IL CODICE CIVILE FRANCESE (21 marzo 1804) I PROGETTI GIUSNATURALISTICI DEL DECENNIO RIVOLUZIOARIO (1789-1799) 1. Le fonti del diritto in Francia alla vigilia della Rivoluzione Le fonti del diritto nella Francia del tardo Diritto Comune. Obiettivo primario del progetto di rinnovamento legislativo delineatosi in Francia dalla prima fase della rivoluzione è la realizzazione di una legislazione civile breve, compatta e unitaria, che sostituisca la molteplicità delle fonti e il particolarismo giuridico dell’Ancien Règime con un diritto uniforme e comune a tutta la nazione, fondato sul diritto naturale. La Francia pre-rivoluzionaria presentava un’accentuata frammentazione consuetudinaria di origine altomedievale che divideva la nazione giuridicamente in due zone: nordoccidentale, del Droit coutumier, di matrice germanica e centromeridionale, del Droit écrit di matrice romanistica. Un’opera di certificazione del diritto fu promossa da Carlo VII (1454) mediante la redazione per iscritto delle consuetudini vigenti, che, unitamente al diritto regio, erano circa 360, il diritto regio era rappresentato dalle Ordonnaces di Colbert e Daguesseau (XVII-XVIII). Le fonti consuetudinarie, regie e del diritto comune romano-canonico operarono sotto l’influsso delle istituzioni giudiziarie presenti nel regno, in primo luogo i Parlaments regionali (tra cui si segnala quello di Parigi) e, a livello dottrinale, a fine XV sec., la grande scuola giuridica francese che vantò rappresentanti quali Hotman, Cujas, Doneau, e Domat e Pothier di ispirazione razionalista. Cenni sulla crisi del sistema giuridico d’Ancien Règime. Nonostante l’attività uniformatrice svolta da Parlaments e dottrina l’aspirazione all’unità del diritto si diffuse dal XVI sec. nella parte più qualificata del pensiero giuridico (Dumoulin, Loysel), era palese la sovrapposizione di norme e mancanza di coordinamento tra la pluralità di fonti non uniformi, con notevole incertezza nella disciplina delle singole fattispecie ed il continuo ricorso ai ampi poteri discrezionali riconosciuti al magistrato (arbitrium iudicis, con connotazione negativa). Le proposte dei Philosophes settecenteschi. Tale stato delle cose, sfaccettatura della generale crisi dell’Ancien Règime, fu denunciato in modi sempre più accesi nel XVIII sec. da Montesquieu, Voltaire, Rousseau e altri rappresentanti della polemica illumista; attraverso i loro scritti i Philosophes elaborarono una vera e propria ideologia della riforma, c.d. illuminismo giuridico, che auspicava la creazione di un diritto nuovo, generale e uniforme di produzione sovrana e statuale, dotato dei caratteri della certezza, semplicità, comprensibilità e razionalità della struttura, corrispondente ai postulati giusnaturalistici e contrattualistici e in grado di escludere la necessità di un’integrazione da parte di fonti esterne al sistema (e della dottrina), un sistema imperniato sui principi di legalità ed eguaglianza, che nacque solo nel 1804. 2. La rivoluzione e la codificazione civile La riforma del diritto civile nei Cahiers de dolèance. Proposte e idee innovative sono contenute già in alcuni tra i circa 60.000 cahiers de doléances presentati dai delegati di ceti, corporazioni e istituzioni locali all’assemblea degli Stati Generali convocata da Luigi XVII nel 1789 per trovare una via d’uscita alla grave crisi finanziaria che attanagliava la monarchia francese; alcuni si limitano a chiedere generici interventi di riforma o ad auspicare l’unità del diritto, altri posero richieste specifiche, il Cahier del 3° Stato di Parigi hors les murs, redatto da Target, sollecitò la creazione di un codice unico chiaro e preciso che impedisse arbitrarie decisioni dei giudici e l’abolizione di retratto feudale e sostituzioni fidecommissarie; il Cahier del 3° Stato di Nemours chiese la redazione di un progetto di cod. civ. comune a tutto il Regno e vi furono progetti di codice dovuti all’iniziativa di privati cittadini, senza seguito, ma testimoniano un’esigenza fortemente diffusa. La codificazione come obbligo costituzionale. Dopo la presa della Bastiglia (1789) la realizzazione di una legislazione civile unitaria fu un elemento primario nel programma di riforma dello Stato di governanti e legislatori della prima età rivoluzionaria. Il 5 luglio 1790, una deliberazione dell’Assemblea Costituente stabilì che “le leggi civili fossero rivedute e riformate dai legislatori e che fosse fatto un codice generale di leggi semplici, chiare e adatte alla Cost.”. La prima Cost. della Francia rivoluzionaria (1791) prescrisse che “sarà fatto un codice di leggi civili comune al Regno”, evidente l’importanza del principio di codificazione. Le difficoltà della codificazione in campo civile. In campo civile, la codificazione si rivelò un’impresa ardua; l’ordinamento giudiziario fu profondamente rinnovato, in particolare, dal Décret sur l’organisation judiciaire del 1790, in campo penale, si giunse alla promulgazione di un codice (1791, c.d. Code Lepeletier, dal nome dell’autore del progetto) e, più tardi, di un codice di procedura (1795, c.d. Code Merlin). 3. La legislazione settoriale degli anni 1789-1792 FAMIGLIA E SUCCESSIONI Il difficile avvio delle riforme dell’Assemblea Costituente. Un 1° progetto sulla disciplina del diritto successorio (Merlin, Target, Thouret) fu presentato in assemblea nel novembre 1791, tentando un compromesso tra le tradizioni giuridiche presenti nel regno, esso intense procedere a una razionalizzazione del sistema successorio con l’abolizione delle istituzioni legate al feudo e l’applicazione dei principi di uguaglianza e unità del diritto, ma la discussione in aula fu differita di 4 mesi, si giunge al memorabile dibattito sulla riforma della disciplina delle successioni (1791), in molti (soprattutto in Normandia e nel Mezzogiorno) erano poco inclini ad abbandonare consuetudini ed usi, si approvò un testo normativo di 9 art., compromissorio, teso a sopprimere ineguaglianze tra eredi. L’Assemblea legislativa: una lunga fase di stallo. L’Assemblea Legislativa dal 1 ottobre 1791 sostituì l’Assemblea Costituente e si limitò, in campo civile, a far propria una proposta avanzata da Garran de Coulon, che prevedeva che tutti i cittadini fossero invitati a presentare idee e suggerimenti in ordine ai contenuti della futura disciplina civilistica. La pubblica consultazione non impedì accese discussioni, in particolare sul diritto delle persone, successioni e famiglia, questi dissensi impedirono l’assunzione di decisioni di ampia portata fino al 1792, quando intervenne l’approvazione della carta costituzionale: i rovesci nella guerra contro Austria e Prussia, i moti insurrezionali e i tempestosi avvenimenti culminati nell’arresto di Luigi XVI e nei c.d. massacri di settembre provocarono una svolta dell’Assemblea Costituente, operante con 1\3 dei suoi membri, privata dei suoi esponenti più autorevoli di area moderata (eliminati fisicamente). La nuova stagione legislativa. In breve furono apportate importanti misure settoriali che avviarono una stagione legislativa caratterizzata dall’applicazione rigorosa dei principi di eguaglianza, laicizzazione della società e interventismo statale, si segnalano due dècrets de principe, che fissano criteri generali destinati ad essere applicati nella successiva attività legislativa: il decreto 25 agosto 1792, che proclama l’abolizione delle sostituzioni fedecommissarie e il decreto 28 agosto 1792, che vieta l’esercizio della patria podestà nei confronti dei >21 anni (molto rilevante nel Mezzogiorno, la patria potestà aveva carattere vitalizio). Significativi sono poi due decreti deliberati l’ultimo giorno d’attività dell’Assemblea Legislativa (1792): il Dècret qui determine les causes, le mode et les effets du divorce e il Dècret qui determine le mode de constater l’ètat civil des citoyens; questi due provv. sono la diretta conseguenza delle affermazioni contenute nell’art.7 Cost. (1791), che recita: “la legge considera il matrimonio solo come contratto civile; il potere legislativo stabilirà per tutti gli abitanti, senza distinzione, il modo con cui saranno constatate nascite, matrimoni e morti e designerà gli uffici pubblici che ne riceveranno e conserveranno gli atti”; il 1° introdusse il divorzio, ammesso: a) in caso di mutuo consenso; b) per una delle cause previste in un apposito elenco, es. demenza, condanna a pena afflittiva o infamante, crimini, sevizie, ingiurie gravi, sregolatezza dei costumi, abbandono del domicilio, assenza o mancanza di notizie per 5 anni, emigrazione politica (con questa ultima si volle colpire chi abbandonò il suolo francese in odio al regime rivoluzionario); c) per “incompatibilitè d’humeur et de caractère” tra coniugi (pressoché liberalizzazione dell’istituto). Il 2° istituì presso le singole municipalità gli uffici dello stato civile, cui spettava tenuta e aggiornamento dei registri di nascita, matrimonio e morte, un ambito tradizionalmente riservato alle istituzioni ecclesiastiche in cui irruppe lo Stato, il Decreto non impedì alle gerarchie ecclesiastiche di continuare a tenere i i libri baptizatorum, matrimoniorum e defunctorum per scopi religiosi e di culto, ma attribuì allo Stato una fondamentale f(x) di organizzazione e controllo. PROPRIETA’ E DIRITTI REALI La proprietà come diritto naturale. L’avvio delle riforme civilistiche interessò i diritti reali, la proprietà era stata individuata tra gli essenziali diritti naturali dell’uomo da una corrente di pensiero dell’illuminismo giusnaturalista, secondo Locke: “il diritto alla libertà e alla proprietà sono inscindibili dalla natura umana, la proprietà consiste nella libertà di disporre come si voglia della propria persona e dei propri beni contro ogni tipo di minaccia da parte degli altri”. Proprietà, Dichiarazione dei diritti, Costituzione. La proprietà fu riconosciuta come diritto naturale e imprescrittibile, inviolabile e sacro già nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) e dalla Cost. del 1791. Ex art.2 Dichiarazione: “il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo: libertà, proprietà, sicurezza e resistenza all’oppressione” ex art.17: “la proprietà è un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo la pubblica necessità lo esiga e a condizione di una giusta e preventiva indennità”. I provv. messi in atto dal legislatore assursero a simbolo del distacco dalle situazioni di privilegio che caratterizzavano l’Ancien Régime. La fine delle istituzioni feudali. Dopo la c.d. grande nuit (1789), i deputati di nobiltà e clero e poi quelli di province e città, riuniti a Versailles, rinunciarono teatralmente ai rispettivi privilegi signorili e fiscali, l’Assemblea proclamò l’abolizione del regime feudale e di ogni immunità e privilegio, decise l’abolizione delle servitù personali e fissò il principio d’eguaglianza in materia tributaria; tali decisioni comportarono l’abolizione a titolo gratuito dei diritti onorifici (banco in Chiesa, stemma di famiglia) e dei diritti comportanti l’esercizio di pubblici poteri, mentre condizionarono la soppressione dei diritti di natura reale o obbligatoria (censi, rendite, decime sul raccolto) al pagamento di un riscatto (scelta di compromesso fonte di violentissime polemiche che si trascinarono fino al 1973, quando una legge approvata dalla Conv. montagnarda eliminò ogni distinzione tra diritti d’origine feudale e signorile e ne sanzionò la soppressione). L’abolizione della manomorta ecclesiastica. Un decreto dell’Assemblea Costituente (1789) sancì la nazionalizzazione e messa in vendita dei beni appartenenti ad istituzioni ecclesiastiche, su proposta di Talleyrand, per colmare il deficit dello Stato, che s’accollava le spese di culto e il mantenimento di sacerdoti ed istituzioni ospedaliere (la vendita di dei beni ecclesiastici avveniva con modalità stabilite da un successivo decreto del 1790). A ciò si accompagnò la parziale eliminazione delle antiche e diffuse proprietà collettive delle comunità locali e di villaggio, realizzata con la suddivisione delle stesse tra gli abitanti. Queste norme favorirono libera disponibilità, redistribuzione e diffusione del dominio fondiario e si accordarono pienamente coi presupposti ideologici di matrice lockiana, spianando la strada a una disciplina di proprietà e diritti reali nuova rispetto agli aspetti consolidatisi durante l’Ancien Règime. 4. Il Comitato di legislazione La politica legislativa della Convenzione nazionale. Nel 1792 iniziò i propri lavori la Conv. Nazionale, subentrata all’Assemblea Legislativa in seguito ai rivolgimenti politici; nel 1° periodo di attività, proseguì nel livellamento sociale, es. sono: a) la legge atta a rendere operativa l’abolizione delle sostituzioni fedecommissarie; b) il dècret de principe fece venir meno il diritto di testare e stabilì in capo a tutti i discendenti un uguale diritto alla successione nei beni dell’ascendente; c) il dècret de principe che riconobbe il diritto di succedere ai figli nati fuori dal matrimonio. Il ruolo e la composizione del Comitato di Legislazione. In un 2° momento si avviò il 1° tentativo di porre in essere quel testo generale e onnicomprensivo auspicato dalle prime fasi della riv. e presto divenuto ogg. di un preciso obbligo costituzionale, il 1° progetto di codice civile prese forma nell’estate 1973 nell’ambito del Comitato di Legislazione della Conv. Nazionale, incaricato di elaborare progetti legislativi e composto da 48 membri, tra cui rappresentanti del diritto d’Ancien Règime, es. Merlin e Garran de Coulon. Il presidente era Cambacérès (1753-1824), affiliato alla massoneria, nel 1789 membro supplente agli Stati generali, si schierò con gli autori del colpo di Stato termidoriano (1794) e divenne presidente del Comitato di salute pubblica, poi Ministro della Giustizia, Bonaparte lo nominò 2° Console della Repubblica, nel giro di pochissimi anni redasse 3 progetti di codice civile. 5. Il 1° progetto: dalla politica al diritto L’elaborazione del 1° progetto. Il 1° progetto di cod. civ. fu messo a punto dal Comitato di Legislazione della Conv. Nazionale nel 1793, dopo la sconfitta dei girondini e la presa di potere da parte dei giacobini guidati da Robespierre e Saint-Just. I lavori erano stati divisi tra 4 sez. dello stesso Comitato: 1) stato civile, famiglia e matrimonio; 2) successioni, figli naturali e adozione; 3) donazioni, sostituzioni e testamenti; 4) convenzioni, ipoteche e feudi. Il testo fu corredato da un Rapport di Cambacérès, constava di 719 art. divisi in 3 libri dedicati a persone, cose e contratti (il IV libro dedicato alle azioni non fu mai realizzato) secondo una sistematica che affonda le radici nella rilettura dei giusnaturalisti delle Institutiones di Giustiniano. Il testo intense dar concreta applicazione ai principi di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e fu destinato ad esercitare un influsso non secondario sulla stesura definitiva del Code Napoleone; parve rispondente ai principi della ragione e dotato dei caratteri dell’unità e semplicità del diritto. Senza pretendere di esser completo, il progetto propose una rivoluzione nel diritto delle persone e della famiglia, provvide all’abolizione della patria potestà e della potestà maritale, introducendo l’amministrazione comune dei beni da parte dei coniugi e facilitando il divorzio, liberandolo da ogni vincolo che non fosse la comune volontà di convivere (bastava la semplice domanda di una parte, senza addurre alcuna motivazione). In materia successoria trionfò la successione legittima, i figli naturali riconosciuti volontariamente dal padre e non adulterini furono equiparati a quelli legittimi. La disciplina di beni ed obbligazioni costituì il riflesso della dominante dottrina sviluppatasi in tali materie alla fine dell’Ancien Règime (razionalizzazione operata da Pothier) e si mosse nella prospettiva individualista di esaltazione della volontà del singolo. 