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Civile Sent. Sez. 3 Num.

8445 Anno 2019


Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: GORGONI MARILENA
Data pubblicazione: 27/03/2019

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


SENTENZA

sul ricorso 21394-2016 proposto da:

VARESANO NICOLA, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA S.MARIA MEDIATRICE, l, presso lo studio

dell'avvocato MARIO ARPINO, che lo rappresenta e

difende unitamente all'avvocato ADABELLA GRATANI

giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

ITALFONDIARIO SPA , in persona dell'Avv. SIMONE

AMORUSC, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI

VILLA GRAZIOLI, 15, presso lo studio dell'avvocato


GUIDO GARGANI, che la rappresenta e difende

unitamente all'avvocato GIOVANNI RECALCAT1 giusta

procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 2044/2016 della CORTE

D'APPELLO di MILANO, depositata il 25/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

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udienza del 15/06/2018 dal Consigliere Dott. MARILENA

GORGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per

l'inammissibilità in subordine il rigetto;

udito l'Avvocato ADABELLA GRATANI;

udito l'Avvocato PIER AURELIO COMPAGNONI per delega;

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FATTI DI CAUSA
Nicola Varesano cogarantiva, verso Banca Intesa s.p.a., ora Intesa San Paolo
s.p.a., fino all'ammontare di euro 300.000,00, le obbligazioni future di TSO s.r.l.
La banca beneficiaria, ottenuto dal Tribunale di Milano il decreto ingiuntivo
n. 16901/2010 nei confronti dei fideiussori, chiedeva il pagamento della somma
di euro 123,398,24, derivante da tre distinte ragioni di credito: un saldo debitorio
di conto corrente e due finanziamenti, l'uno del luglio 2004 e l'altro del marzo

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2007. Uno dei fideiussori, Maurizio Camurati, si liberava dall'obbligo fideiussorio
pagando euro 70.000,00. Nicola Varesano e Gilberto Zampatti, gli altri due
cogaranti, proponevano separate opposizioni al decreto ingiuntivo che, dopo
essere state riunite, venivano respinte dal Tribunale di Milano, con sentenza n.
2763/2013, la quale condannava in solido gli opponenti al pagamento di euro
53.398,24 — pari alla differenza tra la somma ingiunta e quanto già ottenuto da
Maurizio Camurati — e alla rifusione delle spese di lite verso Italfondiario s.p.a.
e il terzo chiamato.
Avverso detta sentenza Nicola Varesano proponeva gravame dinanzi alla
Corte di Appello di Milano che, con sentenza n. 2044/16, depositata il 6.4.2016,
rigettava il ricorso, confermava la sentenza impugnata, detraendo dall'importo
di euro 35.024,50 quanto già percepito dalla banca a seguito della escussione
dei titoli dati in pegno, condannava Nicola Varesano al pagamento delle spese di r.1/4 6
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lite ed a corrispondere per lite temeraria, ex art. 96, comma 3, c.p.c., la ulteriore i
somma di euro 9.515,00.
Nicola Varesano propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza n.
2044/17 della Corte d'appello di Milano, fondato su 18 motivi, illustrato da
memoria.
Resiste con controricorso Italfondiario s.p.a.

RAGIONI DELLA DECISIONE


1. Con il primo motivo, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4., c.p.c., lamenta
la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c.
(p. 2).

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2. Con il secondo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.,
lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. e del Dm 55/2014
(p. 4).
3. Con il terzo motivo, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., lamenta
la violazione e falsa applicazione degli artt. 96, comma 3, e 101 c.p.c. e artt. 24
e 111 Cost. (p. 5).
4. Con il quarto motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., deduce
la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c. sotto altro profilo

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nonché l'irragionevolezza e la sproporzione della condanna per lite temeraria
rispetto al quantum riconosciuto (p. 8).
5. Con il quinto motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.,
lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 13, comma 1 - quater d.p.r.
n. 11572002, oltre all'insussistenza del presupposto di rigetto integrale
dell'impugnazione richiesto dalla legge (p. 10).
6. Con il sesto motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.,
lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1956 c.c. (p. 10).
7. Con il settimo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.,
deduce l'omessa pronuncia sull'eccezione di violazione e/o falsa applicazione
dell'art. 1956 c.c. in combinato disposto con gli artt. 1175 c.c. e 1375 c.c. (p.
13)
8. Con l'ottavo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.,
lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2558 c.c. (p. 14).
9. Con il nono motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., lamenta
la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e
118 disp. att. c.p.c. (p. 16).
10. Con il decimo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.,
lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1953 e 1955 c.c. (p. 18).
11. Con l'undicesimo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3. c.p.c.
deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1944 c.c., 7 e 10 del
contratto di fideiussione (p. 20).

