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LEZIONE N.

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AUTORITÀ INDIPENDENTI

A partire dagli anni 70 si comincia a capire che determinati settori della vita economica non possono essere
gestiti in un modo perfettamente identico al modo con cui vengono normalmente gestiti tutti gli interessi
pubblici, perché, inevitabilmente, questi particolari settori della vita economica del Paese, vanno ad
inquadrare mercati e rapporti tra soggetti nei quali l’amministrazione agisce come soggetto attivo
(Giocatore). Tali rapporti, per essere regolati in maniera corretta, devono essere gestiti e governati da
soggetti che hanno una sorta di indipendenza rispetto al normale potere di indirizzo politico di cui gode il
Governo. Ciò per una logica liberale  il mercato deve essere regolato da non governanti.
Altri Paesi, come ad esempio gli USA o Paesi del mondo anglosassone, avevano già maturato, prima degli
anni 70, l’idea che, per il regolare funzionamento del mercato, fosse necessaria la presenza di soggetti che
non avessero niente a che fare con la sfera politica, perché in caso contrario, essi sarebbero catturabili da
operatori di mercato particolarmente forti in grado di fare pressioni al Governo.
Quindi, a metà degli anni 70, cominciano a nascere questi soggetti: la prima autorità indipendente è la
CONSOB, istituita nel 74. È l’autorità chiamata a regolare i mercati finanziari. Da quel momento fiorirono le
leggi istitutive delle Autorità: Garante per l’ Editoria nel 1981; l’ISVAP, autorità che si occupa del mercato
assicurativo; il Garante del 1982; il Garante per la radiodiffusione nel 90; l’ Autorità del mercato e della
concorrenza; Garante della privacy; Garante delle telecomunicazione; Garante dell’ energia; e l’ultima in
ordine di tempo è l’Autorità di concorrenza (ANAC).
L’idea è quella di sviluppare un’amministrazione parallela, non vocata squisitamente alla cura di interessi
pubblici, ma con compiti di regolazione di settori considerati sensibili nella vita economica del Paese e che
si correla al carattere precipuamente tecnico delle funzioni che vengono svolte. Si tratta inoltre di soggetti
APICALI nella gestione di questi settori, cioè soggetti che hanno un’intestazione quasi esclusiva della
regolazione di questo settore ed al quale il Governo non può che adeguarsi.

COLLOCAZIONE DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI: Sono soggetti SPURI, di difficile esatta collocazione:
devono essere guardati sul piano costituzionale o sono amministrazione?
Sono una sorta di quarto potere, oltre ad esecutivo, giudiziario e legislativo  è un potere NEUTRO. È un
potere non previsto dalla Costituzione e quindi non inquadrabile nell’ambito costituzionale.

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DEFINIZIONE DI AUTORITÀ INDIPENDENTI: “Corpi amministrativi dotati di particolari competenze


tecniche, coniati per la cura di settori sensibili e teleologicamente orientati (cioè indirizzati ad uno scopo
ben preciso), a seconda dei casi a neutralizzare la gestione politica della vita economica ed a recuperare
un’azione realmente imparziale e tecnicamente adeguata per la tutela dei diritti individuali.”  sono
quindi orientati indubbiamente ad una scissione rispetto al rapporto naturale tra politica ed
amministrazione, di cui ci siamo occupati nelle lezioni precedenti.
In determinati settori quindi l’idea dell’indirizzo tipica, tra amministrazione e politica, non si ritiene
compatibile con l’idea liberale di un mercato che deve essere governato fuori dalle esigenze politiche, ma
deve essere regolato in modo tale che gli attori operino in una situazione di PARITARIETÀ.
Il mercato infatti, secondo il regolamento comunitario, si fonda sul principio della CONCORRENZA tra gli
operatori; ed una corretta concorrenza si può raggiungere soltanto con la presenza di precise regole di
funzionamento del mercato e l’esistenza di un arbitro  “il mercato è l arena in cui si confrontano i
competitor; la autorità indipendenti sono gli arbitri”.
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La gestione di settori sensibili, coinvolgenti la tutela di interessi di particolare rilevanza costituzionale,


necessita dell’apporto tecnicamente qualificato di organismi di garanzia indipendenti, muniti, cioè, di una
peculiare posizione di terzietà, di rincarata imparzialità, di neutralità, di indifferenza rispetto agli
interessi stessi.

Esigenza di neutralizzazione del Governo degli interessi, rientranti nei settori sensibili, dalla linea e dagli
apparati della ordinaria vita amministrativa.

Le autorità amministrative si occupano della gestione di settori che tutelano interessi di particolare
rilevanza costituzionale: il corretto funzionamento del mercato ovviamente giova non all’operatore forte (la
concorrenza è il nemico principale dell’operatore forte), ma difende due tipologie di soggetti:
A) le PICCOLE IMPRESE
B) gli UTENTI ed i RISPARMIATORI, quindi i soggetti deboli.
La regolazione di questi segmenti del mercato quindi risponde ad una logica amministrativa di cura
dell’interesse pubblico perché rende il mercato non soltanto efficiente, ma anche GIUSTO dal punto di vista
della concorrenza. Questa regolamentazione non può quindi essere affidata a soggetti politicamente
catturabili dalle lobby, poiché ciò causerebbe la presenza di soggetti forti capaci di catturare il politico di
turno, facendogli fare scelte non di interesse generale ma a garanzia di una parte.
Prendiamo come esempio la situazione della FIAT che, prima dell’avvento dell’Antitrust (Autorità garante
della Concorrenza e del Mercato), aveva più di 130.000 dipendenti ed aveva un peso economico e politico
molto forte  venivano “regalate”imprese pubbliche: la FIAT acquistò l’ Alfa Romeo (industria di punta nel
settore pubblico) ad un prezzo irrisorio.
A partire dagli anni 90 questa situazione non può presentarsi più  viene istituita un’apposita autorità che
sanziona le posizioni dominanti e soprattutto sanziona gli interventi pubblici di sostegno e di aiuti sul
mercato.
Gli apparati amministrativi devono avere compiti che non hanno nulla a che vedere, se non in alcuni casi di
carattere semplicemente autorizzativo, con il corretto funzionamento dei mercati in determinati settori.

