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ECONOMIA E ISTITUZIONI DEI DISTRETTI INDUSTRIALI

28/02
Capitolo 1: Il distretto industriale e la dimensione locale dello sviluppo

Quali sono i temi centrali della discussione sui distretti industriali?


In Italia, negli anni Settanta del Novecento:
o alcuni economisti e sociologi rilevano l’importanza nell’industria italiana delle economie di agglomerazione spaziale, ossia di imprese
piccole e medie e non solo delle grandi imprese, localizzate nel triangolo industriale MI-TO-GE (nord-ovest d'Italia corrispondente ai
vertici di Torino, Milano e Genova)
o Ci sono considerazioni empiriche e riflessioni teoriche proposte da Marshall, che vengono raccolte nel volume “Industry and Trade”
(1919): egli osservava il funzionamento dell’organizzazione industriale ed aveva notato come nella produzione manifatturiera inglese
fossero presenti dei territori in cui la concentrazione spaziale delle attività produttive era dedicata alla produzione di un unico tipo di
prodotto finale.
L’osservazione sui fenomeni di agglomerazione spaziale attira l’attenzione di Marshall, che inizia a studiare una serie di elementi che
caratterizzano i diversi ambiti di specializzazione produttiva nei territori dell’Inghilterra di fine ‘800, che lui denomina “distretti
industriali”, scoprendo poi che ci sono elementi che caratterizzano quei luoghi, quindi ci sono degli aspetti che hanno a che fare con la
specifica tecnologia. Questo ispira la discussione sui distretti industriali in Italia.

Relazioni sociali e relazioni economiche - Karl Polanyi (The Economy as an Instituted Process, 1957)
C’è un contributo fondamentale che riguarda l’analisi dei fenomeni economici che è l’intreccio tra fenomeni economici e fenomeni sociali
che è rilevante per interpretare i fenomeni dello sviluppo economico.
Si deve un grandissimo impulso all’elaborazione di come analizzare quell’intreccio a Karl Polanyi che è un grande economista dello
sviluppo, che si è concentrato su questo aspetto. Questo è stato ripreso anche da Mark Granovetter che studia l’azione economica e la
struttura sociale e definisce il problema di “embeddedness”, cioè l’essere incorporati/ intrecciati all’interno di un contesto per la propria
presenza in quel contesto.
Con questo tema, Mark ci dice alcune cose molto specifiche:
- Le imprese non sono collegate solo da relazioni economiche, ma sono intrecciate tra di loro anche da reti di relazioni personali a più
livelli (consigli di amministrazione, ecc)
- Le transazioni economiche sono condotte attraverso reti di relazioni personali
- La struttura delle relazioni personali ha un ruolo importante nel generare fiducia e scoraggiare opportunismo (in qualche modo la
dimensione critica dell’azione economica che si fronteggia con strumenti diversi di rischiosità dell’attività d’impresa, è attenuata
dall’intreccio di relazioni sociali che attraversa le relazioni economiche e che quindi, creando fiducia tra i soggetti che entrano in
relazione, consente di rendere meno presenti comportamenti opportunistici: così si riduce il clima di incertezza in cui le imprese
operano)
- Dallo studio dell’intreccio di tali relazioni emergono molte forme intermedie tra i mercati idealizzati di tipo atomistico e l’impresa
verticalmente integrata (su questo anche Powell, 1990)

Relazioni sociali e relazioni economiche


Le relazioni ripetute di lungo periodo, ad es. nella subfornitura, generano standard di comportamento che sono superiori a pure relazioni di
autorità. Si tratta di relazioni che scoraggiano sia l’opportunismo che la prevaricazione In pratica grazie alla relazione ricorrente fra fornitore
e committente, si generano relazioni di fiducia che scoraggiano l’opportunismo, e che rendono possibile l’identificazione delle soluzioni più
adeguate a trovare una risposta a ciò che l’impresa committente richiede e a rispondere alle esigenze che possono essere contingenti
dell’impresa subfornitrice.
Questa riflessione conclude che in qualche modo dobbiamo tener conto dei codici morali, che sono un elemento importante che
contribuiscono al successo economico.

Differenze tra le imprese, relazioni tra imprese, sistemi di imprese


Le imprese (anche quelle che fanno parte di un distretto industriale) sono diverse in termini di strategia, struttura, core capabilities
(competenze essenziali), che le caratterizzano in modo specifico.
Queste differenze aiutano a spiegare in che modo le imprese reagiscono a mutamenti nei mercati, nella tecnologia, o a cambiamenti esogeni
(es. di shock esogeno: la pandemia). Questi cambiamenti sono aspetti essenziali nell’analisi della dinamica di cambiamento dei distretti
industriali.
Occorre studiare il nesso tra:
• singola impresa vs sistema di imprese
• fenomeni della concorrenza e cooperazione come elementi che si integrano nel funzionamento del sistema di imprese

Grandi vs. piccole imprese: quali elementi analizzare


 Problemi di coordinamento per le imprese che sono specializzate per fasi
 Specializzazione per fasi (molto diverse come potenziale nelle grandi e nelle piccole imprese)
 Concorrenza e cooperazione
 Informazioni sulle caratteristiche degli scambi:
• Prodotti con caratteristiche molto varabili: standard nelle caratteristiche dei prodotti o nelle unità di misura delle quantità
• Scelta tra possibili fornitori
• Attività non di routine
• Mercati particolari
• Nicchie di mercato vs. mercati di massa
 Processi di innovazione resi possibili dalle relazioni tra le imprese all’interno del sistema in cui operano

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Grandi imprese vs. sistemi di piccole imprese: processi di innovazione
 Grandi imprese: sussiste l’idea che fa investimenti in ricerca e sviluppo (R&S)
 Sistemi di piccole imprese: sussiste l’dea che quando le piccole imprese sono sistemi di piccole imprese, hanno all’interno dei processi
di innovazione un ruolo molto particolare. Perché in questi sistemi si vengono a creare elementi di accumulazione delle professionalità,
che sono importanti perché creano la facilità di comprensione di elementi di novità che hanno origine anche al di fuori del distretto.

Questioni
Q1_ In che modo si possono alimentare processi di innovazione all’interno del distretto? Perché le imprese del distretto, se sono imprese di
piccole dimensioni, potrebbero non avere la capacità di investire in risorse dedicate alla ricerca e allo sviluppo?
Q2_ Se tutti sanno tutto di tutti e su tutto (cioè: se tutti hanno le stesse informazioni), come è possibile che emergano innovazioni?
Q3_ È ragionevole sostenere l’ipotesi che nel distretto tutti abbiano le stesse informazioni?
Marshall: nel distretto c’è una varietà di competenze, che alimenta la creatività.

Il distretto industriale
 In una prospettiva interdisciplinare  il contributo di Giacomo Becattini
 Come sistema complesso  il contributo di David Lane

Il distretto industriale in una prospettiva interdisciplinare: Giacomo Becattini (1989)


Giacomo Becattini (1989) ci parla di una definizione di “distretto industriale” come concetto socioeconomico (p. 58): «Definisco il distretto
industriale come una entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e
storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali.
Nel distretto industriale, a differenza di quanto accade in altri ambienti (ad esempio la città manifatturiera *) la comunità e le imprese
tendono, per così dire, a interpenetrarsi a vicenda»
* la compresenza attiva ha una caratterizzazione gerarchica di subordinazione che nei distretti non è presente

Cosa ci dice questa definizione di Becattini? Ci dice che questo territorio produce un surplus di prodotti, rispetto a quello che è necessario
all’interno del territori.
Esempio del distretto di Carpi  la produzione non era desinata agli abitanti di quel territorio, ma è una produzione che cede la capacità del
territorio di utilizzare l’output prodotto (quindi c’è un surplus di prodotto). Questo è un elemento di considerare insieme al fatto che ci siano
reti di relazioni che sono stabili e che avvengono con il mercato esterno, nel senso che questo surplus di prodotti è un surplus destinato ad un
mercato esterno al distretto con il quale vi sono relazioni stabili nel tempo.

Le caratteristiche determinanti del distretto industriale nella concezione di Becattini sono tre :
I. un’attività dominante di natura industriale; l’attività deve configurare una specializzazione in una determinata produzione di beni.
II. Una comunità locale costituita da una comunità di persone e da un parallelo sistema istituzionale; la comunità delle persone deve
incorporare un sistema “abbastanza omogeneo” di valori che si è venuto formando nel corso del tempo e che deve esprimere
incentivi all’attività imprenditoriale e all’introduzione di innovazioni. Tale sistema di valori viene diffuso e trasmesso attraverso il
sistema istituzionale, ovvero il mercato, l’impresa, la famiglia, le amministrazioni pubbliche, le associazioni politiche, sindacali e
private.
III. Una popolazione di imprese, ciascuna delle quali specializzata in una singola fase (o in poche fasi)
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Il distretto industriale: la comunità locale
Becattini dice che nel distretto industriale c’è una comunità attiva di persone che condivide un sistema di valori abbastanza omogeneo che si
esprime in termini di etica:
- del lavoro
- della famiglia
- della reciprocità
- del cambiamento
Tutte queste dimensioni che riguardano l’etica condivisa dalla comunità non hanno un valore universale.
Per esempio noi sappiamo che nel nostro paese le famiglie hanno le caratteristiche più diverse e le regole condivise sono diverse.
Dobbiamo quindi interrogarci su quali sono le caratteristiche specifiche di queste dimensioni etiche all’interno della comunità.
All’interno di due contesti sociali largamente diversi, come la Cina e l’Italia, l’etica della famiglia è diversa. Inoltre la Cina non ha una sola
etica della famiglia. Becattini ci consegna degli elementi di riflessione.
Questo sistema di valori, che si forma nel tempo, è anche un requisito preliminare per la formazione del distretto: questo può essere un punto
molto critico per le politiche di sviluppo locale, perché devono essere in grado di incidere in dinamiche che si sviluppano nel tempo e che si
sedimentano nelle azioni e nei comportamenti individuali degli individui.
Se queste condizioni costituiscono un requisito preliminare per la formazione del distretto, dobbiamo pensare che c’è un processo in cui c’è
un ‘prima l’etica’ e un ‘dopo lo sviluppo del distretto’.
Potremmo anche intenderla che all’interno del processo di formazione del distretto, il momento in cui l’etica del lavoro, del cambiamento,
della reciprocità e della famiglia si intreccia con lo sviluppo della popolazione d’imprese troviamo degli elementi rilevanti per la dinamica
del distretto.
La condivisione di questo sistema di valori abbastanza omogeneo è una condizione fondamentale per la riproduzione della comunità locale
(nel senso che è condizione per alimentare il mantenimento della comunità nel distretto). Questo non significa che solo una certa
combinazione di valori è compatibile con la nascita e lo sviluppo del distretto, ma piuttosto che vi sono alcune combinazioni ammissibili ed
altre che non lo sono.
Far convivere sistemi di valori vuol dire creare regole di comportamento, accettabili per tutti

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Teniamo presente che i distretti sono stati esempi di accoglienza di flussi migratori. Uno è il caso di Sassuolo, quando negli anni ’60 iniziò
un flusso imponente dal mezzogiorno e centro Italia. Un altro è il distretto di Prato, dove negli anni ’90 iniziò un flusso dalla Cina 
parliamo di comunità di provenienza con regole di comportamento molto differenti tra di loro.
I conflitti che si creano quando emergono cambiamenti repentini, sono un elemento importante perché mantenere questo sistema di valori
abbastanza omogeneo, dice Becattini, è una condizione fondamentale per il mantenimento stesso di quella componente del distretto
industriale, per la compresenza attiva con la popolazione di imprese, che è la comunità di persone.

