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Edizione 2020
Diritto dell'Unione Europea
Università degli Studi di Macerata (UNIMC)
70 pag.
INTRODUZIONE
1. Considerazioni Generali
All’interno dell’Unione Europea si distinguono alcuni organi che sono denominati istituzioni
(art.13.1 TUE): il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il Consiglio, la Commissione, la
Corte di giustizia dell’Unione europea, la Banca centrale europea (BCE) e la Corte dei Conti.
E all’interno di queste istituzioni operano alcune figure che possono essere qualificate come organi
monocratici: il Presidente del Consiglio europeo, l’Alto rappresentante (per gli affari esteri e la
politica di sicurezza) e il Presidente della Commissione.
Le istituzioni sono le stesse per l’intera Unione e per la CEEA quindi ne discende un sistema gestito
da un quadro istituzionale unico che non varia a seconda dei settori di attività.
-Il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il Consiglio e la Commissione sono definiti
istituzioni politiche in quanto svolgono funzioni di politica attiva partecipando all’adozione di
diversi tipi di atti che modificano o integrano l’ordinamento UE.
-La Corte di giustizia e la Corte dei conti sono definite istituzioni di controllo in quanto la prima
ha compiti di controllo giurisdizionale sull’attività delle istituzioni politiche e la seconda esercita il
controllo contabile sulle entrate e sulle spese delle istituzioni politiche.
-Un caso a sé è rappresentato dalla BCE che è un’istituzione specializzata dato che agisce solo
nell’ambito dell’Unione economica e monetaria (UEM).
L’art. 13.1 inoltre afferma che: “L’Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a
promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e
quelli degli Stati membri, garantire la coerenza, l'efficacia e la continuità delle sue politiche e delle
sue azioni. Da tali disposizioni si evince che le azioni svolte dalle istituzioni nell’ambito dei diversi
settori di competenza dell’UE devono essere tra di loro coordinate secondo il principio di
coerenza. Tale principio assume particolare importanza per quanto riguarda l’azione esterna cioè
quella composta dalla politica estera e di sicurezza comune e dalle altre azioni e politiche aventi
rilievo esterno e benché ognuna sia soggetta a procedure e modalità proprie è necessario che
contribuiscano al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall’art. 21 TUE (consolidare e sostenere
la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti dell’uomo […], preservare la pace, favorire lo sviluppo
sostenibile dei PVS ecc..).
La responsabilità di assicurare il rispetto del principio di coerenza è ripartita tra Consiglio e
Commissione con l’assistenza dell’Alto rappresentante.
L’art. 13.2 TUE enuncia il principio dell’equilibrio istituzionale che attiene ai rapporti tra le varie
istituzioni e impone a ciascuna di esse di rispettare le competenze attribuite dai trattati alle altre
2. Il Parlamento europeo
Originariamente denominata Assemblea l’istituzione ha assunto la denominazione di Parlamento
Europeo. L’art. 14 par.2 TUE prevede che “il Parlamento europeo è composto di rappresentanti
dei cittadini dell’Unione”, i membri sono eletti a suffragio universale diretto (libero e segreto).
La durata del mandato è di 5 anni, quanto al numero dei membri l’art. 14 si limita a stabilire un
numero massimo che non può essere superiore a 750 più il presidente (soglia minima di 6 membri
per Stato e 96 seggi). Per la successiva legislature 2019-2024 il Consiglio europeo ha nuovamente
modificato in vista dell’uscita dall’UE del Regno Unito (Brexit) la composizione del Parlamento
fissando il numero a 705. Il Parlamento dispone di alcuni organi, particolarmente importante è il
Presidente, il quale dirige i lavori del Parlamento e lo rappresenta nelle relazioni internazionali,
nelle cerimonie e negli atti amministrativi e giudiziari. È assistito da 14 vice-presidenti insieme ai
quali costituisce l’Ufficio di Presidenza con funzioni consultive.
Il Parlamento europeo lavora in aula o in commissioni. Le commissioni permanenti sono previste
in un allegato al regolamento interno e si ripartiscono gli affari di cui l’istituzione è investita a
seconda della materia, le commissioni speciali e temporanee d’inchiesta secondo quanto previsto
dall’ art. 226 TFUE.
L’art. 14 par.1 TUE descrive le funzioni del Parlamento Europeo: “[…]esercita, congiuntamente al
Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di Bilancio. Esercita funzioni di controllo politico e
consultive alle condizioni stabilite dai trattati. Elegge il presidente della Commissione”.
