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DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA PARTE SPECIALE ESTRATTO A CURA STROZZI – ED. 2014

CAPITOLO I - LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI


(LUIGI SBOLCI)

INTRODUZIONE

MERCATO INTERNO E LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI


La libera circolazione delle merci tra gli Stati Membri (d’ora in avanti s.m.) dell’Unione Europea costituisce uno
strumento essenziale per realizzare il mercato interno previsto dall’art. 3 TUE. I contenuti del mercato
interno sono definiti dall’art. 26 TFUE (il TFUE era denominato precedentemente TCE, in precedenza
denominato CEE):
1. L'Unione adotta le misure destinate all'instaurazione o al funzionamento del mercato interno,
conformemente alle disposizioni pertinenti dei Trattati.
2. Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei Trattati.
3. Il Consiglio, su proposta della Commissione, definisce gli orientamenti e le condizioni necessari per
garantire un progresso equilibrato nell'insieme dei settori considerati.

La nozione di mercato interno fu introdotta nel Trattato CEE dall’Atto unico europeo, traendola da alcune
dichiarazioni del Consiglio europeo e dal Libro bianco. La nozione di mercato interno fu aggiunta a quella di
mercato comune già conosciuta.

 MERCATO INTERNO: comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, secondo l’art. 26 par.2;
 MERCATO COMUNE: la nozione era molto più ampia, perche comprendeva anche libertà pertinenti
al mercato interno e politiche comuni nei settori considerati dal Trattato.

Il concetto di mercato interno implicò un impulso ad assicurare l’effettività della libera circolazione nei
settori considerati dal mercato interno. L’assenza di una definizione precisa della nozione di mercato
comune favorì la tendenza a non distinguerla da quella di mercato interno e considerare le due nozioni
equivalenti. Infatti la giurisprudenza della Corte di Giustizia utilizzò spesso indifferentemente le due
espressioni; il Trattato di Lisbona inserisce nella parte terza del TFUE il titolo I con la denominazione
‘’Mercato interno’’, che sostituisce l’espressione ‘’mercato comune’’.

LE FONTI DELLA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI


La disciplina giuridica della libera circolazione delle merci è contenuta soprattutto nel TFUE. Prima delle
modifiche introdotte al TCE dal Trattato di Amsterdam, molte disposizioni disponevano di realizzare la
libera circolazione delle merci in modo graduale; stabilivano inoltre che doveva essere istaurata un’unione
doganale mediante abolizione di dazi doganali e tasse di effetto equivalente tra gli s.m. e mediante la
creazione graduale di una tariffa doganale comune nei confronti degli Stati terzi. Era disposta anche la
progressiva abolizione delle restrizioni quantitative e delle misure equivalenti applicate alle importazioni o
alle esportazioni tra s.m. .
La disciplina vigente stabilita dal TFUE sulla libera circolazione delle merci è composta da tre gruppi di
norme:

 Gli artt. 28 e 29 che definiscono ambiti di applicazione della disciplina;


 Gli artt. 30, 31, 32 pongono le regole in tema di unione doganale la cui disciplina rientra nella
competenza esclusiva della UE
 Gli artt. 34 e 35 che stabiliscono il divieto di restrizioni quantitative tra s.m. e l’art. 36 che autorizza
le deroghe per motivi di interesse pubblico.

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Le regole sull’unione doganale vanno integrate dall’art. 110 che pone obblighi complementari alle norme
sull’unione doganale perché diretti a vietare imposizioni fiscali interne applicate ai prodotti provenienti
dagli altri s.m. .
La Corte di giustizia ha affermato che talune di queste disposizioni producono effetti diretti negli
ordinamenti nazionali; nella sentenza VAN GEND EN LOOS la Corte ha attribuito effetti giuridici all’art.12
CEE, ora art. 30 TFUE che vietava agli s.m. sia di introdurre dazi doganali o tasse equivalenti, sia di
aumentare quelli in vigore; nella sentenza LUTTICKE la Corte ha riconosciuto che il divieto sancito dall’art.
95 CEE (ora 110 TFUE) di imporre tributi interni contrari alla libera circolazione delle merci, produce effetti
diretti in quanto ‘’costiTUEnte un obbligo preciso e incondizionato’’. Con altre sentenze la Corte ha
affermato l’efficacia diretta dell’art.30 CEE (ora art. 34 TFUE) che vieta qualsiasi discriminazione fra cittadini
degli s.m. praticata a mezzo di monopoli nazionali aventi carattere commerciale. Le disposizioni che
producono effetti diretti prevalgono su norme nazionali confliggenti; implica la disapplicazione delle norme
interne contrastanti con le disposizioni della UE.
La giurisprudenza della Corte di giustizia ha contribuito alla ricostruzione delle fonti in materia e ha
enunciato fondamentali principi del diritto UE, come il principio del mutuo riconoscimento; per istaurare la
tariffa doganale comune sono Stati approvati regolamenti da parte del Consiglio e della Commissione e
sono state adottate direttive che hanno soppresso ostacoli fiscali, tecnici e fisici della libera circolazione
delle merci tra Stati.

L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLE NORME DELL’UNIONE EUROPEA SULLA LIBERA


CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
L’art. 28 TFUE indica che questo ambito include ‘’il complesso degli scambi di merci’’. La Corte di giustizia
ha dato una definizione di merci:
MERCI: prodotti pecuniariamente valutabili, atti a costituire oggetto di negozi commerciali.
Quindi nell’ambito di applicazione di questa normativa vanno compresi beni di varia natura come oggetti di
interesse storico e artistico, rifiuti, energia elettrica, apparecchi per il gioco d’azzardo, stupefacenti. La
libera circolazione dei prodotti agricoli è assicurata dalle norme speciali sulla politica agricola dell’UE; una
disciplina speciale è stabilita anche per le armi, munizioni, materiale bellico; norme speciali sono stabilite
anche dal Trattato CECA e sono stabilite dal Trattato euratom per la circolazione di prodotti da essi
contemplati. Gli artt. 28 e 29 TFUE definiscono l’ambito di applicazione di divieti di dazi doganali e delle
restrizioni quantitative, per quanto riguarda l’origine delle merci. In questo ambito sono compresi prodotti
originari degli s.m. e quelli provenienti dagli Stati terzi. L’ambito di applicazione territoriale delle norme
sulla libera circolazione delle merci è definito dall’art. 52 TUE (dice che i Trattati si applicano a tutti gli s.m.)
e precisato dall’art. 355 TFUE (dispone l’applicabilità dei Trattati ad altri territori come Guadalupa,
Martinica, Azzorre, Canarie).

LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E UNIONE DOGANALE

IL DIVIETO DI DAZI DOGANALI E DELLE TASSE DI EFFETTO EQUIVALENTE


Il TFUE indica che la libertà di circolazione delle merci si realizza attraverso l’instaurazione di un’unione
doganale e l’applicazione del divieto di restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione. Le norme
sull’unione doganale implicano:

• il divieto di dazi doganali all’importazione e all’esportazione;


• il divieto di tasse aventi effetti equivalenti;
• l’adozione di una tariffa doganale comune nei confronti delle merci provenienti da Stati terzi (le
merci provenienti da questi Stati sono considerati in libera pratica nel commercio interno all’UE).

Obiettivi perseguiti dall’unione doganale:

• accrescere la concorrenza nella UE;


• promuovere gli scambi commerciali tra UE e Stati terzi;

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• assicurare lo sviluppo della produzione e dei consumi.

L’art. 30 TFUE pone il divieto di dazi doganali all’importazione e all’esportazione e il divieto di tasse
equivalenti; il divieto si riferisce ai dazi doganali riscossi da uno s.m. in ragione del passaggio di una merce
attraverso una frontiera fra Stati della UE; sono vietati anche dazi doganali di carattere fiscale; il divieto è
generale e assoluto e non riguarda solo i dazi imposti sul commercio tra s.m. ma anche quelli
eventualmente vigenti all’interno degli Stati. Passando alle tasse di effetto equivalente, la Corte ha dato
una nozione:
TASSE DI EFFETTO EQUIVALENTE: qualsiasi onere pecuniario imposto unilateralmente a prescindere dalla
sua denominazione e dalla sua struttura, che colpisca le merci in ragione del fatto che esse varcano la
frontiera.
Alcune tipologie di oneri pecuniari percepiti rispetto a merci importate/esportate esulano dall’ambito di
applicazione di questo divieto:

• oneri che costituiscono corrispettivo di un servizio preStato, purché non obbligatorio e


proporzionato al servizio;
• oneri riscossi per operazioni imposte da norme dell’UE;
• oneri imposti da uno s.m. nel quadro di un regime generale di tributi interni applicabili sia alle
merci nazionali che a quelle importate dagli altri s.m.

LA SOPPRESSIONE DEI CONTROLLI FISCALI ALLE FRONTIERE TRA STATI MEMBRI


Il divieto di dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente ha contribuito a determinare la soppressione
dei controlli fiscali sulle merci in transito alle frontiere tra s.m.; grazie all’armonizzazione delle legislazioni
nazionali nel settore delle imposte indirette, è venuta meno l’esigenza di tali controlli. Grazie all’abolizione
dei controlli fiscali alle frontiere, è Stato eliminato un ostacolo considerevole agli scambi di merci tra s.m. .
Il Libro bianco del 1985 aveva incluso questi controlli tra le ‘’barriere fiscali’’ e tra le ‘’barriere fisiche’’ al
completamento del mercato interno. I viaggiatori possono introdurre in uno s.m. senza limiti ne controlli i
prodotti acquiStati in un altro Stato; le imposte indirette su questi prodotti sono pagate nello Stato di
acquisto, purché siano destinati a uso personale e non al commercio. I viaggiatori che si trasferiscono da
uno s.m. all’altro utilizzando un trasporto aereo o marittimo non hanno più diritto di avvalersi dei vantaggi
fiscali offerti dagli speciali punti vendita esenti da imposte (duty-free).

LE IMPOSIZIONI FISCALI INTERNE


L’art. 110 TFUE stabilisce il divieto per gli s.m. di imporre tributi interni discriminatori nei confronti dei
prodotti di altri Stati dell’UE; al secondo comma stabilisce il divieto di imporre tributi interni protezionistici
a tutela della produzione naturale. Tali disposizioni hanno la finalità di evitare l’elusione del divieto di dazi
doganali e delle tasse di effetto equivalente. Per raggiungere questo scopo è necessario che eventuali
tributi interni siano improntati al principio della neutralità fiscale tra prodotti nazionali e quelli degli altri
s.m. .

IL DIRITTO AL RIMBORSO DEI TRIBUTI RISCOSSI DA UNO STATO MEMBRO IN


VIOLAZIONE DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
Le norme europee considerate finora producono effetti diretti negli ordinamenti degli s.m.; la loro
violazione mediante imposizione e riscossione di oneri fiscali illegittimi da parte di uno s.m. implica il diritto
dei contribuenti alla ripetizione dell’indebito nei confronti di tali Stati. Spetta a ciascun ordinamento
nazionale stabilire le modalità processuali e gli organi competenti per assicurare la tutela del diritto al
rimborso. Le modalità per esercitare il diritto al rimborso devono essere conformi al principio di
equivalenza e effettività: il principio di equivalenza richiede che le modalità non siano meno favorevoli di
quelle che attengono ai ricorsi analoghi di diritto interno; il principio di effettività impone che la procedura
interna non renda impossibile o difficile l’esercizio del diritto conferito dall’ordinamento dell’Unione
europea. Il diritto al rimborso può essere sottoposto in ciascun ordinamento nazionale a termini di
prescrizione e di decadenza, che dovrebbero decorrere dal momento della modifica delle normative
nazionali disposta per l’osservanza delle regole UE.

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LA TARIFFA DOGANALE COMUNE E IL REGIME DELLE FRANCHIGIE
Le norme del TFUE sull’unione doganale impongono anche l’adozione di una tariffa doganale comune
applicabile allo scambio di merci con Stati terzi; i dazi della tariffa doganale comune sono stabiliti dal
Consiglio su proposta della Commissione. Questa tariffa doganale comune potrebbe promuovere gli scambi
con Stati terzi e favorire l’approvvigionamento dell’Unione in materie prime e prodotti semilavorati. Il
Consiglio, mediante regolamento, ha adottato norme relative alla tariffa doganale comune e alla
nomenclatura (NC) della merci. Quest’ultima è basata sulla Convenzione internazionale sul sistema
armonizzato di designazione e di codificazione delle merci elaborata dal Consiglio di cooperazione
doganale. La nomenclatura combinata istituisce suddivisioni per voci per le esigenze specifiche dell’Unione;
il regolamento determina le aliquote dei dazi doganali; nomenclatura e aliquote dei dazi possono essere
adeguate con atti del Consiglio o della Commissione per stare al passo con i mutamenti della politica
commerciale dell’Unione; ogni anno la Commissione adotta un regolamento che contiene la versione
completa della nomenclatura combinata e delle quote dei dazi autonomi e convenzionali. Allo scopo di
integrare e codificare tutti i provvedimenti adottati in materia doganale, il regolamento sulla tariffa
doganale prevede che ogni anno la Commissione instauri una tariffa integrata delle Comunità europee
(TARIC) che diventa Tariffa integrata dell’Unione europea. Non produce effetti propri ma rinvia a quelli
prodotti dai singoli atti normativi da essa incorporati. La Taric rappresenta la tariffa doganale comune,
perche incorpora i provvedimenti relativi alle esportazioni.
Allo scopo di riunire in un unico testo le disposizioni disperse, è Stato approvato un codice doganale
comunitario, divenuto codice doganale dell’Unione europea; esso definisce il territorio dogale dell’Unione;
nel secondo titolo stabilisce gli elementi che compongono la tariffa doganale comune, detta i criteri per
definire l’origine delle merci, i criteri per determinare il valore in dogana. Il codice distingue le merci
provenienti da Stati ai quali si applica un regime tariffario preferenziale da quelle che provengono da Stati
che non godono di tale regime. Qualora la merce sia stata prodotta con il contributo di uno o più Stati, essa
è considerata originaria del paese in cui sia avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale.
L’accertamento del valore delle merci in dogana costituisce il presupposto dell’applicazione della tariffa
doganale; si deve tener conto del valore di transazione, cioè del prezzo effettivamente pagato o da pagare
per le merci. I restanti titoli del codice doganale stabiliscono regole per definire il momento e il luogo in cui
sorge l’obbligazione doganale, i termini e le modalità di pagamento dei dazi e le zone franche. Nelle
disposizioni finali sono contenute le norme che istituiscono e disciplinano il Comitato del codice doganale a
cui è affidata funzione consultiva e di esame nell’ambito di una procedura speciale.
Un regime speciale di franchigie doganali è Stato istituito dal regolamento del Consiglio; in certe circostanze
vengono esonerate le merci dai dazi cui sarebbero soggette, quando non vi sia interesse della UE ad
applicare misure protettive oppure quando sussista un obbligo stabilito da convenzioni internazionali di cui
siano parti contraenti gli s.m. o alcuni di essi. In questi casi, l’UE si considera vincolata sul piano
internazionale in sostituzione degli s.m. sulla base della propria competenza esclusiva in materia. Le
esenzioni dai dazi doganali stabilite dal regime delle franchigie sono applicabili a specifiche categorie di
beni (beni personali, appartenenti a persone fisiche che trasferiscano la loro residenza normale da un paese
terzo a uno s.m., beni importati in occasione di un matrimonio, beni ricevuti in caso di successione, merci
contenute nel bagaglio di un viaggiatore). Per quanto riguarda oggetti di carattere educativo, scientifico,
culturale è previsto un duplice regime di franchigia: alcuni beni sono ammessi in franchigia dai dazi
all’importazione indipendentemente dalla loro destinazione, altri solo se destinati a istituti o organismi
pubblici o di pubblica utilità.

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LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E DIVIETO DI RESTRIZIONI QUANTITATIVE TRA STATI
MEMBRI

IL DIVIETO DI RESTRIZIONI QUANTITATIVE E DELLE MISURE DI EFFETTO


EQUIVALENTE
Il capo terzo del titolo pertinente alla libera circolazione delle merci dispone dei divieti rispetto alle
importazioni e rispetto alle esportazioni:

• Il divieto di praticare restrizioni quantitative: vieta ogni misura che disponga in modo espresso una
preclusione totale o parziale agli scambi di merci tra s.m. ;
• Il divieto di applicare misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative nei confronti di
esportazioni/importazioni.

la finalità dei due obblighi è vietare ogni misura che abbia come oggetto o per effetto di restringere gli
scambi commerciali tra s.m. e di creare una disparità di trattamento tra commercio interno di uno s.m. e
commercio interno all’Unione.
MISURA DI EFFETTO EQUIVALENTE AD UNA RESTRIZIONE QUANTITATIVA: qualsiasi misura che ostacoli
direttamente o indirettamente gli scambi di merci tra s.m.; in questo ambito è ricompreso ogni
comportamento imputabile allo Stato e ogni misura, come una reiterata prassi amministrativa.
Un comportamento di privati che limiti la libera circolazione delle merci è soggetto alle norme UE in tema di
concorrenza.
Per definire le specifiche tipologie di misure, la Corte di giustizia ha considerato separatamente le misure
che si applicano in modo distinto ai prodotti importati o esportati, e le misure che si applicano in modo
indistinto ai prodotti nazionali e a quelli importati o esportati. Le misure distintamente applicabili sono
incompatibili con il divieto di applicare misure di effetto equivalente perche assumono carattere
discriminatorio e rendono impossibili gli scambi di merci. Tra le misure distintamente applicate vanno
inclusi provvedimenti che impongono una autorizzazione o una licenza per le importazioni o per le
esportazioni o che richiedano certificati attestanti la qualità dei prodotti importati, provvedimenti che
impongono controlli sanitari a carattere sistematico sui prodotti importati o esportati. Le misure
indistintamente applicabili alle merci esportate o importate e alle merci nazionali non dovrebbero produrre
effetti equivalenti; ma la Commissione e la Corte di giustizia hanno attribuito anche ad esse effetti restrittivi
qualora presentino alcuni caratteri. La Corte sembra includere nell’ambito delle misure vietate solo quelle
che abbiano la caratteristica di essere indistintamente applicabili ai prodotti nazionali e ai prodotti
importati. Sarebbero escluse le misure applicabili indistintamente ai prodotti nazionali e a quelli esportati
perché ininfluenti sulla libera circolazione delle merci.
La giurisprudenza della Corte ha indicato altre caratteristiche perché alcune misure indistintamente
applicabili possano essere considerate vietate; la Corte ha considerato vietate le disposizioni che
stabiliscano prezzi minimi ad un livello cosi elevato da neutralizzare il vantaggio concorrenziale posseduto
dalla merce importata in ragione dei suoi prezzi inferiori. La Corte di giustizia ha ritenuto che l’applicazione
ai prodotti importati da un altro Stato membro di regole nazionali che limitino/vietino alcune modalità di
vendita non costituisca misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa, purché valgano in egual
misura per tutti gli operatori interessati.

GLI OSTACOLI ALLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI DERIVANTI DALLE NORME
TECNICHE NAZIONALI E IL PRINCIPIO DEL MUTUO RICONOSCIMENTO
Nell’ambito delle misure di effetto equivalente indistintamente applicabili ai prodotti nazionali e a quelli
importati, rilevano le norme tecniche sulle caratteristiche dei prodotti. Le regole nazionali che stabiliscono
la composizione di un prodotto/metodi di fabbricazione/metodi di confezione, se applicate indistintamente
alle merci nazionali e a quelle importate, possono produrre effetti restrittivi nei confronti di queste ultime e
possono costituire misure di effetto equivalente. La Commissione del libro bianco sul completamento del
mercato interno adotto due strumenti per sopprimere le barriere tecniche e fiscali: il principio del mutuo
riconoscimento delle norme tecniche nazionali e l’armonizzazione di tali norme.
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PRINCIPIO DEL MUTUO RICONOSCIMENTO: ciascun s.m. ha l’obbligo di ammettere nel proprio territorio le
merci provenienti da un altro s.m. qualora esse siano legalmente prodotte e messe in commercio in
quest’altro Stato, in osservanza delle norme tecniche vigenti. L’applicazione a queste merci della disciplina
tecnica dello Stato importatore costituirebbe misura di effetto equivalente. Questa applicazione può essere
considerata compatibile con il divieto qualora concorrano dei presupposti: l’applicazione delle norme
tecniche nazionali sia necessaria per soddisfare esigenze imperative che perseguano interesse generale; la
normativa tecnica deve essere indistintamente applicabile; che sia proporzionata all’obiettivo; nella
materia regolata da quella normativa non sia stata adottata una disciplina di armonizzazione.

L’ARMONIZZAZIONE DELLE LEGISLAZIONI NAZIONALI


Un’ulteriore strategia per evitare barriere tecniche e fiscali è costituita dall’armonizzazione delle legislazioni
nazionali (artt. 114 e 115 TFUE). In coerenza con la strategia che combina mutuo riconoscimento e
armonizzazione, gli atti di armonizzazione sono Stati meno frequenti e hanno assunto contenuto limitato,
stabilendo requisiti essenziali dei prodotti considerati. L’orientamento delle istituzioni dell’UE indica che è
previsto che l’elaborazione delle regole tecniche particolareggiate sia affidata dalla Commissione a
organismi europei di normalizzazione e sia svolta conformemente a orientamenti generali oggetto di un
accordo concluso tra Commissione e tali organismi; essi adottano norme europee armonizzate contenenti
specifiche tecniche nei prodotti considerati, ma prive di efficacia obbligatoria. I prodotti fabbricati secondo
le norme europee armonizzate sono presunti conformi ai requisiti essenziali stabiliti dalla pertinente
normativa UE. La conformità dei singoli prodotti all’esemplare è attestata dal fabbricante mediante propria
dichiarazione e mediante apposizione su ciascuno di una marcatura contenente la sigla CE e il simbolo.
L’armonizzazione delle norme tecniche operata dalla UE può ostacolare le esportazioni verso Stati terzi. Si
può risolvere con una produzione diversificata sulla base del mercato di destinazione.
L’armonizzazione delle legislazioni nel settore alimentare può implicare l’estinzione di produzioni tipiche
nazionali o regionali. Per salvaguardare queste produzioni è Stato introdotto nell’ordinamento dell’Unione
un regime speciale sulle denominazioni di origine protette (DOP), sulle indicazioni geografiche protette
(IGP), e sulle specialità tradizionali garantite (STG).

LE DEROGHE AL DIVIETO DELLE RESTRIZIONI QUANTITATIVE E DELLE MISURE DI


EFFETTO EQUIVALENTE
Il divieto di restrizioni quantitative e di misure di effetto equivalente è derogabile per i motivi ex art. 36
TFUE: possono essere adottati provvedimenti restrittivi giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine
pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di
preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico, archeologico nazionale o di tutela
della proprietà industriale e commerciale. Tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di
discriminazione arbitraria, ne una restrizioni dissimulata al commercio tra s.m. .
Le questioni interpretative sollevate dall’art. 36 riguardano alcuni aspetti generali; l’indicazione dei motivi
di deroga fa emergere una loro parziale sovrapposizione con le esigenze imperative contemplate dalla
giurisprudenza sul piano del mutuo riconoscimento , ma la sfera di applicazione è diversa: le esigenze
imperative possono essere invocate solo per giustificare misure indistintamente applicabili ai prodotti
nazionali e a quelli importati; viceversa i motivi ex art. 36 sono applicabili anche a misure che limitino
soltanto le importazioni. La sovrapposizione può esserci solo quando si verta su una misura indistintamente
applicabile, giustificata da un motivo come la tutela della salute pubblica, considerato sia nell’ambito
dell’art. 36, che in quello delle esigenze imperative. L’art. 36 esige un’interpretazione restrittiva: può
autorizzare esclusivamente le deroghe agli obblighi contemplati dagli artt. 34 e 35, non potrebbe essere
invocata per giustificare deroghe al divieto di dazi doganali e di tasse equivalenti. Occorre che l’UE non
abbia imposto l’armonizzazione delle legislazioni nazionali allo scopo di realizzare lo specifico obiettivo che
verrebbe perseguito invocando l’art. 36.
L’esercizio del potere di deroga esige il rispetto del principio di proporzionalità che vuole che questa facoltà
degli Stati di porre restrizioni alla libera circolazione delle merci sia limitata a cio che è strettamente
necessario allo scopo di tutelare l’interesse generale previsto e che questo obiettivo non possa essere
conseguito con misure meno restrittive.

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I criteri interpretativi della Corte potrebbero essere integrati; si potrebbe prospettare l’esigenza che le
misure nazionali rispettino i principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento. Occorrerebbe
valorizzare implicazioni degli interessi indicati dall’art. 36. Si può ritenere infatti che lo s.m. debba
perseguire interessi anche della UE, oltre che propri; con riferimento alla moralità pubblica, la Corte di
giustizia ha precisato che uno Stato può stabilire il divieto di importare certe merci, ma a patto che non
esista un commercio lecito delle stesse merci in detto Stato.
Per quanto riguarda la tutela della proprietà industriale e commerciale: i diritti di brevetto, di marchio, i
diritti di autore, di brevetto per modelli industriali e per disegni ornamentali possono implicar una
restrizione alla libera circolazione delle merci; infatti la disciplina conferisce ai rispettivi titolari diritti
esclusivi nell’ambito territoriale pertinente. Il titolare di un marchio potrebbe pretendere di escludere
l’importazione in tale Stato di prodotti provenienti da fuori, aventi marchio confondibile. Si tratta di una
restrizione al commercio fra s.m., ammessa in base all’art. 36.
Per conciliare la regola della libera circolazione delle merci con le eccezioni ammissibili a tutela della
proprietà su beni immateriali, la Corte di giustizia ha elaborato alcuni principi fondamentali: una deroga al
divieto di restrizioni quantitative può essere giustificata dalla tutela della proprietà su questi beni, solo se
sussistono dei requisiti:

• La deroga deve avere lo scopo di proteggere l’oggetto specifico del diritto di proprietà;
• Deve essere indispensabile a tale scopo.

