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GIUSEPPE BOTTARO,

Federalismo e democrazia in
America.
Scienza Politica
Università degli Studi di Messina
14 pag.

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CAP.1
LA COSTITUZIONE FEDERALE E I PADRI FONDATORI
Definizione di federazione
Nella federazione i tre poteri sono divisi sia in modo funzionale (legislativo, esecutivo e giudiziario) sia
territoriale, in quanto il potere è diviso tra livelli differenti di governo che sono al tempo stesso indipendenti
e coordinati, posti su piani paralleli.
Costituzione federale degli Stati Uniti
Nel XVIII secolo nasce la prima nazione federale dotata di una Costituzione nel senso moderno del termine:
gli Stati Uniti d’America. La Carta fondamentale degli Stati Uniti, infatti, approvata dalla Convenzione di
Filadelfia il 17 Settembre 1787, è il primo esempio storico di costituzione federale. Essa nacque come
compromesso tra chi voleva uno stato unitario formato dall’unione delle tredici ex-colonie britanniche e chi
voleva il mantenimento di una confederazione che non mettesse in discussione la sovranità di ciascuna di
esse. Da essa scaturì una forma statuale che conciliava l’unità, necessaria per prevenire i conflitti tra i nuovi
Stati e per garantirne la sicurezza verso l’esterno, e l’autonomia, che salvaguardava la liberà di ciascuno di
essi. (PRIMO PRESIDENTE: George Washingtone nel 1789)
Essa deve, però, essere considerata come un documento largamente incompleto. Alla Costituzione federale
deve essere aggiunta la Dichiarazione d’Indipendenza, per quanto attiene alla individuazione del momento
fondante dell’Unione federale, mentre per completare l’intero processo dal punto di vista politico-
istituzionale, occorre riferirsi alle Costituzioni dei vari stati, e risalire all’idea di Covenant, ai primi padri
pellegrini e a tutta l’esperienza religiosa, culturale e politica delle colonie del diciassettesimo e diciottesimo
secolo.
LA DICHIARAZIONE D’INDIPENDENZA, LE COSTITUZIONI DEGLI STATI E LA COSTITUZIONE
FEDERALE DEL 1787 RAPPRESENTANO GLI ATTI FONDATIVI DEGLI STATI UNITI D’AMERICA
E COSTITUISCONO LE BASI POLITICHE, SOCIALI E TEORICHE DELLA NUOVA UNIONE
ATTORNO AD ALCUNI PRINCIPI E FATTORI FONDAMENTALI: IL FEDERALISMO, LA
SEPARAZIONE DEI POTERI E LA NASCITA DI UNA REPUBBLICA DI VASTE DIMENSIONI.
Ma la nuova nazione non aveva per nulla risolto tutti i suoi problemi; anzi, all’indomani della ratifica della
Costituzione, nessuno sapeva se un popolo la cui identità si era formata nella rivoluzione ed era divisa nelle
tredici repubbliche sovrane sarebbe stato in grado di creare una stabile e duratura autorità nazionale, con il
solo supporto di una Costituzione che, tra l’altro, non tutti erano pronti ad accettare fino in fondo.
-Jefferson e Taylor sostenevano, ad esempio, che l’esistenza di differenti società presuppone una sovranità in
ognuna di esse, e questa sovranità può soltanto essere rintracciata nel popolo di ciascuno stato come entità
associata.
-Hamilton si basava, invece, sulla formazione di un forte e autorevole Stato federale su un potente governo,
guidato da un magistrato supremo, in grado di limitare il più possibile la faziosità che risiedeva nella
maggioranza democratica e di conseguenza anche nelle assemblee legislative.
Confederazione e Federazione
L’idea che Hamilton aveva riguardo alla fase immediatamente antecedente al 1787, vale a dire la fase
culminante del processo costituzionale statunitense, era certamente quella della crescente dissoluzione di una
forma di governo, la Confederazione, e della contestuale volontà di realizzare un nuovo modello federale più
forte e rispondente alle necessità di un sistema politico moderno. La Confederazione, infatti, si era mostrata
del tutto insufficiente per preservare un’Unione che avesse come scopo minimo la difesa della sicurezza,
della libertà e della proprietà dei cittadini americani.
I padri fondatori avevano creduto che gli scontri politici, o i conflitti d’interesse dentro la comunità,
potessero essere risolti e controllati istituzionalmente. Per questo motivo, alla Convenzione di Filadelfia del
1787, Hamilton, Madison e gli altri costituenti agirono convinti che la profonda crisi, sofferta dalle tredici
repubbliche durante il periodo degli Articoli di Confederazione, potesse essere superata creando, come
abbiamo sottolineato, una forte Unione fondata sulla separazione dei poteri a livello centrale e
contemporaneamente istituendo una divisione di poteri tra il governo federale e quelli degli Stati federati. Il
principale difetto della Confederazione, secondo Hamilton, consisteva nel “principio di un POTERE
LEGISLATIVO da esercitarsi nei confronti di STATI o di GOVERNI in quanto tali, e non riferendosi agli

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individui che li compongono. Per quanto questo principio non si riferisca a tutti i poteri deferiti dall’Unione,
pure esso pervade e determina tutti quei poteri da cui dipende l’efficacia dei rimanenti”.
Articoli di Confederazione e Costituzione federale
Possono delinearsi dei tratti di continuità fra il primo “Patto” stipulato dai cittadini americani e basato sulla
Dichiarazione d’Indipendenza e sugli Articoli di Confederazione del 1781 e il secondo e definitivo National
Compact basato sulla stessa Dichiarazione del 1776 e la Costituzione degli Stati Uniti. Il secondo patto
rappresenta una rifondazione, una revisione alle fondamenta, rispetto al primo patto costituzionale,
soprattutto nell’approccio politico-istituzionale e nella prospettiva di lunga durata. Infatti, mentre gli Articoli
nel loro significato profondo guardavano alla tradizione di autonomia e autogoverno propria dell’era
coloniale. La Costituzione federale è indubbiamente un Atto politico moderno con lo sguardo rivolto
all’avvenire e allo sviluppo di un paese destinato a diventare una potenza mondiale. I tratti distintivi e
caratterizzanti della nuova Costituzione federale possono facilmente essere compresi in quattro principi
cardine: il federalismo, la repubblica estesa, la separazione dei poteri e il sistema di pesi e contrappesi. La
nuova concezione federale tendeva a superare definitivamente le idee basilari sulle quali si era retta la
Confederazione, vale a dire che il potere centrale non potesse governare direttamente sui cittadini, che lo
stesso potere non avesse autorità di trattare gli affari interni degli Stati membri e che ogni Stato facente parte
della Confederazione avesse nelle poche materie trattate un peso politico uguale a prescindere dalla forza,
dalla ricchezza e dall’ampiezza dello Stato.
Costituzioni degli Stati
Si affermano questi concetti: i diritti naturali sono inviolabili, i soggetti dei diritti naturali li dichiarano e li
proclamano, questi stessi soggetti si riservano il monopolio della legislazione. Con le Carte dei diritti e con
le Costituzioni scritte si presenta il moderno costituzionalismo. I tre elementi pregnanti del costituzionalismo
americano risultano essere, pertanto: l’organizzazione del potere politico in funzione della tutela e garanzia
dei diritti fondamentali; il carattere individuale dei diritti; l’istituzione di due livelli di legalità
gerarchicamente collegati, la legalità costituzionale e quella ordinaria.
Governo Repubblicano
In questo generale disegno istituzionale andava assolutamente salvaguardata la forma di governo
repubblicana come si era sviluppata al tempo della Dichiarazione d’Indipendenza nelle tredici Repubbliche,
piccole e omogenee abbastanza per poter salvaguardare la virtù dei cittadini e il loro attaccamento al governo
e l’obbedienza delle leggi. Il patriottismo lega i cittadini allo Stato repubblicano ma questa forma di governo
può essere salvaguardata ed estesa su vasti territori soltanto associando gli Stati in un’Unione federale.
Il sistema politico-istituzionale federale consente a più Stati liberi di essere legati indissolubilmente fra di
loro e creare una più estesa repubblica senza distruggere la rispettiva sovranità statale. Con i concetti di
federalismo e di repubblica estesa introdotti nella Costituzione gli americani erano riusciti ad allontanare il
problema centrale della tirannia della maggioranza. Con la separazione dei poteri e il sistema dei pesi e
contrappesi cercarono di limitare l’uso del potere arbitrario del governo sul popolo.
Relazioni internazionali
Per quel che concerne la sfera delle relazioni internazionali, l’esecutivo federale americano ebbe nel corso
dell’Ottocento una normale e organica crescita delle proprie funzioni. Il nuovo posto occupato dagli Stati
Uniti negli affari del mondo, faceva già comprendere all’inizio del ventesimo secolo come, necessariamente,
sia il popolo americano, sia i popoli di molte nazioni della terra avrebbero rivolto la propria attenzione
politica alla figura presidenziale. Il potere di determinare le relazioni degli Stati Uniti con le altre potenze
mondiali insieme al comando delle forze armate in tempo di guerra rappresentava, quindi, le due espressioni
di potere più significative che il Presidente americano possa esercitare.
Struttura governativa americana
-Il Congresso è un’assemblea legislativa bicamerale composta dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato.
Nel corso dell’Ottocento era diventato un organo indipendente delle struttura governativa americana in
quanto autonomamente dal Potere Esecutivo (Presidente americano), e spesso senza alcun accordo con esso,
aveva potuto legiferare (Potere Legislativo) riguardo tutti i campi della vita sociale ed economica della
federazione.
Senato

