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Civile Ord. Sez. 6 Num.

24642 Anno 2020


Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA
Data pubblicazione: 05/11/2020

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


ORDINANZA

sul ricorso 6584-2019 proposto da:


ZOCCOLI SAVERINO ROCCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
AREZZO 49, presso lo studio dell'avvocato ROCCO BRUNO
CONDOLEO, rappresentato e difeso dall'avvocato LORENZO MARIO
ZANGARI;

- ricorrente -

contro
REGIONE CALABRIA, in persona del Presidente pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 36, presso lo
studio dell'avvocato ANTONIO CURATOLA, rappresentata e difesa
dall'avvocato MICHELE RAUSEI,

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 100/201.8 della CORTE D'APPELLO di REGGIO


CALABRIA, depositata il 19/02'2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott.
ANTONIETTA SCRIMA.
FATTI DI CAUSA
Nel 1990, la Regione Calabria propose opposizione al decreto
ingiuntivo n. 1442/90, emesso dal Presidente del Tribunale di Reggio
Calabria, con il quale le era stato ingiunto di pagare a Saverino Rocco

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Zoccoli la somma di lire 35.173.440 (euro 18.165,57), oltre
accessori, per lavori e fornitura di "misto" e pietra per gabbioni
eseguiti nell'anno 1988 presso i cantieri forestali del Bacino Montano "
La Verde", siti nel Comune di Sant'Agata del Bianco.
La Regione, per quanto ancora rileva in questa sede, contestò la
pretesa debitoria, sostenendo che le scritture contabili potevano
costituire prova solo relativamente a crediti per somministrazione di
merci e servizi a soggetti che ne facevano commercio e dedusse,
inoltre, che la richiesta ', d.i. non era assistita da alcun documento o
atto deliberativo che provasse l'impegno di spesa da parte della
Regione. L'opponente concluse chiedendo la revoca o l'annullamento
del decreto opposto.
Si costituì l'opposto che, in relazione a quanto ancora rileva in
questa sede, osservò che l'opponente non aveva contestato il debito
ma si era limitata ad affermare di non essere tenuta al pagamento
perché l'obbligazione non era stata assunta nelle forme di legge, in
quanto non era assistita da alcun atto deliberativo o impegno di
spesa; evidenziò che, in ogni caso, la fornitura dei materiali in
questione aveva determinato un incremento patrimoniale in favore
dell'Ente che in tal modo si era indebitamente arricchito; concluse
chiedendo il rigetto dell'opposizione e, in via subordinata, la condanna
al pagamento delle somme richieste per indebito arricchimento.
Riassunto dalla Regione Calabria il procedimento interrotto per la
morte del procuratore dell'opponente, il Tribunale di Reggio Calabria,

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con sentenza n. 195/06, depositata il 27 giugno 2006, accolse
l'opposizione, revocò il d.i. e compensò le spese del giudizio tra le
parti.
Avverso detta decisione Saverino Rocco Zoccoli propose appello
del quale chiese il rigetto la' Regione Calabria che, a sua volta,
propose appello incidentale in relazione alla mancata pronuncia del
Tribunale in relazione all'eccezione di inammissibilità ex art. 2041

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cod. civ. avanzata dallo Zoccoli nella comparsa di costituzione e
risposta in primo grado, domanda su cui il predetto ente non aveva
accettato il contraddittorio.
La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 100/2018,
pubblicata il 19 febbraio 2018, rigettò sia l'appello principale che
quello incidentale e compensò per intero tra le parti le spese di quel
grado del giudizio.
Avverso la sentenza della Corte di merito Saverino Rocco Zoccoli
ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi, cui ha
resistito la Regione Calabria con controricorso.
La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata,
unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di
consiglio, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, rubricato «Art. 360, comma 1 nn. 3 e 5,
c.p.c. - Violazione o falsa applicazione di norme di diritto - Omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
della controversia», il ricorrente censura la sentenza impugnata nella
parte in cui la Corte territoriale ha affermato che non risulta addotto a
fondamento della sua pretesa alcun atto negoziale idoneo ad
esprimere la volontà della Regione Calabria ad assumere impegni
contrattuali e che il difetto, nella specie, dei requisiti di validità dei
contratti posti in essere dalla p.a., anche iure privatorum, attinenti
alla manifestazione della volontà (che deve provenire dall'organo al