Il distretto industriale: un sistema di istituzioni


All’interno del distretto industriale noi osserviamo un insieme di istituzioni che sono una parte fondamentale rispetto al sistema dei valori (si
forma nel tempo), perché queste istituzioni costituiscono il contesto in cui regole rendono possibili il funzionamento delle relazioni tra le
imprese nel distretto e l’interazione tra la comunità di persone e la popolazione d’imprese.
Accanto alla sistema di valori, nel distretto c’è un sistema di istituzioni e di regole che:
- diffondono quei valori nel distretto
- li garantiscono
- li trasmettono all’interno di un contesto che non è una comunità chiusa, ma aperta. Il grado di apertura della comunità è un elemento
critico da poter governare per l’allineamento verso la condivisione di valori.
Esempio: nell’industria metalmeccanica le donne sono veramente poche. Meno ancora sono le donne responsabili dei reparti. In alcune
imprese dal punto di vista dell’imprenditore c’era una scelta molto netta nei confronti dei lavoratori che non ammettevano di avere un capo
reparto donna, che non sopportavano di dover ricevere indicazioni e controllo da parte di donne. Questo avveniva da parte di lavoratori
immigrati che nelle loro culture non ammettevano che le donne potessero avere voce nelle decisioni di un uomo.
Una comunità aperta ha bisogno di elaborare e trovare soluzioni perché questi elementi di tensione non sfocino in una condizione in cui la
donna non può esercitare lavori come responsabile. Vuol dire utilizzare queste esperienze per entrare in un mondo diverso in cui le pratiche
di rispetto delle donne sono diverse da quelle che hanno ispirato il funzionamento all’interno delle loro comunità
La dimensione di apertura di una comunità è molto complicata perché va gestita, orientata e valorizzata perché consente il mantenimento dei
valori in un contesto di apertura della comunità. Mantenere aperte le comunità vuol dire anche riuscire ad allineare degli elementi di
cambiamento. Apertura significa che potrebbe entrare di tutto nella comunità
Alle donne in questo territorio è sempre stato riconosciuto il diritto di parola, il diritto a condizioni di lavoro adeguate, il diritto a poter
lavorare e poter essere madri, figlie e mogli.
Tuttavia possiamo pensare all’apertura della comunità alla criminalità; in questa regione era inammissibile. L’ingresso della criminalità nelle
attività economiche era considerato per definizione impossibile; eppure sappiamo che la criminalità era già pervasiva all’interno della
struttura produttiva di questa regione.
Non parliamo quindi di fenomeni statici, perché si tratta di una comunità aperta nel bene e nel male.
La criminalità scaccia l’economia buona che in questa regione si sta erodendo per il diffondersi della criminalità. Quindi i valori non sono
tutti buoni, ma ci sono valori che non guardano in faccia ai diritti o ai danni che provocheranno nella società. Bisogna stare attenti a guardare
gli elementi di apertura della comunità e gli elementi virtuosi per il sistema economico nel suo insieme che derivano dalla interazione con la
comunità di persone perché potrebbero esserci degli effetti da contrastare.
Se ammettiamo che nel mercato del lavoro vi possono essere condizioni non lineari, questa condizione inizia a permeare l’intero mercato del
lavoro.
Se abbiamo una totale mancanza di controllo delle regole stiamo alterando le condizioni di funzionamento di un distretto, e nel distretto
questo può diventare devastante

Quali sono queste istituzioni?


• il mercato (mercato del lavoro, dei beni)
• l’impresa
• la famiglia
• la chiesa (le comunità confessionali)
• la scuola
• l’amministrazione pubblica (fondamentale nel garantire, orientare e controllare le regole)
• le articolazioni locali dei partiti politici
• i sindacati
• le associazioni private, pubbliche, culturali, religiose, artistiche
Il ventaglio di istituzioni per questa azione che costruisce il contesto di funzionamento del distretto è poliedrico per i livelli della loro azione
e il campo d’azione.
Non fanno tutti le stesse cose, per esempio le comunità confessionali potrebbero sostenere alcune dinamiche di cambiamento approvandole,
ribadendole all’interno del gruppo che fa parte della comunità.

Il distretto industriale: popolazione di imprese


Non è una molteplicità accidentale (casuale). Una molteplicità significa che ci sono molti tipi di diverse imprese, quindi c’è una ragione per
cui c’è questa varietà. Becattini vuole dirci che la varietà di imprese che sono presenti nel distretto ha un suo perché, non è casuale. Infatti,
ciascuna delle numerose imprese è specializzata in una fase, o in poche fasi del processo di produzione tipico del distretto.
Non è una localizzazione accidentale (non sono lì per caso). Le imprese non si localizzano casualmente, perché Becattini ci dice che c’è un
processo di radicamento territoriale che è inscindibile (inseparabile) dal processo di formazione del distretto. Siamo in un contesto in cui non
c’è una scelta che è indipendente dal momento del processo che stiamo analizzando
Il distretto di Sassuolo si configura come un esperienza di crescita di un industria all’interno di un particolare territorio perché a Sassuolo
c’erano le argille adatte per produrre piastrelle di ceramiche e le competenze sin dal 700. Non è accidentale, ma si mettono lì perché c’erano
le materie prime, c’era una capacità di lavorare l’argilla e lì arrivano gli investimenti concentrati su quel territorio che attraggano le imprese
ad insediarsi in quel territorio.

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Gli elementi di localizzazione vanno letti caso per caso rispetto ai processi di formazione delle aspettative, delle scelte e delle opportunità di
investimento che le imprese hanno.

Il distretto industriale: le imprese


Le imprese operano in settori caratterizzati da:
- processi produttivi che sono scomponibili in fasi (fasi collegate tra di loro ma che potrebbero anche non essere svolte all’interno dello
stesso luogo).
Esempio: scarpa. Elastici, tomaia e suola potrebbero essere il risultato di processi tecnologici diversi quindi potrebbero essere fatti in
luoghi diversi
Possiamo immaginare che ci siano dei processi produttivi in cui la scomposizione in fasi non è tecnicamente possibile. Qualsiasi
processo possiamo teoricamente separarlo, il problema è la convenienza economica del separare il processo.
Esempio: per ottenere la fusione dei metalli dobbiamo portare il metallo ad una temperatura altissima. Dopo che è diventato liquido
possiamo dare forma a quei liquidi. Immaginiamo di prendere un metallo e di fonderlo, poi decidiamo che la successiva formatura la
facciamo da un’altra parte. Mantenere la temperatura raggiunta nella fusione in giro per le strade è impossibile. Se ci fosse una qualche
ragione per farlo avrebbe dei costi molto alti; quindi si tratta di una scelta economicamente non efficiente
Quando ragioniamo di scomposizione dei processi produttivi siamo sempre in una analisi tecnica ed economica.
La scomposizione dei processi potrebbe essere fatta anche tra più stabilimenti della stessa impresa. Non dobbiamo pensare
necessariamente che ogni fase sia fatta da un’azienda specializzata.
Bisogna ragionare sugli elementi di fattibilità tecnica ed economica della decisione di scomposizione del processo
- prodotti con domanda variabile dal punto di vista della qualità. Variabilità della domanda vuol dire che non è costante in termini di
qualità specifica e di quantità
Esempio: le mascherine non sono prodotti variabili. Ma possiamo introdurre la variabilità in termini di colori. La variabilità della
domanda di un prodotto base diventa un prodotto molto specifico. Quindi non possiamo dire che la mascherina non ha variabilità, ma ha
molta variabilità a seconda dei contesti d’uso
Esempio: le scarpe hanno un elemento di variabilità dettato dalla moda. La moda introduce un elemento di variabilità nei prodotti molto
importante per i settori che producono scarpe. Per far fronte all’estrema variabilità si inizia a produrre serie molto corte dei prodotti.
La variabilità della domanda è un elemento importante nel considerare la specializzazione dei distretti, perché le imprese dei distretti
tendono a concentrarsi in quei settori in cui devono rispondere a una domanda variabile.
La variabilità della domanda non è soltanto del settore tessile-abbigliamento ma è larghissima e molto presente nel settore meccanico,
dove la quantità di componenti che bisogna realizzare nelle singole specializzazioni è elevatissima.
Esempio: guardiamo al numero di componenti di una automobile, sappiamo che questi componenti sono diversi tra automobili
Ci sono molti settori in cui la variabilità della domanda è un elemento importante per caratterizzare la specializzazione delle imprese e
nel caso della specializzazione dei distretti è un elemento molto specifico
- dimensione dell’impresa vicina all’ottimo. Possiamo aspettarci diverse dimensioni in base alla fase, alla tecnologia e al settore
considerato. La dimensione la possiamo misurare in termini di addetti o di prodotto; in genere la misuriamo in termini di addetti perché
ci facilita la comparazione all’interno dello stesso settore. Se una impresa ha 10 dipendenti e una 1000 possiamo dire che una è piccola e
una è grande. Ma se entrambe hanno 1000 dipendenti non necessariamente sono due imprese grandi perché magari la dimensione di uno
dei settori è molto superiore vicino all’ottimo

Ci sono molti legami personali nelle imprese e tra le imprese. I legami personali nelle imprese potrebbero essere i legami familiari, i rapporti
che si creano, relazioni tra pari oppure tra superiore e dipendente. I legami tra le imprese potrebbero essere i legami tra committente e
fornitore.
Nel 2008 il mondo occidentale è stato attraversato da una delle crisi economiche più drammatiche indotta dalla crisi del subprime nel
mercato americano. Nel 2008 la crisi arriva nell’economia reale partendo dal mondo finanziario; quando arriva nell’economia reale tocca le
persone che lavorano nelle imprese. Diversi piccoli imprenditori di fronte al peso della crisi non riuscirono a reggere psicologicamente
l’impatto che la crisi economica avrebbe avuto sulla propria impresa e sulle persone che lavoravano nell’impresa. Questo significava non
riuscire più a garantire un reddito ai dipendenti e alle loro famiglie. Nel 2008 la cassa integrazione non c’era nelle piccole imprese, quindi i
lavoratori da un giorno all’altro si sono trovati in mancanza di ordini per l’imprese e chiusura. Le relazioni personali giocano moltissimo nel
momento di sviluppo dell’impresa perché sono l’elemento su cui si innesca la possibilità di andare oltre tutti insieme mettendo in gioco le
competenze che ciascuno ha. Quando c’è un momento di crisi questo può diventare un elemento molto critico.
Durante la crisi invece molte imprese di medie e grandi dimensioni avevano la cassa integrazione che copriva le riduzioni di lavoro, ma
molte imprese internalizzarono fasi che venivano realizzate fuori per garantire il lavoro a tutti. Ma internalizzare significa penalizzare i
fornitori. Se l’impresa aveva all’interno le competenze per fare alcune fasi smettevano di chiederle all’esterno.
Le strategie relazionali sono una parte che caratterizza il modo di operare di una impresa.

