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“SICUREZZA E IMPIANTI ELETTRICI”

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Sicurezza e impianti elettrici

Indice

LA SICUREZZA NEGLI IMPIANTI ELETTRICI ---------------------------------------------------------------------------- 3


CONFORMITÀ ALLE NORME DEI COMPONENTI ELETTRICI ------------------------------------------------------ 7
CONFORMITÀ ALLE NORME DEGLI IMPIANTI ------------------------------------------------------------------------ 10
INFORTUNI ELETTRICI --------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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La sicurezza negli impianti elettrici


La prima fonte legislativa inerente alla sicurezza è la Costituzione:

 art. 32: “La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e

interesse della collettività….”;

 art. 35: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni….”;

 art. 41: “ L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con

l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana….”.

Il Codice Civile stabilisce:

 art. 2050: “Chiunque cagiona danni ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa,

per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova

di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”;

 art. 2087: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell‘impresa le misure che

secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare

l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Dottrina e giurisprudenza hanno chiarito che il termine “imprenditore” va inteso nel senso

ampio di datore di lavoro.

Il Codice Penale stabilisce che:

- art 437: “Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali

destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o danneggia, è

punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni; se dal fatto deriva un disastro o un

infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

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Il Decreto legislativo 9/4/2008 n.81, noto come “testo unico sulla sicurezza nei luoghi di

lavoro” riporta norme generali e particolari di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro; il

decreto contiene, con significative novità, le prescrizioni che erano comprese in disposizioni di

legge, ora abrogate.

Tra le altre disposizioni di legge in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro è opportuno

segnalare in particolare:

 il DPR 22/10/2001 n.462 sulle verifiche degli impianti di terra, dei dispositivi

di protezione contro le scariche atmosferiche e degli impianti nei luoghi con pericolo di

esplosione;

 il DLgs 17/3/1995 n.230 che attua alcune direttive EURATOM in materia di

radiazioni ionizzanti.

Nel settore elettrico è di centrale importanza la legge 1-3-1968 n.186: “Disposizioni

concernenti la produzione di materiali, apparecchiature, macchinari, installazioni e impianti elettrici

ed elettronici” che consta dei seguenti due articoli:

 art.1 – Tutti i materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli

impianti elettrici ed elettronici devono essere realizzati e costruiti a regola d’arte.

 Art.2 - I materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli

impianti elettrici ed elettronici realizzati secondo le norme del Comitato Elettrotecnico

Italiano si considerano costruiti a regola d’arte.

Agli impianti elettrici utilizzatori si applica il DM 22/1/2008 n.37, par. 1.3.4.

Il Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI) è l’organismo italiano di normalizzazione

elettrotecnica ed elettronica. Il Simbolo del CEI è riportato in Figura 1.

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Le Norme emanate dal CEI sono classificate in base al Comitato Tecnico compilatore e

contrassegnate dal numero distintivo, dall’anno di edizione e dal numero di fascicolo. Per esempio,

la Norma CEI 64/8, dal titolo ‘Impianti Elettrici utilizzatori a tensione nominale non superiore a

1000 V in corrente alternata e a 1500 V in corrente continua’, è stata redatta dal Comitato Tecnico

64. Tale Norma è di particolare importanza in quanto costituisce il riferimento per la realizzazione

degli Impianti Elettrici secondo la regola dell’arte, seguendo quanto espressamente previsto dalla

L.186/68 e dal D.M.37/08 in merito alla sicurezza degli Impianti tecnici degli Edifici.

Allo scopo di pervenire ad una normalizzazione per quanto possibile armonica è sorta

l’International Electrotechnical Commission (IEC), che raccoglie tutti i paesi industrializzati del

mondo. La diversità delle norme nazionali costituisce un problema, per la cui eliminazione sono

sorti il CEN (Comitato Europeo Norme) e, per il settore elettrico, il CENELEC (Comitato Europeo

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per la Normalizzazione Elettrotecnica). In Figura 2, è sintetizzato lo schema degli organismi

normativi a livello nazionale (per l’Italia, CEI), europeo (CENELC) e mondiale (IEC).

La conformità alle norme assume aspetti diversi, a seconda che riguardi i singoli componenti

elettrici o l’intero impianto elettrico.

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Conformità alle norme dei componenti elettrici

Esistono due segni grafici corrispondenti a due diversi accertamenti della conformità del

prodotto alle norme CEI: il contrassegno CEI ed il marchio IMQ. Il Contrassegno CEI viene

applicato dal costruttore ai prodotti che, secondo il suo parere, corrispondono alle norme CEI

Su alcuni prodotti il costruttore può richiedere la concessione d’uso del marchio IMQ

(Figura 3) che viene concesso e mantenuto se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

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 approvazione del costruttore: le strutture produttive e di controllo del costruttore

sono atte a garantire la qualità del prodotto;

 approvazione del prototipo: il prototipo supera le prove di tipo previste nelle norme

CEI corrispondenti;

 controllo della produzione: la produzione corrisponde al prototipo.

Il marchio di qualità fornisce, quindi, maggiori garanzie all’utente rispetto al contrassegno CEI.

La sicurezza potrebbe avere grandi incidenze commerciali, cosicché per evitare intralci allo

scambio fra gli Stati membri, la Comunità Europea ha emanato la cosiddetta “direttiva bassa

tensione”. La direttiva in questione è stata recepita in Italia con la legge 18-10-1977 n.791.

Condizione sufficiente per ritenere un prodotto sicuro secondo la legge 791/77 è la rispondenza alle

norme armonizzate del CENELEC. Un prodotto conforme alle prescrizioni di una direttiva deve

portare il simbolo CE (Figura 4), qualora la direttiva stessa lo preveda. E’ il costruttore ad apporre il

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simbolo CE sull’apparecchio dopo aver sottoscritto una dichiarazione che quell’apparecchio è

conforme ai requisiti essenziali della direttiva, o delle direttive ad esso applicabili.

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Conformità alle norme degli impianti


Il DM 22/1/2008 n.37 prevede alcuni obblighi relativi alla sicurezza degli impianti. Le

imprese installatrici devono avere un responsabile che possieda i requisiti tecnico-professionali

indicati nel decreto stesso. Oltre certi limiti dimensionali, stabiliti in funzione del tipo di impianto, è

d’obbligo il progetto da parte di un professionista, libero o dipendente, purché iscritto all’albo.

L’impresa installatrice deve rilasciare al termine dei lavori una dichiarazione di conformità

dell’impianto alla regola dell’arte.

La regola dell’arte non necessariamente si identifica con la norma CEI. Seguire le norme

CEI è condizione sufficiente, ma non necessaria, per costruire un apparecchio o per realizzare un

impianto a regola d’arte. Le norme CEI costituiscono un preciso riferimento tecnico, ma non

esclusivo, stabilendo esse un livello di sicurezza ritenuto sufficiente, con il quale occorre

confrontarsi quando vengano seguiti sistemi di protezione alternativi od innovativi.

Se è vero che le norme CEI non sono norme di legge, va precisato che, secondo la

legge 186/68, al DLgs 81/08 e DM 37/08 le norme CEI sono riconosciute regola dell’arte nel settore

elettrico dello Stato Italiano.

Le norme CEI si “applicano agli impianti nuovi ed alle trasformazioni radicali degli impianti

esistenti”, così come esplicitamente chiarito nell’oggetto delle norme per gli impianti elettrici. Per

quanto riguarda gli impianti preesistenti, occorreranno comunque attente valutazioni per conseguire

un livello di sicurezza che, seppure inferiore a quello di un nuovo impianto, dovrà pur essere

sempre accettabile. Va considerato che il livello di sicurezza di un impianto preesistente potrebbe

diventare insoddisfacente perché:

• il sistema di protezione è divenuto fallace;

• moderne tecnologie hanno introdotto nuovi e più frequenti pericoli;

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• sono cambiate le premesse che rendevano affidabile il sistema di protezione.

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Infortuni elettrici
Gli infortuni elettrici sono equamente divisi tra domestici e non domestici. I luoghi più

pericolosi, dal punto di vista elettrico, sono i cantieri edili ed i locali da bagno o per doccia. La

maggior parte degli infortuni sono causati dagli impianti di bassa tensione non conformi alla regola

dell’arte, ed in minor misura dai componenti elettrici e dall’errore umano che prevale nei lavori

elettrici. Gli infortuni elettrici sono più frequenti nei mesi estivi, a causa di calzature e vestiti più

leggeri, vita all’aperto, maggior uso di liquidi, ecc.

Senza pretesa di essere esaustivi, almeno per il momento, si può osservare che gli infortuni

derivanti dall’utilizzo di dispositivi connessi agli impianti elettrici, dipendono, essenzialmente, dal

contatto con parti in tensione. Tale contatto, può avvenire:

• con parti dell’impianto che normalmente sono in tensione (Figura 4.a).

• con parti che normalmente non sono in tensione (Figura 4.b).

Come sarà chiarito nel seguito del corso, il primo caso è riconducibile ai cosiddetti contatti

diretti, il secondo caso ai cosiddetti contatti indiretti.

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Il primo è il caso, ad esempio, di un contatto con un conduttore in tensione; il secondo caso

si riferisce, ad esempio, al contatto con l’involucro metallico di un apparecchio utilizzatore (si pensi

ad esempio un elettrodomestico) che a sua volta, benché normalmente non intensione, può venire a

trovarsi in tensione qualora, ad esempio, per perforazione dell’isolante di un cavo, c’è contatto tra

l’involucro e un conduttore.

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Per ciascuna delle condizioni descritte, le Norme CEI stabiliscono specifici accorgimenti da

approntare al fine di garantire i requisiti minimi di sicurezza. L’oggetto di questo corso è dunque, lo

studio degli strumenti atti a comprendere ed affrontare le tematiche inerenti alla sicurezza negli

impianti elettrici civili ed industriali.

In conclusione di queste note introduttive, si vuole sottolineare che per comprendere le

tematiche inerenti alla sicurezza negli impianti elettrici, è necessario conoscere il sistema elettrico, i

suoi componenti costituenti e le sue modalità di funzionamento. Inoltre, per lo studio di tali

tematiche è necessario avere solide conoscenze dei fenomeni elettrici e della risoluzione dei circuiti

elettrici, per mezzo dei quali è possibile analizzare, progettare e gestire gli impianti elettrici.

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Bibliografia

 Ramasco R., (1993). Dinamica delle strutture. Cuen Editore.

 Anil K. Chopra, (2011). Dynamic of Structures: Theory and Applications to Earthquake

Engineering. Prentice Hall College Div.

 V. Carrescia, “Fondamenti Di Sicurezza Elettrica”, Editore TNE, 2006

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“BREVI RICHIAMI DI ELETTROTECNICA”

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Brevi richiami di elettrotecnica

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 POTENZA ED ENERGIA ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
3 CORRENTE CONTINUA E CORRENTE ALTERNATA ----------------------------------------------------------- 11
4 I BIPOLI NEI CIRCUITI IN CORRENTE CONTINUA ------------------------------------------------------------- 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16

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1 Introduzione
Il funzionamento dei componenti elettrici impiegati per la produzione, il trasporto, la

distribuzione e l’utilizzazione dell’energia elettrica sono basati sulla possibilità di controllare i

fenomeni elettromagnetici.

Lo studio dei fenomeni elettromagnetici è complesso e si riferisce, fondamentalmente, allo

studio delle forze che agiscono sulle cariche ferme e in movimento. In particolare, si può definire un

campo elettrico misurando la forza che agisce su una carica ferma e un campo magnetico misurando

la forza che agisce su una carica in movimento. Lo studio dei fenomeni elettromagnetici si basano

sulle leggi di Maxwell, che legano le interazioni tra i campi elettrici e magnetici, e sulle leggi che

descrivono il comportamento dei diversi materiali (conduttori, isolanti e materiali ferromagnetici).

Allo scopo di semplificare, dove possibile, la realtà fisica pur garantendo l’accuratezza dei

risultati ottenuti, è possibile anche condurre lo studio sulla base della teoria dei circuiti elettrici: è

questo l’approccio proposto dall’Elettrotecnica. Nell’ambito della teoria dei circuiti, i sistemi

soggetti a fenomeni elettromagnetici sono modellati con dispositivi elettrici collegati tra loro

all’interno di un circuito. Un circuito elettrico, dunque, si definisce come un’interconnessione di

dispositivi elettrici. I dispositivi elettrici sono oggetti fisici a due o più terminali utilizzati per

collegarli elettricamente tra loro. I terminali prendono anche il nome di morsetti; il dispositivo

caratterizzato da due terminali prende anche il nome di bipolo. Esempi di dispositivi elettrici sono:

resistori, induttori, condensatori, generatori, batterie, trasformatori, linee e motori elettrici.

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Un esempio di un circuito elettrico elementare è rappresentato schematicamente in Figura 1:

il circuito rappresentato è composto da 4 dispositivi elettrici e 4 nodi: un generatore, 2 linee e un

carico elettrico.

L’utilizzo dell’Elettrotecnica ha il chiaro vantaggio che i circuiti possono essere studiati

attraverso l’analisi di due grandezze fondamentali: le correnti che attraversano i terminali e le

tensioni tra i terminali dei singoli componenti che costituiscono il circuito. Le correnti che circolano

all’interno dei conduttori costituenti, ad esempio, le linee elettriche, possono essere concepite come

dei movimenti ordinati di cariche, dovuti alla differenza di potenziale esistente tra gli estremi del

conduttore stesso (ovvero i terminali delle linee). La conoscenza di tensioni e correnti permette di

conoscere tutte le informazioni necessarie ad analizzare o a progettare i sistemi così costituiti. Per

rappresentare la corrente in uscita da un morsetto (I) e la tensione misurata tra i morsetti di un

bipolo (V) si utilizzano delle frecce, come rappresentato in Figura 2.

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In accordo al Sistema Internazionale, l’unità di misura della corrente elettrica è l’ampère, il

cui simbolo è A, e l’unità di misura della tensione è il volt, il cui simbolo è V.

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2 Potenza ed Energia
In un circuito elettrico, altre grandezze fondamentali sono la potenza e l’energia che,

tuttavia, possono essere derivate dalla conoscenza di tensioni e correnti. Per introdurre

intuitivamente il concetto di energia e potenza, si faccia riferimento alla Figura 3, in cui è riportato

un circuito elementare costituito da un generatore, da un carico e due conduttori (linee elettriche).

Le due linee si assumono essere ideali, ovvero non dissipano alcuna energia.

Nel semplice circuito di Figura 3, il generatore immette una potenza elettrica nel circuito, partendo

dalla potenza fornita da una fonte esterna. Il carico, invece, assorbe potenza dal circuito e la eroga

verso l’esterno. Ad esempio, il generatore elettrico potrebbe essere una batteria, che fornisce

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l’energia elettrica a partire dall’energia elettrochimica immagazzinata al suo interno; il carico

potrebbe essere una stufa che trasforma l’energia elettrica in calore.

Il trasferimento dell’energia dal generatore al carico avviene per mezzo delle linee, al cui interno si

muove il flusso di cariche, ovvero circola una corrente. Tale flusso è rappresentato in Figura 4.

Nella Figura 4 è mostrato la corrente elettrica che circola nel circuito. Il flusso di cariche

entra nel generatore dal morsetto a potenziale minore (morsetto negativo), aumenta la sua energia

potenziale grazie al lavoro fornito dal generatore stesso (sfruttando cioè l’energia immessa dalla

fonte esterna) e, poi, esce dal morsetto a potenziale maggiore (morsetto positivo). L’opposto accade

al carico elettrico, dove la corrente entra attraverso il morsetto positivo, diminuisce spontaneamente

la propria energia potenziale cedendo energia all’esterno e poi esce dal morsetto negativo.

Sulla base di tali premesse è ora possibile definire la potenza e l’energia elettrica.

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L’energia elettrica può essere, quindi, definita come una forma di energia dovuta ad un

flusso di cariche che si muovono all’interno di un conduttore elettrico quando ai suoi capi c’è una

differenza di potenziale. L’energia elettrica si indica con E(t) e, in accordo al Sistema Internazionale

(SI) è misurata in Joule, il cui simbolo è J. La potenza elettrica è indicata con P(t) ed è definita

come l’energia E(t) erogata da un generatore (o assorbita da un carico) nell’unità di tempo t.

La potenza elettrica si misura nel SI in Watt (il cui simbolo è W). Ne deriva che l’unità di

misura correntemente utilizzata per l’energia elettrica è il chilowattora (o kilowattora), il cui

simbolo è kWh.

Ovviamente, esiste una relazione matematica che lega la potenza, la corrente e la tensione: la

potenza P(t) fornita o erogata da un dispositivo elettrico è data, istante per istante, dal prodotto della

corrente i(t) e della la tensione v(t) misurata ai morsetti del dispositivo:

P(t) = v(t) ∙ i(t).

Da tale espressione deriva che l’unità di misura della potenza è pari al prodotto dell’unità di

misura della corrente e della tensione:

W=A ∙V
Per la potenza elettrica scambiata da un dispositivo elettrico con il resto del circuito occorre

scegliere una convenzione di segno. A partire dal verso della tensione e della corrente che si

misurano ai morsetti di un dispositivo, è possibile definire due convenzioni di segno per la potenza:

la convenzione del generatore e quella dell’utilizzatore. In Figura 5 sono mostrate le seguenti due

convenzioni per un bipolo:

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- nella convenzione del generatore il verso della corrente i(t) è concorde con il verso

della tensione v(t) (un esempio è riportato in Figura 5.a).

- nella convenzione dell’utilizzatore il verso della corrente i(t) è discorde con il verso

della tensione v(t) (un esempio è riportato in Figura 5.b).

Se si sceglie la convenzione del generatore, la potenza si dirà “potenza generata”, se si

sceglie, invece, la convenzione dell’utilizzatore si dirà “potenza assorbita”. Si noti che il segno della

potenza generata e assorbita non dipenderà dalla particolare convenzione scelta.

A questo punto, considerando nuovamente il caso del circuito elementare rappresentato in

Figura 6, con i versi di corrente e tensione indicati, ne consegue che sul generatore è stata scelta la

“convenzione del generatore” mentre sul carico elettrico la “convenzione dell’utilizzatore”.

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Una volta risolto il circuito, se, come nel caso rappresentato, la tensione e la corrente hanno

effettivamente i versi indicati in figura, il bipolo “generatore elettrico” erogherà potenza P G(t) verso

il circuito elettrico (per cui la PG(t)>0) mentre il bipolo “carico elettrico” assorbirà potenza PC(t) dal

circuito elettrico (per cui PC(t)>0). Si noti infine, che per il “principio di conservazione delle

potenze” la potenza erogata dal generatore PG(t) deve essere uguale a quella assorbita dal carico

PC(t), essendo le linee prive di perdite (ovvero anche, la somma di tutte le potenza assorbite (o

generate) devono essere nulle).

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3 Corrente continua e corrente alternata


Normalmente, il funzionamento dei circuiti elettrici si può classificare in base all’andamento

nel tempo delle grandezze elettriche che ne caratterizzano il funzionamento, quali la corrente e la

tensione.

Nel caso che tutte le correnti e le tensioni nel circuito assumono valori costanti nel tempo,

tali grandezze vengono definite “correnti continue” e “tensioni continue”.

Un caso di notevole importanza applicativa nel caso in cui tutte le tensioni e correnti

assumono valori variabili nel tempo è quello in cui la legge di variazione delle grandezze elettriche

è di tipo sinusoidale. In tal caso, le correnti e le tensioni vengono comunemente denominate

“correnti alternate” e “tensioni alternate”, rispettivamente, e si dice che il circuito opera in “regime

sinusoidale”. I due casi sono riportati in Figura 7.

15 40

20
10
tensione (V)

tensione (V)

5
-20

0 -40
0 2 4 6 8 10 0 20 40 60 80 100
tempo [s] tempo [s]

Fig. 7. Andamento nel tempo nel caso di tensione: continua (a), regime sinusoidale (b).

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4 I bipoli nei circuiti in corrente continua


I bipoli sono i componenti fondamentali dei circuiti elettrici. Nella teoria dei circuiti, i bipoli

sono modelli che descrivono il comportamento di un dispositivo elettrico dotato di due morsetti per

la loro connessione. La Figura 8 rappresenta un bipolo, dove sono evidenziate la corrente I in uscita

da un morsetto e la tensione V misurata ai suoi morsetti.

Fig. 8. Bipolo.

Un bipolo è caratterizzato da una legge fisica, nota come la “caratteristica del bipolo”, che

esprime il legame tra la tensione e la corrente ai suoi morsetti:

V=f(I)

Ovviamente, va specificata la convenzione di segno: in figura, ad esempio, è stata utilizzata

la convenzione del generatore.

In particolare, un bipolo si dice ideale se la sua caratteristica è una funzione f lineare, con un

solo parametro k costante nel tempo (cioè V = k I).

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I bipoli ideali che compaiono nei circuiti in regime stazionario sono:

 il resistore ideale,

 il generatore ideale di tensione,

 il generatore ideale di corrente.

Intuitivamente, un resistore nasce dall’esperienza che mostra come un filo di materiale

conduttore percorso da una corrente elettrica si riscalda. Ciò è dovuto ad una trasformazione di

energia elettrica in calore: tale è il cosiddetto “effetto Joule”. Il resistore è un bipolo dissipativo che

rappresenta un conduttore elettrico che trasferisce all’esterno, sottoforma di calore dovuta all’effetto

Joule, la potenza elettrica.

La caratteristica del resistore è data dalla legge di Ohm che, nel caso della convenzione

dell’utilizzatore, si scrive:

V=RI

dove R è detta resistenza del bipolo ed è misurata in ohm (Ω). Il simbolo grafico del

resistore è riportato in Figura. 9.

R V

Fig. 9. Simbolo grafico del resistore.

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Si noti che la resistenza R di un conduttore dipende dalla resistività , definita come

l'attitudine di un materiale ad opporre resistenza al passaggio delle cariche elettriche, e dalle

dimensioni del conduttore stesso. Nel caso di un conduttore cilindrico è possibile applicare la ben

nota relazione

R=  l/S

dove si è indicato con l la lunghezza del conduttore e con S l’area della sua sezione

trasversale. La potenza del resistore è chiaramente data dal prodotto:

P=V I

ovvero, attraverso semplici passaggi:

P=R I2

Il bipolo generatore ideale di tensione è un bipolo attivo in grado di erogare (o assorbire)

qualunque valore di potenza elettrica mantenendo sempre costante la tensione ai suoi morsetti. La

sua relazione è quindi:

V=E

ovvero, la tensione V che si misura ai capi del generatore è sempre costante e pari alla forza

elettromotrice E. Un caso particolare è il cosiddetto corto circuito, in cui V=0. In Figura 10 è

rappresentato il simbolo del bipolo generatore di tensione (a) ed il simbolo del corto circuito (b).

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a) b)

Fig. 10 Simbolo grafico del generatore di tensione ideale (a) e del corto circuito (b)

Il bipolo generatore ideale di corrente è un bipolo attivo in grado di erogare (o assorbire)

qualunque valore di potenza elettrica mantenendo sempre costante la corrente circolante tra i suoi

morsetti. La sua caratteristica è dunque:

I=J

ed il suo simbolo è riportato in Figura 11 a). Un caso particolare di generatore ideale di

corrente è il generatore ideale di corrente nulla, ovvero il cosiddetto circuito aperto la cui

caratteristica è I=0 ed il cui simbolo è rappresentato in Figura 11 b).

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Bibliografia

 G. Someda, “Elementi di elettrotecnica generale”, Patron, Bologna 1977

 [2] F. Piglione, G. Chicco, “Appunti di Sistemi Elettrici Industriali”, Politeko, Torino

 [3] S. Bobbio, “Esercizi di Elettrotecnica”, CUEN, Napoli, 1992.

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CORRENTE CONTINUA”

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Indice

1 PRINCIPI DI KIRCHHOFF ------------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 BIPOLI EQUIVALENTI ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
3 TEOREMA DI THÉVENIN ------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17

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1 Principi di Kirchhoff
Un circuito elettrico è formato da una rete di bipoli connessi tra loro. Un esempio di circuito

elettrico è rappresentato in Figura 1.

Fig. 1 Esempio di circuito elettrico


Nel circuito di Figura 1, oltre ai bipoli, si possono individuare i nodi, cioè i punti in cui

convergono almeno due bipoli e le maglie, cioè tutti i possibili percorsi chiusi costituiti da bipoli.

Oltre alle caratteristiche dei bipoli, vi sono altre due leggi che regolano le tensioni e le

correnti di un circuito elettrico: i “Principi di Kirchhoff”. Tali leggi stabiliscono che:

 in un nodo la somma algebrica delle correnti dei bipoli che vi confluiscono è in ogni istante

nulla ( “principio di Kirchhoff per le correnti”);

 in una maglia la somma algebrica delle tensioni relative ai bipoli che formano la maglia è in

ogni istante nulla (“principio di Kirchhoff per le tensioni”).

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Per applicare questi principi occorre definire arbitrariamente un verso positivo per le correnti

che attraversano un nodo e un verso per le tensioni presenti in una maglia come riportato in Figura

3, per le correnti, ed in

Figura 4 per le tensioni.

Figura 3. Definizione del verso positivo per le correnti al nodo

Figura 4. Definizione del verso positivo per le tensioni di maglia

Con riferimento alla Figura 3, se scegliamo come positivo il verso delle correnti entranti dal

nodo indicato, allora il principio di Kirchhoff per le correnti impone che

I1-I2-I3=0

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Con riferimento alla Figura 4, se scegliamo come positivo il verso di circolazione antiorario

della maglia, il principio di Kirchhoff per le tensioni impone che:

-V1+V2+V3=0

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2 Bipoli equivalenti

Due bipoli si dicono collegati “in serie” quando hanno un morsetto in comune e in essi

circola la stessa corrente (Figura 5.a).

Due bipoli si dicono collegati “in parallelo” quando hanno due morsetti in comune e in essi,

dunque, si registra ai morsetti la stessa tensione (Figura 5.b).

Figura 5. Bipoli resistori in serie (a) e parallelo (b).

In entrambi i casi, si può facilmente dimostrare che è possibile rappresentare la serie o il

parallelo di bipoli attraverso un unico bipolo di resistenza Req; più in particolare:

 nel caso dei bipoli serie Req = R1+R2

 nel caso dei bipoli in parallelo 1/Req = 1/R1+1/R2

Si noti che in entrambi i casi, le relazioni si possono generalizzare per un qualsiasi numero

di bipoli.

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3 Teorema di Thévenin

Un circuito comunque complesso, costituito da bipoli ideali, può essere, poi, ridotto ad un

circuito elementare costituito dalla serie di un generatore ideale di tensione Eeq e di un resistore Req,

come rappresentato in Figura 6.

Fig. 6 Riduzione di un circuito complesso ad un circuito elementare

Tale riduzione può essere fatta per mezzo del teorema di Thévenin. In tal caso:

 la tensione del generatore ideale di tensione Eeq è la tensione ‘a vuoto’ ai morsetti A

e B della rete originaria, cioè è la tensione che si registra tra A e B quando tali morsetti sono

aperti;

 la resistenza equivalente Req è la resistenza equivalente che si calcola tra i morsetti

A e B dopo aver “annullato” tutti i generatori. Annullare i generatori significa sostituire i

generatori di tensione con corto circuiti e sostituire i generatori di corrente con circuiti aperti.

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Esercizio (principi di Kirchhoff)

Risolvere la rete lineare disegnata in Figura 7.

i1 R1 B
A
v1 i2 ic
R2
vt v2 vc

i3
D C
v3

Fig. 7 Esercizio

Dati noti:

R1 = 10 Ω

R2 = 40 Ω

vt = 100 V

ic = 10 A

Risposta

Risolvere un circuito vuol dire determinare correnti e tensioni in tutti i lati del circuito. Nel

caso in esame, quindi, il circuito è costituito da l=5 lati e n=4 nodi:

 i lati sono costituiti dai bipoli costituenti il circuito (nel caso in esame due generatori,

due resistori e un corto circuito);

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 i nodi sono i terminali (o morsetti) dei bipoli, attraverso cui si collegano i bipoli tra

loro (nel caso in esame sono stati indicati con le lettere A, B, C e D).

Quindi, nel caso in esame, si hanno 2•l =10 incognite.

Si può dimostrare che, per il primo principio di Kirchhoff è possibile scrivere (n-1)

equazioni linearmente indipendenti (nel caso in esame, quindi, 3) e per il secondo principio di

Kirchhoff se ne possono scrivere l-(n-1) (quindi 2, nel caso in esame).

Le equazioni relative al I principio di Kirchhoff sono:

nodo A:

nodo B:

nodo D:

Si noti che sommando, membro a membro, le tre equazioni ottenute si ottiene

, ovvero

che rappresenta l’equazione relativa al I principio di Kirchhoff al nodo C (quindi superflua).

Le equazioni relative al II principio di Kirchhoff sono:

maglia ABCD:

maglia vc, R2 :

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Inoltre si possono scrivere le equazioni che esprimono le caratteristiche dei bipoli

(chiaramente, ne sono in egual numero al numero di bipoli, quindi l=5, nel caso in esame).

Carateristiche dei bipoli:

lato AB :

lato BC:

lato CD:

lato AD:

lato BC (gen. di corrente):

Si è quindi costruito un sistema di 10 equazioni.

La soluzione del sistema è data da:

Al fine di verificare la correttezza della soluzione trovata, è possibile verificare che sia

soddisfatto il principio della conservazione delle potenze. All’uopo si può calcolare la potenza

assorbita da ciascun bipolo:

Generatore di tensione:

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Generatore di corrente:

Resistore R1:

Resistore R2:

Ovviamente, la potenza assorbita dal bipolo corto circuito è nulla.

Passando alla sommatoria si ottiene:

È interessante notare che, mentre i due resistori assorbono entrambi potenza positiva, com’è

naturale che sia, dato che si tratta di bipoli passivi, per i generatori il segno della potenza è discorde

nei due casi: nel caso del generatore di tensione la potenza assorbita è positiva, nel caso del

generatore di corrente è negativa. Ciò vuol dire che, mentre tutta la potenza occorrente al circuito è

fornita interamente dal generatore di corrente, quello di tensione si sta invece comportando da

“utilizzatore” (e non da “generatore”), sta, cioè, assorbendo potenza dal circuito.

Esercizio (teorema di Thévenin)

Determinare la caratteristica del bipolo equivalente, ai morsetti A e B,

al circuito di Figura 8.

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R1 R2 R3

vt1 vt2 vt3


B

Fig. 8 Esercizio

Dati noti:

Risposta

Per calcolare la tensione esistente tra i nodi A e B, si potrebbe risolvere il circuito di

Figura 9 con i principi di Kirchhoff o altri metodi più rapidi, che, tuttavia, non sono oggetto dei

brevi richiami qui riportati.

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A
i1 i2 i3

R1 R2 R3

vt1 vt2 vt3

Fig. 9
Tuttavia, si può osservare che per uno dei tre lati del circuito si può applicare la legge di

Kirchhoff alle tensioni (Figura 10):

A
i2

v2 R2
vAB

vt2

Fig. 10

ovvero

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da cui:

e, analogamente per gli altri lati,

Applicando ora il principio di Kirkhhoff alle correnti (nodo A):

E’, quindi, possibile derivare :

Vale la pena osservare che la formula così derivata vale per un qualsiasi numero di bipoli

del tipo rappresentato in Figura 9 (costituiti, cioè dalla serie di un generatore e da un resistore) e

collegati in parallelo. Per n bipoli, la formula così ottenuta può essere generalizzata come:

La formula così derivata, prende il nome di teorema di Milmann che, come si vedrà, sarà

particolarmente utile nel caso delle reti trifase.

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Nel caso dell’esercizio in esame si ricava facilmente che:

Infine, per calcolare la Req, sarà sufficiente calcolare il bipolo equivalente delle tre resistenze

collegate in parallelo del circuito di Figura 11 (dove, cioè, ciascun generatore di tensione è stato

sostituito con il bipolo corto circuito).

R1 R2 R3

Fig. 11

In conclusione, quindi, si è pervenuto ai parametri del bipolo equivalente secondo Thévenin

(Figura 12), la cui caratteristica è:

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Re i
q
A

Vo
v

Fig. 12

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Bibliografia

 G. Someda, “Elementi di elettrotecnica generale”, Patron, Bologna 1977

 [2] F. Piglione, G. Chicco, “Appunti di Sistemi Elettrici Industriali”, Politeko, Torino

 [3] S. Bobbio, “Esercizi di Elettrotecnica”, CUEN, Napoli, 1992.

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CORRENTE ALTERNATA”

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Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 I BIPOLI ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
3 L’IMPEDENZA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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1 Generalità
Una generica grandezza a(t) si dice in regime sinusoidale se la sua variazione nel tempo può

essere espressa dalla seguente relazione:

a(t)= AM sen (ωt + φA)

I parametri che caratterizzano questa funzione sono:

- l’ampiezza massima AM: è il valore di picco assunto da questa funzione; nei

casi di nostro interesse, l’unità di misura adoperata è il volt per la tensione e l’ampere per la

corrente;

- il periodo T, cioè l’intervallo di tempo (quindi misurato in secondi) necessario a

compiere una intera oscillazione, ovvero è il tempo che separa due ‘picchi’ successivi della

funzione;

- la frequenza f, che è l’inverso del periodo T e si misura in Hertz (Hz);

- la pulsazione ω è data dal prodotto ω=2 π f; essa si misura in radianti/secondo

(rad/s);

- la fase iniziale φA, che è lo spostamento sull'asse delle ascisse della sinusoide

rispetto ad una generica origine dei tempi o ad una analoga grandezza, presa come

riferimento (si misura in radianti).

Nella Figura 7 è riportato il tipico andamento di una grandezza a(t).

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ФA/ω
T
Am

Fig. 7 Grandezza sinusoidale e suoi parametri caratteristici.

Un valore particolarmente importante per le applicazioni pratiche, è il valore efficace A. Il

valore efficace è definito come il rapporto tra l’ampiezza massima AM della sinusoide e il

coefficiente √2.

Molto utile nel campo della risoluzione dei circuiti elettrici in regime sinusoidale è la

differenza di fase o sfasamento tra due grandezze sinusoidali.

Per definire lo sfasamento, si considerino due grandezze sinusoidali:

a(t)= AM sen (ωt + ФA)

b(t)= BM sen (ωt + ФB)

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Si definisce differenza di fase Ф tra a(t) e b(t) la differenza

Ф = Ф A ̅ Ф B.

In particolare si dice che:

• a(t) è in anticipo su b(t) se Ф = Ф A ̅ Ф B>0 ovvero Ф A > Ф B

• a(t) è in ritardo su b(t) se Ф = Ф A ̅ Ф B<0 ovvero Ф A < Ф B

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2 I bipoli
In regime sinusoidale i bipoli ideali che compaiono nei circuiti sono:

• il generatore ideale di tensione,

• il generatore ideale di corrente,

• il resistore ideale,

• l’induttore ideale,

• il condensatore ideale.

Il generatore ideale di tensione è un bipolo attivo che mantiene fissa la tensione ai suoi

morsetti, indipendentemente dalla corrente che circola in esso; la sua caratteristica è:

e(t)= EM sen (ωt+φE)

Il generatore ideale di corrente è un bipolo attivo in grado di erogare sempre la stessa

corrente, indipendentemente dalla tensione che si registra ai suoi morsetti; la sua caratteristica è:

i(t)= IM sen (ωt+φI)

In Figura 17 sono rappresentati i simboli grafici del generatore di tensione (a) e di corrente (b).

Fig. 17 Simboli grafici del generatore di tensione (a) e di corrente (b).

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Il resistore è un bipolo dissipativo che rappresenta un conduttore elettrico che converte la

potenza elettrica che lo attraversa in calore per “effetto Joule”; la sua caratteristica è:

v(t) = R × i(t)

dove R è la resistenza del bipolo resistore. La potenza elettrica P(t) assorbita all’istante t da

un resistore R è data dal prodotto della tensione v(t) per la corrente i(t):

P (t)= v(t) i(t),

ovvero, considerando la caratteristica del resistore,

P (t)= R i2(t).

L’induttore è un bipolo che rappresenta un conduttore elettrico, tipicamente avvolto in più

spire, che, creando un campo magnetico quando è attraversato da una corrente variabile nel tempo,

è in grado di immagazzinare energia al suo interno e quindi, di cederla nuovamente al circuito. La

caratteristica dell’induttore è:

dove L, il coefficiente di proporzionalità tra tensione e variazione nel tempo della corrente

dell’induttore, è detto induttanza. L’unità di misura dell’induttanza è l’henry (H). L’energia

immagazzinata al suo interno è:

Il condensatore è un bipolo costituito da due piastre di materiale conduttore separate da un

mezzo costituito da un materiale dielettrico. Tale bipolo è in grado di immagazzinare energia al suo

interno sotto forma di campo elettrico e di cederla nuovamente al circuito. La sua caratteristica è:

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dove il parametro C, coefficiente di proporzionalità tra corrente e variazione nel tempo della

tensione ai capi del condensatore, è detto capacità del bipolo e si misura in farad (F). L’energia

immagazzinata al suo interno è:

In Figura 18 sono rappresentati gli schemi grafici dei bipoli resistore (a), induttore (b) e

condensatore (c).

Fig. 18. Schemi grafici dei bipoli resistore (a), induttore (b) e condensatore (c)

i(t) i(t) i(t)

R v(t) L v(t) C v(t)

Fig. 18. Schemi grafici dei bipoli resistore (a), induttore (b) e condensatore (c)

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3 L’impedenza
Il concetto d’impedenza è utile nei circuiti in regime sinusoidale poiché permette di ottenere,

esattamente come accade per il resistore, un legame di proporzionalità pura tra tensione e corrente

anche per l’induttore e il condensatore.

Dette, quindi, v(t) e i(t) la tensione e la corrente, entrambe sinusoidali, del generico bipolo,

le cui leggi di variazione nel tempo sono, rispettivamente:

v(t)= VM sen (ωt + φV)

i(t)= IM sen (ωt +φI)

l’impedenza, indicata con (Figura 19), è una grandezza fisica che identifica il bipolo in

regime sinusoidale, e che è in grado di esprimere un legame di pura proporzionalità tra le due

grandezze sinusoidali v(t) e i(t).

Fig. 19. Impedenza.

L’impedenza è un numero complesso in cui:

- il modulo Z è pari al il rapporto tra i valori massimi della tensione v(t) e della corrente i(t)

(ovviamente è anche pari al rapporto dei loro valori efficaci):

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- la fase φZ è pari allo sfasamento tra la tensione v(t) e la corrente i(t):

Chiaramente, il modulo dell’impedenza si misura in ohm (Ω) e la sua fase in radianti (rad).

Nel caso del resistore, quindi, essendo lineare il legame tensione corrente:

v(t) = R i(t)

ne consegue che l’impedenza ha modulo pari al valore della resistenza e fase nulla.

Nel caso dell’induttore, invece, tale bipolo sfasa la corrente in quadratura di fase rispetto alla

tensione (cioè esiste tra tensione e corrente uno sfasamento di 90° ovvero π/2 rad); inoltre, la

corrente è in ritardo rispetto alla tensione. In questo caso, quando la tensione è massima (o minima)

la corrente è nulla. Ne consegue che, per l’induttore, il modulo dell’impedenza è pari a:

e la sua fase è

prende il nome di reattanza induttiva.

Nel caso del condensatore, tale bipolo sfasa la corrente in quadratura di fase ma, a differenza

del caso precedente, in anticipo sulla tensione. Anche in questo caso, quando la tensione è massima

(o minima) la corrente è nulla. Ne consegue che, per il condensatore, il modulo dell’impedenza è

pari a

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e la sua fase è

prende il nome di reattanza capacitiva.

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Bibliografia

• G. Someda, “Elementi di elettrotecnica generale”, Patron, Bologna 1977

• [2] F. Piglione, G. Chicco, “Appunti di Sistemi Elettrici Industriali”, Politeko, Torino

• [3] S. Bobbio, “Esercizi di Elettrotecnica”, CUEN, Napoli, 1992.

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“IL METODO SIMBOLICO”

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Il metodo simbolico

Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 I FASORI ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 4
3 IL METODO SIMBOLICO -------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
BIBLIOGRAFIA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9

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1 Generalità
Nei circuiti in regime sinusoidale, la presenza di bipoli quali l’induttore e il condensatore

ideale, fa sì che le equazioni di nodo e di maglia, che in regime stazionario sono algebriche,

diventino differenziali. Risolvere un circuito in regime sinusoidale significa, quindi, risolvere un

sistema di equazioni differenziali. In tal caso, la generica corrente o tensione incognita a(t) è data

da:

a(t)=at(t)+ap(t)

avendo indicato con at(t), la soluzione dell’equazione omogenea associata e con ap(t) un

integrale particolare dell’equazione completa:

 il termine at(t) è un termine transitorio, che dipende dalle condizioni iniziali e

che si annulla a regime;

 il termine ap(t) è invece il termine permanente che dipende solamente

dall’effetto dei generatori presenti nel circuito.

Per il momento, la soluzione da noi cercata è quella di regime e, quindi, possiamo trascurare

il termine transitorio e concentrare la nostra attenzione sul solo termine permanente.

Ovviamente, se i generatori del circuito elettrico operano tutti alla frequenza di 50 Hz, tutte

le correnti e le tensioni misurabili nel circuito sono anch’esse sinusoidali ed aventi frequenza di 50

Hz. Quindi, a regime, qualunque corrente e tensione del circuito è una sinusoide di frequenza nota

(nel nostro esempio 50 Hz), di cui occorre determinare solamente l’ampiezza e la fase rispetto ad un

riferimento comune.

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2 I fasori
Si faccia ora riferimento al semplice circuito in Figura 1, in cui uno dei tre bipoli è un

generatore sinusoidale che, a regime, determina la circolazione di tre correnti sinusoidali i1(t), i2(t) e

i3(t).

Fig. 1 Circuito costituito da tre bipoli

L’andamento nel tempo delle tre correnti rappresentate in Figura 1 è fornito dalle seguenti

relazioni:

i1(t) = I1M sin(ωt+φ1)

i2(t) = I2M sin(ωt+φ2)

i3(t) = I3M sin(ωt+φ3)

dove I1M, I2M, I3M sono le ampiezze e φ1, φ2, φ3 le fasi.

Si noti ora che una generica sinusoide può essere ottenuta dallo sviluppo di un vettore

rotante, secondo il procedimento illustrato in Figura 2: si faccia riferimento ad un vettore di modulo

AM e lo si faccia ruotare nel tempo in senso antiorario con velocità angolare ω. L’argomento del

vettore è dato da (ωt+φ), dove φ è l’argomento del vettore al tempo t=0. Per ogni valore di ωt, si

riporta sul diagramma cartesiano il punto avente, come ordinate, la proiezione del vettore sull’asse

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delle ordinate e, come ascissa, il valore di ωt. Il vettore rotante, quindi, descrive in modo univoco la

sinusoide.

a(t)= AM sin(ωt+φ).

Fig. 2 Vettore rotante e sinusoide

Tale procedimento può essere applicato ad una qualsiasi grandezza sinusoidale e, quindi,

anche alle tre correnti del circuito di Figura 1. Le tre correnti i1(t), i2(t) e i3(t) possono, quindi,

essere descritte da tre vettori rotanti, di ampiezze I1M, I2M, I3M, come illustrato, qualitativamente,

nella Figura 3, in cui al tempo t=0 gli argomenti dei tre vettori sono pari a φ1, φ2, φ3.

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Fig. 3 Vettore rotante e sinusoide per le correnti del circuito di Figura 1.

Ovviamente, al variare del tempo t, gli sfasamenti reciproci dei tre vettori rimangono

costanti, così come accade per le sinusoidi. Per usare un’immagine suggestiva, è come se i tre

vettori fossero “inchiodati” su un disco che ruota a velocità angolare ω: indipendentemente

dall’istante in cui “fotografiamo” il disco, le relazioni tra i vettori non mutano. Non ha dunque

importanza la dipendenza dal tempo in quanto le grandezze che caratterizzano ciascuno dei tre

vettori di corrente (modulo e fase) sono costanti. I vettori che rappresentano sinusoidi sono detti

fasori.

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3 Il metodo simbolico
I vettori che rappresentano sinusoidi sono detti fasori. Su di essi è basato il metodo di studio

dei circuiti in regime sinusoidale che è detto appunto metodo dei fasori o, anche, metodo simbolico.

Esiste, quindi, una corrispondenza biunivoca tra una grandezza sinusoidale a(t):

a(t)= AM sin(ωt+φ)

ed un fasore. Un fasore può essere rappresentato da un numero complesso , che può essere

definito in coordinate cartesiane o polari. Se si fa riferimento alle coordinate polari, la sua

rappresentazione è:

Nella pratica, tuttavia, per rappresentare il fasore si utilizza una forma più sintetica della

rappresentazione in coordinate polari di un numero complesso. Infatti, considerando che il termine

“rotante” ejωt può essere trascurato, poiché comune a tutti i fasori che caratterizzano un circuito;

nelle applicazioni pratiche è convenzione rappresentare il modulo del fasore mediante il suo valore

efficace A; ne consegue che il fasore corrispondente alla grandezza che nel tempo varia con legge

sinusoidale a(t) è:

Il fasore può anche essere rappresentato, in notazione cartesiana, come

Proseguendo con la notazione polare, le tre correnti del circuito rappresentato in Figura 1

possono quindi essere rappresentate semplicemente da:

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La rappresentazione fasoriale preserva la validità dei principi di Kirchhoff, per cui è ancora

possibile scrivere il principio di Kirchhoff per le correnti al nodo del circuito come:

Inoltre, il principio di Kirchhoff può essere rappresentato graficamente mediante una terna

di vettori nel piano, come mostrato in Figura 4.

Fig. 4. Rappresentazione grafica del principio di Kirchhoff alle correnti.

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Bibliografia

 G. Someda, “Elementi di elettrotecnica generale”, Patron, Bologna 1977

 [2] F. Piglione, G. Chicco, “Appunti di Sistemi Elettrici Industriali”, Politeko, Torino

 [3] S. Bobbio, “Esercizi di Elettrotecnica”, CUEN, Napoli, 1992.

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“POTENZA IN REGIME SINUSOIDALE”

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Potenza in regime sinusoidale

Indice

1 LA POTENZA ISTANTANEA ---------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 LA POTENZA ATTIVA E REATTIVA ----------------------------------------------------------------------------------- 5
3 POTENZA COMPLESSA ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10

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1 La potenza istantanea
In regime sinusoidale, la presenza dei bipoli conservativi (induttore e condensatore)

determina degli scambi di potenza, a valor medio nullo nel periodo, che interessano i soli dispositivi

elettrici presenti all’interno del circuito elettrico, senza cioè interazione con l’ambiente esterno. Pur

non avendo interazioni con l’ambiente esterno, tali scambi di potenza influenzano il comportamento

del circuito e quindi, vanno studiati ed analizzati.

Si faccia riferimento al generico bipolo d’impedenza rappresentato in Figura 1.

i(t)

v(t)

Fig. 1 Bipolo d’impedenza

Come ben noto, la potenza istantanea è data dal prodotto:

p(t)=v(t) i(t)

Nel caso i(t) e v(t) siano grandezze sinusoidali di pulsazione ω, ovvero:

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v(t)= √2 V sen (ωt)

i(t)= √2 I sen (ωt +φ)

in cui si è presa la tensione come riferimento, la potenza istantanea è quindi data da

p(t)= 2 V I sen(ωt+φ) sen (ωt)

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2 La potenza attiva e reattiva


Utilizzando la formula trigonometrica

sen(α) sen(β) = ½ [cos(α-β) – cos(α+β)]

la potenza istantanea può anche essere scritta come:

p(t)= V I cos(φ) – VI cos (2ωt+ φ)

Il primo addendo ha un valore costante e pari a:

P=V I cos φ

Il valore P prende il nome di potenza attiva e rappresenta la potenza effettivamente

scambiata con l’ambiente esterno. La sua unità di misura è il watt (W). Il termine cos φ è detto

fattore di potenza. Si noti, inoltre, che l’espressione derivata per la potenza attiva, che, a meno del

fattore di potenza, è simile all’espressione derivata per la corrente continua, è stata ricavata solo

grazie all’aver considerato, per tensione e corrente, i loro valori efficaci.

Nel dominio simbolico è possibile calcolare direttamente la potenza attiva come:

Il secondo addendo della potenza istantanea, qui riportata per comodità,

p(t)= V I cos(φ) – VI cos (2ωt+ φ)

è una grandezza sinusoidale a frequenza doppia rispetto a quella di tensione e corrente

(ovviamente ha valor medio nullo nel periodo). Tale termine rappresenta la carica e scarica

delle’energia dei bipoli conservativi (e non riguarda scambi di energia con l’esterno).

Analogamente alla potenza attiva, si può tener conto di questo scambio di potenza tra i bipoli

conservativi con il prodotto

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Q=V I sen φ

Q si definisce potenza reattiva e si misura in voltampere reattivi (var) per differenziarla dalla

potenza che, misurata in watt, rappresenta quella effettivamente scambiata con l’ambiente esterno

(cioè, la potenza attiva). Chiaramente, la potenza reattiva è legata alla presenza di condensatori e

induttori che, perciò, vengono detti bipoli reattivi.

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3 Potenza complessa
È notevole osservare che, applicando il teorema di Pitagora, con potenza attiva e reattiva, si

ottiene una terza potenza:

infatti,

= =VI

A è detta potenza apparente ed è misurata in voltampere VA. Da quanto detto si deduce la

possibilità di avere una rappresentazione per le potenze come riportato in Figura 2.

A
Q
φ
P

Fig. 2. Triangolo delle potenze.

Il triangolo così ottenuto (Figura 2) è detto triangolo delle potenze e il vettore

rappresentativo della potenza apparente è detto potenza complessa che, con notazione cartesiana, ha

parte reale ed immaginaria pari a, rispettivamente, potenza attiva e reattiva:

Si può anche facilmente verificare che la potenza complessa è data da:

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dove è il valore complesso della tensione e è il coniugato del valore complesso della

corrente. Va precisato, tuttavia, che la potenza complessa non è un fasore, poiché non rappresenta

una grandezza sinusoidale alla stessa frequenza delle altre grandezze del circuito.

A questo punto, è possibile dedurre le espressioni per il calcolo delle potenze attiva, reattiva

e apparente, per ciascuno dei bipoli studiati.

Nel caso del resistore, si ricorda che non esiste sfasamento tra tensione e corrente, cioè φ=0.

Ne consegue che:

Q=0

Nel caso dell’induttore, in cui corrente è sfasata di π/2 in ritardo rispetto alla tensione, si ha:

Nel caso del condensatore, in cui corrente è sfasata di π/2 in anticipo rispetto alla tensione, si

ha:

In sintesi, quindi, il resistore mette in gioco solo potenza attiva, il condensatore e l’induttore,

invece, solamente potenza reattiva (con segno opposto nei due casi).

Nel caso di circuiti rappresentativi di dispositivi del mondo reale, hanno fondamentale

importanza le “generiche impedenze”, ovvero, quelle rappresentate da un numero complesso avente

parte reale ed immaginaria non nulle. Lo schema di una impedenza generica è rappresentata in

Figura 3.

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P P R VR

Q Q
X VL

Fig. 3 Impedenza generica.

Senza ledere la generalità della trattazione, si consideri come esempio il caso in cui Q>0,

ovvero il bipolo è del tipo ohmico-induttivo. Supponendo noto il valore della tensione V e delle

potenze P, Q e, quindi, anche della potenza apparente A, si può subito calcolare il modulo e

l’angolo dell’impedenza come:

e, dalla formula di Eulero, si deduce che:

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Bibliografia

 G. Someda, “Elementi di elettrotecnica generale”, Patron, Bologna 1977

 [2] F. Piglione, G. Chicco, “Appunti di Sistemi Elettrici Industriali”, Politeko, Torino

 [3] S. Bobbio, “Esercizi di Elettrotecnica”, CUEN, Napoli, 1992.

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“SISTEMA TRIFASE”

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Sistema trifase

Indice

1 DEFINIZIONI FONDAMENTALI ----------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 TENSIONI DI FASE E DI LINEA ------------------------------------------------------------------------------------------ 6
3 ESERCIZIO N. 1 --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4 ESERCIZIO N. 2 -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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1 Definizioni fondamentali
Allo studio dei sistemi trifase è necessario premettere alcune definizioni riguardanti le terne

di fasori, poiché, come si vedrà, il loro impiego sarà ripetutamente richiesto nello studio degli

impianti elettrici.

Una terna di fasori può essere spuria, pura, simmetrica diretta o simmetrica inversa. Una

loro rappresentazione è riportata in Figura 1.

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Una terna di vettori si definisce:

 spuria, quando la loro somma non è zero;

 pura, quando la loro somma è zero;

 simmetrica diretta, quando i tre vettori formano i lati di un triangolo

equilatero e si succedono in senso orario;

 simmetrica inversa, quando i tre vettori formano i lati di un triangolo

equilatero e si succedono in senso antiorario.

Un sistema polifase è un circuito elettrico formato da una n-pla di rami in parallelo,

alimentata da una n-pla di generatori di tensione, di modulo uguale e sfasati gli uni rispetto agli altri

di 2π/n. Un caso di notevole importanza nei casi pratici è il sistema trifase, rappresentato in Figura

2.

Fig. 2. Sistema trifase

Il sistema trifase di Figura 2 è, quindi, costituito da una terna simmetrica di generatori ideali

di tensione simmetrica e da una terna di impedenze di carico tutte uguali e pari a . Per

convenzione, le terne dei generatori dei sistemi trifase sono simmetriche e dirette, quindi, ogni

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vettore rappresentativo delle tensioni è sfasato di ±2/3π rispetto agli altri. Prendendo come

riferimento di fase la prima tensione, le tre tensioni sono, quindi, rappresentati dai tre fasori:

La somma dei tre fasori è chiaramente zero:

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2 Tensioni di fase e di linea


Il collegamento dei tre generatori in Figura 2 è detto a stella. Nel circuito in oggetto, si

possono misurare sia le tensioni tra due morsetti di due generatori diversi, e sia la tensione tra un

morsetto di un generatore ed il morsetto in comune tra i tre generatori (che prende il nome di centro

stella). Queste tensioni prendono il nome, rispettivamente, di tensioni concatenate (o di linea) e

tensioni stellate (o di fase). In Figura 3, sono rappresentate le tensioni di linea e le

tensioni di fase .

Fig. 3. Tensioni di linea e di fase

Entrambe le terne di tensioni, concatenata e stellata, sono simmetriche dirette e stanno,

reciprocamente, secondo la relazione grafica di Figura 4.

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Fig. 4. Relazione grafica fra tensioni di linea e di fase.

Attraverso semplici considerazioni trigonometriche, si possono dedurre le espressioni

fasoriali delle tre tensioni concatenate rispetto a quelle stellate, prese a riferimento. Ad esempio, si

ottiene che:

Le altre tensioni concatenate sono facilmente deducibili essendo parte di una terna

simmetrica diretta. Le tensioni concatenate, quindi, risultano avere un modulo volte maggiore di

quello delle tensioni stellate.

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3 Esercizio n. 1
I tre generatori riportati in Figura 5, sono caratterizzati dalle seguenti tensioni stellate:

Determinare le tre tensioni tra i morsetti 1, 2 e 3 (ovvero le tensioni concatenate).

Fig. 5 Esercizio n.1

Esercizio n. 1
Risposta.

Dal secondo principio di Kirchhoff, nel dominio simbolico, si ha subito:

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A titolo d’esempio, in Figura 6 è riportato un possibile diagramma fasoriale “qualitativo”

delle terne di tensioni così determinate.

Fig. 6 Esercizio n. 1: Tensioni concatenate (rosso) e stellate (nero)

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4 Esercizio n. 2
Con riferimento ai tre generatori di tensione dello schema riportato in Figura 5, determinare

le tensioni concatenate nel caso in cui la terna di tensioni stellate sia simmetrica diretta (si assuma il

valore efficace pari a 230 V).

Risposta.

Essendo simmetriche dirette, le tre tensioni stellate possono essere scritte come:

con . Scegliendo inoltre la tensione come riferimento di

fase, ,e

In termini fasoriali, si può anche scrivere:

Da cui:

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Ripetendo lo stesso procedimento alle altre tensioni concatenate, si ricavano le loro

espressioni:

Pertanto, le tre tensioni concatenate , e costituiscono anch’esse una terna

simmetrica diretta (nell’ordine così scritto). Il valore efficace della tensione concatenata è

ovvero circa 400 V e sfasate in anticipo di rispetto alle tensioni stellate. Un diagramma dei fasori

corrispondenti è riportato in Figura 6.

Fig. 6 Esercizio n. 2: Tensioni concatenate (rosso) e stellate (nero)

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Bibliografia

 G. Someda, “Elementi di elettrotecnica generale”, Patron, Bologna 1977

 F. Piglione, G. Chicco, “Appunti di Sistemi Elettrici Industriali”, Politeko, Torino

 S. Bobbio, “Esercizi di Elettrotecnica”, CUEN, Napoli, 1992.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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“STUDIO DI UN SISTEMA TRIFASE”

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Studio di un sistema trifase

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 SISTEMA TRIFASE SIMMETRICO ED EQUILIBRATO----------------------------------------------------------- 7
3 STUDIO DI UN SISTEMA TRIFASE SIMMETRICO ED EQUILIBRATO ------------------------------------ 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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1 Introduzione
Il collegamento dei tre generatori in Figura 1 è detto a stella. Nel circuito in oggetto, si

possono misurare sia le tensioni concatenate ( ) che le tensioni stellate ( ). Le

prime sono anche dette tensioni di linea, le seconde tensioni di fase, mentre il punto O è detto centro

stella.

Fig. 1. Schema di un sistema trifase con collegamento dei generatori ‘a stella’.

