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Capitolo 1

INTRODUZIONE

1. Che cosa è l’intelligence


La parola anglosassone “intelligence” è ormai entrata nell’uso comune della lingua
italiana; probabilmente perché il nostro vocabolario, pur fornendo una lunga serie di termini
inerenti al tema, è sprovvisto di una parola in grado di esprimere la complessità del concetto.
Per di più la maggior parte di questi vocaboli hanno una eccezione negativa.
Spie, confidenti, informatori, nella cultura popolare sono sempre stati visti come
persone con cui è meglio non avere niente a che fare. Molti proverbi esprimono tali
sentimenti: “Chi fa la spia non è figlio di Maria”,”Spia, spia del governo va’, va’ all’inferno”,
un altro, un po’ volgarmente esprime l’asocialità di tali persone accomunandone l’attività con
quella del ladro “chi non ..sta.. in compagnia è un ladro od una spia”. Anche il poeta romano
Belli nel 1832 scriveva un sonetto su una spia: “Che arte fate mo, voi, sor Gitano? Fate er
curier di corte, o la staffetta? Fate er soffione, er piffero, er trombetta… che quando stavo a
abbiti tra Ruffe e Fiano, ve volevio buttar giù da Ripetta1“ evidenziando come anche nella
Roma papale tali persone non godevano di popolarità.
Il problema della terminologia non è solo un esercizio accademico di etimologi
disoccupati se anche il Senatore Francesco Cossiga, da sempre studioso attento del fenomeno,
ha sentito il bisogno di corredare di vari “glossari guida” i testi delle sue proposte di legge di
riforma dei servizi segreti2. Importante lavoro realizzato al riguardo è reperibile nell’articolo
“Le parole dello spionaggio3” pubblicato nella rivista di formazione professionale del
S.I.S.De., ripreso ed ampliato nel libro “L’atlante delle spie4”.
Tale ripugnanza, molto più accentuata in Italia piuttosto che in altri paesi, nasce da
lontano. Le altre democrazie si sono affermate attraverso rivoluzioni o lunghi processi di
fusione e contrasti d’interessi fra monarchie, ceti nobiliari e “popolazioni”, e tutti questi

1
Giuseppe Gioacchino Belli: “Er papa. Sonetti scelti”; I edizione; Roma 2003; Economici Rizzoli.
2
Francesco Cossiga, Relazione di accompagnamento al Disegno di legge numero 233 XIV Legislatura;
annunciato alla presidenza del Senato della Repubblica il 04/07/2001.
3
Paolo Preto, Le parole dello spionaggio, in “Per Aspera ad Veritatem” numero 6 settembre-ottobre 2001.
4
Umberto Rametto, Roberto Di Nunzio, L’atlante delle spie, Bergamo 2003; BUR; capitolo 3 pagina 34.