Se io sono un dipendente di una impresa e sottoscrivo un contratto, si tratta di una relazione tra me e l’entità giuridica che sottoscrive il
contratto in nome e per conto dell’impresa (non si tratta di un legame personale)
Infatti non ci sono solo legami di amicizia, ma ci sono legami formali (ma non in misura eccessiva), ossia dei contratti veri e propri. Becattini
ci vuole ricordare che c’è contratto e contratto; i contratti americani sono lunghi centinaia di pagine perché si prospettano tutti i possibili stati
di natura che potrebbero intervenire nella relazione e le parti mettono in chiaro. Nel nostro contesto non è nostra abitudine, ma si stipulano
dei contratti che definiscono le condizioni rilevanti dell’interazione tra le parti. Ci sono poi dei casi anche in cui le caratteristiche formali
sono molto dettagliate perché influenza le caratteristiche del prodotto finale.
 vedi: Granovetter e Polany
Azione economica come azione sociale
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Il distretto industriale: le risorse umane
C’è un’altra serie di aspetti che vengono affrontati nella definizione di quali sono gli elementi costitutivi del distretto, ossia le risorse umane.
La natura dinamica del distretto fa leva sulle caratteristiche delle risorse umane di cui studia le carriere professionali e mobilità del lavoro

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che sono elementi fondamentali per favorire la creazione di un’atmosfera industriale. Il termine ‘atmosfera industriale’ è stato coniato da
Marshall agli inizi del 900
Marshall osservando la struttura produttiva di alcune aree dell’Inghilterra commenta ‘sembra che il sapere sia nell’aria’. Quindi l’atmosfera
industriale è l’insieme di conoscenze che nel territorio sembrano essere condivise dalle persone che vivono e lavorano nelle imprese del
territorio.
Questa creazione di un’atmosfera industriale è il fatto che ci sono delle competenze che vengono alimentate da una formazione dedicata alle
esigenze delle imprese del territorio. Queste carriere professionali sono legate all’esistenza di scuole tecniche e professionali, ma anche ad
esperienze di apprendistato e stage all’interno delle imprese.
Una dimensione importante è la mobilità del lavoro che consente ai lavoratori di scegliere l’impresa in cui meglio trovano soddisfazione alle
loro aspettative di salario, di ruolo, di relazioni, di vantaggi personali. In un certo senso i distretti tendono a collocare ciascuno individuo nel
posto più adatto e da lui più desiderato
La possibilità che i lavoratori si spostano da una impresa all’altra favorisce anche lo scambio di competenze tra le imprese. I lavoratori
portano con loro le competenze maturate nelle conoscenze acquisite nel percorso professionale ma che hanno anche sviluppato nei luoghi di
lavoro in cui hanno lavorato.
Questo aspetto della mobilità del lavoro è molto importante perché è uno dei veicoli di trasmissione delle conoscenze all’interno dei distretti
industriali.
Questo consente da un lato ai lavoratori di trovare la soluzione migliore per loro, dall’altro le imprese hanno l’opportunità di valutare le
diverse professionalità disponibili. A sua volta è un potente fattore di attrazione per i lavoratori che decidono di rimanere in territori che
apprezzano le loro potenzialità. Tanto più un lavoratore trova opportunità nel distretto, tanto più quelle opportunità rimarranno in quel
territorio.
È molto importante che i distretti abbiano una varietà di opportunità di lavoro che mantengano le competenze dentro. Formare le competenze
di un lavoratore richiede molto tempo perché conoscere le specificità dei diversi ambiti industriali richiede tempo.
La presenza di una pluralità di imprese dà l’opportunità ai lavoratori di scegliere e passare da una impresa all’altra
Se invece si hanno imprese che si aspettano dai lavoratori cose diverse rispetto alle ambizioni dei lavoratori e lavoratrici, avremo dei territori
incapaci di trattenere quel potenziale di risorse umane

Il caso di risorse umane di cui parla Becattini sono gli imprenditori puri, ossia il caso dei buyers. Si tratta sostanzialmente di intermediari
delle attività commerciali
Il modello che aveva in mente Becattini era quello del settore moda in Toscana negli anni ’80, simile a quello che abbiamo oggi. Abbiamo
intermediari che connettono i designer della moda con i fornitori che devono essere attivati per quella particolare stagione.
Se prendiamo in considerazione la varietà di produttori che devono essere coinvolti se consideriamo abito, calze, scarpe, cappotto, capi con
materiali diversi. La stessa impresa non può produrre scarpe, pantaloni; sono macchinari e tecnologie diverse. L’idea del buyer è che per
conto del designer mette insieme tutto questo.
Questo è un caso che non si trovano in tutti i settori, tipo nella meccanica non si trova. Mentre nel settore tessile-abbigliamento è
importantissimo
Un’altra parte di risorse umane di cui parla Becattini era una cosa che era molto importante fino agli anni ’90, ora invece è molto meno
rilevante in alcuni settori, ossia i lavoratori a domicilio e part-time. Lui parla del lavoro a domicilio come elemento fondamentale della
stabilizzazione del reddito famigliare
Esempio: tanti anni fa a Carpi esisteva la fabbrica dei cappelli. Carpi era un produttore a livello mondiale di cappelli di paglia che venivano
venduti a New York. I cappelli di paglia erano prodotti all’interno di stabilimenti di grandi dimensioni. Nella produzione dei cappelli di
paglia nell’area di Carpi era attiva una organizzazione del lavoro che faceva grandissimo ricorso al lavoro a domicilio. Senza le donne che
intrecciavano la paglia non si faceva il cappello. Quindi c’era chi faceva le trecce, chi consegnava la materia prima, …
Tutto questo sistema di lavoro a domicilio è stato alla base dello sviluppo incredibile della lavorazione della maglieria e delle confezioni nel
secondo dopoguerra.
Becattini dice che il lavoro a domicilio non rappresentava uno sfruttamento del lavoro. La tutela del lavoro a domicilio era una tematica
importante. Becattini ci dice anche che i lavori nelle loro molteplici modalità di svolgimento concorrono all’integrazione del reddito
famigliare.
Becattini ci dice che non dobbiamo guardare alle condizioni del singolo lavoratore ma alle condizioni di vita della famiglia.
Quando parla di risorse umane ne parla a 360 gradi, dalle competenze alla produzione di reddito nelle molte modalità

In che modo si impara a fare quello che si fa nei distretti


Gli elementi di professionalità sono:
- addestramento specifico  conoscenze codificate specificatamente acquisite nei corsi di formazione tecnici e professionali
- esperienza: osservazione, affiancamento  conoscenze tacite (Michael Polanyi, The Tacit Dimension, 1966) “I shall reconsider human
knowledge by starting from the fact that we can know more than we can tell”
Esempio: andare in bicicletta. Noi sappiamo fare una cosa che non sappiamo descrivere.
Si apprende osservando senza avere la capacità di descrivere ma incorporando l’apprendimento. Si tratta di apprendimenti che vanno
mantenuti nel tempo e potrebbero svanire perché cambiano le condizioni (nel caso della bicicletta cambiano le nostre condizioni
psicofisiche). Se per esempio pensiamo alle competenze tacite che riguardano la capacità dei lavoratori di reagire in contesti in cui
devono intervenire sul processo produttivo sanno come si fa perché l’hanno visto fare.
Questa esperienza maturata con osservazione e affiancamento è un pezzo estremamente importante nello sviluppo della maturità dei
distretti
L’atmosfera industriale è quindi un processo culturale connesso alle necessità dell’industria. Si tratta di un processo fatto da formazione
professionale e conoscenze tacite che si esprime nell’acquisizione di pratiche che osservi e che svolgi

Perché è vantaggioso che certe professionalità stiano vicine le une alle altre?

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Dal lato della domanda le imprese che richiedono certe professionalità tenderanno a collocarsi le une vicine alle altre per alimentare una
domanda continua. Le imprese trovano lì tutto quello che serve e questo è un vantaggio perché tutte le professionalità necessarie le hanno lì e
quindi possono aumentare o variare la loro domanda
Ci vuole tempo per formare competenze specifiche: non è un meccanismo istantaneo di adattamento della domanda all’offerta di lavoro. Ci
vuole tempo sia per acquisire competenze formali ma anche tacite
Dal lato dell’offerta i lavoratori saranno interessati a risiedere in luoghi che potranno assicurare loro un occupazione in modo stabile. Non
tanto perché saranno interessati a rimanere sempre nella stessa impresa, quanto piuttosto perché potranno trovare più facilmente un’impresa
che domanda la loro professionalità.
La mobilità tra i diversi luoghi di lavoro è condizione per la stabilità del reddito. Io posso passare da una impresa a un’altra e quindi non
rimarrò disoccupato se lascio un’impresa.
È vantaggiosa l’agglomerazione delle imprese e della comunità di persone dal punto di vista dei benefici che ne traggono le imprese e dal
potenziale beneficio che ne traggono i lavoratori

Il distretto industriale: il mercato


Il mercato dei distretti non è un vasto aggregato omogeneo con produttori e compratori indifferenti gli uni agli altri. Le imprese dei distretti
infatti producono prodotti con una variabilità dal lato della qualità e quantità, questo fa sì che le imprese abbiano delle condizioni particolari.
Il produttore e il compratore sono in relazione, non c’è indifferenza.
Sono mercati particolari dove si sviluppa una dinamica in cui aumenta la varietà di attività che si insediano nel distretto, aumenta il numero
di diversi prodotti che rispondono alle competenze presenti nelle imprese dei distretti e questo a sua volta attira l’insediamento di nuove
imprese. I prodotti quindi non vengono definiti sulla base di una categoria merceologica basta, come piastrella, tessile-abbigliamento. Ma
bisogna chiedersi tessile di che cosa, abbigliamento di che cosa e così via
La varietà è generata dalla disomogeneità dei prodotti che si possono realizzare con le competenze del distretto. Si tratta di una varietà che
cambia nel tempo perché cambiano le tecnologie e la domanda.

Il distretto industriale: concorrenza e cooperazione


Becattini dice che la concorrenza e la cooperazione sono aspetti importanti perché si è in concorrenza sempre e si coopera tutte le volte che si
può.
La cosa interessante è che Becattini dice che all’interno del distretto chi fallisce non è considerato un fallito, ma è considerato uno che ce l’ha
messa tutta, che ha giocato un gioco pulito ma non ce l’ha fatta. Se poi non ce l’ha fatta perché è incompetente è meglio che esca dal
mercato, ma se non ce l’ha fatta perché sono venute meno repentinamente condizioni che non potevano essere previste si deve rimettere in
gioco, deve trovare le risorse per potersi rimettere in gioco. Per chi ha perso un round, il gioco deve poter ricominciare, nel rispetto delle
regole
Nelle pratiche dei distretti industriali italiani l’ambizione a diventare imprenditore era un carattere distintivo delle risorse umane, che non si
fermavano a passare da una impresa all’altra per avere un salario più alto e possibilità migliori di carriera; ma volevano fare il salto verso
l’organizzazione economica del processo produttivo. Nei processi produttivi scomponibili tecnicamente ed economicamente in fasi questo ha
aumentato tantissimo il potenziale dell’imprenditorialità.
Un altro aspetto che favorisce la nascita di imprese è il mercato dei macchinari usati. Nell’industria meccanica i macchinari usati sono un
aspetto importante perché la varietà di tecnologie e specifici processi è talmente ampia ed estesa che un macchinario usato fa sempre comodo
Il mercato dei macchinari usati è alimentato:
- da chi chiude che mette in vendita i macchinari che non usa più
- da chi cambia tecnologia  non c’è una sola tecnologia «migliore» per tutte le imprese. In alcuni contesti produttivi i macchinari usati
sono un pezzo importantissimo della dinamica che consente a quelle persone di mettersi in gioco con una attività imprenditoriale.
Tuttavia questo aspetto non funziona sempre e ovunque, per esempio nell’industria ceramica i macchinari usati nella migliore delle ipotesi
vengono portati in Africa. Mentre sono molto importanti nell’industria siderurgica.

