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Civile Ord. Sez. L Num.

12626 Anno 2020


Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: TORRICE AMELIA
Data pubblicazione: 25/06/2020

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


Ud. 14/01/2020
ORDINANZA
CC
sul ricorso 13685-2014 proposto da:

VERDI FRANCO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BALDO DEGLI UBALDI 66, presso lo studio dell'avvocato

SIMONA RINALDI GALLICANI, rappresentato e difeso

dall'avvocato GUIDO CALATRONI;

- ricorrente -

contro

MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E

DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore,


2020

AGENZIA DELLE ENTRATE, Direzione Provinciale di


101

Cremona in persona del Direttore pro tempore, tutti

rappresentati e difesi dall'AVVOCATURA GENERALE


N. R.G. 13685 2014

DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano ope legis, in

ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

- con troricorrenti -

avverso la sentenza n. 539/2013 della CORTE D'APPELLO

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


di BRESCIA, depositata il 28/12/2013 R.G.N. 357/2013.

Rilevato

1. con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Brescia, per quanto


oggi rileva, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato Verdi
Franco, dirigente scolastico del Ministero dell'Istruzione, a pagare a quest'ultimo la
somma di C 76.800,00, percepita a titolo di gettoni percepiti dall'Azienda Speciale
Comunale "Cremona Solidale" nella qualità di Presidente del Consiglio di
Amministrazione, incarico, non autorizzato dalla Amministrazione datrice di lavoroe,
espletato dal 1.1.2004 al 31.12.2008;
2. la Corte territoriale ha:
3. rilevato che il Verdi aveva espletato negli anni dal 2004 al 2008 l'incarico di
presidente del consiglio di amministrazione dell'azienda speciale comunale
"Cremona Solidale" e che l'autorizzazione all'espletamento di tale incarico, richiesta
solsoltanto nel marzo 2008, era stata negata dal Ministero datore di lavoro;
4. ritenuto che l'art. 53 del d.lgs n. 165 del 2001 ( nel testo applicabile "ratione
temporis" prima delle modifiche apportate dalla I. n. 190 del 2012) vieta al pubblico
dipendente di svolgere, senza autorizzazione, incarichi, anche occasionali retribuiti
in qualunque forma e non rientranti nei compiti e nei doveri di ufficio;
5. affermato che l'elenco delle attività espletabili senza autorizzazione anche se
retribuite è tassativo e che non vi sono ricomprese quelle relative ad incarichi
pubblici elettivi o a questi equiparati, a meno che il pubblico dipendente non sia
collocato in aspettativa o fuori ruolo;
6. aggiunto che le circolari invocate dal Verdi ( e dall'altro appellante)
concernono gli obblighi di comunicazione imposti dal c. 13 dell'art. 53 e non

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esonerano il dipendente dall'obbligo di richiedere l'autorizzazione per l'espletamento


degli incarichi estranei ai doveri di ufficio;
7. escluso la possibilità che l'incarico presso l'azienda speciale comunale fosse
equiparabile ad una carica politica elettiva per il solo fatto di essere stato attribuito
da un oragno politico (il Sindaco); tanto in considerazione della natura
amministrativa della funzione del presidente del consiglio di amministrazione
dell'azienda speciale comunale, la quale doveva essere qualificata come ente

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pubblico economico e del fatto che la disciplina dettata dagli artt. 87 e 58 del d.lgs.
n. 267 del 2000 non consente di attribuire natura elettiva all'incarico di presidente
del consiglio di amministrazione delle aziende speciali comunali;
8. affermato che la disposizione contenuta nel c. 5 dell'art. 53 del d.lgs . 165
del 2001 si limita a dettare le regole per l' affidamento diretto di incarichi retribuiti;
9. avverso questa sentenza Verdi Franco ha proposto ricorso per cassazione
affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria, al quale hanno resistito
con controricorso il Ministero dell'Istruzione, dell'Universita e della Ricerca e l'
Agenzia delle Entrate;

