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Cos è il management?
Gestione d’impresa attraverso professionisti (manager ma non soltanto) specializzati in ruoli (di connessione di governo se
si tratta del manager) atta ad integrare le attività di direzione e controllo da parte dell’imprenditore.
Il management è un arte e non una scienza = nel senso che non è riproducibile, ogni volta bisogna adattare le proprie
decisioni e ricerche al contesto di riferimento rispetto a quel momento con tutte le variabili. Nel senso che non è una
scienza esatta, non c’è nulla che garantisce quel risultato. Ma è
comunque una scienza —> una scienza sociale che riguardano
l’uomo, le persone e la società.
STORIA DELL’IMPRESA
L’impresa era definita come impresa-soggetto, ovvero un soggetto che crea un’impresa quindi parlare di imprenditore o
impresa era la stessa cosa, non si potevano distinguere. Il fine di Mario Rossi Idraulico è portare a casa i soldi e
corrisponde al fine della sua impresa. La finalità dell’impresa-soggetto è il profitto.
Un giorno il figlio vuole fare parte dell’attività. Il figlio potrebbe diventare un socio che ha interesse che l’impresa cresca -
diverso da quello del padre.
Esiste nella realtà questa impresa? No perché ce razionalità intersoggettiva, ovvero nel momento delle decisioni si deve
tener conto di più soggetti chiamati STAKEHOLDER = portatori di interessi interni ed esterni (fornitori hanno interesse
che l’impresa cresca cosi compreranno più da loro/ investitori hanno interesse che l’impresa lavori cosi da avere ritorno
economico/ clienti hanno interesse di acquistare il prodotto migliore al prezzo più basso / Stato ha interesse nelle imprese,
vuole lo sviluppo economico del paese la loro salute fa si che il popolo viva bene, lavorare… se cosi non fosse, non c’è
lavoro lo stato interviene con i sussidi nell’altro modo non deve farsene l’onere perché le famiglie sono autonome/ la
comunità locale ha interesse che non inquini, che assumi persone, che sappia produrre ciò che effettivamente serve alla
società)
-> questi sono tutti stakeholder e l’impresa deve tenere in conto di tutti i loro vari interessi -> l’impresa non può essere
sganciata dalla società altrimenti muore.
Oggi si parla di razionalità limitata a cui sottostanno tutte le imprese: non è possibile prendere decisioni ottime con
razionalità assoluta, ma limitata al numero di variabili, al momento e al tempo a disposizione.
Oggi quindi si parla di impresa-sistema che è cognitivo(apprende e matura continuamente), complesso (formato da più
parti che interagiscono tra loro), gerarchico (composto da tante parti che interagiscono, nel senso che ci sono iter, processi
sequenziali) e autopoietico (evolve a partire da se stesso, ogni impresa è diversa dalle altre, ha nascita che condizionerà la
sua evoluzione).
=> la finalità può essere ancora, data l’impresa-sistema, considerata la massimizzazione del profitto?
Cos’è il profitto? È diverso dal guadagno che è la differenza tra i ricavi (ciò che entra grazie alla vendita) e i costi (uscite
economiche a fronte del pagamento dei fattori produttivi - fornitori, personale, materie prime…). Se questa differenza è
positiva (ricavi superiori ai costi) ho un guadagno.
Se ho un guadagno potrei avere un profitto. Di questo guadagno una parte la si investe di nuovo nell’impresa (capacità
produttiva) per crescere mentre un’altra parte diventa profitto che è quindi la parte del guadagno che l’imprenditore si
tiene per sé.
Come rispondere allora? Per dare una risposta bisogna capire meglio perché esiste questo profitto, se l’impresa è un
sistema perché dovrei preoccuparmi del profitto? Perché una parte del
guadagno deve finire a profitto?
Esistono 4 ragioni:
• l’imprenditore scegliendo di esserlo si assume un rischio economico,
legale, quindi rispetto a un dipendente. Risponde dell’andamento
dell’impresa quindi è giusto che se le cose vadano bene abbia un
ritorno.
• l’imprenditore è colui che ha avuto l’idea, che continua ad averne, che
porta innovazioni per lo sviluppo della società. Se non ci fosse
evoluzione non ci sarebbe lo sviluppo della società.
• l’imprenditore svolge un’attività quotidianamente e per questo ha uno
stipendio, a fine anno ha un profitto per aver organizzato i fattori
produttivi e lo fa anche al di fuori dell’orario prettamente lavorativo.
• risultato dell’imperfezione del mercato - si dice che il mercato è
imperfetto = le info di mercato non fluiscono in modo omogeneo ed equo tra tutti soggetti che fanno parte di quel
mercato => qualche impresa ha informazioni in più rispetto ad altre => si muoverà meglio, avrà dei vantaggi.
Posizioni monopolistiche = forme di mercato in monopolio, forma dell’economia dove per un determinato prodotto c’è
solo un’impresa che lo produce e se ne occupa (nelle economia sviluppate non ci sono quasi più è rimasto ad esempio il
monopolio di stato nella vendita delle sigarette) => ci sono poche imprese che possono fornire un determinato
servizio/prodotto.
=> quell’impresa avrà un titolo per ricevere un extra profitto: l’ imperfezione del mercato ha come conseguenza
l’acquisizione di posizioni monopolistiche e => ad ottenere per questo un extra profitto.
*(mercato = raggruppamento di imprese che producono un prodotto e soggetti reali o potenziali che lo comprerebbero)
Dunque è giusto che ci sia un profitto per le imprese poi possono esserci discussioni sulla quantità.
Prima di rispondere alla domanda bisogna considerare o LIMITI ALLA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO: alcune
decisioni non si prendono per massimizzare il profitto ma per resistere anche domani.
La massimizzazione del profitto comporta una rischio (faccio fare i palloni da calcio ai bambini pakistani perché costa
meno ma a rischio di essere scoperto). Si cerca si un profitto però è sbagliato dire che la finalità dell’impresa sia la
massimizzazione perché bisogna tener conto dell’orizzonte temporale, allora la finalità dell’impresa-sistema è si il profitto
ma accontentando gli stakeholder e posso farlo con la crescita. Se l’impresa cresce sono tutti più contenti.
Nella crescita dell’impresa si riesce ad accontentare tutti gli stakeholder mantenendo come finalità la ricerca del profitto.
Questo comporta fare anche scelte che non mi diano subito profitti (non seguono la massimizzazione del profitto) ma lo
fanno per un profitto a lungo termine.
=> quindi la finalità non è sempre e comunque la massimizzazione del profitto ma deve essere considerata la CRESCITA
(sviluppo dimensionale) dell’impresa tra cui rientra anche la ricerca del profitto perché altrimenti non sarebbe tale.
Cosa significa che un’impresa cresce? O cos’è che ci dice che un’impresa è più grande di un’altra?
Il numero dei dipendenti e il fatturato perché sono facili da trovare (fruibili) e perché sono indicatori facilmente
interpretabili (facili da leggere). Come si misura la dimensione di un’impresa? 4 parametri
1) Parametri economici: (misurano il valore)
- FATTURATO —> uno dei più utilizzati perché è immediato e facilmente comprensibile e facile da trovare. Ha dei
limiti: 1) es. Bauli - core business: dolci natalizi - vacanze a cavallo tra 2 anni, periodo massimo di vendite quindi non
fa il bilancio a fine anno, come scuole. => non confrontare i bilanci di archi temporali diversi. 2) metto a confronto Aia
e Volkswagen: quanto fatturo con un petto di pollo e con una golf? => non posso confrontare due realtà aziendali cosi
diverse nell’essenza.
- VALORE AGGIUNTO —> dice qual è il valore che quell‘impresa aggiunge rispetto a ciò che c’è già nel nostro
sistema economico. es. A e B vendono televisori. B importa e vende made in China. A produce e vende. A allora è più
grande (laboratori, magazzini ,impiegati..) ma il fatturato questo non ce lo dice, questa differenza me la dice il valore
aggiunto = output (fatturato/ciò che vendo) - fattori di input acquisiti dall’esterno (materie prime che io non
produco ma acquisto mentre il personale è sì fattore di input ma non dall’esterno perché sono io che creo valore
aggiunto ). Valore che viene utilizzato poco perché è meno facilmente reperibile, inoltre le imprese cercano di non farlo
sapere perché è un dato sensibile.
*(fatturato = ciò che vendo e la sua quantità moltiplicato per il prezzo di vendita)
4) Parametri organizzativi: (organizzazione dal punto di vista del numero degli addetti)
- NUMERO ADDETTI —> come fatturato numero facile da reperire e facile da valutare. In base a questo si dividono in
grande, piccola e media. Chi sono gli addetti? Fino a poco fa erano solo chi aveva un contratto a tempo indeterminato.
Questo modo ci da fotografia poco corretta, esiste una variabilità di contratti atipici molto grande. Quindi oggi si
conteggiano più forme contrattuali. Considerando che ci sarà poi sempre il lavoro in nero. Eppure mi serve sapere
quante persone lavorano anche se non hanno un contratto => primo problema. Inoltre, non posso confrontare aziende di
settori diverse (vestiti - 500 persone, ristoranti - 40, macchine - 100.000).
Altro problema: il numeri degli addetti è conseguenza della scelta delle aziende di come svolgere il processo
produttivo: o produco labor intensiv (investo nel lavoro dei dipendenti) o capital intensiv (investo in macchinari..) =>
questo indicatore non mi dice quale processo è stato scelto.
Qual’è il migliore? Non esiste uno ideale ma dipende dal motivo per cui sto misurando la dimensione e sulla base di questo motivo
sceglierò quello più opportuno.
Mancano da calcolare le RISORSE INTANGIBILI (quelle tangibili = misurabili sono es. il fatturato e tutti gli altri).
Oggi le imprese funzionano sulla base di entrambe queste risorse, senza quelle tangibili le imprese non esistono ma anche
quelle intangibili, che mi permetto di far crescere l’impresa.
Ogni impresa si crea le sue e il risultato dell’impresa dipende dalle risorse intangibili. Sono investimento necessario.
A. Cosa sono? —> valore dei dipendenti, conoscenza/sapere nel senso più ampio, fiducia dei clienti, ambiente lavorativo,
il brand che aggiunge valore economico lavorando su aspetti intangibili - rappresenta un’idea/ status symbol - se
compro una maglia Versace non cerco la maglia tangibile ma lo status, ciò che rappresenta (es. Audi, Apple…), le
routine (conoscenza del funzionamento di determinati processi all’interno dell’impresa, tutti i passaggi da fare -
sarebbe ideale avere una routine per ogni processo per lavorare meglio, essere più sereni e aver un maggior livello di
certezza e fa risparmiare tempo).
Es. Dipinto Gauguin nel tempo se guardo gli aspetti tangibili magari si è anche deteriorato ma se guardo gli aspetti
intangibili è i valore del periodo storico, del pittore e della sua reputazione che fa aumentare il prezzo - è la parte
intangibile che ne determina il valore. Sono intangibili ma concrete
perché fanno la differenza.
B. Caratteristiche:
• L’ imprenditore è il soggetto economico che ha fatto nascere l’impresa e rappresenta l’aspetto innovativo/creativo, è
colui che continua a ricrearla ogni volta, rilanciando sempre nuovi progetti. Ha la cosiddetta distruzione creatrice:
distrugge il presente per creare qualcosa di nuovo.