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12. Con il dodicesimo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.,
lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. in relazione al
procedimento monitorio (p. 22).
13. Con il tredicesimo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.,
lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. e del Dm 140/2012
(p. 24).
14. Con il quattordicesimo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4,
c.p.c., lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 1,

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n. 4 c.p.c., 118 disp. att., 1346 e 1418 c.c. (p. 25).
15. Con il quindicesimo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3,
c.p.c., lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1467 c.c. (p. 26).
16. Con il sedicesimo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.,
lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. (p. 27).
17. Con il diciottesimo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.,
lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4
c.p. e 118 disp.att.c.p.c. (p. 29).
18. Con il diciannovesimo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4,
c.p.c., lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 274, 281-
quinquies, 281 sexies, 189, 190 e 101 c.p.c. (p. 30).
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19. In via preliminare va osservato che il ricorso difetta della


rappresentazione dei fatti di causa che questa Corte ha potuto ricostruire solo in
virtù della sentenza impugnata e del controricorso del resistente.
19.1. Infatti, il ricorrente intitola una parte del ricorso "FATTO
SOSTANZIALE" (p. 1) e sotto tale etichetta riferisce in modo tutt'altro che lineare
ed intellegibile taluni dei fatti storici che hanno occasionato la controversia,
peraltro, neppure messi in relazione con quelli di causa (pp. 1-2 del ricorso).
19.2. Dopo una ricostruzione illustrativa della situazione patrimoniale di TSO
s.r.I., debitore principale, a cui favore il ricorrente aveva stipulato, prima che ne
sopravvenisse il fallimento, la fideiussione per cui è causa, allo scopo di far
emergere la condotta asseritamente contraria a buona fede tenuta da
ItalFondiario — ricostruzione dei fatti e censure, la cui rilevanza non è
percepibile né è resa percepibile — il ricorrente passa a lamentare, con 18 motivi

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— che risultano numerati erroneamente, infatti dal motivo n. 17 si passa al n.
19, omettendo il n. 18 — l'illegittimità della sentenza di secondo grado, senza
prima avere neppure indicato quali erano stati i fatti giuridici costitutivi della
domanda proposta nel primo giudizio. Di essi si apprende solo leggendo
l'illustrazione del motivo n. 1, che risultava dall'unione di due procedimenti (ne
vengono riportati gli estremi (p. 2) e il dispositivo (pp.2-3)), ove si fa menzione
del "sig. Zampatti" e della "Solgenia", senza averne mai indicato il ruolo nel
processo. Il ricorrente nella brevissima narrativa che premette all'illustrazione

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dei motivi non ha mai fatto alcun cenno al fatto che egli fosse cofideiussore: anzi
dalla lettura del ricorso si percepisce che egli fosse unico garante della TSO srl.,
perché il ricorso esordisce in questo modo: "il Sig. Varesano in data 08.07.2004
sottoscriveva contratto di fideiussione per obbligazioni future a favore della TSO
srl (p. 1)". Della Solgenia invece si apprende immediatamente che è stata
cessionaria prima di un ramo di azienda e poi dell'intera azienda facente capo a
TSO s.r.I., ma non è chiaro a quale titolo sia stata coinvolta nei fatti di causa.
19.3. Non vi è alcun riferimento neppure alle vicende che hanno portato alla
decisione impugnata: non viene fornita alcuna indicazione in merito a chi fossero
l'appellante e l'appellato, alle ragioni dell'appello e alle statuizioni del giudice di
secondo grado -- al dispositivo si fa riferimento a p. 3, per dedurne la nullità -

19.4. Le richieste del ricorrente in sede di gravame sono riportate con note
a piè di pagina (pp. 3-4, 23), sempre a supporto dei motivi di censura; quelle
della controparte, invece, non vengono mai indicate.
19.5. Tanto premesso, si ribadisce che l'esposizione sommaria dei fatti è
prescritta a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall'art. 366 c.p.c.,
comma 1, n. 3, ove è considerata uno specifico requisito di contenuto-forma del
ricorso. Essa deve consistere in una esposizione che garantisca alla Corte di
Cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che
ha originato la controversia e del fatto processuale, senza imporle o pretendere
che si avvalga, a tale scopo, di altre fonti o degli atti in suo possesso, compresa
la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 18/05/2006 n. 11653).

