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Civile Sent. Sez. 2 Num.

27993 Anno 2018


Presidente: MATERA LINA
Relatore: CARRATO ALDO
Data pubblicazione: 31/10/2018

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


inefficacia di proposte
SENTENZA irrevocabili relative a
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 12988/'14) proposto da: contratti preliminari

PIAZZA DOMENICO (C.F.: PZZ DNC 34L16 L331Y), rappresentato e difeso, in


forza di procura speciale in calce al ricorso, dall'Avv. Francesca Piazza ed
elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. Alberto Maria Papadia, in
Roma, v. Catanzaro, n. 9; - ricorrente -
contro
DOMINA VACANZE S.P.A. (C.F.: 09399090159), in persona del legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale
in calce al controricorso, dagli Avv.ti Stefania Pattarini e Francesco Mainetti ed
elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, piazza Mazzini,
n. 27; - controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 2141/2013, depositata il
27 maggio 2013 (e notificata il 29 novembre 2013);
Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 6 marzo
2018 dal Consigliere relatore Aldo Carrato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Alberto Celeste, che ha concluso, in via principale, per l'inammissibilità del
ricorso e, in via subordinata, per il suo rigetto;
uditi l'Avv. Alberto Maria Papadia (con delega) per il ricorrente e l'Avv.
Vanni M. Ribechi (per delega) nell'interesse della controricorrente.

/(4 /((-)
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato nel novembre 1997, il dr. Piazza Domenico
conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, la Domina Hotel e
Comproprietà Alberghiere s.p.a. per sentir dichiarare la nullità della proposta
irrevocabile di cui al contratto preliminare n. 368 del 3 agosto 1993 e di quello
precedente n. 338 del 21 giugno 1991, riguardanti l'acquisto del diritto di
soggiornare durante i periodi 22 e 23 nella suite 301 del "Piccolo Hotel" di

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Portofino; in via gradata, chiedeva la declaratoria di inefficacia dei contratti per
asserita vessatorietà derivante dalla mancata indicazione dell'oggetto; inoltre
instava per la dichiarazione della nullità, in ragione dell'omessa indicazione
della controprestazione dovuta per le sole spese di gestione in caso di mancato
utilizzo, dei contratti nn. 557 del 1992 (concernente l'acquisto del diritto di
soggiornare durante il periodo 13 nella suite n. 230) e 30301 del 1993
(inerente l'acquisto del diritto di soggiornare durante il periodo 2 FA nella suite
322) relativi all'Hotel Les Jumeax di Courmayer; in via subordinata, l'attore
chiedeva di prendere atto della sua dichiarazione di recesso intervenuta con
riguardo ai menzionati contratti e, in linea ancor più gradata, chiedeva
dichiararsi la vessatorietà della relativa clausola per equivocità, con il
ristabilimento dell'equilibrio contrattuale dando atto che i contratti dedotti in
giudizio attribuivano ad esso attore il diritto ad una prenotazione alberghiera
preferenziale perpetua e nessun obbligo di fruire del servizio, dichiarando,
altresì, che nulla era da lui dovuto alla Domina Hotel per i soggiorni non fruiti
per gli anni 1995, 1996 e 1997; l'attore chiedeva, in aggiunta, di dare atto che
la nullità e la vessatorietà dei contratti erano dovute a fatto e colpa della
società convenuta, con la conseguente condanna della stessa a restituire le
somme percepite a titolo di corrispettivo per i citati contratti, con ulteriore
condanna, a titolo risarcitorio, alla restituzione dell'iva pagata, per un totale di
complessive £ 186.472.220.
Nella costituzione della società convenuta, che eccepiva l'incompetenza per
territorio del giudice adìto per effetto dell'applicabilità di apposita clausola
derogativa prevista per accordo negoziale tra le parti, il Tribunale di Bologna,
con sentenza del 28 marzo 2003, accoglieva la formulata eccezione e dichiarava

