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Economia dell’innovazione

6. L’impresa innovativa

marco.amendola2@univaq.it

Economia dell'innovazione 2021/2022 - Marco Amendola


Introduzione

Sin da Schumpeter, l’impresa è vista come l’attore principale dell’innovazione

L’impresa innova per ottenere un vantaggio competitivo sulle concorrenti ed ottenere così
maggiori profitti, tassi di crescita e, nel lungo periodo, sopravvivere sul mercato

Tuttavia, è lo stesso Schumpeter a mettere in guardia sul fatto che non tutte le imprese
sono innovative allo stesso modo

Una delle domande fondamentali allora per capire l’innovazione è: perché alcune imprese
sono più innovative di altre?

Esiste una letteratura sterminata a riguardo!

In questo blocco di slide si cercherà di dare una visione molto parziale di questa
letteratura...

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Introduzione

Perché alcune imprese sono più innovative?

Una prima possibilità riguarda l’insieme dei «fattori esterni» all’impresa che influenzano le
possibilità innovative dell’impresa stessa

Ad esempio, abbiamo visto come il tasso innovativo vari in maniera importante da settore a
settore o come la struttura di mercato possa avere un effetto rilevante sulla performance
innovativa delle imprese di quel mercato

A questi se ne possono aggiungere molti altri, tra cui:

o Paese di appartenenza (effetto paese) :


politiche pubbliche, finanziamento pubblico ricerca di base, centri pubblici di ricerca, istituzioni ponte per la
diffusione tecnologica?, sviluppo e tipologia settore finanziario, istruzione pubblica, burocrazia….

o Localizzazione geografica impresa:


Impresa si trova in distretti innovativi? Ci sono università vicine con cui collaborare?...

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Introduzione

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Introduzione

I fattori esterni all’impresa sono dunque molti ed importanti e possono avere un ruolo
rilevante nell’influenzare la performance innovativa delle imprese

Ma esiste altro? O in altri termini, a parità di fattori esterni, rimangono delle differenze
importanti in termini di performance innovativa tra le imprese?

L’evidenza empirica (ed il buon senso) ci dicono di si

Questo significa che, oltre ai fattori esterni, esistono dei «fattori interni» all’impresa che
sono rilevanti nello spiegare la performance innovativa delle imprese

Questo vuol dire vedere l’impresa non come una scatola vuota, un punto sulla funzione di
produzione, ma come una entità specifica e concreta caratterizzata da proprie specificità

Diviene così ragionevole pensare che possa esistere una forte eterogeneità tra le imprese

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Introduzione

Da notare come questa visione sia difficilmente compatibile con la visione «neoclassica
pura» dell’impresa, come evidenziato da Nelson (1991):

“It should be recognized that in trying to make a case for the economic significance of discretionary firm differences, I
and my co- arguers are fighting against a strong tide in economics, particularly in theoretical economics, that
downplays or even denies the importance of such differences. The argument in economics is not that firms are all
alike; economists recognize that computer firms differ from textile firms, and in both industries, German firms almost
certainly differ from Taiwanese firms. Rather, the position is that the differences aren't discretionary, but rather reflect
differences in the contexts in which firms operate: computer design and production technology and the computer
market differ from the situation in textiles. Factor prices and availabilities and product markets in Germany differ from
those in Taiwan. Thus, firms are forced to be different. The tendency to ignore discretionary firm differences in part
reflects that economists are not interested in behavior and performance at the level of firms, but rather in broader
aggregates-industry or economy wide performance. It reflects, as well, some strong theoretical views held by most
main line economists about what economic activity is all about, and about the role and nature of firms in economic
activity. My argument that discretionary firm differences within an industry exist and do matter significantly is part
and parcel of my broader argument that neoclassical economic theory is badly limited”

Il punto è sempre il solito: innovazione è cambiamento/rottura, questo crea tensione con


qualsiasi teoria che si occupa principalmente di equilibrio in contesti statici (cfr. Slide 1)
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Outline

Questo blocco di slide cercherà di entrare (in parte) dentro la «scatola impresa» e di
indagare alcuni aspetti firm-specific rilevanti per l’innovazione

Nello specifico saranno affrontate le seguenti tematiche:

o Teoria dell’impresa RBV e evolutiva → ruolo centrale dei fattori interni


nell’innovazione

o Perché molte imprese perdono la loro capacità innovativa nel corso del tempo?

o Ci sono modelli organizzativi dell’impresa che possono aiutare nel contrastare


questo probabile meccanismo di perdita di innovatività nel tempo?

o Evidenza empirica su quali sono i fattori che ostacolano maggiormente


l’innovazione delle imprese

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Teoria dell’impresa: resource based view (RBV)

Un’ipotesi centrale della teoria RBV è che le risorse e le competenze sono eterogenee
tra imprese

Questo spiega la presenza di performance diverse tra imprese e, in presenza di risorse e


competenze superiori alle concorrenti, può dar luogo a rilevanti vantaggi competitivi da
cui extra-profitti, espansione di impresa….

La domanda centrale che si pone questa letteratura è capire come può un’impresa
effettivamente ottenere vantaggi competitivi, che durino nel tempo, tramite queste risorse
superiori

Infatti, se le risorse fossero perfettamente mobili ed esistesse un mercato perfetto, tali


risorse sarebbero pagate ad un prezzo maggiore tale da annullare interamente i vantaggi
competitivi!

La RBV cerca di spiegare perché questo generalmente non avviene

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Teoria dell’impresa: resource based view (RBV)

Secondo la RBV due proprietà consentono di difendere nel tempo il vantaggio competitivo:

qImperfetta mobilità delle risorse:


non esiste un vero mercato per le risorse perché esse sono altamente specifiche
all’impresa e dunque non perfettamente mobili: utilizzate in contesti diversi da quelli in
cui sono state create e accumulate perderebbero gran parte del loro valore

qMeccanismi di isolamento:
Una risorsa x utilizzata da una impresa y produce certi risultati Rxy in quanto si trova in
un certo contesto, e può essere molto complesso individuare esattamente nel contesto
ciò che rende particolarmente produttiva x. Si parla in questo caso di ambiguità causale
(cioè sui legami di causa effetto). E’ chiaro che tale ambiguità rappresenta un
meccanismo di isolamento, in quanto impedisce l’imitazione dell’uso di una certa
risorsa da parte dei concorrenti. Altri meccanismi d’isolamento sono costituiti dalla
presenza di conoscenza o di asset complementari

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Teoria dell’impresa: la teoria evolutiva