• Il manager è il gestore dell’impresa dal punto di vista più puntuale e meticoloso con focus sui processi di gestione, dal
punto di vista economico, che lavori in un equilibrio economico-finanziario nel realizzare le idee innovative
dell’imprenditore. *(Gestisce input e output = costi e ricavi)
L’ideale sarebbe che questi soggetti fossero due soggetti diversi, la realtà di oggi è che oggi sono la stessa persona.
Problema quando sono nella stessa persona: ognuno di noi ha una tendenza più a uno o all’altro. In questo caso l’impresa
dove sono la stessa persona e la persona è più imprenditore è a rischio la parte economica, se fosse il contrario avremmo
un’impresa sempre in equilibrio finanziario però ferma, che non si innova.
Per l’impostazione mentale italiana il padre “l’imprenditore” non delega, è suo e vuole il potere. Esiste oggi il temporary
manager che entra in azienda per un breve periodo, osserva, aiuta a migliorare poi va via. In questo modo prepara
l’impresa all’ingresso di un manager permanente, cambiando la mentalità.
Posso essere entrambi, nessuno o uno e non l’altro. A questi due incipit si abbinano i due soggetti cosi che ognuno abbia
la sua responsabilità, con due persone diverse ho una specializzazione migliore per ognuno dei due campi.
L’efficienza si può misurare da un punto di vista tecnico (eff. tecnica) —> produttività = rapporto tra i fattori fisici (es.
prodotti ottenuti diviso ore di lavoro).
L’efficienza calcolata dal punto di vista economico —> economicità = al numeratore ho i prodotti in termini di valore (1
prodotto x tot. €) fratto costo delle ore di lavoro (costo di un’ora di lavoro).
Ambiente è il contesto generale all’interno del quale l’impresa agisce = insieme di attori e condizioni (vincoli e
opportunità). Si divide in:
Ambiente interno —> interno all’impresa attori che stanno dentro e condizioni di base interne all’impresa;
Ambiente esterno —> attori e condizioni che stanno all’esterno che influenzano l’impresa.
CHI NE FA PARTE?
Di base l’ambiente è oggettivo, le leggi sono quelle e devo rispettarle (per aprire devo avere autorizzazioni) ma poi ha
componenti soggettive -> capacità di starci dentro e di muoversi (es. modo in cui vivo l’ambiente, colgo le opportunità,
evito le minacce, prendo le mie decisioni).
=> è sempre più COMPLESSO —> cercare di leggere e fronteggiare questa complessità e assumere le decisioni
necessarie per poter lavorare in questo ambiente complesso. L’obiettivo dell’impresa è produrre internamente
incrementare le conoscenze (risorse intangibili), più ne ho meglio posso fronteggiare questo ambiente. Rispetto alla
complessità devo cercare di avere sempre più conoscenza per giocarmi al meglio quella soggettività.
1. Varietà e variabilità della domanda (* insieme dei soggetti acquirenti del mio bene o del mio servizio): varietà = la
richiesta è varia, ovvero richiede stesso prodotti in più versioni, gamma di prodotti differenti variabilità =
fattore legato al tempo, che continua a variare. Le imprese rispondono in
modi diversi da estrema offerta di personalizzazione (Nike-> fai scarpe come vuoi) all’offerta a colore di Benetton.
*(rivoluzione Benetton -> filiera produttiva = parto dal filato, coloro, produco maglia, confezione e vendo. Cosi ogni negozio
doveva vedere tot. Colori, tot. Numero di taglie per ogni colore, tot. Modelli per ogni maglia - tutto ciò per venderne uno- il
negozio aveva avanzi di costi di magazzino incredibili. Non funziona. Benetton dice coloro alla fine della produzione, prima vedo
la domanda - se il verde non lo vuole nessuno non lo faccio più, faccio solo rosso perché la domanda vuole quello. Cosi tengo
meno prodotti in magazzino- riduzione dei costi. Oggi tutti quelli che si occupano di questo fanno cosi, tranne se compro un
prodotto di qualità superiore (colorano il filato prima), colorano il prodotto finito.).
Alla varietà le imprese possono rispondere ma ci vogliono persone competenti e innovative.
2. Autopropulsività della domanda: mondo del fashion -> ogni settimana voglio una collezione nuova, perché una
volta uscita dopo due settimane non me la comprano più. Il consumatore si crea la domanda, vorrei varietà ma chiede
anche un prodotto specifico.
È la domanda che si crea da sola. La cosa difficile per le imprese è capire quali siano questi desideri inespressi. (es.
Calzedonia ha presentato un prodotto che 2 settimane prima non c’era in vendita solo perché un cliente ha chiesto qlcs
che non c’era).
3. Inappropriabilitá della ricerca scientifica: i risultati delle
ricerche di sviluppo non ha più senso farli proprio ovvero
non ha senso far proprio i risultati della ricerca scientifica =
ovvero brevettare = dichiarare le caratteristiche di un
prodotto in modo pubblico, che può uscire allora solo dalla
mia impresa e non da altre, si faceva per proteggere la
propria intenzione. Oggi non si investe più in brevetti, anzi il
contrario —> lo inventa e va a vendere ai clienti la licenza
ad imitare il proprio prodotto. La diffusione delle imitazioni
porta pubblicità al brand stesso che l’ha inventato.
Questo non crea concorrenza perché ci si rivolge a consumatori differenti. (Gucci fa la borsa per persone che pagano
1000€, il negozio la fa per uno che paga 100€). Promuovendo questo mercato in più, ottengo il capitale per investire
nuovamente in ricerca e sviluppo, per proporre prodotti nuovi (chi mi imita non ha questo ritorno).
4. GLOBALIZZAZIONE: tendenza dell’economia ad assumere una dimensione sovranazionale. È un processo di
integrazione che fa crescente le economie nelle diverse aree del mondo. 3 aspetti:
a. Globalizzazione del mercato e delle merci:, apertura delle merce, 1945 quando vengono abbattute le prime barriere
doganali (inizio di questo processo), utilizzate anche come strumento politico tra paesi. WTO - organismo
internazionale che pone le regole per lo scambio delle merci tra paesi nel commercio mondiale. Si basa su logica
liberista ovvero la libertà di movimento delle merci porta miglioramento dei paesi, quindi è da perseguire rispetto ad
altre politiche. Accusata di privilegiare le multinazionali perché quest’ultima che ha potenziale di sviluppo più forte
della piccola impresa può trarre vantaggio da questa politica liberista, la piccola no, cioè in questo modo la grande
arriva anche nel commercio di influenza del piccolo.
b. Mondializzazione delle imprese, dei progressi di lavoro e dei processi produttivi (= delocalizzazione del lavoro):
c’è anche libertà di movimento delle imprese stesse e io impresa posso andare a produrre in un paese estero.
Delocalizzazione del lavoro = processi di lavoro in stabilimenti esteri, magari dove costa di meno, quindi non è
sbagliata ma è scorretta per i processi a volte messi in atto tipo sfruttamento.
c. Mondializzazione finanziaria: io posso fare investimenti, muovere anche capitali, ovunque nel mondo.
—> INDICE DI SVILUPPO UMANO —> oltre al PIL anche indice di aspettativa di vita (se cresce tendenzialmente si
dice che in quel paese si vive meglio) e anche indice di educazione (livello di istruzione degli adulti - mi dice previsione
future sui giovani). Guardando questo capisco se c’è un miglioramento della società.
(=> apertura al mercato = miglioramento della vita.)
ISU alto ma PIL basso —> tipico dell’Europa e anche Italia.
=> Tendenzialmente un cambio di politica dei mercati verso l’apertura, alla globalizzazione, porta all’aumento del PIL e
quindi a un miglioramento. Al contrario per quello che non cambiano.
Nel valutare l'indice di sviluppo umano bisogna tener conto di altri aspetti come: POVERTà e DISUGUAGLIANZA.
Disuguaglianza
Nonostante la globalizzazione, c’è ancora disuguaglianza non solo in merito ai paesi ma anche tra persone.
Se il più ricco prende 30 il più poveri prende 1, nel 1974 questo divario si è ampliato - se si guarda il reddito i 225 più
ricchi sono più ricchi del 47% della popolazione mondiale.
Oggi sono quelle più pronte —> SOSTENIBILITA’ DELLE IMPRESE : basata su 3 valori
- ECONOMICO: deve creare valore economico adeguato al livello di rischio (sia interno che esterno all’impresa) =
prendere decisioni per le quali in caso di disastro sono coperto (se cosi fosse stato la crisi del 2008 non ci sarebbe stata
è dipesa dall’irresponsabilità delle imprese che si sono prese rischi troppo alti).
- OTTIMIZZAZIONE DELL’ IMPATTO ECONOMICO: prendere scelte che valutano anche l’aspetto ambientale
(glamping - campeggi però più lussuosi, c’è anche attenzione all’impatto ecologico tipo acqua calda presa da pannelli
fotovoltaici… oggi c’è esplosione ma è facile se si tratta del lusso, ho clienti disposti a pagare di più per rispettare
determinate questioni ambientali. Dall’altro canto ci sono gli ostelli, rispettano ambiente rimanendo al prezzo di ostello
=> è tutta una questione di scelte d’impresa). .
- SODDISFAZIONE DEGLI ATTORI SOCIALI: soddisfa tutti gli stakeholder, quindi non è qualcosa di diverso dalla
natura stessa di un’impresa.
La sostenibilità delle imprese è tale se soddisfa tutti e 3 i requisiti. l’errore che si sta facendo oggi, nel’ attenzione
all’ambiente è che ci si dimentica di creare valore economico quindi l’impresa non cresce, non sviluppa => muore. Per
questo va bene ma non bisogna denaturare le imprese. C’è quasi vergogna a farsi riconoscere un valore economico a idee
sostenibili -> sbagliato.
Se tutte le imprese sono sostenibili, e non solo quelle filantropiche, la globalizzazione ha impatto negativo?
Se fosse cosi la globalizzazione porterebbe solo gli aspetti positivi, il problema è che non tutte le imprese sono sostenibili
e nemmeno le persone lo sono => le imprese hanno una risposta a questo problema (la globalizzazione fa bene o fa male?
Letto dal punto di vista delle imprese il problema non ci sarebbe.
STRATEGIE D’IMPRESA
Il primo studio delle strategie è quello in ambito bellico, nelle
imprese cerco le tattiche che metto in atto per raggiungere degli
obiettivi. Decisione che l’impresa deve prendere per raggiungere un
risultato tenendo in considerazione efficacia e efficienza
(raggiungere obiettivo mantenendo equilibrio economico).
Utilizzata anche l’analisi swot.
Processo di analisi gerarchico delle strategie:
1. Vado a capire l'idea di base dell’impresa, chi vuole essere, il
suo orientamento nel lungo periodo.
2. Strategie che mi permettono di decidere in quale direzione
crescite, come fa a crescere? Ci sono varie direzioni e queste
strategie mi aiutano a capire quale prendere, quale è la migliore per me. Una volta deciso…
3. Mi incontrerò con altre impresi della stessa direzioni, i concorrenti -> quindi prendere strategie competitive
4. Prendere decisioni specifiche nei vari ambiti (produttivo, con quali macchinari, prodotti..) sulla base della strategie
competitiva presa prendo decisioni sulle strategia funzionali/specifiche. Può avere attuazione anche nel breve termine.
Tutto deve essere in linea, altrimenti può essere che c’è la decisione migliore ma per me non funziona.
2. STRATEGIE COMPLESSIVE O DI CORPORATE: scegliere la strada migliore per crescere. Ne esistono tante,
ogni impresa deve adottare la migliore sulla base prima di tutto della analisi swot in linea con l’orientamento strategico di
fondo.