3
processi di unificazione statale hanno avuto bisogno di forze armate. In questi stati si è quindi
formata e diffusa tra il popolo, certo nelle classi dirigenti e colte, una cultura militare e più
propriamente una cultura della difesa nazionale. Per l’Italia fu tutto diverso. L’unificazione
nazionale è stato il frutto di un’abile azione diplomatica-militare della dinastia Savoia portata
avanti dal proprio esercito, a parte la parentesi della spedizione dei mille e dei volontari di
Garibaldi nelle guerre d’indipendenza5, perlopiù enormemente sopravvalutati dalla
storiografia risorgimentale6.
In più nel sud Italia il processo di unificazione e la forzata politica di
“piemontizzazione” delle nuove regioni ha diffuso nelle popolazioni locali l’odio per
istituzioni quali l’esercito o i regi carabinieri. Il servizio militare obbligatorio, inesistente
durante la monarchia borbonica e imposto dal nuovo ordinamento statale, alimentò il
fenomeno del brigantaggio le cui file furono ingrossate dai renitenti alla leva. Molti indicatori
mostrano che tali sentimenti sono ancora diffusi. Un detto nel palermitano recita: “meglio
porco che soldato”; e tale preferenza per quant’altro in luogo del servizio militare è
evidenziato dal maggior numero di obiettori presenti nelle regioni del centro sud7.
Nel ventennio fascista le attività delittuose, sia in patria che all’estero, della polizia
segreta, l’O.V.R.A., e del Servizio informazioni militare del Regio Esercito8 gettarono ancor
di più discredito e timore nei confronti di queste istituzioni. Dopo la parentesi autoritaria tutto
ciò che sapesse di “bellico” o “segreto” fu considerato antidemocratico e/o sovversivo.
Le dolorose vicende che investirono i nostri servizi segreti con effettive deviazioni e
pesanti coinvolgimenti negli eventi dei cosiddetti “anni di piombo”, così come evidenziato
dalla recente ricostruzione storico-giudiziaria9, non hanno certo contribuito ad un’inversione
di tendenza. Infine, l’orientamento anticomunista e antisovietico dell’attività dei nostri servizi
durante la guerra fredda, derivante anche dalla nostra appartenenza all’alleanza atlantica, ha
contribuito ad alimentare la cultura “dietrologica” e ad inquinare la presa di coscienza dei
problemi della nostra intelligence e della nostra sicurezza nazionale.
5
riferimento alla formazione garibaldina dei cavalieri delle alpi attivi durante la seconda guerra d’indipendenza.
6
Una valutazione meno parziale della spedizione dei mille è disponibile nel libro: Rodo Santoro, Palermo,
Palermo 1997; Edizioni Pegaso.
7
Con la professionalizzazione del servizio militare retribuito tale tendenza è cambiata in quanto molti giovani
trovano nelle forze armate una valida alternativa alla disoccupazione dilagante.
8
per una disanima degli omicidi Matteotti a Roma e dei fratelli Rosselli in Francia: A. De Grand “Breve storia
del fascismo”; Bari 1994; Economica Laterza. Pagine 63-64, 73-104, 115 e ss. . A. Spinosa, “MUSSOLINI il
fascino di un dittatore”;Cles (TN) 1992; Oscar Mondatori. Pagine 171-177, 181-198, 314-396, 418.
9
Richard Gardner, Mission: Italy. Gli anni di piombo raccontati dall'ambasciatore americano a Roma 1977-
1981, Milano 2004, Mondadori. Indro Montanelli, Mario Cervi, L’Italia degli anni di piombo, Milano 1991;
Rizzoli.

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Tutto questo a fatto sì che il problema, soprattutto a livello politico-istituzionale,
dell’ordinamento e della organizzazione dei servizi di informazione e di sicurezza nazionale
fosse saldamente, se non esclusivamente, in mano ai militari e al relativo ministero. Dove
invece nelle altre grandi democrazie i ministeri degli interni e degli affari esteri ricoprono un
ruolo determinante. I nostri diplomatici, per esempio, a differenza di quelli americani,
francesi, inglesi, disdegnano questo tipo di attività considerandoli non consoni al loro
"ufficio” .
Eppure di intelligence e di security il nostro paese ha bisogno, come ne hanno bisogno
gli altri paesi democratici; proprio perché una democrazia è più vulnerabile ai pericoli relativi
alla sicurezza nazionale. E se consideriamo che lo spionaggio non è un’invenzione recente,
tale da essere indicata persino in uno dei primi libri della Bibbia10, gli si può, a ben ragione,
attribuire una validità universale e considerarla come un’attività indispensabile di qualunque
realtà statuale o gruppo organizzato. La lettura di qualsiasi periodo storico, dall’antico al
contemporaneo, ci mostra la presenza di azioni di spionaggio. Dell’attività del “popolo eletto”
abbiamo già detto, ma anche i Fenici, gli Assiri e gli altri popoli antichi del medio oriente si
servirono di esploratori e spie per conoscere nuove terre e carpire informazioni sui regni
limitrofi. Particolarmente significativa è la storia dei Medi e dei Persiani, che guidati da abili
capi riuscirono a fondare il più vasto impero della storia preromana11. Quest’ultimi, in
particolare, crearono una vera e propria agenzia stabile di intelligence, definita "gli occhi e le
orecchie del Re". A Sparta esisteva il krypteia, struttura particolarmente orientata alla gestione
del problema della schiavitù con i suoi risvolti di ordine pubblico interno, che operava anche
attraverso infiltrati12.
I Cinesi non sono da meno, il grande Sun Tzu, che i moderni strateghi continuano a
studiare certi che l’antica saggezza dei suoi scritti conservino ancora intatte le sue virtù, nel
suo scritto più importante, “l’arte della guerra”, dedica un importate capitolo allo spionaggio,
attribuendogli il potere di risolvere (vincere) i conflitti senza spargimenti di sangue13.