Le funzioni più importanti possono essere raggruppate in funzioni di controllo politico e funzione
di partecipazione all’adozione degli atti dell’Unione. Per quanto riguarda le prime il Parlamento
dispone di numerosi canali attraverso i quali riceve tante informazioni sull’operato delle altre
istituzioni. L’informazione regolare e periodica del Parlamento è assicurata dalla presentazioni allo
stesso di relazioni o rapporti da parte di istituzioni o organi, soprattutto della Commissione. La più
importante è la relazione generale annuale (art. 233 TFUE).
Il Parlamento deve essere consultato regolarmente dall’Alto rappresentante “sui principali aspetti e
sulle scelte fondamentali della politica estera e di sicurezza comune e della politica di difesa e di
sicurezza comune” e informato “dell’evoluzione di tali politiche” (art. 36.1 TUE).
Inoltre dispone del potere di procurarsi autonomamente informazioni attraverso lo strumento delle
interrogazioni e quello delle audizioni della Commissione, del Consiglio e del Consiglio europeo
(art. 230 TFUE). Oltre questi canali di informazione che potremmo definire istituzionali, il
Parlamento europeo può trarre informazioni e stimoli dall’iniziativa degli individui che presentano
petizioni su una materia che rientra nel campo d’attività dell’Unione o denunce di infrazione o di
cattiva amministrazione nell’applicazione del diritto dell’Unione (il Parlamento può decidere di
instituire una commissione temporanea d’inchiesta). Un altro strumento è il Mediatore europeo
che è una persona indipendente e autorevole, nominata dal Parlamento a cui qualsiasi persona fisica
o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro può rivolgersi per lamentare
“casi di cattiva amministrazione”; una volta ricevuto il ricorso il mediatore effettua le proprie
indagini e se ritiene che il caso sussista si rivolge all’istituzione interessata che dispone di tre mesi
3. Il Consiglio
Il Consiglio è un organo di Stati in quanto è composto da soggetti che rappresentano direttamente i
singoli Stati membri di appartenenza. Secondo l’art. 16 par.2 TUE: “Il Consiglio è composto da un
rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato a impegnare il governo
dello Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto”.
Per quanto riguarda il funzionamento occorre osservare che a differenza del Parlamento e della
Commissione non è un organo permanente, esso si riunisce in formazioni che agiscono secondo
calendari differenziati e differiscono sia per la composizione sia per le funzioni esercitate.
L’art. 16 prevede direttamente soltanto il Consiglio “Affari generali” che “assicura la coerenza
dei lavori delle varie formazioni del Consiglio; […] prepara le riunioni del Consiglio europeo e ne
assicura il seguito in collegamento con il Presidente del Consiglio europeo e la Commissione” e il
Consiglio “Affari esteri” che ha il compito di elaborare “l’azione esterna dell’Unione, secondo le
linee strategiche definite dal Consiglio europeo” e di assicurare “la coerenza dell’azione
dell’Unione”.
Dopo il Trattato di Lisbona la disciplina della presidenza per quanto riguarda il Consiglio Affari
esteri è attribuita in via permanente all’Alto rappresentante nell’intento di assicurare maggiore
stabilità e continuità alla gestione dell’azione UE (art. 18 par.3 TUE). Per le altre formazioni,
compreso il Consiglio Affari generali la presidenza passa da uno Stato membro all’altro secondo un
sistema di rotazione paritaria alle condizioni stabilite con decisione adottata dal Consiglio europeo a
maggioranza qualificata.
La Presidenza ha innanzitutto il compito di convocare le riunioni del Consiglio (art. 237 TFUE) e
di stabilire l’ordine del giorno. I modi di deliberazione del Consiglio sono.