6. L’accantonamento del 1° progetto Purgare il codice dai pregiudizi degli uomini di legge: la svolta del 13 brumaio anno II. Il dibattito sul progetto, accolto con favore dalla maggioranza dei membri della Conv., si protrasse a lungo, venne approvata una buona parte degli articoli, ma rimasero in sospeso le questioni più delicate. La seduta del 13 brumaio anno II (03/11/1793) segnò, però, una netta svolta nei lavori della Conv. I deputati giudicarono il testo lato troppo complesso e legato al tradizionale tecnicismo giuridico, non sufficientemente comprensibile per il comune cittadino e non ancora libero dai condizionamenti del diritto d’Ancien Règime. Tra i membri della commissione, l’esponente di spicco fu e Couthon, fedele seguace di Robespierre che morirà ghigliottinato. Le lois de combat dell’anno II. Due frammenti del progetto entrarono in vigore, pur con talune modifiche: i decreti del 12 brumaio anno II (1793), che parificarono i diritti successori dei figli naturali non adulterini o incestuosi a quelli dei figli legittimi, e del 17 nevoso anno II (1794), di riforma del regime della donazione e del testamento. I due decreti rientrano tra le c.d. lois de combat dell’anno II, con le quali la Conv. intese avviare una radicale riforma della società e dei rapporti familiari, la peculiarità dei due provv. stava nel fatto che avevano entrambi effetto retroattivo al giorno della presa della Bastiglia, prescrivevano la nullità delle successioni aperte dopo il 14 luglio 1789 e di donazioni e testamenti posti in esser dopo tal data. 7. Verso il 2° progetto: il contributo di Philippe Antoine Merlin Ancora Cambacérès. La delibera che affida il riesame del progetto di cod. civ. a una commissione di Philosophes fu destinata a rimanere sulla carta, i 6 commissari non passarono mai alla fase operativa; il lavoro di revisione fu portato avanti, ma ancora entro il Comitato di Legislazione della Conv., che continuò a riunirsi sotto la presidenza di Cambacérès, che si avvarrà della collaborazione di uno dei più notevoli giuristi della rivoluzione, Merlin, che, come membro dell’Assemblea Costituente, elaborò i provv. sull’abolizione del regime feudale ed entrò nel Comitato di salute pubblica, realizzò il progetto del Codice dei delitti e delle pene (1795), poi fu nominato Ministro di prima Giustizia e divenne membro del Direttorio fino al 1799. 8. Il 2° progetto: un’introduzione filosofica al diritto. Un ritardo fatale. Tra primavera ed estate del 1794, Cambacérès, con Couthon e Merlin, fu impegnato da una complessa opera di riordino e classificazione di oltre 10.000 provv. prodotti dalle assemblee legislative rivoluzionarie, ma, solo il 09/09 fu in grado di presentare alla Conv. il 2° progetto, accompagnandolo con un apposito Rappor (poco dopo la c.d. reazione di Termidoro e la caduta di Robespierre). Il breviario del radicalismo giusnaturalista. Il testo comprende 297 articoli divisi in tre libri secondo la consueta tripartizione persone-beni-obbligazioni, i rapporti del cittadino con la società furono regolati dalla Cost. del 1793 (mai applicata) e l’opera doveva esser completata stabilendo “i rapporti dei cittadini tra loro secondo i principi sanzionati dalla ragione e garantiti dalla libertà”. Breviario del radicalismo giusnaturalista, il 2° progetto segnò il punto di distacco dalla tradizione consuetudinaria e portò a estreme conseguenze i principi di libertà e uguaglianza. Le più significative caratteristiche di questo progetto sono individuabili: a) lo stile laconico; b) il tentativo di abbandonare ogni forma di tecnicismo giuridico; c) la stessa idea della f(x) del codice, concepito come un code de principes, ordinata enumerazione di principi e leggi fondamentali che avrebbero dovuto ispirare i successivi legislatori, il progetto si presenta come un insieme di scarne prescrizioni di carattere generale che, lacunose e largamente insufficienti per delineare una compiuta disciplina della materia civilistica, danno vita a un codice capace di abbattere mediante la ragione la “tirannia della tradizione giuridica” e di attuare l’ideale della accessibilità della giustizia; ma esso non ebbe fortuna, espressione della fiducia illuministica nella legislazione come mezzo per rigenerare la società e garantire la felicità del popolo, fu sottoposto alla discussione dell’assemblea dopo l’ eliminazione del gruppo di potere guidato da Robespierre, Saint-Just e Couthon e andò dunque incontro a un rapido rigetto, nel dicembre 1794 tacitamente abbandonato, superato dai tumultuosi avvenimenti. La Commissione, che aveva giudicato il 1° progetto “troppo lungo”, respinse il 2° per l’eccessiva brevità, lo stesso Cambacérès, 2 anni più tardi, lo descriverà come “un indice di materie” più che come codice di leggi civili. 9. Il 3° progetto: il ritorno al giuridico La Costituzione dell’anno III. La conseguenza della reazione di Termidoro e della caduta del regime giacobino fu una nuova Carta Cost. (1795), c.d. Constitution de l’an III, in applicazione della quale, la Conv. Nazionale fu sostituita da un Direttorio esecutivo e da 2 consigli legislativi, il Consiglio dei 500 e Consiglio degli Anziani, incaricati dell’elaborazione e dell’approvazione delle leggi e fu intrapresa un’opera di smantellamento di molte lois de combat del periodo giacobino (1° obiettivo fu l’effetto retroattivo al 14/07/1789 dei decreti del 12 brumaio anno II concernenti la parificazione ai figli legittimi dei figli naturali non adulterini o incestuosi e del 17 nevoso anno II, relativo alle materie delle donazioni e dei testamenti). La redazione del 3° progetto fu ancora affidata a Cambacérès, rieletto deputato in seno al Consiglio dei 500, incaricato dalla Conv. di fare il punto sulla situazione legislativa del Paese e di stilare un rapporto sullo stato della codificazione civile. Il progetto del 1796. Il testo, fu presentato da Cambacérès al Consiglio dei 500 il 12 giugno 1796, corredato da un articolato Discours préliminaire ove è possibile ravvisare l’ ambiguità di Cambacérès, che invocò l’autorità del diritto romano, della Coutume di Parigi e dell’opera di Pothier. Il 3° progetto segnò il riaffacciarsi nella legislazione della tradizione giuridica romanistica e consuetudinaria, l’abbandono delle posizioni estreme e il ritorno del compromesso tra tradizione e innovazione da cui scaturirà il Code Civil. Struttura e contenuti. Il nuovo progetto annoverava 1104 art. distribuiti secondo la divisione ormai consolidata, evidente un’accurata ricerca di chiarezza, concretezza e precisione tecnica il ritorno a un vocabolario pienamente giuridico. Il testo presentava una rinnovata ispirazione alle dottrine del diritto naturale (v. sintesi razionalista di Pothier), il matrimonio fu collocato “au premier rang de la societé”, il divorzio mantenuto ma “moralizzato”, al marito fu restituito un ruolo prevalente nell’amm. dei beni della famiglia e furono reintrodotte forme di parziale incapacità in capo alla donna sposata, la patria potestà era un “dovere di protezione”, l’adozione vietata a chi avesse figli; in materia successoria si nota una meno marcata ostilità nei confronti della facoltà di testare e una tendenza a distinguere il diritto dei figli legittimi da quelli naturali e adottivi, cui spettava metà della porzione ereditaria. Assoluta la centralità attribuita alla proprietà e della volontà individuale in ordine ai diritti reali e alle obbligazioni. 10. Un nuovo scacco. Un progetto nato vecchio. Il lavoro dettagliato risulta tutt’altro che povero di pregi formali e sostanziali e che per questo sarà tenuto in gran considerazione dai redattori del Codice Napoleone, ma, il progetto nacque vecchio, superato dagli avvenimenti e legato a scelte ideologiche proprie del periodo giacobino, dalle quali la Francia del Direttorio si stava allontanando. Nel Consiglio dei 500 si manifestò un ampio dissenso su taluni punti nodali: divorzio, estensione dei diritti spettanti ai figli naturali, disciplina delle successioni, si delineò l’idea che la restaurazione della patria potestà costituisse uno strumento indispensabile per la stabilizzazione dello Stato; in un rapporto sulle modifiche da apportare al regime del divorzio, Portalis affermò che solo “migliorando il governo della famiglia sarà possibile consolidare quello dello Stato”. Cronologia di un fallimento. Il 1o dicembre 1796, nel Consiglio dei 500 ebbero luogo le 3 letture del progetto di codice civile previste dall’iter legislativo disciplinato dalla Cost. dell’anno III; la discussione si interruppe definitivamente nel 1797, dopo che lo stesso Cambacérès propose l’aggiornamento del progetto, del quale erano stati approvati due soli articoli. 11. Il piano di codificazione di Jean-Ignace Jacqueminot La “dangerouse ambition de faire un nuveau code civil”. Tra il 1797 e il 1799 il dibattito non venne meno e le posizioni apparvero estremamente articolate, Portalis auspicò, per le obbligazioni, un ritorno alle massime antiche (principi del diritto romano), invitò a rinunciare alla “dangereuse ambition de faire un nuveau code civil”, ma sarà proprio lui nel giro di pochi anni uno dei principali artefici del Code Civil. La commissione Jacqueminot. Nel 1798, Jacqueminot illustrò in un Rapport al Consiglio dei 500 il programma per una nuova commissione speciale incaricata di presentare un progetto di codice civile, essa era formata da veterani della Riv. e figure minori, la guida dei lavori fu affidata a Jacqueminot, che mostrò di voler procedere con prudenza, propose di redigere un code par parties, una serie di leggi particolari relative ai singoli rami della materia civilistica destinate a entrare in vigore separatamente e a confluire poi in un unico codice (leggi dedicate a matrimonio, diritti dei coniugi, divorzio, paternità, filiazione legittima, figli nati fuori dal matrimonio, ecc.), il piano di lavoro illustrato nel Rapporto contemplava la divisione dei compiti tra i vari membri della commissione. Questo lavoro costituirà la base del progetto che lo stesso Jacqueminot avrà modo di presentare al debutto del Consolato. Il Code hypothécaire. Il Code hypothécaire fu un testo d’alto livello che dimostra le notevoli capacità dei giuristi post-termidoriani, è formato da tre leggi alla cui elaborazione partecipò Jacqueminot, la disciplina è basata sui due principi diffusi nelle coutumes del Nord della Francia: il principio della specialità, secondo cui l’ipoteca può esser costituita solo su beni determinati in modo specifico e il principio della pubblicità immobiliare, secondo cui l’ ipoteca dev’esser iscritta sui pubblici registri. La disciplina dell’ipoteca provocò dissensi tra i redattori del Code Civil del 1804, che, dopo discussioni, decisero per il principio di segretezza dell’ipoteca, nel timore di esporre a pubblica derisione tante famiglie altrimenti oneste e onorate, ai principi del Code hypothécaire si ritornerà in Francia solo nel 1855. 12. I progetti Target e Guillemot Il prototipo del giurista napoleonico: Guy Jean-Baptiste Target. Il 4° progetto di codice civile fu messo a punto tra fine 1798 e inizio 1799 da Target, che partecipò alla redazione della Dichiarazione dei Diritti del 1789 e della Cost. del 1791, di formazione giansenista, figlio della cultura dei Lumi. Un modello di style spartiate. Il progetto lascerà traccia di sé nel testo definitivo del Code Civil, es. nella disciplina della costituzione in mora e della presunzione di paternità; è composto da 212 art. e le materie vi son distribuite sulla base della tripartizione gaiano-giustinianea. La disciplina appare completa e ben definita grazie all’ abilità dell’autore, la concisione precettiva e la formulazione apodittica delle norme costituiscono il pregio di > evidenza in questo progetto. Persone e famiglia. La disciplina di persone e famiglia riprende concezioni tradizionaliste spesso informate all’antico droit coutumier (in particolare alla Coutume di Parigi), la disparità di trattamento tra figli legittimi e figli naturali fu di nuovo accentuata, mentre la puissance paternelle pienamente ristabilita, la donna sposata appare circondata da una serie di incapacità ed è attribuita solo marito l’amm. del patrimonio familiare, l’adozione fu consentita solo ai coniugi senza figli, il divorzio conservato, ma scoraggiato da ostruzionismi formali. Proprietà, successioni e obbligazioni. Come negli altri progetti e nello stesso Code Civil, la proprietà gioca un ruolo centrale anche nel progetto Targe, che tende a vedere nella proprietà un’istituzione sociale piuttosto che un diritto naturale e che dunque ne contempera l’assolutezza coi richiami alle esigenze dell’interesse comune, foriero di > ingerenza dello Stato, un cambiamento d’indirizzo che segnò un momento di discontinuità rispetto all’avvio della fase rivoluzionaria. Il progetto, contrariamente a quanto accade in testi del periodo, si astiene dal fornire una definizione di proprietà, Target ritenne sufficiente la formula contenuta nella Déclaration des droits er des devoirs premessa alla Cost. dell’anno III. Quanto alle successioni, il progetto fu abbastanza legato al sistema successorio della Riv., considerato non come strumento (giacobino) di livellamento della società, ma mezzo (fisiocratico) per favorire la circolazione dei beni. Scarna è la disciplina delle obbligazioni. Il progetto di codice delle successioni di Jean Guillermot. Contemporaneo è un progetto di codice delle successioni presentato al Consiglio degli Anziani nel 1799 da Guillemot, uno degli artefici del 3° progetto Cambacérès, un’iniziativa privata vicina dal punto di vista ideologico al progetto Target, interprete delle medesime concezioni pessimistiche che guardano alla legge come un rigido strumento pedagogico. Il testo comprende 244 art. preceduti da un lungo Discours préliminaire, propone una serie di norme tese a demolire la legislazione giacobina; non ebbe alcuna conseguenza concreta sull’immediato ma fu spia del mutamento di concezioni. 13. Il progetto Jacqueminot Il colpo di Stato del 18 brumaio. L’avvenimento principale spartiacque nelle vicende politiche e giuridiche della Francia rivoluzionaria fu la presa di potere da parte del generale Bonaparte in seguito al colpo di Stato del 18 brumaio anno VIII (09/11/1799), Napoleone conquistò il vertice dello Stato col favore di chi in Francia ritenne indispensabile riformare la Cost. dell’anno III rendendo definitive alcune conquiste dell’89. La conquista del potere di Napoleone presentò specifici caratteri, il 1° sta nel rapporto che s’instaurò tra Bonaparte e gli hommes de loi, la ricerca del consenso dei professionisti del diritto, Napoleone intuì i vantaggi di avere dalla propria parte i tecnici del diritto in grado di legittimare il proprio potere e di fornire gli strumenti per la gestione e la conservazione dello stesso; il 2° carattere è rappresentato dalla volontà politica del Primo Console di dar vita a una compiuta e rinnovata legislazione statuale concepita come mezzo di autocelebrazione, che sfociò nella realizzazione di un codice civile, base del nuovo Stato autocratico. L’elaborazione del projet Jacqueminot. All’ascesa di Napoleone è collegato un ulteriore incompleto progetto di codice civile destinato a svolgere un ruolo rilevante, presentato nel 1799 da Jacqueminot. Dopo il colpo di Stato del 18 brumaio una commissione guidata da Napoleone rimpiazzò temporaneamente il Direttorio e il giorno dopo, in seno a Consiglio dei 500 e Consiglio degli Anziani, nacquero 2 Commissioni Legislative provvisorie che sostituirono le due assemblee e furono incaricate di prendere in esame gli affari più urgenti in attesa della redazione di una nuova Cost., tra cui il progetto del nuovo codice civile, la cui redazione fu affidata a una apposita sez. presieduta da Jacqueminot; i membri di questa sez., supportati dal Ministro della Giustizia Cambacérès, elaborarono un piano di lavoro e si ddivisero i compiti in modo che a ognuno spettasse l’elaborazione di un settore del testo. Quattro gg prima della data prevista per lo scioglimento della Commissione Legislativa provvisoria Jacqueminot presentò l’insieme del materiale normativo elaborato fino a quel momento, una decina di titoli frutto anche dell’elaborazione di Jacqueminot prima del 18 brumaio, essi concernevano: a) matrimonio; b) maggiore età e interdizione; c) minori, tutela, ed emancipazione; d) donazioni tra vivi e per causa di morte; e) successioni; f) rapporti patrimoniali tra coniugi. Altri 3 son stati individuati di recente: g) patria potestà; h) divorzio; i) paternità e filiazione. A questi 9 titoli possiamo aggiungere quello relativo l) agli atti di stato civile. Si tratta, nel complesso, di un corpo di circa 900 articoli, che Jaqueminot accompagnò con una relazione di poche pagine (Idées Préliminaires). Il punto di arrivo del revirement termidoriano. Nel testo del progetto si manifestano con evidenza i mutamenti intervenuti dopo il colpo di Stato, es. l’attribuzione al padre del diritto di far incarcerare il figlio ribelle, il trionfo della potestà maritale e il soffocamento della condizione giuridica della donna, ulteriori le restrizioni al divorzio. Le novità politiche si rifletterono su altri rami del diritto civile, sulle concezioni relative alla proprietà nella quale si tese a vedere più un’istituzione sociale che un diritto naturale, e furono il diritto di famiglia e successorio l’ogg. privilegiato di un intervento atto a rimediare a squilibri sociali. Il Code Civil in anteprima. Il frammentario progetto si presentò curato nei dettagli, con una disciplina approfondita delle materie trattate, derivò molti suoi contenuti dall’opera di Pothier; ma non fu mai preso in considerazione dalle assemblee legislative che, negli stessi mesi, attraversarono un momento di transizione caratterizzato da profondi rivolgimenti costituzionali; nonostante ciò, esercitò, ancor più del 3° progetto Canbacérès, un’influenza rilevante sulle successive vicende di elaborazione legislativa, il projet Jacqueminot fu già, in anteprima, il Codice napoleone. 