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Il senato, in base alla Costituzione, possedeva un potere di approvazione dei trattati internazionali e doveva
dare l’assenso alla nomina degli ambasciatori, dei giudici della Corte suprema e dei funzionari in importanti
uffici, ma la conclusione degli accordi, l’iniziativa delle designazioni e la nomina sarebbe dovuta spettare al
Presidente, cosa che si era sempre verificata nella forma, ma meno nella sostanza. Questo è senz’altro
l’organo che più autenticamente incarna lo spirito del federalismo americano, ma allo stesso tempo è
l’istituzione meno compresa e quella che ha subito maggiori critiche e le più malevoli interpretazioni
dottrinali, dovuto al fatto che nel corso della storia americana, la “Camera alta” abbia mostrato molte facce e
contrastanti caratteristiche. Per lo stretto rapporto istituzionale che in base alla Costituzione deve tenere con
il Presidente degli Stati Uniti, per la sua capacità di deliberare con saggezza, per la sua tolleranza delle
opinioni individuali, per l’esperienza dei suoi leader, nel modello statunitense, la Camera alta deve assolvere
alla funzione di promuovere la sintesi della volontà politica rivolta al raggiungimento di un efficiente forma
di governo.
Camera dei Rappresentanti
Era espressione diretta del popolo, mentre il Senato rappresentava gli Stati, quali membri costituenti
dell’Unione. Questo comportava che le due Camere, derivando la propria autorità da dissonanti voci,
avessero spesso agito in maniera diversa all’interno dei processi del governo.
Teoria dei States’ rights e del potere nullification
Rinvenivano il requisito della sovranità unicamente negli Stati, mentre il governo federale e la Corte
suprema non avrebbero potuto interferire, in alcun modo, nella potestà legislativa statale e nemmeno
sindacarla. Inoltre, era questa la conclusione di queste dottrine elaborate nella prima metà dell’Ottocento, se
gli Stati possedevano la piena sovranità, rimanevano anche gli unici soggetti ad avere il potere di dichiarare
incostituzionale, ed eventualmente nulla, una legge federale.
I Padri Fondatori
Furono coloro che firmarono la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti e anche coloro che firmarono
la Costituzione degli Stati Uniti.
The Federalist Papers
È la raccolta di ottantacinque articoli scritti da Alexander Hamilton, James Madison e John Jay. L’opera
scaturiva dal dibattito sulla rettifica della Costituzione federale redatta a Filadelfia del 1787 dai
rappresentanti dei tredici Stati Americani. La sua elaborazione rappresenta uno dei momenti più elevati
dell’analisi politico-istituzionale prodotta nel continente americano. È uno strumento di propaganda
concepito per orientare l’opinione pubblica e per vincere un’importante conflitto politico riguardante il
futuro delle repubbliche americane.

PARTITO FEDERALE
Alexander Hamilton
Ritenuto uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, fu il primo Segretario al Tesoro della nuova nazione
americana. Hamilton prende in esame la struttura dell’appena generato sistema istituzionale statunitense e
formula una sentenza risolutiva sulla migliore forma di governo da dare ad un paese. Questa forma migliore
di governo è lo Stato federale, un mezzo, a firm and energetic Union, per consolidare le idee repubblicane e
affermare la necessità di uno stato fermo e forte.
1. La società e gli stati moderni devono essere governati da delle leggi (legge costituzionale) nei cui principi
i cittadini si possano internamente rispecchiare, ciò può avvenire solo attraverso una scelta ponderata del
popolo (Evitare il dispotismo) L’utilità dell’Unione e, quindi, il fine principale a cui la stessa Unione deve
tendere è il rafforzamento del popolo americano e delle sue istituzione contro i pericoli rappresentanti dalle
guerre con le nazioni straniere e dalle convulsioni domestiche o ribellioni contro l’autorità costituita.
2. Confederazione del tutto insufficiente per preservare un’unione che avesse come scopo minimo la difesa
della sicurezza, della libertà e della proprietà dei cittadini americani.
3. È possibile preservare l’Unione soltanto costruendo un forte governo federale, non limitato nei suoi atti
dai veti degli Stati federati, dotato di poteri adeguati e unito nella capacità di assumere decisione importanti.
4. La Costituzione rappresenta la migliore soluzione possibile per garantire la libertà, la dignità e la felicità
di ciascuno. A giudizio dei federalisti, primo fra tutti Hamilton, la Costituzione del 1787, al contrario,
rispondeva pienamente a due elementi fondamentali per la costruzione di un buon governo: la preservazione
della libertà dei cittadini e la creazione di uno stabile ed effettivo governo.

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La teoria costituzionale dei “poteri impliciti”
Secondo Hamilton, negli Stati Uniti era necessaria la costituzione di un forte governo centrale che guidasse il
cammino dell’intero paese. La teoria costituzionale dei “poteri impliciti” elaborata da Hamilton di fatto,
autorizzava lo Stato federale ad intraprendere tutte quelle azioni necessarie e adatte che, pur non
espressamente previste dalla Costituzione federale, rientravano nei compiti generali di cui era investito il
governo degli Stati Uniti. La Costituzione, infatti, all’art. I, sez. 8, riguardante il potere legislativo, prevede
ce il Congresso avrà facoltà di “fare tutte le leggi necessarie e idonee a mettere in atto i precedenti poteri, e
tutti gli altri poteri affidati dalla Costituzione al governo degli Stati Uniti, o ai suoi Dicasteri ed uffici”.