La teoria evolutiva dell’impresa è legata a quella RBV lungo diverse dimesnioni

Da questo punto di vista, l’approccio evolutivo accetta ed incorpora il concetto di risorse


eterogenee, stressando in maniera ancora più importante il ruolo delle competenze:

«Poche risorse sono produttive da sole. Al contrario, le competenze riguardano la capacità di svolgere attività. Quindi
le risorse sono il requisito per la performance di successo di molte imprese, ma sono le competenze che integrano le
risorse e le usano in applicazioni produttive» (Malerba, 2000)

Entrando maggiormente nel dettaglio, ci sono quattro concetti chiave che definiscono
l’impresa evolutiva:

§ Conoscenza
§ Apprendimento
§ Routines
§ Competenze
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Teoria dell’impresa: la teoria evolutiva

Le imprese si differenziano in quanto possiedono stock di conoscenza, pattern di


apprendimento, routines e competenze diverse

Conoscenza:

Un punto centrale per la teoria evolutiva è la distinzione tra informazione e


conoscenza. Conoscenza ha significato cognitivo: conoscere significa comprendere,
elaborare ed assimilare l’informazione

Questo spiega perché la conoscenza non si diffonde facilmente tra imprese diverse e
perché quindi si possono avere degli importanti e persistenti differenziali tra imprese in
termini di conoscenza

In particolare, la componente tacita della conoscenza gioca un ruolo fondamentale nel


conferire e sostenere nel tempo i vantaggi competitivi delle imprese

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Teoria dell’impresa: la teoria evolutiva

Apprendimento:

L’apprendimento riguarda il processo dinamico attraverso cui le imprese accumulano


conoscenza nel tempo

Le fonti dell’apprendimento possono essere interne o esterne e dirette o indirette: R&S,


learning by doing, «tenersi aggiornati», learning by interacting…
La teoria evolutiva enfatizza una forte eterogeneità nelle capacità di apprendimento
delle imprese: apprendere non è ottenere nuova informazione ma è comprendere la
nuova informazione (conoscenze accumulate e competenze sono fondamentali)

Ad esempio, Cohen e Levinthal (1989) evidenziano come l’investimento delle imprese in


R&S non sia solo una fonte di conoscenza interna, ma aumenti anche le capacità
dell’impresa di assorbire la conoscenza scientifica generata esternamente. R&S avrebbe
due effetti: diretto → aumento conoscenze interne, indiretto → miglioramento capacità
assorbimento delle conoscenze esterne. Imprese che fanno maggiore R&S hanno
maggiori competenze e dunque capacità di apprendere dall’esterno
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Teoria dell’impresa: la teoria evolutiva

Routines:

Le imprese sono dotate di bounded rationality e non hanno perfetta informazione.


Questo spinge le imprese ad agire seguendo delle routines di comportamento, che sono
il risultato cumulativo dell’apprendimento dell’impresa che vive e sopravvive in un
ambiente incerto e in continuo cambiamento
Le routines sono delle risposte inerziali dell’impresa a problemi specifici e complessi.
Non sono vere «scelte», ma sono regole decisionali e procedure ricorrenti in base
alle quali in maniera meccanica e ripetitiva le imprese conducono la propria attività
Le routines rappresentano ciò che l’impresa sa e può fare. Sono quindi un pezzo
fondamentale delle competenze delle imprese: l’impresa può essere vista come una
«architettura di routine»

Le routines possono essere un ostacolo al cambiamento. E’ molto probabile infatti che,


davanti a situazioni nuove, l’impresa scelga di seguire routines consolidate anche
incompatibili con la nuova situazione («la resistenza al nuovo» di Schumepeter)
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Teoria dell’impresa: la teoria evolutiva

Competenze:

Le competenze sono il risultato dei processi di apprendimento e di accumulazione


delle conoscenze da parte delle imprese

Le competenze comprendono modelli, codici di «decodificazione» delle informazioni e


capacità tacite
Sono quella parte di conoscenza che lega ed integra pezzi diversi di conoscenza, sia
tacita che codificata, e consente loro di essere mappati e collegati attraverso codici,
linguaggi e pratiche

Le competenze si trovano alla base della persistente differenza nelle performance


delle imprese in termini di innovatività, competitività e crescita

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Teoria dell’impresa: la teoria evolutiva

Competenze:

Le competenze delle imprese sono il cuore della teoria evolutiva dell’impresa ed


hanno le seguenti rilevanti implicazioni:

q Le imprese possono essere definite in termini di competenze (no scatola vuota)


q Le competenze sono fortemente specifiche alle imprese ad al contesto analizzato
(imitazione delle competenze risulta così molto difficile)
q Forte eterogeneità tra imprese in termini di competenze (no impresa rappresentativa)
q Competenze limitano azioni e decisioni delle imprese (no comportamenti iper-
razionali)
q Competenze definiscono capacità innovative delle imprese: nuovi prodotti e
processi che possono essere introdotti dall’impresa (eterogeneità nelle capacità
innovative)

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I fattori interni: una sintesi

La teoria RBV e la teoria evolutiva ci dicono che esistono rilevanti fattori interni alle imprese
(RBV: risorse; Teoria evolutiva: competenze, conoscenze…) che spiegano differenziali di
performance tra imprese, in generale, e in termini di innovazione

RBV/teoria evolutiva → oltre a fattori esterni, fattori interni sono centrali

Queste teorie non solo evidenziano il ruolo dei fattori interni, ma spiegano perché questi
possono rimanere nel tempo una fonte importante di eterogeneità tra le imprese (RBV:
imperfetta mobilità, meccanismi di isolamento; Teoria evolutiva: componente tacita della
conoscenza e delle competenze, eterogeneità nei meccanismi di apprendimento…):

“The key point, however, is that the properties of internal organization cannot be replicated by a portfolio of
business units amalgamated through formal contracts as the distinctive elements of internal organization simply
cannot be replicated in the market. That is, entrepreneurial activity cannot lead to the immediate replication of
unique organizational skills through simply entering a market and piecing the parts together overnight. Replication
takes time, and the replication of best practice may be illusive. Indeed, firm capabilities need to be understood not in
terms of balance sheet items, but mainly in terms of the organizational structures and managerial processes which
support productive activity” (Teece e Pisano, 1994)
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I fattori interni: una sintesi

Questo aspetto, volendo, è quello maggiormente dirompente: riconoscere esistenza di


eterogeneità è «relativamente facile»; capire perché questa eterogeneità non è un fatto
temporaneo, che si estingue in un ipotetico processo verso l’equilibrio, è più complesso

L’aspetto debole di quanto visto è che non ci dice molto sulle «cause prime» alla base di
questa eterogeneità tra imprese in termini di risorse e competenze

Ad esempio, perché, dati gli stessi fattori esterni, alcune imprese investono di più in R&S?