Nel DIRITTO DI BREVETTO, l’oggetto specifico è quello di garantire al titolare il diritto esclusivo di far uso di
un’invenzione ai fini della produzione e della prima immissione in commercio di prodotti; la deroga sarebbe
indispensabile per impedire le importazioni di merci contraffatte.
Nel DIRITTO DI MARCHIO, il titolare ha il diritto esclusivo di utilizzare il marchio per la prima immissione in
commercio e tutelarlo dai concorrenti che volessero sfruttare la posizione dell’impresa e la reputazione del
marchio mediante abuso di questo. Una deroga indispensabile sarebbe una normativa nazionale che
accordasse al suo titolare la facoltà di opporsi alle importazioni di prodotti simili contrassegnati da una
dicitura confondibile con il proprio marchio.
Il diritto esclusivo del titolare della proprietà su beni immateriali è soggetto al principio dell’esaurimento
all’interno dell’Unione: il diritto di esclusiva garantito dalle norme nazionali, in materia di proprietà
industriale e commerciale, esaurisce i suoi effetti nell’insieme dell’UE e non può essere invocato per
opporsi alle importazioni di un prodotto da un altro s.m., qualora questo sia Stato legittimamente realizzato
e posto in commercio nell’altro s.m. dal titolare medesimo o con il suo consenso. Le leggi nazionali in
materia di proprietà industriale e commerciale prevedono che il diritto del titolare non si esaurisca con la
commercializzazione del relativo prodotto in un altro s.m.; esse conferiscono al titolare la facoltà di opporsi
all’importazione di quel prodotto posto in vendita in un altro s.m. e consentono di costituire un ostacolo
alla libera circolazione delle merci; ma questo ostacolo non è ammesso, secondo la Corte, nel caso in cui il
prodotto sia Stato messo in commercio nello s.m. di esportazione dallo stesso titolare del diritto o con il
suo consenso. Nel caso manchi il consenso del titolare, il principio dell’esaurimento all’interno dell’Unione
non si applica: in questo caso, il titolare sarebbe legittimato a opporsi all’importazione nello Stato in cui il
diritto gli appartiene. Questa situazione si può avere quando sia intervenuto un frazionamento di un diritto
originariamente appartenente a un unico titolare (es. licenza obbligatoria di brevetto). In questi casi si
comprometterebbe la tutela dell’oggetto specifico e la funzione del diritto di proprietà industriale.

(SEGUE) LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI BENI CULTURALI


Gli scambi di beni culturali tra s.m. non possono essere assoggettati a dazi doganali o a tasse di effetto
equivalente; essendo classificati come merci gli Stati sono vincolati dagli obblighi stabiliti dall’art. 30 TFUE.
Restrizioni quantitative alle importazioni e alle esportazioni di questi beni possono essere ammessi sulla
base dell’art. 36 (protezione del patrimonio artistico, storico, archeologico nazionale). Infatti, qualora un
bene culturale possa essere considerato appartenente al patrimonio di uno s.m., la sua esportazione verso
un altro s.m. potrebbe essere vietata o sottoposta a restrizioni. La deroga non opera per la tutela di oggetti
di scarso valore. Mediante regolamento del Consiglio è Stato introdotto un regime di controlli uniformi
sulle esportazioni di beni culturali verso Stati terzi; si fonda sull’imposizione agli Stati membri dell’obbligo di
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subordinare l’esportazione delle categorie di beni elencati in un allegato alla presentazione di una licenza di
esportazione. Il rilascio della licenza spetta allo s.m. nel territorio in cui si trova lecitamente e
definitivamente il bene culturale.
La direttiva sulla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno s.m., pone l’obbligo
allo s.m. in cui si trova un bene culturale uscito illecitamente da un altro s.m. dopo il 1 gennaio 1993, di
restituirlo allo Stato di provenienza.
BENI CULTURALI: beni del patrimonio nazionale aventi un valore artistico, storico, archeologico; si
intendono usciti illegalmente da uno s.m. nel caso in cui vengano esportati in violazione della sua
legislazione o di un regolamento relativo all’esportazione di beni culturali verso Stati terzi.

I MONOPOLI COMMERCIALI E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI


Nel caso di monopoli nazionali che operano nel settore commerciale in via esclusiva, si può avere
discriminazione a danno dei produttori di altri s.m.; l’art. 37 par. 1 TFUE obbliga gli s.m. a riordinare i
monopoli nazionali in modo che venga esclusa qualsiasi discriminazione e il par.2 introduce il divieto di
introdurre nuove misure contrarie ai principi enunciati nel par.1 o comunque capaci di pregiudicare la
libera circolazione delle merci. Questi obblighi si applicano con riferimento ai monopoli che operano a
livello nazionale nel settore degli scambi di merci e non sono applicabili ai monopoli rispetto agli scambi di
servizi, come in materia televisiva. Non dovrebbe valere per i monopoli dell’energia elettrica perché
esportazione e importazione di energia sono sottoposti alle norme sulla libera circolazione delle merci. Il
principio ex art. 37 si basa sul divieto di discriminazione tra i cittadini degli s.m., per quanto riguarda
approvvigionamenti e gli sbocchi delle merci; il funzionamento di un monopolio produce discriminazioni
vietate quando le regole pertinenti di uno s.m. gli attribuiscano diritti esclusivi di importazione o
esportazione, producendo discriminazione nei confronti degli esportatori/importatori di altri s.m. che
verrebbero esclusi. Quando è necessario sopprimere discriminazioni fondate su un monopolio creato per
agevolare lo smercio di prodotti agricoli, l’art. 37 par. 3 raccomanda di adottare provvedimenti di
compensazione a garanzia dell’occupazione dei produttori.
Una deroga può risultare dall’applicazione dell’art. 106 par. 2 TFUE per cui le imprese incaricate di gestire
servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme
del Trattato nei limiti in cui queste non pregiudicano l’adempimento della missione affidata all’impresa.
PER OTTENERE UNA UNIONE DOGANALE:
 Divieto di dazi doganali e tasse di effetto equivalente;
 Soppressione dei controlli fiscali alle frontiere tra s.m.;
 Adozione di una tariffa doganale comune applicabile allo scambio di merci con Stati terzi;
 Divieto di restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente.

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CAPITOLO II - LA LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE E LA POLITICA DELL’IMMIGRAZIONE
(ADELINA ADINOLFI)

LA LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DEGLI STATI MEMBRI

DALLA LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI A QUELLA DEI CITTADINI


DELL’UNIONE EUROPEA
Uno degli obiettivi del processo di integrazione è costituito dalla libera circolazione delle persone, come
indicato dal Trattato CEE del 1957 ma l’eliminazione di controlli alle frontiere tra gli s.m. (frontiere interne)
ha presentato delle difficoltà; in origine il diritto alla libera circolazione è Stato attribuito solo ai cittadini
degli s.m. che si spostavano nel territorio UE per prestare attività lavorativa, autonoma o subordinata. In
seguito, la libertà di circolazione è stata estesa ad altre categorie come turisti e studenti. I governi degli
s.m., inoltre volevano attribuire a ogni cittadino di uno s.m. la libertà di circolazione negli altri Stati, al fine
di evidenziare un ampliamento degli obiettivi dell’integrazione UE; questa volontà si è tradotta
nell’adozione di tre direttive (confluite nella direttiva 2004/38/CE), che hanno conferito anche a persone
che non esercitano attività lavorativa, il permesso di soggiorno. Grazie al Trattato di Maastricht, il diritto di
circolare e soggiornare liberamente negli s.m. appare più significativo tra i diritti attribuiti al cittadini
dell’Unione. La libertà di circolazione è ormai un diritto che trascende dallo status di cittadino dell’Unione
europea; il TUE pone tale realizzazione al centro degli obiettivi dell’Unione (art. 3 par.2 ‘’L’Unione offre ai
suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera
circolazione delle persone’’). Questa libertà è stata enunciata dalla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea.
DIRETTIVA 2004/38/CE: è il principale degli atti relativa al diritto dei cittadini UE e dei loro familiari di
circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli s.m.; doveva essere attuata dagli s.m. entro il 1
maggio 2006; da questa data sono Stati abrogati vari atti che in precedenza regolavano ingresso e
soggiorno di lavoratori, studenti ecc e dei loro familiari. La direttiva ha riunito in un unico strumento
normativo tutte le regole concernenti la libertà di circolazione dei cittadini UE. In questa direttiva ci sono
anche i principi espressi dalla Corte di giustizia nelle varie sentenze rese nell’interpretazione delle
disposizioni contenute nel Trattato CE e nelle normative previgenti.
Dall’applicazione delle norme sulla libertà di circolazione delle persone sono tuttora esclusi i Paesi terzi, i
quali non beneficiano del regime di favore stabilito riguardo ai cittadini UE.
EXTRACOMUNITARI: termine che indica coloro ai quali non è riconosciuta la libertà di circolazione conferita
dal diritto UE, poiché privi della cittadinanza di uno s.m.; tuttavia, secondo la Carta dei diritti fondamentali,
la libertà di circolazione può essere accordata, conformemente ai Trattati, ai cittadini dei paesi terzi che
risiedano legalmente nel territorio di uno s.m.

CITTADINANZA DELL’UNIONE EUROPEA E LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE


La libertà di circolazione costituisce un diritto riconosciuto a tutti i cittadini UE. La cittadinanza dell’Unione
si acquista per il solo fatto di possedere la cittadinanza di uno s.m.: la cittadinanza UE si aggiunge e non si
sostituisce a quella nazionale. Lo Stato Membro mantiene i criteri sulla cui base la cittadinanza è attribuita
o revocata.
La libertà degli s.m. nell’attribuzione e revoca della cittadinanza non è illimitata ma deve operare nel
rispetto del diritto comunitario: possono operare dei limiti a tale libertà al fine di evitare che sia
pregiudicata l’applicazione del diritto UE. Le limitazioni sono varie:

 Qualora un soggetto possieda, oltre alla cittadinanza di uno s.m., anche quella di uno Stato terzo,
egli potrà beneficiare dell’applicazione delle norme della UE sulla libertà di circolazione delle
persone: uno s.m. non può negare l’applicazione delle norme del Trattato a chi possieda una
doppia cittadinanza;
 Non può essere impedita l’applicazione delle norme UE, concernenti il trattamento dei cittadini
degli s.m. che esercitano il diritto alla libera circolazione, a un individuo che possieda la cittadinanza
di due o più s.m.;
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 Nel caso in cui uno s.m. voglia revocare la propria cittadinanza a un individuo che l’abbia ottenuta
in modo fraudolento, la Corte di giustizia ha chiarito che il giudice nazionale deve rispettare il
principio di proporzionalità e il principio di ragionevolezza. (deve tener conto delle conseguenze
che determinerà la revoca alla situazione dell’interessato).

La libertà di circolazione costituisce un’implicazione immediatamente visibile dell’attribuzione della


cittadinanza UE. L’art. 21 par.1 prima parte TFUE conferisce al cittadino il diritto di circolare e soggiornare
liberamente nel territorio degli s.m.. l’art. 21 fa salve le limitazioni e condizioni previste dai Trattati e dalle
disposizioni adottate in applicazione degli stessi. Gli s.m. possono limitare l’ingresso e il soggiorno dei
cittadini UE per ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica.

L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SULLA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI


CITTADINI DELL’UNIONE
Al cittadino UE spettano diritti rilevanti:

 Il diritto a farsi raggiungere dai propri familiari (ricongiungimento familiare);


 Il diritto a non essere discriminato rispetto ai cittadini dello s.m. in cui si trova.

Il divieto di discriminazione (art. 18 TFUE) vieta le discriminazioni in base alla nazionalità nel campo di
applicazione dei Trattati; il divieto si applica a discriminazioni dirette indirette. Un esempio di
discriminazione indiretta è stata riscontrata dalla Corte in relazione a una normativa britannica che
subordinava alla condizione di previa residenza nel Regno Unito, la possibilità per gli studenti di altri s.m.,
iscritti alle università di tali Stati, di ottenere un prestito agevolato per gli studi. Questa condizione sfavoriva
i cittadini di altri s.m.; un altro esempio di discriminazione indiretta si ha nella legge austriaca che riservava
delle tariffe ridotte per i trasporti solo agli studenti i cui genitori percepivano assegni familiari austriaci. Le
normative nazionali che determinano discriminazioni indirette possono essere ammesse qualora siano
giustificate da esigenze imperative.
Il divieto di discriminazione si applica solo a coloro che esercitino la libertà di circolazione. Anche un’attività
di breve durata è sufficiente per acquisire lo status di cittadino UE che ha esercitato la libertà di circolazione
e per poter beneficiare delle norme UE anche dopo il rientro nello Stato di appartenenza.
Il requisito relativo all’esercizio della libertà di circolazione è divenuto sempre più attenuato: una
giurisprudenza recente ha allargato il presupposto applicativo delle disposizioni del Trattato, affermando
che è sufficiente il trasferimento della residenza in un diverso s.m., anche quando l’attività lavorativa
continui ad essere svolta nello Stato di cittadinanza. Il carattere transnazionale può essere costituito dal
trasferimento della residenza. Ultimamente, la Corte ha ritenuto che, in alcuni casi, si debba prescindere
dal requisito della previa circolazione: i diritti spettanti ai cittadini UE devono essere riconosciuti anche a
coloro che non hanno esercitato la libertà di circolazione, quando ciò sia necessario per evitare che essi
siano privati del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino
dell’Unione. Se la normativa UE richieda un trattamento più vantaggioso rispetto a quello stabilito dalla
normativa nazionale può sorgere una discriminazione a rovescio a sfavore di coloro che non abbiano
esercitato il diritto alla libera circolazione.

LE CONDIZIONI PER LA CIRCOLAZIONE E IL SOGGIORNO DEI CITTADINI DELL’UNIONE


EUROPEA
Secondo la direttiva 2004/38/CE:

 SOGGIORNO PER UN PERIODO NON SUPERIORE A 3 MESI: è riconosciuto senza alcuna condizione
o formalità, salvo il possesso di un documento di identità (art.6); i cittadini UE beneficiano del
diritto di soggiorno ex art.6 solo finche non diventano un onere eccessivo per il sistema di
assistenza sociale dello s.m. ospitante. Il ricorso al sistema di assistenza sociale non da luogo
automaticamente a un provvedimento di allontanamento.
 SOGGIORNO PER UN PERIODO SUPERIORE A 3 MESI: il diritto di soggiorno è riconosciuto al
cittadino di uno s.m. che sia lavoratore subordinato o autonomo nello s.m. ospitante oppure che
segua un corso di studi o di formazione professionale e disponga di un’assicurazione malattia e
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dichiari di avere risorse economiche sufficienti, oppure che sia familiare di un cittadino UE
ammesso al ricongiungimento. Se non ricorre nessuna di queste condizioni, il cittadino beneficia del
diritto al soggiorno solo se disponga di un’assicurazione malattia e di risorse economiche sufficienti.

Le condizioni per l’ingresso e il soggiorno devono essere interpretate in maniera restrittiva in modo da
ostacolare il meno possibile la libertà fondamentale di circolazione.

LE PROCEDURE RELATIVE ALL’INGRESSO E IL SOGGIORNO DEI CITTADINI DELL’UNIONE


La direttiva 2004/38/CE detta le procedure per l’ingresso e il soggiorno di qualsiasi cittadino UE che si rechi
o soggiorni in uno s.m. diverso da quello in cui ha cittadinanza.

 INGRESSO: gli s.m. devono ammettere nel loro territorio il cittadino UE munito di carta di identità o
di un passaporto in corso di validità; tuttavia nella maggioranza degli s.m. la presentazione del
documento all’ingresso non è più imposta, in seguito all’eliminazione dei controlli alle frontiere
interne; per questo la direttiva non richiede la presentazione del documento alla frontiera.
All’obbligo di ammissione è connesso l’obbligo posto agli s.m. di riconoscere ai propri cittadini il
diritto di uscita dal loro territorio.
 SOGGIORNO: la direttiva consente agli s.m. di richiedere al cittadino UE che soggiorni per più di tre
mesi, l’iscrizione presso le autorità competenti; l’atteStato di iscrizione deve essere rilasciato
immediatamente a condizione che il cittadino presenti documento di identità e soggiorna per
motivi di lavoro. È previsto un diritto di soggiorno permanente a coloro che abbiano risieduto
legalmente e in via continuativa nello Stato ospitante per almeno 5 anni e possono soggiornare
senza dover dimostrare il possesso dei requisiti previsti ai fini dell’ottenimento dell’atteStato di
iscrizione.

L’inadempimento dell’obbligo di iscrizione rende l’interessato passabile di sanzioni proporzionate e non


discriminatorie; i documenti richiesti hanno valore meramente dichiarativo e quindi l’omissione delle
formalità richieste non giustifica l’espulsione. La natura dichiarativa dei documenti di soggiorno comporta
anche il divieto per gli s.m. di subordinare il diritto del lavoratore a certi benefici, al possesso del
documento di soggiorno. Il diritto a ottenere il documento di soggiorno non può essere subordinato a
condizioni ulteriori rispetto a quelle previste dalla normativa comunitaria.

IL DIRITTO AL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE


La direttiva 2004/38/CE conferisce ai familiari del cittadino dell’Unione il diritto di accompagnarlo o
raggiungerlo nello s.m. in cui si trasferisce. L’intento è quello di facilitare l’esercizio di libertà di circolazione
unendolo al diritto fondamentale al rispetto della vita familiare. Il diritto al soggiorno del familiare dipende
da quello primario attribuito al cittadino di uno s.m. .
FAMILIARI: coniuge, figli del cittadino UE o del suo coniuge se minori di anni 21 o a carico, ascendenti del
cittadino UE e del suo coniuge.
PARTNER: si intende colui che abbia contratto con il cittadino UE un’unione registrata sulla base della
legislazione di uno s.m., qualora lo s.m. ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio.
La direttiva richiede agli s.m. di agevolare l’ingresso sia di ogni altro familiare, qualunque sia la cittadinanza,
se è a carico, o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino UE titolare del diritto di soggiorno a titolo
principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino UE lo assista personalmente, sia del partner
con cui il cittadino UE abbia relazione stabile debitamente attestata. La Corte di giustizia ha escluso che
l’esercizio del diritto al ricongiungimento implichi l’obbligo di convivenza.
Qualora il familiare sia cittadino UE egli potrà acquisire un diritto autonomo al soggiorno; il decesso del
cittadino UE, la sua partenza dal territorio dello s.m. ospitante, il divorzio, l’annullamento, lo scioglimento
dell’unione registrata non possono comportare limiti al diritto al soggiorno del familiare.
FIGLI: il figlio di un lavoratore di uno s.m. che sia Stato occupato in un altro s.m., conserva la qualità di
familiare del lavoratore se la famiglia ritorni nello s.m. di origine e il figlio rimanga nello s.m. ospitante per
proseguire gli studi che non poteva seguire nello s.m. di origine. Se il figlio sia cittadino UE, potrà restare nel

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territorio dove svolge i suoi studi anche quando non soddisfi i criteri per il soggiorno (reddito sufficiente e
assicurazione sanitaria).
Il familiare ha diritto, per un periodo non superiore a 3 mesi, di accompagnare o raggiungere il cittadino UE
nello Stato in cui questo sia trasferito. Per i soggiorni inferiori a 3 mesi sono escluse formalità; per i
soggiorni di durata superiore a tre mesi si prevede che i familiari cittadini di uno s.m. vengano iscritti
presso le autorità nazionali competenti e ottengano il certificato di iscrizione. La direttiva prevede che ai
familiari cittadini di uno s.m. sia riconosciuto il diritto di soggiorno permanente qualora tale status sia
ottenuto dal cittadino con il quale si sono ricongiunti oppure quando abbiano soggiornato nello s.m.
ospitante per un periodo di almeno 5 anni.

(SEGUE) IL RICONGIUNGIMENTO CON I FAMILIARI CHE NON SONO CITTADINI DI UNO


STATO MEMBRO
Il diritto al ricongiungimento può essere esercitato anche quando il familiare non sia cittadino UE. Il
ricongiungimento consente l’ingresso e il soggiorno del cittadino di uno Stato terzo. I familiari non aventi la
cittadinanza UE sono soggetti all’obbligo del visto; la direttiva esonera i familiari dal requisito del visto
quando siano in possesso della ‘’carta di soggiorno di un familiare di un cittadino dell’unione’’ rilasciata da
uno s.m. nel caso in cui il cittadino di uno Stato terzo ha già ottenuto il diritto al soggiorno in uno s.m. per il
ricongiungimento familiare e intende trasferirsi in uno Stato diverso. Gli s.m. devono fornire ogni
agevolazione perche queste persone ottengano i visti necessari. La Corte ha dichiarato che il cittadino di
uno Stato terzo, coniugato con il cittadino di uno s.m., non può essere respinto alla frontiera se privo di
documenti o di un visto, sempre che possa provare la sua identità o il legame coniugale, purché non vi
siano elementi per stabilire che rappresenti un pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza o sanità
pubblica. La Corte ha precisato che le disposizioni non si applicano nel caso in cui il cittadino di uno s.m. e il
cittadino di uno Stato terzo abbiano contratto matrimonio al fine di eludere le disposizioni relative
all’ingresso e al soggiorno dei cittadini di Stati terzi.
Riguardo al regime di soggiorno, la direttiva estende anche al familiare ammesso al ricongiungimento i
limiti previsti per i cittadini UE (ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica). In caso di
soggiorno inferiore a 3 mesi, non è prevista nessuna formalità; nel caso di soggiorno superiore a 3 mesi,
può essere richiesto il rilascio di un documento detto ‘’carta di soggiorno di familiare di un cittadino
dell’Unione’’.
CARTA DI SOGGIORNO DI FAMILIARE DI UN CITTADINO DELL’UNIONE: è valida 5 anni oppure per la durata
del periodo di soggiorno del cittadino UE se inferiore a 5 anni.
CARTA DI SOGGIORNO PERMANENTE: quando il familiare non cittadino UE ha soggiornato legalmente e
continuativamente per 5 anni nello Stato ospitante , gli viene rilasciata la carta di soggiorno permanente.
La direttiva 2004/38/CE riconosce al familiare non cittadino UE un diritto al soggiorno autonomo nel caso di
partenza, decesso del cittadino UE. Lo stesso vale in caso di scioglimento del matrimonio, divorzio. Il diritto
di soggiorno è soggetto al requisito che il familiare eserciti un’attività lavorativa o disponga di risorse
sufficienti. Il cittadino di Stato terzo acquista il diritto al soggiorno in uno s.m. qualora ivi risieda un suo
figlio minorenne, cittadino di un altro s.m., che deve accudire.

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FAMILIARE CITTADINO UE FAMILIARE CITTADINO DI STATO
TERZO
SOGGIORNO INFERIORE A 3 MESI Sono escluse formalità Sono escluse formalità
SOGGIORNO SUPERIORE A 3 devono iscriversi presso le può essere richiesto il rilascio di
MESI autorità nazionali competenti e un documento detto ‘’carta di
ottenere il certificato di iscrizione soggiorno di familiare di un
cittadino dell’Unione’’, valida 5
anni oppure per la durata del
periodo di soggiorno del cittadino
UE se inferiore a 5 anni.

SOGGIORNO PARI A 5 ANNI Viene riconosciuto il diritto di se ha soggiornato legalmente e


soggiorno permanente se tale continuativamente per 5 anni
status sia ottenuto dal cittadino nello Stato ospitante , gli viene
con il quale si sono ricongiunti, rilasciata la carta di soggiorno
oppure quando abbiano permanente.
soggiornato nello s.m. ospitante
per un periodo di almeno 5 anni.

I LIMITI ALL’INGRESSO E AL SOGGIORNO DEI CITTADINI DELL’UNIONE


La circolazione dei cittadini dell’Unione può essere limitata per motivi di ordine pubblico, pubblica
sicurezza, sanità pubblica; lo s.m. può negare l’ingresso ad un cittadino di un altro s.m. ovvero può adottare
misure limitative del soggiorno nei confronti del cittadino già ammesso al territorio dello Stato. I
provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza possono essere adottati esclusivamente in
relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati; tale
comportamento deve essere una minaccia reale, attuale, grave da pregiudicare un interesse fondamentale
della società. La direttiva indica anche quali malattie possono giustificare misure restrittive ma non è chiaro
cosa si intenda per ordine pubblico e pubblica sicurezzaogni Stato ha la discrezionalità nel valutare se la
presenza di uno straniero costituisca un pericolo per la tutela dell’ordine e della sicurezza interna dello
Stato stesso. La Corte ha quindi lasciato un certo potere discrezionale alle competenti autorità nazionali. I
provvedimenti restrittivi devono essere un’eccezione. Nello stabilire il provvedimento di espulsione,
occorre assicurare il rispetto del diritto fondamentale alla tutela della vita familiare; possono essere presi in
considerazione motivi che prescindano dal caso singolo adottati su considerazioni di carattere generale. Se
sussistono le condizioni per poter adottare una misura di allontanamento, lo s.m. può adottare, in
alternativa, provvedimenti meno severi che costituiscano restrizioni parziali del diritto di soggiorno
giustificati da motivi di ordine pubblico. La direttiva prospetta un bilanciamento tra esigenze di tutela
dell’ordine pubblico e situazione personale del cittadino. Coloro che soggiornano con diritto di soggiorno
permanente possono essere allontanati solo per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza;
coloro che abbiano soggiornato per dieci anni o siano minorenni possono essere allontani solo per motivi
imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo s.m. .

LE GARANZIE E I MEZZI DI RICORSO NEI CONFRONTI DI PROVVEDIMENTI RESTRITTIVI


DELL’INGRESSO E DEL SOGGIORNO
La direttiva 2004/38/CE impone agli s.m. di riconoscere garanzie a favore dello straniero sottoposto a
provvedimenti restrittivi: il provvedimento deve essere notificato all’interessato secondo modalità che gli
consentano di comprendere contenuto e conseguenze; deve indicare i motivi; deve essere redatto in una
lingua conoscibile per lo straniero. L’obbligo di motivazione del provvedimento ha carattere funzionale
rispetto al diritto di proporre ricorso; deve essere indicato l’organo al quale fare ricorso, i termini per
l’impugnazione (non inferiore a 1 mese a decorrere dalla data della notificazione). L’interessato deve poter
accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e amministrativi nello s.m. ospitante al fine di presentare

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ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine
pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica. I mezzi di impugnazione comprendono esame della
legittimità del provvedimento e esame dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l’adozione. La
direttiva non richiede che il ricorso produca effetti sospensivi. Se l’impugnazione è accompagnata da una
richiesta di sospensione dell’esecuzione del provvedimento, l’allontanamento non può aver luogo finche
non sia stata adottata una decisione sull’ordinanza provvisoria; la direttiva non impone agli s.m. di
consentire all’interessato di soggiornare durante le more del giudizio ma non possono vietare che presenti
di persona la sua difesa.
Art. 32 direttiva: 1.La persona nei cui confronti sia Stato adottato un provvedimento di divieto d'ingresso
nel territorio per motivi d'ordine pubblico o pubblica sicurezza può presentare una domanda di revoca del
divieto d'ingresso nel territorio nazionale dopo il decorso di un congruo periodo, determinato in funzione
delle circostanze e in ogni modo dopo tre anni a decorrere dall'esecuzione del provvedimento definitivo di
divieto validamente adottato ai sensi del diritto comunitario, nella quale essa deve addurre argomenti
intesi a dimostrare l'avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di
vietarne l'ingresso nel territorio. Lo Stato membro interessato si pronuncia in merito a tale nuova domanda
entro sei mesi dalla data di presentazione della stessa. 2. La persona di cui al paragrafo 1 non ha diritto
d'ingresso nel territorio dello Stato membro interessato durante l'esame della sua domanda.
L’autorità competente dovrebbe valutare se sussistano ancora le condizioni di pericolosità che avevano
giustificato l’adozione di provvedimenti fondati sulla tutela dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza.