PARTITO DEMOCRATICO-REPUBBLICANO
Fondato da Jefferson e Madison per opporsi al partito federalista di Hamilton e che combatteva per gli
interessi dei proprietari terrieri, piuttosto che dei banchieri, industriali, commercianti.
Repubblicani nazionali
James Madison
A giudizio di Madison, la migliore forma di governo anche in uno Stato di grandi dimensioni è il governo
repubblicano. A condizione che la struttura politica sia fondata sul federalismo e sul sistema della
rappresentanza.
Gli autori del Federalist, soprattutto Madison, sostenevano che un sistema federale si regge soprattutto su un
buon bilanciamento di poteri e un sistema interattivo di controlli. La separazione dei delle funzioni con
poteri condividi veniva, pertanto, legata nelle norme costituzionali al sistema di pesi e contrappesi.
Sistema dei pesi e dei contrappesi
1. Diciotto Stati e alcuni territori fanno da contrappeso al governo nazionale.
2. La Camera dei rappresentanti fa da contrappeso al Senato.
3. L’autorità esecutiva, in alcuni punti, fa da contrappeso al legislativo.
4. Il potere giudiziario fa da contrappeso alla Camera, al Senato, al potere esecutivo, ed ai governi statali.
5. Il Senato fa da contrappeso al Presidente in tutte le nomine degli uffici, e in tutti i trattati.
6. Il popolo possiede un contrappeso nei confronti dei propri rappresentanti, le elezioni biennali.
7. I legislativi dei diversi stati fanno da contrappeso al Senato con le elezioni ogni sei anni.
8. Gli elettori fanno da contrappeso al popolo nella scelta del Presidente.
Costituzione e Repubblica
Nel saggio n.39 Madison spiega in maniera mirabile come la Costituzione del 1787 riesca a stabilire una
forma di governo che sia al tempo stesso repubblicana e federale. È necessario, a suo giudizio, mantenere la
Repubblica poiché nessuna altra forma di governo potrebbe essere compatibile con il popolo americano dopo
la Dichiarazione d’Indipendenza e la rivoluzione contro l’Inghilterra. Si può, tuttavia, definire Repubblica
soltanto quel paese nel quale il governo derivi “tutti i suoi poteri direttamente o indirettamente dalla gran
massa del popolo, ed è amministrato da persone che conservano il loro incarico in modo precario e per un
periodo di tempo limitato, finché dura la loro buona condotta.
Per quanto concerne, invece, le fonti dei poteri ordinari del governo queste saranno in parte federali e in
parte nazionali. La Camera dei Rappresentanti, infatti, viene eletta in maniera proporzionale da tutto il
popolo americano, mentre il Senato degli Stati Uniti deriva il suo potere dai singoli Stati quali società
politiche paritetiche.
Spirito di fazione
Si fonda sulla volontà di una minoranza o, anche, di una maggioranza di non perseguire il bene pubblico ma
di ricercare quello di una parte contro l’altra, vale a dire quando un gruppo di cittadini siano spinti o abbiano
un mero impulso di interesse in contrasto con i diritti degli altri cittadini e dell’intera comunità. Il problema
non si risolve rimuovendone le cause, come potrebbe anche sembrare più giusto, ma controllandone gli
effetti. Il controllo del popolo, della sua volontà di scegliere liberamente e di pensare autonomamente
sarebbe la negazione di un governo libero e l’anticamera dell’oppressione e per questa ragione è,
ovviamente, un’ipotesi da respingere in maniera assoluta. Per Madison è possibile controllare gli effetti della
faziosità.
1. Prodotti dalla minoranza, attraverso il principio repubblicano del governo popolare tramite il consenso
elettorale gli elementi più comuni della faziosità derivano, ovviamente, dalla ineguale distribuzione della
ricchezza. Gli interessi dei grandi proprietari terrieri, dei commercianti, degli industriali, dei creditori
confliggono con coloro che non hanno proprietà o ne posseggono poca. In questo caso il compito delle leggi

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poste in essere da un governo repubblicano diviene proprio quello di regolamentare i più disparati interessi e
le reciproche interferenze, e il compito precipuo degli uomini di governo eletti in una Repubblica è appunto
quello di convogliare tutti gli interessi verso il bene pubblico.
2. Prodotti dalla maggioranza evitare la democrazia pura, vale a dire la democrazia diretta, quella forma di
governo nella quale i cittadini amministrano e governano direttamente. L’unica soluzione compatibile con il
governo popolare auspicato dagli autori del “Federalista” è, pertanto, costituita da una grande Repubblica
federale nella quale operi il sistema della rappresentanza. La delega dell’azione governativa a un corpo scelto
di cittadini di provata saggezza.
L’Unione federale offre tutti i migliori rimedi ai tipici mali dei governi popolari, in quanto questo sistema di
governo risulta più efficace nel controllo delle fazioni e delle azioni faziose, consentendo il pluralismo delle
opinioni e dei partiti e, contestualmente, la piena difesa delle libertà degli individui.
Per evitare i soprusi e gli abusi delle fazioni occorrerà porre le istituzioni pubbliche in condizione di
controllare i propri governanti e quindi obbligarle a controllarsi reciprocamente. Madison ritiene che queste
precauzioni ausiliari siano essenzialmente: il governo limitato, la divisione dei poteri e la repubblica
federale, che si sostanziano nel sistema di pesi e contrappesi della Costituzione del 1787. La libertà del
popolo viene salvaguardata con un sistema di doppia garanzia, a livello statale e a livello federale. I diversi
governi, infatti, si controlleranno e allo stesso tempo si autocontrolleranno.
Antichi Repubblicani
Thomas Jefferson
Egli non credeva necessario che ci si spinge sul versante del consolidamento di una struttura centrale e
nemmeno era preoccupato, a differenza di quel che pensava Hamilton, dai sommovimenti popolari che si
erano verificati nel 1786 nel Massachusetts come, ad esempio, la ribellione di Shays. In lacune lettere
indirizzate a Madison, Jefferson esprimeva la convinzione che agli americani sarebbe servita una
Costituzione che facesse nascere una nazione riguardo agli affari esteri e mantenesse la distinzione dei
singoli Stati per tutto ciò che riguardava la politica e gli affari interni.
Secondo Jefferson gli Stati americani sarebbero stati per secoli territori liberi soltanto se i cittadini avessero
conservato la loro virtù civica e questo sarebbe stato possibile a condizione che si fosse preservato il
carattere prevalentemente agricolo degli stessi Stati.

IL POTERE GIUDIZIARIO
Il sistema giudiziario federale è composto dalla Corte suprema e ha competenze su casi, civili e penali, che
ricadono sotto la Costituzione, un atto del Congresso (come una legge), o un trattato degli Stati Uniti; su casi
riguardanti diplomatici stranieri; su controversie nel governo federale o tra gli Stati. I giudici federali
vengono nominati dal Presidente e approvati dal Senato.
Le corti giudiziarie
Sono i luoghi di bilanciamento del sistema costituzionale americano. All’interno dei tribunali l’individuo
diviene cittadino e parte attiva della società in grado di far valere i propri diritti anche contro lo stesso
apparato dello Stato. Per quanto attiene poi alla linea di confine fra giurisdizione locale e nazionale, occorre
fare in modo che tutte le controversie fra governi statali e governo federale, e gli eventuali conflitti di
autorità, siano ricondotti alle corti federali e in ultimo alla Corte suprema.
Alexander Hamilton
Nel federalista n.78 tratta del potere giudiziario nel contesto della prevista architettura istituzionale della
repubblica federale statunitense. Questo saggio affermò l’autorità della Corte suprema di decidere sulla
costituzionalità delle leggi federali e statali, vale a dire la judical review. L’importante e studiatissimo saggio
n.78 di Hamilton sul potere giudiziario deve necessariamente essere analizzato in comparazione con l’art. III
della Costituzione federale che assegna proprio questo potere negli Stati Uniti ad una Corte suprema e a
quelle Corti minori che il Congresso costituirà. Ciò che si deve subito evidenziare consiste nella brevità e
genericità di questo articolo riguardante il potere giudiziario, tanto più se lo si confronta con l’ampiezza e la
specificità sia dell’articolo I che stabilisce il potere legislativo, sia dell’articolo II che regola il potere
esecutivo federale.

