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Antonio Trudu – Alcune fonti per la sceneggiatura di un film su Luigi Nono

Non fu l’abbondanza di fonti a suggerirmi, nel giugno 1997, di proporre un breve scritto dal
titolo Appunti per un film su Luigi Nono1 per un volume pensato dalla moglie Michi in occasione
dei settant’anni di Luigi Pestalozza. Avevo frequentato qualche tempo prima un interessante corso
di scrittura e regia cinematografica, tenuto a Cagliari da Rodolfo Roberti, e uno degli esercizi da me
svolti in una delle prime lezioni di quel corso era stato proprio il soggetto di un film su Nono, che
poi era stato usato in alcune lezioni successive per la scrittura e la realizzazione di alcune scene. Ma
quel soggetto e i successivi Appunti si basavano soprattutto su documenti relativi alla
partecipazione di Nono ai Ferienkurse di Darmstadt, che mi erano serviti per il mio libro sulla storia
di quella importante istituzione tedesca,2 e su un successivo saggio interamente dedicato ai rapporti
di Luigi Nono con Wolfgang Steinecke e con i suoi «corsi internazionali per la nuova musica».3 Per
il resto, le fonti erano soprattutto orali, racconti, cioè, di chi aveva conosciuto Luigi Nono e gli
aveva vissuto accanto, prima fra tutti, la moglie, Nuria Schoenberg.
Anzi, fu proprio l’esiguità delle fonti relative alla vita del compositore veneziano che mi
indusse, alla fine degli anni Novanta, ad avviare le ricerche presso l’Archivio Luigi Nono di
Venezia, per verificare la possibilità di scrivere una biografia noniana, progetto che alcuni anni
dopo accantonai, per sopravvenuti problemi personali, ma anche per l’oggettiva difficoltà di
raccontare non superficialmente la figura di un musicista che si era occupato in maniera
approfondita di tante cose diverse, non esclusivamente in campo musicale.
Soltanto dopo la pubblicazione degli scritti,4 soltanto dopo che hanno visto la luce i primi
epistolari,5 soltanto adesso, insomma, sarebbe possibile pensare concretamente a una biografia
noniana. Dalla quale si potrebbe facilmente trarre un film adatto non soltanto agli addetti ai lavori,
ma anche, certamente, a un pubblico più vasto, anche se culturalmente selezionato, capace di
cogliere l’importanza e la portata del percorso noniano nella musica e, più in generale, nella cultura
del secondo Novecento.

1
ANTONIO TRUDU, La voce del mare (appunti per un film su Luigi Nono), in 108x70. Parole per Luigi Pestalozza, s.e.,
Milano 1998, pp. 259-261.
2
ANTONIO TRUDU, La “scuola” di Darmstadt. I Ferienkurse dal 1946 a oggi, Ricordi-Unicopli, Milano 1992.
3
ANTONIO TRUDU, Rifiuto dell’accademismo: la rottura di Luigi Nono con Darmstadt all’inizio degli anni Sessanta, in
Suono e cultura. CERM. Materiali di ricerca 1990–1992, a cura di Roberto Favaro, (Quaderni di M/R, n. 31), Mucchi,
Modena 1994, pp. 51-68.
4
LUIGI NONO, Scritti e colloqui, a cura di Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi, Ricordi-LIM, Milano-Lucca
2001.
5
LUIGI NONO, Carteggi concernenti politica, cultura e Partito Comunista Italiano, a cura di Antonio Trudu, Olschki,
Firenze 2008 (Archivio Luigi Nono. Studi, 3); MASSIMO MILA E LUIGI NONO, «Niente di oscuro tra noi». Lettere 1952-
1988, a cura di Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi, Il Saggiatore, Milano 2010; Alla ricerca di luce e
chiarezza. L’epistolario Helmut Lachenmann – Luigi Nono (1957-1990), a cura di Angela Ida de Benedictis e Ulrich
Mosch, Olschki, Firenze 2012 (Archivio Luigi Nono. Studi, 4).

1
Per un film su Luigi Nono, inoltre, sono oggi disponibili alcune fonti che parrebbero pensate
proprio in chiave cinematografica, visto che vi si possono trovare anche suggerimenti per le
inquadrature, per l’ambientazione sonora, addirittura per i colori dominanti delle immagini. In
queste pagine mi limiterò a indicarne alcune, secondo me esemplari, ma che sono soltanto un
piccolo campione di ciò che si potrebbe trovare nell’ormai vasta bibliografia noniana.

1. Scherchen e Catunda.
Uno degli avvenimenti più importanti e gravidi di conseguenze, nella formazione di Luigi
Nono, fu il corso di direzione d’orchestra che Hermann Scherchen tenne a Venezia nel 1948. È stato
lo stesso Nono a parlarne nell’autobiografia «raccontata da Enzo Restagno».6 Ma la fonte
‘cinematografica’ che mi piace segnalare è la Prova di ritratto di Luigi Nono di Giovanni Morelli,7
che ha raccontato dello «straordinario e tempistico acume»8 di Gian Francesco Malipiero al quale il
giovanissimo Nono, in cerca di un «maestro-padre autoritario»9 si era rivolto credendo di avere
trovato in lui quella figura desiderata che andava cercando di tutore anziano, padre e combattente,
mentre, secondo Morelli, nessuno poteva avere una personalità meno magistrale, meno paterna e
meno autoritaria/autorevole, meno vincente di Malipiero.10 «Con tempismo e acume — scrive
Morelli — Malipiero conduce il giovane quasi–allievo […] nelle braccia paterne di Scherchen
autorevole educatore d’avanguardia (ma quale avanguardia?): colto, autoritario, utopista,
nervosamente nostalgico della vita traumaticamente interrotta della cultura della Repubblica di
Weimar, anima ossessionata dall’attesa di un futuro per troppo tempo atteso».11
A Venezia Scherchen stava tenendo, nel 1948, un breve corso (soltanto un mese) di direzione
d’orchestra che era, in realtà «più che altro un corso di ermeneutica testuale, potente, ed una
azione di fascinoso apostolato di poetiche».12 Nono ubbidì senza esitare alla prescrizione di
Malipiero e seguì disciplinatamente quel corso; così come da allora in avanti seguì, quasi passo
passo, Scherchen, standogli fisicamernte alle costole, nei concerti europei, a Zurigo e a Rapallo, in
altri seminari dedicati a studi analitici su testi, e poi ancora in concerti e nelle relative, lunghe,

6
LUIGI NONO, Un’autobiografia dell’autore raccontata da Enzo Restagno, in Nono, a cura di Enzo Restagno, EDT,
Torino 1987, pp. 17-19. A questo proposito, cfr. anche ALESSANDRA CARLOTTA PELLEGRINI, Musica o diritto? La
nascita di un compositore, in Gli anni giovanili di Luigi Nono. Tre relazioni dal Convegno «Musica e impegno politico
nel secondo Novecento» (Venezia, 3–4 dicembre 2004, a cura di Alessandra Carlotta Pellegrini, webmaster Nicola
Buso (Pubblicazione on-line del 10.8.2006, rev. 1.2.2010 – http://static.luiginono.it/atti-convegno-
2004/convegno04.html).
7
GIOVANNI MORELLI, Una prova di ritratto di Luigi Nono, in Id., Scenari della lontananza. La musica del Novecento
fuori di sé, Marsilio, Venezia 2003, pp. 95–138. Il saggio era stato pubblicato nel 1995 sulla rivista «Belfagor» (L/1,
1995, pp. 35–68), nella rubrica «Ritratti di contemporanei».
8
Ivi, p. 99.
9
Ibid.
10
Ibid.
11
Ibid.
12
Ibid.

2
ripetute, prove d’orchestra che erano tutti esempi pratici e ‘viventi’ delle esperienze d’analisi e
lettura delle lezioni. «Le testimonianze — prosegue Morelli —, i quadri, gli esempi di positività di
questo magistero schercheniano riportatici a memoria da Nono sono diversi; non tutti, però,
perfettamente componibili; in gran numero ribaltati dal negativo della sovversione».13
La ‘fonte’ morelliana sarà utile anche per tratteggiare la figura di Scherchen, descritto come
direttore d’orchestra di valore, geniale, con una vocazione in più per la Didattica (con la D
maiuscola), organizzatore musicale, musicista ‘rivoluzionario’ allievo di Schönberg, co-fondatore
della rivista «Melos» e, soprattutto, creatore e titolare della casa editrice «Ars Viva Verlag Hermann
Scherchen GmbH» e ritratto come «astratta figura d’anti-manager dalla moralità artistica di
tempratissimo acciaio».14
Fu certamente tutto ciò ad attrarre Nono, ma anche a fare di Scherchen, in generale, un
maestro ideale per le giovani ‘promesse’ di quella nouvelle vague della Nuova Musica europea che
in Europa voleva e doveva esistere ed esprimersi per scrollarsi di dosso il retaggio delle tradizioni,
anche recenti, sofferenti per le contaminazioni e le compromissioni intervenute con gli orrori che
avevano devastato la Storia, anche quella artistica, della prima metà del Novecento. Ma anche altri
tratti della personalità schercheniana non dovettero dispiacere al giovane Nono.