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quale è attribuita la legale rappresentanza, previe eventuali delibere
di altri organi) e alla forma (che deve essere, a pena di nullità,
scritta) esclude la sussistenza di un contratto, configurando un
comportamento di fatto privo di rilievo sul piano giuridico.
Ad avviso del ricorrente, invece, la documentazione posta a base
del ricorso monitorio proverebbe la sussistenza del credito azionato e
che comunque nel giudizio di opposizione sarebbero intervenute

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nuove prove che avrebbero ancor più dimostrato l'esistenza del
credito azionato, in quanto l'avvenuta esecuzione delle forniture e dei
lavori da parte di Zoccoli in favore della Regione Calabria sarebbe
stata confermata dai testi escussi e dal C.T.U., di tal ché, nella
specie, sarebbe ravvisabile un contratto di fatto. Pertanto, la Corte di
merito avrebbe errato nell'escludere che la consegna della fornitura di
"misto"e pietrisco per gabbioni e l'invio delle fatture comporti il sorgere
di un obbligo di natura contrattuale in capo alla Regione Calabria per
facta concludentia.
1.1. Il motivo è infondato, quanto alle dedotte violazioni di legge,
atteso che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza
di legittimità, i requisiti di validità dei contratti posti in essere dalla
P.A., anche "iure privatorum", attengono essenzialmente alla

manifestazione della volontà ed alla forma: la prima deve provenire


dall'organo al quale è attribuita la legale rappresentanza (previe
eventuali delibere di altri organi), mentre la forma deve essere, a
pena di nullità, scritta, al fine precipuo di consentire i controlli cui
l'azione amministrativa è sempre soggetta. Il difetto di tali requisiti
esclude la sussistenza di un contratto, configurandosi, invero, un
comportamento di fatto privo di rilievi di sorta sul piano giuridico per
l'assenza in radice dell'accordo tra le parti, richiesto dall'art. 1321
c.c., anche per la costituzione di un contratto invalido e non
opponibile ai terzi (Cass. 6/10/2016, n. 20033; Cass. 14/12/2006, n.
26826; Cass. 24/11/2000, n. 15197).

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Il medesimo mezzo é inammissibile, quanto ai vizi motivazionali
cosi come indicati in rubrica e neppure illustrati (Cass., sez. un.,
7/04/2014, n. 8053).
2. Con il secondo motivo si denuncia «Violazione dell'art. 2041
c.c. - Omessa pronuncia su punti decisivi della controversia -
Insufficienza e perplessità della motivazione».
Sostiene il ricorrente che la Corte di merito avrebbe rigettato in

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modo "sbrigativo" la domanda di indebito arricchimento da lui
proposta in via subordinata, affermando che «manca la prova della
volontà dell'ente di ricevere la prestazione o anche, più
semplicemente, la consapevolezza di ricevere la prestazione da parte
di un privato, perché mai la fornitura oggetto del giudizio è stata
portata a conoscenza degli organi regionali preposti all'autorizzazione
prima e, poi, al controllo dell'effettiva necessità dei beni cui era stato
autorizzato l'acquisto, acquisto che deve, in ogni caso, essere
specificamente indicato per quantità e qualità», pur avendo la
medesima Corte ritenuto che, nel caso all'esame, l'appellante «ha
dimostrato la fornitura dei materiali» e che «il C.T.U. ha accertato
l'esistenza presso l'Ufficio Provinciale Forestale di modelli relativi
all'anno 1988 ai quali erano allegate alcune fatture, redatti e
controfirmati dal geom. De Stefano, direttore dei lavori, oggetto di
contestazione». Così argomentando la Corte di merito, ad avviso del
ricorrente, avrebbe sconfessato sé stessa e si sarebbe posta in
conflitto con la giurisprudenza di questa Corte (in particolare Zoccoli
richiama al riguardo, tra le altre, la sentenza Cass., sez. un., 2015, n.
10798).
Sostiene il ricorrente di aver provato il fatto oggettivo
dell'arricchimento della Regione Calabria e la conoscenza
dell'avvenuta prestazione del bene e/o servizio da parte del
medesimo ente (prova per testi, elaborato peritale dal quale si
evincerebbe che la documentazione fiscale inerente le prestazioni in