—> Allora Barilla dice io a fronte di questo non posso fare niente, posso entrare più a fondo nei mercati già miei che però
non aveva distribuzione omogenea all’interno del territorio italiano, vendeva più al nord che al sud, perché nel sud c’è una
cultura della pasta più forte e la vendita di pasta era legata a singoli laboratori artigianali (pasta fatta in casa) distribuiti in
tutto il territorio. I supermercati erano arretrati, pasta fatta da quelli del nord mentre o il laboratorio di pasta vera.
—> Barilla dice, devo entrare in punta di piedi e far capire che anche la mia pasta è buona : PENETRAZIONE DEL
MERCATO —> cercare di essere più incisivi su un mercato già di proprietà —> va nei laboratori artigiani, li acquista e
vende la propria pasta attraverso questi laboratori, cerca di affiancarsi/simpatizzare cercando di far capire al napoletano
che anche Barilla è degno di vendere. —> RISULTATO INSODDISFACENTE, la gente che entrava in queste botteghe
era irrisorio, ognuno continuava a comprare nel proprio comune e non si spostava solo perché in un comune c’era Barilla.
—> Prova altra strada, riflettono sul motivo per cui gli italiani non consumavano sempre più pasta. Provano a proporre
prodotti differenti (SVILUPPO DEL PRODOTTO) e inventa 2 linee di pasta: quella rustica, assomigliava più a quella
casereccia, le persone le avrebbero comprate e avrebbero speso di più => ha potuto metterle anche a un prezzo più alto e
pasta con farina integrale per far fronte all’altro problema. Barilla però non vede ancora crescere gli incassi. L’italiano
medio non incrementa più prodotti ma li scambia al posto della pasta normale si mangia quella rustica ma non è che a
pranzo mangia quella normale e a cena quella rustica. —> STRADA SBAGLIATA
—> Non sa più cosa fare quindi si rivolge all’estero, SVILUPPO DEL MERCATO*, tengo il mio prodotto e mi rivolgo
ad un altro mercato. Da uno studio di paese sceglie gli USA, gli americani non hanno la cultura della pasta e in caso la
mangiano scotta perché a loro piace così. Barilla si presenta con una pasta che non scuoce (per loro) e aveva un costo di
acquisto più alto rispetto a quella che già c’era nei supermercati, e costava di più perché esportava da i suoi stabilimenti in
Italia senza creare stabilimenti là (aveva già fallito due volte non poteva rischiare) inoltre per il tipo di farina usata, quella
là costava molto meno. —> FALLIMENTO
—> Ultima soluzione è la *DIVERSIFICAZIONE, cambio prodotto e mercato. Ma si chiede cosa faccio? Ci si basa
sull’analisi swot, tutte le risorse, le relazioni con fornitori, punti di forza… e decide di produrre biscotti “Mulino Bianco”,
se l’avesse fatto sotto sotto il nome Barilla aveva paura di fallire e intaccare anche il mercato della pasta => cambia il
nome perché almeno inizialmente non si doveva sapere.
Parte con i biscotti facendo analisti swot e di com’era l’ambiente esterno. C’erano i biscotti da pasticceria, aveva un
mercato piccolo quindi non aveva senso inserirsi in un contesto merceologico del genere. Poi ci sono i biscotti secchi,
hanno mercato ristretto e c’era già come oggi un gigante “Orosaiva”. Infine ci sono i frollini e sceglie questa perché allora
erano prodotti da tante imprese ma nessuna era leader di mercato, era venduto in sacchi da kg e c’era poca varietà. È un
prodotto acquistato dai più e non c’è un leader di mercato. Problema: le persone vogliono dimagrire.
Allora studia come gli italiani fanno colazione - o frollini o pane raffermo - e si dice devo far capire che con questo
biscotto non sto sgarrando, è comunque sano e ha qualche caloria in più perché pasto più importante. Inizia a pensare alla
confezione e al packaging. => non deve dare l’idea di sofisticato con glassa… devono assomigliare più al pane, perché
mentalmente ti fa che è più light, mentre la confezione assomiglia al sacchetto del pane. Inoltre l’immagine, il mulino, mi
deve dare l’idea della farina, di qualcosa sano, poco lavorato… il bianco perché è sinonimo di purezza. Oggi abbiamo
addirittura l’idea di famiglia mulino bianco, sono riuscita ad entrare nelle famiglie italiane. Ultima decisione che ha preso
non investire in nuovi stabilimenti produttivi, si basa su imprese che avrebbero prodotto per lui. Da li grande successo, ha
continuato con questa strategia di diversificazione con sughi, piatti pronti….
*Sviluppo del mercato: caso Barilla in senso geografico, teoricamente può riguardare anche la tipologia del cliente. Es.
zaini Invicta, Invicta inizialmente produceva zaini da trekking poi si chiede cosa sa fare e dice io so fare gli zaini da spalla,
conosco le materie prime e tutto, queste sono le conoscenze sulle quali posso fare leva => ideo un prodotto simile con
piccoli cambiamenti e li vendo ad un target diverso, gli studenti => ha sviluppato il mercato in termini di clienti.
Quindi ha una duplice veste o geografica o di target di riferimento.
Strategia della *diversificazione, implica un cambiamento maggiore per l’impresa. Si distingue in due tipologie: correlata
o non correlata/conglomerale.
1. Prodotti QUESTION MARK => prodotti per i quali devo farmi delle domande, sono in un mercato in crescita ma in
questo mercato io sono piccola, quindi ci sono buone prospettive, devo chiedermi se è vantaggioso investire in questo è
acquisire nuove quote di mercato. Ne vale la pena?
Un prodotto question mark è un prodotto per il quale ho grandi spese, ma poche entrate perché ho poco mercato => è un
prodotto che non porta cassa al massimo prosciuga.
2.Prodotti STAR => c’è mercato che sta crescendo e sono impresa importante, dal punto di vista del portafoglio
finanziario è vero che ho tante entrate ma anche tante uscite, se il mercato cresce e non voglio rimanere indietro devo
continuare a investire => ho tante entrate e tante uscite => equilibrio borderline.
3.Prodotti CASH COW => prodotti che hanno tasso di crescita di mercato stabile o non in crescita e sono impresa leader,
quota alta, sono importanti un mercato che si è stabilizzato. Vendo tanto ma non ho più grandi investimenti perché il
mercato si è assestato => sono i prodotti che fanno cassa, devo solo mantenere e non nuovi investimenti.
4.Prodotti DOG => quota bassa, tasso basso, sono piccolo in un mercato piccoli, quindi non mi conviene rimanere in
questo mercato. L’unico modo è uscirne, non lo tengo nemmeno un prodotto del genere. Quindi disinvesto. Exit business.
È una matrice che presenta un portafoglio prodotti in equilibrio quando ha almeno un prodotto in tutti i quadranti, eccetto i
dog per avere un equilibrio finanziario. Non posso avere tutti star altrimenti non ho abbastanza entrate.
Strategicamente è buono anche vedere dei prodotti in dog, mi indica che l’impresa evolve, sta al passo anche se non aiuta
nell’equilibrio finanziario, sono prodotti di passaggio.
È una matrice che bisognerebbe fare ciclicamente.
Vantaggi se mi integro a monte: ho maggior controllo sulla materie prima, qualità o per controllo tempistiche sulla
lavorazione, o anche controllo dalla scarsità o mancanza di materia prima (mercato delle pietre preziose).
Vantaggi a valle: perché più mi avvicino al consumatore finale, fino a vendere direttamente più avrò in anticipo le
informazioni del mercato e più correttamente senza mediazioni. Il passaggio dell’informazione in più passaggi può essere
cambiato accidentalmente o di proposito (io grossista darò l’informazione al fornitore che mi sta più simpatico e poi agli
altri).
Integrazione orizzontale: rimango nella mia fase della filiera ma cerco di diventare più grande. Vantaggi: aumento quota
di mercato, divento più importante in quel settore. Economie di scala, fenomeno per il quale se lavori su una
dimensione/scala maggiore avrò dei risparmi di costo. Questa strategia mi consente risparmi di costo. Lo faccio anche per
sfruttare eccessi di capacità produttiva.
COME FACCIO a far avvenire quella orizzontale? Per VIA INTERNA O VIA ESTERNA.
Via interna: voglio allargarmi, si libera un magazzino vicino a me, lo prendo, acquisto nuovi macchinari e produco di più.
Sono io impresa che ho creato nuova capacità produttiva con nuovi macchinari, nuovo personale. Se la faccio cosi sfrutto
meglio le mie risorse intangibili, vedo che c’è possibilità di crescita del mercato.
Via esterna: non faccio investimento di mia prima mano ma cerco all’esterno se esiste un’impresa acquistabile, faccio mia
una capacità produttiva che già esiste, tramite acquisto. Vantaggio: acquisto qualcosa che già funziona, è più veloce e c’è
meno rischio dell’impatto sul mercato. Per via interna metto sul mercato molti più prodotti mentre per via esterna il
numero di prodotti sul mercato non cambia, cambia solo l’intestatario => minor rischio perché si sa che quel mercato ha
già clienti solo che al posto di servirli lui li servo io. Se sto operando in un mercato ad alto tasso di crescita, che ha sempre
più clienti questo rischio è minore perché so che ci sarà richiesta più alta. Ma se il mercato si è assestato devo stare attento
a fare integrazione orizzontale interna perché poi magari il prodotto non viene venduto.
E.D.S. INTERNE
- TECNICHE:
• un fattore è la soglia minima di impiego/imperfetta divisibilità dei fattori.
Es. impresa grandina ha un ufficio dove lavora impiegata full time, impresa
più piccola, impiegata part-time. L’investimento per mantenere quell’ufficio
e le attrezzature che ha, è un investimento identico. La scrivania rimane
quella anche se l’impiegata lavora 4 o 8 ore. Questa soglia minima mi indica
che al sotto di questa non posso più diminuire i costi. Per questo l’impresa
più piccola potrebbe trovarsi a doversi far carico di un costo che è in esubero
rispetto alla capacità produttiva che gli servirebbe. Quindi se posso assumere
una a tempo pieno vado a sfruttare al massimo quell’investimento che ho
fatto.
• Relazione area/volume : i costi crescono in relazione all’area (2 dimensioni) mentre i benefici crescono in relazione al
volume(3 dimensioni). es. impresa che commercia sabbia per cantieri, decide uno investimenti in camion più grandi del
doppio, che costa di più di quello singolo ma probabilmente non il doppio perché hanno comunque una parte uguale.
Quindi i costi crescono, in termini di beneficio di questo investimento è cresciuto sì ma del doppio. Per dire che
investendo i costi si crescono ma i benefici, la ricchezza che creo cresce in proporzione di più. È più il ritorno
economico che i costi.
• Sfruttamento del livello di impiego ottimale: aumentando la dimensione riesco a aumentare la potenzialità delle
risorse anche tangibili (macchinari). es. linea di produzione con macchinari A, B, C. Ogni macchinario ha capacità
produttiva diversa all’ora di 10, 20 e 50. Qual è la quantità di prodotto ottimale di una impresa che ha questi
macchinari? 100 allora posso averne 10xA/ 5xB/ 2xC e non ci sarebbe spreco, con questa configurazione ho
ottimizzazione della risorsa “macchinari” perché ognuno viene usato al 100% del suo potenziale. Se ho impresa più
piccola, che ha bisogno di produrre 80? Di tipo A me ne bastano 8 utilizzate a pieno/ di tipo B 4 utilizzati a pieno/ di
quelle C se ne prendo 2 e li uso comunque a pieno c’è spreco => il costo dei macchinari C va spalmato su un numero
minore di prodotti => il costo medio unitario legato al costo del macchinario C è più alto. Il costo medio unitario per
unità prodotta viene più alto dato che non sfrutto a pieno il macchinario.