-la maggioranza semplice (o assoluta)
-la maggioranza qualificata
-l’unanimità
Tra di esse il modo più comune di deliberazione è la maggioranza qualificata sancito dall’art. 16
par.3 che afferma anche che il primo e il terzo modo si applicano solo se lo prescrive la norma dei
trattati su cui il Consiglio si basa per agire. La definizione di cosa debba intendersi come
maggioranza qualificata ha sempre costituito un tema delicato. Secondo l’art. 16 par.4 TUE “a
decorrere dal 1° novembre 2014, per maggioranza qualificata si intende almeno il 55% dei membri
del Consiglio, con un minimo di quindici, rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il
65% della popolazione dell'Unione.” Quindi per il raggiungimento della maggioranza è necessario
un quorum numerico minimo, secondo cui i voti favorevoli non devono essere minori di 15 e non
meno del 55% del totale dei membri del Consiglio, e un quorum demografico minimo secondo
cui i voti a favore devono essere espressi in nome di Stati membri la cui popolazione complessiva
non sia inferiore al 65% della popolazione totale dell’Unione. L’importanza di quest’ultimo quorum
è limitata da quanto prevede il secondo comma del medesimo articolo secondo cui “La minoranza
4. Il Consiglio europeo
Anche il Consiglio europeo è un organo di Stati in quanto è composto da soggetti che
rappresentano direttamente i singoli Stati membri di appartenenza. La composizione è definita
dall’art. 15 par.2 TUE “Il Consiglio europeo è composto dai capi di Stato o di governo degli Stati
membri, dal suo presidente e dal presidente della Commissione. L'alto rappresentante dell'Unione
per gli affari esteri e la politica di sicurezza partecipa ai lavori”. Quindi è composto da Capi di
Stato e di governo degli Stati membri, dal Presidente, dal Presidente della Commissione ed è
prevista la partecipazione dell’Alto rappresentante.
Prima del Trattato di Lisbona, il Presidente del Consiglio europeo era il Capo di Stato o di
governo dello Stato membro che deteneva la presidenza del Consiglio secondo il sistema di
rotazione semestrale in vigore in passato. Per dare continuità ai lavori è stata istituita un’apposita
carica la cui nomina è affidata al Consiglio europeo con deliberazione a maggioranza qualificata. La
durata del mandato è di due anni e mezzo rinnovabili una sola volta. Il par.6 dell’art citato ne
definisce le funzioni tra cui assicurare “la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio
europeo, in cooperazione con il presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio
Affari generali” o la funzione di “rappresentanza esterna dell'Unione per le materie relative alla
politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell'alto rappresentante dell'Unione
per gli affari esteri e la politica di sicurezza.”
Il modo di deliberazione tipico del Consiglio europeo è il consenso, si forma senza bisogno di
votare, quando nessuno dei membri si oppone al testo presentato dal Presidente. Il Trattato di
5. La Commissione
La Commissione è un organo di individui essendo composta da persone che non sono legate da un
vincolo di rappresentanza ad uno Stato membro. La composizione ha subito nel tempo numerosi
cambiamenti ed è ancora oggi oggetto di discussioni. Attualmente l’art. 17 par.5 TUE prevede che il
numero dei membri a partire dal 1° novembre 2014 è pari “a due terzi del numero degli Stati
membri”(compresi il presidente e l’Alto rappresentante) ma stabilisce che tale riduzione sarebbe
diventata effettiva “a meno che il Consiglio europeo non decida all’unanimità di modificare tale
numero”. In effetti poi il Consiglio europeo ha adottato l’unanimità ai sensi dell’art. cit. con
decadenza del 22 maggio 2013 con la quale si stabilisce che “la Commissione è composta da un
numero di membri. Compreso il Presidente e l’Alto rappresentante pari al numero degli Stati
membri”. I membri della Commissione devono soddisfare altri requisiti relativi alla loro
indipendenza e alla loro professionalità, l’art. 17 par.3 secondo comma prevede infatti che i membri
siano scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e tra personalità che
offrono tutte le garanzie di indipendenza.
Il mandato dei membri dura 5 anni, la durata è stata armonizzata con quella del mandato dei
membri del Parlamento europeo, di modo che un nuovo Parlamento abbia tra i suoi primi compiti
quello di partecipare alla nomina di una nuova Commissione. Ovviamente il mandato può terminare
anticipatamente in caso di dimissioni individuali o collettive che possono essere anche pronunciate
d’ufficio da parte della Corte di giustizia per violazione degli obblighi derivanti dalla loro carica.
La procedura di nomina è disciplinata dall’art.17 par.7 TUE ed è notevolmente cambiata nel corso
degli anni, prima prevedeva che gli Stati membri di comune accordo nominavano tutti i membri
della Commissione adesso la procedura si articola in più fasi e distingue la posizione del Presidente
della Commissione rispetto a quella degli altri membri. La prima fase ha oggetto l’individuazione
del solo candidato alla carica di presidente da parte del Consiglio europeo che decide a maggioranza
qualificata “tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le
consultazioni appropriate”. La seconda fase consiste nell’elezione del candidato Presidente da
parte del Parlamento europeo.