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19.6. Va, altresì, ricordato che la prescrizione del requisito non soddisfa
affatto un'esigenza di mero formalismo, ma è funzionale all'offerta di una
conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che
permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al
provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 20/02/2003 n. 2602).
19.7. Stante tale funzione, per soddisfare la prescrizione dell'art. 366 c.p.c.,
comma 1, n. 3, è necessario, come statuisce la prima delle decisioni evocate,
che il ricorso per Cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o

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particolareggiato, l'indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti,
con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle
eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla
posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue
articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su
cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in
appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.
19.8. Ebbene, la sopra ricordata esposizione del fatto non rispetta tali
ineludibili contenuti: in primo luogo, perché non sono indicati i fatti storici che
hanno occasionato la controversia, né le ragioni giuridiche sulla base delle quali
la domanda del ricorrente era stata introdotta nel primo e nel secondo giudizio.
Per di più, va rilevato che neanche la prospettazione dei motivi della decisione
impugnata consente di percepire con facilità le ragioni delle domande e delle
decisioni di primo grado e di secondo grado, posto che in essi si suppone
evidentemente il pregresso svolgimento processuale. Questa Corte ha potuto
risalire ai fatti di causa, si ripete, non già attraverso il ricorso e l'esposizione dei
suoi motivi, ma attraverso la lettura del controricorso, della sentenza impugnata
e della decisione di primo grado spillata al ricorso.
20. In via gradata si rileva che dalla lettura della rubrica dei motivi, la cui
ratio, come si è detto, si percepisce solo attraverso lo svolgimento di un'attività
non dovuta da questa Corte, si colgono ulteriori ragioni di inammissibilità, al
netto della possibilità che l'errore di sussunzione possa in concreto essere
corretto, come un consolidato indirizzo di legittimità riconosce in astratto (Cass.
sez. un. 24/07/2013, n. 17931). Il riferimento riguarda il motivo n. 2, il n. 3, il

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n. 4, il n. 13, i quali, pur lamentando la violazione di norme processuali, indicano
come vizio cassatorio l'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
21. Peraltro, pur essendo i precedenti rilievi assorbenti, anche l'analisi dei
singoli motivi, se consentita, si sarebbe risolta in un giudizio di inammissibilità.
21.1. In ordine ai primi due, logicamente connessi, va rilevato che il debito
garantito si è parzialmente estinto per l'escussione da parte della banca dei titoli
dati in pegno successivamente alla sentenza di primo grado, senza che tale
circostanza sia atta a far ritenere che l'ingiunto, attuale ricorrente, non sia la

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parte soccombente. Per la giurisprudenza di questa Corte "il semplice fatto della
revoca del decreto ingiuntivo non può fare ritenere l'opponente vittorioso" ed il
fatto che il carico delle spese gravi sull'attuale ricorrente "corrisponde al generale
principio, secondo cui le spese del processo anticipate per l'inadempimento del
debitore debbano essere sopportate dal medesimo, che vi ha dato causa, anche
se nel corso del processo l'obbligazione venga estinta" (Cass. 19/10/2006, n.
22489).
21.2. Né possono nutrirsi dubbi circa la revocabilità del decreto. E'
sufficiente, al riguardo, richiamare l'orientamento espresso dalle Sezioni unite di
questa Corte, secondo il quale, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il
giudice deve accertare la sussistenza e i limiti dell'obbligazione vantata dal
creditore, con l'ulteriore corollario che la sentenza provocata dall'opposizione,
accertando l'inesistenza totale o parziale del diritto, non può che revocare il
decreto ingiuntivo, il quale non può sopravvivere alla sentenza di condanna per
un importo diverso e per lo più inferiore. (Cass. sez. un. 07/07/1993, n. 7448).
22. Relativamente ai motivi nn. 3 e 4, basta osservare che la somma per cui
si è condannati, ex art. 96, comma 3, c.p.c., può essere quantificata in misura
pari all'importo liquidato a titolo di onorari, con ciò valorizzandosi i combinati
profili dell'abuso del processo, del valore della causa, della sua durata, tenuto
conto che, secondo l'id quod plerumque accidit, ingiustificate condotte
processuali causano ex se anche danni di natura patrimoniale che per
essere ragionevolmente quantificati vanno equitativamente liquidati sulla
base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa (Cass.
27/11/2007, n. 24645), con l'unico limite che il giudice, nell'adozione del criterio