Entrambe le terne di tensioni, concatenata e stellata, sono simmetriche dirette e stanno,

reciprocamente, secondo la relazione grafica di Figura 2.

Fig. 2. Relazione grafica fra tensioni di linea e di fase.

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Attraverso semplici considerazioni trigonometriche, si possono dedurre le espressioni

fasoriali della tre tensioni concatenate rispetto a quelle stellate prese a riferimento:

Si consideri ora lo schema del sistema trifase di Figura 3.

Figura 3. Schema di un sistema trifase con collegamento dei generatori a ‘triangolo’

Si osserva che il collegamento dei tre generatori (detto collegamento a triangolo), è

equivalente, rispetto ai tre morsetti 1, 2 e 3, al sistema dei tre generatori di Figura 1, purché i tre

generatori alimentino il sistema con una terna di tensioni che siano esattamente le tensioni

concatenate risultanti dal sistema di Figura 1. In definitiva, una terna di generatori può essere

ugualmente rappresentata da due terne, collegate come in Figura 1 o 3. L’unica differenza

sostanziale sta nel fatto che nel caso del collegamento di Figura 3 non esiste il centro stella.

Un sistema trifase, può, quindi, essere genericamente rappresentato come in Figura 4.

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Fig. 4 Generica rappresentazione di un sistema trifase.

Anche per i carichi, in analogia a quanto mostrato per i generatori, le terne di impedenze

possono essere collegate a stella (Figura 5) o a triangolo (Figura 6).

Ī1

Ī2

Ī3

Fig. 5. Impedenze collegate a stella

Ī1

Ī2

Ī3

Fig. 6. Impedenze collegate a triangolo

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Se le tre impedenze, a stella o a triangolo che sia, sono uguali il carico si dice equilibrato;

diversamente il carico si dice squilibrato. Evidentemente, un carico equilibrato, alimentato da una

terna di tensioni simmetrica diretta assorbe una corrente anch’essa simmetrica e diretta.

Nel caso di collegamento a triangolo, si identificano le correnti di linea, Ī1, Ī2 ed Ī3 e quelle

di lato Ī12, Ī23 ed Ī31. Esattamente come per le tensioni di fase e di linea, esistono le stesse relazioni

tra le correnti di lato e di linea. Ad esempio, in Figura 7 è rappresentata la relazione grafica fra le

due terne; i moduli sono ancora nel rapporto di e per la correnti Ī1 e Ī12 vale la relazione

fasoriale:

Fig. 7. Relazione grafica fra correnti di linea e di lato.

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2 Sistema trifase simmetrico ed equilibrato


Un sistema trifase simmetrico ed equilibrato è caratterizzato da una terna di tensioni dei

generatori simmetrica e da terne di carichi equilibrati (Figura 8). In tale sistema, anche le correnti

costituiscono una terna simmetrica diretta.

Fig. 8. Sistema trifase simmetrico ed equilibrato

Per calcolare le correnti e le tensioni circolanti nei sistemi trifase, si può partire dal “teorema

di Millman”. Tale teorema, infatti, permette di calcolare agevolmente la tensione esistente fra i due

centri stella del sistema di Figura 8: quello cioè dei generatori (O) e quello delle impedenze dei

carichi (A), si dimostra che:

Nel caso, come quello che stiamo analizzando, la terna di tensioni è simmetrica ed il carico è

equilibrato ed ovviamente risulta

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così, le tensioni sulle impedenze di carico possono essere ricavate facilmente scrivendo le

equazioni delle leggi delle tensioni alle maglie:

E, infine, possono essere derivate le correnti di linea:

Le tre correnti risulteranno formare una terna simmetrica, in quanto risultano da una terna di

tensioni simmetriche divise per una stessa impedenza. La terna di correnti simmetriche,

ovviamente, risulterà sfasata rispetto alla terna di tensioni di uno stesso angolo φ (l’angolo

caratteristico dell’impedenza), come rappresentato in Figura 9.

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Fig. 9. Relazione grafica fra correnti di linea e tensioni di fase.

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3 Studio di un sistema trifase simmetrico ed


equilibrato

Nel sistema simmetrico ed equilibrato, dunque, i fasori tensione e corrente di ogni ramo del

circuito sono uguali in modulo a quello degli altri rami e sono sfasati, rispetto ad essi di ±2/3π: tale

condizione determina che ogni ramo del circuito trasferisce esattamente un terzo della potenza

richiesta dai carichi. Il sistema trifase simmetrico ed equilibrato rappresenta, dunque, il sistema

trifase per eccellenza e, nelle applicazioni pratiche, la maggioranza dei sistemi trifase appartiene a

questa categoria.

La simmetria del sistema implica, come visto, che la tensione fra i due centri stella è nulla,

quindi, che le tre fasi risultano disaccoppiate tra loro. Infatti, essendo la tensione fra i centri stella

nulla, i due punti del sistema trifase A ed O coincidono elettricamente e, il circuito di Figura 8 può

essere rappresentato come in Figura 10.

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Per quanto inusuale, lo schema di Figura 10 mostra chiaramente che le tre maglie (e le tre

fasi), essendo collegate tra loro in un sol punto, non sono in grado di trasferirsi potenza. Da ciò

consegue l’importante osservazione che un sistema trifase ed equilibrato è descrivibile mediante

una sola delle tre fasi. Normalmente, quindi, si rappresenta un’unica fase, andando a costituire

quindi un sistema detto monofase equivalente (Figura 11).

Fig. 11. Circuito monofase equivalente.

Una volta calcolate le tensioni e le correnti del circuito monofase equivalente è immediato

derivare le correnti e le tensioni nelle altre fasi osservando che i loro fasori sono reciprocamente

sfasati di ±2/3π.

Nel caso di un sistema trifase simmetrico ma non equilibrato, chiaramente, non è possibile

risolvere il solo circuito monofase equivalente ed è quindi necessario risolvere l’intero sistema

contemporaneamente. In tal caso, il teorema di Milmann è centrale per il calcolo della tensione

esistente tra i due centri stella che, ovviamente, in tal caso non sarà più zero. Dalla tensione

esistente fra i due centri stella, infatti, è necessario partire per il calcolo di tensioni e correnti in

ciascuna fase. Benché molto frequente nella pratica, la trattazione di tali argomenti esula dai

contenuti richiesti in questo corso e, quindi, non sono qui approfonditi.

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Bibliografia

 G. Someda, “Elementi di elettrotecnica generale”, Patron, Bologna 1977

 F. Piglione, G. Chicco, “Appunti di Sistemi Elettrici Industriali”, Politeko, Torino

 S. Bobbio, “Esercizi di Elettrotecnica”, CUEN, Napoli, 1992.

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“POTENZA NEI SISTEMI TRIFASE”

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Potenza nei sistemi trifase

Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 ESERCIZIO --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 POTENZA ISTANTANEA -------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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1 Generalità
Nel caso di un sistema trifase simmetrico ed equilibrato (Figura 1), la potenza trifase, ovvero
la potenza transitante complessiva, può essere facilmente dedotta calcolando la potenza complessa
nel circuito monofase equivalente di Figura 2.

Fig. 1. Sistema trifase simmetrico ed equilibrato.

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Nel caso del circuito equivalente monofase, come già noto, la potenza complessa è data da:

La potenza transitante complessiva (potenza trifase) è data dalla somma delle potenze
transitanti sulle singole fasi (teorema di Boucherot):

tale potenza può anche essere espressa mediante le tensioni concatenate:

Dalle formule derivate, si deduce che:

I valori così calcolati rappresentano, rispettivamente, la potenza trifase attiva (P), la potenza
trifase reattiva (Q) e la potenza trifase apparente (A) del sistema.

Così come nei sistemi monofase, anche nel caso trifase è possibile estendere alcune
considerazioni fatte in merito al caso di impedenze generiche. In tal caso una terna d’impedenze

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generiche (Figura 3.a) può essere arbitrariamente considerata come una terna di impedenze
collegate a stella (Figura 3.b).

Nel caso di una terna d’impedenze equilibrate si può dunque calcolare il modulo e
l’argomento di ciascuna impedenza come:

Se il carico è costituito da tre impedenze uguali collegate a triangolo, per ottenere il loro
modulo e argomento è sufficiente osservare che, essendo uguali, assorbono potenze uguali, e la
tensione ad esse applicate è quella concatenata. Quindi, una volta calcolata l’impedenza nel caso di
collegamento a stella (ZY), il valore di quella collegata a triangolo (ZD) può essere facilmente
dedotta:

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2 Esercizio
Sia data la rete trifase simmetrica ed equilibrata di Figura 4. Noto il valore efficace della
corrente I’1=20A e le potenze attive e reattive dei due carichi (P1=10 kW, Q1=10 kVar e P2=0 e
Q2=-10 kVar) determinare i valori efficaci delle tensioni concatenate ai morsetti 1, 2 e 3 e delle
correnti di linea I1, I2, I3.

Risposta.

Per il carico 1 si ha:

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da cui, operando il rapporto membro a membro delle due relazioni:

Si ha allora:

Per il carico 2:

e inoltre:

Assumendo come riferimento di fase, si ha:

ovvero

il cui valore efficace vale

Il valore efficace delle correnti può anche calcolarsi attraverso il principio di


conservazione delle potenze:

da cui

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e quindi

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3 Potenza istantanea
Si può dimostrare che in un sistema elettrico trifase simmetrico ed equilibrato, la potenza
istantanea è costante (ovvero senza componenti alternative a valor medio nullo). All’uopo, si

Assumendo che i generatori del circuito riportato in Figura 5 costituiscano una terna di
generatori simmetrica diretta, le tre tensioni si possono scrivere come (si assume la prima tensione
come riferimento):

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Nella ulteriori ipotesi di carico equilibrato, come ben noto, la terna di correnti di linea
possono essere scritte come:

Si possono così determinare le espressioni delle potenze istantanee erogate da ciascun


generatore:

La potenza istantanea trifase (ovvero quella complessiva), è data dalla somme delle tre
potenze istantanee monofasi:

Ovvero:

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Infatti, la somma dei tre termini:

ovvero la somma delle componenti alternative delle potenze monofase istantanee,

costituiscono tre sinusoidi di uguale ampiezza e sfasate tra loro di (o, equivalentemente,

e, quindi, la loro somma è uguale a zero!

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“ESERCIZI SULLE RETI TRIFASI”

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Esercizi sulle reti trifasi

Indice

1 ESERCIZIO N. 1 --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 ESERCIZIO N. 2 --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
2.1 OSSERVAZIONE ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------10
3 ESERCIZIO N. 3 -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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1 Esercizio n. 1
Nell’ipotesi che la rete trifase di Figura 1 sia alimentata ai morsetti 1, 2 e 3 da una terna di

tensioni concatenate simmetrica diretta, il cui valore efficace è 400 V, calcolare le correnti di linea

sapendo che R = 3 Ω e XL = 4 Ω.

XL
i1 R
1

i2 R XL
2

i3 R XL
3

Fig. 1 Esercizio n.1

Risposta.

Una più chiara rappresentazione del circuito in esame è mostrato in Figura 2.

XL
1 i1 R

i2 R XL
O’ 2
O

i3 R XL
3

Fig. 2 Esercizio n.1

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Nel circuito di Figura 2, i fasori delle tre tensioni stellate sono date da (si assume che la

tensione della fase 1 giace sull’asse immaginario):

Inoltre, essendo il carico costituito da una terna equilibrata di impedenze, si ha che

. Infatti, applicando il teorema di Milmann:

dove .

Quindi, si può calcolare facilmente:

Ne deriva, che anche le correnti di linea costituiscono una terna simmetrica diretta, ed il cui

valore efficace è dato da

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Inoltre, le correnti sono sfasate in ritardo rispetto alle tensioni stellate di un angolo:

In Figura 3 è riportato il diagramma dei fasori di tensione e corrente corrispondente.

Fig. 3 Esercizio n. 1

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2 Esercizio n. 2
Nell’ipotesi che la rete trifase di Figura 4 sia alimentata ai morsetti 1, 2 e 3 da una terna di

tensioni concatenate simmetrica diretta, il cui valore efficace è 400 V, calcolare le correnti di linea e

di lato sapendo che R = 3 Ω e XL = 4 Ω.

XL
1 i1 R i12

i2 R i23 XL
2

i3 R i31 XL
3

Fig. 4 Esercizio n.2

Risposta.

Una diversa rappresentazione della terna di impedenze in oggetto (collegate a triangolo), è

proposta in Figura 5.

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i1
1
XL
R
i31
i12 R
XL

i2
2
R i23
i3 XL
3

Fig. 5 Esercizio n. 2

Nel dominio simbolico, le correnti di lato si rappresentano come:

Applicando il principio di Kirchhoff alle correnti in ciascun nodo:

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Sostituendo i valori numerici ed assumendo la tensione concatenata come riferimento di

fase, si ha:

Ottenendo le seguenti correnti di lato:

Analogamente, le correnti di lato sono date da:

Con riferimento alle correnti di lato (in Figura 6 è derivato il loro diagramma fasoriale

assieme a quello delle tensioni), si può osservare che la terna , e è simmetrica diretta. Il

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loro valore efficace è 80 A ed è sfasata in ritardo di un angolo rispetto alla terna di

tensioni concatenate.

3 φ 2

Fig. 6 Esercizio n. 2

Con riferimento alle correnti di linea, il cui diagramma fasoriale è derivato in Figura 7, la

terna , e è anch’essa simmetrica diretta. Il loro valore efficace è A ed è sfasata in

ritardo di un angolo pari a π/6 rispetto alla terna di correnti di lato.

π/6

π/6
π/6

Fig. 7 Esercizio n. 2

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2.1 Osservazione
Il calcolo delle correnti di linea può anche essere condotto osservando che la rete di Figura

4, poiché costituita da una terna di impedenze equilibrate esercite in regime trifase simmetrico, può

essere ricondotta ad una terna di impedenze collegate a stella, come in Figura 8.

XL/3
1 i1 R/3

i2 R/3 XL/3
2

i3 R/3 XL/3
3

Fig. 8 Esercizio n.2

Infatti, come noto, se è l’impedenza ‘a stella’ e è l’impedenza ‘a triangolo’ si ha:

In maniera equivalente al procedimento dell’esercizio n.1, semplicemente si ricava ( è il

riferimento di fase):

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3 Esercizio n. 3
Sia data la rete trifase simmetrica ed equilibrata di Figura 9, in cui P=50 kW e Q=25 kVar.

Determinare le correnti assorbite dal carico trifase equilibrato (Ī1, Ī2, Ī3), sapendo che le tensioni

concatenate ai morsetti 1, 2 e 3 sono simmetriche e di valore efficace 400 V.

Ī1
1

Ī2
P
2
Q
3 Ī3

Fig. 9 Esercizio n. 3

Risposta.

Le potenze attive, reattive e apparenti possono essere espresse attraverso le ben note

espressioni:

Il valore efficace delle correnti di linea può quindi essere calcolato come:

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e la loro fase può essere calcolata come:

o, alternativamente,

che, chiaramente, forniscono lo stesso risultato.

Assegnando direzione e verso del fasore la tensione della fase 1 coincidente con l’asse

immaginario e supponendo che la terna di tensioni sia diretta, le tre tensioni possono essere scritte

come (Fig. 10):

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Università Telematica Pegaso Esercizi sulle reti trifasi

Fig. 10 Esercizio n. 3

Quindi, essendo il carico equilibrato, si ha:

Il diagramma fasoriale delle tre correnti è rappresentato in Fig. 11.

Fig. 11 Esercizio n. 3

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Università Telematica Pegaso Esercizi sulle reti trifasi

Bibliografia

 G. Someda, “Elementi di elettrotecnica generale”, Patron, Bologna 1977

 S. Bobbio, “Esercizi di Elettrotecnica”, CUEN, Napoli, 1992.

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“RETI TRIFASI : ALCUNI CASI NOTEVOLI”

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Reti trifasi: alcuni casi notevoli

Indice

1 ESERCIZIO N.1 ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 ESERCIZIO N. 2 --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
3 ESERCIZIO N. 3 --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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Università Telematica Pegaso Reti trifasi: alcuni casi notevoli

1 Esercizio n.1
.

Sia data la rete trifase di Figura 1 con:

Ż1 = 4+j3

Ż2 = 3+j4

Ż3 = 3-j4

I generatori determinano ai loro morsetti una terna simmetrica diretta di tensioni, di valore

efficace 400 V. Calcolare i valori efficaci delle correnti indicate in Figura 1.

Ż1
Ī1

Ż2
Ī2
O O’

Ī3 Ż3

Fig. 1 Esercizio n. 1

Risposta

I fasori delle tre tensioni stellate sono date dalle seguenti espressioni (si assume che la

tensione della fase 1 giace sull’asse immaginario) e rappresentate in Figura 2:

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Fig. 2 Esercizio n. 3

L’utilizzo del teorema di Milmann permette di calcolare lo “spostamento del centro stella”:

In Figura 3 è rappresentato il diagramma fasoriale in cui, qualitativamente, è rappresentato

anche lo spostamento del centro stella.

In Figura 4 è rappresentato il diagramma fasoriale delle tensioni che sono applicate ai

morsetti delle tre impedenze , e .

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O
O’

Fig. 4 Esercizio n. 3

Una volta calcolato lo spostamento del centro stella, è immediato il calcolo delle tensioni

che agiscono sulle impedenze:

Ovvero:

da cui è immediato il calcolo dei valori efficaci delle correnti:

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2 Esercizio n. 2
Risolvere l’esercizio precedente, nel caso ci sia un conduttore di collegamento tra i due centri

stella O-O’ (Figura 5)

Ż1
Ī1

O
Ż2 O’
Ī2

Ī3 Ż3

Fig. 5 Esercizio n. 2

Risposta

In questo caso, lo spostamento del centro stella è ovviamente nullo, in quanto il

collegamento tra i due centri stella per mezzo del conduttore impone ai due centri stella lo stesso

potenziale. Di conseguenza, ai capi di ogni impedenza è imposta la tensione di fase (basta applicare

il secondo principio di Kirchhoff alle maglie del circuito). Il calcolo dei valori efficaci delle

corrente diviene quindi banale:

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L’utilizzo del collegamento fra i due centri stella ha quindi l’effetto di impedire che si

trasferisca potenza fra i tre rami del circuito. In pratica, anche se in presenza di carico squilibrato,

ciascun ramo della rete trifase è indipendente dagli altri, esattamente come accade nel caso di carico

equilibrato.

Nei casi pratici di nostro interesse, il conduttore utilizzato per il collegamento dei centri

stella è chiamato conduttore di neutro.

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3 Esercizio n. 3
Per la rete trifase mostrata in Figura 6, determinare il valore che devono avere le capacità

affinché si abbia, per il carico complessivo, "cos φ'=1", conoscendo:

rad/s

e sapendo che la terna di alimentazione è simmetrica. Si noti che trasformare il fattore di

potenza a cos φ=1 (o comunque trasformarlo in valori più alti di quello del carico in assenza di

condensatori) equivale a dire ‘rifasare il carico’.

R XL
1

R XL
2

R XL
3

C C

Fig. 6 Esercizio n. 3

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Risposta.

Prima dell’inserimento della ‘batteria di condensatori’, l’angolo di fase del carico equilibrato

è pari a:

e si può scrivere che ( π/4 =1)

Dopo l’inserimento della batteria di condensatori, si ha

Poiché si vuole ‘rifasare completamente il carico’, bisogna imporre , cioè

Quindi, si può scrivere

Poiché

il valore della capacità da utilizzare per rifasare il circuito si ottiene da

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dove V rappresenta il modulo della tensione ai morsetti di ciascun condensatore, che nel

nostro caso è pari al modulo delle tensioni concatenate

Il valore di P si ottiene ricordando che, nel caso di carico equilibrato, si ha

in cui I è il modulo delle correnti di linea.

Poiché assumiamo la prima tensione come riferimento di fase:

si ha

Quindi

Noto il valore di I, possiamo calcolare la potenza attiva P

Infine, possiamo calcolare il valore della capacità che consente di rifasare completamente il

carico:

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E’ interessante osservare che avremmo anche potuto scegliere di collegare la batteria dei tre

condensatori a stella, così da ottenere, a parità di potenza reattiva (ovvero di rifasamento):

Se si trascurano altri termini di costo (ad esempio quelli di isolamento), a parità di potenza

reattiva assorbita, il costo di un condensatore cresce al diminuire della tensione ai suoi morsetti e al

crescere della capacità. Quindi, conviene rifasare collegando i condensatori a triangolo.

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Bibliografia

 G. Someda, “Elementi di elettrotecnica generale”, Patron, Bologna 1977

 S. Bobbio, “Esercizi di Elettrotecnica”, CUEN, Napoli, 1992.

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“CENNI SUI TRANSITORI NELLE RETI
LINEARI’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Cenni sui transitori nelle reti lineari

Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 ESEMPIO DI UNA RETE LINEARE DEL PRIMO ORDINE ------------------------------------------------------- 7
3 ANALISI DI UNA RETE LINEARE DEL PRIMO ORDINE ------------------------------------------------------- 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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1 Generalità
In questa lezione sono proposti alcuni brevi richiami sullo studio dei transitori nelle reti

elettriche lineari. Chiaramente non esaustivi dell’argomento, i contenuti di questa dispensa hanno lo

scopo di sintetizzare alcune nozioni e procedimenti di calcolo utili alla comprensione di taluni

argomenti oggetto di studio degli impianti elettrici e, quindi, di nostro interesse.

Si osservi, preliminarmente, che le reti cui faremo riferimento sono costituite da soli bipoli

resistori, induttori e condensatori i cui valori di resistenza, induttanza e capacità sono assunti

costanti. Ciò assicura la linearità delle reti di bipoli cui faremo riferimento. A titolo d’esempio, si

osservi il caso della Figura 1, dove è riportato il tipico bipolo induttore la cui induttanza è una

costante L.

v
L

Fig. 1 Bipolo induttore

Come ben noto, la caratteristica del bipolo induttore è:

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da cui, si può subito derivarne la linearità. Infatti, assegnati due valori di corrente i 1(t) ed

i2(t), ad essi corrispondono due tensioni, v1(t) e v2(t) dati da:

È banale, a questo punto, verificare che per due scalari qualsiasi, α1 e α2, alla generica

combinazione lineare delle due correnti:

corrisponde la tensione così calcolata:

ovvero:

Si è ottenuto, in definitiva, la stessa combinazione lineare delle tensioni corrispondenti alle

correnti. Analoga proprietà vale, evidentemente, nel caso del condensatore e del resistore con

capacità e resistenza costanti.

Benché non di nostro interesse, si può facilmente verificare che la linearità di un bipolo

induttore, condensatore o resistore, si conserva anche nel caso di induttanza, capacità e resistenza

dipendenti dal tempo. Si consideri, a titolo d’esempio, il caso di un induttore la cui induttanza è

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variabile nel tempo secondo la legge L(t). In tal caso, assegnati due valori di corrente i1(t) ed i2(t),

ad essi corrispondono due tensioni, v1(t) e v2(t) dati da:

Analogamente a quanto fatto in precedenza, per due scalari qualsiasi, α1 e α2, alla generica

combinazione lineare delle due correnti:

corrisponde la tensione:

ovvero:

Analoga proprietà vale, evidentemente, nel caso del condensatore e del resistore con

capacità e resistenza variabili nel tempo.

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Esempi di bipoli non lineari, sono gli induttori, la cui induttanza dipende dalla corrente, i

condensatori, la cui capacità dipende dalla tensione e i resistori con resistenza dipendente dalla

tensione o dalla corrente.

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2 Esempio di una rete lineare del primo ordine

Con riferimento al circuito di Figura 2, si assuma che all’istante t=0 l’induttore è scarico

(ovvero i=0). Si assuma, inoltre, che

vt = V0.
t=0 i

vi
R vR
vt

L vL

Fig. 2 Circuito del 1° ordine

Nell’istante t = 0, avviene la chiusura dell’interruttore. Prima di tale evento, si ha:

Invece, per t>0, accade (secondo principio di Kirchhoff):

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Si noti che si sta assumendo che, alla chiusura dell’interruttore in t=0, istantaneamente, ai

suoi morsetti è . Nei casi pratici, tale ipotesi è ben distante dalla realtà, come meglio chiarito

nel capitolo dedicato all’interruzione delle correnti. Tuttavia, in tale ipotesi, che per il momento non

lede la generalità della trattazione, si ottiene la seguente equazione differenziale che governa il

circuito di Figura 2:

Quella ottenuta è un’equazione differenziale del primo ordine (come, appunto, è anche detto

un circuito governato da tale tipologia di equazione). La funzione i(t) che soddisfa l’equazione

differenziale trovata (associata alla condizione iniziale i(t=0)=0), sappiamo, dall’analisi matematica,

che esiste ed è unica. Per trovarla esiste un metodo generale valido per tutte le equazioni lineari e,

quindi, valido per una qualsiasi rete, purché lineare. In tal caso, il metodo è di trovare l’integrale

generale dell’equazione, che è dato da:

dove è l’integrale generale dell’equazione differenziale omogenea associata e è

una qualsiasi soluzione dell’equazione completa per t>0.

Per trovare è quindi necessario risolvere l’equazione:

e, quindi, basta risolvere l’equazione caratteristica associata:

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ovvero:

da cui, banalmente

dove si è posto e con A una costante arbitraria. Si noti che , dimensionalmente, è

H/Ω, ovvero secondi. Tale grandezza è una caratteristica del circuito ed è detta ‘costante di tempo’

del circuito.

Per calcolare , invece, basta osservare che si è assunto vt = V0, con V0 costante, quindi si

può assumere, come soluzione generica, , con B costante, per la quale l’equazione:

diventa:

e quindi

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L’integrale generale è quindi dato da:

Al fine di determinare la costante A, è sufficiente imporre la condizione iniziale i(t=0)=0:

quindi, la corrente i(t), per t>0 è data da:

o anche

Nel caso in cui l’induttore fosse stato inizialmente carico, ovvero il caso in cui il valore

iniziale della corrente è I0 non nulla, si può facilmente verificare che l’integrale generale

dell’equazione differenziale diventa:

Si noti che nel valutare la costante A, abbiamo assunto che la funzione i(t) fosse una

continua anche per t=0. Ciò è sicuramente vero, in quanto, la corrente determina in maniera

univoca, con il proprio valore, l’energia immagazzinata nell’induttore:

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e dalla fisica, sappiamo che le grandezze che determinano univocamente, col proprio valore,

l’energia immagazzinata nel sistema, sono necessariamente continue. La stessa cosa,

evidentemente, accade per la tensione nel caso del condensatore. Al contrario, tale proprietà non è

valida per le altre grandezze (tensione per l’induttore e corrente per il condensatore).

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3 Analisi di una rete lineare del primo ordine

In Figura 3 è riportato, con riferimento al caso della rete di Figura 2 e con induttore

inizialmente carico, l’andamento della corrente nel caso V0 = 10 V, R =1 Ω ed L variabile (e quindi

variabile).

15

10
 =1 
i(t) [A]

1 2

3

5 4

 < < <


1 2 3 4

0
0 2 4 6 8 10
tempo (s)

Fig. 3 Andamento nel tempo della corrente

Chiaramente la corrente, in ogni caso, è crescente fino ad arrivare alla soluzione ‘di regime’,

che è V0 /R = 10 A. In particolare, quando (ovvero nel caso L = 1 H) si ha che il regime si

raggiunge dopo circa 5-6 s. Al crescere di L cresce il tempo necessario a raggiungere il regime

(ovvero il tempo necessario a caricare l’induttore). Al contrario, per valori di L piccoli, al limite L =

0 (caso ideale) la costante di tempo assume valori decrescenti e tendenti a zero e,

conseguentemente, la funzione della corrente nel tempo tende ad avere una forma a gradino

(ovvero, alla chiusura dell’interruttore, istantaneamente si porta al valore di regime). Coerentemente

con quanto detto, quindi, la corrente non può, se non nel caso ideale, istantaneamente portarsi al

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valore di regime (cosa che, appunto, accade per costanti di tempo che tendono a zero). In altre

parole, la componente transitoria della corrente (cioè la componente dell’integrale generale che si

annulla nella fase di regime) si estingue tanto più rapidamente quanto più piccola è l’induttanza del

circuito.

In Figura 4 è riportato il diagramma dell’andamento della corrente nel tempo nel caso V0 =

10 V, R =1 Ω ed L = 1 H e con induttore inizialmente carico. In particolare, si è assunto I0 = 15 A e

I0 = 5 A.

15

10

5
i(t) [A]

-5

-10

-15
0 2 4 6 8 10
tempo (s)

Fig. 4 Andamento nel tempo della corrente

In conclusione, si può osservare che:

- la condizione di regime non dipende dalla condizione iniziale ma solo dal termine noto

dell’equazione differenziale (ovvero, dai generatori);

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- la condizione di transitorio ha una durata che dipende dalla costante di tempo, che è una

caratteristica del circuito, e dipende dalle condizioni iniziali.

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Bibliografia

 G. Someda, “Elementi di elettrotecnica generale”, Patron, Bologna 1977

 S. Bobbio, “Esercizi di Elettrotecnica”, CUEN, Napoli, 1992.

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“INTRODUZIONE AGLI IMPIANTI
ELETTRICI’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Introduzione agli impianti elettrici

Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 CORRENTE CONTINUA E CORRENTE ALTERNATA ------------------------------------------------------------ 5
3 CONFRONTO ECONOMICO ---------------------------------------------------------------------------------------------- 6
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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Università Telematica Pegaso Introduzione agli impianti elettrici

1 Generalità
Il sistema elettrico per l'energia italiano é costituito dai subsistemi di produzione,

trasmissione, distribuzione ed utilizzazione dell’energia elettrica (Figura 1).

I suddetti subsistemi sono tra di loro interagenti e sottoposti a differenti livelli di controllo

delle varie grandezze elettriche che ne caratterizzano il funzionamento. Tali controlli hanno il fine

di garantire a tutti i carichi elettrici alimentati un’energia elettrica di adeguate caratteristiche di

continuità e qualità; essi si attuano essenzialmente in centri di supervisione, in grado di operare in

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Università Telematica Pegaso Introduzione agli impianti elettrici

tempo reale. A detti centri affluiscono informazioni dai subsistemi; da essi si dipartono le istruzioni

per l'esercizio ottimale dell’intero sistema o di parti di esso.

Il trasferimento dell’energia elettrica dai luoghi in cui viene prodotta a quelli in cui viene

utilizzata avviene, salvo casi particolari, in corrente alternata trifase. Nel seguito, pertanto, sono

riportate alcune delle considerazioni che hanno portato alla scelta della corrente alternata rispetto a

quella continua e dei sistemi trifase rispetto a quelli monofase.

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Università Telematica Pegaso Introduzione agli impianti elettrici

2 Corrente Continua e Corrente Alternata


Tra i vantaggi tecnici della corrente alternata rispetto a quella continua si ricordano, a titolo

di esempio:

• la possibilità di utilizzare il trasformatore, grazie al quale si possono adottare,

nel sistema elettrico, i livelli di tensione più adatti alla produzione, trasmissione,

distribuzione ed utilizzazione dell’energia elettrica;

• la maggiore facilità che si ha nell’interrompere correnti alternate, grazie ai passaggi

naturali per lo zero;

• la possibilità di impiegare, per la produzione dell’energia elettrica, il generatore

sincrono, che, tra l’altro, è una macchina più affidabile delle dinamo, utilizzate invece in

corrente continua.

Oltre a tali vantaggi tecnici, si deve inoltre considerare il fatto che, se si esclude il caso di

trasmissione dell’energia a grandissima distanza (ovvero per distanze superiori ai 700-800 km), la

trasmissione in corrente alternata conviene anche dal punto di vista economico. Infatti, pur essendo

una linea di trasmissione in corrente alternata, a parità di condizioni, caratterizzata da maggiori

perdite e maggiore sezione conduttrice rispetto a quella in corrente continua, quest’ultima presenta

costi complessivi maggiori (almeno fino a quando non si raggiungono le suddette distanze di

trasmissione molto elevate) per la presenza delle stazioni terminali in cui avviene la conversione da

corrente alternata in corrente continua e viceversa; le stazioni terminali connettono la linea di

trasmissione in corrente continua a due nodi del sistema elettrico in corrente alternata.

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3 Confronto economico
Volendo entrare più in dettaglio sul confronto economico tra la trasmissione in corrente

continua e quella in alternata, si faccia riferimento a due nodi di una rete di trasmissione in corrente

alternata posti a distanza L (Figura 2.a), e ci si ponga il problema di confrontare, dal punto di vista

economico, le possibilità di collegarli tramite una linea trifase in corrente alternata con tensione

nominale Ut e tramite un collegamento in corrente continua (Figura 2.b) con tensione verso terra dei

due conduttori attivi (quello di andata e quello di ritorno) pari a ±Vc. Un collegamento in corrente

continua, come già accennato in precedenza, è costituito da due stazioni di conversione che lo

collegano al sistema elettrico in corrente alternata: una nel nodo di partenza e uno nel nodo di

arrivo. Ciascuna stazione di conversione è dotata di convertitori statici necessari alla conversione

dalla corrente alternata in corrente continua e viceversa.

Fig. 2 Trasmissione dell’energia elettrica in corrente alternata trifase (a) e in corrente


continua (b).

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Un collegamento in corrente continua è costituito da due stazioni di conversione: una nel

nodo di partenza e uno nel nodo di arrivo. Ciascuna stazione di conversione è dotata di convertitori

statici necessari alla conversione dalla corrente alternata in corrente continua e viceversa.

Per il confronto tra le due soluzioni si suppone, ovviamente, che la potenza attiva trasmessa

nella linea trifase Pt e nel collegamento in corrente continua Pc siamo uguali:

(1)

inoltre, si suppone che siano uguali:

 la tensione massima verso terra della linea trifase ( è la tensione

concatenata della linea trifase) e quella del collegamento in corrente continua Vc;

 la densità di corrente nella linea trifase δt e quella nella linea in corrente continua δc.

L’eguaglianza delle tensioni verso terra consente di semplificare il confronto, in quanto, in

prima approssimazione, si traduce nell’assumere uguali i livelli di isolamento nelle due soluzioni a

confronto e, quindi, di prescindere nel confronto dai costi dell’isolamento.

L’eguaglianza delle densità di corrente, invece, è conseguente ai criteri con cui si progettano

usualmente i due tipi di collegamento.

I costi del materiale conduttore nei due casi in esame sono legati al volume complessivo di

materiale e, quindi, a parità di lunghezza, alle sezioni totali St ed Sc complessivamente impiegate

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nelle linee trifase in corrente alternata ed in quella in corrente continua, rispettivamente, che

risultano legate dalla seguente relazione:

(2)

essendo e le sezioni del singolo conduttore, rispettivamente, della linea trifase e del

collegamento in corrente continua.

Nell’ipotesi di uguaglianza delle densità di corrente si ha che:

(3)

nell’ipotesi di trasmissione in corrente alternata a cosφ = 1 (ipotesi abbastanza prossima alla

realtà dei casi pratici), e tenendo conto dell’eguaglianza dei valori massimi delle tensioni verso terra

e delle potenze attive trasmissibili, si ottiene che:

(4)

e quindi, passando alle sezioni complessive, si ottiene:

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(5)

Per quanto riguarda le perdite si ha che:

(6)

(7)

dove si è indicata con la resistività del materiale conduttore utilizzato (assunto uguale in

entrambe le tipologie di collegamento) ed L la lunghezza del collegamento. Nell’ipotesi di cosφ = 1

e di eguaglianza della densità di corrente, si ha quindi che:

(8)

Dall’analisi delle relazioni ottenute appare evidente che la trasmissione in corrente alternata

richiede un maggior volume di materiale conduttore (avendo trovato che ) ed è

caratterizzata da maggiori perdite (avendo trovato che . La trasmissione in corrente

continua richiede, però, la realizzazione delle stazioni di conversione nei due nodi del sistema. Per

distanze in genere inferiori ai 700-800 km, gli aggravi economici che derivano dal maggior costo

del materiale conduttore e delle perdite vengono più che compensati dal maggior costo dovuto alla

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presenza delle stazioni di conversione, per cui la trasmissione in corrente alternata si fa preferire

anche per questi motivi; quando le distanze diventano ancora più elevate, l’aggravio di costi dovuti

alle stazioni è, invece, più che compensato dai minor costi del materiale e delle perdite, il che rende,

sotto questi aspetti, la trasmissione in corrente continua più vantaggiosa.

I vantaggi tecnici dei sistemi elettrici trifase rispetto a quelli monofase sono legati

essenzialmente a tre motivi:

 maggiore semplicità, sicurezza, rendimento ed economicità del motore asincrono

trifase rispetto a quello monofase;

 vantaggi che presenta il generatore sincrono trifase rispetto al generatore monofase;

 minori cadute di tensione nelle linee.

Vi è, inoltre, da considerare che i sistemi trifase hanno costi del materiale conduttore delle

linee inferiori a quelli del sistema monofase, come sarà meglio chiarito nel seguito. È bene, però,

osservare che, pur essendo gli impianti in corrente alternata trifase in pratica quelli universalmente

impiegati ormai da quasi cento anni, esistono alcuni casi, tutt’altro che di importanza trascurabile,

in cui si impiega ancora la corrente alternata monofase o la corrente continua. Ad esempio, il

sistema monofase in corrente alternata trova impiego nell’ambito degli impianti per la trazione

elettrica (sistemi in corrente alternata monofase, utilizzati nell’alta velocità) e nel caso della

distribuzione in bassa tensione, mentre la corrente continua viene impiegata ancora una volta

nell’ambito degli impianti per la trazione elettrica (sistemi in corrente continua) e negli impianti di

trasmissione dell’energia elettrica in altissima tensione sia quando è necessario trasmettere energia

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elettrica a grandi distanze, per i motivi accennati in precedenza, sia quando, dovendo attraversare il

mare, l’uso della trasmissione in corrente continua comporta notevoli vantaggi.

Volendo entrare più in dettaglio sul confronto economico tra la trasmissione in corrente

alternata monofase e trifase, si faccia riferimento ad una linea trifase e ad una linea monofase che

alimentano un carico di potenza attiva P e fattore di potenza cos φ; si assuma, inoltre, al fine di

confrontare linee “equivalenti”, che esse siano caratterizzate:

 dalle stesse perdite per effetto Joule = ;

 dalle stesse tensioni nominali ( ) dove si è indicato con la tensione

concatenata della linea trifase e con la tensione della linea monofase (sia V il valore di tale

tensione).

I costi del materiale conduttore nei due casi in esame sono legati, come già detto, al volume

complessivo di materiale e, quindi, a parità di lunghezza, alle sezioni totali ed

complessivamente impiegate nelle linee trifase e monofase, rispettivamente, che risultano legati

dalla seguente relazione:

(9)

essendo e le sezioni del singolo conduttore. Poiché nell’ipotesi fatte risulta che:

(10)

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si ha:

(11)

ovvero

(12)

da cui si evince che la quantità di materiale conduttore complessivamente impiegato da una

linea trifase è inferiore a quello impiegato da una linea monofase.

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Bibliografia

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“COSTITUZIONE DEL SISTEMA ELETTRICO
PER L’ENERGIA’’

PROF. FABIO MOTTOLA


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l’energia

Indice

1 PRODUZIONE ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 TRASMISSIONE --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
3 DISTRIBUZIONE-------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
4 UTILIZZAZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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1 Produzione
Il subsistema di produzione comprende tutti gli impianti di produzione dell’energia elettrica

presenti nel sistema elettrico.

Un impianto di produzione converte l’energia di una fonte primaria in energia elettrica; le

fonti primarie utilizzate principalmente sono:

 l’energia ‘idraulica’,

 l’energia termica da combustibili fossili,

 l’energia termica da combustibili nucleari,

 l’energia termica di vapori naturali del sottosuolo.

Si hanno, quindi, due tipi di impianti di produzione dell’energia elettrica:

 gli impianti idroelettrici,

 gli impianti termoelettrici.

Esistono anche gli impianti idroelettrici di produzione e pompaggio, che nella fase di

pompaggio impiegano energia elettrica disponibile in modo da avere energia idraulica disponibile

nella fase di produzione. Inoltre, va ricordata la produzione che utilizza, come fonte di energia

primaria, l’energia solare e l’energia eolica. In tali casi, quindi, si hanno gli impianti solare ed

eolico.

Gli impianti di produzione, poi, possono prevedere un doppio stadio di conversione

dell’energia o un solo stadio di conversione. Nel primo caso, tipico degli impianti di grossa potenza

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(ad esempio gli impianti termoelettrici), prima l’energia della fonte primaria viene convertita in

energia meccanica e, poi, quest’ultima viene convertita in energia elettrica; nel secondo caso (per

esempio gli impianti solari di tipo fotovoltaico) vi è conversione diretta di energia primaria in

energia elettrica (in corrente continua).

Gli impianti di produzione possono essere così classificati:

 impianti di produzione concentrata;

 impianti di produzione distribuita.

Senza scendere troppo in dettagli che esulano dagli scopi di questo corso, gli impianti di

produzione concentrata sono in genere impianti di grossa taglia, normalmente collegati alla rete di

trasmissione dell’energia; sono, invece, impianti di produzione distribuita, quelli di taglia limitata,

collegati alle reti di distribuzione. Si noti, solamente, che quest’ultima tipologia d’impianti di

produzione riveste, oggigiorno, un’importanza fondamentale, poiché, nella maggioranza dei casi

reali, gli impianti di produzione da fonte alternativa e rinnovabile, rientrano in questa categoria.

Nelle Figure 3 e 4 sono riportati gli schemi riassuntivi degli impianti di produzione

concentrata e distribuita, rispettivamente. Si noti, tuttavia, che in Figura 4 non sono indicate altre

tipologie d’impianti, quali, ad esempio, quelli che impiegano le biomasse o gli idroelettrici di

piccola taglia. Tali impianti, rivestono oggigiorno un ruolo di importanza sempre più crescente.

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Figura 3. Schema di sintesi degli impianti di produzione concentrata.

Figura 4. Schema di sintesi degli impianti di produzione distribuita.

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2 Trasmissione
Il subsistema di trasmissione comprende tutte le linee di trasmissione presenti nel sistema

elettrico. Tale subsistema è essenzialmente costituito da una rete elettrica, generalmente a

configurazione magliata, i cui lati sono le linee elettriche. La tensione utilizzata per la trasmissione

è normalmente 380 kV o 220 kV; la tendenza attuale, in Italia, è di realizzare nuove linee a 380 kV.

Un esempio di principio ed estremamente sintetico di rete per la trasmissione dell’energia elettrica è

riportato in Figura 5.

Figura 5. Esempio di rete di trasmissione

Con riferimento alla rete di Figura 5, i nodi 1 e 3 sono i nodi in cui viene riversata l’energia

prodotta dagli impianti di produzione dopo essere stata trasformata dalla tensione idonea al

funzionamento dei generatori sincroni (in genere 20-30 kV) alla tensione della rete di trasmissione.

Il nodo 2 è il nodo da cui viene trasferita l’energia al subsistema di distribuzione. Il nodo 4 è un

nodo di interconnessione con un’altra rete di trasmissione (ad esempio, la rete di trasmissione della

Svizzera o della Francia).

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3 Distribuzione
Il subsistema di distribuzione include sia la cosidetta distribuzione primaria (a volte

denominata subtrasmissione) che le reti di distribuzione a media tensione (MT) e le reti di

distribuzione a bassa tensione (BT); spesso, nel gergo usuale, si fa riferimento a tale subsistema con

la dizione di “impianti di distribuzione”. In Figura 6 è riportato uno schema rappresentativo delle

varie parti che costituiscono un subsistema di distribuzione.

Figura 6. Le varie parti di un subsistema di distribuzione

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La rete di distribuzione primaria è esercita generalmente alla tensione di 150 o 130 kV,

riceve energia dai nodi della rete di trasmissione attraverso le stazioni primarie (normalmente dotate

di autotrasformatori) ed alimenta le reti di distribuzione in MT tramite le cosiddette “cabine

primarie” (o Stazioni AT/MT).

Ciascuna rete di distribuzione a MT è esercita generalmente alla tensione di 20 kV (ma ci

sono molti valori di MT ancora in uso, ad esempio 6, 9, 12, 15 kV), origina dalle cabine primarie e

alimenta le reti di distribuzione in BT tramite numerosissime “cabine secondarie” (cabine MT/BT).

Per la rete di distribuzione in MT ci sono diverse configurazioni possibili, a seconda della

densità di carico e del livello di continuità di alimentazione dell'utenza. In particolare, le reti di

distribuzione possono essere magliate o radiali.

Ciascuna rete di distribuzione in BT è esercita alla tensione di 400 V, origina da una cabina

MT/BT e realizza l'ultima fase della distribuzione fino alla consegna alle piccole utenze in BT.

In Figura 7 è rappresentata, a scopo esemplificativo, lo schema unifilare di una rete di

distribuzione in BT a configurazione radiale.

Figura 7. Schema unifilare di una rete di distribuzione in BT.

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In particolare, in Figura 7 è possibile osservare come, a valle della cabina si diramino

numerose linee, in serie tra loro, che vanno ad alimentare le varie utenze (carichi elettrici) collegate

agli svariati nodi della rete.

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4 Utilizzazione
Un subsistema di utilizzazione è costituito dalle diverse utenze elettriche. In dipendenza

delle potenze richieste, le utenze possono essere alimentate:

• da una stazione primaria,

• da una cabina primaria,

• da una cabina MT/BT,

• da un nodo della rete BT.

Tra le utenze elettriche, infatti, si includono, nel loro complesso, i sistemi elettrici industriali

e quelli di trasporto. I primi sono alimentati dalle stazioni primarie, dalle cabine primarie o, infine,

dalle cabine MT/BT in dipendenza della loro potenza; i secondi sono in genere alimentati dalle

stazioni primarie.

Per quanto riguarda i sistemi elettrici industriali, nel loro caso bisogna pensare, più che ad

un utente unico, ad un sistema complesso che può includere:

 utenti in media e bassa tensione,

 linee in alta, media e bassa tensione,

 un impianto di (auto)produzione.

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Nella Figura 8 si riporta un esempio di sistema industriale alimentato da un nodo della rete

primaria attraverso una stazione AT/MT (cabina primaria) che, a sua volta, alimenta una linea ad

anello in MT.

È interessante osservare che spesso alle reti di distribuzione in media e bassa tensione (che

sono di proprietà dei distributori dell’energia elettrica) ed alle linee in media e bassa tensione negli

impianti utilizzatori (che sono, invece, di proprietà degli utenti) viene dato il nome di impianti

elettrici in media e bassa tensione.

Figura 8. Schema unifilare di principio di un impianto industriale di media potenza


Nella Figura 8, la cabina primaria fornisce l’energia elettrica direttamente alle utenze di

potenza più elevata e, attraverso trasformatori abbassatori, ad una linea in MT cui si collegano i

motori di potenza più elevata e da cui si diparte un trasformatore MT/BT per l’alimentazione di

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piccoli motori. Può essere presente una piccola centrale di produzione dell’energia elettrica che può

essere usata per l’industria stessa e anche per l’immissione in rete.

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l’energia

Bibliografia

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“IL QUADRO LEGISLATIVO ITALIANO’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Il quadro legislativo italiano

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 I PRODUTTORI, IL GESTORE DELLA RETE DI TRASMISSIONE E I DISTRIBUTORI ----------------- 6
3 IL MERCATO DELL’ENERGIA ELETTRICA ------------------------------------------------------------------------ 9
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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1 Introduzione
Il 16 marzo 1999 è stato emanato il Decreto Legislativo n. 79 (Decreto Bersani) volto a

recepire la direttiva europea 96/92/CE che imponeva ai Paesi membri di definire le regole per la

liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica. Il Decreto Legislativo n. 79, nel recepire la

direttiva europea, ha tenuto, poi, in conto i vincoli stabiliti dall’articolo n. 36 della legge 128/98 con

cui il Parlamento Italiano delegava il Governo ad emanare i decreti legislativi per l’attuazione della

direttiva europea stessa.

La Direttiva Europea 96/92/CE stabiliva un quadro di principi generali sufficientemente

ampio, all’interno del quale ciascun paese membro poteva scegliere tra più opzioni possibili.

Alcune delle principali linee guida di tale quadro si possono così riassumere:

 viene liberalizzata l’attività di produzione, importazione ed esportazione dell’energia

elettrica, nonché la costruzione e l’uso delle linee di trasporto, con il divieto di attribuire diritti

esclusivi;

 le reti di trasmissione e di distribuzione sono considerate monopoli naturali che

possono essere dati in concessione con obblighi e diritti conseguenti;

 è prevista la presenza di soggetti responsabili della gestione, manutenzione e dello

sviluppo delle reti di trasmissione e distribuzione, a cui debbono poter accedere gli altri

operatori del mercato in condizioni di parità e senza discriminazioni. I gestori di tali reti, inoltre,

devono garantire la sicurezza e l’affidabilità del servizio elettrico; essi sono scelti dallo Stato o

dalle imprese proprietarie delle reti di trasmissione e di distribuzione;

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 è imposta la presenza di utenti, detti “clienti idonei”, i quali possono acquistare

energia elettrica a prezzi liberi da qualsiasi produttore, distributore o grossista.

Nel 2004 la Commissione Europea ha approvato la nuova Direttiva relativa al mercato

interno dell’elettricità (2003/54/CE), che modifica e abroga le Direttive 96/92/CE e 90/547/CEE.

Le novità introdotte dalla nuova direttiva riguardano principalmente l’apertura completa del

mercato dal lato della domanda e l’adozione di una serie di misure concrete per garantire parità di

condizioni dal lato dell’offerta al fine di ridurre il rischio di posizioni dominanti (ad esempio,

l’istituzione obbligatoria di un Autorità di regolazione come organismo indipendente dagli interessi

dell’industria dell’energia elettrica, preposto ad assicurare l’effettiva concorrenza, il funzionamento

del mercato e comportamenti non discriminatori).

Alcuni dei principali vincoli stabiliti dalla legge delega 128/98 si possono così riassumere:

 deve essere applicata una tariffa unica nazionale ad utenti, detti “clienti vincolati”, i

quali stipuleranno contratti di fornitura con il distributore che esercita il servizio nella loro area

territoriale;

 va istituito un unico gestore della rete di trasmissione;

 va istituito un intermediario, detto “Acquirente unico”, che garantisca ai clienti

vincolati la disponibilità di energia elettrica, la gestione dei contratti, la fornitura e la tariffa

unica di cui al primo punto;

 deve essere incentivato l’uso delle energie rinnovabili e il risparmio energetico.

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Tenendo conto della direttiva europea 96/92/CE e della legge delega 128/98, il decreto

legislativo 79/99 ha definito gli elementi fondamentali del nuovo assetto dell’energia elettrica in

Italia. Tale decreto prevedeva diversi operatori del mercato dell’energia:

 i Produttori;

 il Gestore della rete di trasmissione;

 i Distributori;

 i Clienti idonei e vincolati;

 l’Acquirente Unico;

 il Gestore del Mercato.

La situazione attuale, oltre che dal DL 79/99 e dai suoi provvedimenti di attuazione, è anche

determinata da altre innumerevoli leggi e decreti emanati successivamente al suddetto decreto, quali

il DM 29 aprile 2009 del Ministero dello Sviluppo Economico dal titolo “Indirizzi e direttive per la

riforma della disciplina del mercato elettrico ai sensi dell’art. 3 della legge 28 gennaio 2009 n. 2.

Impulso all’evoluzione dei mercati a termine organizzati e rafforzamento delle funzioni di

monitoraggio sui mercati elettrici” e la Legge 23 luglio 2009 n. 99.

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2 I Produttori, il Gestore della Rete di


Trasmissione e i Distributori
Il decreto 79/99 stabilisce la libera concorrenza tra i produttori. A nessun soggetto è

consentito di produrre o importare più del 50% del totale dell’energia elettrica prodotta e importata

in Italia. A tal fine l’ENEL S.p.A.1 ha ceduto circa 15000 MW della propria potenza installata (circa

il 25% del suo parco impianti); sono stati individuati gli impianti da cedere (14 termoelettrici e 7

idroelettrici) prevedendone l’accorpamento in 3 Società: Eurogen, Elettrogen ed Interpower cui

sono stati conferiti impianti per circa 7000, 5000 e 2500 MW, rispettivamente. Nel nuovo assetto di

libero mercato della produzione di energia elettrica furono eliminate le forme di incentivo previste

dalla legislazione precedente per la produzione da fonti rinnovabili e da impianti industriali ad

elevata efficienza energetica (impianti di cogenerazione ed impianti a recupero di energia)2, in

quanto gli incentivi statali possono creare delle deformazioni del mercato concorrenziale. Per

favorire la produzione da fonti rinnovabili, il decreto n. 79/99 ha inizialmente imposto l’obbligo per

i produttori che immettono nel sistema elettrico quantità di energia che eccedono i 100 GWh/anno

(al netto della cogenerazione e degli autoconsumi) di immettere anche una quota di energia prodotta

da nuovi impianti da fonti rinnovabili in misura di valore pari al 2% della quantità di energia

eccedente i 100 GWh stessi; questa quota è stata, aumentata dal 2003 al 2006 dello 0,35% e, poi,

1
Dopo oltre 35 anni dalla sua nascita, avvenuta nel 1962, l’ENEL si è trasformata in società per azioni assumendo la

denominazione di ENEL S.p.A., a cui sono state trasferite in concessione le attività del vecchio ente.

2
Legge n. 10 del 9/1/91, nella fase di realizzazione, e provvedimenti del CIP e dell’Autorità per l’energia e per il gas,

nella fase di funzionamento.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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dal 2007 dello 0,75% (superando negli ultimi anni il 6%). Tali fonti di energia, essendo a

ridotissimo impatto ambientale, hanno anche la priorità assoluta di immissione in rete; dopo tale

fonte, ha priorità di immissione, essendo caratterizzati da elevati rendimenti, l’energia prodotta da

impianti di cogenerazione. E’ assicurata un’adeguata remunerazione degli investimenti in nuovi

impianti da fonti rinnovabili attraverso la creazione di un libero mercato dei cosiddetti certificati

verdi. I certificati verdi sono emessi dal Gestore dei Servizi Energetici per un periodo massimo di

otto anni a favore dei produttori che ne fanno richiesta. Questi ultimi potranno a loro volta vendere i

certificati agli operatori soggetti ad obbligo, ad un prezzo determinato dal mercato. Il Gestore,

potendo a sua volta emettere certificati propri, assume una funzione di stabilizzatore del mercato

compensandone eventuali fluttuazioni del prezzo. Gli impianti aventi diritto alla certificazione sono

quelli alimentati da fonti rinnovabili pure (escluse le fonti assimilate) entrati in esercizio dopo l’11

aprile 1999 a seguito di nuova costruzione, potenziamento, rifacimento e riattivazione. Le attività di

trasmissione e ripartizione della produzione, ivi compresa la gestione unificata della rete di

trasmissione nazionale, sono state riservate allo Stato e attribuite inizialmente in concessione ad

un’unica Società per Azioni, che fu a suo tempo denominata “Gestore della Rete di Trasmissione

Nazionale” (GRTN). Il GRTN, tra le sue varie funzioni, ha gestito per alcuni anni la rete di

trasmissione indipendentemente dalla proprietà della stessa, ha gestito i flussi di energia, le

interconnessioni ed i servizi ausiliari necessari, ha garantito la sicurezza, l’affidabilità, l’efficienza

ed il minor costo dei servizi e degli approvvigionamenti, ha deliberato gli interventi di

manutenzione e di sviluppo della rete, ha assicurato l’accesso alla rete in termini paritetici a tutti gli

aventi diritto, e ha gestito gli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

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A seguito del DPCM 11 maggio 2004, invece, la società responsabile in Italia del

dispacciamento e della trasmissione dell’energia elettrica sulla rete ad alta tensione su tutto il

territorio nazionale è diventata “Terna - Rete Elettrica Nazionale S.p.A”. Tale assetto è il risultato

dell’acquisizione nel mese di novembre 2005, da parte di tale ultima Società, del ramo di azienda

del GRTN che fino ad allora aveva svolto tali compiti. Terna-RTN, oltre alle suddette funzioni, ha

anche la proprietà di oltre il 90% della Rete di Trasmissione Nazionale cioè della rete ad alta

tensione.

Il GRTN è scomparso e le sue competenze connesse alle fonti rinnovabili sono passate al

GSE – Gestore dei Servizi Energetici, che, come si vedrà nel seguito, è titolare anche di altri

significativi compiti.

I Distributori operano in regime di concessione trentennale e sono remunerati in base a

tariffe stabilite dall’Autorità. Essi sono obbligati a connettere alle proprie reti tutti i soggetti che ne

facciano richiesta, senza compromettere la continuità del servizio e purché siano rispettate le regole

tecniche nonché le disposizioni emanate in materia di tariffe, contributi ed oneri. Al fine di ridurre,

almeno nei comuni dove ENEL e municipalizzate operavano insieme, la posizione di preminenza

dell’ENEL sul territorio nazionale, il Decreto n. 79/99 prevedeva l’unicità della concessione per

ambito comunale e favoriva, nei comuni dove operavano più distributori, iniziative di aggregazione

negoziate tra le parti.

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3 Il Mercato dell’energia elettrica


I clienti idonei possono acquistare energia elettrica da qualsiasi produttore, distributore o

grossista, sia in Italia sia all’estero. Nei vari anni e a diverso titolo, nella categoria sono stati

comprese svariate tipologie di utenti, i cui consumi, inizialmente, erano particolarmente elevati (ad

esempio, non inferiori a 9 GWh). Attualmente, la legge 239/04 prevede, in linea con la direttiva

comunitaria 2003/54/CE, che, a decorrere dal 1/7/2007, è cliente idoneo ogni cliente finale. Oggi,

quindi, praticamente chiunque può avere la qualifica di cliente idoneo.

