone
giuridiche di diritto pubblico249.
Le critiche che sono state mosse alla decisione adottata dalla Corte Costituzio-
nale si sono comunque concentrate soprattutto sulla sommarietà della motivazione
addotta. La Corte, infatti, si è limitata a chiarire che il principio dell’organo demo-
craticamente eletto indica che laddove esiste un controllo politico non può sussistere
anche il controllo penale. Essa tuttavia non ha spiegato per quale ragione il controllo
politico sarebbe in grado di escludere il controllo penale.
La stessa Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha chiarito in più di un’occasione
che anche le persone giuridiche di diritto pubblico possono rendersi responsabili, da
247
Cour d’Arbitrage, sentenza 31 del 21 febbraio 2007, rinvenibile nel sito <http://www.const-court.be/
fr/common/home.html>.
248
Per un commento alle sentenze citate si veda Overath, La responsabilité pénale des personnes morales,
cit., p. 17 ss.
249
M.A. Delvaux, L’eventuelle inconstitutionnalité de la loi du 4 mai 1999, in «Recueil annuel de
jurisprudence en droit des sociétés commerciales», 2003, p. 275-276.
L’ordinamento belga 211
250
Waeterinckx, De strafrechtelijke verantwoordelijkheid van de rechtspersoon, cit., p. 197. Lo studioso
sottolinea peraltro come nei casi di impunità della persona giuridica si procederà nei confronti della
persona fisica. Tuttavia, nel caso di violazioni della legge penale che conseguiranno molto spesso da
decisioni collegiali, sarà difficile risalire al soggetto che ha materialmente posto in essere l’infrazione.
251
Nihoul, L’immunité pénale des collectivités publiques est-elle «constitutionnellement correcte»?, cit., p. 788.
252
Ivi, p. 793.
212 E. Pavanello
giudice, ove accerti a carico del funzionario tutti gli elementi del reato, procederà
alla sua condanna, anziché operare una valutazione comparata tra la condotta della
persona giuridica e quella della persona fisica, così come avverrebbe nel caso in cui
il funzionario fosse alle dipendenze di una persona giuridica di diritto privato. La
differenziazione di trattamento è, ad avviso dell’imputato, ancor meno giustificabile
ove si consideri che il legislatore ha voluto, adottando il principio del non cumulo in
caso di infrazioni commesse non sciemment e volontairement, proteggere i lavoratori
ed evitare che la loro responsabilità sia sistematicamente messa in gioco. L’imputato
indica inoltre che un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità non rimetterebbe
in questione le esclusioni di responsabilità di cui al comma 4, ma si limiterebbe alla
disposizione di cui al comma 2, concernenti le persone fisiche.
Il Consiglio dei Ministri, a difesa della disposizione legislativa contenuta nel se-
condo comma dell’articolo 5 c.p., ha invece sostenuto che la norma non pone alcun
problema sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, in quanto in
nessuna ipotesi essa consente di procedere al cumulo di responsabilità tra perso-
na fisica e giuridica qualora si tratti di faute commessa sciemment e volontairement.
Infatti, se viene posta in essere una faute involontaire da parte di una persona fisica
per conto di una persona giuridica di diritto privato, allora sarà punita unicamente
la persona che ha posto in essere la colpa più grave; se invece la persona giuridica è
di diritto pubblico allora solo la persona fisica sarà perseguita. Tuttavia, il Consiglio
dei Ministri non considera che il problema consiste non nell’esistenza di un cumulo
di responsabilità, quanto nel fatto che laddove il reato sia stato posto in essere da
parte di un soggetto fisico nell’interesse di una persona giuridica di diritto pubblico,
solo la persona fisica risponderà del proprio operato. Ad opinione dell’esecutivo,
in ogni caso, la differenza di trattamento fatta valere dal giudice a quo trova la sua
fonte non nell’art. 5, comma 2 c.p. quanto piuttosto nel comma 4 che esclude in
linea generale la responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico
espressamente elencate ed in quanto tale è giustificabile. La questione pregiudiziale
concerne pertanto, sempre ad avviso del Consiglio dei Ministri, categorie di persone
giuridiche che non sono comparabili, in quanto la logica che ha condotto ad attri-
buire l’immunità alle persone giuridiche di diritto pubblico non è applicabile alle
persone giuridiche di diritto privato. La differenza di trattamento si fonda, quindi,
su di un criterio obiettivo e l’esclusione della perseguibilità ha come scopo di evitare
che talune persone giuridiche, dotate di un organo eletto a suffragio universale, siano
paralizzate nel loro funzionamento da ricorsi giudiziali. Se si dovesse estendere l’im-
munità anche alle persone fisiche che sono alle dipendenze delle persone giuridiche
di diritto pubblico, di fatto, l’infrazione penale resterebbe impunita, non potendo es-
sere condannata né la persona fisica né la persona giuridica. Ora, l’obiettivo dell’art.
214 E. Pavanello
5, comma 2 era evitare che un’infrazione fosse sistematicamente punita due volte e
non che un’infrazione rimanesse assolutamente impunita.
La risposta fornita dalla Corte Costituzionale a fronte di questa nuova questione
pregiudiziale, la quale come è dato comprendere è intimamente legata al problema
dell’irresponsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico, non è nemmeno in
questa occasione, sufficientemente motivata.
I giudici hanno innanzitutto ribadito che attraverso la previsione del meccanismo
della faute la plus grave, il legislatore ha instaurato una cause d’excuse absolutoire la
quale non esclude comunque l’antigiuridicità o la colpevolezza dell’azione e che la
legge ha consacrato il principio del cumulo di responsabilità unicamente laddove
l’infrazione possa essere imputata personalmente a una persona fisica che ha agito in
modo volontario. Il fatto, dunque, che la persona fisica possa godere della causa di
esclusione della pena è dovuto unicamente alla circostanza che la legge designa due
possibili autori dell’infrazione, ovvero la persona fisica e la persona giuridica per la
quale la stessa ha agito. La regola del non cumulo non avrebbe dunque ragion d’esse-
re laddove solo la persona fisica potesse essere punita e questa è la condizione che si
verifica rispetto a talune persone giuridiche di diritto pubblico, le quali non possono
essere considerate responsabili penalmente. La Corte quindi nello spiegare la ratio in
base alla quale è stata prevista la regola del non cumulo, indica che essa può operare
nella misura in cui sarà possibile punire quantomeno la persona giuridica.
Tuttavia, a ben vedere, tale spiegazione non costituisce null’altro che l’esegesi
dell’art. 5 c.p., senza che sia stato fatto alcun riferimento alla ragione per la quale il
legislatore ha limitato la responsabilità a taluni soggetti. La Corte si limita a riportare
integralmente la scarna motivazione della precedente sentenza e non argomenta ul-
teriormente circa la legittimità dell’opzione.
Si ha la sensazione che anche in questo caso i giudici costituzionali non abbiano
inteso porre in discussione le scelte del legislatore, né analizzare le argomentazioni
addotte dalla dottrina contro dette scelte. Limitandosi ad affermare infatti che il si-
stema del non cumulo di responsabilità ha un senso solo ove sussista la responsabilità
della persona giuridica, senza tuttavia chiedersi in che misura l’esclusione di talune
persone giuridiche dal novero dei soggetti responsabili sia corretta, i giudici hanno, a
parere di chi scrive, scelto una comoda via di «fuga».
La decisione è stata ritenuta criticabile soprattutto in considerazione del fatto che
i giudici hanno adottato un approccio affatto diverso rispetto a quello della Corte
Europea dei diritti dell’Uomo la quale nel momento in cui deve effettuare una va-
lutazione comparata tra interessi privati e pubblici in gioco, normalmente procede a
un’analisi in concreto, anziché affidarsi ad una semplice clausola di stile255.
255
Nihoul, La protection de l’immunité pénale des collectivités publiques par la Cour d’Arbitrage, in
L’ordinamento belga 215
9. Conclusioni.
«Revue de jurisprudence de Liège, Mons et Bruxelles», n. 14, 2005, p. 603. Lo studioso rileva tra
l’altro che in ragione della questione pregiudiziale sollevata, la Corte avrebbe dovuto concentrarsi sulla
situazione concreta del lavoratore e non sulla ratio che ha ispirato l’adozione del sistema legale. Già in
altre occasioni, infatti, la Corte Costituzionale aveva preso le distanze da queste posizioni invocando
l’immunità in favore dei lavoratori dalla loro responsabilità civile, proteggendoli così dal rischio cui gli
stessi vengono esposti nell’esecuzione del contratto di lavoro.
217
capitolo 5
agli enti che sono emanazione della Corona e che vengono esclusi dalla responsabilità
penale. Solo recentemente, con il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide
Act 20071, è stata prevista, come si illustrerà in seguito, la responsabilità il reato di
omicidio colposo anche per i Crown bodies.
In Inghilterra la possibilità di perseguire penalmente le persone giuridiche ha ori-
gini lontane nel tempo. Sebbene in un primo momento siano stati invocati ostacoli
di carattere teorico (quali la natura impalpabile della persona giuridica e il fatto che
il diritto penale si rivolge per natura ai soli soggetti fisici) e pratico (l’impossibilità
di infliggere alla persona giuridica la sanzione della reclusione o la difficoltà di im-
maginare una società sulla sbarra degli imputati)2, ad oggi la possibilità di procedere
penalmente nei confronti degli enti non è contestata.
Essenzialmente due i modelli di responsabilità che si sono susseguiti e convivono
tuttora nell’ordinamento inglese. Oltre a quello della vicarious liability o respondeat
superior − che trova limitata applicazione nell’ordinamento inglese mentre conosce
una maggiore estensione negli Stati Uniti − esistono il modello dell’identification the-
ory o alter ego e il modello organicistico. La identification theory che trova applicazione
in Inghilterra ma anche in Canada con riferimento ai reati di mens rea, si fonda sulla
piena identificazione della persona giuridica con alcuni membri che la compongono
e che si trovano al suo vertice. Il modello olistico, fa invece riferimento alla cultura
illecita di impresa ed è stato di recente riconosciuto proprio con la previsione del
reato di corporate manslaughter3.
La vicarious liability «costruisce» la responsabilità della persona giuridica come
responsabilità oggettiva: il dirigente di una persona giuridica risponde degli illeciti
posti in essere dai suoi dipendenti. Il modello è stato «utilizzato» per sanzionare la
responsabilità della persona giuridica sul piano civilistico prima e sul piano penale
1
Il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007 è stato approvato il 26 luglio 2007 ed è
entrato in vigore il 6 aprile 2008. Il testo è rinvenibile nel sito <www.opsi.gov.uk>.
2
A. Pinto, M. Evans, Corporate criminal liability, Sweet & Maxwell, London 2003, p. 15-16. Per la
manualistica si confrontino Ard, Cross and Jones, Criminal law, Oxford University Press, Oxford
200818, p. 798 e ss., J. Herring, Criminal law, Palgrave Macmilian, Basingstoke 20096, p. 81 ss.
3
C. Wells, Corporations and criminal responsibility, Oxford University Press, Oxford 20012, p. 84 ss.
e, in lingua italiana, Wells, La responsabilità penale delle persone giuridiche nel diritto di common law,
in Verso un codice penale modello per l’Europa, Offensività e colpevolezza, a cura di A. Cadoppi, cedam,
Padova 2002, p. 41 ss. Per una prima ricostruzione del modello di responsabilità canadese si confronti
C. de Maglie, L’etica e il mercato, cit., p. 163 ss. e la bibliografia ivi citata, S. Don, Canadian criminal
law, Carswell, Toronto 20014, p. 629-634 e P. Beliveau, La responsabilité pénale des corporations en
droit canadien, in «Révue de Science Criminelle», 1999, p. 1 ss. Si ritiene opportuno precisare che nel
corso del presente lavoro si effettueranno riferimenti a casi provenienti dall’ordinamento canadese,
australiano e neozelandese. Tale modo di procedere è dettato dalla constatazione che le giurisdizioni
inglesi si richiamano a precedenti appartenenti ad altri ordinamenti di common law (e viceversa):
sarebbe stato impossibile offrire un quadro della situazione inglese senza citare contemporaneamente
decisioni appartenenti a questi ordinamenti.
L’ordinamento inglese 219
poi4. Così, la persona giuridica sarà responsabile degli illeciti posti in essere da uno
dei suoi dipendenti nei limiti in cui l’infrazione contestata sia di natura oggettiva (c.d.
strict liability offences). Inizialmente si tendeva a limitare la responsabilità alle sole
ipotesi in cui vi fosse stata una vera e propria delega di funzioni da parte del manager
della società al dipendente, mentre successivamente si è ammessa la punizione del re-
sponsabile della persona giuridica per la posizione che lo stesso riveste, indipendente-
mente dalla sua partecipazione, diretta o indiretta, all’azione criminosa5. Qualunque
dipendente della società può involgere la responsabilità della persona giuridica; tale
modello trova, tuttavia, un limite fondamentale nel fatto che solo le strict liability
offences sono contestabili all’ente.
Le limitazioni suddette hanno dato origine a delle critiche sia sul piano giuri-
sprudenziale che dottrinale. Ci si è interrogati, infatti, sulla opportunità di punire le
persone giuridiche anche per i reati di mens rea, per i quali è necessario dimostrare la
sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al soggetto agente. Le difficoltà connesse
all’estensione della responsabilità degli enti a qualsiasi tipo di reato erano collegate
alla problematica dimostrazione dell’elemento soggettivo della condotta richiesto in
capo ad un’entità giuridica, in quanto tale non dotata di una propria e autonoma
volontà6.
Per superare le difficoltà delineate, nel corso del 1900 ha cominciato a farsi strada
l’idea che non occorra individuare dei criteri di attribuzione particolari della colpevo-
lezza alla persona giuridica7, in quanto l’operato di determinati soggetti fisici all’in-
terno della società coincide con l’operato della stessa persona giuridica ed è, quindi,
espressione della sua volontà8.
Dopo una serie di pronunce in cui timidamente trova cittadinanza questo princi-
pio, il riconoscimento definitivo del principio dell’identificazione è contenuto nella
sentenza Tesco Supermarkets Ltd v. Natrass9. La pronuncia de qua ha stabilito, infatti,
4
Leading case in materia sono R. v. Birmingham and Gloucester Rly. Co. del 1842 e R. v. Great North
of England Rly. Co. del 1846. Entrambi sono citati da De Maglie, L’etica, cit., p. 148.
5
Affinché sia possibile procedere alla punizione sarà necessario che la condotta illecita possa essere
posta in essere da persona diversa rispetto a chi poi ne risponde penalmente. Un esempio è quello
dell’offence collegata alla vendita di carne. Nel caso in cui l’assistente del titolare dell’esercizio abbia
venduto della carne, anche in assenza del suo principale, è ragionevole ritenere che la carne sia stata
venduta da quest’ultimo. Non sarà invece possibile attribuire al titolare quelle condotte illecite che per
loro natura possono essere poste in essere unicamente da un soggetto, come avviene nel caso dei reati
connessi alla guida di un autoveicolo. Gli illeciti suddetti potranno essere attribuiti al solo soggetto che
materialmente stava conducendo l’auto.
6
Cfr. B. Sullivan, The attribution of culpability to limited companies, in «Cambridge Law Journal», 55,
1996, p. 515 ss., il quale analizza la colpevolezza della persona giuridica così come intesa nell’ambito
della identification theory e del modello olistico.
7
Sullivan, The attribution of culpability to limited companies, cit., p. 546.
8
R.S. Welsh, The criminal liability of corporation, in «The law quarterly review», 1946, p. 357.
9
House of Lords, Tesco Supermarkets Ltd v. Natrass, in «Weekly Law reports», 1971, p. 1166.
220 E. Pavanello
che la persona giuridica può essere «autore» di un illecito: le persone fisiche agiscono
non in nome e per conto della società, ma in quanto ente collettivo. Cosicché, non ci
troveremmo di fronte ad un meccanismo di attribuzione della responsabilità riflessa
rispetto a quella della persona giuridica come avviene nella vicarious liability, bensì
alla individuazione della condotta illecita della stessa persona giuridica. Il modello
dell’identificazione consente nell’ordinamento inglese di procedere penalmente nei
confronti della persona giuridica per qualsiasi tipo di reato.
Secondo questa ricostruzione, la colpevolezza della società è diretta derivazio-
ne della colpevolezza del soggetto fisico: l’accertamento della sussistenza della mens
rea richiesta per il reato in capo alla persona giuridica corrisponde all’accertamento
dell’elemento soggettivo richiesto in capo a taluni soggetti della società.
Essenziale, dunque, individuare le persone fisiche in grado di esprimere la volontà
dell’ente. Pur non esistendo parametri predefiniti, dall’analisi della giurisprudenza
sviluppatasi sul punto, è possibile affermare che le condotte delle persone fisiche rile-
vanti sono unicamente quelle di coloro che dispongono di un certo potere di control-
lo all’interno della società e, in particolare, di un potere discrezionale nell’attività alla
quale il crimine è correlato. Fattore di rilievo è dato dalla circostanza che la persona
fisica in discorso non sia subordinata agli ordini di altro soggetto all’interno della
società ed abbia quindi libertà di agire.
La ragione della limitazione del numero di soggetti espressione della volontà della
società va rinvenuta nel fatto che un semplice impiegato, non dotato di poteri discre-
zionali o autonomi di decisione, difficilmente sarà espressione della directing mind
and will della società.
Limite alla costruzione teorica in esame è il fatto che qualora non sia possibile
identificare gli elementi della condotta illecita in capo ad un senior officer, la corpora-
tion sarà esente da responsabilità, con il rischio che si determini una strutturazione
della società nel senso della «organised irresponsibility»10.
Anche questo modello è stato sottoposto a valutazione critica, poiché sembra
adattarsi unicamente alle ipotesi in cui alcuni individui al suo interno abbiano agito
in modo cosciente e indipendente11. Invece, la realtà ha dimostrato che nell’ambito
di grandi società molto spesso non sia possibile identificare la condotta illecita del
singolo agente, ma le azioni criminose derivano dai comportamenti di più soggetti
in sé non illeciti. Esemplificativo al riguardo il caso verificatosi presso il porto di
Zeebrugge: la nave inglese Herald of Free Enterprise, dopo poco essere partita dal
porto, aveva cominciato ad imbarcare acqua fino ad affondare, causando la morte
di centonovantadue persone. Dalle indagini svolte successivamente alla tragedia
era emerso che la persona addetta alla chiusura del portellone della nave non aveva
Così, Pinto, Evans, Corporate criminal liability, cit., p. 59.
10
p. 374.
222 E. Pavanello
2. La responsabilità penale delle persone giuridiche per le strict liability offences (reati
bagatellari) e per i reati di mens rea (dolosi o colposi).
Il soggetto, persona fisica o giuridica, può essere condannato per il reato se l’accu-
sa dimostra sia l’actus reus, ovvero la condotta intesa da un punto di vista oggettivo,
sia la colpevolezza dell’agente stesso. Solo in alcune limitate ipotesi – strict liability
offences – non sarà necessario per l’accusa dimostrare la mens rea, ma sarà sufficiente
allegare la materiale violazione della norma14. Si configura, quindi, una vera e propria
ipotesi di responsabilità oggettiva.
L’elemento soggettivo della mens rea si ritiene integrato in due distinte ipotesi, ov-
vero quando il soggetto abbia agito con intention o con recklessness. L’intenzione viene
tradizionalmente distinta nella due forme della direct intention – quando il soggetto
intende realizzare un determinato risultato illecito attraverso la propria condotta – e
oblique intention – quando, invece, il soggetto agisce non mirando a quel determinato
illecito, ma considerando e accettando lo stesso quale effetto collaterale della propria
condotta. Le ipotesi sono dunque paragonabili rispettivamente alle categorie del dolo
intenzionale e del dolo diretto15. Il criterio di valutazione adottato dalla giurispruden-
za per determinare quale sia l’intenzione è soggettivo, poiché occorrerà verificare la
volontà del reo al momento della sua azione o omissione16.
Più complicato sembra invece il secondo parametro della recklessness, che trova
il proprio fondamento in considerazioni di ordine psicologico: un soggetto che ha
maturato una certa esperienza nel passato è in grado di prevedere le conseguenze dei
propri atti nel futuro. Ed è perciò in grado di evitare le condotte che possono ragio-
nevolmente produrre illeciti penalmente rilevanti. La nozione non è di semplice in-
terpretazione in quanto la giurisprudenza per determinare quando un soggetto abbia
agito con recklessness ha mostrato di utilizzare, a seconda delle ipotesi, criteri di giudi-
zio soggettivo e oggettivo. Con la prima opzione interpretativa si valuta la consapevo-
lezza del soggetto agente nel caso specifico di assumere un rischio, previsto e accettato
14
La distinzione di cui ci si occupa concerne dunque il profilo della colpevolezza dell’agente. La
distinzione tra reati di common law e statute law trova invece tradizionalmente origine nella diversità di
fonti che caratterizza il diritto penale inglese (e, per estensione, dei Paesi di Common Law): mentre il
diritto penale di common law trova fondamento nel diritto comune e si è evoluto nel tempo attraverso
le diverse pronunce adottate dai giudici (gli interventi della legge scritta sono stati in questo ambito
alquanto limitati), la statute law trova origine a partire dalla metà del xix secolo in numerosi testi scritti
che sono andati ad integrare il diritto di common law. I due sistemi tuttora convivono e interagiscono
reciprocamente, dando origine ad un unicum. Per un approfondimento dei rapporti tra common law e
statute law nel diritto inglese, si veda S. Vinciguerra, Diritto penale inglese comparato, cedam, Padova
20022, p. 45 ss.
15
Sul punto si veda Vinciguerra, Diritto penale inglese comparato, cit., p. 280 ss.
16
C. Elliott, F. Quinn, Criminal Law, Pearson Longman, London 20045, p. 14.
L’ordinamento inglese 223
che abbia adottato tutte le misure possibili atte ad evitare l’illecito. Ciò condurrebbe,
sulla base delle critiche avanzate, al risultato opposto a quello auspicato: il soggetto
consapevole di essere punito a prescindere dalla dimostrazione di mens rea, riterrà irri-
levante l’adozione delle misure volte ad evitare la violazione della norma e considererà
la sua punizione ingiusta. Inoltre, il rilievo secondo cui le ipotesi di responsabilità
oggettiva sono «bagatellari» e, di conseguenza, la loro violazione è sanzionata con
una pena mite, non corrisponde, secondo parte degli studiosi, alla realtà dei fatti: si
assiste in alcuni casi infatti all’irrogazione della pena della reclusione per strict liability
offences21.
Quando una offence sia di strict liability o invece richieda mens rea è questione che
viene lasciata alla determinazione del caso concreto. In linea generale è possibile af-
fermare che laddove lo statute indichi espressamente che si tratta di un reato con mens
rea tale indicazione sarà vincolante22. In mancanza di espressa indicazione, verranno
in rilievo criteri sussidiari come l’utilizzo di determinati termini (ad esempio knowin-
gly farebbe riferimento a un’ipotesi di mens rea), l’entità e la tipologia della pena23. In
alcuni casi tuttavia, la qualificazione della tipologia di reato cui i giudici si trovano di
fronte non è semplice.
Dopo queste opportune premesse si intende ora verificare se anche gli enti pubbli-
ci, rectius i Crown bodies, siano responsabili penalmente nell’ordinamento inglese in
quanto persone giuridiche e, in caso affermativo, per quale tipologia di reati. Per fare
ciò è in primis essenziale delineare il concetto di Corona.