Si apre poi la terza fase a cui partecipa il neo Presidente eletto, essa consiste in una deliberazione
del Consiglio con la quale adotta l’elenco delle altre personalità selezionale in base alle proposte
presentate dagli Stati membri che propone di nominare membri della Commissione con decisione a
maggioranza qualificata. Questa fase non riguarda l’Alto rappresentante in quanto viene nominato
dal Consiglio europeo con l’accordo del Presidente della Commissione, ma la sua nomina deve
avvenire prima dell’inizio della quarta fase dovendovi partecipare in qualità di vicepresidente della
Commissione. Nella quarta fase il Presidente, l’Alto rappresentante e gli altri membri della
1. Considerazioni generali
Per procedure decisionali si intende la sequenza di atti o fatti richiesta dai trattati affinché la
volontà dell’Unione si possa manifestare attraverso determinati atti giuridici. Le procedure
decisionali hanno carattere interistituzionale, si compongono di atti o fatti provenienti da più di
un’istituzione in particolare quelle politiche. Le procedure decisionali costituiscono pertanto il
metro ideale per studiare l’equilibrio istituzionale voluto dai trattati. A seconda della procedura
decisionale il ruolo rispettivo delle istituzioni cambia. In alcuni settori prevalgono ancora le
istituzioni rappresentative degli Stati membri (Consiglio europeo e Consiglio) o viene ancora
richiesto che tali istituzioni deliberino all’unanimità. In altri settori invece le procedure decisionali
pongono su un piano di parità il Consiglio e il Parlamento europeo. Molto spesso le procedure
decisionali necessitano dell’iniziativa della Commissione, altre volte l’iniziativa può venire anche
da altri soggetti istituzionali o addirittura da uno Stato membro o da un gruppo di essi, Le procedure
decisionali si distinguono per la loro varietà. I trattati prevedono non una, ma numerose procedure
decisionali, alcune riguardano solo l’approvazione di atti specifici come la procedura di bilancio
(art. 314 TFUE) e la procedura per la conclusione di accordi internazionali (art. 218 TFUE). Inoltre
nei settori che prima del Trattato di Lisbona costituiscono il II e il III pilastro dell’Unione, le
procedure decisionali applicabili sono in generale caratterizzate dalla sopravvivenza di elementi più
tipici del metodo della cooperazione intergovernativa che di quello comunitario sopratutto per il
settore PESC nel quale si seguono procedure decisionale proprie. La disciplina delle procedure
Sezione I
Le fonti: quadro generale- I Trattati
1. Considerazione generali
Il complesso delle norme del TUE e TFUE costituisce o meno un ordinamento autonomo?
L’Unione europea è portatrice di un proprio ordinamento giuridico, che si distingue tanto dal diritto
internazionale quanto dal diritto interno di ciascuno Stato membro? Inizialmente nella sentenza 5
2. I trattati
Le fonti di diritto primario dell’Unione sono in massima parte contenute nei due trattati fondativi
(TUE e TFUE), come emendati dai trattati di revisione e modificati dai trattati di adesione che si
sono succeduti nel tempo.
Natura di fonti primarie hanno anche i Protocolli e gli Allegati ai trattati sanciti dall’art. 51 TUE.