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la sussistenza della competenza del Tribunale di Milano. Riassunto il giudizio
dinanzi a quest'ultimo giudice, lo stesso, con sentenza n. 4408 del 2006,
rigettava tutte le domande proposte dall'attore.
Interposto gravame da parte del soccombente Piazza, al quale resisteva
l'appellata Domina Vacanze s.p.a. (già Domina Hotel e Comproprietà
Alberghiere s.p.a.), la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 2141/2013
(depositata il 27 maggio 2013), rigettava integralmente l'appello, confermando

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l'impugnata sentenza di prime cure e condannando l'appellante alla rifusione
delle spese del grado.
A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte ambrosiana premetteva che il
gravame del Piazza era basato sul rilievo che le declaratorie di invalidità,
inefficacia e di vessatorietà riconducibili alle domande respinte all'esito del
giudizio di primo grado avrebbero dovuto essere pronunciate in conseguenza
dell'inosservanza di norme entrate in vigore successivamente alla sottoscrizione
dei contratti preliminari dedotti in controversia (c.d. "ius superveniens"), nel
mentre la relativa normativa non avrebbe potuto trovare applicazione nella
fattispecie ai sensi dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale inserite
nella premessa del codice civile.
Quanto ai singoli motivi di appello formulati dalla difesa del Piazza la Corte
territoriale, non senza aver evidenziato che l'appellante era stato il notaio di
riferimento della società appellata e che - in virtù dell'espletamento di tale
funzione - era da presumersi che egli avesse una precisa cognizione della
contrattualistica adoperata dalla sua cliente e dei contenuti della stessa,
rilevava:
- l'infondatezza della censura sull'omessa valutazione di risultanze processuali
sul presupposto che le istanze probatorie, già ritenute inammissibili in primo
grado, non erano state reiterate in appello;
- l'infondatezza della doglianza di omessa motivazione, con la sentenza di prime
cure, sulla rinuncia alla domanda di nullità per indeterminatezza dell'oggetto del
contratto relativo al soggiorno in Portofino;

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-, l'infondatezza della censura riguardante la ritenuta inapplicabilità dello "ius
superveniens" di recepimento della normativa comunitaria in materia (siccome,
per l'appunto, sopravvenuto alla conclusione degli accordi negoziali);
- l'infondatezza del motivo con il quale si era dedotta la supposta
contraddittorietà intrinseca della sentenza del primo giudice facendo leva su
una fattispecie in tema di immobili abusivi non pertinente all'oggetto del
processo;

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- l'inammissibilità della censura relativa all'asserita applicabilità di una
normativa regionale che avrebbe inciso sulla validità degli accordi contrattuali;
- l'insussistenza di una ipotesi di nullità dei controversi contratti preliminari;
- l'insussistenza della violazione di legge ricondotta alla mancata applicazione
del d. Igs. n. 206/2005;
- l'insussistenza della vessatorietà delle clausole contrattuali denunciate come
tali;
- l'inammissibilità, siccome irritualmente proposto, del motivo sull'inesistenza
della decisione in ordine al collegamento negoziale "ex lege" tra preliminare e
definitivo oltre che sulla rilevanza dello "ius superveniens" nel periodo
intermedio.
Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il
Piazza Domenico, articolato in sei motivi, al quale ha resistito con controricorso
l'intimata Domina Hotel s.p.a. La difesa del ricorrente ha anche depositato
memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c. .
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo complesso motivo (intitolato: LE DOMANDE DI RESTITUZIONE
EX DECLITO) il ricorrente ha dedotto sia la falsa motivazione che il
travisamento dei motivi di appello in ordine all'inesistente domanda di prova
testimoniale, sia la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. per omesso esame
e/o riesame delle prove documentali in atti e conseguente omessa pronuncia
sulla domande di restituzione, sia il vizio di motivazione falsa, incerta ed
espressa in forma dubitativa.
2. Con la seconda articolata censura (recante in epigrafe il titolo: NULLITA'
ORIGINARIA DEI CONTRATTI DI PORTOFINO) il ricorrente ha prospettato sia la