Un po’ sì e un po’ no si sapeva che Scerchen era un comunista e che non si sottraeva mai alle richieste di
dar valore con le sue prestazioni non-burocratiche (direzione di diverse ‘prime’) alla vita musicale della
RDT; si diceva che fosse messo al bando dalle grandi corporazioni discografiche monopolistiche (e infatti
dirigeva sempre orchestre minori o minime o tutt’al più radiofoniche — che portava alla perfezione in
insperate rese di performance a forza di prove estenuanti e di ‘lezioni’ —), per questo motivo, forse,
pubblicava (pochi, pochissimi) dischi, soltanto presso etichette marginali. Correva anche la leggenda che
non fosse amato dai titani dell’interpretazionismo romantico sopravvissuti (Kleiber, Klemperer, tanto per
far nomi); si sapeva che investiva tutto quel non-tanto che guadagnava (non-tanto per un uomo di tanta
fama) per sostenere pionieristiche ricerche ‘tecnologiche’ sulla riproduzione, la diffusione (stereofonica)
e la produzione del suono, in santa povertà nella sua casa ticinese a Gravesano (da dove partiva anche la
pubblicazione domestica del primo periodico di informazioni sui primi passi della ‘laboratorietà’ della
musica: i mitici, smilzi ma intensissimi «Gravesaner Blätter»).15

Ma Giovanni Morelli ha fatto di più. Innanzi tutto ha raccontato — direi proprio


cinematograficamente — il primo incontro di Luigi Nono con Hermann Scherchen.

Abbiamo a disposizione, dunque, il mito-ricordo (quasi un film) della prima ‘lezione’ al corso
quarantottano di Venezia in cui si sente Scherchen che chiede: «Lei che cosa vuole studiare?», e Nono
che risponde: «Dallapiccola», e Scherchen che tira fuori allora dalla sua borsa i cinque frammenti da
poemi di Saffo e i Sex carmina Alcaei, e Nono che diventa lì per lì, come per procura, allievo indiretto al
color rosso di Dallapiccola. Ma, se riascoltiamo o rivediamo l’episodio nel suo prosieguo, ci accorgiamo
che il Dallapiccola che Nono studia è del tutto ‘nonizzato’, del tutto ‘sognato’. Nono trascrive infatti,
tutte filate, le parti vocali delle Liriche greche, isolate. […] Nono, inventandosi del tutto ex nihilo la
modalità della relazione di studio, passa ad un montaggio di frammenti vocali che estrae

13
Ibid.
14
Ivi, p. 97.
15
Ivi, pp. 98-99.

3
liberissimamente dal testo. Li monta pertanto, proprio come se ne facesse un film, dopo averne isolate le
parti ‘parlanti’, di cui esalta anche la presenza frantumata di una sorta di ascolto immaginario degli
antichi testi poetici e che ridispone in una lunga e immaginosamente pluri-timbrica/pluri-registrata
monodia. […] A tutta prima un lavoro del genere potrebbe anche essere definito un comporre «alla
madrigalesca»; […] si tratta di un lavoro, comunque ben poco schercheniano, e — azzardo per azzardo
— di già molto ‘noniano’.16

Altrettanto ‘cinematografico’ è il racconto morelliano della breve ma importante apparizione,


nella vita di Nono, della pianista e compositrice brasiliana Eunice Catunda, della quale ha parlato lo
stesso Nono, raccontando che «Scherchen favorì una specie di sodalizio fra lei, Bruno Maderna e
me».17 Oltre a importanti conseguenze culturali in generale e musicali, l’incontro con la musicista
brasiliana lasciò una traccia concreta in una delle prime composizioni di Nono, Polifonica-
Monodia-Ritmica per sei strumenti e percussione (1950-51), nella quale, come lo stesso Nono ha
raccontato parlando delle sue ‘sovversioni’, fu introdotto — come volontaria infrazione, seppur del
tutto impercettibile, ove non confessata — il ‘rispecchiamento’, sia pur limitato alla sola
figurazione ritmica, di un materiale estraneo e ‘interferente’, ovvero una sorta di «oggetto
[musicale] trovato», costituito da «un canto cerimoniale che gli indigeni del Brasile intonano
gettando in mare corone dedicate alla dea [del mare]»18 che gli era stato insegnato da Catunda.
La musicista brasiliana era giunta a Venezia nel 1948 con altri giovani allievi di Hans-
Joachim Kollreuter, un musicologo tedesco fuggito in Sud America dalla Germania nazista, per
frequentare il corso di direzione d’orchestra di Scherchen. Così ne parla Morelli.

Catunda, che è una mezza india, è comunista; attivamente comunista. Come compare in scena, però,
pressoché istantaneamente, svanisce: immemorialmente; di lei non si saprà più nulla.19 Se interpretiamo,
come ci piace fare, la vita di Nono alla luce del verso di Edmond Jabès che Nono amava e che io amo
riferire ora qui alla sua vicenda intellettuale («Le visage qui se mire dans la glace n’efface pas le
précédent») — una vicenda ove tutte le sparizioni, come tutti i ricordi sono imperfetti e riavvolti nelle
loro tracce — la presenza di quella musicista brasiliana tornata subito là da dov’era venuta, con una certa
qual movenza da fiaba, la presenza di quel suo improbabile canto trovato-fatto […] la cui traccia
s’imprime in una composizione strutturale per diventare quasi prototipo della mitica infinita sub-
testualità noniana, sono tutte immagini presenti che non vengono cancellate dal magico specchio di
Jabès.20

16
Ivi, pp. 100–101.
17
NONO, Un’autobiografia dell’autore, pp. 22. Per l'incontro di Luigi Nono con Eunice Catunda, cfr. anche
PELLEGRINI, Musica o diritto? e CARLOS KATER, Eunice Katunda musicista brasileira, Fapesp-Annablume, São Paulo
2001.
18
NONO, Un’autobiografia dell’autore, p. 23.
19
In realtà, come si legge nel citato saggio di Alessandra Carlotta Pellegrini, presso l’Archivio Luigi Nono di Venezia si
trovano numerose e lunghe lettere che la compositrice brasiliana indirizzò a Luigi Nono e che verosimilmente non
ebbero risposta, visto che non ne esistono le copie, che il compositore veneziano era solito conservare. Del resto nel
libro di Carlos Kater, tra la corrispondenza inviata a Eunice Catunda viene citata una sola lettera (una sola pagina) di
Luigi Nono, del 12 marzo 1952 (KATER, Eunice Katunda, p. 125). Dalle lettere di Catunda a Nono si evince un fecondo
scambio culturale che prese le mosse da «una profonda identità di vedute» (NONO, Un’autobiografia dell’autore, p. 22),
in particolare la scoperta dei testi di Federico García Lorca e di Antonio Gramsci, autore poi amato, letto e studiato da
Nono.
20
MORELLI, Una prova di ritratto, p. 105.

4
Del resto, le conseguenze della conoscenza di Catunda lasciano anche altre tracce ‘sonore’
perché, come ha raccontato lo stesso Nono, dallo stesso materiale (ritmico e intervallare) costituito
dal canto cerimoniale brasiliano che era servito per Polifonica-Monodia-Ritmica, derivò anche il
primo Epitaffio lorchiano, España en el corazón per soprano, baritono, coro misto e strumenti
(1952), nella seconda parte del quale furono inseriti il ritmo e i suoni di Bandiera rossa. «Quando
nel 1952 ci fu la prima a Darmstadt — ha raccontato Nono — Bruno, che era al corrente di tutto, mi
disse che era preoccupato. Se si fossero accorti di quella melodia, affidata nella seconda parte ai
quattro piatti intonati, sarebbe stato un guaio. Figurati! Nel ’52, in piena guerra fredda, con i
comunisti messi all’indice!».21
Ma, tornando a Catunda, la sua ‘ombra’, come si legge ancora nella «Prova di ritratto» di
Morelli, si proiettò in maniera importante nella vita del compositore veneziano.

Subito dopo la sua partenza da Venezia, infatti, Nono e Maderna si iscriveranno al partito (un atto che
sarà gravido di conseguenze in ordine alla interpretazione che della loro opera darà per decenni
l’establishment critico-artistico). Creeranno musica a partire dai testi poetici di quei testi scelti di Lorca
(che sembra fatto leggere loro da Eunice, alquanto emotivamente); cominceranno a tenere in gran conto
gli ‘anticipi’ comunicati ad entrambi, sempre dalla compagna brasiliana — così resta la cosa nella
memoria di Nono —, della lezione di Varèse. (Un altro elemento, questo, di distinzione formativa, che
s’inscrive traumaticamente nel quadro dei peccati contro l’ortodossia dell’avanguardia ‘forte’, la franco-
german-weberniana, che tanto insistentemente verranno contestati a Nono e a Maderna).22

Lo scritto di Giovanni Morelli è davvero ‘cinematografico’, in più punti, ricco com’è, per
esempio, di flashback e di flashforward. Ma lo è anche quando sottolinea, a proposito del suo
‘ritratto’, concetti come ‘sfondo’ e ‘primo piano’.

