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Civile Sent. Sez. 2 Num.

23000 Anno 2019


Presidente: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI
Data pubblicazione: 16/09/2019

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


SENTENZA

sul ricorso 9177-2016 proposto da:

VICANO' DIEGO, elettivamente domiciliato in ROMA,

V.FRANCESCO SAVERIO NITTI 11, presso lo studio

dell'avvocato STEFANO GAGLIARDI, che lo rappresenta e

difende;

- ricorrente -

2019 contro

1766 DI CESARE SERGIO, elettivamente domiciliato in ROMA,

V.FARNESINA 355, presso lo studio dell'avvocato ALESSANDRA

AMORESANO, che lo rappresenta e difende;


- con troricorrente -

nonchè contro

CAPPELLACCI ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DEI COLLI PROTUENSI 235, presso lo studio

dell'avvocato EMANUELE RICCI, che lo rappresenta e

difende;

- resistente -

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avverso la sentenza n. 1814/2016 della CORTE D'APPELLO di

ROMA, depositata il 17/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 05/07/2019 dal Consigliere LUIGI GIOVANNI

LOMBARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale LUCIO CAPASSO che ha concluso per l'accoglimento

del ricorso per guanto di ragione;

udito l'Avvocato GAGLIARDI Stefano, difensore del

ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito l'Avvocato RICCI Emanuele difensore del resistente

che ha chiesto il rigetto del ricorso.

L
FATTI DI CAUSA
1. - Vicanò Diego convenne in giudizio Cappellacci Antonio,
chiedendo - per quanto in questa sede ancora rileva - l'accertamento
della simulazione assoluta dell'atto di compravendita col quale il
convenuto in data 3/10/2002 aveva alienato a Di Cesare Sergio la
nuda proprietà di un appartamento sito in Roma (via Valerio Publicola
n. 2), immobile che lo stesso convenuto aveva precedentemente

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promesso in vendita al Vicanò giusta contratto preliminare (stipulato
inter partes con varie successive scritture a far data dall'8/7/1997)
rimasto inadempiuto (come accertato dalla sentenza della Corte di
Appello di Roma n. 2305/2004, passata in giudicato, che aveva
disposto il trasferimento coattivo della proprietà dell'immobile in
favore del Vicanò, pronuncia tuttavia inopponibile al terzo acquirente
in ragione della mancata trascrizione della domanda ex art. 2932 cod.
civ.).
Nella resistenza del convenuto e del terzo acquirente Di Cesare
Sergio, il Tribunale di Roma accolse la domanda di simulazione
proposta dal Vicanò e dichiarò la nullità dell'atto di alienazione
stipulato tra il Cappellacci e il Di Cesare.
2. - Sul gravame proposto in via principale dal Cappellacci e in
via incidentale dal Di Cesare, la Corte di Appello di Roma, in riforma
della pronuncia di primo grado, rigettò la domanda di simulazione
formulata dal Vicanò, che condannò al pagamento delle spese dei due
gradi del giudizio.
3. - Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto
ricorso Vicanò Diego sulla base di tre motivi.
Ha resistito con controricorso Di Cesare Sergio; mentre
Cappellacci Antonio, ritualmente intimato, non ha svolto attività
difensiva.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. - Preliminarmente, va rigettata l'eccezione con la quale il
controricorrente ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso per
difetto di interesse (assumendo che il ricorrente non avrebbe
impugnato l'affermazione della Corte territoriale - costituente ratio
decidendi autonoma, in grado di sorreggere da sola la sentenza
impugnata - circa la inesistenza della prova della conoscenza, da

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parte del Di Cesare, del preliminare stipulato tra il Vicanò e il
Cappellacci), con conseguente formazione del giudicato interno.
Il ricorso, invero, impugna nel suo complesso gli argomenti posti
dalla Corte di Appello a sostegno della decisione impugnata; cosicché
non sussiste la pretesa inammissibilità del ricorso per difetto di
interesse.
2. - Superata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, può
passarsi all'esame dei tre motivi.
2.1. Col primo mezzo, si deduce il vizio di motivazione della
sentenza impugnata (ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), per avere la
Corte di Appello ritenuto non provata la simulazione assoluta dell'atto
di compravendita stipulato tra il Cappellacci e il Di Cesare; si lamenta
che la Corte territoriale non abbia considerato la mancata prova del
pagamento del prezzo.
2.2. - Col secondo motivo, si deduce letteralmente «violazione e
falsa applicazione dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. in relazione a
omessa, insufficiente, illogica e/o contraddittoria in relazione agli artt.
2909 cod. civ. e 24 Cost.»; si lamenta l'erronea valutazione delle
prove e degli indizi acquisiti, con particolare riferimento alla mancata
prova del pagamento del prezzo.
2.3. - Col terzo motivo, si deduce letteralmente «violazione e
falsa applicazione dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. in relazione a
omessa, insufficiente, illogica applicazione in relazione agli artt. 2727