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yiolazione del principio del "ne bis in idem" (art. 2909 c.c.) nonché dell'art. 112
c.p.c. per omesso esame della questione rilevabile d'ufficio relativa
all'esistenza del giudicato interno, sia il vizio di falsa ed illogica motivazione e
la violazione dell'art. 115 c.p.c. sotto diversi profili, sia il vizio di falsa
applicazione della legge n. 135/2001 e di violazione dell'art. 1423 c.c. circa
l'efficacia sanante dello "ius superveniens", sia il vizio di inesistente
motivazione sulla inattendibilità dell'informativa della Provincia di Genova, sia

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la supposta violazione della legge regionale della Liguria n. 13/1992 (con
riferimento all'art. 14, comma 2).
3. Con il terzo complesso motivo il ricorrente ha denunciato la violazione
dell'art. 11 delle preleggi, così strutturato: la) in materia di "ius superveniens"
ed effetti non esauriti; lb) in relazione all'art. 3 Cost. per mancata applicazione
della normativa a tutela dei consumatori ai contratti conclusi in precedenza; 2)
contraddittorietà della motivazione sull'applicabilità del d. Igs. n. 427/1998 ai
contratti preliminari dedotti in giudizio; 3a) falsa motivazione per mancata
consultazione degli atti processuali ed infondata dichiarazione di
inammissibilità dell'ottavo motivo di appello relativo alla sequenza preliminare-
definitivo; 3b) violazione dell'art. 11 delle preleggi ovvero dei principi di diritto
circa la suddetta sequenza.
4. Con il quarto, altrettanto complesso, motivo il ricorrente ha dedotto in
ordine sparso: - la grave contraddittorietà di fondo della motivazione del
giudice di appello ed anomali apprezzamenti personali sull'appellante; -
plurime violazioni di norme a tutela del consumatore sopravvenute ai
preliminari, delle quali era dovuta l'applicazione in quanto inderogabili, ovvero:
a) abusività delle clausole limitative della libertà contrattuale; scelta del
notaio; falsa motivazione o, alternativamente, omessa pronuncia; violazione di
legge; b.I) mancata individuazione del sinallagma nel contratto di
multiproprietà in immobile a destinazione alberghiera e del relativo contratto
accessorio; violazione di legge (Direttiva 2008/122 CE e d. Igs. n. 79/2001);
b.II) nullità totale, anche ai sensi dell'art. 1419 c.c., dei preliminari; b.III)
subordinatamente, nullità parziale per violazione delle norme che impongono

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l'eliminazione dello squilibrio in danno del consumatore; C) "ius superveniens"
e recesso; violazione dell'art. 11 delle preleggi in relazione all'art. 3 Cost.
5. Con il quinto motivo il ricorrente ha denunciato il vizio della motivazione per
errato apprezzamento delle pattuizioni contrattuali circa la individuazione dei
posti auto nell'albergo di Courmayer.
6. Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione
dell'art. 234, comma 2, della Trattato C.E. n. 1 del 25 marzo 1957 e succ.

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nnodif. in ordine alla domanda di rimessione alla Corte UE.
7. Rileva il collegio - in via preliminare - che occorre fare una premessa di
fondo anche al fine di individuare, tra i plurimi motivi articolati (spesso in modo
disorganico e tra loro affastellati con riferimento alla prospettazione di distinti
vizi giuridici), quelli effettivamente ammissibili ed esaminabili nella presente
sede di legittimità.
A tal proposito è pregiudiziale prendere atto che trattasi di un ricorso per
cassazione proposto avverso una sentenza pubblicata successivamente all'il
settembre 2012 (risultando essere stata pubblicata il 27 maggio 2013), alla
quale, quindi, si applica la versione novellata del n. 5) del comma 1 dell'art.
360 c.p.c.
Sulla scorta di tale presupposto deve affermarsi che - secondo l'ormai costante
giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn.
8053 e 8054, nonché Cass. 5 luglio 2017, n. 16502) - la riformulazione dell'art.
360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012,
n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 ("ratione temporis" applicabile,
come detto, nel caso di specie), deve essere interpretata, alla luce dei canoni
ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo
costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la
conseguenza che deve ritenersi denunciabile in cassazione solo l'anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il
vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con
le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta
di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente",