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PROGRESSIVA ABDICAZIONE ALL’INTERVENTO DIRETTO DELLO STATO IN ECONOMIA: Al mutamento


genetico del ruolo giocato dallo Stato nella partita economica, con il passaggio dalla veste di giocatore
(attore) a quella di arbitro (regolatore), ha fatto seguito, ad un tempo, il processo di privatizzazione delle
imprese pubbliche ed il varo di organismi indipendenti di regolazione e garanzia nei settori nei quali lo
Stato si è ritirato.

Una delle modifiche più importanti derivante dall’approccio neoliberale, approvata anche dall’Unione
Europea prima con il Trattato Unico Europeo e poi con il Trattato di Maastricht, è quella di segnare una
nuova “veste” dello Stato: lo Stato in economia non deve essere più giocatore o attore diretto, ma deve
essere ARBITRO  il mercato funziona se si svolge tra soggetti in situazione di parità; se un soggetto agisce
sia come arbitro che come attore, la parità non può essere rispettata.
Si verifica quindi in Italia un fenomeno di privatizzazione delle imprese pubbliche, che operano in
competizione nel mercato, per diminuire il peso del settore pubblico, in un’ottica di rispetto dei parametri
di Maastricht.
I parametri di Maastricht erano infatti molto stringenti per l’epoca (1992), poiché stabilivano che il debito
pubblico non poteva essere superiore al 60% del PIL. Gli anni 90 si erano inoltre aperti con la Guerra del
Golfo ed una correlata crisi economica, che ha comportato un default dell’economia. Tale situazione è
sfociata in un processo di privatizzazione, che ha riguardato innanzitutto le banche pubbliche.
Dal 1993-94 vengono introdotti i primi enti pubblici economici: l’IRI, l’ENEL, le Poste, ecc..

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Caratteristiche peculiari delle amministrazioni indipendenti: Neutralità ed Imparzialità

AUTORITÀ INDIPENDENTI: Queste strutture sono dunque espressione di un momento storico ma che oggi
assumono un ruolo importantissimo nella vita economica del Paese. Alcuni esempi: in televisione sentiamo
che l’Antitrust sanziona Ryanair oppure aziende come Microsoft  si tratta di azioni che ormai fanno parte
della nostra vita quotidiana. E non ci troviamo più di fronte ad una legge, al Governo o al Ministero, ma a
soggetti che non sono di Governo; e che sono connotati da due caratteristiche: NEUTRALITÀ ed
INDIPENDENZA.

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NEUTRALITÀ: Il termine imparzialità esprime l’esigenza che l’amministrazione, agendo per il


perseguimento dell’interesse pubblico primario che costituisce il dato teleologico di fondo, si comporti in
modo da non privilegiare pregiudizialmente, nella scelta, nessun interesse e di valutare tutti quelli
coinvolti al fine di operarne una precisa ed integrale rappresentazione.

Il termine neutralità indica indifferenza dell’amministrazione rispetto ai protagonisti degli interessi


confliggenti da comporre, il suo essere terza e, quindi, giusdicente nell’agone in cui si scontrano i
protagonisti del giuoco da regolare.

NEUTRALITÀ = L’imparzialità consiste in un’equiordinazione dei soggetti con cui l’amministrazione si deve
relazionare. Ma il vincolo di imparzialità, è un vincolo che prevede la presenza di un soggetto che faccia
parte dell’arena e che quindi sia portatore di un interesse. L imparzialità prevede una ponderazione di
interessi che non siano viziati da abusi e che quindi tutte le parti presenti siano poste sullo stesso piano.

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Neutralità: Le Autorità si qualificano come amministrazioni neutrali, collocate in posizione di terzietà e in


ciò distinguendosi dalla configurazione delle amministrazioni pubbliche che invece devono essere
guardate come “parti imparziali” nel rapporto con gli amministrati  ORGANISMI SUPER PARTES

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L’idea di fondo è che sussistano settori della realtà economica e sociale il cui funzionamento ottimale
necessita di istituzioni non influenzabili dalla politica o perché la particolare configurazione degli interessi
garantisce una sorta di automatismo naturale (come il mercato o la Borsa) o perché si tratta di settori
governati essenzialmente da regole tecniche (come il settore elettrico o delle telecomunicazioni).
Neutralità invece significa non essere parte dell’arena, ma esserne al di fuori  io sono indifferente
rispetto ai protagonisti degli interessi.
Indifferenza significa non essere portatore di un proprio interesse che deve essere ponderato con gli
interessi altrui, ma significa avere una funzione simile a quella del giudice. Il giudice deve infatti essere
TERZO in relazione alle controversie sottoposte al suo giudizio: la controversia è tra le parti. L’arbitro o il
giudice è quindi EQUIDISTANTE rispetto alle parti  le autorità indipendenti sono organi SUPER PARTES.
Questo perché vengono utilizzate per regolare un confronto che deve essere COMPETITIVO, in cui la
selezione dell’interesse non avviene per ponderazione, ma appunto per SELEZIONE, cioè sulla base di un
confronto tra domanda ed offerta: quello più efficiente e competitivo vince.
Da qui trae fondamento la distinzione tra amministrazione ed autorità amministrative: l’amministrazione fa
ponderazione, mentre le autorità fanno in modo che ci sia una corretta selezione dell’interesse; e dunque
non devono essere influenzati in questa scelta, prima di tutto dalla politica.