10
“Manda degli uomini ad esplorare il paese di Canaan, che Io sto per dare ai Figli di Israele. Inviate uno per
ciascuna tribù paterna, che tutti siano principi”; Sacra Bibbia, libro dei Numeri, capitolo 13 versetto 1.
11
Sebastiano Crinò: “Testo atlante di storia antica” tredicesima edizione; Citta di Castello 1994; Società editrice
Danti Alighieri; capitolo 6, pagina 17.
12
K.M.T. Chrimes: “Ancient Sparta: A Re-examination of the Evidence” ; Manchester 1999; Sandpiper Books;
pagina 390 e seguenti. Sul tema vedi anche Chester Starr: "Lo spionaggio politico nella Grecia classica";
Palermo 1993; Sellerio editore.
13
Sun Tzu: “L’arte della guerra”; Cles (TN) 2003; I edizione Oscar Mondadori; traduzione dall’inglese di
Monica Rossi; traduzione dal cinese antico del The Denma Translation Group; capitolo 13 pagina 59 e seguenti.

5
Diremmo oggi attività peacekeeping intelligence14. Nell’impero Romano lo spionaggio
diventò strumento stabile per l’esercizio del potere: “Roma non sbaglia nell’identificazione
dei propri bersagli [..] La dettagliata e puntuale acquisizione dei vicini di casa Equi, Volsci,
Etruschi, Sanniti e galli, consente ai romani di tenere sotto controllo i potenziali avversari e
di conoscere le loro intenzioni amichevoli od ostili nelle diverse circostanze15”. Sul fronte
interno gli informatori, delatores, assicuravano la sicurezza e non soltanto durante la
Repubblica, ma anche durante il periodo dei Principati e del Tardo Impero. Oltre agli
informatori, i primi imperatori riciclarono proficuamente, ai fini di intelligence, guardie
dedicate all’approvvigionamento e alla distribuzione di grano alle truppe. Da qui la
denominazione di frumentarii16. Gli storici ritengono che venissero inviati in missioni di tipo
logistico e che fossero in contatto continuo non soltanto con l'esercito e l'apparato burocratico,
ma anche con le popolazioni delle province. La loro posizione, quindi, era certamente
eccellente per osservare e riferire riguardo ad ogni tipo di situazione di interesse per il
Governo. Sembra poi che Diocleziano, cui generalmente si attribuisce lo "scioglimento" dei
frumentarii, li abbia piuttosto riorganizzati su una base militare con il nuovo nome di
“agentes in rebus”, agenti generali17.
Anche l’Italia del rinascimento conosce le proprie attività di spionaggio e non solo dal
punto di vista pratico: scrive, infatti, in tale periodo il primo teorico occidentale
dell’intelligence Nicolò Macchiavelli. E il livello operativo delle spie cinquecentesche non
aveva nulla d’invidiare agli standard odierni: “Come tutte le guerre, anche quelle svoltesi tra
le potenze cristiane e i turchi nel bacino del Mediterraneo, nel corso del Cinquecento, ebbero
i loro <<aspetti segreti>> e le loro componenti di <<informazione>>. […] le attività di
spionaggio e contro spionaggio furono poste in essere con una certa frequenza annoverando
una gamma assai ampia di forme, dalla raccolta di notizie riservate sulla composizione
qualitativa e quantitativa delle forze armate del nemico ai tentativi di sottrarre allo stesso
alleati di peso. […] Tra le potenze cristiane, la più attrezzata per le attività antiturco, fu
senza dubbio la repubblica di Venezia. […] La riconosciuta bontà dei <<servizi>> veneziani