Lasciamo anche noi questa ed altre domande senza riposta. Quello che faremo invece, in
primo luogo, è cercare di indagare perché per le imprese innovative può essere difficile
rimanere tali nel tempo, un aspetto evidenziato dallo stesso Schumpeter:

«Altre imprese muoiono di morte naturale. La causa naturale per le imprese è precisamente lo loro incapacità di
tenere il passo con l’innovazione, che esse stesse avevano contribuito a creare nel loro periodo di maggiore
vitalità»

Economia dell'innovazione 2021/2022 - Marco Amendola


Perché può essere difficile rimanere innovativi nel tempo?

La domanda che ci poniamo è: data (e non veramente spiegata) un’impresa innovativa,


quali fattori possono rendere complicato rimanere innovativi nel tempo?

Tra tanti, ne vedremo 5:

§ Trappola della competenze


§ Trade-off tra exploration and exploitation
§ Innovazioni distruttrici di competenze
§ Lock-in tecnologici dovuti a domanda
§ Disruptive technologies

N.B.: i meccanismi alla base di ognuno di essi sono spesso simili. Ognuno di questi fattori
ha però caratteristiche peculiari che suggeriscono di trattarli in maniera distinta

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Trappola delle competenze

Leonard-Barton (1992) evidenzia come le competenze abbiano una dimensione inerziale


e come questo possa generare quella che viene definita trappola delle competenze

Sostanzialmente, gli innovatori di successo rischiano di restare bloccati sulle tecnologie


che li hanno portati al successo, non percependo così le nuove opportunità tecnologiche
che vengono colte invece da altre imprese

Apprendendo ed accumulando conoscenze, le imprese sviluppano le proprie competenze


distintive e si specializzano. Questo processo è alla base del successo delle imprese ma,
contemporaneamente, può essere la base del futuro fallimento

Competenze elevate possono infatti diventare rigidità elevate se l’impresa cade nella
trappola delle competenze. Questo è il paradosso evidenziato da Leonard-Barton (1992):

“traditional core capabilities have a down side that inhibits innovation, here called core rigidities. Managers of new
product and process development projects thus face a paradox: how to take advantage of core capabilities without
being hampered by their dysfunctional flip side”
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Trappola delle competenze

Per core capabilities Leonard-Barton (1992) intende quelle competenze/capacità


fondamentali di un’impresa e che la rendono diversa dalle altre:

“Capabilities are considered core if they differentiate a company strategically… [Core capabilities are ] a set of
differentiated skills, complementary assets, and routines that provide the basis for a firm's competitive capacities and
sustainable advantage in a particular business”

Sostanzialmente, core capabilities = fonte del vantaggio competitivo

Ma core capabilities possono diventare core rigidities = fonte del possibile fallimento

Messaggio centrale: quando si ha successo in un mercato per molto tempo, spesso si inizia
a credere che la propria visione del successo sia la stessa di quella del mercato. Il ciclo di
successo interno può così rendere l’impresa cieca ai cambiamenti nell'ambiente
competitivo, cambiamenti che sono invece evidenti e colti dalle imprese meno vincenti in
quel momento. Questo può erodere nel tempo il vantaggio competitivo dell’impresa ed
essere la fonte del suo futuro insuccesso
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Exploration vs exploitation

Un meccanismo in parte simile a precedente è rappresentato dal trade-off che si trovano di


fronte le imprese tra exploit (sfruttare strade note) ed explore (ricercare strade nuove)

Come evidenziato da March (1991), nel lungo periodo, il successo richiede un


bilanciamento tra exploration and exploitation

Tuttavia, la gran parte delle imprese che si trovano da diverso tempo sul mercato e che
hanno avuto una performance soddisfacente rischiano di concentrarsi in maniera
eccessiva nella componente exploitation, ovvero nello sfruttamento di strade e
tecnologie note

Questo è dovuto al fatto che la specializzazione e l’esperienza accumulata dell’impresa


aumenta la sua «produttività relativa» nell’exploitation rispetto all’exploration

E’ quindi particolarmente difficile per le imprese di successo trovare il giusto bilanciamento


tra le due attività: la dinamica esplorativa tende ad essere sopravanzata dallo sfruttamento
di traiettorie in cui le imprese hanno maturato considerevole esperienza
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Exploration vs exploitation

Più nel dettaglio, seguendo March (1991) possiamo definire le due attività come:

“The essence of exploitation is the refinement and extension of existing competences, technologies, and paradigms.
Its returns are positive, proximate, and predictable. The essence of exploration is experimentation with new
alternatives. Its returns are uncertain, distant, and often negative. Thus, the distance in time and space between the
locus of learning and the locus for the realization of returns is generally greater in the case of exploration than in the
case of exploitation, as is the uncertainty”

Entrambe le attività sono fondamentali ma, competendo per risorse scarse, esiste un trade-
off tra le due:

“Both exploration and exploitation are essential for organizations, but they compete for scarce resources. As a
result, organizations make explicit and implicit choices between the two. The explicit choices are found in calculated
decisions about alternative investments and competitive strategies. The implicit choices are buried in many features of
organizational forms and customs, for example, in organizational procedures for accumulating and reducing slack, in
search rules and practices, in the ways in which targets are set and changed, and in incentive systems…

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Exploration vs exploitation

L’esperienza (competenze accumulate) spinge le imprese a concentrarsi maggiormente su


exploit. Questo può portare al fallimento nel lungo periodo:

“Each increase in competence at an activity increases the likelihood of rewards for engaging in that activity,
thereby further increasing the competence and the likelihood…Reason inhibits foolishness; learning and imitation
inhibit experimentation. This is not an accident but is a consequence of the temporal and spatial proximity of the
effects of exploitation, as well as their precision and interconnectedness. Since performance is a joint function of
potential return from an activity and present competence of an organization at it, organizations exhibit increasing
returns to experience (Arthur 1984). Positive local feedback produces strong path dependence (David 1990) and can
lead to suboptimal equilibria. It is quite possible for competence in an inferior activity to become great enough to
exclude superior activities with which an organization has little experience (Herriott, Levinthal, and March 1985).
Since long-run intelligence depends on sustaining a reasonable level of exploration, these tendencies to increase
exploitation and reduce exploration make adaptive processes potentially self-destructive”