Becattini afferma che i prezzi dei prodotti di fase tendono a rimanere stabili.
Ci sono dei mercati di fase in cui non abbiamo una molteplicità dal lato della domanda e dell’offerta, ma abbiamo imprese che strutturano
delle relazioni tra di loro rispetto alle specifiche caratteristiche delle commesse che i committenti richiedono a vari fornitori.
I prezzi dei prodotti non sono soggetti a fluttuazioni dovute a eccessi di domanda o scarsità di offerta. La fluttuazione è dovuta a un contesto
di mercati in cui operano una pluralità di soggetti economici dal lato della domanda e dell’offerta. Il prezzo si determina in mercati anonimi
su un prodotto uniforme.
Esistono dei mercati di fase, ma i prezzi di questi prodotti sono stabili perché sono regolati dalla relazione tra fornitore e committente. Se
cambiano i prezzi significa che qualcosa è cambiato rispetto alle condizioni di produzione, caratteristiche dell’ordine. La fluttuazione è
estremamente regolata nel distretto, poi si possono determinare delle fluttuazioni a causa di cambiamenti esogeni al distretto (es. norme
rincaro delle materie prime). In quel contesto non funziona l’insieme di regole nel distretto, quindi ci possono essere fluttuazioni che
derivano da condizioni eccezionali (shock esogeni)

Il distretto industriale vs. grande impresa

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Sistema produttivo nel distretto industriale marshalliano [vs. altri sistemi produttivi]
Becattini dice che il sistema produttivo che definisce il distretto industriale marshalliano ha le seguenti caratteristiche
Si riforniscono da una miriade di fornitori di:
- Servizi alla produzione
- Lavoro a domicilio
- Lavoro a tempo parziale
- Imprenditori puri
Questa, quindi, è la forma canonica del distretto industriale secondo Becattini. Però, la forma canonica del distretti ha delle implicazioni:
- per l’analisi teorica
- per l’analisi empirica
- per le politiche industriali e di sviluppo locale

Traccia della lezione


• Comunità di persone, popolazione di imprese, reti di relazioni.
• Autocontenimento e surplus di prodotti del distretto industriale.
• La comunità di persone: sistema di valori; sistema di istituzioni e di regole presenti nel distretto. Interesse comunitario e comunità non
chiusa.
• Popolazione di imprese: non è una molteplicità accidentale; specializzazione tipiche del distretto; radicamento nel territorio e processo
di formazione del distretto.
• Scomponibilità del processo produttivo in fasi; domanda variabile, dimensione d'impresa vicina all'ottimo; legami personali e legami
formali [vedi ricerca sulla Cina*].
• Le risorse umane nel distretto industriale.
• Le carriere professionali (formazione tecnica e mobilità del lavoro).
• La formazione tecnica a Modena: la creazione di istituti tecnici e professionali a sostegno dello sviluppo industriale.
• Le opportunità dal lato della domanda e dell'offerta di lavoro; il distretto come potente fattore di attrazione per i lavoratori, ma anche per
le imprese.
• Gli imprenditori puri. Il lavoro a domicilio e part-time.
• Concorrenza e cooperazione nei distretti.
• Relazioni tra grandi e piccole imprese nei distretti

Domande
 Quali sono valori richiamati da Becattini nella definizione di distretto industriale?
 La presenza di quei valori nella comunità di persone è un prerequisito per la formazione di un distretto?
 I valori condivisi in una comunità mutano nel tempo?
 Nel distretto industriale ci sono comunità chiuse o aperte?
E che cosa significa chiusura/apertura? Perché è rilevante nell'analisi dei distretti?
 Per lo sviluppo dei distretti: perché è importante la formazione dei lavoratori nel processo di istruzione formale (nella scuola, ma anche
nell'impresa) e non formale (formazione sul luogo di lavoro e apprendimento continuo)?
 Quali caratteristiche ha la forza lavoro impiegata nelle imprese dei distretti?
 Che ruolo hanno le relazioni di lavoro?
 Perché l'economia illegale è un fattore di squilibrio dello sviluppo del distretto?
 Quali aspetti del funzionamento del distretto sono influenzati dall'economia illegale?
 In quali ambiti si potrebbe manifestare l'illegalità ?

07/03
Capitolo 2: Trasformazioni della struttura produttiva 1951-2011

Occupazione in agricoltura 1950-2000

Possiamo osservare che l’occupazione decresce moltissimo tra il


1950 e il 2000 questo perché avviene una trasformazione della
struttura produttiva dovuta alla meccanizzazione. La grande
meccanizzazione libera lavoro nel settore agricolo. La

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trasformazione che avviene in agricoltura in Italia è una trasformazione dovuta alla meccanizzazione, si riducono gli occupati ma non si
produce meno.
Si ha quindi una riduzione dell’occupazione da 8 milioni nel 1951 a circa 1 milione e mezzo nel 2000.

Occupazione nell’industria, commercio e servizi 1951-2011


Il 1951 è il primo anno, dopo la seconda guerra mondiale, in cui
abbiamo dati relativamente all’occupazione dell’industria e della
popolazione.
In questo grafico è possibile osservare la variazione della dinamica:
l’occupazione aumenta continuamente perché in questo intervallo di
tempo non c’è mai un momento in cui un dato sia negativo, ma aumenta
sempre. Nel primo periodo c’è un aumento maggiore, in quello
successivo una stasi, ma comunque aumenta. Dal 1951 in avanti
riconosciamo una crescita che passa da 7 milioni nel 1951 a quasi 16
milioni e mezzo nel 2011. Occupazione aumenta nel settore
manifatturiero e dei servizi (senza agricoltura). Quindi dal ’51 c’è uno
slancio significativo dell’occupazione nel nostro paese. Aumento ridotto
tra gli anni ’90 e 2000. E’ un paese che si sta trasformando moltissimo,
ma gli occupati non aumentano tanto. Il nuovo slancio nell’occupazione
lo troviamo dal 2001 al 2011, in cui avvengono trasformazioni molto
complicate in risposta alla crisi

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L’andamento dell’occupazione nelle diverse aree
geografiche del paese non è lo stesso. Questo grafico
mostra la dinamica aggregata dell’occupazione
Notiamo che effettivamente c’è un incremento molto forte
nel centro, sud e isole. Nel nord ovest c’è una flessione tra
1981 e 2001, poi una ripresa negli ultimi anni.
Nelle regioni del Nord-ovest possiamo metterci
Lombardia, Valle d’Aosta, Liguria, Piemonte e quelle del
Nord-Est sono Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia,
Trentino-Alto Adige, Veneto. L’Emilia-Romagna entra nel
processo di industrializzazione del paese già tra la prima e
Seconda guerra mondiale.

Occupazione nei principali settori manifatturieri, nel


commercio e nei servizi in Italia e nelle
macroregioni, 1951-2011 Se consideriamo il totale
dell’Italia (grafico in alto a sinistra), la linea azzurra
sono gli addetti del commercio. Il numero di
occupati nell’industria meccanica, tessile e
commercio era uguale nel 1951. La differenza
territoriale la osserviamo nelle diverse
macroregioni, nel totale Italia c’è una caduta nel
tessile e la meccanica e il commercio aumentano.
Nel 1971 il numero di addetti del commercio va a
pari passo con quello della metalmeccanica in Italia.
Aumentano gli occupati del commercio cosi come
aumentano quelli della meccanica (settore in forte
crescita).
Però dal 2001 al 2011 la dinamica tra il commercio
e la meccanica è divergente. Il commercio riprende
a salire mentre la meccanica continua a scendere.
C’è una composizione strutturale che vede nel sud
una prevalenza del commercio.
Rispetto al primo grafico dove avevamo osservato
un aumento in tutte le macroregioni (nord, centro, sud e isole), ora se esploriamo la composizione interna possiamo notare che i settori hanno
dinamiche differenti tra loro.
Il settore dei servizi ha una dinamica particolare, si caratterizza in maniera specifica a partire dagli anni 90. Questa è una serie armonizzata di
dati che è stata prodotta dall’ISTAT. Ha preso tutti i dati dei censimenti e ha costituito un raccordo che consentisse di leggere in maniera
uniforme i dati su un numero di addetti. Ma nel censimento del 1951 e del 1961, i servizi non erano rilevati. ISTAT ha prodotto una stima di
quale poteva essere l’entità dell’occupazione dei servizi, non avendo rilevato i servizi. Viene comunque inserito nel grafico per la sua
importanza.
I servizi di cui si parla sono i servizi alle imprese, servizi professionali, attività specializzate a sostenere l’attività delle imprese, servizi di
ricerca, servizi di consulenza finanziaria. Sono servizi che negli anni ‘50/’60 erano interni alle imprese, ma che negli anni ’70 diventano
attività specializzate esterne alle imprese manifatturiere, sono un contributo significativo alla crescita dell’occupazione.
Nel complesso il numero di addetti nei servizi nel 2011 è superiore a quello della metalmeccanica
• Nord ovest  la dinamica del settore metalmeccanico è in crescita fino 1981 per poi subire una decrescita (ad esempio a favore dei
servizi)
• Nord est  crescita consistente fino al 2001, dal 2001 in poi si riduce
• Centro, Sud e isole  crescita fino anni 1980, dal 1980 al 2001 una fase di stallo, per poi decrescere fino al 2011
Andamento particolarmente diverso è quello del commercio (linea blu). Nel centro, sud e isole costituisce la parte maggiore
dell’occupazione. La dinamica di crescita che avevamo notato nel primo grafico (nord ovest, nord est, sud e isole) è sostenuta da un aumento
degli addetti nel commercio. L’occupazione manifatturiera, ad esempio, ha un effetto molto più piccolo rispetto a quello dato dall’incremento
del commercio. Sono settori molto diversi, la meccanica
è presente ma in misura molto inferiore.

Qua i dati sono ulteriormente disaggregati, guardo


alcuni dei settori all’interno di alcune delle principali
regioni del nord (nord-est e nord-ovest).
In Lombardia la meccanica aumenta la sua occupazione
fino all’81 e poi diminuisce. In Piemonte la dinamica è
simile ma ad un livello più basso.
Il veneto ha la stessa dinamica dell’Emilia, c’è un
superamento della crescita degli occupati in Veneto nel
2001, ma in entrambi le regioni poi diminuisce.

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La dinamica dei servizi è particolarmente accentuata a crescita in Lombardia.

Che cosa sono i distretti industriali?


Un distretto industriale può essere definito come concetto in grado di comprendere una più vasta categoria di fenomeni economici
organizzati nello spazio.

L'atmosfera industriale di Alfred Marshall (seconda metà dell'Ottocento)


Alfred Marshall (studioso dell’economia inglese) si interroga sulle caratteristiche dell’economia del suo paese. Osserva che ci sono
concentrazioni di attività produttive in specifici territori. Si interroga sulla localizzazione specifica dell’industria e nota che le imprese
scelgono dove localizzarsi con una logica precisa: in base alla presenza di infrastrutture di trasporto, per avvicinarsi alle fonti di
approvvigionamento o al mercato di sbocco (riducendo i costi di trasporto del prodotto).
Marshall si chiede cosa giustifichi la localizzazione spaziale delle industrie. Osserva il fenomeno della scomposizione del processo
produttivo e nota che le imprese sono specializzate in poche fasi. In particolare, il processo di trasformazione produttivo si distribuisce fra
più imprese indipendenti, che però lavorano una vicina all’altra: il prodotto, nella sua fase di trasformazione, passa da un’impresa all’altra.