14. Il Droit intermédiaire Un “laboratorio di legislazione”. I giuristi di professione si riappropriarono e di quelle f(x) che avevano dovuto cedere ai “filosofi” della riv. e il testo di Jacqueminot concluse la prima fase dell’opera di codificazione civile, le vicende di quegli anni non portarono ad alcun risultato, ma contribuirono alla progressiva emersione dell’idea moderna di codice; nel periodo 1789-1799 alla mancanza di risultati sul piano della codificazione corrispose una copiosissima attività normativa di carattere settoriale, c.d., Droit intermédiaire, collocata cronologicamente tra il crollo delle strutture giuridiche d’Ancien Régime e la nascita della nuova base codicistica; tale laboratorio di legislazione contribuì a preparare il terreno per tutta la codificazione ottocentesca, fu ispirato ai principi di libertà e uguaglianza del singolo di fronte alla legge e di razionalità e laicità del diritto, risultato più duraturo della speculazione giuridica illuminista. Il retaggio del Droit intermédiaire. Fanno parte di questa stagione legislativa controversa, incoerente ma memorabile, numerosi provv. di grande valore, accanto decreti che soppressero privilegi e vincoli feudali, vi furono le leggi che abolirono la schiavitù e ogni altra forma di asservimento, i provv. che cancellarono le discriminazioni in materia di religione, le prescrizioni che eliminarono le ineguaglianze dovute a nazionalità, al ceto o status sociale, e infine le regole che introdussero la libertà di lavoro e la libertà di commercio. IL CODE CIVIL DES FRANÇAIS 1. La Commissione dell’anno VIII. “La Rivoluzione è finita”. Tra le cause degli insuccessi dei tentativi di codificazione, oltre ai problemi tecnici e ideologici, vi fu la mancanza di una precisa volontà politica tesa alla realizzazione di una compiuta legislazione civile, che si manifestò in modo non equivoco solo dopo il colpo di Stato del 18 brumaio anno VIII. Il 15 dicembre 1799 il Primo Console Bonaparte, presentando alla nazione il testo della nuova Cost., poté affermare: “la Riv. è finita”, ma la graduale trasformazione della Repubblica in uno Stato accentrato a vocazione imperiale non comportò il totale abbandono delle conquiste politiche innescate dai fatti del 1789. La creazione e la composizione della commissione dell’anno VIII. Nel 1800, Napoleone sottoscrisse un decreto che istituì presso il Ministero della Giustizia una commissione incaricata della redazione, entro il 21/11, di un codice civile, questa era formata da 4 magistrati di diversa estrazione culturale, ma legati dalle comuni tendenze liberali: Tronchet, Portalis, Préameneu e Maleville; presidente per anzianità fu Tronchet, ma l’animatore della commissione fu Portalis. 2. Jean Etienne Marie Portalis Uno spirito giansenista alla prova della Rivoluzione. Portalis pubblicò un opuscolo Sur la distinction des deux puissances spiritelle et temporelle nel quale affermò la necessità di un’unione, o di uno stretto rapporto, tra Stato e Chiesa. Nel 1770 sostenne, anticipando le scelte dei legislatori rivoluzionari, che il matrimonio è un istituto di diritto naturale e che la sua esistenza è indipendente dalla consacrazione religiosa. In esilio approfondì la conoscenza del pensiero kantiano e compose la sua opera più nota, il saggio De l’usage et de l’abus de l’esprit philosophique au XVIII siecle. Rientrato in Francia dopo il colpo di Stato del 18 brumaio, fu inserito da Napoleone nel Consiglio di Stato, curò la realizzazione del Concordato tra Francia e Santa Sede nel 1801 e fu nominato Ministro dei culti. 3. Diritto e politica nella Commissione dell’anno VIII La formazione giuridica e le convinzioni ideologiche dei quattro commissari. Comuni ai giuristi della commissione consolare furono le basi concettuali e dogmatiche di ispirazione razionalista, dalle opere Domat, Bourjon e Pothier, nonchè il moderatismo ideologico. Nel saggio scritto da Portalis durante l’esilio egli respinse la radicalizzazione utopistica dei principi di libertà e eguaglianza operata dai rivoluzionari e ritenne che quegli stessi principi potessero essere realizzati attingendo a saggezza e moderazione, ogni ricorso alla forza è inconciliabile col ristabilimento della giustizia, Portalis sostenne quello spirito di accordo tra tradizione e rivoluzione che costituirà la base filosofica del Codice napoleone. 4. Il progetto dell’anno IX e il Discours préliminaire di Portalis I lavori della Commissione. I 4 giuristi si misero all’opera dividendosi il lavoro e non esitarono ad attingere da progetti del decennio rivoluzionario (da Target e Cambacérès), si appropriarono in gran parte del progetto Jacqueminot. Nel giro di 4 mesi il nuovo progetto fu pronto e celermente inviato al Tribunale di Cassazione e a tutti i 28 tribunali d’appello della Repubblica, invitati a esprimere in tempi brevi il loro parere, una copia del progetto fu depositata presso il Consiglio di Stato. Una pietra miliare nella storia della codificazione civile: il Discours préliminaire di Portalis. Il progetto è correlato da un celeberrimo discorso preliminare, sottoscritto dai 4 commissari, ivi vennero delineati i caratteri principali del lavoro svolto, i presupposti ideologici che caratterizzarono le scelte della commissione e la stessa filosofia di lavoro dei 4 giuristi, espressa da Portalis con la massima secondo la quale: “è utile conservare tutto ciò che non può esser distrutto”, Portalis descrisse la situazione giuridica della Francia prerivoluzionaria come un immenso caos di leggi e consuetudini contraddittorie, un “dedalo misterioso” di privilegi, sottolineò come la realizzazione di una legislazione generale e uniforme dovesse esser considerata un gran merito della Riv. e dimostrò fiducia illuminista in una giustizia naturale e nella possibilità di positivizzarla, non solo grazie alle astratte teorie dei philosophes, ma alle massime antiche, spirito dei secoli. L’ opera legislativa della commissione si fondò sul recupero e fusione di diritto romano e droit coutumier e sullo sfruttamento delle grandi risistemazioni razionaliste, e in primo luogo sull’opera di Domat e di Pothier. 5. Il cammino costituzionale del progetto L’ iter legislativo previsto dalla Costituzione dell’anno VIII. La Cost. consolare del 1799 prescrisse che ogni progetto di legge fosse: a) discusso e predisposto dal Consiglio di Stato sotto la direzione dei Consoli; b) dibattuto (non votato) dal Tribunato; c) approvato o respinto (non discusso o modificato) dal Corpo legislativo, sentiti i rappresentanti di Governo e Tribunato. Napoleone riduce al silenzio gli oppositori. In un 1° tempo il progetto incontrò seri ostacoli a livello parlamentare, i primi titoli furono respinti dal Corpo legislativo dietro raccomandazione del Tribunato, ove sedevano elementi fedeli al radicalismo rivoluzionario; Bonaparte, nel 1802, comunicò al Corpo legislativo la sospensione dei lavori delle assemblee parlamentari e svolse un’energica opera di convinzione presso il Tribunato, dal quale furono allontanati alcuni membri, che presto ricominciò dall’inizio l’esame del progetto e i lavori proseguirono senza intoppi. Il progetto fu discusso settorialmente, il testo presentato alla commissione fu diviso in 37 progetti di legge, corrispondenti ai singoli titoli del codice, ognuno fu preso in considerazione separatamente e, dopo aver seguito il cammino previsto fu promulgato ed entrò in vigore come legge speciale a sé stante. 6. Il Consiglio di Stato I due momenti della discussione in Consiglio di Stato. Alla discussione del Consiglio di Stato assistettero i 4 redattori del progetto, tra i consiglieri più autorevoli il 1° posto spetta al vicepresidente Cambacérès, che guidò il Consiglio quando Napoleone non era presente. Pietro Gaetano Galli della Loggia, funse da portavoce a Parigi degli interessi dei territori subalpini passati sotto l’amministrazione francese. 7. Il dibattito in Consiglio di Stato Il contributo di Napoleone. Il Consiglio dedicò al progetto di codice civile 102 sedute, 57 presiedute dallo stesso Napoleone, che si avvalse dell’assistenza di Merlin, la cui partecipazione attiva, non episodica, può esser considerata determinante, espressione della concreta volontà politica decisiva per l’esito dei lavori di codificazione; tangibili la non comune chiarezza del dettato legislativo e la presenza di soluzioni normative talora conformi alla tradizione romanistica o consuetudinaria (ma non mancarono dibattiti coi sostenitori delle consuetudini del nord e i giuristi originari dei pays de droit écrit). 8. La promulgazione del Code Civil des français La Loi du 30 ventôse an XII (21 marzo 1804). Le discussioni frazionate per titoli proseguirono fino a marzo 1804 e portarono alla pubblicazione di 37 leggi speciali che entrano in vigore come normative a sé stanti e poi fuse come unico codice (Code Civil des Français) dalla celeberrima Loi du 30 ventôse an XII “contenente la riunione delle leggi civili in un sol corpo”, il cui art.7 affermò: “a partire dal giorno in cui queste leggi entrano in vigore, le leggi romane, le ordinanze, le consuetudini generali e locali, gli statuti, i regolamenti, cessano di avere forza di legge generale o particolare nelle materie oggetto delle dette leggi che formano il presente Codice”.Tre anni dopo un decreto imperiale attribuì al Codice Civile francese la celebrativa denominazione di Code Napoléon e fu pubblicata la 2° edizione del Codice che, oltre alla diversa intitolazione, presentava una serie di modifiche meramente formali, conseguenti alla trasformazione della Repubblica in Impero. Nel 1814, alla caduta di napoleone, il codice fu mantenuto in vigore, ma riprese l’originale denominazione di Code Civil, nel 1852, dopo la presa di potere di Napoleone III riassunse l’intitolazione ufficiale di Code Napoléon, nel 1870, con la terza Repubblica, tornò al nome oggi vigente. LA STRUTTURA E LE SCELTE NORMATIVE DEL CODE CIVIL 1. La struttura del Code Civil I pregi formali e la distribuzione delle materie nel Code civil. Il Code Civil è caratterizzato da una forma espositiva di singolare limpidezza, da una concisa chiarezza e una terminologia di immediata accessibilità. Il testo del 1804 era composto da 2281 articoli distribuiti in tre libri preceduti da un Titolo preliminare, De la publication, des effets et de l’application des lois en général. Gli 11 titoli del I Libro, Des personnes, disciplinavano stato civile, matrimonio, divorzio, paternità, filiazione, adozione, patria potestà e la tutela. I 4 titoli del II Libro, Des biens et des différentes modifications de la propriétè, riguardavano il regime dei beni, proprietà, diritti reali sui beni altrui (usufrutto, uso, abitazione) e servitù prediali. Il III Libro, raccoglieva in 20 titoli successioni, contratti, obbligazioni convenzionali in generale, obbligazioni nascenti da usi, contratto, delitto o quasi delitto, rapporti patrimoniali tra coniugi, contratti tipici, fideiussione, transazioni, arresto personale in materia civile, pegno, anticresi, privilegi ed ipoteche, espropriazione forzata. La tripartizione personae-res-actiones. La struttura non si discostò molto dai progetti realizzati in età rivoluzionaria, es. di Cambacèrés, in base alla tripartizione gaiano-giustinianea riutilizzata alla luce del pensiero giuridico razionalista e giusnaturalista: 1) diritti delle persone, 2) diritti reali: a) proprietà; b) altri diritti reali; 3) acquisto della proprietà: a) successioni e testamenti; b) obbligazioni. Cambacérès, nel Rapport presentato alla Conv., illustrò la sistematica del II progetto: “Tre son le cose necessarie e sufficienti all’uomo nella società: esser padrone della propria persona, aver dei beni per far fronte ai propri bisogni e poter disporre, in vista del rispettivo massimo interesse, della propria persona e dei propri beni. Tutti i diritti civili si riducono ai diritti di libertà, proprietà e di contrattare; così, persone, proprietà e convenzioni sono i tre oggetti della legislazione civile”. 2. Il titolo preliminare Il primato della codificazione civile. Nel codice vi furono 6 articoli dedicati alla legge in generale (Titolo Preliminare), con contenuto prevalentemente pubblicistico, raccordarono la disciplina civilistica col resto della produzione normativa statuale, postulano il primato della codificazione civile sui restanti rami della legislazione, il codice civile deve contenere lo statuto dei privati e la Cost. fissare lo statuto della comunità organizzata, il 1° espressione del garantismo nelle relazioni tra individui, il 2° nelle relazioni con lo Stato. Il principio di irretroattività. Il Titolo Preliminare fissò il principio cardine dell’irretroattività della legge, con un dettato che sembra riecheggiarle polemiche post-termidoriane contro il famigerato effet rétroactif di alcune lois de combat del periodo giacobino. Art.2: “la legge non dispone che per l’avvenire, essa non può avere effetto retroattivo”. Rilevante fu anche il principio dell’inderogabilità mediante convenzioni particolari delle leggi che riguardano ordine pubblico e buon costume (limiti assai generici). Il reféré legislatif. Gli artt.4 e 5, in materia di interpretazione della legge portarono alla definitiva (implicita) abolizione del Reférè legislatif, che limitava i poteri interpretativi del giudice e assicurava al potere legislativo il controllo sulla produzione diretta o indiretta delle norme, introdotto in forma facoltativa nel Décret sur l’organisation judiciaire (1790) che aveva concesso ai giudici di rivolgersi al Corpo legislativo se ritenessero necessaria un’interpretazione extraletterale della norma o l’emanazione di una nuova norma; poi, il decreto istitutivo del Tribunale di Cassazione aveva prescritto l’obbligo di rinvio al Corpo Legislativo quando una medesima questione fosse stata oggetto di due precedenti sent. entrambe cassate. Gli artt.4 e 5 restituirono al giudice un (implicito) non incondizionato potere interpretativo, l’art.4 impose al magistrato il dovere di decidere in ogni caso, senza poter addurre “il silenzio, l’oscurità o il difetto della legge”, minacciando sanzioni per denegata giustizia, l’obbligo di giudicare comportò il venir meno di ogni forma di referé legislatif, ma il codice non riassegnò al giudice il ruolo normativo che aveva durante l’Ancien Régime. L’art.5 vietò ai magistrati di porre in essere pronunzie con carattere di “disposizione generale”, al giudice spetta il dovere di risolvere sempre e comunque ogni controversia anche in caso di lacuna operando solo entro il sistema normativo. Il nuovo codice, ovviamente, non fu privo di ambiguità e lacune, né completo, ma offrì un sistema di precetti e principi generali che diedero al giudice gli strumenti per giungere alla soluzione dei casi concreti e fu applicato in un sistema che si giovava dell’opera unificatrice dellaCassazione. Alle origini del giuspositivismo ottocentesco: la scomparsa di ogni riferimento al diritto naturale. Il primitivo progetto presentato dalla Commissione Portalis nell’anno IX conteneva un più articolato Libro Preliminare, Del diritto e delle leggi, dedicato a formazione, classificazione, applicazione e interpretazione della legge, enunciava alcuni principi generali di diritto naturale ed equità e stabiliva che in materia civile il giudice, in mancanza di una legge precisa, dovesse esser “ministro di equità”, definendo il ricorso all’equità come “ritorno alla legge naturale o agli usi accolti nel silenzio della legge positiva” (tale elaborazione apparve molto vicina all’analoga disposizione contenuta nell’ABGB). Dopo un’aspra discussione in Consiglio di Stato, però, la norma non fu accolta nel definitivo del Code Civil, il nuovo codice, razionale positivizzazione del diritto naturale, doveva necessariamente costituire l’unica fonte del diritto. 3. I contenuti del Code Civil Uno strumento di pacificazione sociale. Le scelte dei legislatori napoleonici furono informate alla visione di un codice che, tenendo presenti i principi del pensiero 700esco consacrati dalla legislazione rivoluzionaria (uguaglianza di fronte alla legge, laicità dello Stato, libertà di coscienza, libertà di lavoro) assunse il ruolo di strumento di pacificazione sociale, quindi, il codice dovette realizzar compromessi tra diverse impostazioni filosofiche e tra varie tradizioni giuridiche. I punti qualificanti il Code son individuabili nella disciplina del ruolo e dei diritti dell’individuo, nella proprietà ed autonomia negoziale (manifestazioni essenziali della libertà del cittadino) e nella difesa della famiglia, nucleo essenziale della società e dello Stato. 