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INDIPENDENZA: il principio di autonomia è suscettibile di venire in rilievo solo in relazione a soggetti che
diano vita ad un rapporto da regolare. Presuppone cioè un rapporto tra soggetti differenti in posizione
sostanziale di equiordinazione.

All’inverso, l’indipendenza viene alla ribalta ove non sia un rapporto vero e proprio, ossia in tutte quelle
ipotesi nelle quali sia necessario evitare che si possano sviluppare relazioni tali da incidere sull’esercizio
della funzione di un soggetto in qualche modo condizionandola.

INDIPENDENZA: è una pre-condizione della neutralità. La neutralità opera sul piano funzionale, mentre
l’indipendenza opera nell’ambito organizzativo. Occorre innanzitutto distinguere l’indipendenza
dall’autonomia. L’autonomia si rivolge squisitamente ai poteri gestionali della dirigenza: si tratta di
un’autonomia quindi nell’organizzazione e nella gestione: soggetti che compiono scelte di cui sono
direttamente responsabili. L indipendenza è invece un'altra cosa: essere neutrale non significa soltanto
essere autonomo  l’autonomia infatti prevede pur sempre dei momenti di collegamento con il potere
politico: pensiamo ai poteri di nomina, la vigilanza, il finanziamento, ecc… Quindi da questo punto di vista,
non puoi essere completamente separato rispetto al potere politico. L’ idea dell’indipendenza si manifesta
come una sorta di vera e propria relazione SEPARATA: il giudice è indipendente oltre che neutrale.
L’indipendenza non è mai ponderata all’amministrazione: amministrazione indipendente è un ossimoro,
perché c è pur sempre la responsabilità politica del ministro.

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INDIPENDENZA: Per indipendenza si intende l’assenza di qualsiasi rapporto organizzativo fra gli organi e
qualsiasi altro organo dello Stato (GIANNINI)

L’indipendenza delle autorità rispetto all’assetto organizzativo dell’amministrazione dello Stato si


sintetizza nella ROTTURA DEL PRINCIPIO DI RESPONSABILITÀ MINISTERIALE  Le autorità non sono
sottoposte all’unità di indirizzo politico-amministrativo del Governo, e sono svincolate dal circuito tipico
secondo il quale i ministri rispondono al Parlamento dell’operato delle amministrazioni.
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ROTTURA DEL PRINCIPIO DI RESPONSABILITÀ MINISTERIALE:

- SOTTO IL PROFILO ORGANIZZATIVO: nel particolare status di indipendenza dei membri delle
autorità, garantito innanzitutto dalle procedure di nomina, rispetto alle quali è esclusa una
competenza esclusiva del Governo; dall’elevato numero di incompatibilità che accompagnano la
carica; dai particolari requisiti di professionalità richiesti; in ultimo, dai vari altri fattori, quali la
durata dell’incarico, normalmente superiore alla durata di una legislatura e la non rinnovabilità
del mandato.
- SOTTO IL PROFILO PROCEDIMENTALE: La rottura del principio di responsabilità ministeriale si
manifesta nell’assenza di un potere di direttiva e controllo del Governo rispetto all’attività
dell’autorità.

L’indipendenza viene costruita, secondo Giannini, come un’assenza di qualsiasi rapporto organizzativo tra
gli organi e qualsiasi organo dello Stato: in realtà non è così ampia la nozione. Giannini vuole infatti
affermare la rottura del principio di responsabilità ministeriale, cioè di responsabilità politica del governo:
non c è alcuna responsabilità politica perché non c’è alcun rapporto organizzativo diretto con l’indirizzo
politico, se non in alcuni casi residuali  ci può essere ad esempio un potere di indicazione generalissimo.
L’elemento tipico della rottura ministeriale si manifesta sul piano organizzativo nello status di indipendenza
dei membri delle Autorità, che vengono nominati ad esempio dai Presidente delle Camere o dal Presidente
della Repubblica, soggetti cioè che già per loro natura sono in una posizione di garanzia super partes.
O anche nel modo in cui vengono nominati: non vi è infatti un controllo da parte del Governo.

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La ragion d’essere dell’indipendenza è tutela di interessi collettivi in ambiti della vita sociale nei quali il
contemperamento dei diversi interessi in gioco si presenta particolarmente delicato  Al fine di evitare
pericoli di condizionamento da parte del potere politico, della burocrazia, del potere economico o di
gruppi di pressione privati, ossia per scongiurare il rischio di AGENCY CAPTURE, che il legislatore
attribuisce alle amministrazioni in questione libertà da ingerenze dell’esecutivo.

La ragione d’essere dell’indipendenza è far sì che la tutela di questi interessi collettivi nella vita sociale non
debba sostanzialmente subire il contemperamento con forme di pressione da parte di chi opera con
interessi “interni” in quel determinato settore  bisogna evitare quella che gli inglesi chiamano AGENCY
CAPTURE.

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FUNZIONI DELLE AUTORITÀ: Si distinguono in FUNZIONI AUTORITATIVE E GIUSDICENTI.