Considerato

10. il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ., violazione


e/o comunque falsa applicazione del d.lgs n. 165 del 2001 ( primo motivo), degli
artt. 58 e 87 del d.lgs n. 267 del 2000 ( secondo motivo) , della L. 8.6.90 n. 142 in
connessione con l'art. 10 n. 27 ter del D.P.R. 633/1972 ( terzo motivo) e, ai sensi
dell'art. 360 c. 1 n. 5 cod.proc.civ., insufficiente e contraddittoria motivazione circa
fatti decisivi per il giudizio "sia con riferimento alla individuazione della natura
giuridica della carica espletata, sia con riferimento alla natura giuridica del titolo
relativo al percepimento del compenso, sia con riferimento alla natura giuridica
dellEnte Comunale Cremona Solidale" (quarto motivo);
11. il ricorrente asserisce che le circolari n. 5 del 29.5.1998, n. 333/A-9803 DI.
del 21.2.2006 e n. 198 del 31.5.2001, pur non costitendo fonti del diritto, sono
vincolanti per le Amministrazioni coinvolte, che le avevano disattese, e imputa alla
Corte territoriale di non avere tenuto conto della portata di dette circolari nella
interpretazione dell'art. 53 del d.lgs n. 165 del 2001; assume che l'incarico

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espletato costituisce una carica pubblica elettiva ovvero a questa equiparata avuto
riguardo alle disposizioni contenute negli artt. 87 e 58 del d. Igs. n. 267 del 2000
(primo e secondo motivo);
12. imputa alla Corte territoriale di non avere considerato che l'ente presieduto
da esso ricorrente aveva natura di ente pubblico in ragione della natura pubblico-
amministrativa della carica conferita al presidente del consiglio di amministrazione
e aveva trascurato la risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 89 del 12.3.2008

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(terzo e quarto motivo);
13. il primo e il secondo motivo, da scrutinarsi congiuntamente, sono infondati;
14. l'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, nel testo applicabile alla fattispecie ratione
temporis, stabilisce che:
15. "I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano
stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Con
riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli
atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi
previsti dal presente decreto" e aggiunge che "in caso di inosservanza del divieto,
salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il
compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato a
cura dell'erogante o, in difetto del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio
dell'amministrazione di appartenenza del dipendente..." (c.7);
16. "Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a
dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione
dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le piu' gravi
sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione,
costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del
procedimento; il relativo provvedimento e' nullo di diritto. In tal caso l'importo
previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità
dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza
del dipendente ad incremento del fondo di produttivita' o di fondi equivalenti ( c.8);
17. "Gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi
retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di
appartenenza dei dipendenti stessi. In caso di inosservanza si applica la
disposizione dell'articolo 6, comma 1, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79,

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convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive


modificazioni ed integrazioni. All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle
sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza,
secondo le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive
modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del
Ministero delle finanze"(c.9);
18. "L'autorizzazione.. .deve essere richiesta all'amministrazionedi appartenenza

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del dipendente dai soggetti pubblici o privati che intendono conferire l'incarico; può
altresì essere richiesta dal dipendente interessato" (c.10);
19. è stato già affermato da questa Corte, e deve essere qui ribadito, che
l'obbligo di esclusività, desumibile dal richiamato art. 53, ha particolare rilievo nel
rapporto di impiego pubblico perché trova il suo fondamento costituzionale nell'art.
98 Cost. con il quale il legislatore costituente, nel prevedere che "i pubblici
impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione", ha voluto rafforzare il principio
di imparzialità di cui all'art. 97 Cost., sottraendo il dipendente pubblico dai
condizionamenti che potrebbero derivare dall'esercizio di altre attività (fra le più
recenti Cass. n. 3467/2019, n. 427/2019, che richiama Cass. n. 20880/2018, Cass. (

n. 28797/2017; Cass. n.722/2017, Cass. n. 28975/2017).