I contributi (sin dagli anni Settanta del Novecento) di Giacomo Becattini (sulla Toscana) e di Sebastiano Brusco (sulla struttura produttiva
dell'Emilia).
Brusco si interroga sulle ragioni che spiegano le differenze tra grandi e piccole imprese.
La ricerca di Brusco sull'industria metalmeccanica a Bergamo (1972): Brusco osserva che le imprese non sono comparabili solo perché
hanno più o meno addetti, ma perché le imprese producono con un diverso grado di integrazione verticale.
Brusco scopre che le imprese piccole non sono delle imprese grandi in scala piccola ma sono imprese specializzate in poche fasi del processo
produttivo, mentre le imprese grandi hanno più fasi del processo produttivo al loro interno, sono più integrate. Questo tema apre degli scenari
molto interessanti, non ci interessa sapere se l’impresa è un’impresa metalmeccanica, ma quanto è specializzata in una singola fase del
processo produttivo, ossia la categoria della specializzazione produttiva nella specifica fase in cui l’impresa attiva.
Egli osserva che l’efficienza di un’impresa non è definibile in base alla sua dimensione, in termini di numero di addetti. È necessario sapere
cosa produce, che tecnologia utilizza, quali sono i suoi fornitori, in che rete di relazioni è inserita, la sua integrazione verticale, ecc.
Studiando l’industria meccanica a Bergamo, scopre che le imprese sono specializzate in poche fasi del processo produttivo, come aveva
ipotizzato Marshall molto tempo prima. Sono, dunque, imprese fortemente integrate fra loro, che producono l’una per l’altra, secondo una
rete di collaborazione coordinata all’interno di quella specializzazione produttiva. Brusco arriva alla conclusione che non si può assumere per
definizione che un’impresa di piccole dimensioni sia automaticamente inefficiente.

Dagli studi di caso all'analisi sistematica della storia dei distretti industriali in Italia
Non ci interessa sapere se l’impresa è una impresa metalmeccanica, ma ci interessa caprie quanto è specializzata
- identificazione spaziale dei distretti industriali: i sistemi locali del lavoro individuati utilizzando i dati censuari della mobilità casa-
lavoro studi di caso
- Brusco e Paba (1997) decidono di affrontare una analisi sistematica su tutto il territorio italiano: analisi quantitativa dello sviluppo
locale in Italia. Questa analisi quantitativa porta a una analisi della dinamica e della demografia dei distretti industriali dal 1951 al 1991

Piccole imprese isolate e piccole imprese nei distretti industriali


Quel lavoro ci dice che è vero che dobbiamo occuparci della specializzazione delle imprese, ma dobbiamo occuparci di cogliere se le imprese
di cui ci stiamo occupando sono solo definite sulla base della dimensione
Occorre distinguere le piccole imprese (“isolate”) che sono definite sulla base della dimensione (in termini di addetti), senza informazioni su:
– quale è il contesto in cui operano?
– quali sono le relazioni con altre imprese?
– quali sono le relazioni con altri contesti?
Le imprese isolate sono imprese che dovremmo trovare a prescindere dal sistema di relazione che le lega ad altre imprese e al sistema in cui
le imprese sono localizzate.
Le piccole imprese nei distretti industriali sono caratterizzati dall’intreccio di relazioni che intercorrono tra un sistema di imprese localizzato
in un certo territorio e la comunità locale che in quel territorio vive e lavora

Brusco e Paba (1995) ci ricordano che nell’analisi economica tutto ciò che non è misurabile non esiste. Arrivano a definire come sono nati i
distretti industriali e come sono cambiati, osservando alcuni dati.

Addetti della industria, per classe di dimensione, in alcuni paesi OCSE* primi anni ’90
*The Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD)
Il loro studio viene pubblicato nel 1997 ma parte nel 1995. Il punto di partenza della
loro osservazione sono i dati dell’OCSE, osservando quello che possiamo vedere in
questa tabella.
Guardando le “Classi di addetti” osserviamo che fanno riferimento a valori abbastanza
alti e, il valore maggiore è la soglia di 250 addetti, la quale rappresenta la soglia delle
piccole-medie imprese su scala europea (negli USA ad esempio questa soglia è di 500
addetti). Osserviamo imprese da 1 a 9 addetti con il 23% dell’occupazione in Italia, ma
anche in Spagna aveva quote simili poiché i due paesi hanno strutture produttive molto
simili.

Quota degli addetti per classe di dimensione dell’impresa in Italia

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Fatto 100 il totale degli occupati ogni anno, possiamo vedere che nelle
imprese da 1 a 9 addetti la quota degli addetti nel tempo prima diminuisce
poi aumenta, passando dal 32% al 22% e poi al 26%.
Per le imprese invece da 10 a 19 addetti la quota degli addetti aumenta
sempre passando dal 5,4% al 15,3%
Relativamente alle imprese da 20 a 49 addetti la quota degli addetti aumenta
significativamente e costantemente passando dal 8,7% al 16,3%
Le imprese piccolissime quindi diminuiscono e poi aumentano di nuovo, le
altre classi dimensionali aumentano
Nelle imprese da 100 a 199 addetti e da 50 a 99 addetti la quota rimane
pressoché costante
La quota di addetti nelle imprese grandi (imprese con oltre 499 addetti) ha
un tracollo importante.
Aumenta un pochino e poi diminuisce la quota nelle impresa da 200 a 499
addetti.

I dati 1951-1991 per dimensione di impresa


Anni Cinquanta:
• Polarizzazione dell’occupazione manifatturiera  tra il 1951 e
1991 vede una presenza di imprese piccole e una contrazione molto forte
dell’occupazioni di grandi imprese (con più di 500 addetti).
32,3% in imprese con meno di 9 addetti, 25% in imprese con più di 499 addetti
Anni Settanta e successivi decenni:
• Cambiamenti nella composizione dimensionale  diminuzione e successivo aumento della quota addetti in piccolissime imprese,
aumento della quota di addetti imprese con 10-50 addetti

Questa polarizzazione dell’occupazione manifatturiera è dovuta anche a due grandi trasformazioni che si verificano nell’economia italiana
Quando Brusco e Paba interpretano i risultati di questa trasformazione ci propongono due spiegazioni di due grandi trasformazioni:

1. Formazione del mercato nazionale in alcuni settori abbigliamento, tessile, calzaturiero, alimentare, legno, mobili che erano attività di
carattere artigianale destinate a soddisfare i mercati locali.
In questi anni quindi, si forma un mercato nazionale per tutta una serie di motivazioni come il miglioramento dei trasporti, il
ridimensionamento della produzione artigianale (produzione manuale in cui non è presente una standardizzazione) e, l’omogeneità degli stili
di vita e di consumo.
Quando si trasforma un mercato che da locale diventa mercato nazionale che cosa avviene?
 miglioramento trasporti che unifica il paese e lo rende più moderno e integrato
 omogeneità stili di vita e di consumo. Negli anni ’60 la televisione ha prodotto un cambiamento negli stili di vita, perché entra in misura
crescente in molte abitazioni, bar, luoghi di aggregazione e consente di vedere condizioni di vita diverse rispetto a quelle in cui si
viveva. La televisione attraverso la pubblicità influenza il modo di vivere della popolazione e svolge un ruolo di unificazione; si
potevano vedere modelli da seguire. La televisione ha soprattutto un ruolo fondamentale nel nostro paese per l’alfabetizzazione
primaria: l’Italia non aveva ancora una lingua parlata unificata e, inizia ad inserirsi nel mercato del lavoro la necessità della licenza
elementare ovvero l’alfabetizzazione base che a quel tempo era veramente scarsa.

2. Avvio del processo di integrazione europea, che si avvia negli anni Settanta e Ottanta. Un processo politico ma anche di integrazione
economica per consentire lo slancio dell’economia nel periodo post bellico
L’integrazione europea produce negli anni Settanta e Ottanta una esposizione alla concorrenza maggiore rispetto a quella che era presente nei
mercati locali e nazionali. Questa situazione sollecita le grandi imprese ad effettuare un processo di riorganizzazione produttiva per sfruttare
il più possibile le economie di scala (i costi si riducono all’aumentare della capacità produttiva installata), anche attraverso fenomeni di
disintegrazione verticale
Immaginiamo un processo produttivo con tre fasi (A, B, C).
Immaginiamo che sia un processo produttivo rappresentato in questo modo:
c = costi per unità di prodotto.
Immaginiamo che la prima fase sia una fusione in cui si sono economie di scala
importanti. Possiamo immaginare di avere una curva di costo per unità di prodotto
decrescente. Immaginiamo che la fase A produca un semilavorato che passa alla fase B,
ossia la lavorazione meccanica
Nella fase B abbiamo l’utilizzo di più torni.
Nella terza fase dobbiamo mettere insieme tutti i pezzi prodotti nella fase B. A questo punto
abbiamo un a curva di costo fatta cosi:
Questo perché possono essere operazioni completamente manuali
Se noi lo schematizziamo con una fase che ha rilevanti economie di scala, una fase che non
ha economie di scala e una fase in cui il raggiungimento della dimensione ottima d’impianto
è qualsiasi; allora immaginiamo che cosa vuol dire l’affermazione ‘la concorrenza
internazionale su scala europea aveva indotto una riorganizzazione produttiva attraverso la
disintegrazione verticale’. Se le cose stanno in questi termini una imprese può decidere di separare la fase A e di specializzarsi nella fase B e
C. Oppure può decidere di specializzarsi sempre nella fase B e C alla dimensione Q2, o a una dimensione più grande. Oppure può decidere di
specializzarsi in tanti pezzettini piccoli.
La quota di occupati di grandi imprese infatti si riduce scomponendosi in imprese di più piccole dimensioni.

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I sistemi locali del lavoro
Per poter individuare i distretti industriale una soluzione può essere quella di utilizzare, come proxy, la produzione all’interno dei sistemi
locali del lavoro.
Si concentrano quindi su un elemento che avevamo visto nella definizione di distretto industriale. Brusco e Paba usano un unità di analisi che
è il sistema locale del lavoro. I sistemi locali del lavoro sono delle aree geografiche sovra-comunali che prescindono da confini
amministrativi provinciali o regionali in cui si verificano gran parte degli spostamenti giornalieri per motivi di lavoro (possono essere comuni
limitrofi che appartengono a regioni o provincie diverse).
In un tale territorio si addensano e si integrano attività di produzione e di consumo, e si intrecciano relazioni lavorative, economiche, sociali e
culturali.
Nel 1979 Becattini pubblica un lavoro sul concetto di industria; Fabio Sforzi prende il riferimento di questo lavoro molto concettuale e cerca
di rendere operative la dimensione della popolazione d’impresa e comunità di persone. Individua nei SLL l’unità di analisi rilevante per
identificare spazialmente le comunità.
Nel 1971 l’ISTAT inserisce nel censimento della popolazione una domanda: quanto dista il luogo da lavoro dalla tua residenza? Prima era
del tutto irrilevante perché la maggioranza dei lavoratori lavorava dove viveva, perché non c’era modo di spostarsi in giornata.
Gli spostamenti casa-lavoro entrano nell’analisi dell’ISTAT nel 1971 e questo viene analizzato solo a metà degli anni ’80 perché prima non
c’erano modelli di analisi per poter calcolarli. Il contributo di Fabio Sforzi è importante perché definisce il modello di elaborazione perché
lui vuole capire se si possono rendere confutabili gli elementi di comunità. Se vivono e lavorano in quell’insieme di comuni quelle persone
scambieranno informazioni e avranno le stesse consuetudini di accesso ai servizi, avranno le stesse scuole, avranno gli stessi servizi
sanitari, ..
09/03
Configurazione territoriale dei sistemi locali del lavoro 2011
I sistemi locali del lavoro vengono identificati dall’ISTAT utilizzando i dati sugli
spostamenti giornalieri per lavoro.
Istat 2011 15 Censimento della popolazione
Nel censimento del 2011 troviamo 611 sistemi locali del lavoro (SLL)
spostamenti giornalieri casa/lavoro
Rispetto al 2001, si registra una riduzione di 72 unità
Nel corso del tempo i sistemi locali del lavoro diminuiscono in quanto migliorano i
trasporti e quindi si possono percorrere distanze più lunghe giornalmente, quindi
vengono incorporate più unità municipali e il numero dei SLL diminuiscono. Un
sistema locale diventa più ampio e automaticamente porta al fatto che uno ne ingloba
un altro.
Nb: a lungo le elaborazioni utilizzano il metodo Sforzi, ma tra il 2001 e il 2011
l’Europa decide di mettere mano all’algoritmo dell’elaborazione dei SLL, decide di
modificare i parametri e normalizza questo metodo per tutta Europa  nuova
metodologia «EURO»

Come individuare i distretti industriali?


