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FINALITA’, RISORSE, PERSONE

Cos è il management?
Gestione d’impresa attraverso professionisti (manager ma non soltanto) specializzati in ruoli (di connessione di governo se
si tratta del manager) atta ad integrare le attività di direzione e controllo da parte dell’imprenditore.

Il management è un arte e non una scienza = nel senso che non è riproducibile, ogni volta bisogna adattare le proprie
decisioni e ricerche al contesto di riferimento rispetto a quel momento con tutte le variabili. Nel senso che non è una
scienza esatta, non c’è nulla che garantisce quel risultato. Ma è
comunque una scienza —> una scienza sociale che riguardano
l’uomo, le persone e la società.

Impresa = è un istituto preposto primariamente alla produzione di


beni ed erogazione di servizi per il soddisfacimento dei bisogni delle
società(fine ultimo).

L’impresa esiste perché ci sono delle persone —> che perseguono


determinati fini —> per mezzo di istituti (soggetti che svolgono
attività economica per soddisfare questi bisogni delle persone).
ISTITUZIONI: famiglia - amministrazione pubblica - impresa.
Tranne la famiglia sono organizzazioni/istituti che sviluppano un
processo produttivo di beni/servizi. Sono tutte e 3 in competizione
tra loro.
L’impresa è una della possibili aziende ma non sono la stessa cosa
(possono essere private, pubbliche o miste). Cos’è che fa si che una azienda sia impresa? È il PROFIT. Un’azienda non
profit non è un’impresa.
Il fine ultimo delle imprese è il profitto.

STORIA DELL’IMPRESA

L’impresa era definita come impresa-soggetto, ovvero un soggetto che crea un’impresa quindi parlare di imprenditore o
impresa era la stessa cosa, non si potevano distinguere. Il fine di Mario Rossi Idraulico è portare a casa i soldi e
corrisponde al fine della sua impresa. La finalità dell’impresa-soggetto è il profitto.
Un giorno il figlio vuole fare parte dell’attività. Il figlio potrebbe diventare un socio che ha interesse che l’impresa cresca -
diverso da quello del padre.

Esiste nella realtà questa impresa? No perché ce razionalità intersoggettiva, ovvero nel momento delle decisioni si deve
tener conto di più soggetti chiamati STAKEHOLDER = portatori di interessi interni ed esterni (fornitori hanno interesse
che l’impresa cresca cosi compreranno più da loro/ investitori hanno interesse che l’impresa lavori cosi da avere ritorno
economico/ clienti hanno interesse di acquistare il prodotto migliore al prezzo più basso / Stato ha interesse nelle imprese,
vuole lo sviluppo economico del paese la loro salute fa si che il popolo viva bene, lavorare… se cosi non fosse, non c’è
lavoro lo stato interviene con i sussidi nell’altro modo non deve farsene l’onere perché le famiglie sono autonome/ la
comunità locale ha interesse che non inquini, che assumi persone, che sappia produrre ciò che effettivamente serve alla
società)

-> questi sono tutti stakeholder e l’impresa deve tenere in conto di tutti i loro vari interessi -> l’impresa non può essere
sganciata dalla società altrimenti muore.
Oggi si parla di razionalità limitata a cui sottostanno tutte le imprese: non è possibile prendere decisioni ottime con
razionalità assoluta, ma limitata al numero di variabili, al momento e al tempo a disposizione.

Oggi quindi si parla di impresa-sistema che è cognitivo(apprende e matura continuamente), complesso (formato da più
parti che interagiscono tra loro), gerarchico (composto da tante parti che interagiscono, nel senso che ci sono iter, processi
sequenziali) e autopoietico (evolve a partire da se stesso, ogni impresa è diversa dalle altre, ha nascita che condizionerà la
sua evoluzione).
=> la finalità può essere ancora, data l’impresa-sistema, considerata la massimizzazione del profitto?

Cos’è il profitto? È diverso dal guadagno che è la differenza tra i ricavi (ciò che entra grazie alla vendita) e i costi (uscite
economiche a fronte del pagamento dei fattori produttivi - fornitori, personale, materie prime…). Se questa differenza è
positiva (ricavi superiori ai costi) ho un guadagno.
Se ho un guadagno potrei avere un profitto. Di questo guadagno una parte la si investe di nuovo nell’impresa (capacità
produttiva) per crescere mentre un’altra parte diventa profitto che è quindi la parte del guadagno che l’imprenditore si
tiene per sé.

Come rispondere allora? Per dare una risposta bisogna capire meglio perché esiste questo profitto, se l’impresa è un
sistema perché dovrei preoccuparmi del profitto? Perché una parte del
guadagno deve finire a profitto?

Esistono 4 ragioni:
• l’imprenditore scegliendo di esserlo si assume un rischio economico,
legale, quindi rispetto a un dipendente. Risponde dell’andamento
dell’impresa quindi è giusto che se le cose vadano bene abbia un
ritorno.
• l’imprenditore è colui che ha avuto l’idea, che continua ad averne, che
porta innovazioni per lo sviluppo della società. Se non ci fosse
evoluzione non ci sarebbe lo sviluppo della società.
• l’imprenditore svolge un’attività quotidianamente e per questo ha uno
stipendio, a fine anno ha un profitto per aver organizzato i fattori
produttivi e lo fa anche al di fuori dell’orario prettamente lavorativo.
• risultato dell’imperfezione del mercato - si dice che il mercato è
imperfetto = le info di mercato non fluiscono in modo omogeneo ed equo tra tutti soggetti che fanno parte di quel
mercato => qualche impresa ha informazioni in più rispetto ad altre => si muoverà meglio, avrà dei vantaggi.
Posizioni monopolistiche = forme di mercato in monopolio, forma dell’economia dove per un determinato prodotto c’è
solo un’impresa che lo produce e se ne occupa (nelle economia sviluppate non ci sono quasi più è rimasto ad esempio il
monopolio di stato nella vendita delle sigarette) => ci sono poche imprese che possono fornire un determinato
servizio/prodotto.
=> quell’impresa avrà un titolo per ricevere un extra profitto: l’ imperfezione del mercato ha come conseguenza
l’acquisizione di posizioni monopolistiche e => ad ottenere per questo un extra profitto.

*(mercato = raggruppamento di imprese che producono un prodotto e soggetti reali o potenziali che lo comprerebbero)

Dunque è giusto che ci sia un profitto per le imprese poi possono esserci discussioni sulla quantità.

Prima di rispondere alla domanda bisogna considerare o LIMITI ALLA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO: alcune
decisioni non si prendono per massimizzare il profitto ma per resistere anche domani.

La massimizzazione del profitto comporta una rischio (faccio fare i palloni da calcio ai bambini pakistani perché costa
meno ma a rischio di essere scoperto). Si cerca si un profitto però è sbagliato dire che la finalità dell’impresa sia la
massimizzazione perché bisogna tener conto dell’orizzonte temporale, allora la finalità dell’impresa-sistema è si il profitto
ma accontentando gli stakeholder e posso farlo con la crescita. Se l’impresa cresce sono tutti più contenti.
Nella crescita dell’impresa si riesce ad accontentare tutti gli stakeholder mantenendo come finalità la ricerca del profitto.
Questo comporta fare anche scelte che non mi diano subito profitti (non seguono la massimizzazione del profitto) ma lo
fanno per un profitto a lungo termine.

=> quindi la finalità non è sempre e comunque la massimizzazione del profitto ma deve essere considerata la CRESCITA
(sviluppo dimensionale) dell’impresa tra cui rientra anche la ricerca del profitto perché altrimenti non sarebbe tale.

Cosa significa che un’impresa cresce? O cos’è che ci dice che un’impresa è più grande di un’altra?
Il numero dei dipendenti e il fatturato perché sono facili da trovare (fruibili) e perché sono indicatori facilmente
interpretabili (facili da leggere). Come si misura la dimensione di un’impresa? 4 parametri
1) Parametri economici: (misurano il valore)
- FATTURATO —> uno dei più utilizzati perché è immediato e facilmente comprensibile e facile da trovare. Ha dei
limiti: 1) es. Bauli - core business: dolci natalizi - vacanze a cavallo tra 2 anni, periodo massimo di vendite quindi non
fa il bilancio a fine anno, come scuole. => non confrontare i bilanci di archi temporali diversi. 2) metto a confronto Aia
e Volkswagen: quanto fatturo con un petto di pollo e con una golf? => non posso confrontare due realtà aziendali cosi
diverse nell’essenza.
- VALORE AGGIUNTO —> dice qual è il valore che quell‘impresa aggiunge rispetto a ciò che c’è già nel nostro
sistema economico. es. A e B vendono televisori. B importa e vende made in China. A produce e vende. A allora è più
grande (laboratori, magazzini ,impiegati..) ma il fatturato questo non ce lo dice, questa differenza me la dice il valore
aggiunto = output (fatturato/ciò che vendo) - fattori di input acquisiti dall’esterno (materie prime che io non
produco ma acquisto mentre il personale è sì fattore di input ma non dall’esterno perché sono io che creo valore
aggiunto ). Valore che viene utilizzato poco perché è meno facilmente reperibile, inoltre le imprese cercano di non farlo
sapere perché è un dato sensibile.
*(fatturato = ciò che vendo e la sua quantità moltiplicato per il prezzo di vendita)

2) Parametri tecnici: (misurano le quantità)


- PRODUZIONE REALIZZATA —> quanto io produco, quante unità ho prodotto, se produco di più sarò più grande.
Ma anche qui Aia vs Volkswagen - produce di più aia ma non è più grande di Volk. => non confrontare aree diverse.
Nel caso di erogazione di servizi si ha contemporaneamente produzione e vendita questo crea difficoltà. es. posso
confrontare settore ristorazione tra McD e ristorante stellato? McD risulterebbe gigante anche se stesso settore quindi
anche all’interno dello stesso settore potrei avere problemi. Inoltre, anche all’interno di McD ce difficoltà a valutare le
dimensione tra i vari punti vendita. Posso confrontare un McD in un centro commerciale e uno in area industriale? No
perché sono realtà diverse.
- CAPACITà PRODUTTIVA —> potenziale produttivo sulla base delle mie risorse. Mi dice qual è il potenziale di quel’
impresa in caso di eventuali imprevisti. Aia -> blocco carne bianca per 1 mese-> il 31esimo giorno distribuisce di
nuovo petti di pollo VS il piccolo produttore che ci bada di più per riprendere la produzione. Posso misurarla in -
teorica/nominale ( scelgo una stampante è come indicatore guardo quante pagine stampa al minuto) vs - effettiva
(faccio la prova a casa di quante ne stampa al minuto). Quella teorica è calcolata tenendo in conto l’ottimo delle
condizioni. Altro elemento è il fattore umano: si ammalano, ferie,
vacanze… Tra i due si
usa di più la produzione realizzata perché l’altro è più difficile da ottenere.

3) Parametri patrimoniali: (patrimonio delle imprese)


- CAPITALE SOCIALE —> quanto l’impresa ha accantonato in garanzia di credito dei terzi. Minimo obbligatorio
stabilito per legge, tendenzialmente assettato sul minimo indispensabile. Quindi non tanto affidabile.
Se entriamo nel mondo finanziario il capitale sociale ha un valore diverso: non è soltanto garanzia dei terzi ma anche
dei clienti finali. Chi sceglie un’ assicurazione le confronta guardando il capitale sociale (in caso di eventuali
risarcimenti). Nelle assicurazioni si trova nella certa intestata ma non mi dice il numero di associati. Quindi è un
parametro che ha un relativo senso nel settore finanziario.

4) Parametri organizzativi: (organizzazione dal punto di vista del numero degli addetti)
- NUMERO ADDETTI —> come fatturato numero facile da reperire e facile da valutare. In base a questo si dividono in
grande, piccola e media. Chi sono gli addetti? Fino a poco fa erano solo chi aveva un contratto a tempo indeterminato.
Questo modo ci da fotografia poco corretta, esiste una variabilità di contratti atipici molto grande. Quindi oggi si
conteggiano più forme contrattuali. Considerando che ci sarà poi sempre il lavoro in nero. Eppure mi serve sapere
quante persone lavorano anche se non hanno un contratto => primo problema. Inoltre, non posso confrontare aziende di
settori diverse (vestiti - 500 persone, ristoranti - 40, macchine - 100.000).
Altro problema: il numeri degli addetti è conseguenza della scelta delle aziende di come svolgere il processo
produttivo: o produco labor intensiv (investo nel lavoro dei dipendenti) o capital intensiv (investo in macchinari..) =>
questo indicatore non mi dice quale processo è stato scelto.

Quale uso per misurare le dimensione dell’impresa?


Valutare tutti questi parametri richiederebbe troppo tempo e nel mentre i dati possono cambiare, inoltre se li uso tutti
posticipo il criterio di scelta che mi interessa. Ovvero devo chiedermi perché misuro la grandezza dell’impresa? Quindi
sulla base del motivo per la quale misuro l’impresa scelgo un fattore. Quindi prima capisco perché lo faccio e di
conseguenza scelgo che parametro utilizzare.

Qual’è il migliore? Non esiste uno ideale ma dipende dal motivo per cui sto misurando la dimensione e sulla base di questo motivo
sceglierò quello più opportuno.

Mancano da calcolare le RISORSE INTANGIBILI (quelle tangibili = misurabili sono es. il fatturato e tutti gli altri).
Oggi le imprese funzionano sulla base di entrambe queste risorse, senza quelle tangibili le imprese non esistono ma anche
quelle intangibili, che mi permetto di far crescere l’impresa.

Ogni impresa si crea le sue e il risultato dell’impresa dipende dalle risorse intangibili. Sono investimento necessario.

A. Cosa sono? —> valore dei dipendenti, conoscenza/sapere nel senso più ampio, fiducia dei clienti, ambiente lavorativo,
il brand che aggiunge valore economico lavorando su aspetti intangibili - rappresenta un’idea/ status symbol - se
compro una maglia Versace non cerco la maglia tangibile ma lo status, ciò che rappresenta (es. Audi, Apple…), le
routine (conoscenza del funzionamento di determinati processi all’interno dell’impresa, tutti i passaggi da fare -
sarebbe ideale avere una routine per ogni processo per lavorare meglio, essere più sereni e aver un maggior livello di
certezza e fa risparmiare tempo).
Es. Dipinto Gauguin nel tempo se guardo gli aspetti tangibili magari si è anche deteriorato ma se guardo gli aspetti
intangibili è i valore del periodo storico, del pittore e della sua reputazione che fa aumentare il prezzo - è la parte
intangibile che ne determina il valore. Sono intangibili ma concrete
perché fanno la differenza.

B. Caratteristiche:

- SEDIMENTABILITA’: mettono radici nell’impresa nel tempo (es. fiducia);


- INCREMENTABILITA’: crescono, si sviluppano molto spesso attraverso il loro utilizzo;
- UNICITA’: sono uniche perché sono qualcosa che viene creato strada facendo all’interno di una società;
- DIFFICILE ACQUISIBILITA’ E COPIABILITA’: non possono essere acquistate -non posso compare la fiducia o
reputazione- non esiste un mercato delle risorse intangibili l’unica cosa che si potrebbe acquistare è il brand;
- FLESSIBILITA’: capacità di adattarsi;
- DEPERIBILITA’: se non continuo ad investire nelle risorse intangibili, deperiscono (es Lamberjeck ha inventato lo
stivaletto, venduto ma poi si è adagiato è arrivato Timberland e ha copiato l’idea).

DOVE TROVO QUESTE RISORSE? DA DOVE PARTO?

—> dalle PERSONE —>derivano dal lavoro delle persone.


Nelle persone ricerchiamo le risorse intangibili, più di contare quante sono, devo valutare il loro valore.
Come fa un’impresa ad avere il capitale umano migliore? Processi di selezione. Devo imparare a conoscere le persone e
studiarle.

Le prime figure più importanti sono IMPRENDITORE e MANAGER.

• L’ imprenditore è il soggetto economico che ha fatto nascere l’impresa e rappresenta l’aspetto innovativo/creativo, è
colui che continua a ricrearla ogni volta, rilanciando sempre nuovi progetti. Ha la cosiddetta distruzione creatrice:
distrugge il presente per creare qualcosa di nuovo.
• Il manager è il gestore dell’impresa dal punto di vista più puntuale e meticoloso con focus sui processi di gestione, dal
punto di vista economico, che lavori in un equilibrio economico-finanziario nel realizzare le idee innovative
dell’imprenditore. *(Gestisce input e output = costi e ricavi)

L’ideale sarebbe che questi soggetti fossero due soggetti diversi, la realtà di oggi è che oggi sono la stessa persona.
Problema quando sono nella stessa persona: ognuno di noi ha una tendenza più a uno o all’altro. In questo caso l’impresa
dove sono la stessa persona e la persona è più imprenditore è a rischio la parte economica, se fosse il contrario avremmo
un’impresa sempre in equilibrio finanziario però ferma, che non si innova.

Per l’impostazione mentale italiana il padre “l’imprenditore” non delega, è suo e vuole il potere. Esiste oggi il temporary
manager che entra in azienda per un breve periodo, osserva, aiuta a migliorare poi va via. In questo modo prepara
l’impresa all’ingresso di un manager permanente, cambiando la mentalità.

—> PRINCIPI ESSENZIALI (risorse intangibili)

EFFICACIA : sono efficace quando raggiungo il mio obiettivo —> imprenditore


EFFICIENZA: rapporto tra risultati ottenuti e mezzi impiegati per il raggiungimento di quel obiettivo (guarda rapporto
output e input mi dice se l’impresa è in equilibrio o no -anche in positivo) —> manager

Posso essere entrambi, nessuno o uno e non l’altro. A questi due incipit si abbinano i due soggetti cosi che ognuno abbia
la sua responsabilità, con due persone diverse ho una specializzazione migliore per ognuno dei due campi.

L’efficienza si può misurare da un punto di vista tecnico (eff. tecnica) —> produttività = rapporto tra i fattori fisici (es.
prodotti ottenuti diviso ore di lavoro).
L’efficienza calcolata dal punto di vista economico —> economicità = al numeratore ho i prodotti in termini di valore (1
prodotto x tot. €) fratto costo delle ore di lavoro (costo di un’ora di lavoro).

AMBIENTE PER L’IMPRESA

Ambiente è il contesto generale all’interno del quale l’impresa agisce = insieme di attori e condizioni (vincoli e
opportunità). Si divide in:
Ambiente interno —> interno all’impresa attori che stanno dentro e condizioni di base interne all’impresa;
Ambiente esterno —> attori e condizioni che stanno all’esterno che influenzano l’impresa.

