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11/5/2020 Diritto e musica: l'interpretazione musicale e l'interpretazione giuridica | Salvis Juribus

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Diritto e musica: l’interpretazione musicale e l’interpretazione


giuridica

Pubblicato 30 May 2019 | by Avv. Gaetano Esposito | in Arte, Lo sai che

DIRITTO E
 MUSICA:
L’INTERPRETA
ZIONE
MUSICALE E
L’INTERPRETAZIONE GIURIDICA
Sommario:  1. Premessa storica –  2. Elementi di comparazione tra
interpretazione giuridica e interpretazione musicale

1. Premessa storica

Ormai da tempo la dottrina nordamericana si occupa della


comparazione tra diritto e musica, in particolare del raffronto tra
l’interpretazione giuridica e quella musicale, sostenendo che il modello
ermeneutico più vicino a quello giuridico sia quello musicale.

Se in America, nell’ambito del movimento law & humanities, fioriscono


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due modelli interpretativi non tralasciando però le notevoli differenze. 

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Solitamente gli studi italiani prendono le mosse da quella polemica


sull’interpretazione musicale che iniziò nel 1930 e durò per  circa un
decennio impegnando filosofi, musicologi, cultori dell’estetica e vide
impegnati due insigni giuristi come Salvatore Pugliatti ed Emilio Betti.

È dunque necessario ripercorrere le tappe di quella polemica per


verificare se il contributo di quei due sommi giuristi all’interpretazione
musicale apporta un effettivo chiarimento alla comparazione tra diritto
e musica, nei termini che  a noi interessa.

L’abbrivio della discussione fu dovuto a un articolo apparso nel 1930


sulla Rassegna Musicale ad opera del suo Direttore, Guido M. Gatti, che
lanciava il quesito se l’interpretazione musicale dovesse ritenersi atto
di creazione e dunque arte ovvero atto di mera esecuzione.

Bisogna subito rimarcare che la polemica sull’interpretazione musicale


si svolse tutta nell’ambito della filosofia idealistica che ebbe
sicuramente il merito di aver posto, per la prima volta, il problema
della natura della interpretazione.

Tuttavia, mancando all’epoca una dottrina e soprattutto una storia


dell’interpretazione musicale, la questione fu affrontata
esclusivamente sulla base di categoria estetiche, filosofiche ed
ermeneutiche.

Il maggior agitatore della polemica fu Alfredo Parente, crociano a


oltranza, che, nella sua opera La Musica e le arti, sostenne il carattere
 meramente tecnico – pratico, e dunque estraneo all’arte,
dell’interpretazione musicale.

Il presupposto teorico dal quale partiva Parente era costituito dalla


distinzione, di matrice crociana, tra arte e tecnica; quest’ultima era da
collocarsi nella sfera pratica e dunque estranea al gesto creativo.

Il musicista, attraverso i suoi strumenti tecnici, <<traduce in realtà


sonora i fantasmi nella sua mente compiuti>>; dunque la fase della
realizzazione, intervenendo in un momento successivo alla creazione,
si pone al di fuori della stessa.

Identificata la tecnica con l’interpretazione ne consegue


l’appartenenza di quest’ultima al momento tecnico – pratico e dunque
non creativo. L’interprete non muove <<dall’interno>> come  il creatore
ma <<dall’esterno>>, cioè opera su una realtà già data che rappresenta
<<l’imprescindibile guida e il freno del suo lavoro>>. L’interprete è
pertanto privo della libertà e dell’autonomia di cui gode, invece, il
creatore e si pone come soggetto passivo rispetto all’opera.

Da questi presupposti, che in realtà erano pregiudizi crociani, Parente


si spingeva ad affermare che l’interpretazione <<si volge a ristabilire le
condizioni fisiche necessarie a rimettere in vita opere già perfette nella
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fantasia del musicista>>.
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In conclusione l’interpretazione non è arte ma mera attività pratica.

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La tesi di Parente fu contrastata da Salvatore Pugliatti, insigne giurista


e fine musicologo che, nella sua opera, L’interpretazione musicale,
sostenne il carattere creativo dell’interpretazione.

Anch’egli idealista, ma più gentiliano che crociano, partiva dal


presupposto che ogni atto dello spirito è atto creativo, e, essendo
l’interpretazione atto dello spirito, non può che essere anch’essa
creativa.

Se è vero anche per Pugliatti che l’interprete opera su una realtà già
data, lo spartito, che costituisce <<un limite esterno all’attività
spirituale>> è pur vero che l’approccio al testo è soltanto il primo
momento, filologico – pratico, dell’attività dell’interprete che però non
esaurisce l’attività interpretativa.