“Compared to returns from exploitation, returns from exploration are systematically less certain, more remote in time,
and organizationally more distant from the locus of action and adaption. What is good in the long run is not always
good in the short run. What is good at a particular historical moment is not always good at another time. What is
good for one part of an organization is not always good for another part”

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Exploration vs exploitation

Il video seguente esprime in maniera estremamente chiara ed illuminate come il


concentrarsi su exploit sia una delle principali cause di fallimento delle imprese nel lungo
periodo

A tale aspetto, ne aggiunge un secondo interessante: alcune imprese non hanno successo
o falliscono perché, al contrario di quanto detto, si focalizzano troppo sulla componente
explore e molto poco sulla componente exploit

Il segreto del successo è nel mezzo: serve il giusto equilibrio tra il cogliere i frutti dei propri
sforzi (exploit) e il cercare nuove strade da cui cogliere i possibili frutti del futuro (explore)

Link al video: https://www.youtube.com/watch?v=XVXmYD0UPRQ

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Innovazioni distruttrici di competenze

Le innovazioni le abbiamo classificate in base a: oggetto (prodotto, processo…) e grado e


tipo di novità (incrementali vs radicali, new to me vs new to the market..)

Un’ulteriore distinzione, particolarmente rilevante a livello di singola impresa, è quella tra


innovazione rafforzatrice di competenze ed innovazione distruttrice di competenze. Nello
specifico:

§ Innovazione distruttrice di competenze:


si parla di innovazione competence-destroying se il nuovo contesto tecnologico in cui
l’innovazione matura richiede nuove competenze, conoscenze e procedure e dunque
rende obsolete le conoscenze, competenze e procedure precedentemente utilizzate

§ Innovazione rafforzatrice di competenze:


si parla di innovazione competence-enhancing, al contrario, se le competenze,
conoscenze, e procedure utilizzate sino a quel momento continuano ad essere un
asset importante per innovare
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Innovazioni distruttrici di competenze

L’innovazione di tipo competence-enhancing non crea grossi problemi alle imprese


innovative di successo, ma anzi tende ad avvantaggiarle (iPhone 13 da iPhone 12)

Queste imprese, infatti, possono continuare ad innovare sfruttando le competenze e


conoscenze accumulate, sostenendo ed allargando così il loro vantaggio competitivo

Al contrario, le imprese innovative già insediate sul mercato sono messe a dura prova nel
caso di innovazioni competence-destroying (fotografia digitale da fotografia analogica)

In questo caso, infatti, le competenze accumulate non risultano così utili nel nuovo contesto
tecnologico. Nuovi entranti possono essere maggiormente veloci nel cogliere le nuove
opportunità tecnologiche e fare fuori le imprese insediate

Innovazione competence-enanching → le imprese insediate sono favorite; innovazione


competence-destroying → le potenziali entranti sono favorite (esempio è il fallimento di
Polaroid nel mercato della fotografia, con il passaggio da analogica a digitale)

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Innov. distruttrici di competenze: innovazione architetturale

Secondo Henderson e Clark (1990), le innovazioni distruttrici di competenze sono spesso


legate ad innovazioni riguardanti l’architettura di un prodotto: innovazione architetturale

Tali autori notano che le tecnologie fondamentali su cui sono costruiti i prodotti sono spesso
contenute nei componenti usati (circuiti integrati, motori a combustione…). L’architettura di
un prodotto definisce le relazioni e pattern attraverso cui i componenti interagiscono

Innovazione architetturale: innovazione che modifica le relazioni e la gerarchia tra le


componenti senza modificare in maniera sostanziale le tecnologie incluse nei componenti

Esempio: si passa da auto a trazione anteriore ad auto a trazione posteriore. Le tecnologie


incluse nei componenti sono simili, ma i componenti interagiscono entro l’architettura
dell’auto in modi diverso

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Innov. distruttrici di competenze: innovazione architetturale

Secondo Henderson e Clark (1990), le innovazioni di prodotto possono essere classificate


in quattro tipologie, in base al grado di novità nelle singole componenti e nell’architettura
generale in:

Esempio innovazione architetturale:


modifica trazione auto
Esempio innovazione modulare:
introduzione freni ABS
Esempio innovazione radicale:
auto a guida autonoma (se cambiano
componenti ed architettura)

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Innov. distruttrici di competenze: innovazione architetturale

Per quanto riguarda le competenze, secondo gli autori, le innovazioni architetturali


distruggono le competenze e dunque sono le innovazioni maggiormente complesse da
gestire per le imprese innovative insediate nel mercato:

“This paper demonstrates that the traditional categorization of innovation as either incremental or radical is
incomplete and potentially misleading and does not account for the sometimes disastrous effects on industry
incumbents of seemingly minor improvements in technological products. We examine such innovations more closely
and, distinguishing between the components of a product and the ways they are integrated into the system that is the
product architecture, define them as innovations that change the architecture of a product without changing its
components. We show that architectural innovations destroy the usefulness of the architectural knowledge of
established firms, and that since architectural knowledge tends to become embedded in the structure and
information-processing procedures of established organizations, this destruction is difficult for firms to recognize
and hard to correct. Architectural innovation therefore presents established organizations with subtle challenges that
may have significant competitive implications” (Henderson e Clark, 1990)

Innovazione architetturale → innovazione competence-destroyng

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Innov. distruttrici di competenze: innovazione architetturale

Questo perché le imprese sono generalmente portate ad innovare i prodotti lungo


architetture stabili e meno ad innovare le architetture stesse:

“Given the evolutionary character of development and the prevalence of dominant designs, there appears to be a
tendency for active learning among engineers to focus on improvements in performance within a stable product
architecture. In this context, learning means learning about components and the core concepts that underlie them.
Given the way knowledge tends to be organized within the firm, learning about changes in the architecture of the
product is unlikely to occur naturally. Learning about changes in architecture-about new interactions across
components (and often across functional boundaries) may therefore require explicit management and attention. But
it may also be that learning about new architectures requires a different kind of organization and people with
different skills. An organization that is structured to learn quickly and effectively about new component technology
may be ineffective in learning about changes in product architecture” (Henderson e Clark, 1990)

Per una migliore intuizione dei meccanismi alla base di questa conclusione cfr. «Economia dell’innovazione» Cap. 6, nota 8

Infine, secondo gli autori, le uniche innovazioni di prodotto ad essere competence-


enanching sarebbero le innovazioni incrementali

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Lock-in tecnologici da domanda

