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Il carteggio tra Pietro Ingrao e Luigi Nono

(Luigi Nono. Carteggi concernenti politica, cultura e Partito Comunista Italiano,


a cura di Antonio Trudu, Olschki, Firenze 2008)

[…] Una delle caratteristiche del Nono politico è senza dubbio il suo impegno
costante. In una lettera molto bella e acutissima del dicembre 1966, Pietro Ingrao
scrive: «Mi pare di capire che tu sei impegnato a raccontare una storia non
individuale (e questo è raro), una storia che ha a che fare con le strutture della società
(e questo è ancora più raro). Mi sembra anche di capire che questo ti spinge a cercare
un adeguamento, un rinnovamento, uno sviluppo del linguaggio, che noi invece nella
nostra vita siamo abituati a usare staticamente, non già come costruzione in sviluppo
e in rapporto alle cose che vogliamo raccontare».1 E poi prosegue sottolineando che
la storia che Nono è impegnato a raccontare è tesa a cogliere l’oppressione
capitalistica nel punto in cui essa è più crudele e sanguinosa, dove «la protesta
correlativamente si colora di un altissimo grado di emotività, come fosse un rosso
scuro, un blu profondo: dove insomma essa ha un suono subito grave e solenne; dove
- di per sé e subito - appare tragica, e perciò organicamente (e sembra anche
“eternamente”) irriducibile, refrattaria all'integrazione nel sistema».2 […]

[…] Assai diverso il rapporto con Pietro Ingrao, di amicizia ma anche, in molti casi,
di identità di vedute, non soltanto in materia politica, ma anche nel modo di intendere
l’arte e l’impegno dell’artista. «Sono stato molto amico di Luigi Nono – ha scritto
Ingrao -. Non so dire con precisione quando quella nostra amicizia iniziò, ma ricordo
nitidamente che presto divenne intensa e appassionata. [...] A me la musica dava
molta emozione [...] e tuttavia non fu proprio la musica che ci avvicino. Gigi sentiva,
viveva intensamente l’urto sociale che allora scuoteva l’Europa: si iscrisse presto al
Partito Comunista e soprattutto portava dentro una passione calda per le lotte di
liberazione che allora scuotevano il globo; presto si era incontrato con le ardenti
passioni sociali e la ricerca, le sperimentazioni di nuovi linguaggi che agitasvano
l’Europa e il pensiero delle avanguardie che aveva conosciuto prima di tutto in
Germania».3
Ingrao è interessato a conoscere e a capire il senso della ricerca musicale noniana,
discute con lui del rapporto fra i contenuti e le strutture linguistiche, è curioso. Non è
certo un caso che, come ha riferito Cesco Chinello, Nono gli scriva una bellissima
dedica sulla partitura del Canto sospeso appena pubblicata e che gli manda in dono
subito dopo l’XI congresso, tenutosi a Roma dal 25 al 31 gennaio 1966.4 Anche a
Ingrao, come a Nono, piace intrecciare la politica con la cultura, con la vita. «Sento
oggi come un fatto fortemente negativo – scrive Ingrao nel 1966 – la frantumazione,
la diaspora in atto nella sinistra italiana, quasi che ognuno tenda a rinchiudersi nella
sua verità: e probabilmente portando sì una parte di verità, ma povera, perché
1
Lettera di Pietro Ingrao del 13 dicembre 1966.
2
Ibidem.
3
Pietro Ingrao, in Al gran sole carico d’amore, cit., pp. 73-74.
4
Cfr. Cesco Chinello, Sindacato, Pci, movimenti negli anni sessanta, cit., p. 414.
1
frantumata, rotta, separata».5 Ingrao rimpiange di non avere occasione di
chiacchierare con Nono di queste cose, e di non avere forza, tempo e giovinezza per
conoscere e per studiare ciò che Nono e altri fanno di nuovo e di interessante. «E’ un
momento difficile – ammette – ma [...] abbiamo anche molte cose nell’animo nostro,
molti pensieri e ricerche che ci accompagnano. [...] Tutto ciò dovrà dare qualche
frutto. Ne sono sicuro. Siamo a una dura prova, e su tante cose ci sarebbe da riflettere
e da correggere, mentre le forze sono limitate: ma infine la ricerca è avviata, e a un
certo punto darà».6
In un’altra occasione, Ingrao scrive a Nono: «Io non nascondo la mia
preoccupazione. Ho l'impressione che tutta la nostra azione deve fare un salto di
qualità; e non sono sicuro che ci stiamo attrezzando per questo compito».7 Delle
missive di Nono non rimangono che un paio di telegrammi di adesione e di
solidarietà. A uno di questi, nel febbraio 1987, Ingrao risponde confidando di
attraversare un periodo difficile, di cercare qualcosa che non riesce ad afferrare e
ammette di non trovare dentro di sé le forze per affrontare la situazione. «E invece
sento – aggiunge - quanto sarebbe necessario ora impegnare di nuovo tutti se stessi,
di fronte a eventi che mettono in discussione tante cose. Forse capita di afferrare
qualche lampo. Ma poi presto sembra allontanarsi. Perciò mi consola tanto la tua
creatività, il tuo coraggio di innovare».8 […]