14
Robert David Steele: “INTELLIGENCE, spie e segreti in un mondo aperto”; Catanzaro 2002; Rubbettino
editore; pagina 257 e seguenti.
15
U. Rametto, U. Di Nunzio : “L’atlante delle spie”; cit. pagina 124.
16
William. G. Sinnigen: “The origins of the frumentarii", Memoirs of the American Academy in Rome (1961);
articolo tratto dal sito internet http://www.magellannarfe.com/virtualrome/organizations/frumentarii/
17
Baillie Reynolds:, "The Troops quartered in the Castra Peregrinorum," in Journal of Roman Studies numero 13
(1923) pagine 168-189.

6
divenissero un centro importante anche per l’altra potenza cristiana la Spagna18”. E si legge
sempre nello stesso libro anche di attività di sabotaggio dell’arsenale turco in Costantinopoli e
di operazioni di contro intelligence per scoprire agenti turchi interessati ai “cantieri navali”
veneziani.
Che cos’è dunque l’intelligence? Al pari delle attività delle forze dell’ordine, della
magistratura e delle forze armate in genere, che sono l’espressione della sovranità di ogni
Stato, c’è l’intelligence che riveste un ruolo cruciale, anzi vitale, nel ciclo “biologico” di un
paese. Da non confondersi interamente con lo spionaggio militare, come comunemente
avviene nel nostro paese, né con la mera raccolta di notizie, l’intelligence è un’attività molto
più complessa da un punto di vista dell’oggetto, delle tecniche, delle procedure e degli
obiettivi. Gli autori de “le nuove guerre19” la definiscono come l’insieme di tutte le attività
relative all’acquisizione, la selezione, la distillazione, la classificazione, l’analisi, e la
distribuzione di informazioni che possono avere interesse per il perseguimento dell’obiettivo
istituzionale. Informazioni inerenti la sfera della politica militare e di difesa, della politica
estera, della politica economica e finanziaria di un paese. Tali informazioni, opportunamente
elaborate, devono poi essere messi a disposizione, in tempi brevi, dei decisori politici di modo
che questi abbiano la possibilità di scegliere consapevolmente gli indirizzi del loro agire
politico. Un parroco palermitano don Puglisi, attivo nella guerra contro la mafia e da questa
ucciso nel 1993, soleva incoraggiare i ragazzi ad non abbandonare la scuola dicendo che
“essere adulti significa poter fare delle scelte, ma per poter scegliere bisogna conoscere20”.
Mutuando questa semplice ma importante verità, un “Governante” per decidere deve
conoscere, e con un livello di globalizzazione come quello attuale, non solo quanto avviene
nel giardino di casa, ma anche quello che si agita nel mondo. E una democrazia come l’Italia
che vuole crescere, che aspira a ricoprire un ruolo importante nella nuova realtà globale
scaturita dalla fine del bipolarismo, poter disporre di idonei servizi di intelligence e sicurezza
è, a dir poco, essenziale per poter influire sulle alleanze multilaterali di cui facciamo parte e
realizzare così specifici interessi di sicurezza e prosperità e, perché no, realizzare “la nostra
visione del mondo e del sistema internazionale21”.