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parola si trovava depositata presso l'Ufficio Provinciale Lavori
Forestali di Reggio Calabria, organo periferico della Regione, dal che
ne discenderebbe che quest'ultima avrebbe avuto cognizione
dell'avvenuta esecuzione delle prestazioni in parola), né rileverebbe
che l'ausiliare del giudice non abbia rinvenuto la fattura n. 2 del 3
marzo 1988, rilevandosi l'esistenza di tale fattura dalle scritture
contabili vidimate dal notaio e versate in atti né che, a dire del

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C.T.U., il direttore dei lavori abbia disconosciuto l'autenticità della
firma apposta sulla certificazione debitoria prodotta dallo Zoccoli, non
avendo la Regione Calabria sollevato alcuna contestazione circa
l'autenticità di tale sottoscrizione. Inoltre, sempre ad avviso del
ricorrente, l'attuale controricorrente non avrebbe fornito alcuna prova
che dimostri che l'arricchimento non sia stato voluto o non sia stato
consapevole.
2.1. Il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità,
neppure essendo state testualmente riportate le deposizioni
testimoniali, la documentazione contabile e fiscale e la c.t.u., almeno
per la parte che interessa in questa sede e a cui si fa riferimento nel
motivo; inoltre, neppure è indicato in quale specifica fase processuale
tali atti siano stati prodotti o le testimonianze assunte e dove essi
siano stati attualmente reperibili (Cass., sez. un., ord., 25/03/2010,
n. 7161; Cass., sez. un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., ord.,
20/11/2017 n. 27475); neppure risultano trascritti gli atti da cui si

r
dovrebbe desumere l'avvenuta fornijura di cui si tratta.
v-, c..2 Vvt tA ) 47r742—
Va tuttavia evidenziato dhe a Corte di merito risulta aver male
/v
inteso il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la
sentenza 26/06/2025, n. 10798, secondo cui «Il riconoscimento
dell'utilità da parte dell'arricchito non costituisce requisito dell'azione
di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art.
2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l'onere di provare il

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fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'ente pubblico possa
opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece,
eccepire e provare che l'arricchimento non fu voluto o non fu
consapevole, e che si trattò, quindi, di "arricchimento imposto"», in
quanto, contrariamente a quanto sembra ritenere la Corte territoriale,
è l'ente pubblico a dover provare che trattasi di arricchimento
imposto e non il privato a dover provare il contrario, come

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chiaramente specificato da questa Corte con la sentenza n. 15937 del
27/06/2017 e da ultimo con l'ordinanza n. 11209 del 24/04/2019,
secondo cui «Il riconoscimento dell'utilità da parte dell'arricchito non
costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, sicché il
depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. ha
solo l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che
l'ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso;
tuttavia, le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la
considerazione delle dimensioni e della complessità dell'articolazione
interna della P.A. trovano adeguata tutela nel principio di diritto
comune del cd. "arricchimento imposto", potendo, invece,
l'Amministrazione eccepire e provare che l'indennizzo non è dovuto
laddove l'arricchito ha rifiutato l'arricchimento ovvero non ha potuto
rifiutarlo perché inconsapevole de/reventum utilitatis"».
3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo.
5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi dell'art. 13,
comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto
dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto

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per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (Cass.,
sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento,
in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di
legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00

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ed agli accessori di legge); ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del
d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma
17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza
dei presupposti processuali, per il versamento, se dovuto, da parte
del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta
Civile - 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 24 settembre 2020.

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