5
Lettera di Pietro Ingrao del 13 dicembre 1966.
6
Ibidem.
7
Lettera di Pietro Ingrao del 9 gennaio 1978.
8
Lettera di Pietro Ingrao del 13 febbraio 1987.
2
1. Pietro Ingrao a Luigi Nono [Roma, 12 aprile 1965]

Caro Nono,
grazie per i tuoi auguri9 e per le tue parole. E spero di avere occasione di incontrarti e
di discorrere insieme. Più volte ne abbiamo parlato con i compagni di Venezia. Poi è
mancata sempre l’occasione.
E auguri anche a te, nel campo difficile e impegnativo in cui combatti.
Fraternamente.
Pietro Ingrao

9
Sebbene all’ALN non rimanga copia del messaggio, Ingrao ringrazia Nono per gli auguri che gli ha inviato per il 50°
compleanno, festeggiato il 30 marzo.
3
2. Pietro Ingrao a Luigi Nono [Roma, 13 dicembre 1966]

Caro Nono,
come stai? Mi dispiace molto di non avere risposto alle tue lettere,10 che mi sono
sempre assai care, per la loro amicizia, per la passione che esprimono. E soprattutto
mi dispiace che sia rimasto interrotto quel discorso che avevamo avviato, e che si sia
interrotta da parte mia una prima, sia pur sommaria, conoscenza di quello che stai
facendo e cercando, e di cui ho avuto come un barlume.
Bada. Io, per la mia ignoranza, capisco assai poco della tua ricerca, e sono rimasto
per gran parte staccato da tutta una battaglia culturale ed espressiva; e so per
esperienza che a una ricerca ardua e rinnovatrice non ci si può avvicinare per
approssimazione. Bisognerebbe dunque conoscere e studiare. Ma questo è difficile
per me che faccio già tanta fatica a seguire, a capire altre cose, e cerco di concentrare
le mie forze, per giunta in un momento in cui ognuno di noi o almeno tanti di noi
sentiamo che bisognerebbe essere più forti, più penetranti, più in gamba, perché c'è
tanto bisogno. Perciò mi piacerebbe tanto discutere con te, e contemporaneamente mi
sento non preparato, ignaro; e non credo all'improvvisazione.
Ad ogni modo: quale è il discorso che mi è venuto in mente, per quel poco che ho
potuto discutere e capire dalle nostre conversazioni? Mi pare di capire che tu sei
impegnato a raccontare una storia non individuale (e questo è raro), una storia che ha
a che fare con le strutture della società (e questo è ancora più raro). Mi sembra anche
di capire che questo ti spinge a cercare un adeguamento, un rinnovamento, uno
sviluppo del linguaggio, che noi invece nella nostra vita siamo abituati a usare
staticamente, non già come costruzione in sviluppo e in rapporto alle cose che
vogliamo raccontare. Tutto ciò mi ha colpito e mi sembra importante, anche se non
sono in grado di valutare esattamente i risultati che già hai raggiunto e di cui conosco
solo la “Fabbrica”.
Quali però sono le questioni che mi sono venute in mente? La tua storia - mi sembra -
(e parlo in generale della storia che sei impegnato a raccontare) è tesa a cogliere
l'oppressione capitalistica nel punto dove essa è più crudele, sanguinosa, visibilmente
tragica, e dove la protesta correlativamente si colora di un altissimo grado di
emotività, come fosse un rosso scuro, un blu profondo: dove insomma essa ha un
suono subito grave e solenne; dove - di per sé e subito - appare tragica, e perciò
organicamente (e sembra anche “eternamente”) irriducibile, refrattaria
all'integrazione nel sistema; dove inoltre sembra che la natura stessa e le cose e i
modi della protesta si colorano nel profondo di questa aspra refrattarietà al sistema, al
dominio degli sfruttatori.
Questo - mi pare di capire - è il punto della storia che stiamo vivendo, verso il quale
va la tua tensione. E sia. Ma ci sono momenti, luoghi, tappe in cui l’oppressione non
si veste di tragedia e di sangue, e soprattutto non assume quegli aspetti di lacerante
negatività che la rendono subito e totalmente percepibile; momenti e luoghi in cui
agiscono altri canali, e gli uomini, i lavoratori non sono messi perentoriamente di
fronte a un sì e ad un no. Perché dico questo? Forse perché chiedo a te di raccontare