4. La proprietà Un diritto “inviolabile e sacro”. Nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino (1789) e nella Cost. del 1791 la proprietà era riconosciuta come “diritto naturale e imprescrittibile” “inviolabile e sacro”, poi le Dichiarazioni annesse alle carte cost. del 1793 e 1795 elaborarono la definizione, qualificando la proprietà: a) un diritto naturale, o, attenuando gli originari caratteri giusnaturalistici in favore di posizioni che tendono a veder la proprietà come istituzione sociale, un diritto dell’uomo in società; b) appartenente a ogni cittadino; c) il diritto di gioire e disporre dei propri beni. La proprietà secondo l’art.544. Il Code Civil definì la proprietà (art.544) “il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti”, definizione che avrà un enorme successo in Italia, il Codice Albertino del 1837 del Regno di Sardegna la copiò tale e quale, così come l’art.436 del Codice civile unitario del 1865 (c.d. codice Pisanelli) e l’art.832 del vigente codice civile dispone: “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.La stesura dell’art.544 è attribuibile a Portalis che si ispirò a Pothier e tenne conto dell’ambito ideologico facente capo a Locke, che vedeva nella proprietà un prolungamento dell’individuo per la sua azione nel mondo esterno. La formula ex art.544 affonda le radici nelle vicende del pensiero giuridico occidentale, risale alla definizione dell’istituto elaborata a metà XIV sec. da Bartolo da Sassoferrato che descrisse la proprietà come “ius de re corporali perfecte disponendi nisi lex prohibeat” indicandone gli elementi caratterizzanti nel dominio sui beni come potere in teoria privo di limiti con la contemporanea riserva di legge che si risolve in un rinvio a norme in grado di vanificare in tutto o in parte la perfezione dello ius disponendi. Caratteri e limiti di una “institution de la nature”. La proprietà è un elemento fondante la società civile, istituzione naturale e strumento essenziale dell’azione dell’individuo, si caratterizza per: a) assolutezza: libertà da ogni condizionamento di natura reale e obbligatoria; b) unitarietà: tutte le attribuzioni proprietarie devono spettare a un solo determinato tipo di sogg.; c) certezza: assicura la costanza nel tempo delle prerogative connesse al diritto; d) inviolabilità: garantisce il pieno godimento del diritto nei confronti di terzi e dello Stato; e) accessibilità formale: riconosce a chiunque la possibilità di divenire titolare del diritto. Tali caratteri sono stati enfatizzati dalla dottrina 800esca, ma non vanno isolati dalla disciplina, es. l’assolutezza della proprietà trova limite nel divieto, previsto dallo stesso art.544, di farne uso contrario a leggi o regolamenti, ed, ex art.545, il privato può esser costretto, dietro giusta e previa indennità, a cedere i propri beni per pubblica utilità. Dalla situazione d’Antico Regime alla disciplina napoleonica. La concezione napoleonica di proprietà si basava sulla definitiva eversione della feudalità, la disciplina si sostituì e contrappose a una situazione d’Antico Regime caratterizzata da estrema frammentazione delle forme di dominium, condizionata dalla diffusione dei domini signorili, basti considerare la distinzione tra dominio allodiale, estraneo alle strutture feudali e dominio signorile e l’ulteriore divisione di questo in domino diretto (del signore feudale) e nelle numerose figure di dominio utile (spettante, grazie a una concessione feudale a chi, vassallo o colono, materialmente sfruttasse il fondo, a sua volta “signore” nei confronti di eventuali sub concessionari). L’eversione della feudalità pose fine a tale complessa situazione determinando il consolidamento del diritto di proprietà in capo al titolare del dominium utile, il Code Napoleone intervenne sull’ordinamento fondiario sulla base di criteri nuovi, tesi a garantire, sotto la sorveglianza statuale, i piccoli proprietari, ne risultò una disciplina che dedicò un’attenzione limitata alla proprietà mobiliare, il cui grande sviluppo, successivo al Code, comporterà un adeguamento dottrinale. L’art.2279 e il principio “possesso vale titolo”. In materia di possesso mobiliare il Code conteneva una norma destinata a svolgere una f(x) rilevante nella circolazione dei titoli mobiliari, un antico principio di diritto germanico secondo cui “in fatto di mobili, possesso vale titolo”, formula che il legislatore napoleonico ha desunto da Burjon, il principio fu scolpito nell’art.2279: “ riguardo ai mobili, il possesso produce l’effetto del titolo; ciononostante, chi ha perduto o cui fu derubata qualcosa, può ripeterla per 3 anni dalla perdita o del furto, da quello presso cui si trova, salvo a questo il regresso contro quello da cui l’ha ricevuta”. Tal principio comportò l’abbandono del regime della rivendica mobiliare, caratterizzato dal particolarismo delle norme di droit coutumiér e dalla complessità del regime probatorio e contribuì ad agevolare la circolazione dei beni mobili; inoltre, l’art. limitò a 3 anni il temine per esperire la rivendica verso il possessore e la situazione di diritto venuta a formarsi si sanava grazie all’acquisto del possesso, permettendo al possessore di trasferire ad altri il possesso ma anche la proprietà piena del bene mobile, sottostando all’azione di rivalsa dell’acquirente evitto solo per un tempo definito. 5. Il contratto L’art. 1134 e la rilevanza della volontà contrattuale. La libertà di contrattare (e di esercitare un’attività economica), manifestazione della generale libertà della sfera individuale di ogni sogg., costituisce la chiave di lettura della sez. dedicata alle obbligazioni, vicina al modello romanistico, anticipando le dottrine dell’area germanica in tema di autonomia contrattuale dell’800, il Code riconobbe la rilevanza della volontà contrattuale del singolo, libero di muoversi anche fuori dalla corposa disciplina dei contratti tipici, entro i limiti generici dell’ordine pubblico e del buon costume; tale volontà è in grado di regolare autonomamente e i rapporti giuridici tra privati e alle convenzioni legalmente formate è attribuita forza di legge nei confronti di coloro chi le ha poste in essere; recita l’art.1134: “le convenzioni legalmente formate han forza di legge per chi le ha fatte, non possono esser revocate che per mutuo loro consenso o per le cause autorizzate dalla legge e devono esser eseguite in buona fede”. La concezione del primato della volontà individuale operava in un quadro di precise regole, in larga parte desunte dall’esperienza romanistica e dalle elaborazioni giusrazionalistie, ante omnia l’opera di Domat (il titolo III del Libro III del Code Civil deriva quasi in toto dalla sua opera) e Pothier (il cui Traité des Obligations è profondamente influenzato da Le Lois Civiles dans leur ordre naturel di Domat: “una volta che le convenzioni son formate, ciò che è stato convenuto ha forza di legge tra le parti”). L’art.1108 e i requisiti essenziali di validità del contratto. L’art.1108, prevede i 4 requisiti, destinati a diventare classici, per la validità delle libere contrattazioni private: a) consenso di chi si obbliga; b) capacità contrattuale; c) oggetto determinato; d) causa lecita; il Code Civil impone poi alcuni particolari adempimenti con finalità probatorie, es. la forma scritta per i contratti di valore > 150 franchi. L’art.1138 e l’efficacia reale del contratto. La visione giusnaturalistica e illuminista dell’autonomia privata trovò max espressione nell’art.1138, innovativo rispetto alla tradizione romanistica, l’art., relativo alle obbligazioni di dare, dispone che il trasferimento della proprietà, mobiliare o immobiliare, si perfezioni col solo consenso manifestato dalle parti: “l’obbligazione di consegnare la cosa è perfetta col solo consenso dei contraenti, tale obbligazione costituisce proprietario il creditore e fa che la cosa resti a di lui pericolo dal momento in cui dovrebbe esser consegnata, quantunque non ne sia seguita la tradizione, purché il debitore non sia in mora della consegna, nel qual caso la cosa rimane a rischio di quest’ultimo”. Il ruolo della volontà fu portato ad estreme conseguenze, il contratto si identifica nel consenso delle parti, al 1° è riconosciuta efficacia reale, il 2° prende il posto della traditio (scompare la distinzione romanistica tra patto e contratto per cui il trasferimento avviene solo dopo la traditio). Quanto alle donazioni, afferma l’art.938: “la donazione accettata nelle forme sarà perfetta mediante il solo consenso delle parti e la proprietà degli effetti donati si intenderà trasferita nel donatario, senza necessità di formale donazione”. Nella compravendita, la rilevanza del consenso e l’efficacia reale del contratto furono ribadite dall’art.1583: “la vendita è perfetta fra le parti e la proprietà s’acquista di diritto al momento che siasi convenuto su la cosa e sul prezzo, quantunque non sia seguita ancora la tradizione della cosa né sia pagato il prezzo”. 6. La famiglia e le successioni Le famiglie, “pépinière del l’Etat”. La disciplina napoleonica è informata alla volontà di creare basi normative atte a diffondere un’idea forte di famiglia, fondata sul principio di autorità, funzionale a una solida compagine statuale, “le famiglie si formano attraverso il matrimonio e son il vivaio dello Stato” scrive Portalis nel Discours préliminaire, difficile la convivenza entro il codice tra concezioni spesso opposte, originata dal parziale smantellamento della legislazione rigorosamente egualitaria. Il divorzio. Il divorzio fu ridotto a istituto di carattere pressoché eccezionale, le 7 cause previste dalla legislazione rivoluzionaria si ridussero a 3 (adulterio, condanna a pena infamante, eccessi, sevizie e ingiuria grave). Il divorzio per mutuo consenso fu mantenuto, ma assoggettato a defatiganti adempimenti: il tribunale non poteva pronunciarsi prima di un anno, la richiesta non fu ammessa nei primi 2 anni di matrimonio e dopo 20 o se il marito aveva meno di 25 anni e la moglie meno di 21 o più di 45, era richiesto il consenso dei genitori e degli ascendenti, il mutuo consenso doveva esser manifestato 4 volte in un anno, i divorziati non potevano risposarsi prima di 3 anni e ai loro figli era riservata la metà dei beni, l’adultero non poteva sposar la donna con cui l’ adulterio era stato commesso. Il divorzio fu difeso dalla > dei membri del Consiglio di Stato da Napoleone stesso, ma, accompagnato dall’introduzione della separazione, fu applicato raramente. La patria potestà, i figli naturali, la condizione giuridica della donna. Informate a rigidi criteri di controllo son le modifiche apportate al droit intérmediaire in tema di patria potestà e in ordine alla posizione dei figli naturali della donna, la patria potestà fu restaurata integralmente e corredata da ampi poteri direttivi e di correzione; i figli naturali non erano più equiparati ai figli legittimi e persero la qualifica di eredi a pieno diritto e fu introdotto il divieto della ricerca della paternità naturale. La moglie fu posta sotto la tutela giuridica del marito, cui doveva obbedienza, ex art.213: “il marito è in dovere di proteggere la moglie, la moglie di obbedire al marito”. Furono attribuiti al solo marito i poteri di amministrazione dei beni dotali e comuni (attribuzione parzialmente bilanciata dall’ipoteca legale sugli immobili a favore della moglie) ed era necessaria l’autorizzazione maritale perché la moglie comparisse in giudizio, alienasse beni, accendesse ipoteche e, in genere, ponesse in essere atti di straordinaria amministrazione. I rapporti patrimoniali tra coniugi e le successioni. La disciplina dei rapporti patrimoniali fra coniugi fu frutto di un compromesso tra le tradizioni giuridiche (molto distanti) dei pays de droit écrit e dei pays de droit coutumier, vi trovarono spazio conquiste rivoluzionarie, es. l’equiparazione successoria tra maschi e femmine e l’abolizione di fedecommessi, primogeniture e altri privilegi tipici dell’Antico Regime. Il codice prevedeva due modelli tipici e alternativi, il regime dotale (diffuso nel sud della Francia e in Normandia) e la comunione dei beni (predominante al nord), ma disponeva l’automatica applicazione della comunione in caso di mancata scelta dei coniugi. In tema di successioni il contrasto tra droit coutumier, tradizionalmente egualitario, e droit écrit si rivolse in un rinnovato favore per il testamento, accompagnato dalla fissazione di quote consistenti di legittima a favore di ascendenti e discendenti (non del coniuge superstite). PAUSA LA LUNGA VITA DEL CODE CIVIL 1. La Scuola dell’Esegesi Nascita e caratteri della Scuola dell’Esegesi. Il Codice Napoleone si vide presto attribuire un ruolo simbolico come momento di affermazione della statualità del sistema giuridico in un quadro di garanzia dei diritti del cittadino, espressione di uguaglianza verso l’ordinamento e manifestazione di libertà nella sfera individuale del singolo e nei rapporti privati. I primi decenni di vigenza furono accompagnati da nascita e sviluppo dell’indirizzo dottrinale denominato Scuola dell’Esegesi, le cui opere e canoni interpretativi circolarono oltre i confini francesi, la scuola elaborò un modello di attività giurisprudenziale basato su 3 principi: a) il diritto è integralmente contenuto nella legge scritta, nel Code; b) compito del giurista è individuare nella legge scritta il diritto applicabile al caso concreto; c) interpretare il diritto significa ricercare la volontà del legislatore in tutti i casi in cui non risulti con evidenza dal testo legislativo. Si sviluppò un sistema giuridico strettamente legalistico, con la riaffermazione del principio di autorità, l’esigenza di mantenere e garantire la certezza del diritto, la Scuola pose al centro di tutto il Code ed elaborò un sistema interpretativo avente come scopo l’esegesi della legge, l’interprete era tenuto a evitare ogni riferimento extracodicistico poiché, contrariamente a quanto riconosciuto dagli stessi redattori, gli esegeti affermavano il dogma della completezza del sistema come conseguenza della positivizzazione del diritto naturale. “Io non conosco il diritto civile, io insegno solo il Codice Napoleone” costituisce un significativo es. dell’atteggiamento culturale di ostentata deferenza verso la lettera del Codice, immagine esterna di un’attività di intervento dottrinale posta in essere per tutto il XIX sec. da abili tecnocrati chiamati ad aggiornare continuamente l’interpretazione, quindi la tenuta, del testo napoleonico senza modificarne la forma (fondamentali Aubry, Rau, Demolombe). 