Il momento filologico testuale è importantissimo ma serve


all’interprete solo per risolvere i problemi prettamente tecnici
dell’esecuzione, serve cioè a liberare lo spirito dagli ostacoli che lo
imbrigliano.

Superati gli ostacoli tecnici lo spirito riacquista la sua libertà e


<<manifesta fatalmente la sua potenza creatrice>>.

L’interpretazione musicale è per Pugliatti un’attività complessa, attività


creativa dello spirito che   ricrea l’opera attraverso <<una nuova sintesi
creativa, nella quale l’opera del compositore ovvero del poeta opera
come un fatto dell’esperienza dell’interprete>>.

Emilio Betti, grande giurista e pioniere dell’ermeneutica, non
intervenne direttamente nella polemica sull’interpretazione ma, nella
sua ponderosa Teoria generale dell’interpretazione, dedicò un ampio
capitolo all’interpretazione musicale.

Il grande giurista, addottrinato dalle letture di Schleiermacher, Dilthey,


Droysen, ma anche di un musicista teorico come Furtwangler, rifiutava
i preconcetti crociani e muoveva da ben altro orizzonte, quello
dell’ermeneutica.

Betti affermava che l’interpretazione può avere tre finalità: ricognitiva,


riproduttiva e normativa e attribuiva a quella musicale la funzione
riproduttiva.

Coerente con la sua idea che il processo ermeneutico consistesse in


una <<inversione del processo creativo>> riteneva che l’interprete
dovesse ricreare <<in sé il processo creativo>> e dunque <<ricreare
l’improvvisazione>>.

Anch’egli scomponeva l’interpretazione musicale in due momenti: un


primo, ricognitivo, dedicato all’intelligenza del testo e alla risoluzione
delledidifficoltà
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Il momento ricognitivo è il momento della tecnica, la quale <<facilita
l’esecuzione del particolare … ma non vale a promuovere una visione
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dell’insieme>>. Dunque la tecnica è senza dubbio <<la chiave per aprire


l’opera d’arte>> ma offre una visione solo parziale della stessa.

Analoghi limiti connotano la conoscenza storica, essenziale per


penetrare il testo ma idonea solo a <<rilevare concatenazioni di
indirizzi e problemi stilistici>>.

Il secondo momento dell’interpretazione è quello dialettico. Quello


dell’incontro tra la personalità dell’autore e quella dell’interprete.

In questo momento l’interpretazione si pone come ricreazione che


consiste in <<una sintesi ricostruttiva fatta di una dialettica di fedeltà e
di rinnovamento>> e <<che non si conclude mai in unità perfetta come
nella creazione originale>>.

Questo è un passaggio cruciale.

Prima di tutto si afferma che la ricreazione dell’opera non può che


passare attraverso la personalità dell’interprete il quale rinnova pur
essendo fedele al testo. Già nella sua prolusione romana del 1948 Betti
aveva sostenuto che, nel campo dell’interpretazione musicale,
l’inversione dell’iter creativo <<non può riuscire senza la illuminazione
di una commossa sensibilità, di un’inventiva e di un intuito
divinatorio>>.

Inoltre, sempre nel passo citato, si annuncia il limite


dell’interpretazione e il dramma dell’interprete: <<una sintesi che non
 si conclude mai in unità perfetta come nella creazione originale>>.
L’interpretazione non può ricreare l’opera interamente perché
irripetibile e l’interprete vive il dramma di un <<ideale irraggiungibile>>:
quello di identificarsi con l’autore.

Volendo fare qualche riflessione su quanto finora esposto possiamo


rilevare che la polemica sull’interpretazione musicale arricchì senza
dubbio l’estetica e la musicologia provocando un vivace dibattito tra
esperti e cultori di musica; ma occorre anche aggiungere che oggi ha
perso del tutto la sua attualità.

Senza allontanarci troppo dall’oggetto di questa indagine ma solo per


completezza espositiva bisogna rimarcare che i limiti di
un’impostazione idealistica, che separava l’arte dalla tecnica, appaiono
oggi inaccettabili e già nel 1958 un filosofo della musica come Theodor
W. Adorno, in un celebre articolo dal titolo Musica e tecnica, affermava
che  <<è filistea l’idea di un contenuto spirituale in sé, per così dire
bell’e pronto, che verrebbe proiettato all’esterno con l’ausilio di una
tecnica concepita in termini altrettanto cosali. Interno ed esterno si
producono a vicenda>>.