18
Romano Canosa, Isabella Colonnello, Spionaggio a Palermo; Palermo 1991; Sellerio editore; pagina 26 e
seguenti.
19
Umberto Rametto, Roberto Di Nunzio, Le nuove guerre; Bergamo 2001; BUR. Capitolo 8 pagina 138 e
seguenti.
20
B. Stancanelli:”A testa alta. Don Puglisi: storia di un eroe solitario”; Torino 2003; Einaudi. Pagina 45.
21
Cossiga, Relazione di accompagnamento al Disegno di legge numero. 233; cit.

7
Per poter esprimere un’autonoma scelta, indice del livello d’indipendenza di una
democrazia, ogni esecutivo ha quindi la necessità di basarsi su informazioni proprie e non
eteroreferenziate o peggio eterodirette; monito, questo, proveniente dai più illustri studiosi
delle teorie delle comunicazioni che ci insegnano come con una opportuna manipolazione o
influenza si possono ottenere notevoli risultati22, riuscendo persino ad influire sulle decisioni
degli alleati23. Non a caso non si è ancora riusciti a creare servizi di intelligence integrati o
coordinati a livello di organizzazioni internazionali: “Ne dispongono solo gli Stati, perché i
Servizi costituiscono una componente indispensabile per rendere effettiva ed operante la
sovranità24”; al massimo si sono raggiunti buoni livelli di collaborazione e scambio
d’informazioni.
Sono molte le ragioni che non consentono di rendere “pubbliche” le attività delle
agenzie che si occupano d’intelligence, comunemente conosciuti “servizi segreti”25. Queste
operano in una dimensione del tutto diversa rispetto a quella delle forze di polizia sul fronte
interno o delle normali relazioni diplomatiche fra gli Stati nell’ambito internazionale e
perseguono, per conto dell’esecutivo, differenti scopi assumendo un doppio atteggiamento
operativo: offensivo e difensivo. Per quanto attiene la sicurezza interna ed esterna dello Stato
debbono contrastare varie forme di minaccia, acquisendo quante più informazioni sui possibili
attacchi ed impedendo che si acquisiscano informazioni sul proprio conto. Tali minacce
possono derivare da iniziative imputabili a soggetti identificabili, governi, gruppi, individui,
che perseguono obiettivi specifici, o provenire da fonti più disparate e indefinite riferibili alle
situazioni sociali ed economiche, culturali e religiose, politiche interne e internazionali, che
formano l'humus propizio all'insorgenza delle minacce stesse. Anzi, nell’attuale periodo
storico, le minacce di quest’ultimo tipo sono quelle che maggiormente si propongono
all’attenzione; “lo spionaggio classico - precisa - è un'attività in via di regressione, poiché ciò

22
si indicano alcuni testi che trattano l’argomento: B. Bellardini, Manuale di disinformazione; Roma 1995;
Castelvecchi. A. Mattelart, La comunicazione globale; Roma 1998; Editori Riuniti. Umberto Rametto, Roberto
Di Nunzio, Cyberwar la guerra dell’informazione; Roma 1996; Buffetti editore. Mauro Wolf, Teorie delle
comunicazioni di massa, Milano,1994; Bompiani. Tedeschi, (a cura di ), Il potere dell’audience, Roma 2002;
Meltemi editore.
23
A titolo d’esempio, viene in mente la scelta del primo ministro inglese Tony Blair di livellare le sue posizioni
con quelle americane sulla necessità di intraprendere un conflitto contro l’Iraq per smantellare il potenziale
chimico di Sadam Hussein sulla cui esistenza garantivano i servizi d’intelligence statunitensi.
24
Cossiga, Relazione di accompagnamento al Disegno di legge numero 233; cit.
25
Nelle moderne democrazie si preferiscono altri nomi quali “servizi di sicurezza”, “servizi d’informazione”,
“servizi di informazione e sicurezza”, omettendo l’aggettivo segreto.