ANALISI SWOT: analisi che mi mette in evidenza i


punti di forza (es. avere molto capitale) e di
debolezza (es. avere poco capitale => stesso aspetto
per qualcuno potrebbe essere un pro o contro)
dell’ambiente interno e le opportunità (di sviluppo per
la mia impresa che bisogna saper cogliere e
gestire/essere pronti) e le minacce (rischi per la mia
impresa - di fronte a queste bisogna conoscere i
propri limiti e provare a trasformarle in opportunità)
di quello esterno.
È un’analisi che andrebbe fatta quando l’impresa
deve prendere una nuova decisione, bisognerebbe sempre essere consapevole di quali siano questi 4 punti. Molto spesso
quando si fa questa analisi saltano fuori novità che l’imprenditore non sapeva. Questa analisi viene considerata anche
strategia d’impresa ma bisognerebbe averla sempre presente e non solo al momento di prendere decisioni.

AMBIENTE ESTERNO - scrematura progressiva


Macro-ambiente: contesto più ampio nel quale un’impresa si muove
(es. il sistema economico nazionale)
Ambiente settoriale: insieme dei soggetti che stanno all’esterno che
però fanno parte dello stesso settore mio.
Ambiente competitivo: altre imprese con le quali competo sul
mercato, di chi sono i clienti, quindi rispetto a un’area geografica ma
non solo. Differenza con quello settoriale -> Individua quelle che si
rivolgono ai miei stessi clienti.
Io impresa posso influenzare l’ambiente competitivo, meno con il
macro-ambiente al quale appartiene anche lo stato. Più ristringo
l’ambiente, più posso influire.

CHI NE FA PARTE?

L’ interazione dipende anche dall’importanza dell’impresa che deriva dalla


dimensione. Per me impresa ricevo i dettati normativi dall’ ente governativo
locale e mi adeguo ma io non posso influenzarlo - passiva.
Attiva —> con tutti gli altri soggetti, acquirenti, concorrenti… possono
influenzarmi o posso influenzarli - dipendentemente dalla mia dimensione (=
la crescita è l’unico modo per avere più influenza).

MA L’AMBIENTE ESTERNO è OGGETTIVO O SOGGETTIVO?

Di base l’ambiente è oggettivo, le leggi sono quelle e devo rispettarle (per aprire devo avere autorizzazioni) ma poi ha
componenti soggettive -> capacità di starci dentro e di muoversi (es. modo in cui vivo l’ambiente, colgo le opportunità,
evito le minacce, prendo le mie decisioni).

=> è sempre più COMPLESSO —> cercare di leggere e fronteggiare questa complessità e assumere le decisioni
necessarie per poter lavorare in questo ambiente complesso. L’obiettivo dell’impresa è produrre internamente
incrementare le conoscenze (risorse intangibili), più ne ho meglio posso fronteggiare questo ambiente. Rispetto alla
complessità devo cercare di avere sempre più conoscenza per giocarmi al meglio quella soggettività.

COSA VUOL DIRE COMPLESSITà PER LE IMPRESE?

1. Varietà e variabilità della domanda (* insieme dei soggetti acquirenti del mio bene o del mio servizio): varietà = la
richiesta è varia, ovvero richiede stesso prodotti in più versioni, gamma di prodotti differenti variabilità =
fattore legato al tempo, che continua a variare. Le imprese rispondono in
modi diversi da estrema offerta di personalizzazione (Nike-> fai scarpe come vuoi) all’offerta a colore di Benetton.
*(rivoluzione Benetton -> filiera produttiva = parto dal filato, coloro, produco maglia, confezione e vendo. Cosi ogni negozio
doveva vedere tot. Colori, tot. Numero di taglie per ogni colore, tot. Modelli per ogni maglia - tutto ciò per venderne uno- il
negozio aveva avanzi di costi di magazzino incredibili. Non funziona. Benetton dice coloro alla fine della produzione, prima vedo
la domanda - se il verde non lo vuole nessuno non lo faccio più, faccio solo rosso perché la domanda vuole quello. Cosi tengo
meno prodotti in magazzino- riduzione dei costi. Oggi tutti quelli che si occupano di questo fanno cosi, tranne se compro un
prodotto di qualità superiore (colorano il filato prima), colorano il prodotto finito.).
Alla varietà le imprese possono rispondere ma ci vogliono persone competenti e innovative.
2. Autopropulsività della domanda: mondo del fashion -> ogni settimana voglio una collezione nuova, perché una
volta uscita dopo due settimane non me la comprano più. Il consumatore si crea la domanda, vorrei varietà ma chiede
anche un prodotto specifico.
È la domanda che si crea da sola. La cosa difficile per le imprese è capire quali siano questi desideri inespressi. (es.
Calzedonia ha presentato un prodotto che 2 settimane prima non c’era in vendita solo perché un cliente ha chiesto qlcs
che non c’era).
3. Inappropriabilitá della ricerca scientifica: i risultati delle
ricerche di sviluppo non ha più senso farli proprio ovvero
non ha senso far proprio i risultati della ricerca scientifica =
ovvero brevettare = dichiarare le caratteristiche di un
prodotto in modo pubblico, che può uscire allora solo dalla
mia impresa e non da altre, si faceva per proteggere la
propria intenzione. Oggi non si investe più in brevetti, anzi il
contrario —> lo inventa e va a vendere ai clienti la licenza
ad imitare il proprio prodotto. La diffusione delle imitazioni
porta pubblicità al brand stesso che l’ha inventato.
Questo non crea concorrenza perché ci si rivolge a consumatori differenti. (Gucci fa la borsa per persone che pagano
1000€, il negozio la fa per uno che paga 100€). Promuovendo questo mercato in più, ottengo il capitale per investire
nuovamente in ricerca e sviluppo, per proporre prodotti nuovi (chi mi imita non ha questo ritorno).
4. GLOBALIZZAZIONE: tendenza dell’economia ad assumere una dimensione sovranazionale. È un processo di
integrazione che fa crescente le economie nelle diverse aree del mondo. 3 aspetti:
a. Globalizzazione del mercato e delle merci:, apertura delle merce, 1945 quando vengono abbattute le prime barriere
doganali (inizio di questo processo), utilizzate anche come strumento politico tra paesi. WTO - organismo
internazionale che pone le regole per lo scambio delle merci tra paesi nel commercio mondiale. Si basa su logica
liberista ovvero la libertà di movimento delle merci porta miglioramento dei paesi, quindi è da perseguire rispetto ad
altre politiche. Accusata di privilegiare le multinazionali perché quest’ultima che ha potenziale di sviluppo più forte
della piccola impresa può trarre vantaggio da questa politica liberista, la piccola no, cioè in questo modo la grande
arriva anche nel commercio di influenza del piccolo.
b. Mondializzazione delle imprese, dei progressi di lavoro e dei processi produttivi (= delocalizzazione del lavoro):
c’è anche libertà di movimento delle imprese stesse e io impresa posso andare a produrre in un paese estero.
Delocalizzazione del lavoro = processi di lavoro in stabilimenti esteri, magari dove costa di meno, quindi non è
sbagliata ma è scorretta per i processi a volte messi in atto tipo sfruttamento.
c. Mondializzazione finanziaria: io posso fare investimenti, muovere anche capitali, ovunque nel mondo.

Teoria dello sgocciolamento: principio liberista riguarda base


merci, questo per quanto riguarda la globalizzazione
finanziaria: questo processo (di global. finanziaria) inizialmente
genera iniquità, io ricco vado a produrre in un paese povero, ma
il fatto che posso farlo dà un’opportunità di sviluppo per quel
paese che altrimenti nel mio paese non avrei, se lo faccio là avrò più ritorno, questa ricchezza sarà talmente elevata che
non se la tratterrà tutta per sé ma verrà “data” a paese povero. Teoria corretta ma non tiene in conto della realtà dell’essere
umano.

COME SI MISURA LA GLOBALIZZAZIONE?

1) FLUSSI MIGRATORI: movimento delle persone, più


movimento più è globalizzato.

2) COMMERCIO ESTERO: si somma import (ciò che compro


dall’estero) + export in rapporto al PIL = valore complessivo delle
merci che si producono in un paese. Più il rapporto è alto più
è globalizzato.
*PIL = valore (economico) complessivo dei beni e servizi prodotti
in un paese per intervallo di tempo, destinati ad uso finale e non a
usi intermedi (se prendo il valore del pane non devo tenere in conto
il valor della farina che è già presente nel pane, altrimenti lo
conterei due volte => uso finale contiene gli usi intermedi).

3) INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI: ciò che le imprese


investono direttamente in un paese estero, io impresa investo
in un paese estero.

La somma di queste variabili mi dice il livello di globalizzazione


di un paese, il livello di crescita dato dal PIL però è comunque limitante quindi bisogna guardare la
TRASFORMAZIONE QUALITATIVA di quella società.
=> valutare i cambiamenti della qualità di vita di questa società (non basta vedere quanti McD hanno aperto).

—> INDICE DI SVILUPPO UMANO —> oltre al PIL anche indice di aspettativa di vita (se cresce tendenzialmente si
dice che in quel paese si vive meglio) e anche indice di educazione (livello di istruzione degli adulti - mi dice previsione
future sui giovani). Guardando questo capisco se c’è un miglioramento della società.
(=> apertura al mercato = miglioramento della vita.)
ISU alto ma PIL basso —> tipico dell’Europa e anche Italia.

=> Tendenzialmente un cambio di politica dei mercati verso l’apertura, alla globalizzazione, porta all’aumento del PIL e
quindi a un miglioramento. Al contrario per quello che non cambiano.

Nel valutare l'indice di sviluppo umano bisogna tener conto di altri aspetti come: POVERTà e DISUGUAGLIANZA.

Rapporto tra globalizzazione - povertà

Questi processi allora portano un bene anche se guardo il


benessere e non solo il PIL (da 84% a 24%). Bisogna
comunque fare attenzione ai valori assoluti, perché nel tempo
per esempio la popolazione cresce, quindi ogni volta che
aggiungo dati è più difficile (c’è sovrappopolazione quindi il
problema non è la globalizzazione, come si fa a capire?).

Disuguaglianza

Nonostante la globalizzazione, c’è ancora disuguaglianza non solo in merito ai paesi ma anche tra persone.
Se il più ricco prende 30 il più poveri prende 1, nel 1974 questo divario si è ampliato - se si guarda il reddito i 225 più
ricchi sono più ricchi del 47% della popolazione mondiale.

Dati a livello macro cioè più povero del mondo e il più


ricco. Ora guardiamo in Italia.
30 mln di persone ha il 10% della ricchezza mondiale
mentre 6 mln di persone ha il 45% della ricchezza. L’Italia è
un paese sviluppato con economia stabile eppure c’è
comunque disuguaglianza.
La situazione nel complesso è comunque grave, tanto che
alcuni dicono: è evidente che la globalizzazione ha fallito e
bisogna tornare ad una economia locale. Legato anche
alla questione ambientale. Per incentivare questo passaggio
bisogna inserire delle tasse di importazione in modo che queste merci importate risultino per il consumatore finale
talmente costoso da non acquistarlo più, cosi che le imprese non lo
acquistino più.

Se torno ad una economia locale cosa succederebbe? (Se l’Italia


non compra più cotone dal Mali cosa succederebbe alla sua
economia) se tutti i paesi tornassero ad una economia locale si
stravolgerebbe l’economia di paesi che basano la propria economia
su quei prodotti esportati.

Oggi si è in un’economia globale quindi la domanda sarebbe torno


ad una economia locale? Non è che siamo al punto zero e tutto
deve iniziare ma se si torna indietro bisogna considerare i danni
provabili anche alle persone.
Alzando i dazi si promuoverebbe una economia locale, ma quale
sarebbero le conseguenze?
Di fronte a tutto ciò cosa possono fare le imprese?

Oggi sono quelle più pronte —> SOSTENIBILITA’ DELLE IMPRESE : basata su 3 valori

- ECONOMICO: deve creare valore economico adeguato al livello di rischio (sia interno che esterno all’impresa) =
prendere decisioni per le quali in caso di disastro sono coperto (se cosi fosse stato la crisi del 2008 non ci sarebbe stata
è dipesa dall’irresponsabilità delle imprese che si sono prese rischi troppo alti).

- OTTIMIZZAZIONE DELL’ IMPATTO ECONOMICO: prendere scelte che valutano anche l’aspetto ambientale
(glamping - campeggi però più lussuosi, c’è anche attenzione all’impatto ecologico tipo acqua calda presa da pannelli
fotovoltaici… oggi c’è esplosione ma è facile se si tratta del lusso, ho clienti disposti a pagare di più per rispettare
determinate questioni ambientali. Dall’altro canto ci sono gli ostelli, rispettano ambiente rimanendo al prezzo di ostello
=> è tutta una questione di scelte d’impresa). .
- SODDISFAZIONE DEGLI ATTORI SOCIALI: soddisfa tutti gli stakeholder, quindi non è qualcosa di diverso dalla
natura stessa di un’impresa.

La sostenibilità delle imprese è tale se soddisfa tutti e 3 i requisiti. l’errore che si sta facendo oggi, nel’ attenzione
all’ambiente è che ci si dimentica di creare valore economico quindi l’impresa non cresce, non sviluppa => muore. Per
questo va bene ma non bisogna denaturare le imprese. C’è quasi vergogna a farsi riconoscere un valore economico a idee
sostenibili -> sbagliato.

Se tutte le imprese sono sostenibili, e non solo quelle filantropiche, la globalizzazione ha impatto negativo?
Se fosse cosi la globalizzazione porterebbe solo gli aspetti positivi, il problema è che non tutte le imprese sono sostenibili
e nemmeno le persone lo sono => le imprese hanno una risposta a questo problema (la globalizzazione fa bene o fa male?
Letto dal punto di vista delle imprese il problema non ci sarebbe.

STRATEGIE D’IMPRESA
Il primo studio delle strategie è quello in ambito bellico, nelle
imprese cerco le tattiche che metto in atto per raggiungere degli
obiettivi. Decisione che l’impresa deve prendere per raggiungere un
risultato tenendo in considerazione efficacia e efficienza
(raggiungere obiettivo mantenendo equilibrio economico).
Utilizzata anche l’analisi swot.
Processo di analisi gerarchico delle strategie:
1. Vado a capire l'idea di base dell’impresa, chi vuole essere, il
suo orientamento nel lungo periodo.
2. Strategie che mi permettono di decidere in quale direzione
crescite, come fa a crescere? Ci sono varie direzioni e queste
strategie mi aiutano a capire quale prendere, quale è la migliore per me. Una volta deciso…
3. Mi incontrerò con altre impresi della stessa direzioni, i concorrenti -> quindi prendere strategie competitive
4. Prendere decisioni specifiche nei vari ambiti (produttivo, con quali macchinari, prodotti..) sulla base della strategie
competitiva presa prendo decisioni sulle strategia funzionali/specifiche. Può avere attuazione anche nel breve termine.
Tutto deve essere in linea, altrimenti può essere che c’è la decisione migliore ma per me non funziona.

1. ORIENTAMENTO STRATEGICO DI FONDO: si concentra su 3 aspetti


definendo i concetti di:

- VISIONE (slogan) - cosa l’impresa si propone di divenire in un arco di tempo, è


il chi vuole essere perché: saperlo è fattore di coesione, inoltre se so dove stiamo
andando evito di prendere decisioni casuali o opportunistiche. (Es. non so cosa fare da grande, prendo decisioni che
non mi portano da nessuna parte).

- MISSIONE finalità fondamentale che l’impresa intende


perseguire nel lungo termine e che ne giustificano
l’esistenza: trovata l’identità/visione mi chiedo: DOVE:
campo di attività (es. IKEA sceglie settore arredamento) -
PERCHè: finalità e obiettivi di fondo - COME: filosofia
gestionale e organizzativa.
(IKEA -> Ideazione del prodotto partendo dal prezzo
finale che assumerà/sull’imballaggio -> in questo modo
me lo porto a casa da solo e non ho bisogno di
corriere/istruzioni facili per tutti/eco-friendly in alcuni
dettagli—> in questo modo, facendo leva sul prezzo arriva
a più persone.. migliorando la vita).

-VALORI: sono i principi guida alla base delle scelte strategiche


dell’impresa, posti in essere da tutti i componenti, dovrebbero
essere condivisi da tutti (business idea - valori sottostanti alla
nascita dell’impresa) molto legata al soggetto
imprenditoriale/componente soggettiva, poi possono assumere
sfumature diverse anche dovendo tenere in conto gli
stakeholder… (quelli di Ikea sono tanti ma studiati tornano nel
conto generale della visione dell’impresa - la dichiarazione dei
valore, dove si trova? Ci sono nella comunicazione di prodotto,
tipo pubblicità ma non sempre corrispondono perché vengono
utilizzati solo a scopo pubblicitario - si trovano nel sito, nella
parte “lavora con noi”).

Costa crociere —> non bisogna meravigliarsi se si trovano


missioni con dentro la visione e anche il contrario, esiste
della confusione -> bisogna capirlo dal contenuto.

2. STRATEGIE COMPLESSIVE O DI CORPORATE: scegliere la strada migliore per crescere. Ne esistono tante,
ogni impresa deve adottare la migliore sulla base prima di tutto della analisi swot in linea con l’orientamento strategico di
fondo.

Si usa la MATRICE DI ANSOFF :


Posso lavorare in termini di prodotto —> posso mirando a una
crescita, sviluppare un nuovo prodotto o mantenendo il prodotto
originale/attuale o posso lavorare in termini di mercato —> far
crescere l’impresa rivolgendomi al mio mercato attuale o mi sposto
su un altro mercato.
Combinando prodotti e mercati ottengo i 4 quadranti = sono 4
alternative strategiche che si hanno per crescere. Un’impresa
dovrebbe al primo colpo scegliere la strada più giusta per me.

Caso barilla le ha provate tutte e 4.


Barilla si rende conto che il trend di crescita non aumentava, vendeva ma non cresceva. Fa ricerca di mercato per capire
motivazioni di frenata e scopre che le persone non acquistano più pasta di prima perché sono gli anni fine guerra /
ricostruzione del paese quindi le famiglie stanno bene, quando c’è maggior benessere non si acquistano più prodotti
alimentari poveri (pasta, pane) ma carne e pesce; altro motivo in quegli anni si abbandona l’idea di bellezza femminile con
le curve e si vedono modelle magrissime -> il consumo della pasta diminuisce.