2. Due secoli di vigenza L’immobilismo ottocentesco. Protetto da una solida base dottrinale e sostenuto (prima dalle armate napoleoniche) da autorità e prestigio indiscussi, il Code fu l’emblema di una nuova epoca e “monumento legislativo di > successo di tutto il secolo” (Wieaker). In Francia la lunga (perdurante) vigenza è suddivisa in tre periodi: a) Dall’entrata in vigore al 1880 circa: se si eccettua la temporanea abolizione del divorzio (1816), il codice si mantenne stabile nei contenuti grazie all’aggiornamento dottrinale svolto dalla Scuola dell’Esegesi, insensibile ai numerosi rivolgimenti che caratterizzano il XIX sec.; b) Dal XIX al XX sec. (anni ’50): il Code si aprì alla rapida evoluzione che interessò la società, il testo fu restaurato in alcune parti o affiancato da una legislazione esterna che ne annullò o ne modificò i contenuti, le innovazioni nel campo del diritto della persona culminarono nella reintroduzione del divorzio (1884) e nel miglioramento della condizione giuridica di minori (affievolita la patria potestà, 1884), figli naturali (> riconoscimento dei diritti successori, 1896), e donne (abolizione della potestà maritale, 1936). Numerosi gli interventi in tema di diritti reali che, talora restringendo l’assolutezza dello stesso diritto di proprietà, permisero allo Stato di agire in questo campo con > liberà; fu necessario cercare di rispondere a problemi pratici innescati da un’evoluzione che Portalis e i colleghi non avrebbero potuto immaginare, appartengono a questi indirizzi le scuole della “libera ricerca scientifica” di Geny e della “interpretazione storica” di Saleilles; c) L’ultimo 50ennio: profonde riforme tolsero vigenza a interi titoli del Codice riplasmando il diritto di famiglia (riforma di tutela ed emancipazione, 1964, dei regimi matrimoniali, 1965, dell’adozione, 1966, dell’incapacità, 1968, della patria potestà, 1970, della filiazione, 1972, del divorzio, 1975), e accentuarono la presenza dello Stato nelle materie economiche e patrimoniali (leggi in materia immobiliare, 1971, disciplina della materia societaria) 3. La ricezione del Code Civil in Europa Un grandioso fenomeno di ricezione. Fuori dai confini francesi le vicende del Code si caratterizzarono da una grandiosa ricezione legislativa o, quanto meno, dottrinale, in un primo tempo conseguenza delle conquiste militari di Bonaparte e dei governi controllati dalla Francia; dopo il 1814 s’ebbe una ricezione spontanea, imputabile alla chiarezza, razionalità e duttilità del Codice e alla progressiva diffusione del sistema giuridico a base codicistica (di centinaia di codici fioriti in questo periodo solo 4-5 furono originali e non il copia incolla di altri, in primis del Code); la ricezione fu massiccia nei paesi di lingua o cultura latina, ma si manifestò anche nei territori tedeschi e slavi, in Asia, Africa e nelle Americhe e non mancò di interessare, marginalmente, talune aree di Common Law. Il Code Civil in Germania e la polemica tra Thibaut e Savigny. Il Code fu introdotto nei territori della riva sinistra del Reno dal 1804 ed esteso poi, non sempre con la forza, a molte regioni della riva destra (Danzica, Westfalia), dopo il 1814 fu mantenuto in vigore sulla riva sinistra e nel Baden (rifuso nel locale Landsrecht, 1809) fino all’entrata in vigore, il 1o gennaio 1900, del Codice Civile dell’Impero Tedesco (BGB); interpretato come Ragione positivizzata e veicolo di diffusione di idee di libertà e di eguaglianza, portò alla formazione nella cultura tedesca di una corrente minoritaria favorevole a una recezione in blocco del testo napoleonico in tutta la Germania, nota fu la polemica tra Thibaut e Savigny (fondatore della Scuola Storica) riguardo alla necessità sostenuta dal 1° di realizzare una codificazione civile di modello napoleonico (Savigny riteneva invece che il diritto fosse un quid intrinsecamente in movimento, non racchiudibile in una struttura statica). Il Code Civil in Svizzera fino alla promulgazione dello ZGB (1907). Il Code Civil fu dapprima applicato nel territorio di Ginevra, ove rimase in vigore anche dopo il 1814, nel corso dell’800, poi, entrarono in vigore in alcuni cantoni codici civili ispirati al modello francese, mentre in altri i legislatori si ispirarono all’ABGB o tentarono soluzioni originali; tutte queste normative vennero sostituite nel 1907 dal Codice Civile della Confederazione (ZGB), opera di Huber, ispirato ai dettami della Pandettistica e assai vicino al BGB. Il Còdigo Civil spagnolo. In Spagna, la presenza di elementi quali le spinte tradizionaliste (che nel 1805 portarono alla redazione di una consolidazione rivolta al passato, la Novìsima Recopilaciòn), le tendenze regionaliste e la memoria della resistenza popolare contro le truppe napoleoniche, ritardarono una moderna codificazione civile; solo nel 1889 si promulgò un Còdigo Civil, francese nella forma, spagnolo nello spirito, inserito in un particolare sistema di fonti che vide il testo codicistico sussidiario ai diritti regionali. Nel resto d’Europa. In Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo il Code Civil, introdotto in età napoleonica dagli occupanti francesi, fu riprodotto dai codici civili del 1831 e del 1838; così anche in Romania, ove il progetto di codice civile del 1865 fu realizzato da una commissione invitata espressamente dal governo a basare il proprio lavoro, oltre che sui progetti del codice civile italiano del 1865, sul testo del 1804. 4. La ricezione del Code Civil nel resto del mondo Asia e Africa. Accanto agli Stati originati dalla dissoluzione dell’impero coloniale transalpino (dal Madagascar al Senegal) e ad alcune aree estranee alla colonizzazione francese (es. Somalia e l’Etiopia), in Asia e Africa, il Code Mixte egiziano del 1875-1876, ripropose forme e contenuti del Code. Il Code Boissonade. Quanto all’Estremo Oriente, in Giappone, Boissonade fu incaricato della redazione di un progetto civilistico basato sulla legislazione napoleonica, pubblicato nel 1890, fu respinto dal Parlamento, che adottò nel 1898 un codice civile scaturito dai progetti del BGB. America Latina. Il Code fu modello esclusivo per tutti i testi civilistici entrati in vigore in America Latina, es. Bolivia, Perù, Cile, Uruguay, Messico, Argentina, Venezuela, Colombia, El Salvador. Il Code Civil del Québec. Il Québec, prima di passare alla corona britannica (1763), fu dal 1535 colonia francese (Nouvelle-France) e vi fu posta ufficialmente in vigore la Coutume di Parigi che si radicò nel territorio; dopo il passaggio al dominio inglese, il Québec conservò lingua, costumi e retaggio giuridico francesi, nonostante la pressione esercitata dal Common Law. Nel 1866 entrò in vigore un 1° codice civile del Québec, redatto in francese (il c.d. Code Civil du Bas-Canada) che presentava una commistione di principi e istituti tratti da Coutume di Parigi, codice napoleonico e Common Law; rispetto al Code si distinse per la concezione confessionale del matrimonio e per l’autonomia riconosciuta in materia di testamento; tra gli elementi di matrice anglosassone il tipico trust, che prese il nome di fiducie. Nel 1994 un 2° codice civile, c.d. Code Civil du Québec, rimpiazzò il 1°, conservando l’impostazione del codice precedente, adattando la normativa ai tempi e accogliendo in misura consistente istituti di Common Law, i Commentaires du ministre de la Justice del 1993 che accompagnarono il nuovo testo fondarono alcune scelte del legislatore canadese (es. in relazione al rapporto tra lettera e spirito della legge) sul Discours préliminaire di Portalis del 1804. Il Louisiana Civil Code. Colonia francese dal 1682, la Louisiana passò nel ‘700 prima all’Inghilterra e poi alla Spagna, riacquistata dalla Francia nel 1800 e venduta agli USA nel 1803, elevata a Stato membro dell’Unione nel 1812; la compilazione civilistica realizzata nel 1808, c.d. Louisiana Civil Code, pur influenzato da fonti spagnole e francesi d’Ancien Régime, si basò nella struttura (persone, beni, modi d’acquisto della proprietà) e nei contenuti (3\4 degli art.), sul modello napoleonico, si presentò in stretta correlazione non con l’assetto definitivo del Code Civil, probabilmente non ancora disponibile in Louisiana al momento della formazione del testo, ma col progetto dell’anno IX presentato dalla Commissione Portalis nel gennaio 1801; fu redatto direttamente in francese e il principale artefice fu Moreau-Lislet, (giurista di Santo Domingo, laureato a Parigi, che, poi, approdò in Louisiana come general attorney e poi senatore). Il testo fu ripubblicato nel 1852, dopo una riforma operata da una commissione di cui fece parte Moreau-Lislet, presieduta da Livingstone, newyorkese, formatosi nell’ambito Common Law, ma molto interessato all’esperienza di Civil Law; il codice risultò vicino al modello napoleonico e tenne conto della dottrina sviluppatasi attorno al Code del 1804, fu redatto sia in francese che in inglese, ma fa testo la prima. Un’ ulteriore revisione, solo in inglese, risale al 1870 e accusò l’influenza della Common Law, questa versione del codice, profondamente rimaneggiata nei contenuti, è tuttora in vigore, la Louisiana è il solo Stato dell’Unione ad aver un diritto civile codificato. IL CODE CIVIL IN ITALIA 1. Il Projet de Code Civil de la République romaine La legislazione rivoluzionaria in Italia (1796-1799). In Italia nel triennio giacobino, tra la prima campagna napoleonica del 1796 e la reazione austro-russa del 1799-1800, nacquero numerose, effimere, compagini statuali sotto la protezione dei francesi, ispirate ai principi della Riv. francese, diverse repubbliche: Cispadana, Cisalpina, Ligure, Romana, Partenopea; i governi di queste entità statuali elaborarono una legislazione significativa in ambito costituzionale, innovativa in ordine ai principi generali ma poco rilevante sul piano pratico e sovente non applicata in concreto; in campo civilistico vennero promulgati una serie di provv. che ripresero, spesso alla lettera, alcune significative innovazioni francesi dell’età del droit intérmediaire, norme relative alla soppressione del feudo e degli istituti collegati, precetti che intervengono in materia successoria proclamando l’abolizione di fedecommessi ed altre forme privilegiate di trasmissione di beni mortis causa, provv. che disciplinarono con > equità la condizione giuridica, in particolare di successione, della donna e dei figli cadetti. Il terzo progetto di Cambacérès e il progetto di Codice Civile per la Repubblica Romana (1798-1799). Elaborato nel 1798 dal costituzionalista Daunou, redattore della Cost. francese dell’anno III e poi a capo della Commissione cui il Direttorio affidò l’org. degli apparati pubblici e i pieni poteri di governo nella Repubblica Romana; il testo risultò basato sul 3° progetto di cod. civ. elaborato sotto la guida di Cambacérès, ma con alcune modifiche formali e importanti variazioni sostanziali, soprattutto per quanto concerne il diritto delle persone. Il Projet de Code Civil de la République Romaine risultò abbreviato, gli articoli ridotti da 1104 a 528 e parzialmente semplificato, ma anche profondamente innovativo in alcuni contenuti, ciò per adattare alla specificità della situazione romana e alla sensibilità delle popolazioni locali gli istituti del diritto della Riv.: si riconobbe parziale efficacia ai registri parrocchiali, assimilati ai registri civili in ordine a determinazione e prova dello stato delle persone, non fu ammesso il divorzio come causa di scioglimento del vincolo matrimoniale, restò la possibilità di separazione coniugale, ammessa per le stesse cause previste dal progetto Cambacéreès e accompagnata da disposizioni a favore dei figli minori. Il Code Civil de la République Romaine rimase allo stato di progetto, travolto dalla fine delle esperienze statuali repubblicane (1799); gli istituti civilistici introdotti in Italia stentarono a farsi strada, scarso il successo incontrato nella Repubblica Cisalpina dall’istituto del matrimonio civile. 2. Il Code Civil nei dipartimenti imperiali e nel Principato di Lucca L’unificazione del diritto civile nell’Italia napoleonica. La legislazione del triennio giacobino non lasciò tracce profonde nell’evoluzione del diritto civile della penisola, più incisivo fu il ruolo rivestito dal Code Civil nella storia giuridica italiana, modello per tutte le codificazioni civilistiche realizzate in Italia dalla Restaurazione e strumento di rinnovamento e unificazione di dottrina e giurisprudenza; alla caduta dei regimi napoleonici, l’applicazione del codice era estesa pressoché a tutt’Italia (ad eccezione di Sardegna e Sicilia, al dominio delle dinastie sabauda e borbonica). Le vicende degli anni rivoluzionari e napoleonici portarono ad una tripartizione politica che vide i territori centro-occidentali entrare a far parte dell’Impero francese, i territori centro-orientali formare il Regno d’Italia (con capitale Milano) e i territori meridionali costituire il Regno di Napoli sotto controllo francese. Entrarono progressivamente a far parte dello Stato francese, nella prima decade dell’800, i territori piemontesi, liguri, di Parma e Piacenza, toscani, umbri e laziali; il Regno d’Italia si estese dalle Marche all’Alto Adige e dalla Lombardia al Friuli, il Regno di Napoli comprendeva il resto della penisola. Re d’Italia era lo stesso Napoleone, sul trono di Napoli sedevano prima Giuseppe Bonaparte, fratello dell’imperatore, poi Gioacchino Murat, generale della Grande Armata; l’entrata in vigore del Code Napoleone risultò automatica e dal 1804 per i territori che a tale data erano inglobati nell’Impero e da un momento poco successivo a quello dell’annessione per i restanti. Nel 1806 un codice fu promulgato anche nel piccolo Principato di Lucca, affidato dall’Imperatore al cognato Felice Baciocchi. La vigenza delle fonti anteriori fu abolita, si precisò che “l’interpretazione del Code Napoleone sarà per sempre indipendente da qualunque più antica e precedente legislazione”. 3. La Repubblica italiana e il progetto del codice civile di Alberto De Simoni Un progetto alternativo. Complesse furono le vicende che portarono all’introduzione del Code Civil nel Regno d’Italia, creato nel 1805 dopo la trasformazione istituzionale della Repubblica Italiana, nata dalle ceneri della Repubblica Cisalpina nel 1802. Un autonomo progetto di codice civile fu realizzato a Milano già durante la Repubblica Italiana, presieduta da Napoleone ma guidata dal vicepresidente Francesco Melzi d’Eril, autore del progetto fu Alberto De Simoni (nato a Bormio, studiò a Innsbruck e Salisburgo, diede alle stampe nell’arco 50 anni numerose opere, spaziando su vari temi e seguendo una linea di compromesso tra il giusnaturalismo illuminista e la tradizione culta). Nel quadro di una vasta attività di elaborazione normativa e di codificazione guidata nell’ambito della Repubblica Italiana dal Ministro della Giustizia, Buonaventura Spannocchi, De Simoni realizzò tra il 1802 e il 1803 due versioni di un testo che avrebbe potuto rappresentare un’ alternativa al modello civilistico napoleonico; il progetto si caratterizzò per il rispetto delle tradizioni giurisprudenziali della penisola, al retaggio romanistico, pare informato, più che alle esperienze francesi, a un moderato riformismo vicino all’illuminismo mitteleuropeo e ispirata al modello asburgico di codificazione civile pare la struttura del testo, con un I libro dedicato alle persone, un II che disciplina diritti reali, obbligazioni e contratti, e un III che regola successioni ereditarie e prescrizione. Significativo tramite tra tradizione e innovazione fu la normativa in tema di diritto di famiglia: il matrimonio fu laicizzato, ma il divorzio ammesso solo in via eccezionale (per attentato di uno dei coniugi alla vita dell’altro, adulterio della moglie accompagnato da pubblico scandalo, adulterio del marito che tenga in casa la concubina contro la volontà della moglie e con pubblico scandalo), la moglie rimase sottoposta all’autorità maritale, il regime della comunione dei beni tra coniugi ammesso in via convenzionale e limitato agli acquisti, le sostituzioni fedecommissarie abolite, la patria potestà continuò a esser perpetua. Pur escludendo il ricorso al diritto romano comune come regola interpretativa della legge posta dallo Stato, si continuò ad attribuire ad esso la f(x) di “legge sussidiaria ove non giungano le provvidenze della legge e del Codice della Repubblica”. Il progetto italiano di codice civile risultò pronto per la stampa ad inizio 1804, ma subì le conseguenze dell’evoluzione costituzionale che investì la Repubblica Italiana dopo la proclamazione in Francia dell’Impero; il testo del De Simoni fu abbandonato quando la crisi politica del modello repubblicano sfociò nella creazione del Regno d’Italia (1805). 4. Nel Regno italico: la traduzione ufficiale del Code Civil La decisione di estendere al Regno d’Italia la vigenza del Code Civil. Conseguenza non secondaria della riorganizzazione dello Stato collegata alla trasformazione costituzionale fu la decisione di introdurre anche nel regno d’Italia il Code Civil presa da Napoleone senza resistenze della classe di governo italiana, sanzionata nel 3° Statuto Costituzionale del Regno, emanato a Milano il 5 giugno 1805, i cui artt.55-57 disciplinarono tempi e modalità d’introduzione stabilendo che alla lettera del codice “non potrà esser fatto cambiamento alcuno per 5 anni”. Le strutture fondamentali della nuova entità statuale furono discusse in maggio 1805 in un Consiglio di Stato appositamente costituito su modello transalpino alla presenza di Napoleone; fu pianificata una completa opera di codificazione, basata sull’introduzione del Code Civil. Il compito di curare la traduzione del codice fu affidato al nuovo Ministro della Giustizia, Luosi, che, nominò una commissione di 6 membri (tra cui De Simoni e Giardini), poi portati a 10, incaricata di tradurre il testo del 1804 in italiano e in latino, la traduzione fu presto conclusa e sottoposta al Ministro Luosi. I membri della commissione, nonostante il divieto imposto dal 3° Statuto Cost., indirizzarono al Ministro una serie di richieste di modifica di alcuni punti della disciplina del 1804, tali richieste riguardarono interventi di natura formale e alcune scelte in materie quali i rapporti patrimoniali, fu criticata la disciplina della comunione dei beni accolta nel codice nella parte in cui, in difetto di dichiarazione esplicita dei coniugi, era il regime ordinario, in contrasto coi costumi diffusi tra le popolazioni italiane; più duro fu l’attacco al divorzio, tollerabile solo nei matrimoni fra acattolici, per il resto parve contrario alle convinzioni religiose della maggioranza dei sudditi del regno e alla religione cattolica, che gli Statuti del Regno elevarono al rango di Religione di Stato; De Simoni auspicò, poi, la conservazione dei tradizionali contratti di enfiteusi e censo, diffusi nelle campagne italiane, che non avevano trovato posto nel Code; infine, la commissione richiese l’introduzione, per i religiosi che avessero pronunciato voto perpetuo di povertà, di un’eccezione al divieto di rinuncia a successione di persona vivente ex art.791 e dei ritocchi vennero giudicati necessari in ordine all’art.2165, che fissava i criteri per determinare il valore dei fondi ipotecati. Il 26 ottobre 1805 Luosi inviò a Napoleone una relazione sulla traduzione del codice che, secondo il 3° Statuto Cost. doveva esser approvato entro il 1o novembre per entrare in vigore il 1o gennaio 1806, Napoleone, però, assente da Parigi, non prese posizione in ordine ai rilievi e si limita ad accogliere le necessarie modifiche formali. Napoleone approvò la versione italiana del codice con un decreto a Monaco di Baviera (16/01/1806, che abrogò espressamente le fonti anteriori) e fissò al 1o aprile l’entrata in vigore nella monarchia italica di quello che fu denominato Codice di Napoleone il Grande pel Regno d’Italia, versione accompagnata dalla traduzione latina, pare, con scopi celebrativi e per esser usata nelle Province Illiriche ai confini orientali del Regno comprendenti territori poco omogenei tra Carinzia e Dalmazia. 