I clienti vincolati erano, invece, quelli legittimati a stipulare contratti esclusivamente con il

distributore della zona territoriale dove essi si trovavano. Ad essi era assicurata parità di

trattamento, anche tariffaria, su tutto il territorio nazionale.

Il decreto n. 79/99 prevedeva la costituzione di una società per azioni denominata

Acquirente Unico, che è stata costituita il 5/11/99 e che ha, appunto, il compito di stipulare e gestire

contratti di fornitura ai clienti vincolati, garantendo loro parità di trattamento. Attualmente il GSE

controlla il 100% dell’Acquirente Unico. L’Acquirente Unico (AU) prima del luglio 2007 aveva il

compito di stipulare e gestire contratti di fornitura per i clienti vincolati garantendo loro parità di

trattamento. Dopo il luglio 2007 l’AU ha il compito di stipulare e gestire contratti di fornitura per i

clienti che hanno diritto al regime di maggior tutela o di salvaguardia.

I Clienti aventi diritto al servizio di maggior tutela sono, dal 1° luglio 2007, tutti i clienti

finali domestici e le piccole imprese con i punti di prelievo nella titolarità della singola impresa

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connessi in bassa tensione. I Clienti aventi diritto al servizio di salvaguardia sono quei clienti finali

che si trovino senza un fornitore di energia elettrica sul mercato libero e risultino essere:

 imprese che non abbiano ancora esercitato il diritto di scegliere il proprio fornitore

sul mercato libero e siano intestatarie di almeno un sito in media tensione o alta tensione;

 imprese titolari di soli siti in bassa tensione con oltre 50 dipendenti o con un fatturato

annuo superiore a 10 milioni di euro.

L’organizzazione e la gestione economica del mercato dell’energia elettrica è affidata ad una

Società per azioni, oggi denominata Gestore dei Mercati Energetici (GME). Ad essa è affidata la

gestione delle offerte di vendita e di acquisto dell’energia elettrica e di tutti i servizi connessi. Il

GME è interamente controllato dal GSE (a sua volta controllato dal Ministero dell’Economia e delle

Finanze). Il GME organizza il mercato sulla base di criteri di neutralità, trasparenza e non

discriminazione assicurando la concorrenza tra operatori e l’efficienza nel settore.

Il modello di mercato adottato in Italia prevede la coesistenza di contratti bilaterali (fisici) e

di transazioni di compravendita che avvengono all’interno di una Borsa dell’energia, in modo da

attuare il cosiddetto “modello di dispacciamento misto”, così definito per distinguerlo dal “modello

di dispacciamento passante puro” che non prevede la borsa e dal “modello di dispacciamento di

solo merito” che prevede, invece, solo transazioni di borsa.

In poche parole, gli operatori del mercato (produttori/importatori da una parte e acquirenti

dall’altra, ad esclusione dei clienti vincolati) possono stipulare contratti bilaterali in cui l’entità e le

condizioni di fornitura sono negoziate liberamente tra le parti. Altra forma di contrattazione

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competitiva può avvenire in borsa, secondo meccanismi di formazione dei prezzi di

vendita/acquisto che sono dettati dalle regole proprie della borsa stessa.

Senza entrare nel dettaglio della organizzazione del Mercato Elettrico, si vuole evidenziare

che l’organizzazione del Mercato è denominata “a mercato decomposto” e prevede la presenza del

“Mercato dei servizi primari” e del “Mercato dei servizi ausiliari”. Nel primo avvengono le

transazioni “di massima”, il secondo permette la realizzazione in sicurezza dell’equilibrio fisico tra

offerta e domanda, consentendo di far fronte agli sbilanciamenti tra i flussi programmati e quelli

reali e di acquisire le risorse per costituire le riserve varie per le regolazioni e per il riavviamento in

caso di black out.

Più specificatamente, il mercato elettrico, comunemente indicato come “Borsa elettrica”,

consente a produttori, consumatori e grossisti di stipulare contratti, tipicamente orari, di acquisto e

vendita di energia elettrica. Le transazioni si svolgono su una piattaforma telematica alla quale gli

operatori si connettono attraverso la rete internet, con procedure di accesso sicuro, tramite certificati

digitali, per la conclusione on-line di contratti di acquisto e di vendita di energia elettrica.

Il mercato elettrico si articola in:

1) Mercato elettrico a pronti (MPE), il cui si aggiudicano transazioni di acquisto/vendita

relative ad ognuna delle 24 ore di una giornata, composto da:

 Mercato del Giorno Prima (MGP) dove i produttori, i grossisti ed i clienti finali

idonei possono vendere/acquistare energia elettrica per il giorno successivo (nel seguito il

giorno successivo, che è quello a cui si riferiscono le transazioni, verrà denominato “stesso

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giorno”). Tale mercato si apre alle 8.00 del 9° giorno antecedente e si chiude alle 9.00 del

giorno prima.

 Mercato Infragiornaliero (MI) dove i produttori, i grossisti ed i clienti finali possono

modificare i programmi di immissione/prelievo determinati su MGP. Tale mercato si articola in

due sedute che si svolgono con orari di chiusura differenti ed in successione. Le due sedute si

aprono alle 10.30 del giorno prima e si chiudono una alle 12 e l’altra alle 15 dello stesso giorno.

 Mercato per il Servizio di Dispacciamento (MSD), nel quale Terna si approvvigiona

dei servizi di dispacciamento necessari alla gestione ed al controllo del sistema elettrico. Il MSD

si articola in fase di programmazione (MSD ex-ante) e Mercato del Bilanciamento (MB). Il

MSD ex-ante si apre alle 15.30 del giorno prima, non dura meno di 1 ora e può arrivare a

chiudersi alle 17.00 del giorno prima. Il Mercato di bilanciamento si svolge in più sessioni

(attualmente 5) che si chiudono nello stesso giorno.

2) Mercato elettrico a termine dell’energia elettrica con obbligo di consegna e ritiro (MTE),

dove gli operatori possono vendere/acquistare forniture future di energia elettrica. Tale mercato

consente di negoziare energia elettrica su orizzonti temporali più estesi di quelli giornalieri di cui al

MPE, e cioè il mese, il trimestre e l’anno.

3) Piattaforma per la consegna fisica dei contratti finanziari conclusi sull’IDEX (CDE), dove

vengono consegnati i contratti finanziari derivati sull’energia elettrica conclusi sull’IDEX -

segmento del mercato degli strumenti finanziari derivati di Borsa Italiana S.p.A. dedicato alla

negoziazione degli strumenti finanziari derivati sull’energia elettrica - relativamente ai quali

l’operatore abbia richiesto di esercitare l’opzione di consegna fisica sul mercato elettrico.

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Nell’ambito dell’organizzazione e gestione economica del mercato elettrico, al GME è

affidata, inoltre, l’organizzazione delle sedi di contrattazione dei certificati verdi (attestanti la

produzione di energia da fonti rinnovabili), dei titoli di efficienza energetica (cosiddetti “certificati

bianchi”, attestanti la realizzazione di politiche di riduzione dei consumi energetici) e delle Unità di

Emissione.

Il GME gestisce, inoltre, ai sensi dell’Allegato A alla Delibera AEEG n. 111/06 e ss.mm.ii

la Piattaforma dei conti energia a termine per la registrazione di contratti bilaterali a termine di

compravendita di energia elettrica conclusi al di fuori del sistema delle offerte.

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Università Telematica Pegaso Il quadro legislativo italiano

Bibliografia

 GSE, sito istituzionale: http://www.gse.it

 Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico, sito istituzionale:

http://www.autorita.energia.it/

 GME, sito istituzionale: http://www.mercatoelettrico.org/

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“CLASSIFICAZIONE DEGLI IMPIANTI
ELETTRICI’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Classificazione degli impianti elettrici

Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 STATO NEL NEUTRO ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
3 MESSA A TERRA NEGLI IMPIANTI DI BT --------------------------------------------------------------------------- 9
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11

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Università Telematica Pegaso Classificazione degli impianti elettrici

1 Generalità
Gli impianti elettrici si possono classificare in base:

- al tipo di alimentazione;

- al numero dei conduttori attivi;

- alla tensione nominale;

- allo stato del neutro;

- alla potenza impiegata.

Per quanto riguarda la classificazione in base alla tipologia di alimentazione, della corrente

continua (CC) e corrente alternata (CA) si è già ampiamente discusso.

Con riferimento alla classificazione per numero di conduttori attivi si individuano le

seguenti categorie:

 impianti in CC a due conduttori o a tre conduttori;

 impianti in CA monofase a due conduttori o a tre conduttori;

 impianti in CA trifase a tre conduttori ed a quattro conduttori, con conduttore di

neutro.

Con riferimento alla tensione nominale, si individuano le seguenti categorie in funzione

delle tensioni nominali (V) a cui sono eserciti gli impianti:

 di categoria 0: V≤50V per impianti in CA e V≤120V per impianti in CC

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Università Telematica Pegaso Classificazione degli impianti elettrici

 di I categoria (BT): per 50<V ≤1000V in CA e 120 <V ≤1500 V in CC

 di II categoria (MT): 1000<V ≤30000 V in CA o 1500<U ≤30000 V in CC

 di III categoria (AT): V>30000V sia in CA che in CC.

Nella categoria 0 rientrano anche dei particolari sistemi a bassissima tensione che hanno

interesse nel campo antinfortunistico, e cioè:

 SELV (Safety Extra Low Voltage), a bassissima tensione di sicurezza

 FELV (Functional Extra Low Voltage), a bassissima tensione funzionale;

 PELV (Protection Extra Low Voltage) a bassissima tensione di protezione.

Con riferimento alle tensioni nominali adottate nell’ambito del sistema elettrico italiano, la

Figura 1 riporta uno schema di sintesi.

Fig. 9. Tensioni nominali adottate nell’ambito del sistema elettrico italiano.

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Università Telematica Pegaso Classificazione degli impianti elettrici

Un impianto elettrico può anche essere classificato in base al valore di potenza impiegata.

Ad esempio, nel caso di un impianto elettrico industriale si individuano quattro tipologie

d’impianto:

 bassa potenza: utenza di potenza inferiore a 100kW ed alimentata in BT;

 media potenza : utenza di potenza inferiore a 5MVA ed alimentata in MT;

 grande potenza: utenza di poche decine di MVA ed alimentata in AT;

 grandissima potenza: utenza di oltre le decine di MVA ed alimentata in AT.

Quest’ultima classificazione è largamente usata nei sistemi elettrici poiché spesso, una volta

individuata la sua classe di appartenenza, si identificano di conseguenza il livello di tensione, il

numero di conduttori e il sistema di protezione che deve adottare l’impianto, nonché tutte le norme

che devono essere applicate per la sua progettazione, verifica e collaudo.

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Università Telematica Pegaso Classificazione degli impianti elettrici

2 Stato nel neutro


Con riferimento allo stato del neutro, si premette che:

 nelle reti trifasi a 4 conduttori il neutro è costituito dal conduttore che fa capo al

centro stella del secondario del trasformatore o del generatore che alimenta la rete;

 nelle reti trifasi a tre conduttori il neutro può essere materializzato in ogni punto con

il centro stella dei trasformatori e dei generatori collegati alla rete.

Tradizionalmente si assume che il collegamento o meno del centro stella a terra

determina lo “stato del neutro”. In particolare si hanno i seguenti possibili stati:

 neutro isolato;

 neutro francamente a terra;

 neutro a terra tramite resistenza;

 neutro a terra tramite bobina.

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In Figura 2 è riportato una rappresentazione delle diverse modalità di stato del neutro.

Fig. 2. Stato del neutro.

Tipicamente, le reti di distribuzione in MT sono connesse al secondario dei trasformatori

delle cabine primarie (AT/MT) il cui avvolgimento può essere collegato:

 a stella con centro stella isolato;

 a stella con centro stella a terra tramite resistenza;

 a stella con centro stella a terra tramite induttanza (bobina di Petersen).

Le reti di distribuzione in BT sono connesse ai trasformatori delle cabine (MT/BT) con il

secondario a stella e centro stella connesso francamente a terra. Il collegamento franco a terra è

dettato, come meglio sarà chiarito nel seguito del corso, da ragioni di sicurezza.

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Università Telematica Pegaso Classificazione degli impianti elettrici

Infine, si noti che la Norma CEI 11-1 n°5025 prescrive che i sistemi elettrici a tensione

superiore a 1 kV in CA debbano essere progettati:

 con neutro isolato;

 con messa a terra risonante;

 con neutro messo a terra con bassa impedenza (non superiore a 100 Ω).

Essa inoltre prescrive che:

 i sistemi con tensione superiore a 100 kV debbano funzionare con il neutro messo

efficacemente a terra;

 in assenza di Norma specifica, il centro stella dei sistemi trifase di categoria I del

distributore in corrente alternata con tensione nominale uguale o superiore a 400 V deve essere

messo a terra.

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Università Telematica Pegaso Classificazione degli impianti elettrici

3 Messa a terra negli impianti di BT


Il tipo di messa a terra di un sistema, oltre che per motivi attinenti la sicurezza delle persone,

è importante per la scelta del livello di isolamento e delle caratteristiche dei dispositivi limitatori.

Per quanto riguarda gli impianti elettrici di BT è in uso un’altra classificazione riferita allo

stato del neutro e allo stato delle masse. Per massa s’intende una parte conduttrice di un

componente elettrico che può essere toccata e che in condizioni ordinarie non è in tensione ma che

può diventarlo in condizioni di guasto. Con riferimento allo stato del neutro e allo stato delle masse,

gli impianti elettrici di bassa tensione, infatti, vengono classificati in sistemi:

 TT

 TN-S

 TN-C

 IT

dove con la prima lettera si indica lo stato del neutro (T, neutro connesso francamente a

terra; I, neutro isolato da terra o a terra tramite impedenza), con la seconda lettera lo stato delle

masse (T, masse connesse a terra; N, masse connesse al neutro), con la lettera S l’esercizio

dell’impianto TN con il neutro separato dal conduttore di protezione PE, e con la lettera C

l’esercizio dell’impianto TN con il neutro comune al conduttore di protezione PE (conduttore PEN).

In Figura 3, sono rappresentate schematicamente le diverse configurazioni delle quattro tipologie


d’impianto.

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Università Telematica Pegaso Classificazione degli impianti elettrici

Fig. 3 Possibili schemi di impianto in BT.

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Università Telematica Pegaso Classificazione degli impianti elettrici

Bibliografia

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“CONDIZIONI DI FUNZIONAMENTO’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Condizioni di funzionamento

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 IL CORTOCIRCUITO-------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
3 LE SOVRATENSIONI ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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Università Telematica Pegaso Condizioni di funzionamento

1 Introduzione
In funzione del valore assunto dalle grandezze elettriche tensione, corrente e frequenza, per

un impianto elettrico si definiscono due condizioni di funzionamento:

 condizioni di funzionamento normali;

 condizioni di funzionamento anormali.

Le condizioni di funzionamento normali sono quelle in cui tutte le grandezze elettriche a

regime hanno valori contenuti in intervalli stabiliti ai fini del buon funzionamento del sistema;

differentemente, si parla di condizioni di funzionamento anormali.

In particolare, la frequenza deve discostarsi molto poco dal valore di 50 Hz. Il modulo delle

tensioni non deve superare intervalli prestabiliti dipendenti dalle applicazioni (ad esempio ± 5% o ±

10%). Il modulo delle correnti non deve superare i valori massimi imposti dai componenti (ad

esempio la portata dei conduttori costituenti le linee elettriche).

Nelle varie condizioni di funzionamento si possono presentare differenti problemi, per la

risoluzione dei quali sono utilizzati i modelli matematici del sistema, che vanno formulati

opportunamente secondo il problema considerato.

Nel funzionamento normale si pongono vari problemi, tra cui:

 la regolazione della tensione;

 la regolazione della frequenza;

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Università Telematica Pegaso Condizioni di funzionamento

 la ripartizione delle potenze attive e reattive tra i vari impianti di produzione.

Per gli impianti elettrici di media e bassa tensione sono da considerare in particolare:

 la scelta della sezione conduttrice di una linea;

 la regolazione della tensione.

Il problema della regolazione della frequenza è invece importante nel sistema di

trasmissione, essendo strettamente legato alla regolazione del moto dei generatori.

Le condizioni di funzionamento anormali prese in considerazione in queste dispense sono

quelle legate a scostamenti dei valori delle correnti (sovracorrenti) o delle tensioni (sovratensioni,

vuoti di tensione o interruzioni della tensione) dai valori che garantiscono il buon funzionamento

del sistema.

Va specificato ulteriormente che le sovracorrenti possono verificarsi in un circuito

elettricamente “sano”, e cioè in condizioni normali del circuito elettrico, o in un circuito

elettricamente “guasto”, e cioè in condizioni anormali del circuito elettrico. Nel primo caso la

sovracorrente viene detta corrente di sovraccarico mentre nel secondo caso essa viene detta corrente

di cortocircuito. Nel seguito si farà riferimento principalmente ai cortocircuiti ed alle sovratensioni.

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Università Telematica Pegaso Condizioni di funzionamento

2 Il cortocircuito
Per cortocircuito s’intende la condizione di funzionamento anormale provocata da un

collegamento a bassa impedenza (rispetto al valore dell’impedenza interposta in condizioni

normali) che viene ad instaurarsi tra punti del sistema elettrico caratterizzati da differenti valori

della tensione, ed in particolare:

 fra i conduttori di un circuito;

 fra uno e/o più conduttori di un circuito e la terra.

Il verificarsi di questa circostanza può determinare correnti di valore più elevato di quelle in

condizioni di funzionamento normali, che per effetto termico o elettrodinamico possono portare al

danneggiamento o alla distruzione della parte interessata. In Figura 1, ad esempio, è rappresentato il

caso di un corto circuito causato dalla perforazione dell’isolamento delle singole anime di un cavo

bipolare. La perforazione dell’isolante causa il contatto tra i due conduttori a tensione differente (è

questo, ad esempio, il caso di una linea monofase in cui fase e neutro alimentano un carico

monofase).

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Fig. 1. Corto circuito causato dalla perforazione dell’isolamento delle singole anime di un

cavo bipolare.

In Figura 2, si possono osservare le conseguenze del corto circuito. In particolare, in Figura

2.a) è rappresentato schematicamente il caso di un generico carico di una utenza alimentata dalla

rete di distribuzione. In caso di cortocircuito nella linea di alimentazione del carico in

corrispondenza dei morsetti A e B, l’impedenza del carico è vista in parallelo ad un collegamento a

bassa impedenza, nel caso peggiore ad impedenza nulla. La rappresentazione in termini circuitali

più rigorosa del problema analizzato, può essere dedotta applicando il teorema di Thevenin, ed è

riportata in Figura 2.b). Tra i nodi A e B sono quindi collegati il bipolo corto circuito (attraverso cui

si modella, appunto, il corto circuito ad impedenza nulla), il carico e il bipolo equivalente secondo

Thevenin. In generale, quando il collegamento a bassa impedenza che dà luogo al cortocircuito, è ad

impedenza trascurabile (nel caso ideale nulla), si parla di cortocircuito netto o franco (questo caso è

adottato, per ovvi motivi, in caso, ad esempio, di progettazione); quando invece il valore

dell’impedenza di guasto non è trascurabile, si parla di cortocircuito tramite impedenza.

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ic
A

rete di Rc
distribuzione Vc carico
cto cto
Xc

B
a)

Re Xe A ic
i1 q q

Δv
Rc
icc Vc carico
veq
Xc

B
b)

Fig. 2. Rappresentazione di un corto circuito.

Usualmente, i cortocircuiti in un punto del sistema sono classificati in base al numero di fasi

interessate dal guasto ed in base all’eventuale coinvolgimento della terra. Nel caso di un impianto

trifase si individuano, pertanto, cortocircuiti:

 trifase, in cui sono coinvolte tutte e tre le fasi del sistema;

 bifase, in cui sono coinvolte due fasi del sistema e che può coinvolgere anche

la terra;

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 monofase, in cui nel caso più generale della bassa tensione è coinvolta una

fase del sistema e il conduttore neutro o la massa.

Nelle Figure 3 e 4 sono rappresentate due condizioni di corto circuito monofase nel caso,

rispettivamente, di sistema TT e TN-S.

Fig. 3 Corto circuito monofase nel caso di un sistema TT

Fig. 4 Corto circuito monofase nel caso di un sistema TN-S

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Nel caso del sistema TT, in Figura 3 si evidenzia come, a seguito del guasto, si instaura una

corrente di corto circuito attraverso l’anello di guasto costituito dalla terra di cabina (collegamento a

terra del centro stella), la terra delle masse, le masse stesse, i conduttori costituenti l’impianto e

l’avvolgimento del trasformatore. Nel secondo caso (Figura 4), a seguito del guasto, l’anello di

guasto si chiude su un percorso interamente fatto di parti metalliche, presentando, quindi, un

circuito ad impedenza decisamente inferiore rispetto al caso TT (e, quindi, una corrente di corto

circuito più elevata).

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3 Le sovratensioni
I valori delle tensioni nei punti di un sistema elettrico sono compresi, in condizioni di

funzionamento normale, e cioè in assenza di perturbazioni significative, entro un intervallo

abbastanza ristretto (±5 - ±10 %) attorno alla tensione nominale. In condizioni di funzionamento

anormali, invece, sia in regime permanente che in quello transitorio, il valore della tensione tra due

fasi o tra una fase e la terra può superare, in certi punti del sistema e per tempi più o meno lunghi, i

valori di tensione previsti nel funzionamento normale; in tal caso si hanno, nei punti in questione, le

sovratensioni.

In base alla loro origine le sovratensioni si suddividono in due categorie:

 sovratensioni di origine esterna, che sono essenzialmente dovute a fenomeni

atmosferici;

 sovratensioni di origine interna, che derivano da cause connesse con l'esercizio del

sistema.

Le sovratensioni di origine interna hanno un’ampiezza che dipende dalla tensione nominale

dell’impianto in cui si manifestano; quelle di origine esterna sono, invece, indipendenti da

quest’ultima.

In Figura 5 è riportata, a titolo d’esempio, una tipica sovratensione d’origine interna.

Un’ulteriore classificazione delle sovratensioni, spesso impiegata, le suddivide in:

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 sovratensioni atmosferiche;

 di manovra;

 sostenute.

Le sovratensioni atmosferiche sono dovute a fenomeni d’induzione o a fulminazione e sono

caratterizzate da onde impulsive unidirezionali di breve durata.

Fig. 5 Rappresentata grafica qualitativa di una sovratensione di natura impulsiva.

Tra le cause precedentemente evidenziate assume un’importanza fondamentale la

fulminazione delle linee aeree con conduttori nudi, per le sollecitazioni particolarmente intense che

ad essa si accompagnano. In particolare, la sovratensione conseguente alla fulminazione può

derivare dalla scarica del fulmine che colpisce direttamente la linea elettrica (fulminazione diretta),

oppure per induzione causata dalla scarica del fulmine che colpisce il suolo o oggetti posti nelle

vicinanze della linea (Figura 6).

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a)

b)

Fig. 6 Sovratensione di origine atmosferica: caso di fulminazione diretta (a) e per induzione
(b).

Nel caso di fulminazione indiretta, in Figura 7 è mostrato sommariamente il principio

dell’induzione causa della sovratensione.

Fig. 6. Sovratensione per induzione.

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A seguito dell’evento della fulminazione si generano nella linea colpita delle onde migranti

che si propagano lungo la stessa con la velocità della luce. L'ampiezza iniziale di tali onde dipende

naturalmente dalla quantità di carica che il fulmine scarica sulla linea, e, quindi, dalla durata e

dall'intensità del fulmine stesso. Questo tipo di sovratensione può raggiungere valori elevatissimi e

costituisce un grave pericolo per gli impianti; in particolare, per le suddette linee aeree si possono

raggiungere tensioni di picco dell'ordine di 1000 kV con correnti, durante le scariche, che possono

arrivare fino a valori prossimi a 200 kA, mentre la durata del fenomeno è di qualche centinaio di µs.

Le sovratensioni di manovra sono, in genere, dovute all'apertura o alla chiusura degli

interruttori. Rientrano in tale categoria le sovratensioni dovute all'interruzione di correnti induttive,

sia di elevato che di limitato valore, all’interruzione di correnti capacitive (apertura di impianti di

rifasamento o di una linea a vuoto), e quelle dovute alla chiusura degli interruttori per la messa in

tensione delle linee.

Le sovratensioni sostenute, infine, sono, in genere, originate da eliminazione di guasti o da

risonanza su armoniche e sono caratterizzate da onde oscillanti poco smorzate a frequenza

industriale o armonica. La loro pericolosità è dovuta soprattutto all’alto contenuto energetico che le

caratterizza.

Le sovratensioni causano sollecitazioni anormali sugli isolamenti dei diversi componenti del

sistema e possono provocare cortocircuiti. Esse, pertanto, comportano numerosi problemi quali, ad

esempio, quello della scelta dei sistemi di protezione e del dimensionamento dell’isolamento dei

vari componenti del sistema.

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Università Telematica Pegaso Condizioni di funzionamento

Bibliografia

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni


dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa


tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“IL CORTOCIRCUITO’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Il cortocircuito

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 STUDIO DELLA CORRENTE DI CORTOCIRCUITO --------------------------------------------------------------- 4
3 ANALISI DELLA CORRENTE DI CORTOCIRCUITO -------------------------------------------------------------- 7
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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1 Introduzione
Per un impianto elettrico si definiscono due condizioni di funzionamento:

 condizioni di funzionamento normali;

 condizioni di funzionamento anormali.

Le condizioni di funzionamento normali sono quelle in cui tutte le grandezze elettriche


(tensione, corrente e frequenza) a regime hanno valori contenuti in intervalli stabiliti ai fini del buon
funzionamento del sistema; differentemente, si parla di condizioni di funzionamento anormali.
In particolare, le condizioni di funzionamento anormale di nostro interesse sono quelle
legate a scostamenti dei valori delle correnti (sovracorrenti) e delle tensioni (sovratensioni) dai
valori che garantiscono il buon funzionamento del sistema. Con riferimento alle sovracorrenti, per
esse esiste una ulteriore differenziazione:
 corrente di sovraccarico: la sovracorrente si verifica in un circuito elettricamente

“sano”;

 corrente di cortocircuito: la sovracorrente si verifica in un circuito elettricamente

“guasto”.

Per cortocircuito s’intende la condizione di funzionamento anormale provocata da un

collegamento a bassa impedenza (rispetto al valore dell’impedenza interposta in condizioni

normali) che viene ad instaurarsi tra punti del sistema elettrico caratterizzati da differenti valori

della tensione.

Il verificarsi di questa circostanza può determinare correnti di valore più elevato di quelle in

condizioni di funzionamento normali, che per effetto termico o elettrodinamico possono portare al

danneggiamento o alla distruzione della parte interessata.

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2 Studio della corrente di cortocircuito


Volendo analizzare l’andamento nel tempo della corrente di cortocircuito, si faccia

riferimento al circuito equivalente di Figura 1, rappresentativo di un generico cortocircuito netto tra

i morsetti A e B. Si noti che, nelle applicazioni pratiche di nostro interesse, a seconda della tipologia

di cortocircuito e configurazione dell’impianto (stato del neutro e delle masse), cambiano i valori di

induttanza L e resistenza R, restando invece invariato il circuito e, di conseguenza, la trattazione

teorica.

e(t) icc

Fig. 11 Circuito equivalente per il calcolo di una corrente di cortocircuito.

Nel caso di una tensione di alimentazione sinusoidale:

(1)

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l’equazione dell’equilibrio elettrico ai valori istantanei è:

(2)

che è una equazione differenziale del primo ordine a coefficienti costanti non omogenea (i

componenti del circuito si assumono lineari) in cui la funzione incognita è i(t), ovvero la legge di

variazione della corrente di cortocircuito nel tempo. Come ben noto l’integrale generale di tale

equazione è del tipo:

(3)

ovvero, essa è costituita da una componente unidirezionale (integrale generale

dell’equazione omogenea associata):

(4)

e dalla componente simmetrica (integrale particolare dell’equazione differenziale):

(5)

essendo e la costante di tempo del circuito.

Graficamente, la corrente di corto circuito è rappresentata, qualitativamente, in Figura 2.

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3 Analisi della corrente di cortocircuito


Oltre alla forma della corrente, è importante segnalarne alcuni valori caratteristici, e

precisamente:

 il valore di picco, ovvero il massimo valore che la corrente di corto circuito

può assumere (ip); ed

 il valore efficace (I) della componente simmetrica.

Come si vedrà nel seguito del corso, il valore efficace è importante per questioni energetiche

(il calore che si dissipa per effetto Joule); il valore di picco, invece, è legato agli sforzi

elettrodinamici conseguenti alle correnti di cortocircuito.

Dall’analisi della corrente di cortocircuito, appare evidente che, per fissati valori

dell’impedenza del circuito di alimentazione (e, quindi, per assegnati valori di Z, φ e τ) e per un

fissato valore della tensione di alimentazione E, l’andamento nel tempo della corrente di

cortocircuito totale dipende dall’angolo β e, cioè, di fatto, dall’istante in cui si stabilisce la corrente

di cortocircuito rispetto al passaggio per lo zero della tensione di alimentazione. Poiché non è

possibile, in nessun modo, prevedere quale sarà nella realtà il valore che assume β, nello studio dei

sistemi elettrici per l’energia si è soliti porsi nelle condizioni più gravose, e cioè in quelle

condizioni a cui corrispondono gli andamenti nel tempo delle correnti di cortocircuito totali più

gravosi. È possibile dimostrare che tali condizioni, qualunque sia il valore di φ, si verificano quando

β = 0, e cioè quando il cortocircuito si stabilisce proprio nell’istante in cui la tensione di

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alimentazione passa per lo zero; a tale condizione si fa sempre riferimento nello studio delle

correnti ci cortocircuito negli impianti elettrici.

Quanto detto si può verificare anche graficamente. Si faccia, ad esempio, riferimento a due

semplici casi, nell’ipotesi che il circuito riportato in Figura 1 sia puramente induttivo (R = 0, φ =

π/2); si considerino i casi in cui nel circuito risulti β = π/2 e β = 0.

Nel primo caso (cioè β = φ = π/2 ), risulta che:

(6)

per cui, come rappresentato graficamente in Figura 3, non vi è componente unidirezionale e

la corrente di cortocircuito coincide con la sua componente alternativa.

Fig. 3. Corrente di corto circuito nel caso R=0, φ=π/2 e β= π/2

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Tale caso si verifica, ovviamente, ogni volta che β = φ e, quindi, anche quando

β = φ = 0.

Nel secondo caso (cioè β = 0 e φ = π/2 ), risulta che:

(7)

per cui la componente unidirezionale, come rappresentato graficamente in Figura 4, assume

il valore massimo e non si smorza, mentre la corrente di cortocircuito assume un andamento nel

tempo più gravoso.

Fig. 4. Corrente di corto circuito nel caso β=0


Una volta che ci si è posti nel caso di β = 0, si può anche conoscere il massimo valore (ip)

raggiunto dalla corrente i(t).

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Nel caso più gravoso con β = 0 e quando φ= π/2 il massimo vale:

(8)

Nel caso meno gravoso con β = 0 e quando φ = 0 e quindi vi è la sola componente

alternativa della corrente di cortocircuito, il massimo vale

(9)

Per valori di φ diversi da π/2 e 0, il valore massimo della corrente di cortocircuito,

considerando la componente alternativa della corrente di corto circuito totale a valore efficace

costante, vale:

(10)

dove il coefficiente p da utilizzare può essere ricavato dalla curva riportata in Figura 5 in

funzione del rapporto X/R, dove X e R sono la reattanza e la resistenza del circuito in esame (Figura

1).

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Fig. 5. Coefficiente p per il calcolo del massimo valore della corrente di corto circuito.

La corrente di cortocircuito così calcolata è detta corrente di corto circuito presunta, poiché

è quella che circolerebbe qualora non esistessero interruttori o altri componenti elettrici destinati, in

condizione di cortocircuito, ad intervenire automaticamente al fine di aprire il circuito (e, quindi,

interrompere la corrente).

In condizioni di cortocircuito si pongono vari problemi tra cui, ad esempio, quello della

scelta degli interruttori, del dimensionamento degli impianti di terra e, per gli impianti di alta

tensione, problemi di stabilità.

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Bibliografia

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni


dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa


tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ BREVI RICHIAMI SUL TRASFORMATORE’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Brevi richiami sul trasformatore

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 CIRCUITI DEL TRASFORMATORE ------------------------------------------------------------------------------------ 6
3 FLUSSO DI DISPERSIONE ------------------------------------------------------------------------------------------------ 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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Università Telematica Pegaso Brevi richiami sul trasformatore

1 Introduzione
Il trasformatore è una macchina elettrica statica in grado di trasferire la potenza tra due

sezioni di un impianto elettrico esercite a tensione differente. In particolare, il trasformatore è in

grado di innalzare ed abbassare il valore della tensione senza eccessive perdite, garantendo così

elevati valori efficienza. Infatti, trattandosi di una macchina elettrica statica, ovvero senza parti in

movimento, il suo impiego è caratterizzato rendimenti elevatissimi (fino al 99%).

L’importanza rivestita dal trasformatore, è legata al fatto che grazie al suo impiego si

possono adottare, nel sistema elettrico, i livelli di tensione più adatti alla produzione, trasmissione,

distribuzione ed utilizzazione dell’energia elettrica.

Il trasformatore può essere impiegato sia in impianti monofase che trifase e, quindi, esso

esiste sia nella versione monofase e sia in quella trifase.

Facendo riferimento, inizialmente, al caso di un trasformatore monofase, il trasformatore

può essere visto, essenzialmente, come un doppio bipolo, il cui simbolo circuitale è mostrato in

Figura 1.

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Università Telematica Pegaso Brevi richiami sul trasformatore

In Figura 1, si noti che per entrambe le porte (dette, per ovvi motivi, primaria e secondaria)

si è fatto uso della convenzione dell’utilizzatore. In tale ipotesi, le relazioni che definiscono il

doppio bipolo ‘trasformatore’ sono:

v1 (t )  av2 (t )
i2 (t )  ai1 (t ) 1)

Il parametro a, che rappresenta l’unico parametro necessario ed identificare il doppio bipolo

descritto dalle relazioni riportate in 1), è un numero reale. Se supponiamo, per semplicità, di essere

nella condizione di utilizzare tensioni di porta positive, allora possiamo identificare due modalità di

funzionamento:

 se |a| < 1, allora v1(t) < v2(t), si parla di ‘trasformatore elevatore’

 se |a| > 1, allora v1(t) > v2(t), si parla di ‘trasformatore abbassatore’.

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Università Telematica Pegaso Brevi richiami sul trasformatore

Volendo discutere più nel dettaglio, si osservi che, passando dalla porta primaria a quella

secondaria, se |a| < 1, la tensione aumenta ed il valore assoluto della corrente diminuisce. Al

contrario, se |a| > 1, la tensione alla porta secondaria diminuisce ed il valore assoluto della corrente

aumenta.

Il trasferimento della potenza elettrica, dal primario al secondario, avviene per mezzo di una

coppia di avvolgimenti mutuamente accoppiati, come riportato in Figura 2. Nel gergo comune, a tali

avvolgimenti ci si riferisce come, per ovvi motivi, avvolgimenti ‘primario’ e ‘secondario’.

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2 Circuiti del trasformatore


Si considerino i due circuiti orientati e accoppiati magneticamente rappresentati in Figura 2.

I flussi magnetici concatenati con il primo avvolgimento ed il secondo avvolgimento (  N 1 e  N 2 ,

rispettivamente) possono essere espressi in funzione delle correnti i1 ed i2 tramite le relazioni:

 N 1  L1i1  Mi2
 N 2  L2i2  Mi1 2)

dove L1 ed L2 sono i coefficienti di auto induttanza dell’avvolgimento primario e

secondario, rispettivamente, ed M è il coefficiente di mutuo accoppiamento tra i due avvolgimenti.

Per chiarire meglio il concetto legato ai coefficienti di auto e mutua induzione si osservi la

Figura 3, dove sono riportati due circuiti elettromagneticamente non accoppiati (a) ed accoppiati

(b).

(a)

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(b)
Figura 3 Circuiti elettromagneticamente non accoppiati (a)) ed accoppiati (b)

Con riferimento alla Figura 3, nel caso (a), i campi magnetici sostenuti da ciascuna spira non

interagiscano reciprocamente (si pensi al caso, per esempio, di spire poste a grande distanza tra

essi). In questo caso, ai capi delle due spire si applicano le ben note relazioni del bipolo induttore:

di1
v1  L1
dt
di
v2  L2 2
dt 3)

Nel caso rappresentato nella Figura 3. b), i campi prodotti dalle due spire interagiscono

reciprocamente. È questo il caso di spire vicine, come accade, appunto, nel caso delle spire

costituenti gli avvolgimenti primario e secondario di un trasformatore. In tal caso, alle relazione (3)

si deve tener conto di un secondo contributo dovuto al campo prodotto dalla corrente circolante

nella seconda spira. Di questo contributo, si tiene conto attraverso il coefficiente di mutua induzione

M, attraverso le seguenti relazioni:

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di1 di
v1  L1 M 2
dt dt
di di
v2  L2 2  M 1
dt dt 4)

Tornando agli avvolgimenti mutuamente accoppiati di Figura 2, l’energia magnetica totale

(Wm) è:

1 2 1 2
Wm  L1i1  L2i2  Mi1i2
2 2 5)

Poiché la forma quadratica 5) è semidefinita positiva si ha evidentemente:

M 2  L1L2

6)

Si definiscano, ora, i flussi medi di auto e mutua induzione prodotti da ciascuno dei due circuiti:

L1i1 M i1
11  ,  21 
N1 N2
M i2 Li
12  ,  22  2 2
N1 N2 7)

dove 11 e  22 sono i flussi medi di auto induzione,  21 e 12 sono i flussi medi di mutua

induzione, N1 è il numero di spire del primario ed N2 il numero di spire del secondario.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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Quando i flussi medi di auto e mutua induzione prodotti da ciascuno dei due circuiti sono

uguali, si ha:

M N1 M N2
L1  , L2 
N2 N1 8)

Si avrà conseguentemente che M  L1L2 . Si parla in questo caso di accoppiamento perfetto.


2

Poiché in generale vale la formula 6) si può porre:

M  k L1L2 9)

dove k è il cosiddetto coefficiente di accoppiamento tra i due circuiti.

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3 Flusso di dispersione
E’ molto utile introdurre il concetto di flusso di dispersione. Il flusso di dispersione del

primo circuito (1d) è definito da

1d=11-21 10)

Si può definire, quindi, il coefficiente di dispersione parziale del primo circuito (  1 ) come:

 1d  M N1
1   1  21  1 
11 11 L1 N 2 11)

Analogamente, il flusso di dispersione del secondo circuito (2d) è definito da

2d=22-12 12)

Si può definire, quindi, il coefficiente di dispersione parziale del secondo circuito (  2 )

come:

2d  M N2
2   1  12  1 
 22  22 L2 N1 13)

A questo punto, si possono definire le induttanze di dispersione parziali, che possono essere

definite nel seguente modo:

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N 11d
L1d    1 L1
i1
N 2 2 d
L2 d    2 L2
i2 14)

dove si è indicato con


L1d e L2 d le induttanze di dispersione parziale del primario e

secondario, rispettivamente

E’ immediato verificare che k  ( 1  1 )(1  2 ) .


2

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Bibliografia

 I. Marongiu, E. Pagano, “I trasformatori. Appunti dalle lezioni”, Editore: Liguori, 1994

 M. Andriollo, G. Martinelli, A. Morini, “I trasformatori. Teoria ed esercizi”, Editore:


Cortina, 2010

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti

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“ STUDIO DEL TRASFORMATORE’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Studio del trasformatore

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 TRASFORMATORE IDEALE ---------------------------------------------------------------------------------------------- 5
3 ACCOPPIAMENTO NON PERFETTO --------------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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1 Introduzione
Il trasformatore monofase in regime sinusoidale può essere rappresentato dal circuito del

doppio bipolo riportato in Figura 1.

I due avvolgimenti possono essere descritti attraverso le relazioni caratteristiche del doppio

bipolo in regime sinusoidale:

V1  Z11 I1  Z12 I 2
1)
V  Z I  Z I
2 21 1 22 2

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Se ci poniamo, almeno per il momento, nell’ipotesi che i due avvolgimenti siano costituiti

da spire realizzate con conduttori elettrici perfetti (cioè prive di perdite), le resistenze delle

impedenze nelle relazioni (1) sono nulle e, quindi, si ha:

Z11  j L1

Z 22  j L2 2)

Z12  Z 21  j M

dove L1 ed L2 sono i coefficienti di auto induttanza dei due avvolgimenti ed M è il

coefficiente di mutua induttanza.

L1 M
Nel caso di accoppiamento perfetto ( M 2  L1L2 ), ponendo   a , le relazioni del
M L2

doppio bipolo 1) si possono scrivere nella seguente forma:

 I 
V1  jL1  I1  2 
 a
3)
 I 
V2  jL2 a I1  2 
 a

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2 Trasformatore ideale
Dalle relazioni 3), consegue che:

V1
a
V2
4)
V1 I
I1   2
j L1 a

V1
Il doppio bipolo caratterizzato dal soddisfacimento della condizione  1 viene detto
L1

trasformatore ideale. Esso è perfettamente “trasparente” per le potenze (ovvero la potenza misurata

al primario e secondario è la stessa) e può essere rappresentato con lo schema equivalente di Figura

2.

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5 di 15
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Nel caso del trasformatore ideale, risulta:

V1
a
V2
I2
I1  
a

5)

e quindi, facendo il rapporto membro a membro delle due relazioni in 5), si può derivare

che:

V1 V
 a 2 2
I1 I2 6)

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Se l’impedenza di uscita, cioè quella connessa ai morsetti 2-2’ del secondario, è pari a

V
Z e   2
I 2 , si ottiene il ben noto risultato:

V1
 a 2 Z e
I1 7)

In altri termini, l’impedenza connessa al secondario, vista dal primario, è pari ad a2 volte

l’impedenza
Z e .

V1
 1
Qualora la condizione L 1 non dovesse essere soddisfatta, si può fare riferimento allo

schema di Figura 3, dove è presente tra i morsetti primari l’induttanza L1.

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V1
Nel circuito di Figura 3, infatti, la corrente che attraversa l’induttanza L1 vale e,
j L1

quindi le relazioni 4), qui riportate per comodità, sono soddisfatte:

V1
a
V2
8)
V1 I
I1   2
j L1 a

Lo schema di Figura 3 è anche equivalente a quello di Figura 4 laddove, ovviamente, le

V12 V22
potenze reattive e sono uguali.
L1 L2

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Le correnti che circolano nelle induttanze L1 e L2 sono generalmente denominate correnti

magnetizzanti e possono essere riguardate come correnti assorbite da una coppia di morsetti quando

l’altra è aperta.

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3 Accoppiamento non perfetto


E’ abbastanza agevole, nel caso di accoppiamento non perfetto, ricondursi al caso

precedente scomponendo i due coefficienti di autoinduzione nel seguente modo:

L1  L'1  L'1'
L2  L'2  L'2' 9)

imponendo che M  L1 L2 .
2 '' ''

In forza di quanto già detto nel caso di accoppiamento perfetto, è immediato il significato

degli schemi riportati nelle Figure 5 e 6.

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E’ opportuno evidenziare che la suddetta scomposizione può essere realizzata da infiniti

valori di induttanze. Ad esempio, se si assume L1  0 si ottiene


'

L'1'  L1

M2
L'2'   k 2 L2
L1 10)

L'2  L2 (1  k 2 )

Lo schema equivalente corrispondente è riportato in Figura 7.

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11 di 15
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Se si sceglie L2  0 , si ottiene:
'

L'2'  L2

M2
L'1'   k 2 L1
L2 11)

L'1  L1( 1 k 2 )

Lo schema equivalente corrispondente è riportato in Figura 8.

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Molto significativa per le applicazioni pratiche, è la rappresentazione ove

L'1  L1d
L'2  L2 d 12)

In questo caso si ha:

L'1'  L1 1   1 
L'2'  L2 1   2  13)

dove σ1 e σ2 sono i coefficienti di dispersione parziali ed il corrispondente schema

equivalente è mostrato in Figura 9.

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(L. 22.04.1941/n. 633)

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Università Telematica Pegaso Studio del trasformatore

Bibliografia

 I. Marongiu, E. Pagano, “I trasformatori. Appunti dalle lezioni”, Editore: Liguori, 1994

 M. Andriollo, G. Martinelli, A. Morini, “I trasformatori. Teoria ed esercizi”, Editore:


Cortina, 2010

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

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“FUNZIONAMENTO DEL
TRASFORMATORE REALE”

PROF.FABIO MOTTOLA
Università Telematica Pegaso Funzionamento del trasformatore reale

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 ELEMENTI DISSIPATIVI--------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 DIAGRAMMA FASORIALE------------------------------------------------------------------------------------------------ 9
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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2 di 13
Università Telematica Pegaso Funzionamento del trasformatore reale

1 Introduzione

Nello studio dei trasformatori reali, molto significativa è la rappresentazione di Figura 1,

relativo a trasformatori ad accoppiamento non perfetto quale è, appunto, il caso dei trasformatori

reali.

Nel caso di Figura 1, ancor più significativo è il caso in cui si pone neel condizioni per cui:

L'1  L1d
L'2  L2 d 1)

L1d L2 d
con e le induttanze di dispersione. In questo caso, si può derivare che:

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3 di 13
Università Telematica Pegaso Funzionamento del trasformatore reale

L'1'  L1 1   1 
L'2'  L2 1   2  2)

Un possibile schema equivalente che deriva in queste ipotesi è mostrato in Figura 2.

Passando ora alla descrizione del funzionamento del trasformatore reale a regime

sinusoidale permanente, in Figura 3 è riportato in modo schematico la struttura di un trasformatore

monofase.

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4 di 13
Università Telematica Pegaso Funzionamento del trasformatore reale

In Figura 3, AT e BT rappresentano gi avvolgimenti di alta (AT) e bassa (BT) tensione.

Si consideri inizialmente il circuito di Figura 4, ove il flusso  è sostanzialmente il flusso

nel ferro del nucleo. La reattanza X0 è la reattanza di magnetizzazione e le reattanze X1 e X2 sono

pari rispettivamente a  L1d e  L2 d .

X1 X2
Ῑ1 N1 : N2 Ῑ2
1 2
Ῑ0

V1 Ᾱ
jωN1Φ Ᾱ
jωN2 Φ
X0 V2
Ū 1
Ū
1

1 1
1’ 2’
1’

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5 di 13
Università Telematica Pegaso Funzionamento del trasformatore reale

Il flusso può essere espresso in termini di forza magnetomotrice totale tramite la relazione:

N1I1  N 2I 2

R 3)

dove Ṙ è la riluttanza complessa.

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6 di 13
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2 Elementi dissipativi
Quando si tiene conto degli elementi dissipativi, il circuito equivalente del trasformatore

diventa quello riportato in Figura 5, ove le due resistenze R1 e R2 sono rispettivamente le resistenze

dell’avvolgimento primario e secondario.

X1 N1 : N2 R2 X2
Ῑ1 R1
X1  R2 X2 Ῑ2
X1
Ῑ0
Ż0
V1 V2

Fig. 5

La reattanza X0 è stata sostituita con un’opportuna impedenza, al fine di portare in conto in

modo equivalente le perdite per isteresi e correnti parassite.

Se si suppone che il secondario sia chiuso su un carico, rappresentato in modo equivalente

con l’impedenza
Z e  Re  jX e , il circuito equivalente diventa quello di Figura 6.

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7 di 13
Università Telematica Pegaso Funzionamento del trasformatore reale

X1 R2 X2
Ῑ1 R1 Ῑ2

Ῑ0
Re
V1 Ż0 V2
Xe

Fig. 6

Con riferimento allo schema derivato in Figura 6, sussistono le relazioni seguenti:

V1  ( R1  jX 1 )I1  jN1
V2  ( R2  jX 2 )I 2  jN 2 
V2  ( Re  jX e )I e 4)

Le relazioni 3) e 4) descrivono il funzionamento del trasformatore in qualsiasi condizione di

funzionamento.

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8 di 13
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3 Diagramma fasoriale
E’ molto utile rappresentare il funzionamento del trasformatore attraverso il diagramma dei

fasori riportato nel seguito in Figura 7.

T Q
S N
P
Ῑ1
Φ1

A
O M
ψ2 θ

C
F
B

Fig. 7 Rappresentazione fasoriale

Supponiamo che il flusso  sia noto a priori, rappresentato dal vettore OA. Possono

conseguentemente tracciarsi i vettori OB e OC rappresentativi delle forze elettromotrici (f.e.m.)

E 1  jN 1 
E 2   jN 2  5)

indotte dal flusso  . Il rapporto delle f.e.m. è pari a:

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9 di 13
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E1 N
 1
E2 N 2 , 6)

ossia uguale al rapporto di trasformazione.

Una volta assegnati i valori di R2, X2, Re e Xe è possibile calcolare la corrente che circola al

secondario, combinando la seconda e la terza delle relazioni 4):

E2
I2 
R2  Re  j ( X 2  X e ) 7)

Il fasore I 2 è rappresentato col vettore OF sfasato rispetto a E 2 dell’angolo:

X2  Xe
arctg 
2 = R2  Re 8)

Conviene a questo punto definire il concetto di corrente legata alla magnetizzazione del

I0
nucleo . Essa è la corrente che circolando nel primario produce la stessa forza magnetomotrice

generata dalle correnti I 1 e I 2 . Coerentemente con quanto definito deve valere:

N2
N 1I 0  N 1I1  N 2I 2  I 0  I1  I2
N1 9)

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10 di 13
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I I 0 in fase col flusso. Se


La corrente magnetizzante è definita come la componente di

sono assegnate le caratteristiche del nucleo, si può determinare la riluttanza complessa Ṙ. Si può

allora determinare la corrente magnetizzante come:

R 
I0 
N1 10)

La corrente Ī0 è rappresentata dal vettore OM (Figura 8).

T Q
S N
P
Φ1 Ῑ1

Ῑ0 A
O M
ψ2 θ

C
F
B

Fig. 8 Rappresentazione fasoriale (Corrente magnetizzante)

La corrente primaria può essere calcolata come:

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11 di 13
Università Telematica Pegaso Funzionamento del trasformatore reale

N2
I1  I 0  I2
N1 11)

Il fasore I 1 è rappresentato dal vettore ON, somma del vettore OM e del vettore OP

rappresentativo del fasore:

N2
 I2
N1 . 12)

Infine, si può determinare la tensione primaria. Infatti, occorre semplicemente sommare al

vettore OS=-OB i vettori SQ e QT, rappresentativi dei fasori:

R1 I 1
jX 1 I 1 13)

come mostrato in Figura 9.

T Q
S N
1 P
Φ1 Ῑ1

Ῑµ A
O M
ψ2 θ

C
F
B

Fig. 9 Rappresentazione fasoriale (Tensione primaria)

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Università Telematica Pegaso Funzionamento del trasformatore reale

Bibliografia
 I. Marongiu, E. Pagano, “I trasformatori. Appunti dalle lezioni”, Editore: Liguori,

1994

 M. Andriollo, G. Martinelli, A. Morini, “I trasformatori. Teoria ed esercizi”,

Editore: Cortina, 2010

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

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“IL TRASFORMATORE:
ALCUNE OSSERVAZIONI”

PROF.FABIO MOTTOLA
Università Telematica Pegaso Il trasformatore: alcune osservazioni

Indice

1 CONDIZIONE DI FUNZIONAMENTO ---------------------------------------------------------------------------------- 3


2 CIRCUITO EQUIVALENTE------------------------------------------------------------------------------------------------ 7
3 CADUTA DI TENSIONE ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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Università Telematica Pegaso Il trasformatore: alcune osservazioni

1 Condizione di funzionamento

Il funzionamento del trasformatore al cui secondario è collegato un carico (Figura 1), può

essere sintetizzato attraverso il diagramma dei fasori riportato in Figura 2.

Ῑ2

Ῑ0
Re
V1 V2
Xe

Figura 1

T Q
S N
P
Φ1 Ῑ

A
O M
ψ2 θ

C
F
B

Fig. 1 Rappresentazione fasoriale

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Università Telematica Pegaso Il trasformatore: alcune osservazioni

Il funzionamento a vuoto del trasformatore corrisponde al circuito di Figura 1 in cui si

sostituisce, al carico, il bipolo circuito aperto. Tale condizione di funzionamento è chiaramente

caratterizzato dalla condizione

I2  0 1)

In questo caso il diagramma fasoriale, rappresentativo di questa particolare condizione di

funzionamento, è quello riportato in Figura 3.

T Q
S

Φ0 A
M
O

Figura 3 Diagramma fasoriale corrispondente al funzionamento a vuoto

Nel funzionamento a vuoto si ha:

V1  ( R1  jX 1 ) I 0  jN1
2)

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Tuttavia, le cadute resistive ed induttive sono trascurabili, per cui può ritenersi

V1  E1 3)

Poiché, al secondario, si ha:

V2  V20  E2 4)

si ottiene che a vuoto vale la relazione:

V1 N 1

V2 N 2 5)

Ancora con riferimento al circuito di Figura 1, un’altra condizione di funzionamento

notevole è quella in cui si pone:

Re=Xe=0 6)

In tal caso, si è sostituito al carico un bipolo cortocircuito e, quindi, si parla di

funzionamento in cortocircuito.

In questo caso, assumendo le correnti I1 ed I2 valori più elevati rispetto alle condizioni di

carico nominale, la corrente I0 viene generalmente trascurata. Conseguentemente si può scrivere:

I1 N
 2
I2 N1 7)

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Nelle condizioni di funzionamento in cortocircuito, molto importante è la definizione della

tensione di cortocircuito. Essa è definita come il valore della tensione da applicare ai morsetti del

primario, quando il secondario è ‘chiuso’ in cortocircuito, affinché nei circuiti primario e

secondario circolino le correnti nominali.

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2 Circuito equivalente
Si consideri lo schema circuitale del trasformatore di Figura 4.

X1 R2 X2
Ῑ1 R1 Ῑ2

Ῑ0

V1 Ż0
V2

Figura 4

Ricordando che l’impedenza vista dal primario dell’impedenza al secondario si può

facilmente dedurre moltiplicando quest’ultima per il quadrato del rapporto del numero di spire,

allora si ottiene che l’impedenza al secondario:

Z 2  R2  jX 2 8)

può essere ‘riportata’ a monte del trasformatore ideale secondo la relazione:

2
N 
Z12  R12  jX 12   1  R2  jX 2 
 N2  9)

La rappresentazione circuitale corrispondente è mostrata in Figura 5.

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Ῑ12 N1 : N2 Ῑ2
1 N1 : N2 2
1 Ῑ0 

V1 V12 V2

1’ 2’
1’
Figura 5

Le grandezze così definite:

N2
I 12  I2
N1
N
V12  2 V
N1 10)

sono rispettivamente la corrente e la tensione secondaria ‘riportate’ al primario. Se anziché

fare riferimento alle grandezze secondarie, ci si riferisce alle grandezze secondarie riportate al

primario, si può in definitiva fare riferimento allo schema di Figura 6. Naturalmente, se il

trasformatore è chiuso su di un’impedenza equivalente (rappresentativa di un carico)

V
Z e   2
I2 11)

occorrerà riportare anche quest’impedenza al primario.

X1 R12 X12
Ῑ1 R1 Ῑ12

Ῑ0

V1 Z 0 V2

Figura 6

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Tenendo conto che l’impedenza Z0 è molto più grande delle impedenze Z1 e Z12, si può fare

riferimento allo schema semplificato di Figura 7. I parametri di queste due impedenze sono

determinabili con la prova a vuoto ed in cortocircuito.

Ż1CC
Ῑ1 Ῑ12
CC

Ῑ0

V1 Ż0
V2

Figura 7

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3 Caduta di tensione

Si faccia riferimento al circuito equivalente di Figura 8 e ci si ponga il problema di valutare

la caduta di tensione nel caso che la corrente secondaria riportata al primario sia pari a:

I  Ie j   I12 12)

si supponga >0 (carico induttivo).

Ż1CC
Ῑ1 Ῑ=- Ῑ12
CC

Ῑ0

V1 Ż0
V2

Figura 8

La caduta di tensione è la differenza tra il modulo di V1 e quello di V12 .

Si assuma che la fase di V12 sia nulla, ossia:

V12  V12e j 0  V12 13)

Dall’esame del circuito si ha:

V1  V12  Z1cc I 14)

In Figura 9 è rappresentato il diagramma fasoriale corrispondente.

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V1 C

j X1cc Ῑ1
V12 E
O
φ1cc A D
F
Ῑ1 R1cc Ῑ1 B

Figura 9

In Figura 9, si può osservare che si può confondere la caduta di tensione effettiva,

corrispondente al modulo del vettore AD, con il modulo del vettore AF. In tale ipotesi, che è ben

soddisfatta nelle applicazioni reali, la lunghezza di AE è pari a


R1cc I cos  e quella di EF X 1cc Isen ,

ottenendo:

V  V1  V12  Rcc I cos   X cc Isen 15)

Si osservi, in fine, che i trasformatori possono essere dotati di variatore di rapporto spire per

regolare la tensione. Esso è in genere predisposto lato del trasformatore il cui avvolgimento è

collegato alla tensione più alta. In tal modo, le minori correnti agevolano la commutazione da una

presa all’altra.