• Legge dei grandi numeri o forme delle autoassicurazioni: quando mi muovo su una scala più alta godo di risparmi di
costo. Es. impresa più piccola ha vigne in un lato collina colpito dal mal tempo, quindi per quell’anno non produce
vino. L’impresa grande che ha sempre le vigne su quel lato colpite e non utilizzabili ma ha sempre le vigne sugli altri
lati. L’impresa più grande ha più possibilità di reagire davanti all’imprevisto rispetto a quella piccola. Quella piccola
deve farsi assicurazione per far fronte al disastro mentre quella grande risparmia sul farsi una assicurazione perché
proprio grazie alla sua dimensione ha una sorta di autoassicurazione. Ci guadagna anche perché sul mercato per
quell’anno non ci sarà il competitore del vino della piccola impresa e può metterla anche a un prezzo maggiore => una
dimensione maggiore crea automaticamente forme di autoassicurazione ovvero mi consente di risparmiare su
un’assicurazione vera e propria, rispondendo con le mie risorse a qualsiasi evento. Capacità di attutire i costi. Anche i
mercati anticiclici sono forme di autoassicurazioni.
- GESTIONALI > sono gli aspetti legati alla gestione del personale. Nel momento in cui una impresa cresce sul
personale ho un effetto di crescita, godo di più persone, se ne ho di più posso mettere in piedi processi di
specializzazione del personale. Ho come conseguenza che ho una persona che fa più velocemente quel singolo lavoro
perché non viene d’estratta dal dover fare altre mansioni e dover poi riprendere, meno possibilità di errori (ho meno
distrazioni e sono più specializzata). Migliora le economie di scala.
La maggiore specializzazione porta a una diminuzione dei costi medi unitari, mentre una eccessiva specializzazione
potrebbe portare a una minore motivazione del personale per alienazione dal lavoro. Inoltre se faccio sempre quel micro
pezzettino non so più cosa fanno gli altri —> mancanza della visione d’insieme perdo la possibilità di innovazioni di
miglioramento. In una piccola impresa le persone vengono trattate come tali, in una grande mi sento un numero e da
questo punto di vista diminuisce la motivazione.
Effetti potenziali negativi del potenziale aumento della dimensione d’impresa si possono vedere se si studia:
Dimensione Efficiente Minima —> indica quantità prodotta minima che devo produrre per essere nella miglior condizione
di efficenza per l’impresa è il punto di arrivo. La DEM la vedo dove la curva delle economie di scala è arrivato al suo
livello più basso in termini di costo medio unitario, punto in cui significa che io con quella dimensione (DEM) sto
lavorando al costo medio unitario più basso che potrei avere, sfruttamento massimo delle economie di scala. Oltre quel
punto non riesco più a far scendere il CMU. Per l’impresa è il punto di arrivo, perché sto efficientando al meglio la mia
attività.
Dimensione Ottima Massima - quantità prodotta massima, il massimo che mi conviene produrre per avere un risultato
ottimo, significa che ho sfruttato al massimo quel CMU così basso.
Ovvero io sono al punto DEM, punto di CMU più basso che potrei sfruttare su una produzione maggiore, su quante
quantità? Fino alla DOM.
=> la quantità ottimale di produzione di un’impresa è quella che sta tra la DEM e la DOM perché? 1) da la DEM in
poi perché cosi so che sto lavorando con i CMU più bassi in assoluto 2) entro la DOM perché altrimenti entrano le
diseconomie di scala dato che indica la quantità massima producibile con quel CMU.
La conoscenza soprattuto della DEM e DOM si è messa in moto una rivoluzione per quanto riguarda l’offerta di prodotti
nel settore alimentare - perché ci sono prodotti a marca commerciale, ovvero la marca che contraddistingue l’impresa
distributrice, come i prodotti Conad, Esselunga …. Inizialmente quando sono stati messi sul mercato non avevano grande
successo. C’era una percezione sulla qualità di questi dalla gente bassa ma venivano presi per prezzo basso. Ma il ritorno
non era comunque giustificabile l’investimento dei distributori. Perché c’era questa percezione?
Chi è che sta dietro alla produzione dei prodotti commerciali? I piccoli o i grandi produttori? Inizialmente lo facevano i
piccoli produttori, sfruttando il loro potere di mercato per avere condizioni migliori contrattuali, non avendo un loro brand,
avevano garantito un guadagno => prodotti che costavano meno. Dopo un anno di produzione il distributore rivede le
condizioni di contratto con la piccola impresa, abbassando ancora di più il prezzo di acquisto, tanto che poi i piccoli
mollavano. L’impresa commerciale se ne trovava un’altra. Dal punto di vista dell’impatto sul consumatore finale succede
che continua a prendere quella commerciale perché costa meno fino a che non si trovarono vasetti non chiusi bene di
yogurt, danneggiati…..
Da qui nasce la visione di una qualità inferiore che effettivamente c’era 1) era legata ai costi di acquisto così troppo
ristretti, quindi magari il produttore non lo produce più cosi bene 2) cambiando spesso produttore è vero che il distributore
gli dava lo standard di qualità che doveva garantire il produttore, ma “mani diverse” il risultato può cambiare e il cliente se
ne accorge, quando la mia percezione è diversa dalle attese rimango insoddisfatto.
I distributori hanno pensato, così non va bene, dobbiamo far si che i nostri prodotti abbiano una qualità standard garantita
e continuativa per questo si rivolgono ai grandi produttori. Risposta: a primo impatto si farebbero concorrenza da soli =>
per questo sarebbe un no però alla fine hanno accettato.
Perché guardando la curva delle economie, es. Barilla che con la vendita della sua pasta Barilla arriva a una quantità prima
del DEM, più di quel quantitativo non riesce a vendere, se produce anche sotto altro nome => sforna più pasta e arriva alla
DEM, si abbassano CMU su tutta la produzione sia Barilla che altro nome. Se il grande produttore arriva da solo alla
DEM non gli conviene produrre anche per la marca commerciali altrimenti si, così ha riduzione dei costi medi unitari.
Barilla —> gli si abbassano i costi di produzione della pasta, continua a vendere la confezione Barilla allo stesso prezzo ha
un margine di guadagno più ampio, con il quali farà investimenti di innovazione di prodotto, mantenendo alto il suo livello
di impatto sul mercato e quel livello di fidelizzazione del cliente. Così sono soddisfatti tutti, produttori, distributori che
hanno quello che volvano e i clienti che ricevono sempre la stessa qualità. Il cliente soddisfatto con i prodotti Esselunga
continuerà ad andare da Esselunga perché in un altro distributore non lo trova.
Questo meccanismo funziona bene ed è una strategia dell’intero sistema di tipo WIN-WIN perché vince/ha vantaggio sia
produttore che distributore. In ogni caso si fa auto-concorrenza, perde alcuni clienti ma grazie a quel margine maggiore
riesce comunque ha coprire la perdita di n* clienti. Ad ogni modo il livello di perdita di clienti è ancora accettabile perché
dato che è win-win la legge protegge questo sistema, dicendo che sulla scatola bisogna indicare l’indirizzo della sede di
produzione ma non il nome dell’impresa, a meno che uno non si ricordi le sedi di ogni azienda, il cliente viene “fregato”
ma comunque sono tutti contenti, se ci fosse scritto ci sarebbe una perdita di clienti per la marca più conosciuta e la marca
commerciale sparirebbe.
In questo modo ci guadagnano tutti, anche il consumatore.
E.D.S. ESTERNE
Gestione dei fattori esterni, ambiente esterno, rapporto con gli stakeholder.
La dimensione delle imprese può avere influenza sui costi medi unitari. All’inizio della brand loyalty c’era la raccolta
punti, strumento che se lo potevano permettere i produttori più importanti. Questo comporta che se ad un certo punto
Auchan dice a Barilla, io continuo a prendere da te Barilla però voglio uno sconto, Barilla dice no, Auchan ha provato
un’altra linea, non ha funzionato ed è tornato da Barilla al prezzo originale. Data la dimensione del produttore il
distributore non ha potuto competere.
La tecnologia ha reso possibile l’automazione del processo di arrivo alle casse per pagare -> lettura laser da parte delle
commesse. Questo ha dato la possibilità agli store di prendere in mano lo strumento di fidelizzazione delle raccolta punti.
Con le tessere virtuali ho raccolta punti automatica, senza dover ritagliarli a mano. In questo modo le imprese produttrici
hanno perso dei clienti, si sono fidelizzai allo store perché alla fine ottengo sempre i piatti omaggio ma con meno sforzo.
In questo modo gli store sono cresciuti a volte anche più dei produttore arrivando a poter contrattare e diminuire i costi
medi unitari.
Oggi i produttori stanno operando per riacquisire questo strumento con negozi monomarca, strategie a valle per
avvicinamento al cliente.
QUALI
SONO?
• DIFFERENZIAZIONE: giocata da tutte le imprese = dare al mio prodotto una componente tangibile/intangibile
che lo differenzia dagli altri prodotti es. variante colore (auto)/ caratteristiche particolari/ su risorse intangibili es. sul
brand es. acquisto una cintura e sono disposto a pagarla di più perché porto a casa il brand. Con questa strategia, se
riesco a far capire al cliente in cosa il mio prodotto è differente posso farlo uscire ad un prezzo superiore. Es.
Apple, Coca Cola personalizzando le lattine (personalizzazione massima - differenziazione spinta).
Strategia che comporta oneri in più nella produzione (valore intrinseco devo spendere per cambiare qualcosa nei
passaggi della produzione) o nel brand => più investimenti nel marketing e sponsorizzazione.
Sono due strategie competitive che possono viaggiare in parallelo. Es. Primark (solo leader di costo), OVS, H&M…
puntano sulla leadership di costo, producendo quantità che gli permette di scendere con CMU. Queste strategie sono in
abbinata perché mi permettono come nei brand sopra citati, di abbassare prezzo di vendita da una parte poi nei confronti
dei concorrenti cerca di differenziarmi, OVS è più per famiglie, la compagnia di giovani va da Zara, Primark. Eurospin,
supermercato low cost, sceglie leadership di costo tra tutti vince Lidl, in termini di investimenti, sponsorizzazioni, e per
determinate azioni si differenzia dagli altri.
Per andare a braccetto, io impresa devo avere le condizioni e la base per permettermelo, devo avere tante unità di vendita.
• FOCALIZZAZIONE : è una strategia nella versione di una delle due precedente con la particolarità che è riservata a
quelle imprese che servono le nicchie di mercato (identificato un segmento di mercato individuo un gruppo di clienti
che hanno necessità ancora più specifiche). Es. vestiario per chi è in carrozzina nel mondo dell’abbigliamento. Una
nicchia di mercato ha pochi acquirenti ed è vantaggioso perché si hanno pochi concorrenti, il livello di intensità di
competizione è molto basso. Una nicchia o si va a creare ex novo, altrimenti è difficile entrare in una nicchia di
mercato. Un’ impresa deve capire: 1. È un mercato che ci dividiamo
i clienti in pochi o in tanti? 2. Questi clienti sono bene identificati per i quali posso adottare una strategia di
comunicazione mirata se non personalizzata? Quando ho queste caratteristiche posso dire di operare in una nicchia di
mercato e adottare una strategia di focalizzazione.