5. L’introduzione del Code Civil del Regno di Napoli Il Regno di Napoli nel periodo francese. Le regioni continentali d’Italia meridionale vennero occupate militarmente dall’armata napoleonica nei primi mesi del 1806 e la dinastia borbonica si rifugiò in Sicilia sotto la protezione della flotta inglese; Giuseppe Bonaparte divenne re delle Due Sicilie col nome di Giuseppe Napoleone e sedette sul trono di Napoli fino al 1808 quando assunse il titolo di Re di Spagna. Fu sostituito da Gioacchino Murat fino al 1815 (Gioacchino Napoleone), l’occupazione francese in breve trasformò su modello francese gli apparati amm. e l’org. dello Stato. La riforma legislativa culminò con l’entrata in vigore del Codice Napoleone, con due decreti Murat approvò la traduzione del Codice realizzata dietro suo ordine e fissò al 1o gennaio 1809 l’inizio della “osservanza del Codice Napoleone”, giorno in cui “leggi romane, costituzioni, capitoli, prammatiche del Regno, reali dispacci e consuetudini generali e locali cesseranno di aver forza di legge nelle materie oggetto delle disposizioni contenute nel Codice Napoleone”. L’art.9 del medesimo decreto prescrisse che le disposizioni del Code Napoleone relative al divorzio “non avranno vigor di legge se non quando con altro nostro decreto ne avremo ordinato l’osservanza”; la controversia relativa al divorzio si ripetè a Napoli dove l’opposizione coinvolse la stessa magistratura, dopo incertezze iniziali, Napoleone reagì con durezza imponendo l’integrale entrata in vigore del Code, col decreto 26 dicembre 1808 Murat tornò sulle proprie decisioni e dal 1o gennaio 1809 il divorzio fece ingresso nel regno meridionale, unitamente al resto del codice, negli anni successivi i magistrati opposero espedienti di ogni genere all’applicazione dell’istituto, si giunse a una pronuncia definitiva di divorzio raramente (come nel resto della penisola). 6. La restaurazione: crisi e rivincita del modello napoleonico Gli anni di transizione. La caduta dei regimi napoleonici segnò un momento di crisi per il Code Civil, quasi ovunque in Italia abolito o messo in discussione, abrogato nello Stato della Chiesa, nel Regno di Sardegna, nel Ducato di Modena e nel Granducato di Toscana, mentre fu lasciato provvisoriamente in vigore, dopo la cancellazione degli istituti in contrasto coi presupposti ideologici della Restaurazione (divorzio, matrimonio civile, separazione personale, stato civile, comunione dei beni) nel Ducato di Parma e Piacenza, nel Ducato di Lucca, nel Regno delle Due Sicilie e nei territori liguri del Regno di Sardegna. Nel Regno Lombardo- Veneto il Code Civil fu sostituito dal 1o gennaio 1816 con l’ABGB. Il Code Napoleone fu abolito in un 2° tempo dov’era stato lasciato provvisoriamente in vigore, ma tornò alla ribalta come modello prevalente per una nuova codificazione civilistica nel corso del XIX sec., che portò alla promulgazione di una serie di codici civili, evidente l’irreversibilità dei mutamenti concettuali in ordine alle strutture giuridiche e fu confermata in Italia la sostanziale uniformità del diritto civile realizzata alla fine dell’età napoleonica. I codici della Restaurazione ripristinarono alcune istituzioni dell’Ancien Régime, es. reintroduzione del matrimonio canonico, limitazione dei diritti successori delle figlie, rafforzamento della patria potestà, ma perpetuarono il sistema stesso della codificazione e preservarono il principio illuminista dell’uguaglianza civile, ne son es. il Codice del Regno delle Due Sicilie, il Codice Civile del Ducato di Parma e Piacenza, il Codice Civile del Regno di Sardegna e il Codice Civile del Ducato di Modena. Il Codice per il Regno delle Due Sicilie (1819) è costituito dall’unione di 5 parti corrispondenti, per struttura e parte dei contenuti, ai 5 codici napoleonici (civile, penale, proc. civile, proc. penale, commerciale), la sez. intitolata alle Leggi Civili si segnala per il regime “misto” del matrimonio (canonico nella celebrazione, civile nella pubblicità e negli effetti) e per il ripristino del contratto di enfiteusi, basato sull’obbligo della melioratio del fondo. Il Codice Civile di Parma e Piacenza (1820) fu il più originale tra i codici della Restaurazione, realizzato con ampia autonomia di giudizio, non ignorò talune scelte operate dall’AGBG e ricomprense anche la disciplina in materia commerciale, il testo restituì centralità alla dote, non più obbligatoria e recuperò numerose tradizionali forme di contratto agrario ignorate dal Code Civil d’importanza capitale nel contesto italiano, es. il contratto di mezzadria. Il Codice Civile del Regno di Sardegna (1837) prese il nome di Codice Albertino dal sovrano Carlo Alberto, rappresentò il tramite tra la codificazione napoleonica del 1804 e quella italiana postunitaria del 1865, 1° codice che menziona con espressione divenuta classica (v. art.12 delle vigenti Disposizioni sulla Legge in Generale) i “principi generali del diritto” come fonte per il giudice in caso di lacuna, fu all’avanguardia nel riconoscere la proprietà sui beni immateriali e sulle opere dell’ingegno (c.d. diritto d’autore) e fu innovativo in tema di servitù prediali e per la disciplina dei diritti sulle acque, elaborata da Giovannetti, regole ancora presenti, sostanzialmente immutate, nella vigente normativa codicistica. Ultimo in ordine di tempo, il Codice di Modena risulta largamente ispirato al testo parmense del 1820, ma con interessanti variazione, es. in ordine alla trascrizione. L’ esperienza napoleonica non fu poi ignota a quegli Stati, come il Granducato di Toscana o lo Stato Pontificio, che pur non giungendo a realizzare un codice videro svilupparsi una nutrita legislazione settoriale e un’attività di progettazione. 7. Il Code Civil e i codici postunitari Il Codice Pisanelli (1865). I codici elencati costituirono il precedente diretto degli indirizzi seguiti in campo civilistico dopo l’unità d’Italia, espressione dei quali fu il Codice Civile unitario del 1865 c.d. il codice Pisanelli (dal nome del guardasigilli), che accolse una concezione del diritto civile, del ruolo della legge e della f(x) dello Stato che affonda le radici nell’esperienza napoleonica (mentalità diffusa tra dottrina e giurisprudenza italiane, vicine alla Scuola dell’Esegesi e allo stile di giudizio delle corti francesi); rispetto ai codici preunitari, il Codice Pisanelli segnò un ritorno al Code Civil in materie nelle quali i testi della Restaurazione avevano abbandonato le scelte napoleoniche per tornare al passato (es. matrimonio civile). Ciò attribuì al testo del 1804 il ruolo di strumento di unificazione culturale nella storia giuridica italiana dell’età della codificazione, esisteva addirittura una parte minoritaria della dottrina italiana favorevole all’adozione diretta del Code come codice civile della nazione, famoso lo slogan dello scrittore, patriota Montanelli all’unificazione politica della penisola: “Viva l’Italia, viva Vittorio Emanuele, viva il Codice Napoleone”. IL CODICE GENERALE AUSTRIACO (1° gennaio 1812) SEI DECENNI DI ELABORAZIONE LEGISLATIVA 1. Legislazione civile e rifondazione dello Stato nell’Austria di Maria Teresa Una risposta inadeguata alle nuove esigenze: il Codex Austriacus (1704-1777). Frutto dell’alleanza tra il giusnaturalismo mitteleuropeo e la cauta ma risoluta politica riformista promossa dall’assolutismo illuminato asburgico, il Codice Civile Austriaco (ABGB) fu promulgato da Francesco I d’Asburgo il 1o giugno 1811, entrò in vigore il 1o gennaio 1812, si chiuse un processo di elaborazione normativa articolato che, avviatosi a metà XVIII sec. a seguito alla decisione di unificare i diritti regionali e territoriali dell’Impero d’Austria, si protrasse per quasi 60 anni. Un 1° tentativo di raccogliere il materiale normativo promulgato dall’epoca di Ferdinando I (1521-1564) fu realizzato sotto il regno di Leopoldo I (1657-1705) su iniziativa del ministro von Guarient, collezione pubblicata nel 1704 (c.d. Codex Austriacus), che distribuì le materie in ordine alfabetico e fu continuata con due supplementi fino al 1740; l’imperatrice Maria Teresa ne ordinò la revisione in base a criteri cronologici e la prosecuzione fino al 1777. Si trattava di collezioni tese a evitare la dispersione del materiale normativo che, con l’affermarsi dello Stato moderno (XVI sec.) e della sua f(x) legislativa, si accumulò sempre più ingovernabile. Notevole, l’attività avviata a metà del sec. da Maria Teresa, un’opera di razionalizzazione e accentramento degli apparati pubblici che nella seconda metà del ‘700 modificò l’org. dello Stato asburgico sovvertendone la struttura di tipo cetuale in vista di soluzioni di tipo assolutistico; tale opera di “rifondazione” dello Stato rappresentò una delle più interessanti esperienze di modernizzazione delle strutture istituzionali in Europa alle soglie dell’età contemporanea. La “Commissione di Compilazione” (1753). L’attività di progettazione normativa iniziò nel 1753, a 4 anni dalla riforma dell’ordinamento giudiziario che aveva creato una corte centrale sovraordinata, il Supremo Tribunale di Giustizia. Per rispondere all’esigenza di avviare l’unificazione legislativa, Maria Teresa costituì nella città morava di Brünn una commissione operativa (Kompilationskommission, con 7 membri esperti nei diritti territoriali vigenti nelle varie regioni) cui fu affidato l’incarico di approdare, sulla base dei diritti territoriali, del diritto romano-comune e del diritto della ragione, a una normativa civile unitaria (ius universale et certum) per i Territori Ereditari di Lingua Tedesca della corona (Austria, Tirolo, Carinzia, Carniola, Gorizia, Gradisca, Trieste, Boemia, Moravia e Slesia); relatore della commissione fu un avvocato boemo di ascendenze milanesi, Joseph Azzoni, prof. a Praga. Il 1° incompleto progetto fu elaborato tra il 1754 e il 1756 comprendeva 3 volumi dedicati al diritto delle persone, corredati da diffusi lavori preparatori; progetto ripreso da una 2° commissione stabilita a Vienna, la “Commissione di Revisione” creata nel 1756 e dal 1761 sotto la guida del romanista Zencker; nel 1766 la commissione portò a termine un ambizioso prolisso progetto di corpo normativo denominato Codex Theresianus Iuris Civilis. 2. Il Codex Theresianus Iuris civilis (1766) Oltre 8000 paragrafi. Scritto in tedesco e contenuto in 8 volumi, il codice distribuì analiticamente la materia in 8367 paragrafi, raggruppati secondo una sistematica di matrice romanistica in 3 libri intitolati a persone, cose e obbligazioni. Allegati al progetto si trovavano i “Principi fondamentali della compilazione” che illustravano la complessa metodologia applicata, basata sulla ricostruzione storica delle vicende delle singole prescrizioni per individuare le norme originarie e non configgenti, ove tal processo avesse dato esiti negativi, la commissione avrebbe dichiarato di voler far ricorso alla volontà sovrana. Il testo presentava uno stile discorsivo, un’impostazione casistica e una mole inusitata, ma costituì una tappa rilevante verso le moderne codificazioni, presentandosi come disciplina del solo diritto privato, esclusiva, unitaria e di natura statuale, tracciando una linea di demarcazione con gli istituti di diritto pubblico, unico diritto applicabile nei territori ereditari che non ammise il ricorso a fonti extratestuali (compresa la consuetudine) se non in caso di espresso rinvio. Critici furono la mancanza di principi generali, che comportò l’elaborazione di una frammentaria casistica e lo stile discorsivo e atecnico nel tentativo (fallito) di ottenere semplicità e chiarezza. 3. L’accantonamento del Codex Theresianus e la nuova Commissione di compilazione I difetti del Codex Theresianus e la discussione in Consiglio di Stato. Il codice rispose solo in parte alle necessità pratiche e premesse ideologiche che lo ispirarono e non entrò mai in vigore poiché sovrabbondante, talora oscuro dal punto di vista formale e scarsamente innovativo, apparve troppo ricco di rinvii a fonti esterne e concesse troppo spazio a situazioni di privilegio, abolite di principio ma conservate nei singoli casi e il testo elaborato dalla commissione di Zencker fu definitivamente respinto nel 1771. Il Consiglio di Stato, creato nel 1766 da Maria Teresa su proposta del cancelliere von Kaunitz con compiti consultivi di carattere generale, fu organo di max rilevanza nel quadro della politica di riforme dello Stato austriaco. La seconda Kompilationskommission. L’opera di codificazione fu ripresa nel 1772 da una rinnovata commissione guidata da Horten, chiamata da Maria Teresa a preparare un progetto dai connotati giusnaturalistici teso a conseguire unitarietà ed esclusività della disciplina, concisione, nitidezza strutturale e chiarezza del dettato normativo; obiettivi perseguiti mediante la fissazione di precisi criteri tecnico-formali e l’individuazione di regole generali e di principio basate sulla ragione e sull’equità naturale, regole che comportavano una riduzione delle situazioni di privilegio collegate alla stratificazione cetuale austriaca. 4. Giuseppe II: la legislazione edittale e il regolamento giudiziario civile (1780-1790) La legislazione edittale di Giuseppe II. La 2° fase della codificazione fu preparata, accompagnata e condizionata da una specifica legislazione settoriale di modernizzazione e razionalizzazione voluta dal nuovo sovrano Giuseppe II, imperatore dal 1780 al 1790, rientrarono in quest’esperienza normativa di matrice giusnaturalistica ispirata a criteri d’uguaglianza dei sogg. di fronte alla legge e liberalizzazione economica una serie di provv.: a) l’Editto matrimoniale, che attribuì al matrimonio natura di contratto civile e al sacerdote la f(x) di PU, sottraendo l’istituto alla competenza delle istituzioni ecclesiastiche, pur nel quadro di un’ampia ricezione delle regole elaborate canonistiche; b) l’Editto sulla libertà commerciale, che abolì i monopoli commerciali delle corporazioni mercantili; c) l’Editto di tolleranza, che dichiarò il cattolicesimo culto dominante, ma ammise una serie di culti tax; d) l’Editto successorio, atto a introdurre una disciplina unitaria della materia successoria; e) l’Editto sui riscatti fondiari, che introdusse la possibilità di alienare beni fondiari feudali e consentì di trasformare in affittuari i contadini ancora sogg. a forme di dominio feudale. Il Regolamento Giudiziario Civile (1782). Nello stesso periodo fu approvata una radicale riforma del diritto proc. civ. con un regolamento entrato in vigore nel 1782 e applicato all’impero d’Austria per oltre un sec.; si introdusse una procedura unitaria, informata alla concezione assolutista del proc. civ., strumento atto a eliminare ciò che turbi la tranquillità della compagine sociale; dominanti i seguenti principi: primato della legge, accentramento delle f(x) giurisdizionali, burocratizzazione della figura del giudice e subordinazione degli interessi delle parti a quelli dello Stato; molte le limitazioni al potere d’iniziativa delle parti a favore del potere di spontaneità del giudice, che tiene in pugno lo svolgimento di un proc. scritto, efficiente e rapido. 