Ho voluto insistere molto sullo sfondo di questo ritratto sulla immagine del fittissimo albero-libro delle
opere di Nono descritto in prospettiva lenticolare, perché in esso sta tutta intera […] visibilmente
ricomposta in un unico evento continuo, la conflagrazione continua delle istanze morali, poetiche,
teoretiche di Nono. La figura in primo piano, la figura del ritratto, la volevo invece invisibile, o coperta;
coperta, silenziosa, arrestata e indisponibile all’eterno gioco di simulazione dei ritratti: il guardarsi da
dentro a fuori il quadro e viceversa del soggetto del ritratto e del pubblico. Tale la consegno
sospensivamente al mio assunto.23

E per dare forza e icasticità al suo ritratto, Morelli si affida a una citazione biblica, quella che,
secondo lui, è la «più bella immagine che contenga una figura in primo piano che non guarda e non
è vista»,24 il biblico ritratto di Elia nel deserto, che si trova nel secondo dei Libri dei Re:

Ed ecco che passa l’Eterno preceduto da un vento forte e impetuoso che abbatte i monti e spezza davanti
all’Eterno le rocce e le pietre, ma l’Eterno non era nel vento. E dopo il vento ecco un terremoto ma

21
NONO, Un’autobiografia dell’autore, p. 23.
22
MORELLI, Una prova di ritratto, p. 105.
23
Ivi, p. 131.
24
Ibid.

5
l’Eterno non era nel terremoto; e dopo il terremoto il fuoco ma l’Eterno non era nel fuoco. E dopo il
fuoco una flebile voce nel silenzio lieve. Quando Elia l’ebbe udita si coprì il volto con il mantello.25

L’immagine del profeta che all’udirsi della flebile voce nel silenzio lieve si copre il volto con
il mantello viene evocata da Giovanni Morelli quando parla del Tarkowskij26 e della sua relazione
con Sacrificio, l’ultimo film del regista russo. «Alla esposizione del tema in cui narrativamente si
spegne la vita e l’opera del regista russo Nono fa conseguire lo sviluppo di una immediata
introiezione su cui ritorna emblematicamente l’atto espressivo del chiudersi di un’esperienza
artistica in un silenzio reale di totale resa del passato/presente che non è più ad un futuro che non è
ancora».27 E la stessa ‘inquadratura’ ritorna, inevitabilmente, in chiusura del ‘ritratto’: «L’immagine
di Nono avvolto nel mantello28 là nel momento in cui ode il flebile suono quasi-un-silenzio della
esperienza del sacrificio si sta dunque cancellando. Lascia il posto ad un ritratto di figura in piedi
non più nel ‘lontano’ libro dei partages, delle sovversioni, delle prove, dei margini, delle
interrogazioni, ma nel gran libro della grande Storia della musica».29

2. Gli anni di Darmstadt e l’incontro con Nuria.


Non v’è alcun dubbio che gli anni di Darmstadt, dal 1950 al 1960, siano stati anni assai
importanti nella vita umana e artistica di Luigi Nono. La fonte principale per raccontare il rapporto
del compositore veneziano con gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik sono il mio libro sulla
‘Scuola’ di Darmstadt30 e il mio saggio31 sui rapporti dello stesso Nono con l’importante istituzione
tedesca, ai quali ho fatto riferimento in precedenza. Sarà pertanto inevitabile sorvolare, su queste
fonti, rimandando alla lettura delle stesse. Mi limiterò qui a ricordare che fin dalla prima
partecipazione, nel 1950, su suggerimento di Hermann Scherchen, i Ferienkurse furono per Nono
un’autentica rivelazione. E questo fatto non deve stupire, se si pensa alla situazione italiana alla fine
della guerra, dopo un ventennio di autarchia musicale e di chiusura, forse non tanto formale, ma
sicuramente sostanziale, per tutto quanto fosse effettivamente nuovo e nei confronti dei giovani che
potessero essere sospettati di simpatie per un’arte ‘internazionalizzante’ e ‘bolscevica’. Fra l’altro
proprio a Darmstadt furono eseguite le prime composizioni di Nono, nel 1950 le Variazioni
canoniche sulla serie dell’op. 41 di Arnold Schönberg, per orchestra (1949–1950) e nel 1951 la già
ricordata Polifonica-Monodia-Ritmica. Ma a impressionare favorevolmente Luigi Nono furono
25
Ibid.
26
2°) «No hay caminos: Hay que caminar»… Andrej Tarkowskij, per sette cori [gruppi orchestrali] (1987).
27
MORELLI, Una prova di ritratto, pp. 134–135.
28
Non è improbabile che formulando questa immagine e il successivo «ritratto di figura in piedi» Morelli abbia pensato
ai ‘crepuscolari’ ritratti di Luigi Nono infagottato in un ampio giaccone nero realizzati a Freiburg i. B. nel febbraio 1987
dal fotografo Guy Vivien (Luigi Nono, Festival d’automne à Paris 1987, Contrechamps, p. 17 e p. 206).
29
MORELLI, Una prova di ritratto, p. 138.
30
TRUDU, La “scuola” di Darmstadt.
31
TRUDU, Rifiuto dell’accademismo.

6
l’atmosfera vivace e aperta al nuovo, lo spazio concesso ai giovani e alla loro musica, le possibilità
di incontro e di scambio di idee. E il giovane compositore veneziano, con l’entusiasmo e la
generosità che anche in seguito sarebbero state tra le caratteristiche principali del suo carattere, si
tuffò a capofitto nell’avventura darmstadtiana.32
La narrazione di quell’importante decennio potrebbe essere affidata a una voce fuori campo
— quella del compositore — che legge passi delle numerose lettere che Nono scrisse a Wolfgang
Steinecke, il fondatore e direttore dei Ferienkurse, dalle quali si apprende la scoperta di Webern,
l’amicizia e i contrasti con Karlheinz Stockhausen, la difficile situazione nell’Italia del dopoguerra,
nella quale Nono e Maderna erano considerati dei «marziani».33
A un ritaglio di giornale — il «Darmstädter Echo» del 26 maggio 1955, tre giorni prima
dell’inizio dei Ferienkurse di quell’anno — con una foto e un breve trafiletto, il compito di
introdurre un evento personale assai importante, nella vita di Nono: «I primi partecipanti ai
Ferienkurse für Neue Musik di quest’anno — come abbiamo riferito ieri — sono già arrivati: Nuria
Schönberg [ritratta nella foto], la figlia dell’importante compositore dodecafonico, è giunta da Los
Angeles, Luigi Nono, compositore italiano già affermato, appartenente alla nuova generazione
dodecafonica, da Venezia».34 I due giovani si erano conosciuti l’anno precedente ad Amburgo in
occasione della prima esecuzione del Moses und Aron di Schönberg e, almeno per il compositore
veneziano, era stato il classico colpo di fulmine. Pochi mesi dopo Nono aveva scritto a Nuria,
mandandole il programma dei Ferienkurse del 1954 e invitandola a parteciparvi, ma inutilmente.
Nel gennaio 1955, Nono aveva annunciato a Steinecke una nuova opera «con suoni sinusoidali e
due cantanti, tutto su nastro»,35 intitolata Liebesgesänge36 e poche settimane più tardi gli aveva
comunicato che Nuria sarebbe stata a Darmstadt in maggio. «Come potrebbe essere più bello, per
me — aveva scritto — Kranichstein37 quest’anno? Ora giornate senza lavoro, giorni d’attesa!».38
Non erano trascorse neppure due settimane, quando in un articolo apparso sul Mittag del 5
giugno si poteva leggere che il trentunenne compositore veneziano si era fidanzato in quei giorni
con la figlia di Schönberg.39 Il matrimonio fu celebrato quello stesso anno.

32
Ivi, p. 52.
33
Ivi, p. 55.
34
Ivi, p. 56.
35
Ibid.
36
Ibid. L’opera si trasformò poi nel Liebeslied per coro misto e strumenti (1954-55), su un testo tedesco, ma
‘pavesiano’, dello stesso Nono: «Erde bist Du / Feuer Himmel / ich liebe Dich / mit Dir ist Ruhe / Freude bist Du /
Sturm / mit mir bist Du / Du bist Leben / Liebe bist Du» (Terra sei Tu / fuoco cielo / io Ti amo / con Te è pace / gioia
sei Tu / tempesta / con me sei Tu / Tu sei vita / amore sei Tu).
37
Ancora, dopo anni, si era soliti indicare i Ferienkurse con il nome della località in cui si trovava la sede in cui i corsi
si erano svolti nei primi tre anni (1946–48), il Castello di Kranichstein.
38
TRUDU, Rifiuto dell’accademismo, p. 56.
39
Ibid.