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Università Telematica Pegaso Il trasformatore: alcune osservazioni

Bibliografia
 I. Marongiu, E. Pagano, “I trasformatori. Appunti dalle lezioni”, Editore: Liguori,

1994

 M. Andriollo, G. Martinelli, A. Morini, “I trasformatori. Teoria ed esercizi”,

Editore: Cortina, 2010

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

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“TRASFORMATORE TRIFASE”

PROF.FABIO MOTTOLA
Università Telematica Pegaso Trasformatore trifase

Indice

1 IL NUCLEO E GLI AVVOLGIMENTI ----------------------------------------------------------------------------------- 3
2 RAFFREDDAMENTO E ASPETTI INERENTI AL RISCALDAMENTO ---------------------------------------- 6
3 MODELLO TERMICO SEMPLIFICATO ------------------------------------------------------------------------------ 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11

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1 Il nucleo e gli avvolgimenti


I trasformatori trifase hanno tre avvolgimenti primari e tre secondari generalmente collegati

a stella (Y o y) o a triangolo (D o d), in dipendenza delle necessità. Esiste anche il tipo di

collegamento a zig-zag ( Z o z) che esula dalla presente trattazione. Le lettere maiuscole indicano il

tipo di collegamento del primario, laddove le minuscole si riferiscono al collegamento del

secondario. L’accessibilità del neutro è indicata con l’aggiunta della lettera n. Essi sono avvolti

attorno a colonne di nuclei ferromagnetici che possono essere a tre, quattro o cinque colonne.

In Figura 1 è schematizzato un trasformatore trifase con nucleo a tre colonne con

avvolgimenti primario e secondario collegati a stella.

In Figura 2 è rappresentato schematicamente un trasformatore trifase con nucleo a cinque

colonne con avvolgimenti primario e secondario sempre collegati a stella.

In Figura 3 è riportato un trasformatore trifase con tre nuclei monofasi indipendenti, con

avvolgimenti primario e secondario collegati rispettivamente a triangolo e a stella.

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Università Telematica Pegaso Trasformatore trifase

E’ bene evidenziare che le tensioni nominali primaria e secondaria sono quelle concatenate.

Deve essere specificato il gruppo orario del trasformatore che rappresenta la differenza di fase in

ritardo, in multipli di 30°, delle tensioni secondarie rispetto alle omonime tensioni primarie. In

Figura 4 è evidenziato il diagramma dei fasori per la determinazione del gruppo relativo al

collegamento triangolo stella Dy. In tal caso, il gruppo è 11, e l’indicazione tipica corrispondente

per tal tipo di trasformatore è Dy11.

A B C

ĒA

Ēa

330°
O Ēb

Ēc
O
ĒC ĒB

a b c

Figura 4

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2 Raffreddamento e aspetti inerenti al


riscaldamento
Il raffreddamento dei trasformatori è molto importante nelle applicazioni pratiche e ne

determinano un’importante classificazioni. Esistono due tipi di trasformatori: in olio minerale ed a

secco. Per il primo tipo gli avvolgimenti isolati in carta ed il nucleo sono immersi all’interno del

cassone in olio. I trasformatori a secco hanno gli avvolgimenti isolati in resine solide e sono posti

all’interno del cassone senza olio.

L’olio minerale assolve alla duplice funzione di dielettrico e di fluido refrigerante. Il

riscaldamento dell’olio, per il calore prodotto dagli avvolgimenti e dal nucleo, comporta il moto

dell’olio stesso verso l’alto all’interno del cassone ed il conseguente convogliamento verso i

radiatori di raffreddamento. Questi sono realizzati da superfici alettate o da tubi opportunamente

disposti intorno al trasformatore. Il meccanismo di scambio termico tra le superfici di

raffreddamento e l’esterno avviene essenzialmente per convezione. Se gli scambi termici

avvengono per convezione naturale, il raffreddamento viene detto ONAN, ove tale sigla sta a

significare olio a circolazione naturale e aria a circolazione naturale. Potrebbero essere previsti, al

fine di migliorare il raffreddamento, pompe per la circolazione dell’olio e ventilatori d’aria. In

questo caso si parlerà di raffreddamento OFAF. Altro raffreddamento esistente è quello di tipo

ONAF, intendendosi con tale sigla olio a circolazione naturale e aria a circolazione forzata.

In Figura 5 è rappresentato, schematicamente, il flusso del fluido di raffreddamento

all’interno del cassone contenete il nucleo e gli avvolgimenti del trasformatore.

In Figura 6 è riportato l’insieme di tubature necessarie alla circolazione del fluido

refrigerante all’esterno del cassone.

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Università Telematica Pegaso Trasformatore trifase

In Figura 7 è mostrato come appare esteriormente un trasformatore di piccola taglia.

In Figura 8 è mostrato come appare un trasformatore di piccola taglia con raffreddamento in

olio. Nella Figura si possono osservare il radiatore e il serbatoio dell’olio.

In Figura 9 è mostrato come appare esteriormente il cassone protettivo di un piccolo

trasformatore con raffreddamento in aria a circolazione naturale.

Figura 7

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Università Telematica Pegaso Trasformatore trifase

Figura 8

Figura 9

La determinazione della temperatura del nucleo e degli avvolgimenti di un trasformatore è

molto difficile perché a causa della struttura complessa occorrerebbe tenere conto di una

molteplicità di fattori. Una trattazione semplificata, che ad ogni modo riesce a mettere in evidenza

alcuni aspetti significativi, è quella che riguarda il trasformatore come un corpo omogeneo.

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3 Modello termico semplificato


Se con Ptot si indicano le perdite totali, C la capacità termica, A la superficie di scambio

termico,  il coefficiente di scambio termico convettivo e ϑ la temperatura, il modello di scambio

termico è descritto dalla seguente equazione differenziale del primo ordine:

d
C   A   Ptot
dt 1)

 t0 = 0
Se si ha:

A
Ptot   t 
 (t )   1  e C 
A   2)

La costante di tempo termica è evidentemente

C

A 3)

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Università Telematica Pegaso Trasformatore trifase

Bibliografia
 I. Marongiu, E. Pagano, “I trasformatori. Appunti dalle lezioni”, Editore: Liguori,

1994

 M. Andriollo, G. Martinelli, A. Morini, “I trasformatori. Teoria ed esercizi”,

Editore: Cortina, 2010

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

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“DATI DI TARGA DEI TRASFORMATORI’’

PROF.FABIO MOTTOLA
Università Telematica Pegaso Dati di targa dei trasformatori

Indice

1 DATI CARATTERISTICI DEI TRASFORMATORI ------------------------------------------------------------------ 3


2 RELAZIONI FONDAMENTALI ------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 RENDIMENTO DEI TRASFORMATORI ------------------------------------------------------------------------------ 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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Università Telematica Pegaso Dati di targa dei trasformatori

1 Dati caratteristici dei trasformatori


I dati che caratterizzano un trasformatore sono precisati dalle Norme. Alcuni di essi devono

essere riportati in una targa apposta al trasformatore stesso, assieme alle Norme di riferimento

stesse.

In Figura 1 e 2 sono mostrati due esempi di targhe apposte sui trasformatori.

Figura 1 Esempio di apposizione della targa

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3 di 13
Università Telematica Pegaso Dati di targa dei trasformatori

Figura 2 Esempio di apposizione della targa

I dati più significativi, con specifico riferimento ai trasformatori a due avvolgimenti, sono:

 le tensioni nominali Vn1 e Vn2:

il valore delle tensioni ha incidenza sul dimensionamento dell’isolamento degli

avvolgimenti.

 Le correnti nominali In1 e In2:

il valore delle correnti ha incidenza sulla scelta della sezione degli avvolgimenti, nonché sul

tipo ed il dimensionamento del raffreddamento della macchina.

 la potenza nominale:

per un trasformatore trifase essa è pari a:

Sn=
3V1n I1n = 3V2n I 2n 1)

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Università Telematica Pegaso Dati di targa dei trasformatori

 gruppo dei trasformatori:

ciò è particolarmente importante per la predisposizione dei collegamenti in parallelo di

trasformatori, onde evitare di avere differenze di fase fra le tensioni a vuoto;

 la tensione di cortocircuito:

è definita come la tensione da applicare al primario affinchè circoli al secondario (e al

primario) la corrente nominale. Tipicamente, è fornita in termini percentuali rispetto alla tensione

nominale. La sua conoscenza permette di determinare il valore dei parametri del circuito

equivalente.

Spesso, anche se non previsto espressamente dalle norme, vengono riportati altri dati che

consentono in ogni caso di fornire una caratterizzazione più completa delle prestazioni dello stesso.

Tra queste vi sono:

 le perdite di cortocircuito

spesso espresse in termini di percentuale della potenza nominale, sono pari sostanzialmente

alle perdite nel rame quando il trasformatore è alimentato da un lato dalla tensione di corto circuito

e l’altro è cortocircuitato. Le perdite nel ferro, infatti, possono ritenersi trascurabili, considerato il

valore ridotto della tensione di cortocircuito.

 il cosφcc

ossia il coseno dello sfasamento tra la tensione e la corrente in condizioni di cortocircuito.

Ciò permette la determinazione della Zcc..

 le perdite a vuoto

 la corrente a vuoto.

 il cosφ di esercizio

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Università Telematica Pegaso Dati di targa dei trasformatori

è quello corrispondente al carico nominale per il quale è stata valutata la caduta di tensione

nel funzionamento a carico. Qualora non siano state fornite indicazioni a riguardo, si intende che

esso sia pari a cosφ =0.8.

Altre caratteristiche e parametri di cruciale importanza sono:

 la frequenza nominale;

 il sistema di raffreddamento;

 il tipo di servizio;

 il peso totale ed il peso di olio.

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2 Relazioni fondamentali
Nel seguito si riportano alcune relazioni fondamentali tra grandezze caratteristiche di un

trasformatore trifase. A tal fine, si consideri un trasformatore trifase di potenza nominale Sn, con

tensioni nominali V1n e V2n. Siano altresì vcc% e cosφcc rispettivamente la tensione di cortocircuito

percentuale ed il coseno dello sfasamento tra la tensione e la corrente in condizioni di corto circuito.

Con riferimento al circuito equivalente monofase di Figura 3 (si ipotizza che gli avvolgimenti siano

collegati a stella) e nel caso si riferiscano tutte le grandezze al primario, sussistono le seguenti

relazioni:

vcc %
V1cc  V1n
100 2)

V1cc
E1cc 
3 3)

Sn
I 1n 
3V1n 4)

V1cc E1cc
Z1cc  
3I1n I1n
5)

R1cc  Z1cc cos  cc


6)

X 1cc  Z1cc sen  cc 7)

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Università Telematica Pegaso Dati di targa dei trasformatori

Ż1CC
Ῑ1 Ῑ=- Ῑ12
CC

Ῑ0

E1 Ż0
E2

Figura 3 Circuito equivalente monofase

Ciò permette di rappresentare in modo equivalente il trasformatore con il circuito a stella

riportato in Figura 4.

I1n

E1cc R1cc

X1cc

R1cc O R1cc
X1cc X1cc

Figura 4

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Università Telematica Pegaso Dati di targa dei trasformatori

E’ abbastanza agevole dimostrare che in luogo del cosφcc possono assegnarsi le perdite di

potenza pcc espresse in percentuale o in valore relativo. Infatti:

3R1cc I 12n
100
p cc % Sn R
  1cc  cos  cc
vcc % Z 1cc I 1n Z 1cc
100
V1n
3

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Università Telematica Pegaso Dati di targa dei trasformatori

3 Rendimento dei trasformatori


Nel seguito si supporrà che la tensione al secondario sia comunque poco discosta dalla

tensione nominale, ossia V2Vn2. Le variazione delle perdite del trasformatore al variare del carico

saranno ascritte conseguentemente alle perdite per effetto Joule negli avvolgimenti. Se I2 è la

corrente secondaria e R2cc è la resistenza equivalente riferita al secondario, le perdite per effetto

Joule P’cc sono pari a:

I 22
Pcc'  3R2cc I 22  3Rcc I 22n   2 Pcc
I 22n 9)

avendo indicato:

I2 P
  2
I 2 n P2 n 10)

Considerando il complesso di tutte la perdite in un trasformatore, il rendimento di un

trasformatore è definito come:

3V2 I 2 cos   3V2 n I 2 n cos  S n cos 


  
3V2 I 2 cos   Pfe   Pcc
2
 3V2 n I 2 cos   Pfe   2 Pcc Pfe
S n cos    Pcc
 11)

La condizione di funzionamento per cui si ha il massimo rendimento è quella per cui si ha:

Pfe
M 
Pcc
12)

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Università Telematica Pegaso Dati di targa dei trasformatori

I trasformatori possono essere a perdite normali o a perdite ridotte. La scelta tra

trasformatori a perdite normali o a perdite ridotte può essere efficacemente operata confrontando il

costo di acquisto dei trasformatori ed il costo delle perdite. Per procedere al confronto bisogna

tenere conto che i costi si presentano in tempi diversi e, più specificamente, il primo all’atto di

acquisto delle macchine ed il secondo ogni anno. A tal fine il costo delle perdite al momento di

acquisto del trasformatore (costo attualizzato Ca) può essere calcolato con la relazione seguente:

 1 1 1  (1  i) n  1
Ca  c   ....    c
 (1  i) (1  i) (1  i) n  i(1  i) n
2
13)

dove:

 i è il tasso di attualizzazione;

 c è il costo annuo delle perdite;

 n è il numero di anni di vita del trasformatore.

Il costo annuo delle perdite può essere calcolato nel seguente modo:

  Sj 
2

c  k hPfe   Pcc   h j 
 j  Sn  
14)

dove k è il costo del kilowattora, Pfe = perdite nel ferro, Pcc= perdite nel rame corrispondenti

alla prova di corto circuito, hj è il numero di ore per cui si utilizza la potenza Sj, Sn è la potenza

nominale del trasformatore e h è il numero di ore dell’anno di utilizzazione del trasformatore.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Università Telematica Pegaso Dati di targa dei trasformatori

Il trasformatore a perdite ridotte conviene allorquando il minore costo attualizzato delle

perdite, rispetto al trasformatore a perdite normali, compensa il maggior costo iniziale del

trasformatore a perdite ridotte.

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Università Telematica Pegaso Dati di targa dei trasformatori

Bibliografia
 I. Marongiu, E. Pagano, “I trasformatori. Appunti dalle lezioni”, Editore: Liguori,

1994

 M. Andriollo, G. Martinelli, A. Morini, “I trasformatori. Teoria ed esercizi”,

Editore: Cortina, 2010

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

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“ESERCIZI SUI TRASFORMATORI’’

PROF.FABIO MOTTOLA
Università Telematica Pegaso Esercizi sui trasformatori

Indice

1 ESERCIZIO N.1 ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 ESERCIZIO N.2 ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 ESERCIZIO N. 3 -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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1 Esercizio n.1
Un trasformatore trifase ha i seguenti dati di targa:

Potenza nominale: Sn= 110 kVA

Tensioni nominali: V1n= 6.6 kV; V2n= 400 V

Frequenza nominale f = 50 Hz

Tipo di collegamento Dy

Sono inoltre noti i risultati delle prove a vuoto e in cortocircuito:

Tensione di alimentazione: V0 = 400 V (indica il lato dal quale è stato alimentato il

trasformatore per la prova)

Corrente a vuoto: I0 = 5.8 A;

Potenza assorbita a vuoto: P0 = 1250 W

Tensione di cortocircuito: Vcc = 312 V (indica il lato dal quale è stato alimentato il

trasformatore per la prova);

Potenza di cortocircuito Pcc = 1500 W

Determinare:

1. I parametri del circuito equivalente semplificato

2. Il valore della corrente a vuoto percentuale

3. Il valore della tensione di cortocircuito percentuale

4. Il rendimento del trasformatore quando esso alimenta un carico pari al 70%

del carico nominale con cos φ = 0.85 in ritardo.

Risposta

1) Calcolo dei parametri del circuito equivalente semplificato

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Università Telematica Pegaso Esercizi sui trasformatori

Il circuito equivalente è quello riportato in Figura 1. Esso è riferito ad una fase, per cui tutti i

valori di tensione e corrente devono essere riportati al rispettivo valore di fase a seconda che il

collegamento sia a stella (secondario) o a triangolo (primario).

Ż1CC
Ῑ1 Ῑ=- Ῑ12
CC

Ῑ0

E1 Ż0 E2

Figura 1

Si può iniziare con il calcolo delle correnti nominali primarie e secondarie:

Possiamo quindi a calcolare i parametri dell’impedenza Ż0:

La componente attiva della corrente assorbita a vuoto è quindi data da:

La componente magnetizzante è quindi derivata come:

Quindi la reattanza di magnetizzazione si può facilmente calcolare come:

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Se si vuole riportare l’impedenza trasversale Ż0 al primario, è sufficiente moltiplicare la

resistenza e la reattanza di magnetizzazione ottenute per il quadrato del rapporto di trasformazione.

Nel caso della prova di cortocircuito, si possono derivare facilmente le correnti che circolano

al primario e secondario:

La resistenza complessiva riportata al primario è chiaramente data da:

Poiché è nota la tensione di alimentazione, il modulo dell’impedenza di cortocircuito è

facilmente deducibile come:

La reattanza di corto circuito è quindi data da:

2) Valore della corrente a vuoto percentuale

3) Valore della tensione di cortocircuito percentuale

4) Rendimento

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Nel caso in esame il trasformatore alimenta un carico pari al 70% del carico nominale con

cos φ = 0.85 in ritardo. Per cui, la corrente al primario vale:

Con buona approssimazione le perdite nel ferro, ovvero quelle che competono alla R0

possono ritenersi costanti, coerentemente con il circuito in Figura 1 e nell’ipotesi di tensione di

alimentazione pari a quella nominale.

Le perdite nei conduttori dipendono, invece, dalla corrente e quindi

Si noti che tali perdite possono anche essere dedotte come:

Il trasformatore sta erogando una potenza pari a:

A questo punto si può procedere al calcolo del rendimento:

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2 Esercizio n.2
I dati di targa di un trasformatore trifase sono:

Sn= 160 kVA;

V1n/V2n=1.60/0.4 kV

f=50 Hz

collegamento Yy

Dati relativi alla prova a vuoto:

V0 = Vn

P0 = 3% Sn

I0 = 4% In

Dati relativi alla prova in cortocircuito:

Vcc = 6% Vn

Pcc = 3.2% Sn

Icc = In

Determinare:

1. I parametri del circuito equivalente semplificato, riferito al lato bassa

tensione.

2. La tensione ai morsetti del carico quando questo assorbe una corrente pari a

quella nominale con un fattore di potenza pari a 0.9 in ritardo.

3. Il rendimento del trasformatore per l’alimentazione del carico del punto 2.

Risposta

1) Parametri del circuito equivalente semplificato, riferito al lato bassa tensione.

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Il circuito in oggetto è rappresentato in Figura 2.

Ż2CC
Ῑ12 - Ῑ2
CC

Ῑ0

E21 Ż0 E2

Figura 2

Si può iniziare con il calcolo delle correnti nominali primarie e secondarie:

Dai dati della prova a vuoto, possiamo calcolare i parametri dell’impedenza Ż0:

La componente attiva della corrente assorbita a vuoto è quindi data da:

La componente magnetizzante è quindi derivata come:

Ricordando che

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Quindi la reattanza di magnetizzazione si può facilmente calcolare come:

Dai dati della prova di cortocircuito, possiamo calcolare i parametri dell’impedenza Ż2cc:

Nel caso della prova di cortocircuito, si possono derivare facilmente le correnti che circolano

al primario e secondario:

La resistenza complessiva riportata al primario è chiaramente data da:

Ricordando che

Il modulo dell’impedenza di cortocircuito è facilmente deducibile come:

Ricordando che

La reattanza di corto circuito è quindi data da:

2) La tensione ai morsetti del carico quando questo assorbe una corrente pari a quella

nominale con un fattore di potenza pari a 0.9 in ritardo.

Con buona approssimazione si può utilizzare la formula generale:

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3) Rendimento

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3 Esercizio n. 3

1
2
3

Figura 3.

Il sistema trifase di Figura 3 è alimentato da una terna simmetrica ed equilibrata.

I dati di targa di un trasformatore trifase sono:

Sn= 100 kVA;

V1n/V2n=20/0.4 kV

f=50 Hz

collegamento Yy

Vcc = 4%

Pcc = 1.3%

Il carico assorbe una corrente di 130 A con cos φ = 0.8 (ritardo)

Determinare:

1. I parametri longitudinali del circuito equivalente del trasformatore riportati al

secondario;

2. Il valore efficace della tensione ai capi del carico;

3. Il valore efficace della componente simmetrica della corrente di guasto

dovuta ad un cortocircuito trifase ai morsetti del carico.

Risposte

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1) Parametri longitudinali del circuito equivalente del trasformatore riportati al secondario.

Il circuito equivalente monofase di cui si intende determinare i parametri longitudinali, è

mostrato in Figura 4.

Ż2CC
Ῑ21 Ῑ2
CC

E12 E2

Figura 4

Si può iniziare con il calcolo delle correnti nominali primarie e secondarie:

La resistenza complessiva riportata al secondario è chiaramente data da:

Ricordando che

Si ottiene:

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Università Telematica Pegaso Esercizi sui trasformatori

Il modulo dell’impedenza di cortocircuito è facilmente deducibile come:

Ricordando che

Quindi, si ottiene:

La reattanza di corto circuito è quindi data da:

2) Valore efficace della tensione ai capi del carico;

Con buona approssimazione si può utilizzare la formula generale:

3) Valore efficace della corrente di cortocircuito trifase ai morsetti del carico

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Università Telematica Pegaso Esercizi sui trasformatori

Bibliografia
 I. Marongiu, E. Pagano, “I trasformatori. Appunti dalle lezioni”, Editore: Liguori, 1994

 M. Andriollo, G. Martinelli, A. Morini, “I trasformatori.Teoria ed esercizi”, Editore:

Cortina, 2010

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

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“LINEE ELETTRICHE’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Linee elettriche

Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 CLASSIFICAZIONE ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
3 IL MODELLO ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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Università Telematica Pegaso Linee elettriche

1 Generalità
Le linee elettriche sono impiegate per il trasferimento dell’energia elettrica dai punti in cui

essa si produce a quelli in cui si utilizza; esse si dividono in due categorie:

 linee con conduttori nudi

 linee in cavo.

Le linee con conduttori nudi sono impiegate per la trasmissione aerea dell'energia elettrica.

Le linee in cavo sono impiegate diffusamente negli impianti elettrici in media e bassa tensione in

posa sotterranea (principalmente) o anche aerea, nonché per la trasmissione (prevalentemente

sottomarina) dell’energia elettrica.

Le linee elettriche con conduttori nudi includono:

 i conduttori di potenza, che servono per il trasferimento dell'energia e che sono tesati

nell'aria;

 gli isolatori, che sostengono meccanicamente e isolano verso il sostegno i conduttori

di potenza;

 i sostegni, che svolgono una funzione di sostegno degli isolatori e dei conduttori di

potenza: possono essere del tipo a traliccio o su palo;

 le funi di guardia, che hanno una funzione di protezione contro le sovratensioni di

origine atmosferica.

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Università Telematica Pegaso Linee elettriche

In Figura 1 è rappresentata una porzione di linea elettrica con conduttori nudi con sostegno a

traliccio. In Figura 2 è rappresentata una porzione di linea elettrica con conduttori nudi con sostegno

su palo.

Fig. 1 Linea elettrica aerea con conduttori nudi e sostegno a traliccio.

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Fig. 2 Linea elettrica aerea con conduttori nudi e sostegno su palo.


Le linee elettriche in cavo includono i cavi e gli accessori di raccordo, che permettono di

collegare il cavo ad una linea aerea o ad un sistema di sbarre (accessori di estremità) o due tratti di

cavo tra di loro (giunzioni). Il cavo, a sua volta, comprende:

 uno o più conduttori, che servono per il trasferimento dell'energia;

 un isolante solido, che circonda il conduttore e che garantisce l’isolamento;

 una guaina di protezione.

Possono, poi, essere presenti un’armatura di protezione meccanica e opportuni schermi

costituiti da materiale semiconduttore o metallico, necessari a livellare le irregolarità superficiali dei

conduttori (evitando, così, amplificazioni localizzate del campo elettrico) o ad uniformare le linee

del campo elettrico all’interno del materiale isolante.

In Figura 3 è riportato una cavo, in sezione.

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Università Telematica Pegaso Linee elettriche
conduttore

isolante

guaina di
protezione

Fig. 3 Cavo elettrico.

Le linee elettriche in cavo possono essere costruite sia in posa aerea che in altre tipologia di

posa. In Figura 4, è rappresentata una linea in cavo in posa aerea. In Figura 5 sono mostrate alcune

applicazioni di linea in cavo in posa interrata. In Figura 6 sono mostrate due differenti tipologie di

posa di linee in cavo per applicazioni interne. In particolare, in Figura 6. a) è mostrata la posa in

canaline annegate nella muratura; in Figura 6.b), è mostrata la posa in canali o canaline. Simile a

quest’ultima, è la posa in passerelle, tipicamente presenti in impianti industriali e civili di grossa

potenza.

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Fig. 4 Linea aerea in cavo e sostegno su palo.

Fig. 5 Esempi di linea in cavo in posa interrata

(a) (b)
Fig. 6 Esempi di tipologie di posa per linea in cavo
Nelle Norme, si fa chiaro riferimento, per motivazioni che saranno più chiare nel seguito,

alla specifica tipologia di posa. Alcuni esempi di tipologia di posa in opera per linee elettriche in

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cavo sono rappresentati in Figura 7, con riferimento ad alcune applicazioni previste dalla Norma

64-8.

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Università Telematica Pegaso Linee elettriche

2 Classificazione
Come visto, le linee elettriche possono essere classificate in base alle caratteristiche di posa

in opera (aeree ed in cavo) ed in base alle modalità con la quale sono esercite (corrente continua e

corrente alternata). Esistono, tuttavia, altre possibili classificazioni. Una classificazione

particolarmente importante è quella in base al subsistema elettrico di appartenenza. Si indicano, in

tal caso le seguenti categorie:

 linee di trasmissione (alta e altissima tensione)

 linee di distribuzione primaria (alta tensione)

 linee di distribuzione in media tensione

 linee di distribuzione di bassa tensione.

E’ anche importante la classificazione prevista dalla norma CEI 11-4, che prevede le

seguenti categorie:

 linee di classe 0 (linee di controllo e comando a distanza, linee telegrafiche,

telefoniche e comunicazione in genere, ecc.)

 linee di classe I (linee esercite fino a 1kV o linee in cavo per illuminazione

pubblica fino a 5kV)

 linee di classe II (linee esercite a tensione superiore a 1kV ed inferiore a 30

kV)

 linee di classe III (linee esercite a tensione superiore a 30 kV)

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3 Il modello
Il modello circuitale di una linea è un doppio bipolo del tipo rappresentato in Fig. 8.

Il doppio bipolo che rappresenta una linea elettrica può essere visto, nella sua forma più

generale, come una rete di bipoli dissipativi (resistori) e conservativi (condensatori ed induttori).

Come si vedrà nel dettaglio, nelle lezioni ad essi dedicati, per una specifica linea si possono definire

opportuni valori di resistenza, conduttanza, capacità ed induttanze. Nell’ambito di queste note

introduttive, si vuole solo enfatizzare che la presenza di elementi dissipativi (e quindi, resistenze e

conduttanze), rende la trasmissione di una certa potenza P2 soggetta a delle perdite Δp, definite dalla

differenza:

essendo P1 la potenza in ingresso alla linea (figura 6). Conseguentemente, si può anche

parlare di rendimento di una linea, definito come:

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Università Telematica Pegaso Linee elettriche

E’ anche utile derivare l’espressione delle perdite come:

e la sua espressione percentuale

o anche

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Università Telematica Pegaso Linee elettriche

Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 201

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“LE COSTANTI PRIMARIE’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Le costanti primarie

Indice

1 INDUTTANZA DI SERVIZIO ---------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 CAPACITÀ DI SERVIZIO -------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
3 CONDUTTANZA DI DISPERSIONE E RESISTENZA -------------------------------------------------------------- 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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Università Telematica Pegaso Le costanti primarie

1 Induttanza di servizio
Una linea elettrica può essere approssimata ad un sistema di conduttori rettilinei percorsi da

correnti (Figura 1). In tal caso, quindi, le correnti producono un campo magnetico le cui linee di

forza dipendono dalla geometria del sistema. Nella stragrande maggioranza dei casi pratici di nostro

interesse, le linee di forza sono circolari e concentriche.

Poiché la linea può essere vista come una spira di raggio infinita, le linee si concatenano con

il conduttore stesso inducendovi una forza elettromotrice che, nel caso di regime sinusoidale può

essere determinata, nel dominio simbolico, secondo la seguente relazione:

E ̅=jωlI ̅

dove si è indicato con E ̅ il fasore della tensione indotta sulla linea, ω la pulsazione, I ̅ la

corrente che percorre la linea ed l il coefficiente di autoinduzione della linea. In tal caso, si può

anche definire la reattanza induttiva della linea come:

X=ωl
Nel caso siano presenti anche altri conduttori, è da temere in conto anche l’interazione tra i

campi prodotti dalle correnti che percorrono i conduttori limitrofi. Di questo effetto se ne tiene

conto per mezzo dei coefficienti di mutua induzione.

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Università Telematica Pegaso Le costanti primarie

Il caso di nostro interesse è chiaramente quello trifase, in cui l’interazione è conseguente alla

presenza di una terna di conduttori, come rappresentato in Figura 2.

Nel caso trifase, il legame tra le correnti e le tensioni di fase è espresso dalle seguenti

espressioni:

E ̅_1=jω〖l^'〗_1 I ̅_1+jωm_12 I ̅_2+jωm_13 I ̅_3

E ̅_2=jωm_12 I ̅_1+jω〖l^'〗_2 I ̅_2+jωm_23 I ̅_3

E ̅_3=jωm_13 I ̅_1+jωm_23 I ̅_2+jω〖l^'〗_3 I ̅_3

In Figura 3 sono riportate due geometrie tipiche per le linee aeree trifase. Tipicamente le

linee aeree hanno una disposizione secondo i vertici un triangolo equilatero (Figura 3.a) o lineare

(Figura 3.b).

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In entrambi casi rappresentati in Figura 3, assumendo che i tre conduttori siano identici

(stesso diametro d), è chiaramente uguale il coefficienti di auto induzione:

〖l^'〗_1=〖l^'〗_2=〖l^'〗_3

Focalizzando l’attenzione al caso di Figura 3.a), la simmetria della disposizione dei tre

conduttori(tutti posti alla stessa distanza D), determina l’uguaglianza anche dei coefficienti di

mutua induttanza:

m_12=m_23=m_13=m^'

Per la prima fase, si può scrivere:

E ̅_1=jωl^' I ̅_1+jωm^' (I ̅_2+I ̅_3)

Inoltre, poiché vale la relazione:

I ̅_1+I ̅_2+I ̅_3=0

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quindi,

I ̅_2+I ̅_3=-I ̅_1

si può anche esprimere la relazione tra la tensione di fase e le correnti di linea come:

E ̅_1=jωl^' I ̅_1-jωm^' I ̅_1

E ̅_1= jωI ̅_1 (l^'-m^' )= jωl_s I ̅_1

E ̅_1= jx_ls I ̅_1

Per le atre fasi, chiaramente, possono essere dedotte espressioni analoghe.

Gli effetti dell’induzione reciproca fra le correnti che percorrono la terna di conduttori sono

quindi ricondotti ad un coefficiente unico di autoinduzione equivalente

l_s=l^'-m^'

tale coefficiente fittizio, prende il nome di induttanza di servizio. Ad esso, corrisponde la

reattanza di servizio:

x_ls=ωl_s

Nel caso di geometria simmetrica della terna (Figura 3.a) si può anche generalizzare una

formula per il calcolo dell’induttanza di servizio:

l_s=(0.4606log(2D/d)+K) 〖10〗^(-3) H/km

In particolare, il termine K vale K=0.05 vale per linee a conduttori lisci. Nel caso di

conduttori cordati, invece, si può assumere K=0.05÷ 0.0654.

Nei casi di disposizione della terna non simmetrica (Figura 3.b), si può applicare ancora la

stessa formula, per il calcolo dell’induttanza di servizio con l’accortezza, però, di utilizzare, al posto

della distanza D, la media geometrica delle distanze tra i tre conduttori:

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D_m=∛(D_12 D_23 D_13 )

In particolare, tipicamente si ha:

D_m=∛(D_12 D_23 D_13 )=∛DD2D=D∛2=1.26 D

Per linee elettriche aeree valori tipici dell’induttanza di servizio e reattanza di servizio (f=50

Hz) sono:

l_s=(1.2 ÷ 1.5) 〖10〗^(-3) H/km

x_ls=(0.37 ÷ 0.46) Ω/km

Per le linee in cavo, invece, è più difficile fornire delle formule specifiche o valori tipici,

poiché le possibili geometrie e distanze tra i conduttori sono molto più variabili. Tuttavia, come

ordine di grandezza, può assumersi il valore: x_ls=0.1 Ω/km.

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2 Capacità di servizio
Il complesso dei conduttori costituenti una linea può essere vista come un insieme di

condensatori elementari costituiti da superfici conduttive (i conduttori stessi) fra cui è interposto un

materiale dielettrico (l’isolante dei vari conduttori o l’aria, nel caso delle linee elettriche aeree).

Anche il terreno, può essere visto come un materiale conduttore così determinando, quindi, altri

accoppiamenti capacitivi con i conduttori delle linee. Nel caso di una linea aerea costituita da una

terna di conduttori tali accoppiamenti capacitivi possono essere sintetizzati come i Figura 4.

Con riferimento al caso riportato in Figura 4, la corrente che circola nelle fasi può essere

facilmente dedotta, in caso di regime sinusoidale, attraverso le seguenti relazioni:

I ̅_1=jωC_10 V ̅_10+jωC_12 V ̅_12+jωC_13 V ̅_13

I ̅_2=jωC_21 V ̅_21+jωC_20 V ̅_20+jωC_23 V ̅_23

I ̅_3=jωC_31 V ̅_31+jωC_32 V ̅_32+jωC_30 V ̅_30

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Nell’ipotesi di simmetria della terna di conduttori, si può assumere:

C_10=C_20=C_30=C_0

C_12=C_23=C_13=C'

Considerando la sola corrente che percorre la prima fase, si ottiene:

I ̅_1=jωC_0 V ̅_10+jωC'(V ̅_12+V ̅_13 )

A questo punto, considerando che nelle condizioni pratiche di nostro interesse, il sistema di

conduttori è alimentato da una terna di tensioni simmetriche, si ottiene il diagramma fasoriale di

Figura 5.

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Dal diagramma di Figura 5, si evince chiaramente che, se si assume V ̅_10≡E ̅_1 (e così,

anche per le altre fasi):

|V ̅_13+V ̅_12 |=2V_13 √3/2=2√3 E_1 √3/2=3V_10

Conseguentemente, per la prima fase si ha:

I ̅_1=jωC_0 V ̅_10+3jωC^' V ̅_10=jωV ̅_10 (C_0+3C')

Posto:

C_s=C_0+3C'

dove C_s è detta capacità di servizio, si ottiene la forma più compatta:

I ̅_1=jωV ̅_10 C_s=V ̅_10 y ̇_cs=-jV ̅_10 B_c

dove B_c=ωC_s è la suscettanza di servizio. Tale relazione, chiaramente, è valida anche per

le altre fasi. In particolare, nel caso di linee aeree a geometria simmetrica, l’espressione della

capacità di servizio è:

c_s=0.02413/log(2D/(d√(1+D/2h))) 〖10〗^(-6) F/km

Inoltre, tipicamente è h>>D, quindi:

D/2h≅0

Per cui:

c_s=0.02413/log(2D/d) 〖10〗^(-6) F/km

Nel caso in cui le linee siano a geometria dissimmetrica, con buona approssimazione si

possono ancora utilizzare le formule precedenti con l’accortezza di utilizzare, come distanza tra i

conduttori D, la media geometrica delle distanze reali:

D_m=∛(D_12 D_23 D_13 )

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Valori tipici della capacità di servizio per linee di trasmissione aeree, sono:

c_s=(0.008 ÷ 0.0095) 〖10〗^(-6) F/km

ovvero, alla frequenza di 50 Hz:

b_cs=(2.5 ÷ 3) 〖10〗^(-6) S/km

Nelle linee in cavo, la capacità è nettamente maggiore rispetto a quelle aeree, poiché

l’isolante interposto tra i conduttori ha caratteristiche dielettriche migliori di quello interposto nel

caso delle linee elettriche aeree (l’aria) e, inoltre, la distanza tra i conduttori è molto minore. Come

ordine di grandezza, i valori di capacità ottenuti nel caso delle linee aeree devono essere

incrementate fino a 20÷30 volte per ottenere quelli delle linee in cavo. Normalmente, nel caso del

cavo, il valore della capacità viene fornito direttamente dal costruttore.

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3 Conduttanza di dispersione e resistenza


Oltre agli accoppiamenti capacitivi delle linee, che danno luogo a delle correnti di

dispersione in quadratura in anticipo rispetto alle tensioni, nelle linee si può osservare anche la

presenza di componenti correnti di dispersione in fase con la tensione che, quindi, causano

dissipazione di energia. Di tali componenti di dispersione si tiene conto per mezzo di conduttanze di

dispersione. Nel caso delle linee aeree le correnti di dispersione sono riconducibili, sommariamente,

a due fattori:

- effetto corona;

- scariche superficiali lungo gli isolatori.

All’effetto corona è imputabile l’emissione di cariche elettriche nella zona circostante la

periferia esterna del conduttore. Tale effetto è dovuto al campo elettrico che si crea in conseguenza

della corrente che percorre il conduttore stesso e si innesca solo quando il gradiente di potenziale

del campo elettrico (che misura la sua intensità) sulla superficie del conduttore supera la rigidità

dielettrica dell’isolante che circonda il conduttore. Nel caso di linee aeree con conduttore nudo, tale

fenomeno è normalmente limitato alle zone periferiche del conduttore e si manifesta con una luce

bluastra ed un caratteristico ronzio. Le perdite conseguenti all’effetto corona sono valutabili per

mezzo di una formula empirica:

P_c=2.41/δ (f+25) √(d/2D) (〖E-E〗_c)2 10-3 kW/km

dove

- E è la tensione di fase (kV);

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- Ec è il valore di tensione critico (kV), a sua volta legato al valore critico di gradiente di

potenziale del campo elettrico per cui si manifesta l’effetto corona (tale valore dipende sia dalla

geometria e caratteristiche costruttive della linea e sia dalle condizioni ambientali);

- d è il diametro del conduttore;

- D è la distanza fra conduttori;

- f è la frequenza ;

- δ è la densità relativa dell’aria.

Chiaramente l’effetto si manifesta, quando:

〖E>E〗_c

Le perdite dovute alle scariche superficiali sugli isolatori determinano la richiusura a terra,

attraverso i sostegni delle linee, di una piccola corrente. Il valore di tale corrente aumenta con

l’aumentare della tensione e al diminuire della distanza del conduttore dal sostegno. Il loro valore

può essere contenuto adottando opportuni accorgimenti costruttivi. Alcuni fattori, talvolta

fortemente aleatori, quali inquinamento, salsedine, ecc., provocano valori di correnti di dispersione

più elevata. A causa di tali aleatorietà, è difficile poter fornire dei valori tipici. Al fine di fornire dei

valori orientativi, come ordine di grandezza, si consideri che nei casi pratici estremi, le perdite

assumono valori dell’ordine di 1 kW/km.

Una volta note le potenze di dispersione dovute sia all’effetto corona che alle scariche

superficiali, può essere dedotta un valore di conduttanza equivalente, che tenga conto

complessivamente dei fenomeni dissipativi.

Nel caso delle linee in cavo, eventuali correnti di dispersione sono imputabili, nel caso di

regime sinusoidale, al fenomeno dell’isteresi dielettrica. Di tale fenomeno si porta in conto per

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Università Telematica Pegaso Le costanti primarie

mezzo di conduttanze di dispersione che sono, tuttavia, trascurabili nella maggioranza dei casi

pratici di nostro interesse.

Il conduttore di cui è costituita una linea è da intendersi, chiaramente, non ideale e,

conseguentemente, esso oppone una resistenza al passaggio della corrente. Il valore di tale

resistenza, nel caso di conduttori cilindrici, è data dalla ben nota formula:

R=ρ l/S

dove

- ρ è la resistività del materiale (in generale è funzione della temperatura);

- l è la lunghezza del conduttore;

- S è la sezione del conduttore.

Con riferimento a lunghezze unitarie, è possibile fornire la resistenza delle linee per unità di

lunghezza. Inoltre, il valore della resistenza così calcolato, può essere modificato da dei fattori

correttivi per poter ancora utilizzare la formula scritta nel caso di geometrie del conduttore non

perfettamente cilindriche.

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“MODELLO DELLE LINEE’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Modello delle linee

Indice

1 IL CIRCUITO EQUIVALENTE -------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 RAPPRESENTAZIONE DI UNA LINEA--------------------------------------------------------------------------------- 8
3 LINEE CORTE ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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1 Il circuito equivalente

Oggetto di questa lezione è la messa a punto dei circuiti equivalenti delle linee elettriche da

utilizzare nei modelli per lo studio delle reti in regime sinusoidale.

Si consideri, a tal fine, la linea monofase di Figura 1, alimentata ad una estremità con un

generatore di tensione sinusoidale tra linea e terra. All’altra estremità della linea è collegato un

carico di impedenza generica . La tensione alle due estremità della linea è (lato generatore) ed

(lato carico).

Il modello della linea permette di valutare il legame fra le tensioni alla partenza (p) e

all’arrivo (a) della linea. Allo scopo di determinare tale modello, si consideri un elemento di

lunghezza dx della linea cui corrisponde il circuito elementare di Figura 2. In entrambe le Figure, 1

e 2, la linea si assume parallela all’asse x dalla partenza (x=0) fino all’arrivo (x=a).

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Nel circuito di Figura 2, l’impedenza longitudinale percorsa dalla corrente Ῑ(x) lungo il tratto

di linea di lunghezza dx è:

ż dx =(rl+jxl)dx

L’ammettenza trasversale che tiene conto della corrente derivata verso terra relativa al tratto

dx per effetto della tensione a cui è soggetto il conduttore è:

In particolare:

 la resistenza per unità di lunghezza rl tiene conto della natura dissipativa del

conduttore (effetto Joule);

 la reattanza per unità di lunghezza xl tiene conto degli accoppiamenti

elettromagnetici esistenti fra conduttore e terreno o tra i diversi conduttori se presenti;

 la capacità per unità di lunghezza cl tiene conto degli accoppiamenti

capacitivi tra i diversi conduttori e tra essi e la terra;

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 la conduttanza per unità di lunghezza gl tiene conto delle perdite per isteresi

dielettrica negli isolamenti della linea (isolatori, isolanti dei cavi, aria, ecc.), dell’effetto

corona e delle correnti di dispersione sugli elementi isolatori.

La conduttanza, tuttavia, è assai più piccola della reattanza capacitiva e, perciò, tranne che

nel caso di elevati valori di tensione, viene generalmente trascurata nei calcoli. I valori dei suddetti

parametri dipendono dalla tipologia di linea, per ognuna delle quali, devono essere opportunamente

derivati. I parametri di resistenza, induttanza, capacità e conduttanza per unità di lunghezza sono

dette costanti primarie delle linee.

Si noti che, nel caso di linee trifasi è ancora possibile ricondursi al circuito elementare di

Figura 2, purché i parametri per unità di lunghezza siano opportunamente calcolati: in tal caso si

parla di parametri di servizio; mentre le tensioni da considerare in Figura 2 sono quelle stellate.

Le relazioni che regolano il circuito di Figura 2, sono le seguenti:

Considerando poi:

e trascurando i termini infinitesimi di ordine superiore al primo, si ottiene:

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Tali relazioni possono essere derivate rispetto ad x, così da ottenere:

dove

la cui soluzione è:

dove si è posto

nota come impedenza caratteristica della linea. Si noti che si è inoltre indicato con:

ovvero la corrente e la tensione all’arrivo della linea.

Le equazioni così derivate sono di notevole interesse al fine di valutare tensioni e correnti in

ogni punto della linea; nel caso specifico, è di nostro interesse la loro valutazione ad inizio e fine

linea, per cui possiamo particolareggiare le equazioni come segue:

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avendo posto e .

Per un’assegnata linea, restano così determinate le seguenti quantità:

Attraverso tali quantità, note come costanti secondarie delle linee elettriche, si ottengono le

seguenti espressioni:

ovvero, in forma matriciale

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2 Rappresentazione di una linea


L’equazione matriciale derivata può essere intesa come la funzione di trasferimento inverso

di un doppio bipolo rappresentativo delle linea (Figura 3).

Ῑp Ῑa
Ēp Ēa

Fig. 3 Doppio bipolo


Il doppio bipolo così ottenuto può essere rappresentato da uno dei due circuiti equivalenti

rappresentati nelle Figure 4 e 5.

Ῑp Ῑa

Ēp Ēa

Fig. 4 Circuito equivalente a π

Ῑp Ῑa

Ēp Ēa

Fig. 5 Circuito equivalente a T


Il circuito di Figura 4 è detto “circuito a π” e, generalmente, è quello più utilizzato. Quello di

Figura 5, è detto “circuito a T”. La preferenza verso il modello a π è dettato dal fatto che quello a T

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introduce un nodo in più per ogni linea. I valori delle impedenze ed ammettenze nei due circuiti

possono essere legate alle costanti secondarie come segue:

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3 Linee corte
Nel caso di linee non molto lunghe (a < 400 km) si può pervenire ad un circuito equivalente

semplificato. Essendo, infatti:

le espressioni dei parametri del circuito equivalente di Figura 4 si possono esprimere nella

forma:

per linee corte il prodotto è piccolo e, pertanto, il seno iperbolico si può confondere

con il rispettivo argomento, e il coseno iperbolico si può approssimare con i primi due termini del

suo sviluppo in serie, ottenendo così:

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Ovvero, esplicitando l’ammettenza e l’impedenza di linea:

avendo posto , , e .

È utile osservare che il circuito equivalente riportato in Figura 4 può subire un’ulteriore

semplificazione se si fa riferimento alle linee di distribuzione aeree dell’energia in bassa tensione;

tali linee sono caratterizzate da lunghezze al più di qualche km e da tensioni di esercizio non

elevate. In tali condizioni si può certamente trascurare l’ammettenza trasversale , e considerare,

così, il semplice circuito di Figura 9, in cui compare la sola impedenza longitudinale

Ῑp Ῑa

Ēp Ēa

Fig. 6 Modello per linee di bassa tensione.

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“LINEE ELETTRICHE CON CONDUTTORE
NUDO’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Linee elettriche con conduttore nudo

Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 GLI ISOLATORI -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
3 SOSTEGNI ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
4 CONDOTTI A SBARRE ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 11
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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1 Generalità

Le linee elettriche aeree con conduttore nudo includono:

 i conduttori di potenza, che servono per il trasferimento dell'energia e che sono tesati

nell'aria;

 gli isolatori, che sostengono meccanicamente e isolano verso il sostegno i conduttori

di potenza;

 i sostegni, che svolgono una funzione di sostegno degli isolatori e dei conduttori di

potenza: possono essere del tipo a traliccio o su palo;

 le funi di guardia, che hanno una funzione di protezione contro le sovratensioni di

origine atmosferica.

Nel seguito, verranno illustrati alcuni dettagli relativi a ciascuna delle suddette componenti,

con particolare riguardo al caso delle linee adottate negli impianti di distribuzione ed utilizzazione.

Le proprietà determinanti nella scelta di un conduttore sono:

 resistività elettrica e sua dipendenza dalla temperatura

 proprietà meccaniche:

resistenza alla trazione, modulo di elasticità, allungamento (importante per le linee aeree),

resistenza alla torsione e al piegamento (importante per i conduttori cordati), durezza,ecc.

 proprietà tecnologiche (lavorabilità):

 malleabilità, duttilità (importante per ottenere fili sottili alla trafila),

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 proprietà termiche:

conducibilità termica (sempre elevata nei metalli), coefficiente di dilatazione termica

(importante nelle linee aeree e negli avvolgimenti), temperatura di fusione.

I materiali conduttori impiegati nell’industria elettrica sono quasi esclusivamente il Rame e

l’Alluminio.

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2 Gli isolatori
La funzione degli isolatori è di collegare meccanicamente il conduttore di potenza ed il

sostegno, isolandoli elettricamente.

Negli isolatori è sempre presente un nucleo costituito da materiale isolante ed elementi

metallici. Il nucleo isolante è soggetto, dal punto di vista elettrico, ad una differenza di potenziale

che può essere dovuta alla tensione di normale funzionamento o da sovratensioni.

I materiali impiegati per il nucleo isolante sono la porcellana ed il vetro ricotto o temprato;

questi materiali, quantunque fragili, sono quelli che fino ad ora hanno dato i migliori risultati in

esercizio.

Gli isolatori possono rientrare in una delle seguenti categorie:

 isolatori rigidi;

 isolatori sospesi.

Gli isolatori rigidi hanno come limite di applicazione quello della media tensione, e sono, a

loro volta, suddivisi in ulteriori due categorie: gli isolatori rigidi per tensioni fino a 1 kV e quelli per

tensioni superiori a 1 kV.

Tra gli isolatori sospesi, rivestono particolare importanza quelli detti a "cappa e perno".

Gli isolatori rigidi sono caratterizzati dalla presenza di un unico pezzo di materiale isolante

ed hanno la caratteristica forma a campana (Figura 1); nella parte superiore sono presenti due

scanalature che servono per il fissaggio del conduttore.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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a) b)

Fig. 1 Isolatori rigidi per applicazioni fino 1 kV (a) e oltre 1 kV (b).

Negli isolatori a cappa e perno, la cappa collega l'isolatore al sostegno o ad un altro isolatore

disposto superiormente mentre il perno si aggancia o al conduttore, attraverso un opportuno collare

metallico, o direttamente, ad un altro isolatore disposto inferiormente. In Figura 2 è rappresentato

un isolatore a cappa e perno (Figura 2.a) e la modularità di tale tipologia di isolatori (Figura 2.b).

Tra cappa e perno è presente un unico pezzo di materiale isolante.

a) b)

Fig. 2 Isolatore a cappa e perno (a) e catena di isolatori a cappa e perno (b).

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In Figura 3 sono riportati i tipici isolatori adottati negli impianti di distribuzione in media e

bassa tensione in Italia. Alcuni dettagli di isolatori in porcellana sono mostrati in Figura 4. In Figura

5 sono mostrati alcuni dettagli di come sono utilizzati gli isolatori nelle applicazioni pratiche.

Fig. 3 Alcune tipologie di isolatori adottati negli impianti di distribuzione

Fig. 4 Isolatori in porcellana

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Fig. 5 Installazione degli isolatori

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3 Sostegni
I sostegni si possono classificare secondo i materiali usati in sostegni:

 in legno;

 in acciaio;

 in cemento armato;

 in vetroresina.

I sostegni in legno sono oggi impiegati molto raramente ed, essenzialmente, per le linee in

bassa e media tensione (Figura 6).

Fig. 6 Sostegno in legno

I sostegni in acciaio (Figura 7) sono diffusi nel campo della bassa e media tensione; si

impiegano pali ad asse rettilineo, ottenuti mediante tubi senza saldatura (tipo Mannesman).

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Fig. 7 Sostegno in acciaio

Nei sostegni in cemento armato (Figura 8) gli elementi rettilinei, costituenti il sostegno, sono

dei pali in cemento armato centrifugato, aventi una sezione trasversale di forma anulare riempita di

calcestruzzo ed attraversata da tondini di acciaio.

Fig. 8 Sostegno in cemento armato

Nei pali in vetroresina, infine, il materiale utilizzato è di tipo composito, costituito da resine

poliestere insature termoindurenti rinforzate con fibre di vetro.

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4 Condotti a sbarre
I condotti a sbarra, utilizzati per lo più in impianti industriali di elevata potenza, sono

apparecchiature prefabbricate di serie costituite da barre conduttrici nude (rame o alluminio) isolate

tra loro e verso l’esterno. Tali barre sono racchiuse in involucro metallico, sono montate

orizzontalmente e dispongono di cassette di derivazione (a distanze regolari lungo il condotto)

provviste di fusibili o interruttori automatici cui si collegano i cavi degli utilizzatori.

Alcune tipologie particolarmente utilizzate sono:

 blindo sbarra;

 isolsbarra;

 blindo trolley.

Le blindo sbarre (Figura 9) sono barre nude di rame posate entro un involucro metallico

mediante supporti isolanti opportunamente distanziati.

Fig. 9 Blindosbarra

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Le isolsbarre (Figura 10) sono sbarre di rame isolate singolarmente mediante materiale

rigido e sostenute da appositi collari per il fissaggio.

Fig. 10 Isolsbarra

Le blindo trolley (Figura 11) sono blindo trolley sono analoghe alle blindo sbarre, ma con un

lato aperto e provvisto di guide sui cui viene montato un carrello scorrevole per alimentare carichi

mobili o spostabili.

Fig. 11 Blindo trolley

L’uso dei condotti sbarre è consigliabile:

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• per l’alimentazione di carichi che debbano essere spostati frequentemente o

per carichi mobili (p. es. carri ponte)

• per alimentare carichi di notevole potenza

• per linee con molte derivazioni

Sono regolamentati dalle Norme CEI 17-13/1 e 17-13/2 (Norme relative ai quadri)

La scelta di un condotto sbarra richiede la valutazione:

• del valore della corrente da cui deve essere percorso (portata)

• del valore della corrente di cortocircuito presunta nel punto di installazione

che deve poter sostenere.

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“I MATERIALI CONDUTTORI’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso I materiali conduttori

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 IL RAME E L’ALLUMINIO ------------------------------------------------------------------------------------------------ 8
3 LE APPLICAZIONI ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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1 Introduzione

In queste note sono riassunte le principali caratteristiche richieste ai materiali utilizzati come

conduttore nelle linee elettriche.

Le proprietà determinanti nella scelta di un conduttore sono:

 resistività elettrica e sua dipendenza dalla temperatura

 proprietà meccaniche:

resistenza alla trazione, modulo di elasticità, allungamento (importante per le linee aeree),

resistenza alla torsione e al piegamento (importante per i conduttori cordati), durezza,ecc.

 proprietà tecnologiche (lavorabilità):

malleabilità, duttilità (importante per ottenere fili sottili alla trafila),

 proprietà termiche:

conducibilità termica (sempre elevata nei metalli), coefficiente di dilatazione termica

(importante nelle linee aeree e negli avvolgimenti), temperatura di fusione.

I materiali conduttori impiegati nell’industria elettrica sono quasi esclusivamente il Rame e

l’Alluminio.

Nei confronti dei fenomeni di trasporto della corrente elettrica, un materiale si caratterizza

per:

   mm 2 
 
Resistività elettrica (ρ)  m 

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 m 
 2 
Conducibilità elettrica (σ=1/ρ)    mm 

Si noti anche che spesso si utilizza anche l’unità di misura Siemens: S  1 / 

La resistività di un materiale dipende da numerosi parametri, quali:

 temperatura,

 sollecitazione dielettrica,

 sollecitazioni meccaniche,

 composizioni chimica (presenza d’impurità, prodotti di ossidazione).

La dipendenza dalla temperatura (ϑ) è pressoché lineare in un ampio intervallo di temperatura:

dove α è il coefficiente di temperatura.


2  1  (2  1 )

In Figura 1 è riportata la rappresentazione grafica della dipendenza della resistività di un

materiale dalla temperatura.

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Fig. 1 Dipendenza della resistività dalla temperatura.

Quando è necessario limitare il livello di approssimazione, si tiene conto della non linearità

del legame tra la resistività e la temperatura: r = f(ϑ).

Una buona interpolazione dei dati si ottiene considerando il coefficiente di temperatura α

come funzione della temperatura ponendo:

0 2  1   (1 )  2  1 
   
1

1   0 1 0  

dove α0 si riferisce alla temperatura di 0°C.

Per avere un’idea dell’ampio intervallo entro il quale può variare il valore di resistività, o

conducibilità, in Figura 2 sono riportati i valori che la resistività può assumere per differenti

materiali.

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Fig. 2 Conducibilità per differenti materiali.

Come si può osservare in Figura 2, ci sono ben 26 ordini di grandezza di differenza, se si

passa dai materiali isolanti fino ai buoni conduttori.

Focalizzando l’attenzione sui materiali conduttori, alcune caratteristiche più specifiche sono

riportate nella tabella 1. In particolare, in tabella sono riportati i valori di resistività, coefficiente di

temperatura (utile ad avere una misura della sensibilità della resistività (o conducibilità) alla

temperatura) e del peso specifico. I materiali rappresentati in tabella sono il rame, alluminio

(entrambi nelle due possibili forme, ricotto e crudo) e altri materiali metallici.

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Tab. 1. Caratteristiche di alcuni materiali conduttori.

Come detto, però, i materiali conduttori più impiegati nell’ambito delle linee aeree sono il

Rame e l’Alluminio.

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2 Il rame e l’alluminio
Il rame costituisce il materiale largamente più usato. Ciò è dovuto alle sue caratteristiche, fra

cui:

 elevata conducibilità elettrica, seconda soltanto a quella dell’argento;

 ottime proprietà tecnologiche, ed in particolare: elevata trafilabilità anche in fili

molto sottili, facilità di laminazione a caldo e a freddo, saldabilità;

 elevate caratteristiche meccaniche che si mantengono anche alle basse temperature;

 resistenza all’ossidazione a contatto con l’atmosfera, nel senso che l’ossidazione

progredisce in profondità solo se l’ossido formato in superficie viene asportato;

 facilità dell’uso dei rottami.

L’Alluminio è l’unica seria alternativa al rame come conduttore elettrico nelle applicazioni

industriali. Alcune sue caratteristiche principali sono:

 la leggerezza ed il costo inferiore del rame;

 resistività maggiore di quella del rame;

 caratteristiche meccaniche inferiori a quelle del rame;

 ottime proprietà tecnologiche (facile ottenere forme per fusione o pressofusione);

 alta malleabilità sia a caldo che a freddo; tuttavia qualche difficoltà si ha nella

trafilatura, per cui non è molto adatto per la realizzazione di fili sottili.