In Inghilterra non esiste un concetto di Stato e di ente pubblico così come tipiz-
zata negli ordinamenti continentali24. Qui infatti ci si riferisce alla Corona, nozione
che tuttavia solo in parte può essere fatta coincidere con quella di Stato25. In questo
21
Cfr. M. Jefferson, Criminal Law, Longman Pearson, Harlow 20036, p. 189-194 per l’illustrazione
degli argomenti addotti contro e a favore delle ipotesi di strict liability offence.
22
Jefferson, Criminal Law, cit., p. 178 rileva che i reati di common law costituiscono ipotesi di reati
con mens rea, ad eccezione di alcune ipotesi determinate: molestia pubblica (public nuisance), oltraggio
alla Corte (contempt of Court), pubblicazione diffamatoria e oltraggio alla pubblica decenza (oltraging
public decency).
23
Secondo Jefferson, Criminal Law, cit., p. 184 nel caso in cui sia prevista una due diligence defence,
sussiste un’ipotesi di strict liability offence. In caso contrario, ovvero in presenza di un reato che
presuppone mens rea, infatti, la previsione della defence non avrebbe senso perché in ogni caso l’accusa
dovrebbe dimostrare tutti gli elementi del crimine. La conclusione tuttavia non pare certa in quanto
molto spesso in caso di due diligence defence ci si trova di fronte ad una categoria «ibrida» di reati.
24
D. Foulkes, Administrative law, Butterworths, London 19958, p. 12 indica che, a dimostrazione di
ciò, si pone la circostanza che raramente nelle leggi inglesi si utilizza la parola Stato.
25
Si veda M. Luoghin, The State, the Crown and the law, in M. Sunkin, S. Payne, The nature of the
L’ordinamento inglese 225
senso è stato infatti sostenuto che: «instead of the State we have the Crown, which serves
as a central, organizing principle of government. The Crown is associated with the idea of
executive authority rather than with that of the common interest: the major public pow-
ers are vested in the Crown, or in ministers who are servants of the Crown. The Crown is
characterized in law as a corporation, though of what kind there is some doubt»26.
La nozione di Corona parrebbe corrispondere «though not exactly, with terms of
political science like “the Executive” or “the Administration” or “the Government”, barely
known to the law, which has retained the historical terminology. The legal concept which
seems to me to fit best the contemporary situation is to consider the Crown as a corporation
aggregate headed by the Queen. The departments of state including the ministers at their
head (whether or not either the department or the minister has been incorporated) are
then themselves members of the corporation aggregate of the Crown»27.
Semplificando, è possibile affermare che la Corona in generale rappresenti la som-
ma dei poteri del Governo centrale. La nozione non include l’intera pubblica ammi-
nistrazione, atteso che parte delle attività amministrative sono di titolarità di enti che
non sono parte o membri della Corona28. Questi ultimi, ove sussistano i presupposti
giuridici e siano organizzati in una corporation, potranno essere perseguiti penalmente
alla stregua dei principi che governano la responsabilità penale delle persone giuridi-
che.
Sul fronte giurisprudenziale, le pronunce in ordine alla possibilità di perseguire
i Crown bodies sono limitate e si occupano per lo più di indicare l’estensione della
Crown immunity. L’illustrazione delle argomentazioni in esse contenute costituisce
comunque un’importante traccia di riflessione da cui cominciare.
Crown, Oxford University Press, Oxford 1999, p. 33 ss. sulle difficoltà di costruire un concetto di
«Stato» nell’ordinamento inglese.
26
«In luogo dello Stato abbiamo la Corona, che costituisce l’organizzazione centrale del geoverno.
La Corona è associata all’idea di autorità esecutiva più che a quella di interesse comune. La maggior
parte del pubblici poteri sono riferiti alla Corona, o ai ministri che sono funzionari della Corona. La
Corona è una società, ma vi è qualche dubbio sulla sua natura». C. Turpin, British Government and the
Constitution. Text, Cases and Materials, Weidenfeld and Nicolson, London 1990, p. 138.
27
«Anche se non esattamente con teminologia delle scienze politiche a “esecutivo” o “amministrazione”
o “governo” conosciuti dalla legge, che fanno riferimento alla terminologia storica. Il concetto legale
che mi sembra adattarsi meglio alla situazione contemporanea è quello di considerare la Corona una
società con a capo la Regina. I dipartimenti di Stato inclusi i ministeri che vi sono a capo (sia che i
ministri o i dipartimenti siano stati incorporati) sono essi stessi parte della società della Corona. Così
nella sentenza Town Investments Ltd v Department of the Environment, in «Law Reports, Appeal
Cases», 1978, p. 359. W. Wade, Crown, ministers and officials: legal status and liability, in The nature of
the Crowns, cit., p. 24 rileva invece come il termine Corona faccia unicamente riferimento a «Queen»,
la quale verrà considerata nelle sue capacità legali sia come persona fisica che come corporation sole.
28
Foulkes, Administrative law, cit., p. 14.
226 E. Pavanello
mente dello statuto, le erano stati conferiti e permettevano di qualificarla agente della
Corona31.
Ciò conferma l’esistenza di una stretta correlazione tra l’attribuzione della quali-
fica di crown body da parte del legislatore e le funzioni che lo stesso deve perseguire.
Laddove questi agisca al di fuori delle previsioni statutarie, la presunzione di legitti-
mità dell’azione, strettamente connessa alla valutazione effettuata ab origine dal Parla-
mento, viene meno e riemerge la discrezionalità dell’organo giudiziario che assume il
potere di vagliare in concreto la «pubblicità» o meno dell’ente.
citato dal Governo e dei poteri che sono conferiti allo stesso, ma hanno poi ritenuto
applicabile esclusivamente il criterio del controllo da parte dell’esecutivo36.
Il Giudice dovrà considerare il controllo di diritto (quello cioè che il Governo ha
il potere legale di esercitare) e non quello di fatto che l’esecutivo può eventualmente
esercitare sull’ente.
Da quanto sopra emerge, dunque, che l’immunità di cui gode la Corona vale
anche per quelle persone giuridiche che, o sulla base di quanto disposto dallo statuto
o alla stregua dei criteri sin qui indicati, sono qualificabili come agenti della Corona.
3.4. Gli enti che non fanno parte della Corona: governo locale e industrie nazionalizzate.
Si ritiene interessante sottolineare come altri enti, pure pubblici, non rientrino
nel concetto di Corona. Questo è il caso innanzitutto del local government: si tratta di
persone giuridiche istituite mediante legge, dotate di autonoma personalità giuridica
che non fanno parte del Governo centrale (la disciplina applicabile è contenuta nel
Local Government Act del 1972 e successive modifiche)37. I poteri di cui esse sono dotate
derivano o da leggi generali di diritto pubblico o da specifici Atti del Parlamento e,
in quanto persone giuridiche, sono sottoposte alle norme di diritto civile e penale cui
sono sottoposte le persone giuridiche di diritto privato, con la conseguenza che non
sono soggette all’immunità di cui gode la Corona38. Alla stregua di tale principio nel
1974 lo West Mersea Urban District Council è stato condannato per non aver fornito
l’acqua così come avrebbe dovuto ad un utente39 e nel 1982 il London Borough of
Southwark è stato condannato ad una multa di £ 2.000 per non aver provveduto a
rimuovere una catasta di sabbia sulla strada, causa della morte di un uomo40.
36
R. v Forest Protection, in «CarswellNB», 1979, 274, par. 29. I Giudici hanno ritenuto che il grado
di controllo esercitato dal Governo sulla società fosse così incisivo da renderlo paragonabile a quello
che il Governo esercita sui propri dipendenti, persone fisiche e, così, hanno qualificato la società
come mandatario della Corona. Da tale qualifica è discesa l’immunità della società con riferimento
all’applicazione del Pest Control Products Act espressamente non applicabile alla Corona (di converso
la società non è stata ritenuta esente dall’applicazione del Fisheries Act, di cui si contestava altresì la
violazione nel caso di specie,atteso che tale Atto prevedeva espressamente di vincolare la Corona).
37
Cfr. Ch. Cross and S. Bailey, Cross on Local Government Law, Sweet & Maxwell, London 1986, p.
2. secondo cui «The term local authority is applied to principal councils and to the councils of parishes
and communities. Joint authorities and residuary bodies are treated als local authorties for specified
purposes. All these authorities are corporate bodies and have the characteristics of corporations […]
One feature common to local authorities is their corporate status».
38
In questo senso, M. Sunkin, Crown immunity from criminal liability in English Law, in «Public Law»,
2003, p. 716, sub nota n. 4.
39
West Mersea Urban District Council v Fraser, in «All Englands Law Reports», 1, 1950, p. 990.
40
Il caso è citato in Foulkes, Administrative law, cit., p. 511-512, il quale indica tuttavia che
diversamente nei casi Leeds City Council v West Yorkshire Police, in «Law Reports Appeal Cases» 1, 1983,
230 E. Pavanello
L’opinione espressa sul punto dai giudici è stata diversificata. La posizione più
critica è stata espressa dal giudice Latham il quale ha ritenuto che il fatto che fosse
stata ammessa la responsabilità per tort nei confronti della Corona, non costituiva
ragione per estendere detta responsabilità anche in ambito penale. Egli ha motivato
la propria posizione rilevando che la Corona, ove condannata, avrebbe perseguito
se stessa e ciò avrebbe attentato alla King’s peace; in secondo luogo, egli ha ritenuto
che l’eventuale irrogazione di una sanzione pecuniaria al Governo si sarebbe tradotta
in un’auto-condanna poiché l’Esecutivo avrebbe pagato a se stesso la sanzione pecu-
niaria. L’impossibilità di procedere penalmente nei confronti della Corona è stata
motivata anche in ragione del fatto che, laddove la sanzione prevista fosse stata la
reclusione, essa non avrebbe potuto essere applicata nei confronti dell’ente giuridico.
Due diversi giudici componenti del collegio, pur ammettendo la possibilità che
lo statute trovasse applicazione in ogni sua parte anche nei confronti della Corona e
dei suoi organi, hanno ritenuto che le argomentazioni volte a sostenere la posizione
contraria dovessero prevalere. Innanzitutto, essi hanno messo in rilievo come non vi
fossero precedenti di condanna nei confronti della Corona, il che doveva far depor-
re nel senso dell’impossibilità di procedere penalmente. In secondo luogo, hanno
ritenuto insuperabile l’argomentazione secondo cui il Ministero del Tesoro avrebbe
dovuto, di fatto, pagare la sanzione a se stesso e hanno concluso quindi nel senso che
sarebbe stato più opportuno infliggere la sanzione penale alle sole persone fisiche
componenti l’ente de quo.
Infine, due giudici hanno ammesso expressis verbis la possibilità che anche la Corona
fosse perseguita penalmente, ritenendo pienamente ammissibile che un organo sovrano
statuisca dei diritti e delle obbligazioni nei suoi confronti, sottoponga la determinazione
di detti diritti ed obblighi alle Corti e stabilisca i mezzi per dare applicazione agli stessi.
La maggioranza dei Giudici ha concluso, tuttavia, che la Corona (rectius, la per-
sona giuridica che disponeva delle prerogative della Corona), nel caso di specie, non
potesse essere condannata penalmente per il fatto, adducendo tuttavia impostazioni
teoriche e motivazioni di natura diversa.
Ad opinione di alcuni commentatori la sentenza, se letta nel modo corretto, por-
terebbe ad un risultato opposto rispetto a quello al quale tradizionalmente si ritiene
conduca. Infatti, la maggioranza dei giudici non avrebbe escluso che la Corona possa
essere responsabile penalmente del proprio operato, l’unica posizione preclusiva della
possibilità di prevedere una simile responsabilità essendo stata espressa dal giudice
Latham46.
In particolare, nel criticare la decisione, è stato osservato come in un’epoca in cui
i dipartimenti governativi e molte società indipendenti controllate direttamente o
indirettamente dal Governo, assumono un numero crescente di funzioni e respon-
In questo senso Hogg, Monahan, Liability of the Crown, cit., p. 315.
46
L’ordinamento inglese 233
sabilità nella vita sociale ed economica, non sia possibile giustificare un’immunità
dall’azione penale che ha come scopo stigmatizzare il loro comportamento47.
In questa prospettiva, il tradizionale fondamento volto a sostenere l’impianto
dell’immunità dall’azione penale della Corona e dei suoi organi non si rivelerebbe
così solido come si vorrebbe pensare. Il che dovrebbe indurre a rivedere le posizioni
preclusive dell’esercizio dell’azione penale.
4.2. Recenti pronunce e nuove previsioni degli statute: prime indicazioni verso il
superamento del principio dell’irresponsabilità penale della Corona.
Le critiche espresse in relazione alla sentenza Cain v Doyle e l’esito di alcune re-
centi pronunce da parte delle giurisdizioni di common law – di cui si darà conto nel
presente paragrafo − dimostrano come si cominci a fare strada l’idea che anche la
Corona48, al pari degli altri soggetti fisici e giuridici, sia responsabile penalmente del
proprio operato. A testimonianza di ciò starebbe, inoltre, la tendenza emersa in In-
ghilterra negli ultimi anni di indicare negli statute che disciplinano alcune ipotesi di
strict liability offences la Corona come destinataria dell’atto stesso.
Sul fronte giurisprudenziale viene in rilievo un caso analizzato dalla Corte Supre-
ma australiana49, il quale trova origine dal ricorso presentato dal signor Bropho, citta-
dino australiano di origini aborigene, nei confronti dello Stato dell’Western Australia
e della società Western developement Corporation. A suo dire, infatti, gli imputati ave-
vano violato la sezione 17 dell’Aboriginal Heritage Act del 1972 in quanto intende-
vano sfruttare alcuni terreni che si trovavano nella zona dell’ovest dell’Australia e
che, ai sensi della citata legislazione, erano protetti in quanto facenti parte della zona
aborigena. La Western Australia Development Corporation era stata chiamata in causa,
in quanto era la società istituita con l’Western Australia Developement Corporation
Act del 1983 con lo scopo generale di promuovere lo sviluppo economico nell’ovest
47
W. Friedmann, Law in a changing society, Stevens, London 1972, p. 211. Analogamente con riferimento
all’ordinamento canadese M. Belanger, La responsabilité de l’Etat et ses sociétés en environnement, in
Droits de la personne: l’émergence de droits nouveaux, Les éditions Yvon Blais Inc., 1992, p. 417 che
considera la subordinazione dello Stato alla responsabilità civile e penale una condizione essenziale
affinché i cittadini dispongano della fiducia nelle istituzioni che li rappresentano. Si interrogano sulla
questione M. Andenas, D. Fairgrieve, Reforming crown immunity – the comparative Law perspective,
in «Public Law», 2003, p. 730 ss., i quali si chiedono se «can or should the state or public authorities
be held criminally liable?» e ritengono alla luce delle esperienze di diritto comparato che gli argomenti
tradizionalmente invocati ad ostacolo di una simile responsabilità dovrebbero essere superati in ragione
del fatto che lo Stato, in quanto tale, non può e non deve godere di privilegi.
48
La Corona viene naturalmente utilizzata sempre nel senso ampio comprensivo anche di quelle persone
fisiche e giuridiche che sono qualificati come crown bodies.
49
Bropho v State of Western Australia and other, in «Commonwealth law Report», 171, p. 1.
234 E. Pavanello
Il secondo caso invocato è, invece, stato oggetto di esame da parte di una Corte
neozelandese, la quale, nella motivazione della sentenza, ha ritenuto che la Corona
possa essere considerata responsabile penalmente, ma che ciò costituisca un problema
di interpretazione dello statute. Tuttavia, anche in questo caso specifico, si è ritenuto
che la Corona non fosse vincolata dal testo legislativo53.
Le pronunce sin qui analizzate se, da un lato, hanno avuto il merito di indicare
che uno statute può vincolare la Corona anche laddove contenga previsioni penali,
dall’altro, non costituiscono indice certo di una modificazione dell’orientamento che
considera l’immunità una prerogativa irrinunciabile per i crown bodies.
Come sopra accennato, poi, diversi statute (che prevedono anche sanzioni penali)
in Inghilterra hanno negli ultimi anni espressamente dichiarato la loro applicabilità
alla Corona. Con riferimento alla possibilità di dichiarare quest’ultima penalmente
responsabile, si sono tuttavia dimostrati più restii e hanno adottato un approccio di
compromesso in base al quale nel caso in cui la Corona non adempia a quanto previ-
sto nello statute si procederà a una dichiarazione di non adempimento (non complian-
ce) piuttosto che a una vera e propria condanna sul piano penale54.
Da sottolineare, inoltre, il fatto che le pronunce sino ad ora esaminate fanno rife-
rimento unicamente ad ipotesi di strict liability offences. Sulla possibilità di perseguire
gli enti della Corona in ipotesi di mens rea, non si segnalano precedenti.
Interessante tuttavia, l’opinione di parte della dottrina secondo cui, alla luce delle
recenti pronunce giurisprudenziali qui esaminate, la Corona è soggetta alle sanzioni
penali previste per statute sia in ipotesi di strict liability offences, quanto in caso di
mens rea offences, non sussistendo ostacoli nel configurare la responsabilità della Co-
rona anche in queste ipotesi55. Sarà tuttavia necessario identificare il dipartimento
governativo che è responsabile per l’attività in discorso; identificare il Ministro o l’uf-
ficiale di tale dipartimento che costituiscono i directing mind dell’attività e stabilire se
la persona in questione disponga del necessario state of mind.
A parere di chi scrive queste (timide) indicazioni circa l’opportunità di escludere
l’immunità dei crown bodies hanno trovato definitiva consacrazione nel Corporate
manslaughter and Corporate homicide Act di cui diremo infra.
53
Sothland Acclimatisation Society v Anderson and the Minister of Mines, in «New Zeland Law
Reports», 1978, p. 838.
54
Esemplificativo al riguardo l’articolo 54 del Food Safety Act del 1990. Esso dispone che le previsioni
dello statute (il quale introduce una serie di offences in materia di diritto alimentare volte a tutelare il
consumatore da possibili abusi) vincolino la Corona. Tuttavia, il secondo comma dell’articolo aggiunge
che nessuna violazione delle disposizioni citate possono rendere la Corona responsabile penalmente; la
High Court e, in Scozia, la Court of Session potranno unicamente dichiarare che la stessa ha agito o ha
omesso di agire contravvenendo alle disposizioni di legge.
55
Hogg, Monahan, Liability of the crown, cit., p. 316-317.
236 E. Pavanello
Dall’analisi delle sentenze sin qui citate emerge come sostanzialmente tre siano le
ragioni che conducono a ritenere la Corona esente dalla responsabilità penale.
Innanzitutto, il principio secondo cui The king can do no wrong ha indotto a
ritenere che la Corona non può porre in essere alcuna azione penalmente illecita. Si
parte cioè dal presupposto che la legittimità dell’azione del Sovrano e degli organi che
rappresentano la monarchia non possa essere contestata. È invece possibile perseguire
i funzionari pubblici in quanto persone fisiche, anche se non sono mancate voci criti-
che in ragione del fatto che i civil servants «it seems» are not libale for crimes committed
in their representative (official) capacities56.
Particolarmente rilevante al riguardo un passaggio della sentenza Home Office che,
pur riguardando l’ipotesi di responsabilità civile del Governo, ben esprime le preoc-
cupazioni connesse alla possibilità di perseguire la Corona. Dopo aver dichiarato che
la Corona, in quanto tale, can do no wrong, viene affermato che «a litigant complain-
ing of a breach of the law by the executive can sue the Crown as executive bringing his
action against the minister who is responsible for the departement of State involved»57.
Ciò sarebbe di per sé sufficiente a garantire che il reato eventualmente commesso
venga punito. Critiche al riguardo sono state avanzate in ragione della contraddittoria
posizione attribuita alla Corona, cui viene riconosciuta la piena personalità giuridica
quando debba concludere un contratto e nel contempo detta personalità viene negata
quando debba rispondere penalmente o civilmente del proprio operato. Inoltre, la
responsabilità di un Ministro non sarebbe sufficiente a escludere la contemporanea
responsabilità della Corona, non esistendo alcuna preclusione al riguardo. In questa
prospettiva, la Corona potrebbe essere giudicata davanti alle Corti, senza che ciò
rechi attentato ai principi della separazione dei poteri o allo status di cui è titolare la
Corona stessa58.
Inoltre, taluni hanno rilevato che la possibilità di perseguire lo Stato o gli enti
pubblici contribuirebbe sicuramente a dare applicazione al principio di eguaglianza
tra i diversi soggetti giuridici e costituirebbe manifestazione della riprovevolezza della
condotta posta in essere59.
56
Halbury’s Laws Of England, Lord Lester of Herne Hill and D. Oliver editors, 1998, 4th edition
Butterworths, vol. 8 (2), para. 388.
57
House of Lords, M. v Home office, in «Law Reports Appeal Courts», 1, 1994,p. 395.
58
S. Sedley, The Crown in its own Courts, in C. Forsyth, I. Hare, The golden metwand and the crooked
cord, Christopher Forsyth, Ivan Hare, Oxford 1998, p. 253 ss.
59
Sul punto si confrontino Andenas, Fairgrieve, Reforming crown immunity – the comparative Law
perspective, cit., p. 752.
L’ordinamento inglese 237
Ostacoli alla perseguibilità della Corona sono stati avanzati anche in ragione
dell’asserita impossibilità di perseguire se stessa60. Infatti, il Crown Prosecution Office
detiene il monopolio dell’esercizio dell’azione penale. Si finirebbe, quindi, per creare
una sovrapposizione tra autorità procedente e soggetto perseguito. Correlata a questa
argomentazione emerge l’idea che il principio della separazione dei poteri non con-
senta di perseguire un ente che opera ed è stato creato in nome della Corona.
Anche nell’ordinamento inglese è venuta in rilievo, sotto il profilo sanzionatorio,
la difficoltà di applicare una sanzione pecuniaria alla Corona. Nella sentenza Cain v
Doyle il giudice Latham ha ritenuto che non vi fosse alcuna ragione che legittimasse
il pagamento da parte del Commonwealth di un’ammenda a se stesso61. Critiche a
questo principio sono state espresse da parte della dottrina, la quale ha ritenuto che
non vi sia nulla di controproducente nel prevedere il pagamento di una sanzione con
un passaggio di denaro da un dipartimento governativo all’altro62.
Particolarmente rilevante una pronuncia della Corte Canadese, R. v Right in Bri-
tish Columbia63, in cui la Corte ha affermato come vada contestata la posizione della
difesa, società agent of the Crown, secondo cui un’eventuale condanna al pagamento
di una sanzione pecuniaria non troverebbe fondamento perché i cittadini di fatto
pagherebbero la sanzione inflitta. La sanzione pecuniaria costituisce infatti, a parere
della Corte, un chiaro segno di disapprovazione della condotta della società. In ogni
caso, nell’ipotesi di uno Stato federale laddove sia condannato un ente provinciale, la
multa dovrà essere corrisposta alla Corona federale, per cui non si porrebbero proble-
mi di identità tra soggetto che effettua il pagamento e soggetto che lo riceve. L’unica
ipotesi di identità si potrebbe verificare nel caso in cui fosse un ente federale ad essere
sottoposto alla sanzione. Ma anche in questo caso, l’effetto stigmatizzante della san-
zione dovrebbe prevalere. Essa costituirebbe infatti uno stimolo per i funzionari pub-
blici a rispettare le procedure previste dalla legge, soprattutto laddove, come avveniva
nel caso di specie, si trattava di ipotesi di inquinamento ambientale che offendeva
l’interesse di tutti i cittadini.
60
Si confronti Cain v Doyle, in «Common Law Report», 72, 1946, p. 418.
61
Cain v Doyle, cit., p. 418.