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Secondo Hamilton, il potere giudiziario è senza alcun paragone il più debole dei tre poteri dello Stato, egli
riteneva che nella forma di governo repubblicana disegnata dalla Costituzione, il vero pericolo potesse
scaturire dalla tirannia degli organi legislativi.
In America con l’entrata di in vigore della Costituzione federale era necessario, per Adams e Hamilton,
assicurare al sistema delle Corti statali e federali, con a capo la Corte suprema, il principio della revisione
giudiziaria delle leggi, vale a dire la cosiddetta judical review.
Nel Federalista n. 78 Hamilton specifica come l’attività legislativa ordinaria debba svolgersi nell’ambito e
nei limiti fissati dalla Costituzione che costituisce la garanzia dei diritti fondamentali, garanzia che può
essere fatta valere ricorrendo alla Corte suprema, cui è affidato il giudizio sulla costituzionalità delle leggi.
Una Costituzione “rigida”, sostiene Hamilton, richiese che le Corti siano indipendenti in maniera assoluta.
Ma ciò significa affermare il primato della giustizia e del diritto, quali supreme garanzie della libertà e
dell’uguaglianza innanzi alle leggi: la politica deve in conclusione svolgersi nell’ambito del diritto.
James Madison
Secondo lui il potere legislativo in una repubblica democratica tende ad assorbire tutto il potere attirando
ogni attività entro il proprio impetuoso vortice. Per Madison e Hamilton il potere giudiziario non avrebbe
mai potuto rappresentare una fonte di oppressione ma al contrario il mezzo attraverso il quale prevenire il
potere arbitrario del legislativo (Congresso).
Woodrow Wilson
(28° presidente degli stati uniti, democratico) nel suo Constitutional Government in the United States
sostiene che il perno del sistema federale statunitense è rappresentato proprio dal potere giudiziario. In
effetti, a suo giudizio, l’efficacia e la realizzazione del governo costituzionale risiede nelle sue Corti
giudiziarie. Per questo motivo l’apparato giudiziario deve essere dotato di sostanziali e indipendenti poteri;
esso deve essere indipendente anche rispetto all’autorità del Presidente e del Congresso. Se l’esecutivo può
essere pericoloso perché dotato della forza politica e militare e il legislativo perché potrebbe modificare i
rapporti economici e restringere i diritti e le libertà personali ci si deve, necessariamente, affidare a giudici
indipendenti e imparziali quali unici elementi di garanzia per la libertà del popolo.
Hamilton istituisce un chiaro rapporto tra Costituzione rigida e indipendenza del giudiziario: infatti le
limitazioni poste dalla Costituzione al potere legislativo, quali ad esempio la proibizione dell’emanazione di
decreti di proscrizione e di confisca dei beni e di leggi ex post facto (retroattive), non possono essere fatta
valere se non attraverso le Corti di giustizia.
John Marshall
Il Chief Justice, John Marshall, sviluppando questo sistema dottrinale (Hamilton), con le sue sentenze e con
i suoi principi interpretativi ha di fatto governato lo sviluppo nazionale americano per circa un secolo. Sotto
la sua guida del 1801 al 1835, la Corte suprema degli Stati Uniti si è trasformata da mero organo di controllo
di norme tecnico-giuridiche a istituzione cardine, tramite il potere di revisione giudiziaria della legge
(Judical review), del sistema politico federale.
Dopo il dibattito sul “dare o non dare tanto potere al potere giudiziario”, Marshall, giudice capo della corte
suprema, risolse la questione con la storica sentenza Marbury vs. Madison del 1803, nella quale riprendendo
gli argomenti di Hamilton nel Federalista n.78, pur evitando un conflitto con il Presidente Jefferson e con il
governo, affermò il principio più importante del costituzionalismo moderno dichiarando incostituzionale una
legge ritenuta contraria alla Carta fondamentale degli Stati Uniti. Ancora più, da questo momento in poi, i
giudici della Corte ritennero di poter diventare gli interpreti e gli arbitri della Costituzione, le supreme
autorità rispetto a tutto ciò che il documento fondamentale potesse esprimere e significare.
Robert Dahl
Queste tesi sono state recentemente messe in discussione da Dahl nel saggio “Quanto è democratica la
Costituzione americana?”: secondo lui, infatti, assai più controversa è l’autorità dell’Alta Corte di dichiarare
anticostituzionale una legge regolarmente approvata dai corpi costituzionali preposti. Se una legge è stata
regolarmente approvata dagli organi legislativi di un governo democratico, perché i giudici dovrebbero avere
il potere di dichiararla incostituzionale? Gli studiosi americani di diritto hanno lottato per generazioni per
fornire una giustificazione soddisfacente all’estensione del potere di revisione costituzionale di cui gode la

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nostra Corte suprema. Ma rimane una contraddizione il conferire a un corpo non eletto il potere di prendere
decisioni politiche che riguardano la vita e il benessere di milioni di americani.
Thomas Jefferson
Gli antifederalisti obiettavano che una tale dottrina avrebbe implicato una superiorità del potere giudiziario
sul potere legislativo. Di qui l’avversione dello stesso Jefferson, verso la dottrina della revisione giudiziaria
che riteneva inadeguata per la costruzione di un’autentica democrazia popolare: il potere giudiziario, in
definitiva, non può essere indipendente dalla nazione e non può esercitare la judical review poiché il potere
di dichiarare nulla una legge dovrebbe spettare, in base alla teoria dei diritti degli Stati, allo stesso popolo o
ai deputati di ciascuno stato riuniti nella Camera dei Rappresentanti.
John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti, riuscì a bloccare questo disegno delineato dagli
antifederalisti proprio nominando giudice capo della Corte suprema il federalista John Marshall il quale nei
suoi 35 anni di attività riuscì a definire il principio di revisione giudiziaria e ad assicurare alle Corti
l’autonomia e l’indipendenza dal potere legislativo.