—> Allora Barilla dice io a fronte di questo non posso fare niente, posso entrare più a fondo nei mercati già miei che però
non aveva distribuzione omogenea all’interno del territorio italiano, vendeva più al nord che al sud, perché nel sud c’è una
cultura della pasta più forte e la vendita di pasta era legata a singoli laboratori artigianali (pasta fatta in casa) distribuiti in
tutto il territorio. I supermercati erano arretrati, pasta fatta da quelli del nord mentre o il laboratorio di pasta vera.

—> Barilla dice, devo entrare in punta di piedi e far capire che anche la mia pasta è buona : PENETRAZIONE DEL
MERCATO —> cercare di essere più incisivi su un mercato già di proprietà —> va nei laboratori artigiani, li acquista e
vende la propria pasta attraverso questi laboratori, cerca di affiancarsi/simpatizzare cercando di far capire al napoletano
che anche Barilla è degno di vendere. —> RISULTATO INSODDISFACENTE, la gente che entrava in queste botteghe
era irrisorio, ognuno continuava a comprare nel proprio comune e non si spostava solo perché in un comune c’era Barilla.
—> Prova altra strada, riflettono sul motivo per cui gli italiani non consumavano sempre più pasta. Provano a proporre
prodotti differenti (SVILUPPO DEL PRODOTTO) e inventa 2 linee di pasta: quella rustica, assomigliava più a quella
casereccia, le persone le avrebbero comprate e avrebbero speso di più => ha potuto metterle anche a un prezzo più alto e
pasta con farina integrale per far fronte all’altro problema. Barilla però non vede ancora crescere gli incassi. L’italiano
medio non incrementa più prodotti ma li scambia al posto della pasta normale si mangia quella rustica ma non è che a
pranzo mangia quella normale e a cena quella rustica. —> STRADA SBAGLIATA

—> Non sa più cosa fare quindi si rivolge all’estero, SVILUPPO DEL MERCATO*, tengo il mio prodotto e mi rivolgo
ad un altro mercato. Da uno studio di paese sceglie gli USA, gli americani non hanno la cultura della pasta e in caso la
mangiano scotta perché a loro piace così. Barilla si presenta con una pasta che non scuoce (per loro) e aveva un costo di
acquisto più alto rispetto a quella che già c’era nei supermercati, e costava di più perché esportava da i suoi stabilimenti in
Italia senza creare stabilimenti là (aveva già fallito due volte non poteva rischiare) inoltre per il tipo di farina usata, quella
là costava molto meno. —> FALLIMENTO

—> Ultima soluzione è la *DIVERSIFICAZIONE, cambio prodotto e mercato. Ma si chiede cosa faccio? Ci si basa
sull’analisi swot, tutte le risorse, le relazioni con fornitori, punti di forza… e decide di produrre biscotti “Mulino Bianco”,
se l’avesse fatto sotto sotto il nome Barilla aveva paura di fallire e intaccare anche il mercato della pasta => cambia il
nome perché almeno inizialmente non si doveva sapere.

Parte con i biscotti facendo analisti swot e di com’era l’ambiente esterno. C’erano i biscotti da pasticceria, aveva un
mercato piccolo quindi non aveva senso inserirsi in un contesto merceologico del genere. Poi ci sono i biscotti secchi,
hanno mercato ristretto e c’era già come oggi un gigante “Orosaiva”. Infine ci sono i frollini e sceglie questa perché allora
erano prodotti da tante imprese ma nessuna era leader di mercato, era venduto in sacchi da kg e c’era poca varietà. È un
prodotto acquistato dai più e non c’è un leader di mercato. Problema: le persone vogliono dimagrire.
Allora studia come gli italiani fanno colazione - o frollini o pane raffermo - e si dice devo far capire che con questo
biscotto non sto sgarrando, è comunque sano e ha qualche caloria in più perché pasto più importante. Inizia a pensare alla
confezione e al packaging. => non deve dare l’idea di sofisticato con glassa… devono assomigliare più al pane, perché
mentalmente ti fa che è più light, mentre la confezione assomiglia al sacchetto del pane. Inoltre l’immagine, il mulino, mi
deve dare l’idea della farina, di qualcosa sano, poco lavorato… il bianco perché è sinonimo di purezza. Oggi abbiamo
addirittura l’idea di famiglia mulino bianco, sono riuscita ad entrare nelle famiglie italiane. Ultima decisione che ha preso
non investire in nuovi stabilimenti produttivi, si basa su imprese che avrebbero prodotto per lui. Da li grande successo, ha
continuato con questa strategia di diversificazione con sughi, piatti pronti….

*Sviluppo del mercato: caso Barilla in senso geografico, teoricamente può riguardare anche la tipologia del cliente. Es.
zaini Invicta, Invicta inizialmente produceva zaini da trekking poi si chiede cosa sa fare e dice io so fare gli zaini da spalla,
conosco le materie prime e tutto, queste sono le conoscenze sulle quali posso fare leva => ideo un prodotto simile con
piccoli cambiamenti e li vendo ad un target diverso, gli studenti => ha sviluppato il mercato in termini di clienti.
Quindi ha una duplice veste o geografica o di target di riferimento.

Queste strategie hanno a volte confini labili.

Strategia della *diversificazione, implica un cambiamento maggiore per l’impresa. Si distingue in due tipologie: correlata
o non correlata/conglomerale.

Correlata: strategia che va a individuare un nuovo prodotto


andando a mantenere un collegamento con ciò che già fatto
attualmente relativamente alle materie prime, canali
distributivi… quindi risorse sia tangibili che intangibili
Non correlata: nuovo prodotto che non ha alcun legame col
prodotto originale. Scelgo questa perché o vado a sfruttare
un’opportunità di business vantaggiosa oppure per ottimizzare
il rischio finanziario del portafoglio business (insieme dei
prodotti che la mia impresa produce e vende, insieme di
business). In questo caso si va a scegliere un prodotto di un
settore anticiclico: quelli che si comportano all’ opposto di
come va l’economia (se l’economia va male aumenta la vendita
dei prodotti a basso valore/aumenta la vendita dei prodotti primari). In questo modo sia che sono in buona o cattiva
economia guadagno lo stesso, sia nel settore ciclico e anticiclico e riesco a lavorare in equilibrio.
PERCHè SCEGLIERE QUESTA STRATEGIA?

3. All’interno della mia impresa ho una capacità produttiva in eccesso


ma non ho mercato => cerco nuovo prodotto e nuovo mercato per
sfruttare a pieno la mia capacità. Ottimizzare le risorse.
5. La scelgo di investire in un nuovo prodotto il quale primo cliente
sono io stesso, mi occupo della costruzione degli impianti per quella
lavorazione. Produco i macchinari.
7. Ovvero divento più grande e acquisto sul mercato maggior potere
8. Imprese che si sono reinventate, hanno investito in un nuovo
business convertendo il loro prodotto in un altro per un altro mercato.

Uso la MATRICE BCG Boston consulting group, agenzia di


studi/ricerca americana par capire dal mio portafoglio prodotti se
sono in equilibrio.
Tasso di crescita del mercato = se questo mercato sta registrando
dei trend di crescita
Quota di mercato relativa = la quota di mercato è la mia fetta di
mercato, porzione di mercato servita dalla mia impresa.
Conoscere la propria quota di mercato non è sufficiente per
l’analisi, mi serve allora quella relativa, metto in rapporto la mia
quota con quella di un’altra grande competitor.
Prendo l’elenco prodotti della mia impresa e mi chiedo per
ognuno qual’è il tasso di crescita e la quota di mercato? E
inserisco ogni prodotto in un quadrante, completando la matrice.
Qui c’è una sorta di ciclicità tra questi quadranti

1. Prodotti QUESTION MARK => prodotti per i quali devo farmi delle domande, sono in un mercato in crescita ma in
questo mercato io sono piccola, quindi ci sono buone prospettive, devo chiedermi se è vantaggioso investire in questo è
acquisire nuove quote di mercato. Ne vale la pena?
Un prodotto question mark è un prodotto per il quale ho grandi spese, ma poche entrate perché ho poco mercato => è un
prodotto che non porta cassa al massimo prosciuga.

2.Prodotti STAR => c’è mercato che sta crescendo e sono impresa importante, dal punto di vista del portafoglio
finanziario è vero che ho tante entrate ma anche tante uscite, se il mercato cresce e non voglio rimanere indietro devo
continuare a investire => ho tante entrate e tante uscite => equilibrio borderline.

3.Prodotti CASH COW => prodotti che hanno tasso di crescita di mercato stabile o non in crescita e sono impresa leader,
quota alta, sono importanti un mercato che si è stabilizzato. Vendo tanto ma non ho più grandi investimenti perché il
mercato si è assestato => sono i prodotti che fanno cassa, devo solo mantenere e non nuovi investimenti.

4.Prodotti DOG => quota bassa, tasso basso, sono piccolo in un mercato piccoli, quindi non mi conviene rimanere in
questo mercato. L’unico modo è uscirne, non lo tengo nemmeno un prodotto del genere. Quindi disinvesto. Exit business.

È una matrice che presenta un portafoglio prodotti in equilibrio quando ha almeno un prodotto in tutti i quadranti, eccetto i
dog per avere un equilibrio finanziario. Non posso avere tutti star altrimenti non ho abbastanza entrate.
Strategicamente è buono anche vedere dei prodotti in dog, mi indica che l’impresa evolve, sta al passo anche se non aiuta
nell’equilibrio finanziario, sono prodotti di passaggio.
È una matrice che bisognerebbe fare ciclicamente.

STRATEGIA DI INTEGRAZIONE per far crescere un’impresa.

FILIERA PRODUTTIVA : sequenza di fasi per arrivare dalla materia


prima al lavoro finito.
COSTI TRANSAZIONALI: io impresa mi occupo di tutte queste fasi
o faccio fare dei passaggi all’esterno, non mi occupo di tutta la filiera
produttiva. Dal punto di vista economico il pensiero va su: fare tutte le fasi e quanto mi costerebbe e quanto mi costerebbe
se facessi dei passaggi all’esterno. Bisogna considerare anche i costi di preparazione e attuazione dello scambio sul
mercato ovvero conoscenza del fornitore affidabile, di relazione con questo fornitore che me lo porti come lo abbiamo
deciso, trasparenza.. scambio non in senso della merce ma di preparazione di uno scambio. - rappresenta i costi di questo
lavoro intangibile di relazione ma che è propedeutico e necessario ad una
buona transazione.
Questa strategia si chiama cosi perché:
1) integra fasi della filiera produttiva o
2) di integrare dentro di se con più forza la stessa fase della filiera
produttiva.

Integrazione verticale si fa quando l’impresa aggiunge alla fase che oggi


ricopre all’interno della filiera produttiva un’altra fase che viene prima o
dopo. A monte se viene prima, fase precedente o a valle se viene dopo, una
fase successiva.
Perché dovrei integrarmi verticalmente?
Accresco il valore aggiunto, il valore creato dalla mia impresa + aumento il
valore di mercato, il mio potere di influenza sul mercato diventa più
importante + ho maggior controllo sulla filiera, legato a questioni
tempistiche di avere prodotto finito/ controllo sulla qualità anche della
materia prima per es. per capire la qualità finale + creo BARRIERE
ALL’’ENTRATA, qualcosa che rende più difficile l’ingresso di altre imprese nel mio settore limitando la concorrenza.

Vantaggi se mi integro a monte: ho maggior controllo sulla materie prima, qualità o per controllo tempistiche sulla
lavorazione, o anche controllo dalla scarsità o mancanza di materia prima (mercato delle pietre preziose).
Vantaggi a valle: perché più mi avvicino al consumatore finale, fino a vendere direttamente più avrò in anticipo le
informazioni del mercato e più correttamente senza mediazioni. Il passaggio dell’informazione in più passaggi può essere
cambiato accidentalmente o di proposito (io grossista darò l’informazione al fornitore che mi sta più simpatico e poi agli
altri).

Integrazione orizzontale: rimango nella mia fase della filiera ma cerco di diventare più grande. Vantaggi: aumento quota
di mercato, divento più importante in quel settore. Economie di scala, fenomeno per il quale se lavori su una
dimensione/scala maggiore avrò dei risparmi di costo. Questa strategia mi consente risparmi di costo. Lo faccio anche per
sfruttare eccessi di capacità produttiva.

COME FACCIO a far avvenire quella orizzontale? Per VIA INTERNA O VIA ESTERNA.

Via interna: voglio allargarmi, si libera un magazzino vicino a me, lo prendo, acquisto nuovi macchinari e produco di più.
Sono io impresa che ho creato nuova capacità produttiva con nuovi macchinari, nuovo personale. Se la faccio cosi sfrutto
meglio le mie risorse intangibili, vedo che c’è possibilità di crescita del mercato.

Via esterna: non faccio investimento di mia prima mano ma cerco all’esterno se esiste un’impresa acquistabile, faccio mia
una capacità produttiva che già esiste, tramite acquisto. Vantaggio: acquisto qualcosa che già funziona, è più veloce e c’è
meno rischio dell’impatto sul mercato. Per via interna metto sul mercato molti più prodotti mentre per via esterna il
numero di prodotti sul mercato non cambia, cambia solo l’intestatario => minor rischio perché si sa che quel mercato ha
già clienti solo che al posto di servirli lui li servo io. Se sto operando in un mercato ad alto tasso di crescita, che ha sempre
più clienti questo rischio è minore perché so che ci sarà richiesta più alta. Ma se il mercato si è assestato devo stare attento
a fare integrazione orizzontale interna perché poi magari il prodotto non viene venduto.

FENOMENO DELLE ECONOMIE DI SCALA


Sono un fenomeno conseguente a, se io aumento la quantità
prodotta diminuiscono i costi medi unitari (sono il totale di tutte
le tipologie di costi legati a quella produzione medi = diviso il
numero di prodotti che vado a produrre).
Mi si costruisce una curva nel grafico che mi dice che se
produco 2 ho costo medio di 40, più aumento la quantità meno
mi costa in termini medi unitari. Perché? Perché con l’aumentare
della quantità dei prodotti spalmo il totale dei costi su più
prodotti. Per questo una impresa cerca di essere sempre più
grande.
Quella grande vende il prodotto a 50 valendo 15 mentre il
piccolo sempre a 50 ma vale 40. Quella grande ha un margine di
guadagno molto più alto, e può permettersi anche maxi sconti,
potrebbe venderlo anche a 30 dato che gli costa 15, in questo
modo farebbe fuori la concorrenza. Quello piccolo non può
vendere a 30 dato che gli costa 40, potrebbe farlo ma per un
piccolo periodo per riuscire a rimanere in piedi.
Bisognerebbe fare uno schema per ogni prodotto altrimenti c’è caos.

E.D.S. INTERNE

Hanno che fare con la gestione dei fattori interni all’impresa.

- TECNICHE:
• un fattore è la soglia minima di impiego/imperfetta divisibilità dei fattori.
Es. impresa grandina ha un ufficio dove lavora impiegata full time, impresa
più piccola, impiegata part-time. L’investimento per mantenere quell’ufficio
e le attrezzature che ha, è un investimento identico. La scrivania rimane
quella anche se l’impiegata lavora 4 o 8 ore. Questa soglia minima mi indica
che al sotto di questa non posso più diminuire i costi. Per questo l’impresa
più piccola potrebbe trovarsi a doversi far carico di un costo che è in esubero
rispetto alla capacità produttiva che gli servirebbe. Quindi se posso assumere
una a tempo pieno vado a sfruttare al massimo quell’investimento che ho
fatto.

• Parlando di uso ripetitivo/sfruttamento delle risorse intangibili: se lavoro


su una scala più ampia, quelle che sono le competenze dei miei operai ad es.
io riesco a spalmarle su una produzione più ampia. Gli faccio fare un corso su certe macchine e poi sono macchine che
uso tutti i giorni, creo risorsa intangibile che riesco a spalmare su più prodotti, in questo modo riduco l’impatto.

• Relazione area/volume : i costi crescono in relazione all’area (2 dimensioni) mentre i benefici crescono in relazione al
volume(3 dimensioni). es. impresa che commercia sabbia per cantieri, decide uno investimenti in camion più grandi del
doppio, che costa di più di quello singolo ma probabilmente non il doppio perché hanno comunque una parte uguale.
Quindi i costi crescono, in termini di beneficio di questo investimento è cresciuto sì ma del doppio. Per dire che
investendo i costi si crescono ma i benefici, la ricchezza che creo cresce in proporzione di più. È più il ritorno
economico che i costi.

• Sfruttamento del livello di impiego ottimale: aumentando la dimensione riesco a aumentare la potenzialità delle
risorse anche tangibili (macchinari). es. linea di produzione con macchinari A, B, C. Ogni macchinario ha capacità
produttiva diversa all’ora di 10, 20 e 50. Qual è la quantità di prodotto ottimale di una impresa che ha questi
macchinari? 100 allora posso averne 10xA/ 5xB/ 2xC e non ci sarebbe spreco, con questa configurazione ho
ottimizzazione della risorsa “macchinari” perché ognuno viene usato al 100% del suo potenziale. Se ho impresa più
piccola, che ha bisogno di produrre 80? Di tipo A me ne bastano 8 utilizzate a pieno/ di tipo B 4 utilizzati a pieno/ di
quelle C se ne prendo 2 e li uso comunque a pieno c’è spreco => il costo dei macchinari C va spalmato su un numero
minore di prodotti => il costo medio unitario legato al costo del macchinario C è più alto. Il costo medio unitario per
unità prodotta viene più alto dato che non sfrutto a pieno il macchinario.

• Legge dei grandi numeri o forme delle autoassicurazioni: quando mi muovo su una scala più alta godo di risparmi di
costo. Es. impresa più piccola ha vigne in un lato collina colpito dal mal tempo, quindi per quell’anno non produce
vino. L’impresa grande che ha sempre le vigne su quel lato colpite e non utilizzabili ma ha sempre le vigne sugli altri
lati. L’impresa più grande ha più possibilità di reagire davanti all’imprevisto rispetto a quella piccola. Quella piccola
deve farsi assicurazione per far fronte al disastro mentre quella grande risparmia sul farsi una assicurazione perché
proprio grazie alla sua dimensione ha una sorta di autoassicurazione. Ci guadagna anche perché sul mercato per
quell’anno non ci sarà il competitore del vino della piccola impresa e può metterla anche a un prezzo maggiore => una
dimensione maggiore crea automaticamente forme di autoassicurazione ovvero mi consente di risparmiare su
un’assicurazione vera e propria, rispondendo con le mie risorse a qualsiasi evento. Capacità di attutire i costi. Anche i
mercati anticiclici sono forme di autoassicurazioni.