7
A Darmstadt Nono aveva conosciuto numerosi musicisti dei quali divenne amico fraterno.
Uno di questi era Hans Werner Henze, come si apprende da una lettera di Nono a Wolfgang
Steinecke.40 «Noi abitiamo qui — scrisse Nono da Forìo d’Ischia nell’autunno del 1955, poco dopo
le nozze con Nuria — insieme a Hans Werner Henze nella casa, molto bella, di William Walton:
egli è via fino a febbraio, e ci ha invitati. Nel frattempo la nostra nuova casa veneziana sarà pronta.
[…] Hans Werner Henze è molto gentile e amico».41
Dell’amicizia con Karlheinz Stockhausen, Nono aveva scritto a Steinecke alla fine dei dei
corsi del 1953, in una lettera nella quale aveva raccontato di una «violenta discussione notturna con
Stockhausen»,42 alla fine di una serata interamente dedicata a Anton Webern, aggiungendo: «io
credo che come Stockhausem mi ha dato qualcosa, così io a lui, come deve accadere fra due amici.
Io sono sicuro che Stockhausen diventerà un musicista sempre più importante e vivace».43 E in
un’altra lettera, nel 1956, il compositore veneziano raccontò a Steinecke di un viaggio molto bello,
con le rispettive consorti, in Italia: «Fin qui, a Padova, abbiamo visto Giotto, Mantegna, l’intero
lago di Garda. […] Wolfgang, ancora una volta: Stockhausen è veramente molto forte come
musicista, forse egli farà quello che Schönberg ha fatto a suo tempo».44
Negli anni successivi, i rapporti di Luigi Nono con i Ferienkurse, con il loro direttore e con
alcuni dei principali protagonisti si fecero sempre più stretti. Addirittura, prima Steinecke e poi lo
stesso compositore parlarono della possibilità che Nono trovasse casa a Darmstadt. «Dunque mi
serve una dimora a Darmstadt! — scrisse Nono prima dei corsi del 1957 — per favore non spargere
la voce!!! Non vorrei che i compositori tedeschi si risentissero!!!!!!!!!! (forse)».45
Ma in pochi anni lo scenario si modificò radicalmente e il fronte dei «giovani geni»,46 come li
definì efficacemente Friedrich Hommel, il terzo direttore (dopo Wolfgang Steinecke e Ernst
Thomas) dei Ferienkurse di Darmstadt, incominciò a incrinarsi tra il 1957 e il 1958. La prima
ragione fu «l’irruzione del caso nelle problematiche darmstadtiane»,47 la seconda, e più
destabilizzante, ma alla prima strettamente connessa, la presenza fra i docenti dei corsi di John Cage
e la conseguente «distruzione del tempio», da parte del compositore americano, del serialismo
integrale darmstadtiano.48

40
Ivi, p. 57.
41
Ibid.
42
Ivi, p. 55.
43
Ibid.
44
Ivi, p. 57.
45
Ibid.
46
Ibid.
47
Ivi, p. 58.
48
Per la partecipazione di John Cage ai Ferienkurse di Darmstadt del 1958 e per le sue conseguenze, cfr. ANTONIO
TRUDU, La distruzione del tempio. John Cage a Darmstadt nel 1958 (e prima e dopo), in Norme con ironie. Scritti per i
settant’anni di Ennio Morricone, a cura di Sergio Miceli, Suvini Zerboni, Milano 1998, pp. 316-346.

8
La conseguenza più clamorosa della partecipazione di Cage ai corsi di Darmstadt del 1958 si
ebbe l’anno successivo, con una violenta discussione pubblica fra Nono e Stockhausen che
determinò la brusca fine di un’amicizia. Una foto49 pubblicata il 9 settembre 1959 dal «Darmstädter
Echo», e poi ripresa da numerosi giornali e riviste, fra i quali la «Neue Zeitschritf für Musik», ha
fissato indelebilmente l’immagine di quella discussione. Sullo sfondo si vede Karlheinz
Stockhausen, in piedi davanti a un leggio sul quale stanno dei fogli; in primo piano, di spalle, si
staglia, ben riconoscibile, la figura di Luigi Nono. In mezzo gli ascoltatori, dei quali fa parte anche
Nono, che guardano chi l’uno chi l’altro dei due, evidentemente impegnati in una discussione. Nella
didascalia si legge: «La foto fissa uno dei pochi momenti di tensione durante i Kranichsteiner
Ferienkurse: Karlheinz Stockhausen discute con Luigi Nono sulla determinazione personale nella
composizione musicale».50
Era il 5 settembre 1959, l’ultimo giorno dei corsi. Quattro giorni prima, Luigi Nono aveva
tenuto una conferenza, il cui testo in seguito sarebbe diventato celeberrimo, dal titolo Presenza
storica nella musica d’oggi,51 nella quale aveva attaccato John Cage e la sua poetica del caso, che
tanto aveva influenzato i giovani musicisti europei, ma anche, sebbene il suo nome non fosse stato
prounuciato, Karlheinz Stockhausen il quale nel suo corso, come ha raccontato La Monte Young,
«dedicava molto tempo […] all’opera di John Cage».52 E Stockhausen approfittò dell’ultima lezione
del suo seminario per contrattaccare, giungendo a definire Nono come un marxista nel quale si
trovavano «strutture di massa fasciste».53 Un’amicizia quasi decennale,54 che aveva superato le
divergenze nell’interpretazione di Webern e che non era stata intaccata neppure dal sostanziale
fraintendimento da parte di Stockhausen del Canto sospeso, 55 finì bruscamente quella sera. Per anni
i due non si rivolsero la parola.56
Da allora — lo raccontò lui stesso57 — Luigi Nono si trovò isolato all’interno
dell’avanguardia: i suoi amici di un tempo gli voltarono le spalle, più tardi giunse la rottura con la
casa editrice Schott e una drastica riduzione nell’esecuzione delle sue musiche. Ma la fine del suo

49
TRUDU, La “scuola” di Darmstadt, figura 19 (fuori testo, pagina non numerata).
50
TRUDU, Rifiuto dell’accademismo, p. 63.
51
LUIGI NONO, Geschichte und Gegenwart in der Musik von Heute, «Darmstädter Beiträge zur Neuen Musik», III 1960,
pp. 41–48. Il testo italiano di questo intervento, Presenza storica nella musica d’oggi, fu pubblicato nella «Rassegna
Musicale», XXX/1 1960, pp. 1–8, e ripreso nel fascicolo Al gran sole carico d’amore, a cura di Francesco Degrada,
Ricordi, Milano 1975, pp. 5–7. Ora, in NONO, Scritti e colloqui, I, pp. 46–56.
52
TRUDU, La distruzione del tempio, p. 334.
53
TRUDU, Rifiuto dell’accademismo, p. 65.
54
«Stockhausen e io — ha raccontato Nono — per una decina d’anni abbiamo vissuto un’amicizia straorinaria. Tante
lettere, ci incontravamo a Darmstadt, abbiamo fatto bellissimi viaggi insieme, lui, io, Nuria e Doris. […] Ero
affascinato dalla radicalità scientifico-razionale che assillava Stockhausen, che lo induceva a continue sperimentazioni
con materiali che spesso non potevano essere materiali ma già pensieri. Avvertivo in lui una natura musicale diversa,
della quale il Gesang der Jünglinge è una delle espressioni più geniali». NONO, Un’autobiografia dell’autore, p. 35.
55
TRUDU, Rifiuto dell’accademismo, p. 65.
56
Ibid.
57
NONO, Scritti e colloqui, II, p. 266.

9
rapporto con Darmstadt e i Ferienkurse non fu immediata e divenne definitiva soltanto dopo la
morte, in seguito a un incidente stradale, del suo amico Wolfgang Steinecke, avvenuta a Darmstadt
il 23 dicembre 1961.58

3. L’incontro con Luigi Pestalozza e l’impegno politico.


Se l’ultima partecipazione di Lugi Nono ai corsi di Darmstadt risale al 1960, la rottura
definitiva avvenne qualche anno dopo. Neppure il carteggio con Steinecke chiarisce se l’assenza del
1961 debba essere considerata il primo passo verso la rottura. Nel 1962 la presenza di Nono era
annunciata dal programma ufficiale dei corsi, con cinque lezioni intitolate Teatro musicale d’oggi,
con riferimento soprattutto a Intolleranza 1960. Ma l’arrivo di Nono fu atteso invano. I corsi erano
iniziati quattro giorni, quando, con un telegramma del 12 luglio, il compositore informò il nuovo
direttore, Ernst Thomas, di non poter raggiungere Darmstadt: «Mio arrivo purtroppo impossibile.
Saluti. Nono».59
Nel 1963, Nono si disse molto triste per il cambiamento del nome dell’Istituto che
organizzava i Ferienkurse che da «Kranichsteiner» divenne «Internationales»,60 parlando senza
mezzi termini di scelta burocratica. Ernst Thomas invitò il musicista veneziano anche ai corsi degli
anni successivi. Nel 1964 Nono rispose con un telegramma: «Nuova opera per Biennale61 assorbe
tutto mio termpo. Purtroppo devo rinunciare a Darmstadt e Mozarteum».62 Nel 1965 la risposta fu
una breve lettera: «I miei legami con Darmstadt non hanno bisogno di partitcolari segni, credo,
poiché sono stabilmente “nella storia”. O no? Se per ora anche Darmstadt è diventata qualcosa di
diverso. Oppure: ci sono molte “Darmstadt” nel mondo, così che la vera Darmstadt doveva
diventare davvero ‘diversa’. È possibile’? O è giusto che “dopo la rivoluzione viene quasi sempre la
restaurazione”?».63
Era proprio quella ‘restaurazione’ che Nono non poteva tollerare. Non poteva accettare che i
Ferienkurse, che avevano permesso a lui e ai suoi giovani colleghi di trovare il palcoscenico adatto
al loro talento, diventassero quella sorta di ‘accademia della nuova musica’ nella quale stavano per
trasformarsi. Nono avrebbe proseguito il suo cammino lontano da Darmstadt, vivendo gli
sconvolgimenti storico-politici e estetici degli anni Sessanta da punti di osservazione
straordinariamente privilegiati, nelle tante, nuove Darmstadt che sorgevano nel mondo. Di tutto ciò

58
TRUDU, La “scuola” di Darmstadt, pp. 159–162.
59
TRUDU, Rifiuto dell’accademismo, p. 67.
60
Ibid.
61
La fabbrica illuminata, per voce femminile e nastro magnetico (1964).
62
TRUDU, Rifiuto dell’accademismo, p. 67.
63
Ibid.