Questa strategia è una versione di una delle due prima, tarata su un mercato di nicchia, essendo piccolo e poca
competizione è solitamente solita la differenziazione più che la leader di costo però è una strategia a sé perché ha un
mercato diverso.
Questo per un turista straniero è svantaggioso, già un italiano magari non lo sa che la legislazione turistica dipende da
regione => giocarsi la differenziazione sulle stelle non è troppo vantaggioso. Inoltre un 4 stelle appena dato e uno in
scadenza può essere potenzialmente diverso => non funzionali.
Sono nate tipologie di alberghi nate per determinate categorie: low cost hotel; wellness hotel che 10 anni fa andavano forte
oggi non è nemmeno competizione perché una sauna c’è l’hanno quasi tutti; design hotel….
I canali di differenziazione non sono solo possibilità per strutture di lusso ma appunto possono essere green anche gli
ostelli e non solo i glamping.
=> la differenziazione non è soltanto nel lusso con le grandi marche di abbigliamento ma anche il low cost come
Eurospin, una strategia che possono sfruttare tutti.
Design hotel
Eco- hotel
a. Faccio fatica a vendere questi impianti, a dismetterli perché sono magari stati costruiti ad hoc per quell’attività. Tante
imprese hanno una realtà di impianti che per la dismissione si possono richiedere anni. Quindi l’obiettivo per queste
imprese, che non è quello di crescere sarà l’adottare strategie funzionali che creeranno distorsioni sul mercato.
b. Faccio fatica ad uscire perché quel business serve anche un mercato interno, fintanto che non trovo i produttori che mi
permettono di continuare il lavoro (produco qualcosa che serve a me), rimango in piedi finche non trovo soluzione
migliore, questo crea distorsioni sul mercato perché nel mentre, ciò che non uso per me lo metto sul mercato ma a un
prezzo inferiore perché tanto il mio obiettivo non è crescere.
c. Per quanto riguarda le grandi imprese a volte scelgono di chiudere uno stabilimento, se lo fa rimangono a casa x persone
=> interviene l’attore pubblico, interventi da parte dello stato….. dando un contributo all’impresa per fargli trovare il
modo per tenere ancora aperto. L’ente pubblico /stato interviene perché altrimenti le deve mantenere e mantenere magari
tutte le famiglie con oneri sociali li costerebbe di più. Per una piccola impresa lo stato non si muove perché se chiude e ha
solo 3 dipendenti a questo punto non gli conviene. Non esco perché lo stato interviene per farmi tenere aperto.
d. Motivo più banale quanto reale, ragioni personali del soggetto che
dovrebbe chiudere. Alimentari in un paesino, di vecchietti, vicini alla
pensione non
chiudono
perché non
saprebbero cosa
altro fare e
aspettano fino
alla pensione.
Creano
distorsioni
anche se più
piccoli, però se
un giovane vuole aprire li un locale e avrebbe anche le
competenze più innovative, all’inizio si avrebbe subito un
riscontro positivo anche se comunque i vecchietti creano un contesto competitivo.
• Barriere all’entrata, limitare chi cerca di entrare nel mio settore, io impresa che sono già dentro le creo: Barriere
istituzionali —> dettate dalla legge, se c’è una tabaccheria/farmacia non posso aprirne una vicino, stanno scomparendo
anche se sono un vantaggio per queste farmacie per esempio, hanno i loro clienti lei servono solo loro;
Barriere strutturali —> legate alla struttura stessa del settore. Se sono presenti impresi che sono riuscite a crescere e
oggi godono degli effetti delle economie di scala, quali sono gli effetti per i nuovi entranti? Io piccolo, non
conosciuto…. Mi scontro in un settore con forti economie di scala queste per non farmi entrare abbassano fortemente i
prezzi, io così faccio ancora più fatica. => crescere mi consente di tenere lontane le new entry, non le invoglia ad
entrare e limita la concorrenza; vantaggio di costo assoluto= un’impresa già presente ha un vantaggio dato dal prezzo
di favore che potrebbe avere per il fatto che conosce il fornitore che ha fiducia, il fatto che sono già dentro mi da la
possibilità di accedere a determinati canali di distribuzione; il fatto che un’impresa già presente abbia già sviluppato
rapporti e aperto canali di fornitura (a monte) e distribuzione (a valle, verso i clienti) rende più facile e più
economico i rapporti commerciali. Una new entry fa più fatica a monte e a valle, non ha accesso a certi canali es.
vendere i proprio biscotti nei punti Conad se è nuovo non riesce, non ha rapporti con l’ufficio acquisti Conad.
Barriere strategiche —> dettare in un settore in cui le imprese già presenti hanno sviluppato strategie competitive di
differenziazione => offerta variegata di prodotti, io se voglio entrare come faccio? Non posso giocare sul prezzo perché
sono piccolo (+ barriere strutturali), faccio anche fatica a presentare un prodotto che risalti. Quelle già presenti se sono
tutte diversificate significa che hanno anche altri business che tamponerebbero eventuali perdite in quel business
attaccato dal new entry per un periodo più lungo, se non sono tutte diversificate hanno vantaggi di economie di scala
ma si possono giocare solo quelle, se sono diversificate oltre a questo hanno il vantaggio del risultato economico degli
altri business magari non colpiti e che hanno margini alti.
Strategie adottate che rendono più difficile l’ingresso ad altri.
Quando si va a fare l’analisi swot per scegliere quali strategia adottare, lo sguardo deve essere ampio perché devo tenere
conto anche della possibilità di innalzare barriere all’entrata. Più barriere ci sono più è difficile, ma c’è comunque modo,
inventandosi qualcosa, innovazione di prodotto, o grande capacità di ascolto dei bisogni veri dei consumatori, all’impatto
sociale. Es, nel settore moda, ingresso di piccole realtà che si impongono sui colossi giocando la carta della
differenziazione basata sulla sostenibilità.
• 3. Elasticità incrociata della domanda è la misurazione dell’eventuale variazione della quantità venduta del mio
prodotto sulla base dell’ eventuale variazione del prezzo di vendita del prodotto che mi sto chiedendo se è in
competizione indiretta con me o no. es. io produco coca cola mi chiedo se il produttore di birra è in competizione
indiretta con me, vado a misurare se nel momento in cui chi vende la birra fa una variazione del prezzo di vendita di
birra e mi chiedo: se la birra costa meno io vendo meno coca? C’è un legame tra la variazione del prezzo di quel
prodotto e la vendita del mio? —> se c’è, ovvero se l’elasticità incrociata della domanda è positiva significa che quel
prodotto è un concorrente indiretto, se è negativo significa che non c’è connessione => non sono prodotti che
rispondono allo stesso bisogno. Se è positiva significa che quello è un prodotto /servizio sostitutivo. Cosa bisogna farne
di questi prodotti sostitutivi (tipo birra)?
- devo almeno tenere monitorati i comportamenti di quell’impresa. Sapere
chi sono i miei concorrenti indiretti mi serve per stabilire i confini di settore (raggruppamento di imprese che producono
la stessa cosa) = oltre confini classici, tutti quello che producono lo stesso prodotto chi altri devo contare? Quelli di altri
settori che sono in possibile concorrenza indiretta con me.
L’elasticità incrociata è un rapporto semplice ma ha uno
svantaggio: io per
dire che è
positiva non
posso
prendere in
Qui il problema c’è quando: quali devo considerare competitor? Alcuni dicono che servono tutte e 5 le spunte, alcuni
bastano 3 e già devi preoccuparti, c’è un divario di opinioni. Dipende dal mio livello di preoccupazione rispetto ai
fenomeni di concorrenza indiretta, del mia gestione del rischio. Il punto è decidere ex ante quante spunte dover
considerare per considerare quell’impresa competitor indiretto. Non esiste una regola. Potrebbe dipendere anche dal
settore, esistono settori più chiusi, più vicini tra loro…. In primis dipende dal motivo per il quale sti facendo questo studio,
lo faccio per vedere cosa succede intorno magari una volta all’anno, da questo punto di viste le spunta non hanno quasi
senso. Se invece lo faccio perché ho dati preoccupanti di ingresso di prodotti sostitutivi mi bastano poche spunte per
considerarlo competitor.
STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
Approfondimento di interesse turistico. Matrice delle diverse alternative per vivere questo tipo di processo. Premessa: non
esiste un unico modo per internazionalizzare, le vie sono tantissime anche perché hanno a che fare con le relazioni che
l’impresa instaura con gli altri partner, più sono le risorse più saranno gli approcci . Questa strategia porta una proiezione
internazionale, al di fuori dei confini nazionali nei quali è insediata. Quali sono le variabili: concentrazione… = se
scelgo di concentrare determinate attività in una determinata area o disperderle in varie aree geografiche (concentro tutto
in un solo paese vs produco questa attività in 3 paesi diversi). L’altro asse coordinamento….. = è il livello di complessità
del coordinamento di queste attività che può essere bassa o elevata.
4) Replicazione => dispersione in tutte le forme, faccio un po’ da una parte un po’ dall’altra, da una parte replico tutta la
catena… => coordinazione molto elevata.
Da 1 a 4 tendenzialmente osserviamo una dimensione crescente, le imprese che hanno approccio come il 4 sono imprese
più grandi, le esportazioni le possono fare anche le imprese più piccole.
COSA FARE ORA?
—> alleanze strategiche = per qualsiasi attività io posso sempre inventarmi una qualsiasi alleanza strategica con un
esterno, è una categoria aperta.
Tipologia di attività produzione -> non coinvolgo -> allora investimenti diretti esteri, andare a produrre all’estero
*Due tipologie di investimenti: green field = mi insedio nel paese estero creando qualcosa che la non esiste. Pro: ho ampio
margine di scelta su cosa fare. Contro: ho margine di rischio superiore;
brown field = c’è già quindi mi inserisco in una attività che già esisteva (integrazione orizzontale per via esterna). Contro:
ho dei vincoli su come muovermi. Pro: ho già un resoconto dell’attività precedente.
Tutto ciò poi dipende dal paese.
Sviluppo conoscenze —> no allora sempre investimenti
Tendenzialmente la scelta del paese viene fatta in concomitanza del processo che ho scelto. A volte queste fasi viaggiano
in parallelo non per forza prima una o l’altra.
Aspetti da analizzare per scegliere un determinato paese.
-Costi di produzione
-Pil: un paese con un pil più alto sta tendenzialmente ad indicare il tessuto economico di un paese che si sta muovendo con
una capacità di acquisto che sta aumentando.
-Intensità della concorrenza: legato alla distribuzione di quel prodotto
perché se devo solo far gestione dei dati per esempio non mi interessa.
-Risorse umane: mi sposto per trovare forza lavoro che qui non ho, le imprese si spostano mi base a dove trovano forza
lavora considerando costi e qualità, flessibilità degli orari (in Italia c’è molto ostruzione del sindacato quando si chiede
flessibilità di orari, ci sono paesi naturalmente inclinati ad essere più flessibili)
-Infrastrutture: trasporti, aeroporti, qualità delle strutture che mi permettono di transitare aspetti che riguardano la
logistica pura, avere reti stradali ben connesse questo determina un fattore attrattivo, per questo ad esempio è stata scelta
Verona da Volkswagen. In questo campo si parla anche di sistema di formazione/ università questo più dare un pass che
nel medio - lungo periodo può essere un vantaggio
-Tessuto economico: specifiche caratteristiche delle risorse economiche di quel paese ottenere le materie prime/risorse
finanziarie.