CAP. 2
PROVVEDIMENTI ECONOMICI
Lo scontro politico e istituzionale sui poteri affidati dalla Costituzione americana ebbe il suo momento
culminante quando il Presidente George Washington chiese i pareri del Segretario di Stato Thomas Jefferson
e del Segretario del Tesoro Alexander Hamilton sulla costituzionalità della First Bank degli Stati Uniti.
Alexander Hamilton
Era certo che per la crescita della nuova federazione occorresse utilizzare strumenti di natura tanto politica
quanto economica. Durante i governi Washington in qualità di Segretario al Tesoro egli fece di tutto per
spostare quanti più poteri possibili dal legislativo all’esecutivo, e di fatto si comportò come un vero e proprio
primo ministro influenzando e ispirando le scelte di tutta l’amministrazione. Ma per agire in questi termini
egli era consapevole che le scelte politiche importanti di una nazione dovevano essere condivise da coloro
che detenevano il potere economico della stessa nazione. Hamilton accettò e fece propria l’idea di una
società basata sul commercio non solo fosse ormai inevitabile, ma anche salutare, dato che la reale
disposizione della natura umana tende verso la ricchezza e la sua ostentazione e si allontana dalle classiche
virtù quali la probità e la frugalità.
Hamilton riteneva che “non esiste una eguaglianza di proprietà: una ineguaglianza esisterà fintanto che
esisterà la libertà, e che questa è proprio il risultato della libertà stessa. La differenza di proprietà”, come
ebbe, quindi, a dire in un suo intervento alla Confederazione Federale, “era già grande in America e il
commercio e l’industria avrebbero inevitabilmente incrementato questo processo”. Questa visione del futuro
di Hamilton tendeva a sbarazzarsi dalle paure repubblicane riguardo all’ascesa del capitalismo che
permeavano il disegno di un’America agraria idealizzata da Jefferson e Taylor. Hamilton semplicemente
accettava le ineguaglianze sociali, il lavoro dipendente senza proprietà (concetto completamente avulso dal
vero repubblicanesimo, secondo il quale è impossibile per i cittadini separare il lavoro dalla proprietà della
terra) e l’avarizia, intesa nel senso di accumulazione di capitali, come fatti necessari e inevitabili per la
prosperità della società moderna. Differenziandosi, quindi, dai repubblicani che rimanevano ancorati ad una
visione classica, rinverdita dai pensatori fisiocratici, che aveva come centro propulsore l’agricoltura.
Vi era, dunque, una distanza abissale fa la teoria economica jeffersoniana, ispirata dai principi del
repubblicanesimo, e il progetto hamiltoniano dell’impero commerciale fondato su una costante espansione
dell’industria manifatturiera e sulla crescita del mercato finanziario. Quest’ultimo, anche se controllato dal
governo centrale e forse proprio in conseguenza di ciò, permetteva inevitabilmente l’accumulazione di
grandi patrimoni privati che finivano per favorire la degenerazione dei costumi e aprire le porte all’avvento
della corruzione. Tutto ciò non turbava affatto Hamilton poiché “vi era alcunché di scettico nella visione che

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aveva del mondo e delle capacità umane di superare quelle che egli riteneva fossero le passioni dominanti
dell’uomo, l’ambizione e l’interesse.
Jefferson e Taylor
Risposero dicendo che “un libero Governo non può essere conservato, quando nel popolo si è accresciuta la
corruzione perché la virtù è necessaria per la preservazione della libertà”.
Programma finanziario hamiltoniano
Il segnale inequivocabile per i democratico-repubblicani che la situazione stava degenerando fu dato dalla
teorizzazione del programma finanziario hamiltoniano esplicitato nei famosi Reports sul credito pubblico,
sulla Banca Centrale e sulle manifatture. Con questi tre documenti l’amministrazione Washington faceva,
indubbiamente, un salto di qualità nella formulazione della propria politica economica riuscendo nel
contempo a legare alla propria sorte la parte più agiata e influente del New England.
1. Con il rapporto sul credito pubblico il governo americano si impegnava al pieno pagamento dei titoli del
debito pubblico così agli acquirenti originari, come a coloro che li avevano acquistati successivamente, per
motivi speculativi, quando gli stessi titoli erano fortemente deprezzati a causa della guerra.
2. Creazione di una Banca nazionale autorizzata ad emettere banconote, a concedere prestiti al governo
federale e a facilitare le riscossioni ed i pagamenti dello stesso;
3. Garantire il sostegno del governo allo sviluppo delle imprese manifatturiere, accrescendo così
l’indipendenza economica e la ricchezza globale del paese.
Era, chiaramente, un programma che avvantaggiava e finiva per arricchire sempre di più gli spregiudicati
speculator del Nord del paese, che avevano acquistato i titoli pubblici a prezzi irrisori, in gran parte, dagli
agricoltori del Sud, messi finanziariamente alle strette dalla recessione del periodo successivo alla fine della
guerra.
La risposta degli Antichi Repubblicani
Di fronte alla realizzazione di questo programma, i debitori delle città, gli operai, gli immigrati scoto-
irlandesi dell’entroterra, gli agrari del Sud e dell’Ovest, sostenitori accaniti del libero commercio contro ogni
forma di protezionismo, erano tutti convinti che occorresse organizzarsi in un unico partito capace di
difendere gli interessi del popolo degli Stati, minacciati da un’autorità centralistica e corrotta. I piantato e gli
agricoltori della Virginia, che costituivano la base del partito di Jefferson, ritenevano che “la società umana
fosse divisa fra la classe produttrice degli agricoltori, la classe proprietaria dei signori terrieri e la classe
sterile dei mercanti, dei fabbricanti, dei banchieri, dei pubblici creditori, tutti parassiti della terra”.
In questo modo tutti gli agricoltori del Sud pensavano che il governo federale non fosse affatto democratico
e non esprimesse nessun sentimento egualitario.
BANCA FEDERALE
La pedina essenziale per la riuscita del piano contro gli interessi agricoli era la Banca Federale, in quanto
avrebbe avuto l’unico effetto di scacciare dal paese la moneta metallica. Come tutti gli agricoltori del Sud,
Jefferson nutriva fiducia solo nella moneta metallica: a questo proposito egli era solito ricordare che, venduta
una fattoria per pagare un debito, a causa della differenza fra valore nominare e valore reale della moneta
cartacea, il ricavato era stato appena sufficiente ad acquistare un soprabito.
In altri termini, la mastodontica Banca di Hamilton era solo un monopolio, autorizzato dal Congresso in base
a poteri non esplicitamente riconosciuti (i cosiddetti poteri impliciti p.4), e in grado di allungare i propri
tentacoli entro i confini degli Stati “sovrani” per depredare i cittadini.
La Banca venne istituita nel 1791 con un mandato ventennale. Le funzioni fondamentali che svolse furono
notevoli e comprendevano diversi settori:
-Emissione della carta moneta;
-Deposito dei fondi pubblici;
-Emissione di obbligazioni governative fino alla regolamentazione e limitazione di operazioni bancarie per
transazioni commerciali.
La Banca, localizzata a Filadelfia, fu costituita con un capitale di dieci milioni di dollari e il Presidente degli
Stati Uniti venne autorizzato, dalla legge del Congresso che istituì la Banca, a sottoscrivere azioni per un
quantitativo pari a due milioni di dollari. La First Bank cessò le sue funzioni come previsto dall’Atto di
costituzione del 1811.