10
si trova traccia nei carteggi politici,64 i quali, da soli, costituiscono una fonte straordinariamente
interessante per seguire la vita artistica, culturale e politica di Nono, soprattutto negli anni Sessanta
e Settanta. Nel volume che ne raccoglie una ampia ma inevitabilmente parziale selezione, si trovano
numerosi spunti assai interessanti e illuminanti. Mi riferisco, tanto per fare qualche nome, ai
carteggi con Renato Guttuso fra il 1962 e il 1972, con Enrico Berlinguer fra il 1969 e il 1984, con
Pietro Ingrao (1965–1987), con Giorgio Napolitano (1969–1988). Ma quello che più di tutti aiuta a
conoscere e a capire il Nono ‘politico’ e la sua evoluzione è il ricco carteggio con Luigi Pestalozza,
che copre un arco di quasi un quarto di secolo, dal 1959 al 1983.
I ‘filoni’ di questo epistolario potrebbero essere numerosi, perché i due parlano e discutono di
tante cose diverse, anche se, almeno inizialmente, il tema in discussione è soprattutto la politica
culturale. «Schierati su posizioni assai vicine, sia estetiche che politiche, Nono e Pestalozza
procedono in qualche modo in sintonia per almeno tre lustri. Esteticamente entrambi strenui
oppositori del realismo socialista e favorevoli a un linguaggio musicale e artistico d’avanguardia,
sono anche politicamente assai vicini, schierati come sono su posizioni di sinistra e per così dire di
‘opposizione’, l’uno, Nono, all’interno del PCI, l’altro, Pestalozza, nel PSI65».66
Sebbene siano amici fraterni e malgrado le posizioni politiche ed estetiche assai vicine, spesso
le discussioni, anche accese, non mancano ed è soprattutto per questo che il carteggio fra i due è
illuminante.

Sino all’inizio degli anni Ottanta è quasi sempre Pestalozza, che scrive. E i due discutono delle
dimissioni di Nono dallo SMI,67 sul tiepido impegno di Nono […] per le attività di Reggio Emilia, su
iniziative non coordinate e in qualche modo spontaneiste di Nono, che, insofferente com’è al
burocratismo e alle gerarchie, in qualche occasione tende a non tener conto del ruolo di responsabile
musicale del PCI che ha assunto Pestalozza, il quale del resto viene definito scherzosamente dagli amici e
compagni musicisti, «commissario». Il rapporto è estremamente amichevole e confidenziale e, lo si
capisce, va al di là dello scambio espistolare, dal momento che i due spesso si telefonano o si incontrano,
anche perché Nono spesso, negli anni Sessanta e Settanta, lavora allo studio di fonologia di Milano, città
nella quale Pestalozza vive.68

Fra i due ci sono stima e apprezzamento reciproci, ma anche un’amicizia, una comunanza di
vedute e una empatia che vanno sottolineate per inquadrare sotto la giusta luce l’allontanamento, il
conflitto, la rottura — sul piano esclusivamente politico — che si crea fra Nono e Pestalozza
all’inizio degli anni Ottanta. Si tratta di sei lettere69 — molto belle e per certi versi crudeli, anche se

64
NONO, Carteggi concernenti politica.
65
Luigi Pestalozza, che aveva militato nel PSI e che aveva partecipato alla nascita del PSIUP nel 1964, passò al PCI
soltanto nel 1965 (NONO, Carteggi concernenti politica, p. 76).
66
ANTONIO TRUDU, «A me piace scrivere lettere». Introduzione al carteggio, in NONO, Carteggi concernenti politica,
p. XLV.
67
Sindacato Musicisti Italiani.
68
TRUDU, «A me piace scrivere lettere», pp. XLV– XLVI .
69
Ivi, p. XLVII .

11
tenute entro i binari della correttezza e, anche, della non rinnegata amicizia — comprese nell’arco
di tempo di poco meno di un anno, fra il 20 settembre 1981 e il 30 luglio 1982. In queste poche
lettere si piò leggere, in filigrana, la diversa lettura del passato e la diversa fiducia nell’avvenire che
Nono e Pestalozza hanno elaborato e elaborano in quel periodo di crisi profonda, di disillusioni, di
trasformazioni e di speranze. «Vuoi liberarti di ombre, del passato: ma sono tue»,70 scrive
Pestalozza. «non tendo a liberarmi da ombre del passato — replica Nono —. non ripudio lavoro mio
né pensieri né atti del passato / non ho né bisogno né motivo per liberarmi di loro. Cerco solo di
ampliare e approfondire il mio pensiero nel mio lavoro nella mia vita / cerco di capire anche vari
smembramenti avvenuti in me».71
I termini del conflitto sono chiarissimi. Dopo anni, lustri di vicinanza e, spesso, di quasi totale
identità di vedute, Nono e Pestalozza non possono che constatare di essere lontanissimi. Nono parla
addirittura di «abissi»,72 tra loro, e constata che «i pensari politici e culturali nostri sono bel lontani
e contrastanti, nettamente conflittuali».73 E la natura del conflitto è politica. Perché Nono è
favorevole a Solidarnosc, per esempio, e Pestalozza contrario, l’uno è solidale, l’altro è critico.74
Così come diversa sarà la lettura della crisi dei paesi del socialismo reale e la reazione
all’evoluzione del Partito Comunista Italiano, dal momento che Nono approvò la trasformazione del
PCI nel Partito Democratico della Sinistra, mentre Pestalozza fu tra coloro che vi si opposero e che
vollero la nascita del Partito della Rifondazione Comunista.75
«Che altro????? — si chiede Nono alla fine della sua ultima lettera a Pestalozza, il 23 luglio
1982 — certo c’è tanto altro, già incominciato e che si sta ampliando, contro i vecchi rigidismi che
non riescono a spiegare più nulla. Ci si incontrerà?».76 Ma l’incontro non ci sarebbe stato, il
conflitto non si sarebbe composto, perché Nono e Pestalozza avrebbero seguito, da allora in poi,
strade diverse. Al di là di alcuni stralci delle lettere, che potrebbero essere letti da una voce fuori
campo, particolarmente cinematografico mi pare sia l’ultimo incontro fra i due vecchi amici,
avvenuto molti anni più tardi, raccontato da Pestalozza più volte, in conversazioni tra amici, assai
significativo e illuminante, per meglio capire la personalità di Nono. Al ritorno dal soggiorno in
Germania, dunque presumibilmente nella primavera del 1989, Nono che, malgrado la malattia che
lo avrebbe portato alla tomba nel giro di pochi mesi, si era recato a Milano per assistere a un
concerto, telefonò inaspettatamente a Pestalozza, che non vedeva né sentiva da anni, rivolgendosi a
lui come se dall’ultima volta che si erano incontrati non fossero trascorsi anni, ma settimane, giorni,

70
NONO, Carteggi concernenti politica, p. 242.
71
Ivi, p. 244.
72
Ivi, p. 252.
73
Ivi, p. 251.
74
Ivi, p. 252.
75
Ivi, pp. 259–260.
76
Ivi, p. 254.

12
come se il loro colloquio, la loro amicizia non si fosse mai interrotta.77 Poi andò a trovarlo a casa
sua e rimasero assieme tutto il pomeriggio, anche al concerto, come se quei lunghi anni di silenzio,
di lontananza, anche ideale, non ci fossero mai stati.78

4. La magia dello spazio veneziano.


Luigi Nono ha parlato in diverse occasioni del suo rapporto quasi viscerale con Venezia e con
lo spazio, visivo e sonoro, veneziano. E una presenza costante, in quell’ambiente, è il suono delle
campane. Nono ne ha parlato, per esempio, nel testo introduttivo a ….. sofferte onde serene…, per
pianoforte e nastro magnetico (1976).