8
che è nascosto o segreto oggi in un paese come il nostro riguarda soprattutto il campo
economico nel senso ampio del termine: scientifico e tecnologico, finanziario e industriale26".
Inoltre tali minacce sono dinamiche; non restano mai uguali a sé stesse, si evolvono,
spostano i loro obiettivi, si articolano e si collegano in forme sempre nuove al fine di sottrarsi
all'osservazione delle strutture che le combattono.
L'atteggiamento "difensivo" consiste, quindi, nel costituire una rete di informatori negli
ambienti nei quali sussistano elementi che lascino ipotizzare insidie per la sicurezza; se prima
i “Target” erano i governi stranieri e i gruppi terroristici nazionali ed internazionali, oggi ci si
occupa anche della criminalità organizzata e di altri settori quali l'industria, l'economia, la
finanza. Molti governi hanno poi utilizzato i servizi per più sofisticate e subdole forme di
offesa al fine di perseguire scopi di politica estera, il famoso detto di Clausewitz27 sulla guerra
potrebbe essere riadattato così: "L'intelligence è il proseguimento della diplomazia con altri
mezzi28". Molti “Servizi”, hanno così praticato la disinformazione; “l’influenza” attraverso la
manipolazione di “quadri” in grado d’interferire con le politiche governative; “l'ingerenza” in
ambito politico, economico e culturale attraverso l’acquisizione di posizioni dominanti in
particolari attività quali i media o istituti finanziari29;”il sabotaggio” e la “destabilizzazione”di
regimi politici30; la “sovversione” anche mediante l’attuazione od il finanziamento del
terrorismo; ”le azioni dirette”, come la cattura o l’esecuzione di personalità o agenti del paese
avversario31. Sempre più spesso i servizi vengono anche usati per sviluppare un’attività
diplomatica “parallela” specialmente quando l’oggetto o il contenuto dei rapporti è tale da

26
Claude Silberzahn, Au coeur du secret; Parigi 1985; Fayard. pagina 240. In un altro punto del libro si legge:
“Se c'è un campo dove i Servizi devono pienamente giocare il loro ruolo al servizio della collettività, è quello
dell'economia sotterranea, illegale e talvolta mafiosa, e della finanza criminale… Oggi, la più pesante delle
minacce contro le nostre società democratiche, la più immediata, è in effetti il denaro diventato selvaggio. Il
denaro sporco evidentemente, quello della droga, del crimine organizzato, del prossenitismo, delle mafie. Ma
anche il denaro politico che implica una possibile manomissione straniera, e talvolta nemica, sui settori vitali
degli apparati economici nazionali. Per non dire del denaro della speculazione che, privilegiando sempre il
breve termine, dà scacco alla sovranità monetaria, oggi sempre più teorica, degli Stati" pagina 177.
27
Von Clausewits Karl, (Burg 1780 – Breslavia 1831); Generale e teorico militare prussiano suo il famoso detto
“La guerra è la continuazione della politica” che ha guidato diverse generazioni di soldati.
28
Robert A. Graham: ”Il Vaticano e lo spionaggio”; pubblicato su "La Civiltà Cattolica" numero IV 1991;
pagine 350-361.
29
All’ingresso in politica dell’industriale della televisione Silvio Berlusconi, si ipotizzò per quest’ultimo la
possibilità di vendere al magnate internazionale Murdoc le tre reti mediaset. Questo allarmo non poco la
comunità politica italiana che si attivò per scongiurare una simile vendita. Affidare il controllo di tre importanti
reti televisive ad uno straniero era un rischio che non si poteva correre.
30
La CIA è intervenuta pesantemente nella politica interna di molti stati favorendo la creazione di regimi
totalitari, per esempio in Cile e in Indonesia.
31
In queste ultime attività si è sempre distinto il servizio segreto d’Israele con la cattura dei criminali nazisti nel
dopo seconda guerra mondiale, con l’esecuzione di tutti i responsabili del massacro perpetrato durante i Giochi
Olimpici di Monaco, più un innocente in Norvegia, con l’eliminazione di molti capi delle organizzazioni
palestinesi.