LA CIRCOLAZIONE E IL TRATTAMENTO DEI LAVORATORI SUBORDINATI CITTADINI DI STATI


MEMBRI

LE DISPOSIZIONI DEL TRATTATO E LA NORMATIVA DERIVATA IN TEMA DI


CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI SUBORDINATI
L’art. 45 TFUE riconosce ai cittadini degli s.m. il diritto di spostarsi in uno s.m. diverso da quello di
appartenenza per svolgere un’attività di lavoro subordinato ed enuncia il principio di parità di trattamento
dei lavoratori migranti rispetto ai nazionali; il Consiglio deve svolgere l’attività normativa necessaria al fine
di assicurare l’applicazione di questi principi. La direttiva 2004/38/CE, che gli s.m. dovranno attuare entro il
2016, richiede l’adozione di strumenti volti ad assicurare una tutela efficace dei diritti dei lavoratori
migranti anche mediante l’istituzione di organi per la promozione, analisi, controllo, sostegno della parità di
trattamento dei lavoratori della UE e dei loro familiari, senza discriminazioni fondata sulla nazionalità ne
restrizioni. Per facilitare la libera circolazione il Trattato prevede l’adozione di programmi di scambio di
giovani lavoratori e misure in materia di sicurezza sociale. La Corte di giustizia ha affermato che la libertà di
circolazione dei lavoratori costituisce una libertà fondamentale del diritto comunitario; le disposizioni
inerenti devono essere interpretate estensivamente, mentre le deroghe in modo restrittivo.
Il principio di parità di trattamento tra lavoratori di altri s.m. e lavoratori nazionali opera anche nei rapporti
tra privati e vieta discriminazioni fondate sulla cittadinanza e discriminazioni indirette: queste ultime
determinano un trattamento meno favorevole per il lavoratore migrante rispetto al nazionale. Una
discriminazione indiretta viene posta in essere quando la normativa di uno s.m. enuncia dei criteri
apparentemente neutrali ma che hanno l’effetto di svantaggiare i migranti.
La Corte spesso si è pronunciata circa l’applicazione delle norme sulla libera circolazione rispetto ai
lavoratori frontalieri (sono occupati in uno s.m. ma risiedono in un altro): è dubbio se a loro vadano
applicate le normative vigenti nel paese nel quale prestano lavoro o le normative dello Stato di residenza.

(SEGUE) LA NOZIONE DI LAVORATORE DIPENDENTE


La Corte ha fornito una definizione comunitaria di lavoro subordinato.
LAVORO SUBORDINATO: si ha quando una persona compie, durante un certo tempo, a favore di un’altra e
sotto la direzione di questa, prestazioni in corrispettivo delle quali le spetta la retribuzione.
Non possono essere considerate come attività di lavoro subordinato le occupazioni che non costituiscono
attività economiche reali ed effettive; la Corte ha negato che l’entità ridotta o le modalità della retribuzione
possano escludere un’attività dalla nozione di lavoro subordinato. Anche il lavoro a tempo parziale rientra
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nell’applicazione delle norme del Trattato (a meno che non si tratti di attività marginali e accessorie);
pertanto se il cittadino, anche se entrano nello s.m. per motivi di studio, svolga anche un’attività lavorativa
reale ed effettiva, potrà essere considerato lavoratore.
La Corte ha precisato che il cittadino di uno s.m. che si reca in un altro s.m. al fine di CERCARE un’attività
lavorativa, rientra nella nozione di lavoratore; tuttavia il cittadino potrà beneficiare della parità di
trattamento solo per l’accesso al lavoro senza aver diritto ai vantaggi fiscali dei lavoratori nazionali, finche
non avrà iniziato a svolgere attività lavorativa.
Si considera lavoratore subordinato, secondo la Corte:

• Chi svolga un tirocinio durante il quale fornisca prestazioni e ottenga un corrispettivo;


• Chi abbia abbandonato la propria attività per studiare, purché vi sia relazione tra lavoro e studio;
• Chi presti la propria attività presso un’organizzazione internazionale situata in uno s.m. anche
quando il soggiorno sia regolato dalla Convenzione internazionale.

La distinzione tra lavoratore autonomo e subordinato non è facile e infatti la Corte ha accertato di volta in
volta, a quale ramo appartenga una data attività lavorativa.
La Corte ha affermato che lo spostamento temporaneo in uno s.m. dei lavoratori dipendenti di un’impresa
con sede in un altro, rientra nel campo dell’applicazione delle norme sulla libera prestazione dei servizi; una
direttiva del 1996 ha deciso che le norme sulla libera circolazione dei lavoratori subordinati si applicano
anche a coloro che svolgono temporaneamente la propria attività in un altro s.m. diverso da quello nel
quale essa ha sede; la direttiva riguarda anche il caso del lavoro interinale. La Corte di giustizia ha precisato,
inoltre, che l’esercizio di un’attività sportiva, l’esercizio di un’attività nel settore dei trasporti marittimi,
rientrano nel campo di applicazione delle disposizioni sulla circolazione dei lavoratori subordinati. Il
cittadino UE che abbia cessato di esercitare un’attività lavorativa non perde la qualifica di lavoratore in caso
di malattia o infortunio, disoccupazione involontaria.

L’ACCESSO AL LAVORO
Secondo l’art. 45 TFUE, la libera circolazione comporta l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata
sulla nazionalità, il diritto a rispondere ad offerte di lavoro effettive in altri s.m.; riguardo l’accesso al lavoro
deve essere garantita una situazione di parità ai lavoratori di un altro s.m. rispetto a quelli nazionali. Il
principio di non discriminazione comporta l’inapplicabilità delle disposizioni di uno s.m. che limitino
l’accesso al lavoro a condizioni non previste per i nazionali; questo divieto si applica anche alle
discriminazioni indirette., dissimulate.
Per favorire la circolazione dei lavoratori, il TFUE prevede il MECCANISMO DI COMPENSAZIONE atto a far
incontrare domanda e offerta di lavoro e facilitarne l’equilibrio. Il meccanismo opera sulla trasmissione di
informazioni relative alla domanda e offerta di impieghi e sul ruolo dell’Ufficio europeo di coordinamento,
incaricato di favorire il contatto tra le domande e le offerte di impiego. La libera circolazione comporta
anche il ‘’diritto a rimanere’’ sul territorio dello s.m. dopo aver occupato un impiego.

LA SITUAZIONE DELLE PERSONE IN CERCA DI OCCUPAZIONE


La libertà di circolazione dei lavoratori implica il diritto a rispondere ad offerte di lavoro effettive (art. 45
par. 3 TFUE). Quindi la libertà comprende anche il diritto di spostarsi per cercare un’occupazione. La
direttiva 2004/38/CE riconosce il diritto di soggiorno a favore del cittadino UE che, dopo aver esercitato
un’attività lavorativa, si trovi in Stato di disoccupazione involontaria e sia iscritto presso l’ufficio di
collocamento; la direttiva non contiene indicazioni per la situazione del cittadino di uno s.m. che si sia
recato in un altro s.m. a cercare lavoro e non lo abbia trovato. Nella sentenza Tsiotras, la Corte ha precisato
che il diritto al soggiorno al fine ci cercare un’occupazione viene meno quando si dimostri che l’interessato
si trovi nella impossibilità oggettiva di ottenere un posto di lavoro. La direttiva vieta l’allontanamento di
cittadini UE che siano entrati nel territorio dello s.m. ospitante per cercare lavoro, fino a quando possono
dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo. Secondo la
Corte, nei confronti di coloro che ricercano un’occupazione è consentito derogare al divieto di
discriminazione sulla base della nazionalità; questo orientamento tende a evitare che il diritto alla
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circolazione possa essere usato solo per ottenere benefici previsti in determinati s.m. a favore di coloro che
ricercano occupazione.

I LIMITI ALL’ACCESSO AL LAVORO: L’ECCEZIONE DEGLI IMPIEGHI NELLA PUBBLICA


AMMINISTRAZIONE
Gli impieghi nella pubblica amministrazione vengono esclusi dall’applicazione delle norme UE sulla
circolazione dei lavoratori; si vuole evitare che l’attività della P.A. sia condotta da stranieri. Questi vengono
esclusi solo dall’esercizio di attività che lo Stato abbia interesse a riservare ai propri cittadini. La deroga
consente di escludere lo straniero solo dagli impieghi che implichino l’esercizio di pubblici poteri.
Non possono essere considerati impieghi nella P.A.: tirocinio della professione di insegnante, posti di
ricercatore presso CNR, posti di lettore di lingua straniera nelle Università, il lavoro di infermiere, impieghi
esecutivi presso le amministrazioni comunali, l’attività di guardia giurata. In questi casi il lavoratore non
esercita pubblici poteri e nemmeno è responsabile della tutela degli interessi generali dello Stato.
La Commissione ha elencato in una comunicazione certi settori della P.A. che rientrano nella deroga
prevista dal Trattato: forze armate, polizia, forze dell’ordine in generale, magistratura, amministrazione
finanziaria, diplomazia. Tuttavia l’art. 45 dice che, qualora sia Stato consentito l’accesso ad un impiego della
P.A. a uno straniero, non può essergli riservato un trattamento discriminatorio ma può essere preclusa la
progressione della carriera. Limitazioni all’accesso al lavoro possono essere consentite per ragioni di
sicurezza dello Stato.

(SEGUE) IL REQUISITO DELLE CONOSCENZE LINGUISTICHE


Un ulteriore limite all’accesso al lavoro dei cittadini degli s.m. è posto dall’art. 3 regolamento n. 492/2011
che prevede che ‘’il principio di parità nell’accesso al lavoro non concerne le condizioni relative alle
conoscenze linguistiche richieste in relazione alla natura dell’impiego offerto’’. L’orientamento seguito
dalla sentenza Groener prospetta un’interpretazione restrittiva di questo limite, per il ricorso al criterio
della proporzionalità (valutare la congruità del mezzo rispetto all’obbiettivo) e per l’esigenza che i requisiti
in tema di conoscenze linguistiche siano giustificati in relazione alla natura dell’impiego in questione.

IL TRATTAMENTO DEI LAVORATORI


L’art. 45 impone l’abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità sia per l’accesso
all’impiego, sia per la retribuzione e condizioni di lavoro. Il divieto di discriminazioni nei confronti dei
lavoratori di altri s.m. risponde a finalità di carattere sociale e ad una funzione di tutela del mercato
nazionale del lavoro: si vuole evitare che, riservando un trattamento sfavorevole ai migranti, venga
pregiudicata l’occupazione dei nazionali. Il regolamento 492/2011 sancisce la nullità di clausole di contratti
individuali o collettivi di lavoro e delle prassi che stabiliscano discriminazioni rispetto all’accesso
all’impiego, alla retribuzione e altre condizioni di lavoro.
Rispetto alla retribuzione, lo s.m. deve tener conto dei periodi di servizio che un pubblico dipendente abbia
compiuto nell’amministrazione di uno s.m.; i periodi di lavoro in s.m. diversi devono essere considerati allo
stesso modo al fine di non ostacolare la libertà di circolazione.
Al lavoratore migrante che abbia dovuto interrompere la propria attività per prestare servizio militare nello
Stato in cui è cittadino, è riconosciuto il diritto a far includere quel periodo , qualora il servizio militare
compiuto nel paese in cui è occupato sia anch’esso calcolato a vantaggio dei lavoratori nazionali.
Rispetto ai licenziamenti, la Corte ha affermato che deve essere garantita ai lavoratori migranti la stessa
tutela accordata ai lavoratori nazionali.
Rispetto all’esercizio di diritti sindacali da parte del lavoratore migrante, il regolamento 492/2011 dice che
la parità di trattamento vale anche per l’iscrizione alle organizzazioni sindacali e l’esercizio di diritti
sindacali, compreso il diritto di voto, per l’eleggibilità negli organi di rappresentanza dei lavoratori
nell’impresa. Tra i diritti sindacali si annovera anche l’accesso ai posti amministrativi o direttivi di
un’organizzazione sindacale. Lo straniero può essere escluso dalla partecipazione alla gestione di organismi
di diritto pubblico e dall’esercizio di una funzione di diritto pubblico.

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Rispetto ai vantaggi sociali e fiscali, il lavorator migrante gode degli stessi di cui godono i lavoratori
nazionali; anche i lavoratori che esercitano il diritto a rimanere nello Stato in cui hanno preStato un’attività
lavorativa beneficiano della parità di trattamento rispetto ai lavoratori occupati.
VANTAGGI SOCIALI: rientrano in questa definizione tutte le misure di cui i cittadini dello Stato ospitante
risultino i destinatari in virtù della loro condizione generale di lavoratori o della semplice residenza sul
territorio nazionale. Si considera vantaggio sociale l’agevolazione concessa per la nascita di un figlio, il
sussidio di disoccupazione, ecc.
Indennità di disoccupazione: lo s.m. può subordinare questo beneficio a un periodo di residenza che non
deve andare oltre quanto necessario affinché le autorità nazionali possano assicurarsi che l’interessato
cerchi realmente un impiego sul mercato del lavoro nello s.m. ospitante.
Discriminazioni :

• Il principio di parità tra lavoratori migranti e nazionali vieta qualsiasi discriminazione dissimulata;
• la Corte ha ritenuto incompatibili con l’art. 39 del Trattato le normative nazionali che abbiano
l’effetto di dissuadere un cittadino dal recarsi a prestare la propria attività lavorativa in un altro
s.m.;
• la Corte ha deciso che uno s.m. non può subordinare la concessione di un vantaggio sociale alla
condizione che i beneficiari del vantaggio abbiano la loro residenza sul territorio nazionale di tale
Stato.

La Corte, nell’accertare se una normativa dia luogo ad una discriminazione indiretta, valuta se la normativa
che comporta discriminazione possa esser giustificata in ragione di esigenze imperative dello Stato; tra le
esigenze ritenute ammissibili vi sono anche ‘’coerenza del regime fiscale’’ e una politica nazionale volta a
favorire il conseguimento di un titolo di studio da parte dei residenti. Non basta che la Corte ritenga
ammissibile una discriminazione ma deve sottoporla a controllo di proporzionalità al fine di verificare se
l’esigenza dello Stato possa essere tutelata attraverso strumenti che non implichino una discriminazione.
Discriminazioni indirette: la Corte ha considerato la questione del trattamento fiscale dei lavoratori
frontalieri. La Corte ha affermato che le disposizioni sulla libera circolazione dei lavoratori non ostano a
normative nazionali che assoggettino il non residente, che svolga un’attività normativa subordinata sul loro
territorio, ad imposte sul reddito più gravose di quelle previste per il residente che occupi un posto di
lavoro dello stesso tipo. Tuttavia il diritto UE richiede che le agevolazioni fiscali siano accordate anche al
lavoratore non residente. Il principio di parità tra lavoratore non residente e lavoratore nazionale può
operare solo quando il reddito familiare sia in larga parte prodotto nello Stato di occupazione.

IL TRATTAMENTO DEI FAMILIARI DEL LAVORATORE


Ai membri della famiglia del lavoratore ammessi al ricongiungimento è assicurata la parità di trattamento
rispetto ai nazionali; riguardo ai familiari che siano cittadini di uno s.m. ciò deriva dal principio di non
discriminazione in base alla nazionalità (art. 18); la parità di trattamento opera anche rispetto ai familiari
che non siano cittadini di uno s.m. . Il trattamento riservato al familiare rientra nei vantaggi sociali rispetto
ai quali opera il principio di non discriminazione.
La direttiva 2004/38/CE stabilisce che il familiare che sia titolare del diritto di soggiorno gode di pari
trattamento rispetto ai cittadini.
I figli dei lavoratori hanno il diritto di frequentare i corsi di insegnamento generale, di apprendiStato e di
formazione professionale. Devono essere equiparati ai cittadini dello s.m. per quanto riguarda i sussidi
all’istruzione, non solo se l’istruzione venga impartita nello s.m. ospitante, ma anche quando questa sia
seguita in uno Stato di cui possiedano la cittadinanza.
Riguardo ai familiari, la Corte ha ritenuto vietate le discriminazioni che derivino dal requisito della
residenza. Restano escluse dall’applicazione del principio di parità previsto dalla direttiva le prestazioni che
siano concesse a tutti i cittadini. La Corte ha ritenuto che un sussidio per disabili, un’indennità di
disoccupazione non costituissero altro che una prestazione concessa ai cittadini.

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LA SICUREZZA SOCIALE
La normativa UE in tema di sicurezza sociale ha natura funzionale rispetto alla libertà di circolazione dei
lavoratori; questa non potrebbe essere pienamente realizzata se i lavoratori venissero privati dei vantaggi
previdenziali garantiti loro dalla legge di uno s.m.. L’applicazione del principio di parità di trattamento che
opera anche rispetto alla sicurezza sociale non è sufficiente, ma è necessaria una normativa che elimini gli
ostacoli derivanti dalla presenza di regimi distinti di sicurezza sociale nei vari s.m. . Occorre che il lavoratore
possa ottenere il riconoscimento dei diritti a prestazioni previdenziali che abbia maturato esercitando la
sua attività in Stati membri diversi. L’art. 48 TFUE prevede che vengano adottate in materia di sicurezza
sociale le misure necessarie per l’instaurazione della libera circolazione dei lavoratori.
All’attuazione dei principi stabiliti in materia di sicurezza sociale provvede il regolamento 883/2004 relativo
al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale; il regolamento si applica a tutti i cittadini di uno s.m. che
sono o sono Stati soggetti alla legislazione di sicurezza sociale di uno degli s.m.; esso enuncia il principio di
parità di trattamento e stabilisce i criteri per la determinazione della legge applicabile. Sono determinate le
modalità per il cumulo dei periodi assicurativi e per l’erogazione delle prestazioni per ottenere il
coordinamento dei regimi nazionali. Il diritto alle prestazioni non può essere pregiudicato dalla circostanza
che il lavoratore si trasferisca in uno Stato diverso da quello nel quale prestava la sua attività.
Al fine di facilitare l’applicazione delle disposizioni sulla totalizzazione dei periodi contributivi, è stata
prevista dal regolamento l’istituzione di una Commissione con funzioni anche normative composta di
rappresentanti degli s.m., avente il compito di trattare le diverse questioni amministrative o di
interpretazione derivanti dal regolamento stesso, promuovendo la collaborazione tra gli s.m. in materia. La
Corte ha affermato che il sussidio di disoccupazione deve essere versato anche quando il disoccupato sia
iscritto nelle liste di collocamento di un diverso s.m.; inoltre la Corte ha ritenuto che un lavoratore migrante
che benefici di due trattamenti erogati da due s.m. diversi non può ricevere un trattamento meno
favorevole rispetto a un lavoratore che, non essendosi avvalso del diritto alla libera circolazione, goda di
entrambe le prestazioni in base alla normativa di uno stesso s.m. .
La Corte ha precisato che i lavoratori dipendenti di un’impresa di collocamento di lavoro temporaneo
restano iscritti al regime previdenziale dello Stato nel quale l’impresa stessa esercita normalmente la
propria attività anche quando vengano distaccati in un altro s.m.
La Corte ha affermato che il computo (ai fini del pagamento della pensione) di periodi contributivi maturati
all’estero non può essere condizionato al requisito che il beneficiario fosse residente in uno s.m..

LA POLITICA DELL’IMMIGRAZIONE

LO SVILUPPO DELLA POLITICA DELL’IMMIGRAZIONE E LA ELIMINAZIONE DEI


CONTROLLI ALLE FRONTIERE INTERNE
Tra gli obiettivi dell’Unione, troviamo anche quello di offrire ai cittadini uno spazio senza frontiere interne,
entro cui circolare liberamente. Le disposizioni volte a realizzare l’eliminazione di controlli alle frontiere
interne alla UE sono contenute nel Titolo V del TFUE intitolato ‘’Spazio di libertà, sicurezza e giustizia’’.
L’obiettivo perseguito riguarda anche la cooperazione tra le autorità di polizia ed amministrative, la
cooperazione giudiziaria in materia civile e penale. Si parte infatti dal presupposto che la realizzazione della
libera circolazione vada di pari passo con l’esigenza di approntare mezzi con cui combattere la criminalità.
L’art. 67 TFUE pone gli obiettivi: sviluppo di una politica comune concernente l’asilo e l’immigrazione e
adozione di misure di prevenzione e di lotta contro la criminalità, razzismo, xenofobia.
Per perseguire questi obiettivi, è necessario rispettare i diritti fondamentali; i limiti derivanti da essi
assumono rilievo rispetto alle norme sull’immigrazione. Il TFUE richiede che siano assicurati la gestione
efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini di Stati terzi regolarmente soggiornanti, la
prevenzione e il contrasto dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani.
L’art. 80 prevede che le politiche dell’Unione relative all’asilo, alle frontiere e all’immigrazione devono
essere governate da principi di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità tra s.m.; si vuole
sostenere gli s.m. che sono soggetti a una forte pressione migratoria, per questione geografiche. L’art. 78
prevede che, se uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza per via di un
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afflusso consistente di cittadini extracomunitari, il Consiglio può adottare misure temporanee a beneficio
degli s.m. interessati.
Il TFUE specifica che i controlli alle frontiere interne dell’Unione devono essere eliminati rispetto a tutte le
persone. Al fine di eliminare i controlli alle frontiere interne, è Stato necessario armonizzare i controlli
effettuati alle frontiere esterne. La libertà di circolazione tra s.m. è compensata dall’adozione di misure
rigorose riguardo all’attraversamento delle frontiere esterne da parte dei cittadini di Stati terzi. Visto che i
progressi da parte dei paesi dell’Unione è stata lenta, nel 1990 è stata conclusa una Convenzione di
applicazione dell’accordo di Schengen.

AREA SCHENGEN: In seguito alla firma della Convenzione da parte di Francia, Benelux e Germania, l’area si
amplia arrivando a comprendere Italia (1990), Spagna e Portogallo (1991), Grecia (1992), Austria (1995),
quindi Danimarca, Finlandia e Svezia (1996). In quanto membri associati, due Stati fuori dell’UE, Norvegia e
Islanda, aderiscono successivamente alla Convenzione. Inclusi nel Trattato di Amsterdam (1 maggio 1999),
essi costituiscono parte integrante del diritto comunitario (tranne che per la presa di decisioni).
Il 21 dicembre 2007, nove nuovi Stati membri dell’UE entrano nell’area Schengen: Estonia, Lettonia,
Lituania, Ungheria, Polonia, Repubblica CECA, Slovenia, Slovacchia e Malta. Stato non membro, la Svizzera
entra a sua volta nell’area Schengen (il 12 dicembre 2008) seguita dal Liechtenstein (il 7 marzo 2011), 26°
Paese e quarto Stato non membro che vi fanno parte.
Per il momento, Cipro non vi aderisce, così come la Romania e la Bulgaria, entrate nell’UE nel 2007. Questi
tre Stati sono però esentati dai visti, in quanto appartenenti all’Unione Europea.

Il controllo alle frontiere nell’area Schengen consiste:


• nella soppressione dei controlli alle frontiere interne, garantendo nel contempo l’armonizzazione dei
controlli alle frontiere esterne;
• nell’armonizzazione delle condizioni di entrata e di produzione di visti per i soggiorni brevi (3 mesi):
qualsiasi visto prodotto da uno Stato membro degli Accordi di Schengen è valido per l’insieme del
territorio Schengen;
• nell’obbligo, per ogni cittadino di un Paese terzo che circoli da uno Stato membro a un altro del
territorio Schengen, di renderne dichiarazione alle autorità;
• nell’allestimento presso porti e aeroporti di apposite strutture per la separazione fisica dei flussi di
viaggiatori intra ed extra Schengen;
• nel realizzare una coordinazione fra amministrazioni nazionali per sorvegliare le frontiere e rafforzare
la cooperazione giudiziaria;
• nell’eventuale ripristino da parte di uno o più Stati membri dei controlli alle frontiere per un periodo
limitato, in caso di minacce all’ordine pubblico o alla sicurezza nazionale (clausola di tutela);
• nella creazione del Sistema d’Informazione Schengen (SIS).

Solo con il Trattato di Amsterdam del 1997 sono state attribuite alla Comunità ampie competenze in
materia di immigrazione.
Questo Trattato ha ricondotto nell’ambito della UE le regole che alcuni s.m. avevano concordato attraverso
la convenzione di Schengen: le disposizioni della convenzione e gli atti adottati sulla sua base (acquis di
schengen) sono Stati trasformati in atti UE, con proprio fondamento all’interno del Trattato.

ACQUIS DI SCHENGEN: (Decisione 20 maggio 1999, n. 435/1999/CE) Insieme delle disposizioni che regolano
i rapporti tra gli Stati che hanno siglato la Convenzione di Schengen. L’acquis di Schengen comprende:
— l’accordo firmato a Schengen il 14 giugno 1985 tra gli Stati del Benelux, Francia e Repubblica federale di
Germania;
— la convenzione di applicazione dell’accordo, firmata a Schengen il 19 giugno 1990 tra Belgio, Repubblica
federale di Germania, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi, nonché l’atto finale e le dichiarazioni;
— i protocolli e gli accordi di adesione all’accordo del 1985 e alla convenzione di applicazione del 1990 con
Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia;
— le decisioni e le dichiarazioni del Comitato esecutivo istituito dalla Convenzione di Schengen;
— le decisioni per l’attuazione della convenzione adottate dagli organi cui il Comitato esecutivo ha
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conferito poteri decisionali.

Le misure necessarie per eliminare i controlli alle frontiere interne dovevano essere adottate entro 5 anni
dall’entrata in vigore di Amsterdam, cioè entro il 30 aprile 2004. Il Consiglio europeo straordinario di
Tampere (15-16 ottobre 1999) aveva indicato le linee di sviluppo di tale attività normativa. Secondo i
CAPISALDI DI TAMPERE occorreva:

 l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente in uno s.m. assicurando
loro diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini UE;
 combattere l’immigrazione clandestina, anche attraverso la cooperazione con Stati terzi di
provenienza degli immigrati.

Il Consiglio europeo nel novembre 2004 ha adottato il PROGRAMMA DELL’AIA tendente ad assicurare
pienamente lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Tale politica è in corso di realizzazione e ha portato all’adozione di vari atti normativi. La Commissione ha
presentato una nuova comunicazione che dovrebbe costituire la base sulla quale saranno delineati gli
sviluppi normativi successivi al 2014.