10
Di queste lettere, che del resto probabilmente spesso erano solo brevi messaggi di saluti o di auguri, non rimane
traccia all’ALN.
4
tutto? No. Lo dico perché sento che tanta parte della nostra battaglia (qui in Italia e in
Europa) ha a che fare con questi momenti, è chiamata a misurarsi con essi: in breve,
noi dobbiamo fare i conti non solo con i luoghi e le fasi in cui l'imperialismo
“uccide”, ma anche con quelle in cui l'imperialismo distorce, mutila, integra. E poi
per un’altra ragione: mi sembra che sia importante cogliere il rapporto, il
collegamento fra diverse facce e fasi, per giungere a un’idea, in qualche modo esatta,
del mondo in cui stiamo vivendo.
Ecco allora l’altro punto. La battaglia si svolge solo nel cuore dell’Africa e attorno a
ciò che si vive nel cuore dell'Africa, oppure anche in queste città che conosciamo? E
se è anche qui, se è importante che si svolga anche qui (e non solo da qui per
l'Africa), allora non sono da ricercare anche armi complesse, che non sono la nuda
spada, e che possono essere efficaci in questo tipo di battaglia? Comprendo il rischio
enorme: rischio di sbagliare armi, o addirittura di non combattere, o di fingere di
combattere, o di credere di combattere. Ma anche questo rischio e questo tipo di
ricerca e di costruzione non sono anch'essi - alla stessa stregua della lotta partigiana,
della lotta combattuta con la nuda spada - un momento della nostra emozione, della
nostra passione rivoluzionaria, della prova in cui ci misuriamo? E non è degno di
esame (e quindi di critica - bada!) anche questo tentativo di costruire una nuova
“guerra che possa reggere nell'Occidente”, che possa durare e che non si esaurisca in
una sola battaglia di un giorno?
Lo sai. Parlo di cose in cui sono inzuppato dentro, e sento il pericolo di essere la
mosca che si sente in qualche modo ombelico del mondo. Ma io non penso
minimamente - e sarebbe stupido, supremamente stupido - di dare “consigli”, che
tutti poi ci fanno ricordare la buon’anima di Zdanov. No, non è questo. Io credo di
capire che alcune di queste esperienze, prove e questioni di cui ti parlo sono per te
quasi solo un antefatto, un retroterra che ti ha aiutato a divenire comunista, e che oggi
resta fuori dal tuo discorso, tutto teso (e sai quanto mi interessa) a concentrarsi sul
punto in cui l'imperialismo è distruzione totale e feroce. La mia preoccupazione è
solo che si determini una separazione: non di fede, non di lotta, s'intende, ma di
esperienze che si vivono. Lo dico, anche perché sento oggi come un fatto fortemente
negativo la frantumazione, la diaspora in atto nella sinistra italiana, quasi che ognuno
tenda a rinchiudersi nella sua verità: e probabilmente portando sì una parte di verità,
ma povera, perché frantumata, rotta, separata.
E poi io ti scrivo queste cose soprattutto per dirti quanto mi dispiace che non abbiamo
occasione di chiacchierare, e soprattutto quanto mi dispiace di non avere forza,
tempo, giovinezza per conoscere e studiare tanta parte della ricerca tua e di altri, tanta
parte di questa vita intorno, così ricca, ma che ci sfugge. E naturalmente queste cose
le scrivo anche perché tu sappia che è un momento difficile, ma che abbiamo anche
molte cose nell'animo nostro, molti pensieri e ricerche che ci accompagnano. Tutto
ciò dovrà dare qualche frutto. Ne sono sicuro. Siamo a una dura prova, e su tante cose
ci sarebbe da riflettere e da correggere, mentre le forze sono limitate: ma infine la
ricerca è avviata, e a un certo punto darà.
Statti bene. Fa’ delle cose forti e belle. Io spero stavolta a fine gennaio di venire a
Milano a sentire le cose tue. Per favore, ricordamelo; e scusami se mi capita di non
farmi vivo. Scusa anche questa lettera disordinata.
5
Tuo
Pietro Ingrao