9
poter essere negati o sconfessati in caso di complicazioni; o quando è necessario intrattenere
relazioni con Governi non riconosciuti o avversari.
Va da se che molte di queste attività si svolgono secondo modalità e mezzi “non
convenzionali”32 che superano l’ortodossia dei comportamenti di ogni pubblica
amministrazione ammettendo la distinzione concettuale fra la “legittimità dei fini” e la
“legalità dei mezzi”, in una posizione di predominanza della prima sulla seconda nei temi
inerenti la sicurezza. Conseguenza di tale dicotomia è l'affermazione della possibilità
giuridica di atti e comportamenti illegali, nelle operazioni dei Servizi, in quanto risulta
legittimo il fine per cui sono stati posti in essere.
Questo comporta la necessità di ogni ordinamento giuridico di prevedere normative sul
modo di disciplinare in modo efficace l'istituto della così detta “garanzia funzionale” per gli
operatori dei servizi di sicurezza nell'ambito della loro attività. In Italia questo dibattito è più
che mai acceso, vuoi per la mancanza di normative specifiche di riferimento33, vuoi per i
preconcetti che ancora pervadono alcune forze politiche34. In astratto, si tratta di decidere fra
l’alternative di "negare" il problema, ritenendo che l'attività di intelligence dei servizi debba
sempre e comunque essere vincolata all'osservanza e al rispetto scrupolosi della normativa
vigente, in particolare quelle afferenti la tutela della privacy e alle prescrizioni in tema di
intervento della Autorità Giudiziaria, oppure accettare che l'attività di intelligence possa
giustificare la violazione di quelle norme e la compromissione di quei valori secondo un
giudizio di prevalenza o quanto meno di equivalenza di interessi costituzionalmente
significativi35.

32
E non potrebbe essere altrimenti, trovandosi a combattere contro realtà che non si pongono limiti nel
perseguimento dei loro fini, i servizi non possono essere limitati dalle procedure imposte dalle leggi: “il metodo
migliore per agire contro un nemico che non rispetta le regole è proprio quello di andare oltre le regole” Qiao
Liang, Wang Xiangsui: GUERRA SENZA LIMITI L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e
globalizzazione”; Pordenone 2001; Libreria Editrice Goriziana, pagina 118.
33
Da noi si risolvere implicitamente il problema della garanzia funzionale per via indiretta, attraverso il ricorso
alla legislazione relativa al segreto di Stato nei rapporti con l'Autorità giudiziaria. in pratica, la norma
processuale contenuta negli artt. 202 e 256 c.p.p. prevedendo la regola del "non doversi procedere" quando il
segreto è confermato dal Presidente del Consiglio dei Ministri e la prova risulta essenziale per la definizione del
processo.
34
Ancora oggi, molti partiti, per giustificare il ruolo dei servizi di sicurezza utilizzano la teoria del "male
necessario" che è stata applicata nella storia della morale a un numero diversissimo di casi.
35
Nel silenzio della Costituzione sulla possibilità di: compromissione degli interessi di libertà e privacy dei
cittadini; la soggezione del giudice soltanto alla legge; il divieto di istituire giudici straordinari o speciali; la
obbligatorietà dell'azione penale; l'esigenza del contraddittorio e il diritto di difesa; il punto di partenza,
nell’analisi del problema, è certamente rappresentato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 86/1977 in
tema di segreto. La Corte muove dall'interesse dello Stato-comunità alla propria integrità territoriale, alla propria
indipendenza e al limite alla sua sopravvivenza, come "interesse costituzionale superiore". Ad avviso della
Corte, questi interessi sono "supremi e imprescindibili": come tali essi legittimano il segreto come strumento di
sicurezza, in ragionevole rapporto di mezzo a fine. L'attuazione di essi è compito istituzionale per i supremi

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