-Istituzioni e politiche pubbliche: politiche di incentivazioni che magari in altre parti non ci sono/ politiche sia ad hoc per
un settore ma anche la stabilità del sistema politico in generale, da visione più chiara di quello che un’impresa può fare a
lungo termine, se non c’è stabilità non si sa.
-Sistema normativo: normativa fiscale, chiarezza e trasparenza, qui è un sistema fiscale che penalizza tanto le imprese
=> per un’ impresa estera non conviene venire qui.
-Qualità social e ambientale: mi interessa perché mi serviranno risorse umane e a loro dovrò garantire una certa qualità di
vita.
-Immagine e reputazione: sono impresa della moda allora internazionalizzare in Italia ha un riconoscimento se son nel
settore automobilistico mi conviene muovermi in Germania, perché in questo campo ha immagine migliore. È legato ad
aspetti attuali come situazioni politiche e belliche, scelgo anche in base a cosa voglio associare il mio brand.
Canali indiretti brevi: impresa industriale che produce che a sua volta vende a un’impresa al dettaglio (impresa che si
occupa della vendita al consumatore finale) che li rivende al consumatore finale.
Canali indiretti lunghi: si inserisce l’impresa all’ingrosso, quindi il canale si allunga, i tempi aumentano e l’impresa
commerciale per queste conseguenze non arriva a conoscere direttamente l’informazione che da il consumatore finale,
c’è un maggior passaggio di informazioni che alla fine può arrivare filtrata da questione di interesse, non comprensione
del fenomeno. Per questo l’integrazione verticale a valle è molto importante chi non la fa apre canali online per avere
queste informazioni direttamente dal consumatore.
Macro-categorie di intermediari.
Intermediari all’ingrosso:
Intermediari al dettaglio:
- dettaglio indipendente: negozio di proprietà di un soggetto che può averne anche più di uno, tendenzialmente di piccole
dimensioni, la gestione è prevalentemente famigliare e a livello di localizzazione si trovano ai margini dei comuni o dei
centri abitati - tipo piccolo alimentari. Si trovano ai margini perché per essere piccola è famigliare c’è una questione di
costi, se stai al centro costa di più.
- Dettaglio associato: potrei avere forme tipo: parto da un grossista che coinvolge più dettaglianti indipendente e crea un
gruppo - unione volontaria es. Despar. Oppure, al contrario, un gruppo di dettaglianti che decide di cooperare
presentandosi come un’unica insegna es. Conad. La proprietà del singolo negozio rimane al singolo ma stanno
all’interno di un gruppo d’acquisto, hanno un regolamento per mantenere gli stessi standard. È il contrario dell’unione
volontaria ma il risultato è lo stesso.
- Grande distribuzione: sono grandi imprese che hanno tanti punti vendita, ho realtà di impresa di grandi dimensioni,
l’impresa è unica con più punti vendita es. Esselunga, Auchan.
- Distribuzione cooperativa: simile al dettaglio associato ma si mettono insieme i consumatori finali, è una cooperativa
di consumo, si mettono assieme per acquistare prodotti ad un prezzo più conveniente, da questa unione di soggetti
nasce l’impresa al dettaglio es. Coop. Nasce da associazione di consumatori eppure ci vado anche se non sono un
cooperatore a questo succede perché dice ci conviene aprire il nostro punto vendita anche ad altri consumatori,
facciamo massa, abbiamo più vantaggi.
Tutti questi vanno a formare la GDO, raggruppamento di diverse forme commerciali molto diverse tra loro.
ANALISI ECONOMICA
Come traccio la retta dei ricavi (r)? Metto i puntini quantità/prezzo. È una retta che ha origine
all’origine degli assi perché quantità 0 io ricavo 0 (se non vendi non ricavi) e cresce con una certa
pendenza, può essere più o meno inclinata, da cosa dipende?
Dal coefficiente angolare —> rappresenta la pendenza, dal punto di vista economico rappresenta
che prezzo di vendita ha il mio prodotto. Se ho una retta piatta ho un prezzo di vendita molto basso
al contrario se si avvicina all’asse dei ricavi. Quindi il coefficiente angolare rappresenta il prezzo di
vendita/ricavo unitario.
Nella realtà i ricavi hanno sempre lo stesso andamento? No. All’aumentare delle quantità il mio
coefficiente angolare è minore perché con l’aumento della quantità mi diminuisce il prezzo di
vendita es. compro un pacchetto da 10 penne mi costa di meno di prendere 10 penne sfuse.
È normale che il prezzo di vendita diminuisca nel tempo per varie ragioni.
Costi = non sono di un’unica categoria ma si dividono in costi fissi + costi variabili = costi totali
Costi fissi che non cambiano al variare della quantità prodotta come invece fanno quelli variabili. Costi fissi es. affitto del
capannone dove lavora indipendentemente da quanto produco mentre es. costi variabili - la materia prima.
I costi fissi sono uguali ai costi fissi e non variano, sommo i costi fissi (buste
paga+affitto+pulizie).
I costi fissi nel grafico si rappresentano come una retta parallela alle uscisse che procede
indipendentemente dalla quantità prodotta in modo costante.
Mantiene sempre questa costanza? Per esempio se voglio ampliare la mia capacità produttiva, faccio
investimento in questo caso i mie costi fissi aumentano. Per questo nella realtà sono meglio
rappresentati con dei gradini che rappresentano i diversi livelli di capacità produttiva sui quali
l’impresa può assestarsi.
Faccio questo investimento, sfrutto la mia capacità produttiva (sono nello scalino più alto), le cose non vanno come
sperato (rimango comunque nello stesso gradino perché ormai l’investimento l’ho fatto). Quindi la retta varia al variare
della capacità produttiva. => è una retta che rimane parallela ma può variare il livello.
I costi fissi non variano al variare dalla quantità prodotta ma della capacità produttiva (se la aumento). I gradini
potrebbero anche scendere per via di disinvestimenti data la crisi.
Costo variabile = costo variabile unitario x quantità venduta. Quanto mi costa la materia prima per una
quantità?
Graficamente la retta dei Cv -> per una quantità qual è il costo variabile unitario. Ha origine dallo 0
perché non produco niente, non spendo niente. È una retta che cresce al crescere delle quantità.
In che modo cresce? Coefficiente angolare che rappresenta il costo variabile unitario. Se è poco la
retta è bassa e viceversa. Procede sempre con questa pendenza costante? All’aumentare della
quantità varia il costo variabile unitario?
Fenomeno delle economie di scala, se produco di più avrò un abbassamento dei costi medi
unitari e quindi dei costi variabili unitari.
Nella realtà si rappresentano con una curva che assume inclinazioni diverse. Se incide in modo
negativo lo vedo nei tratti di curva in cui crescono (aumentano i costi), se si appiattisce sto
lavorando nelle economie di scale, se cresce sono nelle diseconomie di scala, poi cambio
qualcosa e trono giù.
Noi andiamo ad analizzare il PUNTO DI EQUILIBRIO/PAREGGIO = le quantità per le quali i ricavi sono uguali ai
costi totali. Capire quanto produrre per essere in pareggio, almeno per non andare in perdita.
Io cerco il punto di equilibrio tra ricavi e costi totali quindi devo trovare la retta dei costi
totali (sommo retta fissi e variabili —> 1)parte da dove parte quella dei costi fissi /costo
variabile 0 = parto da 0/ e poi è parallela al costo variabile.
Adesso posso trovare il punto di intersezione, qui i ricavi sono uguali ai costi e trovo la
Qe = quantità che devo vendere per esser in equilibrio con i costi.
Ho costruito il Diagramma di redditività.
Posso trovare anche altre informazioni. Da quel punto in avanti avrò una forbice che si
apre in alto con i ricavi e sotto i Ct .> la differenza tra quelle due mi dice il mio
guadagno, più mi sposto da quel punto più la differenza aumenta = più guadagno. Se da
quel punto vado indietro ho una forbice nella quale i costi stanno sopra i ricavi e vado in
perdita, più mi allontano da quel punto più perdita pesante.
Quindi posso usare quella semplificata e magari fare vari grafici diversi con le varie possibilità e poi confrontare i risultati
e prendere una decisione.
Se non conosco questi limiti considero la stessa valenza per condizioni diverse.
Il 4 problema è se non vendo nessun prodotto, nell’asse ci sono le quantità prodotte. Accetto questo modello ipotizzando
di avere quantità prodotte = a quelle vendute. Cioè ipotizzo che ciò che produco, vendo.
Un’alternativa è …
L’alternativa è inserire all’interno dei costi il costo dell’invenduto = le rimanenze di magazzino in questo caso scrivo
quantità prodotte ipotizzando quelle vendute perché anche se non vendute le ho comunque contate in una percentuale.
Nel caso di erogazioni di servizi è diverso perché produco istantaneamente alla vendita.
La quantità di equilibrio è la quantità che soddisfa perché non fa perdere ma non corrisponde a una logica ottimizzante, a
una logica del profitto. Cosa succede se cerco di produrre più della Qe. Il primo modello di analisi che mi interessa è il
margine di sicurezza.
Se la diminuzione del margine di rischio è proporzionata a una crescita della mia impresa è accettabile, l’impresa in se è
prendersi il rischio.
Approfondimento:
Elasticità = riesce a sopportare variazioni quantitative della produzione senza forti ripercussioni sui costi medi unitari. Ha
una struttura che le permette di non subire ripercussioni anche se cambia la domanda.
Flessibile = quando riesce a sopportare variazioni qualitative della produzione senza forti ripercussione sui costi medi
unitari. Il mercato mi chiede varianti rispetto al mio prodotto, riesco a rispondere al mercato senza forti ripercussioni.
=> si crescere ma rimanendo all’interno dei limiti di elasticità e flessibilità e non essere rigida ovvero che appena cambia
qualcosa ha ripercussioni molto forti sui costi medi unitari.
Studiare qual è il vantaggio finale della crescita delle imprese: logica soddisfacentista.
LEVA OPERATIVA
È quel meccanismo che fa si che un investimento abbia effetti economici moltiplicativi sul
reddito.
Ora simuliamo cosa succede se la nostra impresa prova a crescere (vuole raddoppiare la
produzione e compra capannone e materiali) = impatto costi fissi.
CF1 nuovi costi fissi
Quando faccio questo investimento mi diminuisce il costo variabile unitario perché compro più
materia prima e mi costa meno /economia di scale/ dal punto di vista del lavoro -> assumo sí più
persone ma divento più elastica quindi se mi arriva un ordine in più, con più personale riesco a
produrlo senza accedere alle ore straordinarie che mi costerebbero di più. CV1che ha un angolo
più piccolo di Cv
Supponiamo che il ricavo unitario rimanga quello (non aumento il presso di vendita) => la
retta non cambia
Contro: si allarga anche l’aria delle perdite. L’effetto leva si ha sia in negativo che in positivo.
Più si diventa grande più si rischia. Motivo per il quale esiste il profitto.
Ora abbiamo spiegato la finalità della crescita: oltre al soddisfacimento degli stakeholder, oltre alle strategie, anche dal
punto di vista economico.
Per crescere mi servono dei soldi per fare l’investimento, così ricorre
all’indebitamento.
es. voglio fare investimento che promette redditività del 12%, vado a chiedere il prestito con un tasso di interesse del 8%
=> spread positivo —> avrò un + 4% sul guadagno.