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equitativo, non venga a stridere con il canone della ragionevolezza (Cass.
30/11/2012, n. 21570).
22.1. Né può negarsi che l'irrogazione della sanzione fosse giustificata: la
giurisprudenza ritiene sufficiente a tal fine la pretestuosità dell'iniziativa
giudiziaria, per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata
(Cass. 22/02/2016 n. 3376), la manifesta inconsistenza giuridica delle censure
in sede di gravame (Cass. 18/11/ 2014 n. 24546) oppure la palese e strumentale
infondatezza dei motivi di impugnazione (Cass. 26/03/2013 n. 7620), provati

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dalla ricorrenza di indizi che la parte soccombente abbia agito, se non con dolo,
almeno con "colpa grave", intendendosi con tale formula la condotta
consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e di buona fede
che si risolva in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione del
dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. (Cass., Sez. Un., 11/12/2007, n.
25831; Cass.07/10/2013, n. 22812).
23. Il motivo n. 5 è assorbito dai motivi nn. 1 e 2.
24. Il motivo n. 6 richiede un inammissibile riesame delle prove. Il ricorrente
pretende, attraverso la deduzione della violazione dell'art. 1956 c.c., di
sottoporre a questa Corte lo stesso compendio probatorio già esaminato dal
giudice a quo e ritenuto privo di valore dimostrativo e/o irrilevante.
25. Il motivo n. 7 non contiene un raffronto comparativo con la parte
motivazionale della sentenza impugnata che avrebbe fatto erronea applicazione
delle norme invocate e, quand'anche venisse ricondotto all'art. 360, comma 1,
n. 5, c.p.c., incorrerebbe nel divieto di cui all'art. 348 ter c.p.c.
26. Quanto al motivo n. 8, la tesi del ricorrente contrasta con l'art. 1936 c.c..
La clausola da lui invocata non può che collocarsi all'interno dei rapporti tra
fideiussore e creditore principale. Il debitore non aderisce alla fideiussione ed è
indifferente che ne sia a conoscenza e potrebbe persino essere contrario. La
pattuizione, cui si riferisce il ricorrente, peraltro non riprodotta integralmente in
violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., non può riferirsi, dunque, ad un
accordo tra il fideiussore e il debitore principale, ma ad una clausola stipulata a
beneficio del creditore volta ad estendere la garanzia prestata dal fideiussore,
allargando la base soggettiva passiva, cioè i debitori, stante che l'obbligo del

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fideiussore è quello di soddisfare il creditore nel caso in cui il debitore principale,
garantito, risulti inadempiente. Il fideiussore, nel manifestare in modo espresso
la volontà di prestare la garanzia (art. 1937 c.c.), deve anche indicare la
obbligazione principale garantita, il soggetto garantito, le eventuali condizioni e
limitazioni soggettive ed oggettive della garanzia rispetto all'obbligazione
principale.
26.1. Inconferente è addurre la possibilità che la cessione di azienda
comprenda anche la fideiussione, data la natura non personale della garanzia.

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La Corte ha escluso che la fideiussione facesse parte della cessione di azienda,
perché la fideiussione non è un obbligo assunto dal debitore principale, ma dal
fideiussore nei confronti del creditore. La cessione ha determinato il passaggio
del debito della TSO alla Solgenia spa, ma non ha modificato il creditore della
prestazione di garanzia che era ed era rimasta la banca.
27. Il motivo n. 9, al netto della prospettazione poco intellegibile che si
estende alla individuazione delle norme asseritamente violate, sembra
rimproverare la sentenza sotto il profilo evidentemente della insufficienza della
motivazione, per essersi limitata ad una ricostruzione presuntiva del dictum del
primo grado. Al contrario la Corte con una spiegazione esauriente ha ben
chiarito, alle pp. 14-16, che la banca, facendo riferimento al saldo debitorio di
conto corrente, non contestato, ha inteso ridurre la propria iniziale pretesa dagli
iniziali 53,398,24 ad euro 50.000,00, al netto delle altre proprie ragioni di
credito, derivanti dai contratti di finanziamento, di euro 9.393,98 e di euro
64.004,26. Il debito della TSO, infatti, risultava da ragioni diverse: un debito da
saldo di conto corrente e due finanziamenti.
28. Il motivo n. 10 è inammissibile perché la chiamata in causa del terzo,
come riconosce lo stesso ricorrente a p. 19 del ricorso, è rimessa alla
discrezionalità del giudice di merito e subordinata alla valutazione delle ragioni
di economia processuale, stimando le quali il giudice ha ritenuto che la chiamata
in causa della Solgenia costituisse un grave intralcio che avrebbe impedito una
rapida definizione del processo intercorrente tra il ricorrente e la banca (p. 17
della sentenza), non essendo precluso al fideiussore di agire con le azioni di