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Funzioni autoritative: La peculiarità delle funzioni sta non tanto nella loro natura intrinseca, quanto
piuttosto nel loro esercizio da parte di organi amministrativi muniti di appropriato bagaglio
tecnico–culturale e di alto tasso di indipendenza.

Si tratta pur sempre dell’esercizio di funzioni che si incastonano nell’attività della pubblica
amministrazione, accentuandone l’aspetto dell’imparzialità, ma rimanendo comunque condizionate dalla
necessaria coerenza con le manifestazioni amministrative di altri organi dell’amministrazione.
FUNZIONI AUTORITATIVE: In alcuni momenti le autorità indipendenti si pongono come delle
amministrazioni a tutti gli effetti, nel senso che godono di poteri autoritativi: non sono necessariamente
terze ma si occupano della disciplina di quel settore. Ad esempio per essere abilitato ad aprire un’attività
assicurativa occorre essere autorizzato dall’ISVAP  si tratta di un’autorizzazione a tutti gli effetti, di tipo
amministrativo, solo che il soggetto da cui proviene non è un soggetto correlato all’ordine di indirizzo
politico: il suo potere autoritativo deriva dalla tecnicità e dall’attribuzione a quel soggetto del presidio su
quell’interesse. Si tratta quindi pur sempre dell’esercizio di attività che si inseriscono nell’ambito della
pubblica amministrazione, ma in cui gli elementi di imparzialità sono elevati all’ennesima potenza perché
alle spalle non c’è l’indirizzo politico, ma c’è un presidio di norme tecniche che ne vincolano l’attività. Da
questo punto di vista, le autorità indipendenti sono anche amministrative, ma solo in questi casi, cioè
quando hanno poteri di autorizzazione all’ingresso nell’arena del mercato, perché devono vigilare affinché
gli operatori del mercato rispettino determinati requisiti di affidabilità.

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Funzione c.d. Giusdicente: Si tratta di funzioni di garanzia dell’applicazione della legge nel settore di
riferimento, a tal fine dettando le regole – in applicazione di norme primarie – risolvendo i conflitti,
vigilando sugli operatori e sanzionando le inosservanze.

La funzione giusdicente in questo senso è più estesa rispetto a quella giurisdizionale, si concreta in un
concetto ampio di attuazione della legge, comprensivo del regolare e del decidere.

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Funzione Giusdicente: Le autorità non sono chiamate alla cura, con scelte amministrative discrezionali, di
interessi pubblici di loro pertinenza ma dirimono, in via preventiva, potenziali conflitti di interessi
collettivi, diffusi, individuali, fissando le regole di disciplina del settore, per poi eventualmente ricorrere
all’utilizzo di poteri correttivi e sanzionatori, idonei a ricondurre l’attività dei singoli e dei gruppi nei
binari della correttezza e della legalità.

FUNZIONI GIUSDICENTI: non giurisdizionali perché quelle funzioni sono tipiche del giudice ordinario. Il
problema in quest’ambito è la garanzia dell’applicazione delle regole di riferimento di quel mercato, sia nei
rapporti VERTICALI (singolo operatore con le autorità) che ORIZZONTALI (tra gli operatori). La funzione
giusdicente è quindi più estesa rispetto a quella giurisdizionale perché non è il giudice a porre le regole, il
quale le applica soltanto. Le autorità invece pongono in essere le regole che poi esse stesse faranno
rispettare.

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Funzione Giusdicente: Sono quindi riconducibili al paradigma delle funzioni giusdicenti:

- Poteri normativi: ove le autorità siano investite di un potere di adottare regolamenti con valenza
esterna in attuazione del dettato legislativo;
- Poteri regolatori: concretatesi nell’adozione di prescrizioni che disciplinano il settore prive di
spessore regolamentare;
- Poteri di controllo e monitoraggio;
- Poteri di accertamento;
- Poteri sanzionatori;
- Poteri di risoluzione dei conflitti (paragiurisdizionali)

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Poteri paragiurisdizionali: si tratta dei casi in cui le autorità sono chiamate ad intervenire in posizione di
terzietà nella risoluzione di controversie che possono essere di due tipi: Tra soggetti posti in posizioni di
parità e tra soggetti non in posizione di parità.

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Tra soggetti posti in posizioni di parità: Sono questi i casi in cui il ruolo dell’autorità si avvicina in
massimo grado a quello di un giudice, e il procedimento assume le caratteristiche tipiche del processo
giurisdizionale, anche se permane pur sempre la differenza fondamentale dell’impossibilità di adottare
atti aventi efficacia di giudicato  funzioni dell’autorità Antitrust in materia di pubblicità ingannevole.

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Tra soggetti non in posizione di parità: l’attività di risoluzione dei conflitti non è solo un mezzo di garanzia
degli interessi di coloro che promuovono l’istanza, ma è anche strumentale all’attività di regolazione, dal
momento che la posizione dell’autorità non è di assoluta estraneità rispetto alle parti, ma di vigilanza e
direzione dell’attività dei soggetti la cui attività è regolata  funzioni svolte dall’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni in base all’art. 1 co. 11 della legge n. 249/1997.

POTERI DERIVANTI DALLA FUNZIONE GIUSDICENTE: Ovviamente le varie autorità hanno poteri diversi,
riconducibili però ad un quadro di riferimento.