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e 2729 cod. civ.»; secondo il ricorrente, la Corte territoriale non
avrebbe considerato che il Cappellacci aveva disposto dell'immobile in
favore del Di Cesare senza che si fosse formato il giudicato sulla
sentenza del Tribunale di Roma che aveva rigettato la domanda di
esecuzione in forma specifica del preliminare, proposta da esso
Vicanò.
3. - Tutti i motivi sono inammissibili, in quanto denunciano

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pretesi vizi di motivazione della sentenza impugnata circa la
sussistenza della prova della dedotta simulazione del contratto di
compravendita stipulato tra Cappellacci Antonio e Di Cesare Sergio.
Sul punto, va ricordato che, in forza del nuovo testo dell'art. 360
n. 5 cod. proc. civ., introdotto dal d.l. n. 83/2012 (convertito nella
legge n. 134/2012) e applicabile ratione temporis (l'art. 54, comma
3, del d.l. n. 83/2012 prevede, infatti, l'applicazione del nuovo testo
relativamente alle sentenze pubblicate - come nella specie - dopo il
giorno 11 settembre 2012), il c.d. vizio della motivazione non
costituisce più un motivo per cui è ammesso il ricorso per cassazione.
Come hanno statuito le Sezioni unite di questa Corte, la
riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni
ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al
"minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale
che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in
quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio
risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella
"mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico",
nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra

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affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del
semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass., Sez. Un., n.
8053 del 07/04/2014).
Nella specie, non sussiste né la mancanza assoluta della
motivazione sotto l'aspetto materiale e grafico, né l'apparenza o la
manifesta illogicità della motivazione, cosicché i dedotti vizi

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motivazionali risultano inammissibili.
Ma i motivi sono inammissibili anche perché si risolvono in
censure di merito relative all'accertamento del fatto e alla valutazione
degli indizi acquisiti, profili del giudizio che non sono comunque
sindacabili in sede di legittimità.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte suprema, dalla quale
non v'è ragione di discostarsi, in tema di simulazione assoluta del
contratto, nel caso in cui la relativa domanda sia proposta da terzi
estranei al negozio, spetta al giudice del merito valutare l'opportunità
di fondare la decisione sulla prova per presunzioni e l'idoneità degli
elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo
Vid quod plerumque accidit, restando il relativo apprezzamento
incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta
motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Cass., Sez. 1, n. 28224
del 26/11/2008; Cass., Sez. 3, n. 903 del 18/01/2005). Sempre in
tema di prova per presunzioni della simulazione assoluta di un
contratto, questa Corte ha affermato che è compito del giudice del
merito valutare in concreto l'efficacia sintomatica dei singoli fatti noti,
non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale,
accertandone la pregnanza conclusiva; il suo apprezzamento, se
sostenuto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e
giuridico, non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 1, n.

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1404 del 01/02/2001; Sez. 3, n. 22801 del 28/10/2014; Sez. 3,
n. 7512 del 27/03/2018).
Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che gli indizi
acquisiti non fossero univoci nell'attestare la simulazione assoluta del
contratto di compravendita de quo, sottolineando, tra l'altro, come il
contratto di compravendita fosse stato stipulato dopo che il Tribunale
di Roma aveva accertato che nessun contratto preliminare era stato

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concluso tra il Cappellacci e il Vicanò e come non vi fosse la prova che
il Di Cesare conoscesse il contenuto dei rapporti negoziali intercorsi
tra il Cappellacci e il Vicanò.
Trattasi di motivazione non manifestamente illogica, che resiste
alle censure mosse dal ricorrente.
Va piuttosto sottolineato che compito della Corte di cassazione
non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti
contenuta nella sentenza impugnata, né quello di procedere ad una
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento di essa, al fine di
sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai
giudici di merito; dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a
controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro
decisione e se il ragionamento probatorio costituente la ratio
decidendi, per essere esente da manifesta illogicità, si sia mantenuto
entro il limite del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi
detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
4. - Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con
conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente,
al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
5. - Parte ricorrente è tenuta a versare - ai sensi dell'art. 13,
comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (applicabile ratione temporis,
essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013) - un

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ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per
la proposizione dell'impugnazione.

P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al
pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00

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(tremilacinquecento) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori
di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
-

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte


del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello
-

stesso art. 13.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda

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