L’impresa potrebbe dire con quello che spendo per fare l’impianto ho uno spread del 4%, considerando che ho spazio
disponibile, c’è mercato.. allora perché non acquisto 2 impianti al posto di uno?
Allora chiede altro prestito alla banca, che mi da i soldi però per la banca io divento cliente più rischioso perché ti do di
più. Cosa risponde la banca? Al posto dell’8% te lo metto al 13%. In questo caso lo spread è negativo e non ha senso.
In questo caso deve rivalutare altre vie per crescere, rivedere le strategie, le risorse che ho, valutare le varie opzioni per
usufruire a pieno delle economie di scala.
Non bisogna rifiutare di crescere ma rivalutare le condizioni di quell’investimento e prendere strada diversa.
Prima vado a vedere il margine di contribuzione (incide solo sui ricavi) poi confronto
operativo (tocco sia ricavi che costi).
MARGINE DI CONTRIBUZIONE:
ricavi - costo variabile = prezzo di vendita - costi variabili unitari. Incide sul prezzo.
= di quanto una certa vendita contribuisce alla copertura dei costi fissi dopo aver coperto
i costi variabili.
Premessa: il margine di contribuzione non mi serve per stabilire il prezzo di vendita di un prodotto. Mi permette di
rispondere con coscienza a possibilità di un prezzo di vendita più basso.
Questo margine mi dice: prova a capire con quel prezzo ribassato che risultati economici avresti—> se è risultato positivo
fallo se no no.
Mi serve per decidere se accettare o meno una condizione straordinaria.
2 Fare o non fare —> mi chiedo se ha senso ancora farlo? Ha senso tenere attivo
ancora questo prodotto?
(1 cosa varia se decido di fare all’esterno / 2 cosa varia se decido di non operare più.)
A. Prendo tutti i costi e tutti i ricavi e li analizzo chiedendomi per ognuno se è o no differenziale. Se non è differenziale
non lo considero (es. spese generali). Se è differenziale, ovvero
che cambia con l’alternativa che sto prendendo in considerazione lo considero.
Se risultato positivo -> ci provo perché avrò effetto positivo sul reddito.
Se è negativo —> non lo faccio, perché sul reddito ha un effetto negativo e non mi
conviene.
Devo guardare aspetti intangibili come la soddisfazione dei clienti, ho un risultato di poco negativo magari però voglio
dare quel servizio così qualitativo e avere successi nel lungo termine, il mio cliente mi torna.
Quindi anche se risultato di poco negativo prima di mollare si cerca di contrattare le condizioni (magari con la lavanderia
che mi offre quel servizio).
Arrivo ad avere un risultato economico quantitativo semplice ma non lo è la decisione perché devo tenere in
considerazione altri aspetti : punti di vista legati a economicità, qualità, tempestività dei sistemi produttivi, conoscenze e
competenze, aspetti legati al potere dell’impresa.
Prima faccio l’analisi quantitativa, ottengo un risultato, rifletto su altri aspetti e
poi prendo una decisione.
Libro: tutto tranne 8 e 17 non fatti e fare da soli/
Tempestività, elasticità dei sistemi produttivi: se produco internamente controllo la programmazione della produzione,
le mie priorità saranno l’informazione input per chi gestisce il processo produttivo, es. dico io quale ordine fare per prima.
Se lo faccio buy non hanno la mia stessa priorità quindi potrei avere dei ritardi nei tempi di consegna. Ma se lo faccio
fuori sfrutto di più la maggior elasticità della produzione del terzista es. ho dieci ordini di lavaggio se vado dalla
lavanderia possono farmeli tutti io ho solo una lavatrice.
Conoscenze e competenze: possibilità di far crescere le risorse interne, facendo lavorare le mie risorse interne le faccio
crescere inoltre ho maggior riservatezza, non devo condividere con nessuno il know how, come produco, cosa utilizzo.
Dall’altra parte se vado fuori (buy) potrei accedere a competenze e conoscenze che dentro non ho, accedere a un
patrimonio intangibile che di mio non ho disponibile.
Potere: più una impresa è grande più riesce ad interagire con l’ambiente, se continuo con la produzione interna potrei
avere maggior potere di condizionamento del mercato se esternalizzo non sto crescendo, perché sto portando fuori, se la
tendo dentro perseguo un obiettivo di crescita. Se esternalizzo un attività divento un pò più piccolo. Il vantaggio buy è che
date queste relazioni esterne io potrei avere la capacità di entrare in varie reti di imprese che mi permettono di arrivare più
lontano di quanto avrei fatto da solo.
La decisione quindi non va presa sulla base solo del risultato, soprattutto se dall’analisi ho un risultato un pò borderline,
ma in generale ha sempre senso tenere queste ipotesi in considerazione.
Queste ultime non le posso quantificarle.
Come si prendono le decisioni che hanno effetto nel medio lungo periodo.
1. Rilevante esborso di denaro. Non considero investimento industriale l’acquisto della materia prima. Non esiste una
soglia sopra la quale è considerata esorbitante. Lo è in base al tipo di impresa e alla sua grandezza.
2. Ritorno economico nel futuro. Si parla di investimenti industriale se lo sborso di denaro è a fronte di un
previsto/stimato ritorno economico nel futuro.
3. Assunzione di un rischio. Non esiste investimento senza rischio. Ci sono investimenti più o meno rischiosi. È molto
soggettiva per qualcuno potrebbe essere più o meno rischioso. Non esistono investimenti a 0 rischio, per il solo fatto
che io la spesa la spendo adesso e che l’impianto che compro mi produrrà nel futuro, per la sola questione di tempo
c’è un rischio.
4. Ritorno dell’investimento attraverso l’output dell’investimento stesso. È investimento industriale solo se quella
ricchezza futura che mi va a produrre è frutto di ciò che quell’investimento può produrre. es. compro impianto per
produrre telecomandi, è attraverso la vendita dei telecomandi (vendita dell’output) che mi permette di produrre la
ricchezza che mi copre l’investimento/ attraverso la produzione di quell’output creo la ricchezza per l’investimento. In
questo modo distinguo l’investimento industriale da altri tipi di investimento.
- acquisto un nuovo macchinario per movimentare le scorte di magazzino all’interno della mia impresa—> si perché
sborso c’è, il ritorno lo ho in termine di aumento di ricavi o in termine di riduzione dei costi, c’è rischio magari non
funziona come mi aspettavo/ho meno merce.
- Acquisto un impianto che mi permette di confezionare i telecomandi che produco —> si perché mi produce qualcosa
che non avrei e di rivederlo, se non li confeziono non arrivano sul mercato.
- Sono impresa commerciale e decido di acquistare nuove auto —> si, il ritorno economico lo vedo nella creazione del
valore, l’auto viene usata come leva motivazionale, è veicolo di comunicazione porto in giro l’immagine della mia
impresa. Mi crea un output intangibile allora è un investimento industriale più difficile da stimare, stimare il ritorno
economico è difficile ma è comunque investimento industriale.
- Acquisto di un pacchetto di lezioni per i dipendenti, per approfondire le conoscenze —> si perché ho un rischio
altissimo perché i dipendenti sono capre, capiscono ma non c’è ritorno per l’azienda, non mettere in pratica il mio
sapere, capiscono tornano in azienda metto in pratica ma mi chiedono aumento di stipendio per questi motivi ho troppi
rischi, c’è lo sborso di denaro, c’è ritorno nel futuro. Compro qualcosa di intangibile, è intangibile l’investimento stesso
quindi la valutazione economica è molto difficile.
- Valuto se acquistare un terreno vicino a me non edificabile per so che fra tre anni diventa edificabile—> in questo caso
può essere industriale o no , dipende per cosa lo copro, non è industriale se lo compro per rivenderlo ad un prezzo più
alto perché ho si una ricchezza futura, ho rischio ma manca l’ultimo punto perché io rivendo ciò che ho comprato,
rivendo il mio investimento e non l’output. Se invece lo compro per me per edificarci un capannone, metto nuovi
impianti creo nuovo output.
L’errore più grande che si può fare è usare dei metodi di valutazione economica per l’oggetto sbagliato. Nell’ultimo
esempio se è industriale devo utilizzare determinati modelli di analisi economico. Se non è industriale come ad
esempio finanziario, es. rivendita, non posso usare lo stesso modello di analisi.
Come possono essere classificati gli investimenti rispetto alla distribuzione temporale dei flussi di cassa:
= ogni investimento è caratterizzato da varie uscite e varie entrate, la distribuzione nel tempo delle entrate
e delle uscite è la distribuzione temporale dei flussi di cassa. Quali entrate e uscite prevedi di avere? Le
distribuisco in un asse temporale. Rispetto a questa distribuzione posso avere 4 categorie diverse di
investimenti. Questi sono:
CIPO = continus imput point output => per un periodo di tempo con cadenza regolare = impiego delle
risorse, investo / linea rossa è spartiacque temporale prima ho l’investimento, dopo il ritorno/ point out
= avrò dopo un tot di tempo ad un certo punto stabilito avrò un ritorno economico maggiorato.
Es. assicurazione personale a tempo.
CICO = per un periodo di tempo continuo a investire, per tot anni fino a che (supero la linea rossa/ ho un continuo ritorno.
Es. pensione, studi.
PIPO = in un momento puntuale impiego del denaro, per avere un ritorno altrettanto puntuale.
Es. comprare azioni in borsa, compro e rivendo, investimenti finanziari.
Metodi aritmetici: non tengono conto del fattore tempo = se io procedo con
questo metodo assumo che 1€ oggi sia uguale a 1€ tra tot tempo, non tengo
conto della modifica del valore del denaro.
Nell’asse sei tempi metto per quanto durerà il mio investimento, a t0 faccio
l’investimento - 100€ per in t5 avere +101€ —> conviene
Metodi finanziari: tiene conto del fattore tempo e dello stesso investimento
dice —> non conviene perché quello che spendi oggi e quello che avrai domani
non puoi valutarlo con lo stesso metro monetario perché nel tempo il potere
d’acquisto cambia, per via dell’inflazione.
Inoltre l’indisponibilità di quei 100€ costa, potevo investirli in altro e farli fruttare, potrei disporne, qui si tengono conto di
tutti quesì condizioni. Qui si considera inflazione, fattore rischio, possibilità di disporre di quel capitale in altro modo.
Qui quel +1 che ottengo non è abbastanza per coprire tutti i cambiamenti
avvenuti.
VARIABILI DI IMPUT: sono le stesse in tutti i modelli e sono la parte più complicata da reperire.
È la più facile perché è l’unica variabile certa e non stimata e la prendo dal
preventivo del fornitore dell’impianto, costo base dell’investimento.
Riguardano un tempo unico, all’inizio.