L’atto finale delle conferenze intergovernative (CIG), convocate per approvare i trattati di revisione
o di adesione, reca in allegato alcune Dichiarazioni, aventi ad oggetto una o più disposizioni dei
trattati ovvero questioni attinenti allo loro applicazione. Esistono dichiarazioni della Conferenza,
cioè di tutti gli Stati membri o dichiarazioni di uno o più Stati membri. Alle prime può riconoscersi
un ruolo importante per quanto riguarda l’interpretazione delle disposizioni di cui non hanno la
stessa natura giuridica e non costituiscono per l’interprete un vero e proprio vincolo. Minore
rilevanza ha l’altro tipo proprio perché non emanano da coloro che detengono collettivamente il
potere di revisione. Una questione molto dibattuta è quella della natura giuridica dei trattati,
tradizionalmente l’alternativa si pone tra due possibili soluzioni: i trattati vanno considerati come
semplici trattati internazionali oppure nel loro insieme come una carta costituzionale. A
sostegno della prima soluzione può invocarsi la circostanza che il TCE, il TUE e tutti i trattati che
nel tempo li hanno modificati, compreso il Trattato di Lisbona, sono stati conclusi nelle forme e
secondo i procedimenti propri di un normale trattato internazionale. Ponendoci in una prospettiva
interna al sistema giuridico dell’Unione, sembra invece possibile ammettere che i trattati assolvano
ad una funzione di natura costituzionale. Infatti essi da un lato definiscono la struttura istituzionale
dell’Unione, le procedure per l’adozione degli atti di diritto derivato e le caratteristiche di tali atti,
dall’altro definiscono i settori attribuiti alla competenza dell’Unione, prevedono una serie di norme
materiali che dettano i valori, i principi e le regole di base applicabili a tali vari settori. Certo non si
tratta di una costituzione di tipo statuale tuttavia la tesi che i trattati siano solo dei meri trattati non
soddisfa. La Corte di giustizia li considera e adopera come una costituzione. Tale concezione si
riflette nei criteri interpretativi seguiti dalla Corte che si discostano notevolmente da quelli
utilizzati per i trattati internazionali compresi quelli istitutivi di organizzazioni internazionali. La
Corte tende a dare rilievo non decisivo al dato testuale delle norme da interpretare e ricorre invece
con grande libertà a criteri di tipo contestuale e teologico. Talora l’obiettivo perseguito da
disposizioni dei Trattati è ricavato o confermato dai lavori preparatori.
Le norme del TFUE sulle quattro libertà di circolazione (di merci, persone, servizi e capitali: art.26
TFUE) sono interpretate estensivamente così come lo sono le norme che definiscono le competenze
dell’Unione. Le norme che consentono agli Stati membri di adottare o mantenere provvedimenti
derogatori rispetto alle regole generali sono oggetto di interpretazione restrittiva come anche le
norme che mirano a consentire agli Stati membri di continuare ad utilizzare le loro competenze
parallelamente a quelle dell’Unione. Risulta perciò rovesciato il criterio normalmente seguito dai
giudici internazionali secondo cui le limitazioni della sovranità degli Stati non si presumono. Un
altro criterio interpretativo applicato alle norme del Trattato è quello detto dell'effetto utile. Tra le
varie interpretazioni possibili, la Corte preferisce quella che consente di riconoscere alla norma la
maggiore effettività possibile, in maniera che gli scopi a cui la norma è rivolta possano essere
raggiunti più compiutamente (esempio di ciò è offerto dalla giurisprudenza che riconosce l'efficacia
Sezione II
I Principi Generali- La Carta dei Diritti Fondamentali
3. I principi generali del diritto
Tra le fonti assimilabili a quelle di diritto primario si segnalano anzitutto i principi generali del
diritto, comprensivi dei principi relativi alla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo. Questi
svolgono un ruolo più importante negli ordinamenti di più recente formazione o in quelli nei quali il
sistema di produzione di norme è poco efficiente. La tipologia dei principi generali è ampia.
Una prima categoria è costituita dai principi generali del diritto dell’Unione. Tali principi
trovano espressione in determinate norme dei trattati, alle quali vengono assegnati grande
importanza e carattere assolutamente imperativo e inderogabile. Un esempio è dato dal principio di
non discriminazione, il quale trova specifica applicazione in diverse disposizioni del TFUE:
l'articolo 18 vieta le discriminazioni legate alla nazionalità, divieto questo che viene ribadito nelle
norme relative alle libertà di circolazione (artt. 45,49 e 57 secondo comma); l’art. 19 che prevede
l’adozione di provvedimenti “per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, sulla razza o
l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o l’orientamento
sessuale”; l’art. 40 par.2 secondo comma che vieta le discriminazioni tra produttori e consumatori
nell’ambito delle organizzazioni comuni dei mercati agricoli; l’art. 157 par.1 che vieta le
discriminazioni in materia salariale tra lavoratrici e lavoratori.