- GESTIONALI > sono gli aspetti legati alla gestione del personale. Nel momento in cui una impresa cresce sul
personale ho un effetto di crescita, godo di più persone, se ne ho di più posso mettere in piedi processi di
specializzazione del personale. Ho come conseguenza che ho una persona che fa più velocemente quel singolo lavoro
perché non viene d’estratta dal dover fare altre mansioni e dover poi riprendere, meno possibilità di errori (ho meno
distrazioni e sono più specializzata). Migliora le economie di scala.

La maggiore specializzazione porta a una diminuzione dei costi medi unitari, mentre una eccessiva specializzazione
potrebbe portare a una minore motivazione del personale per alienazione dal lavoro. Inoltre se faccio sempre quel micro
pezzettino non so più cosa fanno gli altri —> mancanza della visione d’insieme perdo la possibilità di innovazioni di
miglioramento. In una piccola impresa le persone vengono trattate come tali, in una grande mi sento un numero e da
questo punto di vista diminuisce la motivazione.

Effetti potenziali negativi del potenziale aumento della dimensione d’impresa si possono vedere se si studia:

LA CURVA DELLE ECONOMIE DI SCALA

Effetto negativo di eccessiva parcellizzazione influisce anche


sull’economia di scala —> fenomeno delle Diseconomie di
scala : all’aumentare della dimensione riduco i costi ma ad un
certo punto la curva torna su.
Ovvero da una certa quantità prodotta in poi i costi unitari
aumentano perché dopo una certa dimensione può essere che la
gestione del fattore lavoro inizia a subire delle ripercussioni
negative.
Partendo dal passaggio delle informazioni che diventa più
complesso oppure per aumento di livelli gerarchici —> più
passaggi per prendere decisioni, più lungo, i processi
diventano più lunghi e costosi oppure se decido di crescere
passare da 100 a 120, avrei problemi con le macchine C perché
me ne servirebbero 3 (=> costo medio unitario cresce).
Questo è il fenomeno delle diseconomie: è normale che da una certa quantità prodotta (seconda x) in poi ottengo un effetto
contrario. Quindi io devo conoscere il punto massimo di produzione per sfruttare a pieno le mie capacità produttive, dopo
quel punto devo ragionare e provare ad organizzare in modo diverso, rivedere organizzazione del personale,
parcellizzazione di lavoro, nuovi sistemi di motivazione, devo cambiare la gestione della mia impresa per cambiare quei
fattori che hanno effetti negativi per ritornare a godere delle economie di scala, se non lo fa entri nelle diseconomie. Nella
crescita devo prevedere delle modifiche non che oltre un tot non devo più ingrandirmi.

Dimensione Efficiente Minima —> indica quantità prodotta minima che devo produrre per essere nella miglior condizione
di efficenza per l’impresa è il punto di arrivo. La DEM la vedo dove la curva delle economie di scala è arrivato al suo
livello più basso in termini di costo medio unitario, punto in cui significa che io con quella dimensione (DEM) sto
lavorando al costo medio unitario più basso che potrei avere, sfruttamento massimo delle economie di scala. Oltre quel
punto non riesco più a far scendere il CMU. Per l’impresa è il punto di arrivo, perché sto efficientando al meglio la mia
attività.

Dimensione Ottima Massima - quantità prodotta massima, il massimo che mi conviene produrre per avere un risultato
ottimo, significa che ho sfruttato al massimo quel CMU così basso.
Ovvero io sono al punto DEM, punto di CMU più basso che potrei sfruttare su una produzione maggiore, su quante
quantità? Fino alla DOM.
=> la quantità ottimale di produzione di un’impresa è quella che sta tra la DEM e la DOM perché? 1) da la DEM in
poi perché cosi so che sto lavorando con i CMU più bassi in assoluto 2) entro la DOM perché altrimenti entrano le
diseconomie di scala dato che indica la quantità massima producibile con quel CMU.

La conoscenza soprattuto della DEM e DOM si è messa in moto una rivoluzione per quanto riguarda l’offerta di prodotti
nel settore alimentare - perché ci sono prodotti a marca commerciale, ovvero la marca che contraddistingue l’impresa
distributrice, come i prodotti Conad, Esselunga …. Inizialmente quando sono stati messi sul mercato non avevano grande
successo. C’era una percezione sulla qualità di questi dalla gente bassa ma venivano presi per prezzo basso. Ma il ritorno
non era comunque giustificabile l’investimento dei distributori. Perché c’era questa percezione?

Chi è che sta dietro alla produzione dei prodotti commerciali? I piccoli o i grandi produttori? Inizialmente lo facevano i
piccoli produttori, sfruttando il loro potere di mercato per avere condizioni migliori contrattuali, non avendo un loro brand,
avevano garantito un guadagno => prodotti che costavano meno. Dopo un anno di produzione il distributore rivede le
condizioni di contratto con la piccola impresa, abbassando ancora di più il prezzo di acquisto, tanto che poi i piccoli
mollavano. L’impresa commerciale se ne trovava un’altra. Dal punto di vista dell’impatto sul consumatore finale succede
che continua a prendere quella commerciale perché costa meno fino a che non si trovarono vasetti non chiusi bene di
yogurt, danneggiati…..
Da qui nasce la visione di una qualità inferiore che effettivamente c’era 1) era legata ai costi di acquisto così troppo
ristretti, quindi magari il produttore non lo produce più cosi bene 2) cambiando spesso produttore è vero che il distributore
gli dava lo standard di qualità che doveva garantire il produttore, ma “mani diverse” il risultato può cambiare e il cliente se
ne accorge, quando la mia percezione è diversa dalle attese rimango insoddisfatto.
I distributori hanno pensato, così non va bene, dobbiamo far si che i nostri prodotti abbiano una qualità standard garantita
e continuativa per questo si rivolgono ai grandi produttori. Risposta: a primo impatto si farebbero concorrenza da soli =>
per questo sarebbe un no però alla fine hanno accettato.

Perché guardando la curva delle economie, es. Barilla che con la vendita della sua pasta Barilla arriva a una quantità prima
del DEM, più di quel quantitativo non riesce a vendere, se produce anche sotto altro nome => sforna più pasta e arriva alla
DEM, si abbassano CMU su tutta la produzione sia Barilla che altro nome. Se il grande produttore arriva da solo alla
DEM non gli conviene produrre anche per la marca commerciali altrimenti si, così ha riduzione dei costi medi unitari.
Barilla —> gli si abbassano i costi di produzione della pasta, continua a vendere la confezione Barilla allo stesso prezzo ha
un margine di guadagno più ampio, con il quali farà investimenti di innovazione di prodotto, mantenendo alto il suo livello
di impatto sul mercato e quel livello di fidelizzazione del cliente. Così sono soddisfatti tutti, produttori, distributori che
hanno quello che volvano e i clienti che ricevono sempre la stessa qualità. Il cliente soddisfatto con i prodotti Esselunga
continuerà ad andare da Esselunga perché in un altro distributore non lo trova.

Questo meccanismo funziona bene ed è una strategia dell’intero sistema di tipo WIN-WIN perché vince/ha vantaggio sia
produttore che distributore. In ogni caso si fa auto-concorrenza, perde alcuni clienti ma grazie a quel margine maggiore
riesce comunque ha coprire la perdita di n* clienti. Ad ogni modo il livello di perdita di clienti è ancora accettabile perché
dato che è win-win la legge protegge questo sistema, dicendo che sulla scatola bisogna indicare l’indirizzo della sede di
produzione ma non il nome dell’impresa, a meno che uno non si ricordi le sedi di ogni azienda, il cliente viene “fregato”
ma comunque sono tutti contenti, se ci fosse scritto ci sarebbe una perdita di clienti per la marca più conosciuta e la marca
commerciale sparirebbe.
In questo modo ci guadagnano tutti, anche il consumatore.

E.D.S. ESTERNE
Gestione dei fattori esterni, ambiente esterno, rapporto con gli stakeholder.

Brand loyalty: fidelizzazione del cliente da parte di chi produce


Store loyalty: fidelizzazione del cliente da parte del distributore

La dimensione delle imprese può avere influenza sui costi medi unitari. All’inizio della brand loyalty c’era la raccolta
punti, strumento che se lo potevano permettere i produttori più importanti. Questo comporta che se ad un certo punto
Auchan dice a Barilla, io continuo a prendere da te Barilla però voglio uno sconto, Barilla dice no, Auchan ha provato
un’altra linea, non ha funzionato ed è tornato da Barilla al prezzo originale. Data la dimensione del produttore il
distributore non ha potuto competere.
La tecnologia ha reso possibile l’automazione del processo di arrivo alle casse per pagare -> lettura laser da parte delle
commesse. Questo ha dato la possibilità agli store di prendere in mano lo strumento di fidelizzazione delle raccolta punti.
Con le tessere virtuali ho raccolta punti automatica, senza dover ritagliarli a mano. In questo modo le imprese produttrici
hanno perso dei clienti, si sono fidelizzai allo store perché alla fine ottengo sempre i piatti omaggio ma con meno sforzo.
In questo modo gli store sono cresciuti a volte anche più dei produttore arrivando a poter contrattare e diminuire i costi
medi unitari.
Oggi i produttori stanno operando per riacquisire questo strumento con negozi monomarca, strategie a valle per
avvicinamento al cliente.

STRATEGIE COMPETITIVE O DI BUSINESS

Mi occupo di andare a capire all’interno della strada per aumentare le


dimensioni, come competo con quelli che hanno scelto la mia stessa
strada, come posso avere più quote di mercato.

Sono strategie che hanno come obiettivo la ricerca del vantaggio


competitivo. Ho scelto la strada, ma ci sono anche altre
imprese che hanno scelto la stessa ora in questa arena competitiva, devo
capire come comportarmi rispetto alle altre imprese.
Si basano sulla risorse distintive dell’impresa, tutto parte
dall’orientamento strategico, però le risorse distintive sono anche
l’oggetto della strategia perché io il vantaggio competitivo lo raggiungo
proprio giocando su queste risorse => sono strategie che ruotano attorno
alle risorse e competenze distintive della mia impresa. Io da questo faccio
dipendere le mie mosse ma sono anche il mio risultato, ovvero attraverso queste strategie aumento le mie risorse e
competenze distintive, cerco di aumentare le mie caratteristiche di impresa che mi portano a competere sul
mercato e a portare a casa i risultati migliori.
Si ricerca => con queste strategie il vantaggio competitivo ovvero
rafforzare queste risorse/competenze.
È il risultato della mia strategia = in cosa eccello rispetto agli altri, questo
porta l’impresa ad avere una posizione più favorevole nel mercato => a
una redditività stabilmente maggiore nel tempo.

L’obiettivo di una strategia competitiva è la ricerca del vantaggio


competitivo che rappresenta l’obiettivo delle strategie competitive, è il
risultato di questa strategia che porta l’impresa ad occupare una
posizione favorevole nel mercato/una quota di mercato, migliore di
quella delle altre. Per quale motivo? Perché questo si traduce in una redditività => un risultato economico stabilmente
maggiore (quindi che occupa un arco temporale lungo, una strategia che mi porta a vincere nel lungo termine) di quella
dei competitors.

QUALI
SONO?

Queste sono strategie competitive alternative, ovvero l’impresa


deve scegliere quale seguire però in molti casi vanno a braccetto
nel portare avanti un file rouge.

• LEADERSHIP DI COSTO: mira a farmi ottenere un


vantaggio competitivo giocando la leva del costo/prezzo di
vendita del prodotto => mi fa competere sul mercato sulla base
del prezzo di vendita, attiro più clienti con un prezzo più basso
rispetto a quello dei miei concorrenti. Come faccio? Con le
economie di scala, a parità di qualità di prodotto posso offrire
prezzi più bassi perché ci guadagno lo stesso. Strategie che
possono permettersele solo le grandi imprese. Le piccole come
possono fare? Devono comunque guadagnare quindi i ricavi > costi => prezzo di vendita deve essere > del CMU. Se
abbassa il prezzo deve abbastare i costi: dipende dal prodotto, es. pur di vendere ci si accontenta di un guadagno minore
ma cosa non duratura/ minor costo della materia prima x trattamento di favore con relazione con i fornitori (fattori
intangibili) ma comunque mi costa di meno se ne compro di più e se sono piccolo non riesco/ scendo nella qualità della
materia prima poi dipende come reagisce il cliente => strategia difficile per le piccole imprese.

• DIFFERENZIAZIONE: giocata da tutte le imprese = dare al mio prodotto una componente tangibile/intangibile
che lo differenzia dagli altri prodotti es. variante colore (auto)/ caratteristiche particolari/ su risorse intangibili es. sul
brand es. acquisto una cintura e sono disposto a pagarla di più perché porto a casa il brand. Con questa strategia, se
riesco a far capire al cliente in cosa il mio prodotto è differente posso farlo uscire ad un prezzo superiore. Es.
Apple, Coca Cola personalizzando le lattine (personalizzazione massima - differenziazione spinta).
Strategia che comporta oneri in più nella produzione (valore intrinseco devo spendere per cambiare qualcosa nei
passaggi della produzione) o nel brand => più investimenti nel marketing e sponsorizzazione.

Sono due strategie competitive che possono viaggiare in parallelo. Es. Primark (solo leader di costo), OVS, H&M…
puntano sulla leadership di costo, producendo quantità che gli permette di scendere con CMU. Queste strategie sono in
abbinata perché mi permettono come nei brand sopra citati, di abbassare prezzo di vendita da una parte poi nei confronti
dei concorrenti cerca di differenziarmi, OVS è più per famiglie, la compagnia di giovani va da Zara, Primark. Eurospin,
supermercato low cost, sceglie leadership di costo tra tutti vince Lidl, in termini di investimenti, sponsorizzazioni, e per
determinate azioni si differenzia dagli altri.
Per andare a braccetto, io impresa devo avere le condizioni e la base per permettermelo, devo avere tante unità di vendita.

• FOCALIZZAZIONE : è una strategia nella versione di una delle due precedente con la particolarità che è riservata a
quelle imprese che servono le nicchie di mercato (identificato un segmento di mercato individuo un gruppo di clienti
che hanno necessità ancora più specifiche). Es. vestiario per chi è in carrozzina nel mondo dell’abbigliamento. Una
nicchia di mercato ha pochi acquirenti ed è vantaggioso perché si hanno pochi concorrenti, il livello di intensità di
competizione è molto basso. Una nicchia o si va a creare ex novo, altrimenti è difficile entrare in una nicchia di
mercato. Un’ impresa deve capire: 1. È un mercato che ci dividiamo
i clienti in pochi o in tanti? 2. Questi clienti sono bene identificati per i quali posso adottare una strategia di
comunicazione mirata se non personalizzata? Quando ho queste caratteristiche posso dire di operare in una nicchia di
mercato e adottare una strategia di focalizzazione.
Questa strategia è una versione di una delle due prima, tarata su un mercato di nicchia, essendo piccolo e poca
competizione è solitamente solita la differenziazione più che la leader di costo però è una strategia a sé perché ha un
mercato diverso.

• STRATEGIE DI COLLABORAZIONE: sono una serie di


strategie che permettono alle singole imprese di ottenere un
maggior vantaggio competitivo collaborando con un
concorrente. Sono strategie che dovrebbero attuare tutte le imprese
perché è un qualcosa di contorno alla strategia competitiva perché
permette di aver vantaggi anche competitivi sul mercato. Es.
alberghi che si mettono insieme di una stessa località che si mettono
d’accordo per dare alla stessa lavanderia la roba da lavare, in questo
modo spendono di meno raggiungendo un’economia di scala che da
solo non potrei mai raggiungere. Altro es. sono le attività di
promozione dei prodotti o servizi, io albergo posso permettermi di
essere presente in tutte le fiere di Europa? No però se ci uniamo si e
in questo modo promuoversi per arrivare ad altri paesi. Le
caratteristiche intrinseche degli italiani di queste strategie c’è ne sono
poche ed è un peccato perché porta solo vantaggi.
Obiettivo: riuscire a raggiungere insieme una dimensione che mi consente di avere dei vantaggi nei costi (economie di
scala). Non ha obiettivo di crescere ma mi permette di stare meglio all’interno della strada strategica che avevo scelto.

Approfondimento strategie di differenziazione

Nel settore turistico si basa sulle stelle, mi differenzio per il tipo di


servizio che offro. Indietro nel tempo le stelle facevano la
differenziazione oggi non bastano.
Le stelle vengono date in base a un regolamento che dice cosa
deve esserci per arrivare ad un numero di stelle. Aspetto che vanno
dal mq della stanza, la doccia con vetro o tenda, balcone o no….
Ciclicamente le stelle scadono e devono essere rinnovate, alcuni
alberghi vengono declassati altri fanno upgrade, attribuite dalle
province.
Il cliente non si basa solo sulle stelle, perché es. se va in un albergo
e dopo la vacanza si è stati bene anche se aveva 2 stelle. Ne scelgo uno a cattolica a 2 stelle ma non è la stessa cosa. Non è
una truffa ma c’è una legge per la quale ogni regione stabilisce i punti elenchi, ogni regione ha la possibilità di stabilire le
proprie regole per attribuire le stelle.

Questo per un turista straniero è svantaggioso, già un italiano magari non lo sa che la legislazione turistica dipende da
regione => giocarsi la differenziazione sulle stelle non è troppo vantaggioso. Inoltre un 4 stelle appena dato e uno in
scadenza può essere potenzialmente diverso => non funzionali.

Sono nate tipologie di alberghi nate per determinate categorie: low cost hotel; wellness hotel che 10 anni fa andavano forte
oggi non è nemmeno competizione perché una sauna c’è l’hanno quasi tutti; design hotel….
I canali di differenziazione non sono solo possibilità per strutture di lusso ma appunto possono essere green anche gli
ostelli e non solo i glamping.
=> la differenziazione non è soltanto nel lusso con le grandi marche di abbigliamento ma anche il low cost come
Eurospin, una strategia che possono sfruttare tutti.
Design hotel

Destinato agli amanti di design disposti a pagare di più.