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1. La prima operazione compiuta dalla Banca si risolse in un prestito, elargito allo Stato federale, per due
milioni di dollari ad un tasso annuo del 6%. Con questo denaro fu possibile ripianare alcuni debiti contratti
precedentemente in Europa.
2. L’anno successivo il governo ebbe bisogno d’altro denaro per coprire le spese delle guerre intraprese
contro gli indiani, e Hamilton decise di contrarre un nuovo prestito con la Banca per quattrocentomila dollari
al 5% annuo.
Con questi primi atti il Segretario al Tesoro dimostrò nei fatti quale sarebbe stato uno dei compiti
fondamentali dell’Istituto d’emissione: finanziare l’esecutivo e promuovere tutte quelle azioni che rendevano
più forte sul piano interno e a livello internazionale la giovane federazione degli Stati Uniti.
Thomas Paine
Considerato uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti, nel suo poco noto ma importante pamphlet,
Dissertation on Government; the Afairs of the Bank; and Paper Money, aveva approfondito le relazioni fra
spirito repubblicano e moderni strumenti finanziari, legati ad uno sviluppo commerciale e imprenditoriale.
Per Paine, le Repubbliche americane non avrebbero dovuto temere le moderne istituzioni finanziarie poiché
nei suoi intendimenti non erano i soli proprietari terrieri a dover essere ammessi ad una piena cittadinanza. Il
suo repubblicanesimo non demonizzava il commercio e le banche e poneva soprattutto l’accento su un ampio
suffragio democratico, non fondato sulla grande proprietà terriera.
1. Con la sua Dissertation Paine difese il ruolo significativo che la Banca aveva svolto per supportare
finanziariamente l’esercito indipendentista, mentre questo stava dispiegando gli ultimi sforzi per sconfiggere
la Gran Bretagna. Un’istituzione come la Banca, teneva a sottolineare Paine, poteva di certo essere uno
strumento utile alla repubblica democratica, se gestita correttamente.
La Bank of North America era stata, infatti, fondata con capitale privato, ma era destinata a svolgere una
funzione pubblica d’emissione di moneta e di regolamentazione del mercato finanziario, ed agiva cercando
di tutelare l’interesse generale.
2. Egli, invece, temeva che l’abolizione di questa istituzione bancaria producesse una monopolizzazione del
mercato da parte di pochi banchieri particolarmente ricci e desiderosi di salvaguardare i propri interessi a
danno della grande maggioranza dei cittadini.
3. Di più Paine difendeva la capacità della Banca pubblica di prestare denaro per assistere il commercio ed
evitare un male non rimediabile quale l’usura.
4. La banca, inoltre, era un’istituzione capace di rendere eccezionali benefici agli Stati, non soltanto
estendendo e facilitando il loro commercio, ma anche realizzando grandi miglioramenti quali ponti e strade
di comunicazione, attraverso gli stessi Stati, e altri benefici pubblici.
La battaglia fra federali e democratico-repubblicani
Ciò che i repubblicani rimproveravano al sistema finanziario sviluppato dai federalisti si sostanziava
nell’argomento che il debito e la Banca facilitassero considerevolmente la possibilità per le imprese
manifatturiere di ottenere credito sfavorendo nel contempo l’economia agricola e i liberi proprietari terrieri.
Hamilton, invece, era profondamente convinto che le moderne arti del credito e della finanza contribuissero
in maniera determinante allo sviluppo non solo del commercio e dell’industria manifatturiera, ma anche a
quello dell’agricoltura. I meccanismi di accumulazione dei capitali finanziari, sosteneva Hamilton, potevano
anche provocare un aumento del lusso e della dissipazione, e l’avvento di un qualche disordine morale e
politico nella società, ma per questi motivi l’America avrebbe dovuto rinunciare a migliorare la propria
agricoltura, il commercio e l’industria?
Hamilton risponde alle critiche
Nella Vindication of the Funding System, Hamilton si scagliò contro quegli esponenti politici che lo avevano
aspramente criticato e che “incessantemente lavoravano per mantenere il governo in uno stato di
disorganizzazione e di turbolenza, che spargevano inquietudini nelle menti dei cittadini e promuovevano
confusione e cambiamenti. Ogni Repubblica in ogni tempo ha avuto i suoi Cesari e i suoi Catilina”. Il
riferimento a Jefferson, Madison e agli altri esponenti repubblicani era esplicito, così come l’accusa che essi
parlassero “sempre di causa repubblicana, ma che in realtà intendessero quella di loro stessi e del loro
partito; la virtù e la libertà costantemente sulle loro labbra, ma la frode, l’usurpazione e la tirannia nei loro
cuori”. Respingeva in questa maniera sdegnosamente qualsiasi accusa di aver legato il governo federale a
fini esecrabili e detestabili, come pure qualsiasi sospetto di aver portato la corruzione negli uffici dello Stato.

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La risposta di Taylor
Taylor replicò a queste argomentazioni nel pamphlet An Examination rivelando come la maggior parte dei
membri del Congresso favorevoli alla politica economica del Segretario al Tesoro fossero i principali
detentori dei titoli di debito pubblico ed azionisti della First Bank. Una prova incontestabile dell’evidente
conflitto d’interessi gravante su buona parte degli esponenti politici federalisti, e di come la politica fiscale
ed economica del governo Washington fosse viziata da interessi di tipo privatistico, fu evidenziata da Taylor
analizzando il voto del Congresso: la risoluzione contro Hamilton fu respinta con trentaquattro voti contro
sette. “Dei trentaquattro” rivelò Taylor, “ventuno erano azionisti della Banca o sottoscrittori di titoli del
debito, tre di questi recenti amministratori di banca.
Hamilton risponde alle accuse
Le accuse che Taylor aveva rivolto ad Hamilton erano brucianti e il Segretario al Tesoro non poteva fare a
meno di reagire duramente con due saggi in Defence of the Funding System. Se il governo federale non
fosse più in grado di disporre dei mezzi economici che gli vengono forniti dal sistema del debito pubblico e
dalla Banca, sosteneva Hamilton, non esisterebbe nessun credito, privato o pubblico; conseguentemente, vi
sarebbe un’agricoltura meno prospera, poche e insignificanti industrie, un commercio in difficoltà,
un’immensa contrazione della potenza e delle risorse nazionali. Senza il sistema della Banca e del debito
pubblico “il potere preminente nell’intero schema della felicità nazionale sarebbe stato distrutto”.
Hamilton non riusciva, quindi, ad immaginare che una nazione come gli Stati Uniti potesse fare a meno di
adottare quei moderni metodi economici attraverso i quali un governo riusciva a tracciare la linea di sviluppo
del paese e, nello stesso tempo, ad avere il controllo dell’intera economia nazionale.
Cosa accadde alla fine
Nonostante le forti critiche espresse dai jeffersoniani al sistema finanziario hamiltoniano, il passaggio del
controllo dell’apparato politico-amministrativo dai federalisti ai repubblicani nei primi anni dell’Ottocento
non provocò immediati effetti riguardo alle funzioni svolte dalla Banca. Negli anni dell’amministrazione
Jefferson, la Banca, invece, esercitò un ruolo fondamentale nella vicenda, fra le altre, dell’acquisto della
Louisiana nel 1803. L’acquisizione di vasti territori della sezione centrale dell’America del Nord, spinse il
Segretario al Tesoro Albert Gallatin a proporre l’apertura di una nuova filiale della Banca nella città di New
Orleans. Jefferson, ancora una volta, si espresse negativamente, ma alla fine Gallatin la spuntò adducendo
motivazioni che richiamavano in maniera impressionante le precedenti argomentazioni hamiltoniane.