Giunti a questo punto occorre domandarsi quale contributo hanno


offerto i due giuristi alla comparazione tra diritto e musica ovvero tra
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interpretazione musicale e interpretazione giuridica.
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Certo possiamo dire che i due giuristi, avvezzi all’esegesi normativa,
trassero dal loro campo gli spunti e i presupposti teorici per affrontare

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il problema musicale ma né Pugliatti né Betti confrontarono i due


paradigmi ermeneutici, almeno non nel senso che intendiamo noi.

Bisogna ancora soffermarsi su Emilio Betti.

È singolare che nel suo Trattato affronti l’interpretazione giuridica


subito dopo l’interpretazione musicale senza mai fare raffronti
espliciti; anzi, il paragone ricorrente è con l’interpretazione teologica
che condivide con quella giuridica la medesima finalità.

Nonostante questo, in alcuni punti Betti offre spunti importanti.

In primo luogo afferma che, anche nell’interpretazione giuridica, il


momento ricognitivo non esaurisce l’attività ermeneutica
dell’interprete.

L’interpretazione giuridica non è solo un conoscere la norma ma un


conoscere <<per integrarla e realizzarla nella vita di relazione>>; è un
conoscere finalizzato a sviluppare <<direttive per l’azione pratica>> o
per decidere un caso concreto.

E’ questa dunque la funzione normativa dell’interpretazione giuridica.

Inoltre Betti afferma che l’interpretazione giuridica contiene e supera


sia il momento ricognitivo che quello riproduttivo.

 Il giurista, secondo Betti, non si limita a conoscere e a riprodurre la


norma ma va ben oltre: <<rendere il precetto assimilabile nella vita>>.

Infine, e questo è un punto fondamentale per ciò che diremo in


seguito, Betti esclude ogni identificazione tra l’interprete e il
legislatore.

L’interprete del diritto non vive pertanto il dramma dell’interprete


musicale, non può tendere a identificarsi con l’autore della norma.

2. Elementi di comparazione tra interpretazione giuridica e


interpretazione musicale

Alcuni valenti giuristi (Resta, Iudica, Cossutta) hanno vagliato le


possibilità di una comparazione tra l’interpretazione giuridica e
l’interpretazione musicale con esiti molto interessanti e utili per una
più vasta comprensione del fenomeno giuridico.

Gli studiosi, pur insistendo sulle differenze e le peculiarità di ciascun


campo del sapere, hanno individuato alcune tavole di raffronto, specie
per quel che attiene al procedimento ermeneutico che accomuna il
lavoro dell’interprete della norma a quello della partitura.
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testo da interpretare che pone senza dubbio problemi ermeneutici da 
risolvere; entrambi si trovano a far rivivere un testo che altrimenti
resterebbe lettera morta, cristallizzato in uno spartito o in una norma.
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Ma vediamo più da vicino quali sono questi problemi e come vengono


affrontati dall’uno e dall’altro interprete, perché dietro apparenti
analogie si celano anche non trascurabili differenze.

Si è insistito più volte sulla somiglianza tra il linguaggio musicale e


quello giuridico, entrambi connotati da vaghezza e imprecisione e
bisognosi dell’attività integrativa dell’interprete.

Chiedersi come si deve intendere esattamente un “non espressivo” o


un “cantabile”, scritto tra le righe di uno spartito, è molto simile a
chiedersi come bisogna intendere il “comune senso del pudore”, un
“atto osceno” o un motivo “abietto” scritto in una norma giuridica.

Sulla vaghezza di entrambi i linguaggi nulla quaestio; però occorre


indugiare sulle notevoli differenze.

La norma giuridica è un testo che deve essere compreso da tutti


perché tutti devono conoscerlo, ignorantia legis non excusat, dunque
deve tendere a essere chiaro.

Il linguaggio musicale si rivolge solo a chi è in grado di conoscerlo e di


decifrarlo e dunque non ha la pretesa di rivolgersi a tutti.

Inoltre il testo musicale, la partitura, è un testo muto; per diventare


musica richiede la materialità del suono e dunque ha bisogno di
almeno due fattori: un interprete e uno strumento.

Sulla necessità dell’interprete tanto si è detto ma i problemi che pone
lo strumento musicale all’interpretazione sono stati spesso trascurati.

Tanto per fare alcuni esempi, sappiamo che Chopin creava le sue opere
su un pianoforte, solitamente il Pleyel, molto diverso dall’attuale gran
coda Steinway, spesso utilizzato nelle sale da concerto, senza contare
che Chopin pensava i suoi Valzer per il salotto e non per la sala da
concerto, con tutte le difficoltà che impone l’acustica
all’interpretazione.