Secondo la Corte di giustizia le disposizioni citate sono specifiche applicazioni del principio
generale di non discriminazione e vanno pertanto interpretate in maniera ampia. Un esempio è
fornito dalla maniera n cui è stata definita la portata della nozione di discriminazione, alle
Sezione III
Il diritto internazionale- Gli atti giuridici delle istituzioni
7. Il diritto internazionale generale e gli accordi internazionali
È ormai pacifico che l’Unione, come prima di essa la CE, costituisce un soggetto di diritto
internazionale autonomo rispetto agli Stati che ne sono membri. Essa gode delle prerogative delle
persone giuridiche internazionali, compreso il diritto di legazione attivo e passivo, la capacità di
concludere accordi internazionali, nonché quella di acquisire la qualità di membro di una tale
organizzazione. L’art. 47 TFUE dispone infatti che “l’Unione ha personalità giuridica”. L’Unione
è tenuta a rispettare le norme di diritto internazionale generale. Tale vincolo è confermato
dall’art. 3 par.5 TUE secondo cui “Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione […]
contribuisce […] alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare
al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite”. Un comportamento delle istituzioni
assunto in violazione di una norma di diritto internazionali generale costituirebbe pertanto un
illecito internazionale. È bene precisare che le norme di diritto internazionale generale vincolano
l’Unione soltanto nei confronti di soggetti terzi. Gli Stati membri non possono invece invocare tali
principi nei loro rapporti reciproci, quando agiscono nel campo d’applicazione dei trattati. Per gli
Stati membri, infatti, questi costituiscono una lex specialis che prevale sul diritto generale. La Corte
ha più volte affermato che uno Stato membro non può invocare la violazione di un obbligo
derivante dai trattati da parte di un altro Stato membro per giustificare, a sua volta, la violazione
dello stesso o degli altri obblighi aventi pari fonte. Le norme del diritto internazionale svolgono
anzitutto una funzione ermeneutica analoga a quella dei principi generale del diritto e vanno
utilizzate per l’interpretazione delle norme dell’Unione, comprese quelle dei trattati; inoltre il diritto
internazionale costituisce un parametro di legittimità degli atti delle istituzioni. In questa duplice
funzione le norme di diritto internazionale generale possono essere invocate tanto dalle istituzioni e
dagli Stati quanto dai soggetti degli ordinamenti interni, i quali possono avvalersene nelle azioni
proposte dinanzi ai giudici degli Stati membri. Gli accordi internazionali con Stati terzi possono
essere di tre tipi:
Gli accordi internazionali conclusi da Stati membri con Stati terzi non fanno parte
dell’ordinamento dell’Unione ma assumono rilevanza soltanto nella misura in cui un
accordo del genere, a determinate condizioni, può essere invocato dallo Stato membro come
causa di giustificazione per il mancato rispetto di obblighi derivanti dai trattati. Tale
possibilità vale innanzitutto per quanto riguarda gli accordi conclusi prima della data in cui
il TCE è entrato in vigore rispetto allo Stato membro in questione, infatti il trattato
concluso da due Stati non può essere emendato, ne tantomeno abrogato per effetto della
successiva conclusione di altro trattato tra due Stati, di cui uno soltanto sia parte anche del
primo trattato. Il principio comporta che lo Stato che ha concluso tanto il primo quanto il
secondo trattato resta tenuto a rispettarli entrambi. Riconoscendo l’esistenza di tale
principio, l’art. 351 TFUE contiene un’apposita clausola di compatibilità che consente allo
Stato membro interessato di sottrarsi agli obblighi derivanti dei trattati soltanto nella misura
8. I regolamenti
Il regolamento viene descritto nel secondo comma dell’art. 288 TFUE nei seguenti termini: “Il
regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente
applicabile in ciascuno degli Stati membri”. La caratteristica della portata generale indica che il
regolamento ha natura normativa, pone regole di comportamento rivolte non a soggetti
predeterminati ma alla generalità di questi. Può accadere che un regolamento definisca i requisiti di
fatto o di diritto richiesti per la sua applicazione in maniera che soltanto un numero relativamente
ristretto di persone li soddisfi. Può anche darsi che il campo di applicazione sia talmente esiguo che
si possa individuare a priori coloro ai quali il regolamento, una volta entrato in vigore, si
applicherà. La seconda caratteristica è l’obbligatorietà integrale: il regolamento deve essere
rispettato in tutti i suoi elementi, vale a dire nella sua interezza. L’art. 288 secondo comma si
rivolge soprattutto agli Stati membri, esplicitando che essi non possono lasciare inapplicate talune
disposizioni del regolamento, limitarne il campo d’applicazione dal punto di vista temporale,
territoriale o personale, subordinarle a condizioni d’applicazione non previste oppure introdurre
facoltà di deroga non contemplate dal regolamento stesso. L’ultima caratteristica è la diretta
applicabilità “in ciascuno degli Stati membri”. In primo luogo la diretta applicabilità riguarda
l’adattamento degli ordinamenti interni degli Stato membri o meglio i modi attraverso cui
l’adattamento deve avvenire. In genere, i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali non si
preoccupano di stabilire come gli Stati membri dovranno dare applicazione agli atti obbligatori che
gli organi dell’organizzazione adottano. L’art. 288 invece ha inteso disciplinare uniformemente tale
importante aspetto, prescrivendo che l’adattamento degli ordinamenti interni al regolamento
avviene “direttamente”, quindi immediatamente e automaticamente. La diretta applicabilità non
esclude però gli Stati membri siano chiamati ad adottare provvedimenti nazionali integrativi. In
secondo luogo, l’applicabilità diretta dei regolamenti implica la loro capacità di produrre effetti
diretti all’interno degli ordinamenti degli Stati membri (c.d efficacia diretta), ne discende che il
regolamento, alla stessa stregua di qualsiasi fonte normativa di diritto interno, è “atto ad attribuire
ai singoli dei diritti che i giudici nazionali devono tutelare” (sentenza 17 maggio 1972, 93/71).