Offre una ospitalità molto specifica. Target di turisti che ha preferenza
marcata, il turismo è un settore che offre un “prodotto globale” formato da
tanti prodotti, i musei, i ristoranti…è un unione di servizi e prodotti. Il
turista dice sono contento o meno considerando il prodotti globale e non
solo basandosi sulla struttura in sono stato, si tiene in conto anche del resto.
Io attraggo clienti nel mio albergo, poi però quando arriva a Pesaro non
trova ciò che si aspetta. Disallineamento al contesto.

Eco- hotel

Ristrutturazione per riduzione impatto ambientale


Nuova costruzione improntata a riduzione impatto ambientale.

STUDIO DELL’AMBIENTE COMPETITIVO/ DI SETTORE

Il modello più usato è il modello delle 5 forze competitive di Porter

1. Vado a studiare all’interno del settore come queste competono, quanto


intensa è la concorrenza.
2. Sono dentro un settore formato da x aziende, c’è la possibilità di vedere
l’aumento di queste o è un settore più sterro e/o posso limitare nuove entrate
3. La competizione che mi porta via quote di mercato può arrivare da altre
imprese dello stesso settore o da imprese che fanno parte di settori diversi
ma producono qualcosa di sostitutivo al mio prodotto
4. e 5. La competizione all’interno di un ambiente di pende anche da come si
giocano forze, ovvero in chi è il potere contrattuale se a monte o a valle
della filiera produttiva.
• 1. Andare alla ricerca delle dinamiche competitive interne del settore, capire quante sono le imprese e quali sono le
dinamiche di potere. Il metodo più usato è lo studio della curva di Lorenz. Concentrazione di un settore è quanto
all’interno di un settore, il mercato è concentrato nelle mani di una o poche imprese. Un settore è molto concentrato
quando una parte preponderante del mercato è nelle mani di una o più imprese => ci sono x imprese grandi e altre
piccole. Un settore poco concentrato è fatto da più imprese che posseggono più o meno la stessa quota di mercato. Sulle
ascisse metto le imprese a partire dalla più piccola, sulle ordinate metto fatturato di ciascuna impresa.
La prima retta che si traccia è di equi-distribuzione perché distribuisce a metà il quadrante che rappresenta un mercato
equi-distribuito, non concentrato. È la bisettrice del quadrante dal punto di vista matematico. Rappresenta un mercato
ideale dove tutte le imprese hanno stesso potere sul mercato. È ideale. La curva di Lorenz rappresenta il livello di
concentrazione, come si costruisce? Prima impresa - e il suo fatturato -> metto un puntino cosi per ogni impresa con il
suo fatturato e lo vado a sommare. Viene una curva che finisce dove finisce la retta (100% imprese - 100% fatturato)
ma non viene una retta quindi cambia la distribuzione. Il settore della curva gialla è meno concentrato di quella rossa
perché quella rossa è più lontana —> più si allontana più è concentrata.
Es. motorcaravan in Germania. La curva gialla rappresenta il grado di concentrazione del camper/motorcaravan, queste
imprese acquistano il motore/macchina dal settore automobilistico - linea rossa come Fiat, Renault… nel settore
tedesco, linea gialla, abbiamo 34 brand. Si parte da quella più piccola sommando i fatturati di tutti troviamo il fatturato
dell’ultimo 34°, la più grande impresa che porta via il 19% del
mercato. È un settore mediamente concentrato la più grande del
19%, non è tremendamente più grande, il grosso è abbastanza
equi-distribuito.
Linea rossa —> al contrario è molto concentrato, l’ultimo (Fiat)
ha una quota di mercato del 60% e sono 12. Quella più grande
detta le regole di tutti, se decide di abbassare i prezzi tutti
devono abbassarli altrimenti non sopravvivono ed essendo un
brand “famoso” significa che è un prodotto che bisogna avere,
anche se aumenta i prezzi i rivenditori li comprerebbero. Più ci
avviciniamo alla linea, più il mercato è equi-distribuito => c’è
più

democrazia, posso giocarmela di più.


.

A questo primo punto devo studiare anche le barriere all’uscita:


sono ostacoli che rendono difficile alle imprese già presenti nel
settore uscirne.
Quell’impresa che vuole uscire ma rimane dentro perché ha
difficoltà, per quel che rimane, crea una concorrenza quasi
scorretta. es. io voglio uscire, per 6 mesi svendo tutto, sono un negozio di scarpe in un centro commerciale, gli altri che le
vendono come fanno? Chi vuole uscire adotta strategie poco controllabili dagli altri e crea disequilibri nel mercato. Queste
barriere rendono più difficile rimanere per le altre imprese.

Motivazioni che possono portare all’innalzamento delle barriere all’uscita:

a. Faccio fatica a vendere questi impianti, a dismetterli perché sono magari stati costruiti ad hoc per quell’attività. Tante
imprese hanno una realtà di impianti che per la dismissione si possono richiedere anni. Quindi l’obiettivo per queste
imprese, che non è quello di crescere sarà l’adottare strategie funzionali che creeranno distorsioni sul mercato.

b. Faccio fatica ad uscire perché quel business serve anche un mercato interno, fintanto che non trovo i produttori che mi
permettono di continuare il lavoro (produco qualcosa che serve a me), rimango in piedi finche non trovo soluzione
migliore, questo crea distorsioni sul mercato perché nel mentre, ciò che non uso per me lo metto sul mercato ma a un
prezzo inferiore perché tanto il mio obiettivo non è crescere.

c. Per quanto riguarda le grandi imprese a volte scelgono di chiudere uno stabilimento, se lo fa rimangono a casa x persone
=> interviene l’attore pubblico, interventi da parte dello stato….. dando un contributo all’impresa per fargli trovare il
modo per tenere ancora aperto. L’ente pubblico /stato interviene perché altrimenti le deve mantenere e mantenere magari
tutte le famiglie con oneri sociali li costerebbe di più. Per una piccola impresa lo stato non si muove perché se chiude e ha
solo 3 dipendenti a questo punto non gli conviene. Non esco perché lo stato interviene per farmi tenere aperto.
d. Motivo più banale quanto reale, ragioni personali del soggetto che
dovrebbe chiudere. Alimentari in un paesino, di vecchietti, vicini alla
pensione non
chiudono
perché non
saprebbero cosa
altro fare e
aspettano fino
alla pensione.
Creano
distorsioni
anche se più
piccoli, però se
un giovane vuole aprire li un locale e avrebbe anche le
competenze più innovative, all’inizio si avrebbe subito un
riscontro positivo anche se comunque i vecchietti creano un contesto competitivo.

• Barriere all’entrata, limitare chi cerca di entrare nel mio settore, io impresa che sono già dentro le creo: Barriere
istituzionali —> dettate dalla legge, se c’è una tabaccheria/farmacia non posso aprirne una vicino, stanno scomparendo
anche se sono un vantaggio per queste farmacie per esempio, hanno i loro clienti lei servono solo loro;
Barriere strutturali —> legate alla struttura stessa del settore. Se sono presenti impresi che sono riuscite a crescere e
oggi godono degli effetti delle economie di scala, quali sono gli effetti per i nuovi entranti? Io piccolo, non
conosciuto…. Mi scontro in un settore con forti economie di scala queste per non farmi entrare abbassano fortemente i
prezzi, io così faccio ancora più fatica. => crescere mi consente di tenere lontane le new entry, non le invoglia ad
entrare e limita la concorrenza; vantaggio di costo assoluto= un’impresa già presente ha un vantaggio dato dal prezzo
di favore che potrebbe avere per il fatto che conosce il fornitore che ha fiducia, il fatto che sono già dentro mi da la
possibilità di accedere a determinati canali di distribuzione; il fatto che un’impresa già presente abbia già sviluppato
rapporti e aperto canali di fornitura (a monte) e distribuzione (a valle, verso i clienti) rende più facile e più
economico i rapporti commerciali. Una new entry fa più fatica a monte e a valle, non ha accesso a certi canali es.
vendere i proprio biscotti nei punti Conad se è nuovo non riesce, non ha rapporti con l’ufficio acquisti Conad.
Barriere strategiche —> dettare in un settore in cui le imprese già presenti hanno sviluppato strategie competitive di
differenziazione => offerta variegata di prodotti, io se voglio entrare come faccio? Non posso giocare sul prezzo perché
sono piccolo (+ barriere strutturali), faccio anche fatica a presentare un prodotto che risalti. Quelle già presenti se sono
tutte diversificate significa che hanno anche altri business che tamponerebbero eventuali perdite in quel business
attaccato dal new entry per un periodo più lungo, se non sono tutte diversificate hanno vantaggi di economie di scala
ma si possono giocare solo quelle, se sono diversificate oltre a questo hanno il vantaggio del risultato economico degli
altri business magari non colpiti e che hanno margini alti.
Strategie adottate che rendono più difficile l’ingresso ad altri.

Quando si va a fare l’analisi swot per scegliere quali strategia adottare, lo sguardo deve essere ampio perché devo tenere
conto anche della possibilità di innalzare barriere all’entrata. Più barriere ci sono più è difficile, ma c’è comunque modo,
inventandosi qualcosa, innovazione di prodotto, o grande capacità di ascolto dei bisogni veri dei consumatori, all’impatto
sociale. Es, nel settore moda, ingresso di piccole realtà che si impongono sui colossi giocando la carta della
differenziazione basata sulla sostenibilità.

• 3. Elasticità incrociata della domanda è la misurazione dell’eventuale variazione della quantità venduta del mio
prodotto sulla base dell’ eventuale variazione del prezzo di vendita del prodotto che mi sto chiedendo se è in
competizione indiretta con me o no. es. io produco coca cola mi chiedo se il produttore di birra è in competizione
indiretta con me, vado a misurare se nel momento in cui chi vende la birra fa una variazione del prezzo di vendita di
birra e mi chiedo: se la birra costa meno io vendo meno coca? C’è un legame tra la variazione del prezzo di quel
prodotto e la vendita del mio? —> se c’è, ovvero se l’elasticità incrociata della domanda è positiva significa che quel
prodotto è un concorrente indiretto, se è negativo significa che non c’è connessione => non sono prodotti che
rispondono allo stesso bisogno. Se è positiva significa che quello è un prodotto /servizio sostitutivo. Cosa bisogna farne
di questi prodotti sostitutivi (tipo birra)?
- devo almeno tenere monitorati i comportamenti di quell’impresa. Sapere
chi sono i miei concorrenti indiretti mi serve per stabilire i confini di settore (raggruppamento di imprese che producono
la stessa cosa) = oltre confini classici, tutti quello che producono lo stesso prodotto chi altri devo contare? Quelli di altri
settori che sono in possibile concorrenza indiretta con me.
L’elasticità incrociata è un rapporto semplice ma ha uno
svantaggio: io per
dire che è
positiva non
posso
prendere in

considerazione un solo giorno ma devo considerare lo storico in un


arco di tempo più ampio, un anno… registrando ogni giorno le
variazioni del prezzo degli altri prodotti => mi serve largo anticipo e lungo. .
Un altro strumento è il modello di Abell:
costruendo una mappatura dei raggruppamenti strategici = individuare i possibili fattori di omogeneità che ci possono
essere tra la mia offerta e quella di un’altra impresa. Bisogna utilizzare 5 variabili:
1 gruppi di clienti - capire se quell’impresa con quel prodotto serve lo stesso gruppo di clienti se lo fa la spunto. 2
funzione d’uso - quel prodotto risponde alla stessa funzione d’uso del mio? 3
tecnologie utilizzate - per arrivare a quel prodotto c’è un processo produttivo simile? 4
estensione geografica - quell’impresa serve dal punto di vista geografico lo stesso mercato, canali distributivi 5
ampiezza verticale delle attività svolte - quell’impresa che monitoro si sviluppa verticalmente (integrazione verticale) in
attività che sono omogenee alle mie attività/ per il suo sviluppo verticale mi tange a me in qualche modo?
Abell costruisce una tabella con 5 righe con le 5 variabili, le colonne rappresentano le imprese che voglio capire se sono
possibili concorrenti indiretti e metto le varie spunte. Questo modello mi risolve i problemi di tempistiche che aveva
quello sopra. È uno strumento di analisi veloce.

Qui il problema c’è quando: quali devo considerare competitor? Alcuni dicono che servono tutte e 5 le spunte, alcuni
bastano 3 e già devi preoccuparti, c’è un divario di opinioni. Dipende dal mio livello di preoccupazione rispetto ai
fenomeni di concorrenza indiretta, del mia gestione del rischio. Il punto è decidere ex ante quante spunte dover
considerare per considerare quell’impresa competitor indiretto. Non esiste una regola. Potrebbe dipendere anche dal
settore, esistono settori più chiusi, più vicini tra loro…. In primis dipende dal motivo per il quale sti facendo questo studio,
lo faccio per vedere cosa succede intorno magari una volta all’anno, da questo punto di viste le spunta non hanno quasi
senso. Se invece lo faccio perché ho dati preoccupanti di ingresso di prodotti sostitutivi mi bastano poche spunte per
considerarlo competitor.

Oggi a queste 5 forze se ne aggiungo altre 2:


1. Considerare le forze degli stakeholder esterni
2. Quando studio la concorrenza nel mio settore devo tener conto anche delle
dinamiche competitive degli altri settori che forniscono un qualcosa di
complementare rispetto al mio prodotto (settore trasporti, settore cultura…).
4-5. Perché mi devo preoccupare del potere contrattuale dei fornitori e
acquirenti? Perché le dinamiche competitive all’interno di un settore sono
influenzate dai legami con i fornitori e acquirenti delle imprese in
concorrenza indiretta di quel settore.
(Tra di noi produttori di camper è inutile che ci facciamo la guerra sulle
dinamiche di costo di quella componente, perché se rimaniamo cosi piccole
possiamo andare poco in là, avere un fornitore importante come Fiat che ha una quota di mercato del 90% impedisce una
contrattazione, perché il piccolo ha un potere uguale a 0. Oggi molte si sono aggregate e da 8 che erano sono passate a 3,
una rimasta piccolina le altre unite in raggruppamenti cosi da avere più potere contrattuale rispetto a Fiat cos magari se
chiedono una riduzione Fiat dovrebbe pensarci.
=> il potere contrattuale di fornitori e/o acquirenti influenza le dinamiche competitive dentro il mio settore.
Elencati ci sono alcuni esempi che potrebbero influenzare
1. quello appena citato.
2. se io produco un certo bene alimentare non essere negli scaffali della GDO condiziona molto il mio operato, se ci sono
godo dei benefici di essere conosciuto da più clienti, se non ci sono allora non ha una posizione strategica.
3. analizzo la filiera produttiva, i miei fornitori potrebbero integrarsi a valle? E se lo fa significa che domani diventa un
mio concorrente non solo io avrà più concorrente ma rimango anche senza fornitore, lo fa per un mercato interno suo.
4. mi chiedo se i miei fornitori/acquirenti potrebbero sulla base dei *costi di conversione convertire la loro produzione e
andare a fare quello che faccio io. *Costi della modifica della
propria attività per riuscire a fare ciò che faccio io. Questo influenza il potere contrattuale perché se un fornitore ha dei
costi di conversione bassi, nei miei confronti ha un potere contrattuale più alto perché mi dice se stai alle mie regole
continuo a venderti altrimenti se tiri la corda ti sostituisco. Più alti sono i costi di conversione meno potere contrattuale
hanno fornitori/acquirenti e viceversa.
5. mi chiedo se con quei fornitori potrebbe uscire un prodotto sostitutivo.
6. il mercato non è trasparente e le info non fluiscono democraticamente, più io so più forte è il mio potere contrattuale.

STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

Approfondimento di interesse turistico. Matrice delle diverse alternative per vivere questo tipo di processo. Premessa: non
esiste un unico modo per internazionalizzare, le vie sono tantissime anche perché hanno a che fare con le relazioni che
l’impresa instaura con gli altri partner, più sono le risorse più saranno gli approcci . Questa strategia porta una proiezione
internazionale, al di fuori dei confini nazionali nei quali è insediata. Quali sono le variabili: concentrazione… = se
scelgo di concentrare determinate attività in una determinata area o disperderle in varie aree geografiche (concentro tutto
in un solo paese vs produco questa attività in 3 paesi diversi). L’altro asse coordinamento….. = è il livello di complessità
del coordinamento di queste attività che può essere bassa o elevata.

1) classico processo di internazionalizzazione, il più conosciuto e


semplice. Siamo a concentrazione geografica e coordinamento basso.
Ho una impresa italiana mantengo tutta l’attività logistica, marketing
in Italia ma poi vado a internazionalizzare le vendite = esporto. Le
attività principali di gestione dell’impresa rimangono nella stessa
area.

2) Siamo in dispersione geografica, replicazione della catena del valore


(studio delle diverse attività che unite vanno a formare la mia attività,
mi dice come sono concatenate) fuori = replica le mie attività in più
paesi, non disperdo qua e là ma sposto / duplico tutta la cenata del
valore => per questo coordinazione basso perché vado a replicare lo
stesso che ho in Italia, lo faccio uguale ma all’estero.

3) Spostamento all’estero di una o più attività e non dell’intera catena


per questo il coordinamento è più complesso, rimane concentrata perché esempio produco in Romania, gestione dati in
Lituania, la logistica in Polonia... ho una concentrazione geografica perché tutta la logistica in un paese, un paese per
ogni attività, ma non viene replicata in ogni paese tutta la catena => coordinamento delle attività più complesso.

4) Replicazione => dispersione in tutte le forme, faccio un po’ da una parte un po’ dall’altra, da una parte replico tutta la
catena… => coordinazione molto elevata.

Da 1 a 4 tendenzialmente osserviamo una dimensione crescente, le imprese che hanno approccio come il 4 sono imprese
più grandi, le esportazioni le possono fare anche le imprese più piccole.
COSA FARE ORA?

Preoccuparsi degli accordi di natura molto diversa di tipo più o meno


formale, tecnologica come cessione di licenza o brevetti. Condizioni di
base che mi permettono di accordare le basi per portare avanti questo
processo di internazionalizzazione.

Accordi tecnologici: aspetti più tecnologici come brevetti… in questo


caso l’obiettivo in genere è trasferimento di tecnologia, integrazione
verticale, con questi accordi integro una attività perché stringo un accordo con chi prima svolgeva quell’attività a monte o
a valle, si fanno questi accordi anche per condividere i costi della ricerca e sviluppo o il rischio ad esso collegato.
Accordi di natura produttiva: compartecipazione di più imprese per costruire un aeroporto, gara di appalti, imprese
provenienti da paesi diversi si uniscono per creare una nuova grande infrastruttura. Ognuna di queste si muove a livello
internazionale.
Accordi di marketing…: commercializzazione dei prodotti, cessione di licenze, grandi catene franchising (Calzedonia)

COMA FA UN’ IMPRESA AD ENTRARE IN UN MERCATO


ESTERO?