L’ARMONIZZAZIONE DEI CONTROLLI ALLE FRONTIERE ESTERNE


L’art. 77 TFUE tratta dei controlli alle frontiere esterne e attribuisce alla UE la competenza a sviluppare una
politica volta a garantire il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell’attraversamento delle
frontiere esterne, instaurando un sistema integrato di gestione di queste. Consiglio e Parlamento adottano
disposizioni riguardanti i controlli ai quali sono sottoposte le persone all’atto dell’attraversamento.
L’obiettivo consiste nel garantire uno stesso grado di efficacia dei controlli alle frontiere esterne di tutti gli
Stati membri. Il codice frontiere Schengen stabilisce le regole sui controlli di frontiera che devono essere
eseguite dalle autorità di tutti gli s.m. e dalla Agenzia per le frontiere esterne (Frontex); questa ha la
funzione di coordinare l’attività di controllo degli s.m. organizzando operazioni comuni fornendo una
cooperazione operativa.
Il regolamento chiede il rispetto dei diritti fondamentali degli immigrati, vieta il respingimento dello
straniero verso uno Stato terzo in cui sussista il rischio grave che sia sottoposto a pena di morte, tortura,
persecuzione, trattamenti inumani o degradanti. È vietato il respingimento dello straniero verso uno Stato
terzo in cui rischi di essere espulso/estradato/rimpatriato verso un altro paese in violazione del principio di
non respingimento. Contro l’immigrazione clandestina sono Stati conclusi accordi di riammissione con Paesi
dei Balcani occidentali, Sri Lanka, Russia e Albania: sulla base di questi accordi, gli immigrati che abbiano
fatto il loro ingresso irregolarmente, verranno riammessi nei loro Stati di provenienza.

Lo spazio e la cooperazione Schengen

Lo spazio e la cooperazione Schengen si basano sul Trattato di Schengen del 1985. Lo spazio Schengen rappresenta
un territorio dove la libera circolazione delle persone è garantita. Gli Stati firmatari del Trattato hanno abolito tutte le
frontiere interne sostiTUEndole con un'unica frontiera esterna. Entro tale spazio si applicano regole e procedure
comuni in materia di visti, soggiorni brevi, richieste d'asilo e controlli alle frontiere. Contestualmente, per garantire la
sicurezza all'interno dello spazio di Schengen, è stata potenziata la cooperazione e il coordinamento tra i servizi di
polizia e le autorità giudiziarie. La cooperazione Schengen è stata inserita nel quadro legislativo dell'Unione europea
(UE) attraverso il Trattato di Amsterdam del 1997. Tuttavia, non tutti i partecipanti alla cooperazione Schengen sono
membri dello spazio Schengen, perché non desiderano abolire i controlli alle frontiere oppure perché non soddisfano
i requisiti richiesti per l'applicazione dell'acquis di Schengen.
Nel corso degli anni '80 si è aperto un dibattito sul significato di libera circolazione delle persone. Per alcuni Stati
membri, il concetto di libera circolazione doveva applicarsi esclusivamente ai cittadini europei, il che imponeva di
mantenere i controlli alle frontiere per distinguere i cittadini europei da quelli dei paesi terzi. Altri Stati membri
auspicavano invece una libera circolazione per tutti, con la conseguente abolizione di detti controlli alle frontiere.

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Vista l’impossibilità di giungere a un accordo, Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi hanno deciso
nel 1985 di creare fra di essi un territorio senza frontiere, il cosiddetto «spazio Schengen», dal nome della città
lussemburghese nella quale sono Stati firmati i primi accordi. In virtù della firma del Trattato di Amsterdam, tale
cooperazione intergovernativa è stata integrata nell’Unione europea (UE) il 1° maggio 1999.
Lo sviluppo e l'estensione della cooperazione Schengen
Dopo il primo accordo tra i cinque paesi fondatori, firmato il 14 giugno 1985, è stata elaborata una convenzione,
firmata il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore nel 1995, che ha permesso di abolire controlli interni tra gli Stati
firmatari e di creare una frontiera esterna unica lungo la quale i controlli all’ingresso nello spazio Schengen vengono
effettuati secondo procedure identiche. Sono state adottate norme comuni in materia di visti, diritto d’asilo e
controllo alle frontiere esterne onde consentire la libera circolazione delle persone all’interno dei paesi firmatari
senza turbare l’ordine pubblico.
Per conciliare libertà e sicurezza, la libera circolazione è stata affiancata dalle cosiddette “misure compensative” volte
a migliorare la cooperazione e il coordinamento fra i servizi di polizia e le autorità giudiziarie al fine di preservare la
sicurezza interna degli Stati membri e segnatamente per lottare in maniera efficace contro la criminalità organizzata.
È in questo contesto che è Stato sviluppato il Sistema d’informazione Schengen (SIS). Il SIS è una base di dati
sofisticata che consente alle competenti autorità degli Stati Schengen di scambiare dati relativi all’identità di
determinate categorie di persone e di beni.
Lo spazio Schengen si è esteso progressivamente a quasi tutti gli Stati membri. Gli accordi sono Stati firmati dall’Italia
il 27 novembre 1990, dalla Spagna e dal Portogallo il 25 giugno 1991, dalla Grecia il 6 novembre 1992, dall’Austria il
28 aprile 1995 e da Danimarca, Finlandia e Svezia il 19 dicembre 1996. Repubblica CECA, Estonia, Lettonia, Lituania,
Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia si sono unite il 21 dicembre 2007 mentre la Svizzera si è associata il
12 dicembre 2008. Bulgaria, Cipro e Romania non sono ancora membri a pieno titolo dello spazio Schengen; i
controlli alle frontiere tra questi e lo spazio Schengen persisteranno fino a quando il Consiglio europeo non deciderà
che le condizioni per l'abolizione dei controlli alle frontiere esterne sono state rispettate. (Per la posizione del Regno
Unito e dell’Irlanda, vedasi in appresso.)

L’integrazione dell'acquis di Schengen nel quadro dell'UE


I progressi compiuti dall’UE grazie a Schengen sono Stati integrati nel Trattato di Amsterdam mediante un protocollo
addizionale. La cooperazione è stata rafforzata, come dimostra l’inserimento dello spazio Schengen nel quadro
giuridico e istituzionale dell’UE, nel cui ambito beneficia di un controllo parlamentare e istituzionale. La libera
circolazione delle persone, che già figurava tra gli obiettivi dell’Atto unico europeo del 1986, è ormai una realtà. Al
tempo stesso, però, si assicura un controllo parlamentare democratico e si dà ai cittadini i cui diritti vengono
conteStati la possibilità di adire le istituzioni giudiziarie competenti (Corte di giustizia e/o giurisdizioni nazionali, a
seconda dei settori).
Il Consiglio dell’UE ha dovuto prendere un certo numero di decisioni per arrivare a detta integrazione. Anzitutto il
Consiglio è subentrato, in conformità del Trattato di Amsterdam, al comitato esecutivo istituito dagli accordi di
Schengen. Mediante la decisione 1999/307/CE del 1° maggio 1999, il Consiglio ha stabilito le modalità
dell’integrazione del segretariato di Schengen, segnatamente le persone che lo componevano, nel segretariato
generale del Consiglio. Successivamente, sono Stati creati nuovi gruppi di lavoro per aiutare il Consiglio a gestire i
lavori.
Uno dei compiti più impegnativi che ha comportato per il Consiglio l’integrazione dello spazio Schengen è consistito
nel selezionare, tra tutte le disposizioni e le misure prese dagli Stati firmatari di detti accordi intergovernativi, quelle
che costituivano un vero e proprio acquis, ossia un insieme di atti da conservare ad ogni costo se si voleva proseguire
la cooperazione. Con le decisioni 1999/435/CE e1999/436/CE del 20 maggio 1999 è Stato adottato l’elenco degli
elementi che compongono l’acquis definendo, per ciascuno di essi, la base giuridica corrispondente nei Trattati
europei (Trattato CE o Trattato sull'UE) . La maggior parte di tali atti sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale. Da allora
la legislazione di Schengen si è ulteriormente sviluppata. Ad esempio alcuni articoli della convenzione di Schengen
sono Stati sostituiti dalla nuova legislazione comunitaria (ad es. il Codice frontiere Schengen).
La partecipazione della Danimarca
Nonostante sia già firmataria della convenzione di Schengen, la Danimarca può scegliere nell’ambito dell’UE se
applicare o meno ogni nuova misura basata sul titolo IV del Trattato CE, sebbene tale misura costituisca uno sviluppo
dell’acquis di Schengen. La Danimarca è tuttavia vincolata da alcune misure in materia di politica comune dei visti.
Partecipazione dell’Irlanda e del Regno Unito
Conformemente al protocollo allegato al Trattato di Amsterdam, l’Irlanda ed il Regno Unito possono avvalersi, in
tutto o in parte, delle disposizioni dell’acquis di Schengen dopo una decisione del Consiglio votata all’unanimità dagli
Stati firmatari e dal rappresentante del governo dello Stato interessato.
Nel marzo del 1999 il Regno Unito ha chiesto di partecipare ad alcuni aspetti della cooperazione basata su Schengen:

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la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, la lotta contro il narcotraffico e il SIS. La domanda del Regno
Unito è stata approvata con la decisione del Consiglio 2000/365/CE del 29 maggio del 2000.
Nel giugno del 2000 anche l’Irlanda ha chiesto di partecipare ad alcune disposizioni dell’acquis di Schengen, le stesse
disposizioni (ad eccezione di una) di quelle della domanda del Regno Unito. Il Consiglio ha approvato tale domanda
con la decisione 2002/192/CE del 28 febbraio del 2002. La Commissione ha emesso dei pareri su entrambe le
domande ed ha sottolineato che la partecipazione parziale di questi due Stati all’acquis di Schengen non deve
ostacolare la coerenza dell’insieme di disposizioni che costituiscono l’acquis stesso.
Dopo aver valutato le condizioni preliminari relative all’applicazione delle disposizioni in materia di cooperazione
giudiziaria e di polizia, il 22 dicembre 2004 il Consiglio ha adottato la decisione 2004/926/CE riguardante
l’applicazione di queste parti dell’acquis di Schengen da parte del Regno Unito.
Le relazioni con i paesi terzi: principi comuni
La progressiva estensione dello spazio Schengen all'insieme degli Stati membri dell'UE ha portato alcuni paesi terzi
che hanno relazioni specifiche con l’UE a partecipare alla cooperazione Schengen. Il prerequisito che i paesi non UE
devono possedere per associarsi all'acquis di Schengen è la sottoscrizione di un accordo sulla libera circolazione delle
persone tra tali Stati e l'UE (come pattuito dall'accordo sullo Spazio economico europeo nel caso dell'Islanda, della
Norvegia e del Liechtenstein, e dall'accordo sulla libera circolazione delle persone nel caso della Svizzera).
Questa partecipazione consente a tali paesi di:
• essere inclusi nello spazio costituito per l'assenza di controlli alle frontiere interne;
• applicare le disposizioni dell’acquis di Schengen e tutti i testi adottati riguardanti i principi ispiratori (testi
"Schengen relevant");
• essere associati al processo decisionale riguardante i testi "Schengen relevant".
In pratica, tale associazione si avvale di comitati misti che si riuniscono a margine dei gruppi di lavoro del Consiglio
dell'UE. Questi riuniscono rappresentanti dei governi degli Stati membri dell'UE, della Commissione e dei governi dei
paesi terzi. I paesi associati partecipano pertanto alle discussioni sullo sviluppo dell'acquis di Schengen, tuttavia non
partecipano alle votazioni. Sono state definite alcune procedure per la notifica e l'accettazione di misure o di atti
futuri.
Relazioni con Islanda e Norvegia
L’Islanda e la Norvegia appartengono, insieme a Svezia, Finlandia e Danimarca, all’Unione nordica dei passaporti, i cui
membri hanno abolito i controlli alle frontiere comuni. L’Islanda e la Norvegia sono associate allo sviluppo del
Trattato di Schengen dal 19 dicembre 1996. Pur non disponendo di un diritto di voto nel comitato esecutivo di
Schengen, questi paesi potevano esprimere pareri e formulare proposte. Per prorogare tale associazione, il
18 maggio 1999 è Stato sottoscritto l'accordo sull'associazione di Islanda e Norvegia all'attuazione, l'applicazione e lo
sviluppo dell'acquis di Schengen, in base alla decisione del Consiglio 1999/439/CE del 17 maggio 1999, tra Islanda,
Norvegia e Unione europea.
Nei settori dell’acquis di Schengen che si applicano all’Islanda e alla Norvegia, le relazioni fra questi due paesi, da un
lato, e l’Irlanda e il Regno Unito dall’altro, sono regolamentate da un accordo approvato dal Consiglio il
28 giugno 1999 [Gazzetta ufficiale L 15 del 20.1.2000].
La decisione del Consiglio 2000/777/CE del 1° dicembre 2000 stabilisce le modalità di applicazione dell'acquis di
Schengen nei cinque paesi dell'Unione nordica dei passaporti a decorrere dal 25 marzo 2001.
La partecipazione della Svizzera e del Liechtenstein
L'UE ha concluso un accordo con la Svizzera relativo alla sua partecipazione allo spazio di Schengen [Gazzetta ufficiale
L 53 del 27.2.2008]; in seguito a tale accordo la Svizzera si è unita il 12 dicembre 2008. raggiungendo lo stesso status
di associata di Norvegia e Islanda. Un protocollo sulla partecipazione del Liechtenstein nello spazio di Schengen è
Stato sottoscritto il 20 febbraio 2008.
Il sistema d’informazione di Schengen della seconda generazione (SIS II)
Mentre il SIS è operativo dal 1995, si sta lavorando su un nuovo sistema dotato di funzionalità progredite e basato su
tecnologie di punta. Questo nuovo sistema (SIS II) è attualmente in fase di test, in cooperazione con gli Stati membri.
In tale prospettiva, il Consiglio ha adottato il 6 dicembre 2001 due strumenti legislativi: il regolamento (CE)
n. 2424/2001 e la decisione2001/886/GAI che delegano la Commissione a sviluppare SIS II. Le spese relative a tale
sviluppo sono a carico del bilancio generale dell’UE. Tali strumenti sono Stati modificati nel 2006 estendendo il
periodo della loro validità al 31 dicembre 2008.
Da parte sua, la Commissione ha pubblicato il 18 dicembre 2001 una comunicazione COM(2001) 720] che esamina le
possibilità di realizzazione e di sviluppo del SIS II. Al termine di studi e dibattiti riguardanti l'architettura e le
funzionalità del futuro sistema, la Commissione ha presentato il 31 maggio 2005 tre proposte di strumenti legislativi
nel 2005. Due degli strumenti di questo pacchetto (Regolamento (CE) n. 1987/2006 sull’istituzione, l’esercizio e l’uso
del SIS II e il Regolamento (CE) n. 1986/2006 sull'accesso al SIS II dei servizi competenti per il rilascio delle carte di

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circolazione) sono Stati adottati il 20 dicembre 2006.. Il terzo strumento (decisione2007/533/GAI che definisce gli
aspetti del SIS II («3° pilastro») è Stato adottato il 12 giugno 2007.
Il Consiglio Giustizia e affari interni del dicembre 2006 ha dato la sua approvazione al progetto SISone4all (un
progetto degli Stati membri coordinato dal Portogallo). Il SISone4all ha costituito una soluzione temporanea per
collegare 9 paesi membri UE-2004 alla versione esistente del SIS1+,con alcuni adattamenti tecnici., Il riuscito
completamento di SISone4all, insieme alle positive valutazioni di Schengen, hanno permesso di sopprimere i controlli
alle frontiere interne con questi nuovi paesi alla fine del 2007 per quanto riguarda le frontiere terrestri e marittime, e
nel marzo 2008 per quanto riguarda le frontiere aeree.
La soppressione dei controlli alle frontiere interne ha creato le premesse per attuare approcci alternativi e meno
rischiosi nel passaggio dal SIS1+ al SIS II. Avendo richiesto gli Stati membri di avere maggior tempo per testare il
sistema e adottare una strategia meno rischiosa per il passaggio dal vecchio al nuovo sistema, la Commissione ha
presentato delle proposte per una regolamentazione e una decisione che definisce i compiti e le responsabilità delle
varie parti coinvolte nella preparazione per la migrazione al SIS II (compresi i test e qualsiasi altro sviluppo necessario
in questa fase). Queste proposte sono state adottate dal Consiglio il 24 ottobre 2008.
FONTE: EUR LEX http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv:l33020

IL REGIME APPLICABILE AI CITTADINI DI STATI TERZI


LA NORMATIVA SULL’INGRESSO
L’art. 79 TFUE prevede che l’Unione sviluppi una politica comune in materia di immigrazione. Competenze
attribuite alla UE:

• Stabilire le condizioni alle quali è consentito l’ingresso di cittadini di Stati terzi alle frontiere esterne
degli s.m. per i soggiorni di lunga durata;
• Stabilire l’elenco dei paesi terzi in cui i cittadini devono essere in possesso del visto per attraversare
le frontiere esterne;
• Predisporre un modello uniforme di visto

Per quanto riguarda i requisiti per l’ottenimento del visto di ingresso sono state adottate normative che
concernono alcune categorie di stranieri: studenti, lavoratori qualificati, quelli trasferiti temporaneamente
in sedi di altri s.m. della stessa società multinazionale da cui dipendono, lavoratori stagionali, familiari degli
immigrati. Mancano normative di armonizzazione concernenti l’aspetto di maggiore rilevanza, cioè quello
relativo alle condizioni che consentono l’ottenimento di un visto di ingresso per motivi di lavoro.
Direttiva 2003/86/CE: disciplina l’ingresso dei familiari dello straniero che risieda regolarmente in uno s.m.;
riconosce il diritto dello straniero a farsi raggiungere o accompagnare dai propri familiari. Questo diritto è
attribuito al cittadino di uno Stato terzo che sia in possesso di un permesso di soggiorno di durata almeno
annuale e abbia la prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile. Gli s.m. possono apporre
ulteriori condizioni: disponibilità di un alloggio, assicurazione malattie, risorse stabili, regolari e sufficienti,
precedente soggiorno nello s.m. in cui risiede. Il familiare può acquisire un titolo autonomo al soggiorno:
dopo un periodo di 5 anni il familiare ha diritto al permesso di soggiorno, indipendentemente dalla persona
col quale si è ricongiunto.

LA NORMATIVA SUL SOGGIORNO


Il TFUE attribuisce alla UE la competenza a stabilire le condizioni sul soggiorno di cittadini di Stati terzi, le
norme sul rilascio del visto, dei titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli di ricongiungimento
familiare.
Direttiva 2003/109/CE: tutela i diritti dei cittadini degli Stati terzi che soggiornano in uno s.m.; questa
direttiva conferisce uno status di favore per i cittadini di paesi terzi che risiedano nello s.m. per almeno 5
anni. Questo status vuole favorire l’integrazione sociale di coloro che si stabiliscono in modo duraturo in
uno s.m.;
l’ottenimento di uno status è subordinato ad alcune condizioni: il richiedente deve posseder risorse stabili e
sufficienti, assicurazione malattia.
In caso di ragioni di ordine pubblico o pubblica sicurezza può essere rifiutato il riconoscimento dello status.
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Ai soggiornanti di lungo periodo è rilasciato un permesso di soggiorno valido per almeno 5 anni che può
essere rinnovato
Si può essere espulsi solo se costituiscono minaccia effettiva e grave per l’ordine pubblico e la pubblica
sicurezza.
Trattamento: la condizione dei cittadini di Stati terzi è assimilata a quelli dei cittadini UE che risiedono in
uno s.m. diverso da quello di origine. Ai soggiornanti di lungo periodo deve essere assicurata la parità di
trattamento rispetto ai nazionali.
Per i lavoratori di Stati terzi: è stata prevista un’unica domanda volta al rilascio di un titolo combinato che
comprende sia permesso di soggiorno che i permessi di lavoro.
Il fatto che il cittadino di Stato terzo ha il diritto al soggiorno in uno s.m., non implica che possa esercitarlo
in uno s.m. diverso: occorre determinare quale efficacia abbiano negli altri s.m. il visto o il permesso di
soggiorno accordato da uno s.m. ; finora si è riconosciuto solo ai soggiornanti di lungo periodo il diritto di
risiedere nel territorio di qualsiasi altro s.m. nel caso vi si trasferiscano per motivi di lavoro o studio.

LA NORMATIVA SUL TRATTAMENTO DEI LAVORATORI DI STATI TERZI


L’unione ha la competenza a definire i diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno
s.m.; per quanto riguarda i lavoratori, l’unione sostiene e completa l’azione degli s.m. riguardo alle
condizioni di impiego dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio UE.
Il principio della parità di trattamento rispetto ai nazionali è previsto riguardo ai lungo soggiornanti; i
cittadini di Stati terzi ammessi a svolgere regolarmente un’attività in uno s.m. beneficiano dello stesso
trattamento riservato ai cittadino dello s.m. in cui soggiornano.
Ai cittadini di paesi terzi regolarmente occupati in uno s.m. vengono applicati i regolamenti in materia di
sicurezza sociale applicabili ai cittadini UE.
La direttiva 2009/52 richiede agli s.m. di imporre sanzioni nei confronti di datori di lavoro che impiegano
cittadini di paesi terzi che non hanno permesso di soggiorno. Il datore di lavoro è comunque tenuto a
pagare ai cittadini di Stati terzi retribuzioni arretrate, contributi previdenziali, imposte dovute.

LA NORMATIVA SUL RIMPATRIO


L’art. 79 par.2 lett.c TFUE prevede che siano adottate normative sull’immigrazione e sul soggiorno irregolari
compresi allontanamento, rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare. Gli s.m. devono consentire allo
straniero ammesso al soggiorno di far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione. L’espulsione,
secondo la carta e la convenzione europea dei diritti dell’uomo, non consente l’espulsione se questa
comporti una violazione del diritto alla tutela della vita privata e familiare e vieta l’espulsione verso uno
Stato nel quale lo straniero potrebbe essere sottoposto a trattamenti proibiti dalla Convenzione stessa.
Nell’esercizio di questa competenza sono state adottate alcune misure di carattere organizzativo. La
Frontex e la direttiva n.115/2008 svolgono un ruolo rilevante: questa stabilisce alcune regole comuni in
materia di rimpatrio dei cittadini di Stati terzi che si trovano in una situazione irregolare:

• tutti gli stranieri in condizione irregolare devono essere rimpatriati;


• gli s.m. devono consentire allo straniero di partire volontariamente entro un certo termine; qualora
vi sia rischio di fuga possono essere previste alcune misure di controllo; qualora lo straniero non si
allontani volontariamente entro il termine previsto, lo s.m. può adottare le misure necessarie,
come disporre il trattenimento del cittadino in un centro di permanenza temporanea.

La Corte di giustizia, in una sentenza resa in via pregiudiziale su domanda di un giudice italiano, ha ritenuto
non compatibile con la direttiva una normativa nazionale, la legge italiana sul reato di clandestinità, che
prevedeva la reclusione del cittadino di paese terzo stante sul territorio nazionale in modo irregolare. La
normativa pregiudicava l’obiettivo della direttiva, cioè realizzare una politica efficace di allontanamento e
di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare.

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IL DIRITTO DI ASILO E GLI ISTITUTI DELLA PROTEZIONE TEMPORANEA E DELLA
PROTEZIONE SUSSIDIARIA
Il TFUE affida alla UE la competenza a sviluppare una politica comune in materia di asilo, protezione
sussidiaria, protezione temporanea. La politica deve esser conforme alla Convenzione di Ginevra del 1951 e
al protocollo del 1967.
La carta dei diritti fondamentali prevede che il diritto di asilo è garantito conformemente alle fonti
internazionali ed enuncia il principio di non-refoulement : nessuno può essere allontanato, espulso,
estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto a pena di morte, tortura, altre
pene o trattamenti inumani o degradanti.
Competenza in materia di asilo: il Consiglio deve adottare le norme per determinare lo Stato competente
ad esaminare le domande di riconoscimento dello status di rifugiato; il Consiglio ha enunciato una serie di
criteri in base ai quali viene determinato lo s.m. responsabile dell’esame della domanda:

 Può essere competente lo Stato che abbia già riconosciuto lo status di rifugiato ad un familiare del
richiedente;
 Oppure lo Stato che abbia rilasciato al richiedente un permesso di soggiorno o visto di ingresso;

 Lo Stato nel quale sia Stato accertato che lo straniero ha fatto irregolarmente ingresso.

Tale responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera. Si può
derogare ai criteri al fine di garantire il rispetto dell’interesse superiore dei minori che non hanno familiari
negli s.m.; qualora il minore abbia presentato domanda in più s.m., la responsabilità deve essere affidata
allo Stato in cui il minore si trova in modo da consentire una decisione più rapida evitando di trasferirlo in
un altro Stato. È sempre possibile individuare lo Stato responsabile dell’esame di una domanda.
L’art. 78 TFUE attribuisce all’Unione anche la competenza a stabilire norme sull’accoglienza dei richiedenti
asilo e protezione e sulle procedure per l’attribuzione e la revoca dello status di rifugiato.
Riguardo all’asilo sono state adottate 3 direttive che stabilivano, rispettivamente, norme sull’attribuzione
della qualifica di rifugiato o di persona bisognosa di protezione; sull’accoglienza dei richiedenti asilo; sulle
procedure applicate negli s.m. ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. Queste
direttive sono in fase di progressiva sostituzione da parte di nuove normative.
Il TFUE prevede altre due forme di protezione:

 Protezione temporanea degli sfollati in caso di loro afflusso massiccio;


 Protezione sussidiaria delle persone che pur senza il beneficio dell’asilo europeo, necessitano di
protezione internazionale.

La protezione temporanea deve essere garantita agli sfollati, coloro che non rientrano nella definizione di
rifugiati ma sono meritevoli di protezione in ragione di fenomeni che li costringano a lasciare lo Stato di
appartenenza.

RIFUGIATO: colui che, temendo di essere perseguitato per motivi di razza/religione/nazionalità/ecc, si


trovi fuori dal paese di cui è cittadino e non vuole avvalersi della protezione di questo paese; oppure colui
che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori dal paese in cui aveva residenza abituale, non vuole
tornarvi per i motivi di cui sopra. (definizione convenzione di Ginevra)
PROFUGO: chi si è allontanato dal proprio paese di origine per motivi di persecuzione o guerra.
SFOLLATO: colui che non rientra nella definizione di rifugiato ma è meritevole di protezione in ragione di
fenomeni che lo costringano a lasciare lo Stato di appartenenza.