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nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione
perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del
semplice difetto di "sufficienza" della motivazione.
Pertanto, tutte le doglianze del ricorrente riferite a carenze motivazionali (non
riconducibili ad omesso esame di fatti asseritamente ritenuti decisivi per il
giudizio) vanno ritenute inammissibili.
E' altrettanto univoco che con il ricorso per cassazione la parte non può

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rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la
valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie
operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto
compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità.
Sotto altro profilo deve evidenziarsi la pacificità dell'ulteriore principio per cui,
in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea
valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma,
rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base
della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di
fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente
apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti
piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova
soggetti invece a valutazione.
Di conseguenza, anche le asserite violazioni delle due predette norme - al di
fuori delle indicate eccezioni - sono da qualificarsi come inammissibili, come
pure le assunte violazioni dell'art. 112 c.p.c. ricondotte alla mancata
ammissione di prove, siccome esse sono propriamente inconfigurabili sotto
questo aspetto dal momento che la suddetta norma del codice di rito riguarda
solo le domande e le eccezioni attinenti al merito.
8. Chiarito questo profilo preliminare si può passare alla disamina delle
formulate censure.
Osserva il collegio che il primo motivo è destituito di fondamento.
Con riferimento all'omessa valutazione di risultanze processuali ricollegata alla
mancata ammissione della dedotta prova testimoniale, si osserva, innanzitutto,

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che le relative circostanze di prova orale non risultano specificamente (come
era necessario al fine della relativa ammissibilità) riportate nella formulata
doglianza e che, pertanto, non ne risulta nemmeno comprovata la possibile
decisività. Inoltre, la Corte di appello di Milano - fermo rimanendo il richiamato
difetto di specificità della censura in questione - ha attestato che la difesa del
Piazza non aveva nemmeno reiterato nell'atto di gravame la richiesta di
ammissione delle istanze istruttorie già qualificate come inammissibili (o,

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comunque, respinte) dal giudice di prima istanza e che, in ogni caso,
nell'esercizio del suo prudente apprezzamento e del suo legittimo potere
selettivo delle prove ritenute congrue in funzione della decisione della
controversia, lo stesso giudicante aveva ravvisato come assolutamente
funzionale a tale scopo la valutazione dei documenti ritualmente prodotti in
giudizio riconducibili alle parti (in relazione alla complessa vicenda processuale
dedotta in giudizio) e univocamente probanti per le parti non contestate.
Inoltre la Corte ambrosiana non è propriamente incorsa nell'assunta omessa
pronuncia in ordine alle domande restitutorie di cui alla doglianza in discorso
perché il rigetto delle stesse ha costituito implicita conseguenza della reiezione
della domanda di nullità (anche per asserita vessatorietà delle inerenti
clausole) dei contratti dedotti in controversia, essendo ad essa eziologicannente
ricollegabili.
9. Anche il secondo, complesso, motivo è privo di fondamento giuridico e va
disatteso.
Riconfermata - per quanto riferito in premessa - l'inammissibilità delle assunte
insufficienze, contraddittorie o carenti deficienze motivazionali, la Corte
territoriale ha adeguatamente rilevato che le censure attinenti all'assunta
indeterminatezza dell'oggetto del contratto relativo ai soggiorni presso la
struttura ricettiva di Portofino era stata rinunciata dal ricorrente (già
appellante), escludendo, in ogni caso, che si fosse potuta configurare un'ipotesi
di nullità dello stesso. Lo stesso giudice di secondo grado - nell'esaminare il
quinto motivo di appello (con il quale erano stati prospettati il "travisamento
delle risultanze documentali-contraddittorietà intrinseca della motivazione-
incongruenza tra motivazione e dispositivo-violazione dell'art. 1423 c.c.") ha,