ISTAT: i sistemi locali del lavoro
Fabio Sforzi (Istat-Irpet 1986)
Aree del mercato del lavoro locale: schema tempo-spazio della vita quotidiana della popolazione residente, (ove si innesta la gran parte delle
relazioni sociali ed economiche)

Sistemi locali del lavoro (SLL)


Entità territoriali costituite da aggregazioni di comuni. In base ai dati censuari l’Istat ha identificato:
• nel 1981: 955 SLL
• nel 1991: 784 SLL
• nel 2001: 686 SLL (683 utilizzando il metodo euro)
• nel 2011: 611 SLL (viene utilizzato il nuovo metodo)

I sistemi locali del lavoro (1951-1991)


Brusco-Paba (1997) quando osservano la struttura produttiva dell’Italia dal 1951 al 1991, osservano che nel 1981 ci sono 955 sistemi locali
del lavoro. A quel punto associano a questi SLL (aggregazioni di comuni) tutti i dati degli occupati nei censimenti precedenti e successivi
(dati del 1951, 1961, 1971, 1981, 1991). In questo modo riescono ad analizzare come cambia la struttura produttiva di quei SLL e cercano di
individuare un metodo per identificare quali di quei SLL ha condizioni da distretto industriale
Quindi come li individuiamo i distretti industriali? Dobbiamo definire i criteri per passare dai sistemi locali del lavoro ai distretti industriali.
Questo passaggio si fonda su 4 pilastri.

Dai sistemi locali del lavoro ai distretti industriali


Brusco e Paba ci dicono per identificare il carattere industriale del sistema locale occorre valutare nel sistema locale, la quota
che deve essere maggiore della media nazionale

Sostanzialmente prende tutta l’occupazione e distingue gli occupati manifatturieri sul totale degli occupati non agricoli. Quindi sta guardano
il peso del servizi di vario tipo e il commercio.
Osserviamo la quota degli addetti dell’industria manifatturiera rispetto al totale degli occupati non agricoli, perché vogliamo escludere
dall’analisi quei territori che hanno un carattere urbano (ovvero addetti nei servizi), quindi escludiamo le città grandi e medie in cui la quota
degli occupati nel settore dei servizi è più alta della media nazionale.

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La media nazionale diventa un punto di riferimento: prendo in totale in Italia quanti sono gli occupati manifatturieri sul totale degli occupati
non agricoli e, se il valore che osservo nel sistema locale è superiore alla media nazionale, quel sistema locale del lavoro ha un carattere
industriale. Il carattere industriale del sistema locale si basa sul peso che ha l’industria manifatturiera in termini di occupati.
1. Carattere industriale del sistema locale (escludere le città)

Successivamente è importante individuare i sistemi di piccole imprese. Quindi va a guardare le imprese piccole usando come soglia 250
addetti (soglia di riferimento a livello europeo che consente a Brusco e a Paba di fare un’analisi che risulta comparabile con i risultati di altri
paesi europei). Questo consente di identificare dei territori in cui si esclude in maniera significativa la presenza di imprese di grandi e
grandissime dimensioni.
Nel sistema locale, la quota deve essere maggiore della media nazionale
Il livello di riferimento è sempre la media nazionale
2. “Piccola” dimensione delle imprese del sistema locale

C’è un tema, richiamato nel modello di Becattini, che è il tema della specializzazione produttiva all’interno del distretto. Becattini dice che i
distretti sono specializzati in una o più fasi necessarie per la produzione di un certo prodotto finito. Occorre capire come definire il settore di
specializzazione
Avendo individuato i sistemi locali industriali e di piccola dimensione, vado a cercare la specializzazione del sistema locale e, ci deve essere
almeno 1 settore in cui gli occupati di quel settore sul totale degli occupati dell’industria manifatturiera di quel settore sia superiore della
media nazionale.
Nel sistema locale, almeno per un settore i , la quota deve essere maggiore della media nazionale
3. Specializzazione del sistema locale
Di base l’Istat definisce la specializzazione principale del distretto. Ma si potrebbero avere distretti industriali in cui c’è più di un settore che
risulta essere di specializzazione del distretto.
Questo succede per esempio a Carpi che ha una fortissima specializzazione nel settore abbigliamento e nel settore meccanica.
Quindi a seconda della chiave di lettura che ci interessa approfondire nella lettura dei sistemi industriali osserveremo Carpi o solo come
distretto del tessile-abbigliamento, o per le sue specializzazioni meccaniche o come distretto pluri specializzato. Le pluri specializzazione
sono un elemento molto interessante per capire come quel distretto industriale in realtà è in grado di affrontare vari shock esogeni che
possono colpire l’area in questione

Un ultimo criterio è capire se quel SLL è effettivamente specializzato in imprese di piccole dimensione
Nel sistema locale, almeno per un settore i , in cui il sistema è specializzato, la quota
deve essere maggiore della media nazionale
4. Specializzazione di piccola impresa del sistema locale

Dal punto di vista operativo questo diventa il riferimento che utilizza l’Istat nella successiva classificazione dei distretti, dopo il saggio di
Brusco e Paba. L’Istat non solo cambia l’algoritmo per definire i sistemi locali del lavoro, ma introduce alcuni elementi importanti per
eliminare l’esclusione delle aree urbane perché diventano un elemento integrante dell’attività stessa dei distretti. Sono luoghi in cui si
concentrano i servizi utilizzati nei distretti, e quindi il motivo per cui l’Istati prima non li considera e poi si è perché si sta modificando la
configurazione dell’organizzazione della produzione. L’Istat deve dare conto di questi cambiamenti per analizzare la struttura economica e
sociale dei territori.
Le aree urbane sono aree molto diverse che nel tempo si somigliano tutte. Ad esempio, tendenzialmente fino agli anni ’90 le aziende
metalmeccaniche erano a Bologna. Negli anni 2000 iniziano a chiudere e si posizionano fuori dal sistema locale di Bologna.

Algoritmo per identificare quali SLL sono distretti industriali


Questo algoritmo ci consente su queste quattro condizioni di presumere che un certo gruppo di sistemi locali del lavoro abbiano delle
caratteristiche che Brusco e Paba chiamano pre-distretti. Sistemi locali del lavoro il cui apparato produttivo è compatibile con la natura di
distretto:
• quota occupazione manifatturiera,
• quota di occupazione in piccole imprese,
• quota di occupazione per settore (specializzazione)
• quota di occupazione di piccola impresa nel settore specializzazione
Si può presumere che i SLL selezionati siano distretti industriali “predistretti”, ossia territori che possono essere candidati a essere analizzati
per verificare se sono effettivamente dei distretti dal punto di vista dell’integrazione di quella comunità di persone e popolazione d’imprese.

Come identificare quali sono distretti industriali? Occorre effettuare degli studi di caso
Insieme di imprese che opera in un certo territorio (vedi algoritmo)
Altri elementi che caratterizzano la natura distrettuale:
• comunità di persone che condivide valori e competenze che contribuiscono al successo dell’apparato produttivo
• sistema di regole e codici di comportamento che inducono competitività e innovazione
• istituzioni che favoriscono la crescita e i caratteri propri della comunità (amministrazioni pubbliche, associazioni di imprese,
associazioni culturali)
• economie esterne all’impresa ma interne al territorio
Le economie esterne sono economie di scala che invece di riguardare una singola impresa riguardano un intero settore. Le economie
esterne parlano di vantaggi che derivano dalla localizzazione dell’impresa in un determinato territorio e di vantaggi connessi con le
interazioni che tendenzialmente immaginiamo producano un effetto positivo per le entità economiche che stiamo analizzando ma che
misuriamo molto difficilmente.
Tutti questi elementi sono tutti elementi che non riusciamo a cogliere dall’algoritmo ma nemmeno dalle statistiche disponibili e dovremo
quindi studiare volta per volta di cosa si tratta

13
Come facciamo a definire una specializzazione?
Classificazione delle attività economiche
Attenzione al livello di disaggregazione settoriale che definisce la specializzazione
• ISTAT http://www.istat.it/
• Definizioni e classificazioni
• Classificazione delle attività economiche – Ateco (attività economiche). La classificazione Ateco è una
classificazione di tutte le attività economiche svolte in un paese, divise in diverse categorie e secondo diversi gradi di dettaglio
• Consultazione Ateco 2007
o sezione [lettere]
o divisione [2 cifre]
o gruppo [2 cifre oltre la divisione]
o classe [2 cifre oltre la divisione e il gruppo]
Gli elementi della struttura dell’organizzazione si chiamano sezioni (sono identificate con lettere), le sezioni sono in ordine alfabetico, e ogni
sezione ha una descrizione della classificazione inerente a quella attività e i criteri per cui vengono classificate quelle attività. La sezione è
ulteriormente divisa in divisioni (indicate con due cifre del codice) per esempio la sezione “attività manifatturiera” e divisa a sua volta di
divisioni quali: “industrie alimentari”, “industrie delle bevande”, “industrie del tabacco” ...
Se considero la divisione “dell’industria tessile” ho una descrizione dell’attività e successivamente c’è un’ulteriore divisione in gruppi
(indicate con 2 cifre nel codice). I gruppi a loro volta si suddividono in classi (2 cifre presenti nel codice).
• Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici (Ateco 2007)

Proviamo ad immaginare che stiamo calcolando la specializzazione di un sistema locale del lavoro e quindi stiamo guardando un certo
settore i, la quota degli occupati rispetto agli occupati totali dell’industria manifatturiera. Mettiamo il 13 “industrie tessili” sul totale delle
industrie manifatturiere, cioè dal 10 al 33 (somma di tutta la sezione c). A questo punto noi otteniamo un risultato che dobbiamo confrontare
con la media nazionale.
Invece di guardare l’industriale tessile, possiamo guardare ad un livello di disaggregazione maggiore e quindi prendiamo i dati degli occupati
della tessitura sul totale degli occupati manifatturieri di quel sistema locale del lavoro e lo confrontiamo con gli occupati della tessitura in
Italia sul totale degli occupati manifatturieri in Italia.
I livelli di aggregazione o disaggregazione vengono definiti come le cifre, per cui una aggregazione molto alta è perché la classificazione è a
due cifre, una disaggregazione maggiore ha un numero maggiore di cifre (4).
11/03
Ci sono dei livelli di analisi in cui la classificazione a due cifre dell’attività economica è più che sufficiente per avere una idea dei fenomeni
aggregati. In altri casi occorre entrare nel dettaglio.

Distretti 1951
Questa mappa serviva ad evidenziare quali
dei territori che sono stati identificati come
SLL nel 1981 erano distretti industriali nel
1951 (manifatturieri, di piccola-media
impresa, specializzati e specializzate con
imprese di piccole dimensione)
L’osservazione che Brusco e Paba fanno è
che i distretti industriali erano largamente
presenti in tutta Italia da nord a sud.
C’erano della aree con maggiore intensità di
carattere distrettuale, come Toscana,
Veneto, Calabria, Sicilia, Puglia.