La protezione sussidiaria è una forma di tutela complementare rispetto a quella derivante dal
riconoscimento dello status di rifugiato. Spetta a chi non possiede i requisiti per essere riconosciuto come
rifugiato ma se tornasse nel suo paese, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno.
Gli oneri di accoglienza dei richiedenti asilo e protezione sono ingenti nei paesi che hanno la responsabilità
di trattare un numero elevato di domande. Il principio di solidarietà ed equa ripartizione degli oneri tra gli
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s.m. ha particolare importanza riguardo all’accoglienza dei richiedenti protezione. Per consentire interventi
più efficaci di sostegno degli s.m. che ricevono maggiori afflussi di stranieri richiedenti protezione, è Stato
istituito il Fondo asilo, migrazione e integrazione.
L’ufficio europeo di sostegno per l’asilo ha sede a Malta, ha iniziato la propria attività nel 2011 e provvede
ad agevolare lo scambio di informazioni e di esperienze fra s.m. e organizzare iniziative comuni di
formazione del personale addetto negli s.m. all’esame delle domande di protezione.

LA NATURA E L’ESTENSIONE DELLA COMPETENZA DELL’UNIONE IN MATERIA DI


IMMIGRAZIONE
La competenza attribuita alla UE è di tipo concorrente. La realizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e
giustizia deve essere effettuata nel rispetto degli ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche
degli s.m. (art. 67 TFUE).
L’art. 72 del TFUE indica che il titolo V non osta all’esercizio delle responsabilità incombenti agli s.m. per il
mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna. La disposizione non delinea un
settore riservato alla competenza degli s.m. ma intende consentire a questi l’adozione di misure ulteriori,
più restrittive di quelle dell’Unione, purchè giustificate dalle esigenze di tutela. Uno s.m. deve poter
invocare tale disposizione per impedire l’ingresso o il soggiorno di uno straniero al fine di tutelare l’ordine
pubblico e la sicurezza interna, anche in deroga alle norme UE.

LA CONVENZIONE DI SCHENGEN E LA SUA INTEGRAZIONE NELL’UNIONE EUROPEA


Le disposizioni che costituivano il c.d. ‘’acquis di Schengen’’ (l’accordo di Schengen del 1985, la convenzione
applicativa del 1990, le varie convenzioni che ne avevano integrato e modificato il contenuto, gli atti
adottati dagli organi della convenzione) sono state inquadrato nell’ambito del diritto dell’Unione a seguito
del Trattato di Amsterdam. Grazie a questa integrazione, si è anticipata parte dell’attività normativa che
doveva essere svolta per eliminare le frontiere interne.
Attualmente, le istituzioni UE possono sia adottare le normative che integrino quelle elaborate nel quadro
della convenzione di Schengen, sia sostituire queste con le nuove disposizioni adottate in base al titolo V. le
norme che compongono l’acquis trovano il loro fondamento all’interno del TFUE e sono da considerare atti
della UE; quindi devono essere conformi al Trattato, ai principi generali e alla Carta dei diritti fondamentali
e possono essere sostituite, modificate, abrogate da successivi atti della UE.
Secondo il protocollo n.19, relativo all’acquis integrato nell’ambito UE, viene autorizzata una cooperazione
rafforzata che vede la partecipazione di tutti gli s.m. ad eccezione del Regno Unito e dell’Irlanda.
Regno Unito e Irlanda non sono vincolati dall’acquis ma possono decidere di accettare gli atti adottati per
sviluppare tale sistema; la Danimarca è vincolato dall’acquis, può accettare gli atti adottati per sviluppare
tale sistema ma sarà vincolato da questi sul piano del diritto internazionale.
Per quanto riguarda i nuovi s.m., il regime previsto dall’acquis si applicherà solo dopo che il Consiglio abbia
verificato il rispetto dei requisiti necessari da parte di tali Stati. La piena applicazione delle disposizioni è
prevista rispetto a tutti i nuovi s.m. che hanno aderito nel 2004 ad eccezione di Cipro. Non opera ancora
per Romania e Bulgaria.
Diversamente da altri fenomeni di cooperazione rafforzata, qui si può verificare una singolare situazione:
delle regole adottate nell’ambito di un fenomeno di cooperazione rafforzata (il sistema Schengen) possono
essere accettati da un numero di s.m. più elevato di quelli che potrebbero accettare le regole generali.
Nell’adozione degli atti occorrerà verificare l’orientamento dei tre s.m. (Regno Unito, Irlanda, Danimarca) ai
quali si applicano le regole particolari contenute nei protocolli e privilegiare le soluzioni che consentano
una ampia partecipazione degli s.m. .

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LA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI NEGLI ACCORDI DI ASSOCIAZIONE

IL PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE


Le norme poste dagli accordi di associazione conclusi dalla UE hanno rilievo rispetto alla circolazione ed alle
condizioni di lavoro dei cittadini degli Stati terzi parti degli accordi; regolano il trattamento dei lavoratori
degli Stati associati prevedendo che ad essi debba essere applicato un regime non discriminatorio rispetto a
condizioni e retribuzioni. Riguardo alle norme che enunciano il principio di non discriminazione, la Corte ha
affermato che esse sono idonee a produrre effetti diretti e possono essere invocate dagli interessati dinanzi
alle giurisdizioni nazionali. Il principio può essere invocato nei confronti di un privato ed è idoneo a
produrre effetti anche orizzontali.

LA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI


Alcune disposizioni sulla circolazione dei lavoratori di Stati terzi sono contenute nell’accordo di associazione
con la Turchia del 1963 e nell’accordo con i paesi dell’EFTA che ha dato vita allo spazio economico europeo.
Questo garantisce la libera circolazione dei lavoratori subordinati fra gli s.m. UE e gli s.m. EFTA. Ai cittadini
di Stati parti dell’accordo è stata estesa l’applicazione di alcuni atti derivati in materia di libera circolazione
dei lavoratori.

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CAPITOLO III - LA LIBERA PRESTAZIONE DEI SERVIZI
(ROBERTO MASTROIANNI)

INTRODUZIONE
Per attuare il programma di integrazione socio-economica dell’art. 3 TUE, l’azione UE comporta la
realizzazione di un mercato interno (spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali). L’obiettivo è quello di garantire la
circolazione dei fattori produttivi, all’interno del territorio UE, sulla base di condizioni simili a quelle che si
applicano all’interno di un singolo Stato.
Per quanto riguarda l’attività dei lavoratori autonomi e delle imprese nel territorio UE, l’abolizione delle
restrizioni alla loro attività in Stati diversi da quelli di origine si realizza grazie a due componenti:

• L’applicazione di disposizioni di diritto primario dotate di efficacia diretta tali da imporre


immediatamente regole di comportamento agli Stati e di attribuire ai destinatari della tutela
posizioni giuridiche soggettive perfette
• L’intervento delle istituzioni UE, che devono attribuire significato concreto alla liberalizzazione
adottando le disposizioni necessarie a garantire che tutti i soggetti che operano nel territorio UE,
regole comuni.

Gli artt. 56-62 del TFUE trattano della libera prestazione dei servizi. Si consente ai soggetti che rientrano nel
campo di applicazione delle disposizioni di svolgere attività non salariate nel territorio UE non solo
trasferendosi fisicamente in un altro s.m., ma anche mantenendo la residenza o la sede nel proprio Stato,
rivolgendo l’attività a soggetti stabiliti in un diverso s.m. . rimangono fuori dal campo di applicazione le
attività che non comportano alcun attraversamento di frontiere e rimangono interne.

L’AMBITO DI APPLICAZIONE SOSTANZIALE E LE MATERIE ESCLUSE


SERVIZI RILEVANTI PER IL DIRITTO UE: (art. 57 n.1) prestazioni normalmente fornite dietro retribuzione,
non regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, capitali, persone. Nell’articolo
vengono elencate alcune materie ma l’elenco non è esaustivo.
Nella giurisprudenza della Corte di giustizia, la disciplina sulla libera prestazione dei servizi è stata applicata
ad attività sportive, diffusione di programmi televisivi, attività di carattere finanziario, turistico, cure
mediche, partecipazione a lotterie organizzate in altri s.m., al gioco d’azzardo e ai pronostici. Non rientra
nella nozione di servizio rilevante per il diritto UE l’attività di associazioni studentesche che forniscono
informazioni sui servizi resi da un operatore economico stabilito in uno s.m. .
ESCLUSA è la disciplina della circolazione dei servizi in materia di trasporti; per quanto riguarda i servizi
bancari e assicurativi il TFUE richiede che la loro liberalizzazione avvenga in armonia con quella della
circolazione dei capitali.
La disciplina della libera circolazione trova applicazione anche in materia fiscale: anche se allo Stato attuale,
il diritto UE non ha competenza in questo ambito, gli s.m. devono comunque esercitare le proprie
competenze nel rispetto del diritto UE.

Il presupposto necessario perché una certa attività prestata su territorio UE rientri nella nozione di servizio,
è che questa abbia rilevanza economica. Quindi devono essere prestazioni fornite dietro retribuzione, non
svolte in maniera marginale o accessoria ma in maniera reale ed effettiva.
Sono ESCLUSE le attività che vengono svolte in maniera salariata, non indipendente, esercitate a favore e
sotto la direzione di un altro soggetto. Queste rientrano nel campo di applicazione dedicate ai lavoratori
subordinati. È esclusa l’attività dello Stato svolta per assolvere ai propri obblighi di carattere sociale,
educativo, culturale nei confronti dei cittadini.
Affinché un servizio rientri nel campo di applicazione del Trattato, non è richiesto previo accordo tra
preStatore e destinatario; è sufficiente che il servizio venga fornito previa remunerazione (es. programmi
radiotelevisivi diffusi in s.m. diversi da quello in cui ha sede l’emittente che lo trasmette.

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Dire che la nozione di servizio ha natura residuale significa che un’attività viene sottoposta alle regole del
TFUE solo se non risultino applicabili le disposizioni in materia di libera circolazione delle merci o dei capitali
ovvero di libertà di stabilimento.
Ma non è sempre facile individuare la linea di demarcazione tra le libertà garantite dagli artt. 56 ss. e quelle
delle disposizioni relative alle altre libertà economiche fondamentali garantite dal TFUE. Il riferimento a
‘’prestazioni’’ contenuto nel testo dell’art. 56, consente di escludere nella nozione di servizi le attività
economiche che consistono nella produzione di beni e quelle attività legate ad essa. Il problema si pone nel
caso di attività che comportino sia la prestazione di un servizio che la fornitura di beni. La Corte sembra
concedere rilevanza alla prestazione principale.

IN SINTESI: la nozione di servizio rilevante per il diritto UE comprende ogni attività economicamente
rilevante che si concreti in un facere e non comporti scambio di beni; il servizio deve soddisfare altri
requisiti: deve trattarsi di attività che coinvolgono soggetti stabiliti nel territorio UE e che vengono svolte
secondo le modalità indicate dai Trattati e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

L’AMBITO DI APPLICAZIONE RATIONE PERSONARUM: I SOGGETTI TUTELATI


Secondo l’art. 56 TFUE beneficiano dell’abolizione delle restrizioni alla libera prestazione dei servizi i
cittadini degli s.m. stabiliti in un paese UE che non sia quello del destinatario della prestazione. Si richiede
che la prestazione abbia come protagonisti soggetti che abbiano cittadinanza di uno s.m. e risultino stabiliti
nel territorio UE.

a) Primo requisito: compete alle legislazioni statali individuare i requisiti per l’attribuzione della
cittadinanza; il requisito della cittadinanza non è richiesto per il destinatario del servizio che
potrebbe anche essere cittadino di Stato terzo;
b) Secondo requisito: non potrebbe usufruire dell’abolizione delle restrizioni un preStatore di servizi
che, pur cittadino UE, non sia stabilito nel territorio della UE. La motivazione: è una misura di tipo
protezionistico per evitare di aprire i mercati a coloro che non godono di un legame effettivo con il
territorio UE. Infatti l’art. 56 n.2 prevede che i benefici possano essere estesi anche a cittadini di
Stati terzi ma solo se questi siano stabiliti all’interno della UE. La competenza a disciplinare l’attività
di preStatori di servizi cittadini di Stati terzi stabiliti nel territorio UE è oggetto di proposta di
direttiva del Consiglio che estende ai cittadini di un paese terzo stabiliti all’interno della comunità la
libertà di prestare servizi oltre la frontiera, presentata dalla Commissione nel marzo 1999 insieme
alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di trasferta
dei lavoratori dipendenti cittadini di uno Stato terzo nell’ambito di una prestazione di servizi
oltrefrontiera. La prima proposta tende a impedire che un lavoratore autonomo, cittadino di un
paese terzo ma stabilito in uno s.m. dell’Unione, sia costretto a prendere la residenza in un altro
s.m. per poter esercitare la propria attività a titolo di prestazione di servizi. La proposta prevede
l’introduzione di una Carta CE di prestazione di servizi uniforme in tutti gli s.m. di durata limitata nel
tempo (massimo 12 mesi) e non rinnovabile automaticamente che consente al titolare di esercitare
liberamente la propria attività alle stesse condizioni del cittadino comunitario. La carta viene
rilasciata dallo s.m. in cui è stabilito il fornitore di servizi non comunitario e garantisce la regolarità
della sua posizione qualora questo voglia svolgere la propria attività in uno Stato diverso da quello
di stabilimento; la carta garantisce che lo Stato di stabilimento riaccolga il cittadino di Stato terzo al
termine della prestazione. Dobbiamo poi considerare che la liberalizzazione internazionale alla
prestazione di servizi è oggetto di accordo multilaterale GATS (general agreement on trade on
services, accordo generale sugli scambi di servizi), allegato all’Accordo di Marrakech del 1994 che
istituisce l’organizzazione mondiale del commercio (OMC). L’accordo GATS recepisce i risultati dei
negoziati commerciali multilaterali dell’Uruguay Round del Gatt (vedi glossario alla voce URUGUAY
ROUND DEL GATT). Questo accordo richiede agli Stati parti il rispetto di alcuni obblighi riguardanti
la liberalizzazione dei servizi. Tra gli obblighi imposti dall’accordo rientra il rispetto della clausola
della nazione più favorita per cui ciascun membro è tenuto ad accordare ai servizi e ai preStatori di

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servizi di un qualsiasi altro membro, in via immediata e incondizionata, un trattamento non meno
favorevole di quello accordato da analoghi servizi e preStatori di servizi di qualsiasi altro paese.

LE MODALITA’ DI SVOLGIMENTO DELLA PRESTAZIONE DI SERVIZI: IL CARATTERE


‘’TRANSFRONTALIERO’’ DELL’ATTIVITA’
La disciplina della prestazione di servizi concerne esclusivamente attività di carattere transfrontaliero: il
divieto di restrizioni va riferito alle prestazioni di servizi effettuate da cittadini degli s.m. stabiliti in un paese
dell’UE diverso da quello in cui è stabilito il destinatario della prestazione.
Questo esclude quindi attività interne; pero queste non sono escluse del tutto dalla liberalizzazione operata
dalle norme dei Trattati per due motivi:

• L’eventuale trattamento più favorevole riconosciuto al preStatore stabilito in uno s.m. diverso da
quello in cui il servizio verrà effettuato provocherà discriminazioni al rovescio a danno dei soggetti
stabiliti nello Stato stesso che non potrebbero avvalersi dei benefici. Questa situazione si
risolverebbe sulla base del diritto interno, grazie all’estensione, in favore dei soggetti stabiliti, del
trattamento più favorevole che i Trattati garantiscono ai preStatori di servizi. la Corte
costituzionale, in Italia, pronuncia l’illegittimità costituzionale della legge interna che produce gli
svantaggi, con la conseguenza di estendere i benefici anche alle fattispecie interne.
• Qualora le restrizioni allo svolgimento di una certa attività siano lecitamente applicabili sia a
soggetti stabiliti che a quelli che operano in regime di prestazione di servizi, le distorsioni del
mercato comune causate dalla disparità delle legislazioni nazionali relative a detta attività potranno
essere rimosse con un intervento legislativo di armonizzazione delle legislazioni.

Perché una certa attività possa usufruire della liberalizzazione voluta dai Trattati, è che questa si svolga con
un passaggio di frontiera: la prestazione deve coinvolgere almeno due s.m.; il TFUE non richiede che il
servizio sia preStato in maniera occasionale o temporanea, se non qualora il servizio si realizzi attraverso
una delle modalità possibili, quella che vede il preStatore svolgere attività sul territorio dello Stato in cui è
stabilito il destinatario (es. il professionista che si reca in uno s.m. diverso da quello di stabilimento per
svolgervi occasionalmente un’attività professionale). Il requisito della occasionalità si richiede anche per le
ipotesi in cui sia il destinatario a recarsi nello Stato di prestazione del servizio.
L’art. 57 n.3 vuole estendere al preStatore del servizio la stessa garanzia del trattamento nazionale che il
Trattato prevede in favore del soggetto stabilito. Questa norma è stata interpretata nel senso di escludere
che al soggetto che si reca in un altro s.m. in regime di prestazione di servizi possano essere applicate tutte
le prescrizioni che, nello Stato di destinazione, regolano l’attività di chi è stabilito in maniera permanente in
quello stesso Stato. La giurisprudenza evolutiva tende a facilitare la prestazione dei servizi, evitando di
sottoporre allo stesso trattamento il soggetto stabilito e quello che si trova sono occasionalmente ad essere
in contatto con la comunità territoriale del primo Stato.
Il servizio essenziale per il Trattato può svolgersi anche secondo altre modalità, non tutte inquadrabili nella
definizione generale ex art.56; la regola generale concerne l’ipotesi in cui servizio si realizzi senza
spostamenti fisici dei soggetti coinvolti, nel senso che è la stessa attività ad attraversare le frontiere di due
Stati UE. Per questo tipo di attività il Trattato non richiede il requisito della occasionalità, potendo essere
prestata in maniera continuativa e con un unico atto materiale: es. un emittente televisiva ch indirizza via
satellite i propri programmi in più s.m. dell’UE. Inoltre il Trattato non richiede che l’attività in cui i
concretizza il servizio venga allo stesso tempo rivolta anche a destinatari stabiliti nello s.m. di origine,
potendo essene esclusivamente rivolta a destinatari stabiliti in s.m. diversi da quello che si trova il
preStatore di servizio. La definizione dell’art. 56 copre anche le attività che vengono effettuate con lo
spostamento fisico del destinatario del servizio nello Stato in cui è stabilito il preStatore. Secondo la Corte,
per consentire l’esecuzione delle prestazioni di servizio, può aversi uno spostamento sia del preStatore
(verso lo s.m. in cui è stabilito il destinatario), sia del destinatario (verso lo s.m. in cui è stabilito il
preStatore); quindi può rientrare nell’applicazione del Trattato qualsiasi fattispecie che ha come
presupposto lo spostamento fisico di un cittadino UE in uno Stato diverso da quello di stabilimento.
La Corte ha esteso la nozione di prestazione di servizi rilevante per i Trattati anche ad attività svolte
secondo ulteriori modalità.
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Rispetto alla disciplina internazionale dei servizi, va notato che all’art. 1 GATS si precisa che per scambio di
servizi si intende la fornitura di un servizio:

• Dal territorio di uno s.m. al territorio di un altro s.m.


• Nel territorio di uno s.m. ad un consumatore di servizi di un qualsiasi altro s.m.
• Da parte di un preStatore di servizi di un altro s.m., attraverso la presenza commerciale nel
territorio di un qualsiasi altro s.m.
• Da parte di un preStatore di servizi di uno s.m., attraverso la presenza di persone fisiche di uno s.m.
nel territorio di un qualsiasi altro s.m.

IL REGIME DELLA LIBERTA’ DI PRESTAZIONE DI SERVIZI: DAL TRATTAMENTO


NAZIONALE AL ‘’MUTUO RICONOSCIMENTO’’ DELLE NORMATIVE NAZIONALI
La disciplina in esame ha subito trasformazioni nel corso degli anni, la liberalizzazione della prestazione di
servizi avrebbe dovuto avvenire con gradualità: le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno
della Comunità, dovevano essere gradualmente soppresse durante il periodo transitorio. La liberalizzazione
veniva condizionata all’adozione graduale di misure legislative da parte delle istituzioni comunitarie; cosi
facendo gli s.m. volevano mantenere uno stretto controllo sul processo di apertura di mercati e di
professioni tradizionalmente chiuse ad accessi esterni; inoltre gli s.m. non potevano introdurre nuove
restrizioni rispetto alla libertà effettivamente raggiunta al momento dell’entrata in vigore del Trattato
(clausola di stand still). Questo divieto si estendeva anche a misure interne non conformi a quelle già
adottate dagli s.m. dopo l’entrata in vigore del tce. Inoltre l’allora art. 65 TCE (ora art. 61 TFUE) richiedeva
agli s.m. di applicare le eventuali restrizioni esistenti in maniera non discriminatoria rispetto ai preStatori di
servizi contemplati nell’allora art 49 TCE. È una prescrizione che ribadisce il contenuto di una clausola tipica
del commercio internazionale (clausola della nazione più favorita): anche se non sia avvenuta la completa
liberalizzazione delle attività autonome in questione, in quanto uno s.m. continua a sottoporre a restrizioni
le prestazioni di servizi, si fa divieto agli s.m. di operare discriminazioni, sulla base della nazionalità o
residenza, tra i cittadini degli s.m.; secondo i redattori del Trattato, la liberalizzazione avrebbe dovuto
realizzarsi progressivamente nel corso del periodo transitorio, nel rispetto delle indicazioni e delle scadenze
contenute nel Programma generale per la soppressione delle restrizioni esistenti all’interno della Comunità,
grazie all’adozione delle direttive di liberalizzazione ex art. 63 TCE (ora 59 TFUE) e alle misure adottate dagli
Stati membri in recepimento delle stesse. Questo programma non si è realizzato nei tempi previsti: allo
scadere del periodo transitorio le direttive di liberalizzazione non erano state adottate secondo i ritmi e le
scadenze indicate dal Programma generale; la Corte di giustizia è intervenuta a interpretare gli ex artt. 49 e
50 TCE e ha riconosciuto la diretta efficacia del divieto di restrizioni alla libera circolazione dei servizi, alla
fine del periodo transitorio. Infatti la Corte ha voluto evitare che una delle più importanti libertà
economiche fondamentali garantite dal Trattato potesse essere pregiudicato dall’inattività degli s.m..
Infatti l’art. 56 impone un obbligo di risultato, il cui risultato doveva essere facilitato dall’attuazione di un
programma di provvedimenti da adottare gradualmente. L’art. 56 impone agli s.m. di eliminare tutte le
discriminazioni che colpiscono il preStatore del servizio a causa della sua nazionalità o della sua residenza in
uno s.m. diverso da quello in cui deve essere fornita la prestazione. Le direttive di liberalizzazione sono
diventate superflue alla fine del periodo transitorio, mentre rimane attuale l’interesse al’adozione di
direttive settoriali di liberalizzazione. Il contenuto di queste, secondo la Corte, deve essere interpretato in
modo da facilitare l’effettuazione di servizi anche qualora si tratti di attività che si svolgono esclusivamente
nel territorio di un solo s.m. .

L’EFFETTO DIRETTO DELLE DISPOSIZIONI DEL TFUE E IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONI


SULLA BASE DELLA CITTADINANZA
L’art. 56 ha effetto diretto: attribuisce agli amministrati delle posizioni giuridiche soggettive perfette,
invocabili in giudizio nei confronti degli s.m., il diritto a opporsi a qualsiasi disposizione nazionale che
comporti una restrizione alla libertà garantita dal diritto comunitario. L’autorità giudiziaria e
l’amministrazione sono tenute a non applicare le disposizioni nazionali che ostino alla prestazione del
servizio. Nel caso in cui le autorità violino questa disposizione, può aversi responsabilità dello Stato per
violazione del diritto UE.
32
La stessa efficacia hanno le disposizioni contenute nelle direttive adottate per dare contenuto concreto alle
norme del Trattato. Gli s.m. devono eliminare dal proprio ordinamento le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative che contengono misure restrittive.
Il divieto di restrizioni si estende anche a misure adottate da associazioni private o altri organismi
giuridicamente indipendenti rispetto all’amministrazione.
Le misure nazionali restrittive sono vietate dal Trattato sia qualora siano imputabili allo Stato in cui è
stabilito il destinatario della stessa, sia qualora siano imputabili allo Stato in cui è stabilito il preStatore. In
questa ipotesi possiamo fare l’esempio per cui lo s.m. vieti alle imprese stabilite nel proprio territorio di
rivolgere attività economicamente rilevanti nei confronti di soggetti stabiliti in altri s.m. (restrizioni in
uscita); in questo tipo di fattispecie il divieto è operante anche se il preStatore del servizio svolga la propria
attività esclusivamente in favore di soggetti stabiliti in s.m. diversi dal suo, in assenza di un trattamento
discriminatorio rispetto al cittadino dello s.m. in questione. Sono coperte dal divieto anche le misure,
adottate dallo Stato di stabilimento del beneficiario del servizio, che comportino degli ostacoli al suo
spostamento in un altro s.m. (es. pazienti che si spostano in un altro s.m. per ricevere cure mediche)
Il divieto ex art. 56 TFUE riguarda le misure che ostacolano la libertà di prestazione dei servizi discriminando
sulla base della nazionalità, vietando l’accesso a determinate attività ai soggetti che non possiedono la
cittadinanza dello Stato in questione. Le misure nazionali discriminatorie non sono più applicabili alla
scadenza del periodo transitorio nei confronti di soggetti che svolgono attività di rilevanza economica in
regime di prestazione dei servizi: si tratta dell’applicazione del principio generale di non discriminazione
sulla base della cittadinanza. Il divieto si applica anche rispetto a misure adottate da uno s.m. nei confronti
di un soggetto con doppia nazionalità, tra cui quella dello stesso s.m. .

LE MISURE DISCRIMINATORIE CONSENTITE DAL TRATTATO


Gli s.m. possono limitare la circolazione dei servizi adottando misure discriminatorie, distintamente
applicabili, che colpiscono le attività svolte secondo le modalità ex artt. 56 ss. Le misure devono rientrare
nelle deroghe espressamente previste dai Trattati e devono essere interpretate e applicate in maniera
restrittiva. Lo s.m. che le invoca deve dimostrare che le misure restrittive sono consentite dalle disposizioni
derogatorie.
L’art. 62 opera un rinvio ad alcune disposizioni contenute nel campo relativo alla libertà di stabilimento, agli
artt. 51 e 52. Sono escluse dall’applicazione delle disposizioni citate le attività che in tale Stato partecipino
all’esercizio di poteri pubblici; la deroga può essere applicata solo se l’attività in cui si concreta la
prestazione di servizi costituisca partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri.
La seconda eccezione prevista si trova all’art. 52: le prescrizioni che impongono la liberalizzazione delle
prestazioni dei servizi lasciano impregiudicata l’applicabilità delle disposizioni legislative che prevedono il
regime particolare per i cittadini stranieri ce siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica
sicurezza e di sanità pubblica. Questa eccezione viene più spesso invocata.
La nozione di ordine pubblico va ricostruita sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia: la
nozione di ordine pubblico è stata da questa interpretata in modo da escludere che l’art. 52 possa essere
invocato da uno s.m. per raggiungere obiettivi di natura economica. Le misure adottate devono essere
proporzionate allo scopo da raggiungere. Le circostanze che potrebbero giustificare il richiamo alla nozione
di ordine pubblico possono variare da paese a paese, da epoca a epoca.

IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONI INDIRETTE: LE MISURE INDISTINTAMENTE


APPLICABILI
Il divieto ex art. 56, riferendosi alle restrizioni alla libera prestazione di servizi in generale, coinvolge anche
le misure che, comportano un ostacolo alla circolazione dei servizi nel territorio della UE; la caratteristica
principale di questa libertà, diversamente dalla libertà di stabilimento, è quella di consentire ai cittadini UE
di svolgere attività non salariate nel territorio UE senza risiedere nello s.m. in cui la prestazione viene
fornita.

33
La Corte inoltre dice che l’art. 56 impone l’eliminazione di qualsiasi restrizione alla libera prestazione dei
servizi anche quando essa si applichi indistintamente dai preStatori nazionali e a quelli degli altri s.m.,
quando sia tale da vietare/ostacolare le attività del preStatore stabilito in un altro s.m..
La Corte considera vietate dagli artt 56 ss. non solo le disposizioni nazionali discriminatorie ma anche quelle
misure restrittive della libertà, pur non formalmente discriminatorie, che pongono il preStatore del servizio
in posizione sfavorevole. Quindi il principio della parità di trattamento vieta anche qualsiasi altra forma di
discriminazione dissimulata.
In mancanza di armonizzazione delle legislazioni nazionali, la libertà di prestazione di servizi, può trovare
ostacoli nell’applicazione di normative nazionali che subordinano lo svolgimento di attività di servizi al
rispetto o al compimento di certe formalità legali. Le condizioni imposte dallo Stato di destinazione del
servizio non dovrebbero aggiungersi a quelle richieste nello Stato di stabilimento dell’impresa. Si vuole
facilitare lo svolgimento di attività economiche in regime di prestazione di servizi evitando che un soggetto
che effettua dette attività nel territorio UE, si possa veder imporre il rispetto di regole diverse nei paesi
membri in cui opera.

DEROGHE AL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONI INDIRETTE: LE MISURE INDISTINTAMENTE


APPLICABILI CONSENTITE SECONDO LA CORTE DI GIUSTIZIA
La libertà di prestazione di servizi non è assoluta: in mancanza di armonizzazione delle disposizioni
nazionali, la Corte permette allo Stato di destinazione del servizio, di applicare misure nazionali che ne
comportano una restrizione: sono giustificate da esigenze imperative connesse all’interesse generale. La
Corte riconosce che rilevanti interessi statali, meritevoli di tutela allo Stato attuale dell’integrazione
europea, permettono misure restrittive alla realizzazione di uno degli obiettivi fondamentali dei Trattati.
Tra le esigenze imperative citate: norme professionali intese a tutelare i destinatari di un servizio, la tutela
della proprietà intellettuale, la tutela dell’ordine sociale e la lotta contro la criminalità e la frode, la
protezione di opere di valore culturale, la coerenza del regime fiscale, esigenza di sicurezza stradale.
La Corte quindi è incline ad estendere la nozione di motivi imperativi di interesse generale ad esigenze di
tutela nuove ma il legislatore europeo si muove nella direzione opposta: nella direttiva SERVIZI
(2006/123/CE) le esigenze imperative invocabili da uno s.m. per limitare l’accesso ad una attività di servizi o
l’esercizio della medesima sul proprio territorio, sono limitate a ragioni di ordine pubblico, di pubblica
sicurezza, sanità pubblica, tutela dell’ambiente. Viene quindi ridotto lo spazio concesso agli Stati dalla
giurisprudenza della Corte per ostacolare o restringere la libera circolazione dei servizi.
La Corte richiede che le misure giustificate da motivi imperativi di pubblico interesse non nascondano
obiettivi di natura economica e siano proporzionate e necessarie all’obiettivo da perseguire. La normativa
statale deve essere sottoposta a un test di verifica del rispetto di queste condizioni.

LA DIRETTIVA SERVIZI
Nonostante il comparto dei servizi sia importantissimo nell’economia, i servizi sono circolati poco,
contribuendo solo per il 20% agli scambi intracomunitari. Secondo un rapporto della Commissione del
2002, negli s.m. continuavano a esserci restrizioni normative, procedure amministrative gravose e
incertezza giuridica, ostacoli che resistevano nonostante l’efficacia diretta di cui godono gli artt. 49 e 56
TFUE in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Allora si è pensato di risolvere
questa situazione ricorrendo a una direttiva: il 12 dicembre 2006 Parlamento europeo e Consiglio hanno
adottato la DIRETTIVA SERVIZI, detta anche Bolkestein, destinata a dare impulso alla realizzazione del
mercato interno dei servizi. Oggetto della dir. 2006/123 è la fissazione di disposizioni generali atte a
agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi. La direttiva adotta un
approccio orizzontale, applicandosi a un’ampia gamma di settori. Sono esclusi dall’applicazione della
direttiva: i servizi finanziari compresi quelli assicurativi, i servizi di telecomunicazioni, di trasporto, i servizi
delle agenzie di lavoro interinale, i servizi sanitari, i servizi audio televisivi, attività connesse all’esercizio di
pubblici poteri, servizi sociali, servizi privati di sicurezza.
La direttiva si occupa anche di servizi in senso generale, cioè attività non salariate svolte nel territorio di
uno s.m. sia a titolo di stabilimento, sia a titolo di prestazione di servizi.
34
La versione definitiva della direttiva stabilisce che gli Stati possono opporre al preStatore solo ostacoli che
attengono all’ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica, tutela dell’ambiente.
Lo schema generale della direttiva si completa con misure di semplificazione e cooperazione amm.va tra
s.m.; tra le vari proposte accolte vi è quella di istituire sportelli unici a cui il preStatore potrà rivolgersi per
espletare tutte le formalità e le procedure necessarie.
La direttiva sancisce un obbligo di reciproca assistenza e cooperazione tra gli s.m. al fine di garantire il
controllo dei preStatori e dei loro servizi. È prevista, allo scopo di agevolare lo scambio di comunicazioni tra
s.m., l’istituzione di un sistema informatico comunitario: IMI (internal market information system) in cui
dovrebbero convergere tutte le domande da porre alle autorità competenti degli s.m.
La direttiva è entrata in vigore il 28 dicembre 2006 e gli s.m. avrebbero dovuto recepirla entro li 28
dicembre 2009; in Italia, l’attuazione è avvenuta con d.lgs. n.59/2010.

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CAPITOLO IV - LE POLITICHE DI CONCORRENZA
(ENZO CANNIZZARO E LORENZO FEDERICO PACE)

PARTE I – LA POLITICA DI CONCORRENZA RIVOLTA ALLE IMPRESE PRIVATE

GENERALITA’
I SETTORI SOTTOPOSTI A REGOLE DI CONCORRENZA
La disciplina delle politiche di concorrenza è regolata dal TFUE;
art. 3 par. 3 TUE: L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile
dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale
di mercato
fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di
tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico.
Nel protocollo n.27 (protocollo sul mercato interno e la concorrenza) si legge che ‘’le alte parti contraenti,
considerando che il mercato interno comprende un sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata,
hanno convenuto che a tal fine l’Unione adotta misure in base alle disposizione dei Trattativi, ivi compreso
lìart. 352 TFUE. Il presente protocollo è allegato al TUE e al TFUE.’’
Gli artt. 101 e 102 TFUE disciplinano i comportamenti di imprese private sul mercato suscettibili di alterare
il libero gioco della concorrenza. Le due norme hanno applicazione generale. Nel sistema del Trattato sono
sottoposti alla disciplina della concorrenza tutti i settori economici con la parziale esclusione
dell’agricoltura.
Regole particolari valgono per il settore delle assicurazioni e dei trasporti. Il Trattato ammetto che gli s.m.
possano limitare l’applicazione delle regole di concorrenze ad imprese alle quali riconoscano diritti speciali
al fine di realizzare obiettivi di carattere generale. Limitazioni sensibili alla concorrenza possono derivare da
comportamenti di imprese, pubbliche e private, che si inseriscano nel quadro delle altre politiche della UE.

IL CONCETTO DI IMPRESA
È impresa qualsiasi soggetto che svolga un’attività economica, capace di incidere sulla concorrenza a
prescindere dalla natura giuridica, dalle modalità di organizzazione e di finanziamento.
Il concetto di impresa è Stato interpretato con una certa ampiezza e comprende tutti i soggetti che offrono
beni e servizi su un determinato mercato, anche se non hanno la qualifica di impresa nell’ambito di
ordinamenti nazionali.
Un’altra connotazione dell’impresa affinché sia sottoposta agli artt. 101 e 102, è l’autonomia con cui svolge
la propria attività: autonomia concreta e operativa.

Articolo 101
(ex articolo 81 del TCE)
1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le
decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il
commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o
falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti
nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di
transazione;
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni
supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con
l'oggetto dei contratti stessi.

36
2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto.
3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:
— a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,
— a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e
C 326/88 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 26.10.2012
— a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate,
che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il
progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne
deriva, ed evitando di:
a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali
obiettivi;
b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti
di cui trattasi.
Articolo 102
(ex articolo 82 del TCE)
È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al
commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione
dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.
Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:
a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di
transazione non eque;
b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;
c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;
d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni
supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun
nesso con l'oggetto dei contratti stessi.

LE INTESE VIETATE DALL’ART. 101


I COMPORTAMENTI VIETATI DALL’ART. 101
L’art. 101 proibisce alle imprese di stipulare intese, operare con pratiche concordate, formulare in ambito
associativo decisioni aventi per oggetti o per effetto di impedire, restringere, falsare il libero gioco della
concorrenza sul mercato interno.
Per l’applicazione della disciplina antitrust è sufficiente una valutazione prognostica che consideri la
capacità di un certo comportamento di determinare un’alterazione della concorrenza sul mercato.
Ma un accordo che impegni le imprese a tenere comportamenti lesivi della concorrenza non costituisce una
violazione della normativa antitrust, se le condizioni del mercato rendano impossibile tenere un
comportamento diverso.
Non rileva la consapevolezza dell’effetto discorsivo della pratica messa in atto: rileva la produzione di un
effetto anticoncorrenziale, sia voluto che no.
Nella nozione di comportamenti anticoncorrenziali rientrano tutti i comportamenti realizzati da imprese
suscettibili di produrre effetti discorsivi della concorrenza. Non sono necessari, per rientrare nel divieto ex
art 101 particolari requisiti di forma; l’assenza di questo tipo di requisito è rafforzata dal fatto che la
disposizione vieta anche pratiche concordate, rispetto alle quali si prescinde dallo scambio di consenso
necessario per poter parlare di accordo.
La figura di pratica concordata è stata ricondotta alla circostanza in cui un soggetto assume determinati
comportamenti, in consapevole corrispondenza a comportamenti di altri soggetti; si tratta di
comportamenti che provocano una alterazione del libero gioco della concorrenza.
La prassi delle istituzioni tende a dare rilievo a elementi obiettivi come le comunicazioni preventive tra le
imprese dalle quali possano sorgere comportamenti coordinati capaci di alterare la libera concorrenza nel
mercato ovvero forme di monitoraggio successive tese a consolidare una pratica già posta in essere.
L’accertamento della compatibilità di un’intesa con l’art. 101 implica che vengano considerati tutti gli
elementi che concorrono a determinare una distorsione del mercato e quindi sia fattori anticoncorrenziali
che fattori pro-concorrenziali.
37
(SEGUE) ACCORDI ORIZZONTALI E ACCORDI VERTICALI
L’art. 101 indica i contenuti che rendono un certo accordo contrario al diritto della concorrenza:

1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le
decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il
commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o
falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti
nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di
transazione;
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni
supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con
l'oggetto dei contratti stessi.

Ha avuto rilievo la distinzione tra accordi orizzontali e verticali:


ACCORDI ORIZZONTALI: sono accordi tra imprese poste allo stesso livello nel ciclo economico; sono accordi
che fissano prezzi o spartiscono mercati fra imprese direttamente concorrenti.
ACCORDI VERTICALI: sono accordi fra imprese poste a un diverso livello nel ciclo economico e che non sono
direttamente in concorrenza ma la cui cooperazione appare essenziale per il coordinamento delle attività
produttive.

LA NULLITA’ DELLE INTESE VIETATE


Il par. 2 dell’art. 101 prevede la sanzione civilistica della nullità per gli accordi e le intese vietati. La nullità è
insanabile,opera automaticamente, può essere rilevata anche d’ufficio da qualsiasi giudice; l’accertamento
del giudice della nullità e delle conseguenze, può provocare interferenze rispetto all’accertamento
effettuato dalle istituzioni UE.
Se l’accordo comprende clausole separabili, la nullità colpisce solo queste.

LE ESENZIONI
PROFILI GENERALI
Il par. 3 dell’art. 101 consente di esentare alcuni tipi di accordi astrattamente distorsivi della concorrenza in
ragione degli effetti positivi che essi sono suscettibili di realizzare sul processo di produzione:
3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:
— a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,
— a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e
C 326/88 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 26.10.2012
— a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate,
che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il
progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne
deriva, ed evitando di:
a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali
obiettivi;
b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti
di cui trattasi.

Nel sistema del Trattato, queste sono le sole ipotesi che possano giustificare comportamenti posti in essere
da soggetti privati lesivi delle regole di concorrenza.

38
il vantaggio dato dall’accordo anticoncorrenziale non è sempre sufficiente a garantire una esenzione:
occorre che l’accordo provveda ad assicurare dei vantaggi per i consumatori e che le restrizioni siano
necessarie. Inoltre l’accordo non deve escludere la concorrenza sul mercato.

LE ESENZIONI INDIVIDUALI
La formulazione letterale dell’art. 101 par.3 e la prassi delle istituzioni distingue fra esenzioni individuali e
esenzioni per categorie.
ESENZIONI INDIVIDUALI: riguardano singoli accordi che rientrano nel divieto dell’art. 101 TFUE par.1, ma
che soddisfano le condizioni previste al par. 3.
Secondo il sistema vigente prima del regolamento n.1/2003, gli accordi andavano notificati alla
Commissione e bisognava attendere l’autorizzazione da parte dell’organo della UE per poter spiegare i
propri effetti lecitamente. Con il nuovo regolamento, la norma ex art. 101 par 3 è applicabile non solo dalla
Commissione ma anche da parte dei giudici nazionali e dalle autorità antitrust nazionali, senza previa
autorizzazione della Commissione. Non era necessaria la notifica. Ne risulta un sistema di controllo a
posteriori nel quale le imprese hanno l’onere di compiere una autovalutazione dei propri accordi. Le
esenzioni individuali passano da un regime di autorizzazioni ex ante a un regime di eccezione legale. In tali
procedimenti le imprese avranno l’onere di dimostrare l’esistenza delle condizioni di esenzione.
La Commissione si riserva il compito di sorvegliare l’applicazione dell’art. 101 par. 3 da parte degli
organismi nazionali. La Commissione assolve al suo ruolo guida attraverso un’attività di collaborazione con
le autorità garanti della concorrenza degli s.m. come previsto dagli artt. 11 e 12 del nuovo regolamento.
L’art. 15 regola il rapporto con le giurisdizioni nazionali insieme alla successiva comunicazione della
Commissione. La Commissione ha emanato il 29 aprile 2009 una relazione al Parlamento europeo ai sensi
dell’art. 44 sul funzionamento del nuovo regime.

LE ESENZIONI PER CATEGORIA


Il par. 3 dell’art. 101 prevede che una esenzione possa essere concessa anche per categorie di accordi,
intese o pratiche concordate. Il Consiglio ha conferito alla Commissione il potere di accordare esenzioni per
categorie.
REGOLAMENTI DI ESENZIONI PER CATEGORIA: hanno lo scopo di precisare, rispetto al settore considerato,
le condizioni che, se osservate, consentono la non applicazione dell’art. 101 par.1 all’accordo.
Tradizionalmente contenevano un elenco di clausole vietate, la cui presenza nell’accordo ne avrebbe
escluso l’esentabilità (clausole nere) e un elenco di quelle ammesse (clausole bianche).
I regolamenti più recenti hanno adottato un approccio economico: essi prevedono che la valutazione circa
l’esentabilità vada compiuta in concreto con riferimento al potere di mercato detenuto dalle imprese
partecipanti all’intesa. Questa nuova impostazione ha l’obiettivo di valutare la violazione presunta dell’art.
101 sulla base del concreto effetto degli accordi verticali sul mercato e non relativamente a considerazioni
fondate sulla struttura dei singoli accordi.
La quota di mercato diventa un parametro essenziale: ogni regolamento sancisce una quota di mercato
limite per le imprese partecipanti all’impresa al di sotto del quale, l’accordo beneficia dell’esenzione. Il
superamento della quota limite comporta la perdita di presunzione di esenzione e la necessità di
dimostrare l’esistenza delle condizioni che permettono di beneficiare dell’esenzione individuale.
L’esistenza di regolamenti che determinano una esenzione per categoria ha l’effetto di stabilire una
presunzione di esentabilità, per gli accordi che rientrano nell’ambito di applicazione degli stessi, che può
essere superata in presenza di elementi che facciano ritenere non tollerabili le alterazioni della concorrenza
che comportano. L’onere di provare la violazione spetterà agli organi di controllo. Legittimate a invocare
l’esenzione regolamentare sono Commissione e autorità garanti nazionali.
La revoca dell’esenzione regolamentare non potrà avere effetto retroattivo: l’accordo corrispondente alle
condizioni previste dai regolamenti d’esenzione sarà sanzionabile solo dopo che le istituzioni ne avranno
dichiarato la revoca.
Al fine di agevolare le imprese nella loro valutazione, la Commissione adotta documenti di carattere non
vincolante, aventi natura di comunicazione, con lo scopo di precostituire gli orientamenti delle autorità
incaricate di accertare l’esistenza dei requisisti per l’esenzione di categoria.

39
LE CONDIZIONI DI ESENTABILITA’ DEGLI ACCORDI VERTICALI
Il regolamento n.2790/1999 della Commissione del 22 dicembre 1999 (sostituito poi con il regolamento
n.330/2010) è il primo regolamento che ha recepito i nuovi criteri della Commissione stabilendo una
presunzione di liceità per gli accordi verticali che non presentino clausole espressamente vietate (clausole
nere) e rispettino la quota di mercato limite.
Gli accordi verticali sono considerati con un certo favore perché avrebbero la funzione di migliorare la
distribuzione e la presentazione e l’assistenza al consumatore; in certe situazioni sarebbero perfino
essenziali per il buon funzionamento del mercato. La clausola di esclusiva può risultare fondamentale per la
conclusione di un accordo di distribuzione che altrimenti il distributore non sottoscriverebbe perche non
salvaguardato nei propri investimenti commerciali dall’azione di altri distributori.
Il regolamento n.330/2010 prevede un regime legale di esenzione per tutti gli accordi verticali qualora il
potere di mercato sia del fornitore che dell’acquirente non sia superiore al 30% del mercato. Entro questi
limiti, la Commissione considera probabile che gli effetti pro-concorrenziali prevalgano sugli effetti anti-
concorrenziali. Comunque può essere possibile una revoca quando la Commissione dimostri che gli effetti
saranno anti-concorrenziali.
L’esenzione non copre quegli accordi che contengono clausole con effetti penalizzanti per la concorrenza
(restrizioni fondamentali).
CLAUSOLE GRIGIE: sono clausole, il cui inserimento nell’accordo, non determina la perdita dell’esenzione di
categoria per l’intero accordo, ma per la parte di esso che contiene queste clausole.
Per gli accordi che non rientrano nell’ambito del meccanismo di esenzione, permane la facoltà di avvalersi
di un’esenzione individuale.

L’ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE VIETATO DALL’ART. 102


L’ESISTENZA DI UNA POSIZIONE DOMINANTE
Art. 102. Non è vietata l’esistenza di una posizione dominante ma il suo sfruttamento abusivo, il cui effetto
è ridurre le capacità competitive di altri operatori ovvero la realizzazione di politiche di mercato che si
avvalgono della ridotta concorrenza a danno di altri.
I soggetti che ricoprono una posizione dominante nel mercato non possono mettere in atto comportamenti
abusivi.
POSIZIONE DOMINANTE SUL MERCATO: indica l’esistenza di un notevole grado di indipendenza di cui gode
un operatore economico, che può determinare le proprie strategie sul mercato, senza tener conto dei
comportamenti di altri operatori.
La posizione dominante viene determinata dalla quota di mercato, criterio decisivo. Può essere considerata
posizione dominante anche un’impresa dotata di una quota di mercato minoritaria ma dotata di un potere
relativo alto nei confronti dei concorrenti. La posizione dominante è ottenuta dall’impresa che detenga
una quota di mercato superiore al 40%.

LA POSIZIONE DOMINANTE COLLETTIVA


Quando esiste un paritario potere di mercato da parte di poche imprese, abbiamo una posizione
dominante collettiva. Questa fattispecie consente a imprese non dominanti di mettere in atto, in
concertazione tra loro, un comportamento abusivo. La posizione dominante è detenuta collettivamente da
più operatori economici, anche se la posizione sul mercato di ciascuno singolarmente, non sarebbe tale.
Il comportamento abusivo è il risultato di un comportamento coordinato delle imprese; sembra esserci un
legame con la pratica dell’accordo anticoncorrenziale: un abuso di posizione dominate collettiva può
concorrere con eventuali violazione dell’art. 101, qualora l’abuso sia l’effetto di una pratica concordata fra
imprese.

40
IL MERCATO RILEVANTE
L’esistenza di una posizione dominante presuppone la previa definizione di mercato rilevante, che consiste
nel determinare il mercato in cui opera l’impresa. Una posizione può apparire dominante se si considera un
mercato ristretto; tende a scomparire se si considera un mercato ampio. Esempio: un’impresa può
detenere una posizione dominante sul mercato delle banane, ma potrebbe non avere posizione dominante
se si prende in considerazione l’intero mercato complessivo della frutta.
Il metodo di determinazione del mercato rilevante è indicato nella comunicazione della Commissione del
1997 che distingue tra mercato geografico e mercato del prodotto:
MERCATO DEL PRODOTTO: comprende tutti i prodotti dotati di un certo grado di sostituibilità, dal punto di
vista del consumatore, con il prodotto dell’impresa in questione. Esempio: se, in seguito a un aumento di
prezzo del prodotto in questione, i consumatori spostano la loro preferenza su un altro prodotto, i due
prodotti sono considerati interscambiabili, appartenenti allo stesso mercato. Un mercato del prodotto può
essere autonomo solo per certe categorie di consumatori o per realtà sociali particolari (es. prodotti per
l’infanzia). Ulteriore criterio nella definizione del mercato rilevante è la sostituibilità del prodotto dal lato
dell’offerta: la capacità di altre imprese ad offrire il prodotto in questione in risposta ad un aumento di
prezzo operato dall’impresa in posizione dominante.
MERCATO GEOGRAFICO: è individuato nell’area dove le condizioni di concorrenza dei prodotti considerati
sono omogenee e tali da distinguere tale zona da aree contigue caratterizzate da condizioni di concorrenza
diverse. Criterio determinante è la sostituibilità dell’offerta: se in presenza di una variazione del prezzo di
un certo prodotto, si verifica la tendenza a rivolgersi a fornitori di zone contigue e la capacità degli stessi
fornitori di soddisfare questa domanda, questa zona dovrà essere ricompresa nel mercato geografico
rilevante.
L’area geografica di un mercato è più ristretta quanto più presenti sono i fattori che limitano la capacità
delle imprese appartenenti a diverse aree geografiche di soddisfare le domande del prodotto considerato:
caratteristiche del prodotto, esistenza di barriere all’entrata di un mercato, le preferenze tradizionali del
consumatore.

LO SFRUTTAMENTO ABUSIVO
L’art. 102 contiene un elenco di comportamenti che rappresentano abuso di posizione dominante.

• ABUSI DI SFRUTTAMENTO: comportamenti diretti dall’impresa in posizione dominante verso i


clienti (abusi verticali).
• La pratica di abuso più evidente è la fissazione di prezzi o condizioni di transazioni iniqui o
discriminatori, diversi anche se applicati a prestazioni equivalenti.
• Pratica predatoria: i prezzi vengono fissati a un livello eccessivamente basso in relazione ai costi di
produzione; tende a eliminare dal mercato i concorrenti che non possono sopportare perdite oltre
un certo periodo.
• Costituisce abuso anche la fissazione di prezzi o condizioni eccessivamente onerose.
• Abusi escludenti: comportamenti diretti dall’impresa in posizione dominante a concorrenti (abusi
orizzontali) al fine di farli uscire dal mercato, non permettergli di entra in un certo mercato.
Rientrano in questa categoria, pratiche di limitazione della produzione, degli sbocchi commerciali,
dello sviluppo tecnico, pratiche discriminatorie nei rapporti commerciali, pratiche volte a
subordinare la prestazione all’accettazione di prestazioni supplementari.

Nella prassi delle liberalizzazioni dei mercati ha assunto rilievo l’obbligo posto in capo al soggetto in
posizione dominante di consentire l’utilizzazione delle essential facilities a tutti i concorrenti. Le essential
facilities sono infrastrutture essenziali per l’esercizio di determinate attività.

41
I PROCEDIMENTI DI APPLICAZIONE DEL DIRITTI EUROPEO DELLA CONCORRENZA
Il regolamento CE n. 1/2003 ha portato innovazioni: ha realizzato un ampio decentramento.
L’applicazione del diritto antri trust è resa complessa dalla coesistenza di vari procedimenti, a livello
nazionale e europeo, ad opera di autorità sia amm.ve che giudiziarie. Queste procedure applicative hanno
interferito l’una con l’altra.