20. la "ratio" che ispira la disposizione orienta nell'interpretazione della stessa,
che va compiuta tenendo conto dell'intera disciplina dettata dalla medesima e non
certo dalle circolari richiamate dal ricorrente, che come egli stesso riconosce non
costituiscono fonti del diritto e dalle quali, diversamente da quanto prospettato nei
motivi in esame, non è nemmeno possibile ricavare alcun canone ermeutico della
legge (art. 12 disposizioni sulla legge in generale);
21. il comma 7 è chiaro nel vietare al dipendente lo svolgimento di incarichi non
autorizzati e nell'affermare la rilevanza disciplinare della violazione del divieto ed in
considerazione di ciò si giustifica il potere sostitutivo previsto dal comma 10,
finalizzato a rendere possibile l'accettazione dell'incarico autorizzabile e lo
svolgimento dello stesso, una volta ottenuta l'autorizzazione, anche in caso di
inerzia del conferente;
22. sono infondate anche le censure formulate nel terzo motivo, con le quali il
ricorrente insiste nel sostenere che nella specie l'autorizzazione non doveva essere

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richiesta, avendo il legislatore equiparato agli amministratori locali gli organi di


governo delle aziende pubbliche di servizi alla persona;
23. come già affermato da questa Corte (Cass. n. 3467 del 2019) l' art. 7,
comma 4, del d.lgs. n. 207/2001 di riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza estende ai componenti degli organi di governo delle IPAB
e delle aziende di servizi l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 87 del d.lgs.
n. 267/2000 che, a sua volta, rende applicabili ai componenti dei consigli di

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amministrazione delle aziende speciali, anche consortili, "...le disposizioni contenute
nell'articolo 78, comma 2, nell'articolo 79, commi 3 e 4, nell'art. 81, nell'articolo 85
e nell'articolo 86" dello stesso d.lgs. n. 267/2000;
24. il rinvio è inequivocabilmente limitato a singoli istituti (obbligo di astensione,
permessi retribuiti, aspettativa non retribuita, partecipazione alle associazioni
rappresentative degli enti locali, oneri previdenziali ed assicurativi, regime fiscale)
sicché deve escludersi che il legislatore abbia inteso equiparare integralmente e a
tutti gli effetti gli organi di governo delle aziende di servizi agli amministratori degli
enti territoriali;
25. è significativo il mancato richiamo dell'art. 77 che, nel dettare la definizione
di amministratore locale, sancisce il "diritto di ogni cittadino chiamato a ricoprire
cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali ad espletare il mandato,
disponendo del tempo, dei servizi e delle risorse necessari ed usufruendo di
indennità e di rimborsi spese nei modi e nei limiti previsti dalla legge";
26. detto mancato richiamo assume particolare rilievo nella soluzione della
questione qui controversa perché la non necessità dell'autorizzazione da parte del
datore di lavoro pubblico trova la sua giustificazione, quanto alle cariche negli enti
locali, nel "diritto" del cittadino a ricoprirle, diritto non esteso agli organi di governo
delle IPAB e delle aziende di servizi;
27. consegue a quanto considerato che la norma invocata non è idonea a
derogare alla disciplina specifica dettata in tema di incompatibilità, cumulo di
impieghi e di incarichi dall'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, sicché il rinvio va
interpretato nel senso che le garanzie operano a condizione che l'autorizzazione sia
stata richiesta e concessa dall'amministrazione di appartenenza;
28. il quinto motivo è inammissibile perché addebita alla sentenza vizi
motivazionali (motivazione insufficente e contraddittoria) ormai estranei al

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perimetro del mezzo impugnatorio di cui all'art. 360 c. 1 n. 5 cod.proc.civ., nel


testo applicabile "ratione temporis" ( la sentenza impugnata è stata pubblicata il
28.12.2013), sostituito dall'art. 54 c. 1 lett. b. del d.l. 22 giugno 2012, convertito
con modificazioni dalla I. 7 agosto 2012 n. 83 ( Cass. SSUU 8054/2014);
29. conclusivamente il ricorso deve essere rigettato;
30. le spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata nel dispositivo,
seguono la soccombenza;

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31. ai sensi dell'art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.
Wuk

La Corte
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate
in C 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell'art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 , dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma
del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nel'Adunanza Camerale del 14 gennaio 2020

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