1. Considerazioni generali
Abbiamo visto come la caratteristica propria dell'ordinamento dell’Unione, consiste nel
riconoscere come titolari di soggettività giuridica non solo gli Stati membri, ma anche coloro ai
quali tale soggettività spetta nell'ambito degli ordinamenti interni degli Stati membri. La capacità
delle norme facenti parte dell’ordinamento dell’Unione di rivolgersi ai cittadini comporta che le
norme comunitarie presentano due dimensioni:
-dimensione internazionale: sono di tipo internazionalistico i rapporti giuridici che il diritto
dell’Unione fa sorgere in capo agli Stati membri e alla Comunità. Il contenuto di tali rapporti è
costituito da una serie di diritti e obblighi che l’Unione, o lo Stato membro può far valere nei
confronti di un altro Stato membro o istituzione. Nell'ambito di tali rapporti, lo Stato membro
interessato si presenta in maniera unitaria, analogamente a quanto avviene nell'ordinamento
internazionale. I rapporti di tipo internazionalistico sfociano, in caso di controversia, nei
procedimenti giudiziari di soluzione, il più importante dei quali è disciplinato dagli artt. 258 e 259
TFUE.
-dimensione interna: appartengono ad una dimensione interna all'ordinamento di ciascuno Stato
membro, i rapporti giuridici interessati dal diritto comunitario che coinvolgono soggetti di tali
ordinamenti. Talvolta si tratta di rapporti orizzontali (contrapposti soggetti privati), più spesso si
tratta di rapporti verticali (sorgono tra un soggetto privato e un soggetto pubblico).
Il diritto dell’Unione può intervenire su tali rapporti con intensità variabile. In primo luogo, può
darsi che il diritto dell’Unione fornisca la disciplina di tali rapporti. Ciò avviene, in particolare, nel
campo d'applicazione dei regolamenti, i quali, essendo direttamente applicabili, disciplinano
un'intera materia e si sostituiscono alle eventuali norme interne preesistenti (effetto di
sostituzione). Tale effetto, seppur su scala più limitata, può derivare anche da altre fonti di diritto
dell’Unione. In secondo luogo il diritto dell’Unione può interessare la disciplina di un rapporto
giuridico dettando principi generali o anche regole particolari che si limitano ad impedire
l'applicazione di norme interne ad esse contrarie (effetto di opposizione). In questi casi, la
disciplina del rapporto resta soggetta al diritto interno, dal quale vengono eliminate soltanto le
norme incompatibili con il diritto dell’Unione. In entrambi i casi precedenti si suole dire che la
norma comunitaria produce effetti diretti oppure gode di efficacia diretta negli ordinamenti
interni.
1. Considerazioni generali
L'ordinamento dell’Unione comprende un sistema di tutela giurisdizionale che assicura la
protezione delle posizioni giuridiche sorte per effetto del diritto dell’Unione. Tale sistema è ripartito
su due livelli:
-la Corte di giustizia dell’Unione europea (articolata al suo interno in Corte di giustizia, Tribunale e
prima della sua abolizione il Tribunale della Funzione pubblica)
-gli organi giurisdizionali degli Stati membri.