6
3. Pietro Ingrao a Luigi Nono Roma, 15 gennaio 1967

Caro Gigi,
verrò a Milano per le due serate del Piccolo. Fammi sapere le nuove date fissate per
marzo,11 e se ti è possibile fammele sapere un po’ di tempo prima, perché io non mi
trovi incastrato da altri impegni. Mi dispiace per il rinvio, e mi auguro molto che esso
non sia una manovra.
Quanto alla nostra discussione, non è che io mi lasci prendere da complessi circa alla
“tecnica” musicale. No, assolutamente. Non è la “tecnica” che mi mette in
soggezione. Penso piuttosto che la musica, come momento di conoscenza e di
espressione, come “fare”, abbia una sua storia, un suo sviluppo (come la letteratura,
come la pittura, come il cinema ecc) e perciò per partecipare di questa conoscenza,
per viverla appieno e riccamente, e non superficialmente, sia necessario ed ad ogni
modo importante, porsi dentro a questa storia, per quanto possibile possederla. Se
manca questo possesso, oppure esso è scarso, allora la partecipazione sarà parziale o
esteriore, ed ancor più debole sarà la partecipazione critica (cioè teoricamente
consapevole), che era poi l’oggetto della nostra discussione.
Per questo, e non per “complessi”, per finta modestia, mi esprimevo in quei termini
cauti. E non faccio questione solo nella musica: lo farei anche per l'architettura o
pittura che conosco (ho “vissuto”) altrettanto superficialmente. Lo faccio meno per il
cinema, di cui conosco (ho “vissuto”) di più la storia interna non come “tecnica” ma
come concreto nascere e svilupparsi (e s'intende che per questa storia è anche utile e
di rilievo la conoscenza di aspetti “tecnici”, o meglio anche del momento formale del
linguaggio).
Ma di queste cose continueremo a discutere. Adesso volevo solo mandarti una
sommaria risposta affermativa per l’appuntamento del Piccolo Teatro a marzo. E
speriamo davvero di poter chiacchierare presto a voce.
Perché non capiti a Roma? Fraternamente
Ingrao

11
Ingrao fa riferimento alla prima esecuzione di Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz, per nastro magnetico (1966),
avvenuta a Milano il 17 marzo 1963.
7
4. Pietro Ingrao a Luigi Nono Roma, 15 marzo 1967

CAUSA VOTI ALLA CAMERA SU FEDERCONSORZI ET PIANO


QUINQUENNALE CHE RICHIEDONO PRESENZA OBBLIGATORIA TUTTI
DEPUTATI COMUNISTI GIOVEDÌ ET VENERDÌ EST IMPOSSIBILE
PARTECIPARE AUDIZIONI12 PICCOLO TEATRO STOP MI DISPIACE MOLTO
ET INVIO AUGURI CON AFFETTUOSA FORTE AMICIZIA = INGRAO =

12
Cfr. Lettera di Pietro Ingrao del 15 gennaio 1967.
8
5. Pietro Ingrao a Luigi Nono [Roma,] 9 gennaio 1978

Caro Gigi,
grazie per il Verdi, interpretato da Abbado. Aspettiamo l’incisione tua; e ricambiamo
gli auguri con il grande affetto che sai e che ci lega a te e a tutti i tuoi.
Quanto al ’78, è tutto da vedere. Io non nascondo la mia preoccupazione. Ho
l’impressione che tutta la nostra azione deve fare un salto di qualità; e non sono
sicuro che ci stiamo attrezzando per questo compito. Alcune cose ho cercato di dirle a
Firenze al convegno su Gramsci. Ti mando copia del testo integrale, se avrai voglia di
leggerlo. Ci sono ancora correzioni formali da fare; ma mi preme la sostanza.
Buon anno e arrivederci presto. Un abbraccio a tutti voi
Ingrao