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CAP. 3
LA TRADIZIONE ANTIFEDERALISTA
Thomas Jefferson, John Taylor e buona parte dei dirigenti del partito democratico-repubblicano erano
profondamente convinti che l’organizzazione economica e finanziaria ideata da Alexander Hamilton avesse
lo scopo preciso di distruggere la libertà dei cittadini americani e l’autonomia dei singoli Stati con strumenti
inventati in Inghilterra e fatti propri dai governi federalisti.
La decisione della Corte Suprema sulla Banca e successivamente il Compromesso del Missouri del 1820
furono i segnali decisivi che fecero comprendere come vi fosse una netta separazione fra il Nord ed il Sud
del paese, come tra due mondi differenti.
La repubblica come unica forma di governo
Jefferson e Taylor credevano che fosse essenziale preservare in America il repubblicanesimo rurale in quanto
unica forma di governo in grado di garantire i valori di una società realmente democratica. L’agricoltura
procurava all’uomo i mezzi per sviluppare la libertà individuale, presupposto essenziale per la realizzazione
della felicità sulla terra.
Occorreva, dunque, difendere questo modus vivendi, al fine di preservare il popolo americano dalle minacce
costituite da trasformazioni sociali imminenti, quali il sorgere delle grandi città e lo sviluppo dell’industria
manifatturiera. Salvare l’agricoltura e gli uomini che vivevano di essa diventava quasi una missione voluta
da Dio per conservare quel semplice repubblicanesimo rurale oramai distrutto nella vecchia Europa, che,
invece, poteva ancora trionfare in America.
Il pensiero di Taylor
Nella sua più importante opera, An Inquiry into the Principles and Policy of the Government of the United
States, Taylor dichiarò che questa opera doveva confutare i gravi errori concettuali e politici contenuti
nell’opera di Adams, le distorsioni economico-politiche elaborate da Hamilton, e dimostrare come,
nonostante l’affermazione del partito repubblicano, esse si rinnovassero nella politica ufficiale del governo
Federale, corrompendo gli animi dei liberi e onesti cittadini americani.
La divisione del potere, per Taylor, non era fra tre ordini naturali, ma prima tra il governo ed il popolo,
riservando al popolo il controllo sugli atti del governo stesso, dopo tra i due rami del governo, quello statale
e quello federale ed infine tra gli organi di ciascun governo.
Le trasformazioni del governo, derivate dalle trasformazioni economiche causate dalla finanza hamiltoniana,
la quale aveva reso possibile la nascita della paper and patronage aristocracy, minava alle fondamenta la
naturale armonia esistente nella società.
In definitiva, bisognava distruggere il sistema di legislazione creato da Hamilton e dai federalisti e rimuovere
le basi legali che sostenevano gli uomini d’affari, le banche, il partito della cartamoneta e le industrie.
Inoltre, bisognava smantellare il sistema di patronage, con il quale il potere esecutivo aveva corrotto il
legislativo, e limitare l’autorità usurpatrice della Corte suprema.
Hamilton e Taylor a confronto
Alexander Hamilton, che aveva rimodellato il sistema finanziario inglese sulle esigenze degli Stati Uniti, era
riuscito a convincere la parte più potente della nazione che indebitando lo Stato si potesse anticipare la
ricchezza delle future generazioni, senza che ne risultasse alcun danno per la posteriorità. Questo, per Taylor,
era un calcolo completamente errato, che avrebbe finito col rendere schiavi i futuri cittadini americani a
causa della irrefrenabile sete di ricchezza e di potere di una élite meschina ed egoista.
I danni di questo modello economico e politico sarebbero, infatti, prima o poi ricaduti sulle spalle della
maggioranza dei cittadini americani, cioè dei liberi proprietari terrieri, e, quando ciò fosse accaduto, l’intera
economia degli Stati Uniti avrebbe subito il tracollo definitivo.
Le distanze ideologiche fra Hamilton e Taylor non potevano essere più grandi. Se per il primo l’esistenza di
un forte governo centrale –motore dello sviluppo industriale e commerciale del paese- costituiva l’idea
cardine di tutta la sua teoria politica, per il difensore della sovranità degli Stati l’assoluto dovere morale era
quello di contrastare in tutti i modi l’accentramento del potere nello Stato federale e la conseguente ondata di
corruzione che ne derivava, pena la perdita della libertà i cittadini. La limitazione dei poteri e la loro
divisione fra Stato federale e Stati federati, ad esempio, era stata prevista nella Costituzione federale con il
solo scopo di difendere la libertà degli americani dagli abusi delle istituzioni.

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La divisione dei poteri per Taylor
Taylor, dunque, in Tyranny Unmasked, critica aspramente le teorie di quegli autori che affermano con
sicurezza non esservi alcun rimedio previsto dalla Costituzione per contenere gli abusi di potere commessi
dai vari organi federali o statali, se non il ricordo alla magistratura. In base a questa linea di pensiero, se il
potere legislativo, quello esecutivo o quello giudiziario usurpassero i poteri l’uno dell’altro, le parti colpite
non avrebbero nessun diritto né alcun mezzo per difendersi da se stessi. Ma Taylor non è di questa idea,
perché egli crede fermamente che nel complessivo sistema costituzionale statale e federale siano previsti i
necessari controlli e la divisione del potere. La Corte non deve avere, dunque, nessun potere di decidere sulla
costituzionalità delle leggi federali e statali.
The interposition power
Secondo Taylor, il diritto d’interposizione che gli Stati rivendicano rispetto a decisioni degli apparati federali
giudicate contrarie allo spirito della Costituzione è semplicemente un dovere adempiuto nei confronti dei
propri cittadini. Se la Corte suprema interpretasse male una legge civile, il potere legislativo sarebbe capace
di correggere l’errore; ma se i giudici interpretassero male una legge politica o costituzionale, il potere
legislativo colpito non avrebbe nessuna possibilità di correggere l’errore.
Il potere di veto
Da qui nasce la necessità di dotare gli Stati, istituzioni che rappresentano il popolo, di un potere di veto, non
soltanto negativo, ma addirittura positivo, e conseguentemente di fare in modo che gli organi giudiziari ne
siano sprovvisti. Questo potere, che nella mente di Taylor serve principalmente a salvaguardare gli Stati dallo
strapotere del governo federale, ha un carattere essenzialmente negativo. In altre parole, l’apparato di
governo di ciascuno Stato deve possedere un potere di bloccare tutte quelle leggi federali che, violando la
sovranità di un singolo Stato, si pongono fuori dagli ambiti costituzionali. Infatti, gli Sati, c’è noto,
possedevano ampi poteri politici prima dell’entrata in vigore della Costituzione federale. Questi non sono
mai stati perduti; al contrario, sono stati espressamente mantenuti, con particolare riguardo ad un diritto
morale di autodifesa contro ogni specie di aggressione; e la Costituzione vieta espressamente che questi
poteri siano sottratti agli Stati dal governo federale. A giudizio di Taylor esiste, dunque, un potere di veto
positivo, addirittura riconosciuto dalla costituzione del 1787 che garantisce agli Stati il diritto di
autodifendersi e di reagire a tutte le aggressioni, da qualunque parte esse provengano; anche, qualora siano
poste in essere da apparati dello Stato federale.
The judical review
Secondo Taylor la teoria della judical review, vale a dire la revisione giudiziaria delle leggi da parte della
suprema magistratura federale, non presenta appigli di natura costituzionale. Egli in queste circostanze
afferma, invece, con forza l’assoluta preminenza della sovranità popolare. Il legislativo, l’esecutivo e il
giudiziario, statali e federali, sono ciascuno giudici indipendenti dei propri poteri costituzionali e nulla, meno
dell’appello al popolo, può risolvere i conflitti.
Il popolo possiede, dunque, due diritti di autogoverno:
1. Uno che esplica per promuovere gli scopi generali e federali;
2. L’altro che serve prioritariamente al raggiungimento dei fini statali o locali.
In altre parole, il popolo è titolare di due sovranità. La prima in quanto membro di un singolo stato e la
seconda quale elemento fondante dell’Unione composta da tutti gli Stati.
In forza di questa teoria, escogitata dai federalisti, incombe sugli Stati Uniti il pericolo reale che i grandi
Stati, a causa della superiorità numerica del loro elettori, prevalgono nel controllo del governo federale, e, di
conseguenza, che i governi statali dei piccoli Stati, privi degli strumenti istituzionali con i quali opporsi, non
riescano più a difendere i propri cittadini.
John C. Calhoun
Non si può fare a meno di notare l’enorme somiglianza fra la teoria politico-istituzionale tayloriana e la
dottrina della concurrent majority, elaborata da Calhoun. Fu uno dei fondatori della teoria pluralista e un
accanito sostenitore di un federalismo basato pienamente sulla sovranità degli Stati, quale strumento
essenziale per la democrazia. Il suo modello di società e di governo progettava uno Stato senza egemonie,
una articolazione federativa del potere, rafforzata da un diritto di veto attribuito alle varie portions della
comunità.
Calhoun intende rendere più chiari e portare alle estreme conseguenze tutti gli argomenti che definiscono gli