Gli acquirenti utilizzatori possono stimolare l’innovazione dell’impresa produttrice


generando meccanismi di learning by interacting

Allo stesso tempo, però, la domanda proveniente dagli utilizzatori può aumentare l’inerzia
tecnologica delle imprese: imprese rischiano di non rendersi conto della presenza di
nuove opportunità di mercato

Intuizione: avere una domanda stabile nel tempo consente alle imprese di vendere il loro
prodotto senza problemi. Tuttavia, proprio questi continui feedback positivi provenienti dai
propri clienti possono rendere l’impresa meno pronta ad assorbire e percepire le nuove
opportunità tecnologiche

Un esempio classico è quello del mercato degli hard disk, dove molte imprese che
producevano hard disk per mainframe sono rimaste bloccate su questa tecnologia in larga
parte a causa della domanda proveniente dai loro clienti che erano imprese produttrici di
mainframe

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Lock-in tecnologici da domanda

Se questo ha garantito la profittabilità di breve periodo di queste imprese, consentendole di


continuare a vendere i loro prodotti, allo stesso tempo questo le ha portate a non accorgersi
e/o interessarsi allo sviluppo del mercato degli hard disk di dimensioni inferiori, in quanto i
loro clienti, tenendo alta la domanda dei dischi per mainframe, hanno reso tali imprese
maggiormente inerziali

Nel lungo periodo, quando gli hard disk di dimensioni minori sono diventati la tecnologia
dominante, molte di queste imprese sono fallite

Messaggio: la domanda degli utilizzatori può portare le imprese ad insistere su una


tecnologia inferiore ed obsoleta (lock-in tecnologico) in quanto i feedback del mercato
possono dare all’impresa l’illusione di «avere il mercato sotto controllo»

Un forte legame impresa-utilizzatori è positivo nel breve periodo (riesco a vendere il mio
prodotto e ottengo importanti feedback) ma può essere pericoloso nel lungo periodo se
questo aumenta l’inerzia dell’impresa

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Disruptive technologies

In parte legato al meccanismo precedente, è il caso delle disruptive technologies


introdotto per la prima volta da Clayton M. Christensen alla metà degli anni 90

Questa idea ha ricevuto grande attenzione dal mondo accademico ed imprenditoriale, tanto
da essere stata definita «l’idea imprenditoriale» più influente degli ultimi anni:

“The most influential business idea of recent years is Clayton Christensen’s theory of disruptive innovation” (The
Economist, 2017)

Come enunciato nel suo libro «The Innovator’s Dilemma: When New Technologies Cause
Great Firms to Fail» del 1997, Christensen vede nel concetto di disruptive technology una
possibile spiegazione del perché imprese di grande successo possono fallire nel tempo:

“This book is about the failure of companies to stay atop their industries when they confront certain types of market
and technological change. It’s not about the failure of simply any company, but of good companies—the kinds that
many managers have admired and tried to emulate, the companies known for their abilities to innovate and
execute”

Economia dell'innovazione 2021/2022 - Marco Amendola


Disruptive technologies

“the list of leading companies that failed when confronted with disruptive changes in technology and market structure
is a long one... One theme common to all of these failures, however, is that the decisions that led to failure were made
when the leaders in question were widely regarded as among the best companies in the world”

Il fallimento dovuto a DT è tutt’altro che intuitivo, infatti Christensen (C.) suggerisce che
esso non è il frutto di «cattive» strategie d’impresa ma, al contrario, è dovuto esattamente a
delle «buone» procedure di management e gestione dell’impresa, dove per buone si
intendono pratiche largamente considerate tali dalla teoria:

“It shows that in the cases of well-managed firms such as those cited above, good management was the most
powerful reason they failed to stay atop their industries. Precisely because these firms listened to their customers,
invested aggressively in new technologies that would provide their customers more and better products of the sort
they wanted, and because they carefully studied market trends and systematically allocated investment capital to
innovations that promised the best returns, they lost their positions of leadership”

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Disruptive technologies

In presenza di DT, tuttavia, queste pratiche andrebbero riviste e, in parte, sovvertite. Nello
specifico:

“What this implies at a deeper level is that many of what are now widely accepted principles of good management
are, in fact, only situationally appropriate. There are times at which it is right not to listen to customers, right to
invest in developing lower-performance products that promise lower margins, and right to aggressively pursue
small, rather than substantial, markets”

Queste regole, in parte contro-intuitive, sono fondamentali secondo C. in presenza di DT


per evitare il fallimento dell’impresa ne lungo periodo:

“These rules, which I call principles of disruptive innovation, show that when good companies fail, it often has been
because their managers either ignored these principles or chose to fight them. Managers can be extraordinarily
effective in managing even the most difficult innovations if they work to understand and harness the principles of
disruptive innovation”

Economia dell'innovazione 2021/2022 - Marco Amendola


Disruptive technologies

Ok…ma cosa sono queste disruptive technologies/innovations?

Secondo C., le innovazioni si possono distinguere in 2 categorie:

o Sustaining innovation
o Disruptive innovation

La maggior parte delle innovazioni è di tipo sustaining

La caratteristica di questa tipologia di innovazioni è quella di migliorare la performance di


un prodotto lungo dimensioni consolidate ovvero quelle dimensioni considerate
maggiormente rilevanti dalla gran parte del mercato:

“Most are sustaining innovations, which improve products and services along dimensions of performance that
mainstream customers care about and that markets have historically valued” (Christensen et al., 2018)

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Disruptive technologies

Le innovazioni sustaining possono essere incrementali o radicali (sustaining non è altro


modo di dire incrementale!)

Queste innovazioni, inoltre, avvantaggiano le imprese presenti sul mercato, consentendole


di mantenere alte nel tempo le vendite ed i profitti derivanti dai loro prodotti/servizi, infatti:

“sustaining innovations enable incumbents to sell more products to their best existing customers at higher margins
and higher profitability” (Christensen et al., 2018)

Raramente, quindi, le innovazioni sustaining sono state alla base del fallimento di imprese
innovative insediate sul mercato:

“An important finding revealed in this book is that rarely have even the most radically difficult sustaining
technologies precipitated the failure of leading firms” (Christensen, 1997)

Esempio di innovazione radicale sustaining: il passaggio da segnale digitale a segnale analogico nelle
telecomunicazioni
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Disruptive technologies

Al contrario, una caratteristica fondamentale delle innovazioni disruptive è l’essere


inferiore rispetto ai prodotti diffusi sul mercato lungo una o più dimensioni ritenute
fondamentali dal mercato

Allo stesso tempo, però, queste innovazioni migliorano o introducono altre


«caratteristiche secondarie» del prodotto, ritenute importanti da una piccola fetta di
mercato (generalmente quella più bassa)

Più nello specifico le innovazioni di tipo disrputive possono essere definite come:

“The rarer type is a disruptive innovation. When initially introduced, disruptive innovations are inferior to incumbent
products on accepted performance dimensions, but they offer a novel mix of attributes that appeals to fringe
customer groups, notably those near the bottom of the market. They may be, for instance, smaller, cheaper, more
accessible, or more convenient” (Christensen et al., 2018)

Esempi classici: passaggio da Mainframe a PC [PC meno potenti ma più piccoli ed economici]; da
Harley-Davidson a moto Honda, Yamaha e Kawasaky [più piccole, meno potenti e più economiche]

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Disruptive technologies

Quando una tecnologia disruptive può essere alla base del fallimento delle imprese
innovative insediate sul mercato?