Poi ci sono dei valori di rettifica, che mi vanno a modificare il costo base
dell’investimento in + o in -, possono esserci tutte, alcune o nessuna:
a. - eventuale contributo a fondo perduto erogato contestualmente all’investimento: possibile aiuto da parte di qualcuno
che non devo restituire nel momento in cui faccio l’investimento. (Li sottraggo dal mio costo totale).
b. + eventuali costi accessori: riguardo un qualcosa in più che acquisto per dotare il mio investimenti (auto, impianto) di
optional che lo migliorano. Spesa che decido di sostenere in più. (Aggravo il costo dell’investimento).
c. - eventuale valore residuo: nel caso in cui io faccia un investimento di sostituzione, il valore residuo è quanto mi viene
riconosciuto per l’impianto vecchio che sostituisco. (Mi diminuisce il costo dell’investimento).
d. + eventuale capitale d’esercizio: è una spesa in più che sostengo per munirmi di un capitale di un qualcosa in più che
potrò andare ad utilizzare nella vita dell’investimento. es. sono una impresa di lamiere e
sto valutando di acquistare una macchina automatica, decido di acquistare anche un kit di pezzi di ricambio, così da
essere pronto a cambiare nel caso si rompa qualcosa senza sospendere la produzione. Questo kit mi costa. Qua’ è la
differenza con i costi accessori. Perché il costo accessorio mi caratterizza l’investimento ma non mi torna indietro
niente. Il capitale di esercizio invece mi produrre dei flussi di cassa nel futuro. Nel momento in cui mi si romperà
qualcosa non spenderò perché ce li avrò già, non avrò costi.
È la durata per la quale io stimo, il periodo di tempo che utilizzerò per il mio
investimento. Vita utile 5anni = 5t.
Come faccio a stimare la vita utile? Importante perché mi va a condizionare per quanti
anni andrò a calcolare la ricchezza futura che mi produrrà.
Devo prima stimarne 3 diverse.
Vita fisica: durata fisica prevista del nostro impianto, per quanto tempo sarà
funzionante.
Vita tecnologica: ha a che fare con l’obsolescenza del nostro impianto. Sostituzione non perché fisicamente non fa ma
sono diventati obsoleti nel tempo, tecnologicamente superato, quando questo succede non si è più competitivi.
Vita mercatistica: fa riferimento al mercato, per quanto tempo avrò mercato con quel prodotto che mi da l’ impianto.
Date queste 3 devo decidere qual’è la vita utile: considero la più breve delle 3 indipendentemente da quale sia. Se vado
oltre anche di un solo anno oltre la più breve, non potrò utilizzarlo comunque. Considero la più breve perché se anche altre
durano di più non posso comunque utilizzarlo.
Mi dice quanto devo togliere alla ricchezza futura prodotta per metterlo nel metro monetario di oggi e confronto con
l’investimento che faccio oggi. Con questo tasso rendo tutti i valori confrontabili. Quando alla ricchezza futura viene tolto
il tasso di attualizzazione viene chiamata attualizzata.
Questo tasso mi permette di togliere valore alla ricchezza futura. Come si fa?
Formula matematica finanziaria o excel che ha già le formule pre-impostate o le tavole di attualizzazione.
Sono l’applicazione della formula matematica finanziaria per una casistica di possibilità.
4: DISPONIBILITà. “D”
È la ricchezza futura.
Come si calcola: ricavi - costi di esercizio(=anno), per ogni anno della vita utile.
Sono due i principi che vengono seguiti quello di competenza, chi fa il bilancio e
quello di cassa che seguiamo noi.
Per seguirlo, voce per voce devo chiedermi: per questo ricavo/costo quando si
realizza questo flusso di cassa? Perché mi servono i flussi di cassa che quel
investimento produce.
Per quanto riguarda i costi di esercizio se ho la voce ammortamento o oneri finanziari non devono essere contanti.
Gli ammortamenti: sono la suddivisione del costo di acquisto di un bene durevole (= costo dell’investimento) rispetto
agli anni della sua vita utile. Questa voce serve per arrivare al bilancio e per equilibrio fiscale. Ipotizziamo anno x di
investimento e spendo 1000€. Devo calcolare le imposte da pagare, mostro i ricavi i costi e forse sono sotto perché ho
avuto costi più alti. Dal punto di vista fiscale quell’anno pagherò poche tasse perché si pagano sugli utili, se non sono in
perdita avrò comunque un utile molto basso e pago poco.
L’anno dopo avrò i frutti dell’investimento e i costi saranno i soliti senza il costo di acquisto dell’impianto => pagherò un
sacco di tasse perché avrò tanti utili. Disequilibrio nel tempo della distribuzione delle imposte.
Viene inventato l’ammortamento: prendi il costo dell’investimento è spalmalo sul bilancio di quanti anni presumi di
utilizzare l’investimento. Così ogni anno ci sarà una quota a parte nel bilancio legato all’investimento di 100€ per 10 anni.
PAYBACK PERIOD = periodo di recupero. Mi dice se è conveniente se: se oggi spendo 1000€ quanto tempo ci metto a
recuperare quella spesa? Convenienza espressa in termini temporali.
Nelle imprese si parte facendo una tabella e poi si tirano fuori i 3 risultati. Cosa succede se per due modelli è conveniente
e per uno no? Devo fissare le priorità, vedendo quali sono i miei vincoli.
2. Sfuggono gli aspetti di tipo qualitativo, le variabili e risorse intangibili difficilmente quantificabili. Faccio un
investimento per migliorare la mia immagine, come la quantifico?. Ci sono aspetti per i quali la quantificazione è
difficile.
3. La trappola dei numeri: sorta di naturale innamoramento dei numeri. I numeri piacciono perché ci mettono tranquilli.
Il numero mi da sicurezza, mi aiuta a prendere le decisioni, anche forma di difesa ex post se qualcosa andasse male.
Questa certezza è però finta perché è un numero che si basa su stime. Questi modelli che mi riportano un numero mi
aiutano a prendere la decisione, nascondono un problema più grande —> che le mie decisioni devono essere basate su
altre aspetti qualitativi.
4. Possibile circolarità del ragionamento: la convenienza economica di un investimento è la risultante di ricchezza futura
che è superiore all’investimento. Come faccio a preselezionare le alternative da valutare? La convenienza non si
valuta sulla base della ricchezza attuale ma sulla ricchezza futura che mi produrrà. Io dovrei andare in fiera con
stima delle disponibilità future. Come stimo le ricchezze future se non so gli impianti? Mi servono le disponibilità
future per preselezionare le alternative, però mi serve avere preselezionato l’alternativa per stimare la disponibilità
futura. Circolarità, non se ne esce. Questo è un limite grosso di questi modelli. L’unico modo per uscirne è tenere le
porte aperte per alternative in più. Questo lo posso fare se so che questi modelli hanno questo limite.
Dati questi limiti alcune imprese dicono, questi limiti sono troppi non usiamo questi modelli. Però ci sono altre imprese
che le utilizzano e le utilizzano tutti.
Li uso ma non prendo le decisioni sulla base solo di questi risultati, perché allora devo fare questi modelli se poi non
guardo il risultato? La decisione va a finire che si prende con l’intuito imprenditoriale.
L’imprenditore sulla base di informazioni, percezioni si sente di prendere la decisione. L’intuito imprenditoriale è più
formato, qualitativamente migliore. In che senso formato? Ognuno di noi osserva naturalmente certi fenomeni più che
altri.
L’intuito imprenditoriale, nel momento in cui io obbligo un soggetto a fare l’Eva, il TIr…. l’ho obbligato a riflettere anche
sui fenomeni che naturalmente non andrebbe ad osservare.
È più importante il processo di costruzione di questi modelli più che
il risultato in sé.
Il sistema turistico
l’immagina dell’Italia che piace ai turisti che quindi li attrae sono le ricchezze monumentali, artistiche, naturali…
Per l’Italia è un settore talmente importante che alcune città basano la propria economia sul turismo che quindi porta
opportunità di sviluppo per la società.
Negli ultimi anni l’Italia sta perdendo posizioni anno dopo anno perché abbiamo peccato di presunzione. Cioè ci si
adagia su ciò che attrai senza sforzo senza finanziare. Ci sono talmente tante attrazioni che non serve investire, altri paesi
che non ne hanno, hanno investito diventando più competitive. Hanno lavorato sulla qualità anche del turista. Tengo un
turista che ha un impatto migliore.
Cosa è il turismo?
Insieme polivalente di attività e servizi molto diversi tra loro, che producono il prodotto finale per il turista, ma il
risultato turistico è l’insieme dell’alloggio, delle opportunità nell’intorno…. Un insieme di fattori per questo si chiama
sistema turistico e non settore. Comprende molti settori, esempio impresa aerea e albergo, sono diverse ma fanno parte del
viaggio che acquista il turista.
Deve prevedere una persona che si trasferisce temporaneamente per vari motivi: svago, sport. Deve essere temporaneo da
un luogo geografico ad un altro. Esistono vari tipi di turismo: sportivo, dentale, culturale…
Chi è il turista?
Chiunque viaggia in paesi diversi da quello d’origine, deve stare fuori almeno una notte altrimenti è un
escursionista. Il turista chiede un servizio in più rispetto all’escursionista, si affida alle imprese della ristorazione, dell’
alloggio, di tutti i servizi possibili per ottimizzare il tempo li. Il gestore dell’evento non distingue i flussi turistici da
quelli escursionisti, perché nella sostanza cambia perché dire che stanno arrivando turisti io ti muovo l’economia,
quindi promuovi il mio evento. Dire cosi porta un introito di più dal punto di vista di contribuiti e sponsorizzazioni.
Il problema si pone se l’evento è nel medio lungo termine. Perché dopo un po’ vedo le casse del negozio e ci si rende
conto che non è avvenuto quell’aumento di cassa. Nel futuro si crea la sfiducia nell’organizzatore che perde
un’opportunità. Anche l’escursionista ha un impatto economico e se veniva detto ci si poteva predisporre per un evento
ad hoc.
L’escursionista ha bisogno di servizi diversi, torna ad esempio più volte, e investendoci sarà una soluzione vantaggiosa a
medio lungo termine.
Nei report si vede che nel turismo c’è una continua crescita.
Le imprese turistiche sono tutte le attività che forniscono un prodotto o servizio a favore dei turisti.
Fino al 2001 erano imprese turistiche solo quelle che offrivano un servizio ricettivo, hotel e alberghi.
Questo riconoscimento fu una grande conquista ma ha ancora oggi degli effetti. 1 Si tratta dell’ alto livello di conflittualità
perché le imprese sono tanto diverse tra loro e perché per raggiungere il risultato della mia impresa può essere che la
strategia da adottare, le caratteristiche del servizio… siano molto diverse da quelle che vogliono offrire le altre imprese.
Es. l’albergo chiede facciamo entrare in città solo a chi prenota una camera e una volta che l’hanno affittata sono apposto
e non vogliono che quei clienti si trovino il pienone, ma questo collide con la gelateria che offre anch’essa un servizio
turistico e che quindi vuole che entrino più turisti possibile. Per questo bisogna trovare una soluzione unica perché la
destinazione va gestita come unica, le singole imprese gestiscono il servizio che erogano che hanno obiettivi diversi
ma la destinazione va organizzata come unica. Dal 2001 che entrano a far parte del sistema anche altre imprese gli
albergatori che prima erano loro a prendere le decisioni sono costretti ad ascoltare anche le altre imprese
Oggi le imprese turistiche sono suddivise in
due grandi gruppi
-i. Agenziale: agenzie viaggi, sono imprese dettaglianti, il tour operator è colui he confeziona il viaggio, il grossista.
- i. Non agenziale: comprare un viaggio senza senza agenzia, quella che ha più successo. Oggi c’è un momento di ritorno
perché quelle che sono sopravvissute si sono specializzate in viaggi religiosi, scolastici… oppure sono diventate in
creazione gestione di eventi. Oggi stanno tornando i modi tradizionali perché senza passare da Booking l’albergatore
non deve sostenere la spesa che deve riconoscere a Booking offrendo ad un prezzo migliore.
Canali di vendita
Questa complessità