- POTERE NORMATIVO: Le autorità hanno il potere di emanare regolamenti generali ed astratti, con
validità anche esterna, che regolano quel determinato settore.
- POTERI REGOLATORI: Regolazione più puntuale, attraverso l’emanazione di singole prescrizioni.
- POTERI DI CONTROLLO E MONITORAGGIO
- POTERI DI ACCERTAMENTO
- POTERI DI SANZIONE
- POTERI DI RISOLUZIONE DEI CONFLITTI: Le autorità possono intervenire per la risoluzione di
controversie tra soggetti in posizione di parità, e cioè quando ad esempio l’ANTITRUST decide una
controversia tra due competitor; oppure tra soggetti non in posizione di paritarietà, ad es. tra
utente e provider.
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Natura giuridica delle Autorità: le autorità indipendenti, non rappresentano tuttavia un quarto potere
acefalo, ma devono essere inquadrate comunque quali amministrazioni.

MORBIDELLI: Fino a quando non venga varata una riforma costituzionale che consideri dette autorità
come un nuovo potere stabilito a livello costituzionale, non riconducibile ai poteri amministrativo,
giurisdizionale, legislativo, le autorità sono prive di propria legittimazione costituzionale e devono essere
inquadrate nel potere amministrativo.

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Natura giuridica delle Autorità: la natura amministrative delle autorità è stata ribadita con forza da una
recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I civ., 20 Maggio 2002, n. 7341, la quale, muovendo
proprio dalla natura amministrativa delle autorità e degli atti da essa emanati, ha concluso nella specie a
favore della tesi della legittimazione passiva del Garante per la privacy in caso di impugnazione
giurisdizionale dei relativi provvedimenti.

NATURA GIURIDICA DELLE AUTORITÀ: Sono amministrazioni o un quarto genus che non ha una sua
collocazione costituzionale? Il problema viene risolto da dottrina e giurisprudenza.
Morbidelli: Fino a quando non viene varata una riforma costituzionale che consideri dette autorità come un
nuovo potere stabilito a livello costituzionale, non riconducibile ai poteri amministrativo, giurisdizionale,
legislativo, le autorità sono prive di propria legittimazione costituzionale e quindi SONO AMMINISTRAZIONI.

La Cassazione nella sentenza del 2002 inoltre stabilisce che gli atti delle autorità indipendenti sono
sindacabili davanti al giudice amministrativo, e quindi sono atti amministrativi  se sono atti
amministrativi, coloro che li emanano, sono amministrazioni.

SECONDA PARTE

LA RESPONSABILITÀ

La responsabilità civile della pubblica amministrazione parte da una chiara e sintetica individuazione delle
situazioni giuridiche soggettive vantate dal cittadino nei confronti dell’amministrazione. Le situazioni
giuridiche soggettive vantate dal cittadino sono sostanzialmente due: i DIRITTI SOGGETTIVI e gli INTERESSI
LEGITTIMI  gli interessi legittimi sono un’esclusiva dell’ordinamento italiano, non riscontrabile in nessun
altro ordinamento.
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LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE

DIRITTO SOGGETTIVO: consiste in una posizione direttamente garantita dal legislatore, in modo da
assicurare il soddisfacimento di una propria utilità sostanziale.

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Diritto soggettivo: nel diritto privato, regolante i rapporti tra uguali, ossia tra soggetti che versano in una
condizione giuridica paritetica, in genere, la tutela dell’interesse avviene tramite l’attribuzione al singolo
di un potere (facultas agendi).
Qualora il potere sia conferito al soggetto per la realizzazione di un interesse proprio si ha un diritto
soggettivo.
Al diritto soggettivo attribuito ad un soggetto può corrispondere un obbligo altrui, ed allora esso si
sostanzia in una pretesa. In tal caso per la realizzazione dell’interesse del titolare del diritto è necessaria
la cooperazione del soggetto passivo, che si obbligherà a tenere un determinato comportamento.

Se c’è una situazione di non paritarietà e dunque un potere, nell’ambito del diritto privato ci troviamo di
fronte ad un diritto potestativo, che è comunque correlato ad una situazione di consensi, riconosciuti in via
contrattuale o anche dalla legge: l’unico caso previsto dalla legge è quello della potestà genitoriale.
Se prendiamo in considerazione i poteri del datore di lavoro, che sono poteri di etero-determinazione della
prestazione, in virtù del vincolo di subordinazione del lavoratore, hanno comunque un meccanismo di
consenso a monte dato dal contratto di lavoro che legittima lo ius variandi e dunque il potere del datore.

Al diritto soggettivo attribuito ad un soggetto può corrispondere un obbligo altrui.

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Classificazione dei diritti soggettivi:

- DIRITTI ASSOLUTI: sono quei diritti che possono farsi valere erga omnes, ossia nei confronti della
generalità dei consociati (diritto di proprietà)
- - DIRITTI RELATIVI: sono quei diritti valevoli esclusivamente nei confronti di determinati soggetti
(diritti di credito).

I diritti soggettivi possono essere RELATIVI (valevoli soltanto nei confronti di determinati soggetti) o
ASSOLUTI (con valenza erga omnes).

Il diritto soggettivo è sempre RISARCIBILE ex art. 2043 c.c.

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Interesse legittimo: si sostanzia nella posizione giuridica attiva che l’ordinamento riconosce al privato in
contrapposizione all’esercizio di un potere autoritativo da parte della P.A.
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Interesse legittimo: l’interesse legittimo può pertanto definirsi quale “potere riconosciuto al privato di
influire sull’azione amministrativa ( e, quindi, sull’esercizio del potere della P.A.) al fine di tutelare il bene
sostanziale: il potere che il privato ha di condizionare l’azione amministrativa per preservare la sua utilità
sostanziale.