5. Il codice Giuseppino (1787) La promulgazione del Codice Giuseppino. L’attività di progettazione riavviata nel 1772, dopo un rallentamento imputabile ai membri conservatori della commissione legislativa, restii ad abbandonare il diritto comune e consuetudinario, approdò a un 1° risultato grazie a Giuseppe II: l’opera di codificazione, guidata fino al 1786 da Horten e poi da Krees, si concluse con pubblicazione e entrata in vigore nei Territori Ereditari della corona asburgica e in Galizia del c.d. Codice Giuseppino, dal successore di Maria Teresa. Il codice si presentò come un tentativo di ridurre in norme positive postulati giusnaturalistici e illuministici interpretati alla luce dell’assolutismo illuminato asburgico, comprendeva 293 paragrafi distribuiti in 5 titoli dedicati ai principi generali del diritto (titolo I), al diritto delle persone (cittadinanza, titolo II; matrimonio, titolo III; patria potestà e filiazione, titolo IV; tutela e capacità di agire, titolo V). Il Codice Giuseppino corrispose in sostanza al 1° libro del progetto di codice civile concepito da Horten e lasciato incompiuto nel 1787 al momento dello scioglimento, per motivi politici, della commissione presiduta da Keess, progetto che comprese, nel 2° libro, la disciplina del diritto delle cose, dei diritti reali, del feudo, delle successioni e delle obbligazioni, e, nel 3° libro, istituti di difficile collocazione sistematica e le “disposizioni comuni” tanto al “diritto delle persone” quanto al “diritto delle cose” (questi 2 ulteriori libri non vennero mai portati a stesura definitiva, ma col Codice Giuseppino, costituirono la base di partenza dei successivi lavori in materia). 6. Carlo Antonio Martini Una “testa d’uovo” del regime asburgico. Nel 1790, alla morte di Giuseppe II, il compito di proseguire l’attività di codificazione civile fu affidato dal nuovo imperatore Leopoldo II al giurista trentino Carlo Antonio Martini, massone, già collaboratore di Horten, esponente del pensiero giusnaturalista austriaco, tra gli alti funzionari e burocrati che, mediando tra le aspirazioni del sovrano assoluto e le istanze riformiste propugnate dal pensiero illuminista, riuscirono a edificare nell’Austria della seconda metà del ‘700 strutture statuali la cui efficienza fa parte dei miti della storia giuspolitica europea, egli insegnò Diritto Naturale a Vienna e nel 1761 fu scelto come Precettore di Corte dei figli dell’imperatrice e preposto all’educazione del futuro imperatore Pietro Leopoldo; alcune tra le più importanti sue opere dedicate al diritto naturale furono rielaborazioni degli appunti usati per l’educazione di Pietro Leopoldo, usati poi come testi nelle università asburgiche fino al XIX sec., es. l’Ordo historiae juris civilis (1755). Martini ricoprì anche cariche pubbliche. 7. Il Progetto Martini (1794) La redazione dell’Entwurf Martinis. Martini fu chiamato nel 1790 da Leopoldo II a presiedere la nuova “Imperiale Regia Commissione Aulica in Oggetto di Legislazione”, che ebbe come relatore il giudice von Haan; in 4 anni giunse a dar compiuta veste di codice al complesso materiale rappresentato da Codice Giuseppino e dal 2° e 3° libro dell’incompiuto Progetto di Horten; nel 1794 portò a termine il Progetto Martini che, pur denunciando un riavvicinamento al diritto romano, conservò la struttura tripartita, ma anche i contenuti giuridici del programma legislativo concepito da Horten (presentava però > concisione e snellezza dell’impianto). Il Progetto Martini risultò diviso in 3 parti, la 1° dedicata ai principi generali delle leggi e alle persone, la 2° alla proprietà, agli altri diritti reali e alle successioni, la 3° alla disciplina dei contratti e a ulteriori disposizioni residuali. La numerazione dei paragrafi ricomincia a ogni capitolo. Ancorato alla massima giusnaturalistica secondo cui il compito della legge dello Stato è positivizzare i diritti naturali nell’interesse di singoli e società, il progetto rappresentò un codice civile moderno in struttura e contenuti, infatti: a) disciplina il solo diritto privato; b) intende sostituire, non integrare, le fonti preesistenti e contiene un’apposita norma abrogativa; c) realizza con buona approssimazione il principio del destinatario unico della norma giuridica; d) presenta un dettato normativo sufficientemente chiaro, conciso e di alto livello tecnico, pur con qualche frammento discorsivo e paternalista. Il Progetto contiene, soprattutto nella parte introduttiva, numerose enunciazioni di carattere più filosofico che giuridico, conferma alcune disuguaglianze concernenti lo status personale di nobile o contadino e non esclude la possibilità di eterointegrazione o interpretazione giurisprudenziale; il §11, infatti, prospetta il ricorso, in caso di lacuna o oscurità della legge, ai “principi generali”, mentre alle consuetudini regionali è conservato il ruolo di strumenti interpretativi del codice. Le dichiarazioni di principio risentono probabilmente delle “Dichiarazioni dei diritti” elaborate i quel periodo nella Francia rivoluzionaria, ma son prive della loro potente carica ideale, condizionate dal presupposto che spettasse al sovrano e alle leggi di renderle pienamente efficaci. 8. Il Codice Galiziano (1797) Dall’Entwurf Martinis al WGGB. Il testo di Martini fu sottoposto all’esame di commissioni regionali incaricate di redigere una relazione che a sua volta sarebbe stata vagliata da una nuova commissione di revisione, ma nel frattempo una rielaborazione del Progetto Martini (progetto preliminare, WGGB), condotta sulla base dei primi rilievi delle commissioni regionali, fu posta in vigore a titolo sperimentale prima nella periferica Galizia Occidentale e poi in Galizia Orientale, questo testo fu sottoposto all’esame di magistratura, facoltà legali, consulte nobiliari e dei più importanti organi amministrativi e di governo. Il WGGB comprende una sez. introduttiva dedicata ai diritti e alla legge in generale e 3 parti dedicate a persone, cose e materie comuni o di difficile collocazione sistematica; la 1° parte si suddivide in 3 sez. dedicate a soggetti di diritto, famiglia e incapacità; la 2° raccoglie diritti reali, successioni e obbligazioni; la 3° regola, tra le altre cose, il regime patrimoniale della famiglia. Il testo risulta vicino al progetto di Martini, ma differisce per degli elementi formali (es. la diversa numerazione dei paragrafi, che nel codice galiziano è progressiva per ciascuna parte, mentre nel codice Martini ricomincia a ogni capitolo), per il tener conto di osservazioni formulate dalle commissioni regionali e per talune modifiche sostanziali, es. la nuova formulazione che consente il ricorso, in caso di lacuna od oscurità della legge, ai “principi generali e naturali del diritto”, secondo uno schema tipicamente giusnaturalista; per il resto, il WGGB riprese la tendenza a fissare un sogg. unico di diritto e presentò un’interessante teorizzazione, d’ispirazione illuminista, relativa a formulazione e portata dei diritti fondamentali. Spesso permeato di paternalismo assolutista, il WGGB si caratterizzò per l’ideale pedagogico del diritto di famiglia, evidente nella disciplina dei rapporti genitori-figli e nella regolamentazione di tutela e curatela; con la sua entrata in vigore l’opera di codificazione civile austriaca entrò nella fase conclusiva. 9. Franz von Zeiller e la promulgazione dell’AGBG (1801-1812) Franz von Zeiller: da Martini a Kant. La revisione dei due progetti fu delegata a una commissione imperiale (Hofkammer) nominata da Francesco I nel 1801 e presieduta dal conte Rottenhan, ma il cui membro più qualificato fu Franz von Zeiller, allievo di Martini, al cui contributo è imputabile l’influsso del pensiero di Kant, in particolare dell’individualismo giuridico kantiano; egli pose l’accento sulla capacità giuridica come diritto innato e spettante a tutti, vide nella codificazione l’attuazione del giusto, idonea a garantire la coesistenza delle libertà dei singoli e delle autonomie private. La fase finale dei lavori di codificazione. Il codice fu approntato in anni duri per la monarchia asburgica, impegnata a contenere l’espansionismo napoleonico e non ebbe vita facile, sottoposto a critiche dei conservatori della classe dirigente asburgica, il progetto per due volte fu respinto dal governo imperiale e per tre ridiscusso nei minimi particolari; la commissione terminò i lavori, dopo 132 sedute, nel dicembre 1806. Nella primavera del 1807 il governo rinviò una prima volta alla Hofkammer il progetto, rivisto in seconda lettura nel corso di 27 sedute fino al 1808, una definitiva Supervision fu portata a termine nel 1810. La Patente di promulgazione dell’ABGB. La Patente di promulgazione fu finalmente sottoscritta da Francesco I a Vienna il 1o giugno 1811, il testo entrò in vigore il 1o gennaio 1812 col nome di Codice Generale per i Territori Ereditari Tedeschi della Monarchia Austriaca (c.d. ABGB); nella Patente fu inserita la clausola di abrogazione di tutte le vigenti fonti concorrenti e del diritto comune. La Patente fa riferimento ad alcuni capisaldi del pensiero giusnaturalista, fondamento del lungo lavoro di preparazione del codice, in particolare talune idee relative ai caratteri generali della legge, che deve: a) costituire lo strumento per garantire ai cittadini sicurezza e tranquillità nel godimento dei rispettivi diritti; b) fondarsi sui principi generali di giustizia; c) tener conto delle caratteristiche dei popoli cui è indirizzata; c) esser comprensibile dai destinatari; d) aver una struttura ordinata e razionale. Un “poderoso fattore di unità”. La qualificazione “generale” che accompagna l’intitolazione del codice ha un duplice significato, tecnico e ideologico; dal 1° punto di vista il testo è “generale”, destinato a esser applicato nella > parte dei territori della corona asburgica; dal punto di vista ideologico il codice è “generale” in quanto concepito e realizzato anche come fattore di omogeneità politica-sociale entro uno Stato multietnico e culturalmente articolato quale quello asburgico (Menestrina ritenne l'AGBG “un poderoso fattore di unità avvincente popoli di schiatta e di lingua diversa”). L’ABGB non fu in grado di preservare unità e sopravvivenza dello Stato monarchico asburgico, ma fu sentito come proprio presso tutto l’Impero. STRUTTURA, CONTENUTI E VICENDE DELL’AGBG 1. I caratteri formali dell’AGBG La struttura del testo. Il Codice Civile Generale austriaco si presentò come codificazione di solo diritto privato, in applicazione di un concetto caro al giusnaturalismo di area germanica, secondo cui i diritti politici son d’esclusiva pertinenza del sovrano, ma spetta allo Stato definire e garantire i diritti di natura privatistica dei singoli. L’ABGB consta di 1502 paragrafi divisi in 3 parti, la 1°, dopo un’Introduzione intitolata Delle leggi in generale, contiene la sez. Del diritto delle persone, ripartita in 4 capitoli: diritti relativi allo status della persona, matrimonio, rapporti tra genitori e figli, tutela e cura. La Parte 2°, Del diritto sulle cose, dopo un capitolo introduttivo (Delle cose e della divisione legale di esse, si divide in 2 sez., la prima, Dei diritti reali, disciplina proprietà, possesso, modi d’acquisto della proprietà, garanzie reali, servitù, successione testata e intestata, comunione e altre situazioni reali; la 2°, Dei diritti personali sulle cose, riguarda contratti in generale, donazioni, contratti tipici (compreso il matrimonio), illeciti. La Parte 3°, Delle disposizioni comuni ai diritti delle persone e ai diritti sulle cose, distribuisce in 4 capitoli prescrizione, usucapione e costituzione, modificazione ed estinzione di diritti e obblighi. La tripartizione romanistica personae-res- actiones ripresa dal giusnaturalismo e corretta dalla distinzione (propria della filosofia kantiana) tra diritti della persona e diritti sulle cose (reali e obbligatori) presenta originalità. Le disposizioni sulla legge in generale (§§1-14) son più diffuse rispetto al modello francese ma più contenute rispetto ai progetti di fine 700, contengono definizioni che costituiscono una summa del pensiero giusnaturalista e giusrazionalista mitteleuropeo in fase più matura. Il codice prende avvio dalla definizione di diritto civile, fornita dal §1: “il complesso delle leggi che determinano diritti ed obblighi privati degli abitanti dello Stato fra loro costituisce il diritto civile” Segue, al §2, l’affermazione del principio espresso nel brocardo secondo cui ignorantia legis non excusat: “tosto che una legge è stata debitamente promulgata, nessuno può allegarne l’ignoranza a sua scusa”. Efficacia e l’estensione della legge son fissate dai §§3, 4 e 9, mentre il §5 pone il principio di irretroattività: “le leggi non influiscono sopra atti precedenti, né diritti anteriormente acquistati”. Il §6 circoscrive l’attività interpretativa al “proprio significato delle parole” della legge e alla “chiara intenzione del legislatore”; il §7 prevede il ricorso all’analogia e ai principi del diritto naturale; il §8 disciplina l’interpretazione autentica, “al solo legislatore spetta interpretare la legge in modo per tutti obbligatorio”. Quanto alle fonti del diritto civile, l’ABGB consente l’applicazione di norme consuetudinarie o antiche legislazioni provinciali solo quando la legge dello Stato “si riporti alle prime o espressamente confermi le seconde”. Le decisioni dei giudici “non hanno mai forza di legge, né possono estendersi ad altri casi o ad altre persone” (§12). Alla medesima impostazione si ricollegò la disciplina del diritto delle persone (Parte 1°), fondata sull’idea secondo cui “ogni uomo ha dei diritti innati che si conoscono colla sola ragione”; da questo postulato il legislatore asburgico fece discendere l’esplicita condanna della schiavitù: “la schiavitù o proprietà sull’uomo e l’esercizio della potestà ad essa relativa non sono tollerati in questi Stati”. La Parte 2° è informata al concetto gaiano-giustinianeo dello ius quod ad res pertinet; il diritto delle cose comprende non solo proprietà e diritti reali, ma anche successioni, obbligazioni e risarcimento del danno; ciò spiega l’estensione di questa parte ove vennero ricomprese le materie che nel Code Napoleone erano disciplinate in due libri (II-III). La Parte 3°, innovativa e originale, fu il 1° organico tentativo di codificare una sorta di “parte generale del diritto” in applicazione dell’impostazione dogmatica elaborata nel XVIII sec. Wolff e dalla scuola ispirata al suo pensiero, essa delinea (oltre che le regole relative a usucapione e prescrizione) la disciplina applicabile in generale alla Cost. e alla modificazione ed estinzione dei rapporti giuridici, anticipando gli sviluppi dottrinali realizzati nella seconda metà dell’800 dalla Pandettistica, portate alle estreme conseguenze nella Parte Generale del BGB. La relativa brevità dell’ABGB. La relativa brevità del codice è ricollegabile alla specifica concezione del ruolo della legge e della f(x) dell’interprete propria del legislatore austriaco, sintetizzata da Zeiller nel suo commentario al Codice Civile Generale: “la perfezione di un codice dipende dallo stabilire con ponderato giudizio dei principi generali da cui nascano per diretta conseguenza principi particolari ad ogni materia, il compito di semplificare le disposizioni di diritto spetta al legislatore, mentre l’applicazione delle stesse dev’esser rimessa al savio discernimento del giudice”. Il ruolo dell’interprete e il ricorso al diritto naturale (§ 7). L’ABGB delineò una disciplina di carattere generale, concentrata sull’illustrazione dei principi fondamentali e corredata da definizioni astratte, presuppone, in fase applicativa, un certo intervento da parte dell’interprete e per tal motivo presenta un carattere maggiormente filosofico e dottrinale rispetto al Code Napoléon che, chiuso e rigido, non ammetteva valvole di sfogo esterne e consentiva un’attività esclusivamente esegetica. Il codice austriaco presentava qualche lacuna rispetto al Code, ma concedeva > autonomia all’interprete autorizzando il ricorso all’analogia e ai principi del diritto naturale i cui postulati erano considerati norme positive applicabili. Il riferimento ai “principi del diritto naturale” contenuto nel §7 fu interpretato nei modi più diversi nel corso delle epoche successive, ma consentirà al codice del 1811 di evolversi e conservarsi in sintonia col divenire della società. 2. Le fonti dell’AGBG Una pluralità di fonti. I contenuti dell’ABGB discendono da una fusione e riorganizzazione di più fonti e fattori: a) la tradizione romanistica (e canonista) filtrata attraverso l’Usus Modernus Pandectarum (attraverso la prassi romanistica adeguata alle esigenze dell’epoca che caratterizzava gli indirizzi della scienza giuridica tedesca tra XVII e XVIII sec.); b) i vari diritti territoriali e provinciali presenti entro l’impero, l’unificazione dei quali era stata lo scopo originario dell’attività avviata da Maria Teresa nel 1753, es. il diritto boemo influenzò l’AGBG attraverso l’istituzione dei libri fondiari; c) i principi del diritto della ragione a base giusnaturalistica, talora già positivizzati nella legislazione settoriale della seconda metà del ‘700, in particolare nella legislazione edittale di Giuseppe II. ABGB e Code Civil. Il Code Civil entrò in vigore mentre l’ABGB attraversava la fase di elaborazione finale, eventuali analogie tra i due testi sembrano attribuibili alle comuni matrici giusnaturalistiche e romanistiche più che a un diretto influsso del 1° e, peraltro, il codice austriaco offrì ai medesimi problemi soluzioni che talora apparvero volutamente alternative rispetto al modello napoleonico. 