Alla mia casa, alla Giudecca in Venezia, giungono continuamente suoni di campane varie, variamente
ribattute, variamente significanti, di giorno, di notte, attraverso la nebbia e con il sole.
Sono segnali di vita sulla laguna, sul mare.
Inviti al lavoro, alla meditazione, avvertimenti.
E la vita continua nella sofferta e serena necessità dell’«equilibrio del profondo interiore», cone dice
Kafka.79

Ma c’è un documentario, Archipel Luigi Nono,80 quasi un vero e proprio film e certamente una
delle fonti fondamentali per un possibile film su Nono, in cui il compositore riprende questo
discorso sulle sonorità dello spazio veneziano, sui suoi silenzi e sulla capacità dell’acqua di
riflettere non soltanto le immagini ma anche i suoni. Mi riferisco a una sorta di intervista (ma è solo
Nono che parla) che è più illuminante di un acutissimo saggio musicologico. Il compositore parla
stando in piedi su un motoscafo che percorre la laguna di Venezia nella parte antistante il lato
meridionale dell’isola della Giudecca.

Questa parte sud di Venezia è staordinaria, perché c’è questo spazio enorme, questa infinità, questo
silenzio, questi cambiamenti di colore, di tempo. […] Spesso rimango qui, immobile, a guardare e ad
ascoltare tutto ciò che succede: come si può vedere ora, cambiano continuamente i colori, le stagioni, il
vento, le voci, le sonorità... È quello che i veneziani chiamano la «gibigiana»: il riflettersi dell’acqua, che
viene a cambiare gli alberi, che viene a dinamizzare i muri. Non c’è niente di statico... Dunque non solo
l’acqua, ma anche la terra è attiva e questi due elementi vengono a movimentare anche il motoscafo. […]
Come è possibile percepire veramente le varie qualità di suono. Questo è fondamentale per me: parlare
della qualità, non tanto della sostanza del suono. Tipi di suoni, tipi di arrivi, di partenze: come si sente
questa specie di ostinato di una sirena, lontanissima, che continua... Alle volte, quando c’è la nebbia, ci
sono le varie campane che segnano le isole e c’è come un «don! don! don!» continuo e si vengono a
creare dei campi sonori di una magia senza fine.81

77
Un riferimento cinematografico concreto e preciso potrebbe essere, per descrivere più con le immagini che con le
parole questa telefonata e il successivo incontro, la scena di C’era una volta in America di Sergio Leone in cui, dopo
trent’anni, il vecchio Noodles torna a New York e telefona all’amico Fat Moe.
78
NONO, Carteggi concernenti politica, p. 251.
79
NONO, Scritti e colloqui, I, p. 482.
80
OLIVIER MILLE, Archipel Luigi Nono, Artline Films et La Sept, 1988.
81
Ibid.

13
In un altro punto del documentario, davanti alla sua casa della Giudecca, Nono parla di ciò
che significa per lui il silenzio, che non è il vuoto, ma che è l’insieme di piccoli suoni, di piccoli
rumori, di voci lontane che arrivano da punti diversi e che si riflettono sull’acqua. Un silenzio nel
quale riascolta le voci delle figlie, degli amici di un tempo, di Bruno Maderna, Karlheinz
Stockhausen, Claudio Abbado, degli studenti di Nanterre e di Berlino, di Rudi Dutschke, di
Marcuse. «In questo giardino — dice Nono — abbiamo giocato come matti».82 E poi prosegue,
descrivendo le caratteristiche di quello spazio sonoro.

Quindi c’è la varietà del suono, la varietà della qualità e la combinazione, la composizione nello spazio,
sull’acqua, dei muri, delle riverberazioni, delle gibigiane... È tutto questo che crea veramente, secondo
me, un pensare la musica in modo totalmente distinto dalla musica tecnica, dalla musica accademica, ma
il sentirla veramente come elemento di vita, elemento dell’orecchio, elemento dell’anima, della
pulsazione, dei sentimenti... Dei sentimenti vivi... in quella che va chiamata la magia, la vera magia, il
vero mistero di questo spazio veneziano.83

5. Presenza di Luigi Nono.


C’è un bel libro di Martine Cadieu, libro di ricordi e di amicizia, Présence de Luigi Nono,84
che tratteggia un ritratto delicato e vivo del compositore veneziano, che vi appare nel duplice
aspetto di uomo e di artista. Seguendo il filo rosso delle opere principali, ma basandosi anche su
numerose lettere che Nono le aveva indirizzato nel corso degli anni, l’autrice, critico musicale che
seguì per dovere professionale le principali tappe della carriera artistica noniana, riprecorre nel suo
libro il cammino di una coscienza musicale davvero singolare, incapace di separare l’arte dalla vita.
A ben vedere, questo libro potrebbe costituire, da solo, la fonte per la sceneggiatura di un film su
Nono. E ciò non soltanto per la quantità di fatti notevoli, nella vita del compositore veneziano, ma
anche e forse soprattutto per l’attenzione dell’autrice a particolari ‘cinematografici’, come il timbro
delle voci, le ‘inquadrature’, le luci, i colori.
A proposito dello spazio veneziano, per esempio, nel libro della Cadieu si legge di un
progetto, ma più che altro era un sogno, di Nono e Maderna, quello di utilizzare tutta Venezia come
uno strumento musicale: i campanili, le campane, con altoparlanti, nastro magnetico dal vivo, per
fare una musica che fosse lo spazio sonoro delle campane.

Perché le campane non vanno in una direzione unica. E c'é l'acqua... Talvolta c'è la nebbia, che smorza il
suono, talvolta il vento porta [il suono del]le campane lontano. Nella nostra casa, alla Giudecca, si
possono ascoltare delle voci molto pianissimo che si trovano a cinquecento metri; c'è gente che parla o
canta e la si sente molto chiaramente. Ci sono tutti questi segnali acustici, le campane, i rumori dei
vaporetti, i rumori dell'acqua contro la pietra o sotto i ponti, il rumore dei passi... Quando si passeggia, tu

82
Ibid.
83
Ibid.
84
MARTINE CADIEU, Présence de Luigi Nono, Pro Musica, Isles-lès-Villenoy 1995.

14
conosci bene Venezia, accade che si sentono delle cose misteriose, come se, laggiù, ci fossero dei vetri
che rimandassero l'eco.85

I possibili spunti per la sceneggiatura dell’ipotetico film noniano sono numerosissimi, in


Présence de Luigi Nono. Fin dal primo capitolo, intitolaro «Clair-obscur»,86 fin dalle prime righe,
che ci propongono immediatamente un flashback:

L’8 maggio 1990, Luigi Nono muore a Venezia, dopo una lunga malattia. Un amico me lo dice, in un
corridoio della Radio. A un tratto mi sento svuotata, da dentro. Rivedo il suo viso scavato, i suoi occhi.
Sento la sua voce flebile.
Questa voce nelle conversazioni – che si mandano in onda immediatamente, come per prolungarla,
ricordarla, non cessare di ascoltarla – era fatta di passioni contenute, di impulsi e di ripiegamenti. Nono
custodiva il suo segreto, anche quando parlava dei Gabrieli, di Malipiero o di Maderna.
Avevamo intitolato quelle trasmissioni […] Viva Venezia!87 Il silenzio e i suoni di Venezia, l’isola
immaginaria, i canti del ghetto… tutto appariva e si cancellava, velato e svelato dal vento sulla laguna.
Ascoltavamo ancora una volta questa parola così buona e piena di calore.88

Martine Cadieu ricorda l’interiorizzata musica di Nono, ora violenta ora nostalgica,
caratterizzata dalle grida di Intolleranza e dalle lontananze del Prometeo, la sua sete d’amore, il
lento cammino verso la serenità, il soffio calmo, l’aria rarefatta, il viaggio verso l’altrove…
Ricorda i numerosi incontri, spesso fugaci, in occasione delle prime esecuzioni di musiche noniane,
le collaborazioni, le lettere. E ricorda l’ultimo incontro vero, nella sua casa parigina, nell’autunno
del 1982.

Luigi viene a cena da noi. È una vecchia casa del XVII secolo, nel Marais. Ci sono delle vetrate artistiche
alle finistre. C’è una luce, chiaroscuro, che ricorda le pitture fiamminghe. A lui piace quella luce. Fuori è
grigio. Non accendiamo nessuna lampada. Lui sta bene, parla volentieri, con una voce calma. […]
Mi porta sempre qualcosa: un dolce in una bella scatola che mi lancia come un bambino lancia una palla,
un disco con una dedica scritta in fretta, con impeto. Ma questa volta è un libro e il dono è serio. Si siede
vicino a me, apre la prima pagina. La dedica — lettere distanziate, che volano sul bianco — è stata fatta a
Lille, dove si eseguiva il terribile Diario polacco e dove ci eravamo appena intravisti. Firmata «Gigi».
Serio, perché questo libro sembra la chiave dell’ultimo tratto di strada: Pavel Florenskij, La prospettiva
rovesciata.89 «Devi leggerlo. Vedrai. Devi. Poi mi dirai». […]
Allora si diceva che Nono fosse ‘cambiato’. La sua musica si era spogliata. Le grida avevano taciuto,
forse in apparenza Nono guardava altrove. L’acqua e il cielo s’invertivano. […] Luigi, nel chiaroscuro,
giallo scuro e blu aurora, mi parla del viso piatto delle icone, dello sguardo del Cristo, delle orecchie
piatte a entrambi i lati della figura, come due larghe foglie, sempre in ascolto.90

Poi, un nuovo flashback, Venezia negli anni Sessanta, con Malipiero appena intravisto — «un
mantello sulle spalle, che cammina sdegnosamente»91 —, Gigi che cammina a grandi passi, con le

85
Ivi, p. 47. La traduzione, come anche in seguito, è mia.
86
Ivi, pp. 7–11.
87
In italiano nel testo.
88
CADIEU, Présence, p. 7.
89
PAVEL ALEKSANDROVIČ FLORENSKIJ, La prospettiva rovesciata e altri scritti, a cura di Nicoletta Misler, Gangemi,
Roma 1983.
90
CADIEU, Présence, pp. 9–10.
91
Ivi, p. 13.