62
Si veda sul punto lo studio dell’Australian Institute of Criminology: Government illegality, edited
by P. Grabosky, Canberra, Australian Institute of Criminology, 1986, p. 130-138, in cui si analizzano
le argomentazioni che vengono tradizionalmente addotte per negare sotto il profilo sanzionatorio la
possibilità di procedere nei confronti delle entità governative. Lo studio conclude nel senso che le
motivazioni citate sono infondate e si auspica che, in ragione della maggiore efficacia di cui le stesse
godono,si prevedano delle «ingiunzioni penali» volte ad esempio a prevedere delle riforme istituzionali
all’interno dell’ente per prevenire il verificarsi di futuri illeciti.
63
R. Right in British Columbia, cit., par. 35.
238 E. Pavanello
società quali questioni meritino da parte loro particolare attenzione sotto il profilo
della sicurezza nonché di svolgere le indagini che condurranno all’apertura di un pro-
cedimento penale nei confronti della società stessa. Nei pochi casi in cui le indagini
dell’hse hanno condotto a perseguire le persone giuridiche, le sanzioni inflitte sono
state pene pecuniarie di non rilevante entità67. Le violazioni di norme relative alla
sicurezza e alla salute, normalmente conducono all´imposizione di sanzioni ammi-
nistrative e possono dare luogo al risarcimento dei danni sotto il profilo civilistico68.
La constatazione dell’incapacità del diritto penale di porre rimedio a gravi negli-
genze delle persone giuridiche – con esiti spesso mortali – ha condotto all’introduzio-
ne di una nuova fattispecie di corporate manslaughter, affatto diversa rispetto a quella
prevista dalla common law, costruita in modo tale da superare gli ostacoli che sino ad
oggi si ponevano alla perseguibilità delle persone giuridiche, al fine di punire gli enti
in relazione alle condotte che dimostrino come non siano stati rispettati gli standard
minimi relativi alla sicurezza69. Il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide
Act 2007 (in seguito, per brevità, cmch Act), entrato in vigore in Gran Bretagna il
6 aprile del 2008, è stato adottato dopo più di dieci anni dalla prima proposta le-
gislativa70. La doppia denominazione, corporate and homicide, dipende dal fatto che
in La riforma dei reati contro la salute pubblica, a cura di M. Donini, cedam, Padova 2007, p. 155 ss.
67
C.M.V. Clarkson, Corporate manslaughter: yet more Government proposals, in «Criminal Law
Review», 2005, p. 677-678.
68
V. Howes, B. Wright Frank, Corporate manslaughter: an international perspective, in G. Forlin,
Corporate Liability: work related deaths and criminal prosecutions, Forlin general editor, Lexisnexis,
London 2003, p. 485 ss.
69
Per un commento alle raccomandazioni espresse sul punto dalla Law Commission inglese e scozzese
che già prima dell’introduzione del nuovo reato si era espressa nel senso della necessità di una riforma, si
vedano C. Wells, A new offence of corporate killing – the English Law Commission’s proposal, in A. Eser,
G. Heine, B. Huber, Criminal responsibility of legal and collective entities. International colloquium,
Iuscrim, Freiburg im Bresgau 1998, p. 119 ss.
70
La prima proposta della Law Commission, organo indipendente creato dal Parlamento che ha tra i
suoi compiti quello di vagliare la legislazione esistente e di proporre eventuali riforme, risale al 1996 e si
inserisce nell’ambito del progetto di studio di riforma del codice penale. In particolare, la Commissione
intendeva introdurre la seguente fattispecie:
«(1) Una società è responsabile di corporate killing se:
(a) una carenza nell’amministrazione della società è la causa o una delle cause della morte di una
persona e (b) questa carenza integra una condotta che rientra al di sotto di ciò che può ragionevolmente
aspettarsi dalla società in dette circostanze.
(2) Ai fini del paragrafo(1) che precede:
(a) vi è carenza nell’amministrazione da parte della società quando il modo in cui essa amministra o
gestisce le sue attività è tale da non riuscire ad assicurare la salute e la sicurezza delle persone dipendenti
della società stessa o delle persone che sono interessate da dette attività;
(b) tale carenza deve essere considerata come la causa della morte della persona nonostante la causa
immediata sia l’azione o l’omissione di un individuo.»
Sullivan, The attribution of culpability to limited companies, cit., p. 530 ritiene che l’espressione inglese
utilizzata – management failure – si riferisse a un’ipotesi di carenza strutturale e organizzativa della
240 E. Pavanello
6.1. La responsabilità per il reato di corporate manslaughter sussiste quando una delle
attività gestite o organizzate dal senior management causa la morte di una persona ed è
dipesa da una grave violazione dell’obbligo di diligenza cui l’organizzazione era tenuta
nei confronti della vittima.
La nuova fattispecie dovrà trovare applicazione solo come ultimo rimedio, a inte-
grazione delle ipotesi già previste nell’ordinamento da specifiche offences a tutela della
salute e della sicurezza. Per tale ragione, anche se il cmch Act esclude la responsa-
bilità delle singole persone fisiche che abbiano eventualmente favorito, consigliato,
raccomandato la commissione del reato di corporate manslaughter, le stesse possono
essere perseguite individualmente per il reato di manslaughter o per la violazione delle
offences a tutela della salute e della sicurezza.
Affinché la persona giuridica possa essere condannata, sarà necessario dimostrare
la violazione dello specifico obbligo di diligenza cui era tenuta, violazione che ha
causato la morte di una persona.
La legge indica che l’ente è tenuto a rispettare il dovere di diligenza quando esso
sussista «under the law of negligence» in relazione alla vita delle persone coinvolte
nell’organizzazione. Detto obbligo sussiste in connessione a talune specifiche posi-
zioni rivestite dal soggetto, ovvero quella di datore di lavoro che implica, ad esempio,
la creazione di un ambiente di lavoro sicuro; quella di occupante di un determinato
immobile che comporta la responsabilità per la sicurezza; quello di fornitore di merci
o servizi che determina, ad esempio, il dovere della società di fornire prodotti sicuri
e, infine, quella relativa a qualsiasi altra attività commerciale77.
Si anticipa sin da ora che la legge espressamente esclude la sussistenza di un simile
dovere di diligenza qualora venga in rilievo una attività di natura esclusivamente
pubblica (public policy decision), inclusa in particolare la distribuzione di risorse pub-
bliche o la comparazione tra diversi interessi pubblici. Sono poi esclusi dal concetto
di dovere di diligenza le funzioni che sono nelle prerogative della Corona o che per
loro natura sono esercitabili solo attraverso l’autorità conferita dall’esercizio di queste
prerogative o attraverso le previsioni statutarie (sul punto infra).
La grave violazione (gross breach) di tale dovere di diligenza è integrata quando la
condotta della persona giuridica si situa al di sotto di quanto ci si poteva legittima-
mente aspettare dall’ente in quelle circostanze. Il Giudice, nel valutare se vi sia stata
gross breach, dovrà considerare l’eventuale violazione di norme relative alla salute e alla
sicurezza e, in caso positivo, quanto grave sia stata questa violazione e se il senior ma-
nagement fosse a conoscenza della stessa o quantomeno avrebbe dovuto conoscerla78.
6.2. L’inclusione della Corona tra i soggetti destinatari della nuova fattispecie. Limiti
della disposizione.
Con l’entrata in vigore del cmch Act, per la prima volta nella storia inglese, la Co-
rona in quanto tale potrà essere perseguita penalmente. L’articolo 11 prevede, infatti,
che an organization that is servant or agent of the Crown is not immune from prosecution
under this Act for that reason79. L’articolo 11, al comma 2, specifica espressamente che,
ai fini dell’atto, i dipartimenti governativi elencati nell’apposito allegato nonché le
società che sono agent della Corona devono essere equiparati alle persone giuridiche
di diritto privato.
Tuttavia, a fronte di questa statuizione che consentirebbe di affermare il supera-
mento del principio dell’immunità penale, quantomeno con riferimento al reato di
corporate manslaughter, vengono poste una serie di limitazioni che, de facto, limitano
fortemente la responsabilità penale degli enti emanazione della Corona.
L’articolo 3 infatti, nel disciplinare il dovere di diligenza, dispone che un ente
autorità pubblica80 non è tenuto a tale dovere qualora si tratti di questione attinente
alla public policy, quando costituisca esercizio di una pubblica funzione o quando
si tratti di ispezioni governative. È funzione pubblica quella attività che rientra tra
le prerogative specifiche della Corona o è per sua natura esercitabile solo mediante
poteri autoritativi espressamente conferiti. Resta salva, invece, la responsabilità della
Corona quando l’ente assuma la qualità di datore di lavoro rispetto ai suoi dipenden-
ti, nonché la qualifica di proprietario dell’immobile in relazione alla sicurezza dello
stesso anche nel caso si tratti di esercizio di funzione pubblica.
Esiste, inoltre, un’ulteriore limitazione alla responsabilità delle autorità locali e
delle altre autorità pubbliche le quali non saranno tenute al dovere di diligenza in
79
Peraltro, già il Draft Bill del 2005 prevedeva, in modo generale, «to the extent provided by this Act,
it binds the Crown».
80
Per reperire una nozione di autorità pubblica occorre fare riferimento, all’articolo 6 dello Human
Rights Act del 1998 il quale definisce tali le Corti, i Tribunali e qualsiasi persona le cui funzioni sono di
natura pubblica. Lo Human Rights Act, entrato in vigore il 2 ottobre 2000, dà attuazione in Inghilterra
alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, consentendo che i diritti in essa riconosciuti possano
essere fatti valere davanti alle Corti inglesi. In particolare, l’Atto intende garantire che la legislazione
inglese sia compatibile con i diritti dallo stesso riconosciuti e, come vedremo, una particolare sezione
attribuisce ai cittadini la possibilità di ricorrere alle Corti per ottenere il risarcimento del danno nel
caso in cui le autorità pubbliche abbiano agito illecitamente. Sullo Human Rights Act si vedano tra gli
altri, senza pretesa di esaustività, D. Cheney, Criminal justice and the Human Rights Act 1998, Jordans,
Bristol 2001; J. Wadham, H. Mountfield, A. Edmundson, Blackstone’s Guide to The Human Rights
Act 1998, Oxford University Press, Oxford 2003; S. Grosz, J. Beatson, P. Duffy, Human Rights the
1998 Act and the European Convention, Sweet & Maxwell, London 2000; P. Chandran, A Guide to the
Human Rights Act 1998, Butterworths, London 1998.
244 E. Pavanello
relazione all’esercizio di quelle funzioni che hanno come scopo la protezione del mi-
nore o le attività esplicate dal probation service81.
La legge esplicita chiaramente, quindi, che le decisioni che coinvolgono questioni
di pubblico interesse sono al di fuori dello scopo dell’offence: non si ritiene, infatti,
possibile per le Corti procedere ad una valutazione degli interessi pubblici che hanno
determinato l’ente ad assumere una certa decisione, ancorché la stessa integri un ille-
cito penalmente rilevante. Come indicato nelle note predisposte dal Ministero della
Giustizia, la ragione di dette esclusioni va rinvenuta nel fatto che, in taluni casi, gli
enti pubblici svolgono attività a beneficio della comunità nel suo complesso, piut-
tosto che limitarsi a fornire servizi ai singoli individui. Con particolare riferimento
all’esclusione da responsabilità per fatti concernenti decisioni di politica pubblica il
Ministero afferma che esse coinvolgono priorità di carattere pubblico o altre que-
stioni di politica pubblica che non sono suscettibili di essere sottoposte al vaglio
giudiziario82.
Alla stregua di queste indicazioni, le persone giuridiche di diritto pubblico po-
tranno essere perseguite nella misura in cui non esercitino una pubblica funzione e
le autorità pubbliche potranno essere perseguite nella misura in cui non si tratti di
questioni che concernono il pubblico interesse.
Esiste quindi una sostanziale e incolmabile differenza tra enti di diritto pubblico,
emanazione della Corona, ed enti di diritto privato non tanto in ragione della loro
natura, quanto in relazione alla tipologia di attività svolte. Non sarebbe stato, infatti,
auspicabile perseguire il Governo o altri enti pubblici nella misura in cui esercitino
funzioni di natura esclusivamente pubblica (core public functions). Gli esempi citati
già nel corso dei lavori preparatori in favore di tale assunto riguardano le attivi-
tà svolte dal Governo in una situazione di emergenza civile o le attività connesse
alla custodia dei detenuti. Nel caso in cui ad esempio si verifichino dei decessi in
prigione ricollegabili ad una cultura illecita di impresa verranno eseguite indagini
di natura pubblica i cui risultati saranno a disposizione dei cittadini. Con la con-
seguenza che in questi casi sarà «superfluo» l’esercizio dell’azione penale. In questi
settori la responsabilità dei singoli funzionari continua ad essere presente, mentre
con riferimento all’ente potranno venire in rilievo eventuali meccanismi alternativi
di controllo, quali la responsabilità dei Ministri per il proprio operato nei confronti
del Parlamento o i meccanismi di responsabilità disposti dallo Human Rights Act83.
81
Ciò significa che, ad esempio, non potrà essere rinvenuta alcuna responsabilità in capo all’ente
pubblico per la morte di un minore che non era stato individuato come a rischio e, per tale ragione,
non era stato sottoposto a forme di protezione adeguate.
82
Cfr. sul punto Corporate manslaughter and corporate homicide act 2007, Explanatory notes, rinvenibili
nel sito <http://www.opsi.gov.uk>.
83
La section 6 dello Human Rights Act dispone che «it is unlawful for a public authority to act in a way
which is incompatible with a Convention right». Come già ricordato, sono tali quegli organi non solo
L’ordinamento inglese 245
Nel lungo iter che ha condotto da ultimo all’approvazione del cmch Act, le di-
sposizioni volte a limitare la responsabilità della Corona sono state oggetto di rifles-
sione critica da parte del Centre for Corporate Accountability’s (cca). Si tratta di un’as-
sociazione che si occupa della tutela dei lavoratori e della loro sicurezza. Tra le varie
attività che esso ha promosso vi è stata proprio la campagna per l’adozione del reato
di corporate manslaughter85. Il cca – coinvolto nelle attività di consultazioni svolte dal
pubblici per definizione (Corti, Tribunali, polizia etc.) ma anche quelli che, indipendentemente dalla
loro natura pubblica o privata, esercitano una funzione pubblica. Nel caso in cui detta autorità abbia
contravvenuto alle disposizioni dell’Atto, è previsto che la vittima possa instaurare un giudizio nei
confronti dell’Autorità al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla decisione illecita
o fare in modo che la Corte annulli detta decisione o impedisca all’autorità pubblica per il futuro di
adottare decisioni analoghe. Non si tratta, quindi, di responsabilità penale, ma di un meccanismo
di risarcimento del danno in forma pecuniaria o per equivalente per l’attività illecita delle autorità
pubbliche.
84
La ragione di tale esclusione, che era stata già inserita nella proposta formulata dal Governo, è stata
rinvenuta nel fatto che si è ritenuto che l’interesse pubblico sia perseguito in modo più efficace da parte
delle Forze Armate se queste sono immuni dall’azione penale in relazione alle attività dalle stesse poste
in essere. Infatti, sarebbe controproducente eseguire indagini e perseguire penalmente le Forze Armate
le quali svolgono un compito di difesa e di sicurezza fondamentale per tutelare lo Stato.
85
I documenti del cca di cui si discute sono rinvenibili nel sito dell’organizzazione http://www.
246 E. Pavanello
compatibilità della previsione in relazione all’articolo 2, che tutela il diritto alla vita,
all’articolo 13, che impone l’obbligo per gli Stati di prevedere un rimedio effettivo a
tutela dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione e all’articolo 14, che
impone agli Stati l’obbligo di assicurare il godimento dei diritti e delle libertà ricono-
sciuti dalla Convenzione senza nessuna discriminazione.
L’articolo 2, secondo quanto indicato nel parere citato, imporrebbe agli Stati tre
diversi obblighi: (i) non privare una persona della vita; (ii) adottare tutte le misure
possibili volte a salvaguardare la vita delle persone e (iii) indagare sulla morte del
soggetto qualora si possa ritenere che uno dei due obblighi precedenti sia stato vio-
lato. Il cca evidenzia che la giurisprudenza di Strasburgo ha interpretato l’articolo
2, in correlazione con l’articolo 13 imponendo in generale il diritto ad un ricorso
interno adeguato ed effettivo, nel senso che in alcuni casi sarà necessario fare ricorso
al diritto penale al fine di assicurare il diritto alla vita, in particolare quando gli altri
rimedi previsti dall’ordinamento si rivelino inadeguati allo scopo. Nel rapporto viene
espressamente citata, tra le altre, la sentenza Oneryildiz v Turchia88 – che come si
ricorderà era già stata oggetto di particolare analisi da parte della dottrina olandese
con riferimento ai casi Enschede e Volendam89 − ad indicare il fatto che qualora non
siano sufficienti i rimedi extrapenali, l’esercizio dell’azione penale deve essere assicu-
rato e garantito da parte dello Stato. L’articolo 2, infatti, impone il rimedio penale
qualora gli altri mezzi di tutela disponibili siano insufficienti e ciò a prescindere dalla
natura giuridica della persona che ha violato la norma e dalle funzioni dalle stessa
esercitate. Consentire il ricorso all’azione penale solo qualora la morte di un soggetto
sia riconducibile alla politica del management di determinati enti o meglio di enti che
esercitino determinate attività, crea una palese violazione della disposizione.
Alla stregua di questa impostazione era stato riconosciuto, inoltre, che l’immu-
nità violasse anche la disposizione dell’art. 14 cedu nella misura in cui è previsto
l’esercizio dell’azione penale solo con riferimento a determinati autori del reato: tale
differenziazione non è stata ritenuta giustificabile. Difficile infatti spiegare ai familia-
ri di una persona deceduta per quali ragioni essi possono o non avere, a seconda delle
circostanze, accesso all’azione penale.
Il cca nelle proprie conclusioni aveva quindi ritenuto incompatibile il Draft Bill
con gli articoli citati della cedu sia per la formulazione incerta di talune sue parti (ad
esempio non sarebbe chiara la nozione di attività pubblica), sia perché la limitazione
dei soggetti responsabili viola il diritto delle vittime alla giustizia. Nonostante le criti-
che espresse, il testo definitivo del cmch Act non ha apportato le modifiche auspicate
volte a superare la parziale immunità concessa agli enti della Corona.
7. Riflessioni conclusive.
capitolo 6
Sommario. 1. La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti: evoluzione
storica. Il modello della vicarious liability e la colpevolezza d’impresa. – 2. La responsabilità
penale degli enti locali: dalle origini ai giorni nostri. – 2.1. La responsabilità penale degli
enti territoriali nella legge federale. – 3. Le ragioni addotte contro la responsabilità penale
degli enti territoriali: la dannosità di un’eventuale sanzione pecuniaria inflitta, lo svolgimento
di attività di carattere «pubblico» e la teoria della sovranità. Critiche. – 3.1. Gli argomenti
addotti in favore della perseguibilità penale degli enti territoriali: la «necessità» di punire il
vero responsabile dell’illecito e la funzione di «prevenzione» svolta dal diritto penale. – 4.
Conclusioni.
1. La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti: evoluzione storica.
Il modello della vicarious liability e la colpevolezza d’impresa.
La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti ha origini (rela-
tivamente) lontane nel tempo1. In un primo momento la responsabilità penale delle
persone giuridiche era di carattere oggettivo, limitata alle ipotesi di strict liability, in
quanto si considerava insuperabile l’ostacolo legato alla definizione di colpevolezza
dell’ente; successivamente, sulla base del modello del respondeat superior, ha trovato
spazio anche negli Stati Uniti la vicarious liability, in base alla quale è possibile impu-
tare il comportamento di determinate persone fisiche alla persona giuridica, purché
la persona fisica (la cui nozione non è nell’interpretazione giurisprudenziale domi-
nante limitata ai soli soggetti che fanno parte della dirigenza della società ma è estesa
1
V.S. Khanna, Corporate liability standards: when should corporations be held criminally liable?, in
«American Criminal Law Review», 37, 2000, p. 1239 ss. («corporate criminal liability is a doctrine of
considerable antiquity in the United States and one that has expended consistently over the years»); J.
Arlen, Corporate criminal liability in the United States: using prosecutorial discretion to induce corporations
to join the war against crime, in A. Alessandri, E. Amodio, G. Forti, P. Marchetti, M. Onadi, G.
Rossi, S. Seminara, Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, vol. xxv, Giuffré, Milano 2009, p.
303 ss.
252 E. Pavanello
Negli Stati Uniti è quindi possibile punire una persona giuridica per qualsiasi tipo
di reato. Sotto il profilo oggettivo, la condotta verrà imputata all’ente alla stregua dei
criteri del respondeat superior; sotto il profilo soggettivo, ove si sia in presenza di un’i-
potesi di mens rea offence, si farà affidamento al concetto di collective intent o, secondo
le indicazioni contenute nelle Federal Sentences Guidlines, di colpevolezza di impresa.
Con riferimento alle persone giuridiche di diritto pubblico poche sono state le
pronunce che hanno preso in considerazione la questione − limitatamente peraltro
alle municipalities − e pochi anche i contributi della letteratura americana sul punto.
Nell’analizzare la possibilità di perseguire le persone giuridiche di diritto pubblico
nell’ordinamento americano si darà pertanto conto delle sentenze che hanno vaglia-
to la posizione delle municipalities. Quanto alla possibilità di perseguire lo Stato si
precisa che esso, a differenza dei Governi locali, gode di una protezione assoluta in
ragione della funzione fondamentale che si ritiene svolga nella politica nazionale ed
è considerato pertanto immune dall’azione penale5.
Negli Stati Uniti l’evoluzione della responsabilità penale delle persone giuridiche
segue un percorso (per certi versi) antitetico rispetto a quello che ha cartterizzato
altri ordinamenti giuridici. Curiosamente, infatti, la possibilità di perseguire
le municipalities è ad oggi (quantomeno) in dubbio, mentre alle origini della
responsabilità penale degli enti era possibile perseguire le città (in quanto persone
giuridiche) in relazione a quei reati che non richiedevano mens rea6. Infatti, a partire
dal 1819 e sino agli inizi del ventesimo secolo7, i local governments americani sono
1995, p. 47 ss. e W.S. Laufer, Culpability and the sentencing of corporations, in «Nebraska Law Review»,
71, 1992, p. 1049 ss., sul concetto di colpevolezza così come costruito nelle Federal Sentences Guidelines.
5
R. Briffault, Our localism part i-The structure of local government law, in «Columbia Law Review»,
90, I, 1990, p. 93 e, in particolare, sub nota 385 afferma che a differenza dei governi locali che possono
aspirare ad una forma di autonomia dal governo centrale ma non di sovranità, lo Stato godrebbe di
prerogative tali da renderlo immune dall’azione penale.
6
P. Stuart Green, The criminal prosecution of local governments, in North Carolina Law Review, 72,
1993-1994, p. 1197 ss. ha affrontato la questione dell’opportunità e degli eventuali ostacoli connessi alla
procedibilità penale nei confronti delle municipalities. Si tratta di uno dei pochi studi sul punto cui altri
Autori nei propri scritti concernenti la responsabilità penale delle persone giuridiche fanno riferimento
in relazione alla possibilità di configurare ad oggi una responsabilità penale delle municipalities.
7
Invero, l’ultimo caso in cui viene in discussione la responsabilità di una persona giuridica di diritto
pubblico risalirebbe al 1984 e farebbe riferimento alla azione penale esercitata nei confronti della
Veterans Administration. L’agenzia governativa non è stata nel caso di specie condannata in quanto si è
ritenuto che la disposizione asseritamente violata da parte dell’ente non indicava se essa dovesse trovare
applicazione anche nei confronti dei dipartimenti governativi. United States Court of Appeals for the
ninth Circuit, People of the State of California v Veterans administration, in «United States Court of
254 E. Pavanello
città11. La città si è difesa sostenendo che non era possibile condannare penalmente
una municipal corporation che costituisce «a public political subdivision of the State,
formed for governmental purposes only, in the excersise of which is the mere instrument
agent of the State», con la conseguenza che «a criminal prosecution against the munici-
pality would be indirectly an action of the State against itself»12.