Abbiamo capito come approcciare il mercato estero, come ci


entro? Se coinvolgo soggetti esterni la coordinazione è maggiore
ma dall’altra parte mi appoggio su soggetti che fanno questo di
mestiere, conoscono il paese => approccio più sicuro in quanto
appoggiato a competenze più solide.

Attività di commercializzazione senza coinvolgere esterni —>


faccio esportazioni dirette (vendo all’estero)
Coinvolgendoli —> do in mano l’attività di commercializzazione
ad altri, faccio vendere ad altri (esportazioni indirette = lo fanno
altri)

—> alleanze strategiche = per qualsiasi attività io posso sempre inventarmi una qualsiasi alleanza strategica con un
esterno, è una categoria aperta.

Tipologia di attività produzione -> non coinvolgo -> allora investimenti diretti esteri, andare a produrre all’estero
*Due tipologie di investimenti: green field = mi insedio nel paese estero creando qualcosa che la non esiste. Pro: ho ampio
margine di scelta su cosa fare. Contro: ho margine di rischio superiore;
brown field = c’è già quindi mi inserisco in una attività che già esisteva (integrazione orizzontale per via esterna). Contro:
ho dei vincoli su come muovermi. Pro: ho già un resoconto dell’attività precedente.
Tutto ciò poi dipende dal paese.
Sviluppo conoscenze —> no allora sempre investimenti

Ho deciso di internazionalizzarmi, ho scelto il tipo di approccio, DEVO SCEGLIERE IL PAESE/PAESI.

Tendenzialmente la scelta del paese viene fatta in concomitanza del processo che ho scelto. A volte queste fasi viaggiano
in parallelo non per forza prima una o l’altra.
Aspetti da analizzare per scegliere un determinato paese.

-Costi di produzione

-Pil: un paese con un pil più alto sta tendenzialmente ad indicare il tessuto economico di un paese che si sta muovendo con
una capacità di acquisto che sta aumentando.
-Intensità della concorrenza: legato alla distribuzione di quel prodotto
perché se devo solo far gestione dei dati per esempio non mi interessa.

-Mercato: tasso di crescita della domanda (p.d.v. della vendita dei


prodotti) e dimensione qualitativa di quella domanda (chi è il mio
pubblico, qui dipende anche dalle strategie competitive). A volte si
scelgono paesi esteri perché mi permettono di aprirmi a quel mondo
per vicinanza culturale (es. il vino non posso esportarlo ovunque /
esportare la barbie nel mondo musulmano, molto difficile perché
quella figura non era accettata, ha dovuto cambiare il vestiario della
barbie per poter andare grazie a questo è riuscito ad entrare anche nei
paesi affini)

-Risorse umane: mi sposto per trovare forza lavoro che qui non ho, le imprese si spostano mi base a dove trovano forza
lavora considerando costi e qualità, flessibilità degli orari (in Italia c’è molto ostruzione del sindacato quando si chiede
flessibilità di orari, ci sono paesi naturalmente inclinati ad essere più flessibili)

-Infrastrutture: trasporti, aeroporti, qualità delle strutture che mi permettono di transitare aspetti che riguardano la
logistica pura, avere reti stradali ben connesse questo determina un fattore attrattivo, per questo ad esempio è stata scelta
Verona da Volkswagen. In questo campo si parla anche di sistema di formazione/ università questo più dare un pass che
nel medio - lungo periodo può essere un vantaggio

-Tessuto economico: specifiche caratteristiche delle risorse economiche di quel paese ottenere le materie prime/risorse
finanziarie.

-Istituzioni e politiche pubbliche: politiche di incentivazioni che magari in altre parti non ci sono/ politiche sia ad hoc per
un settore ma anche la stabilità del sistema politico in generale, da visione più chiara di quello che un’impresa può fare a
lungo termine, se non c’è stabilità non si sa.

-Sistema normativo: normativa fiscale, chiarezza e trasparenza, qui è un sistema fiscale che penalizza tanto le imprese
=> per un’ impresa estera non conviene venire qui.

-Qualità social e ambientale: mi interessa perché mi serviranno risorse umane e a loro dovrò garantire una certa qualità di
vita.

-Immagine e reputazione: sono impresa della moda allora internazionalizzare in Italia ha un riconoscimento se son nel
settore automobilistico mi conviene muovermi in Germania, perché in questo campo ha immagine migliore. È legato ad
aspetti attuali come situazioni politiche e belliche, scelgo anche in base a cosa voglio associare il mio brand.

Attenzione poi alla distanza fisica ma soprattutto culturale.

Diverse forme di distribuzione commerciale che possono essere


internazionale e/o nazionale.

Si intende come vado a distribuire (vendere) il mio prodotto. I


canali distributivi possono essere:

Canali diretti: il mio prodotto viene prodotto e venduto dalla stessa


impresa al consumatore finale (integrazione verticale a valle) -> si
parla di prodotto finale.
*(Prodotto finale = pronto all’uso da parte del consumatore, è il prodotto pronto per essere consumato VS prodotto finito è
l’output della mia impresa e potrebbe coincidere o no con il prodotto finale per il consumatore, è il prodotto che esce dalla
mia impresa).

Canali indiretti brevi: impresa industriale che produce che a sua volta vende a un’impresa al dettaglio (impresa che si
occupa della vendita al consumatore finale) che li rivende al consumatore finale.

Canali indiretti lunghi: si inserisce l’impresa all’ingrosso, quindi il canale si allunga, i tempi aumentano e l’impresa
commerciale per queste conseguenze non arriva a conoscere direttamente l’informazione che da il consumatore finale,
c’è un maggior passaggio di informazioni che alla fine può arrivare filtrata da questione di interesse, non comprensione
del fenomeno. Per questo l’integrazione verticale a valle è molto importante chi non la fa apre canali online per avere
queste informazioni direttamente dal consumatore.

Macro-categorie di intermediari.

Intermediari all’ingrosso:

- Tradizionali: personaggio/impresa (piccola) che acquistano


dall’impresa industriale e li rivendono alle imprese al dettaglio.

- Cash & carry: Metro il più famoso, rispetto al tradizionale che


lavora a consegna, questo ha un Puno vendita, si entra se si ha la
partita iva, sembrano supermercati, è il dettagliante che vada
grossista ad acquistarsi i prodotti. Sorta di evoluzione della forma
tradizionale.

Intermediari al dettaglio:

- dettaglio indipendente: negozio di proprietà di un soggetto che può averne anche più di uno, tendenzialmente di piccole
dimensioni, la gestione è prevalentemente famigliare e a livello di localizzazione si trovano ai margini dei comuni o dei
centri abitati - tipo piccolo alimentari. Si trovano ai margini perché per essere piccola è famigliare c’è una questione di
costi, se stai al centro costa di più.

- Dettaglio associato: potrei avere forme tipo: parto da un grossista che coinvolge più dettaglianti indipendente e crea un
gruppo - unione volontaria es. Despar. Oppure, al contrario, un gruppo di dettaglianti che decide di cooperare
presentandosi come un’unica insegna es. Conad. La proprietà del singolo negozio rimane al singolo ma stanno
all’interno di un gruppo d’acquisto, hanno un regolamento per mantenere gli stessi standard. È il contrario dell’unione
volontaria ma il risultato è lo stesso.

- Grande distribuzione: sono grandi imprese che hanno tanti punti vendita, ho realtà di impresa di grandi dimensioni,
l’impresa è unica con più punti vendita es. Esselunga, Auchan.

- Distribuzione cooperativa: simile al dettaglio associato ma si mettono insieme i consumatori finali, è una cooperativa
di consumo, si mettono assieme per acquistare prodotti ad un prezzo più conveniente, da questa unione di soggetti
nasce l’impresa al dettaglio es. Coop. Nasce da associazione di consumatori eppure ci vado anche se non sono un
cooperatore a questo succede perché dice ci conviene aprire il nostro punto vendita anche ad altri consumatori,
facciamo massa, abbiamo più vantaggi.

Tutti questi vanno a formare la GDO, raggruppamento di diverse forme commerciali molto diverse tra loro.
ANALISI ECONOMICA

Capire quali sono le dimensioni più importanti da conoscere per prendere


decisioni all’interno di una impresa dal punto di vista economico.
Differenza ricavi - costi = se positiva abbiamo utili se negativi, perdite.
Ricavi: ciò che entra dalle vendite
Costi: oneri che devo sostenere per vendere quella penna, dai costi di produzione, distribuzione e gestione di impresa.

Utile è sinonimo di guadagno?

Ricavi = (p )prezzo di vendita x (q) quantità venduta. Prezzo = ricavo unitario

Come traccio la retta dei ricavi (r)? Metto i puntini quantità/prezzo. È una retta che ha origine
all’origine degli assi perché quantità 0 io ricavo 0 (se non vendi non ricavi) e cresce con una certa
pendenza, può essere più o meno inclinata, da cosa dipende?

Dal coefficiente angolare —> rappresenta la pendenza, dal punto di vista economico rappresenta
che prezzo di vendita ha il mio prodotto. Se ho una retta piatta ho un prezzo di vendita molto basso
al contrario se si avvicina all’asse dei ricavi. Quindi il coefficiente angolare rappresenta il prezzo di
vendita/ricavo unitario.

Nella realtà i ricavi hanno sempre lo stesso andamento? No. All’aumentare delle quantità il mio
coefficiente angolare è minore perché con l’aumento della quantità mi diminuisce il prezzo di
vendita es. compro un pacchetto da 10 penne mi costa di meno di prendere 10 penne sfuse.
È normale che il prezzo di vendita diminuisca nel tempo per varie ragioni.

Costi = non sono di un’unica categoria ma si dividono in costi fissi + costi variabili = costi totali

Costi fissi che non cambiano al variare della quantità prodotta come invece fanno quelli variabili. Costi fissi es. affitto del
capannone dove lavora indipendentemente da quanto produco mentre es. costi variabili - la materia prima.

Forme di costo ibride:


- Costi semi-fissi: se la parte preponderante è fissa rispetto quella variabile -> ricondotti a fissi
- Costi semi-variabili: quando la parte preponderante è variabile rispetto quella fissa. -> ricondotti a variabili
Averne 4 diversi complicherebbe l’analisi. Bisogna dormire informazione utile per prendere decisioni e
per questo devono essere chiari e facilmente interpretabili. Risultati di analisi super
articolati non aiutano, complicano le decisioni.

I costi fissi sono uguali ai costi fissi e non variano, sommo i costi fissi (buste
paga+affitto+pulizie).
I costi fissi nel grafico si rappresentano come una retta parallela alle uscisse che procede
indipendentemente dalla quantità prodotta in modo costante.

Mantiene sempre questa costanza? Per esempio se voglio ampliare la mia capacità produttiva, faccio
investimento in questo caso i mie costi fissi aumentano. Per questo nella realtà sono meglio
rappresentati con dei gradini che rappresentano i diversi livelli di capacità produttiva sui quali
l’impresa può assestarsi.
Faccio questo investimento, sfrutto la mia capacità produttiva (sono nello scalino più alto), le cose non vanno come
sperato (rimango comunque nello stesso gradino perché ormai l’investimento l’ho fatto). Quindi la retta varia al variare
della capacità produttiva. => è una retta che rimane parallela ma può variare il livello.
I costi fissi non variano al variare dalla quantità prodotta ma della capacità produttiva (se la aumento). I gradini
potrebbero anche scendere per via di disinvestimenti data la crisi.

Costo variabile = costo variabile unitario x quantità venduta. Quanto mi costa la materia prima per una
quantità?

Graficamente la retta dei Cv -> per una quantità qual è il costo variabile unitario. Ha origine dallo 0
perché non produco niente, non spendo niente. È una retta che cresce al crescere delle quantità.

In che modo cresce? Coefficiente angolare che rappresenta il costo variabile unitario. Se è poco la
retta è bassa e viceversa. Procede sempre con questa pendenza costante? All’aumentare della
quantità varia il costo variabile unitario?

Fenomeno delle economie di scala, se produco di più avrò un abbassamento dei costi medi
unitari e quindi dei costi variabili unitari.
Nella realtà si rappresentano con una curva che assume inclinazioni diverse. Se incide in modo
negativo lo vedo nei tratti di curva in cui crescono (aumentano i costi), se si appiattisce sto
lavorando nelle economie di scale, se cresce sono nelle diseconomie di scala, poi cambio
qualcosa e trono giù.

Noi andiamo ad analizzare il PUNTO DI EQUILIBRIO/PAREGGIO = le quantità per le quali i ricavi sono uguali ai
costi totali. Capire quanto produrre per essere in pareggio, almeno per non andare in perdita.

Nelle ordinate metto dimensione economica => ricavi e costi


Nelle ascisse metto le quantità.
Poi traccio le 3 rette che già conosciamo quella dei ricavi/dei costi fissi/dei costi variabili
che ha coefficiente minore di quello dei ricavi perché se devo avere un guadagno non
posso avere costi superiori ai ricavi.

Io cerco il punto di equilibrio tra ricavi e costi totali quindi devo trovare la retta dei costi
totali (sommo retta fissi e variabili —> 1)parte da dove parte quella dei costi fissi /costo
variabile 0 = parto da 0/ e poi è parallela al costo variabile.
Adesso posso trovare il punto di intersezione, qui i ricavi sono uguali ai costi e trovo la
Qe = quantità che devo vendere per esser in equilibrio con i costi.
Ho costruito il Diagramma di redditività.
Posso trovare anche altre informazioni. Da quel punto in avanti avrò una forbice che si
apre in alto con i ricavi e sotto i Ct .> la differenza tra quelle due mi dice il mio
guadagno, più mi sposto da quel punto più la differenza aumenta = più guadagno. Se da
quel punto vado indietro ho una forbice nella quale i costi stanno sopra i ricavi e vado in
perdita, più mi allontano da quel punto più perdita pesante.

Questo modello è importante ma ha 4 limiti, se li conosco posso procedere.


La retta dei ricavi ad un certo punto ha un’inflessione lo stesso vale per le varie inclinazioni dei costi variabili e nemmeno
i costi fissi sono una retta => 3 semplificazioni della realtà.
Questi 3 possiamo accettarli perché se considero le varianti troverei più punti di equilibrio. Questi più punti di equilibrio
mi rappresentano scenari diversi che potrei mettere in piedi. Quindi questo diagramma mi rappresenta una situazione
statica se valuto le variazioni ho scenari diversi.

Quindi posso usare quella semplificata e magari fare vari grafici diversi con le varie possibilità e poi confrontare i risultati
e prendere una decisione.

Se non conosco questi limiti considero la stessa valenza per condizioni diverse.
Il 4 problema è se non vendo nessun prodotto, nell’asse ci sono le quantità prodotte. Accetto questo modello ipotizzando
di avere quantità prodotte = a quelle vendute. Cioè ipotizzo che ciò che produco, vendo.

Un’alternativa è …

L’alternativa è inserire all’interno dei costi il costo dell’invenduto = le rimanenze di magazzino in questo caso scrivo
quantità prodotte ipotizzando quelle vendute perché anche se non vendute le ho comunque contate in una percentuale.
Nel caso di erogazioni di servizi è diverso perché produco istantaneamente alla vendita.

COME SUPERARE LA QUANTITA’ DI EQUILIBRIO.

La quantità di equilibrio è la quantità che soddisfa perché non fa perdere ma non corrisponde a una logica ottimizzante, a
una logica del profitto. Cosa succede se cerco di produrre più della Qe. Il primo modello di analisi che mi interessa è il
margine di sicurezza.

Mi dice di quanto può diminuire in percentuale la mia produzione rispetto alla


quantità massima producibile e vendibile senza che io vada in perdita.

È meglio che sia alto.


Come faccio ad allargarlo?
Posso spostare Qe a sinistra e/o Qx a destra. La cosa ottimale sarebbe avere un
margine del 100% ovvero anche se non vendo non vado in perdita ma
pareggio.

Questo tipo di impresa è esistita.


Imprese che non vanno mai in perdita = prendere Qe e spostarla tutta a sinistra e
mi viene —> (grafico)
Questo è possibile se non ho i costi fissi. In Italia ci furono imprese piccole nelle
quali negli anni di arrivo di internet, imprese che si aprono i primi siti, io 25enne
che so farlo lo faccio —> guadagno. Non ha costi fissi perché lavora da casa
sua, col suo computer e se non ha richieste non guadagna ma non ha nemmeno
perdite. Oggi non ci sono più perché sono cresciute.

Se la diminuzione del margine di rischio è proporzionata a una crescita della mia impresa è accettabile, l’impresa in se è
prendersi il rischio.

Parto da 0 costi fissi poi li aggiungo avrò:


(mi si riduce il margine di sicurezza )

Approfondimento:

Una impresa mira ad essere più elastica e flessibile:

Elasticità = riesce a sopportare variazioni quantitative della produzione senza forti ripercussioni sui costi medi unitari. Ha
una struttura che le permette di non subire ripercussioni anche se cambia la domanda.

Flessibile = quando riesce a sopportare variazioni qualitative della produzione senza forti ripercussione sui costi medi
unitari. Il mercato mi chiede varianti rispetto al mio prodotto, riesco a rispondere al mercato senza forti ripercussioni.

=> si crescere ma rimanendo all’interno dei limiti di elasticità e flessibilità e non essere rigida ovvero che appena cambia
qualcosa ha ripercussioni molto forti sui costi medi unitari.
Studiare qual è il vantaggio finale della crescita delle imprese: logica soddisfacentista.

LEVA OPERATIVA

È quel meccanismo che fa si che un investimento abbia effetti economici moltiplicativi sul
reddito.

Dobbiamo unire il diagramma di redditività con una sua evoluzione.


Ricostruisco il diagramma di redditività con quantità di equilibrio.