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rilievo e cautelari nei confronti della Solgenia, ai sensi dell'art. 1953 c.c., e con
l'azione di regresso ai sensi dell'art. 1955 c.c.
29. Il motivo n. 11 è inammissibile per le ragioni già enunciate relativamente
al motivo numero 8, cui si rinvia.
30. La tesi prospettata con i motivi nn. 12 e 13 è in contrasto con la
giurisprudenza di questa Corte opportunamente evocata dal giudice a quo sia
quanto alla individuazione della soccombenza (Cass. 27/03/2007, n. 7526;
Cass. 19/3/2007 n. 6514; Cass. 19/10/ 2006 n. 22489) sia quanto alla

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determinazione delle spese di lite, stante che il valore della controversia va
individuato sulla scorta del criterio del disputandum (Cass. 12/01/2011, n. 536;
Cass. 11/09/2007 n. 19014).
30.1. La difficoltà economica del fideiussore non integra l'ipotesi
dell'impossibilità della prestazione, come dedotto dal ricorrente con il motivo n.
14, che, in tanto determina, a norma dell'art. 1256 c.c., l'estinzione
dell'obbligazione in quanto sia oggettiva ed assoluta: ipotesi che non ricorre
quando l'impossibilità venga riferita alle possibilità economiche del debitore. La
difficoltà economica, peraltro, per ammissione del ricorrente, esisteva già al
momento della stipulazione del contratto e quindi non può dirsi sopravvenuta.
30.2. Né dà luogo ad un'ipotesi di nullità del contratto per impossibilità del
suo oggetto, essendo irrilevante per l'esistenza del credito il quantum di
probabilità circa il previsto soddisfacimento dell'interesse del creditore ad opera
del debitore, sia per l'esistenza dell'obbligazione che il debitore si trovi in una
situazione patrimoniale idonea a garantire al creditore il conseguimento di un
risultato favorevole, quantunque per equivalente.
31. I motivi nn. 15 e 16 sono inammissibili perché si chiede una rivalutazione
dei fatti di causa, al mero fine di ottenere una statuizione di contenuto diverso
rispetto a quella impugnata e per sé favorevole.
32. Il motivo n. 18 è inammissibile perché la sentenza viene impugnata per
motivazione apparente, deducibile ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. e
non già sotto il profilo dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass. 11/02/2009, n.
3357). Ad ogni modo, come riconosciuto, dallo stesso ricorrente, a p. 29 del
ricorso, il vizio denunciato ricorre solo quando manchi la motivazione ovvero

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essa ci sia, ma non renda percepibile il fondamento della decisione, perché
recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento
seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi
lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche
congetture (Cass. 22/02/2018, n. 4294): ipotesi che non ricorre nel caso di
specie ove al contrario la Corte ha spiegato adeguatamente, logicamente e
chiaramente le ragioni della sua decisione.
33. In ordine al motivo n. 19, il vizio cassatorio utilizzato per muovere

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censure alla sentenza impugnata esigeva che il ricorrente indicasse il concreto
pregiudizio subito dalla disposta riunione dei procedimenti, stante che, come
questa Corte ha già avuto modo di precisare, ristituto della riunione dei
procedimenti, di cui agli artt. 273 e 274 c.p.c. risponde ad esigenze di ordine
pubblico processuale (Cass. 11/06/2002, n. 8327).
34. La natura di tutte le censure presenti nel ricorso, come emerge già dalle
osservazioni al riguardo effettuate, è connotata da una così eclatante
inammissibilità(ed infondatezza)da potersi ritenere che il ricorrente abbia agito
in modo pretestuoso, con abuso dello strumento processuale, sì da giustificare
la condanna al pagamento di una somma, liquidata in dispositivo, determinata
secondo equità ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.
35. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
36. Le spese seguono la soccombenza.
37. Sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo
unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidandole in
euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per
cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Condanna la parte ricorrente al pagamento di euro 3.000,00 ai sensi dell'art.
96, comma 3, c.p.c.

12
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 15.6.2018 dalla Terza Sezione civile
della Corte di Cassazione.

Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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