La Corte, preso atto delle difese avanzate dalle città, ha riconosciuto che la muni-
cipal corporation è organizzata sotto l’autorità dello Stato ma ha ritenuto anche che
fosse necessario operare una distinzione a seconda delle attività dalla stessa esercitate:
qualora infatti eserciti funzioni «governative» non risponderà penalmente del proprio
operato; quando invece si tratti di attività che si collocano più propriamente in ambi-
to privatistico, sarà responsabile penalmente al pari di ogni altro individuo e persona
giuridica di diritto privato. In questo modo la Corte esclude che si possa ipotizzare
una «auto-persecuzione» dello Stato: infatti, laddove la municipality eserciti una at-
tività di carattere privatistico lo farà in nome proprio e non vi sarà coincidenza tra
le due persone giuridiche. La sovrapposizione tra i due enti si verifica unicamente
nell’ipotesi in cui la municipal corporation agisca nell’esercizio di una funzione di ca-
rattere governativo e, quindi – pare doversi ritenere – per conto dello Stato. Nel caso
di specie, la Corte ha ritenuto che la gestione di un ospedale integrasse un’ipotesi di
attività privata e che pertanto la città dovesse essere condannata al pagamento della
sanzione pecuniaria.
Il criterio in base al quale decidere se si tratta di una funzione privatistica o gover-
nativa si è rivelato tuttavia non sempre di facile applicazione nei casi concreti13, anche
perché in alcune pronunce le Corti americane hanno mostrato di «ampliare» l’immu-
nità delle municipalities, ritenendola sussistente anche per funzioni «privatistiche».
In questo modo la determinazione della natura discrezionale o legislativa dell’attività
viene lasciata alla decisione del caso concreto e alla «sensibilità» dei giudici14.
Da questo breve excursus «storico» emerge che la responsabilità penale delle per-
sone giuridiche di diritto pubblico non era preclusa alla stregua delle disposizioni
penali previste dai singoli Stati.
11
Supreme Court of Illinois, The People of the State of Illinois vs. The city of Chicago, in «Illinois
Reports», 256, p. 558.
12
Supreme Court of Illinois, cit., p. 558.
13
In una sentenza di poco successiva a quella citata, ad esempio, la Suprema Corte di Washington
ha ritenuto che integrasse una funzione governativa il mantenimento e la cura di un parco pubblico
cittadino, con la conseguenza che la municipal corporation era immune in quanto, nella gestione di tale
attività, rappresentava lo Stato. Supreme Court of Washington, State v. Metropolitan Park. Dist. Of
Tacoma, in «Washington reports», 100, p. 449.
14
Nel caso Board of Chosen Freeholders of the County of Bergen v. State, ad esempio, la Corte si interroga a
lungo se il fatto di non aver riparato un ponte della città, costruito e poi utilizzato nell’interesse pubblico,
costituisca o meno un’attività discrezionale e alla fine opta per la soluzione negativa, considerando così
la Contea perseguibile. New Jersey Supreme Court, Board of Chosen Freeholders of the County of Bergen
256 E. Pavanello
ranno le sentenze che, con riferimento ad alcuni statute, hanno offerto, crediamo,
importanti spunti di riflessione sul punto.
Per quanto concerne la legge antitrust contenuta nello Sherman Act, assume ri-
lievo una decisione della Suprema Corte degli Stati Uniti del 1978, in cui è stato
affermato che nella nozione di persona sono incluse anche le municipalities16. Le città
imputate nel procedimento si sono difese sostenendo che esse, in quanto suddivi-
sioni dello Stato, non rientrano tra i soggetti destinatari dello statute17. In secondo
luogo, hanno rilevato che, dal punto di vista sanzionatorio, sarebbe stato incoerente
sottoporle ad una pena (civile o penale) e che, in ogni caso, la loro responsabilità do-
veva eventualmente essere fatta valere sul piano politico e non su quello giudiziario.
Inoltre, esse hanno sostenuto che l’obiettivo che si pongono con la propria attività
è di carattere pubblico, il che è sufficiente a renderle esenti da responsabilità penale.
La Corte risponde a queste argomentazioni, sostenendo che il richiamo effettuato
dalle città alla sentenza Parker v Brown non sia in grado provare alcunché: con la sen-
tenza citata, infatti, la Suprema Corte aveva statuito che lo Stato in quanto tale non è
sottoposto alla legge antitrust ma nulla aveva disposto in relazione alle municipalities
che restano organi ontologicamente distinti dall’ente centrale. Il fatto poi che sarebbe
possibile applicare loro altre sanzioni e, segnatamente, quelle di natura politica non
è sufficiente, nell’opinione dei giudici, ad escludere l’intervento del diritto punitivo.
Viene inoltre contestata l’argomentazione secondo cui l’interesse pubblico che esse
perseguono giustificherebbe una loro esclusione dall’azione penale: se è vero, ha so-
stenuto la Corte, che loro obiettivo è assicurare il massimo beneficio alla comunità,
è anche vero che nel fare ciò esse opereranno delle scelte di carattere «economico»
che in nulla si differenziano da quelle delle persone giuridiche di diritto privato. La
Corte conclude ritenendo che le municipalities devono essere incluse nella nozione
di person ma non dichiara espressamente che esse sono soggette all’azione penale che
deriva dalla violazione dello statute.
L’analisi della sentenza offre un panorama delle argomentazioni che normalmente
vengono addotte a sostegno dell’immunità dall’azione penale degli enti pubblici,
un interesse in o la partecipazione negli affari di un’enterprise che è impegnata o la cui attività concerne
il commercio tra gli Stati o all’estero. Le attività proibite devono avere diretta rilevanza in un quadro
di estorsione o di assunzione di un’obbligazione illecita. Tra le enterprise che possono essere coinvolte,
vengono espressamente incluse anche le public entities. Brickey Kathleen, Corporate criminal liability,
i, Clark Wilmette, Boardman Callaghan editor, 19912, 7:09.
16
Lo Sherman Act prevede sanzioni sia civili che penali connesse alla violazione delle norme sull’antitrust.
La decisione cui ci si riferisce è Supreme Court of the United States, City of Lafayette v Louisiana Power
& Light Company, in «United States Supreme Court Reports», 435, p. 389.
17
Con ciò dichiarano di richiamarsi alla decisione Parker v Brown, nella quale la Suprema Corte aveva
sostenuto l’inapplicabilità dello statute nel caso di azioni che venissero esperite nei confronti dello Stato
o di agenzie statali. Supreme Court of the United States, Parker v Brown, in «United States Supreme
Court Reports», 317, p. 341.
258 E. Pavanello
puntualmente contrastate dalla Corte Suprema. Inoltre emerge chiara l’idea che –
quantomeno con riferimento alla legge sull’antitrust – l’azione nei confronti dello
Stato sia assolutamente da escludere.
Il Criminal civil rights statute18 sanziona chiunque nell’esercizio delle funzioni che
gli sono attribuite dalla legge (under color of any law) abbia privato un soggetto dei
diritti, privilegi o immunità di cui egli è titolare in base alla Costituzione o alle leggi
degli Stati Uniti e lo sottopone a sanzioni che possono essere o di natura civile (che
mirano a compensare il soggetto per i danni subiti) o di natura penale (punitive da-
mages) qualora il soggetto abbia agito maliciously o wantonly. Al fine di poter agire in
base alla sezione 1983 sarà necessario dimostrare che una persona è stata privata dei
propri diritti civili, da parte di «state and local law officers who exert authority derived
from state law».
La questione che si è posta davanti alle Corti americane ha riguardato la possibi-
lità di includere nella nozione di soggetto anche un ente pubblico che fa parte della
municipalità, con particolare riferimento alle ipotesi di violazione poste in essere dal-
la polizia che sono manifestazione non della volontà del singolo individuo, quanto
piuttosto di precise «direttive» o «ordini» più o meno espliciti dell’ente e, quindi, di
una «politica» dell’ente.
Le risposte della giurisprudenza sono state diversificate. In un primo momento,
con la sentenza Monroe v Pape19, la Corte Suprema ha, infatti, ritenuto che la mu-
nicipality non sia una persona nel senso inteso dalla sezione 1983. Tale conclusione
viene raggiunta (anche) in considerazione del fatto che il Congresso, nell’approvare la
legge, aveva deciso di non includere l’ipotesi di municipal liability, così come invece
era stato proposto originariamente dal Senato: a parere della Corte, ciò deponeva in
favore del fatto che il Congresso non intendesse considerare le municipalities respon-
sabili alla stregua del disposto normativo.
Di contrario avviso una sentenza successiva, Monell v Departement of Social Ser-
vice20, secondo la quale, invece, i local governments sono persone ai sensi della sezione
1983 quando hanno agito attraverso i loro agenti e la condotta di questi ultimi ra-
gionevolmente rappresenta la politica ufficiale dell’ente. Alla stregua di quest’ulti-
18
Statute introdotto nel codice americano (18 u.s.c. §§ 241 e 242) in seguito alla guerra civile in origine
diretto a sanzionare le condotte illecite volte a privare dei propri diritti gli schiavi e, in generale, le
persone di colore. Per un commento alla sezione 1983 si vedano M.R. Smith, Law enforcement liability
under section 1983, in «Criminal Law Bullettin», 1995, p. 129; N. Abrams, S.S. Beale, Federal criminal
Law and its enforcement, St. Paul Minn., West Group, 2000, p. 528 ss.; M. Avery, D. Rudovsky, K.
M. Blum, Police misconduct law and litigation, S.l., Thomson West, 20033, § 4:15 e V.E. Kappeler,
M.S. Vaughn, Law enforcement: when the pursuit becomes criminal-Municipal liability for police sexual
violence, in «Criminal Law Bullettin», 1997, p. 352-376.
19
Supreme Court of United States, Monroe v Pape, in «United States Supreme Court Reports», 365, p. 167.
20
Supreme Court of United States, Monell v Departement of social Services of the city of New York, in
«United States Supreme Court Reports», 436, p. 658.
L’ordinamento americano 259
una ricaduta negativa nei confronti dei cittadini25. Anche questa obiezione viene ri-
tenuta da parte della dottrina superabile in considerazione del fatto che non esiste
alcuna prova della effettiva incidenza negativa maggiore della sanzione pecuniaria
penale rispetto a quella che avrebbe la sanzione pecuniaria civile.
Quanto al fatto che lo Stato perseguirebbe se stesso, in un ordinamento federale la
questione dell’identità tra soggetto che esercita l’azione penale e soggetto destinatario
della stessa non costituisce un vero problema in quanto i due agenti restano giuridi-
camente distinti. In caso di federal crime pertanto non vi sarebbe spazio per questo
tipo di obiezione.
Da ultimo, va rilevato come anche nell’ordinamento americano sia emersa l’idea
che esistano attività immuni nel cui ambito la municipality agisce in nome e per
conto dello Stato e perciò non può essere perseguita. La teoria della sovranità osta
quindi a procedere nei confronti dello Stato ma anche, sembra di potersi dedurre, nei
confronti di quegli enti pubblici che ne siano rappresentazione.
3.1. Gli argomenti addotti in favore della perseguibilità penale degli enti territoriali:
la «necessità» di punire il vero responsabile dell’illecito e la funzione di «prevenzione»
svolta dal diritto penale.
procedurale (divieto del ne bis in idem, garanzie procedurali quanto alla confisca,
condanna solo quando sia stata provata la responsabilità del soggetto oltre ogni ragio-
nevole dubbio e così via): in questa prospettiva sarebbe quindi «conveniente» anche
per la città essere giudicata in un procedimento penale.
Connessa a questa argomentazione sta la constatazione che l’azione penale nei
confronti del local government si rivelerebbe più efficace rispetto a quella esercitata
nei confronti dei singoli individui: essa, infatti, consentirebbe di ovviare ai problemi
connessi all’individuazione della persona fisica che ha commesso la violazione. Senza
contare poi che normalmente le giurie sono più inclini a condannare una persona
giuridica piuttosto che una persona fisica.
Infine, ciò che sembra particolarmente rilevante, l’ente sarebbe in questo modo
più stimolato ad adottare tutte le misure volte ad evitare che una condotta illecita
venga nuovamente posta in essere27.
È auspicabile secondo parte della dottrina che le Corti federali procedano nei
confronti delle municipalities, laddove esse secondo statute siano dirette destinatarie
delle disposizioni normative e, in caso contrario, che il Legislatore americano prov-
veda a dichiarare gli statute in ambito di antitrust e di civil rights law espressamente
applicabili anche alle città. Il diritto penale dovrebbe trovare spazio unicamente come
ultimo rimedio, qualora fosse chiaro che ogni altro mezzo punitivo non è sufficiente
a sanzionare in modo efficace (anche in una prospettiva futura) la condotta illecita
dell’ente. In particolare tre sono gli ambiti in cui potrebbe risultare utile immagina-
re una responsabilità penale anche delle municipalities: trattasi dei reati ambientali,
delle sanzioni penali dettate a tutela dei diritti civili e delle norme sull’antitrust. La
responsabilità dovrebbe essere fatta valere nelle ipotesi in cui risulti evidente che la
condotta illecita non sia frutto dell’iniziativa della persona fisica ma di una vera e
propria cultura illecita di impresa.
motivo legittimo (in tal modo si intendeva dimostrare che i poliziotti erano stati costretti ad utilizzare le
proprie armi per contrastare il pericolo derivante dal fatto che l’altro soggetto era armato ed aveva fatto
fuoco). Secondo le indagini era risultato che gli stessi istruttori di polizia insegnavano le potenzialità
di un’arma non registrata e che dette armi erano a disposizione di circa l’80% dei poliziotti della città.
Ora, proprio in ipotesi come queste in cui a fronte di un responsabile diretto della morte del soggetto
(un determinato poliziotto) vi è anche una responsabilità «istituzionale» della polizia nel suo insieme,
appare più che mai opportuno l’utilizzo della responsabilità penale nei confronti dell’ente in quanto
tale, a prescindere dal fatto che si tratti di una persona giuridica di diritto pubblico.
27
Per l’analisi delle argomentazioni «positive» si veda Green, The criminal prosecution of local
governments, cit., p. 1232 ss.
L’ordinamento americano 263
4. Conclusioni.
Al termine di questa breve analisi relativa alla disciplina della responsabilità penale
delle municipalities nell’ordinamento americano, ci siano consentite alcune riflessio-
ni.
In primo luogo va rilevato come non esistano norme che fanno espressamente
divieto dell’esercizio dell’azione penale nei confronti delle municipalities. Nonostan-
te ciò, costituisce un dato di fatto la non applicazione degli statute che prevedano
federal crimes (quantomeno quelli relativi all’ambiente, all’antitrust e ai civil rights)
nei confronti delle città. Osterebbero a ciò sia il fatto che le municipalities sono ema-
nazione dello Stato – il quale è immune sulla base della teoria della sovranità – sia le
considerazioni relative al pregiudizio che l’applicazione delle sanzioni penali potrebbe
causare loro.
In secondo luogo, occorre rilevare che non esiste negli Stati Uniti un dibattito
dottrinale sul punto come, invece, si è potuto verificare in altri ordinamenti.
Uno tra i pochi studiosi che si è occupato della materia, ha auspicato l’introdu-
zione di detta forma di responsabilità in quanto ha ritenuto che le argomentazioni
che tendono a negare la possibilità di perseguire le città evocate nelle sentenze qui
analizzate non siano convincenti. Egli ha proposto tuttavia di utilizzare detta azione
limitatamente alle ipotesi in cui ciò si riveli estremamente necessario, quando cioè la
condotta illecita non sia (solo) frutto del comportamento del singolo ma risponda ad
una generalizzata «politica» illecita.
Dette riflessioni paiono di particolare interesse perché pongono la questione della
legittimità di un’immunità che di fatto esiste ma che legislativamente non è previ-
sta. Tuttavia, occorre rilevare che allo stato attuale l’ordinamento americano sia ben
lungi dall’idea di introdurre modifiche legislative ad hoc al fine di perseguire gli enti
pubblici.
265
Capitolo 7
rispetto al numero di reati per i quali è stata pensata la nuova forma di responsabilità.
Tuttavia, è da ritenere che la scelta inizialmente restrittiva del legislatore sia stata
dettata principalmente da una certa cautela e dalla volontà di valutare l’impatto che
il nuovo sistema avrebbe potuto avere sulle persone giuridiche coinvolte. Tant’è che,
ad oggi, l’ambito di applicazione è stato notevolmente esteso, senza a dire il vero che
sia stata seguita un’organica politica7. Al contrario, il catalogo dei reati, inizialmente
limitato a ipotesi connesse alla criminalità di impresa, è stato poi incrementato,
includendo ogni categoria di reati che desta particolare allarme sociale8.
Obiettivo del presente lavoro è illustrare le scelte del legislatore con riferimento ai
destinatari della nuova normativa sul versante «pubblicistico»: sono stati esclusi dalla
responsabilità infatti tutti gli enti pubblici, a eccezione degli enti pubblici economici.
È opportuno interrogarsi sul fondamento di tali restrizioni e sull’opportunità di creare
un trattamento differenziato a seconda della natura pubblica o privata dell’ente,
natura che, in taluni casi, risulta di difficile individuazione.
Si ritiene comunque prima di ciò imprescindibile descrivere le modalità attraverso
le quali viene in gioco la responsabilità dell’ente e, in particolare, i presupposti oggettivo
e soggettivo in base ai quali opera la stessa nonché l’impianto sanzionatorio introdotto
Il d.lgs. n. 231 del 2001 e il nuovo modello sanzionatorio dei soggetti collettivi, in «Diritto processuale
amministrativo», 2001, p. 1167 ss., D. Pulitanò, La responsabilità «da reato» degli enti: i criteri di
imputazione, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 2002, p. 415 ss.; G. di Francesco,
Gli enti collettivi: soggetti dell’illecito o garanti dei precetti normativi?, in «Diritto penale e processo»,
2005, n. 6, p. 753 ss.; A. Travi, La responsabilità della persona giuridica nel d.lgs. n. 231/2000: prime
considerazioni di ordine amministrativo, in «Le società», n.11, 2005, p. 1305 ss.; F. Da Riva Grechi,
L’illecito funzionale degli enti collettivi, in «La giustizia penale», parte ii, 2003, p. 437 ss.; Pasculli,
Questioni insolute ed eccessi di delega nel d.L.vo n. 231/2001, in «Rivista penale», ii, 2002, p. 739 ss.; A.
Mereu, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi e i criteri di attribuzione della responsabilità tra
teoria e prassi, in «Indice penale», 1, 2006, p. 27 ss.; F. Vignoli, La responsabilità «da reato» dell’ente
collettivo fra rischio d’impresa e colpevolezza, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli
enti», 2, 2006, p. 103 ss., <http://www.rivista231.it/>. Con particolare riferimento all’attività bancaria,
F. Giunta, Attività bancaria e responsabilità ex crimine degli enti collettivi, in «Rivista trimestrale di
diritto penale dell’economia», 1, 2004, p. 1 ss.; per i profili giuslavoristici cfr. A. Garlatti, D.lgs.
231/01 e riflessi giuslavoristici, in «D&L Rivista critica di diritto del lavoro», 2006, p. 341 ss.
Gli esiti applicativi della nuova forma di responsabilità ad oltre un lustro dalla sua introduzione, sono
stati analizzati da diversi studiosi. Si confrontino, in particolare, La responsabilità da reato degli enti
collettivi, a cura di G. Spagnolo, Milano, Giuffré 2007; E. Garavaglia, La responsabilità amministrativa
da reato delle persone giuridiche: i primi anni di applicazione giurisprudenziale, in «Giurisprudenza
commerciale», parte ii, 2006, p. 383 ss.; G. Amato, Finalità, applicazione e prospettive della responsabilità
amministrativa degli enti, cit., p. 140 secondo cui il giudizio sull’efficacia e sull’operatività del sistema
è senz’altro positivo. Contra M. La Rosa, Teoria e prassi del controllo «interno» ed «esterno» sull’illecito
dell’ente collettivo, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 4, 2006, p. 1297 ss. che definisce il
sistema un «corpus normativo più “simbolico” che reale, poiché tende a perseguire uno scopo diverso da quello
espresso in modo chiaro nei precetti: rassicurare la collettività piuttosto che guarire il sistema».
7
Pelissero, La progressiva espansione dei reati-presupposto, in «Giurisprudenza Italiana», 2009, p. 1834.
8
N. Mazzacuva, E. Amati, Diritto penale dell’economia, cedam, Padova 2010, p. 64.
L’ordinamento italiano 269
dal nuovo decreto. Il d.lgs. 231/2001 prevede, infatti, ai fini della configurazione della
responsabilità, che venga posta in essere da parte di soggetti che rivestono peculiari
posizioni all’interno dell’ente (soggetti in posizione apicale o sottoposti alla vigilanza
di questi ultimi), una delle fattispecie criminose tassativamente indicate nel decreto9.
Non vi è stata, comunque, una chiara presa di posizione circa la natura della
responsabilità in discorso da parte del legislatore che ha preferito adottare
9
L’elenco delle modifiche apportate al testo è lunghissimo. Sinteticamente si consideri che con la legge n.
116/2009 è stata estesa la responsabilità dell’ente anche per il reato di cui all’art. 377 bis c.p. (induzione
a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria); prima di allora
la l. 94/2009 aveva esteso la responsabilità per i reati in materia di criminalità organizzata. Con il d.lgs.
81/2008 era stato invece modificato l’art. 25 septies (introdotto dall’art. 9 della l. 123 del 3 agosto 2007)
relativo alla responsabilità degli enti per i reati di omicidio colposo, lesioni colpose gravi e gravissime,
commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul
lavoro. Per un commento si vedano Castronuovo, La responsabilità degli enti collettivi per omicidio e
lesioni alla luce del d.lgs. n. 81 del 2008, in La prevenzione dei rischi e la tutela della salute in azienda. Il
testo unico e le nuove sanzioni, a cura di Basenghi et al., ipsoa, Milano 2008, p. 159 ss.; M. Lepore, la
legge delega sulla sicurezza: prime riflessioni, in «Il lavoro nella giurisprudenza», 11, 2007, p. 1079 ss.; G.
Zanalda, La responsabilità degli enti per gli infortuni sul lavoro, prevista dalla legge 3 agosto 2007, n. 123,
in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2007, p. 97 ss, <http://www.rivista231.
it/>. In generale sul nuovo t.u. si veda, Il testo unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, a cura di
M. Tiraboschi, Giuffré, Milano 2008 e F. Giunta, D. Micheletti, Il nuovo diritto penale della sicurezza
nei luoghi di lavoro, Giuffré, Milano 2010. In precedenza la legge n. 146 del 16 marzo 2006, di ratifica
ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato
transnazionale, con la quale è stata introdotta la responsabilità delle persone giuridiche in relazione al
«reato transnazionale». Ai sensi dell’art. 3 è tale il reato che comporta il coinvolgimento di un gruppo
criminale organizzato, la cui pena non è inferiore nel massimo a quattro anni e che, in via alternativa sia
commesso: a) in più di uno Stato; b) in un solo Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione,
pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; c) in uno Stato, ma sia implicato un
gruppo criminale organizzato, impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) in un uno Stato,
ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato. La responsabilità delle persone giuridiche ai sensi del
d.lgs. 231/2001 è espressamente prevista dall’art. 10 della l. 146/2006, il quale indica la tipologia delle
sanzioni applicabili. Per un commento critico all’estensione della responsabilità degli enti in relazione al
reato transnazionale si veda S. Bartolomucci, «Reato transnazionale»: ultima (opinabile) novellazione al
d.lgs. n. 231/2001, in «Le società», 9, 2006, p. 1163 ss. In generale sul crimine transnazionale si veda A.