Ora simuliamo cosa succede se la nostra impresa prova a crescere (vuole raddoppiare la
produzione e compra capannone e materiali) = impatto costi fissi.
CF1 nuovi costi fissi

Quando faccio questo investimento mi diminuisce il costo variabile unitario perché compro più
materia prima e mi costa meno /economia di scale/ dal punto di vista del lavoro -> assumo sí più
persone ma divento più elastica quindi se mi arriva un ordine in più, con più personale riesco a
produrlo senza accedere alle ore straordinarie che mi costerebbero di più. CV1che ha un angolo
più piccolo di Cv

Supponiamo che il ricavo unitario rimanga quello (non aumento il presso di vendita) => la
retta non cambia

Ora ho una nuova retta dei costi totali CT1

Ho anche un nuovo punto di equilibrio, ho quantità di equilibrio superiori rispetto a


quelle di prima.
Cosa significa? Una quantità di equilibrio maggiore mette l’impresa in una
condizione di maggiore rigidità, è più vincolata, deve produrre di più per non andare
in perdita.
Allora dov’ è il vantaggio della crescita?
Lo vedo nella forbice a destra del Qe1 (area del guadagno) che ora è più grande rispetto prima. Anche se sono in una
condizione più svantaggiosa (più rigida), la differenza tra i ricavi e i costi è molto più ampia anche a parità di produzione.
Questo è l’effetto leva operativa.

Contro: si allarga anche l’aria delle perdite. L’effetto leva si ha sia in negativo che in positivo.
Più si diventa grande più si rischia. Motivo per il quale esiste il profitto.

Ora abbiamo spiegato la finalità della crescita: oltre al soddisfacimento degli stakeholder, oltre alle strategie, anche dal
punto di vista economico.

Oltre alla leva operativa c’è anche la LEVA FINANZIARIA prendendo in


considerazione le variabili di tipo finanziario.

Per crescere mi servono dei soldi per fare l’investimento, così ricorre
all’indebitamento.

Fino che punto conviene indebitarsi?


La risposta c’è la da un’analisi tra redditività e il costo di provvista del
denaro (onere finanziario che mi accollo = tasso di interesse).

Se la prima è superiore al tasso di interesse —> conviene indebitarsi -


SPREAD positivo, se il contrario no.

es. voglio fare investimento che promette redditività del 12%, vado a chiedere il prestito con un tasso di interesse del 8%
=> spread positivo —> avrò un + 4% sul guadagno.

L’impresa potrebbe dire con quello che spendo per fare l’impianto ho uno spread del 4%, considerando che ho spazio
disponibile, c’è mercato.. allora perché non acquisto 2 impianti al posto di uno?
Allora chiede altro prestito alla banca, che mi da i soldi però per la banca io divento cliente più rischioso perché ti do di
più. Cosa risponde la banca? Al posto dell’8% te lo metto al 13%. In questo caso lo spread è negativo e non ha senso.

In questo caso deve rivalutare altre vie per crescere, rivedere le strategie, le risorse che ho, valutare le varie opzioni per
usufruire a pieno delle economie di scala.

Non bisogna rifiutare di crescere ma rivalutare le condizioni di quell’investimento e prendere strada diversa.

Analisi economica: Logiche ottimizzanti più che logica soddisfacentista.


Scelte di breve periodo. Scelte aziendali di tipo operativo. Considero le variabili che
posso cambiare adesso, variabili che posso modificare all’istante e che hanno effetto nel
breve periodo.

Prima vado a vedere il margine di contribuzione (incide solo sui ricavi) poi confronto
operativo (tocco sia ricavi che costi).

MARGINE DI CONTRIBUZIONE:

ricavi - costo variabile = prezzo di vendita - costi variabili unitari. Incide sul prezzo.

= di quanto una certa vendita contribuisce alla copertura dei costi fissi dopo aver coperto
i costi variabili.
Premessa: il margine di contribuzione non mi serve per stabilire il prezzo di vendita di un prodotto. Mi permette di
rispondere con coscienza a possibilità di un prezzo di vendita più basso.

Questo margine mi dice: prova a capire con quel prezzo ribassato che risultati economici avresti—> se è risultato positivo
fallo se no no.
Mi serve per decidere se accettare o meno una condizione straordinaria.

es. siamo parrucchieri.


Costa 20€ una piega. I costi per offrire il servizio 18€ . Ha un utile di 2€.
Arriva la condizione straordinaria —> p1, p2, p3.

Con nessuna delle proposte ci ricaverei e andrei in perdita.


Devo considerare i costi variabili e fissi. Quelli fissi non li cambio in ogni
caso ma quelli variabili si, se non faccio nessun cliente le materie prime non
le uso.

Costruisco i margini di contribuzione:


MC1 quella vendita mi permette di coprire i costi variabili e me ne rimangono
11€ su 13€ che coprono i costi fissi, perdita migliore di non avere nemmeno
quegli 11€.
Lo stesso vale per 10€ MC2.
MC3 economicamente ci rimetto, avrei margine di contribuzione del -1,
spenderei di più che stando ferma.

Al posto di non fare nulla mi conviene una condizione straordinaria come


p1 e p2, sicuramente non guadagni ma non ci rimetti troppo.
La difficoltà di questo margine è sapere i costi fissi e i costi variabili che
incidono sul servizio.
Prendere scelte di tipo operativo che vanno ad incidere questa volta sia sui ricavi che costi.

Problemi di CONFRONTO OPERATIVO sono 2:

1 Make or buy —> mi conviene continuare a produrre internamente o farla fare da


terzi e acquistarla da terzi = fare o comprare?

2 Fare o non fare —> mi chiedo se ha senso ancora farlo? Ha senso tenere attivo
ancora questo prodotto?

Indipendente dal problema faccio la stessa analisi:


Procedo con una logica differenziale = vado a vedere quali sono i costi e i ricavi che
cambiano al variare dell’alternativa che prendo in considerazione.

(1 cosa varia se decido di fare all’esterno / 2 cosa varia se decido di non operare più.)

A. Prendo tutti i costi e tutti i ricavi e li analizzo chiedendomi per ognuno se è o no differenziale. Se non è differenziale
non lo considero (es. spese generali). Se è differenziale, ovvero
che cambia con l’alternativa che sto prendendo in considerazione lo considero.

B. Come considero quelli differenziali? Posso trovare


costi cessanti e/o sorgenti. Cessanti: costo che cessa (se faccio
fare a qualcun’ altro non spendo io). Sorgenti: non spendo più internamente ma devo
pagare, sorge se decido di cambiare il come svolge quell’attività.

C. Lo stesso vale per i ricavi: Cessanti: se non lo


faccio più non ho più quei ricavi anche se pochi Sorgenti: facendo fare il servizio ad un altro posso erogare al mio
cliente un servizio migliore e quindi venderlo ad un prezzo più alto, quindi avrò un ricavo in più.

MI CHIEDO: DIFFERENZIALE O NO? —> CESSANO O SORGONO? Procedo


cosi.

Ora per valutare l’alternativa faccio 2 raggruppamenti:


metto insieme ciò che ha effetto positivo e negativo.

Confronto i raggruppamenti faccio i totali.

Se risultato positivo -> ci provo perché avrò effetto positivo sul reddito.

Se è negativo —> non lo faccio, perché sul reddito ha un effetto negativo e non mi
conviene.

Anche qui la difficoltà è conoscere i dati.


(I costi non differenziali non li conto perché rimangono quelli e in questa analisi avrebbero valore nullo e creerebbero più
confusione.)

Devo guardare aspetti intangibili come la soddisfazione dei clienti, ho un risultato di poco negativo magari però voglio
dare quel servizio così qualitativo e avere successi nel lungo termine, il mio cliente mi torna.
Quindi anche se risultato di poco negativo prima di mollare si cerca di contrattare le condizioni (magari con la lavanderia
che mi offre quel servizio).

Arrivo ad avere un risultato economico quantitativo semplice ma non lo è la decisione perché devo tenere in
considerazione altri aspetti : punti di vista legati a economicità, qualità, tempestività dei sistemi produttivi, conoscenze e
competenze, aspetti legati al potere dell’impresa.
Prima faccio l’analisi quantitativa, ottengo un risultato, rifletto su altri aspetti e
poi prendo una decisione.
Libro: tutto tranne 8 e 17 non fatti e fare da soli/

Problemi di confronto operativo, prendo la decisione dovendo tenere in considerazione


anche aspetti di tipo intangibile, difficilmente quantificabili, qualitativi.
Principali aspetti da considerare nell’alternativa make or buy, ma il senso è quello di
guardare anche altri aspetti. Rispetto allo stesso punto si possono avere vantaggi e
svantaggi.

Economicità: si possono quantificare, economie di scala, di scopo...


Qualità: (make) se produco internamente seguo il processo produttivo e controllo meglio la qualità. Se buy ritiro solo la
qualità conforme, se lo faccio io ho l’onere della responsabilità di fare tutto bene.

Tempestività, elasticità dei sistemi produttivi: se produco internamente controllo la programmazione della produzione,
le mie priorità saranno l’informazione input per chi gestisce il processo produttivo, es. dico io quale ordine fare per prima.
Se lo faccio buy non hanno la mia stessa priorità quindi potrei avere dei ritardi nei tempi di consegna. Ma se lo faccio
fuori sfrutto di più la maggior elasticità della produzione del terzista es. ho dieci ordini di lavaggio se vado dalla
lavanderia possono farmeli tutti io ho solo una lavatrice.

Conoscenze e competenze: possibilità di far crescere le risorse interne, facendo lavorare le mie risorse interne le faccio
crescere inoltre ho maggior riservatezza, non devo condividere con nessuno il know how, come produco, cosa utilizzo.
Dall’altra parte se vado fuori (buy) potrei accedere a competenze e conoscenze che dentro non ho, accedere a un
patrimonio intangibile che di mio non ho disponibile.

Potere: più una impresa è grande più riesce ad interagire con l’ambiente, se continuo con la produzione interna potrei
avere maggior potere di condizionamento del mercato se esternalizzo non sto crescendo, perché sto portando fuori, se la
tendo dentro perseguo un obiettivo di crescita. Se esternalizzo un attività divento un pò più piccolo. Il vantaggio buy è che
date queste relazioni esterne io potrei avere la capacità di entrare in varie reti di imprese che mi permettono di arrivare più
lontano di quanto avrei fatto da solo.

La decisione quindi non va presa sulla base solo del risultato, soprattutto se dall’analisi ho un risultato un pò borderline,
ma in generale ha sempre senso tenere queste ipotesi in considerazione.
Queste ultime non le posso quantificarle.

Fine parte delle decisioni di impresa a breve periodo

Come si prendono le decisioni che hanno effetto nel medio lungo periodo.

COSA SONO GLI INVESTIMENTI INDUSTRIALI?

L’obbiettivo è la crescita. Investo oggi per avere un giorno un ritorno


economico.
Devo rispettare 4 caratteristiche, sempre se si parla di investimento di
denaro.

1. Rilevante esborso di denaro. Non considero investimento industriale l’acquisto della materia prima. Non esiste una
soglia sopra la quale è considerata esorbitante. Lo è in base al tipo di impresa e alla sua grandezza.

2. Ritorno economico nel futuro. Si parla di investimenti industriale se lo sborso di denaro è a fronte di un
previsto/stimato ritorno economico nel futuro.

3. Assunzione di un rischio. Non esiste investimento senza rischio. Ci sono investimenti più o meno rischiosi. È molto
soggettiva per qualcuno potrebbe essere più o meno rischioso. Non esistono investimenti a 0 rischio, per il solo fatto
che io la spesa la spendo adesso e che l’impianto che compro mi produrrà nel futuro, per la sola questione di tempo
c’è un rischio.

4. Ritorno dell’investimento attraverso l’output dell’investimento stesso. È investimento industriale solo se quella
ricchezza futura che mi va a produrre è frutto di ciò che quell’investimento può produrre. es. compro impianto per
produrre telecomandi, è attraverso la vendita dei telecomandi (vendita dell’output) che mi permette di produrre la
ricchezza che mi copre l’investimento/ attraverso la produzione di quell’output creo la ricchezza per l’investimento. In
questo modo distinguo l’investimento industriale da altri tipi di investimento.

È investimento Industriale? Esempi

- acquisto un nuovo macchinario per movimentare le scorte di magazzino all’interno della mia impresa—> si perché
sborso c’è, il ritorno lo ho in termine di aumento di ricavi o in termine di riduzione dei costi, c’è rischio magari non
funziona come mi aspettavo/ho meno merce.

- Acquisto un impianto che mi permette di confezionare i telecomandi che produco —> si perché mi produce qualcosa
che non avrei e di rivederlo, se non li confeziono non arrivano sul mercato.

- Sono impresa commerciale e decido di acquistare nuove auto —> si, il ritorno economico lo vedo nella creazione del
valore, l’auto viene usata come leva motivazionale, è veicolo di comunicazione porto in giro l’immagine della mia
impresa. Mi crea un output intangibile allora è un investimento industriale più difficile da stimare, stimare il ritorno
economico è difficile ma è comunque investimento industriale.

- Acquisto di un pacchetto di lezioni per i dipendenti, per approfondire le conoscenze —> si perché ho un rischio
altissimo perché i dipendenti sono capre, capiscono ma non c’è ritorno per l’azienda, non mettere in pratica il mio
sapere, capiscono tornano in azienda metto in pratica ma mi chiedono aumento di stipendio per questi motivi ho troppi
rischi, c’è lo sborso di denaro, c’è ritorno nel futuro. Compro qualcosa di intangibile, è intangibile l’investimento stesso
quindi la valutazione economica è molto difficile.

- Valuto se acquistare un terreno vicino a me non edificabile per so che fra tre anni diventa edificabile—> in questo caso
può essere industriale o no , dipende per cosa lo copro, non è industriale se lo compro per rivenderlo ad un prezzo più
alto perché ho si una ricchezza futura, ho rischio ma manca l’ultimo punto perché io rivendo ciò che ho comprato,
rivendo il mio investimento e non l’output. Se invece lo compro per me per edificarci un capannone, metto nuovi
impianti creo nuovo output.

L’errore più grande che si può fare è usare dei metodi di valutazione economica per l’oggetto sbagliato. Nell’ultimo
esempio se è industriale devo utilizzare determinati modelli di analisi economico. Se non è industriale come ad
esempio finanziario, es. rivendita, non posso usare lo stesso modello di analisi.

CLASSIFICAZIONE DEGLI INVESTIMENTI:

Come possono essere classificati gli investimenti rispetto alla distribuzione temporale dei flussi di cassa:

= ogni investimento è caratterizzato da varie uscite e varie entrate, la distribuzione nel tempo delle entrate
e delle uscite è la distribuzione temporale dei flussi di cassa. Quali entrate e uscite prevedi di avere? Le
distribuisco in un asse temporale. Rispetto a questa distribuzione posso avere 4 categorie diverse di
investimenti. Questi sono:

CIPO = continus imput point output => per un periodo di tempo con cadenza regolare = impiego delle
risorse, investo / linea rossa è spartiacque temporale prima ho l’investimento, dopo il ritorno/ point out
= avrò dopo un tot di tempo ad un certo punto stabilito avrò un ritorno economico maggiorato.
Es. assicurazione personale a tempo.
CICO = per un periodo di tempo continuo a investire, per tot anni fino a che (supero la linea rossa/ ho un continuo ritorno.
Es. pensione, studi.

PIPO = in un momento puntuale impiego del denaro, per avere un ritorno altrettanto puntuale.
Es. comprare azioni in borsa, compro e rivendo, investimenti finanziari.

PICO = investimento puntuale per avere un ritorno in un continuo, in un arco temporale.


Es. tipologia dei flussi di cassa negli investimenti industriali. Oggi compro l’impianto domani avrò un ritorno continuo.
Anche se l’impianto lo compro con finanziamento lo riconduco a PICO tenero conto degli interessi, perché comunque non
mi modifica il senso di investimento industriale. Point Input conto il momento in cui mi incarico il debito, anche se lo
pago a rate.

QUALI SONO I METODI DI VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI INDUSTRIALI

Ogni metodo contiene poi un modello.

Metodi aritmetici: non tengono conto del fattore tempo = se io procedo con
questo metodo assumo che 1€ oggi sia uguale a 1€ tra tot tempo, non tengo
conto della modifica del valore del denaro.
Nell’asse sei tempi metto per quanto durerà il mio investimento, a t0 faccio
l’investimento - 100€ per in t5 avere +101€ —> conviene

Metodi finanziari: tiene conto del fattore tempo e dello stesso investimento
dice —> non conviene perché quello che spendi oggi e quello che avrai domani
non puoi valutarlo con lo stesso metro monetario perché nel tempo il potere
d’acquisto cambia, per via dell’inflazione.
Inoltre l’indisponibilità di quei 100€ costa, potevo investirli in altro e farli fruttare, potrei disporne, qui si tengono conto di
tutti quesì condizioni. Qui si considera inflazione, fattore rischio, possibilità di disporre di quel capitale in altro modo.
Qui quel +1 che ottengo non è abbastanza per coprire tutti i cambiamenti
avvenuti.

Usare un metro aritmetico negli investimenti industriali è superficiale, quindi


usiamo quello finanziario.

Principio di base degli investimenti industriale conveniente: è conveniente


quando il costo dell’investimento è inferiore alla ricchezza futura che mi
produrrà.

VARIABILI DI IMPUT: sono le stesse in tutti i modelli e sono la parte più complicata da reperire.

1: COSTI DELL’INVESTIMENTO “I”

È la più facile perché è l’unica variabile certa e non stimata e la prendo dal
preventivo del fornitore dell’impianto, costo base dell’investimento.
Riguardano un tempo unico, all’inizio.
Poi ci sono dei valori di rettifica, che mi vanno a modificare il costo base
dell’investimento in + o in -, possono esserci tutte, alcune o nessuna:
a. - eventuale contributo a fondo perduto erogato contestualmente all’investimento: possibile aiuto da parte di qualcuno
che non devo restituire nel momento in cui faccio l’investimento. (Li sottraggo dal mio costo totale).
b. + eventuali costi accessori: riguardo un qualcosa in più che acquisto per dotare il mio investimenti (auto, impianto) di
optional che lo migliorano. Spesa che decido di sostenere in più. (Aggravo il costo dell’investimento).
c. - eventuale valore residuo: nel caso in cui io faccia un investimento di sostituzione, il valore residuo è quanto mi viene
riconosciuto per l’impianto vecchio che sostituisco. (Mi diminuisce il costo dell’investimento).
d. + eventuale capitale d’esercizio: è una spesa in più che sostengo per munirmi di un capitale di un qualcosa in più che
potrò andare ad utilizzare nella vita dell’investimento. es. sono una impresa di lamiere e
sto valutando di acquistare una macchina automatica, decido di acquistare anche un kit di pezzi di ricambio, così da
essere pronto a cambiare nel caso si rompa qualcosa senza sospendere la produzione. Questo kit mi costa. Qua’ è la
differenza con i costi accessori. Perché il costo accessorio mi caratterizza l’investimento ma non mi torna indietro
niente. Il capitale di esercizio invece mi produrre dei flussi di cassa nel futuro. Nel momento in cui mi si romperà
qualcosa non spenderò perché ce li avrò già, non avrò costi.