A questo bisogna anche aggiungere l’uso, da parte dell’interprete, di


strumenti diversi da quelli previsti dal compositore: Bach e Domenico
Scarlatti scrivevano per il clavicembalo opere che oggi vengono
suonate indifferentemente sul pianoforte e anche quando talvolta si
ricorre a strumenti antichi, d’epoca, non si tratta degli stessi strumenti
esistenti all’epoca del compositore; valga, come esempio, il famoso
clavicembalo rinforzato della Landowska.

Il giurista, come il musicista, è intermediario tra il testo e il pubblico


ma il musicista è prima ancora un demiurgo tra il testo e il suono. Egli
crea il suono. Per fare questo deve rispondere a tutte le domande che
il testo gli pone e deve altresì conoscere le potenzialità, i limiti e i
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segreti dello strumento; questo è l’aspetto tecnico che è anch’esso
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arte, contrariamente a quanto affermato dagli studiosi esaminati nel 
paragrafo precedente.

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La separazione tra momento tecnico, chiamato riduttivamente pratico


o peggio ancora meccanico e momento creativo, è pertanto soltanto
formale e inconsistente.

Si è evidenziato che per il giurista come per il musicista


l’interpretazione letterale è spesso solo il primo momento del
procedimento ermeneutico. Ormai, considerato l’ impoverimento del
linguaggio normativo, anche nel diritto il dato letterale è spesso
insufficiente per l’interprete.

Accertata l’evidente analogia c’è però da chiedersi che cosa sia il testo
per il giurista e per l’interprete musicale.

Solitamente al giurista basta aprire la Gazzetta Ufficiale per trovare il


testo della legge così come l’ha concepito il legislatore; non è così per
il musicista.

Piero Rattalino, illustre studioso di interpretazione pianistica, ha


dimostrato quanto sia difficile per il musicista rinvenire una partitura
fedele all’originale.

Molto spesso l’esecutore si trova a lavorare su una partitura manipolata


da un revisore, solitamente anch’egli un’artista che apporta modifiche
guidato dal suo personale gusto; certo esistono oggi i cosiddetti Urtex
(edizioni originali) ma anche questi non sempre trascrivono tutto
quanto è nell’originale. All’esecutore che voglia studiare il testo
originale non resta che cercare ristampe anastatiche ovvero cercare
 negli archivi e nelle biblioteche manoscritti originali.

Dunque per il musicista la fedeltà al dato letterale, al testo conforme


all’originale, potrebbe trasformarsi in un’avventura filologica.

È stato altresì rilevato che nella musica come nel diritto esiste
l’interpretazione autentica.

Nel diritto ciò avviene comunemente quando il legislatore stesso


interviene a dirimere un contrasto interpretativo vertente su una
norma. Nella musica si avrebbe quando il compositore esegue la sua
stessa opera.

A parte l’apparente somiglianza, nel campo musicale non sempre


l’interpretazione autentica fa stato, come direbbero i giuristi.

Graziosi e Rattalino hanno espresso non poche riserve sulle esecuzioni


degli autori. Talvolta il compositore si allontana dal testo, talaltra non è
tecnicamente all’altezza della sua stessa opera.

Sappiamo, solo per fare degli esempi, che Scriabin al pianoforte


suonava molto liberamente le sue composizioni; stessa cosa vale per
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sorprendiamo un Ravel tecnicamente debole, non proprio all’altezza 
delle sue opere e un Grieg che suonava i suoi Pezzi Lirici come un
magnifico dilettante ma pur sempre dilettante.
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Nessun pianista professionista potrebbe prendere a modello uno dei


compositori sopra elencati.

In conclusione, l’interpretazione autentica non ha, nella musica, lo


stesso peso che invece ha nel diritto.

Un punto di grande convergenza è da registrarsi nella necessità, che


talvolta accomuna l’interprete del diritto a quello della musica, di
ricorrere a elementi extra testuali.

Come il giurista di fronte a un problema ermeneutico potrebbe trovarsi


costretto a ricorrere all’interpretazione della norma data dalla dottrina
o dalla giurisprudenza, così il musicista potrà cercare ausilio nella
tradizione interpretativa.

Anche la musica ha la sua giurisprudenza, solitamente costituita dalle


edizioni della partitura o dalle incisioni su disco da parte di alunni del
compositore o da alunni di alunni; il caso paradigmatico è l’edizione
delle opere di Chopin a cura del suo fidato discepolo Mikuli, basata
sulle indicazioni scritte a mano del Maestro e l’incisione sul disco del
pianista Koczalski, alunno di Mikuli e un tempo considerato autentico
depositario della tradizione interpretativa di Chopin.