INTERESSI LEGITTIMI: è la situazione giuridica soggettiva correlata all’esercizio di un potere da parte


dell’amministrazione. La dottrina privatistica ha discusso sull’esistenza di interessi legittimi di diritto
privato: ad es. l’esercizio di un potere da parte del datore di lavoro. Ma questi interessi prospettati dalla
dottrina hanno diverse caratteristiche perché sono sempre stati ritenuti risarcibili in virtù del vincolo
consensuale che stava a monte e quindi l’ascrivibilità dell’intesse legittimo di diritto privato sempre e
comunque alla responsabilità contrattuale, poiché qualificati come diritti potestativi.

L’interesse legittimo di diritto pubblico invece è correlato ad un potere amministrativo per sua natura
imperativo, cioè che prescinde dal consenso del destinatario e che è correlato alla cura di interessi pubblici.
E quindi come tale si costruisce in un rapporto tra amministrazione ed amministrato  si tratta quindi di un
potere attribuito al cittadino in contrapposizione all’esercizio di un potere autoritativo da parte della
pubblica amministrazione.

Dunque in questa prospettiva, le definizioni di interesse legittimo sono state svariate: chi ha definito
l’interesse legittimo in un’ottica tradizionale come un interesse occasionalmente protetto: allorquando
viene lesa una posizione individuale, in realtà si sta violando un interesse pubblico; quindi occasionalmente
viene garantita la posizione dell’individuo ma in realtà si sta tutelando l’ordinamento giuridico. In un’ottica
invece di carattere più soggettivo, ognuno vanta una sua posizione, posizione che è quella del privato che si
confronta con la pubblica amministrazione: allora viene qualificato come una sorta di interesse strumentale
di carattere processuale alla legalità dell’azione amministrativa: il privato chiede che l’amministrazione,
nell’esercizio dei suoi poteri, rispetti la legge. Vi è quindi una pretesa del privato, che può chiedere il
rispetto delle regole previste da parte dell’amministrazione. Il privato può quindi rivolgersi al giudice
amministrativo, in caso di mancato rispetto dell’amministrazione delle norme previste.
Prendiamo come esempio il caso dell’ESPROPRIAZIONE: si verifica in questo caso un fenomeno di
degradazione: un diritto soggettivo (il diritto di proprietà) viene degradato ad interesse legittimo  per
ragioni di interesse pubblico il diritto di proprietà viene compresso (io non ho più una tutela assoluta erga
omnes perché la proprietà di quel fondo è funzionale ad un interesse pubblico che l’amministrazione
intende perseguire; ad es. per realizzare una strada). La legge prevede che tale diritto venga compresso,
concedendo al proprietario un diritto ad un’indennità: se questo diritto non viene rispettato, il proprietario
può rivolgersi al giudice per contestare l’azione illegittima dell’amministrazione.

Le recenti teorie sull’interesse legittimo si caratterizzano per la tendenza ad una connotazione di carattere
sostanziale e non meramente processuale, cioè correlato ad un bene della vita, soprattutto allorquando
l’amministrazione cessa di essere un’amministrazione squisitamente di ordine e diventa
un’amministrazione di prestazione: è chiaro che io, soggetto, voglio qualcosa dall’amministrazione perché
ciò corrisponde ad un mio interesse di carattere economico – patrimoniale  io richiedo l’autorizzazione
edilizia perché intendo costruire un edificio.
Ci troviamo quindi di fronte a due elementi all’interno della medesima situazione giuridica:

A) La pretesa che l’amministrazione eserciti il suo potere secondo i parametri previsti dalla legge.
B) L’interesse al bene della vita sottostante che, per essere interamente soddisfatto, deve relazionarsi
necessariamente con il pubblico potere.
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Interesse legittimo: Mentre il titolare dell’interesse agisce per il conseguimento di un’utilità soggettiva (il
c.d. bene della vita), l’amministrazione agisce per il perseguimento di una funzione pubblica. Il punto di
incontro tra questi due scopi (che operano su piani del tutto diversi) sta proprio nella legittimità
dell’azione amministrativa.

Questo quadro viene poi ulteriormente arricchito, con la legge n.241, da pretese di carattere
procedimentale: l’interesse legittimo diventa LA CAPACITÀ DEL PRIVATO DI CONDIZIONARE L’AZIONE
AMMINISTRATIVA ATTRAVERSO LA PROPRIA PARTECIPAZIONE, allo scopo di preservare un bene
sostanziale. Mentre il titolare dell’interesse agisce per il conseguimento di una utilità soggettiva,
l’amministrazione agisce per il perseguimento di una funzione pubblica, e cioè la cura di un interesse  il
punto di incontro tra questi due scopi è la legittimità dell’azione amministrativa.
Il non corretto esercizio del potere amministrativo in relazione alle regole di legittimità che ne disciplinano
l’esercizio, determina un pregiudizio nel godimento dell’utilità soggettiva del titolare dell’interesse: ciò
comporta ovviamente una RESPONSABILITÀ DELL’AMMINISTRAZIONE.

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Classificazione degli interessi legittimi:

- OPPOSITIVI: si riscontrano in presenza di esercizio del potere pubblico teso a restringere la sfera
giuridica del destinatario (es. espropriazione)
- PRETENSIVI: si riscontrano laddove l’interessato intenda conseguire un’utilità dall’esercizio del
potere da parte dell’amministrazione (ad es. richiesta di autorizzazione)

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La responsabilità civile della p.a.

- CONTRATTUALE: si riscontra quando l’amministrazione sia inadempiente rispetto ad un rapporto


obbligatorio di tipo paritario derivante dall’adozione di strumenti di diritto privato
- EXTRACONTRATTUALE: si riscontra quando l’amministrazione nell’esercizio delle sue funzioni
cagioni un danno ingiusto ad un terzo.