Distretti 1971
Nel 1971 osserviamo una geografia diversa.
La presenza di SLL a carattere industriale è
praticamente assente nel Mezzogiorno
(centro, sud e isole). È molto più intensa in

regioni del centro, come le Marche,


Veneto e Toscana

Distretti 1991
Nel 1991 Brusco e Paba dimostrano che
nel centro Italia c’era una fortissima
presenza di distretti industriale
Si intensifica la presenza di aree a
carattere industriale lungo la costa
adriatica (Marche).

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Distretti nel 1991, per anno di crescita
Brusco e Paba ci consegnano una riflessione di una trasformazione molto
importante delle specializzazioni territoriali
Nel nord vediamo l’aumento dell’attività distrettuale che si porta dietro
un’attività imprenditoriale, un intreccio virtuoso tra comunità e popolazione
d’imprese
Nel Sud tutto questo non c’è, anzi abbiamo delle decisioni di politiche pubbliche
molto particolari. Abbiamo i grandi investimenti che attirano risorse pubbliche
ingenti e hanno l’obiettivo di portare l’industrializzazione nel mezzogiorno.
Si creano quindi nel mezzogiorno le premesse per il divario crescente che si
accentua negli anni successivi in quanto la politica non è riuscita a dare risposte
efficaci.
Tutto questo cambia la geografia della produzione industriale in Italia

Quota della occupazione manifatturiera dei distretti - Dinamica vs. livello


assoluto
Ci fanno vedere che
nel corso degli anni
(dal ’51 al ’91) la
quota
dell’occupazione manifatturiera nei distretti sul totale aumenta. Ma questa quota
aumenta perché in alcune aree del paese aumenta tantissimo e in altre aree del
paese si azzera perché quei territori non hanno più carattere industriale. Non
hanno più un carattere industriale molti dei SLL del Mezzogiorno. Il
Mezzogiorno è il luogo di una trasformazione strutturale delle attività
economiche, si ha la scomparsa quasi totale dell’attività artigianale. Tutte queste
produzioni vengono spazzate via dalla costruzione di industrie che servono
l’intero territorio nazionale.
Di fronte alla caduta della domanda locale le migliori competenze del
Mezzogiorno emigrano andando al Nord. Emigrano perché aumentando il
livello di meccanizzazione si riduce la domanda di lavoro nel settore agricolo,
emigrano perché si riduce la domanda dei beni che venivano prodotti su scala
artigianale localmente, emigrano perché nel nord c’è una domanda crescente di
lavoro. L’industria aumenta a ritmi incredibili
Negli anni ’70 a Sassuolo comunità enormi che venivano dalla Campania o
Umbria si insediavano nell’area di distretto dove c’era una domanda importante di lavoro per la crescente industria delle piastrelle.
Da un lato sono l’opportunità di avere verso il Mezzogiorno le rimesse degli emigrati. Gli emigrati vanno al nord o all’estero e mantengono
le famiglie nei luoghi di origine. Si crea quindi un divario nella società in cui il benessere aumenta grazie alle rimesse degli emigrati (gli
emigrati rimandato a casa buona parte del reddito), ma in quei luoghi non ci sono più le competenze per rifare le cose ordinarie. Questo mette
in crisi molte aree del Mezzogiorno dove progressivamente i sapere più banali vengono meno, quindi anche le aspirazioni verso l’impiego di
quei saperi vengono meno.
Possiamo vedere che l’occupazione aumenta non solo nelle imprese molto piccole, ma anche nelle imprese da 20 a 200 addetti.

Demografia dei distretti industriali


Vediamo che tra il ’51 e il ’61 c’è un tasso di sopravvivenza che è molto
basso (infatti avevamo visto sopra che molti distretti industriali che
vedevamo nel ’51, erano spariti nel ’61). Quindi possiamo dire che i
distretti industriali hanno una variazione che vede un’alta mortalità nel
primo decennio (tasso del 59%).
Abbiamo però anche la nascita di nuovi sistemi locali nel ’61 e continuano
a

nascere negli anni ’70 e ’80.

Variazione dell’occupazione
La variazione totale dell’occupazione nei distretti nel 1981-1991
vede un aumento complessivo di quasi il 10%. A quell’aumento
complessivo sconta una diminuzione di oltre il 10% nelle imprese

15
manifatturiere. La variazione dell’occupazione dei distretti è quello che evita il tracollo dell’occupazione industriale in Italia, in quanto
complessivamente diminuisce del 10,36%.
Abbiamo quindi un cambiamento strutturale che riguarda molti aspetti: la geografia (il Sud non decolla nello sviluppo industriale),
demografie di imprese (muoiono le imprese dei distretti del Sud e aumentano quelle del nord) e strutturale (dal punto di vista
dell’occupazione nei settori di specializzazione troviamo dei cambiamenti importanti)

Quota della occupazione totale dei distretti sul totale della occupazione nazionale
Questo grafico consente di vedere più elementi di variazione dello stesso settore
Nel totale manifatturiero tra il 51’ e il 61’ aumenta la quota
dell’occupazione totale dei distretti sul totale dell’occupazione nazionale.
Mentre nel tabacco diminuisce molto nel 1971.
Questo grafico ci fa capire che ci sono dei fenomeni in cui l’occupazione di
un settore può rimanere stabile, può diminuire e poi aumentare di nuovo.
Relativamente al tessile (settore di specializzazione simbolo dell’attività
economica dei distretti) aumenta la quota dell’occupazione totale dei
distretti passando dal 5% ad oltre 50% nel 1991. Lo stesso è per
l’abbigliamento e calzature anche se il carattere industriale era più presente
rispetto al tessile già nel 1951.
Solo in alcuni settori come pelli e cuoio e tabacco c’è una piccola
diminuzione

Traccia della lezione


• Che cosa sono i distretti industriali?
• Motivi della trasformazione della struttura produttiva: 1951-1991. Per
l'analisi dei distretti industriali: distinguere tra piccole imprese isolate
e sistemi di imprese.
Due grandi trasformazioni: (1) formazione del mercato nazionale in alcuni settori (abbigliamento, tessile, calzaturiero, alimentare,
legno, mobili); grazie anche al miglioramento dei trasporti e alla crescente omogeneità di stili di vita e di consumo; l'emergere di un
mercato nazionale si accompagna al ridimensionamento della produzione artigianale; (2) avvio del processo di integrazione europea,
con effetti negli anni Settanta e Ottanta: maggiore esposizione delle imprese alla concorrenza; effetti anche sulle grandi imprese;
riorganizzazione produttiva caratterizzata dal raggiungimento di economie di scala e da processi di disintegrazione verticale.
• Piccole imprese isolate vs. sistemi di imprese.
• Definizione dei SLL. Come si identificano i distretti industriali (quattro condizioni che consentono di identificare i "predistretti"; studi
delle caratteristiche economiche e sociali, culturali dei predistretti).
• La geografia dei distretti industriali tra il 1951 e il 1991.
• Nuovi strumenti di analisi per spiegare la dinamica dei sistemi di piccola impresa: nascita e scomparsa dei distretti. Interesse per lo
sviluppo dei distretti ai fini di una politica dello sviluppo locale
• Classificazione delle attività economiche Ateco 2007: vedi sito dell'ISTAT http://www.istat.it per la struttura della classificazione:
sezioni (lettere); divisioni (due cifre), classi (3, 4, 5 o 6 cifre)
• *Adam Smith (1723-1790): estratto sul tema della divisione del lavoro: esempio della fabbrica degli spilli
Adam Smith scrive questo saggio fondamentale per lo sviluppo del pensiero economico. Sposta l’economia fuori dal dominio della
filosofia facendola diventare scienza a sé stante.
Smith ha una domanda: da dove viene fuori la ricchezza delle nazioni? Cosa determina le differenze nei livelli di ricchezza tra i paesi?
Adam Smith è uno dei più grandi sostenitori della concorrenza e ci racconta un elemento fondamentale, ossia che alla base della
ricchezza delle nazioni c’è il principio della divisione del lavoro.
La scomposizione dei processi produttivi in fasi consente numerosi tipi di miglioramenti che favoriscono la possibilità di una migliore
organizzazione del lavoro, una maggiore produttività e dei minori costi.

Domande
 In che modo possiamo analizzare e descrivere l'andamento nel tempo di una variabile rappresentata in un
grafico?
 Perché diminuisce l'occupazione in agricoltura?
 Come muta la struttura dell'occupazione in Italia nel secondo dopoguerra?
 Quale è il livello e la composizione dell'occupazione nelle macro-regioni?
 Che cosa favorisce la concentrazione spaziale delle attività economiche?
 Che cosa determina la specializzazione di un'impresa?
 Che cosa sono le economie di scala? in che cosa si differenziano dalle economie di utilizzo (o economie di
impianto)?
 Quali sono i vantaggi della divisione del lavoro?
 In che modo distinguiamo le piccole imprese isolate dalle imprese che operano nei distretti industriali?
 Tra il 1951 e il 1991, quali fattori hanno determinato i cambiamenti nella composizione dell'occupazione
industriale in Italia, per classe di dimensione delle imprese?
 Perché la creazione di un mercato nazionale ha favorito la produzione su scala industriale di prodotti
dell'abbigliamento, tessile, calzaturiero, mobili?
 Attraverso quali canali, la creazione del mercato europeo ha favorito lo sviluppo di alcuni settori produttivi? Di

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quali settori si tratta?
 Che cosa sono i distretti industriali?
 Come cambia la geografia dei distretti industriali tra il 1951 e il 1991?
 In che modo si modifica la domanda di beni negli anni Settanta e Ottanta? in che cosa consiste la crisi del
fordismo?
 Che cosa è il decentramento produttivo?
 Perché l'analisi dei cambiamenti nelle caratteristiche qualitative della domanda ci aiuta a comprendere
l'affermarsi dei distretti industriali in Italia?
 Dagli anni Settanta, l'aumento della quota di addetti nelle imprese di piccola dimensione corrisponde alla
ripresa della produzione artigianale?
 Che cosa è l'atmosfera industriale di cui parlava Marshall?
 Che cosa sono i sistemi locali del lavoro?
 In che modo si misura la specializzazione industriale dei sistemi locali del lavoro?
 Perché quando si definisce la specializzazione produttiva occorre specificare a quale livello di disaggregazione
delle attività economiche ci si riferisce?
 Perché ci si riferisce al livello di disaggregazione indicando il numero di cifre della classificazione ATECO
 Che cosa è la classificazione Ateco 2007 e dove si trovano le informazioni? Riguardano solo l’Italia?
 Perché i fattori strettamente economici spiegano poco del successo e del declino dei distretti industriali?
 In Italia, che effetti ha prodotto l'emigrazione dal Sud verso il Nord del paese? Nei distretti ci sono solo
imprese piccole?
 Quali esempi di integrazione tra imprese piccole e grandi si osservano nei distretti industriali?
 Nei distretti ci sono imprese specializzate nella produzione di un unico prodotto?
 Che differenza c'è tra prodotti e processi produttivi?

Viesti G. (2021) L’industrializzazione del Mezzogiorno: le dinamiche del XXI secolo.