15
braccia ciondoloni e che si ferma a parlare con Ezra Pound, vecchio e malato, che fa spingere la sua
carrozzella fino al bordo della fondamenta, e rimane lì tutto il giorno, a respirare l’aria del mare, a
contemplare le grandi navi che passano fra la Giudecca e le Zattere. Dall’altra parte del canale si
vede Emilio Vedova. «Il vento — scrive Martine Cadieu — porta le parole, i suoni, le ombre da una
riva all’altra».92 Pranzo e casa Nono, con Nuria, Silvia e Bastiana. Gigi si accalora, parlando di
politica, di un compagno comunista che tratta da ‘borghese’, «come i comunisti francesi!».93 Nuria
racconta che Gigi, ricevuto a casa di una mecenate nobile e ricca, alla fine di un pranzo, durante
una discussione animata, a un certo punto, con un gesto brusco, tira la tovaglia ricamata che copriva
il tavolo e fa volare porcellane e bicchieri di cristallo di Boemia.94
Martine Cadieu parla delle principali opere di Nono, traducendone in francese i titoli in
italiano, spagnolo, tedesco, portoghese, intrecciandone la descrizione, le problematiche, i testi con
importanti dati biografici e artistici: il lirismo di Nono, il suo impegno, il suo isolamento.
Gli incontri, per esempio: Malipiero, Maderna, Scherchen, Pestalozza, i compagni
dell’America Latina, Cacciari. I vagabondaggi da un paese all’altro, soprattutto quelli in cui gli
uomini si rivoltano contro il potere. La scoperta, su un muro di Toledo, di una vecchia iscrizione
che diventerà il ‘tormentone’ dell’ultimo Nono e che marcherà indelebilmente tre opere degli ultimi
anni: «No hay caminos, hay que caminar».95 Quanto alle opere, la Cadieu lo scrive chiaramente: «I
titoli stessi delle opere di Nono, sino a questa data (1960) tracciano il primo abbozzo di un ritratto,
già ben definito; le atmosfere della sua ricerca, della sua vita tra pessimismo e speranza, fra il
dolore e l’amore. […] Già i poeti: Lorca, Pavese, Ungaretti, Machado, Eluard, Neruda. Altri
verranno…».96 Lo scandalo di Intolleranza 1960, La fabbrica illuminata, Como una ola de fuerza y
luz, Un volto, del mare, Al gran sole carico d’amore, Prometeo.
Il libro di Martine Cadieu offre tanti spunti diversi che lo sceneggiatore del film su Nono potrà
scegliere a piacimento. Ma c’è uno dei capitoletti in cui il libro è diviso che mi pare racconti un
fatto poco noto, perché privato, quasi, capace di illuminare da un’altra angolazione la figura di
Nono. «Un giorno — racconta Martine Cadieu — Luigi inventa la festa. Ha noleggiato un grande
barcone ed ecco, come al tempo del monaco Banchieri: il battello dei musicisti, da Venezia a
Padova. Invitati: Petrassi […], Dallapiccola, Maderna, Gazzelloni, Vedova, Pestalozza, Adriana
Martino».97 Ci sono anche Cristina Maderna, Nuria e Martine Cadieu, ovviamente. Nono e

92
Ivi, pp. 13–14.
93
Ivi, p. 16.
94
Ibid.
95
Ivi, pp. 159–162.
96
Ivi, p. 27.
97
Ivi, p. 65.

16
Maderna, seduti a prua, ascoltano il dolce fruscio dell’acqua, guardano le isole, con i loro cipressi e
i loro campanili. Si pranza a Burano.

Settembre, il mese della Biennale; l’aria ancora calda, l’odore di pesce. Sulla tavola, le caraffe di vino,
con un velo di vapore sui fianchi. Il battello era ormeggiato lungo la fondamenta. Non so che cosa si
festeggiava. Senza dubbio niente. Se non l’amicizia e i sogni. La festa era improvvisata. […] A bordo, si
suonava il liuto, si beveva, si raccontavano storie. […] Quel giorno, quel pomeriggio, si rideva di
Maderna. Cristina si stringeva a lui con l’aria di un bambino geloso. Intorno a Nono c’era invece serietà.
Pestalozza parlava delle voci dell’Africa, dove andava spesso. Nono delle voci andaluse, dei canti
ebraici. […] Emilio Vedova era appena arrivato. Lo seguimmo lungo la fondamenta. Si prese
nuovamente il mare. […]
Il ritorno sul battello dei musicisti è calmo. Un tramonto trattenuto, pudico. In lontananza, i campanili di
Torcello e di San Francesco del Deserto, inclinati. Un acquerello».98

6. Il viaggio in Transiberiana.
I due volumi che raccolgono gli scritti e i colloqui di Luigi Nono99 sono certamente la fonte
principale alla quale attingere per il film noniano. Soprattutto le interviste, costituiscono una sorta di
diario del compositore, che consente di seguirlo nella sua evoluzione, nei momenti più drammatici
della sua esistenza. Oltre agli scritti che introducono le composizioni, nei quali Nono quasi sempre
condensa, distilla le ragioni, poetiche e umane, che lo hanno indotto a scrivere quel pezzo e che lo
hanno guidato lungo la composizione. Io mi limito, qui, a ricordare il bellissimo Colloquio con
Toru Takemitsu,100 che ebbe luogo durante un pranzo ufficiale, nel corso del viaggio in Giappone
compiuto nel novembre 1987 in occasione della prima esecuzione di «No hay caminos. Hay que
caminar»… Andrej Tarkowskij (Tokyo, 28 novembre1987), con la collaborazione di un’interprete,
visto che Nono parlava in italiano e Takemitsu in giapponese. Il testo del colloquio è interessante
per diversi aspetti, soprattutto culturali e umani, per i numerosi argomenti affrontati e per la
presenza, al pranzo, di una donna, che nel testo pubblicato non prende la parola, ma che si intuisce
sia molto importante per Nono che a un certo punto dice: «siamo molto felici di essere insieme a
Tokyo con voi…»,101 inducendo Takemitsu a replicare: «Mi attrae il carattere degli italiani! […]
Intendo dire, questo temperamento italiano […] la vostra considerazione per l’amore, l’amore
umano, e il modo di goderlo fino in fondo, eccetera… Io sono troppo invidioso degli tialiani! Noi
tutti vogliamo fare come voi, ma non ne abbiamo il coraggio!».102
Ma ciò che soprattutto mi pare notevole, e, direi, veramente cinematografico, in quel
colloquio, è il racconto che Nono fa del suo viaggio ‘cerimoniale’103 verso il Giappone, servendosi

98
Ivi, pp. 65–69.
99
NONO, Scritti e colloqui.
100
Ivi, II, pp. 434–445.
101
Ivi, p. 443.
102
Ibid.
103
Così lo definisce Toru Takemitsu. Ivi, p. 435.

17
della ferrovia Transiberiana, attraversando paesi sconosciuti e diverse culture, per avvicinarsi
lentamente alla cultura giapponese.

Nella Siberia mi ha accompagnato Dostoevskij; sono passato per i paesi dove i decabristi sono stati
mandati in esilio e assassinati. E ho visto una civiltà antica, contadina, non toccata dal mondo industriale.
Colori… Ho ‘sentito’ colori bellissimi, della natura. I bianchi delle nevi, dei ghiacci, dei fiumi. I bianchi-
azzurri, bianchi-celesti, bianchi-lapislazzuli; i gialli, i neri, i colori delle case di legno; i colori del cielo; i
tramonti. […] Nel viaggio che ho fatto ho avuto vari tempi contrastanti… contrastanti nel senso dei tempi
di incanto della natura, dei momenti molto difficili per me… soggettivamente. Momenti di assenze e di
presenze di voci che mi sono… soprattutto di una voce che mi è molto cara. Cioè ho sentito molta
solitudine, però nel senso di un viaggio di altri tempi, quando si partiva senza sicurezza… difficoltà di
comunicazione… I tempi che si sovrapponevano tra un certo passato immediato, la realtà dei giorni che
vivevo, i tempi storici della Siberia che mi ritornavano come storia; il desiderio mio di non essere solo,
ma di essere con la persona amata… […] Sì, lei ha parlato di ‘cerimoniale. Per me questo viaggio è stato
anche un cerimoniale in un senso antico, tra il desiderio di qualcosa di nuovo e il sacrificio per fare, per
portare avanti questo desiderio di trovare altre cose. Solitudine nel senso proprio di sacrificio di essere
‘lontani da’, per poter a Tokyo poi ritrovare un’altra… altri incontri, anche con la persona amata;
superando momenti di sacrificio, di cerimonialità, di difficoltà e nello stesso tempo di grandi aperture, di
grandi speranze.104

7. Il finale.
Al finale potrebbe condurre l’inizio di Archipel Luigi Nono, in cui Nono viene inquadrato di
spalle mentre cammina in una strettissima calle veneziana e mentre la sua voce recita il breve testo
già ricordato che fu molto importante per lui negli ultimi anni di vita: «Caminantes, no hay
caminos, hay que caminar».105 Di questa frase, che divenne una sorta di ‘motto’, per l’ultimo Nono,
il compositore parla nel testo introduttivo a 1°) Caminantes…. Ayacucho, per contralto, flauto,
piccolo e grande coro, organo, tre cori [gruppi orchestrali] e live electronics, su testo di Giordano
Bruno (1986–87).