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ambiti del federalismo americano basandoli sulla sovranità degli Stati e sul diritto di interposition e di
nullification.
LA TIRANNIA DEL CENTRALISMO
Tutte le innovazioni che indeboliscono le limitazioni e le divisioni del potere, rendono un governo forte per il
raggiungimento della tirannia ma debole per la preservazione delle libertà. I costituenti, riteneva Taylor,
avevano inteso dividere i poteri fra lo Stato federale e gli Stati federati, proprio per limitare le ambizioni
degli uomini presenti negli organismi politici.
Il potere giudiziario come nemico
Un obbiettivo prioritario delle critiche tayloriane, anche in Tyranny Unmasked, era individuato nel potere di
revisione delle leggi che il giudice Marshall aveva assegnato alla Corte suprema degli Stati Uniti nel corso
dei primi due decenni dell’Ottocento. Questo potere sembrava a Taylor talmente forte da sostituirsi perfino
allo stesso potere politico. Era inconcepibile, per un sostenitore dei principi del repubblicanesimo, che un
organo giurisdizionale non dipendente da una diretta investitura popolare avesse il compito di emanare
sentenze decisive. Il vero nemico dei valori e dei principi repubblicani venne, dunque, identificato da molti
jeffersoniani nel potere giudiziario che ebbe la sua roccaforte nella Corte suprema guidata con mano sicura d
John Marshall.
Il caso McCulloch vs Maryland
Nel caso McCulloch vs Maryland, ad esempio, Marshall sostenne il diritto del Congresso di istituire la
Seconda Banca degli Stati Uniti. Lo Stato del Maryland aveva provato a boicottare le operazioni svolte dalla
Second Bank attraverso l’istituzione di una tassa proibitiva che gravava su di essa. La Corte suprema obiettò
che l’istituto bancario, essendo un ente federale, non poteva essere sottoposto alla legislazione statale, in
quanto il governo di Washington godeva della piena sovranità nella propria sfera d’azione. Per questa
ragione gli Stati non avevano alcun diritto di ostacolare l’esercizio dei poteri costituzionali posti in essere dal
governo federale.
Questa istituzione, dunque, grazie alla sua interpretazione, stava trasformando la Costituzione da atto di
coordinamento fra governo federale e governi statali, quale in realtà doveva essere, a documento legittimante
un unico governo generale e supremo.
La Banca non poteva in alcun modo essere soggetta a tassazione da parte dello Stato del Maryland, come da
parte egli altri Stati, in quanto rappresentava la longa manus fiscale del governo federale. Nel contraddire
questa affermazione, Taylor si appellava al diritto, proprio di ogni Stato, di esercitare una forma concorrente
di tassazione sia sulla proprietà reale che su quella personale, esclusi i prodotti destinati al commercio
internazionale. Grazie a tale potere concorrente “il Congresso non può imporre alcuna tassa che non possa
essere imposta anche dagli Stati.
Errore di interpretazione
Il grande errore commesso nell’interpretazione dell’emendamento alla Costituzione secondo il quale i poteri
“are reserved to the states respectively or to the people”, è dovuto ad un significato non corretto attribuito al
termine or. Secondo Taylor, nel testo costituzionale or è utilizzato solamente per congiungere due parole
considerate come sinonimi (states e people), e se così, ossia correttamente, gli stessi vengono interpretati,
allora viene sconfitta la pretesa che people significhi popolo di tutti gli Stati invece che il popolo,
rispettivamente, di ogni Stato. Un governo è sostanzialmente buono o cattivo nella misura in cui produce la
felicità o la miseria di una nazione. Il governo degli Stati Uniti agiva per gratificare l’avarizia ed il
monopolio attraverso una combinazione di corporazioni, privilegi e speculazioni finanziarie che avrebbe
finito per distruggere il repubblicanesimo americano; e lo strumento utilizzato per attuare questo progetto
consisteva, a giudizio degli antifederalisti, nella interpretazione della Costituzione fatta propria dalla Corte
Suprema.
Un’interpretazione, come quella attribuita alla Corte suprema, che avesse cercato di classificare il popolo
degli Stati Uniti come un’unica indistinta massa, negando così l’esistenza giuridica e politica del popolo di
ogni Stato, avrebbe potuto portare a conseguenze tragiche per il futuro della federazione americana.
Il disegno politico che gli antifederalisti attribuivano ora alla Corte suprema era quello di voler introdurre
elementi del modello britannico nella costruzione costituzionale statunitense. Ma il sistema istituzionale
inglese differiva sostanzialmente da quello americano, perché il suo schema non prevedeva il principio della

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sovranità popolare. Inoltre, la divisione del potere, consistente negli Stati Uniti nell’attribuzione ai
governanti di limitati poteri delegati dal popolo, era del tutto sconosciuta in Inghilterra, così come la
distinzione e divisione fra il governo degli Stati ed il governo dell’Unione.
Il pensiero di Taylor
L’interpretazione che i federalisti avevano sviluppato, a partire dalla convenzione di Filadelfia, in base alla
quale la libertà e l’indipendenza degli Stati veniva a confluire in una consolidation, cioè in uno Stato federale
fortemente accentrato, era, per Taylor, completamente errata. Poiché, in questo caso, la Dichiarazione
d’Indipendenza avrebbe dovuto riconoscere i diritti di sovranità come pertinenti a uno Stato consolidato e
non a Stati separati. Con gli Articoli di Confederazione approvati nel 1781 la sovranità dei diversi Stati era
stata esplicitamente confermata, ed anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione federale, l’Unione non
estendeva i poteri delegati né privava gli Stati degli attributi della sovranità, eccetto quelli ad essi
espressamente proibiti.
Altrettanto significativo, secondo Taylor, è il fatto che tanto nella Dichiarazione d’Indipendenza quanto nella
stessa Costituzione federale, venga utilizzata la parola Congresso per designare il luogo nel quale si
riuniscono i rappresentanti del popolo degli Stati Uniti. Il termine Congresso, infatti, viene preferito ad altri,
quali ad esempio Parlamento o Assemblea, proprio “per rappresentare l’idea di una riunione di deputati
inviati dagli Stati indipendenti o dai rispettivi governi”.
L’autorità dello stato
Prospettato questo modello di federalismo, il problema che si poneva ora riguardava quale autorità avesse il
compito di dirimere le controversie fra Stato federale e gli Stati federati. La soluzione escogitata da Taylor è
coerente con tutto il resto del suo sistema istituzionale, il quale in realtà delinea un modello secondo il quale
gli stati ed il governo federale dovrebbero esercitare un reciproco diritto di controllo. La Corte suprema
nell’esercizio dei suoi poteri aveva decisamente oltrepassato i suoi limiti istituzionali, nell’esclusivo
interesse del governo centrale; a questo punto, dovevano essere i governi degli Stati ad assumersi la
responsabilità di giudicare riguardo ai propri poteri, a quelli del governo federale ed alla loro rispettiva
estensione.

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