Martino, Criminalità organizzata e reato transnazionale, diritto penale nazionale: l’attuazione in Italia
della c.d. Convenzione di Palermo, in «Diritto penale e processo», 1, 2007, p. 15 ss. Prima di allora, la
legge n. 7 del 9 gennaio 2006 aveva introdotto la responsabilità degli enti per il reato di mutilazioni
genitali femminili, previsto all’articolo 583 bis del codice penale. Tale estensione desta qualche perplessità
con riferimento agli obiettivi che il legislatore aveva dichiarato di perseguire mediante l’introduzione
della responsabilità amministrativa dipendente da reato: nella relazione al decreto legislativo si legge,
infatti, che «il legislatore delegante aveva di mira la repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento
di attività di natura squisitamente economica e cioè assistite da fini di profitto». Cfr. Relazione al decreto
legislativo n. 231/2001 in appendice al testo di Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti
amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 380. Il reato di mutilazioni genitali femminili difficilmente
si inserisce in questa prospettiva, così come risulta dall’articolo 1 della l. 7/2006 in cui è chiaramente
statuito che le pratiche suddette costituiscono violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della
270 E. Pavanello
La persona giuridica non risponde nel caso in cui le persone fisiche individuate
abbiano agito nel proprio esclusivo interesse o di terzi: la norma è espressione del
principio secondo cui laddove la persona fisica abbia potuto giovarsi della struttura
dell’ente per trarne esclusivo personale vantaggio, la persona giuridica non possa e
non debba rispondere dell’illecito essendo stata semplice occasione per la commis-
sione del reato. In questi casi occorre infatti prendere atto che la condotta illecita
costituisce addirittura deviazione rispetto all’attività dell’ente collettivo15.
Sulla congruità, tuttavia, dei concetti di interesse e vantaggio per ascrivere i fatti
di reato all’ente forti dubbi sono stati avanzati e, a ragione, dalla dottrina: difficile
immaginare, soprattutto per le ipotesi di reato colposo recenetemente introdotte,
che si possa (sempre) ravvisare un interesse o vantaggio dell’ente. Sarebbe stato pro-
babilmente più opportuno sancire che la responsabilità viene in gioco quando la
persona fisica ha agito «per conto» dell’ente, analogamente ad esempio a quanto
previsto dall’ordinamento francese, ovvero ha agito nello svolgimento delle proprie
funzioni16.
Sotto il profilo soggettivo, il legislatore indica i criteri di attribuzione della re-
sponsabilità che sono diversificati a seconda del soggetto che ha commesso il reato.
In particolare si distinguono due ipotesi. Laddove il reato sia stato posto in essere dai
soggetti che si collocano in posizione apicale – coloro che, secondo un criterio oggettivo
funzionale, rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione
dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia funzionale e finanzia-
ria, nonché quei soggetti che esercitano, di fatto, la gestione e il controllo dell’ente
stesso17 – l’ente non risponde (unicamente) se dimostra di aver adottato ed efficace-
mente attuato «modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della spe-
cie di quello verificatosi»(art. 6). La ragione di questa «presunzione» di responsabilità18
va rinvenuta nel fatto che, normalmente, il soggetto in posizione apicale è espressio-
15
Cfr. Selvaggi, L’interesse dell’ente collettivo quale criterio di iscrizione della responsabilità da reato, cit.,
p. 181.
16
P. Aldrovandi, I «modelli di organizzazione e di gestione» nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: aspetti
problematici dell’«ingerenza penalistica» nel «governo» delle società, in «Rivista trimestrale di diritto penale
dell’economia», 3, 2007, p. 481. V. Selvaggi, L’interesse dell’ente collettivo quale criterio di iscrizione della
responsabilità da reato, cit., p. 116 ss., il quale mette in guardia sui rischi di eccessiva estensione della
responsabilità dell’ente attraverso il criterio dell’aver agito per conto della persona giuridica.
17
Alla stregua di questa definizione, sono esclusi dalla categoria i sindaci, i quali svolgono funzioni di
controllo ma non di effettiva gestione. Sul punto si vedano Ambrosetti, Efficacia della legge penale nei
confronti delle persone, cit., p. 198 e Mereu, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi e i criteri di
attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, cit., p. 50-51.
18
Cerqua, La responsabilità amministrativa degli enti collettivi: principi generali e prime applicazioni
giurisprudenziali, cit., p. 162 ritiene che la scelta del legislatore di introdurre un’inversione dell’onere
della prova a carico dell’ente sia dovuta ad esigenze garantiste, al fine di poter recuperare una dimensione
di colpevolezza ed evitare sin troppo semplici automatismi di imputazione della condotta illecita
dell’amministratore alla società.
L’ordinamento italiano 273
ne della politica di impresa: solo laddove sia dimostrato che detta politica differisce
dall’operato del singolo soggetto fisico, l’ente andrà esente da responsabilità.
Quando, invece, la fattispecie criminosa sia stata posta in essere da soggetti sotto-
posti all’altrui direzione o vigilanza – soggetti che sono inquadrati all’interno dell’ente
in uno stabile rapporto di lavoro subordinato o che comunque ancorch’è non dipen-
denti dell’ente svolgano un determinato incarico sotto la direzione o il controllo dei
vertici dell’ente stesso19 – l’ente risponde del reato unicamente se la sua realizzazione
è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi connessi alle funzioni di direzio-
ne e vigilanza. L’inosservanza è esclusa se l’ente prima della commissione del reato ha
adottato ed attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire il reato.
Come si può arguire, elemento centrale nella nuova normativa è costituito dai
modelli organizzativi che laddove siano stati efficacemente predisposti e attuati pri-
ma della commissione del reato sono in grado di escludere la responsabilità dell’ente;
qualora invece siano adottati ex post (purché prima dell’apertura del dibattimento),
incidono sull’entità e sulla natura della pena applicabile all’ente20.
Le sanzioni cui può essere sottoposto l’ente sono disciplinate nella sezione ii del
d.lgs. 231/2001 (art. 9-22) e si distinguono in sanzioni generali (sanzione pecuniaria
e confisca); speciali, applicabili solo in occasione della commissione di determinati
illeciti, (misure interdittive) e accessorie (pubblicazione della sentenza di condanna).
La sanzione pecuniaria è disciplinata dagli articoli 10-12 del decreto sulla base
del meccanismo delle quote. Essa è strutturata in maniera tale che il Giudice, per
procedere alla determinazione della pena in concreto, debba passare attraverso due
distinti momenti valutativi: nel primo, determinerà il numero delle quote − che non
19
In questo senso in dottrina, tra gli altri, Mereu, La responsabilità «da reato» degli enti collettivi, cit.,
p. 53 e Garavaglia, La responsabilità amministrativa da reato, cit., p. 387. Contra, Gennai, Traversi,
La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 43. In giurisprudenza,
da segnalare l’ordinanza del Tribunale di Milano del 27 aprile 2004, con la quale è stato definito
come «sottoposto» ai sensi dell’art. 5, 1 comma, lett. b) un ex dipendente, divenuto successivamente
consulente esterno all’azienda. Critico rispetto a questa decisione F. Pernazza, Commento ad ordinanza
Tribunale di Milano 27 aprile 04, in «Le società», 2004, p. 1283 ss., nonché L. Antonetto, Sistemi
disciplinari e soggetti sottoposti ex d.lgs.231/2001, in «La responsabilità amministrativa delle società e
degli enti», 4, 2006, p. 70, <http://www.rivista231.it/>.
20
Sul ruolo e sulla qualificazione dogmatica dei modelli di prevenzione si veda G. Cocco, L’illecito degli
enti dipendente da reato ed il ruolo dei modelli di prevenzione, in «Rivista italiana di diritto e procedura
penale», 2004, p. 90 ss., nonché A. Nisco, Responsabilità amministrativa degli enti: riflessioni sui criteri
ascrittivi «soggettivi» e sul nuovo assetto delle posizioni di garanzia delle società, in «Rivista trimestrale di
diritto penale dell’economia»,1-2, 2004, p. 295 ss., con particolare riferimento al ruolo svolto da tali
modelli in relazione all’individuazione dell’elemento soggettivo della condotta.
274 E. Pavanello
potrà essere inferiore a cento né superiore a mille − tenendo conto della gravità del
fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare
o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeci-
ti; nel secondo, invece, il Giudice fisserà il valore della singola quota − valore che può
andare da un minimo di duecentocinquanta a un massimo di millecinquecento euro
− tenendo in considerazione le condizioni economiche e patrimoniali dell’ente. La
previsione de qua si rivela quanto mai opportuna per garantire efficacia alla sanzione
pecuniaria che, ove non sia adeguatamente calibrata alle dimensioni e alle capacità
dell’ente21, rischierebbe di rivelarsi un mero costo di impresa (rischio che comunque
sussiste laddove sia irrogata la sola sanzione pecuniaria che potrebbe essere iscritta al
bilancio dell’ente al pari di altri costi di gestione dell’impresa). Nelle singole fattispe-
cie di reato previste agli articoli 24 e seguenti del decreto sono indicati gli intervalli
edittali delle quote associati alla singola figura di reato: così, ad esempio, nel caso
di concussione e corruzione il giudice potrà applicare la sanzione pecuniaria fino a
duecento quote.
La confisca, vera e propria sanzione a carattere generale, è disciplinata all’art. 19
e costituisce la «preoccupazione» maggiore per gli enti sottoposti a indagine22. Essa
consegue infatti obbligatoriamente alla sentenza di condanna e ha ad oggetto il prez-
zo o il profitto del reato, senza estendersi al patrimonio dell’impresa. Con la sentenza
2 luglio 2008, n. 26654, le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che «il
profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca disposto – ai sensi degli
artt. 19 e 53 d.lgs. 231/2001 – nei confronti dell’ente collettivo, è costituito dal vantag-
gio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente
determinato al netto della effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato,
nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente». In altre parole, per individuare il
profitto si deve tenere conto dell’insieme dei vantaggi economici tratti dall’illecito a
questo strettamente pertinenti, dovendosi escludere, invece, il ricorso a criteri azien-
dalistici di profitto che imporrebbero di dedurre gli eventuali costi affrontati per la
realizzazione del reato23. Obiettivo del legislatore è impedire che l’ente possa godere
21
Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, cit., p. 159 ritiene che il meccanismo di commisurazione
sulla base delle quote sia «il maggior pregio della disciplina relativa alla pena pecuniaria». Parlano di un
sistema che consente una commisurazione «equa» della pena G. Fornasari, A. Meneghini, Percorsi
europei di diritto penale, cedam, Padova 2005, p. 203.
22
L. Pistorelli, Il profitto oggetto di confisca ex art. 19 d.lgs. 231/2001 nell’interpretazione delle Sezioni
Unite della Cassazione, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 4, 2008, p. 136,
<http://www.rivista231.it/>.
23
La sentenza è pubblicata in «Diritto penale e processo», 10, 2008, p. 1263 ss. Condivide la scelta
effettuata dalla Suprema Corte Pistorelli, Il profitto oggetto, cit., p. 146-147, poiché la sentenza nel
respingere in radice l’alternativa tra profitto lordo e profitto netto e nel riaffermare per converso il criterio
di diretta pertinenzialità come unico parametro di selezione dell’oggetto della confisca, ha restituito al dato
normativo un contenuto sufficientemente preciso. Analogamente, Epidendio, La nozione di profitto oggetto
L’ordinamento italiano 275
dei frutti derivanti dall’illecito commesso nel suo interesse o vantaggio ed evidente-
mente arginare la spinta alla criminalità del profitto24.
Quanto alle sanzioni interdittive, esse sono espressamente elencate nell’art. 9,
secondo comma e consistono nell’interdizione dall’esercizio dell’attività, nella so-
spensione o nella revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla
commissione dell’illecito, nel divieto di contrattare con la pubblica amministrazio-
ne25, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, nell’esclusione da
agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi o nell’eventuale revoca di quelli già
concessi e nel divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Le misure de quibus, all’interno delle quali non rientra la chiusura dello stabili-
mento o della sede commerciale26, hanno la finalità di privare di un determinato di-
ritto o di una capacità l’ente e ben si affiancano alla sanzione pecuniaria che, da sola,
potrebbe rivelarsi inefficace o addirittura controproducente in quanto rischierebbe di
riversarsi sull’utente-consumatore27.
Le sanzioni interdittive possono avere carattere temporaneo con durata compresa
da tre mesi a due anni e, in casi di particolare gravità, possono essere disposte in via
definitiva. Presupposto per la loro applicazione è che l’ente abbia tratto dal reato un
profitto di rilevante entità ovvero vi sia reiterazione degli illeciti28, mentre la loro
di confisca a carico degli enti, in «Diritto penale e processo», 10, 2008, p. 1267 ss., ritiene pregevole la
soluzione ermeneutica delineata dalla Suprema Corte anche se mette in guardia circa le difficoltà di
concretamente determinare la parte di profitto derivante dal reato rispetto a quella derivante dall’attività
lecita di impresa. In relazione a questo ultimo aspetto, A. Rossetti, La nozione di profitto oggetto di
confisca a carico degli enti, in «Diritto penale e processo», 10, 2008, p. 1281 ss., ritiene che si possa
parlare di un temperato accoglimento del c.d. «principio del netto».
24
Guerrini, La responsabilità da reato degli enti, cit., p. 182.
25
Il Consiglio di Stato, con decisione adottata all’adunanza della sezione terza dell’11 gennaio 2005, in
relazione al Parere richiesto dal Ministero delle Attività Produttive in materia di applicazione delle misure
cautelari interdittive previste dagli art. 45 e ss. del d.lgs. 231/2001, ha chiarito con specifico riferimento
al divieto di contrattare con la pubblica amministrazione che la nozione di pubblica amministrazione
deve intendersi comprensiva dell’insieme di tutti i soggetti, ivi inclusi i privati concessionari di servizi
pubblici, le imprese pubbliche e gli organismi di diritto pubblico secondo la terminologia comunitaria,
che sono chiamati ad operare, in relazione all’ambito di attività considerato, nell’esercizio di una
pubblica funzione. La decisione è rinvenibile in «La responsabilità amministrativa delle società e degli
enti», Giurisprudenza, <http://www.rivista231.it/>.
26
Non condivide la scelta G. De Marzo, Le sanzioni amministrative: pene pecuniarie e sanzioni
interdittive, in «Le società», 11, 2001, p. 1314. Analogamente, Guerrini, La responsabilità da reato degli
enti, cit., p. 170, rileva che la normativa contenuta nel decreto aspira comunque a porsi come disciplina
a carattere generale con riferimento alla responsabilità degli enti e che, in ogni caso, la sanzione de
qua avrebbe potuto contribuire ad evitare la reiterazione di illeciti legati alle particolari condizioni
ambientali in cui opera l’ente stesso.
27
Così Lottini, Il sistema sanzionatorio, in Responsabilità degli enti, a cura di G. Garuti, cit., p. 153.
28
Cfr. art. 13 d.lgs. 231/2001.
276 E. Pavanello
Nel commentare il nuovo decreto gli studiosi si sono divisi nel qualificare la re-
sponsabilità come amministrativa, penale o di terzo genere30, e a seconda della tesi
sostenuta hanno privilegiato taluni elementi presenti nel dettato normativo piuttosto
che altri. Non si intende qui ripercorrere in maniera approfondita gli iter interpre-
tativi seguiti − altri l’hanno già fatto in modo esaustivo31 − ma si richiameranno
brevemente i termini della questione.
Parte della dottrina ha ritenuto che la responsabilità introdotta sia amministra-
tiva32 sulla base del nomen juris che la legge attribuisce alla stessa: si parla, infatti, di
29
Le ipotesi di riduzione della sanzione pecuniaria sono correlate al fatto che il reato sia stato commesso
dal soggetto persona fisica nel prevalente interesse proprio o di terzi o che il danno patrimoniale
cagionato sia di particolare tenuità o ancora al fatto che prima dell’apertura del dibattimento l’ente
abbia risarcito il danno ed abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal fatto di
reato o si sia dotato di un modello organizzativo idoneo atto a prevenire reati della specie di quello
verificatosi.
30
Pulitanò, voce Responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche, cit., p. 954 ha ritenuto
comunque irrilevante la questione della qualificazione circa la tipologia della responsabilità: a suo avviso
infatti «la classificazione come “penale” o “amministrativa” si riduce a mera questione accademica».
31
Pasculli, La responsabilità da reato degli enti collettivi nell’ordinamento italiano, cit., p. 128 ss.
32
Si confrontino in particolare Romano, La responsabilità amministrativa degli enti, società e associazioni:
L’ordinamento italiano 277
come, in taluni casi, il legislatore preveda testualmente che il reato sia commesso
dall’ente (artt. 28-30 d.lgs.)35. Da un punto di vista procedurale, poi, l’accertamento
della responsabilità si realizza attraverso e nel procedimento penale36: il che induce
a ritenere che il complesso apparato del processo penale e il rispetto delle garanzie37
previste nel processo stesso, siano indubbio sintomo di una responsabilità schietta-
mente penalistica.
Inoltre, sotto il profilo sostanziale, l’articolo 8 del decreto prevede la possibilità
di condannare la persona giuridica anche laddove l’autore del reato non sia stato
identificato o quando il reato si estingua per causa diversa dall’amnistia. Se la respon-
sabilità della persona giuridica è indipendente da quella della persona fisica, essa deve
necessariamente avere carattere penale in quanto, se così non fosse, si assisterebbe al
paradosso dell’archiviazione della notitia criminis per la persona fisica che non è stata
identificata o che non è imputabile e al contestuale proseguimento del procedimento
penale a carico dell’ente allo scopo di accertare la sua responsabilità amministrativa38.
Anche l’istituzione di un’anagrafe nazionale delle sanzioni applicate alle persone giu-
ridiche presso il casellario giudiziale depone nel senso di una responsabilità penale
dell’ente, attesa la funzione del casellario di documentare i precedenti penali di ogni
soggetto39.
Oltre a ciò, il sistema sanzionatorio, fortemente affittivo, sarebbe di chiara natura
penale. In particolare, la possibilità di punire l’ente anche in caso di tentativo costi-
tuisce un’anticipazione di tutela che può essere giustificata unicamente in relazione
ad una responsabilità di carattere penale40.
Alla stregua di tali argomentazioni, non pare seriamente dubitabile che vi sia una
capacità dell’ente di vedersi ascritta una responsabilità penale e ciò a prescindere dalla
qualificazione «formale» in senso amministrativo effettuata dal legislatore, dovuta
probabilmente alla difficoltà di giustificare l’inversione dell’onere della prova della
35
Patrono, Verso la soggettività penale di società ed enti, cit., p. 188.
36
Contra Marinucci, Societas puniri potest: uno sguardo sui fenomeni e sulle discipline contemporanee, cit.,
p. 1202, il quale non considera l’accertamento nel processo penale elemento decisivo. A parere dello
Studioso, infatti, la sanzione amministrativa può essere ben inflitta anche nel corso di un procedimento
penale, come avveniva già in passato in caso di connessione obiettiva di un illecito amministrativo con
un reato.
37
In particolare, l’art. 35 del decreto prevede l’applicazione delle garanzie previste in favore dell’imputato
all’ente in quanto compatibili. Sul punto R. Garofoli, Manuale di diritto penale Parte generale, Giuffré,
Milano 2005, p. 194. A. Cadoppi, P. Veneziani, Manuale di diritto penale, cedam, Padova 2005, p. 225.
38
Sul punto si veda in particolare Amarelli, Mito giuridico ed evoluzione della realtà: il crollo del principio
societas delinquere non potest, cit., 972 ss.
39
Patrono, Verso la soggettività, cit., p. 188.
40
Amarelli, Mito giuridico ed evoluzione della realtà: il crollo del principio societas delinquere non potest,
cit., 972 ss.
L’ordinamento italiano 279
colpa, per i fatti commessi dai soggetti apicali, che mal si concilia con il principio
della presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Costituzione41.
Per parte nostra si ritiene di condividere questa seconda impostazione: la soluzio-
ne compromissoria «pubblicizzata» dal legislatore non pare convincente in quanto
esistono i presupposti sostanziali e procedurali affinché si possa parlare di una vera e
propria responsabilità penale. A ciò si aggiunga che il progetto di riforma del codice
penale elaborato dalla Commissione Pisapia ha espressamente previsto, all’articolo
56, l’introduzione di un modello di responsabilità degli enti alla stregua del d.lgs.
231/2001 nel codice penale, previa l’eliminazione dei riferimenti a una responsabili-
tà di natura amministrativa42. Inoltre, di recente la stessa Suprema Corte ha statuito
che, «ad onta del nomen juris, la nuova responsabilità, nominalmente amministrativa,
dissimula la sua natura sostanzialmente penale»43.
Per completezza, non si nasconde comunque che vi è chi, mostrando di condi-
videre l’impostazione adottata dal legislatore44, ha ritenuto che gli elementi sin qui
menzionati a sostegno dell’una o dell’altra lettura non siano decisivi e che, per tale
ragione, sia più opportuno parlare di una responsabilità che si colloca a metà strada
e che è partecipe della natura di entrambi gli illeciti45.
41
Donini, Il volto attuale dell’illecito penale, Giuffré, Milano 2004, 47-48, a parere del quale oggi è
possibile definire il reato come fatto tipico, antigiuridico e colpevole, di una persona fisica o giuridica,
sanzionato con la pena.
42
Il Progetto Pisapia (articolato e relazione) è disponibile nel sito <http://www.giustizia.it>. Per l’analisi
del Progetto con riferimento alla responsabilità degli enti si veda in questo capitolo il paragrafo 10.
43
Cass., sez. ii, 30 gennaio 2006, n. 3615 citata da C.E. Paliero, La responsabilità degli enti: profili di
diritto sostanziale, in A. Alessandri, E. Amodio, G. Forti, P. Marchetti, M. Monadi, G. Grossi, S.
Seminara, Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, vol. xxv, Giuffré, Milano 2009, p. 281.
44
Nella relazione alla legge delega si legge infatti testualmente che la responsabilità così delineata diverge
in non pochi punti dal paradigma di illecito amministrativo (così ad esempio per il fatto che è legata alla
commissione di un reato e che sono state attribuite tutte una serie di garanzie tipicamente penali nel
processo) delineato dalla l. 689/81, con la conseguenza che esso dà luogo alla nascita di un tertium genus
«che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo». Relazione, cit., p. 377.
45
Così Bertonazzi, Il d.lgs. n. 231 del 2001 e il nuovo modello sanzionatorio dei soggetti collettivi, cit., p.
1174, in particolare sub nota n. 12, il quale ritiene che ostacoli di ordine costituzionale impediscano di
qualificare la responsabilità come penale, ma che il modello sanzionatorio originale e innovativo diverga
altresì dal paradigma racchiuso nella l. 689/81. L’autore testualmente ritiene che «la soluzione che si è
preferita in ordine alla natura giuridica della “responsabilità amministrativa” dei soggetti collettivi, oltre a
rendere il d.lgs. 231 del 2001 compatibile con il quadro costituzionale, [...] appare altresì rispettosa del dato
letterale e dell’intenzione del legislatore». Analogamente G. Flora, Le sanzioni punitive nei confronti delle
persone giuridiche: un esempio di «metamorfosi» della sanzione penale?, in «Diritto penale e processo»,
11, 2003, p. 1399, N. Monfreda, D.lvo. n. 231/2001: l’ambito soggettivo di applicazione alla luce della
sentenza n. 18941/2004 della Corte di Cassazione, in «Rivista Penale», 12, 2005, p. 1306; Ambrosetti,
Efficacia della legge penale nei confronti delle persone, cit., p. 191 e De risio, Societas delinquere potest?,
cit., p. 1160 a parere del quale sembra «invalicabile il limite naturalistico che si pone come uno degli
indefettibili presupposti della responsabilità penale», cosicché potrebbe parlarsi di responsabilità penale
soltanto «se astrattamente risulti applicabile anche la sanzione principe del diritto penale, cioè la restrizione
280 E. Pavanello
4. L’esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti che svolgono funzioni
costituzionali.