La responsabilità può derivare:

- Da attività materiale
- Da attività provvedimentale

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- Da attività materiale: la responsabilità derivante da attività materiale è stata sempre


pacificamente riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza
- Da attività provvedimentale: per quanto riguarda invece l’esercizio di poteri amministrativi
nonostante la previsione dell’art. 28 Cost., la regola è sempre stata quella della irresponsabilità
dell’amministrazione che non poteva essere chiamata a risarcire il pregiudizio cagionato da un
atto amministrativo.
RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

L’amministrazione risponde al di là della tutela di carattere costitutivo, cioè oltre l’annullamento del
provvedimento? Se l’amministrazione ad es. non fornisce l’autorizzazione che dovrebbe dare per legge, il
danno subito dal soggetto che non riesce a costruire è RISARCIBILE.

Esiste un’altra forma di responsabilità civile, diversa rispetto a quella riguardante l’esercizio del potere
amministrativo, e cioè quella dei contratti  Responsabilità contrattuale. È una responsabilità contrattuale
perché, dopo che è stato stipulato il contratto, due soggetti che erano posti in posizioni separate vengono
messe sullo stesso piano, nonostante ci siano particolari diritti potestativi.

La responsabilità extracontrattuale invece è più complessa, perché si riscontra quando l’amministrazione,


nell’esercizio delle sue funzioni, cagiona un danno ingiusto. Quali condotte possono dar luogo a
responsabilità?

- Attività materiali: es. dell’agente di pubblica sicurezza che tampona un altro soggetto alla guida
della volante  si tratta di una singola attività materiale, non ricollegata all’esercizio della propria
funzione. Si tratta quindi della responsabilità extracontrattuale classica.
- Attività provvedimentale: cioè nell’esercizio di pubblici poteri.

La responsabilità derivante da attività materiali è sempre stata riconosciuta nei confronti


dell’amministrazione. Mentre l’attività provvedimentale è stata un problema: questa era considerata non
risarcibile perché il potere può essere illegittimo ma mai illecito. I motivi derivavano dal fatto che il sistema
giurisdizionale prevedeva due giudici: uno dotato di poteri risarcitori (il giudice ordinario) ed uno dotato di
poteri costitutivi (il giudice amministrativo).

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IRRESPONSABILITÀ DELLA P.A. PER ESERCIZIO DI POTERI AMMINISTRATIVI:

- La responsabilità extracontrattuale solo per lesione di diritti soggettivi: l’ingiustizia del danno
presuppone la lesione di una situazione soggettiva riconosciuta e garantita dall’ordinamento
medesimo nella forma del diritto soggettivo perfetto (Cass., sez. Un., 23 Novembre 1985, n,
5813).
- Sistema di giustizia amministrativa: mentre al giudice ordinario, pure munito del potere di
condannare al risarcimento, era ritenuto stabilito dall’art. 103 Cost., privo di giurisdizione a
fronte di una domanda risarcitoria avente ad oggetto il danno da lesione di interesse legittimo, il
giudice amministrativo, pur potendo conoscere dell’interesse legittimo, era sfornito del potere di
condannare al risarcimento del danno, potendo solo annullare l’atto.

Il problema dell’irresponsabilità della pubblica amministrazione per l’esercizio di poteri amministrativi,


derivava da due motivi, che non vennero contestati fino al 1992: la responsabilità extracontrattuale, fino
alla fine degli anni 70, era basata sulla risarcibilità solo ed unicamente dei diritti soggettivi, anche nei
rapporti interprivati. Se non potevano essere risarcite tutte le pretese, non potevano essere risarciti
ovviamente neanche gli interessi legittimi.
Il sistema di giustizia amministrativa, basato sull art. 103 Cost. prevedeva un giudice amministrativo con
poteri costitutivi, quindi di annullamento dell’atto  non aveva potere di condanna risarcitoria. Il giudice
ordinario aveva poteri di condanna ma non aveva la possibilità di annullare il provvedimento. Tutto ciò
comportava l’impossibilità del risarcimento degli interessi legittimi.
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La responsabilità extracontrattuale della p.a. solo per lesione di diritti soggettivi:

Per ingiusto si riteneva che il fatto:

- Non solo dovesse essere “non iure”, cioè non giustificato da alcuna norma dell’ordinamento.
- Ma anche “contra ius”, cioè lesivo di uno ius, di un diritto soggettivo, riconosciuto da una norma
giuridica primaria (di divieto), diritto soggettivo che in origine poteva essere solo “assoluto” e di
natura “patrimoniale”.

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Irresponsabilità della p.a. per esercizio di poteri amministrativi: Nonostante nell’art. 2043 c.c. l’aggettivo
“ingiusto” sia stato sempre riferito testualmente al danno e non al fatto…

Art. 2043: : “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che
ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

Nell’interpretazione c.d. “pietrificata” dell’art. 2043 c.c. l’aggettivo ingiusto veniva traslato dal danno al
fatto, e dunque la norma veniva letta come se disponesse che: “qualunque FATTO INGIUSTO doloso o
colposo, che cagiona ad altri un danno, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

Con conseguente inquadramento dell’art. 2043 c.c. quale norma (“secondaria”) sanzionatoria di condotte
vietate da altre norme (“primarie”).