3. Le scelte del legislatore asburgico I fondamenti giusnaturalistici dell’ABGB: un “baluardo della libertà civile”. Numerose le scelte di compromesso presenti nell’ABGB e altrettante “zone grigie” ove si confusero opzioni legislative di segno diverso, in alcuni casi di straordinaria modernità, in altri ancorate al passato, v. distinzioni di natura confessionale che interessarono la materia matrimoniale o la sopravvivenza di situazioni di privilegio cetuale; l’ABGB si mosse su una base di principi giusnaturalistici di equità e uguaglianza, espliciti i criteri espressi nella stessa Patente di promulgazione (garanzia della sicurezza e della tranquillità nel godimento dei rispettivi diritti per tutti i cittadini; riferimento ai principi generali di giustizia; rilevanza delle caratteristiche proprie dei singoli popoli; chiarezza e comprensibilità della normativa; ordine e razionalità nella stessa). L’ABGB sembrò presupporre la figura di un cittadino che, “capace di acquistare diritti”, fosse in grado di contare sulle proprie forze da un punto di vista economico e di amministrare quanto acquisito; finì per assumere il ruolo di un vero e proprio “baluardo della società civile”. La base giusnaturalista si manifestò prima di tutto nel diritto si famiglia, in buona parte immune dalla svolta autoritaria impressa dalla legislazione napoleonica (accolta in Italia dai codici della Restaurazione), significative l’affermazione della libertà matrimoniale, libertà di scegliere il coniuge al di là da condizionamenti, es., di tipo cetuale o confessionale, sancita dal §47: “ognuno può contrarre matrimonio, purché non osti alcun impedimento legale”. La patria potestà perdurava fino al 24° anno, ma pare, in rapporto al modello napoleonico, più sensibile alle esigenze educative dei figli. I rapporti patrimoniali tra coniugi, pur prevedendo come regime legale quello dotale anziché della comunione dei beni, permettevano alla donna di disporre liberamente dei beni parafernali e ignorava l’istituto dell’autorizzazione del marito per porre in essere atti di straordinaria amm. I genitori erano obbligati a fornire ai figli naturali “alimenti, educazione e collocamento in proporzione alle loro sostanze”; la disciplina della tutela sottopose il tutore al controllo del giudice e lo obbligò a presentare un rendiconto annuale della sua amministrazione. Ma, l’ABGB talora guardò al passato e in alcuni casi risultò singolarmente attaccato a istituti ormai superati, esemplare il mantenimento della fisionomia tradizionale del fedecommesso che creava a favore dei “futuri successori del casato” un patrimonio inalienabile, sottratto al circuito economico; il §619 classificava le varie forme di fedecommesso ricorrendo ai tratti tipici dell’Antico Regime, confermando la sussistenza di istituti quali la primogenitura e il maggiorasco, in Francia spazzati via dal droit intermédiaire durante la riv. La proprietà e il mantenimento delle categorie del dominium utile e del dominium directum. La disciplina della proprietà risulta meno limpida rispetto all’es. francese, l’ABGB prima definì la proprietà con riguardo all’ogg. della stessa, ricorrendo genericamente alla nozione “appartenenza”: “dicesi proprietà di alcuno ciò che gli appartiene, le sue cose corporali e incorporali”; poi, il codice delineò giuridicamente la proprietà in relazione al titolare del diritto, identificandola col potere di disposizione esclusivo: “la proprietà considerata come diritto è la facoltà di disporre a piacimento e ad esclusione di ogni altro della sostanza e degli utili di una cosa”; le analogie con l’art.544 del Code s’arrestano di fronte alla rilevanza attribuita alla separazione tra “sostanza” e “utili" di una cosa, che rinvia alle concezioni tradizionali in tema di dominium, alla distinzione tra dominio diretto e dominio utile, cancellata in Francia dal codice del 1804: “il diritto sulla sostanza della cosa congiunto in una sola persona col diritto sugli utili è proprietà piena e indivisa; se ad uno compete solo un diritto sulla sostanza della cosa e ad un altro il diritto esclusivo sugli utili di essa, il diritto sulla proprietà è diviso e non pieno sia per l’uno che per l’altro; il 1° si chiama proprietario diretto, il 2° proprietario utile”. Nel §359 si opera un’espressa menzione dei “feudi”, dei “beni feudali” e del “diritto particolare feudale”, aboliti in Francia dal droit intermédiaire, nonché il contratto di enfiteusi che, in quanto strettamente legato ai concetti di dominio diretto e di dominio utile, era assente nel Code Civil. La rilevanza del principio consensuale. Mancavano nella legislazione asburgica i connotati di unitarietà e di assolutezza che caratterizzarono la disciplina napoleonica della proprietà; le comuni matrici (romanistiche, razionalistiche e giusnaturalistiche) comportarono punti di contatto in tema di diritti reali e, in misura >, nella disciplina delle obbligazioni; es. nelle regole in tema di servitù, uso, usufrutto, le ascendenze romanistiche son evidenti in entrambi i codici e, in tema di obbligazioni, anche il codice austriaco riconobbe la rilevanza del principio consensuale (con formula meno efficace), il §861, nel delineare la struttura fondamentale del contratto, dichiara che esso nasce col consenso delle parti: “fa una promessa chi dichiari di voler trasferire in un altro un suo diritto, di concedergli, dargli o far per lui qualcosa, di voler trasferire qualcosa in suo vantaggio; se l’altra parte accetta validamente la promessa, col consenso di ambedue le parti nasce il contratto. Finché durano le trattative e quando la promessa non è ancora fatta o non è né prima né dopo accettata, non esiste ancora alcun contratto”. Il trasferimento della proprietà. Quanto all’efficacia reale del contatto, il legislatore asburgico si mantenne su un prudente tradizionalismo: “le cose che han già un proprietario si acquistano mediatamente allorché in modo legittimo passano da un proprietario all’altro; il titolo d’acquisto mediato si fonda nel contratto, nella disposizione pel caso di morte, nella sent. del giudice, o nella disposizione della legge”, “col solo titolo non s’acquista la proprietà, eccettuati i casi determinati dalla legge, la proprietà e tutti i diritti reali si possono acquistare solo per la legittima consegna e ricevimento”. L’ABGB dispose per i beni mobili che il passaggio della proprietà si verificasse alla consegna materiale del bene, confermando la necessità della romanistica traditio; per il trasferimento della proprietà immobiliare, invece, il legislatore austriaco surrogò la traditio con la “intavolazione”, trascrizione dell’atto d’acquisto presso gli uffici del pubblico registro immobiliare. 4. Il problema delle minoranze religiose Confessioni religiose e uguaglianza in materia di “diritti privati”: il §39 dell’ABGB. Destinato a entrare in vigore in uno Stato multietnico, caratterizzato dalla presenza di minoranze acattoliche o non cristiane, l’ABGB fu chiamato a realizzare un compromesso tra sensibilità della dinastia asburgica verso il Cattolicesimo e il riconoscimento dei diritti delle minoranze, frutto di tal compromesso furono dichiarazioni di matrice giusanturalista, che in materia di diritti privati tesero a eliminare ogni differenza di trattamento fondata sulla diversità di credo religioso, e una serie di scelte in tema di matrimono: “la diversità di religione non ha influenza sui diritti privati, se non per alcuni oggetti dalle leggi determinati”. Matrimonio e divorzio. La regolamentazione della materia matrimoniale fu riservata allo Stato, ma nel quadro di ampia recezione della disciplina canonistica, secondo il modello presente nell’Editto matrimoniale di Giuseppe II (1783). Le difficoltà incontrate dal legislatore asburgico si manifestarono nella disciplina del divorzio, il §111 stabilisce l’indissolubilità “se non per morte di un coniuge” del vincolo nei matrimoni tra cattolici e nei matrimoni in cui al momento della celebrazione almeno un coniuge professava la religione cattolica, poteva esserci scioglimento solo di matrimoni contratti tra cristiani non cattolici. La richiesta di divorzio poteva essere presentata, nel rispetto dei principi delle relative confessioni, per una serie di “gravi motivi”, tax , che in taluni casi mostravano parallelismi con la legge rivoluzionaria francese: “se uno dei coniugi è reo di adulterio o di delitto per cui sia stato condannato a 5 anni di carcere almeno, se abbia abbandonato maliziosamente l’altro, e se, essendo ignoto il luogo della sua dimora, non sia comparso entro 1 anno dalla pubblica giudiziale citazione, le insidie pericolose alla vita o alla salute, i gravi ripetuti maltrattamenti, avversione invincibile, per cui l’uno e l’altro coniuge domandino lo scioglimento e, in questo caso, lo scioglimento non s’accorda se prima non siasi sperimentata, anche reiteratamente, la separazione di letto e di mensa. In tutti i casi si procede secondo le regole prescritte per l’investigazione e pel giudizio sull’invalidità del matrimonio”. In caso di passaggio di un coniuge alla religione cattolica, il legislatore non privilegiò i principi di questa, assumendo come riferimento per la disciplina applicabile il momento della celebrazione del matrimonio; anche nel caso delle norme dettate per i matrimoni tra persone appartenenti alla religione ebraica si nota la tendenza a statalizzare le regole di matrice religiosa, il rabbino che presiede alla celebrazione del rito matrimoniale assume infatti, come il sacerdote cattolico o il pastore protestante, le vesti di PU e lo scioglimento del vincolo è ammesso nei limiti stabiliti dalla religione ebraica, che considera il matrimonio come un contratto e ammette il divorzio. 5. Dopo il 1812: due secoli di vigenza L’ambito politico–geografico d’applicazione dell’ABGB. Figlio come il Code Napoleone dell’illuminismo giusnaturalista, ma senza esser passato dalla rivoluzione e dominato dal pensiero Kantiano, l’ABGB si differenziava dal modello francese in alcune scelte strutturali e in parecchi indirizzi normativi, ma come quello era dotato dei caratteri della moderazione (nei contenuti) e della duttilità (nella struttura). Fu un codice che ad un rigore concettuale unì elasticità e raffinatezza nella tecnica legislativa talora non lontane da quelle del Code; tali doti, unite ai principi d’equità ed uguaglianza nei rapporti privati, lo resero suscettibile di applicazione anche fuori dai domini della monarchia asburgica e ne giustificarono la lunga vigenza, che si protrae tuttora nella Repubblica Austriaca. L’ABGB fu progressivamente esteso ai domini di Casa d’Austria, (Dalmazia, Liechtenstein, Croazia, Slovenia, Transilvania, Polonia austriaca e Ungheria, solo per un breve periodo). Dopo la 1° guerra mondiale, la vigenza fu mantenuta in quasi tutti gli Stati sorti dalla dissoluzione dell’impero asburgico, quindi, oltre che nella Repubblica Austriaca, in Cecoslovacchia, Transilvania, passata alla Romania, e nei territori sloveni e croati dell’ex Jugoslavia, applicato fino al 2° dopoguerra in Cecoslovacchia e in Transilvania e tuttora in vigore in Austria, Slovenia e, frammentariamente, in Croazia. 6. L’AGBG e l’Italia La vigenza dell’ABGB nei territori italiani. Il codice rimase in vigore in gran parte dell’Italia nord- orientale a lungo, dopo esser stato posto in attività nel 1815 in Trentino, Istria, Gorizia e Fiume (territori destinati a formare, dopo la I guerra mondiale, Trentino-Alto Adige e Venezia Giulia), la vigenza dell’ABGB fu estesa, dal 1816, alle provincie che formavano il Lombardo-Veneto (in questi territori il codice del 1812 rimase in vigore fino agli eventi politico-militari che conclusero l’età risorgimentale); fu applicato fino alla II guerra d’indipendenza (1859) in Lombardia, alla III (1866) in Veneto e Friuli, e fino alla conclusione della I guerra mondiale (1918) in Trentino-Alto Adige e Venezia Giulia, e, nei territori di queste 2 regioni vige tuttora il sistema di trascrizione immobiliare (c.d. tavolare) vigente dalla definitiva annessione delle stesse al Regno d’Italia (1919), la trascrizione dei negozi giuridici relativi ai beni immobili (che rende opponibili ai terzi tali negozi) è effettuata in modo diverso da quello di matrice napoleonica, tale sistema di pubblicità immobiliare è basato su una rilevazione catastale del territorio che consente di trascrivere sui pubblici registri immobiliari, accanto e per ogni unità immobiliare, le vicende giuridiche della stessa, il meccanismo prende come riferimento i singoli immobili, i registri immobiliari son impostati su base reale, non personale, riferendosi ai beni ogg. del negozio giuridico, non alle parti che l’hanno posto in essere. Da modello mancato a strumento di affermazione dello Stato di diritto. Negli anni in cui fu applicato nei territori italiani nord-orientali il codice austriaco diede ottima prova di sé e andò incontro a valutazioni positive. Nel Lombardo-Veneto si sviluppò anche una corrente dottrinale di alto livello, es. il Commentario all’AGBG di Onofrio Taglioni o Agostino Reale, che, dalla cattedra civilistica dell’Università di Pavia percorse col suo insegnamento e i suoi scritti la svolta metodologica d’impronta pandettistica di metà ‘800. Ma l’ABGB non funse quasi mai da modello alternativo per le codificazioni civilistiche, che preferirono il Code Napoleone, anche per il fatto che esso spesso era già stato messo alla prova con esiti positivi; l’ABGB entrò in diretta concorrenza col modello francese solo nella formazione del codice civile del ducato di Parma e Piacenza, governato da Maria Luigia d’Asburgo, figlia dell’Imperatore. Il codice svolse comunque un ruolo importante per l’affermazione definitiva dell’idea di codificazione, neutro strumento di modernizzazione tecnica, contribuì potentemente all’affermazione dello Stato di diritto. L’ABGB e il problema dell’autorizzazione maritale in Italia. L’assenza dell’autorizzazione maritale nell’AGBG fu all’origine in Italia di una (minoritaria) combattiva corrente che si oppose all’introduzione di tal istituto nella legislazione dello Stato unitario, s’intendeva preservare le donne residenti nei territori già austriaci dal grave vulnus che, in seguito a tal introduzione, sarebbe stato introdotto al loro status giuridico. L’autorizzazione maritale fu inserita nel codice civile del 1865, pur con talune limitazioni, ma la controversia si protrasse e si ripropose dopo la I guerra mondiale, quando vennero annessi al Regno d’Italia nuovi territori ex austriaci sottoposti all’ABGB, ove l’istituto era ignoto, ma i tempi erano mutati e l’istituto non fu esteso a Trentino e Venezia Giulia e fu abolito, nel 1919, anche nel resto della penisola. 7. La limitata influenza del modello asburgico Un modello alternativo di scarso successo. L’AGBG non fu caricato da alcuna particolare valenza ideale e il testo venne a operare in un quadro dottrinale inadeguato, mancò un’esperienza comparabile alla Scuola dell’Esegesi che si risolse in un potente strumento di divulgazione, per la prima metà dell’800 la scuola austriaca si attardò in un ripetitivo giusnaturalismo post-illuminista in ritardo sugli sviluppi del pensiero giuridico europeo. Il codice si limitò a far da modello al codice civile serbo (1844), ad alcuni codici di cantoni svizzeri e ai progetti di codice civile per il Regno di Baviera e per il Regno di Sassonia (1853), quando poi a fine ’800, grazie alla pandettistica, anche le codificazioni appartenenti alla famiglia tedesca registrarono successi e consensi, l’ABGB apparse ormai vecchio e talora superato. La vitalità dell’ABGB, elemento essenziale nella storia del moderno diritto europeo. L’AGBG resta un testo di notevole forza e vitalità nella sua terra d’origine, ove, dopo aver superato l’Anschluss (1938), continua a esser applicato, pur con contenuti profondamente rinnovati; indispensabile il progressivo venir meno di obsoleti istituti (enfiteusi, fedecommesso) e la soppressione dei residui vincoli feudali. Incisive furono le tre successive Teilnovellen (1914-1916), che han comportato riformulazione di interi blocchi normativi dell’ABGB e avvicinarono la legislazione austriaca alle concezioni di matrice pandettistica e al BGB. Al di là delle inevitabili modifiche susseguitesi, la generalità, astrattezza e sobrietà del testo (talvolta a scapito della completezza) e la capacità di coordinarsi a nuove leggi han permesso all’ABGB di sopperire alla mancanza dei pregi stilistici del testo napoleonico (caratteri fondamentali per la plurisecolare vigenza).
Il male assoluto: Dallo Stato di Diritto alla modernità Restauratrice L’incompatibilità tra Costituzione e Trattati dell’UE Aspetti di criticità dell’Euro