Gli enti pubblici sono soggetti dotati della capacità di diritto pubblico e sono
sottoposti a un regime giuridico peculiare e diverso rispetto a quello che impone il
diritto comune. Si tratta di enti che costituiscono, insieme agli organi amministrativi
dello Stato, l’amministrazione pubblica in senso soggettivo79 e sono, quindi, deputati
alla cura degli interessi pubblici. Essi derivano i loro poteri direttamente dallo Stato,
75
Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 76.
76
Ivi, p. 75 ss.
77
In questo senso, tra gli altri, M. Riverditi, La responsabilità degli enti: un crocevia tra repressione e
special prevenzione, Jovene, Napoli 2009, p. 142.
78
De Simone, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la «parte generale» e
la «parte speciale» del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, cit., p. 84 ha rilevato che la soluzione avrebbe potuto
essere diversa, analogamente a quella adottata dal codice penale francese, attraverso la previsione di una
responsabilità anche di tali enti ma con l’esclusione di determinate sanzioni particolarmente invasive
per la «vita» di detti organismi.
79
Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 293. L’amministrazione in senso soggettivo va
intesa come l’insieme dei soggetti giuridici pubblici e degli organi che sono competenti a curare gli
interessi dei soggetti pubblici.
288 E. Pavanello
sulla base del cosiddetto criterio gerarchico (dall’ente Stato vengono fatti derivare i
poteri degli enti ad esso subordinati) o, in un’altra concezione, dall’ordinamento nel
suo complesso.
L’ente pubblico deve svolgere l’attività amministrativa in adempimento della cura
di un interesse generale che fa capo alla comunità nel suo complesso, ritenuto me-
ritevole da parte dell’ordinamento, il quale ne garantisce i soggetti e i modi in cui
deve essere curato80. L’attività dell’ente pubblico si distingue, quindi, da quella di
un ente privato, poiché qui manca l’autonomia di scelta degli interessi da curare e
delle modalità attraverso cui farlo: l’interesse è pubblico e le modalità attraverso cui
perseguirlo sono fissate dalla legge.
Gli enti pubblici sono, inoltre, sottoposti a un regime giuridico particolare che
implica, innanzitutto, che gli stessi debbano necessariamente essere costituiti per
legge, abbiano il potere di auto-organizzarsi attraverso atti amministrativi e possano
darvi attuazione tramite provvedimenti autoritativi, esecutivi ed esecutori. Inoltre,
gli enti pubblici sono investiti di poteri di cura di interessi collettivi81.
La categoria degli enti pubblici comprende al suo interno soggetti giuridici as-
sai diversi, tant’è che la dottrina che si è occupata del tema non è stata in grado di
darne una definizione unitaria, attesa l’impossibilità di ricondurre ad unico modello
le figure in cui lo stesso si articola82. Autorevole dottrina ha ritenuto comunque che
possa escusivamente definirsi pubblico l’ente «la cui esistenza è considerata necessaria
dall’ente territoriale che vi intrattiene rapporti»83. In generale è possibile affermare che
l’ente viene considerato pubblico, in assenza di una esplicita previsione legislativa, in
ragione dei fini perseguiti (se un ente persegue fini di carattere pubblico, esso potrà
essere qualificato in senso pubblicistico), del regime dei controlli cui l’ente è sotto-
posto (sono pubblici quegli enti che sono assoggettati a controlli che assicurano la
rispondenza della loro azione alla tutela dell’interesse pubblico loro affidato) e del
controllo sulla gestione economica (sono pubblici quegli enti il cui rendiconto è sot-
toposto all’approvazione da parte di organi statali o regionali)84. Altro indice rivela-
tore della pubblicità è l’esistenza di una particolare relazione organizzativa con l’ente
territoriale da cui dipende: si guarderà, quindi, alle modalità di nomina dei titolari
degli organi, al potere di controllo e di direzione dell’attività o di conferimento dei
80
V. Ottaviano, voce Ente pubblico, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1965, xiv, p. 964-965: «l’ente
per essere pubblico deve svolgere, anzitutto, attività amministrativa […] attività questa esercitata
nell’adempimento di un dovere ad al fine della cura di un interesse collettivo»; «per converso l’attività
privata presuppone che chi la compie goda di autonomia, sicchè egli sarà libero di scegliere gli interessi
da tutelare e il come e il quando farlo».
81
Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., 293 ss.
82
Ivi, p. 289 ss.
83
G. Rossi, voce Ente Pubblico, in Enciclopedia giuridica Treccani, aggiornamento, xii, Istituto
dell’Enciclopedia italiana Giovanni Treccani, Roma 2004, p. 20
84
A. Bardusco, voce Ente Pubblico, in Digesto delle discipline pubblicistiche, iii, utet, Torino 1993, p. 70.
L’ordinamento italiano 289
mezzi finanziari. Solo laddove gli indici rivelatori depongano tutti nello stesso senso,
sarà possibile classificare l’ente come pubblico85.
Come detto, il legislatore delegante all’interno della categoria degli enti pubblici,
ha ritenuto di escludere gli enti che esercitano pubblici poteri (di cui peraltro non è
stata fornita alcuna definizione): per stabilire quando un ente sia destinatario della
responsabilità dipendente da reato, il legislatore delegato avrebbe dovuto guardare,
quindi, non alle funzioni dallo stesso esercitate bensì alla natura dei poteri di cui è
dotato.
Non così è avvenuto. Il Governo, infatti, ha escluso tutti gli enti pubblici non
economici indipendentemente dall’esercizio di pubblici poteri. Per quanto concerne
gli enti associativi, il Governo ha ritenuto, in particolare, che la loro controversa
qualificazione non ne consigliasse la sottoposizione a responsabilità. Peraltro, a pa-
rere dell’esecutivo, la loro esclusione non avrebbe generato particolari problemi in
quanto detti enti sono soggetti ad una progressiva privatizzazione che ne comporterà
l’estinzione a breve86. È rimasta così una zona grigia costituita, in via esemplificativa
ma non esaustiva, da enti pubblici associativi dotati di una disciplina negoziale «ma
a cui le leggi hanno assegnato natura pubblicistica per ragioni contingenti (aci, cri)»,
da enti associativi istituzionali come gli Ordini o i Collegi Professionali e da «enti
che erogano un pubblico servizio» che pur non esercitando pubblici poteri, sono stati
esclusi dall’applicaizione del decreto.
Sono stati del pari esclusi anche gli enti pubblici esercenti un pubblico servi-
zio. Sul punto, il legislatore delegante ha evidenziato come sarebbe stata di ostacolo
all’affermazione della loro responsabilità la previsione di sanzioni interdittive, con
conseguente scarico dei costi sulla collettività.
A tale assunto si può obiettare che si sarebbe comunque potuto diversificare la
risposta sanzionatoria, riservando a questi enti la sola sanzione pecuniaria87. La solu-
zione non ha evidentemente convinto il legislatore delegato il quale ha ritenuto che
nei confronti degli enti pubblici la sanzione pecuniaria non avrebbe sortito quell’ef-
fetto generale e special-preventivo che è in grado di spiegare nei confronti degli enti
privati più sensibili alla ragione economica. Inoltre, il novero dei reati (inizialmente)
indicati dal legislatore dà la misura della volontà del legislatore di colpire gli enti
nello svolgimento di attività puramente economiche.
85
Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2211.
86
Ivi, p. 2210 segnala che gli ultimi orientamenti legislativi, in particolare la legge finanziaria del 2003,
mostrano di perseguire l’obiettivo di un drastico assottigliamento della categoria degli enti pubblici
non indispensabili, con l’esclusione di quegli enti, istituti, agenzie e organismi che svolgono «compiti
di garanzia di diritti di rilevanza costituzionale, o che gestiscono a livello di primario interesse nazionale la
previdenza sociale, o che risultano essenziali per le esigenze della difesa o la cui natura pubblica è garanzia
per la sicurezza, o che svolgono funzioni di prevenzione e vigilanza per la salute pubblica».
87
In caso di società private che prestano servizi di pubblica necessità, il legislatore ha ovviato a questo
pericolo attraverso l’istituto del commissariamento di cui all’art. 15.
290 E. Pavanello
Queste le ragioni addotte per escludere tutti gli enti pubblici ad eccezione di
quelli economici: considerazioni di carattere pratico, di opportunità, ma non espres-
samente legate al criterio dei pubblici poteri indicato dal legislatore delegante.
Risulta, a nostro avviso, palese il difetto dell’attuazione della legge di delega nella
parte in cui ha circoscritto gli enti pubblici destinatari della normativa88. Occorrereb-
be a questo punto interrogarsi sull’opportunità di far valere l’incostituzionalità della
norma per difetto di delega: in dottrina v’è chi ha sostenuto che il difetto di esecu-
zione della legge delega non potrebbe confluire in una questione di costituzionalità89,
ma al contempo altri ha evidenziato che la prassi costituzionale è nel senso contrario
e che la disposizione determinerebbe, dal punto di vista penalistico, disuguaglianze
talmente gravi che non sarebbe eludibile l’affermazione della incostituzionalità della
scelta di includere soltanto alcuni enti pubblici90.
Guardando alle singole tipologie di enti esclusi, gli enti pubblici associativi sono
costituiti dall’associazione fra persone interessate alla loro attività91. Tra di essi mi-
litano enti che appartengono a quella zona grigia cui sopra si è fatto cenno ovvero
gli ordini e i collegi professionali, i quali sono sottoposti alla vigilanza del Ministero
della Giustizia ma sono dotati di autonomia ed indipendenza, sia sul piano organiz-
zativo che sul piano contabile.
Quanto, invece, agli enti che erogano servizi, si pensi a Università o ad Aziende
Sanitarie Locali92 o ad Aziende Autonome − aziende municipalizzate a livello statale
o locale93 − le quali ultime dispongono di soggettività giuridica. Di particolare rilievo
sembra quest’ultima categoria di enti pubblici i quali dispongono di un patrimonio
«separato» la cui titolarità resta in capo all’ente e la cui gestione è affidata all’azien-
da stessa. Si tratta di vere e proprie aziende che gestiscono attività imprenditoriali,
operano, come detto, in un sostanziale regime di diritto privato (sulla controversa
88
Nel senso che si tratta di soluzione di «dubbia costituzionalità«, Ielo, Società a partecipazione pubblica
e responsabilità degli enti, cit., p. 103.
89
Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse, cit., p. 2208.
90
Quasi testualmente, Riondato, Publica societas delinquere potest, cit., p. 4.
91
Sugli enti pubblici associativi si veda G. Rossi, Enti pubblici associativi, Jovene, Napoli 1979. Lo
studioso rileva come detti enti, costituiti da privati che tendono a curare gli interessi generali della
categoria di appartenenza, mettano in crisi i criteri di distinzione tra pubblico e privato. Queste figure
hanno infatti natura politica in quanto sono espressione della volontà degli individui e dei gruppi
di creare forme nuove e dirette di potere sociale ma offuscano la figura dello Stato rappresentativo
portatore di interesse generale, rispetto a enti particolari portatori di interessi particolari.
92
Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 307 ritiene che nonostante le asl siano deputate
ad erogare servizi sociali in forma imprenditoriale, all’inquadramento delle stesse nell’ambito degli enti
pubblici imprenditoriali ostano varie ragioni, ovvero la natura del servizio che le stesse sono chiamate
a svolgere, tipicamente sociale, lo scopo non lucrativo che le stesse perseguono e la circostanza che
esse assumono un ruolo di mera gestione esecutiva dei programmi fissati a livello statale o regionale.
Pertanto, esse devono più propriamente essere inquadrate nell’ambito degli «altri enti pubblici».
93
Per una analisi dell’evoluzione delle aziende municipalizzate, si veda ivi, p. 311-315.
L’ordinamento italiano 291
natura di tali aziende si è anche pronunciato il t.a.r. Friuli Venezia Giulia, il quale
si è interrogato sulla conciliabilità della «suddetta autonomia imprenditoriale, che do-
vrebbe accomunarle (le Aziende sanitarie) ad organizzazioni private tipiche di attività
a scopo di lucro, con il fine istituzionale di perseguimento dei livelli essenziali di assi-
stenza che, invece, la legge assegna alle aziende sanitarie, in quanto enti organizzativi
sub regionali»94, ma nonostante ciò sono, a rigori, esonerate dall’applicazione del
decreto in quanto tecnicamente non qualificabili come enti pubblici economici95.
Sul punto, autorevole dottrina ha rilevato che in relazione alle aziende sanitarie locali
o ospedaliere la limitazione di responsabilità si giustificherebbe innanzitutto per il
tipo di attività che le aziende predette svolgono, non di tipo economico tout court;
in secondo luogo, per l’assurdità di sanzionare con la pena pecuniaria un ente che si
troverebbe decurtato di fondi vincolati nella loro destinazione al raggiungimento dei
più alti livelli di assistenza e, in terzo luogo, in ragione della impossibilità di ipotizza-
re un reato commesso nell’interesse o vantaggio dell’ente. È piuttosto plausibile che
eventuali reati vengano commessi direttamente nell’interesse proprio (dei soggetti in
posizione apicale o dei dipendenti) o di terzi96.
Al di là di queste considerazioni desta comunque interesse la circostanza che, in
via sperimentale, il Governo regionale della Lombardia abbia previsto l’applicazione
del modello organizzativo 231/2001 a due Asl e a un’azienda ospedaliere. Pur non
considerando applicabile nei confronti di tali enti la nuova forma di responsabilità,
il Governo regionale ha ritenuto opportuno mutuare il contenuto dei modelli pre-
visti dal decreto quale ulteriore garanzia della migliore organizzazione e trasparenza
dell’operato delle aziende, definendone principi etici di comportamento97. Il sistema
di responsabilità di cui al d.lgs. 231/2001 finisce quindi per svolgere la propria fun-
zione (a carattere preventivo) anche nei confronti di enti espressamente esclusi dalla
sua applicazione.
94
Tar Friuli Venezia Giulia, 22 aprile 2003, n. 159, che dopo aver rilevato che le aziende sanitarie,
configurate come enti pubblici, sono dotate di una non meglio precisata autonomia imprenditoriale e
agiscono mediante atti di diritto privato, conclude nel senso che vi è una certa contraddittorietà nella
normativa inerente la loro attività latu sensu economica.
95
Per dovere di completezza si precisa peraltro che si sta assistendo al progressivo smantellamento delle
aziende autonome per far confluire l’attività di gestione di un servizio pubblico in capo ai cosiddetti
enti-impresa, i quali sono pur sempre creati pel tramite di un atto normativo da parte di Stato, Regioni
o enti pubblici e, quindi sotto il profilo organizzativo sono caratterizzati in senso pubblicistico, ma in
relazione al tipo di attività esercitata e alla gestione della stessa si caratterizzano in senso privatistico.
96
A. Rossi, Responsabilità «penale-amministrativa» delle persone giuridiche (profili sostanziali), in Reati
societari, a cura di A. Rossi, utet, Torino 2005, p. 520 ss.
97
Al riguardo di veda P. Previtali, L’applicazione del d.lgs. 231/2001 in sanità. Il caso delle aziende
sanitarie e ospedaliere lombarde, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», Interventi,
2007, <http://www.rivista231.it/>.
292 E. Pavanello
non sono economici) non possono essere equiparati agli omologhi privati che svol-
gano analoghe attività. Negli enti pubblici permarrebbe un elemento differenziatore,
consistente nel dovere istituzionale di svolgere una determinata attività o di prestare
un certo servizio con la conseguenza che l’applicazione nei loro confronti di sanzioni
interdittive potrebbe rivelarsi controproducente103.
La nozione di ente pubblico nel decreto andrebbe, quindi, caratterizzata sulla
base del criterio di attribuzione dei poteri autoritativi all’ente che lo pongono in una
posizione di superiorità rispetto ai privati e che portano a qualificare la sua attività
come di diritto amministrativo, in quanto tale insindacabile dalla giurisdizione ordi-
naria. Il tipo di attività svolta, economica o meno, avrebbe rilievo solo in un secondo
momento qualora, a fronte della qualificazione dell’ente in senso pubblicistico, essa
possa essere considerata squisitamente privatistica, sia per le finalità lucrative che
persegue sia per gli strumenti che utilizza nel farlo104. Tuttavia, in questo modo, si
attribuisce rilievo ad un criterio – quello dell’economicità, pubblicizzato anche dal
legislatore che nella relazione aveva espressamente indicato come il legislatore dele-
gante aveva di mira la repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento di attività
di natura squisitamente economica e cioè assistite da fini di profitto – che viene con-
traddetto in altre parti del decreto, laddove ad esempio si consente di perseguire enti
che per statuto non dispongono di scopi di lucro o ancora si perseguono le persone
giuridiche per il reato di mutilazioni genitali femminili.
6. L’applicazione del decreto agli enti pubblici economici e agli enti privati di interesse
pubblico.
Gli unici enti pubblici cui è applicabile la normativa in discorso sono gli enti
pubblici economici, i quali ai sensi dell’art. 2201 del codice civile, «hanno per oggetto
esclusivo o principale un’attività commerciale». È da ritenere che proprio per questa ra-
gione essi siano stati inclusi tra i destinatari della normativa. Infatti, non vi sarebbero
rischi di indebita ingerenza dell’autorità giudiziaria in decisioni politiche e, d’altro
condivisibile, soprattutto in relazione all’ampia categoria di enti che erogano un servizio pubblico e che,
a seconda della loro qualificazione, possono essere destinatari della normativa o meno.
103
Travi, La responsabilità della persona giuridica nel d.lgs. n. 231/2001: prime considerazioni di ordine
amministrativo, cit., p. 1306.
104
Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 79. Contra, Di Giovine, Lineamenti sostanziali
del nuovo illecito punitivo, cit., p. 37, a parere della quale, invece, il legislatore ha inteso circoscrivere
l’area dell’intervento agli enti mossi da finalità lucrative, lasciandosi guidare dalla qualificazione
oggettivo funzionale piuttosto che dalla soggettività pubblica o privata dell’ente. Si veda Ruggiero,
Capacità penale e responsabilità degli enti, cit., p. 29, nel senso che il fatto che l’ente eserciti un’attività
economica non sarebbe comunque sufficiente a far venir meno l’esercizio di pubblici poteri da parte
dell’ente pubblico.
294 E. Pavanello
canto, gli enti de quibus sarebbero sensibili all’applicazione di una sanzione pecunia-
ria in quanto esercenti un’attività economica105.
Detti enti, pur non disponendo di poteri autoritativi, sono comunque dotati di
potestà pubbliche, quali la potestà di certificazione, il potere di autoorganizzazione
interna e la prerogativa dell’autotutela (caratteri questi che normalmente attengono
agli enti pubblici).
All’interno della categoria, la cui individuazione non è piana106, vengono normal-
mente distinti enti di gestione delle partecipazioni azionarie (quali iri ed eni) ed enti
di produzione veri e propri che, a differenza degli enti locali, sorgono per la tutela e
la gestione di un solo interesse.
Essi sono stati sottoposti, soprattutto negli ultimi anni, a penetranti modifiche
che hanno condotto alla loro trasformazione in società di diritto privato107 e poi alla
loro sostanziale estinzione108. Pochi, infatti, gli esempi di enti pubblici economici che
si possono oggi menzionare, tra cui ricordiamo l’Agenzia del Demanio, ente pubbli-
co ai sensi dell’art. 61 d.lgs. 300/1999109.
L’unica tipologia di ente incluso tra i destinatari del decreto di rilevanza pubbli-
cistica ha forse ben poco di pubblico poiché, al di là della qualificazione formale,
105
Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 77-78.
106
Nell’opinione di Fares, La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse,
cit., p. 2203, in particolare sub nota 4-bis sono economici gli enti pubblici comunque denominati
operanti nel campo della produzione e dediti ad attività prevalentemente o esclusivamente economica.
107
Casetta, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 229 e N. Irti, L’ordine giuridico del mercato,
glf Editori Laterza, Roma-Bari 2003, p. 159 ss., il quale ricostruisce sotto il profilo storico il
«destino» dell’ente pubblico economico. In particolare con la l. 359/1992 si è dato avvio al processo
di privatizzazione per trasformare gli enti pubblici economici in società per azioni. Con tale legge
sono stati trasformati in società di diritto privato, l’iri, l’eni, l’ina e l’enel. È da precisare che, alla
luce di certa giurisprudenza e di certa dottrina, non è pacifica nemmeno la qualificazione nel senso
pubblicistico o privatistico della società che consegue alla trasformazione dell’ente pubblico economico:
infatti, secondo quanto sostenuto, ad esempio, dal Consiglio di Stato con la decisione 1206/2001, le
Poste Italiane Spa sono soggetto di diritto pubblico in quanto al di là della loro veste formale, ovvero
società di diritto speciale, esse sono ancora interamente possedute dallo Stato, deputate al conseguimento
di finalità pubblicistiche e soggette ai poteri decisionali e di controllo esercitati dall’unico azionista.
Critico rispetto a questa prospettiva Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 334 ss. poiché,
anche se si può concordare sul fatto che dette società presentino indubbi connotati pubblicistici, esse
comunque svolgono attività privatistica e sono assoggettati alle norme di diritto comune.
108
Tendenza vieppiù rafforzata dalla legge finanziaria del 2003 il cui articolo 34 ha disposto la
soppressione di tutti gli enti pubblici che non abbiano come missione la tutela di diritti fondamentali,
quali previdenza ed assistenza. Sul punto si confronti Fares, La soppressione degli enti pubblici nella legge
finanziaria 2003, in «Studium Iuris», 2003, p. 291 ss.
109
V. Ottaviano, voce Ente pubblico economico, in Digesto discipline pubblicistiche, vi, utet, Torino
1993, p. 87 elenca, inoltre, tra gli enti pubblici economici l’Istituto centrale per il credito a mediotermine
in favore di medie e piccole industrie, gli istituti regionali quali l’irfis o il cis, credito industriale sardo.
L’ordinamento italiano 295
l’attività economica pubblica esercitata non sarebbe attività della pubblica ammini-
strazione110 e, soprattutto, è un ente inesorabilmente destinato all’estinzione.
Inoltre, a ben vedere, si potrebbe pure dubitare della fondatezza e della legittimità
della inclusione dell’ente pubblico economico nel novero dei soggetti responsabili in
ragione delle funzioni imprenditoriali dallo stesso svolte: anche questi enti, infatti,
perseguono finalità pubblicistiche, ancorché attraverso strumenti di diritto privato.
L’interesse è «imposto» dall’esterno e non viene – come invece accade per gli enti pri-
vati – determinato dallo stesso ente, cosicché anche in ipotesi di esercizio di attività
commerciale (pensiamo alla commercializzazione di un prodotto) il prezzo di vendi-
ta potrebbe essere imposto dallo Stato al fine di calmierare, ad esempio, i cartelli che
si sono creati nel mercato.