Secondo C., ci sono due meccanismi che devono essere presenti:

1) La tecnologia deve crescere più rapidamente di quanto crescano i bisogni dei


clienti

2) Le imprese insediate seguono delle pratiche di «gestione ottimale» dell’impresa,


in particolare: cercano di investire nei progetti con profittabilità più alta e danno ascolto
ai loro clienti principali per capire i bisogni del mercato

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Disruptive technologies

La prima condizione fondamentale individuata da C. è che il tasso di progresso tecnologico


di quella tecnologia cresca più velocemente rispetto a quanto non facciano i bisogni
(esigenze) dei clienti del mercato:

crescita tecnologia > crescita bisogni clienti

Secondo C. questa dinamica avviene molto spesso nei mercati

Nel medio-lungo periodo, questo porta ad una situazione in cui i prodotti offerti sul mercato
hanno una performance superiore rispetto a quella richiesta dalla grandissima parte dei
clienti:

“in many industries, the pace of technological progress outstrips customers’ demand for higher-performing
technologies. As a result, incumbents can overserve the market by producing more advanced, feature-rich products
than customers need” (Christensen et al., 2018)

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Disruptive technologies

Allo stesso tempo, questo vuol dire che la DT può recuperare nel tempo il gap di
performance rispetto alla tecnologia incumbment nelle dimensioni considerate rilevanti dal
mercato, arrivando cosi a soddisfare i bisogni di gran parte del mercato lungo queste
dimensioni:

“the observation that technologies can progress faster than market demand means that in their efforts to provide
better products than their competitors and earn higher prices and margins, suppliers often “overshoot” their market:
They give customers more than they need or ultimately are willing to pay for. And more importantly, it means that
disruptive technologies that may underperform today, relative to what users in the market demand, may be fully
performance-competitive in that same market tomorrow…

Many who once needed mainframe computers for their data processing requirements, for example, no longer need or
buy mainframes. Mainframe performance has surpassed the requirements of many original customers, who today
find that much of what they need to do can be done on desktop machines linked to file servers. In other words, the
needs of many computer users have increased more slowly than the rate of improvement provided by computer
designers. Similarly, many shoppers who in 1965 felt they had to shop at department stores to be assured of quality
and selection now satisfy those needs quite well at Target and Wal-Mart” (Christensen, 1997)

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Disruptive technologies

Notazione:
ST: tecnologia incumbment che migliora
nel tempo (sustaining)
DT: tecnologia disruptive
Il grafico mostra:
1) Crescita performance nel tempo di ST e
DT, lungo una dimensione tecnologica
apprezzata dal mercato
2) Crescita nel tempo bisogni fascia alta e
bassa del mercato
3) Tecnologia DT e ST che crescono più
velocemente di bisogni
4) Tecnologia DT che nel tempo arriva a
soddisfare anche fascia alta del mercato

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Disruptive technologies

Se uniamo questo meccanismo di recupero di performance al fatto che le DT hanno nuove


qualità che le tecnologie incumbent non hanno: è chiaro che nel tempo le DT
conquisteranno praticamente l’intero mercato

La domanda allora è: ma se è così, perché le imprese insediate non investono loro stesse
nelle DT?

Qui entra il secondo meccanismo individuato da C., ovvero il fatto che le imprese insediate
per investire in DT devono:

q accettare di ridurre la loro profittabilità, almeno nel breve-medio periodo

q essere in grado di capire i vantaggi di lungo periodo della DT, avendo come principali
feedback di mercato quelli provenienti da clienti che non adottano tale tecnologia

q avendo meno fondi per migliorare la tecnologia incumbent, essere meno in grado di
soddisfare i loro clienti storici
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Disruptive technologies

Inoltre, a volte il tasso di crescita delle tecnologie DT può essere molto lento all’inizio,
rendendo ancora più difficile percepire le opportunità future:

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Disruptive technologies

Tutti questi meccanismi ostacolano le imprese insediate nell’investire in DT

Al contrario, i nuovi entranti o le imprese meno di successo non avendo grandi clienti storici
e/o tassi di profitto particolarmente elevati sono più disposte ad entrare in questi mercati:

“existing customers and established profit models constrain established firms’ investments in new innovations; thus,
investments unattractive to incumbents may be attractive to entrants who lack many (or any) customers and enjoy
fewer competing investment opportunities. Consequently, incumbents are typically unmotivated to develop
disruptive innovations that promise lower margins, target smaller markets, and introduce inferior products and
services that their existing customers cannot use” (Christensen et al., 2018)

Quando le imprese insediate si accorgono davvero della minaccia e delle opportunità delle
DT può ormai essere troppo tardi: le DT possono far fallire imprese molto innovative

Link DT spiegate da C.: https://www.youtube.com/watch?v=WxwR_TTuKdc

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Disruptive technologies, caso studio: mercato hard disk

Caso principale usato dal C. per sviluppare la sua teoria

Anni 70: pioniere nell’industria è IBM, che produce i primi dischi rigidi per i propri bisogni

Negli stessi anni, emergono altri produttori che a metà degli anni ’80 arrivano a conquistare
i due terzi del mercato

Tutti questi dischi sono di 14 pollici ed hanno capacità di circa 170 Mb

I clienti acquirenti sono le imprese che producono mainframe

Alla fine anni Settanta si afferma una seconda architettura, da 8 pollici, con capacità dei
dischi rigidi da 10 a 40 Mb

Dischi da 8 pollici hanno caratteristiche da DT: performance lungo dimensione memoria


inferiore a dischi da 14. Miglioramento però nella dimensione grandezza: sono più piccoli
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Disruptive technologies, caso studio: mercato hard disk

Questi dischi da 8 pollici soddisfano la domanda di una fetta di mercato ancora marginale,
quella dei microcomputer dove la minore dimensione è rilevante