L’APPLICAZIONE AD OPERA DELLA COMMISSIONE


L’ordinamento UE predispone un apparato e un procedimento centralizzato al fine di accertare e reprimere
eventuali comportamenti lesivi della libertà di concorrenza. Il procedimento può essere avviato d’ufficio da
parte della Commissione o su denuncia di qualsiasi soggetto che vi abbia interesse.
FASE PRE-ISTRUTTORIA
La Commissione ha ampio potere di accertamento: può chiedere informazione alle imprese e queste hanno
l’obbligo di riferirle (non hanno l’obbligo a rispondere se la richiesta sia formulata in maniera da esigere
dall’impresa la confessione dell’infrazione antitrust); può accedere ai locali delle imprese indagate e ai
domicili privati delle persone; può controllare i documenti e libri aziendali. Gli agenti della Commissione si
avvalgono dell’assistenza delle autorità antitrust dello Stato interessato.
La Commissione NON PUÒ chiedere di visionare la corrispondenza tra impresa e propri legali, se essi non
siano dipendenti dell’impresa stessa.
Al termine della fase pre-istruttoria la Commissione decide se archiviare o no la denuncia o respingerla.
PROCEDIMENTI DI INFRAZIONE
Sorgono in questa fase, in capo alle parti interessate, alle imprese indagate e ai terzi denuncianti una serie
di diritti tesi ad assicurare il diritto alla difesa e un giusto contraddittorio. La Commissione deve comunicare
per iscritto i fatti che vengono conteStati alle parti tramite la comunicazione degli addebiti. La
contestazione segna l’ambito entro il quale il procedimento potrà muoversi. La Commissione non potrà
modificare gli addebiti. Le parti indagate potranno far valere il proprio punto di vista entro il termine fissato
dalla Commissione.
Un procedimento analogo è previsto per i soggetti che abbiano denunciato un comportamento illecito
altrui.
La fase delle audizioni attua una forma di contraddittorio fra i funzionari della Commissione e l’impresa.
Al termine del procedimento, la Commissione potrà constatare l’esistenza di un’infrazione. Gli obblighi che
eventualmente la Commissione impone alle imprese possono avere per oggetto un facere o un non facere
oppure comportamenti di tipo strutturale (dismissioni di attività, partecipazioni in imprese, cessioni di
marchi, di brevetti).
SANZIONI
La Commissione ha precisato alcuni criteri per il calcolo delle ammende, classificando le infrazioni in 3
categorie progressive di gravità. Per ciascuna categoria è fissato un importo base di ammenda. È previsto
un trattamento favorevole per l’impresa che collabora con la Commissione.
MISURE CAUTELARI
In caso di rischio grave e irreparabile per la concorrenza, qualora rilevi l’esistenza di un’infrazione, la
Commissione può disporre d’ufficio misure cautelari.
La Commissione può adottare una decisione di inapplicabilità degli artt. 101 e 12 che può essere
pronunciata d’ufficio.
Il controllo giurisdizionale di legittimità sulle decisioni della Commissione è affidato al Tribunale dell’Unione
europea (primo grado) e Corte di giustizia (secondo grado).

42
L’APPLICAZIONE DECENTRATA DA PARTE DELLE AUTORITA’ ANTITRUST NAZIONALI
La disciplina antitrust comunitaria trova applicazione grazie alla autorità garanti della concorrenza di
ciascuno s.m. .

• Queste autorità tutelano il pubblico interesse per una concorrenza non falsata e non sono preposte
alla garanzia dei diritti dei singoli lesi da una violazione del diritto antitrust.
• Il regolamento 1/2003 ha affidato alle autorità garanti l’attuazione della disciplina artt. 101 e 102.
• Questi organi nazionali devono poter adottare, d’ufficio o su richiesta, decisioni analoghe a quelle
emanabili dalla Commissione (l’ordine di cessazione dell’infrazione, la previsione di misure
cautelari, l’accettazione di impegni, la disposizione di ammende e sanzioni).
• Le autorità nazionali possono revocare il beneficio di un regolamento di esenzione di categoria dal
divieto dell’art. 101
• La competenza dell’autorità garante per la concorrenza di applicare gli artt.101 e 102, nel nostro
ordinamento, trova fondamento nella l. n. 52/1996 e l. n. 133/2008.
• Nel nostro ordinamento nazionale possono sorgere difficoltà di coordinamento tra competenze del
giudice ordinario e giudice amministrativo, visto che a questo è affidata la competenza esclusiva
per il controllo giurisdizionale dei provvedimento dell’Autorità Garante della concorrenza e del
mercato.

L’APPLICAZIONE GIUDIZIALE
Le norme sulla concorrenza aventi effetti diretti possono essere applicate nei giudizi interni; le procedure
giudiziarie offrono la possibilità di tutelare posizioni di natura privatistica: nullità del contratto, risarcimento
danno, refusione delle spese, ecc.; i giudizi nazionali non possono però pronunciare sanzioni di carattere
amministrativo. Inoltre, secondo il par. 3 dell’art. 101, le autorità giudiziarie nazionali non godono del
potere di revoca dell’esenzione di categoria. I giudici nazionali sono vincolati al rispetto dei precedenti della
Corte di giustizia e del tribunale di primo grado oltre che dei regolamenti di esenzione comunitaria.
Nell’attuazione del diritto europeo antitrust i giudici nazionali applicano la propria normativa processuale:
vige il principio dell’autonomia processuale degli s.m.; la procedura civile nazionale non deve rendere
difficoltosa la tutela delle posizioni soggettive conferite ai singoli dal diritto europeo.

IL COORDINAMENTO TRA LE AUTORITA’ COMPETENTI ALL’APPLICAZIONE DEL


DIRITTO EUROPEO DELLA CONCORRENZA
Esiste un meccanismo di coordinamento tra le autorità competenti a conoscere infrazioni antitrust. Lo
scopo di questo meccanismo è mantenere uniformità e coerenza nell’attuazione del diritto europeo della
concorrenza. Questi obiettivi riescono a essere garantiti dal ruolo assunto dalla Commissione che riesce a
coprire un ruolo guida sia tramite il potere di adottare comunicazioni e linee direttrici che hanno rilievo
nella prassi, sia il potere di avocazione di particolari procedimenti; inoltre le autorità garanti e giudiziarie
nazionali devono conformarsi agli atti normativi adottati dalla Commissione.

IL COORDINAMENTO TRA COMMISSIONE E AUTORITA’ GARANTI NAZIONALI


La Commissione insieme alle autorità garanti nazionali costituiscono la Rete di autorità di concorrenza; con
il sistema di decentramento nasce l’esigenza di evitare sovrapposizioni tra organi di controllo e di adottare
meccanismi che regolino la competenza nell’applicazione del diritto europeo.
Il meccanismo di coordinamento assicura alla Commissione un ruolo primario: deve essere informata per
iscritto dell’avvio di una procedura e dell’adozione di un provvedimento finale da parte della autorità
nazionali; può avocare a se un procedimento già avviato, solo per gravi motivi.
Se il procedimento viene aperto dalla Commissione , le autorità garanti non hanno più competenza; la
Commissione prima deve consultare l’autorità nazionale prima di avviare il procedimento.
In presenza di un procedimento amministrativo/giudiziario già avviato, la Commissione ha competenza a
conoscere dell’infrazione e a concedere/negare un’esenzione. Il ricorso alla Commissione può essere
utilizzato anche come mezzo di difesa da parte del denunciante o del resistente nei confronti di organi
nazionali dei quali è già noto l’orientamento.
43
A livello orizzontale tra autorità garanti nazionali, il meccanismo di coordinamento è diverso: esiste una
facoltà di informazione riguardo l’avvio del procedimento e l’adozione di un provvedimento e la facoltà di
sospendere il procedimento avviato o respingere una denuncia se la stessa fattispecie è oggetto di un’altra
autorità nazionale.
I criteri per determinare l’autorità nazionale competente: individuazione del territorio dello Stato nel quale
nasce l’infrazione o nel quale può produrre effetti, la capacità dell’autorità nazionale a raccogliere le prove
necessarie per la dimostrazione dell’infrazione, la capacità di un provvedimento dell’autorità nazionale a far
cessare la violazione. Ma questi criteri non riescono a stabilire un vero principio di competenza fra autorità
di s.m. diversi per la trattazione di una questione antitrust.

IL COORDINAMENTO TRA LA COMMISSIONE E LE AUTORITA’ GIUDIZIARIE DEGLI STATI


MEMBRI
I giudici nazionali non possono adottare decisioni in contrasto con una precedente decisione della
Commissione riguardo la medesima violazione; l’art. 16 del regolamento 1/2003 impone al giudice di
aderire alla decisione anche solo contemplata in un procedimento avviato dalla Commissione. La presenza
di una decisione della Commissione non impedisce al giudice di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte
di giustizia al fine di farne valere l’invalidità.
Secondo la Corte di giustizia (sentenza Masterfood) il giudice nazionale ha l’obbligo di sospendere un
procedimento giudiziario quando l’esito della controversia dipenda dalla validità della decisione della
Commissione e sia in attesa che il tribunale di prima istanza si pronunci sul ricorso di annullamento della
stessa.
Il regolamento prospetta meccanismi di coordinamento. La Commissione e le autorità garanti nazionali
possono intervenire nel giudizio interno presentando osservazioni scritte e orali; il ricorso alla vie giudiziarie
può apparire più conveniente rispetto ai procedimenti amministrativi innanzi alle autorità nazionali. Le
sentenze godono del regime di riconoscimento automatico, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni
in materia civile e commerciale. Il riconoscimento delle decisioni delle autorità antitrust è più problematico.
Nel caso la controversia venga in essere di fronte a un arbitro, questo è competente a applicare la
normativa antitrust ma gli è precluso il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

44
L’AMBITO DI APPLICAZIONE DEL DIRITTO EUROPEO DELLA CONCORRENZA

IL PREGIUDIZIO AL COMMERCIO INTER-STATALE E L’ALTERAZIONE SENSIBILE DELLA


CONCORRENZA
Il diritto europeo della concorrenza si applica a comportamenti suscettibili di pregiudicare in maniera
sensibile il commercio fra Stati.
Il pregiudizio al commercio fra Stati è un criterio elastico, capace di colpire un numero elevato di
comportamenti che esauriscono i propri effetti nel territorio del singolo s.m.; un’intesa che abbia influenza
sull’attività economica transfrontaliera può provocare un pregiudizio al commercio inter-statale.
Il limite all’applicazione della normativa antitrust comunitaria legato all’incidenza sensibile sugli scambi
comunitari è distinto dal limite che riguarda gli accordi di importanza minore. La Commissione, per dare
certezza all’operatore economico sulla portata dell’esclusione, fornisce degli indici relativi al fatturato e alle
quote di mercato delle imprese partecipanti all’intesa, indicando il mercato rilevante rispetto al quale
debba essere svolta l’analisi.

IL RAPPORTI TRA DIRITTO EUROPEO E DIRITTO NAZIONALE ANTITRUST


Prima del regolamento n.1/2003, l’ordinamento della UE non escludeva che lo stesso comportamento,
rilevante sia per il diritto antitrust europeo sia per quello nazionale, fosse preso in considerazione da
entrambi gli ordinamenti e che gli fossero applicate le sanzioni previste da entrambi gli ordinamenti.
Nel caso Walt Wilhelm la Corte di giustizia ha precisato che l’applicazione del diritto interno antitrust non
deve pregiudicare l’uniforme applicazione delle norme europee e l’effetto dei provvedimenti adottati in
applicazione di esse. La previsione dispone il divieto per la legislazione nazionale di sancire una violazione
antitrust per le intese che risultino lecite ai sensi del diritto europeo della concorrenza.
Per evitare concorso di normative, alcuni Stati hanno optato per un’esclusione reciproca: per esempio
l’ordinamento italiano ha disposto l’applicazione della legislazione interna solo se non debba applicarsi
quella comunitaria. L’autorità nazionale deve identificare il diritto applicabile.

LA DELIMITAZIONE TERRITORIALE
Sia nel nostro che in altri ordinamenti, si è posto il problema di limitare l’applicazione extraterritoriale del
diritto della concorrenza.
Nell’ambito europeo, con la sentenza Woodpulp, la Corte ha corretto il criterio degli effetti e ha richiesto,
al fine di consentire l’applicazione del diritto europeo antitrust, che le intese che provocano alterazione
della concorrenza, siano applicate sul territorio della comunità attraverso filiali e rivenditori delle imprese
che le avevano stipulate. Si è arrivati a un criterio che ha riguardo al luogo di attuazione dell’intesa vietata.
Il criterio appare idoneo a sanzionare l’esistenza di cartelli di esportazione, tradizionalmente tollerati dalle
legislazioni interne perché trasferiscono l’effetto discorsivo sul territorio di un diverso Stato.
La Commissione sembra allargare la propria competenza, facendovi rientrare violazioni antri trust
extraterritoriali che spieghino effetti anticoncorrenziali all’interno del territorio UE. In questo senso,
recentemente, la comunicazione sul pregiudizio al commercio inter-statale ha dichiarato sufficiente, ai fini
dell’applicazione del diritto europeo della concorrenza, la capacità delle intese e pratiche abusive a
pregiudicare attività economica transfrontaliera all’interno della comunità, anche se la sede delle parti sia
fuori dal territorio europeo.
Un ruolo cardine è svolto dagli accordi bilaterali fra autorità antitrust, che hanno il compito di avviare
consultazioni tra Istituzioni, scambiarsi informazioni.. questi accordi lasciano libere le autorità di agire.
Inoltre gli accordi di seconda generazione cercano di risolvere i conflitti negativi di competenza attraverso
l’istituto della positive comity: l’autorità antitrust di uno Stato può sollecitare l’intervento dell’autorità di un
altro Stato. Questi accordi hanno fatto accrescere la fiducia reciproca e ha stimolato la collaborazione fra
autorità antitrust. Concernono però attività di tipo amministrativo.

45
IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA IN MATERIA DI CONCENTRAZIONI FRA IMPRESE

PROFILI GENERALI
Nell’ambito delle politiche di concorrenza troviamo l’attività delle istituzioni della UE relative al controllo
delle concentrazioni. Nella disciplina originaria, il fenomeno delle concentrazioni non era menzionato,
probabilmente per non impedire processi di riaggregazione delle industrie europee in pieno sviluppo nel
dopoguerra.
Ma la Commissione aveva qualificato come abuso di posizione dominante un’operazione nella quale
un’impresa, già in possesso di posizione dominante, aveva rafforzato questa grazie all’acquisizione di una
impresa concorrente. Nel 1989 il Consiglio ha adottato il regolamento n. 4064/89/CE sostituito dal
regolamento n. 139/2004.

LA DISCIPLINA DELLE CONCENTRAZIONI NEL REGOLAMENTO N. 139/2004


Questo regolamento si applica solo alle concentrazioni di dimensione europea.
CONCENTRAZIONE: questo termine racchiude le operazioni di fusione, di acquisizione, di controllo di
un’altra impresa.
La dimensione comunitaria è affidata ad elementi quantitativi che concernono il raggiungimento di certe
soglie di fatturato da parte delle imprese partecipanti. Il regolamento può essere applicato a concentrazioni
che ricadano nel campo di applicazione della legislazione nazionale sul controllo delle concentrazioni di
almeno 3 s.m., anche se non raggiungono soglie di fatturato per esser considerate di rilevanza comunitaria.
La Commissione dovrà conoscere delle concentrazioni di natura comunitaria, ma può rinviare l’esame alle
autorità antitrust nazionali competenti. Le concentrazioni di dimensione europea vanno notificate alla
Commissione e non possono essere realizzate prima della notifica ne pria di essere dichiarate compatibili
con il mercato interno, salvo deroga. Il nuovo regolamento consente alle parti di notificare alla
Commissione la loro volontà di operare una concentrazione anche nella fase preliminare.
Il nuovo sistema, introdotto dal regolamento n. 139/2004, incoraggia le parti ad avvalersi di meccanismi di
consultazione preventiva con la Commissione, attraverso cui valutare l’operazione già nella fase negoziale e
influenzare gli esiti. Una volta ricevuta la notifica si apre il procedimento di accertamento, nel quale la
Commissione deve stabilire la compatibilità dell’operazione con il mercato comune.
Il nuovo regolamento adotta criteri più flessibili; si potranno vietare concentrazioni considerate discorsive
della concorrenza pur se non suscettibili di costituire posizione dominante.

46
PARTE II – LA POLITICA DI CONCORRENZA RIVOLTA AGLI STATI MEMBRI

LA DISCIPLINA DEI COMPORTAMENTI SUL MERCATO DI IMPRESE PUBBLICHE O


INCARICATE DELLA GESTIONE DI SERVIZI DI INTERESSE PUBBLICO

LA STRUTTURA DELL’ART. 106


Articolo 106
(ex articolo 86 del TCE)
1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui
riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei Trattati, specialmente a quelle
contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi. C 326/90 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 26.10.2012
2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio
fiscale sono sottoposte alle norme dei Trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui
l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro
affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell'Unione.
3. La Commissione vigila sull'applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati
membri, opportune direttive o decisioni.

Il Trattato non vieta agli Stati di possedere o gestire imprese, anzi l’art. 345 TFUE sancisce la neutralità
rispetto a un determinato regime proprietario.
Tali imprese sono soggette al diritto europeo della concorrenza, tuttavia sono immuni sono immuni
dall’applicazione delle norme antri trust, in qualità dell’interesse pubblico che perseguono.
L’art. 106 è formata da tre norme:

• La prima vieta agli s.m. di emanare nei confronti di imprese pubbliche misure contrarie al Trattato e
norme sulla concorrenza;
• La seconda concerne l’applicabilità delle regole di concorrenza alle imprese in monopolio legale;
• La terza stabilisce un potere normativo della Commissione la quale può anche emanare direttive.

Il regime stabilito dall’art. 106 ha trovato ampia applicazione; è apparso ragionevole consentire, attraverso
l’intervento degli Stati, ad un’impresa vincolata a garantire un certo servizio, anche in situazioni di non
redditività, di finanziare tali prestazioni con profitti collegati alla titolarità di diritti esclusivi e monopoli
legali.
L’ordinamento delle istituzioni della UE si è evoluto e sembra segnare una tendenza a favore della
separazione fra la gestione in regime di monopolio di attività di interesse pubblico e la gestione in regime di
concorrenza di attività economiche che non assolvono ad interessi di natura universale.
È un problema determinare come le regole di concorrenza possano orientare anche le scelte delle
amministrazioni pubbliche nell’affidamento della gestione di servizi pubblici in regime di concessione. Sono
numerosi i settori nei quali la soddisfazione di interessi pubblici è affidata ad attività di privati che operano
su concessione pubblica.

L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ART. 106


L’art. 106 riguarda imprese pubbliche e imprese alle quali sia affidata la gestione di un servizio di interesse
generale o in monopolio legale.
Sono escluse enti e soggetti non aventi carattere di imprenditorialità, misure statali di sostegno di imprese
private che non svolgono attività di servizio pubblico.

IL CRITERIO APPLICATIVO DEI LIMITI POSTI AGLI STATI MEMBRI


Le prime due norme dell’art. 106 delimitano l’attività normativa e imprenditoriale degli s.m.; queste due
disposizioni vanno lette congiuntamente ma rimangono autonome. Diverso è il loro ambito di applicazione:
la prima ha riguardo all’attività normativa degli s.m. e ha contenuto più ampio; la seconda riguarda il
comportamento delle imprese sul mercato.

47
La disposizione dell’art. 106 non è necessariamente connessa al comportamento di imprese; può sussistere
violazione dell’art. 106 ogni volta che uno Stato scelga di sottrarre alla concorrenza un dato settore senza
che tale scelta sia giustificata da motivi a carattere generale.
La valutazione della compatibilità della misura statale (che ha sottratto al regime di concorrenza un certo
settore) con il Trattato, è fondata sul bilanciamento di interessi: l’interesse ad assicurare lo svolgimento di
un certo servizio d’interesse generale e l’esigenza di non alterare il libero gioco della concorrenza. Una
deroga alle norme sulla concorrenza è lecita solo in quanto necessaria a garantire lo svolgimento di un
interesse pubblico e sia rispettato un principio di proporzionalità fra realizzazione dell’interesse generale e
alterazione della concorrenza sul mercato. Tali valutazioni appaiono difficili.
Per prima cosa, bisogna stabilire il rilievo da assegnare all’interesse pubblico perseguito dallo Stato, per poi
comparare le esigenze di carattere pubblico con l’esigenza di assicurare il libero gioco della concorrenza sul
mercato. Queste valutazioni comportano un margine di discrezionalità.
Il problema di determinare in quali casi l’esigenza generale giustifica un regime di esclusività di una
determinata prestazione sul mercato comporta delle considerazioni di natura politica: come ad esempio le
misure statali che pongono obblighi di contrarre o regimi preferenziali o esclusivi ispirati da esigenze di tipo
occupazionale. Un indice di valutazione è offerto dall’art. 106: il secondo paragrafo dice che bisogna
considerare se gli scambi commerciali siano compromessi in misura contraria all’interesse della comunità.

LE DUE FASI DELL’APPLICAZIONE DELL’ART. 106


Nell’applicazione dell’art. 106 si possono trovare due fasi:
la prima fase corrisponde ai primi anni di applicazione del Trattato, quando era prevalente l’esigenza di non
sovrapporre la valutazione delle istituzioni della UE agli orientamenti di politica economica degli s.m.; in
questa fase, agli s.m. veniva riconosciuta una ampia discrezionalità nel valutare sia l’esistenza di un
interesse pubblico giustifichi una sottrazione di determinate attività, sia la misura di questa deroga.
Recentemente si è registrato un mutamento di tendenza: l’art. 106 è Stato utilizzato in funzione di
grimaldello per indurre gli s.m. ad accelerare i processi di liberalizzazione di settori dell’economia soggetti
al controllo statale.
Il mutamento di rotta si è avvertito con l’utilizzazione del par. 3 dell’art. 106: nelle recenti evoluzioni, viene
interpretato come mezzo per assicurare la compatibilità fra esigenze di gestione di servizi pubblici e
esigenza di realizzare un assetto di mercato concorrenziale. È un indirizzo che comporta interferenze
rispetto a settori ritenuti fuori dal campo di applicazione delle regole di concorrenza, come appalti, servizi
di pubblica utilità. Da questa spinta pro-concorrenziale è nato il fenomeno della regolazione.
REGOLAZIONE: tendenza degli s.m. a disciplinare con proprie regole mercati nei quali è forte la presenza di
interessi di carattere sociale, evitando interventi aventi una connotazione dirigista nell’economia nazionale.
Tramite la regolazione, gli s.m. dovrebbero condurre certi settori verso una apertura alla concorrenza,
anche rispettando esigenze di carattere sociale e politico.

48
MISURE STATALI E NORMATIVA COMUNITARIA SULLA CONCORRENZA

LA NORMA DEDOTTA DAGLI ARTT. 101 E 102 TUE


Nel Trattato sono assenti disposizioni concernenti obblighi degli s.m. in relazione alle norme europee sulla
concorrenza rivolte ad imprese private. La regolamentazione dei fattori economici e sociali da parte di uno
Stato può pregiudicare l’effettività della disciplina comunitaria antitrust.
Il problema è Stato affrontato dalla Corte di giustizia nel caso Inno/Atab in cui l’oggetto della controversia
era la compatibilità con il Trattato di una disposizione belga che obbligava il rispetto dei prezzi imposti da
produttori e importatori. La Corte affermava il principio secondo il quale ‘’se è innegabile che l’art. 102 si
rivolge alle imprese, è altrettanto vero che il Trattato obbliga gli s.m. ad astenersi dall’emanare o
mantenere in vigore provvedimenti che possano rendere inefficace tale norma’’. Il principio veniva ricavato
dalle disposizioni dell’art. 3 Trattato ce, il quale indicava tra gli obiettivi della comunità, l’istituzione di un
regime teso a garantire che la concorrenza non sia falsata dal mercato comune, dell’art. 5 ce che pone
l’obbligo per gli Stati di adottare ogni misura atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi del Trattato e di
astenersi da misure capaci di compromettere la realizzazione dei suoi scopi e dalle diposizioni degli artt.
101 e 102. Il combinato disposto completa gli obblighi stabiliti dall’artt. 101 e 102, assicurandone
l’effettività.

49
GLOSSARIO
ABUSI DI SFRUTTAMENTO: comportamenti diretti dall’impresa in posizione dominante verso i clienti (abusi
verticali). La pratica di abuso più evidente è la fissazione di prezzi o condizioni di transazioni iniqui o
discriminatori, diversi anche se applicati a prestazioni equivalenti.
ACCORDI DI ASSOCIAZIONE: regolano il trattamento dei lavoratori degli Stati associati prevedendo che ad
essi debba essere applicato un regime non discriminatorio rispetto a condizioni e retribuzioni. Le norme che
enunciano il principio di non discriminazione hanno effetti diretti e possono essere invocate davanti ai
giudici nazionali. Possono essere invocate anche nei confronti di privati e hanno effetti diretti orizzontali.
ACCORDI ORIZZONTALI: sono accordi tra imprese poste allo stesso livello nel ciclo economico; sono accordi
che fissano prezzi o spartiscono mercati fra imprese direttamente concorrenti.
ACCORDI VERTICALI: sono accordi fra imprese poste a un diverso livello nel ciclo economico e che non sono
direttamente in concorrenza ma la cui cooperazione appare essenziale per il coordinamento delle attività
produttive.
AGENZIA PER LE FRONTIERE ESTERNE (FRONTEX): ha la funzione di coordinare l’attività di controllo degli
s.m. organizzando operazioni comuni fornendo una cooperazione operativa. Istituita dal codice frontiere
Schengen.
BENI CULTURALI: beni del patrimonio nazionale aventi un valore artistico, storico, archeologico; si
intendono usciti illegalmente da uno s.m. nel caso in cui vengano esportati in violazione della sua
legislazione o di un regolamento relativo all’esportazione di beni culturali verso Stati terzi.
CLAUSOLE GRIGIE: sono clausole, il cui inserimento nell’accordo, non determina la perdita dell’esenzione di
categoria per l’intero accordo, ma per la parte di esso che contiene queste clausole.
CONCENTRAZIONE: questo termine racchiude le operazioni di fusione, di acquisizione, di controllo di
un’altra impresa.
DIRETTIVA 2003/86/CE: direttiva che disciplina l’ingresso dei familiari dello straniero che risiede
regolarmente nello s.m. che riconosce il diritto dello straniero a farsi raggiungere o accompagnare dai
propri familiari. Questo diritto è attribuito al cittadino di uno Stato terzo che sia in possesso di un
permesso di soggiorno di durata almeno annuale e abbia la prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare
in modo stabile. Gli s.m. possono apporre ulteriori condizioni: disponibilità di un alloggio, assicurazione
malattie, risorse stabili, regolari e sufficienti, precedente soggiorno nello s.m. in cui risiede. Il familiare può
acquisire un titolo autonomo al soggiorno: dopo un periodo di 5 anni il familiare ha diritto al permesso di
soggiorno, indipendentemente dalla persona col quale si è ricongiunto.
DIRETTIVA 2004/38/CE: è il principale degli atti relativa al diritto dei cittadini UE e dei loro familiari di
circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli s.m.; doveva essere attuata dagli s.m. entro il 1
maggio 2006; da questa data sono Stati abrogati vari atti che in precedenza regolavano ingresso e
soggiorno di lavoratori, studenti ecc e dei loro familiari. La direttiva ha riunito in un unico strumento
normativo tutte le regole concernenti la libertà di circolazione dei cittadini UE. In questa direttiva ci sono
anche i principi espressi dalla Corte di giustizia nelle varie sentenze rese nell’interpretazione delle
disposizioni contenute nel Trattato CE e nelle normative previgenti.
DIRITTO DI STABILIMENTO: artt. 43-48 Trattato CE S’intende per diritto di stabilimento la libertà, garantita
ai cittadini comunitari, di stabilirsi in uno Stato membro diverso dal proprio per esercitarvi un’attività non
salariata.
La libertà di stabilimento importa quindi:
— l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio sia per le persone fisiche che per quelle giuridiche
(liberi professionisti, imprenditori, società);
— l’applicazione delle stesse condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei
propri cittadini (art. 43 Trattato CE).
ESENZIONI INDIVIDUALI: riguardano singoli accordi che rientrano nel divieto dell’art. 101 TFUE par.1, ma
che soddisfano le condizioni previste al par. 3.
EXTRACOMUNITARI: termine che indica coloro ai quali non è riconosciuta la libertà di circolazione conferita
dal diritto UE, poiché privi della cittadinanza di uno s.m. ; tuttavia, secondo la Carta dei diritti fondamentali,
la libertà di circolazione può essere accordata, conformemente ai Trattati, ai cittadini dei paesi terzi che
risiedano legalmente nel territorio di uno s.m. .