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innanzitutto, statuito che con la questione circa la supposta incidenza - sulla
possibile invalidità del contratto - della legge regionale Liguria n. 13/1992 era
stata introdotta una domanda nuova, come tale inammissibile e che,
comunque, il richiamato a tale fonte normativa regionale non avrebbe potuto
sortire alcuna efficacia dal momento che con essa era stata individuata una
disciplina riguardante le strutture extralberghiere, mentre quella di Portofino
(inerente al contratto per cui era controversia) era indubbiamente qualificabile

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come struttura alberghiera (dal che discende l'assoluta infondatezza del
dedotto giudicato interno implicito di cui al motivo in esame circa l'applicabilità,
ancorché temporalmente circoscritta, della predetta legge regionale).
Oltretutto, la stessa menzionata legge regionale era stata comunque superata
dalla sopravvenuta fonte normativa sopraordinata costituita dal d. Igs. n.
427/1998, per effetto del quale le strutture alberghiere si sarebbero dovute
considerare pienamente compatibili con la multiproprietà.
Sulla base di tale ricostruzione la Corte territoriale ha, quindi, escluso che
potesse essersi configurata una ipotesi di nullità del contratto preliminare
(ricondotta dal ricorrente alla supposta violazione dell'art. 1423 c.c.)
riguardante il soggiorno presso la struttura alberghiera di Portofino, con ciò
non incorrendo un alcun vizio di omessa pronuncia. Il giudice di appello ha,
infatti, espressamente affermato (v. pag. 15 della sentenza qui impugnata)
che, nella fattispecie, non era individuabile una ipotesi di nullità del contratto
preliminare poiché la normativa sopravvenuta non avrebbe potuto essere allo
stesso applicata, ma solo ai suoi eventuali effetti ancora non prodottisi;
tuttavia, non era stato possibile individuare apposite clausole dei contratti
preliminari contrastanti con le norme sopravvenute.
10. Il terzo motivo è anch'esso destituito di fondamento e deve essere
totalmente respinto.
Esso, così come complessivamente prospettato, inerisce, in effetti, l'assunta
applicabilità dello "ius superveniens", rappresentato dalla disciplina di cui alla
legge 6 febbraio 1996, n. 52 (con particolare riguardo alla tutela dei diritti del
consumatore in tema di clausole vessatorie), ai pregressi contratti preliminari
dedotti in giudizio, con ciò risultando dedotta, sotto plurimi profili, la supposta

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violazione dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale (cc.dd.
preleggi).
A tal riguardo la Corte ambrosiana - nel rispondere adeguatamente al secondo
motivo di appello - si è conformata ai principi di diritto espressi in materia, in
modo univoco, dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in forza del
principio sancito dall'art. 11 delle preleggi e in ragione della necessità che le
relative deroghe - come affermato dalla Corte costituzionale e dalla Corte

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europea dei diritti dell'uomo - trovino razionale ed adeguata giustificazione in
motivi imperativi di interesse generale, la disciplina di cui alla suddetta legge
n. 52/1996 non trova applicazione in relazione ai contratti stipulati prima della
sua entrata in vigore, alla stregua del principio generale di irretroattività delle
legge (cfr., ad es., Cass. n. 11200/2003; Cass. n. 15871/2010 e Cass. n.
18657/2013). Da ciò, pertanto, il giudice di appello ne ha inferito che non
poteva ritenersi ammissibile che la legge sopravvenuta potesse conferire un
diritto di recesso ai contraenti che avevano stipulato il contratto anni prima
dell'entrata in vigore della suddetta disciplina, tanto più che trattavasi della
previsione dell'esercizio di tale diritto entro 10 giorni dalla stipula del
preliminare (quando, perciò, si erano già esauriti anche i relativi presupposti di
fatto). E' peraltro pacifico il principio secondo cui le disposizioni di una direttiva
comunitaria - atto che, a norma dell'art. 189 del trattato istitutivo della
Comunità economica europea, vincola gli stati membri in ordine al risultato da
raggiungere, lasciando agli organi nazionali la competenza sulle forme e i
mezzi per conseguirlo - sono prive di efficacia normativa nei rapporti tra privati
(cioè di effetti cosiddetti "orizzontali") qualora manchi lo strumento di
attuazione dello Stato, potendo, in tal caso, essere invocate solo nei confronti
dello Stato stesso (efficacia cosiddetto "verticale").
Nel rispondere, poi, all'ottavo motivo di appello - circa l'asserita omessa
pronuncia sul collegamento negoziale "ex lege" tra contratto preliminare e
contratto definitivo (e sulla supposta rilevanza dello "ius superveniens" nel
periodo intermedio) - la Corte di secondo grado, in disparte la circostanza che
il contratto definitivo non era stato in ogni caso poi concluso, ha rilevato che
trattavasi di questione sollevata, per la prima volta, solo nella comparsa