Ciò derivava come abbiamo detto da due motivi: la lettura tradizionale dell’art. 2043 c.c.: per la
giurisprudenza ingiusto non doveva essere inteso il danno, ma il FATTO. L’idea era quindi che fosse ingiusta
l’illiceità del fatto che provocava il danno, e non lo stesso danno che veniva cagionato. E dunque l art. 2043
veniva letto come norma secondaria: tu violi una norma primaria con un fatto ingiusto, ed a quel punto
interviene l’art. 2043.

Art. 2043: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha
commesso il fatto a risarcire il danno”.
Nell’interpretazione pietrificata dell’art. da parte della giurisprudenza, l’aggettivo ingiusto era riferito al
fatto e non al danno. La giurisprudenza quindi disponeva che: “qualunque fatto ingiusto doloso o colposo,
che cagiona ad altri un danno, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

SENTENZA MERONI, giocatore del Torino negli anni 60, che fu investito e morì. Il Torino agisce nei confronti
dell’assicurazione non per il danno al giocatore, ma per il danno sofferto dalla società per il mancato
utilizzo delle prestazioni calcistiche del calciatore Meroni  non è un diritto soggettivo, ma una pretesa o
un’aspettativa. La sentenza Meroni del 78, per la prima volta, sancisce la risarcibilità delle aspettative
tutelate. Questo apre una breccia nel sistema: con la sentenza Meroni abbiamo uno spostamento sul danno
ingiusto. Però per l’amministrazione, e quindi per gli interessi legittimi, questa apertura non viene colta, o
almeno viene colta solo e unicamente in relazione agli interessi oppositivi, perché lì l’amministrazione
comprime la sfera giuridica: un diritto soggettivo, di fronte ad una dichiarazione di pubblica utilità tendente
ad acquisire un bene, viene degradato ad interesse legittimo. Una volta che viene dichiarata l’illegittimità
della dichiarazione di pubblica utilità, questo diritto soggettivo si riespande: in questo caso si può ottenere
un risarcimento, ed il risarcimento riguarda il periodo in cui si è verificata la compressione.

Per gli interessi pretensivi invece non è previsto alcun risarcimento: ad es. nel caso di mancata concessione
di un’autorizzazione, non si può ottenere un risarcimento.
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EVOLUZIONE: il diritto comunitario forzò per la prima volta il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi
legittimi.

Art. 13 della l. 142/1992: “i soggetti che hanno subito una lesione a causa di atti compiuti in violazione
del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o forniture o delle relative norme interne
possono chiedere all’amministrazione aggiudicatrice il risarcimento del danno. La domanda di
risarcimento è proponibile dinanzi al giudice ordinario da chi ha ottenuto l’annullamento dell’atto lesivo
con sentenza del giudice amministrativo.”

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L’art. 13 l. 142/1992: Il legislatore, si è discostato dal tradizionale approccio in materia di riparto tra le
giurisdizioni, riproducendo una schema bifasico di doppia tutela in base al quale la domanda di
risarcimento era proponibile dinanzi al giudice ordinario solo a seguito dell’annullamento dell’atto lesivo
pronunciato con sentenza del giudice amministrativo.

Lungi dal riconoscere la generale attivabilità del meccanismo risarcitorio in materia di appalti pubblici,
ammetteva siffatta tipologia di tutela solo per i danni da violazione delle regole comunitarie destinate a
disciplinare lo svolgersi della procedura pubblicistica di affidamento della commessa pubblica.

UNIONE EUROPEA: i Paesi che ne fanno parte non conoscono il concetto di interesse legittimo (prerogativa
dell’ordinamento italiano). Il problema che si pone è questo: le procedure ad evidenza pubblica negli
appalti, che erano normali a livello europeo, prevedono la risarcibilità in caso di illegittima esclusione dalla
gara  INTERESSE PRETENSIVO: opportunità persa di poter concludere un contratto.
La norma di riferimento era la Direttiva Contenziosi della fine degli anni 80 che viene recepita in virtù della
legge La Pergola nell art. 13 della legge 142 del 1992 che riguardava i cosiddetti interessi legittimi
comunitari.

Il testo di recepimento della direttiva è così formulato: “I soggetti che hanno subito una lesione a causa di
atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o forniture o delle
relative norme interne possono chiedere all’amministrazione aggiudicatrice il risarcimento del danno.” Per
la prima volta quindi l’interesse legittimo viene configurato come risarcibile, anche se relativo soltanto agli
appalti. La domanda di risarcimento è però proponibile dinanzi al giudice ordinario dopo che il soggetto ha
ottenuto l’annullamento dell’atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo. Il soggetto deve quindi
rivolgersi prima al giudice amministrativo per fare annullare l’atto, poi al giudice ordinario per ottenere il
risarcimento  Procedimento molto dispendioso, minimo 5 gradi di giudizio.

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EVOLUZIONE: Un passaggio fondamentale per la svolta giurisprudenziale del 1999 va rinvenuto


nell’emanazione del D.lgs. n. 80/1998, che ridisegnando l’ambito della giurisdizione esclusiva, dopo il
passaggio del pubblico impiego al giudice ordinario, adottava un sistema per blocchi di materie
attribuendo al giudice amministrativo giurisdizione piena estesa anche al riconoscimento del
risarcimento del danno (art. 35).
EVOLUZIONE: un ulteriore passaggio si ha con la sentenza 500 del 1999 della Cassazione a seguito del Decr.
Legislativo 80 del 1998 che sancisce il trasferimento definitivo del pubblico impiego al giudice ordinario; ma
prevedeva inoltre, agli art. 33-34-35, la nuova definizione delle aree di giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, attribuendogli dei blocchi di materie in cui il giudice può anche risarcire il danno.

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