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FONDO ASILO, MIGRAZIONE, INTEGRAZIONE: ha sostituito il fondo europeo per i rifugiati, dovrebbe
consentire maggior sostegno ai paesi che ricevono maggior flusso di stranieri che richiedono protezione.
GATS: general agreement on trade on services, accordo generale sugli scambi di servizi.
GATT: Il General Agreement on Tariffs and Trade (Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio) è un
accordo internazionale, firmato il 30 ottobre 1947 a Ginevra da 23 paesi, per stabilire le basi per un sistema
multilaterale di relazioni commerciali con lo scopo di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale.
IMPRESA: È impresa qualsiasi soggetto che svolga un’attività economica, capace di incidere sulla
concorrenza a prescindere dalla natura giuridica, dalle modalità di organizzazione e di finanziamento.
LAVORATORI FRONTALIERI: lavoratori che risiedono in uno Stato membro e prestano attività lavorativa in
LAVORO SUBORDINATO: si ha quando una persona compie, durante un certo tempo, a favore di un’altra e
sotto la direzione di questa, prestazioni in corrispettivo delle quali le spetta la retribuzione. (definizione Corte di
giustizia)

LIBRO BIANCO 1985: i Libri bianchi sono documenti che contengono proposte di azione comunitaria in un
settore specifico. Talvolta fanno seguito a un libro verde pubblicato per promuovere una consultazione a
livello europeo. Mentre i libri verdi espongono una gamma di idee ai fini di un dibattito pubblico, i libri
bianchi contengono una raccolta ufficiale di proposte in settori politici specifici e costituiscono lo strumento
per la loro realizzazione (definizione dell’UE);
MECCANISMO DI COMPENSAZIONE: atto a far incontrare domanda e offerta di lavoro e facilitarne
l’equilibrio. Il meccanismo opera sulla trasmissione di informazioni relative alla domanda e offerta di
impieghi e sul ruolo dell’Ufficio europeo di coordinamento, incaricato di favorire il contatto tra le domande
e le offerte di impiego.
MERCATO COMUNE: la nozione era molto più ampia di quella di mercato comune, perche comprendeva
anche libertà pertinenti al mercato interno e politiche comuni nei settori considerati dal Trattato. Dal
Trattato di Lisbona questa espressione non viene più utilizzata.
MERCATO INTERNO: comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali.
MERCI: prodotti pecuniariamente valutabili, atti a costituire oggetto di negozi commerciali. (definizione Corte di
giustizia)

MISURA DI EFFETTO EQUIVALENTE AD UNA RESTRIZIONE QUANTITATIVA: qualsiasi misura che ostacoli
direttamente o indirettamente gli scambi di merci tra s.m.; in questo ambito è ricompreso ogni
comportamento imputabile allo Stato e ogni misura, come una reiterata prassi amministrativa.
OMC: organizzazione mondiale del commercio, istituita dall’Accordo di Marrakech 15 aprile 1994.
POSIZIONE DOMINANTE COLLETTIVA: esiste quando si verifica una situazione di paritario potere di
mercato da parte di poche imprese.
POSIZIONE DOMINANTE SUL MERCATO: indica l’esistenza di un notevole grado di indipendenza di cui gode
un operatore economico, che può determinare le proprie strategie sul mercato, senza tener conto dei
comportamenti di altri operatori. La posizione dominante è ottenuta dall’impresa che detenga una quota di
mercato superiore al 40%.
PRINCIPIO DEL MUTUO RICONOSCIMENTO: La Commissione del libro bianco sul completamento del
mercato interno adotto due strumenti per sopprimere le barriere tecniche e fiscali: il principio del mutuo
riconoscimento delle norme tecniche nazionali e l’armonizzazione di tali norme. Il principio del mutuo
riconoscimento prevede che ciascun s.m. ha l’obbligo di ammettere nel proprio territorio le merci
provenienti da un altro s.m. qualora esse siano legalmente prodotte e messe in commercio in quest’altro
Stato, in osservanza delle norme tecniche vigenti. L’applicazione a queste merci della disciplina tecnica
dello Stato importatore costituirebbe misura di effetto equivalente.
PRINCIPIO DEL NON-REFOULEMENT : nessuno può essere allontanato, espulso, estradato verso uno Stato
in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto a pena di morte, tortura, altre pene o trattamenti inumani
o degradanti.
PRINCIPIO DELL’ESAURIMENTO ALL’INTERNO DELL’UNIONE: il diritto di esclusiva garantito dalle norme
nazionali, in materia di proprietà industriale e commerciale, esaurisce i suoi effetti nell’insieme dell’UE e
non può essere invocato per opporsi alle importazioni di un prodotto da un altro s.m., qualora questo sia

51
Stato legittimamente realizzato e posto in commercio nell’altro s.m. dal titolare medesimo o con il suo
consenso.
PROFUGO: chi si è allontanato dal proprio paese di origine per motivi di persecuzione o guerra.
PROTEZIONE SUSSIDIARIA: forma di tutela complementare rispetto a quella derivante dal riconoscimento
dello status di rifugiato.
REGOLAMENTI DI ESENZIONI PER CATEGORIA: hanno lo scopo di precisare, rispetto al settore considerato,
le condizioni che, se osservate, consentono la non applicazione dell’art. 101 par.1 all’accordo.
Tradizionalmente contenevano un elenco di clausole vietate, la cui presenza nell’accordo ne avrebbe
escluso l’esentabilità (clausole nere) e un elenco di quelle ammesse (clausole bianche). I regolamenti più
recenti hanno adottato un approccio economico: essi prevedono che la valutazione circa l’esentabilità vada
compiuta in concreto con riferimento al potere di mercato detenuto dalle imprese partecipanti all’intesa.
REGOLAZIONE: tendenza degli s.m. a disciplinare con proprie regole mercati nei quali è forte la presenza di
interessi di carattere sociale, evitando interventi aventi una connotazione dirigista nell’economia nazionale.
Tramite la regolazione, gli s.m. dovrebbero condurre certi settori verso una apertura alla concorrenza,
anche rispettando esigenze di carattere sociale e politico.
RIFUGIATO: colui che, temendo di essere perseguitato per motivi di razza/religione/nazionalità/ecc, si trovi
fuori dal paese di cui è cittadino e non vuole avvalersi della protezione di questo paese; oppure colui che,
non avendo cittadinanza e trovandosi fuori dal paese in cui aveva residenza abituale, non vuole tornarvi per
i motivi di cui sopra. (definizione convenzione di Ginevra)
SERVIZI RILEVANTI PER IL DIRITTO UE: (art. 57 n.1 TFUE) prestazioni normalmente fornite dietro
retribuzione, non regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, capitali, persone.
Nell’articolo vengono elencate alcune materie ma l’elenco non è esaustivo. la nozione di servizio rilevante
per il diritto UE comprende ogni attività economicamente rilevante che si concreti in un facere e non
comporti scambio di beni; il servizio deve soddisfare altri requisiti: deve trattarsi di attività che coinvolgono
soggetti stabiliti nel territorio UE e che vengono svolte secondo le modalità indicate dai Trattati e dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia.
SFOLLATO: colui che non rientra nella definizione di rifugiato ma è meritevole di protezione in ragione di
fenomeni che lo costringano a lasciare lo Stato di appartenenza.
TARIC: Allo scopo di integrare e codificare tutti i provvedimenti adottati in materia doganale, il
regolamento sulla tariffa doganale prevede che ogni anno la Commissione instauri una tariffa integrata
delle Comunità europee (TARIC) che diventa Tariffa integrata dell’Unione europea. La Taric rappresenta la
tariffa doganale comune, perche incorpora i provvedimenti relativi alle esportazioni.
TASSE DI EFFETTO EQUIVALENTE: qualsiasi onere pecuniario imposto unilateralmente a prescindere dalla
sua denominazione e dalla sua struttura, che colpisca le merci in ragione del fatto che esse varcano la
frontiera. (definizione Corte di giustizia)
UFFICIO EUROPEO DI SOSTEGNO PER L’ASILO: ha sede a Malta, ha iniziato la propria attività nel 2011 e
provvede ad agevolare lo scambio di informazioni e di esperienze fra s.m. e organizzare iniziative comuni di
formazione del personale addetto negli s.m. all’esame delle domande di protezione.
un altro.
URUGUAY ROUND DEL GATT: L’ultimo e più importante di tali negoziati, l’Uruguay Round (il nome di tale
"round" deriva dal fatto che i negoziati iniziarono, il 20 settembre 1986, a Punta del Este in Uruguay) è
Stato una vera e propria maratona di Trattative che ha coinvolto 123 paesi ed è durata sette anni e mezzo
(tra il 1986 ed il 1994), terminando con la firma degli accordi di Marrakech, il 15 aprile 1994, con la
creazione del WTO (OMC in italiano) e la ratifica di tre accordi principali: GATT (General Agreement on
Tariffs and Trade) Accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio; GATS (General Agreement on
Trade in Services)Accordo generale sul commercio dei servizi; TRIPS (Trade-Related Aspects of Intellectual
Property Rights) Aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale. Tali accordi contengono le
definizioni e i principi generali, rispettivamente, nei campi del commercio e delle tariffe (sui prodotti), dei
servizi e della proprietà intellettuale (brevetti,marchi, copyright ed invenzioni industriali). A seguito dei
negoziati sono poi Stati ratificati, tra i paesi partecipanti, diversi altri accordi (una cinquantina) legati a
settori specifici e sono Stati stabiliti gli impegni dei singoli paesi per permettere ai prodotti stranieri di
accedere ai rispettivi mercati: nell'ambito del GATT si tratta di impegni vincolanti (binding commitments)

52
sulle tariffe doganali delle merci, per i prodotti agricoli gli accordi hanno riguardato le limitazioni relative
ai prezzi ed alle quote di importazione, mentre nell'ambito del GATS, gli impegni riguardano una lista di
eccezioni, cioè di servizi per i quali i paesi dichiarano di non applicare il principio di non discriminazione
della "nazione più favorita". Mentre nell'ambito dell'accordo GATT del 1947 era contemplata l'esistenza di
un complesso sistema di quote di import-export e di sussidi, con la nascita del WTO e l'entrata in vigore
della nuova serie di accordi tali "distorsioni" al libero mercato sono state eliminate: la nuova normativa
introdotta con l'Uruguay Round impone, infatti, come unica limitazione possibile quella tariffaria, nonché la
graduale riduzione di tutti i sussidi alla produzione interna ed all’esportazione. Riguardo ai brevetti sono
Stati approvati, in particolare, due articoli, rispettivamente relativi all'importazione forzata ed alla
registrazione parallela che affermano il diritto dei paesi privi di copertura finanziaria ad autorizzare
l'importazione senza il pagamento di copyright o, in caso di rifiuto dei detentori del brevetto, a produrre in
deroga (senza il pagamento di royalties) i prodotti o servizi ritenuti necessari: tale secondo articolo è Stato
invocato per la produzione di farmaci costosi e coperti da brevetto (soprattutto vaccini) che non erano nelle
possibilità economiche di alcuni paesi.
VANTAGGI SOCIALI: rientrano in questa definizione tutte le misure di cui i cittadini dello Stato ospitante
risultino i destinatari in virtù della loro condizione generale di lavoratori o della semplice residenza sul
territorio nazionale. Si considera vantaggio sociale l’agevolazione concessa per la nascita di un figlio, il
sussidio di disoccupazione, ecc.

53
Presidenti attuali delle Istituzioni UE

Il presidente del Parlamento europeo: Martin Schulz


Durata del mandato: agosto 2014 - gennaio 2017
Eletto da: i deputati del Parlamento europeo
Ruolo:

 si assicura che vengano seguite le procedure prescritte dal regolamento


 vigila sulle attività del Parlamento e delle sue commissioni
 rappresenta il Parlamento in tutte le questioni giuridiche e nelle relazioni internazionali
 dichiara l'adozione finale del bilancio.

Il presidente del Consiglio europeo: Donald Tusk


Durata del mandato: dicembre 2014 – maggio 2017
Nominato da: i leader nazionali (capi di Stato o di governo dei paesi membri)
Ruolo:

 presiede e anima i lavori del Consiglio europeo per stabilire gli orientamenti politici generali e le
priorità dell'UE, in cooperazione con la Commissione
 promuove la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo
 assicura la rappresentanza esterna dell'UE per quanto riguarda le questioni di politica estera e di
sicurezza.

Il Presidente della Commissione europea: Jean-Claude Juncker


Durata del mandato: novembre 2014 - ottobre 2019
Nominato da: i leader nazionali (capi di Stato o di governo dei paesi membri), con l'approvazione del
Parlamento europeo
Ruolo:

 assicura la guida politica della Commissione


 convoca e presiede le riunioni del collegio dei commissari
 guida i lavori della Commissione per l'attuazione delle politiche dell'UE
 prende parte alle riunioni del G7
 contribuisce ai più importanti dibattiti sia in sede di Parlamento europeo che di Consiglio
dell'Unione europea (nel quale sono rappresentati i governi nazionali).

Presidenza del Consiglio dell'UE


Il Consiglio dell'UE, dove i ministri nazionali discutono le legislazione dell'UE, non è presieduto in
permanenza da un'unica persona. A guidare i lavori e presiedere le riunioni è il ministro del paese a cui
spetta la presidenza di turno del Consiglio, che ruota ogni sei mesi.

54
CAPITOLO I - LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI ...................................................................................... 2
INTRODUZIONE.................................................................................................................................................. 2
MERCATO INTERNO E LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI......................................................................... 2
LE FONTI DELLA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI .................................. 2
L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLE NORME DELL’UNIONE EUROPEA SULLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE
MERCI ............................................................................................................................................................ 3
LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E UNIONE DOGANALE ............................................................................ 3
IL DIVIETO DI DAZI DOGANALI E DELLE TASSE DI EFFETTO EQUIVALENTE .................................................... 3
LA SOPPRESSIONE DEI CONTROLLI FISCALI ALLE FRONTIERE TRA STATI MEMBRI ....................................... 4
LE IMPOSIZIONI FISCALI INTERNE .................................................................................................................. 4
IL DIRITTO AL RIMBORSO DEI TRIBUTI RISCOSSI DA UNO STATO MEMBRO IN VIOLAZIONE DEL DIRITTO
DELL’UNIONE EUROPEA ................................................................................................................................ 4
LA TARIFFA DOGANALE COMUNE E IL REGIME DELLE FRANCHIGIE ............................................................. 5
LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E DIVIETO DI RESTRIZIONI QUANTITATIVE TRA STATI MEMBRI ............. 6
IL DIVIETO DI RESTRIZIONI QUANTITATIVE E DELLE MISURE DI EFFETTO EQUIVALENTE ............................. 6
GLI OSTACOLI ALLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI DERIVANTI DALLE NORME TECNICHE NAZIONALI
E IL PRINCIPIO DEL MUTUO RICONOSCIMENTO ........................................................................................... 6
L’ARMONIZZAZIONE DELLE LEGISLAZIONI NAZIONALI .................................................................................. 7
LE DEROGHE AL DIVIETO DELLE RESTRIZIONI QUANTITATIVE E DELLE MISURE DI EFFETTO EQUIVALENTE 7
(SEGUE) LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI BENI CULTURALI .............................................................................. 8
I MONOPOLI COMMERCIALI E LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI ....................................................... 9
CAPITOLO II - LA LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE E LA POLITICA DELL’IMMIGRAZIONE ............. 10
LA LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DEGLI STATI MEMBRI.............................................................. 10
DALLA LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI A QUELLA DEI CITTADINI DELL’UNIONE EUROPEA .. 10
CITTADINANZA DELL’UNIONE EUROPEA E LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE ...................................................... 10
L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SULLA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI
DELL’UNIONE ............................................................................................................................................... 11
LE CONDIZIONI PER LA CIRCOLAZIONE E IL SOGGIORNO DEI CITTADINI DELL’UNIONE EUROPEA ............. 11
LE PROCEDURE RELATIVE ALL’INGRESSO E IL SOGGIORNO DEI CITTADINI DELL’UNIONE .......................... 12
IL DIRITTO AL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE ......................................................................................... 12
(SEGUE) IL RICONGIUNGIMENTO CON I FAMILIARI CHE NON SONO CITTADINI DI UNO STATO MEMBRO 13
I LIMITI ALL’INGRESSO E AL SOGGIORNO DEI CITTADINI DELL’UNIONE ..................................................... 14
LE GARANZIE E I MEZZI DI RICORSO NEI CONFRONTI DI PROVVEDIMENTI RESTRITTIVI DELL’INGRESSO E
DEL SOGGIORNO.......................................................................................................................................... 14
LA CIRCOLAZIONE E IL TRATTAMENTO DEI LAVORATORI SUBORDINATI CITTADINI DI STATI MEMBRI ......... 15
LE DISPOSIZIONI DEL TRATTATO E LA NORMATIVA DERIVATA IN TEMA DI CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI
SUBORDINATI .............................................................................................................................................. 15
(SEGUE) LA NOZIONE DI LAVORATORE DIPENDENTE.................................................................................. 15
L’ACCESSO AL LAVORO ................................................................................................................................ 16
LA SITUAZIONE DELLE PERSONE IN CERCA DI OCCUPAZIONE ..................................................................... 16
I LIMITI ALL’ACCESSO AL LAVORO: L’ECCEZIONE DEGLI IMPIEGHI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE . 17
(SEGUE) IL REQUISITO DELLE CONOSCENZE LINGUISTICHE ........................................................................ 17
IL TRATTAMENTO DEI LAVORATORI ............................................................................................................ 17
IL TRATTAMENTO DEI FAMILIARI DEL LAVORATORE .................................................................................. 18
LA SICUREZZA SOCIALE ................................................................................................................................ 19
LA POLITICA DELL’IMMIGRAZIONE .................................................................................................................. 19
LO SVILUPPO DELLA POLITICA DELL’IMMIGRAZIONE E LA ELIMINAZIONE DEI CONTROLLI ALLE FRONTIERE
INTERNE ....................................................................................................................................................... 19

55
L’ARMONIZZAZIONE DEI CONTROLLI ALLE FRONTIERE ESTERNE ................................................................ 21
IL REGIME APPLICABILE AI CITTADINI DI STATI TERZI.................................................................................. 24
LA NORMATIVA SULL’INGRESSO ................................................................................................................. 24
LA NORMATIVA SUL SOGGIORNO ............................................................................................................... 24
LA NORMATIVA SUL TRATTAMENTO DEI LAVORATORI DI STATI TERZI ...................................................... 25
LA NORMATIVA SUL RIMPATRIO ................................................................................................................. 25
IL DIRITTO DI ASILO E GLI ISTITUTI DELLA PROTEZIONE TEMPORANEA E DELLA PROTEZIONE SUSSIDIARIA
..................................................................................................................................................................... 26
LA NATURA E L’ESTENSIONE DELLA COMPETENZA DELL’UNIONE IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE .......... 27
LA CONVENZIONE DI SCHENGEN E LA SUA INTEGRAZIONE NELL’UNIONE EUROPEA ................................ 27
LA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI NEGLI ACCORDI DI ASSOCIAZIONE ........................................................ 28
IL PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE ..................................................................................................... 28
LA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI ............................................................................................................ 28
CAPITOLO III - LA LIBERA PRESTAZIONE DEI SERVIZI ....................................................................................... 29
INTRODUZIONE............................................................................................................................................ 29
L’AMBITO DI APPLICAZIONE SOSTANZIALE E LE MATERIE ESCLUSE ........................................................... 29
L’AMBITO DI APPLICAZIONE RATIONE PERSONARUM: I SOGGETTI TUTELATI............................................ 30
LE MODALITA’ DI SVOLGIMENTO DELLA PRESTAZIONE DI SERVIZI: IL CARATTERE ‘’TRANSFRONTALIERO’’
DELL’ATTIVITA’............................................................................................................................................. 31
IL REGIME DELLA LIBERTA’ DI PRESTAZIONE DI SERVIZI: DAL TRATTAMENTO NAZIONALE AL ‘’MUTUO
RICONOSCIMENTO’’ DELLE NORMATIVE NAZIONALI .................................................................................. 32
L’EFFETTO DIRETTO DELLE DISPOSIZIONI DEL TFUE E IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONI SULLA BASE DELLA
CITTADINANZA............................................................................................................................................. 32
LE MISURE DISCRIMINATORIE CONSENTITE DAL TRATTATO ...................................................................... 33
IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONI INDIRETTE: LE MISURE INDISTINTAMENTE APPLICABILI ......................... 33
DEROGHE AL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONI INDIRETTE: LE MISURE INDISTINTAMENTE APPLICABILI
CONSENTITE SECONDO LA CORTE DI GIUSTIZIA ......................................................................................... 34
LA DIRETTIVA SERVIZI .................................................................................................................................. 34
CAPITOLO IV - LE POLITICHE DI CONCORRENZA.............................................................................................. 36
PARTE I – LA POLITICA DI CONCORRENZA RIVOLTA ALLE IMPRESE PRIVATE.............................................. 36
GENERALITA’................................................................................................................................................ 36
I SETTORI SOTTOPOSTI A REGOLE DI CONCORRENZA ................................................................................. 36
IL CONCETTO DI IMPRESA............................................................................................................................ 36
LE INTESE VIETATE DALL’ART. 101............................................................................................................... 37
I COMPORTAMENTI VIETATI DALL’ART. 101 ............................................................................................... 37
(SEGUE) ACCORDI ORIZZONTALI E ACCORDI VERTICALI.............................................................................. 38
LA NULLITA’ DELLE INTESE VIETATE ............................................................................................................ 38
LE ESENZIONI ............................................................................................................................................... 38
PROFILI GENERALI........................................................................................................................................ 38
LE ESENZIONI INDIVIDUALI .......................................................................................................................... 39
LE ESENZIONI PER CATEGORIA .................................................................................................................... 39
LE CONDIZIONI DI ESENTABILITA’ DEGLI ACCORDI VERTICALI .................................................................... 40
L’ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE VIETATO DALL’ART. 102 ................................................................... 40
L’ESISTENZA DI UNA POSIZIONE DOMINANTE ............................................................................................ 40
LA POSIZIONE DOMINANTE COLLETTIVA .................................................................................................... 40
IL MERCATO RILEVANTE .............................................................................................................................. 41
LO SFRUTTAMENTO ABUSIVO ..................................................................................................................... 41
I PROCEDIMENTI DI APPLICAZIONE DEL DIRITTI EUROPEO DELLA CONCORRENZA .................................... 42
L’APPLICAZIONE AD OPERA DELLA COMMISSIONE ..................................................................................... 42
L’APPLICAZIONE DECENTRATA DA PARTE DELLE AUTORITA’ ANTITRUST NAZIONALI ................................ 43
56
L’APPLICAZIONE GIUDIZIALE........................................................................................................................ 43
IL COORDINAMENTO TRA LE AUTORITA’ COMPETENTI ALL’APPLICAZIONE DEL DIRITTO EUROPEO DELLA
CONCORRENZA ............................................................................................................................................ 43
IL COORDINAMENTO TRA COMMISSIONE E AUTORITA’ GARANTI NAZIONALI .......................................... 43
IL COORDINAMENTO TRA LA COMMISSIONE E LE AUTORITA’ GIUDIZIARIE DEGLI STATI MEMBRI .......... 44
L’AMBITO DI APPLICAZIONE DEL DIRITTO EUROPEO DELLA CONCORRENZA ............................................. 45
IL PREGIUDIZIO AL COMMERCIO INTER-STATALE E L’ALTERAZIONE SENSIBILE DELLA CONCORRENZA..... 45
IL RAPPORTI TRA DIRITTO EUROPEO E DIRITTO NAZIONALE ANTITRUST ................................................... 45
LA DELIMITAZIONE TERRITORIALE............................................................................................................... 45
IL DIRITTO DELLA CONCORRENZA IN MATERIA DI CONCENTRAZIONI FRA IMPRESE.................................. 46
PROFILI GENERALI........................................................................................................................................ 46
LA DISCIPLINA DELLE CONCENTRAZIONI NEL REGOLAMENTO N. 139/2004 .............................................. 46
PARTE II – LA POLITICA DI CONCORRENZA RIVOLTA AGLI STATI MEMBRI.................................................. 47
LA DISCIPLINA DEI COMPORTAMENTI SUL MERCATO DI IMPRESE PUBBLICHE O INCARICATE DELLA
GESTIONE DI SERVIZI DI INTERESSE PUBBLICO............................................................................................ 47
LA STRUTTURA DELL’ART. 106 ..................................................................................................................... 47
L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ART. 106 ................................................................................................ 47
IL CRITERIO APPLICATIVO DEI LIMITI POSTI AGLI STATI MEMBRI ............................................................... 47
LE DUE FASI DELL’APPLICAZIONE DELL’ART. 106 ........................................................................................ 48
MISURE STATALI E NORMATIVA COMUNITARIA SULLA CONCORRENZA .................................................... 49
LA NORMA DEDOTTA DAGLI ARTT. 101 E 102 TUE ..................................................................................... 49
GLOSSARIO ...................................................................................................................................................... 50
Presidenti attuali delle Istituzioni UE .............................................................................................................. 54

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