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CORTE DI CASSAZIONE

SENTENZA N. 24509
20 NOVEMBRE 2009

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• Contenzioso
• Giudizio di legittimità
• Non ammissibilità del riesame della controversia

ORDINANZA

Fatto

A seguito di verifica della Guardia di finanza di (.....) presso la società (...) l’Ufficio II.DD: di
quella città accertava nei confronti della contribuente un maggior reddito ai fini I.R.P.E.F. ed
I.L.O.R. per l’anno 1994, in quanto erano stati rilevati dei rimborsi spese ai dipendenti per un
totale di L. 22..472.225, ritenuti non deducibili ed un maggior reddito, in quanto pur risultando il
conto cassa negativo per L. 148.073.007 alla data del 2.1.1994, la società aveva eseguito nel corso
dell’anno pagamenti in contanti, senza che dal conto/cassa risultasse la disponibilità delle somme
necessarie. Da ciò l’Ufficio aveva presupposto l’esistenza di somme non registrate e pervenute alla
società in seguito ad operazioni non registrate; conseguentemente aveva ripreso a tassazione
l’importo negativo risultante all’inizio dell’anno.

La società impugnava l’accertamento innanzi alla C.T.P. di (.....), chiedendone l’annullamento per
carenza di motivazione, per illegittimità delle presunzioni e per violazione del diritto di difesa.
Resisteva l’Ufficio sostenendo la legittimità dell’accertamento.

La C.T.P. accoglieva parzialmente il ricorso nella parte relativa all’accertamento presuntivo di


maggior reddito, respingeva il resto.

Proponeva appello l’Ufficio, mentre resisteva la società anche con appello incidentale. La C.T.R.
accoglieva il gravame dell’ufficio ritenendo legittimo il suo operato anche in riferimento
all’accertamento degli utili contabilizzati.

Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione la società (...) sulla base di un unico
motivo articolato in due censure. Resistono con controricorso l’Amministrazione delle finanze e
l’Agenzia delle entrate.

Diritto

Con la prima censura si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 d.p.r. n. 600/1973
nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la C.T.R. confermato
l’accertamento relativo all’omessa contabilizzazione di ricavi identificandone l’importo con il
passivo espresso nel conto/cassa al 2.1.1994. Contesta la contribuente il fatto che in un
accertamento analitico induttivo si sia considerata come presunzione grave e precisa l’esatta
corrispondenza fra il saldo negativo e gli utili non contabilizzati, senza peraltro computare i costi
relativi alla ricostruzione dei ricavi desunti dal saldo negativo dei redditi.
Con il secondo profilo di censura si contesta il fatto che la C.T.R. abbia condiviso la non
deducibilità dei rimborsi ai dipendenti in quanto i documenti rappresentativi dei rimborsi non
riportavano tutte le indicazioni necessarie per individuare i chilometri percorsi, la destinazione, gli
orari ed erano carenti della preventiva autorizzazione scritta dell’amministratore, obliterando la
peculiarità dell’attività svolta dalla società per cui le autorizzazioni agli spostamenti erano date
prevalentemente per telefono, non essendo statutariamente prevista l’autorizzazione per iscritto,
che i dipendenti avevano documentato le spese esposte ed, infine, non si era tenuto conto della
modicità degli importi rimborsati.

Le censure prospettate con l’unico motivo sono inammissibili.

Con tali doglianze la ricorrente tende sostanzialmente ad ottenere un riesame della controversia
con un ulteriore valutazione del merito, valutazione già effettuata dalla C.T.R. con la sentenza
impugnata, fondata su accertamenti in fatto, congruamente motivati con i quali ha dimostrato di
avere verificato quando dedotto dall’Ufficio, affermando, in contrasto con quanto asserito in
ricorso, che “dall’esame della documentazione prodotta in giudizio è possibile desumere solo il
nome del dipendente, il veicolo usato, a volte, e l’indennità percepita a fronte della quale non sono
neanche indicati i chilometri percorsi, elementi non sufficienti a giustificare il rimborso.”

Motivazione questa più che condivisibile e scevra da qualunque errore logico o di diritto.

Peraltro, questa Corte, con indirizzo consolidato, ha più volte affermato il principio secondo cui
non è consentito, in sede di legittimità, un riesame del merito della controversia attraverso il
tramite strumentale dell’art. 360, n. 5 c.p.c. che nei suoi limiti obbiettivi e nella finalità sua
propria, è volto unicamente al controllo di legalità sul modo e sui mezzi adoperati dal giudice nella
motivazione delle fonti del suo convincimento in modo da poterne seguire il suo possesso logico. Ne
consegue che la valutazione delle circostanze e delle ragioni poste a base di tale convincimento
costituisce una res faeti insindacabile in sede di legittimità se non sussistono vizi logici ed errori di
diritto, come nella specie.

Deve essere, altresì, respinta la censura relativa alla conferma da parte della C.T.R.
dell’accertamento eseguito dall’Ufficio con metodo analitico induttivo con il quale è stato
identificato l’importo dei ricavi non contabilizzati sulla base della cifra corrispondente al saldo
negativo espresso nel c/cassa al 2.1.1994, senza, peraltro che fossero computati i costi relativi alla
ricostruzione del reddito.

Anche per questa censura valgono le considerazioni sopra espresse in quanto la società ricorrente
lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.p.r. n. 600/1973 nonché omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, tende ancora ad ottenere da questa Corte un giudizio di
merito, precluso in questa fase di legittimità; peraltro, detta censura è anche priva di
autosufficienza, avendo la società dedotto solo in modo del tutto generico l’esistenza di costi senza
neppure indicarne la natura e la consistenza.

Occorre anche aggiungere, per completezza di esposizione, che questa Corte ha avuto già modo di
pronunciarsi in ipotesi similari statuendo un principio di diritto condiviso da questo Collegio, non
sussistendo, nella specie, alcun motivo per discostarsene, secondo il quale: “In tema di
accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini IRPEG ed ILOR, ai sensi dell’art. 39 del d.p.r.
n. 600 del 1973, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono
di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa
presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo.”

Conclusivamente, dichiarata assorbita ogni altra censura, il ricorso della società (...) deve essere
respinto. Le spese per questa fase di giudizio seguono la soccombenza ai sensi dell’art. 92 c.p.c. e
si liquidano come indicato in dispositivo. La Corte tuttavia, ritiene equo compensare le spese del
giudizio di merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di merito e condanna la ricorrente società al
pagamento di quelle del giudizio di legittimità che si liquidano in €. 2.700,00 (duemilasettecento),
di cui €. 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari oltre spese generali ed accessori di legge.

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