In un’area contigua a quella degli enti pubblici si pongono, poi, gli enti privati di
interesse pubblico. Si tratta, infatti, di enti di natura privatistica a cui una norma im-
pone una connotazione marcatamente pubblicistica, pur non arrivando a qualificarli
come veri e proprio enti pubblici. Sono tali gli enti di patronato, e di assistenza socia-
le, gli enti lirici, le fondazioni bancarie. Essi si pongono a metà strada tra il pubblico
e il privato, poichè, ad esempio, hanno accesso alle fonti pubbliche di finanziamento,
ma non sono sottoposti ai controlli e ai vincoli di amministrazione tipico dei soggetti
pubblici111 e dispongono di una struttura marcatamente privatistica. Attesa la loro
qualifica di soggetti privati, è da ritenere che siano destinatari della nuova disciplina
in commento, pur potendo sorgere legittimi dubbi in ordine alla coerenza delle scelte
del legislatore che, basandosi su di una qualificazione eminentemente formale, an-
novera tra i destinatari del decreto anche soggetti giuridici che perseguono interessi
pubblici e che, quindi, avrebbero anche potuto essere esclusi dall’applicazione della
stessa.
7. Alcune incertezze applicative. Società miste, società privatizzate e società c.d. pubbliche.
Quanto alle prime, si tratta di società che possono essere costituite unicamente su
iniziativa del soggetto pubblico, il cui capitale è costituito da conferimenti effettuati
da soggetti pubblici e privati, utilizzate per la gestione dei servizi pubblici locali. La
natura di tali enti è stata variamente considerata dalla giurisprudenza: i giudici am-
ministrativi, ritenendo trattarsi di «moduli organizzativi dell’ente locale a preminente
connotazione pubblicistica»112, ne hanno riconosciuto la natura pubblica, mentre la
giurisprudenza civile li ha qualificati come soggetti di natura privata, sganciati dalla
collettività di riferimento113. È emersa, inoltre, una terza via interpretativa da parte
del Consiglio di Stato che ha qualificato dette società come «intermedie», in ragione
del vincolo funzionale con l’ente pubblico che va valutato di volta in volta114.
La differente qualifica rispecchia il fatto che detti soggetti sono dotati di una
struttura societaria, e che, da un punto di vista «sostanziale», presentano elementi di
«pubblicità». La soluzione circa l’applicabilità o meno della nuova forma di respon-
sabilità sarà diversa a seconda che si intenda dare prevalenza alla forma societaria,
ovvero alla «sostanza» dei fini perseguiti da detti soggetti115.
A sostegno della prima opzione interpretativa si pone l’utilizzo dell’espressione
«società», senza alcuna specificazione ulteriore, contenuta nell’articolo 1, secon-
do comma d.lgs. 231/2001: il legislatore sembra aver voluto in tal modo attrarre
nell’ambito applicativo del decreto qualsiasi forma organizzata societaria, indipen-
dentemente dal perseguimento di attività lucrative. Viene in rilievo, inoltre, il riferi-
mento contenuto nell’art. 15 agli enti che svolgono un servizio pubblico o di pubbli-
ca necessità, riferimento che sembra riguardare proprio le società miste deputate allo
svolgimento di un pubblico servizio.
L’opinione non è tuttavia pacifica e a sostegno della interpretazione opposta si
valorizza la giurisprudenza amministrativa che ha qualificato come soggetti pubblici
112
In questo senso, Cons. Stato, ad. gen., 16 maggio 1996, n. 90, in «Il Consiglio di Stato», i, 1996,
p. 1640.
113
Si veda, in particolare, Cass. sez. un., 6 maggio 1995 n. 4991, in «Rivista italiana di diritto pubblico
comunitarioe», 1996, p. 1266, secondo cui le società per azioni costituite dai comuni e dalle province a
norma dell’art. 22, comma 3, della l. 142/1990 per la gestione di pubblici servizi, operano come persone
giuridiche di diritto privato, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento
con l’ente pubblico di riferimento, nei cui confronti hanno assunto l’obbligo di gestire il servizio.
114
Cons. Stato, sez. v, 25 giugno 2002, n. 3448, in «Diritto e Giustizia», 4, 2003, p. 91. La disposizione
dell’art. 26, comma 3 del Codice dei contratti pubblici individua tre diversi elementi costitutivi
dell’organismo di diritto pubblico: a) personalità giuridica; b) sottoposizione a un’influenza pubblica;
c) fine perseguito costituito dal soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere
industriale e commerciale.
115
F. Vignoli, Brevi note sulla controversa responsabilità «da reato» ed erariale delle società a partecipazione
pubblica, in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 4, 2006, p. 108, <http://www.
rivista231.it/>.
L’ordinamento italiano 297
le società miste e ritiene che «sembrerebbe illogico che venissero configurate, a suo carico,
anche le ipotesi di responsabilità amministrativa introdotte dal decreto 231» 116.
La Suprema Corte di Cassazione ha avuto di recente modo di pronunciarsi al
riguardo, aderendo alla prima linea interpretativa. La fattispecie riguardava un Isti-
tuto ospedaliero veneto (riconosciuto come ospedale specializzato interregionale),
partecipato per il 49% da capitale privato e per il 51% da capitale pubblico, cui
era stato contestato il reato di truffa. Il Gip del Tribunale di Belluno aveva disposto
il sequestro preventivo di una rilevante somma sul bilancio dell’Istituto predetto.
Successivamente, il Tribunale di Belluno, sezione riesame, aveva annullato la misura
cautelare, sul presupposto che il d.lgs. 231/2001 non si applicasse al citato Istituto
ospedaliero, da qualificarsi come «ente pubblico». La Corte di Cassazione, in ac-
coglimento del ricorso esperito dal p.m., ha a sua volta annullato l’ordinanza del
Tribunale di Belluno, ritenendo del tutto illegittima l’esclusione dall’applicazione del
d.lgs. 231/2001 dell’Istituto di cura. Infatti, nell’opinione della Corte, alla stregua
del tenore letterale del d.lgs. 231/2001 non è sufficiente che l’ente abbia natura pub-
blicistica per escluderlo dal novero dei soggetti responsabili, ma è anche necessario
che esso non eserciti attività economica. Nel caso di specie, l’Istituto ospedaliero
ha natura di s.p.a., il che contraddirrebbe in radice l’assenza di attività economica:
infatti, «ogni società è costituita pur sempre per l’esercizio di un’attività economica al fine
di dividerne gli utili, a prescindere da quella che sarà – poi – la destinazione degli utili
medesimi, se realizzati». Né, hanno ritenuto i giudici di legittimità, può sostenersi
(come affermato dalla difesa dell’Istituto) che l’ente in questione svolga attività di
rilievo costituzionale: infatti, «non può confondersi il valore [...] della tutela della salute
con il rilievo costituzionale dell’ente e della relativa funzione, riservato esclusivamente a
soggetti (almeno) menzionati nella Carta Costituzionale». Anche perché, conclude la
Corte molto significativamente, «supporre che basti – per l’esonero dal d.lgs. 231/2001
– la mera rilevanza costituzionale di uno dei valori più o meno coinvolti nella funzione
dell’ente è opzione interpretativa che condurrebbe all’abberrante conclusione di esclu-
dere dalla portata applicativa della disciplina un numero pressoché illimitato di enti
operanti non solo nel settore sanitario, ma in quello dell’informazione, della sicurezza
antinfortunistica e dell’igiene del lavoro, della tutela ambientale e del patrimonio storico
e artistico, dell’istruzione, della ricerca scientifica, del risparmio e via enumerando valori
(e non «funzioni») di rango costituzionale»117. La Corte ha quindi mostrato di optare
per una interpretazione restrittiva delle esclusioni normativamente previste, tenuto
conto della natura di società degli enti a capitale misto.
Quanto alle società c.d. privatizzate, occorre brevemente richiamare il concetto di
privatizzazione, che indica il passaggio da un regime di diritto pubblico ad un regime
116
C. Manacorda, La responsabilità amministrativa delle società miste, in «La responsabilità
amministrativa delle società e degli enti», 1, 2006, p. 161, <http://www.rivista231.it/>.
117
Corte di Cassazione, 21 luglio 2010, n. 28699, <http://www.cortedicassazione.it>.
298 E. Pavanello
oggi sempre più affievolita, ma ha altresì ribadito che le società per azioni «priva-
tizzate» mantengono connotati propri della loro originaria natura pubblicistica120.
Tale indirizzo, sembra essere stato confermato anche da una recente decisione del
Consiglio di Stato, il quale ha affermato che Poste Italiane s.p.a. è soggetto di diritto
pubblico, in quanto società di diritto speciale ancora interamente posseduta dallo
Stato, deputata ex lege al perseguimento di finalità pubblicistiche e soggetta ai poteri
decisionali dell’unico azionista (Ministero del Tesoro)121. Anche in questa ipotesi si
pone la necessità di optare tra attribuire prevalente rilievo alla struttura societaria di
cui detti enti sono dotati e, quindi, ritenerli assoggettati alla nuova forma di respon-
sabilità o piuttosto, considerare la loro natura «pubblica» per ritenerle escluse dal
novero dei soggetti responsabili.
Dubbi, poi, possono sorgere in ordine all’applicabilità della normativa anche nei
confronti delle società pubbliche tout court, ovvero enti che presentano una struttura
analoga a quella delle società di diritto privato ma che sono qualificati come pubblici
in quanto perseguono interessi di carattere generale e per fare ciò sono dotati dei
poteri e delle prerogative di diritto pubblico122.
Volendo accogliere l’impostazione di quella dottrina − e giurisprudenza − che
qualifica l’ente come pubblico quando manca in capo allo stesso l’autonomia di scel-
azionario da parte dello Stato. Critico F. Goisis, Gli amministratori e funzionari di società in mano
pubblica come pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio, in «Diritto processuale amministrativo»,
2002, p. 779 e 790 il quale rileva che gli stessi enti pubblici economici, non ancora trasformati in Spa,
che non esercitano un pubblico servizio o una pubblica funzione rilevanti ai sensi degli articoli 357 e
358 c.p. non possono trasmettere la qualifica di pubblico agente ai loro organi. Per quanto concerne
le società in mano pubblica, non è comunque da escludere che laddove queste esercitino una funzione
pubblica delegata i dipendenti delle stesse siano classificabili come pubblici agenti. In generale, sulle
società in mano pubblica si veda Goisis, Contributo allo studio delle società in mano pubblica come
persone giuridiche, Giuffré, Milano 2004.
120
Corte Cost. 28 dicembre 1996, n. 466, in «Giurisprudenza Costituzionale», 1994, p. 3829.
121
Consiglio di Stato, sez. vi, 2 marzo 2001, n. 1206, in «Urbanistica e appalti», 2001, p. 563. Critico
Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 337, secondo cui «Si può anche concordare [...] sulla
configurazione giuridica dei nuovi soggetti come società di diritto speciale, perché presentano l’immanenza
di indubbi connotati pubblicistici [...] ma non si può condividere la tesi della natura sostanzialmente
pubblicistica dell’attività da essi svolta [...] se non nei circoscritti limiti temporali in cui si protragga la fase
della privatizzazione formale e fino a quando non divenga operativa quella della privatizzazione sostanziale.
Diversamente opinando si svuota di tutta la sua portata il programma di privatizzazione».
122
Per la definizione di società pubbliche si veda Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit.,
p. 340, il quale ritiene che dette società debbano essere qualificate come pubbliche. Cfr. Serafini,
Riflessioni sull’applicazione del d.lgs. 231/2001 alle società pubbliche, cit., p. 230 il quale ritiene applicabile
la nuova forma di responsabilità alla società Enav Spa, società pubblica. Nel caso di specie il vantaggio
e l’interesse di cui al d.lgs. 231/2001 deve «essere valutato tenendo presente che essa [la società] persegue il
duplice obiettivo di massimizzare la creazione del valore pubblico, improntando la propria gestione a logiche
di funzionamento aziendale finalizzate al perseguimento dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità».
Emerge, quindi, chiara l’idea che nella società pubblica convivano l’obiettivo dell’interesse pubblico e la
gestione in senso privatistico dell’azienda.
300 E. Pavanello
ta degli interessi da curare e delle modalità attraverso cui farlo123, si deve concludere
che, al fine di determinare in modo inequivoco l’ambito di applicazione della respon-
sabilità, sarà necessario verificare di volta in volta se lo scopo dell’ente è per così dire
etero o autodeterminato. Solo in quest’ultimo caso, pare doversi ritenere, le società
risponderanno a titolo di responsabilità amministrativa dipendente da reato. Nel
caso di fini «etero» determinati, infatti, anche queste società, a prescindere dalla loro
struttura di carattere privatistico, ripetono caratteristiche tipiche degli enti pubblici,
le stesse caratteristiche cioè che hanno indotto il legislatore ad escludere gli altri enti
pubblici dal novero dei soggetti responsabili. Ed è questo il fil rouge che andrebbe
utilizzato anche per determinare quando un ente possa davvero essere considerato
«economico»: solo laddove esso sia davvero libero di orientare la propria politica di
impresa verso fini di carattere etero-individuali, non predeterminati dal referente
governativo che ne governa l’agire, allora si potrà ravvisare un indice rivelatore della
sua assimilabilità al soggetto privato che ne giustifica l’assoggettamento al decreto124.
Peraltro la posizione «sostanzialista» − che guarda, quindi, non alla qualifica formale
dei soggetti, quanto piuttosto agli interessi perseguiti e alle modalità attraverso cui
gli stessi sono perseguiti – è stata fatta propria, seppure in ambito diverso da quello
che ci occupa, prima dal Consiglio di Stato125 e poi dalla stessa Corte di Cassazio-
ne126 che si sono trovati a dover definire la natura (pubblica) di talune società. Con la
conseguenza che vi è «la tendenza a considerare come appartenenti all’area pubblicistica
soggetti costituiti con le forme del diritto privato»127.
Tuttavia, la Corte di Cassazione con la sentenza relativa all’Istituto ospedaliero
sopra richiamato e con una recentissima sentenza concernente una Spa che svolgeva
funzioni in in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti trasferite alla stessa da un
123
Ottaviano, voce Ente pubblico, cit., p. 963 ss.
124
Riverditi, La responsabilità degli enti, cit., p. 139-140.
125
Consiglio di Stato, sez. vi, 28 ottobre 1998, n. 1478, in «Foro Italiano», iii, 1999, 178, con nota
di R. Garofoli, Sviluppi in tema di giurisdizione amministrativa e regole costituzionali: organo indiretto,
nozione comunitaria di amministrazione aggiudicatrice, riparto per blocchi di materie (d.leg. 80/98). Nel
caso di specie il Consiglio di Stato ha affermato che «l’Interporto toscano Spa, in quanto caratterizzato
dalla totale partecipazione pubblica e istituito per la gestione in esclusiva di un servizio pubblico
d’interesse generale, deve considerarsi, nonostante la veste societaria, «organismo di diritto pubblico» ai
sensi del d.leg. 406/91 e della l. 109/94».
126
Cass. civ. sez. un., 3 maggio 2005 n. 9096, in «Foro Italiano», i, 2006, p. 195, secondo cui, «ai fini di
cui all’art. 3 r.d.l. n. 1578 del 1933, la qualificazione di un ente come società di capitali, non è sufficiente
ad escludere la natura di istituzione pubblica dell’ente stesso, dovendosi procedere, volta per volta,
alla valutazione concreta; pertanto, l’Ama − azienda municipale ambiente-spa, le cui quote societarie
sono integralmente detenute da soggetti pubblici − deve essere qualificata istituzione pubblica, poiché
costituisce una longa manus degli enti territoriali, per la gestione del servizio pubblico della raccolta dei
rifiuti, peraltro finanziato con entrate di natura pubblicistica».
127
Vignoli, Brevi note sulla controversaresponsabilità da reato ed erariale delle società a partecipazione
pubblica, cit., p. 109.
L’ordinamento italiano 301
A questo punto si ritiene opportuno trarre le prime conclusioni in relazione alle esclu-
sioni che il legislatore delegato ha posto con riferimento ai soggetti di natura pubblica.
Due sono le osservazioni di maggior rilievo. Da un lato, sta la constatazione che
l’esclusione dello Stato e degli enti pubblici territoriali è stata considerata dalla dot-
trina «comprensibile» per ragioni sistematiche, in ragione dell’esistenza di un sistema
legislativo improntato a escludere la responsabilità civile discendente da reato (il rife-
rimento va all’art. 197 c.p.). Inoltre, con riferimento specifico allo Stato non è parsa
al legislatore in alcun modo superabile la contraddizione di uno Stato, titolare della
potestà punitiva, che persegue se stesso. Le esclusioni paiono poi giustificate anche
in ragione dell’elemento della sovranità: i cittadini attribuiscono mediante la propria
scelta politica un mandato all’ente pubblico il quale è preposto alla tutela degli in-
teressi di tale comunità e perciò è autorizzato ad utilizzare anche poteri coercitivi e,
financo, a delinquere se ciò garantisce il perseguimento di quegli obiettivi.
Le argomentazioni indicate non sono, si ritiene, sufficienti a legittimare un si-
stema di sostanziale immunità. Il fatto che, ad esempio, sul piano internazionale sia
ammessa la rilevanza del comportamento illecito criminoso dello Stato, deve indurre
a riflettere sull’effettivo fondamento di una simile esclusione, legata evidentemente
all’idea che lo Stato, nelle sue articolazioni territoriali, possa anche agire illecitamente
poiché la finalità della sua azione è il perseguimento di un interesse pubblico di carat-
tere generale. O forse, a voler ragionare diversamente, che sia comunque inopportu-
na da un punto di vista politico la previsione di una responsabilità penale.
Dall’altro lato sta, invece, la riflessione che l’esclusione di tutti gli altri enti pubblici
tranne quelli economici è poco comprensibile e, forse, ancor meno giustificabile, non
128
Corte di Cassazione, 10 gennaio 2011, n. 234, <http://www.cortedicassazione.it/>.
129
Ielo, Società a partecipazione pubblica e responsabilità degli enti, cit., p. 106-107.
302 E. Pavanello
interesse pubblico, mentre poi con la l. 490/1995 è stata qualificata come ente pubblico non economico.
L’ordinamento italiano 303
segnala una pronuncia della Corte di Giustizia131, secondo cui il solo fatto che il
«capitale» sociale sia detenuto anche da privati, rende queste ultime incompatibili
con il perseguimento di interessi pubblici, con la conseguenza che esse, di fatto, sono
qualificabili in tutto e per tutto come soggetti di diritto privato132. Alla luce delle
difficoltà di individuare una categoria unitaria di ente pubblico, che si caratterizzi in
modo inequivoco, si condividono le critiche avanzate in ordine alla violazione del
principio di legalità, poiché l’applicazione della normativa è legata all’individuazione
nel caso concreto della natura dell’ente, natura talvolta contestata.
Occorre segnalare, peraltro, che la legittimità della limitazione della responsabilità
degli enti ai soli soggetti di diritto privato è stata sottopostadi recente, seppure in
modo incidentale, a vaglio critico dal giudice delle indagini preliminari di Firenze133.
Il caso riguardava le lesioni gravissime di un operaio e il decesso di un altro in
conseguenza dei lavori per la rimozione di alcuni dispositivi di sicurezza degli scambi
sui nodi ferroviari di Firenze per conto di rfi (Rete Ferroviaria Italiana). Nel capo di
imputazione veniva richiesto anche il rinvio a giudizio delle due società di cui erano
dipendenti gli operai, nei cui confronti gli imputati chiedevano potersi costituire
parti civili.
Il G.i.p. del Tribunale toscano rilevava che il d.lgs. n. 231/2001 e successive
modificazioni, non prevedeva «espressamente» la possibilità della costituzione di parte
civile nei confronti degli enti imputati nel processo penale. Detta interpretazione
della normativa è stata confermata dalla giurisprudenza in forza del fatto che la
responsabilità di cui si discute è di tipo indiretto e sussidiario e prevede sanzioni
proprie e tipiche di carattere pecuniario che escluderebbero una responsabilità diretta
nei confronti delle vittime.
Ciò posto, il Giudice si è interrogato sulla legittimità di una simile opzione legislativa
e ha chiesto alla Corte di Giustizia della Comunità Europea di pronunciarsi in via
pregiudiziale, ai sensi degli artt. 234 tce e 35 tue, sull’interpretazione delle norme
comunitarie adottate a tutela delle vittime del reato134 e di chiarire se la normativa
italiana in tema di responsabilità amministrativa degli enti/persone giuridiche di cui
al d.lgs. cit. sia conforme alla stessa laddove non prevede espressamente la possibilità
di costituirsi parte civile.
131
cgce, Stadt/Halle 11 gennaio 2005, causa c-26/03.
132
Critico rispetto a questa decisione M.M. Fracanzani, Le società degli enti pubblici: tra codice civile e
servizio ai cittadini, 2005, p. 27, <http://www.giustizia-amministrativa.it/>, poiché considera l’aspetto
«quantitativo» della partecipazione privata all’ente rispetto invece all’aspetto qualitativo dell’attività svolta
e della natura degli interessi perseguiti, in precedenza assunto a criterio discretivo per la medesima Corte.
133
Ufficio del Giudice delle indagini preliminari di Firenze, rinvio pregiudiziale per interpretazione ex
art. 234 tce del 9 febbraio 2011.
134
Trattasi in particolare della Decisione quadro n. 2001/220/Gai del 15 marzo 2001 e della Direttiva
2004/80/CE del 29 aprile 2004 relative all’indennizzo delle vittime del reato e alla loro posizione nel
procedimento penale.
304 E. Pavanello
G. Fidelbo, Misure cautelari nei confronti delle società: primi problemi applicativi in materia di tipologia
delle «sanzioni» e limiti all’operatività del commissario giudiziale, in «Cassazione penale», 2004, p. 276 ss.
L’ordinamento italiano 305
e ciò a prescindere dalla tipologia dei reati che sino ad ora sono stati inclusi tra i reati-
presupposto che involgono tale responsabilità. Infatti, se si guarda alle fattispecie
individuate nell’art. 24, ovvero malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis)138,
indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter), truffa (art. 640),
frode informatica (art. 640-ter)139, sembra difficile ipotizzare una responsabilità degli
enti pubblici, poiché si tratta di fattispecie che tendono a tutelare proprio gli interessi
degli enti pubblici erogatori del finanziamento140. Analogo discorso può essere
effettuato in relazione all’articolo 26, che individua tra i reati-presupposto ipotesi
legate alla corruzione e alla concussione (in particolare, si tratta della corruzione
per un atto d’ufficio ex art. 318 c.p., della corruzione per un atto contrario ai doveri
d’ufficio ex art. 319 c.p., della corruzione in atti giudiziari ex art. 319-ter c.p., della
concussione ex art. 317 c.p., della corruzione di persona incaricata di pubblico
servizio ex art. 320 c.p., dell’istigazione alla corruzione ex art. 322 c.p. e del peculato,
concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle
Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri ex art.
322-bis c.p.): esisterebbe infatti una contraddizione tra l’interesse tutelato, ovvero il
buon andamento dell’attività amministrativa141, e il soggetto che viola tale interesse,
ovvero un ente pubblico il quale sarebbe al contempo destinatario della tutela e autore
138
A. Pagliaro, Principi di diritto penale, Giuffré, Milano 2000, p. 95: bene tutelato è l’interesse dello
Stato o di altro ente pubblico o della Comunità Europea a che il sostegno ad attività economiche di
pubblico interesse non sia reso vano da abusi dello stesso soggetto che riceve la sovvenzione.
139
Cfr. A. Carmona, La responsabilità degli enti: alcune note sui reati presupposto, in «Rivista trimestrale
di diritto penale dell’economia», 2003, p. 995 ss., per un commento con riferimento alla (iniziale) scelta
dei reati presupposto da parte del Governo cui è connessa la responsabilità della persona giuridica.