Un’ultima considerazione va fatta sulla libertà dell’interprete.

La libertà del giurista nell’esegesi della norma è sicuramente più


 limitata rispetto a quella dell’esecutore. Il giurista è vincolato, in primis,
da regole ermeneutiche fissate da leggi, è il caso dell’articolo 12 delle
Preleggi.

La libertà dell’esecutore in musica è questione molto più articolata.

Sappiamo che le partiture dei compositori del periodo barocco erano


molto povere di indicazioni per l’esecutore, anche perché quelle opere
erano suonate molto spesso dagli stessi compositori.

Con il passare del tempo la separazione tra compositore ed esecutore


impose un arricchimento della notazione musicale e la partitura s’infittì
di indicazioni per l’esecuzione fino ad arrivare a Stravinsky, musicista
ossessionato dall’idea di cancellare ogni moto di libertà dell’esecutore.

Tuttavia nella musica contemporanea l’atteggiamento del compositore


verso l’interprete è ondivago; se Ligeti, nelle Nouvelles aventures,
detiene forse il record per le indicazioni all’esecutore, abbiamo un
Satie che non dà indicazioni sul tempo delle Gymnopédies e uno
Stockhausen che nel suo Klavierstücke XI lascia all’esecutore la libertà, e
anche la responsabilità, di scegliere quale serie di note suonare,
trasformando, così, l’esecutore in una sorta di coautore di un’opera che
si riproduce senza mai esaurirsi.
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Niente di tutto questo è pensabile nel diritto. 

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Non c’è dubbio che anche l’interpretazione giuridica sia un’operazione


creativa ma non bisogna mai dimenticare che il musicista è un’artista
che aggiunge qualcosa di suo, talvolta troppo di suo, al testo in vista di
un risultato estetico; il giurista invece deve cercare di far parlare
quanto più possibile il testo.

Nessuno ha mai rimproverato Glenn Gould per le sue interpretazioni


provocatorie mentre un giudice che si prendesse le stesse libertà
vedrebbe solo annullato il suo provvedimento.

Venendo dunque alla conclusione di questo percorso comparativo


possiamo osservare che il confronto tra i due paradigmi ermeneutici è
senza dubbio stimolante, specie per il giurista, allargando la vastità dei
suoi orizzonti per una più completa ed estesa comprensione del
fenomeno giuridico, ma non bisogna farsi troppo sedurre dal demone
della comparazione e tenere ben a mente le peculiarità di ciascun
campo.

In questo rivive, immutabile, l’insegnamento di Emilio Betti sulla


specificità dell’interpretazione giuridica, sulla sua particolare funzione
e sulla responsabilità che su di essa incombe.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Iudica, Interpretazione giuridica e interpretazione musicale, Rivista di Diritto


 Civile, n.3.

Resta, Il giudice e il direttore d’orchestra. Variazioni sul tema : diritto e musica,


in Materiali per una storia della cultura giuridica,n.2, 2011.

Resta,Variazioni comparatistiche sul tema: diritto e musica, in


www.comparazionedirittocivile.it .

Cossutta, Sull’interpretazione della disposizione normativa e sui suoi possibili


rapporti con l’interpretazione musicale, in Tigor: rivista di scienze della
comunicazione, n.1 , 2011.

Gatti, Del problema dell’interpretazione musicale, in Rassegna musicale, 1930,


225.

Parente, La musica e le arti: problemi di estetica, Bari, 1936.

Pugliatti, L’interpretazione musicale, Messina, 1940.

Betti, Teoria generale dell’Interpretazione, Milano, 1955.

Betti, Le categorie civilistiche dell’interpretazione, in Riv. It. Sc. Giur., 1948, 34.

Adorno, Musica e tecnica, ora in Immagini dialettiche. Scritti musicali 1955-65,


Torino, 2004.
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Graziosi, L’interpretazione sui Cookie
musicale, Torino 1967. OK

Rattalino, L’interpretazione pianistica. Teoria, storia, preistoria, Varese, 2008.

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Rattalino, Da Clementi a Pollini. Duecento anni con i grandi pianisti, Firenze,
1999.

Fubini, L’estetica musicale dal Settecento a oggi,Torino, 1964.

Mila,L’esperienza musicale e l’estetica, Torino, 1956.

Jori, Interpretazione e creatività: il caso della specialità, in Criminalia, 2009.

     

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