10
.conclusionale del giudizio di primo grado e, quindi, come tale era da qualificarsi
inammissibile, risultando, così, ultroneo ogni riferimento esposto nel motivo in
esame in ordine ai rapporti tra contratto preliminare e contratto definitivo.
11. Pure il quarto motivo, come complessivamente articolato, non coglie nel
segno e va rigettato.
Con esso si fa riferimento all'assunta violazione di norme a tutela del
consumatore sopravvenute ai preliminari delle quali sarebbe stata necessaria

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l'applicazione in quanto inderogabili oltre che ad asserite insufficienze o
contraddittorietà motivazionali (con particolare riferimento alla prevista
clausola che conferiva la scelta del notaio alla promittente venditrice Domina,
anziché alla parte che sarebbe stata acquirente, all'attribuzione dell'obbligo del
pagamento del compenso al notaio rogante e all'individuazione e alla
qualificazione del posto auto previsto nel contratto preliminare n. 557 relativo
alla comproprietà di Courmayeur), deducendo, comunque, il vizio di omessa
pronuncia su tale doglianza.
Reiterata l'inammissibilità degli addotti vizi motivazionali, quanto alle affermate
violazioni di legge ricondotte all'asserita vessatorietà di tali clausole esse sono
insussistenti per effetto della stessa, già rilevata ed assorbente, ragione
dell'irretroattività della sopravvenuta disciplina in tema di tutela dei diritti dei
consumatori e, in ogni caso, la Corte di appello di Milano ha comunque
pronunciato sulla relativa censura, nel rispondere al settimo motivo del
proposto gravame (v. pagg. 16-17 della sentenza di secondo grado).
Quanto, poi, alle supposte violazioni della Direttiva 2008/122/CE e del d. Igs.
attuativo n. 79/2011 (per asserita erronea individuazione dei diritti e dei doveri
delle parti nel contratto di multiproprietà in immobile a destinazione
alberghiera), osserva il collegio che trattasi di questioni del tutto nuove (e,
quindi, come tali da ritenersi inammissibilmente proposte in questa sede), non
trovando alcun riscontro nel contenuto della sentenza di appello (senza,
oltretutto, trascurare la circostanza che la difesa del ricorrente non ha, in ogni
caso, riprodotto specificamente in ricorso il tenore del relativo motivo, ove
effettivamente prospettato).

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.Con riferimento alla specifica questione riguardante la richiesta dei costi relativi
alla comunione pur in difetto del godimento del bene (cc.dd. spese di gestione
assimilate dalla Corte territoriale alle spese condominiali di manutenzione), il
giudice di appello ha - nel panorama normativo ed interpretativo "ratione
temporis" applicabile con riguardo all'epoca delle conclusione dei contratti
dedotti in causa - condivisibilmente rilevato che, anche per la multiproprietà
alberghiera (in cui il diritto sull'unità immobiliare è ricompresa, per l'appunto,