Al primo livello spettano in via esclusiva alcune azioni tassativamente enumerate dai trattati, che i
soggetti interessati possono proporre direttamente davanti ad una delle articolazioni della Corte di
giustizia (competenze dirette):
3. Il ricorso d’annullamento
Disciplinato dagli artt. 263 e ss. TFUE costituisce la forma principale di controllo giurisdizionale
di legittimità prevista per gli atti dell'istituzioni comunitarie. Esso mira ad ottenere l'annullamento
degli atti che risultino viziati.
È importante chiarire che secondo la Corte essa è l’unico organo competente a controllare la
legittimità degli atti delle istituzioni e a dichiararne l’illegittimità o l’annullamento quindi essa
ritiene di essere investita del monopolio sul controllo della legittimità del diritto derivato
dell’Unione. Questa soluzione è finalizzata ad evitare che le Corti costituzionali tedesco-federale e
italiana rivendicassero la necessità di operare esse stesse un controllo.
L'art. 263 primo comma definisce gli atti impugnabili facendo riferimento a tre criteri:
a)autore: possono essere impugnati gli atti di tutte le istituzioni (art. 13 par.1 comma secondo TUE)
eccetto la Corte di giustizia e la Corte dei conti, nonché gli atti degli organi o organismi
dell’Unione. Tutti questi soggetti sono pertanto dotati di legittimazione passiva nell'ambito del
ricorso d'annullamento.
2)tipo: l' art. 263 distingue anzitutto gli atti legislativi dagli atti che tali non sono. Gli atti legislativi
sono sempre impugnabili. Per gli altri che vengono genericamente designati come "atti"
l'impugnabilità dipende dal terzo criterio, quello degli effetti. Per il Consiglio, la Commissione e la
BCE questo scopo è implicitamente raggiunto, escludendo l’impugnabilità di raccomandazioni o
pareri e ammettendo invece quella di qualsiasi altro atto di tali istituzioni appartenente alle altre
categorie dell’art. 288 TFUE ( regolamenti, direttive e decisioni).
3)effetti: permette di limitare l'impugnazione ad atti non legislativi che sono destinati a produrre
effetti giuridici nei confronti di terzi.
4. Il ricorso in carenza
Esso è disciplinato dall'art. 265 TFUE. Costituisce un'altra forma di controllo giurisdizionale della
legittimità del comportamento delle istituzioni. L'oggetto del controllo in questi casi è un
comportamento omissivo (per definire il quale è invalso l’uso del termine carenza di derivazione
francese) che si assume illegittimo, perché tenuto in violazione di un obbligo di agire previsto dai
trattati. Scopo del ricorso è dunque la dichiarazione dell’illegittima omissione e non l’ottenimento
di un atto diverso da quello emanato dall’istituzione. I presupposti del ricorso sono perciò due:
a) esistenza di un obbligo di agire a carico dell'istituzione in causa: è quindi escluso che si possa
ricorrere in carenza contro l'omissione di atti la cui adozione è affidata alla discrezionalità delle
istituzioni (non può ad esempio esperirsi ricorso in carenza contro l'omessa emanazione di un
parere motivato - v. sentenza Star Fruit,Guèrin e Telecinco);
b) violazione di un obbligo di agire: essa può essere fatta valere tramite un ricorso ai sensi dell'art.
265 a condizione che 1) l'istituzione, l’organo o l’organismo in causa sia stata previamente richiesta
di agire e 2) sia scaduto un termine di due mesi da tale richiesta senza che l'istituzione abbia preso
9. La nozione di giurisdizione
La competenza pregiudiziale può essere attivata soltanto da un organo che possa essere definito
come una giurisdizione di uno degli Stati membri. La Corte si riserva il potere di verificare che
l'organo autore del rinvio pregiudiziale rientri effettivamente in tale nozione, considerandola come
3. Il principio di sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà così come quello di proporzionalità presuppongono l’esistenza di una
competenza attribuita all’Unione. L’art. 5 par. 3 specifica il campo d’applicazione, esso vale
soltanto nei settori che non sono di competenza esclusiva dell’Unione ma dato che sono pochissimi
e rappresentano l’eccezione questa precisazione ha portata limitata. Restano infatti soggette
all’applicazione del principio tutte le competenze concorrenti, quelle del terzo tipo, quelle di
coordinamento e quelle relative alla PESC. Considerando che nei settori di competenza
concorrente, la sopravvivenza della competenza statale dipende dalla misura in cui la competenza
dell’Unione viene esercitata, il principio di sussidiarietà ha grande importanza proprio in questi