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In tabella 2 sono riportate, a titolo di confronto, alcune caratteristiche principali di rame ed

alluminio.

Tab. 2 Caratteristiche di Rame ed Alluminio.

Sono inoltre utilizzate anche alcune leghe di rame ed alluminio.

Le leghe di rame più usate sono:

 ottoni – largamente usati per la grande lavorabilità;

 bronzi fosforosi – buone proprietà meccaniche e discreta conducibilità

elettrica;

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 leghe Rame-Berillio – ottime proprietà meccaniche e buona conducibilità

elettrica; usato per contatti, molle e parti sollecitate a fatica.

Le leghe di alluminio più utilizzate sono:

 Aldrey (Al 98,5-99% con piccole aggiunte di Si e Mg) – ha una conducibilità

elettrica leggermente inferiore (circa 15%) a quella dell’Al puro, ma una resistenza

meccanica molto superiore (carico di rottura 30 ÷ 35 kg/mm2) ed una superiore resistenza

alla corrosione – utilizzato soprattutto come conduttore nelle linee aeree;

 anticorodal – particolare resistenza alla corrosione – utilizzato per accessori e

connessioni di linea.

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3 Le applicazioni
In termini generali, le principali applicazioni del rame e delle sue leghe sono:

 cavi elettrici in bassa, media ed alta tensione per la trasmissione sia di piccole che di

grandi potenze;

 avvolgimenti delle macchine rotanti;

 avvolgimenti dei trasformatori;

 contatti con sollecitazioni meccaniche (molle, parti in movimento, collettori);

 schermi nei cavi elettrici in media e alta tensione;

 conduttori per linee aeree.

Nelle Figure 3 e 4 sono riportate alcune caratteristiche dei conduttori utilizzati in alcune

linee.

Fig. 3 Caratteristiche di tipici conduttori in Rame.

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Fig. 4 Caratteristiche di tipici conduttori in Alluminio.


Più specificamente, in Figura 4 sono riportate le caratteristiche di un conduttore alluminio-

acciaio. Tali conduttori sono costituiti da un nucleo di fili di acciaio, zincati e cordati, intorno al

quale sono disposti fili di alluminio trafilati, anch'essi cordati; i fili di alluminio sono disposti

all’esterno per aumentare il diametro esterno della parte conduttrice e perché l’alluminio resiste

meglio agli agenti atmosferici. L'acciaio ha la funzione prevalente di resistenza meccanica,

l'alluminio quella della conducibilità elettrica; in tal modo si uniscono i vantaggi dei due metalli,

senza averne gli inconvenienti. Questo tipo di conduttore trova vastissimi campi di applicazione, in

quanto, si possono variare le sue caratteristiche meccaniche ed elettriche con la sola variazione della

composizione (numero dei fili elementari e loro sezione) dei componenti che lo costituiscono.

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ LINEE IN CAVO’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Linee in cavo

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 IL CONDUTTORE ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 6
3 ISOLANTI, GUAINE ED ARMATURE ---------------------------------------------------------------------------------- 8
4 GRANDEZZE ELETTRICHE CARATTERISTICHE --------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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2 di 13
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1 Introduzione

Le linee in cavo sono impiegate per la trasmissione dell’energia elettrica e negli impianti in

media e bassa tensione. Possono essere:

 in posa sotterranea;

 in posa sottomarina;

 in posa aerea.

Le linee elettriche aeree sono costituite dai cavi e dagli accessori di raccordo

In particolare, si individua con il termine cavo l’insieme costituito da:

 conduttori;

 isolanti;

 guaine;

 armature di protezione;

 schermatura.

L’esempio più semplice di un cavo è costituito da un semplice conduttore ricoperto

dall’isolamento funzionale (si viene così a costituire un cavo unipolare senza guaina). Alcuni

esempi di cavi a costituzione più complessa sono quelli riportati in Figura 1. Le parti costituenti il

cavo sono rappresentati in Figura 2.

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Università Telematica Pegaso Linee in cavo

Fig. 1 Alcune tipologie di cavi.

Corda rigida di
rame stagnato
Guaina di PVC Gomma butilica

Guaina di PVC nastro di rame nastro semiconduttore

corda rigida di rame


stagnato

gomma etilenpropilenica

Guaina di PVC Schermatura in fili


di rame intrecciati
Nastro semiconduttore

Corda compatta
di rame stagnato

Strato semiconduttore
Gomma etilenpropilenica

Fig. 2 Parti costituenti di alcune tipologie di cavi.

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Le parti costituenti il cavo sono rappresentati la loro funzione sono:

 conduttore: parte metallica destinata a condurre la corrente;

 isolante: strato di materiale dielettrico che circonda il conduttore (conduttore +

isolante = anima);

 riempitivo: materiale estruso per riempire gli interstizi tra le anime nei cavi con più

conduttori;

 rivestimento protettivo: elemento per protezione meccanica, costituito da una guaina,

da un’armatura o fasciatura;

 schermo metallico: elemento utilizzato per rendere uniforme il campo elettrico

all’interno dell’isolante (Figura 3).

Fig. 3. Linee di campo in presenza di schermo (a) ed in assenza di campo (b)

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2 Il conduttore
I materiali più largamente impiegati per la parte conduttrice di un cavo sono il rame e

l’alluminio. Il confronto tra questi due materiali nell'ambito dei cavi si diversifica notevolmente in

funzione dei diversi livelli di tensione.

Nel campo della bassa tensione, il costo del conduttore può essere un’aliquota significativa

del costo totale del cavo e, in tali casi, il confronto economico potrebbe anche essere a vantaggio

dell’alluminio; d’altra parte, per le alte tensioni il volume dell’isolante e la complessità dell’intero

cavo è tale che il costo del conduttore non è che una frazione piuttosto piccola del costo totale, e,

quindi, il confronto si chiude sempre a vantaggio del rame.

Nel campo delle medie tensioni, fino a 20 kV, i conduttori di alluminio possono consentire a

volte una certa economia nel costo totale del cavo, soprattutto se la guaina, invece che di piombo, è

anch'essa di alluminio.

In Figura 4 sono rappresentati alcune forme caratteristiche che il conduttore può assumere

nei cavi attualmente in commercio.

Fig. 4 Alcune forme assunte dai conduttori di cavi

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In Figura 5 e 6, sono rappresentati due cavi, uno tripolare ed uno multipolare, che adottano

conduttori con forme diverse.

Fig. 5 Cavo tripolare

Fig. 6 Cavo multipolare

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3 Isolanti, Guaine ed Armature


I materiali principalmente utilizzati nei cavi per la parte isolante sono la carta impregnata e

gli isolanti estrusi. I cavi in isolante estruso sono quelli principalmente impiegati negli impianti

elettrici a media e bassa tensione. La carta usata nell’isolamento dei cavi deve essere di pura

cellulosa per possedere qualità elettriche soddisfacenti e proprietà assorbenti tali da assicurare un

perfetto impregnamento. Gli impregnanti più usati per la carta sono gli olii.

Gli isolanti estrusi principalmente impiegati sono:

 il PVC (policloruro di vinile);

 il PE (polietilene) e suoi derivati;

 l’EPR (gomma etilenpropilenica);

 la gomma butilica.

Si tratta di materiali isolanti che si presentano compatti e omogenei, in contrapposizione alla

carta impregnata che costituisce un isolante stratificato e non omogeneo, perché composto da due

diversi materiali (carta ed impregnante).

È interessante confrontare il comportamento dei diversi isolanti estrusi, per i diversi livelli di

tensione, tenendo presente le seguenti fondamentali proprietà:

 rigidità dielettrica;

 perdite dielettriche (tgδ);

 resistenza alle scariche parziali.

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Il PVC ha una rigidità dielettrica bassa e perdite eccessive, che ne rendono sconsigliabile

l’impiego per tensioni maggiori di 10-15 kV. Ha una ottima resistenza alle scariche parziali.

Il PE è un materiale eccellente per quanto riguarda la rigidità dielettrica e le perdite

dielettriche, appena accettabile per quanto riguarda la resistenza alle scariche parziali. Si ossida

rapidamente, è infiammabile e poco igroscopico.

Tra i materiali derivati dal polietilene, il PE reticolato è assai interessante, per le sue

proprietà termiche, migliori di quelle del PE.

Tra le gomme sintetiche, le proprietà migliori sono quelle della gomma etilenpropilenica

(EPR) che, infatti, presenta un sempre più largo impiego. Ha una rigidità dielettrica superiore a

quella del PVC, perdite dielettriche un po’ elevate, anche se decisamente inferiori a quelle del PVC,

una eccellente resistenza alle scariche parziali e alle intemperie.

La gomma butilica non ha né sufficiente rigidità dielettrica né sufficiente resistenza alle

scariche parziali per poterne allargare il campo di impiego oltre la media tensione.

I materiali più largamente impiegati per le guaine sono il piombo, il policloroprene e il PVC.

L'armatura di un cavo può essere costituita da nastri di acciaio o da fili di acciaio; gli

schermi metallici sono di piombo, rame od alluminio.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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4 Grandezze elettriche caratteristiche


Si definiscono grandezze elettriche caratteristiche di un cavo quei valori delle grandezze

elettriche (tensione, corrente, ecc.) cui corrispondono i valori delle sollecitazioni ammissibili per un

cavo, in condizioni normali ed anormali di funzionamento.

Poiché tra le varie parti costituenti un cavo quella più sensibile a qualunque tipo di

sollecitazione è l’isolante, ad esso si fa particolare riferimento.

Le principali sollecitazioni cui è sottoposto l’isolante di un cavo sono:

 la sollecitazione elettrica, legata ai gradienti di tensione;

 la sollecitazione termica, legata alla temperatura e che, a sua volta, dipende dalle

perdite per effetto Joule che si sviluppano nel conduttore.

I valori ammissibili di tali sollecitazioni, per ovvi motivi, vanno ricavati:

 nel caso della sollecitazione elettrica, in condizioni normali e nelle condizioni

anormali di funzionamento legate alla presenza di sovratensioni;

 nel caso della sollecitazione termica, in condizioni normali e nelle condizioni

anormali di funzionamento legate alla presenza di sovracorrenti.

Con riferimento alla sollecitazione elettrica in condizioni anormali di funzionamento si

definiscono le seguenti grandezze elettriche caratteristiche:

 tensione nominale di isolamento a frequenza industriale, in kV efficaci, tra un

conduttore isolato e la terra (U0);

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 tensione nominale di isolamento a frequenza industriale, in kV efficaci, tra due

conduttori isolati del cavo (U).

Si definisce, poi, anche la tensione di designazione di un cavo; essa è individuata dalla

coppia di valori di tensione (U0, U) che designano il cavo sotto l’aspetto dell’isolamento; ad

esempio si usa la dicitura di “cavo a 0,6/1 kV”, “cavo a 12/20 kV”. I valori attribuiti dai costruttori

alle suddette grandezze elettriche individuano le sollecitazioni elettriche ammissibili del cavo in

condizioni anormali di funzionamento e cioè le massime sovratensioni che il cavo è in grado di

sopportare.

Per quanto riguarda la sollecitazione termica in condizioni normali di funzionamento, si

osservi che i conduttori presenti in un cavo quando sono percorsi da corrente sono sede di

dissipazioni di potenza per effetto Joule; tali dissipazioni avvengono non soltanto nei conduttori di

potenza veri e propri, ma anche in tutte le altre parti metalliche del cavo, per effetto di induzione da

parte delle correnti che interessano i conduttori di potenza stessi.

Come già evidenziato in precedenza, in un cavo la parte sensibile alla temperatura è

rappresentata dall’isolante. Infatti, il materiale isolante ha una "vita utile", indicata con Lu, che è

legata alla temperatura di esercizio, ϑ. Il decadimento della vita utile di un cavo in funzione della

temperatura di esercizio segue la nota legge di Arrenhius:

con A e b costanti che dipendono dal tipo di materiale isolante.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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È opportuno sottolineare che la temperatura di esercizio dell'isolante va considerata pari a

quella del conduttore, essendo egli stesso a stretto contatto.

Fissato il tipo di materiale isolante e il valore minimo della durata utile dello stesso

(tipicamente 25 – 30 anni), per ogni tipo di isolante, e di conseguenza per ogni tipo di cavo, rimane

fissato, in base alla legge di Arrhenius, un valore massimo della temperatura del conduttore ϑn, detta

temperatura massima di servizio del conduttore (nel caso di PVC essa vale 70 °C, nel caso di EPR e

di XLPE essa vale 90 °C).

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ COMPORTAMENTO TERMICO DEI CAVI’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Comportamento termico dei cavi

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 PORTATA DI UN CAVO ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
3 TIPO DI POSA------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 7
4 CORTOCIRCUITO ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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1 Introduzione

I conduttori presenti in un cavo, quando sono percorsi da corrente, sono sede di dissipazioni

di potenza per effetto Joule. Inoltre, dissipazioni di potenza, sempre per effetto Joule, avvengono

anche in tutte le altre parti metalliche del cavo, per effetto delle correnti indotte dalle correnti che

interessano i conduttori di potenza stessi. La conseguente sollecitazione termica, in condizioni

normali di funzionamento, determina la durata di vita del cavo. Infatti, in un cavo, la parte sensibile

alla temperatura è rappresentata dall’isolante, la cui "vita utile", indicata con Lu, è legata alla

temperatura di esercizio, ϑ. Il decadimento della vita utile di un cavo in funzione della temperatura

di esercizio segue la nota legge di Arrhenius:

con A e b costanti che dipendono dal tipo di materiale isolante. È opportuno sottolineare che

la temperatura di esercizio dell'isolante va considerata pari a quella del conduttore, essendo egli

stesso a stretto contatto.

Fissato il tipo di materiale isolante e il valore minimo della durata utile dello stesso

(tipicamente 25 – 30 anni), per ogni tipo di isolante, e di conseguenza per ogni tipo di cavo, rimane

fissato, in base alla legge di Arrhenius, un valore massimo della temperatura del conduttore ϑn, detta

temperatura massima di servizio del conduttore. A titolo d’esempio, nel caso di alcuni materiali

isolanti tipicamente adottanti nelle applicazioni pratiche di nostro interesse, si hanno temperature

massime di servizio di 70 °C, nel caso del PVC e 90 °C nel caso di EPR.

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2 Portata di un cavo
Per ogni valore di sezione del conduttore del cavo, è possibile individuare, attraverso

l’impiego di opportuni bilanci termici, la massima corrente che può circolare continuativamente,

senza che venga superata il valore massimo di temperatura di esercizio.

Con riferimento alla situazione di regime, si può ipotizzare che tutta la potenza generata nel

conduttore per effetto Joule venga dissipata verso l'ambiente esterno. Si consideri, a titolo di

esempio, un cavo unipolare di bassa tensione costituito dal conduttore di potenza, dall’isolante e da

una guaina. Una modellizzazione semplificata del circuito termico corrispondente alla geometria di

cavo in oggetto è riportata in Figura 1.

potenza dissipata Pd

Fig. 1 Circuito termico semplificato di un cavo unipolare in condizioni di regime.

Per l'analisi del comportamento termico a regime del cavo in oggetto, è quindi sufficiente

imporre la seguente equazione di bilancio termico:

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dove si è indicato con:

 Tis la resistenza termica dell’isolante

 Tg la resistenza termica della guaina

 Test la resistenza termica dell’ambiente esterno

 la temperatura sulla superficie del conduttore

 la temperatura ambiente

 la potenza dissipata

 R la resistenza del conduttore

 I la corrente che circola nel conduttore.

Relazione più complesse, ma basate sullo stesso principio del bilancio termico, si possono

ricavare per tutte le geometrie possibili dei cavi. Si noti che, sia la resistenza elettrica del conduttore

che le resistenze termiche, sono funzione della sezione S del conduttore.

Fissato al suo valore massimo ammissibile in condizioni normali di funzionamento ,

si può calcolare, per una assegnata sezione S della parte conduttrice del cavo, la massima corrente

che a regime può circolare in esso; detta corrente è definita portata del cavo, indicata con Iz ed è

data, nel semplice caso della Figura 1, da:

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avendo indicato con la somma delle resistenze termiche (si è voluto evidenziare la

sua dipendenza e quella della resistenza dalla sezione S del conduttore):

La portata di un cavo è dunque funzione di molti parametri. In particolare:

 il tipo di posa (che influenza la temperatura esterna ϑest)

 la vicinanza di altri conduttori

 la sezione stessa del conduttore.

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3 Tipo di posa
Particolarmente significativa è l’influenza che ha il tipo di posa; quest’ultima può essere di

vario tipo, tra cui rivestono particolare importanza nelle applicazioni pratiche:

 posa interrata;

 posa su mensole;

 posa su passerelle perforate;

 in tubi protettivi circolari posati entro muri termicamente isolati.

Alcuni esempi sono riportati nella Figura 2, previste dalla norma CEI 64-8 per le

applicazioni di media e bassa tensione.

Fig. 2 Alcune tipologie di posa.

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Un modo più semplice di gestire la relazione appena considerata è quella di tabellare, fissato

un valore convenzionale per la temperatura ambiente (tipicamente ϑa = 30 °C) e nota la temperatura

massima ammissibile per il tipo di isolante impiegato, la portata dei cavi per sezioni commerciali,

per tipo di materiale conduttore, per tipo di isolante e per tipo di posa. Nella tabella 1 è riportato un

esempio qualitativo di come può essere strutturata una tale tabella, al variare del tipo di posa; le

portate sono espresse in A.

Tab. 3 Esempio di una tabella delle portate di un cavo.


RAME ALLUMINIO
PVC EPR PVC EPR
S Posa 1 Posa 2 Posa 1 Posa 2 Posa 1 Posa 2 Posa 1 Posa 2
2
[mm ] [A] [A] [A] [A] [A] [A] [A] [A]
1.5 8 12 10 14 7 11 9 13
2.5 14 18 16 20 13 17 15 19
4 20 24 22 26 19 23 21 25
6 26 30 28 32 25 29 27 31

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4 Cortocircuito
Nel caso il cavo sia percorso da sovracorrenti e, più in particolare, da correnti di

cortocircuito, viene definita come grandezza elettrica caratteristica del cavo l’energia termica

specifica WT, cioè quella per unità di resistenza del conduttore, che il cavo è in grado di sopportare

senza superare la temperatura massima ammissibile in condizioni di cortocircuito. In cortocircuito,

infatti, essendo il fenomeno normalmente di breve durata per la presenza dei sistemi di protezione,

si ammette come temperatura massima ammissibile un valore maggiore di quello relativo alle

condizioni di funzionamento normali.

Poiché usualmente l'intensità della corrente di cortocircuito è elevata, ed essendo il tempo di

eliminazione del guasto molto breve, il calcolo della suddetta energia può condursi ritenendo

trascurabile la quantità di calore trasmessa dal conduttore al mezzo isolante e considerando, quindi,

un riscaldamento adiabatico del conduttore stesso (Figura 3).

Fig. 3 Circuito termico semplificato nel caso di corto circuito.

Sotto tali ipotesi, tutta l'energia termica prodotta nel conduttore contribuisce ad elevarne la

temperatura, per cui, se si considera un conduttore di lunghezza L, sezione costante S, di resistenza

R = ρL/S e percorso dalla corrente di cortocircuito i(t), si ha che l'incremento infinitesimo della

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temperatura dϑ che il conduttore subisce per effetto dell'energia accumulata per effetto Joule

nell'intervallo di tempo infinitesimo dt soddisfa la seguente equazione differenziale:

dove si è indicato con il calore specifico e con il volume del conduttore.

Ricordando la legge di variazione della resistività di un conduttore con la temperatura:

avendo indicato con il coefficiente di variazione della resistività e con la resistività del

conduttore alla temperatura 0°C. In questo caso, l’equazione di bilancio termico può essere scritto

come:

ovvero:

Integrando tale equazione tra gli istanti di inizio del cortocircuito (t=0) e l’istante in cui

cessa di circolare la corrente d cortocircuito (tf), si ottiene:

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avendo indicato con ϑf la temperatura a tf e con ϑi la temperatura a t=0.

La grandezza a secondo membro rappresenta, di fatto, l’energia specifica, cioè quella per

unità di resistenza del conduttore, che interessa il cavo durante il cortocircuito. Tale energia, se si

assume come temperatura di inizio del cortocircuito quella massima ammissibile in condizioni di

funzionamento normale ϑn, raggiunge il suo valore massimo WT con una temperatura finale per

l’isolante pari a quella massima ammissibile ϑmax in condizioni di cortocircuito; in tal caso

l’equazione derivata diventa:

Il coefficiente K derivato nell’ultima equazione dipende chiaramente dalle caratteristiche del

metallo con cui è realizzato il conduttore. Alla massima energia termica WT che il cavo è in grado

di sopportare senza superare la temperatura massima ammissibile in condizioni di cortocircuito

viene spesso anche dato il nome di integrale di Joule del cavo. Alcuni valori di K, nell'ipotesi che

all'istante iniziale di cortocircuito il cavo si trovi alla massima temperatura di servizio ϑi = ϑn, sono

riportati in tabella 4 (derivati dalla norma CEI 64-8).

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Tab. 4. Valore del coefficiente K


MATERIALE CONDUTTORE
MATERIALE ISOLANTE
RAME ALLUMINIO
PVC
115 76
ϑN = 70°C, ϑMAX = 160°C
Gomma butilica
135 89
ϑN = 85°C, ϑMAX = 220°C
EPR – PE reticolato
143 94
ϑN = 90°C, ϑMAX = 250°C

Se il cavo ha una temperatura iniziale inferiore alla massima temperatura di servizio

ϑn, perché, quando si verifica il cortocircuito, è percorso da una corrente inferiore alla

portata relativa alle sue condizioni d'installazione, i valori di K indicati nella tabella sono a

favore della sicurezza.

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ DESIGNAZIONE DEI CAVI’’

PROF. FABIO MOTTOLA


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Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 CAVI ARMONIZZATI ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
3 CAVI NON ARMONIZZATI ------------------------------------------------------------------------------------------------ 8
4 CRITERI DI SCELTA DEI CAVI ----------------------------------------------------------------------------------------- 11
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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1 Introduzione

Per designazione dei cavi si intende la sigla alfanumerica, composta cioè da lettere e numeri

secondo un preciso ordine, con la quale si rappresenta in maniera sintetica ma esaustiva le

caratteristiche costruttive e funzionali dei cavi elettrici per l’energia. La sigla di designazione viene

apposta sulla guaina esterna del cavo in maniera tale che risulti chiara e leggibile (Figura 1).

designazione

Fig.1 Apposizione della sigla di designazione del cavo

Esistono due sistemi di designazione dei cavi :

 sistema di designazione secondo Norma CEI 20 – 27,

 sistema di designazione secondo Tabella CEI - UNEL 35011.

La Norma CEI 20 - 27 e la Tabella CEI - UNEL 35011 stabiliscono le regole per designare

un dato tipo di cavo fornendo una descrizione abbreviata della configurazione del cavo stesso.

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La norma CEI 20 – 27 si applica ai cavi unificati nell’ambito delle direttive CE che, per

questo, sono detti cavi armonizzati: in tal caso il sistema di designazione deriva dalle regole di

armonizzazione del CENELEC. La norma CEI-UNEL 35011 si applica, a livello europeo, ai cavi

non armonizzati.

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2 Cavi armonizzati
Nel caso dei cavi armonizzati, in accordo alla Norma CEI 20 – 27, la sigla di designazione è

formata da un complesso di lettere e numeri, suddivisi in tre parti che indicano:

 parte 1 - riferimento alle norme e alla tensione di designazione del cavo;

 parte 2 - caratteristiche costruttive del cavo in sequenza radiale partendo dal

materiale isolante, quindi, dopo un trattino (-) materiale e forma dei conduttori (cioè procedendo

dall'esterno verso l'interno del cavo);

 parte 3 - dopo uno spazio libero, numero e sezione dei conduttori.

In tabella 1, è riportato il complesso di simboli utilizzati nel caso dei cavi armonizzati e il

relativo significato.

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Tab. 1 Designazione dei cavi secondo la norma CEI 20-27

Per la designazione del numero e della sezione dei conduttori sono previsti i seguenti

simboli:

nxS oppure nGS

con :

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 n - numero dei conduttori che costituiscono il cavo;

 x - simbolo di moltiplicazione da usare nei cavi senza conduttore di protezione;

 G - simbolo di moltiplicazione da utilizzare nei cavi con conduttore di protezione

(colore giallo-verde);

 S - sezione dei conduttori in millimetri quadrati.

La sigla deve essere preceduta dalla denominazione cavo e seguita dalla citazione del

numero della tabella UNEL, ove questa esiste.

Ad esempio cavo H07V-K 16 (Fig. 2) designa un cavo armonizzato per tensioni nominali

450/750 V con isolamento in PVC, costituito da un conduttore di rame a corda flessibile per posa

fissa da 16 mm2.

Altro esempio è il cavo H07V-U 2x2.5 designa un cavo armonizzato per tensioni nominali

450/750 V con isolamento in PVC, costituito da due conduttori di rame a filo unico da 2.5 mm2.

Fig. 2 Esempio di designazione di un cavo armonizzato

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3 Cavi non armonizzati


Nel caso dei cavi non armonizzati, la sigla di designazione è formata da un complesso di

lettere e numeri, suddivisi in tre parti che indicano:

 parte 1 - numero e sezione dei conduttori ;

 parte 2 - caratteristiche costruttive del cavo in sequenza radiale partendo dal

materiale conduttore (cioè procedendo dall'interno verso l'esterno del cavo);

 parte 3 - riferimento alla tensione di designazione del cavo, preceduta da un trattino

(-).

In Tabella 2, è riportato il complesso di simboli utilizzati nel caso dei cavi non armonizzati e il

relativo significato

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Ai fini della designazione completa di un cavo, la sigla deve essere preceduta dalla

denominazione CAVO e seguita dalla citazione del numero della tabella UNEL, ove questa esista.

Nel seguito, sono riportati alcuni esempi di sigle di designazione relative ai più comuni cavi

di media e di bassa tensione impiegati negli impianti di distribuzione.

 Cavi per media tensione tripolari ad elica visibile (X) in alluminio isolati con

gomma etilenpropilenica ad alto modulo elastico, schermati, sotto guaina di PVC (sigla:

ARG7H1RX 12/20 kV);

esempio di designazione: CAVO 3 x (1 x 185) ARG7H1RX-12/20 kV.

 Cavi per media tensione tripolari ad elica visibile (X) isolati con gomma

etilenpropilenica ad alto modulo elastico, schermati, sotto guaina di PVC (sigla: RG7H1RX-

12/20 kV);

esempio di designazione: CAVO 3 x (1 x 120) RG7H1RX-12/2O kV.

 Cavi per media tensione unipolari isolati con gomma etilenpropilenica ad alto

modulo elastico, schermati, sotto guaina di PVC (sigla: RG7H1R-12/20 kV);

esempio di designazione: CAVO 1 x 630 RG7H1R-12/20 kV.

 Cavi per bassa tensione quadripolari, con tre anime di fase e conduttore di

neutro concentrico di rame, isolati con gomma etilenpropilenica ad alto modulo elastico,

sotto guaina di PVC (sigle: UG7OCR-0,6/l kV e RG7OCR-0,6/l kV);

esempio di designazione: CAVO 3 x 95 + 50 C RG7OCR-0,6/l kV.

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 Cavi per bassa tensione bipolari, con anima e conduttore di neutro

concentrico di rame, isolati con gomma etilenpropilenica ad alto modulo elastico, sotto

guaina di PVC (sigle: UG7CR-0,6/l kV e RG7CR-0,6/l kV);

esempio di designazione: CAVO 1 x 16 + 16 C RG7CR-0,6/l kV.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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4 Criteri di scelta dei cavi


La scelta del cavo più opportuno per una specifica applicazione è determinata al fine di

garantire i livelli di sicurezza e funzionalità che si devono raggiungere. I fattori più importanti cui

si deve fare riferimento nella scelta di un cavo sono:

 tensione;

 sezione dei conduttori;

 presenza del conduttore di protezione;

 luogo d’istallazione;

 modalità di posa.

In particolare, si osserva quanto segue. Alla tensione corrisponde la tensione designazione

U0/U. La sezione corrisponde alla portata di corrente desiderata. La presenza del conduttore di

protezione dipende dalla tipologia di impianto che si è scelto per l’utilizzo dell’energia elettrica. Per

quanto riguarda il luogo d’istallazione, le norme stabiliscono normative specifiche per luoghi

specifici. Si pensi, ad esempio, ai luoghi con pericolo esplosione o a maggior rischio d’incendio. In

tal caso, è possibile che sia necessario utilizzare cavi specifici, quali, ad esempio, i cavi resistenti al

fuoco, cavi a basso sviluppo di fumo e gas tossici e corrosivi, ecc. La modalità di posa, invece, si

riferisce alla tipologia di guaina e degli altri sistemi di protezione del cavo.

Nei riguardi del comportamento all’incendio, i materiali usati per gli isolanti e le guaine

bruciano con facilità e producono fumi. Gli effetti nocivi dei prodotti della combustione sono:

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 i fumi: se molto densi e opachi annullano la visibilità impedendo di

individuare le vie di fuga.

 i gas tossici: (tossicità, concentrazione e tempo di esposizione).

 i gas corrosivi, tossici per le persone e per i beni.

Il CEI ha definito specifiche prove per attestare la qualità dei cavi e per evitare la

propagazione dell’incendio:

 Norme CEI 20-35 “prove su cavi sottoposti al fuoco” (cavi non propaganti la

fiamma)

 Norma CEI 20-22 “Prove dei cavi non propaganti l’incendio” (cavi non

propaganti l’incendio)

 Norma CEI 20-36 “Prove di resistenza al fuoco dei cavi elettrici”: (continuità

elettrica per almeno 12 ore dopo lo spegnimento della fiamma).

 Norma CEI 20-37 “Prove sui gas emessi durante la combustione dei cavi

elettrici”.

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ APPARECCHI DI MANOVRA’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Apparecchi di manovra

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 APERTURA DI UN CIRCUITO -------------------------------------------------------------------------------------------- 6
3 ARCO ELETTRICO ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11

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1 Introduzione

Sono chiamati apparecchi di manovra i componenti dell’impianto capaci di effettuare

almeno una delle seguenti operazioni:

 interrompere la corrente in un circuito elettrico (manovra di apertura);

 stabilire la corrente in un circuito elettrico (manovra di chiusura).

Le manovre di apertura e chiusura di un circuito possono effettuarsi:

 in condizioni del circuito elettrico “sano”, quando in esso circola la corrente di

funzionamento normale o una corrente di sovraccarico,

 in condizioni del circuito elettrico “guasto”, quando in esso circola la corrente di

cortocircuito.

Gli apparecchi di manovra possono fondamentalmente dividersi in:

 interruttori, quando sono costruiti per aprire o chiudere un circuito percorso da

correnti di intensità non trascurabile, anche quella di cortocircuito;

 sezionatori, quando sono costruiti per aprire o chiudere, in modo visibile o mediante

un dispositivo indicatore affidabile, un circuito percorso da correnti di intensità trascurabile.

Fra queste due principali categorie di apparecchi di manovra ve ne sono altre intermedie:

 gli interruttori di manovra, che sono costruiti per aprire un circuito sano o per

chiudere un circuito sano o guasto;

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 gli interruttori di manovra-sezionatori (IMS), che sono interruttori di manovra per i

quali deve essere possibile verificare la posizione di aperto in modo visibile o mediante un

dispositivo indicatore affidabile;

 i contattori, che sono costruiti per aprire o chiudere un circuito sano.

I circuiti elettrici a media e a bassa tensione possono essere aperti anche per mezzo di

fusibili, componenti che intervengono automaticamente quando la corrente supera un determinato

valore per un tempo prefissato. I fusibili, pur non costituendo in senso stretto apparecchi di

manovra, sono considerati tra questi in quanto svolgono alcune delle funzioni proprie degli

interruttori, cioè interrompono correnti di sovraccarico e di cortocircuito.

In tabella 1 è riportato uno schema riassuntivo degli apparecchi di manovra qui discussi.

Tab. 1 Apparecchi di manovra e loro funzioni

operazione Interrompere Stabilire

Circuito sano Circuito guasto Circuito sano Circuito guasto


apparecchio

INTERRUTTORE SI SI SI SI

SEZIONATORE SI (*) NO SI (*) NO

INTERRUTTORE NO
SI SI SI
DI MANOVRA
IMS SI NO SI SI

CONTATTORE SI NO SI NO

FUSIBILE SI(**) SI NO NO

Si nota che l'interruttore è l'unico apparecchio di manovra capace di aprire e chiudere un

circuito elettrico in condizioni normali e anormali.

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Dall'esame della tabella si nota anche che ciascun apparecchio di manovra è caratterizzato

da funzioni differenti. Possono, quindi, nascere delle combinazioni di due apparecchi che,

congiuntamente, sono in grado di svolgere la somma delle funzioni che ciascun apparecchio è in

grado di svolgere da solo. Ad esempio, associando al fusibile un interruttore di manovra è possibile

nel circuito svolgere le stesse funzioni di un interruttore: questo apparecchio viene denominato

interruttore di manovra con fusibile.

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2 Apertura di un circuito
In un interruttore sono presenti due contatti (Figura 1), che vengono allontanati quando si

vuole aprire il circuito in cui l’interruttore è inserito. Il distacco dei contatti non è in generale

seguito immediatamente dall’interruzione della corrente, che, invece, continua a fluire per qualche

tempo, a causa di un arco elettrico che si adesca tra essi, come descritto graficamente in Figura 2.

Fig. 1 Contatti di un interruttore chiusi.

Fig. 2 Contatti di un interruttore in fase di apertura.

L’obiettivo degli interruttori è, ovviamente, quello di estinguere in maniera definitiva l’arco,

in modo da ridurre a zero definitivamente la corrente che circola tra i contatti: questo processo si

definisce processo di interruzione.

Il processo di interruzione si attua, come si vedrà nel seguito, con modalità differenti nel

caso di corrente continua e di corrente alternata; infatti:

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 nel caso della corrente alternata si ha che il passaggio periodico per lo zero della

corrente determina un spegnimento “naturale” dell’arco, che si può favorevolmente sfruttare; in

questo caso il principale problema da risolvere nel processo di interruzione è quello di evitare

che, una volta spento in maniera naturale, l’arco si riadeschi;

 nel caso della corrente continua, non vi è alcun passaggio naturale per zero della

corrente da poter favorevolmente sfruttare: in questo caso l’interruzione dell’arco si realizza

forzando "innaturalmente" la corrente ad annullarsi, essenzialmente aumentando la lunghezza

dell'arco.

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3 Arco elettrico
Non appena i contatti cominciano a separarsi, diminuisce la pressione di chiusura che si

esercita su di essi e la corrente passa attraverso superfici di dimensioni sempre più piccole

(praticamente le asperità superficiali, la cui estensione si modifica con la pressione di chiusura), con

la conseguenza che la resistenza elettrica offerta dai contatti al passaggio della corrente aumenta

gradualmente. Il calore sviluppato per effetto Joule aumenta a sua volta fino al punto da rendere i

contatti incandescenti; vengono così a crearsi le condizioni fisiche necessarie affinché, non appena i

contatti si separano, si adeschi tra essi un arco elettrico. Nei primi istanti questo arco è composto

prevalentemente da vapori metallici che provengono dai contatti, ma, in seguito, principalmente per

effetto termico o per collisione, esso si arricchisce di particelle ionizzate del mezzo interposto tra gli

stessi. Il successivo sviluppo dell’arco, che si ha man mano che i contatti si allontanano, è un

fenomeno molto complesso, ancora non completamente chiarito in tutti i suoi aspetti; esso dipende

da numerosi fattori, quali la natura del mezzo in cui l’arco si sviluppa, il materiale e la velocità di

allontanamento dei contatti, le caratteristiche del circuito in cui l’apparecchio è inserito, e così via.

Vi è, poi, da tenere in conto che l’arco persiste solo se il circuito in cui è inserito fornisce l’energia

sufficiente a compensare quella dissipata nell’arco stesso. L’arco nella sua lunghezza può essere

suddiviso in tre zone principali (Figura 3):

 la zona catodica;

 la colonna positiva (o plasma);

 la zona anodica.

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Fig. 3 Struttura fisica dell’arco elettrico


L’estensione delle zone catodica e anodica è ridottissima; la colonna positiva, invece,

comprende quasi tutta la lunghezza dell’arco. La zona catodica è quella a diretto contatto con

l’elettrodo a potenziale negativo (catodo), mentre quella anodica è a diretto contatto con l’elettrodo

a potenziale positivo (anodo).

Più in particolare, poi, le zone catodica e anodica si possono dividere in altre due zone: una

di transizione (raccordo) con la colonna positiva e una seconda, detta “settore della carica spaziale”,

più a diretto contatto con gli elettrodi: chiaramente la carica spaziale prospiciente l’anodo è

prevalentemente costituita da elettroni, quella prospiciente il catodo da ioni positivi.

Per quanto riguarda la colonna positiva essa è macroscopicamente neutra. Dal punto di vista

elettrico, un arco si può caratterizzare con una curva caratteristica, detta caratteristica volt-

amperometrica, nel seguito chiamata sinteticamente caratteristica dell’arco. Tale curva riporta i

valori della tensione necessari a sostenere l’arco al variare della corrente che lo percorre.

La caratteristica in regime statico, detta caratteristica statica, riporta i valori della tensione

necessari per mantenere l’arco al variare della corrente, quando, per ogni valore della corrente, si

sono raggiunte e si mantengono le condizioni di regime. Si fa riferimento, cioè, a condizioni in cui

vi è un equilibrio stabile e permanente nel tempo tra l’energia prodotta nell’arco e quella dissipata.

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La caratteristica in regime dinamico, detta caratteristica dinamica, invece, è associata a

condizioni variabili nel tempo, quali quelle che si hanno, ad esempio, quando variano, più o meno

rapidamente, i valori di corrente, di lunghezza d’arco, di raffreddamento, e così via. In queste

condizioni, nella determinazione del valore della tensione necessario a sostenere l’arco in

corrispondenza di un determinato valore di corrente, non si può prescindere dalle vicissitudini che

l’arco ha subito prima di essere percorso da quel particolare valore di corrente. Entrano cioè in

gioco e hanno un ruolo fondamentale l’inerzia termica dell’insieme “arco-elettrodi” e lo stato di

ionizzazione dello stesso; quando varia la corrente, infatti, la temperatura dell’arco e degli elettrodi

nonché lo stato di ionizzazione del mezzo presentano una inerzia per cui tendono a mantenere le

condizioni di partenza.

È importante osservare che mentre in corrente continua si fa riferimento, almeno dal punto

di vista teorico, alle caratteristiche statica e dinamica dell’arco, in corrente alternata, stante le

condizioni di variabilità nel tempo della corrente, si fa sempre riferimento alla caratteristica

dinamica dell’arco.

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ ARCO ELETTRICO’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Arco elettrico

Indice

1 CARATTERISTICA STATICA DELL’ARCO -------------------------------------------------------------------------- 3


2 CARATTERISTICA DINAMICA DELL’ARCO ----------------------------------------------------------------------- 5
3 INTERRUZIONE IN CORRENTE CONTINUA ------------------------------------------------------------------------ 8
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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1 Caratteristica statica dell’arco


In condizioni “teoriche” di stazionarietà, la caratteristica d’arco può essere rappresentata a

mezzo della legge di Ayrton, ricavata sperimentalmente e valida per archi corti e correnti continue

non molto elevate:

essendo:

 A è la caduta di tensione catodica e anodica, indipendente dalla corrente d'arco;

 B/I è la caduta di tensione catodica e anodica, dipendente dalla corrente d’arco;

 C è la caduta di tensione per unità di lunghezza della colonna positiva, indipendente

dalla corrente d’arco;

 D/I è la caduta di tensione per unità di lunghezza della colonna positiva, dipendente

dalla corrente d’arco;

 l è la lunghezza della colonna positiva, assunta coincidente, per i motivi detti in

precedenza, con la lunghezza dell’arco.

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La Figura 1 mostra una famiglia di tali caratteristiche per diversi valori di lunghezza d’arco.

Fig. 1 Caratteristica statica dell'arco per valori crescenti della lunghezza d'arco.

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2 Caratteristica dinamica dell’arco


Per i motivi illustrati in precedenza, nel seguito occorrerà distinguere tra caratteristica

dinamica in corrente continua e caratteristica dinamica in corrente alternata.

La caratteristica dinamica di un arco in corrente continua è riportata in Figura 2. Da essa si

può notare che se la corrente prima cresce (a) e poi decresce (b) la tensione d’arco assume valori

differenti; è presente, cioè, un fenomeno che prende il nome di isteresi dell’arco elettrico.

Fig. 2 Caratteristica dinamica dell’arco in corrente continua

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La caratteristica dinamica di un arco in corrente alternata è riportata nella Figura 3.

Fig. 3 Caratteristica dinamica dell’arco in corrente alternata

Si noti che sono interessati due quadranti, in quanto la corrente può assumere valori sia

positivi che negativi. La curva del primo quadrante è percorsa in corrispondenza dei valori positivi

della corrente, prima crescenti e poi decrescenti. Dualmente per quanto riguarda la curva del terzo

quadrante; anche qui è presente il fenomeno dell’isteresi dell’arco per valori di corrente crescenti e

decrescenti. I tratti di raccordo tra le curve dei due quadranti si hanno in corrispondenza degli istanti

in cui la corrente inverte il segno.

A partire dalla caratteristica d’arco della Figura 3 e assumendo che la corrente che percorre

l’arco abbia un andamento sinusoidale, si può pervenire facilmente all’andamento nel tempo della

tensione d’arco; quest'ultimo e l'andamento nel tempo della corrente sono riportati nella Figura 4.

Dall'analisi della Figura si nota che la tensione d’arco è in fase con la corrente, ed è anche per

questo che l’arco è spesso assimilato ad un conduttore dotato di sola resistenza.

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Fig. 4 Caratteristica dinamica dell’arco in corrente alternata

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3 Interruzione in corrente continua


Il processo di interruzione è il processo che riduce a zero definitivamente la corrente

nell’arco. Questo processo, come già detto, si attua con modalità diverse in corrente continua ed in

corrente alternata.

Si faccia riferimento al circuito in condizioni normali (circuito “sano”) riportato in Figura 5,

alimentato da una tensione continua E e nel quale circola, a interruttore chiuso, la corrente continua

Fig. 5 Circuito in corrente continua in condizioni di funzionamento normali.


Si supponga di comandare l’apertura dell’interruttore. All’apertura dell'interruttore consegue

un transitorio elettrico determinato dall'allungamento dell'arco e, quindi, dalla variazione nel tempo

della tensione d'arco ua; tale transitorio sarà regolato dalla equazione differenziale:

da cui si può ottenere:

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Nell’equazione così ricavata i nota subito che il segno della caduta di tensione induttiva

definisce il segno della variazione della corrente i che si vuole interrompere: se esso è positivo la

corrente aumenta, se è negativo la corrente decresce. La condizione che deve essere, quindi,

verificata affinché l'arco si estingua definitivamente è che la caduta di tensione induttiva sia

stabilmente negativa così da avere una corrente nell'arco che decresce nel tempo fino ad annullarsi.

Per comprendere in che modo la suddetta condizione può verificarsi, si assuma che la

tensione d’arco sia data, al variare di i, dalla caratteristica statica dell’arco riportata nella Figura 1.

Se l’arco raggiunge una lunghezza, ad esempio la lunghezza l2 nella Figura 7, tale da far sì che la

sua caratteristica statica giaccia tutta al di sopra della retta di carico, ovvero la retta di equazione

si ha che per ogni valore di corrente risulta

per cui la caduta di tensione induttiva è negativa e, quindi, la corrente non può che

decrescere fino ad annullarsi.

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Fig. 7 Interruzione di corrente continua in condizioni normali del circuito elettrico.


Se si osserva, poi, che la caratteristica statica dell'arco in corrente continua tende ben presto

a diventare costante al variare della corrente e che la resistenza può assumere valori variabili, anche

piccoli (si veda, ad esempio, quanto accade in condizioni anormali del circuito elettrico), la suddetta

condizione di buon fine del processo di interruzione si può anche cautelativamente enunciare

dicendo che affinché l'arco si estingua definitivamente è necessario che l’arco raggiunga una

lunghezza l2 tale che la tensione d'arco assuma, per ogni valore di corrente, valori superiori ad E

(Figura 8).

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Fig. 8 Interruzione di corrente continua in condizioni normali del circuito elettrico.

Nelle Figure 9 e 10 si riportano, rispettivamente gli andamenti nel tempo della tensione ai

capi dell’interruttore ui e della corrente durante una manovra di interruzione.

Fig. 9 Andamenti nel tempo della tensione ai capi dell'interruttore ui.

La espressione analitica della corrente nella fase successiva in cui tra i poli dell’interruttore è

presente l’arco può facilmente ricavarsi risolvendo l’equazione dell’equilibrio elettrico ai valori

istantanei valida in tale fase; essa è stata ricavata ipotizzando nella Figura 9 una tensione d’arco

costante che assume senza alcun ritardo il valore Ua* superiore ad E.

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Fig. 10 Andamenti nel tempo della corrente.

Discorso analogo vale nel caso in cui si debba interrompere la corrente continua in

condizioni di cortocircuito (Figura. 11).

Fig. 11 Circuito in corrente continua in condizioni di corto circuito


Basta osservare che la corrente di cortocircuito è limitata dalla sola resistenza R e dalla

induttanza L. L’equazione che descrive la fase dell’interruzione nel circuito di Figura 11 diventa:

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Nelle Figure 12 a) e b) si riportano, rispettivamente gli andamenti nel tempo della tensione

ai capi dell’interruttore ui e della corrente durante una manovra di interruzione in cortocircuito.

Fig. 12 Andamenti nel tempo della tensione ai capi dell'interruttore (a) e corrente (b)
L’espressione analitica della corrente nelle varie fasi può facilmente ricavarsi risolvendo le

equazioni dell’equilibrio elettrico ai valori istantanei valide nelle varie fasi che caratterizzano il

processo di interruzione. In Figura 12 a) si è ancora una volta ipotizzata una tensione d’arco

costante Ua* di valore superiore ad E. Si noti che la tensione d’arco Ua* si stabilisce all’istante t1 > 0

in cui si separano i contatti; ciò avviene con un certo ritardo rispetto all’istante t = 0 in cui è

avvenuto il cortocircuito, a seguito di inevitabili ritardi tra l’istante in cui si verifica la condizione di

guasto e l’istante in cui cominciano a separarsi i contatti dell’interruttore.

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ PROCESSO DI INTERRUZIONE’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Processo di interruzione

Indice

1 INTERRUZIONE IN CORRENTE CONTINUA ------------------------------------------------------------------------ 3


2 ENERGIA D'ARCO ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
3 INTERRUZIONE IN CORRENTE ALTERNATA --------------------------------------------------------------------- 8
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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1 Interruzione in corrente continua


Nel caso di interruzione di una corrente di cortocircuito in un circuito in corrente continua,

si può fare riferimento al circuito di Figura 1. Ad esso, corrisponde la seguente equazione

differenziale:

Fig. 1 Circuito in corrente continua in condizioni di corto circuito

La soluzione del circuito in esame è descritta graficamente in Figura 2, dove sono riportati,

rispettivamente, gli andamenti nel tempo della tensione ai capi dell’interruttore ui e della corrente

durante una manovra di interruzione in cortocircuito.

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Fig. 2 Andamenti nel tempo della tensione ai capi dell'interruttore (a) e corrente (b)

Si noti che in Figura 2.a) si è ipotizzata una tensione d’arco costante Ua* di valore superiore

ad E. Inoltre, la tensione d’arco Ua* si stabilisce all’istante t1 > 0 in cui si separano i contatti; ciò

avviene con un certo ritardo rispetto all’istante t = 0 in cui è avvenuto il cortocircuito, a seguito di

inevitabili ritardi tra l’istante in cui si verifica la condizione di guasto e l’istante in cui cominciano a

separarsi i contatti dell’interruttore.

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2 Energia d'arco
Al fine di dimostrare la criticità del processo d’interruzione, si prenda in considerazione

l'energia messa in gioco dalla presenza dell'arco, detta "energia d'arco" ( ). Essa è data da:

in cui:

 ua è la tensione d’arco;

 icc la corrente d’arco;

 ta la durata (tempo) d'arco.

Il tempo d’arco può essere osservato in Figura 2.b), dove ta=t2 – t1.

Quando è presente l’arco, vale al solito, l’equazione precedentemente ricavata:

se da essa si ricava la ua e la si sostituisce nella relazione di definizione dell’energia d’arco

( ) si ha che:

che può anche essere riscritta come

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ovvero, risolvendo il secondo integrale

L’energia dissipata durante l’interruzione di un arco in corrente continua è, quindi, somma

di due termini:

 il primo è dato dalla differenza tra l'energia fornita dall’alimentazione e quella

dissipata per effetto Joule, che dipende dall’interruttore attraverso la durata dell’arco ta:

 il secondo è indipendente dall’interruttore e proporzionale all’energia

elettromagnetica immagazzinata nel circuito all’atto dell’apertura dei contatti.

È possibile dimostrare che l'energia d'arco Wa varia, complessivamente, tra 1 e 2 volte

, per cui è evidente che limitare l’energia elettromagnetica significa limitare

complessivamente l’energia d’arco e, quindi, le difficoltà associate all’interruzione stessa. Questo

obiettivo si può conseguire (Figura 2.b) riducendo la corrente i1 attraverso una congrua riduzione

del tempo t1; questo è possibile se si impiegano interruttori i cui tempi di apertura siano quanto più

brevi è possibile (interruttori extra-rapidi).

La scelta del tempo t1 più opportuno, poi, va fatta anche in dipendenza delle caratteristiche

del circuito in cui l'interruttore è inserito, ed in particolare in funzione della costante di tempo

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Ta=L/R dello stesso. È interessante, infatti, notare che l’andamento nel tempo della corrente di

cortocircuito nell’intervallo (0, t1) (Figura 2.b), quando cioè i contatti non si sono ancora separati, e

quindi anche il valore che la corrente raggiunge all’istante t = t1 (e cioè i(t1) = i1), dipendono, tra

l’altro, anche dalla suddetta costante di tempo Ta = L/R e, quindi, dalle caratteristiche del circuito in

cui l’apparecchio è inserito: più piccola è la costante di tempo, maggiore è, a parità di t1, il valore di

i1, e viceversa. È questo il motivo per cui i costruttori di interruttori destinati ad interrompere una

corrente continua forniscono anche il valore limite della costante di tempo per cui sono garantite le

prestazioni dell’interruttore.

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3 Interruzione in corrente alternata


Il processo di interruzione in corrente alternata si presenta fondamentalmente diverso da

quello in corrente continua. Nel caso della corrente alternata, infatti, la corrente che attraversa l’arco

si annulla naturalmente ogni semiperiodo, con conseguente spegnimento dell’arco; questa

favorevole circostanza rende l’interruzione in corrente alternata, a parità di corrente, più facile di

quella in corrente continua, in cui non esiste nessun istante di passaggio naturale per zero della

corrente L’obiettivo del processo di interruzione in corrente alternata è quello di evitare che, dopo

lo spegnimento naturale dell’arco, questo si riadeschi, ripristinando così la continuità elettrica tra i

contatti.

Molteplici sono le teorie, alcune anche molto recenti, che hanno cercato di spiegare, in modo

più o meno rigoroso, il processo di interruzione in corrente alternata e, in particolare, cosa accade

negli istanti successivi allo spegnimento naturale dell’arco. Nel

seguito si farà riferimento ad una di tali teorie, detta "teoria del riadesco dielettrico

dell'arco", che, seppure non abbraccia tutti gli aspetti di dettaglio del processo di interruzione in

corrente alternata, ha il pregio di renderne immediata la comprensione.

Si analizzi cosa succede negli istanti immediatamente successivi a quando la corrente passa

per lo zero e, quindi, l’arco si spegne naturalmente. Tenendo conto del fatto che lo

spazio tra i contatti fino ad un istante prima era fortemente ionizzato per la presenza

dell’arco, si comprende che tale spazio non può ripristinare istantaneamente la sua piena rigidità

dielettrica. La ionizzazione residua che è ivi presente non scompare istantaneamente, ma tende a

decrescere gradualmente nel tempo; altrettanto gradualmente nel tempo il mezzo interposto tra i

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contatti tende a ripristinare la sua rigidità dielettrica con la conseguenza che aumenta il valore di

tensione vd necessario a

riadescare l’arco. La curva che riporta l’andamento della tensione vd al variare del tempo

(Figura 3) è detta curva di ripristino della rigidità dielettrica; lo zero dell’asse dei tempi corrisponde,

in base a quanto detto in precedenza, all’istante di spegnimento naturale dell’arco.

Fig. 3 Curve di ripristino della rigidità dielettrica.

A parità di distanza tra i contatti, quanto più rapida è l’attitudine del mezzo interposto tra i

contatti a perdere ionizzazione (o per caratteristiche proprie o per azione prodotta dall’esterno) tanto

più rapidamente crescerà nel tempo la sua rigidità dielettrica e, quindi, la tensione necessaria a

riadescare l’arco. Con l’aumentare della distanza tra i contatti, è evidente, poi, risultano ancor più

elevati i valori di tensione necessari a riadescare l’arco: la curva di ripristino della rigidità dielettrica

tenderà a spostarsi verso l’alto (Figura 4) e, quindi, nei successivi passaggi per zero della corrente si

verificano condizioni sempre più favorevoli all’estinzione dell’arco.

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Fig. 4 Curve di ripristino della rigidità dielettrica per differenti lunghezze.

È evidente che l’arco si riadescherà o meno in dipendenza dei valori di tensione che il

circuito in cui avviene l’interruzione impone ai morsetti dell'interruttore negli istanti successivi allo

spegnimento naturale dell’arco. A tale ultima tensione verrà nel seguito data la denominazione di

tensione di ristabilimento (dell'arco).

Detto vd(t) l’andamento nel tempo della tensione necessaria a riadescare l’arco e vr(t) quello

della tensione di ristabilimento, vi sarà riadesco dell'arco se esiste un istante di tempo t* tale che

(Figura 5.a):

non vi sarà riadesco dell'arco se, negli istanti successivi allo spegnimento naturale dell'arco

risulterà sempre (Figura 5.b):

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Fig. 5 Curve di ripristino della rigidità dielettrica e della tensione di ristabilimento

In conclusione, il problema dell’interruzione di una corrente alternata può essere ricondotto

allo studio dei seguenti due problemi:

 conoscere la curva di ripristino della rigidità dielettrica, che è una

caratteristica dell’interruttore (del mezzo di estinzione impiegato, della velocità di

allontanamento dei contatti, e così via);

 conoscere la curva della tensione di ristabilimento, che dipende

principalmente dalle caratteristiche del circuito in cui avviene l’interruzione, come si vedrà

in seguito.

La tensione di ristabilimento va valutata nelle differenti situazioni che si possono verificare

nella pratica, poiché l’interruttore deve essere in grado di intervenire con successo in tutti i casi

reali. Tali situazioni sono molteplici (ad esempio, cortocircuito ai morsetti dell’interruttore); esse si

ottengono dallo studio del transitorio elettrico dei circuiti equivalenti attraverso i quali è possibile

modellare i vari casi di interesse.

Si fa notare anche che la tensione di ristabilimento dipende principalmente e non

esclusivamente, come potrebbe sembrare, dalle caratteristiche del circuito; infatti, due interruttori

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diversi inseriti nello stesso circuito e sottoposti alla stessa operazione di manovra possono

presentare differenti andamenti della tensione di ristabilimento. Ciò è dovuto al fatto che la

presenza dell’interruttore altera le condizioni di funzionamento del circuito in cui esso è inserito:

l’interruttore con la sua tensione d’arco, se questa è significativa, modifica l'andamento nel tempo

della corrente; inoltre, subito dopo lo zero di corrente, esiste ancora una conducibilità residua, detta

di post-arco, che è responsabile della circolazione di una corrente di conduzione fortemente

variabile che, a sua volta, può essere causa di riadesco dell'arco per effetto termico.

L’influenza della tensione d’arco sull’andamento della corrente di cortocircuito può essere

significativa nel campo della bassa tensione. In tale ambito questo fenomeno assume una particolare

importanza in quanto viene sfruttato in alcuni tipi di interruttori che, come si vedrà meglio nel

seguito, sono detti limitatori. Tali interruttori evitano che la corrente di cortocircuito assuma valori

particolarmente elevati facendo in modo che la tensione d'arco assuma in tempi brevissimi un

valore superiore al valore massimo della tensione di alimentazione. Per comprendere tale fenomeno

si faccia riferimento alla Figura 6. In essa si è indicato con i(t) l'andamento nel tempo della corrente

di cortocircuito in assenza dell'effetto limitatore e con iL(t) il corrispondente andamento in presenza

di tale effetto; inoltre, nella stessa figura si è indicato con v(t) la tensione di alimentazione e con ua

(t) la tensione d'arco.

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Fig. 6 Effetto di limitazione della tensione d’arco.

Se l'interruttore è realizzato in modo tale che i suoi contatti cominciano ad allontanarsi in

tempi brevissimi, si avrà che la tensione d'arco ua (t) compare ai capi dei poli dell'interruttore

pochissimi istanti dopo il cortocircuito (in Figura 6 nell'istante t1); a partire da questo istante, man

mano che i poli dell'interruttore si allontanano, la tensione d'arco cresce rapidamente; nelle solite

ipotesi semplificative, essa raggiunge istantaneamente (al tempo t = t1) un valore superiore al valore

massimo della tensione di alimentazione.