A Toledo, en el Andaluz, sul muro di un monastero francescano, si legge: “Caminantes / no hay caminos
/ hay que caminar” “Viandanti / non ci sono strade / si deve camminare”. Allora, circa nel XIII sec., nel
XV fino al XVI sec., e ancora fino a oggi: il viandante attraverso strade sconosciute, con sforzi innovanti
— proposte, esperimenti che si ampliano, attraverso conoscenze, improvvise illuminazioni — gnosi —
spazio infinito, fino ad altre sorprese spesso inaudite — scoperte — sentimenti — natura —106

Le fonti, per gli ultimi mesi della vita di Nono, dal ritorno ad Alghero dopo i corsi di
Avignone, nell’estate del 1989, accompagnato in automobile al porto di Genova da Alvise Vidolin,
sino alla morte, avvenuta nella casa natale delle Zattere, l’8 maggio 1990, sono esclusivamente
orali, i racconti di Nuria e degli amici veneziani.107 Ma un paio di fonti scritte ci consentono di farci
un’idea delle condizioni psicologiche del Nono prima gravemente ammalato e poi morente.

104
Ivi, pp. 435–436.
105
MILLE, Archipel Luigi Nono.
106
NONO, Scritti e colloqui, I, p. 499.
107
TRUDU, La voce del mare.

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Mi riferisco, in primo luogo, a una serie di tre cartoline che Nono spedì a Helmut Lachenmann
in una busta il 15 aprile 1990, poche settimane prima della sua morte, dunque. In quelle tre
cartoline, come è solito fare in quel periodo, Nono accumula, giustappone verbi, sostantivi,
aggettivi, avverbi, preposizioni, in un fantasticare sognante nel quale parla all’amico lontano di
parole, di silenzio, di parole e di silenzio, di «tacere con parole […] volare con pensieri […]
ascoltare […] mare — pesci — nuvole — mare profondo […] sogno sempre oltre […] sempre
nuvole giapponesi […] sempre oltre sempre amore […]».108
L’ultimo documento è un telegramma che Nono scrive lo stesso 8 maggio in cui muore.

Il musicista giace, ormai quasi morente, nel suo letto, nella sua casa veneziana, assistito dalla moglie. In
un momento di lucidità le chiede che gli porti la sua ultima opera,109 alla quale vorrebbe dare gli ultimi
ritocchi. Chiede che la finestra della sua camera, che dà sul canale della Giudecca, sia aperta: gridi di
gabbiani, rintocchi di campane, il suono di una sirena lontana, lo sciabordio dell’acqua, il ronzio dei
motori di imbarcazioni diverse, le voci degli operai di un vicino cantiere e i rumori del lavoro invadono
la stanza. […]110

Quello stesso giorno, Nono scrive di suo pugno un telegramma a Václav Havel, presidente
dell’Assemblea Federale cecoclovacca:

LIBERA CULTURA PENSIERO RICERCA DA KAFKA A CHIESA CECOSLOVACCA ANCHE SE


SPESSO VIOLENTATA MORTALMENTE RESTA VITALISSIMA COME CHARTA 77 FORTE
ESEMPIO CHE CI FA ARDERE CON GLORIOSO POPOLO CON SUO CREATIVO PRESIDENTE
REPUBBLICA HAVEL STOP
SIETE NEI CUORI NELLO SPIRITO DI MOLTISSIMI ANCHE DI LUIGI NONO VENEZIA 111

Il film, però, potrebbe non concludersi con la morte del compositore, ma con una sorta di
postludio, come accade in chiusura della già ricordata «prova di ritratto» di Giovanni Morelli: una
esecuzione di quello che è certamente uno dei capolavori noniani, Il canto sospeso, per soprano,
contralto, tenore, coro misto e orchestra, su testi di condannati a morte della Resistenza europea
(1955–1956). Parlando dell’ascetica sobrietà delle ultime composizioni, a partire dal Quartetto nel
quale passa senza parole l’ombra di Diotima e di Hölderlin, Martine Cadieu afferma che «tutto ciò
era già scritto nel Canto sospeso, tanto tempo prima, quando Gigi ascoltava le campane che si
rispondevano e il vento che correva sulla laguna e al di là dei suoni e delle voci, i lamenti sobri e
strazianti delle lettere dei deportati».112

108
Alla ricerca di luce e chiarezza, pp. 167–168. La maggior parte delle parole citate sono scritte da Nono in lettere
maiuscole.
109
«Hay que caminar» sognando, per due violini (1989).
110
TRUDU, La voce del mare, p. 261.
111
NONO, Carteggi concernenti politica, pp. 281–282.
112
CADIEU, Présence, p. 11.

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Come ha ammesso lo stesso Nono113 e come ha opportunamente sottilieato Morelli, nella
scrittura del Canto sospeso sono presenti in grandissima quantità eventi musicali tipici di un
«progetto impossibile».114 Sfide aperte all’udibilità o alla eseguibilità fisica dei ‘segni’ noniani.
«Appunto — scrive Morelli — i pianissimi e i fortissimi sincroni (pertanto inapprezzabili), i
sovraccarichi di determinazioni di sonorità irraggiungibili, le prescrizioni di relazioni intervallari
timbriche e dinamiche non sostenibili nel tempo reale della esecuzione».115 Sono tutte quelle cose,
quegli ‘errori’ che molti anni più tardi avrebbero indotto Nono a cercare e a trovare nel live
electronics il mezzo per realizare gli «altri suoni», per permettere gli «altri ascolti» ai quali mirava,
per raggiungere gli «infiniti possibili» ai quali aspirava. «Solo molto dopo — ha ammesso Nono —
ho capito che sotto questo problema urgeva in me una pratica spaziale. Avrei avuto bisogno, allora,
che il forte fosse da un lato di una sala, e il piano da un altro, in modo che si potessero combinare e
sentire perfettamente. Anche da questo piunto di vista Il canto sospeso contiene ancora ‘misteri’
compositivi nascosti, e tuttora non analizzati e non analizzabili».116
Invece, quasi quarant’anni dopo la composizione del Canto sospeso e alcuni anni dopo la
morte del suo autore, accadde un fatto che per Morelli «inciderà nella formazione del ritratto di
Nono dopo-Nono da consegnare alla Storia della musica».117 Si tratta di un CD118 — «un
monumento interpretativo»,119 lo definisce giustamente Morelli — che riproduce senza alcuna
alterazione correttiva tecnologica l’esecuzione in concerto, avvenuta a Berlino il 9 novembre 1992,
da parte dei Berliner Philarmoniker «in stato di grazia miracolosa»120 e guidata da un Claudio
Abbado che «compie il miracolo di risolvere tutti, proprio tutti, i problemi ascritti alla leggentaria
“impossibilità” del testo».121
Con un frammento di quella esecuzione che «realizza l’inaudibile»,122 con quel
«capolavoro»123 e con qualche significativo frammento dei testi — Abbado li volle recitati
interamente da Bruno Ganz e Susanne Lothar124 in due momenti distinti, prima dei due episodi
orchestrali — da far proseguire anche sui titoli di coda, potrebbe chiudersi il film su Luigi Nono.

113
NONO, Scritti e colloqui, II, p. 511.
114
MORELLI, Una prova di ritratto, p. 136.
115
Ibid.
116
NONO, Scritti e colloqui, II, p. 511.
117
MORELLI, Una prova di ritratto, pp. 136–137.
118
LUIGI NONO, Il canto sospeso, CD Live Recording, Sony Classical, SK 53360 DDD, 1993.
119
MORELLI, Una prova di ritratto, p. 137.
120
Ibid.
121
Ibid.
122
Ibid.
123
Ibid.
124
Questa magnifica esecuzione è stata utilizzata per LUIGI NONO, Il canto sospeso, DVD Video edition EU 2004 della
Fondazione L’Unione Europea Berlin, con una prefazione di Umberto Eco. Accando all’edizione tedesca dei testi,
recitati da Susanne Lothar e da Bruno Ganz, il DVD presenta anche la versione italiana, in cui i testi sono recitati da
Angelica Ippolito e da Gian Maria Volontè, e quella inglese, con i testi recitati da Ben Kingsley.

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