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in un complesso alberghiero la cui gestione è affidata ad una società che
amministra l'immobile come un vero e proprio albergo, la quale riceve - di
regola - un corrispettivo per l'utilizzo della suddetta unità), la partecipazione di
ciascun comproprietario al godimento dell'unità immobiliare era riconducibile
alla comunione e, limitatamente alle parti e ai servizi in comune a tutti i
nnultiproprietari, a quella del condominio (v., per meri riferimenti, Cass. n.
6352/2010). Sulla base di tale presupposto e sempre con riferimento al
richiamato momento temporale, la Corte ambrosiana ha correttamente
osservato in punto di diritto che, nell'ambito delle multiproprietà immobiliari, il
promittente acquirente si sarebbe potuto ritenere obbligato a contribuire alle
spese di gestione del complesso qualora lo stesso, prima della stipula del
contratto definitivo, avesse (come verificatosi nel caso di specie) acquisito il
diritto all'uso turnario dell'alloggio promesso e dei relativi beni e servizi
comuni, conseguenza che non si sarebbe potuta escludere per il fatto che il
medesimo non avesse utilizzato l'immobile, dovendosi considerare rilevante
anche la sola possibilità della sua fruizione e non determinante la sua
utilizzazione effettiva.
12. Il quinto motivo è inammissibile siccome - richiamando quanto già
evidenziato in premessa - con esso il ricorrente si limita a dedurre (in modo,
peraltro, generico) un mero vizio della motivazione della sentenza di appello
per errato apprezzamento delle pattuizioni contrattuali circa la individuazione
dei posti auto nell'albergo di Courmayer.
13. Il sesto ed ultimo motivo - relativo alla mancata adozione del rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE per dirimere la questione interpretativa
circa la decorrenza degli effetti, sui preliminari pendenti, della normativa

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sopravvenuta di derivazione comunitaria - è anch'esso privo di fondamento e
va respinto, poiché, pur ritenendo la inammissibilità (per tardività) della
relativa istanza, la Corte di appello - sulla base del precedente percorso
argomentativo logico-giuridico - ha implicitamente ritenuto che non
sussistessero i presupposti per operare d'ufficio il rinvio pregiudiziale, sulla
scorta della già spiegata corretta interpretazione dell'art. 11 delle cc.dd.
preleggi e della ritenuta (altrettanto legittimamente) inefficacia normativa

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diretta delle Direttive comunitarie sui rapporti tra privati.
Del resto, il rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di Giustizia delle
Comunità Europee, già previsto dall'art. 234 del Trattato C.E. (ora art. 267),
presuppone: che la questione interpretativa riguardi norme comunitarie, che la
stessa sia rilevante ai fini della decisione e che sussistano effettivi dubbi sulla
interpretazione, essendo il rinvio inutile (o non obbligato) quando
l'interpretazione della norma sia evidente o il senso della stessa sia già stato
chiarito da precedenti pronunce della C.G. dell'Unione europea (v. Cass. Sez.
U. n. 12067/2007).
Orbene, nella fattispecie, vertendosi in materia di applicabilità di norme
comunitarie non ancora - per quanto già posto precedentemente in risalto -
recepite nell'ordinamento nazionale e, quindi, inapplicabili nei giudizi
intercorrenti tra privati, appare evidente come non sussistessero - e non
insorge, perciò, il relativo obbligo per questo giudice di legittimità - le
condizioni per disporre, anche d'ufficio, il rinvio pregiudiziale dedotto con la
censura qui esaminata.
14. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente esposte,
il ricorso deve essere integralmente rigettato con la conseguente condanna del
soccombente ricorrente al pagamento delle spese della presente fase di
legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo
unificato ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

13
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate
in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo
forfettario nella misura del 15% ed ulteriori accessori nella misura di legge,
dichiarando compensato tra le parti costituite il residuo terzo.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi dell'art. 13, comma
1-quater, d.P.R. n. 115/2002.

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 5 aprile
2018.
Il Consigliere estensore Il Presidente

dr. Aldo'Carrato dr. Lina Matera

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