9
6. Pietro Ingrao a Luigi Nono Roma, 25 settembre 1984

DA LONTANO VIVIAMO CON TE QUESTO MOMENTO COSÌ INTENSO ET


COSÌ IMPORTANTE13 ET VOGLIAMO DIRTI TUTTO L'AMORE CHE
PORTIAMO AL TUO DISCORSO SUL NOSTRO TEMPO ET SULLE NOSTRE
RICERCHE ET DIFFICILI SPERANZE
LAURA ET PIETRO INGRAO

13
Il 25 settembre 1984 si ebbe, a Venezia, la prima del Prometeo.
10
7. Pietro Ingrao a Luigi Nono [Roma,] 8 gennaio 1987

Caro Gigi,
ho avuto i dischi e non so come ringraziarti e come dirti quanto mi hanno
emozionato. Mi pare di capire meglio il senso della tua ricerca o invenzione e mi
prende un grande rimpianto di saperne così poco, e anche di avere perduto delle
occasioni per viverle con te.
Grazie ad ogni modo per quello che fai, e per la fratellanza che da tanti anni ci unisce
tuo
Ingrao

11
8. Luigi Nono a Pietro Ingrao [febbraio 1987]

APPENA LETTO TUO NUOVO CONTRIBUTO DI GRANDE SVILUPPO ET


IMPORTANZA IDEOLOGICA ANALITICA METODOLOGICA PROSPETTICA
TI ESPRIMO COSCIENTE ADESIONE ET DECISA SOLIDARIETÀ
UNITAMENTE VIVO AFFETTO ET CHIARO ENTUSIASMO DI COMPAGNO
MUSICISTA INTERNAZIONALISTA
LUIGI NONO

12
9. Pietro Ingrao a Luigi Nono [Roma,] 13 febbraio 1987

Caro Gigi,
Grazie per le tue parole. Io attraverso un periodo dificile, direi “oscuro”; cerco
qualcosa che non riesco ad afferrare; e cerco soprattutto dentro di me forze che mi
sento in qualche modo mancare. E invece sento quanto sarebbe necessario ora
impegnare di nuovo tutti se stessi, di fronte a eventi che mettono in discussione tante
cose. Forse capita di afferrare qualche lampo. Ma poi presto sembra allontanarsi.
Perciò mi consola tanto la tua creatività, il tuo coraggio di innovare. Un abbraccio
Ingrao

13
10. Pietro Ingrao a Luigi Nono [Roma,] 12 ottobre 1989

Caro Gigi,
ho saputo da Chinello, in modo del tutto improvviso, che sei stato poco bene e che
tuttora non sei tranquillo per la tua salute. Mi dispiace molto. E mi dispiace questa
lontananza, questa assenza di notizie. Pensare che io gioivo nel vedere, sulla stampa e
nelle televisioni, le notizie sull’interesse e l’ammirazione che c’è per la tua musica! E
mi doleva di saperne così poco!
Carissimo, mi preme solo che tu sappia del mio affetto profondo, del legame antico
ma mai caduto; e del mio desiderio (mio e di Laura) di avere qualche notizia tua.
Un abbraccio forte
Pietro

14
11. Luigi Nono a Pietro Ingrao [???]

AL SALUTO ENTUSIASTA ET ALL’ADESIONE COSCIENTE UNISCO


L’AUGURIO CHE ANCHE IN QUESTA CONFERENZA14 LA CLASSE
OPERAIA TESTIMONI MANIFESTI ET INDICHI DECISAMENTE LA
NECESSITÀ LA CAPACITÀ DI INTERVENTO AUTONOMO NELLA LOTTA
POLITICA ET CULTURALE ATTUALE
LUIGI NONO
VENEZIA

14
Non ci sono elementi certi che consentano di individuare la «conferenza» alla quale Nono face riferimento e per il
buon esito della quale manda gli auguri a Ingrao. Potrebbe trattarsi, però, del Convegno su Gramsci di cui Ingrao
parlava nel biglietto del 9 gennaio 1978 (n. 211), unitamente al quale inviò a Nono il testo dell’intervento tenuto in
quell’occasione.
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