Imprese che producono dischi da 8 servono clienti diversi (minicomputer) rispetto ad


imprese che producono dischi da 14 (mainframe)

Tuttavia, succede una seconda dinamica: le capacità di memoria dei dischi crescono
molto più rapidamente di quanto sia richiesto nel mercato dei minicomputer e
soprattutto dei mainframe

In poco tempo, dischi da 8 pollici hanno una memoria più che sufficiente a soddisfare
domanda proveniente da mainframe. In più sono più piccoli e leggeri

Risultato: imprese che producono dischi da 14 pollici falliscono in poco tempo. Imprese che
producono dischi da 8 conquistano mercato dei clienti mainframe

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Disruptive technologies, caso studio: mercato hard disk

La storia non si ferma qui…

Nel 1980, la Seagate Technology introduce la successiva generazione architetturale, a


5,25”pollici, con capacità compresa tra 5 a 10 Mb

E’ presto seguita da nuovi entranti (Miniscribe, Computer Memories ecc.)

Questa tecnologia è inizialmente indirizzata ad una nuova nicchia di clienti, gli utilizzatori di
desktop personal computer

Imprese che producono dischi da 5,25 servono clienti diversi (desktop personal computer)
rispetto a quelli da 8 (minicomputer e mainframe)

Ma…

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Disruptive technologies, caso studio: mercato hard disk

Le capacità di memoria dei dischi crescono in maniera estremamente più rapida dei bisogni
dei clienti

Nel giro di poco tempo la memoria dei dischi da 5,25 è più che sufficiente a soddisfare la
richiesta dei clienti dei minicomputer, avendo come vantaggio una dimensione minore

Il mercato dei dischi rigidi per minicomputer viene conquistato dalle imprese che producono
dischi da 5,25 a discapito delle imprese che producono dischi da 8

La storia si ripete con i dischi da 3,5 e la nascita dei personal computer…

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Disruptive technologies, caso studio: mercato hard disk

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Disruptive technologies, caso studio: mercato hard disk

Alcune osservazioni:

Il passaggio dal produrre dischi più grandi al produrre dischi più piccoli non era
particolarmente complesso dal punto di vista tecnologico

Non è stato quindi un motivo tecnologico alla base del fatto che le imprese insediate non si
sono messe a produrre i dischi di dimensioni inferiori

Il motivo è: i dischi più piccoli erano meno performanti (lungo la dimensione memoria) e non
in grado di soddisfare i bisogni dei clienti del mercato di riferimento delle imprese insediate

La scarsa dimensione veniva apprezzata in altri mercati, lontani da quelli delle imprese
insediate e di più piccole dimensioni

Nella storia di quest’industria ciò che è mancato agli insediati è stata la capacità di
volgere l’attenzione verso il basso
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Disruptive technologies, caso studio: auto elettrica

Particolarmente interessante è il caso studio riportato da C. nelle parti finali del suo libro del
1997

In particolare, C. si chiede se l’auto elettrica possa essere una DT:

“How much do we need to worry about electric cars? That is, aside from California’s mandate, does the electric car
pose a legitimate disruptive threat to companies making gasoline-powered automobiles? Does it constitute an
opportunity for profitable growth?”

Come fare per capirlo? Confrontare il tasso di crescita delle dimensioni tecnologiche
dell’auto elettrica con il tasso di crescita dei bisogni degli utenti (automobilisti) lungo le
dimensioni ritenute fondamentali dal mercato:

“To answer these questions, I would graph the trajectories of performance improvement demanded in the market
versus the performance improvement supplied by the technology; in other words, I would create for electric vehicles a
trajectory map. Such charts are the best method I know for identifying disruptive technologies”

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Disruptive technologies, caso studio: auto elettrica

Quali dimensioni? Secondo C. alcune dimensioni tecnologiche fondamentali per il mercato


automobilistico sono:

• Autonomia richiesta (quanti KM prima di dover fare rifornimento?)


• Accelerazione (quanto tempo per passare da 0 a 100?)

Secondo C., nel 1997 l’autonomia richiesta dal mercato è di circa 150 miglia, mentre il
tempo richiesto per passare da 0 a 100 è di meno di 10 secondi

Nel 1997: auto non elettrica soddisfa perfettamente queste performance; al contrario, auto
elettrica non rispetta tale performance: autonomia è meno della metà (circa 50-80 miglia);
accelerazione è troppo debole (circa 20 secondi)

Investire nel 1997 nell’auto elettrica per imprese automobilistiche di successo sarebbe
molto rischioso ed in parte senza senso: chi compra auto elettrica se ha performance molto
inferiori rispetto a quelle richieste dal mercato?

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Disruptive technologies, caso studio: auto elettrica

Tuttavia, C. nota un secondo aspetto, queste dimensioni tecnologiche nel caso dell’auto
elettrica stanno crescendo ad tasso superiore rispetto al tasso di crescita dei bisogni dei
clienti lungo queste dimensioni (praticamente nullo secondo C.)

Questo fa si che l’auto elettrica molto probabilmente raggiungerà gli standard richiesti dal
mercato, diventando prima o poi competitiva rispetto all’auto a combustione:

“Figure 10.1 shows that the trajectories of performance improvement demanded in the market—whether measured
in terms of required acceleration, cruising range, or top cruising speed—are relatively flat. This is because traffic laws
impose a limit on the usefulness of ever-more-powerful cars, and demographic, economic, and geographic
considerations limit the increase in commuting miles for the avethe performance of electric vehicles is improving at a
faster rate—between 2 and 4 percent per year—suggesting that sustaining technological advances might indeed
carry electric rage driver to less than 1 percent per year. At the same time, vehicles from their position today, where
they cannot compete in mainstream markets, to a position in the future where they might”

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Disruptive technologies, caso studio: auto elettrica

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Disruptive technologies, caso studio: auto elettrica

Una volta raggiunti gli standard richiesti dal mercato nelle dimensioni tecnologiche ritenute
fondamentali dal mercato, altre caratteristiche come il minor inquinamento potrebbero
consentire ai produttori di auto elettriche di buttare fuori dal mercato i produttori di auto a
combustione….:

“In other words, as an automotive company executive, I would worry about the electric vehicle, not just because it is
politically correct to be investing in environmentally friendly technologies, but because electric vehicles have the smell
of a disruptive technology. They can’t be used in mainstream markets; they offer a set of attributes that is orthogonal
to those that command attention in the gasoline-powered value network; and the technology is moving ahead at a
faster rate than the market’s trajectory of need. Because electric vehicles are not sustaining innovations, however,
mainstream automakers naturally doubt that there is a market for them—another symptom of a disruptive
innovation”

In altri termini, C., nel 1997, vede nell’auto elettrica una probabile innovazione DT del futuro
prossimo…

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Organizzazione ed inerzia dell’impresa

Questi 5 meccanismi, insieme ad altri meccanismi non considerati, spiegano perché le


imprese inizialmente molto innovative possano diventare sempre meno innovative nel corso
tempo, ed esporsi così al rischio di fallimento nel lungo periodo

Molti dei meccanismi evidenziati mostrano sostanzialmente come e perché le imprese


tendono in genere ad assumere comportamenti inerziali nel corso del tempo

Una parte della letteratura si è allora chiesta se esiste una relazione tra il design
organizzativo di un’impresa ed il suo grado di inerzia di lungo periodo

La domanda è: ci sono forme organizzative in grado di diminuire il rischio di inerzia?