2: VITA UTILE “t”

È la durata per la quale io stimo, il periodo di tempo che utilizzerò per il mio
investimento. Vita utile 5anni = 5t.
Come faccio a stimare la vita utile? Importante perché mi va a condizionare per quanti
anni andrò a calcolare la ricchezza futura che mi produrrà.
Devo prima stimarne 3 diverse.
Vita fisica: durata fisica prevista del nostro impianto, per quanto tempo sarà
funzionante.
Vita tecnologica: ha a che fare con l’obsolescenza del nostro impianto. Sostituzione non perché fisicamente non fa ma
sono diventati obsoleti nel tempo, tecnologicamente superato, quando questo succede non si è più competitivi.
Vita mercatistica: fa riferimento al mercato, per quanto tempo avrò mercato con quel prodotto che mi da l’ impianto.

Date queste 3 devo decidere qual’è la vita utile: considero la più breve delle 3 indipendentemente da quale sia. Se vado
oltre anche di un solo anno oltre la più breve, non potrò utilizzarlo comunque. Considero la più breve perché se anche altre
durano di più non posso comunque utilizzarlo.

3: TASSO DI ATTUALIZZAZIONE “i” (%)

Mi dice quanto devo togliere alla ricchezza futura prodotta per metterlo nel metro monetario di oggi e confronto con
l’investimento che faccio oggi. Con questo tasso rendo tutti i valori confrontabili. Quando alla ricchezza futura viene tolto
il tasso di attualizzazione viene chiamata attualizzata.

Componenti di questo tasso:


a. + costo di provvista del denaro: per fare questo investimento chiede un finanziamento, quanto mi costano questi soldi,
gli interessi.
b. + tasso previsto di inflazione, il denaro perde naturalmente del valore nel tempo: di quanto perde potere d’acquisto il
denaro nel tempo? www.istat.it trovo la previsione ufficiale
c. + rischio dell’investimento, la ricchezza futura è incerta quindi ho un rischio che devo quantificare, parte più
soggettiva. Come si fa? Alcune imprese la tengono fissa per tutti gli investimenti, altre si tengono aggiornate e hanno
dati più specifici.
d. - eventuale contributo in conto interessi: qualcuno si prende l’onere di pagare una parte degli interessi, se
sommando le prime tre abbiamo 10% e del 2% se ne fa carico la regione avrò l’8%.

Questo tasso mi permette di togliere valore alla ricchezza futura. Come si fa?
Formula matematica finanziaria o excel che ha già le formule pre-impostate o le tavole di attualizzazione.

Sono l’applicazione della formula matematica finanziaria per una casistica di possibilità.

4: DISPONIBILITà. “D”
È la ricchezza futura.
Come si calcola: ricavi - costi di esercizio(=anno), per ogni anno della vita utile.
Sono due i principi che vengono seguiti quello di competenza, chi fa il bilancio e
quello di cassa che seguiamo noi.
Per seguirlo, voce per voce devo chiedermi: per questo ricavo/costo quando si
realizza questo flusso di cassa? Perché mi servono i flussi di cassa che quel
investimento produce.

Per quanto riguarda i costi di esercizio se ho la voce ammortamento o oneri finanziari non devono essere contanti.

Gli ammortamenti: sono la suddivisione del costo di acquisto di un bene durevole (= costo dell’investimento) rispetto
agli anni della sua vita utile. Questa voce serve per arrivare al bilancio e per equilibrio fiscale. Ipotizziamo anno x di
investimento e spendo 1000€. Devo calcolare le imposte da pagare, mostro i ricavi i costi e forse sono sotto perché ho
avuto costi più alti. Dal punto di vista fiscale quell’anno pagherò poche tasse perché si pagano sugli utili, se non sono in
perdita avrò comunque un utile molto basso e pago poco.
L’anno dopo avrò i frutti dell’investimento e i costi saranno i soliti senza il costo di acquisto dell’impianto => pagherò un
sacco di tasse perché avrò tanti utili. Disequilibrio nel tempo della distribuzione delle imposte.
Viene inventato l’ammortamento: prendi il costo dell’investimento è spalmalo sul bilancio di quanti anni presumi di
utilizzare l’investimento. Così ogni anno ci sarà una quota a parte nel bilancio legato all’investimento di 100€ per 10 anni.

Investimento pari a 100€ da ammortizzare in 5 anni. Che ogni


anno mi da una disponibilità di 50€. Erroneamente
metto -20€ di ammortamento (100€ : 5 anni). È come se avessi
pagato 2 volte 100€ uno subito e uno una volta ogni tanto.
Allora da una parte o dall’altra lo devo togliere (tolgo la voce
ammortamento 1 perché preferisco tenere nella variabile giusta
quel costo di cassa, 2 per il principio di cassa, quei costi mi
escono al tempo t0, la voce ammortamento non è veritiera perché
è stata inventata per finalità di bilancio.

Gli oneri finanziari: è il costo a fronte del pagamento degli


interessi di un prestito.

Supponiamo le stesse condizioni di investimento. Il -5


supponiamo essere l’interesse da pagare alla banca.
Qual è l’errore? Quando io prendo le mie disponibilità le
attualizzo => viene tolto il tasso di attualizzazione (= costo di
provvista del denaro + inflazione + rischio) => in quel -i% che
uso per attualizzare di fatto, dentro c’è anche quel -5. Ho citato
due volte la stessa uscita.

Da dove la tolgo? Dalla disponibilità => gli oneri finanziari non


li conto.
I metodi aritmetici sono uguali a questi ma non tengono conto del tasso di attualizzazione. Se non mi pongo questo
problema, almeno l’onere finanziario bisogna metterlo nelle
disponibilità. Tolgo solo l’ammortamento.

Anche per le disponibilità ci sono valori di rettifica

a. + eventuale contributo a fondo perduto ma in un momento futuro e


non subito. => il flusso di cassa in entrata non ce lo avrò al t0 ma
dopo. Questo perché si vogliono vedere i risultati prima di dare
soldi per quanto riarda imprese giovanili.
b. + eventuale valore residuo del vecchio investimento (Dn) —> qui fa riferimento ad un ipotesi nelle quale io faccio
oggi un investimento già sapendo che fra 10 anni quando dismetterò questo impianto riuscirò a venderlo nel mercato
dell’usato a x€. Alla fine della vita utile metterò un flusso di cassa in entrata in più per la vendita di questo usato.
c. + recupero eventuale capitale d’esercizio —> nella stima delle disponibilità futuro io prevedo che ci sarà un anno in
cui userò quelle riserve, quindi pretendo che avrò un risparmio di costo. Avrò un impatto positivo per questo ho un
segno + perché nei flussi di casso non avrò dei costi. Quale è quell’anno? Se si riesce a capire ok ma altrimenti è
difficile => si mette nell’ultimo anno della vita utile ( 1 perché mettendolo all’ultimo sono certo di averlo usato, se
non l’ho usato lo vendo all’usato insieme all’impianto, 2 stiamo facendo stime quindi l’errore è possibile quindi li
investimenti si stimano non nel migliore dei modi, per questo motivo mettendolo all’ultimo anno così mi permette di
seguire il principio delle prudenza, più in la con gli anni più pesa il tasso di attualizzazione quindi li do meno valore,
poi se va meglio meglio per me).

INDIVIDUARE I MODELLI DI VALUTAZIONE ECONOMICA DEGLI


INVESTIMENTI

Identificare i modelli di analisi della convenienza economica. Mi servono per


dire se è conveniente o no e me lo dicono su 3 aspetti diversi.

EVA = eccesso di valore attualizzato. Questo modello risponde a un criterio di


economicità, mi dice se l’investimento è conveniente dal punto di vista del
risultato economico espresso in x€. = quanta ricchezza mi produrrà

TIR = tasso interno di redditività. Mi dice se è conveniente sulla base di un


tasso che esprime quanto mi rende quell’investimento.

PAYBACK PERIOD = periodo di recupero. Mi dice se è conveniente se: se oggi spendo 1000€ quanto tempo ci metto a
recuperare quella spesa? Convenienza espressa in termini temporali.
Nelle imprese si parte facendo una tabella e poi si tirano fuori i 3 risultati. Cosa succede se per due modelli è conveniente
e per uno no? Devo fissare le priorità, vedendo quali sono i miei vincoli.

LIMITI DEI MODELLI LI VALUTAZIONE:

1. L’obiettivo di questi modelli è sempre il miglior risultato


economico, visto da angolazioni diverse ma miro alla
convenienza dell’investimento della base del miglior risultato
economico. In alcuni casi si fanno investimenti non per
ottimizzare il risultato economico ma per sopravvivenza. A
volte non si fanno investimenti per migliorare il risultato
economico. A volte le decisioni aziendali seguono obiettivi diversi da quelli economici. Questi modelli, tutti questi
obiettivi diversi non li considera, considera solo quelli economici. Limite importante ma si può usare se se ne è
consapevoli. Cioè non è che se EVA positiva allora investi, ho altre variabili da considerare.

2. Sfuggono gli aspetti di tipo qualitativo, le variabili e risorse intangibili difficilmente quantificabili. Faccio un
investimento per migliorare la mia immagine, come la quantifico?. Ci sono aspetti per i quali la quantificazione è
difficile.

3. La trappola dei numeri: sorta di naturale innamoramento dei numeri. I numeri piacciono perché ci mettono tranquilli.
Il numero mi da sicurezza, mi aiuta a prendere le decisioni, anche forma di difesa ex post se qualcosa andasse male.
Questa certezza è però finta perché è un numero che si basa su stime. Questi modelli che mi riportano un numero mi
aiutano a prendere la decisione, nascondono un problema più grande —> che le mie decisioni devono essere basate su
altre aspetti qualitativi.

4. Possibile circolarità del ragionamento: la convenienza economica di un investimento è la risultante di ricchezza futura
che è superiore all’investimento. Come faccio a preselezionare le alternative da valutare? La convenienza non si
valuta sulla base della ricchezza attuale ma sulla ricchezza futura che mi produrrà. Io dovrei andare in fiera con
stima delle disponibilità future. Come stimo le ricchezze future se non so gli impianti? Mi servono le disponibilità
future per preselezionare le alternative, però mi serve avere preselezionato l’alternativa per stimare la disponibilità
futura. Circolarità, non se ne esce. Questo è un limite grosso di questi modelli. L’unico modo per uscirne è tenere le
porte aperte per alternative in più. Questo lo posso fare se so che questi modelli hanno questo limite.

Dati questi limiti alcune imprese dicono, questi limiti sono troppi non usiamo questi modelli. Però ci sono altre imprese
che le utilizzano e le utilizzano tutti.
Li uso ma non prendo le decisioni sulla base solo di questi risultati, perché allora devo fare questi modelli se poi non
guardo il risultato? La decisione va a finire che si prende con l’intuito imprenditoriale.
L’imprenditore sulla base di informazioni, percezioni si sente di prendere la decisione. L’intuito imprenditoriale è più
formato, qualitativamente migliore. In che senso formato? Ognuno di noi osserva naturalmente certi fenomeni più che
altri.
L’intuito imprenditoriale, nel momento in cui io obbligo un soggetto a fare l’Eva, il TIr…. l’ho obbligato a riflettere anche
sui fenomeni che naturalmente non andrebbe ad osservare.
È più importante il processo di costruzione di questi modelli più che
il risultato in sé.

Il sistema turistico

l’immagina dell’Italia che piace ai turisti che quindi li attrae sono le ricchezze monumentali, artistiche, naturali…
Per l’Italia è un settore talmente importante che alcune città basano la propria economia sul turismo che quindi porta
opportunità di sviluppo per la società.
Negli ultimi anni l’Italia sta perdendo posizioni anno dopo anno perché abbiamo peccato di presunzione. Cioè ci si
adagia su ciò che attrai senza sforzo senza finanziare. Ci sono talmente tante attrazioni che non serve investire, altri paesi
che non ne hanno, hanno investito diventando più competitive. Hanno lavorato sulla qualità anche del turista. Tengo un
turista che ha un impatto migliore.

Cosa è il turismo?

Insieme polivalente di attività e servizi molto diversi tra loro, che producono il prodotto finale per il turista, ma il
risultato turistico è l’insieme dell’alloggio, delle opportunità nell’intorno…. Un insieme di fattori per questo si chiama
sistema turistico e non settore. Comprende molti settori, esempio impresa aerea e albergo, sono diverse ma fanno parte del
viaggio che acquista il turista.
Deve prevedere una persona che si trasferisce temporaneamente per vari motivi: svago, sport. Deve essere temporaneo da
un luogo geografico ad un altro. Esistono vari tipi di turismo: sportivo, dentale, culturale…

Chi è il turista?

Chiunque viaggia in paesi diversi da quello d’origine, deve stare fuori almeno una notte altrimenti è un
escursionista. Il turista chiede un servizio in più rispetto all’escursionista, si affida alle imprese della ristorazione, dell’
alloggio, di tutti i servizi possibili per ottimizzare il tempo li. Il gestore dell’evento non distingue i flussi turistici da
quelli escursionisti, perché nella sostanza cambia perché dire che stanno arrivando turisti io ti muovo l’economia,
quindi promuovi il mio evento. Dire cosi porta un introito di più dal punto di vista di contribuiti e sponsorizzazioni.
Il problema si pone se l’evento è nel medio lungo termine. Perché dopo un po’ vedo le casse del negozio e ci si rende
conto che non è avvenuto quell’aumento di cassa. Nel futuro si crea la sfiducia nell’organizzatore che perde
un’opportunità. Anche l’escursionista ha un impatto economico e se veniva detto ci si poteva predisporre per un evento
ad hoc.
L’escursionista ha bisogno di servizi diversi, torna ad esempio più volte, e investendoci sarà una soluzione vantaggiosa a
medio lungo termine.

Ci sono una serie di viaggiatori che non vengono inclusi nelle


statistiche.

Nei report si vede che nel turismo c’è una continua crescita.

4. Per esempio per andare alla mia destinazione faccio scalo in


un’altra città

Turismo nazionale: interessa al di fuori del turismo, perché mi


dice che gli italiani viaggiano di più e che quindi stanno
meglio.

Turismo interno: indipendentemente da dove arriva, è chi arriva


in quella destinazione, interessa a chi gestisce le destinazioni
turistiche.
Turismo internazionale: quello più studiato, perché è quello che
ha impatto maggiore dal punto d vista economico, sono quelli che fanno i viaggi più importanti, vado a toccare tutte le
imprese che si occupano di turismo, dai trasporti alla ricezione, alla ristorazione…
Quali sono le imprese che si occupano di turismo.

Le imprese turistiche sono tutte le attività che forniscono un prodotto o servizio a favore dei turisti.
Fino al 2001 erano imprese turistiche solo quelle che offrivano un servizio ricettivo, hotel e alberghi.
Questo riconoscimento fu una grande conquista ma ha ancora oggi degli effetti. 1 Si tratta dell’ alto livello di conflittualità
perché le imprese sono tanto diverse tra loro e perché per raggiungere il risultato della mia impresa può essere che la
strategia da adottare, le caratteristiche del servizio… siano molto diverse da quelle che vogliono offrire le altre imprese.
Es. l’albergo chiede facciamo entrare in città solo a chi prenota una camera e una volta che l’hanno affittata sono apposto
e non vogliono che quei clienti si trovino il pienone, ma questo collide con la gelateria che offre anch’essa un servizio
turistico e che quindi vuole che entrino più turisti possibile. Per questo bisogna trovare una soluzione unica perché la
destinazione va gestita come unica, le singole imprese gestiscono il servizio che erogano che hanno obiettivi diversi
ma la destinazione va organizzata come unica. Dal 2001 che entrano a far parte del sistema anche altre imprese gli
albergatori che prima erano loro a prendere le decisioni sono costretti ad ascoltare anche le altre imprese
Oggi le imprese turistiche sono suddivise in
due grandi gruppi

Hanno regolamentazioni diverse.


L’ex alberghiero è più dinamico, l’ultima new entry è il
coachsearching, airb&b che vende principalmente
esperienze.

Tante polemiche su airb&b:


1 a livello fiscale erano in nero fino a poco fa e questo fa
concorrenza sleale;
2 vende esperienze e chi da alloggio vende il servizio di
guida che non potrebbero fare perché serve un patentino e
anche qui fanno concorrenza sleale ma hanno successo
perché hanno un costo più vantaggioso e poi perché si
preferisce farsi accompagnare da qualcuno che ha passione di
quella cosa ed è del luogo, ci si sente più coinvolti.

Intermediazione: vendita del viaggio mentre il turista è ancora a casa

-i. Agenziale: agenzie viaggi, sono imprese dettaglianti, il tour operator è colui he confeziona il viaggio, il grossista.
- i. Non agenziale: comprare un viaggio senza senza agenzia, quella che ha più successo. Oggi c’è un momento di ritorno
perché quelle che sono sopravvissute si sono specializzate in viaggi religiosi, scolastici… oppure sono diventate in
creazione gestione di eventi. Oggi stanno tornando i modi tradizionali perché senza passare da Booking l’albergatore
non deve sostenere la spesa che deve riconoscere a Booking offrendo ad un prezzo migliore.

Canali di vendita

Filiera turistica: OFFERTA —>


INTERMEDIAZIONE —> DOMANDA

1. È un sistema complesso data l’eterogeneità delle attività.


2. Asimmetria nella velocità di crescita dei vari elementi, sposto i voli ma non sposto gli alberghi, alcune imprese fanno
difficoltà a stravolgere le scelte prese.
3. Conflittualità tra le parti
4. Influenza dell’ambiente esterno, buono o cattivo tempo-> a chi prenota vedere che anche se c’è tempo brutto posso
avere delle alternative, cambia.
5. Rigidità dell’offerta: per creare un’offerta devo fare certi investimenti ed è qualcosa che resta. Esempio strutture
costruite per l’expo hanno dovuto sottostare alla legge per la quale sarebbero state accettate solo se era già previsto il loro
utilizzo per post fiera.

Questa complessità

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