A partire dall'istante t1, come può immediatamente dedursi dall'analisi dell’equazione

dell'equilibrio elettrico ai valori istantanei (per semplicità si trascuri la resistenza):

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la derivata della corrente iL(t) diventa negativa, per cui la corrente di cortocircuito tende a

diminuire fino ad annullarsi.

Come appare dalla Figura 6 la corrente di cortocircuito limitata iL(t) assume un valore

massimo decisamente inferiore al valore massimo ip che assume la corrente di cortocircuito i(t) in

assenza dell'effetto limitatore; il rapporto:

è detto rapporto di limitazione dell'interruttore.

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ INTERRUTTORE’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Interruttore

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 GRANDEZZE CARATTERISTICHE ------------------------------------------------------------------------------------- 6
3 CLASSIFICAZIONI ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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1 Introduzione
L'interruttore, il cui simbolo grafico CEI è riportato nella Figura 1, è un apparecchio

di manovra capace di:

 interrompere e stabilire correnti in un circuito sano e in un circuito guasto;

 portare correnti in un circuito sano e, per una durata determinata, in un circuito

guasto.

Fig. 1 Simbolo grafico di un interruttore

Si noti che dalla definizione, nel caso dell’interruttore sono previste tre funzioni:

 interrompere:

è la funzione che l'interruttore compie passando dalla posizione di chiuso a quella di aperto

(manovra di apertura);

 stabilire:

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è la funzione che l'interruttore compie passando dalla posizione di aperto a quella di chiuso

(manovra di chiusura);

 portare:

è la funzione che l'interruttore compie restando nella posizione di chiuso.

Per uno specifico interruttore, tali funzioni sono svolte dall'interruttore senza alcuna

limitazione nella durata o nell'entità della corrente, nel caso di un circuito sano; nel caso, invece, di

un circuito guasto, quali quelle che derivano dalla presenza di un cortocircuito, le suddette funzioni

possono essere svolte con qualche ovvia limitazione; infatti, le correnti di cortocircuito:

 possono essere interrotte o stabilite fino a determinati valori ed intervalli di tempo,

che, come si vedrà meglio nel seguito, stanno a rappresentare i limiti di buon funzionamento

dell'interruttore;

 possono essere portate solo per una durata specificata (stabilite dalle norme).

Come si evince dall’analisi delle funzioni di un interruttore, esso è caratterizzato da due

posizioni stabili di funzionamento:

 interruttore chiuso;

 interruttore aperto.

È importante notare, poi, che l'interruzione o lo stabilirsi delle correnti avviene all'interno

dell'interruttore, per cui nulla è visibile dall'esterno se non per la presenza di apposite indicazioni.

Delle complicazioni relative alla manovra di apertura gia si è trattato in precedenti lezioni. Nel

seguito, invece, sono forniti alcuni dettagli relativi alla chiusura di un circuito.

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Quando un interruttore chiude un circuito che si trovi in cortocircuito, prima che si chiudano

i contatti si stabilisce tra essi l'arco elettrico, attraverso il quale passa una corrente che può essere

molto intensa.

Le forze elettrodinamiche che conseguentemente agiscono sui contatti possono essere tali da

rallentarne la chiusura e ridurre la pressione sui contatti quando la chiusura è avvenuta. Queste

azioni fanno aumentare l'energia dissipata nell'arco per la maggiore durata dello stesso e sulla

superficie dei contatti per la minore pressione su di essi. Se gli organi di chiusura non esercitano,

quindi, forze adeguate, i contatti possono danneggiarsi o al limite incollarsi e l'apparecchio può

anche venire distrutto se l'arco è persistente.

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2 Grandezze caratteristiche
Al fine di riferire le caratteristiche dei vari interruttori ad un'unica corrente di cortocircuito,

che sia indipendente dall’interruttore stesso, si suole introdurre la corrente presunta di cortocircuito,

che è la corrente di cortocircuito che circolerebbe nel circuito, qualora l’interruttore fosse sostituito

da un collegamento di impedenza trascurabile.

L'attitudine che un interruttore ha ad interrompere una corrente di cortocircuito è, quindi,

espressa dai costruttori con riferimento alla corrente di cortocircuito presunta che è la stessa per tutti

gli interruttori in quanto non dipende dalla loro presenza nel circuito. È evidente che un discorso

analogo vale se si fa riferimento al caso in cui l'interruttore, invece di interrompere una corrente di

cortocircuito, è chiamato a stabilirla.

Le grandezze attraverso le quali il costruttore di interruttori quantizza l'attitudine di cui sopra

sono chiamate nella pratica:

 potere di interruzione o di apertura;

 potere di chiusura.

In particolare:

 il potere di interruzione è il valore efficace della più elevata componente simmetrica

della corrente di cortocircuito presunta che l'interruttore è in grado di interrompere, qualunque

sia il valore della componente unidirezionale ;

 il potere di chiusura è il valore massimo della più elevata corrente di cortocircuito

presunta che l'interruttore è in grado di stabilire.

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Si fa riferimento nel primo caso al valore efficace e nel secondo al valore massimo, perché

l’interruzione è legata all’energia associata all’arco mentre la chiusura è legata agli sforzi

elettrodinamici che si generano tra i contatti. Al fine di chiarire meglio tali definizioni, in Figura 2,

è riportato un andamento tipico delle correnti di cortocircuito.

Altre grandezze caratteristiche degli interruttori, implicitamente introdotte parlando di

apertura e chiusura di un circuito, riguardano la durata delle suddette manovre. Tra l'istante in cui

viene applicato il comando al dispositivo di apertura e l'istante in cui i contatti si allontanano e

scocca l'arco passa un intervallo di tempo, che dipende dal tempo proprio di funzionamento

dell'interruttore e da quello del dispositivo che consente l'apertura: questo intervallo di tempo è

detto tempo di apertura. L'arco, una volta adescato, dura, poi, per un certo periodo di tempo;

l'intervallo di tempo intercorrente tra gli istanti di inizio e di estinzione definitiva dell'arco viene

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chiamato durata (tempo) d'arco. L'intervallo somma del tempo di apertura e della durata d'arco è

detto tempo di interruzione.

Per quanto riguarda le operazioni di chiusura, l'intervallo di tempo tra l'istante di comando di

chiusura ed il congiungimento dei contatti in tutti i poli viene chiamato tempo di chiusura.

Con riferimento alle manovre di apertura e di chiusura, vi è anche da fare una osservazione

molto importante relativa al fatto che per eliminare i guasti transitori delle linee (cioè quelli che si

autoestinguono), che fra l'altro sono i più frequenti, è particolarmente utile dotare gli interruttori di

dispositivi ausiliari di richiusura automatica.

In caso di cortocircuito l'interruttore apre ma, poi, si richiude automaticamente dopo un

tempo di attesa brevissimo (richiusura rapida); se il guasto è transitorio questo si elimina. Se il

guasto permane, dopo una ulteriore apertura, in alcuni casi l’interruttore si richiude

automaticamente dopo un tempo di attesa maggiore (richiusura lenta). Se il guasto permane ancora

si ha una definitiva apertura. I benefici che si ottengono in termini di continuità del servizio sono

evidenti. In pratica, ad esempio negli interruttori a tensione superiore a 1 kV, i valori dei poteri di

interruzione e di chiusura così come sono stati definiti in precedenza, sono riferiti ad una sequenza

nominale di operazioni del tipo indicato, ad esempio, dalla seguente stringa:

O t CO t' CO

dove:

 O indica la manovra che porta all’interruzione della corrente

 CO indica la manovra di chiusura e apertura senza attesa

 t, t' indicano i tempi di attesa tra due manovre successive.

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La suddetta stringa si legge nel seguente modo:

 apre

 resta aperto per un intervallo pari a t

 chiude e apre senza ritardo

 resta aperto per un intervallo pari a t'

 chiude ed apre senza ritardo.

Valori tipici per t sono 0.3 s per richiusura rapida automatica e 3 minuti negli altri casi;

valori tipici per t' sono 1 minuto per gli interruttori con t = 0.3 s oppure 3 minuti.

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3 Classificazioni
Una classificazione molto importante degli interruttori è legata al tipo di dielettrico

impiegato quale mezzo di estinzione dell'arco. Tali dielettrici sono:

 l'aria a pressione atmosferica

 l'olio

 l'aria compressa

 l'esafluoruro di zolfo

 il vuoto.

Essi danno il nome agli interruttori che, pertanto, sono detti:

 interruttori in aria a pressione atmosferica;

 interruttori in olio;

 interruttori in aria compressa;

 interruttori in esafluoruro di zolfo;

 interruttori sotto vuoto.

Gli interruttori possono, poi, classificarsi anche in base al valore della tensione d'arco che si

stabilisce tra i poli durante il loro intervento. Si parla, in tal caso, di:

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 interruttori a bassa resistenza d'arco:

 la tensione d'arco è una aliquota trascurabile della tensione del sistema;

 interruttori ad alta resistenza d'arco:

 la tensione d'arco non è una aliquota trascurabile della tensione del sistema.

Negli interruttori ad alta resistenza d'arco, la tensione d’arco assume valori tali da

modificare significativamente l’andamento nel tempo delle grandezze che interessano il fenomeno

di interruzione. In questi interruttori, la tensione d’arco esercita un effetto benefico ai fini

dell’interruzione (si veda, ad esempio, quanto detto a proposito dell’effetto limitatore della tensione

d’arco nella bassa tensione) per cui è possibile impiegare, come mezzo dielettrico tra i contatti dopo

lo spegnimento naturale dell'arco stesso, un mezzo di qualità non eccelse quale l'aria. In questa

categoria di interruttori sono inclusi gli interruttori in aria a pressione atmosferica.

Negli interruttori a bassa resistenza d'arco, in cui non si hanno i benefici derivanti dalla

elevata tensione d'arco, è necessario, invece, impiegare come mezzo dielettrico tra i contatti dopo lo

spegnimento naturale dell'arco un dielettrico di buona qualità che garantisca un rapido ripristino

della rigidità dielettrica. Di questa categoria di interruttori fanno parte gli interruttori in olio, quelli

in aria compressa e quelli in esafluoruro di zolfo.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Università Telematica Pegaso Interruttore

Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ TIPOLOGIE DI INTERRUTTORI’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Tipologie di interruttori

Indice

1 INTERRUTTORI IN ARIA A PRESSIONE ATMOSFERICA ------------------------------------------------------ 3


2 INTERRUTTORI IN OLIO -------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
3 INTERRUTTORI AD ARIA COMPRESSA ----------------------------------------------------------------------------- 8
4 INTERRUTTORI IN ESAFLUORURO DI ZOLFO ------------------------------------------------------------------- 9
5 INTERRUTTORI SOTTO VUOTO--------------------------------------------------------------------------------------- 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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1 Interruttori in aria a pressione atmosferica


Negli interruttori in aria l'arco si forma e si estingue in aria a pressione atmosferica. I primi

interruttori di questo tipo sono apparsi alla fine del XIX secolo. Le tecniche di spegnimento

dell'arco impiegate a quell'epoca sono ancora oggi in uso. In Figura 1, è mostrata una

rappresentazione di un interruttore di tal tipo. Quando il contatto mobile lascia il contatto fisso,

scocca l'arco che si trasferisce per effetto termico sulle corna disposte superiormente per, poi,

traslare verso l'alto. Il conseguente aumento della lunghezza dell'arco è tale da garantire lo

spegnimento dello stesso.

Fig. 1 Interruttore in aria del 1900

Dal momento che l’aria non è un dielettrico di elevate prestazioni, l’interruttore in aria a

pressione atmosferica richiede taluni accorgimenti costruttivi atti ad aumentare la tensione d’arco.

Per rendere particolarmente elevato il valore della tensione d'arco si ricorre a particolari

accorgimenti nella costituzione delle camere di interruzione.

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Con riferimento al caso dell’interruttore limitatore riportato in Figura 2, ad esempio, sono

presenti due camere di estinzione, una superiore e l'altra inferiore, in cui i due archi, che scoccano

tra i punti1 e 2, vengono inviati per il raffreddamento e l'allungamento.

Fig. 2 Interruttore in aria limitatore per bassa tensione

In particolare, in Figura 2 sono mostrati:

 a) contatti in posizione di interruttore aperto;

 b), c) e d) fasi di separazione dei contatti.

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Gli interruttori in aria sono praticamente gli unici impiegati nei sistemi di prima categoria.

Trovano poche applicazioni nel campo dei sistemi di seconda categoria e nessuna nel campo dei

sistemi di terza categoria.

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2 Interruttori in olio
In questi interruttori l'arco si forma nell'olio che, a spese dell'energia posseduta dall'arco

stesso, si decompone e vaporizza, con produzione di prodotti carboniosi e di una considerevole

quantità di idrogeno. Quest'ultimo riveste un ruolo fondamentale nel processo di interruzione,

grazie soprattutto alla sua grande conducibilità termica dovuta alla elevata velocità delle sue

leggerissime molecole.

Negli interruttori detti in gergo a volume d'olio ridotto (VOR), il processo di interruzione

viene confinato entro camere di dimensioni ridotte, dette di interruzione, capaci di sopportare

pressioni anche elevatissime (100 - 150 bar). In Figura 3 sono riportate le fasi del processo di

interruzione in un interruttore a volume d'olio ridotto dotato di camera di interruzione a soffiaggio

assiale.

a) b) c) d)
Fig. 3 Fasi del processo di interruzione in un interruttore a volume d'olio ridotto

In Fig. 3 sono mostrate le seguenti fasi:

 a) arco non ancora formato;

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 b) formazione dell’arco;

 c) allungamento dell’arco;

 d) arco estinto.

Gli interruttori in olio trovano applicazione nel campo dei sistemi di seconda e terza

categoria; non hanno applicazione nei sistemi di prima categoria.

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3 Interruttori ad aria compressa


In questi interruttori, in generale, all'atto dell'allontanamento dei contatti, e quindi dello

scoccare dell'arco, quest'ultimo viene investito da un getto di aria compressa, che lo allunga e lo

raffredda, e che provvede a sostituire, una volta spento l'arco, l'aria ionizzata con aria non ionizzata

in pressione. In Figura 4 è riportato uno schema rappresentativo del principio di funzionamento

dell’interruttore.

a) b)
Fig. 4 principio di funzionamento dell’interruttore ad aria compressa: interruttore chiuso (a);

interruttore in fase di apertura (b)

Gli interruttori in aria compressa oggi trovano impiego molto raramente, perché sono molto

rumorosi - il che ne sconsiglia l'uso nei centri abitati - e costosi, e precisamente solo nei sistemi di

seconda e terza categoria quando sono richieste prestazioni molto spinte, ad esempio in climi molto

rigidi, anche al disotto di – 40 °C, dove si può sfruttare l'assenza di tendenza alla liquefazione

dell'aria compressa.

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4 Interruttori in esafluoruro di zolfo


Preliminarmente allo studio di tale tipologia di interruttore si riportano, sinteticamente,

alcune caratteristiche dell’esafluoruro si zolfo (SF6):

 Elevata rigidità dielettrica

o 80 kV/cm: circa tripla rispetto a quella dell’aria. Alla pressione di 3 bar la

rigidità dielettrica dell’ SF6 raggiunge quella dell’olio isolante dei trasformatori =>

dimensioni ridotte rispetto agli interruttori in aria.

 Elevato potere deionizzante

o La molecola di SF6 cattura elettroni liberi dando luogo ad uno ione pesante

negativo poco mobile

 Elevata conducibilità termica

o raffredda l’arco elettrico.

L’interruttore, una cui rappresentazione è riportata in Figura 5, si basa su una tecnica che

consiste nell’inviare un getto di esafloruro di zolfo sull’arco provocato dall’apertura dei contatti. In

Figura 6 sono riportate le fasi di apertura di un polo di un interruttore ad esafluoruro di zolfo.

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Fig. 5 Interruttori in esafluoruro di zolfo

Fig. 6 Fasi di apertura di un polo di un interruttore ad esafluoruro di zolfo

La curva di ripristino della rigidità dielettrica in tali interruttori, per i motivi citati all'inizio,

si qualifica per una ottima risposta nel caso di tensioni di ristabilimento a fronte ripido.

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Ulteriori vantaggi dell'esafloruro di zolfo risiedono nel fatto che mantiene le caratteristiche

dielettriche nel tempo e, quindi, richiede pochissima manutenzione; inoltre, ha modeste dimensioni

d'ingombro.

L’interruttore ad esafloruro di zolfo può essere:

 ad autocompressione:

quando il getto di gas sull’arco è provocato da pistoni fissati sul contatto mobile

dell’interruttore;

 ad autogenerazione di pressione (autoespansione):

quando è l’arco stesso a far aumentare la pressione all’interno della camera di estinzione e

genera il getto di gas che estingue l’arco stesso.

 I principali svantaggi di tale tipologia di interruttori sono:

 mentre l'SF6 non è tossico, i prodotti della sua decomposizione sono aggressivi

specie quando sono presenti anche minime tracce di umidità;

 a una pressione di 18 atm, l'SF6 diventa liquido alla temperatura di 14 °C, per cui se

l'interruttore funziona a questa pressione e deve essere usato all'aperto, deve essere riscaldato;

 necessità di contatti ausiliari (contatti d’arco) per preservare i contatti principali.

L’applicazione più ampia degli interruttori in SF6 sono nell’ambito della III categoria.

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5 Interruttori sotto vuoto


La camera d’interruzione di tale tipologia di interruttore è riportata in Figura 7, assieme ad

alcune caratteristiche costruttive.

a) b)
Fig. 7 Principio di funzionamento dell’interruttore sotto vuoto: interruttore chiuso (a);

interruttore in fase di apertura (b)

Il vuoto è un dielettrico ideale. L’assenza di elettroni non dovrebbe far nascere l’arco. Nella

realtà il vuoto non è assoluto e si forma un piccolo arco; l’energia sviluppata dall’arco è modesta

così come l’usura. Nelle aperture di elevate correnti si può verificare lo strappamento dell’arco con

conseguenti sovratensioni sull’impianto.

Gli interruttori sotto vuoto hanno fatto la loro prima comparsa nel campo dei sistemi di

seconda categoria e qui hanno trovato le loro principali applicazioni, inizialmente limitate dai

maggiori costi.

In conclusione, s riporta, in tabella 1, uno schema riassuntivo della applicazioni tipiche degli

interruttori di cui si è trattato in questa dispensa.

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Tabella 1: Applicazioni tipiche delle diverse tipologie di interruttori

Catego
ria
I II III
categoria categoria categoria
interru
ttore
Aria
pressione SI POCHE NO
atmosferica
Olio NO SI SI

Aria
NO POCHE POCHE
compressa
SF6 NO POCHE SI

Sotto
NO SI NO
vuoto

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ SEZIONATORI ’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Sezionatori

Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 SEZIONATORI A COLTELLI --------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 SEZIONATORI A ROTAZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------- 9
4 SEZIONATORI A PANTOGRAFO E A GINOCCHIO -------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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Università Telematica Pegaso Sezionatori

1 Generalità
Il sezionatore, il cui simbolo grafico CEI è riportato in Figura 1, è un apparecchio di

manovra capace di:

 interrompere e stabilire una corrente in un circuito sano, ma di entità trascurabile;

 portare correnti in un circuito sano e, per una durata determinata, in un circuito

guasto.

Fig. 1 Simbolo grafico CEI del sezionatore


Per quanto riguarda le correnti che il sezionatore è in grado di interrompere o stabilire, esse

devono essere di modesta entità, ad esempio quelle capacitive di isolatori, sbarre o cavi di breve

lunghezza. Per questo motivo, l'intervento di un sezionatore è preceduto o seguito, rispettivamente,

dall'intervento di un altro apparecchio di manovra, tipicamente un interruttore, in grado di rendere

di modesta entità l'intensità della corrente che il sezionatore è chiamato ad interrompere o stabilire.

Quindi:

 l’apertura di un sezionatore è preceduta dall’apertura di un interruttore;

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Università Telematica Pegaso Sezionatori

 la chiusura di un sezionatore è seguita dalla chiusura di un interruttore.

Il sezionatore, così come l'interruttore, è caratterizzato da due posizioni stabili di

funzionamento:

 sezionatore chiuso;

 sezionatore aperto.

Il principale motivo che giustifica la presenza dei sezionatori nei sistemi elettrici è legato al

fatto che ogni volta che su un componente elettrico devono eseguirsi operazioni di sostituzione o

riparazione o manutenzione è necessario avere, per ovvii motivi di sicurezza, la certezza che il

componente su cui l'operatore interviene sia isolato elettricamente dalla parte rimanente del sistema

elettrico. Questa certezza si ottiene con i sezionatori, in quanto essi, in posizione di aperto,

soddisfano le prescrizioni specificate dalle norme per la cosiddetta funzione di sezionamento.

Gli apparecchi di manovra che soddisfano le prescrizioni specificate per la funzione

di sezionamento, infatti:

 devono assicurare, nella posizione di aperto, adeguate distanze di isolamento in aria e

superficiali;

 devono essere tali da poter verificare la loro posizione di aperto in modo visibile

mediante un dispositivo indicatore affidabile.

Per quanto riguarda le distanze di isolamento, esse garantiscono che una eventuale

sovratensione che si presenta nel sistema elettrico quando il sezionatore è in posizione di

aperto non dia luogo ad una scarica tra i poli dello stesso.

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Università Telematica Pegaso Sezionatori

Per quanto riguarda la verifica della posizione di aperto, essa garantisce la certezza che il

componente su cui interviene l'operatore sia effettivamente isolato dalla parte restante del sistema

elettrico.

Esiste una ulteriore prescrizione delle norme che impone l'impiego di un particolare tipo di

sezionatore allorquando un operatore interviene su di una linea elettrica; tale prescrizione recita che

in tali casi la linea deve essere collegata a terra, sempre per motivi di sicurezza, affinché non vi

siano su di essa tensioni dovute a cariche residue o indotte.

Per ottemperare alla suddetta prescrizione vengono impiegati i sezionatori di terra, che sono

interbloccati con quelli messi in serie alla linea, onde impedire false manovre.

La Figura 2 mostra le posizioni di aperto e chiuso di due coppie di sezionatori posti alle

estremità di una generica linea, nel caso di linea in funzionamento e nel caso di intervento sulla

stessa. Un ultimo campo di impiego dei sezionatori riguarda il caso in cui si vogliano modificare

schemi di impianto al fine di ottemperare a diverse esigenze di servizio.

Fig. 2 Sezionatori di terra

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Università Telematica Pegaso Sezionatori

I sezionatori possono essere classificati, a seconda delle loro caratteristiche costruttive, in:

 sezionatori a coltelli;

 sezionatori a rotazione;

 sezionatori a pantografo;

 sezionatori a ginocchio.

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2 Sezionatori a coltelli
In Figura 3 è riportato un esempio di sezionatore a coltelli per sistemi di prima e seconda

categoria. Tale sezionatore è costituito dalla lama (coltello) 6 incernierata nel punto 4, che può

ruotare di un angolo sufficiente a garantire la distanza di isolamento; la lama è collegata al circuito

esterno 3 attraverso la cerniera 4 ed il contatto metallico 5, con il tutto sostenuto dagli isolatori 2. Il

coltello può essere manovrato con comando diretto o rinviato; quest'ultima soluzione si impiega

quando l'organo che comanda l'apertura del sezionatore non è posto in prossimità, ma ad una certa

distanza dal sezionatore stesso. In questi sezionatori, al crescere della corrente nominale, si

impiegano più lame in parallelo.

Fig. 3 Sezionatore a coltelli per impianti di prima e seconda categoria


Si fa notare che il sezionatore è montato in modo tale che la cerniera 4 risulti, a sezionatore

aperto, dal lato non in tensione. In alcuni casi i sezionatori a coltelli trovano impiego anche nei

sistemi di terza categoria. In questi sezionatori, per ogni fase, sono presenti due colonne isolanti

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portanti, una colonnina di manovra ed un coltello che, in fase di intervento, subisce un movimento

di rotazione verso l'alto.

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3 Sezionatori a rotazione
I sezionatori a rotazione possono essere a due o tre colonne.

Nei sezionatori a due colonne (Figura 5) ognuna delle colonne è dotata di movimento di

rotazione su un asse verticale e porta in sommità un semicoltello. La continuità elettrica in

posizione di chiuso si ha incernierando tra loro le due estremità dei semicoltelli. Questi sezionatori

sono detti a semplice interruzione, in quanto con essi si interrompe il circuito elettrico in cui sono

inseriti in un sol punto.

Fig. 5 Sezionatore a rotazione a due e tre colonne


Nei sezionatori a tre colonne (Figura 5) sono presenti due colonne fisse di estremità ed una

terza centrale che sostiene e fa ruotare un unico coltello secondo un movimento che si svolge in un

piano orizzontale. La continuità elettrica in posizione di chiuso si ha incernierando le due estremità

del coltello su appositi contatti disposti sulle due colonne fisse. Questi sezionatori sono detti a

doppia interruzione, in quanto con essi si interrompe il circuito elettrico in cui sono inseriti in due

punti.

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4 Sezionatori a pantografo e a ginocchio


I sezionatori a pantografo (Figura 6) presentano un sezionamento verticale e consentono

ingombri ridotti. I sezionatori a ginocchio hanno il movimento di apertura e chiusura orizzontale.

.
Fig. 6 Sezionatori a pantografo
In Figura 7.a) è descritto un sezionatore a pantografo i posizione chiuso; in Figura 7. b) è

mostrato un sezionatore a pantografo in posizione aperto.

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Università Telematica Pegaso Sezionatori

In Figura 8 è mostrato un sezionatore a ginocchio.

Fig. 7 Sezionatore a pantografo in posizione chiuso (b) e aperto (a).

Fig. 8 Sezionatore a ginocchio.


In conclusione si riportano alcune considerazioni circa le applicazioni tipiche dei sezionatori

negli impianti elettrici. I sezionatori a coltelli trovano applicazione nei sistemi di prima, seconda e

terza categoria; quelli a rotazione nei sistemi di seconda e terza categoria, quelli a pantografo e a

ginocchio nei sistemi di terza categoria. Tali considerazioni sono riassunte in tabella 1.

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Tabella 1: Applicazioni tipiche delle diverse tipologie di interruttori


Catego
ria
I II III
categoria categoria categoria
Seziona
tori
A
SI SI SI
coltelli
A
NO SI SI
rotazione
A
NO NO SI
pantografo
A
NO NO SI
ginocchio

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ INTERRUTTORI DI MANOVRA E
CONTATTORI ’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Interruttori di manovra e contattori

Indice

1 INTERRUTTORI DI MANOVRA------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 INTERRUTTORI DI MANOVRA-SEZIONATORI-------------------------------------------------------------------- 6
3 CONTATTORI ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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Università Telematica Pegaso Interruttori di manovra e contattori

1 Interruttori di manovra
Gli interruttori di manovra sono apparecchi di manovra capaci di:

 interrompere correnti in condizioni normali (incluso sovraccarico);

 stabilire correnti in condizioni normali ed anormali;

 portare correnti in condizioni normali e, per una durata limitata, in condizioni

anormali del circuito.

In sintesi, gli interruttori di manovra svolgono tutte le manovre degli interruttori tranne

quelle di interrompere le correnti di cortocircuito. In Figura 1 è mostrato il simbolo grafico CEI

dell’interruttore di manovra.

Fig. 1 Simbolo grafico CEI dell’interruttore di manora


Gli interruttori di manovra/sezionatori (IMS) (definiti nella norma CEI 17-9/1), svolgono le

stesse funzioni degli interruttori di manovra ed in più, nella posizione di aperto, soddisfano i

requisiti di sezionamento (distanza minima d’isolamento). Gli interruttori di manovra/sezionatori,

sono anche detti sezionatori sottocarico. Il loro simbolo grafico è mostrato in Figura 2.

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Fig. 2 Simbolo grafico CEI dell’interrutotre di manovra sezionatore.

Per gli IMS è possibile definire:

 potere di interruzione: valore efficace della più elevata componente simmetrica della

corrente in condizioni normali del circuito elettrico che essi sono in grado di interrompere;

 potere di chiusura: stessa definizione data per gli interruttori.

In funzione del tipo di impiego e del numero di manovre previste si suddividono nelle

seguenti classi:

 E1= interruttori di manovra per servizio continuativo con manovre frequenti;

 E2=costruiti in modo da non richiedere manutenzioni delle parti elettriche;

 E3= in grado di stabilire e interrompere più volte correnti elevate e stabilire più volte

il corto circuito;

 M1= impianti con 1000 cicli di operazioni;

 M2= impianti con 5000 cicli di operazioni.

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L’IMS (in genere di classe E3) deve avere:

 tensione nominale almeno uguale alla tensione massima del sistema

 corrente nominale almeno uguale alla corrente di intervento del relè di massima

corrente ritardato dell’interruttore in serie;

 corrente nominale di breve durata almeno uguale alla corrente presunta di

cortocircuito (trifase simmetrica) nel punto di installazione e durata almeno uguale al tempo di

interruzione della corrente di cortocircuito dei dispositivi di protezione.

 potere di stabilimento in cortocircuito almeno uguale alla massima corrente di picco

nel punto di installazione.

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2 Interruttori di manovra-sezionatori

Gli interruttori di manovra-sezionatori si classificano in base al mezzo impiegato per

l'estinzione dell'arco. Si hanno, infatti :

 interruttori di manovra-sezionatori in aria a pressione atmosferica;

 interruttori di manovra-sezionatori autopneumatici;

 interruttori di manovra-sezionatori ad autotrasformazione di gas;

 interruttori di manovra-sezionatori in esafluoruro di zolfo (SF6).

Negli interruttori di manovra-sezionatori in aria a pressione atmosferica l'interruzione

dell'arco è ottenuta sfruttando tutti gli accorgimenti che portano ad un allungamento e

raffreddamento dell'arco (contatti a corna, soffio magnetico, etc.). In Figura 3 ne è riportato un

esempio che, per la sua configurazione, è detto "a corna" e che viene impiegato in Italia nelle linee

elettriche presenti nei sistemi di seconda categoria.

Questi apparecchi sono dotati di due terne di isolatori che sono di amarro per la linea che si

vuole sezionare; esiste, poi, una terza terna di isolatori, quella centrale, la cui rotazione determina

l'apertura o chiusura dell'apparecchio: quando, infatti, la terna centrale è ruotata verso sinistra

l'interruttore di manovra-sezionatore è in posizione di chiuso, mentre quando essa è ruotata verso

destra l'interruttore di manovra-sezionatore è in posizione di aperto.

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Fig. 3 IMS in aria a pressione atmosferica.


Negli interruttori di manovra-sezionatori ad autotrasformazione di gas (Figura 4) l'estinzione

dell'arco avviene entro camere di materiale speciale che, a contatto dell'arco, emettono un gas che

deionizza l'arco stesso.

Fig. 4 IMS ad autotrasformazione di gas


Negli interruttori di manovra-sezionatori autopneumatici all'atto dell'allontanamento del

contatto mobile da quello fisso scocca l'arco, che viene investito da un soffio d'aria compressa che

defluisce violentemente lungo lo stesso investendolo assialmente, allungandolo e raffreddandolo.

L'aria compressa viene ottenuta da un pistone che si aziona all'atto dell'apertura dell'apparecchio.

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Negli interruttori di manovra-sezionatori in SF6 viene impiegato quale mezzo di estinzione

dell'arco e di isolamento tra le parti a differente tensione l'SF6. Per i motivi già evidenziati nel caso

degli analoghi interruttori, con tali apparecchi si realizzano soluzioni estremamente compatte.

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3 Contattori
I contattori sono apparecchi di manovra capaci di interrompere, stabilire e portare correnti in

condizioni normali del circuito elettrico, incluse, quindi, specificate condizioni di sovraccarico.

I contattori hanno una sola posizione di riposo, generalmente quella di aperto, e passano

nell'altra posizione solo grazie ad una azione di comando non manuale, mantenuta da una sorgente

di energia ausiliaria. Il simbolo grafico CEI del contattore è riportato in Figura 5.

Fig. 5 Simbolo grafico CEI del contattore

Per i contattori è possibile definire solo dei valori limite di corrente che sono in grado di

interrompere e di stabilire in un circuito sano.

Non essendo i contattori in grado di interrompere o stabilire correnti di cortocircuito, per le

suddette grandezze si fa riferimento al valore efficace della più elevata corrente in condizioni

normali del circuito elettrico che essi sono in grado di interrompere o stabilire.

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I contattori vengono impiegati prevalentemente per il comando di dispositivi utilizzatori

dell'energia elettrica, inoltre, possono essere facilmente telecomandati, il che li rende molto utili nel

comando a distanza, ad esempio:

 motori;

 condensatori;

 reostati;

 lampade.

I contattori sono capaci di eseguire un elevato numero di manovre senza usurarsi. Essi sono

classificati in base alle caratteristiche costruttive:

 contattori elettromagnetici;

 contattori pneumatici;

 contattori elettropneumatici;

 contattori sotto vuoto;

 contattori a semiconduttori.

Nei contattori elettromagnetici (Figura 6), la forza per la chiusura dei contatti normalmente

aperti è fornita da un elettromagnete, costituito da un nucleo fisso (1), da una ancora mobile (3) e da

una bobina (2).

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Fig. 6 Contattore elettromagnetico.

Quando la bobina non è percorsa da corrente, l'ancora mobile è spostata verso destra e la

molla di rimando (7) tiene il contatto mobile (4) lontano da quello fisso (5): il contattore è in

posizione di aperto.

Quando la bobina è percorsa da corrente si ha lo spostamento per attrazione dell'ancora

mobile (3) verso sinistra, con la conseguente chiusura del contatto mobile su quello fisso: il

contattore passa in posizione di chiuso e permane in tale posizione fino a quando la bobina è

percorsa da corrente.

Nei contattori pneumatici la forza per la chiusura dei contatti normalmente aperti o per

l'apertura di quelli normalmente chiusi è fornita da un dispositivo che utilizza aria compressa, senza

l'impiego di dispositivi elettrici.

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Nei contattori elettropneumatici la forza per la chiusura dei contatti normalmente aperti o

per l'apertura di quelli normalmente chiusi è fornita da un dispositivo che utilizza aria compressa e

che è comandato da valvole azionate elettricamente.

Nei contattori sotto vuoto (Figura 7) i contatti principali aprono e chiudono entro un

involucro sotto vuoto. In questi contattori la forza per la chiusura dei contatti normalmente aperti o

per l'apertura di quelli normalmente chiusi è fornita da un elettromagnete. I contattori sotto vuoto,

così come gli analoghi interruttori, trovano impiego nei sistemi di seconda categoria.

Fig. 7 Contattori sotto vuoto

I contattori a semiconduttori (Figura 8) impiegano componenti a semiconduttore per

interrompere o stabilire corrente.

Fig. 8 Contattore a semiconduttore

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Ad esempio, nel contattore riportato in Figura 8 sono presenti due tiristori in antiparallelo

che connettono o sconnettono il carico dalla linea; in particolare, il circuito di controllo comanda

l'accensione o meno della coppia di tiristori del circuito di potenza a seconda che si voglia o meno

collegare il carico alla linea.

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ FUSIBILI’’

PROF. FABIO MOTTOLA


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Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO -------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 FASI DI FUNZIONAMENTO ---------------------------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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1 Generalità
Il fusibile è un apparecchio in grado di interrompere le correnti di sovraccarico e di

cortocircuito. Mediante la fusione di una sua parte, interrompe automaticamente la corrente nel

circuito in cui è inserito quando questa supera un determinato valore per una durata sufficiente. Il

simbolo grafico CEI è riportato in Figura 1.

Fig. 1 Simbolo grafico CEI del fusibile.

In Figura 2, sono mostrati alcuni tipici fusibili per sistemi di I categoria; in Figura 3, quelli
per sistemi di II e III categoria.

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Fig. 2 Fusibili per sistemi di I categoria

Fig. 3 Fusibili per sistemi di II e III categoria

Le parti costituenti un fusibile sono rappresentate in Figura 4.a). Il fusibile presenta

caratteristiche costruttive e un principio di funzionamento completamente diversi da quelli degli

altri apparecchi di manovra. In esso, infatti, non sono presenti i contatti, fisso e mobile, che

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allontanandosi determinano l'interruzione della corrente; è, invece, presente una "parte sottile"

(Figura 4.b), detta elemento fusibile, che è costituita da uno o più conduttori a forma di filo o di

nastro, e che, fondendo, determina l'interruzione della corrente, secondo un meccanismo che si

analizzerà in dettaglio nel seguito. È evidente che, affinché l'elemento fusibile fonda è necessario

che entri in gioco una opportuna quantità di energia termica; questo è il motivo per cui, nella

definizione di fusibile precedentemente data, compare esplicitamente il fatto che la corrente che

percorre il circuito può essere interrotta solo se supera un determinato valore per una durata

sufficiente.

(a)

(b)
Fig. 4 Rappresentazione schematica fusibile (a) e dell’elemento fusibile (b)
Poiché l'intervento del fusibile è legato alla fusione di una sua parte (l'elemento fusibile) e

poiché il processo di fusione è irreversibile, ne consegue che il fusibile, una volta intervenuto, va

sostituito: questo è il suo principale inconveniente.

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Si noti che è, a questo punto, necessario studiare il principio di funzionamento dei fusibili

poiché, per quanto evidenziato in precedenza, esso si discosta sostanzialmente da quello degli altri

apparecchi di manovra; lo studio, poi, delle curve caratteristiche è indispensabile al progettista, in

quanto esse forniscono informazioni indispensabili quando si vuole inserire un fusibile in un

impianto elettrico.

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2 Principio di funzionamento
Per comprendere il principio di funzionamento di un fusibile si faccia riferimento, a titolo di

esempio e per chiarezza di esposizione, alla Figura 5, in cui è rappresentato schematicamente un

particolare tipo di fusibile, detto a cartuccia; si farà riferimento a questo tipo di fusibile in quanto è

quello di gran lunga più diffuso e, comunque, il suo studio consente di porre in evidenza i principali

fenomeni che interessano il funzionamento di tutti i fusibili.

Nel fusibile a cartuccia, l'elemento fusibile - che è una sottile lama di argento o rame dotata,

in genere dotato di di strozzature - è circondato da materiale di spegnimento granuloso (in genere

silicio); il tutto è incorporato in un involucro di ceramica chiuso all'estremità da due contatti

metallici, destinati alla connessione elettrica del fusibile al circuito esterno. Quando il fusibile è

percorso da una corrente superiore ad un valore prefissato per una durata sufficiente, la temperatura

in alcune parti dell'elemento fusibile (Figura 5), nel caso in esame in corrispondenza delle sue

strozzature, cresce fino a raggiungere la temperatura di fusione, con la conseguenza che l'elemento

fusibile inizia a fondere e, poi, a evaporare secondo un processo che è chiaramente irreversibile.

Fig. 5 Fusibile a cartuccia

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Il periodo che va dall'inizio della sovracorrente all'istante in cui cominciano a scoccare i

primi archi (AN nella figura 6.a), prende il nome di fase di pre-arco.

Fig. 6 Fasi di funzionamento di un fusibile a cartuccia

Successivamente, con il progredire della fusione e della evaporazione all'intero elemento

fusibile, si ha la nascita di un unico arco generalizzato a tutto l'elemento (AG nella Figura 6.b). Il

periodo che va dall'istante in cui scocca il primo arco all'estinzione definitiva dell'arco

generalizzato, prende il nome di fase d'arco. In questa fase assume un ruolo fondamentale la sabbia

che circonda l'elemento fusibile, in quanto essa assorbe la maggior parte dell'energia termica

prodotta dall'arco e lo fraziona, provocandone rapidamente lo spegnimento.

Una volta estinto l'arco, circola nel fusibile, attraverso la massa di sabbia fusa e di residui

metallici dell'elemento fusibile, una debole corrente di conduzione che, dopo pochi istanti, cessa di

circolare. Il periodo interessato da tale fenomeno è detto fase di post-arco.

In conclusione, le varie fasi che interessano il funzionamento di un fusibile, che saranno

esaminate più in dettaglio nel seguito, sono:

 fase di pre-arco;

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 fase d'arco;

 fase di post-arco.

La fase di pre-arco ha una durata detta, appunto, di pre-arco, quella d'arco ha una durata

detta d'arco; la somma delle durate di pre-arco e d'arco è detta durata di funzionamento o di

interruzione. In Figura 7 è riportato uno schema di sintesi delle durate delle varie fasi di

funzionamento di un fusibile.

Fig. 7 Schema di sintesi delle durate delle varie fasi di funzionamento di un fusibile.

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3 Fasi di funzionamento
Durante la fase di pre-arco, si ha in successione:

 il riscaldamento dell'elemento fusibile e delle sue strozzature fino a raggiungere la

temperatura di fusione;

 la fusione;

 il riscaldamento fino a raggiungere la temperatura di evaporazione;

 l'evaporazione.

In questa fase la caduta di tensione ai capi del fusibile si mantiene molto bassa e l'andamento

nel tempo della corrente non subisce modifiche per la presenza del fusibile.

Quando l'intensità della sovracorrente non è molto elevata, il suindicato processo non si può

considerare adiabatico e l'elemento fusibile trasmette calore per conduzione, longitudinalmente

verso i conduttori propriamente detti cui il fusibile è posto in serie e trasversalmente verso il mezzo

in cui l'elemento fusibile è immerso. In questi casi la durata di pre-arco è significativa ed è tanto più

elevata quanto minore è il valore della sovracorrente che interessa il fusibile.

Quando, invece, la sovracorrente comincia a diventare sufficientemente elevata il fenomeno

si svolge in un intervallo di tempo tanto breve da poter considerare trascurabile la quantità di calore

trasmessa ai conduttori o al mezzo circostante e si ha, quindi, un riscaldamento adiabatico

dell'intero elemento fusibile. In tali condizioni si dimostra che l'integrale:

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non dipende dall'andamento nel tempo della corrente di cortocircuito, ma è una costante

peculiare del fusibile; al coefficiente K2 si dà, impropriamente, il nome di costante di fusione.

La fase d'arco ha inizio, come già detto, nell'istante in cui compare il primo arco elettrico ed

ha fine allorquando l'arco generalizzato si estingue. In questa fase è presente ai capi del fusibile la

tensione d'arco, che svolge una chiara azione limitatrice della corrente.

L'azione limitatrice della corrente da parte della tensione d'arco è particolarmente utile nel

caso di interruzione di correnti di cortocircuito. Se, infatti, la tensione d'arco assume valori

sufficientemente elevati (maggiori del valore massimo della tensione di alimentazione), essa

impedisce, in modo del tutto analogo a quanto accade negli interruttori limitatori, che la corrente di

cortocircuito raggiunga il valore massimo della corrente di cortocircuito presunta. In Figura 8, dove

si è rappresentato l’effetto limitatore della corrente di cortocircuito da parte di un fusibile, si è

indicato con ta la durata d'arco e con tt la durata di interruzione.

Fig. 8 Effetto limitatore della corrente di cortocircuito da parte di un fusibile


È interessante osservare sin d'ora che nel caso di sovracorrenti di elevato valore la durata di

pre-arco e la durata d'arco sono dello stesso ordine di grandezza. Nel caso, invece, di interruzione di

sovracorrenti di valore non elevato, poiché la durata di pre-arco assume valori decisamente più

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elevati mentre quella d'arco rimane dell’ordine della decina di ms, si ha che la durata di pre-arco è

notevolmente più grande di quella d'arco.

Nella fase d'arco riveste un ruolo fondamentale la sabbia che circonda l'elemento fusibile.

Essa, infatti:

 assorbe la maggior parte dell'energia termica prodotta dall'arco durante l'interruzione

e lo fraziona fortemente, contribuendo così in modo determinante alla sua estinzione;

 forma uno schermo, nei riguardi dell'involucro della cartuccia, limitando effetti

termici e meccanici dell'arco;

 costituisce, grazie alla sua porosità, un mezzo di dispersione controllata del metallo

vaporizzato dell'elemento fusibile, il che facilita la perdita di continuità elettrica del canale

liquido che si crea a seguito della fusione dell'elemento fusibile.

Una volta estinto l'arco, è presente nel fusibile una miscela di sabbia fusa mescolata a vapore

metallico, che ha una proprietà particolarmente utile nella fase di post-arco: essa possiede una

conducibilità a caldo non trascurabile, il che permette di far circolare attraverso il fusibile, una volta

che si è estinto l'arco, una debole corrente di conduzione.

Questa corrente residua è giovevole, in quanto, nei primi istanti successivi allo spegnimento

dell'arco, limita la tensione di ristabilimento che compare ai capi del fusibile.

La stessa miscela ha un'ulteriore proprietà fondamentale utile nella fase immediatamente

successiva a quella di circolazione della piccola corrente di conduzione. Essa, infatti, ha un elevato

valore di resistenza a freddo (di svariati ordini di grandezza superiore del valore a caldo), per cui

quando la miscela si raffredda, la debole corrente di conduzione si annulla immediatamente e

termina, quindi, in maniera definitiva il processo di interruzione del fusibile.

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Università Telematica Pegaso Fusibili

Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ UTILIZZO DEI FUSIBILI’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Utilizzo dei fusibili

Indice

1 CURVE CARATTERISTICHE DI FUNZIONAMENTO ------------------------------------------------------------- 3


2 CLASSIFICAZIONE ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
3 FUSIBILI ED INTERRUTTORI------------------------------------------------------------------------------------------- 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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1 Curve caratteristiche di funzionamento


Preliminarmente allo studio delle curve caratteristiche di funzionamento dei fusibili, si riportano

alcune grandezze tipiche dei fusibili:

 tensione nominale: tensione più alta alla quale il fusibile può essere utilizzato;

 corrente nominale: corrente che il fusibile può portare in modo continuativo;

 massima corrente di interruzione nominale: massima corrente che l’elemento

fusibile è in grado di interrompere in condizioni di prova specificate;

 minima corrente di interruzione nominale: minima corrente che la cartuccia è

in grado di interrompere in condizioni di prova specificate.

Nel caso dei fusibili, le grandezze che si è interessati a conoscere sono:

 le durate, o più semplicemente i tempi, di pre-arco tp e di funzionamento

tt=tp+ta;

 il valore di picco della corrente limitata ;

 gli integrali di Joule, detti nel gergo usuale sinteticamente nella fase di pre-

arco e nell'intero periodo di funzionamento:

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Università Telematica Pegaso Utilizzo dei fusibili

Si osservi che tra le varie grandezze di interesse citate mancano il tempo d'arco e l'integrale

di Joule relativo alla fase d'arco, in quanto esse possono ricavarsi, per differenza, una volta noti,

rispettivamente, i tempi di pre-arco e di funzionamento nonché gli integrali corrispondenti.

A ciascuna delle grandezze da prendere in considerazione viene associata una diversa curva

caratteristica del fusibile fornita dal costruttore; in particolare, queste curve caratteristiche prendono

il nome di:

 caratteristiche tempo/corrente, se relative ai tempi di pre-arco ed ai tempi di

funzionamento;

 caratteristica di limitazione, se relativa al valore di picco della corrente

limitata;

 caratteristiche , se relative agli integrali di Joule di pre-arco e di

funzionamento.

Le suddette caratteristiche riportano l'andamento delle varie grandezze citate in precedenza

in funzione del valore efficace Icp della componente simmetrica della corrente di cortocircuito

presunta. I motivi per i quali si fa riferimento alla corrente di cortocircuito presunta sono gli stessi

per cui essa è stata introdotta nella definizione del potere di apertura e di chiusura degli interruttori.

La Figura 1 mostra gli andamenti dei tempi di pre-arco (tp) e di funzionamento (tt=tp+ta) in

funzione del rapporto:

α=Icp/In

dove Icp è il valore efficace della componente simmetrica della corrente di cortocircuito

presunta e In è la corrente nominale del fusibile.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Fig. 1 Curva tempo/corrente dei fusibili

È interessante notare dalla Figura 1 che, per valori di α non molto elevati (ovvero per valori

efficaci della componente simmetrica di corto circuito presunta, rapportata alla corrente nominale

del fusibile), a cui corrispondono sovracorrenti di intensità limitata, le due caratteristiche

coincidono: in questa zona, infatti, i tempi di pre-arco (tp), per quanto detto in precedenza, sono

molto lunghi mentre quelli d'arco (ta) sono bassi (al più una decina di ms), per cui:

tt=tp+ta≈ tp

Al crescere di α, e quindi al crescere della sovracorrente, le due caratteristiche si separano

fino a che, per valori elevati di α, il tempo di pre-arco diventa molto piccolo e dello stesso ordine di

grandezza del tempo d'arco; in questa zona, è fondamentale per lo studio della selettività, è molto

importante tenere i due tempi ben separati tra loro.

Un’altra curva caratteristica molto importante nella scelta dei fusibili è la caratteristica di

limitazione di un fusibile. Essa riporta il valore di picco della corrente limitata îL in funzione di Icp

o di α. In Figura 2 è riportata tale caratteristica, per differenti valori della corrente nominale, di un

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tipico fusibile utilizzato nei sistemi di prima categoria. Per ciascun valore nominale, la curva riporta

il valore di picco della corrente limitata (asse delle ordinate) in funzione del valore efficace della

corrente di cortocircuito presunta.

Fig. 2 Caratteristica di limitazione

Si noti, inoltre, che le due rette riportate in Figura 2 permettono di ricavare i valori di picco

della corrente di cortocircuito non limitata, sia in presenza che in assenza della componente

unidirezionale.

Altra curva caratteristica dei fusibili è la caratteristica I2t che possono essere riferite, come

già detto, alla fase di pre-arco e a quella di interruzione.

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Nel primo caso (Fig. 3), la caratteristica si presenta, al crescere della corrente di

cortocircuito presunta, praticamente costante per i motivi già evidenziati; al decrescere della

corrente, non essendo il fenomeno adiabatico, assume valori crescenti per effetto degli scambi di

calore tra l’elemento fusibile e tutto ciò che lo circonda.

Fig. 3 Caratteristica I2t di pre-arco

Nel caso dell'integrale di Joule di funzionamento, il suo andamento è variabile a seconda del

tipo di fusibile; nella Figura 4 è riportato il suo andamento nel caso di fusibili speciali.

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Fig. 4 Caratteristica I2t di funzionamento

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2 Classificazione
La classificazione dei fusibili può avvenire in base:

 alla tensione;

 alle caratteristiche del fusibile;

 alla costruzione.

La classificazione in base alla tensione prevede:

 Fusibili a tensione non superiore a 1000 V in c.a. e 1500 V in c.c.

(adatti per sistemi di I categoria)

 Fusibili a tensione superiore a 1000 V (adatti per sistemi di II categoria)

La classificazione in base alle caratteristiche d’intervento prevede:

 A bassa capacità di rottura BCR;

 Ad alta capacità di rottura ACR;

 Ritardati;

 Extrarapidi.

La classificazione in base alle caratteristiche costruttive prevede:

 a cartuccia;

 a liquido;

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 a soffiaggio.

Nelle applicazioni pratiche di nostro interesse, un’altra importante classificazione è la

seguente:

 Fusibili a pieno campo (cartucce ‘g’)

sono in grado di interrompere, in condizioni specificate dalle norme, tutte le correnti che

provocano la fusione dell'elemento fusibile fino al loro potere di interruzione, che è definito in

modo analogo a quanto fatto per gli interruttori; (sovraccarico e cortocircuito)

 Fusibili a campo ridotto (cartucce ‘a’)

sono in grado di interrompere, in condizioni specificate dalle norme, tutte le correnti

comprese tra la corrente K2In (con K2>1) e la corrente corrispondente al potere di interruzione

(cortocircuiti).

In Figura 5 è riportata la caratteristica tempo/corrente dei due fusibili in oggetto.

Fig. 5 Curva caratteristica tempo/corrente dei fusibili a a pieno campo e a campo ridotto

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E’ d’uso comune, poi, aggiungere, nella sigla dei fusibili una seconda lettera identificativa

deve essere maiuscola e indicare la categoria di utilizzazione:

 gC potere di interruzione a pieno campo per uso generale

 gM potere di interruzione a pieno campo per la protezione dei circuiti

di motore

 aM potere di interruzione a campo ridotto per la protezione dei circuiti

di motore

 gN cartucce con potere di interruzione a pieno campo non ritardate

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3 Fusibili ed interruttori
Un confronto tra fusibili ed interruttori permette di fare interessanti considerazioni che

delimitano i rispettivi campi di impiego.

I vantaggi fondamentali dei fusibili sono:

 il basso costo;

 il limitato spazio che essi occupano;

 il potere di interruzione che può ritenersi praticamente illimitato per le

esigenze di protezione degli impianti di prima categoria;

 la sicurezza di intervento in caso di cortocircuito, in quanto l'interruttore

automatico può non garantire l'intervento se non è curata nel tempo la manutenzione.

I maggiori svantaggi dei fusibili sono i seguenti:

 è sempre necessario avere a disposizione fusibili di ricambio.

 nei circuiti trifasi può fondere il fusibile in una sola fase a seguito di un

guasto monofase; il circuito resta allora alimentato sulle altre due fasi: tale situazione è

indesiderata. Ad esempio, nel caso di linee che alimentano motori, a seguito

dell’alimentazione con una fase mancante, si sovraccaricano fortemente gli avvolgimenti;

 il fusibile apre solo sovracorrenti, per cui debbono essere abbinati con altri

apparecchi separati, capaci di eseguire le altre manovre.

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Al fine di sfruttare i vantaggi dei fusibili e, allo stesso tempo superare gli svantaggi derivanti

dal loro utilizzo, tipicamente i fusibili vengono associati ad altri apparecchi di manovra in grado di

svolgere le funzioni complementari. In Tabella 1 è riportata una sintesi di applicazioni che

tipicamente vengono utilizzate nella pratica comune.

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ RELE’ ’’

PROF. FABIO MOTTOLA


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Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 RELÈ ELETTROMECCANICI -------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 RELÈ TERMICI -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
4 RELÈ STATICI --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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1 Generalità
Il verificarsi di condizioni di funzionamento anormali in un sistema elettrico potrebbe avere

conseguenze anche gravissime qualora non si intervenisse tempestivamente; ad esempio, nel caso di

un cortocircuito, vi sarebbero sopraelevazioni di temperatura inammissibili, ingenti sforzi

elettrodinamici, abbassamenti di tensione, e così via. È, quindi, indispensabile che siano presenti

sistemi di protezione, capaci di avvertire la presenza di tali condizioni e di renderne possibile la

tempestiva eliminazione.

Gli apparecchi di manovra non hanno in sè la capacità di percepire la presenza della

condizione anormale di funzionamento; essi, infatti, pur essendo capaci di effettuare la “manovra”

di interruzione della corrente, non hanno in sè alcun elemento che li comandi ad effettuare tale

manovra. In poche parole, gli apparecchi di manovra non sono in grado, da soli, di svolgere la

funzione completa di protezione se ad essi non si associa un altro componente capace di percepire la

presenza di una condizione di funzionamento anormale e di comandare, di conseguenza,

l’apparecchio di manovra stesso all’intervento.

Il relè è il componente del sistema elettrico capace di percepire la presenza di una

condizione anormale di funzionamento e di comandare, di conseguenza, l’apparecchio di manovra

stesso all’intervento. Il relè costituisce l'elemento sensibile del sistema di protezione: il suo compito

è di tenere sotto controllo una grandezza indicativa delle condizioni di funzionamento del sistema e

di comandare all’intervento un opportuno apparecchio di manovra quando tale grandezza assume

valori al di fuori dei valori ammissibili. In Figura 1 è riportato il simbolo grafico CEI del relè,

dove, al simbolo ‘*’, va sostituito il simbolo caratteristico di uno specifico relè.

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Fig. 1 Simbolo grafico del relè

Alcuni esempi di relè ed il relativo simbolo che sostituisce ‘*’ in Fig. 1 sono:

 Massima corrente: I> (norme CEI) o 51 (norme ANSI)

 Minima impedenza: Z< (norme CEI) o 21 (norme ANSI)

 Minima tensione: U< (norme CEI) o 27 (norme ANSI)

I relè possono essere classificati in base al tempo di intervento o in base alle caratteristiche

costruttive, come sintetizzato in Figura 2.

classificazione relè

tempo di intervento caratteristiche costruttive

istantanei elettromeccanici termici statici


ritardati

elettromagnetici lamina bimetallica elettronici


tempo dipendente
magnetoelettrici termo coppia microprocessore
tempo indipendente
induzione resistenza
immagine termica
Fig. 2 Classificazione dei relè

La classificazione in base al tempo di intervento fa riferimento all'intervallo che intercorre

tra l'istante in cui la grandezza controllata supera un valore di riferimento e l'istante in cui viene

inviato il segnale ai circuiti comandati dal relè. In base ai valori che assume il tempo di intervento si

hanno:

 relè ad azione istantanea;

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 relè ad azione ritardata.

Nei relè ad azione istantanea il tempo di intervento è praticamente nullo, ad esempio 15 ms.

Nei relè ad azione ritardata è presente un ritardo più o meno lungo; essi sono a loro volta

distinti in relè:

 a tempo dipendente, in cui il tempo di intervento è inversamente

proporzionale all'entità della grandezza controllata;

 a tempo indipendente, in cui il tempo di intervento è fisso e non dipende

dall'entità della grandezza controllata.

A ciascun tipo di relè si associa una diversa caratteristica di intervento che riporta

l’andamento del tempo di intervento del relè in funzione della generica grandezza Y cui il relè è

sensibile. In Figura 3, sono riportati gli andamenti qualitativi di alcuni tipiche caratteristiche di

intervento.

Fig. 3 Andamento qualitativo di alcune tipiche caratteristiche di intervento

In Figura 3, Yo è il valore al di sopra del quale il relè deve comunque intervenire e

rappresenta, quindi, il valore di taratura o valore di soglia di intervento del relè.

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I relè possono essere classificati, in base alle caratteristiche costruttive, in relè di:

 tipo elettromeccanico, il cui funzionamento avviene attraverso lo spostamento

relativo di elementi meccanici sotto l'azione di forze generate da correnti elettriche

proporzionali alle grandezze da controllare;

 tipo termico, il cui funzionamento è legato alle variazioni di temperatura;

 tipo statico, il cui funzionamento avviene con l’ausilio di circuiti elettronici di tipo

analogico e/o digitale.