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Organizzazione ed inerzia dell’impresa

Una prima scelta fondamentale che deve compiere l’impresa, e rilevante da questo punto di
vista, è il grado di bilanciamento tra decentramento e centralizzazione delle decisioni

Il decentramento permette una maggiore varietà interna consentendo una maggiore


diversificazione nei processi di apprendimento, sviluppo di nuove conoscenze e
sperimentazione interni all’impresa

Allo stesso però, un eccessivo decentramento può rendere complicato lo scambio di


conoscenze tra le diverse parti dell’impresa. Questo può rendere l’impresa meno efficiente
nello sfruttare la conoscenza accumulata

Avere un buon grado di decentramento sembra quindi utile per combattere l’inerzia

Tuttavia, questi vantaggi dinamici possono essere ottenuti a discapito, in parte,


dell’efficienza dell’impresa

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Organizzazione ed inerzia dell’impresa

Anche in questo caso, quindi, un punto di equilibrio deve essere trovato:

«Le imprese con elevata performance nel lungo periodo sono in grado di mantenere un equilibrio tra queste
due modalità organizzative» (Malerba, 2000)

Il giusto equilibrio può dipendere dal contesto tecnologico specifico in cui opera l’impresa

Alcuni casi concreti di studio sono stati il confronto tra impresa U-form ed impresa M-form

Esempio: secondo alcuni autori, impresa U-form si è dimostrata inadeguata in situazioni di crescente
differenziazione di prodotto e complessità. Impresa M-form, al contrario, decentrando produzione e
sviluppo dei prodotti innovativi alle divisioni, e mantenendo centralizzate le decisioni strategiche e di
R&S, sarebbe più adatta a sopravvivere in queste situazioni. Anche questa forma organizzativa è
comunque entrata in crisi con la sempre maggiore diffusione di innovazioni multiprodotto

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Organizzazione ed inerzia dell’impresa

Un secondo aspetto, fortemente collegato al precedente, riguarda il tipo di legame che si


crea tra le diversi unità (parti) di un’impresa

Legami deboli si hanno quanto l’interazione tra le diverse unità è infrequente o poco
rilevante. Legami forti, al contrario, si hanno quando l’interazione è molto frequente e
rilevante per le decisioni delle singole unità

Legami deboli aumentano l’indipendenza delle singole parti, consentendo una maggiore
varietà interna all’impresa e una minore inerzia

Legami forti consentono una migliore e più rapida diffusione ed utilizzo della
conoscenza dell’impresa ma rischiano di aumentare l’inerzia complessiva della stessa

Il trade-off è praticamente analogo a quello precedente: legami deboli facilitano


l’esplorazione di nuova conoscenza (explore) ma ne inibiscono in parte il suo sfruttamento
(exploit). Legami forti facilitano lo sfruttamento della conoscenza ma rendono l’impresa più
inerziale nel tempo
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Organizzazione ed inerzia dell’impresa

Un terzo aspetto da considerare riguarda la discrezionalità e flessibilità delle regole


amministrative interne all’impresa

Qui il caso studio Intel è particolarmente interessante

Intel nasce alla fine degli anni 60 come impresa che produce memorie per computer
(DRAM), registrando profitti e tassi di crescita giganteschi per circa due decenni

L’attività di Intel era centrata sulle memorie, ma aveva anche altre unità più piccole e
marginali che producevano e sperimentavano microprocessori

Quando nel tempo le opportunità di profitto si spostarono a favore dei microprocessori, Intel
non mostrò alcuna inerzia/rigidità nello spostarsi maggiormente verso questa produzione

Come mai?

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Organizzazione ed inerzia dell’impresa

Secondo Burgelman (1991) ciò dipese dal fatto che le regole interne di Intel indirizzavano
in maniera automatica i fondi verso le direzioni che promettevano maggiori ritorni

Queste regole, in qualche modo, consentivano di aggirare eventuali inerzie organizzative


interne legate a gruppi di potere e influenza consolidati dentro l’impresa:

“The paper proposes that consistently successful organizations are characterized by top managements who spend
efforts on building the induced and autonomous strategic processes, as well as concerning themselves with the
content of strategy; that such organizations simultaneously exercise induced and autonomous processes; and that
successful reorientations in organizations are likely to have been preceded by internal experimentation and selection
processes effected through the autonomous process” (Burgelman, 1991)

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Alcuni dati empirici: imprese più innovative al mondo

Link indagine BCG: https://www.bcg.com/publications/most-innovative-companies-historical-rankings


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Alcuni dati empirici: ostacoli ad innovazione

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Alcuni dati empirici: ostacoli ad innovazione

Economia dell'innovazione 2021/2022 - Marco Amendola


Alcuni dati empirici: ostacoli ad innovazione

Economia dell'innovazione 2021/2022 - Marco Amendola


Alcuni dati empirici: ostacoli ad innovazione

Fonte Istat (CIS): http://dati.istat.it/#


(Imprese -> Innovazione nelle imprese con almeno 10 addetti -> Fattori che hanno scoraggiato attività di innovazione e classe di addetti)

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Alcuni dati empirici: ostacoli ad innovazione

Economia dell'innovazione 2021/2022 - Marco Amendola


Alcuni dati empirici: ostacoli ad innovazione

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Riferimenti

Economia dell’innovazione, Malerba: 3.1 – 3.2.4


Economia dell’innovazione, Malerba: 6.1 – 6.5
Economia dell’innovazione, Malerba: 7.3 – 7.5.1

Letture facoltative:
Rapporto Istat: «Innovazione_Imprese_Istat»
File: «The-2-percent-company»

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