140
Gennai, Traversi, La responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit.,
p. 150 rileva che i reati elencati nell’articolo rappresenterebbero la manifestazione di comportamenti
illeciti attuabili nello svolgimento di attività economiche e, in quanto tali, destinatari privilegiati
sarebbero imprenditori di pochi scrupoli che pur di accedere a finanziamenti o agevolazioni sono anche
capaci di predisporre documentazione falsa.
141
C. Pedrazzi, Manuale di diritto penale dell’impresa, Monduzzi, Bologna 2003, p. 144-151 rileva che
non esiste concordia in dottrina circa l’individuazione del bene giuridico tutelato dalle diverse ipotesi
di corruzione. Si è fatto riferimento alla tutela di un generico dovere d’ufficio o di fedeltà, alla tutela
dell’imparzialità dell’azione amministrativa, alla tutela contro l’indebita accettazione di doni o contro la
compravendita di atti d’ufficio. A prescindere dalla teoria che si intenda prediligere è comunque chiaro
che in queste ipotesi vi sarà offesa ad un bene giuridico che mira a tutelare l’attività della pubblica
amministrazione e sarebbe quindi una contraddizione in termini punire poi la stessa amministrazione
che si intende in linea di principio tutelare. È pur vero però che le qualifiche soggettive richieste da
questi reati sono integrate a prescindere dall’esistenza di un inquadramento organico del soggetto stesso
nell’amministrazione e solo in relazione alla svolgimento effettivo di una funzione pubblica, in senso
penalistico, (si pensi ad esempio al caso dell’Ente Ferrovie dello Stato sopra menzionato) ma resta
il fatto che laddove le qualifiche soggettive richieste ineriscono normalmente a soggetti che operano
nell’ambito di enti pubblici. Con la conseguenza che se non si tratta di un episodio isolato legato alla
condotta dei singoli ma costituisca piuttosto manifestazione della politica dell’ente, verrebbe ad essere
punito il singolo in luogo della collettività.
L’ordinamento italiano 307
L’articolato apparato sanzionatorio disciplinato dal decreto introduce poi una se-
rie di sanzioni interdittive cui è opportuno ora volgere lo sguardo.
Esse sono applicabili, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 231/2001, solo qualora l’ente
abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato sia stato commesso da
soggetti in posizione apicale o da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando la
commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative
o quando si tratti di reiterazione di reato. La sanzione interdittiva, ai sensi dell’art.
14 del decreto in commento, ha ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce
l’illecito dell’ente.
La sanzione interdittiva che presenta maggior carattere affittivo è senza alcun
dubbio l’interdizione dall’esercizio di attività che, in talune ipotesi, può essere di-
sposta in via definitiva (art. 16). Ad essa si accompagnano la sospensione o la revoca
della autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il
divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni,
finanziamenti, contributi o sussidi e il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Il decreto in esame ha, tuttavia, costruito un sistema per cui, qualora dette san-
zioni debbano essere applicate ad enti che svolgono un’attività connessa ad un pub-
blico servizio o ad un servizio di pubblica necessità155, è consentita la prosecuzione
dell’attività. Infatti, l’art. 15 dispone la nomina di un commissario giudiziale cui
sarà affidata la prosecuzione dell’attività per il tempo equivalente alla durata della
pena se l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui
interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività156. In questo modo
potrebbe essere superato il rilievo secondo cui l’applicazione delle sanzioni inter-
dittive, comportando la paralisi dell’attività dell’ente, sarebbero incompatibili con
155
Cfr. Bassi, Epidendio, Enti e responsabilità da reato, cit., p. 358 secondo cui per reperire una
definizione di servizio di pubblica necessità occorrerà riferirsi alle indicazioni provenienti da altro
settore dell’ordinamento e, segnatamente, in materia di diritto di sciopero. Quanto invece al servizio
pubblico, esso si connoterebbe per il fatto che può essere usufruito da una generalità indistinta di
utenti. Il pregiudizio si rivelerebbe quando il servizio pubblico incide sullo svolgimento delle attività
quotidiane della comunità statale.
156
In particolare, una volta che il giudice avrà riscontrato i presupposti per la nomina del commissario
giudiziale, dovrà provvedere ad indicare i compiti e i poteri dello stesso, il cui operato sarà assoggettato
ad un controllo periodico da parte del giudice e del pubblico ministero. Per un’analisi della figura del
commissario giudiziale nominato in sede di irrogazione di sanzione cautelare, si veda P. Di Geronimo,
Responsabilità da reato degli enti: l’adozione dei modelli post factum ed il commissariamento giudiziale
nell’ambito delle dinamiche cautelari, in «Cassazione penale», i, 2004, p. 254 ss.; G. De Marzo, Le
sanzioni amministrative: pene pecuniarie e sanzioni interdittive, cit., p. 1320 rileva che il disposto
dell’art. 15 prevede la nomina del commissario giudiziale qualora vi sia stata applicazione di una
sanzione interdittiva «che determina l’interruzione dell’attività dell’ente», riferendosi pertanto non
solo all’interdizione dall’esercizio dell’attività, ma a tutte le sanzioni che nel determinare l’interruzione
dell’attività dell’ente, siano suscettibili di arrecare pregiudizio al regolare svolgimento del pubblico
servizio o del servizio di pubblica necessità.
312 E. Pavanello
L’ordinanza del Gip di Bari del 18 aprile 2005 è pubblicata in Le società, 3, 2006, p. 365 ss., con
158
commento critico di S. Bartolomucci, Esigenze cautelari ex d.lgs. n. 231/2001: nomina e ruolo del
commissario giudiziale, p. 370 ss. in ordine all’impossibilità per i commissari giudiziali di adottare nuovi
modelli organizzativi. Quanto alla modifica parziale dell’ordinanza, il testo e la spiegazione delle ragioni
che hanno indotto il Gip, dr. De Benedictis, ad operare tale correzione sono riportate dallo stesso De
Benedictis, Esperienze giurisprudenziali in Puglia, in La responsabilità da reato degli enti collettivi, a cura
di G. Spagnolo, cit., p. 118-119.
L’ordinamento italiano 313
giustificata includere solo taluni di detti enti pubblici tra i destinatari della sanzione
interdittiva159.
Allo stato attuale non esiste una forma di responsabilità degli enti pubblici ma
delle precise delimitazioni che sono da un lato molto eloquenti e dall’altro altrettanto
criticabili.
In una prospettiva de jure condendo e di allargamento progressivo dei reati presup-
posto è da immaginare che l’esclusione degli enti pubblici dalla responsabilità, pro-
vocherà critiche molto accese. Quanto all’aspetto sanzionatorio, non sembrano allo
stato sussistere aspetti problematici insuperabili con riferimento agli enti pubblici.
Il punto cruciale della questione resta la necessità o meno di prevedere un tratta-
mento differenziato per gli enti pubblici160.
10. La previsione della responsabilità penale delle persone giuridiche nel progetto della
Commissione Pisapia.
Per essere imputabili all’ente i reati devono essere commessi nel suo interesse:
viene meno, invece, il riferimento al vantaggio. La realizzazione delle fattispecie
criminose deve essere stata resa possibile da una lacuna organizzativa o dalla carenza
di sorveglianza o controllo o comunque devono essere state commesse su indicazione
dei vertici organizzativi e gestionali.
La responsabilità ipotizzata sarebbe dunque penale a tutti gli effetti e prenderebbe
a modello il d.lgs. 231/2001. Sotto il profilo dei soggetti attivi del reato vengono
confermate le esclusioni degli enti pubblici (Stato, Regioni, gli enti pubblici terri-
toriali), a eccezione di quelli che esercitano attività economica, oltre che delle Au-
torità indipendenti. Si tratta di organismi idonei ad assicurare per la loro terzietà la
massima indipendenza organizzativa e di giudizio da ogni tipo di condizionamento
politico o economico. Esse non curano interessi di natura pubblica di propria perti-
nenza ma dirimono in via preventiva potenziali conflitti di interessi collettivi, diffusi,
di categoria e individuali, fissando regole di disciplina di settore (in via preventiva)
e provvedendo, poi, attraverso l’uso di poteri correttivi e sanzionatori a ricondur-
re l’attività dei singoli o dei gruppi nella legalità e correttezza162. Si caratterizzano,
quindi, per un aspetto punitivo nel senso che sono in grado di infliggere sanzioni
che rilevano soprattutto nel diritto di impresa e che per certi versi assumono conno-
tazioni analoghe a quelle che caratterizzano il diritto penale, senza che tuttavia siano
offerte le medesime garanzie connaturate a quest’ultimo163. La ragione che ha indotto
la Commissione a escluderle espressamente dal novero dei soggetti responsabili è
probabilmente rinvenibile nel fatto che sebbene non esercitino una funzione stret-
tamente economica, sono destinate a «regolare» l’attività di impresa, intervenendo
magari prima che un illecito penale venga commesso ma ponendosi comunque come
giudice, anche se non assumono funzioni giurisdizionali in senso stretto.
Nella relazione allo schema di disegno di legge, si dà atto del fatto che l’inseri-
mento della responsabilità penale delle persone giuridiche nel codice penale, pur non
generalmente condivisa, si pone quale elemento di garanzia non potendo la relativa
disciplina discostarsi dai principi riconosciuti nella parte generale del codice penale.
Nessuna riflessione viene invece dedicata all’esclusione degli enti pubblici, quasi si
trattasse di un dato acquisito, in relazione al quale non si può porre alcun dubbio.
Del resto, già prima di questo progetto, il titolo vii del Progetto Grosso, così
come approvato dalla Commissione Ministeriale per la riforma del codice penale nel
162
Galli, Galli, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 254 ss.
163
Per un primo inquadramento di tali autorità si veda Riondato, S. Zancani, Le autorità amministrative
indipendenti nelle reti penali e punitivo-amministrative, in P. Cavaleri, G. Dalle Vedove, P. Duret,
Autorità indipendenti e Agenzie. Una ricerca giuridica interdisciplinare, cedam, Padova 2003, p. 129 ss.
il quale rileva il crescente ruolo svolto dalle autorità amministrative indipendenti anche nella vicenda
penale con particolare riferimento al controllo dell’attività di impresa.
settembre del 2001, che era interamente dedicato alla responsabilità della persona
giuridica, aveva escluso gli enti pubblici dal novero dei soggetti responsabili164.
Il titolo comprendeva dieci articoli che disciplinavano tanto l’aspetto sostanziale
di detta responsabilità, quanto quello sanzionatorio. In particolare, l’art. 121, com-
ma 2, disponeva che, ai fini della disposizione concernente la responsabilità, per
persona giuridica occorre intendere «tutti gli enti, società, associazioni anche non rico-
nosciute, che svolgono attività economica. Sono esclusi lo Stato, le Regioni, gli altri enti
pubblici territoriali e le Autorità indipendenti». Da segnalare il fatto che accanto agli
enti pubblici territoriali venivano espressamente escluse anche in questo caso le Au-
torità amministrative Indipendenti.
Il modello di responsabilità punitivo cui dunque si orienta l’ordinamento italiano
con il progetto di riforma da ultimo approvato prevede l’espressa esclusione della re-
sponsabilità degli enti che non esercitino attività economica, o meglio di quegli enti
che siano connotati da elementi di «pubblicità».
164
La Commissione di riforma era stata istituita con d.m. 1 ottobre 1998. Il testo del progetto Grosso,
rinvenibile nel sito <http://www.giustizia.it>, è stato approvato dalla Commissione ministeriale per
la riforma il 26 maggio 2001. Cfr. C.F. Grosso, Relazione introduttiva: presentazione del progetto
preliminare di riforma della parte generale del codice penale, in La riforma della parte generale del codice
penale, a cura di A. Stile, Jovene, Napoli 2003, p. 26 il quale nota come «nonostante la convinzione
della maggioranza della Commissione della necessità di prevedere una responsabilità penale delle persone
giuridiche, rispettando le opinioni critiche abbiamo voluto essere particolarmente cauti: non abbiamo
definito espressamente come penale la nuova responsabilità, ma l’abbiamo intesa come una sorta di tertium
genus fra quella penale e quella amministrativa». In generale sull’aspetto della colpevolezza nel Progetto
Grosso si veda S. Canestrari, La responsabilità colpevole nell’articolato della parte generale del Progetto
Grosso, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 3, 2001, p. 884 ss.
317
capitolo 8
Profili comparati
quello belga del 19995, dopo aver stabilito che, in linea di principio, la responsa-
bilità penale delle persone giuridiche concerne tutti gli enti vengono introdotte, di
fatto, una serie ampia di eccezioni. Esse garantiscono, in misura maggiore o mino-
re, che gli enti pubblici siano esonerati dalla responsabilità penale. Si tratta di un
dato interessante, perché le dichiarazioni concernenti l’ambito di applicabilità della
norma parrebbero costituire implicite ammissioni del fatto che anche le persone
giuridiche pubbliche menzionate delinquono e vi sono ragioni (di opportunità o di
sostanza) che inducono ad escluderle dalla responsabilità penale.
Laddove il legislatore non è intervenuto in modo espresso, la giurisprudenza ha
provveduto, in ogni caso, a chiarire che non tutti gli enti pubblici possono essere
perseguiti penalmente: è questo, ad esempio, ciò che è avvenuto in Olanda, ove il
codice penale non contiene alcuna indicazione specifica con riferimento alla re-
sponsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Ciò nonostante,
la prassi giurisprudenziale ha stabilito che taluni enti pubblici possono essere re-
sponsabili penalmente qualora l’illecito sia stato commesso nell’esercizio di funzioni
non pubbliche (che le sentenze hanno progressivamente tentato di individuare).
Tali pronunce hanno indicato inoltre i criteri in base ai quali le persone giuridiche
possono essere perseguite, individuando un «sistema» di responsabilità definito che
impone al giudice penale di valutare sempre l’opportunità di procedere nei con-
fronti dell’ente pubblico, verificando in particolare se siano applicabili le cause di
giustificazione dell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dovere, e di appli-
care in caso di condanna la sanzione più adatta alle peculiare natura pubblica della
persona giuridica6.
Scelta parzialmente diversa è stata effettuata nell’ordinamento italiano, in cui
sono stati esclusi tutti gli enti pubblici, a eccezione di quelli economici. L’opzione
riecheggia, per certi versi, il sistema di responsabilità degli enti previsto nell’ordi-
namento inglese laddove la Corona (e tutti gli organi che ad essa sono equiparati) è
stata tradizionalmente esclusa dalla responsabilità perché non può compiere alcun
male: qui il problema concerne come visto non tanto e non solo la sua punibilità,
ma addirittura la possibilità che le norme (non solo penali) trovino applicazione
nei suoi confronti. Si pone in sostanza il problema dell’applicabilità delle norme al
Sovrano-Stato, il quale risulta in tal modo legibus solutus7.
Peculiare la situazione nell’ordinamento americano: mentre in un passato non
troppo lontano le persone giuridiche di diritto pubblico (o meglio gli enti territo-
riali diversi dallo Stato) venivano perseguite sulla base della state law, oggi la giuri-
5
Si veda, in particolare, sul punto quanto indicato al capitolo 4.
6
Si rinvia sul punto al capitolo 2, paragrafo 2.6.
7
Si rinvia al riguardo al capitolo 5, paragrafo 5.4.
Profili comparati 319
1.1. Le critiche avanzate in relazione ai criteri utilizzati per individuare gli enti
pubblici responsabili penalmente diversi dallo Stato.
Sulla validità dei criteri individuati per determinare quando e in che modo l’ente
pubblico decentrato14 sia responsabile penalmente, si può fondatamente affermare
che qualsiasi distinzione porta con sé un margine di «insoddisfazione» e di incertez-
za. Lo studio compiuto ha mostrato, infatti, che i criteri utilizzati molto spesso sono
incoerenti e di difficile applicazione pratica.
Si consideri al riguardo il caso della Francia. Il legislatore – come emerge da una
lettura sistematica delle disposizioni – intendeva garantire la possibilità di persegui-
re gli enti pubblici territoriali qualora questi agissero illecitamente nello svolgimen-
to di attività che anche le persone giuridiche di diritto privato potevano porre in
essere. Tuttavia, di fatto, così non è. Infatti, l’art. 121-2 c.p., salvo volerne dare una
interpretazione estensiva preclusa in ambito penalistico, prevede la responsabilità
degli enti pubblici territoriali per quelle attività che siano suscettibili di delega ai
privati ma non per quelle attività esercitate iure privatorum. Con la conseguenza
che gli enti pubblici territoriali non rispondono penalmente del proprio operato
proprio per le attività di diritto privato. Il che inevitabilmente finisce per prestare il
fianco a critiche in ordine alla violazione del principio di eguaglianza15.
Analogamente avviene in Olanda in cui l’esercizio di una «attività pubblica
esclusiva» − presupposto questo che consente di esimere dalla responsabilità un ente
pubblico − è nozione fortemente criticata dalla dottrina, in ragione delle difficoltà
di individuarne esattamente la nozione16.
I criteri individuati si rifanno spesso a concetti propri del diritto amministrativo
o si riferiscono a nozioni i cui contorni non sono definiti: in mancanza di un’elen-
cazione tassativa di ciò che costituisce attività esclusivamente pubblica o di prero-
gativa pubblica o di attività delegabile, il giudice penale deciderà caso per caso, con
buona pace per il principio di tassatività e per l’efficienza del procedimento penale17.
Quanto alla sostanza dei criteri scelti, la parificazione ente pubblico-ente privato
si basa (quasi) sempre sulla considerazione che l’attività per la quale l’ente pubbli-
13
Si veda sul punto il capitolo 5, paragrafo 5.8.1.
14
Per quanto concerne le riflessioni relative allo Stato si veda il paragrafo che segue.
15
Per l’analisi della dottrina francese che ha rilevato tale incongruenza si rinvia al capitolo 3, paragrafo
3.10.1.
16
Sul punto, si veda il capitolo 2, paragrafo 12.1.
17
Particolarmente significativo al riguardo è il caso della Francia ove la prima giurisprudenza ha
322 E. Pavanello
dimostrato come i giudici si siano soprattutto concentrati sull’individuazione della nozione di attività
suscettibile di delega, presupposto indefettibile affinché possa essere dichiarata la responsabilità penale
degli enti pubblici territoriali.
18
Si rinvia sul punto al capitolo 6, paragrafo 6.2.
Profili comparati 323
Detti mezzi di tutela dovranno essere anche di carattere penale e, al limite, diretti
nei confronti degli enti pubblici.
Sembra militare, invece, in senso contrario ai principi sin qui richiamati il fatto
che la Corte Costituzionale belga, chiamata a valutare la legittimità della norma che
esclude gli enti pubblici territoriali dal novero dei soggetti responsabili, ha ritenuto
che non sia contrario al principio di eguaglianza il fatto che il legislatore preveda
diversi regimi di responsabilità, a seconda della natura pubblica o privata dell’ente24.
Alla stregua delle indicazioni provenienti dalle esperienze degli ordinamenti stra-
nieri, è possibile affermare che la responsabilità penale delle persone giuridiche di
diritto pubblico, e in particolare dello Stato, non è disgiunta da valutazioni di carat-
tere più propriamente politico.
Il caso belga è esemplificativo al riguardo. Le esclusioni previste nella legge
del 1999 sono giustificate per la presenza di un organo democraticamente eletto
nell’ambito delle persone giuridiche di diritto pubblico e quindi un controllo sul
piano politico esclude la possibilità di un controllo penale. A tal punto che anche la
Corte Costituzionale chiamata a vagliare la legittimità sotto il profilo del principio
di eguaglianza delle scelte effettuate dal legislatore si limita a richiamare il principio
suddetto, indicando che in virtù della missione essenzialmente politica perseguita dal-
le persone giuridiche di diritto pubblico, l’immunità concessa è giustificata, vieppiù
laddove si consideri che esse sono ontologicamente diverse rispetto agli enti di di-
ritto privato25.
Non è questo l’unico ordinamento in cui il richiamo alla politica è espressa-
mente effettuato: si pensi, ad esempio, all’ordinamento olandese in cui la dottrina,
smentita peraltro dalle più recenti pronunce giurisprudenziali, ha affermato a più
riprese l’impossibilità di sovrapporre le due tipologie di controlli, politico e pe-
nale26. Sebbene si tratti di controlli che hanno natura, oggetto e finalità diversi,
sembrerebbe affermarsi che il mandato ricevuto dai cittadini rende liberi gli enti
pubblici anche di delinquere.
L’asserita incompatibilità delle sanzioni politiche e penali è poco convincente
anche in considerazione del fatto che le persone fisiche che agiscono per conto delle
persone giuridiche di diritto pubblico sono perseguibili penalmente, salvi i casi di
immunità che mirano a garantire la tutela della funzione. Inoltre, si profila il rischio
24
Cfr. in particolare, Cour d’Arbitrage, 10 luglio 2002, n. 128 e 12 gennaio 2005, n. 8. Per il commento
alle decisioni citate, si veda il capitolo 4, paragrafo 4.8.
25
Capitolo 4, paragrafo 4.8.
26
L’analisi della dottrina olandese citata è stata effettuata al capitolo 2, paragrafo 2.7.8.
Profili comparati 325
che, a fronte di un’attività delittuosa dell’ente, in cui sia tuttavia difficile individuare
le responsabilità dei singoli l’uomo politico rimanga incensurato e nel contempo
l’ente collettivo non venga perseguito penalmente.
A dimostrazione della stretta correlazione tra politica e diritto penale, si pone
anche il rapporto Massot27, documento elaborato nel 2000 dal Groupe d’étude sur la
responsabilité des décideurs publics, istituito su iniziativa del Governo francese, con
l’obiettivo di «rechercher des remèdes au malaise de nombreux décideurs publics, élus
ou fonctionnaires, face à ce qu’ils ressentent comme une pénalisation croissante et injuste
de leur responsabilité». Il Governo francese intendeva in particolare esaminare i pos-
sibili rimedi per far fronte a una eccessiva penalizzazione dell’attività politica dei
singoli rappresentanti che aveva condotto a una sostanziale paralisi dell’attività di
tali rappresentanti. Il rapporto analizza innanzitutto le possibili cause dell’eccessiva
«pressione» che il sistema penale esercita sui rappresentanti politici e sui funzionari
pubblici, individuando le ragioni nella necessità di una ricerca sistematica di un
colpevole da parte delle vittime, nel costante aumento delle ipotesi in cui viene in
rilievo la responsabilità penale di detti soggetti e nel sistema di responsabilità ammi-
nistrativa che instilla il senso della progressiva deresponsabilizzazione dei funzionari
a profitto di un’area più ampia di responsabilità dell’amministrazione. E proprio il
gruppo di studio propone quale «rimedio« l’estensione – in taluni casi – della re-
sponsabilità penale degli enti pubblici decentrati e addirittura la previsione di una
responsabilità penale dello Stato.
La possibilità, invece, di perseguire società pubbliche che agiscono nel mercato e che, quindi, per certi
28
versi sono in tutto e per tutto equiparabili agli enti privati non è sostanzialmente messa in discussione.
326 E. Pavanello
di responsabilità anche per le persone fisiche che sono alle dipendenze degli enti
pubblici30.
che hanno dato l’ordine quando non sia possibile perseguire la persona giuridica. Sul punto, si veda il
capitolo 2, paragrafo 2.6.6.
328 E. Pavanello
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Corstens.
Hoge Raad 9 giugno 1992, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1992/749.
Hoge Raad 8 luglio 1993, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1993/12.
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Hoge Raad 23 aprile 1996, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1996/512.
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Hoge Raad, 6 gennaio 1998, in «Nederlandse Jurisprudentie», 1998/367, con nota
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FRANCIA (capitolo 3)
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Giurisprudenza
BELGIO (capitolo 4)
Commissione Giustizia, Exposé des motifs, Doc. Parl., Sénat, s.o. 1998-99,
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INGHILTERRA (capitolo 5)
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ITALIA (capitolo 7)
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