Per ciascuna delle categorie sopra evidenziate, si individuano, poi, specifiche famiglie di

relè.

 I relè elettromeccanici si possono dividere, a loro volta, in:

 elettromagnetici

 magnetoelettrici

 ad induzione

 I relè termici si possono dividere, a loro volta, in:

 a lamina bimetallica

 a termocoppia

 a resistenza

 ad immagine termica

 I relè statici si possono dividere, a loro volta, in:

 di tipo elettronico

 di tipo a microprocessore

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2 Relè elettromeccanici
I relè elettromeccanici si possono dividere, a loro volta, in:

 elettromagnetici;

 magnetoelettrici;

 ad induzione.

Il relè elettromeccanico è intrinsecamente un relè ad azione istantanea. Sfruttando il

principio di funzionamento si possono realizzare relè sensibili a qualsiasi grandezza elettrica:

 tensione (relè voltmetrici)

 corrente (relè amperometrici)

 potenza attiva (relè wattmetrici)

 potenza reattiva (relè varmetrici)

Nei relè elettromagnetici è sempre presente un elettromagnete (Figura 4).

Circuiti comandati
dal relè

fig. 4 relè elettromagnetico

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Quando circola corrente nell’avvolgimento dell’elettromagnete si produce nel circuito

formato dal nucleo, dal traferro e dall’armatura mobile un flusso. L’armatura mobile diviene,

pertanto, sede di una forza di attrazione Fm

Il modulo della forza Fm è proporzionale al quadrato del valore efficace del flusso al traferro.

A tale forza si oppone una forza resistente Fr esercitata da una molla antagonista: se la forza di

attrazione è maggiore della forza resistente, l’armatura mobile si sposta verso l’alto e viene data

continuità elettrica tra i contatti fissi attraverso il contatto mobile.

Per ottenere un relè ad azione ritardata a tempo indipendente la parte mobile mette in

funzione un dispositivo di temporizzazione che interviene con il ritardo desiderato. Per ottenere un

relè ad azione ritardata a tempo dipendente, si agisce, invece, sul tempo richiesto al compimento

della corsa dell'armatura mobile con un adeguato dispositivo smorzatore.

I relè ad induzione sono in genere costituiti da un leggero disco di rame o di alluminio

girevole montato tra le espansioni di due elettromagneti le cui bobine sono opportunamente inserite

nel circuito che si vuole proteggere (Figura 5).

Fig. 5 Relè ad induzione

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Gli avvolgimenti del relè sono alimentati in corrente alternata e creano due flussi che

inducono correnti nel disco. L'interazione tra queste correnti ed i flussi che le hanno generate dà

luogo ad una coppia elettromagnetica risultante (Cm). Se consideriamo la coppia resistente fornita

dalla molle (Cr), l’equilibrio del relè è data da dall’eguaglianza Cm=Cr. Diversamente, il disco tende

a ruotare e l'equipaggio mobile ad esso solidale può determinare la chiusura di contatti all’uopo

predisposti. Si noti che la rotazione del disco è determinata da una coppia proporzionale al prodotto

tensione, corrente e al loro sfasamento: tale relè, quindi, è sensibile sia alla potenza attiva che

reattiva.

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3 Relè termici
I relè termici sono intrinsecamente dei relè ad azione ritardata a tempo dipendente:

intervengono quando la grandezza controllata supera il valore di taratura, con un ritardo che è

inversamente proporzionale all'entità di tale grandezza (Figura 6). Poiché la temperatura è in genere

strettamente correlata alla corrente che interessa il componente protetto, la grandezza elettrica che

viene controllata dai relè termici è la corrente.

Fig. 6 Caratteristica di intervento di un relè termico

I relè termici si possono dividere, a loro volta, in:

 a lamina bimetallica;

 a termocoppia;

 a resistenza;

 ad immagine termica.

Nei relè a lamina bimetallica è presente una lamina bimetallica che si incurva quando viene

riscaldata chiudendo o aprendo dei contatti fissi. Il riscaldamento della lamina bimetallica può

avvenire:

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 direttamente quando la corrente attraversa la lamina bimetallica stessa (Figura 7);

 indirettamente quando è un altro elemento ad essere sede di generazione di calore

(Figura 8).

Fig. 7 Relè a lamina bimetallica ad azione diretta

Fig. 8 Relè a lamina bimetallica ad azione indiretta

La lamina bimetalica è costituita da due lamine metalliche a diverso coefficiente di

dilatazione. Durante il riscaldamento la lamina di metallo termo-attivo si dilata notevolmente,

mentre quella di metallo termoinerte si deforma molto meno

Se un’estremità della bilamina è fissata rigidamente e l'altra è libera, complessivamente la

bilamina si incurva.

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Nei relè a termocoppia, la termocoppia trasforma ogni variazione di temperatura del

componente protetto in una corrispondente variazione di forza elettromotrice, che può essere

facilmente misurata (e quindi rilevata).

Nei relè a resistenza si sfrutta il fatto che la resistenza di un conduttore è funzione della sua

temperatura. L'elemento sensibile è costituito essenzialmente da un piccolo resistore metallico,

avente un alto coefficiente di variazione della resistenza con la temperatura. Il controllo della

temperatura nel punto in cui l'elemento sensibile viene disposto si riduce allora alla misura della

resistenza dell'elemento stesso.

Il relè a immagine termica è usato per la protezione delle macchine contro le

sovratemperature, in quanto non controlla direttamente la temperatura della macchina o in genere

dell'apparecchio protetto, ma consente di riprodurre fedelmente tale temperatura in un dispositivo

che appunto viene chiamato immagine termica dell'apparecchio protetto. Il controllo della

temperatura viene, poi, eseguito grazie alla immagine termica.

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4 Relè statici
I relè statici si possono dividere, a loro volta, in:

 di tipo elettronico

 di tipo a microprocessore

L'impiego del microprocessore nei relè statici ha permesso di realizzare notevoli progressi

rispetto a quelli di tipo elettronico. I relè statici a microprocessore (Figura 9) colloquiano con il

sistema elettrico mediante unità di interfaccia che:

 effettuano i campionamenti delle grandezze analogiche da controllare;

 convertono tali campioni in valori digitali.

Tali relè, a volte, possono ricevere dal sistema elettrico anche informazioni direttamente in

digitale, ad esempio stato di un interruttore (ON- OFF).

Fig. 9 Relè a microprocessore

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ SISTEMI DI PROTEZIONE IN MEDIA
TENSIONE’ ’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Sistemi di protezione in media tensione

Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 STRUTTURA DI ESERCIZIO DELLE RETI --------------------------------------------------------------------------- 5
3 CORTOCIRCUITO ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4 SOVRACCARICO ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 16
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17

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1 Generalità
Un sistema di protezione (SP) percepisce la presenza di una condizione di funzionamento

anormale ed interviene al fine di contenerne le conseguenze. In particolare, si parla di:

 SP contro le sovracorrenti:

la condizione di funzionamento anormale è legata a scostamenti dei valori di corrente dai

valori che garantiscono il normale funzionamento di un sistema elettrico;

 SP contro le sovratensioni:

la condizione di funzionamento anormale è legata a scostamenti dei valori tensione dai

valori che garantiscono il normale funzionamento di un sistema elettrico.

Le principali proprietà dei sistemi di protezione sono:

 Rapidità di intervento;

 Affidabilità;

 Selettività.

Un sistema di protezione contro le sovracorrenti è selettivo quando, al verificarsi di una

condizione di funzionamento anormale, esso mette fuori servizio solo il componente o la parte di

impianto in cui si verifica la suddetta condizione, permettendo così alle rimanenti parti del sistema

elettrico di rimanere in servizio. Si consideri, ad esempio, il caso semplice riportato in Figura 1: in

caso di cortocircuito nel punto segnalato, l’intervento del sistema di protezione SP2, in anticipo

rispetto al sistema di protezione SP1 garantirà che la sbarra BT della cabina elettrica potrà

continuare ad operare, garantendo l’alimentazione alle linee 2 e 3, mentre si interviene sulla linea 1

a risolvere il guasto. E’ evidente, in tal caso, l’elevato livello di continuità di servizio garantito in

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questo modo e del conseguente impatto economico (si pensi ad esempio al caso di uno stabilimento

industriale con differenti linee di produzione).

Fig. 1 Selettività

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2 Struttura di esercizio delle reti


Al fine di garantire la selettività, è necessario conoscere la struttura con la quale viene

esercito l’impianto. Nel caso della distribuzione e utilizzazione dell’energia elettrica in media e

bassa tensione, tipicamente sono impiegando strutture che si possono ricondurre essenzialmente alle

seguenti tipologie:

 Rete radiale semplice

 Rete radiale con richiusura

 Rete ad anello

La struttura radiale semplice (Figura 2) è caratterizzata da un flusso unidirezionale

dell’energia elettrica. Di seguito sono sintetizzati vantaggi e svantaggi di tale tipologia di struttura.

Stazione AT/MT

Linea MT

Cabina elettrica

Linea BT

Fig. 2 Struttura radiale semplice


Vantaggi:

 minimo costo dei materiali e dell’installazione

 minore impiego di spazio

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 semplicità e chiarezza della configurazione, con ovvi vantaggi per la manutenzione e

per le manovre di intervento

Svantaggi:

 unicità di ciascun componente

 nessuna flessibilità di esercizio

La struttura radiale con richiusura (Figura 3) è costituita da due radiali semplici con

possibilità di effettuare, in caso di corto circuito, trasferimento di carichi da un radiale all’altro.

Fig. 3 Struttura radiale con richiusura

Nella struttura ad anello:

 l’interruttore in A (vedi Figura 3) è normalmente chiuso e consente in condizioni

normali l’alimentazione attraverso due possibili vie

 il flusso dell’energia elettrica non è unidirezionale

Confronto tra le strutture:

 La radiale con richiusura e quella ad anello si presentano del tutto simili; la

differenza consiste nel diverso modo di esercizio;

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 Le strutture radiale con richiusura e ad anello presentano maggiore flessibilità

rispetto allo schema radiale semplice;

 Le strutture radiale con richiusura e ad anello sono più difficile da gestire e più

costose.

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3 Cortocircuito
Si analizzano, ora, i sistemi di protezione utilizzati in media tensione per la protezione delle

linee contro le correnti di cortocircuito. In tal caso, si devono considerare reti con neutro isolato o

neutro a terra tramite impedenza, per le quali si devono affrontare:

 cortocircuiti monofase (Figura 4);

 cortocircuiti polifase (Figura 5).

Fig. 4 Cortocircuito monofase

Fig. 5 Cortocircuito polifase

Nei casi considerati nelle Figure 4 e 5, l’impedenza offerta dalle capacita C0 verso terra è

molto maggiore di quella offerta da conduttori di fase, per cui la corrente di cortocircuito monofase

è molto minore di quella polifase (bifase nel caso di Figura 5). Sono quindi necessari sistemi di

protezione differenti per i due casi:

 Sistema di protezione contro i guasti polifase (trifase e bifase)

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 Sistema di protezione contro i guasti monofase a terra.

Con riferimento ad guasti polifase, si faccia inizialmente riferimento al caso di una linea in

MT di una struttura radiale semplice alimentata da un trasformatore AT/MT il cui secondario è

caratterizzato da un collegamento a stella con centro stella isolato: lo schema unifilare è riportata in

Fig. 6.

t*

P
SP

C
Fig. 6 Schema unifilare una linea con carico d’estremità

Nel caso considerato, il sistema di protezione è costituito da un relè di massima corrente e

un interruttore.

Nel caso di più tratti di linea separati da sbarre (Figura 7), ogni linea deve essere protetto da

un sistema di protezione, ciascuno costituito da un relè di massima corrente e interruttore.

Fig. 7 Rete radiale con più tratti di linea

Nel caso di Figura 7, al fine di garantire selettività occorre che:

 Tempo intervento relè SP2 > tempo intervento del relè di SP3

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 Tempo intervento relè SP1 > tempo intervento del relè di SP2

Chiaramente, la differenza dei tempi di intervento deve essere maggiore del tempo di

interruzione dell’interruttore.

Al cortocircuito monofase a terra non sono associate correnti di valore elevato, per cui i

sistemi di protezione adottati per i guasti polifase non possono essere impiegati. Inoltre si osservi

che:

 la corrente di corto circuito monofase è limitata dalle capacità verso terra

delle fasi non soggette a guasto per cui la sua intensità è tanto limitata da non dar luogo

all’intervento del relè di massima corrente;

 anche se il valore della corrente di corto circuito è tanto piccola da non

costituire di per sé causa di pericolo per le persone o le cose, essa va comunque rilevata ed

eventualmente eliminata.

Con riferimento alla Figura 8.a), si osservi preliminarmente, che, in condizioni di

funzionamento normale:

 le tensioni delle fasi rispetto a terra e quelle delle fasi rispetto al centro stella

del secondario del trasformatore AT/MT sono uguali tra loro;

 il centro stella n è al potenziale di terra;

 la somma delle tensioni delle fasi rispetto a terra è uguale a zero (Figura 8.b).

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V1

V2
n
V3

AT MT C0 C0 C0
T
V3T V2T V1
T

(a)
1
T
V1  V1

n=T
3 2
T
V3  V3 T
V2  V2
(b)
Fig. 8

In condizioni di cortocircuito monofase a terra (Figura 9.a):

 la fase guasta si porta al potenziale di terra (per semplicità si assume che

l’impedenza del guasto è nulla);

 le due fasi non affette da guasto assumono verso terra un valore di tensione

pari alla tensione concatenata;

 la somma delle tensioni delle fasi rispetto a terra non è più nulla, ma pari alla

somma vettoriale di due tensioni concatenate (Figura 9.b).

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V1

V2
n
V3

AT MT C0 C0 C0
T T
V3T V2 V1 Ig
T

(a) 1

V1T
V1T + V2T
T=3 2
V2T

Fig. 9

Nel caso analizzato, quindi, la grandezza capace di individuare la presenza di un corto

circuito monofase è la somma delle tensioni delle fasi rispetto a terra:

 se nulla → condizioni di funzionamento normali;

 se non nulla → cortocircuito monofase a terra.

Il sistema di protezione che può essere impiegato nel caso in esame per la protezione contro

i guasti monofase è allora costituito dal dispositivo di (Figura 10) e composto da:

 un relè voltmetrico omopolare a massima di tensione;

 un interruttore o di un dispositivo segnalatore di guasto.

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V1

V2
n
V3

AT MT

Vo >

Fig. 10

In Fig. 10, si noti che il relè voltmetrico è collegato al sistema ‘di potenza’ attraverso un

trasformatore (detto trasformatore di tensione) utilizzato per motivi di sicurezza.

Nel caso di struttura radiale con richiusura (Figura 11), si può verificare che il sistema di

protezione di Figura 10, benché ancora efficace, non può però garantire la selettività. In tal caso, è

necessario utilizzare un relè varmetrico direzionale (Figura 12): in tal caso, oltre ai trasformatori di

tensione, il relè, sensibile alla potenza, è collegato anche per pezzo di un trasformatore

(trasformatore di corrente).

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linea (b)
1
2
3
V1 C0b C0b C0b
V2

V3

AT MT linea (a)
1
2
3
Rg  0 Ig C0a C0a C0a

S S S
3 2 1

Fig. 11

V1

V2 C0b C0b C0b


n
Var
V3

AT MT

C0a C0a C0a


Var

Fig. 12

Nel caso di sistemi a struttura ad anello (Fig. 13), poiché il flusso dell’energia non è

unidirezionale è necessario istallare, sia a monte che a valle di ciascuna sbarra da cui sono derivate

linee o carichi sistemi di protezione costituiti da relè di massima corrente, relè direzionale ed

interruttore.

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SP1a SP1b SP2a SP2b SP3a SP3b

B C
t A D

Fig. 13

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4 Sovraccarico
I sistemi di protezione per linee in media tensione contro le correnti di sovraccarico sono in

genere costituiti da un interruttore comandato, in apertura da:

 relè di massima corrente a tempo indipendente, nel caso di linee di scarsa

importanza;

 relè di massima corrente a tempo dipendente, nel caso di linee di una certa

importanza.

Rispetto ai relè di massima corrente per le correnti di cortocircuito, i relè di massima

corrente per le correnti di sovraccarico sono tarati per correnti minori e per tempi di intervento

maggiori (Figura 14).

Fig. 14

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ SISTEMI DI PROTEZIONE DI BASSA
TENSIONE’ ’’

PROF. FABIO MOTTOLA


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Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 INTERRUTTORE AUTOMATICO MAGNETO-TERMICO ------------------------------------------------------- 4
3 SELETTIVITÀ ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4 SOVRATENSIONI------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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1 Generalità
Negli impianti eserciti in bassa tensione è quasi universalmente impiegata la struttura radiale

semplice. Il collegamento a terra del centro stella del secondario del trasformatore MT/BT comporta

che in bassa tensione anche i cortocircuiti monofasi sono caratterizzati da elevati valori di corrente.

Di conseguenza, negli impianti di bassa tensione è impiegato un unico sistema di protezione per

tutti i tipi di corto circuito (monofase e polifase).

I sistemi di protezione contro le correnti di cortocircuito (monofase e polifase) e contro le

correnti di sovraccarico impiegati sono:

 interruttori automatici;

 fusibili a cartuccia.

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2 Interruttore automatico magneto-termico


L’interruttore automatico è dotato di relè magneto-termico. Tale relè è ottenuto dall’insieme

di un relè elettromagnetico e di un relè termico. Il relè così ottenuto è di uso pressoché universale

nel campo dei sistemi di prima categoria. In Figura 1 è riportata, qualitativamente, la caratteristica

di intervento di un tipico relè magneto-termico.

Fig. 1 Caratteristica di intervento di un relè magneto-termico

I relè magneto-termici vengono tarati in modo tale che:

 per sovracorrenti non troppo elevate (fino a circa 8÷10 volte la corrente nominale del

circuito da proteggere) interviene il relè termico;

 per sovracorrenti superiori interviene il relè magnetico.

Il relè termico interviene con un tempo d’intervento inversamente proporzionale all’intensità

della sovracorrente. In caso di sovracorrenti di modesta entità (sovraccarichi) che possono anche

essere dovute a “normali” transitori dell’impianto l’interruttore non deve intervenire.

E’ importante osservare che le norme non stabiliscono la forma che deve avere la

caratteristica d’intervento, ma solo alcune porte entro cui deve essere contenuta. Una di queste porte

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è delimitata dalla corrente convenzionale di non intervento (Inf) e dalla corrente convenzionale di

intervento (If):

 la corrente convenzionale di non intervento, Inf, è quel valore specificato di corrente

che non provoca, in condizioni determinate, l’intervento dell’interruttore per un intervallo di

tempo convenzionale;

 la corrente convenzionale di intervento, If, è quel valore specificato di corrente che

provoca, in condizioni determinate, l’intervento dell’interruttore entro un intervallo di tempo

convenzionale.

Per questo motivo si è soliti rappresentare le curve di intervento degli interruttori automatici

magneto-termici mediante una coppia di curve, come rappresentato in Figura 2. In Figura 3 è

mostrato il simbolo grafico CEI dell’interruttore automatico magneto-termico. In Figura 4 è

mostrato, costruttivamente, la costituzione di un reale interruttore automatico magneto-termico.

Fig. 2

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Fig. 3 L’interruttore automatico magneto-termico: simbolo grafico CEI

Fig. 4

In Figura 4, si individuano le seguenti parti caratteristiche:

1. Leva di comando

2. Meccanismo di scatto

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3. Contatti di interruzione

4. Morsetti di collegamento

5. Lamina bimetallica (rilevamento sovraccarichi)

6. Vite per la regolazione della sensibilità (in fabbrica)

7. Solenoide (rilevamento cortocircuiti)

8. Sistema di estinzione d'arco

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3 Selettività
Quando più sistemi di protezione sono disposti in serie, si pone anche negli impianti di bassa

tensione il problema di garantire la selettività. Per ottenere una selettività totale, il sistema di

protezione a valle avrà una caratteristica d’intervento opportunamente traslata rispetto a quella del

sistema di protezione a monte.

Esistono due tipi di selettività:

 selettività amperometrica: traslazione ottenuta sull’asse delle correnti (Figura

5);

 selettività cronometrica: traslazione ottenuta sull’asse dei tempi (Figura 6).

Fig. 5 Selettività amperometrica

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Fig. 6. Selettività cronometrica

Si consideri, ad esempio, il caso di Figura 7: una linea alimenta una sbarra che, a sua volta,

alimenta due linee elettriche. Ciascuna linea, è protetta da un interruttore automatico: SPA è il

sistema di protezione della linea principale, SPB indica il sistema di protezione delle due linee a

valle della sbarra.

Fig. 7

Affinché si abbia selettività, deve chiaramente accadere che uno dei due sistemi di

protezione SPB (chiaramente quello installato a protezione della linea su cui avviene il guasto)

intervenga prima dell’intervento del sistema SPA. Ciò si ottiene ‘coordinando’ opportunamente le

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caratteristiche d’intervento dei due sistemi di protezione. Un caso di coordinamento che garantisce

selettività (cronometrica), nel caso in esame, è riportato, qualitativamente, in Figura 8.

Fig. 8 Selettività cronometrica

Sia la selettività amperometrica che quella cronometrica hanno dei limiti. La selettività

cronometrica, in particolare, si ottiene praticando temporizzazioni tanto più lunghe quanto più le

apparecchiature sono prossime alla sorgente di energia. Tale ritardo può essere eccessivo perché è

spesso incompatibile con le imposizioni dell’Ente Distributore dell’energia (che richiede un tempo

d’intervento ridotto a livello di interruttore automatico generale dell’utente).

Per ovviare a tali limiti, possono adoperarsi unità programmabili a microprocessore che

gestiscono più interruttori in cascata. In questo caso a ciascun interruttore è associato un relè (relè

logico) in grado di emettere e ricevere un ordine di attesa logica. In caso di guasto:

 ogni relè logico a monte del punto di guasto emette un ordine di attesa logica

verso quello installato immediatamente a monte;

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 il relè logico posto subito a monte del guasto provoca l’intervento

dell’interruttore associato non ricevendo l’ordine di attesa logica da quelli posti a valle;

Con tale selettività logica le temporizzazioni possono essere ridotte al minimo e non sono

condizionate dai vincoli della selettività cronometrica. In Figura 9, è riportato, schematicamente, un

esempio di selettività logica.

Icc

Icc

A S

Icc

Fig. 9 Selettività logica: schema di principio

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4 Sovratensioni
I sistemi di protezione contro le sovratensioni sono normalmente classificati in:

 preventivi che agiscono in modo da contenere preventivamente l’entità delle

sovratensioni che si possono presentare nei sistemi elettrici (ad esempio: funi di guardia)

 repressivi, che sono destinati a convogliare a terra le sovratensioni che

eccedono i livelli di isolamento, evitando che esse si propaghino con tutta la loro

intensità lungo il sistema elettrico

Stabilito il livello d’isolamento da assegnare a ciascun componente occorrerà ricorrere ad

opportuni apparati di protezione contro quelle sovratensioni che superano, in ampiezza, tale livello,

realizzando la cosiddetta protezione di tipo repressivo. Tali apparati sono:

 gli spinterometri

 gli scaricatori

Essi hanno caratteristiche tali per cui, al verificarsi di sovratensioni prossime al livello di

isolamento previsto, la scarica avviene a terra attraverso di loro piuttosto che attraverso gli altri

componenti del sistema.

Lo spinterometro è, in genere, costituito da due elettrodi metallici collegati tra parte in

tensione e terra (Figura 10). La distanza in aria tra gli elettrodi è tale che la differenza di potenziale

ad essi applicata in condizioni di funzionamento normale non è sufficiente ad innescare l’arco, che,

invece, si innesca all’atto di una opportuna sovratensione.

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Fig. 10 Spinterometro

Gli spinterometri, tuttavia, possono provocare disservizi in quanto non sono sempre in grado

di interrompere la corrente a frequenza industriale che fa seguito a quella ad impulso associata alla

scarica, per cui ogni loro intervento può provocare un corto circuito monofase a terra con

conseguente interruzione del servizio per intervento dei sistemi di protezione contro le

sovracorrenti.

Gli scaricatori (Figura 11) superano, con opportuni accorgimenti costruttivi, i problemi degli

spinterometri. I principali tipi di scaricatore sono quelli a resistore non lineare.

Fig 11.

Gli scaricatori a resistore non lineare sono costituiti da materiali porosi semiconduttori (ad

esempio, la resorbite) ottenuti per impasto e cottura di materiale ceramico isolante e materiale

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conduttore (carburo di silicio) oppure, più recentemente, da ossido di zinco. Tali materiali

presentano una resistenza che diminuisce all'aumentare della corrente di scarica con legge

praticamente iperbolica.

Il funzionamento dello scaricatore avviene come segue (Figura 12):

 in assenza di sovratensioni, lo scaricatore ha resistenza infinita e quindi è un

circuito aperto;

 quando si verifica una sovratensione lo scaricatore si innesca, cioè avviene

una scarica con formazione di archi tra le varie resistenze componenti (il valore Vi di

tensione al quale inizia la scarica è detto tensione di innesco dello scaricatore);

 a causa della caratteristica resistenza-corrente di scarica, la tensione Vs ai capi

dello scaricatore, durante la scarica, è praticamente costante e poco discosta da Vi; lo

scaricatore limita, quindi, la sovratensione nel punto in cui è inserito praticamente al valore

della tensione di innesco, scaricando a terra la tensione eccedente Vi;

 al diminuire della sovratensione (coda dell'onda impulsiva) la corrente di

scarica diminuisce rapidamente, provocando un altrettanto rapido aumento della resistenza

con conseguente disinnesco dello scaricatore.

onda di sovratensione
V
caratteristica
approssimata
Vs= Vi

Figura 12

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Bibliografia
 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ CABINE ELETTRICHE’ ’’

PROF. FABIO MOTTOLA


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Indice

1 DEFINIZIONE------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 CLASSIFICAZIONE ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 QUADRI ELETTRICI DI BASSA TENSIONE -------------------------------------------------------------------------- 9
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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1 Definizione
Le cabine elettriche sono destinate ad una o più delle seguenti funzioni:

 trasformazione,

 conversione,

 regolazione,

 smistamento,

dell’energia elettrica. In questa dispensa, ci si sofferma solo sulle cabine elettriche di

trasformazione, la cui funzione è quella di permettere il passaggio dalla media alla bassa tensione.

La Norma CEI 0-16 indica i criteri di allacciamento alla rete di media e alta tensione, per

utenti passivi ed attivi. Essa assume il ruolo di regola tecnica di riferimento.

Un esempio di schema di principio di una cabina è riportata in Figura 1. In tale esempio, se

ne riconoscono le parti principali:

 arrivo linea in media tensione;

 sbarre di media tensione;

 sistemi di protezione di media tensione;

 montante di media tensione;

 trasformatore;

 montante di bassa tensione;

 sbarre di bassa tensione;

 sistemi di protezione di bassa tensione;

 partenze linee in bassa tensione.

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Fig.1 Cabina Elettrica: schema elettrico di principio

Talvolta, a causa di incrementi di potenza oppure per migliorare i livelli di continuità

d’esercizio ed affidabilità dell’intero impianto, possono essere presenti più di un trasformatore. In

Figura 2 è mostrato lo schema elettrico di principio di una cabina caratterizzata dalla presenza di

due trasformatori.

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Fig.2 Cabina Elettrica: esempio di cabina a due trasformatori

In Figura 3 è riportata una foto di una cabina. In Figura 4, è rappresentato un esempio di

suddivisione degli ambienti di una cabina.

Fig. 3 Cabina

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Fig. 4 Esempio di suddivisione degli ambienti di una cabina

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2 Classificazione
Nel caso in cui l’ente distributore consegna all’utilizzatore l’energia elettrica in bassa

tensione, può presentarsi una delle due possibili modalità di consegna:

 linea tripolare più neutro;

 linea monofase (fase e neutro) generalmente in cavo.

Si ricorda che in bassa tensione il neutro è connesso francamente a terra. In tal caso, il

distributore si trova a dover gestire una propria cabina di trasformazione, detta cabina del

distributore, e l’utilizzatore il proprio impianto elettrico in bassa tensione. In Figura 5 è mostrata

uno schema elettrico relativo alla consegna dell’energia elettrica in bassa tensione con cabina del

distributore.

Fig. 5 Consegna dell’energia elettrica in bassa tensione con cabina del distributore.

Nel caso in cui l’ente distributore consegna all’utilizzatore l’energia elettrica in media

tensione, ciò avviene per mezzo di una linea tripolare, generalmente in cavo. Si ricorda, infatti, che

il neutro è isolato o a terra tramite un’induttanza perché in media tensione. In tal caso, l’utilizzatore

si trova a dover gestire una propria cabina di trasformazione, detta cabina di utilizzatore, e un

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proprio impianto elettrico in bassa tensione. In Figura 6 è mostrata uno schema elettrico relativo alla

consegna dell’energia elettrica in media tensione e cabina dell’utilizzatore.

Fig. 6 Consegna dell’energia elettrica in media tensione con cabina dell’utilizzatore.

Nel caso in cui l’ente distributore consegna all’utilizzatore l’energia elettrica in bassa

tensione si pone il problema della messa a terra delle masse, sia lato media tensione sia lato bassa

tensione, del neutro lato bassa tensione da parte dell’ente distributore e della messa a terra delle

masse dell’impianto elettrico in bassa tensione da parte dell’utilizzatore. Risulta pertanto necessaria

l’esecuzione dell’impianto di terra di cabina da parte dell’ente distributore e dell’impianto di terra

dell’impianto elettrico in bassa tensione da parte dell’utilizzatore: l’impianto elettrico in bassa

tensione dell’utilizzatore è, dunque, del tipo TT (Figura 5).

Nel caso in cui l’ente distributore consegna all’utilizzatore l’energia elettrica in media

tensione, si pone il problema della messa a terra delle masse, sia lato media tensione sia lato bassa

tensione, del neutro lato bassa tensione da parte dell’utilizzatore e della messa a terra delle masse

dell’impianto elettrico in bassa tensione sempre da parte dell’utilizzatore. Risulta pertanto

necessaria l’esecuzione di un impianto di terra unico da parte dell’utilizzatore, a servizio della

cabina e dell’impianto elettrico in bassa tensione, per cui l’impianto elettrico in bassa tensione

dell’utilizzatore è del tipo TN-S (Figura 6).

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3 Quadri elettrici di bassa tensione


Un quadro elettrico è inteso come l’insieme di carpenteria, interruttori, barre, cavi, ecc.

Relativamente alle parti della cabina esercite in bassa tensione, i montanti con i relativi sistemi di

protezione, le sbarre, le partenze linee con i relativi sistemi di protezione prendono posto in un

unico involucro denominato, nel caso particolare, “quadro elettrico generale di bassa tensione

(QGBT)”, e nel caso più generale quadro elettrico di bassa tensione. Al fine di migliorare la

sicurezza e l’affidabilità, le Norme spingono verso una maggiore industrializzazione dei quadri che,

pertanto, sono da considerare un componente dell’impianto alla stregua, per esempio, dei cavi.

Un quadro elettrico deve essere conforme alle Norme CEI 17-113 e CEI 17-114 oppure alla

norma oppure alla Norma sperimentale CEI 23-51 per i quadri ad uso domestico e similare (con

"similare" si intende, ad esempio, la piccola industria, il terziario ed in particolare gli uffici).

Per individuare il campo di applicazione delle due Norme occorre innanzitutto definire la

corrente nominale del quadro Inq. La corrente nominale del quadro Inq è il valore più basso tra la

corrente nominale in entrata Ine e la corrente nominale in uscita Inu.

Per corrente nominale in entrata Ine del quadro si intende l'85 % della corrente nominale del

sistema di protezione e/o dell’apparecchio di manovra di ingresso del quadro. La corrente nominale

in uscita Inu del quadro è la somma delle correnti nominali di tutti i sistemi di protezione in uscita

destinati ad essere utilizzati contemporaneamente. Se, come spesso accade, non è noto a priori quali

circuiti siano destinati ad essere utilizzati in modo contemporaneo, si considera, quale corrente in

uscita Inu la somma delle correnti nominali di tutti i sistemi di protezione in uscita.

Nelle Figure 7, 8 e 9 sono indicate, a titolo d'esempio, le correnti nominali Ine, Inu e Inq di tre

quadri.

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Fig. 7 Determinazione della corrente nominale di un quadro (esempio 1)

Fig. 8 Determinazione della corrente nominale di un quadro (esempio 2)

Come si può notare, nel primo quadro (Figura 7) la Inq coincide con Ine. Infatti, in tal caso si

ha:

Ine = (63+63+32) 85/100 = 134.3 A

Inu = 16+10+25+32+32 = 115 A

Inq = min {Ine,Inu} = 115 A

Nel secondo quadro (Figura 8) la Inq coincide con Inu. Infatti, in tal caso si ha:

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Ine = 40 · 85/100 = 34 A

Inu = 10+25+16 = 51 A

Inq = min {Ine,Inu} = 34 A

Fig. 9 Determinazione della corrente nominale di un quadro (esempio 3)

Anche nel terzo quadro (Figura 9) la Inq coincide con Inu. Infatti, in tal caso si ha:

Ine = (63+63) 85/100 = 107 A

Inu = 16+10+25+32= 83 A

Inq = min {Ine,Inu} = 83 A

In Figura 10 e 11 sono riportati alcuni esempi di quadri e dei loro involucri. Agli involucri

(vuoti) dei quadri fissi per uso domestico e similare si applica la Norma sperimentale CEI 23-49.

Sulla base di questa Norma, il costruttore dell’involucro può stabilire qual è la potenza massima

dissipabile dall'involucro, nelle condizioni d'installazione previste, senza che la sovratemperatura

superi in nessun punto della superficie esterna 30 °C. Il costruttore fornisce quindi all'installatore il

valore della massima potenza dissipabile dall’involucro e le istruzioni per il corretto montaggio.

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Fig. 10 Esempio di quadro

Fig. 11 Dettaglio di un quadro

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Nel seguito, è precisato il campo di applicazione delle diverse Norme citate. La norma CEI

23-51 si applica ai quadri di distribuzione per installazione fissa, per uso domestico e similare,

realizzati accorpando involucri vuoti, conformi alla norma sperimentale CEI 23-49, con sistemi di

protezione ed apparecchi che nell'uso ordinario dissipano una potenza non trascurabile, ad esempio

interruttori automatici e differenziali, trasformatori, lampade, ecc.

I quadri che rientrano in tale categoria, devono essere:

 adatti ad essere utilizzati a temperatura ambiente non superiore a 25 °C

(occasionalmente 35 °C);

 destinati all'uso in corrente alternata con tensione nominale non superiore a

440 V;

 destinati ad incorporare sistemi di protezione ed apparecchi di manovra per

uso domestico e similare con corrente nominale (In) non superiore a 125 A;

 con corrente nominale in entrata (Ine) non superiore a 125 A;

 con corrente presunta di cortocircuito (Icp) nel punto d'installazione non

superiore a 10 kA (valore efficace della componente simmetrica) o protetti da dispositivi

limitatori di corrente aventi corrente limitata (Ip) non eccedente 15 kA (valore di picco) in

corrispondenza del loro potere d'interruzione nominale.

Se il quadro non è con le caratteristiche suindicate esce dal campo di applicazione della

norma CEI 23-51 e si applicano le Norme CEI 17-113 e 114. Ad esempio, ritornando agli esempi di

quadro precedenti (Figure 5-7), il secondo ed il terzo quadro (Figure 6 e 7) rientrano nel campo di

applicazione della prima norma (CEI 23-51), mentre il primo quadro rientra nel campo di

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applicazione della seconda norma (CEI 17-113 e 114), perché anche se ogni sistema di protezione

di ingresso del quadro ha una corrente nominale minore di 125 A, la Ine supera il valore di 125 A.

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Bibliografia
 V. Carrescia, “Fondamenti Di Sicurezza Elettrica”, Editore TNE, 2006

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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Indice

1 CORRENTE ELETTRICA E CORPO UMANO ------------------------------------------------------------------------ 3


2 FIBRILLAZIONE-------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
3 CURVE DI PERICOLOSITÀ ----------------------------------------------------------------------------------------------- 7
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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1 Corrente elettrica e corpo umano


La corrente elettrica produce un’azione diretta sui vasi sanguigni, sul sangue, sulle cellule

nervose (stato di shock); può determinare alterazioni permanenti nel sistema cardiaco (aritmie,

lesioni al miocardio), nell’attività cerebrale e nel sistema nervoso centrale; può arrecare danni

all’apparato uditivo, a quello visivo, ecc.

Gli effetti più frequenti e più importanti che la corrente elettrica produce sul corpo umano

sono fondamentalmente quattro:

 tetanizzazione;

 arresto della respirazione;

 fibrillazione ventricolare;

 ustioni.

Più stimoli elettrici opportunamente intervallati contraggono il muscolo in modo progressivo

(contrazione tetanica). Se la frequenza degli stimoli sorpassa un certo limite, gli effetti si fondono

(tetano fuso); il muscolo è portato alla contrazione completa ed in questa posizione permane finché

non cessano gli stimoli, dopo di che lentamente ritorna allo stato di riposo. La tetanizzazione è

presente in circa il 10% degli infortuni elettrici mortali. Anche la corrente continua, se di sufficiente

durata e valore, può produrre la tetanizzazione. Il più elevato valore di corrente per cui il soggetto è

ancora capace di lasciare la presa della parte in tensione prende il nome di corrente di rilascio.

Correnti superiori alla corrente di rilascio producono nell’infortunato difficoltà di respirazione e

segni di asfissia. Circa il 6% delle morti per folgorazioni è dovuta ad asfissia. Di qui l’importanza

della respirazione artificiale, della tempestività con la quale è applicata e della durata per cui è

praticata. Il muscolo cardiaco (miocardio) si contrae aritmicamente 60÷100 volte al minuto e

sostiene, al pari di una pompa, la circolazione sanguigna nei vasi. La contrazione delle fibre

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muscolari è prodotta da impulsi elettrici provenienti da un particolare centro – il nodo senoatriale –

posto nella parte superiore dell’atrio destro. E’ questo un vero e proprio generatore biologico di

impulsi elettrici che comandano il cuore. Tramite il tessuto specifico di conduzione (fascio di His,

fibre di Purkinje) gli impulsi di comando provenienti dal nodo senoatriale vengono trasmessi al

muscolo cardiaco. L’impulso raggiunge il nodo atrioventricolare, dal quale si diparte il fascio di His

che conduce lo stimolo alle fibre muscolari dei ventricoli (fibrille); queste si contraggono e

producono così la sistole ventricolare che spinge il sangue nel sistema arterioso. Se alle normali

correnti fisiologiche si sovrappone una corrente elettrica, di origine esterna, molto più grande, le

fibrille ricevono segnali elettrici eccessivi ed irregolari. Esse vengono sovrastimolate in maniera

caotica e iniziano, pertanto, a contrarsi in modo disordinato, l’una indipendentemente dall’altra,

sicché il cuore non riesce più a svolgere la sua funzione. E’ il fenomeno della fibrillazione

ventricolare, responsabile di oltre il 90% delle morti per folgorazione. La fibrillazione ventricolare

era ritenuta in passato un fenomeno irreversibile nel senso che non si arresta, anche se cessa la

causa che l’ha prodotto, ma prosegue fino alla morte dell’infortunato. E’ stato in seguito dimostrato

che una scarica elettrica violenta, opportunamente dosata, può arrestare la fibrillazione stessa. Agli

effetti pratici la fibrillazione ventricolare è da considerare tuttora un fenomeno irreversibile, in

quanto ben raramente si ha a disposizione il personale specializzato e l’apparecchiatura elettrica

adatta per soccorrere l’infortunato entro breve tempo. Il tempo in questi casi gioca un ruolo

importante: cessata l’attività cardiaca entro circa tre minuti intervengono lesioni irreparabili al

muscolo cardiaco ed al tessuto cerebrale. Nella maggioranza dei casi, in tale breve intervallo di

tempo è praticamente impossibile portare l’infortunato in un ospedale attrezzato. Si può tuttavia

prolungare l’intervallo di tempo utile con il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca, ma

il tempestivo intervento medico, con apparecchio defibrillatore, è determinante per il successo

dell’opera di soccorso.

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2 Fibrillazione
Gli sforzi degli sperimentatori si sono, da tempo, concentrati nella ricerca delle minime

correnti capaci di innescare la fibrillazione, in relazione al tempo per il quale fluiscono attraverso il

corpo umano. Le maggiori difficoltà che impediscono una definizione precisa della soglia di

fibrillazione ventricolare sono:

 impossibilità di sperimentare direttamente sull’uomo e difficoltà di

estrapolare al corpo umano i risultati ottenuti su animali;

 la corrente che va ad interessare il cuore, causa diretta della

fibrillazione, è solo una frazione della corrente totale che fluisce attraverso il

corpo umano.

Poiché è misurabile la sola corrente totale, a essa si riferisce la soglia di fibrillazione, ma il

rapporto tra le due non è costante: esso varia da individuo a individuo e per lo stesso individuo

dipende dal percorso della corrente. In corrente alternata, per valutare l’influenza del percorso della

corrente sulla probabilità d’innesco della fibrillazione ventricolare è stato introdotto il fattore di

percorso F.

Si prenda come riferimento il percorso mano sinistra-piedi. Se la corrente nel percorso di

riferimento Irif e la corrente nel percorso che si considera hanno la stessa probabilità di innescare la

I rif
fibrillazione, il fattore per il percorso considerato è definito dal rapporto I . Il percorso mano

sinistra-torace è il più pericoloso nei confronti della fibrillazione ventricolare.

Il passaggio di corrente elettrica su una resistenza è accompagnato da sviluppo di calore per

effetto Joule e il corpo umano non fa eccezione a questa regola generale. L’aumento di temperatura

dipende dal quadrato della densità di corrente e dal tempo per cui la corrente fluisce attraverso il

corpo umano. E’ facile arguire che le ustioni peggiori si hanno sulla pelle (marchio elettrico),

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poiché questa presenta una resistività più grande dei tessuti interni. Alle alte tensioni gli effetti

termici della corrente sono predominanti sugli altri effetti deleteri; lo sviluppo di calore provoca

estese distruzioni di tessuti superficiali e profondi, la rottura di arterie con conseguenti emorragie, la

distruzione di centri nervosi, ecc. le ustioni da folgorazione sono le più profonde e le più difficili da

guarire. Quando le ustioni sono estese la morte sopravviene per insufficienza renale. Il marchio

elettrico è presente nel 25% degli infortuni mortali in bassa tensione e nell’89% in alta tensione.

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3 Curve di pericolosità
In Figura 1 sono riportate quattro zone con le quali sono stati riassunti gli effetti principali

prodotti dalla corrente elettrica alternata, in funzione del tempo per cui fluisce attraverso il corpo

umano:

 Nella zona 1, di solito, vi è assenza di reazioni, fino alla soglia di percezione.

 Nella zona 2 non si ha nessun effetto pericoloso, fino alla soglia di

tetanizzazione.

 Nella zona 3 possono verificarsi effetti patofisiologici, in genere reversibili.

 Alla zona 4 corrispondono probabile fibrillazione ventricolare, arresto del

cuore, arresto della respirazione, gravi bruciature.

Fig.1 Zone di pericolosità della corrente elettrica alternata (15100 Hz). Le curve c2 e c3

corrispondono ad una probabilità di fibrillazione ventricolare rispettivamente del 5% e del 50%.

Per scossa elettrica s’intende comunemente la sensazione che la corrente elettrica produce al

suo passaggio attraverso il corpo umano. Lo shock elettrico si ha al di sopra della curva b.

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In Figura 2 sono indicate quattro zone con le quali sono stati riassunti gli effetti principali

prodotti dalla corrente continua.

Fig.2 Zone di pericolosità della corrente continua. Le curve c2 e c3 corrispondono ad una

probabilità di fibrillazione ventricolare rispettivamente del 5% e del 50%.

Si definisce soglia di percezione, il valore minimo di corrente che causa una sensazione alla

persona attraverso cui fluisce la corrente. Sono stabiliti alcuni valori di massima che stabiliscono la

soglia di percezione indipendenti dalla durata del contatto:

 corrente alternata a 50/60 Hz: 0.5 mA;

 corrente continua 2 mA.

Si noti, inoltre, che la parte del corpo umano più sensibile della corrente elettrica è la lingua:

la soglia di percezione, in tal caso, è di 0.45 mA.

Si definisce soglia di rilascio il massimo valore di corrente a cui una persona può lasciare

gli elettrodi con i quali è in contatto. Nel caso della corrente alternata (50/60 Hz) viene assunto

come valore di soglia di rilascio un valore di massima di 10 mA.

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Nella pratica corrente sono molto più frequenti le correnti continue con un fattore di

ondulazione diverso da zero. Ai fini della pericolosità, si ritiene continua una corrente con

un’ondulazione sinusoidale di valore efficace inferiore al 10% della componente continua. Se

l’ondulazione non è sinusoidale è sufficiente che il valore di picco non superi 70 V o 140 V,

rispettivamente per tensione continua nominale di 60 V o di 120 V.

La pericolosità della corrente diminuisce con l’aumentare della frequenza; in una corrente ad

alta frequenza la durata dello stimolo è talmente breve, in confronto alla costante di tempo della

membrana cellulare, che la corrente non influisce praticamente sullo stato della cellula. La corrente

ad alta frequenza produce comunque effetti termici che possono divenire pericolosi, anche in

relazione alla disuniforme distribuzione della corrente nell’elettrodo di contatto e nel corpo stesso.

Il fattore per cui bisogna moltiplicare la soglia a 5060 Hz, cioè il minimo valore di corrente che

produce un determinato fenomeno, per ottenere la soglia corrispondente ad una frequenza superiore

prende il nome di fattore di frequenza Ff. In prima approssimazione si può assumere, a frequenze

maggiori di 1 kHz, che i limiti di pericolosità siano proporzionali alla frequenza.

Nelle Figure 3 e 4 sono riportati i valori del fattore di frequenza relativi alla soglia di

percezione per frequenze variabili entro i valori 50 Hz - 1 kHz (Figura 3) e 1 kHz -10 kHz (Figura

4).

Nelle Figure 5 e 6 sono riportati i valori del fattore di frequenza relativi alla soglia di rilascio

per frequenze variabili entro i valori 50 Hz - 1 kHz (Figura 5) e 1 kHz -10 kHz (Figura 6).

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Fig. 4 Fattore di frequenza relativi alla soglia di percezione per frequenze variabili entro i

valori 50 Hz - 1 kHz

Fig. 5 Fattore di frequenza relativi alla soglia di percezione per frequenze variabili entro i

valori 1 kHz - 10 kHz

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Fig. 6 Fattore di frequenza relativi alla soglia di rilascio per frequenze variabili entro i valori

50 Hz - 1 kHz

Fig. 7 Fattore di frequenza relativi alla soglia di rilascio per frequenze variabili entro i valori

1 kHz - 10 kHz

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Università Telematica Pegaso Elettrofisiologia

Bibliografia
 V. Carrescia, “Fondamenti Di Sicurezza Elettrica”, Editore TNE, 2006

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ CURVE DI SICUREZZA ’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Curve di sicurezza

Indice

1 GENERALITÀ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 LA RESISTENZA DEL CORPO UMANO ------------------------------------------------------------------------------- 5
3 LE CURVE ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4 TENSIONE DI CONTATTO A VUOTO --------------------------------------------------------------------------------- 12
5 TENSIONE DI PASSO ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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1 Generalità
Spesso, più che alle correnti pericolose, ci si riferisce alle tensioni pericolose. Il corpo

umano corrisponde, in termini circuitali, a un’impedenza capacitiva. Un esempio d’impedenza

capacitiva tipicamente adottato nelle applicazioni pratiche è mostrato in Figura 1.

Fig.1 Circuito equivalente del corpo umano


La capacità risiede principalmente nella pelle che s’interpone come isolante tra l’elettrodo e

il tessuto conduttore sottostante. In parallelo alla capacità si pone una resistenza Rp, dovuta

soprattutto ai pori della pelle, e in serie ad entrambe la resistenza interna del corpo umano Ri. La

resistenza Rp per valori superiori a 100150 V diviene trascurabile. La resistenza Ri dipende

soprattutto dal percorso della corrente e in minor misura dalla superficie di contatto degli elettrodi.

Alla frequenza di 50 Hz è lecito trascurare la piccola capacità della pelle e si parla

comunemente di resistenza del corpo umano. In Figura 2 si riporta lo schema equivalente

semplificato del corpo umano:

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Fig.7: schema equivalente semplificato del corpo umano

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2 La resistenza del corpo umano


Chiaramente i percorsi di maggiore resistenza sono quelli mano-mano, mano-piede e piede-

piede (RB=2R). La resistenza del corpo umano varia al variare della tensione di contatto U T. I valori

riportati in Tabella 1 sono relativi alle seguenti ipotesi:

 percorso mano-mano o mano piede (RB=2R);

 area di contatto 50100 cm2;

 pelle asciutta.

Tab.1: Resistenza del corpo umano per percorso mano-mano o mano- piede
Limiti massimi di resistenza del corpo, riscontrati sulle seguenti
Tensione di contatto percentuali di individui testati
UT (V)
5% () 50% () 95% ()
25 1750 3250 6100
50 1450 2625 4275
75 1250 2200 3500
100 1200 1875 3200
125 1125 1625 2875
220 1000 1350 2125
700 750 1100 1550
1000 700 1050 1500
valore asintotico 650 750 850
Per ogni valore della tensione di contatto i risultati delle misure sono riportati in tre colonne,

ognuna delle quali si riferisce alla probabilità che una determinata percentuale degli individui testati

non superi uno specifico valore RB. Le curve di sicurezza tensione-tempo in bassa tensione vengono

riferite al percorso di minore resistenza, vale a dire il percorso mani-piedi che rispetto al percorso

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mano sinistra-piedi, assunto per tracciare le curve corrente-tempo presenta un valore di RB 1.5 volte

inferiore.

Per quel che riguarda il valore della resistenza RB del corpo umano, dovendosi riferire al

percorso mani-piedi, la resistenza è esattamente la metà di quella relativa al percorso mano-mano o

mano-piede (Tabella 2).

Tab. 2: Confronto resistenza del corpo umano per percorso mano-mano o mano piede e mani-piedi
Tensione di contatto Limiti massimi di resistenza del corpo, riscontrati sul 5% di
UT (V) individui testati ()
Percorso mano-mano Percorso mani-piedi
o mano-piede

25 1750 875
50 1450 725
75 1250 625
100 1200 600
125 1125 562
220 1000 500
700 750 375
1000 700 350
valore asintotico 650 325

I normatori hanno stabilito che, in bassa tensione, per garantire una sufficiente salvaguardia

dalla fibrillazione ventricolare, il sistema di protezione coordinato debba intervenire ad eliminare la

corrente IB entro un tempo tF tale da situare l’evento entro i limiti massimi delineati dalla curva

compresa tra la curva b e la curva c1 del grafico di Figura 3.

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Fig.3 Curve di pericolosità della corrente elettrica alternata (15100 Hz).

Nel punto di appoggio sul terreno, i piedi della persona non assumono direttamente il

potenziale di terra, dovendosi perciò prevedere un valore di resistenza designato col simbolo REB

che dipende dalle caratteristiche di resistività del terreno (Figura 4). I normatori, per derivare le

curve di sicurezza, hanno stabilito che in condizioni ordinarie la resistenza REB sia uguale a 1000 

e che in condizioni particolari sia pari a 200 .

Fig.4 Resistenza addizionale

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3 Le curve
A questo punto, le curve di sicurezza si possono ottenere molto semplicemente calcolando

per ogni tensione di contatto il corrispondente valore di resistenza somma di RB e REB ed

applicando, quindi, la legge di Ohm per calcolare il valore della corrente di elettrocuzione IB. Si noti

che per elettrocuzione s’intende la scarica elettrica cui è sottoposto il corpo umano di una persona

che entri in contatto con una parte di impianto in tensione. Naturalmente si otterranno due differenti

curve:

 una per le condizioni ordinarie (REB = 1000 )

 una per le condizioni particolari (REB = 200 ).

In Tabella 3 sono riportati i valori calcolati per la derivazione delle curve di sicurezza

tensione/tempo in bassa tensione.

Per la derivazione delle curve di sicurezza tensione-tempo in media ed alta tensione i

normatori hanno assunto ipotesi diverse da quelle previste nel caso della bassa tensione. Più

specificamente, il percorso della corrente attraverso il corpo umano è quello mano-piedi per cui RB

= 1.5 R, la resistenza addizionale REB è assunta uguale a zero, laddove per il valore della resistenza

RB del corpo umano sono stati assunti i valori non superati dal 50% della popolazione (Tabella 4).

In media e alta tensione è stato stabilito di assumere come curva limite corrente-tempo la

curva c2 (Figura 3), sussistendo pertanto il pericolo di fibrillazione ventricolare, anche se con

probabilità non superiore al 5%.

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Si ottiene, poi, la Tabella 5 che riporta i valori della tensione di contatto ammissibile nei

sistemi di II e III categoria in funzione della durata del guasto a terra.

Tab. 3: Valori calcolati per la definizione delle curve di sicurezza tensione tempo in bassa tensione.
Tensione di Condizioni ordinarie Condizioni particolari
contatto a
RB+REB IB tF RB+REB IB tF
vuoto UST
[] [mA] [s] [] [mA] [s]
25 - - - 1075 23.2 5
50 1725 29.0 5 925 54.0 0.48
75 1625 46.1 0.60 825 90.9 0.30
100 1600 62.5 0.40 800 125.0 0.22
125 1562 80.0 0.30 762 164.0 0.18
220 1500 146.6 0.20 700 314.3 0.06
300 1480 202.7 0.12 680 441.3 0.02
400 1450 275.8 0.07 - - -

Tab. 4: Confronto resistenza del corpo umano per percorso mano-mano o mano- piede e mano-piedi
Tensione di contatto Limiti massimi di resistenza del corpo, riscontrati sul 50% di
UT (V) individui testati

Percorso mano-mano Percorso mano-piede o


mano-piedi
()
()
25 3250 2437
50 2625 1969
75 2200 1650
100 1875 1406
125 1625 1219
220 1350 1012
700 1100 825
1000 1050 787

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Tab. 5: Valori della tensione di contatto ammissibile nei sistemi di II e III categoria in funzione
della durata del guasto a terra.
Durata del guasto a terra tF (s) Tensione di contatto ammissibile UTp (V)
10.00 80
1.10 100
0.72 125
0.64 150
0.49 220
0.39 300
0.29 400
0.20 500
1.14 600
0.08 700
0.04 800

Nel caso in cui il guasto a terra dovesse perdurare per un tempo superiore ai 10 s, si può

considerare come valore limite il valore di 80 V.

La Norma CEI considera anche i casi in cui tra i piedi della persona e il potenziale di

terra si trovino delle resistenze aggiuntive dovute alla presenza delle scarpe e alla resistività del

terreno (Figura 5).

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Fig. 5 Schema elettrico equivalente con resistenze aggiuntive

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4 Tensione di contatto a vuoto


Si definisce tensione di contatto a vuoto la tensione che si manifesta durante un guasto a

terra tra le masse ed il terreno quando queste masse non vengono toccate. L’obiettivo è quello di

calcolare la tensione di contatto a vuoto USTp in relazione alla durata del guasto. Il calcolo viene

condotto valutando inizialmente, per ogni valore di tF, il corrispondente valore della tensione di

contatto UTp (Tabella 5). Quindi, calcolata la corrente di elettrocuzione:

U Tp
IB 
RB

si può calcolare la tensione di contatto a vuoto ammissibile:

U STp  UTp  ( Ra1  Ra 2 ) I B


.

dove la componente Ra1 viene assunta pari a 1000 , mentre per la resistenza Ra2 (espressa

in ) si assume pari a 1.5s dove s è espressa in m.

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5 Tensione di passo
La tensione di passo US si presenta tra i due piedi di una persona, disposti ad 1 m di distanza

l’uno dall’altro. La resistenza interna del corpo è assunta pari a RB=2R e la corrente di

elettrocuzione pari a:

US
IB 
RB

Poiché un’elettrocuzione piede-piede ha molto minore probabilità di innescare una

fibrillazione ventricolare, il valore permissibile della tensione di passo viene assunto pari al triplo

del valore permissibile della tensione di contatto:

USp=3UTp

Analogamente alla tensione di contatto, si può definire anche la tensione di passo a vuoto e

si indica con USS ed è quella applicata alle due gambe di una persona con le resistenze aggiuntive.

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Bibliografia
 V. Carrescia, “Fondamenti Di Sicurezza Elettrica”, Editore TNE, 2006

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ SICUREZZA E STATO DEL NEUTRO ’’

PROF. FABIO MOTTOLA


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Indice

1 CORRENTE DI GUASTO --------------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 NEUTRO A TERRA ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 BOBINA DI PETERSEN ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4 IMPIANTI DI BASSA TENSIONE ---------------------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

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1 Corrente di guasto
Ogni sistema elettrico risente dell’influenza della terra. In un sistema trifase, in condizioni di

funzionamento normale, se le capacità verso terra delle tre fasi sono uguali, il centro stella O e T di

Figura 1 si possono ritenere allo stesso potenziale.

Ec c
Eb a
O b
Ea
a
C C C

T a

Ea

O≡T
c b
Ec Eb

Fig.1
Quando si verifica un guasto a terra di una fase, le altre due si portano ad una tensione verso

terra maggiore che, nel caso di guasto franco, diventa pari al valore della tensione concatenata

(Figura 2).

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Ec c
a
Eb
O b
Ea
a
C C C

T a

Ea

O
c b
Ec Eb

Fig. 2

La corrente di guasto può essere facilmente calcolata, facendo riferimento al circuito

equivalente dove il guasto è modellato con una semplice resistenza R. Il circuito equivalente può

essere rappresentato come i Figura 3, in cui:

1
Z a 
1 
  jC 
R 

1
Zb 
jC

1
Zc 
jC

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Chiaramente, quando il guasto è franco, R=0.

Ża
Īa≡Īg

Żb
Īb
O T

Īc Żc

Fig. 3 Circuito equivalente guasto monofase a terra

La tensione VTO è calcolabile facendo ricorso al teorema di Millman:

1 
     jC  Ea  jCEb  jCEc
Ya Ea  Yb Eb  Yc Ec  R  Ea
VTO   
Ya  Yb  Yc 1  1  j 3CR
  jC   jC  jC
 R 

dove
Ya  1 / Z a e così per le altre fasi.

La corrente di guasto (Īg) è data dalla relazione:

Ea
Ea 
Ea  VTO 1  j 3CR j3CEa
Ig   
R R 1  j 3CR

Il collegamento a terra del punto O (Figura 4), in caso di guasto a terra, si tramuterebbe in

un cortocircuito, con circolazione di correnti elevate. Correnti di guasto di valore elevato producono

in generale;

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 forti cadute di tensione;

 riscaldamenti pericolosi;

 elevati sforzi elettrodinamici;

 tensioni di contatto pericolose;

 tensioni di passo pericolose.

O b

a
E
C C C

Fig. 4

Questa considerazione preliminare mette in evidenza che la problematica della connessione

a terra del sistema implica valutazioni accurate per la scelta della modalità più opportuna dello stato

del neutro.

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2 Neutro a terra
In generale possiamo dire che il collegamento a terra stabilisce un vincolo stabile tra

tensione verso terra e le tensioni del sistema. Il collegamento a terra presenta anche l’indiscutibile

vantaggio di drenare a terra le cariche statiche ed evitare la possibilità di tensione verso terra indotte

da altri circuiti. Si parla in questo caso di messa a terra di funzionamento per garantire un più

regolare esercizio del sistema. Se è vero che la connessione a terra implica generalmente un valore

più elevato della corrente di guasto, è pur vero che, proprio per il valore elevato della corrente, il

guasto può essere eliminato con sicurezza e tempestività.

Il sistema di trasmissione ad altissima estensione viene esercito con neutro a terra. A questa

determinazione concorre certamente la necessità di limitare le sovratensioni per problemi

d’isolamento e la considerazione che se il neutro fosse isolato, a causa dell’estensione della rete, la

corrente capacitiva potrebbe essere più grande di quella che si avrebbe nel caso di collegamento a

terra.

Il sistema di distribuzione in bassa tensione è esercito ancora con neutro francamente a terra,

perché ciò limita la massima tensione verso terra delle fasi e garantisce un’efficace protezione nel

caso di contatto tra media tensione e bassa tensione.

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3 Bobina di Petersen
Nei sistemi elettrici a media tensione, pur essendo d’indiscutibile interesse la limitazione

delle sovratensioni per il coordinamento dell’isolamento, assume preponderanza la limitazione della

corrente di guasto. Ed è questa la motivazione che ha fatto preferire fino a poco tempo fa in Italia

estesamente l’esercizio dei sistemi a media tensione con la modalità di neutro isolato. Da alcuni

anni si è estesa la modalità di messa a terra tramite bobina, detta bobina di Petersen (Figura 5).

Ec
c
Eb a
O b
Ea
a

L C C C

Ig
IL Ic Ib Ia  0
T

Fig.5

La messa a terra tramite bobina consente, almeno in linea teorica, l’annullamento della

corrente di guasto, con il vantaggio che nel punto di guasto non si presentano tensioni di passo e di

contatto pericolose. Se il guasto è di natura transitoria, la bobina permette la spontanea eliminazione

di esso.

Per ricavare il valore di L che consente di annullare la corrente di guasto occorre

inizialmente osservare che la somma delle correnti, per il primo principio di Kirchhoff:

I L  Ib  I c  I g  0

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Si noti che I a  0 perché il guasto è stato supposto franco: la capacità verso terra della fase

a è cortocircuitata.

In tal caso, se si impone la condizione

I L  Ib  Ic  0

Ig  0
ne consegue che, necessariamente, .

Poiché:

 jC Eb  Ea   jC Ec  Ea 


Ea
I L  Ib  Ic  
jL

ricordando che:

Ea  Eb  Ec  0

allora si può scrivere che:

 1   1 
I L  I b  I c   Ea   j3C    Ea j 3C  
 jL   L 

1
L
che si annulla per 32C . Conseguentemente I g sarà identicamente nulla.

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4 Impianti di bassa tensione


In relazione allo stato del neutro ed alle situazioni delle masse, gli impianti di bassa tensione

sono individuati con due lettere, la prima delle quali indica lo stato del neutro:

 T = neutro collegato direttamente a terra;

 I = neutro isolato da terra o a terra tramite un’impedenza.

La seconda lettera indica la situazione delle masse:

 T = masse collegate a terra;

 N = masse collegate al neutro del sistema.

Il sistema TT ha il neutro messo direttamente a terra e le masse collegate ad un impianto di

terra indipendente (Figura 6). Va sottolineato che il sistema è ritenuto TT anche quando l’impianto

di terra del neutro e delle masse non sono elettricamente indipendenti, come ad esempio avviene nel

caso di cabina MT/BT dell’Ente distributore inglobata nello stesso edificio degli impianti

utilizzatori.

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Fig. 6 Sistema TT

Il sistema TN ha il neutro messo direttamente a terra e le masse connesse al neutro tramite

conduttore di protezione. I sistemi TN (Figura 7) si distinguono in:

 TN-S: conduttori di neutro e protezione separati;

 TN-C: funzioni di neutro e di protezione assolte da un solo conduttore

(conduttore PEN);

 TN-C-S: funzioni di neutro e di protezione assolte in parte da un solo

conduttore ed in parte separate.

Fig. 7 Sistema TN-C-S

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Il sistema IT ha il neutro isolato o a terra tramite un’impedenza, mentre le masse sono

collegate a terra.

E’ molto importante anche la classificazione degli apparecchi in relazione alla mobilità. Più

specificamente un apparecchio utilizzatore si dice trasportabile se può essere spostato facilmente.

Un apparecchio utilizzatore fisso è un apparecchio non trasportabile.

Un apparecchio utilizzatore trasportabile si dice mobile se “deve essere spostato dall’utente

per il suo funzionamento mentre è collegato al circuito di alimentazione”.

Un apparecchio trasportabile si dice portatile se è destinato ad essere sorretto dalla mano

dell’operatore durante il suo impiego ordinario, e nel quale il motore, qualora esista, è parte

integrante dell’apparecchio.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Università Telematica Pegaso Sicurezza e stato del neutro

Bibliografia
 V. Carrescia, “Fondamenti Di Sicurezza Elettrica”, Editore TNE, 2006

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ IMPIANTO DI TERRA ’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Impianto di terra

Indice

1 DEFINIZIONI ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2 IMPIANTO DI TERRA NEI SISTEMI DI II CATEGORIA --------------------------------------------------------- 6
3 IMPIANTO DI TERRA NEI SISTEMI DI I CATEGORIA ---------------------------------------------------------- 8
4 DISPERSORE ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11
5 RESISTENZA DI TERRA -------------------------------------------------------------------------------------------------- 14
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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1 Definizioni
Per impianto di terra si intende il sistema limitato localmente costituito da dispersori o da

parti metalliche in contatto con il terreno di efficacia pari a quella dei dispersori (per esempio

fondazioni di sostegni, armature, schermi metallici di cavi), da conduttori di terra e da conduttori

equipotenziali.

Il termine terra è utilizzato per designare il terreno sia come luogo che come materiale

conduttore (e come tale, caratterizzato da una resistività).

Per dispersore si intende un conduttore (appositamente) posto in contatto elettrico con il

terreno per il trasferimento della corrente di terra.

Per guasto a terra si intende il collegamento conduttivo causato da un guasto tra un

conduttore di fase del circuito principale e la terra od una parte collegata a terra. Il collegamento

conduttivo può anche avvenire tramite un arco elettrico.

E’ anche importante la definizione di terra di riferimento (terra lontana), intesa come una

zona della superficie del terreno al di fuori dell’area di influenza di un dispersore o di un impianto

di terra, dove cioè tra due punti qualsiasi non si hanno percettibili differenze di potenziale dovute

alla corrente di terra.

La massa è una parte conduttrice di un componente elettrico che può essere toccata e che in

condizioni ordinarie non è in tensione, ma che può diventarlo in condizioni di guasto.

Per massa estranea si intende una parte conduttrice che non fa parte dell’impianto elettrico

ed è in grado di introdurre un potenziale, generalmente il potenziale di terra.

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Si definisce conduttore di terra, il conduttore che collega una parte dell’impianto che deve

essere messo a terra ad un dispersore o che collega tra loro più dispersori, ubicato al di fuori del

terreno od interrato nel terreno e da esso isolato.

Per collegamento equipotenziale si intende un collegamento elettrico tra masse per ridurre al

minimo le differenze di potenziale tra queste.

Il conduttore equipotenziale è il conduttore che assicura un collegamento equipotenziale, tra

masse estranee e dispersore (conduttore equipotenziale principale) e tra masse estranee (conduttore

equipotenziale supplementare).

Nel gergo, mettere a terra significa collegare una parte conduttrice al terreno tramite un

impianto di terra; per messa a terra, s’intende l’insieme di tutti i mezzi e di tutte le operazioni

necessari per realizzare la messa a terra.

Esistono diverse tipologie di messa a terra:

 messa a terra di protezione: messa a terra di una parte conduttrice, non

destinata ad essere attiva, con lo scopo di proteggere le persone dall’infortunio elettrico;

 messa a terra di funzionamento: messa a terra di un punto del circuito attivo

richiesta per il corretto funzionamento degli impianti e dei suoi componenti elettrici;

 messa a terra per la protezione contro le fulminazioni (scariche atmosferiche)

 messa a terra per la dissipazione di una corrente di fulmine (scarica

atmosferica) verso terra.

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Nello studio degli impianti di terra bisogna distinguere:

 l’impianto di terra di cabina;

 l’impianto di terra dell’impianto elettrico in bassa tensione dell’utilizzatore.

Nell’ambito degli impianti di terra di cabina, è inoltre importante la classificazione:

 impianti di terra per sistemi I categoria;

 impianti di terra per sistemi di II categoria;

Le Norme CEI di riferimento nell’esecuzione degli impianti di terra sono:

 CEI 64-8 (I categoria);

 CEI 11-1 (II e III categoria).

Nel seguito sono forniti alcuni cenni sugli impianti di terra di cabina e quelli relativi ad

impianti utilizzatori di bassa tensione.

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2 Impianto di terra nei sistemi di II categoria


La norma CEI 11-1 stabilisce che l’impianto risulta composto dai seguenti componenti:

 dispersori;

 conduttori di terra;

 conduttori equipotenziali.

Negli schemi elettrici, i dispersori (T) e i conduttori di terra (CT) sono rappresentati come in

Figura 1.

Fig. 1 Impianto elettrico di cabina


L’impianto di terra di cabina relativo ai sistemi di II categoria deve avere le seguenti

caratteristiche:

 avere sufficiente resistenza meccanica e resistenza alla corrosione;

 essere in grado di sopportare, da un punto di vista termico, le più elevate

correnti di guasto prevedibili;

 garantire la sicurezza delle persone contro le tensioni che si manifestano per

effetto delle correnti di guasto a terra (tensioni di contatto e tensioni di passo).

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Per quanto riguarda l’impianto di terra negli impianti di I categoria, esso può essere comune

con quello per impianti di II categoria oppure, in casi particolari, da esso separato. La prima, é la

soluzione più frequente (Figura 1).

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3 Impianto di terra nei sistemi di I categoria


La Norma 64-8 definisce i componenti di cui deve essere costituito un impianto di terra per

gli impianti elettrici in bassa tensione a servizio degli utilizzatori. L’insieme di tali componenti è

così definito:

 DA: dispersore (intenzionale);

 DN: dispersore di fatto;

 CT: Conduttore di terra;

 MT: Collettore (o nodo) principale di terra;

 PE: Conduttore di protezione;

 EQP: Conduttori equipotenziali principali;

 EQS: Conduttori equipotenziali supplementari;

 Masse;

 Masse estranee.

In Figura 2 è rappresentato, schematicamente, l’insieme di tutti i componenti di un impianto

di terra in oggetto e i loro collegamenti.

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Fig. 2 Impianto di terra per impianti utilizzatori di I categoria

In particolare, il conduttore di protezione (PE) è un conduttore utilizzato per il collegamento

di alcune delle seguenti parti:

 masse;

 masse estranee;

 collettore (o nodo) principale di terra negli impianti di bassa tensione;

 dispersore;

 punto di terra della sorgente o neutro artificiale.

L’impianto di terra in oggetto deve avere le seguenti caratteristiche:

 avere sufficiente resistenza meccanica e resistenza alla corrosione;

 essere in grado di sopportare, da un punto di vista termico, le più elevate

correnti di guasto prevedibili;

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 garantire la sicurezza delle persone contro le tensioni che si manifestano per

effetto delle correnti di guasto a terra.

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4 Dispersore
Il dispersore è un conduttore posto in contatto elettrico con il terreno. Si individuano:

 dispersore intenzionale: è un conduttore appositamente posto in contatto

elettrico con il terreno;

 dispersore di fatto: parte metallica in contatto elettrico con il terreno o con

l’acqua, direttamente o tramite calcestruzzo, il cui scopo originale non è di mettere a

terra, ma di soddisfare tutti i requisiti di un dispersore senza compromettere la sua

funzione originale.

I dispersori intenzionali più frequentemente impiegati sono:

 dispersore orizzontale;

 picchetto di terra;

 cavo con funzione di dispersore;

 dispersore per il controllo del potenziale di terra.

Il dispersore orizzontale è generalmente interrato fino ad una profondità di circa 1 m. Questo

può essere costituito di nastri, di tondini o di conduttori cordati che possono essere disposti in modo

radiale, ad anello, a maglia o da una loro combinazione.

Il picchetto di terra è un dispersore generalmente interrato od infisso per una profondità

superiore ad 1 m. Questo può essere costituito da un tubo, da una barra cilindrica o da altri profilati

metallici.

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Il cavo con funzione di dispersore è un cavo le cui guaine, i cui schermi o le cui armature

hanno la funzione di un dispersore a nastro.

Il dispersore per il controllo del potenziale di terra è un conduttore che per la sua forma e la

sua disposizione è principalmente utilizzato per ridurre il gradiente del potenziale sulla superficie

del terreno piuttosto che per ottenere un definito valore di resistenza di terra.

Esempi di dispersori di fatto sono le tubature, le palificazioni metalliche, le armature del

calcestruzzo (dispersore di fondazione: struttura conduttrice annegata nel calcestruzzo a contatto

elettrico con il terreno attraverso un’ampia superficie), le strutture in acciaio delle costruzioni.

In Figura 3 è mostrato il collegamento del conduttore di terra al dispersore. In Figura 4 (a) è

mostrato un dispersore a picchetto e, in Figura 4(b) un cartello di indicazione della presenza del

dispersore.

Fig. 3

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(a) (b)
Fig. 4

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5 Resistenza di terra
Per resistenza di terra (RE) si intende la resistenza tra il dispersore (o il gruppo di dispersori)

e la terra di riferimento. Al fine di chiarire il concetto di resistenza di terra, si riporta lo schema di

Figura 5, utilizzato per la misura delle resistenze di terra.

Fig.5

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Bibliografia
 V. Carrescia, “Fondamenti Di Sicurezza Elettrica”, Editore TNE, 2006

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ PROTEZIONE CONTRO I CONTATTI
INDIRETTI: SISTEMI TT ’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Protezione contro i contatti indiretti:
sistemi TT

Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 PROTEZIONE NEI SISTEMI TT ------------------------------------------------------------------------------------------ 5
3 RELÈ DIFFERENZIALE ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4 COORDINAMENTO DIFFERENZIALE – IMPIANTO DI TERRA ---------------------------------------------- 11
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

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sistemi TT

1 Introduzione
Si parla di contatto diretto quando il contatto avviene con parte del circuito normalmente in

tensione, laddove si riguarda come contatto indiretto il contatto con parte accidentalmente in

tensione. Il contatto indiretto è pericoloso quanto il diretto; la percentuale di infortuni elettrici

mortali è infatti simile nei due casi. Per comprendere meglio il significato di contatto indiretto e

distinguerlo facilmente dal contatto diretto occorre definire prima la massa. Si dice massa una parte

conduttrice, facente parte dell’impianto elettrico, che può essere toccata e che non è in tensione in

condizioni ordinarie di isolamento, ma che può andare in tensione in caso di un cedimento

dell’isolamento principale. Una parte conduttrice che può andare in tensione durante un guasto

d’isolamento solo perché in contatto con una massa, non è da considerarsi una massa. Infatti non è

necessario proteggere tali parti, una volta protette le masse con le quali sono in contatto, potendo

addirittura essere controproducente per la sicurezza.

Si dice massa estranea una parte conduttrice non facente parte dell’impianto elettrico

in grado di introdurre un potenziale, generalmente il potenziale di terra.

Si configura un contatto indiretto ogni qualvolta la persona è soggetta ad una

tensione per il tramite di una massa, cioè tra la persona e la parte attiva vi è interposta una massa. In

tutti gli altri casi si tratta di un contatto diretto.

La protezione contro i contatti indiretti può essere realizzata con:

 interruzione automatica dell’alimentazione in caso di guasto a massa;

 collegamento equipotenziale locale non connesso a terra;

 realizzazione degli impianti in luoghi non conduttori;

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sistemi TT
 separazione galvanica;

 impiego di componenti elettrici di classe II o con isolamento equivalente;

 bassissima tensione funzionale (FELV);

 bassissima tensione di sicurezza (SELV) e di protezione (PELV).

Si ricordi, inoltre che, i sistemi di distribuzione dell’energia elettrica in bassa tensione

vengono classificati in base al collegamento del neutro e delle masse degli impianti utilizzatori. A

tal fine si utilizzano due lettere, di cui la prima indica il collegamento a terra del neutro e la seconda

quelle delle masse.

Si distinguono, quindi, le seguenti tipologie:

 sistemi di distribuzione di tipo TT, che hanno il sistema di alimentazione

collegato a terra, generalmente attraverso il neutro, e le masse degli utilizzatori collegate

a terra attraverso un impianto di terra separato da quello di messa a terra del neutro;

 sistemi di distribuzione di tipo TN, in cui il sistema ha il neutro collegato a

terra e le masse sono collegate al conduttore di neutro;

 sistema di distribuzione di tipo IT, caratterizzato dall’avere il neutro isolato

da terra e le masse collegate a terra.

I tre suddetti sistemi non hanno differenze nel normale funzionamento, mentre si

comportano in modo differente nel caso di guasto monofase a terra. Nel seguito ci si soffermerà

sulla problematica della protezione contro i contatti indiretti dei vari sistemi.

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sistemi TT

2 Protezione nei sistemi TT


Con riferimento alla Figura 1, si supponga che si sia verificato un guasto franco a terra in un

apparecchio alimentato da un sistema di distribuzione di tipo TT. In questo caso, la carcassa di un

apparecchio è collegata a un dispersore di resistenza RE. Nel caso di guasto, quindi, il dispersore

disperde la corrente di guasto IE, così che la carcassa assume la tensione UE=RE IE che prende il

nome di tensione totale di terra. La tensione alla quale è soggetto il corpo umano in contatto con la

carcassa durante un guasto d’isolamento prende nome di tensione di contatto UT che è minore o al

limite uguale alla tensione totale di terra.

B
U0
C

RN RB

RE REB

E
Fig.1
Al verificarsi del guasto, si supponga, che la persona sia sottoposta alla tensione totale di

terra UE, che è un’ipotesi a favore della sicurezza. La persona è “rappresentata” dalla serie RB+REB

(Figura 1). Si noti che l’impedenza del conduttore di fase è trascurabile rispetto alle resistenze RN e

R E.

Facendo ricorso al teorema di Thévenin, per quel che riguarda il comportamento tra M ed E,

nel circuito corrispondente, rappresentato in Figura 2.a), in cui si ha:

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U0 RR
Eeq  RE , Req  E N
RE  RN RE  RN 1)

Poiché RN e RE sono molto più piccole rispetto a RB ed REB si può affermare che il circuito

equivalente Figura 2.a) può essere ridotto a quello di Figura 2.b), in cui:

U0
E0  RE
RE  R N 2)
M M

RB
RE RB
REB
U0 E0

RN REB

a) b)

Fig. 2

Ci si potrebbe porre la domanda se si sia possibile contenere la tensione sulla massa entro il

limite di sicurezza UL semplicemente scegliendo un valore opportuno della resistenza di terra RE. In

questo caso dovrebbe essere verificata la relazione:

U0
RE  U L
RE  RN 3)

Dalla precedente relazione si deduce:

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UL
RE  RN
U0 UL 4)

Poiché la resistenza di terra del neutro RN è generalmente inferiore a 1 Ω, per un sistema

trifase 230/400V e per UL=50V, la resistenza di terra dell’impianto utilizzatore dovrebbe essere

inferiore a  0.3 Ω. Ciò implica che occorrerebbero resistenze troppo basse e sussiste la dipendenza

del valore della resistenza di terra dalla resistenza di terra del neutro.

Conseguentemente anziché limitare il valore della tensione sulle masse, per ottemperare al

requisito di sicurezza, si deve eliminare il guasto in un tempo compatibile con le curve di

pericolosità del corpo umano, ovvero, più semplicemente, soddisfare la curva di sicurezza tensione-

tempo.

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3 Relè differenziale
Il dispositivo previsto per la protezione delle persone dai rischi dell’elettricità nell’ambito

dei sistemi TT è l’interruttore differenziale. Per corrente differenziale Id si intende la somma

vettoriale delle correnti che circolano nei conduttori attivi del circuito, compreso il conduttore di

neutro. In condizioni normali di funzionamento la corrente differenziale è zero; se il circuito è

interessato da guasto, la corrente differenziale diventa diversa da zero. Costruttivamente

l’interruttore differenziale per circuiti fase-neutro e fase-fase è costituito da un trasformatore a tre

avvolgimenti, come nellìesempio di Figura 3.

a b

Fig.3 Il relè differenziale

In condizioni di funzionamento normale, gli avvolgimenti a e b producono un flusso

risultante nullo. Nel caso si manifesti una differenza tra le correnti, il flusso risultante induce nel

terzo avvolgimento una corrente che produce l’intervento dell’interruttore, qualora la corrente

differenziale superi la corrente differenziale nominale di intervento Idn.

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Oltre alla corrente differenziale nominale di intervento si definisce anche la corrente

differenziale nominale di non intervento Idn/2, che è il valore massimo della corrente differenziale

per il quale certamente l’interruttore differenziale non interviene. Nell’intervallo Idn/2-Idn

l’interruttore differenziale non ha un comportamento definito. I tempi massimi di interruzione degli

interruttori differenziali di tipo generale sono riportati nella Tabella 1.

Tabella 1: Tempi massimi di interruzione degli interruttori differenziali

Id T

Idn 0.3 s

2Idn 0.15 s

5Idn 0.04 s

In Figura 4 è mostrato un interruttore differenziale per applicazioni monofasi.

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Fig. 4

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4 Coordinamento differenziale – impianto di terra


Un interruttore differenziale è specificato dalla corrente nominale In e dalla corrente

differenziale nominale di intervento Idn. Per il dimensionamento dell’impianto di terra deve essere

soddisfatta la condizione:

UL
RE 
I dn 5)

Il vantaggio dell’interruttore differenziale è quello di permettere un efficace coordinamento

tra protezione e impianto di terra, con valori di resistenza di terra facilmente realizzabili.

Le condizioni di sicurezza vengono meno allorquando la persona si trovi in contatto con una

parte metallica indipendente dall’impianto di terra (masse estranee), che abbia un valore di

resistenza di terra minore di 1000 Ω in condizioni ordinarie e di 200 Ω in condizioni particolari.

Per comprendere meglio questa situazione di pericolo, basti ricordare che le curve di

sicurezza sono state dedotte supponendo che in serie al percorso mani-piedi sia posta una resistenza

di 1000 Ω in condizioni ordinarie e di 200 Ω in condizioni particolari.

Per garantire le condizioni di sicurezza, le masse estranee devono essere collegate

equipotenzialmente all’impianto di terra all’ingresso dell’edificio (collegamento equipotenziale

principale). Conseguentemente si annulla la tensione di contatto tra massa e massa estranea.

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Bibliografia
 V. Carrescia, “Fondamenti Di Sicurezza Elettrica”, Editore TNE, 2006

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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“ PROTEZIONE CONTRO I CONTATTI
INDIRETTI: SISTEMI TN E IT ’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Protezione contro i contatti indiretti:
sistemi TN e IT

Indice

1 SISTEMI TN -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 SISTEMI IT --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
3 SISTEMI SELV, PELV E FELV -------------------------------------------------------------------------------------------- 8
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11

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1 Sistemi TN
Si distinguono i seguenti sistemi TN:

 TN-S: i conduttori di neutro e di protezione sono separati;

 TN-C: le funzioni di neutro e di protezione sono combinate in un sol

conduttore (conduttore PEN);

 TN-C-S: le funzioni di neutro e di protezione sono combinate in un solo

conduttore ed in parte sono separate.

Nel seguito si farà riferimento al sistema TN-S (Figura 1).

U0
A

PE

RN
M
RB

REB

E
Fig. 1

Z f
Trascurando l’impedenza interna del trasformatore, se si indicano con e

Z p
rispettivamente le impedenze dei conduttori di fase e di protezione, si ha il circuito equivalente

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di Figura 2.a). Facendo ricorso al teorema di Thévenin, per quel che riguarda il comportamento tra

M ed E, si ha:

U0 Z f Z p
Eeq  Z p , Z eq   RN

Z f  Z p Z f  Z p

Z eq
Essendo il modulo dell’impedenza trascurabile rispetto a RB ed REB il circuito

equivalente Figura 2.a) può essere ridotto a quello di Figura 2.b).

M
U0
Zf
M
RB
Zp
U0
RB E0  Zp
Z f  Zp

RN
REB RE
B
B

E E

a) b)
Fig. 2

Poiché il guasto franco a massa si traduce in un cortocircuito, la corrente è limitata

dall’impedenza del circuito di guasto. Il circuito di guasto presenta generalmente le caratteristiche

di un anello (linea tratteggiata in Figura 1), sicché viene rappresentato tramite la propria impedenza

Żs, detta impedenza dell’anello di guasto.

Poiché le caratteristiche del guasto sono quelle di un cortocircuito, è legittimo pensare di

ricorrere ai dispositivi di protezione contro le sovracorrenti anche per la protezione contro i contatti

indiretti. Per l’efficacia della protezione occorre che il valore della tensione di contatto a vuoto:

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U0
U ST  Z p
Z f  Z p

sia sopportabile dal corpo umano fino all’eliminazione del guasto. Supponendo che:

Z f Z p
=

si avrebbe:

UST = 115 V.

La Norma assume convenzionalmente che la tensione si riduca del 20%. Quindi si ha in

definitiva il valore di 92 V, cui corrisponde sulla curva di sicurezza 0.4 s in condizioni ordinarie e

0.2 s in condizioni particolari.

Z f Z p
L’ipotesi di = non è granché limitativa, poiché nell’impedenza del circuito di guasto,

formato da conduttori di sezione decrescente man mano che ci si allontana dal trasformatore, ha

maggiore incidenza l’impedenza dei conduttori di sezione minore. Poiché per sezioni inferiori a 16

mm2 la sezione del conduttore di protezione è uguale a quella del conduttore di fase, si ha che

Z f Z p
l’ipotesi = è sostanzialmente soddisfatta.

In un sistema TN l’impedenza Żs dell’anello di guasto dovrebbe soddisfare la condizione:

U0
Ia 
Zs

dove Ia è la corrente di intervento, per un sistema caratterizzato da U0 =230 V, che determina

l’intervento del dispositivo posto a protezione del circuito entro 0.4 s in condizioni ordinarie e 0.2 s

in condizioni particolari.

Tuttavia, è consentito interrompere l’alimentazione nel tempo di 5 s per i circuiti terminali

protetti da dispositivi di sovracorrente con corrente nominale (o regolata) superiore a 32 A e per

tutti i circuiti di distribuzione.

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2 Sistemi IT
Con riferimento al sistema di distribuzione rappresentato in Figura 3, la corrente di guasto a

terra ha carattere essenzialmente capacitivo, essendo dovuta soprattutto ai cavi. Il valore della

corrente di guasto, generalmente molto contenuto, permette di soddisfare facilmente il requisito:

RE I d  U L

Il soddisfacimento di tale condizione consente la continuità di funzionamento, senza

pericolo per le persone. In alcune tipologie di utilizzatori questa caratteristica è fondamentale,

quando la mancata erogazione dell’energia elettrica può causare ingenti danni o compromettere la

sicurezza delle persone.

U0

C C C
M

RE Id
B

Fig. 3
In ogni caso il primo guasto va eliminato in tempi ragionevolmente contenuti, perché al

secondo guasto a terra su una fase diversa si viene a determinare una corrente di doppio guasto

alimentata dalla tensione concatenata, con il conseguente intervento dei dispositivi di protezione a

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massima corrente. Verrebbe in tal modo compromesso il vantaggio della continuità di servizio del

sistema IT.

E’ necessario allora prevedere un sistema di monitoraggio continuo dell’isolamento verso

terra, in modo da permettere una pronta individuazione ed eliminazione del primo guasto a terra. Il

modo più semplice è quello costituito da un sistema di tre lampade inserite tra le fasi e la terra,

come mostrato nell’esempio di Figura 4.

Poiché l’intensità luminosa di ogni lampada dipende dal valore della tensione verso terra

della fase da cui è alimentata, nel caso di guasto a terra su una fase la lampada corrispondente si

spegne; le altre due lampade, a causa dello spostamento del centro stella, sono alimentate da

tensioni che hanno un valore 3 più grande, con conseguente aumento della luminosità.

Fig. 4

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3 Sistemi SELV, PELV e FELV


I sistemi elettrici che hanno una tensione nominale e una tensione nominale verso terra non

superiore a 50 V in corrente alternata e a 120 V in corrente continua non ondulata, sono denominati

di categoria zero, sistemi elettrici a tensione ridotta o, meglio, sistemi a bassissima tensione.

La protezione combinata contro i contatti diretti e indiretti assicurata da questi sistemi deriva

dalla presenza dei seguenti requisiti:

 tensione di alimentazione degli utilizzatori non superiore alla tensione di

contatto limite UL;

 alimentazione tramite una sorgente di sicurezza (es. trasformatore

d’isolamento con secondario a bassissima tensione)

 soddisfacimento delle diposizioni normative in merito alla separazione dei

circuiti, ai collegamenti delle masse, ecc.

Nel seguito si farà riferimento ai sistemi SELV, PELV e FELV.

Il sistema SELV (Safety Extra Low Voltage - bassissima tensione di sicurezza) è un sistema

elettrico di categoria zero che:

 è alimentato da una sorgente autonoma o di sicurezza;

 ha una separazione di protezione verso gli altri sistemi elettrici;

 non ha punti a terra.

L'obiettivo di questi tre requisiti è unico: evitare che il sistema, a bassissima tensione di

sicurezza, assuma accidentalmente tensioni superiori a quelle nominali.

Con il termine PELV (Protective Extra Low Voltage - bassissima tensione di protezione) si

indica un sistema a bassissima tensione alimentato da una sorgente di sicurezza e caratterizzato da

una separazione di protezione verso gli altri sistemi elettrici, ma con un punto collegato a terra. La

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bassissima tensione di protezione si adatta ai circuiti che devono avere un punto a terra, a volte per

ragioni funzionali, altre volte per ragioni di sicurezza come accade per i circuiti di comando.

La protezione PELV non è sicura come la protezione SELV, perché il circuito può assumere

tramite la messa a terra una tensione più grande della tensione secondaria. In Figura 5 e 6 sono

mostrati le due tipologie di protezione.

Fig. 5 Sistema SELV

Fig. 6 Sistema PELV

Se viene a mancare uno qualsiasi dei tre requisiti richiesti per classificare un sistema di

categoria zero a bassissima tensione di sicurezza, esso assume la denominazione di FELV

(Functional Extra Low Voltage - sistema a bassissima tensione funzionale).

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Se il sistema a tensione ridotta non è alimentato da una sorgente autonoma o di sicurezza,

ovvero l'isolamento del circuito secondario verso i sistemi elettrici a tensione maggiore non è quello

prescritto, è da temere un passaggio della tensione primaria sul secondario. Deve essere pertanto

assicurata la protezione del circuito secondario contro i contatti diretti e contro i contatti indiretti.

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Bibliografia
 V. Carrescia, “Fondamenti Di Sicurezza Elettrica”, Editore TNE, 2006

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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“ PROTEZIONE CONTRO I CONTATTI
DIRETTI’’

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Indice

1 CONTATTI DIRETTI -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 MISURE DI PROTEZIONE TOTALE ------------------------------------------------------------------------------------ 4
3 GRADO IP ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
4 CODICE IK -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
5 LE MISURE DI PROTEZIONE PARZIALI ---------------------------------------------------------------------------- 11
6 RELÈ AD ALTA SENSIBILITÀ ------------------------------------------------------------------------------------------- 13
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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1 Contatti diretti
Il contatto diretto si configura quando una persona entra in contatto con parti attive del

circuito elettrico. Si noti che con il termine parte attiva si intende ogni parte conduttrice in tensione

nel servizio ordinario, compreso il conduttore di neutro, ma escluso, per convenzione, il conduttore

PEN.

Le misure di protezione contro i contatti diretti in bassa tensione possono essere totali o

parziali.

Le misure di protezione totali sono destinate alla protezione delle persone profane di

elettricità e vengono applicate nei luoghi ordinari.

Le misure di protezione parziali sono adibite alla protezione delle persone elettricamente

addestrate (qualificate) e vengono applicate nelle aree elettriche chiuse dove hanno accesso soltanto

queste persone. Si noti che per persona addestrata si intende una persona avente conoscenze

tecniche, o esperienza, sufficienti da permetterle di evitare i pericoli dell'elettricità, in relazione al

tipo di operazione e alle condizioni ambientali e di impianto nelle quali agisce.

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2 Misure di protezione totale


Le misure di protezione totali sono costituite da:

 isolamento;

 involucri o barriere.

Ai fini della protezione contro i contatti diretti si utilizza l'isolamento principale. Il materiale

isolante deve ricoprire completamente le parti attive ed essere rimovibile solo mediante distruzione.

Il materiale isolante deve essere adeguato alla tensione nominale e verso terra del sistema elettrico,

deve resistere alle sollecitazioni meccaniche, agli sforzi elettrodinamici e termici, alle alterazioni

chimiche cui può essere esposto durante l'esercizio.

L'involucro è un elemento che assicura la protezione contro i contatti diretti in ogni

direzione. Esso è anche utilizzato per garantire la protezione contro le sollecitazioni esterne. La

barriera è un elemento che assicura un determinato grado di protezione contro i contatti diretti nella

direzione abituale di accesso.

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3 Grado IP
Il grado di protezione di un involucro, o barriera, è identificato dalle lettere IP (International

Protection) seguite da due cifre:

 la prima cifra indica il grado di protezione contro la penetrazione di corpi

estranei;

 la seconda cifra indica il grado di protezione contro la penetrazione dei

liquidi.

Quando si vuole indicare solo uno dei due tipi di protezione, la cifra mancante è sostituita

con la lettera X. Nelle tabelle 1 e 2 sono riportate, per ciascuna cifra, le indicazioni delle prove

corrispondenti (UNI EN60529).

Un corpo estraneo che può penetrare nell'involucro è il dito di una persona, oppure il

truciolo prodotto da una macchina utensile. Al fine di valutare il grado IP di un involucro si utilizza

il dito di prova riportato in Figura 1 oppure una sfera. Ad esempio, un involucro ha grado di

protezione IP2X quando il dito di prova, premuto con forza di 10 N, mantiene una distanza

adeguata dalle parti attive, oppure quando una sfera di 12.5 mm di diametro, premuta con la forza di

30 N, non penetra completamente all'interno dell'involucro.

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Tabella 1: gradi di protezione contro la penetrazione dei corpi estranei

Cifra Prova
Protezione del materiale elettrico contro la
1
penetrazione di corpi estranei.
Il dito di prova non deve toccare parti in tensione o
2 in movimento. Inoltre una sfera di diametro di 12.5
mm non deve passare attraverso l'involucro.
Un filo di diametro 2.5 mm non deve passare
3
attraverso l’involucro
Un filo di diametro l mm non deve passare
4
attraverso l'involucro
Si tiene l'apparecchio, in condizioni specificate, in
una camera avente in sospensione polvere di talco.
5 La quantità di polvere che entra nell'apparecchio
non deve nuocere al buon funzionamento
dell'apparecchio.
La prova di cui al punto 5 non deve dar luogo a
6 depositi visibili di polvere nell'interno
dell'apparecchio.

Alcuni esempi di gradi di protezione per apparecchiature tipicamente adottate sono:

 IP44: Protezione contro la penetrazione di corpi solidi maggiori di 1 mm.

Protezione contro la penetrazione di liquidi da gocce, vapori o spruzzi in qualsiasi

direzione. La penetrazione di corpi solidi inferiori a 1 mm e liquidi non deve danneggiare

l'apparecchiatura.

 IP 55: Protezione totale alla penetrazione di corpi solidi. Protezione contro la

penetrazione di liquidi da gocce, vapori, spruzzi e getti d'acqua in qualsiasi direzione. La

penetrazione di polveri e liquidi non deve danneggiare l'apparecchiatura.

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Tabella 2: gradi di protezione contro la penetrazione di liquidi

Grado di protezione
Prova
Cifra Descrizione
Le gocce d'acqua che cadono
Protezione contro la caduta di
1 verticalmente non devono
gocce in verticale
provocare effetti dannosi.
Le gocce d'acqua che cadono
verticalmente non devono
Protezione contro la caduta di
provocare effetti dannosi quando
2 gocce con inclinazione
l'involucro è inclinato fino a 15°
massima di 15°
rispetto alla sua posizione
verticale.
L'acqua che cade a pioggia da una
direzione facente con la verticale
3 Protezione contro la pioggia
un angolo tino a 60° non deve
provocare effetti dannosi.
L'acqua spruzzata sull’involucro
4 Protezione contro gli spruzzi da tutte le direzioni non deve
provocare effetti dannosi.
L'acqua proiettata con un getto
sull'involucro da tutte le direzioni
5 Protezione contro i getti
non deve provocare effetti
dannosi.
L'acqua proiettata con getti
Protezione contro i getti potenti sull'involucro da tutte le
6
potenti direzioni non deve provocare
effetti dannosi.
Non deve essere possibile la
penetrazione d'acqua in quantità
Protetto per l'immersione dannosa quando l'involucro è
7
temporanea immerso temporaneamente in
acqua in condizioni specificate di
pressione e di durata
Non deve essere possibile la
penetrazione d'acqua in quantità
dannosa quando l'involucro è
immerso in acqua con continuità
Protetto per l'immersione
8 nelle condizioni concordate tra il
continua
costruttore e l’utente, ma che
sono più severe di quelle previste
dalla seconda cifra caratteristica
del punto 7.

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Fig. 1 Dito di prova (tratto da [1]) – dimensioni in mm

Nelle Norme di sicurezza degli apparecchi elettrici, oltre che al dito di prova, si fa

riferimento anche alla spina di prova, all'ago di prova e al cono di prova:

 la spina di prova ha l’obiettivo di rappresentare un oggetto metallico, più

piccolo del dito di prova, attraverso cui una persona potrebbe venire in contatto con le

parti attive (p.es., esempio un cacciavite);

 l'ago di prova ha l’obiettivo di rappresentare un oggetto appuntito (p.es., una

forchetta); le prove hanno la finalità di verificare che gli involucri rendano inaccessibili

all'ago di prova le parti attive di apparecchi elettrodomestici suscettibili, nell'uso

ordinario, di essere accidentalmente toccate con oggetti appuntiti;

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 il cono di prova, a cui corrisponde a una sicurezza inferiore a quella fornita

dal dito di prova, ha un diametro maggiore e una lunghezza minore del dito di prova.

Nell’indicazione del grado IP, possono essere presenti anche due lettere opzionali: la prima

indica la protezione contro l'accesso umano (p. es., protetto contro l'accesso con un filo); la seconda

si riferisce alla protezione del materiale (p. es., adatto all'uso in condizioni atmosferiche

specificate).

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4 Codice IK
Gli involucri e le barriere devono inoltre avere sufficiente resistenza meccanica, in modo da

resistere alle sollecitazioni meccaniche prevedibili nell'uso ordinario, tenuto conto delle condizioni

ambientali, e da mantenere la prevista distanza di isolamento dalle parti attive. Per indicare la

resistenza agli urti degli involucri è utilizzato un sistema standardizzato di codifica costituito dalle

lettere IK seguite da un numero caratteristico da 01 fino a 10, relativo ad una specifica energia

d’impatto espressa in Joule. In tabella 3, è specificato il significato.

Tabella: Codifica IK

Energia d’impatto(J) Codice IK


0.15 01
0.2 02
0.35 03
0.5 04
0.7 05
1 06
2 07
5 08
10 09
20 10

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5 Le misure di protezione parziali


Nei locali dove sono ammesse soltanto persone addestrate (area elettrica chiusa), la

protezione contro i contatti diretti di parti attive in bassa tensione può essere parziale. La Norma

richiede che le aree elettriche chiuse siano chiaramente e visibilmente contrassegnate mediante

opportune segnalazioni.

Nelle aree elettriche accessibili soltanto con mezzi speciali non è richiesta alcuna protezione

contro i contatti diretti, ma bisogna rispettare determinate distanze. Inoltre le porte delle aree

elettriche devono permettere una facile uscita verso l'esterno (deve essere possibile aprirle

dall'interno senza l'uso di una chiave). Nelle aree elettriche chiuse, dove l'accesso è limitato soltanto

da un cartello, si deve attuare la misura di protezione parziale contro i contatti diretti mediante

ostacoli o per distanziamento e inoltre rispettare determinate distanze minime tra organi di comando

e tra questi e la parete. Un utile schema riassuntivo è rappresentato in Figura 2.

Si noti che, spesso, si parla di persone "autorizzate" nel senso di persone addestrate che

ricevono il permesso di accedere all'area elettrica chiusa, da sole o sotto la supervisione di altre

persone. Inoltre, la Norma distingue le aree elettriche chiuse "mediante mezzi speciali" che, ad

esempio, può essere semplicemente una chiave, dalle altre aree elettriche dove l'accesso non è

fisicamente impedito, ma soltanto segnalato da un cartello di divieto.

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Aree elettriche

chiuse

Acces
S N
sibile solo
i o
con mezzi
nessuna protezione
speciali
protezione parziale

distanze di ostacoli distanzia

sicurezze + mento

distanze +
Fig. 2
minime distanze

minime

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6 Relè ad alta sensibilità


Le misure di protezione contro i contatti diretti, tendono ad evitare il contatto diretto

(protezione passiva). Se tuttavia avviene un contatto diretto, per imprudenza dell'utente o perché

viene meno la protezione passiva, la corrente che attraversa il corpo umano non è sufficiente per

provocare l'intervento dei dispositivi di protezione a massima corrente.

L'unico dispositivo di protezione che può intervenire, in casi del genere, è l'interruttore

differenziale ad alta sensibilità. In Figura 3 è riportata la curva di sicurezza di un interruttore

differenziale e di quella di un relè differenziale ad alta sensibilità.

Fig. 3

Sono denominati ad alta sensibilità gli interruttori differenziali con corrente nominale

differenziale d'intervento Idn non superiore a 30 mA. Questo valore di corrente, comunque, non

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corrisponde a quello che il corpo umano può sopportare per un tempo indefinito, ma rappresenta un

compromesso tra esigenze di protezione delle persone e di servizio dell’impianto.

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Bibliografia
 V. Carrescia, “Fondamenti Di Sicurezza Elettrica”, Editore TNE, 2006

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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“ PROTEZIONE CONTRO LE

SOVRATENSIONI’’

PROF. FABIO MOTTOLA


Università Telematica Pegaso Protezione contro le sovratensioni

Indice

1 ASPETTI NORMATIVI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3


2 SOVRATENSIONI------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
3 SISTEMI DI PROTEZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------------ 7
4 ZONE DI PROTEZIONE --------------------------------------------------------------------------------------------------- 11
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

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1 Aspetti normativi
La protezione contro le sovratensioni è trattata dalla Norma CEI 81-10/1-4, relativa alla

protezione delle strutture contro i fulmini. La Norma compone di quattro parti aventi ciascuna uno

specifico campo di applicazione:

 Parte 1: “Principi generali”: specifica i principi generali circa la protezione

contro il fulmine di strutture, impianti e persone.

 Parte 2: “Valutazione del rischio”: tratta della valutazione del rischio dovuto a

fulmini a terra; fornisce, inoltre la procedura per la determinazione del rischio.

 Parte 3: “Danno materiale alle strutture e pericolo per le persone”: definisce i

requisiti dell’impianto di protezione contro i danni alle cose e alle persone dovuti a

fulminazione.

 Parte 4: “Impianti elettrici ed elettronici nelle strutture”: riguarda dettagli di

progetto, installazione, manutenzione e verifica delle misure adottate per la protezione

degli impianti interni elettrici ed elettronici contro il rischio di danni permanenti associati

al fulmine.

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2 Sovratensioni

Preliminarmente, è necessario ricordare la classificazione tipicamente adottata:

 sovratensione di origine esterna derivante da fenomeni elettrici che si

sviluppano nell’atmosfera;

 sovratensione di origine interna dipendenti cioè dallo stesso impianto elettrico

(guasti o false manovre).

Le sovratensione di origine esterna sono:

 a formazione lenta (originate da fenomeni di induzione elettrostatica);

 a impulso (originate da fenomeni molto rapidi e di breve durata).

Le sovratensione di origine interna sono:

 a forma d’onda sinusoidale;

 a carattere oscillatorio;

 a carattere impulsivo.

Le sovratensioni, possono essere originate da:

 accoppiamento galvanico;

 accoppiamento induttivo.

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Il caso di accoppiamento galvanico, si riferisce al caso, ad esempio di un fulmine che

colpisce direttamente un parafulmine o il tetto di un edificio dotato d’impianto di messa a terra

(Figura 1). In tal caso, la corrente del fulmine si disperde a terra e attraverso le linee di

alimentazione. La resistenza del sistema di messa a terra, nel disperdere la corrente del fulmine,

provoca un aumento della tensione del conduttore di protezione (PE) fino a diverse migliaia di volt

(effetto ohmico). D’altra parte, il potenziale dei conduttori attivi rimane 230 V per le fasi e zero per

il neutro. Le apparecchiature elettriche collegate tra la rete di alimentazione e la terra possono

perdere isolamento ed attraverso esse fluisce parte della corrente del fulmine, con risultato il loro

danneggiamento.

Fig. 1
Nel caso dell’accoppiamento induttivo, il campo elettromagnetico, creato dalle scariche

atmosferiche nelle vicinanze delle linee aeree o degli impianti elettrici, genera una sovratensione in

ogni spira del circuito.

Le linee aeree presentano spire in quanto il neutro o il PE sono collegati ripetutamente a

terra (ogni due o più pali).

Anche i fulmini che colpiscono il sistema esterno di protezione contro le scariche

atmosferiche di un edificio provocano una sovratensione nelle spire formate dai cavi dell’impianto

elettrico. In questi casi, i danni interessano in modo irreversibile le apparecchiature elettroniche più

sensibili, quali computer, fotocopiatrici, sistemi di sicurezza o di comunicazione.

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Per quanto riguarda le sovratensione di origine interna, è da osservare che le manovre degli

interruttori e le commutazioni su trasformatori, motori e in generale di carichi induttivi, nonché

l’improvvisa modifica del carico, provocano repentine variazioni di corrente e generano

sovratensioni transitorie.

Le sovratensioni di origine interna hanno un minore contenuto energetico delle

sovratensione di origine esterna, ma si manifestano con molta più frequenza e sono dannose in

quanto generate direttamente nella rete di alimentazione. La loro breve durata, il brusco fronte di

salita e il valore di picco (fino a qualche kV nel caso degli impianti di bassa tensione), provocano

un logorio prematuro delle apparecchiature elettroniche.

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3 Sistemi di protezione
I sistemi di protezione contro le sovratensioni sono normalmente classificati in:

 preventivi: agiscono in modo da contenere preventivamente l’entità delle

sovratensioni che si possono presentare nei sistemi elettrici;

 repressivi: destinati a convogliare a terra le sovratensioni che eccedono i

livelli di isolamento, evitando che esse si propaghino con tutta la loro intensità lungo il

sistema elettrico.

I provvedimenti di tipo preventivo contro le sovratensioni di origine interna sono, ad

esempio, la messa a terra del neutro, l'adozione di resistenze di smorzamento negli interruttori e

l'utilizzo di sistemi di eccitazione rapidi dei generatori sincroni.

Contro le sovratensioni di origine esterna si adottano le funi di guardia, la messa a terra di

sostegni nelle linee con conduttori nudi e la schermatura nelle stazioni.

Le resistenze di smorzamento negli interruttori intervengono a smorzare opportunamente le

tensioni di ristabilimento in modo da rendere meno probabile l’intersezione con la tensione di

ripristino della rigidità dielettrica.

Le funi di guardia producono un effetto schermante sui conduttori di potenza nei riguardi dei

fulmini.

Per un'efficace protezione preventiva contro i vari tipi di sovratensione occorre, infine,

coordinare l'isolamento dei diversi componenti del sistema. Ogni componente si trova, infatti,

esposto in modo diverso ai differenti tipi di sovratensione ed ha un’influenza diversa sulla

continuità del servizio di fornitura dell'energia elettrica. Ad esempio, le linee con conduttori nudi

sono i componenti più esposti alle sovratensioni di origine esterna, mentre quelle di origine interna

interessano tutti i componenti del sistema.

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Per gli impianti e gli apparecchi elettrici la protezione viene attuata:

 mediante l’isolamento dei componenti, che deve resistere fino a determinati

valori di tensione;

 con l'uso di scaricatori di sovratensione per assicurare la protezione nel caso

di sovratensioni di valore maggiore rispetto ai livelli d' isolamento.

Per la cosiddetta protezione di tipo repressivo si usano apparati quali gli spinterometri e gli

scaricatori che hanno caratteristiche tali per cui, al verificarsi di sovratensioni prossime al livello

d’isolamento previsto, la scarica avviene a terra attraverso di loro piuttosto che attraverso gli altri

componenti del sistema.

I dispositivi di protezione dalle sovratensioni di tipo impulsivo, comunemente noti come

‘scaricatori’, o anche Surge Protective Device (SPD), sono progettati per salvaguardare i sistemi e

le apparecchiature elettriche quali, ad esempio, quelle causate da fulmini e da manovre elettriche.

Il funzionamento di uno scaricatore può essere riassunto in tre punti:

 durante il funzionamento normale (in assenza, cioè, di sovratensioni), lo

scaricatore non ha alcuna influenza sul sistema al quale e applicato: agisce come un

circuito aperto e mantiene l’isolamento tra i conduttori attivi e la terra;

 al verificarsi di una sovratensione, lo scaricatore riduce la sua impedenza in

tempi molto brevi (alcuni nanosecondi) e devia la corrente impulsiva: in tali condizioni

lo scaricatore si comporta come un circuito chiuso, cosicché la sovratensione viene

cortocircuitata e limitata ad un valore ammissibile per l’apparecchiatura elettrica situata

a valle;

 quando la sovratensione cessa, lo scaricatore recupera la sua impedenza

originaria e torna alla condizione di circuito aperto.

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Nelle Figure 2 e 3 è rappresentato un esempio degli effetti di una sovratensione con e senza

scaricatori. In caso di assenza di scaricatore, (Figura 2), la sovratensione raggiunge

l’apparecchiatura elettrica. Nel caso in cui la sovratensione superi la tenuta all’impulso

dell’apparecchio elettrico, l’isolamento viene meno e la corrente impulsiva si propaga liberamente

attraverso il dispositivo, danneggiandolo e, ovviamente, causando una situazione di pericolo per le

persone.

Con l’adozione di uno scaricatore (Figura 3) connesso tra conduttori attivi e terra (si

supponga il caso di un sistema TT), la sovratensione è limitata e la corrente di scarica e deviata in

maniera non pericolosa, stabilendo un collegamento equipotenziale tra fase e terra.

Fig. 2

Fig. 3

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Negli impianti elettrici utilizzatori in bassa tensione di piccola estensione gli scaricatori sono

installati all'ingresso della linea elettrica nell'edificio con i modi di connessione suggeriti dalla

norma CEI 64-8/5:

 Connessione di tipo A. Viene usata nei sistemi TN e IT collegando tre

scaricatori tra ogni conduttore di fase e il collettore principale dell'impianto di terra o, in

alternativa, tra le fasi e il conduttore di protezione PE se il collegamento è più breve e dà

luogo a minore caduta di tensione.

 Connessione di tipo B. Viene usata nel sistema TT collegando quattro

scaricatori

tra i conduttori e il collettore principale dell'impianto di terra o, in alternativa, al conduttore

di protezione PE, se il collegamento è più breve e dà luogo a minore caduta di tensione.

 Connessione di tipo C. Viene usata anch'essa nel sistema TT collegando tre

scaricatori tra i conduttori di fase e il neutro; inoltre un altro scaricatore si collega tra il

neutro e il collettore principale di terra o, in alternativa al PE, se il percorso è più breve. In

questo tipo di connessione i collegamenti degli scaricatori vanno effettuati a monte del

dispositivo di protezione differenziale presente nell'impianto.

Per impianti più complessi può essere necessario installare più scaricatori in cascata, con

l’accortezza di coordinare i vari tipi di scaricatore e la distanza tra gli stessi.

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4 Zone di protezione
Il sistema di protezione completo di una struttura contro i fulmini è denominato Lightning

Protection System (LPS). Tale sistema ha lo scopo di ridurre il danno materiale dovuto alla

fulminazione diretta della struttura ed è costituito da un impianto di protezione esterno (LPS

esterno) e da uno interno (LPS interno):

 LPS esterno: serve a intercettare i fulmini in modo che non colpiscano la

struttura protetta e a disperdere la corrente di fulmine (captatori a maglia, ad asta o a

fune, dagli organi di discesa (calate) per condurre la corrente di fulmine al dispersore).

 LPS interno: comprende tutti i dispositivi e le misure di protezione (ad. es.

installazione di scaricatori).

Per decidere se è necessario o meno installare un sistema di protezione contro i fulmini per

la struttura in esame e per i servizi a essa collegati, occorre effettuare la valutazione del rischio.

Tale valutazione consiste nel confrontare il rischio (R) con il rischio tollerabile (Rr): la protezione

contro il fulmine è necessaria se si verifica

R > Rr

La normativa prevede, in generale e a prescindere dal pericolo di fulminazione, quattro tipi

di rischio, stabiliti in base al tipo di perdita associata:

 R1: perdita di vite umane;

 R2: perdita di servizi pubblici essenziali;

 R3: perdita di patrimonio culturale insostituibile;

 R4: perdita di valore puramente economico.

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Nel caso del rischio R4, la valutazione del danno tollerabile è un puro confronto

costi/benefici.

La protezione dalle sovratensioni inizia all’origine dell’impianto elettrico e termina vicino

alle apparecchiature più delicate. L’energia delle scariche è ridotta, in sequenza:

 dagli scaricatori più robusti;

 dalle protezioni più fini.

Questa logica di coordinamento nella protezione è rappresentata con le zone di protezione

(LPZ – lightning protection zone), che dividono l’ambiente in funzione dell’effetto della

fulminazione.

Alle zone di protezione sono associate condizioni elettromagnetiche di diversa severità. Le

zone sono così definite:

 LPZ 0A: zona all’aperto, non protetta dall’LPS esterno, in cui gli elementi

presenti,essendo esposti alle scariche atmosferiche dirette devono sopportare la corrente

complessiva generata da esse e sono sottoposti al totale campo magnetico;

 LPZ 0B: zona contenuta nel volume protetto dall’LPS esterno, per cui e

assicurata la protezione dalla fulminazione diretta, ma il pericolo deriva dall’esposizione

totale al campo magnetico;

 LPZ 1: zona interna alla struttura, in cui gli oggetti non sono esposti alle

scariche atmosferiche dirette e nella quale le correnti indotte sono minori in confronto

alla zona 0A. E caratterizzata dalla presenza delle schermature e dall’installazione di

idonei scaricatori sulle linee entranti;

 LPZ 2, LPZ n: zone in cui si ha una schermatura aggiuntiva e presenza di

ulteriori scaricatori, sia ai confini delle diverse zone, sia a protezione delle utenze

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terminali, che consentono una riduzione delle correnti indotte, in relazione alle esigenze

delle apparecchiature da proteggere.

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Bibliografia
 V. Carrescia, “Fondamenti Di Sicurezza Elettrica”, Editore TNE, 2006

 F. Iliceto, “Impianti Elettrici, Vol. I”, Pàtron Editore, Bologna, 1981

 L. Felin, R. Benato, “Impianti Elettrici”, UTET scienze tecniche Editore, 2011

 G. Conte, “Manuale di impianti elettrici”, Hoepli Editore, 2014

 G. Carpinelli, V. Mangoni, “Introduzione ai sistemi elettrici per l'energia”, Edizioni

dell’Università di Cassino, 2001

 G. Carpinelli, V. Mangoni, P. Varilone “Elementi di impianti elettrici di media e bassa

tensione”, Edizioni dell’Università di Cassino, 2010

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