Intensità dell’occupazione manifatturiera 2018


Confronti internazionali in Europa e tra le macroregioni italiane, variazione percentuale 2008-2018
Viene fatto un confronto internazionale tra Italia e le
sue macroregioni e alcuni paesi importanti in quanto
si stanno sviluppando oppure sono economie con cui
noi ci confrontiamo.
Si trovano una serie di tabella dove, nei confronti tra
l’Europa e le macroregioni italiane, osserviamo gli
occupati per 100 abitanti e la popolazione.
Possiamo vedere che abbiamo una variazione
negativa tra il 2008 e il 2018.
Fino al 2008 l’occupazione cresce moltissimo,
dopodiché la turbolenza della crisi economica-
finanziaria ha un impatto fortissimo sull’economia
reale, chiudono le imprese e si contrae moltissimo il
numero degli occupati.
Quindi vediamo variazioni con segno negativo
nell’occupazione manifatturiera praticamente
ovunque in Italia, ma soprattutto nelle aree del sud,
isole e centro. Mentre il Nord ovest ha variazioni
superiori rispetto al Nord est.
Nei 20 anni in cui si gioca la trasformazione dello
slancio della crescita delle attività distrettuali, al Sud
non è successo nulla di rilevante.
Il pezzo di sviluppo manifatturiero del nostro paese non ha portato l’Italia al livello della Germania che ha una variazione di +22,2%. In
Europa aumenta in Ungheria, in Polonia e in Slovacchia. Nella Repubblica Ceca diminuisce poco. Questi ultimi quattro paesi sono essenziali
per capire la crescita dell’economia tedesca in quanto deve il suo forte slancio in quel periodo alla dinamica di crescita dell’unificazione tra
le due Germanie e all’espansione dei
mercati di approvvigionamento di
semilavorati che la Germania ottiene da
quei quattro paesi.
Questi dati ci restituiscono una
composizione strutturale che è diversa nelle
diverse economie nazionali, ma è una
situazione che vede un aumento del divario
nelle aree del Mezzogiorno, in particolare
nel Sud e nelle isole

Confronti internazionali in Europa:


macroregioni e regioni, variazione
percentuale 2008-2018

17
Qui invece il confronto è ancora più crudo perché mette a confronto alcune delle regioni e macroregioni italiane con altre regioni europee. Il
confronto è tra le regioni del centro sud che sono confrontabili con le regioni più arretrate d’Europa.
Non solo le macroregioni scontano una diminuzione all’occupazione, ma le singole regioni mostrano dei livelli di arretramento molto gravi

Valore aggiunto 2000 e 2018 (a prezzi concatenati)


Alcuni settori manifatturieri (NACE 4 cifre), Italia e mezzogiorno
Il mezzogiorno ha un carattere molto
residuale rispetto al valore aggiunto di
alcuni settori manifatturieri
La cosa interessante è che qui vediamo
che dal punto di vista strutturale i
settori manifatturieri che compongono
la nostra economia a livello nazionale e
a livello di aree del Mezzogiorno sono
settori che hanno differenze tra di loro
notevoli.
Ci sono alcuni settori che mancano,
come l’industria meccanica, la capacità
di costruire macchinari e di fare
lavorazioni meccaniche.
La produzione di macchinari è un
aspetto che differenza in maniera
radicale il potenziale di sviluppo dei
paesi. Produrre i macchinari per
realizzare processi di trasformazione è
una competenza straordinaria.
In Emilia-Romagna nei primi anni del
‘900 non si producevano macchinari,
ma era una economia agricola. Questa
pianura padana diventa poi una fonte
fondamentale di una invenzione che ha
cambiato il volto della pianura padana,
ossia le pompe da usare in agricoltura.
Sono un nucleo di competenze che intreccia meccanica e coltivazione.

Produttività del lavoro 2000 e 2018 (valore


aggiunto a valori concatenati diviso per numero di
occupati)
Totale attività economiche, manifatturiere, alcuni
settori manifatturieri (NACE 4 cifre), Italia e
mezzogiorno
La produttività del lavoro è difficilmente
confrontabile a questo livello di aggregazione.
Tuttavia possiamo vedere un divario importante
di questo indice sintetico rispetto all’Italia
Solo nella fabbricazione di coke e prodotti
derivanti dalla raffinazione del petrolio la
produttività è più alta in quanto nel Mezzogiorno
c’è una composizione produttiva a favore della

delocalizzazione di imprese nelle aree del


Mezzogiorno

Addetti manifatturieri, 2011-2019


(NACE 2 cifre), Italia e mezzogiorno

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Variazione degli addetti manifatturieri 2001-2019
Asse x: variazione % mezzogiorno
Asse y: differenza mezzogiorno Italia
I dati che noi troviamo riguardano la variazione degli
addetti manifatturieri. I segni giallo e verde
rappresentano la media della variazione di tutti i
settori manifatturieri e il riferimento alle differenze
con l’Italia
Se consideriamo che cosa succede nella variazione
degli addetti manifatturieri abbiamo due settori in cui
la variazione è molto positiva e molto superiore
rispetto a quello che succede in Italia (farmaceutica e
altri mezzi di trasporto). Nel Mezzogiorno l’industria
farmaceutica è più importante ma a valori contenuti,
la componentistica auto invece è localizzata in
maniera più significativa nel Mezzogiorno

Peso del manifatturiero sul totale nazionale 2001-


2019
(NACE 2 cifre)
Questo grafico mostra il peso del manifatturiero sul
totale nazionale dal 2001 al 2009
Nel quadrante in alto a destra troviamo settori che nel
mezzogiorno hanno un peso relativamente maggiore rispetto al
peso che hanno in Italia.
Si tratta di un peso che aumenta nel 2001
Per converso, nel terzo quadrante osserviamo i settori che hanno
un peso che diminuisce e sono inferiori alla media nazionale.
14/03
Capitolo 3: Specializzazione delle imprese

Specializzazione delle imprese: la divisione del lavoro


Adam Smith: An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776 l
La ricchezza delle nazioni si basa sulla divisione del lavoro (che richiede coordinamento)  L’esempio della fabbrica di spilli. In questo
saggio il pensiero economico affronta il problema delle differenze delle condizioni di vita e prosperità nelle diverse parti del mondo.
Specializzazione nella fabbrica di spilli e tra varie produzioni

Adam Smith, libro primo, cause che migliorano la capacità produttiva del lavoro …
Pagina 79, capitolo I La divisione del lavoro
Sembra che il grandissimo progresso della capacità produttiva del lavoro e la maggiore abilità, destrezza e avvedutezza con le quali esso è
ovunque diretto o impiegato siano stati effetto della divisione del lavoro. Gli effetti della divisione del lavoro, nei rapporti generali della
società, si comprenderanno più agevolmente considerando in quale maniera essa operi in alcune particolari manifatture. Comunemente si
suppone che la divisione del lavoro sia spinta al massimo nelle manifatture secondarie; forse, non in quanto essa sia realmente più spinta in
queste che in altre manifatture di maggior importanza; ma perché nelle manifatture secondarie destinate a provvedere ai piccoli bisogni di
poche persone soltanto, il numero di addetti deve essere necessariamente piccolo; e coloro che attendono ai differenti rami possono spesso
essere riuniti nella stessa officina e posti contemporaneamente sotto lo sguardo dello spettatore. Al contrario, nelle grandi manifatture
destinate a provvedere ai grandi bisogni di massa ogni differente ramo impiega un numero di operai talmente elevato che è impossibile
raccoglierli tutti nella stessa officina. Raramente si possono osservare ad un tempo più di quelli occupati in un singolo ramo. Quindi, sebbene
in queste manifatture il lavoro possa essere realmente suddiviso assai più che in quelle di minore importanza, la divisione non è altrettanto
ovvia ed è stata pertanto osservata molto meno.
Prendiamo dunque un esempio da una manifattura di scarsa importanza ma in cui la divisione del lavoro è stata molto spesso notata, quella
della fabbricazione degli spilli. Un operaio non addestrato in questa attività (della quale la divisione del lavoro ha fatto un mestiere distinto),
né abituato all'uso delle sue macchine (l'invenzione delle quali è probabilmente stata determinata dalla stessa divisione del lavoro), potrebbe
forse a malapena, impegnandosi al massimo, fare uno spillo al giorno, e certamente non potrebbe farne venti. Ma nel modo in cui ora viene
svolta, non soltanto questa attività è un lavoro specializzato, ma è divisa in molti rami, la maggior parte dei quali parimenti specializzati. Un
uomo svolge il filo metallico, un altro lo drizza, un terzo lo taglia, un quarto lo appuntisce, un quinto lo arrotonda nella parte destinata alla
capocchia; per fare la capocchia occorrono due o tre distinte operazioni; il montarla è un lavoro particolare e il lucidare gli spilli è un altro,
mentre mestiere a sé è persino quello di incartarli. La fabbricazione di uno spillo è così divisa in circa diciotto distinte operazioni, che in

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talune fabbriche sono eseguite da mani distinte, sebbene in altre lo stesso uomo ne esegua talvolta due o tre. Ho visto una piccola fabbrica di
questo tipo dove lavoravano soltanto dieci uomini e quindi dove taluni di essi eseguivano due o tre distinte operazioni. Ma sebbene fossero
poverissimi e quindi scarsamente attrezzati delle macchine necessarie, essi potevano, applicandosi, fare tra tutti circa dodici libbre di spilli al
giorno. In una libbra vi sono oltre quattromila spilli di media grandezza. Quelle dieci persone potevano, quindi, fare complessivamente oltre
quarantottomila spilli in un giorno. Ognuno, facendo la decima parte di quarantottomila spilli, faceva quindi in media quattromila ottocento
spilli al giorno. Ma se avessero lavorato separatamente e indipendentemente, e se nessuno di loro fosse stato addestrato a questo speciale
mestiere, essi certamente non avrebbero potuto fare venti e forse nemmeno uno spillo al giorno ciascuno; cioè certamente nemmeno la
duecento quarantesima parte e forse nemmeno la quattromila ottocentesima parte di ciò che essi sono ora capaci di eseguire in conseguenza
di una adeguata divisione e combinazione delle loro differenti operazioni.
Specializzazione: divisione del lavoro ed economie di scala
Adam Smith: An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776
La ricchezza delle nazioni si basa sulla divisione del lavoro (che richiede coordinamento)  L’esempio della fabbrica di spilli
Specializzazione:
• tra varie produzioni: "la stessa persona doveva scavare il metallo dalla miniera, separarlo dal minerale, forgiarlo, dividerlo in piccole
aste, poi dividere queste aste in filo metallico... un uomo potrebbe con al massimo produrre uno spillo in un anno”
• nella fabbrica di spilli: 18 diverse operazioni
o Se ogni lavoratore fosse impiegato su tutte le operazioni potrebbe al massimo produrre uno spillo al giorno
o Se ogni lavoratore fosse impiegato solo su una o due delle operazioni richieste potrebbe produrre diverse migliaia di spilli al giorno

La fabbricazione di spilli - una produzione molto insignificante


Perché la produttività del lavoro aumenta?
1. aumento della destrezza in ogni particolare operaio e in ogni impresa grazie alla specializzazione;
2. risparmio del tempo che comunemente si perde nel passare da una specie di lavoro all'altra;
3. invenzione di un gran numero di macchine che facilitano e riducono il lavoro, e permettono ad un uomo di fare il lavoro di molti. Un
lavoratore riesce ad essere più produttivo perché si riescono a inventare macchine adatte a eseguire una singola lavorazione
[ Settore verticalmente integrato vs. impresa verticalmente integrata]
La divisione del lavoro:
- è limitata dalla dimensione del mercato, ma crea - nel tempo - mercati sempre più ampi
- richiede coordinamento

Coordinamento delle decisioni di produzione delle imprese


In che modo avviene il coordinamento delle decisioni di produzione delle imprese?
Quali decisioni?
- che cosa produrre?
- quanto produrre?
- in che modo produrre?
- quale tecnologia e quale organizzazione della produzione adottare?
- in quale luogo produrre?
Abbiamo molti elementi su cui le decisioni devono essere prese da parte delle imprese

Richardson (EJ 1972)


“In passato avevo l'abitudine di dire agli studenti che le imprese potevano essere visualizzate come isole di coordinazione pianificata in un
mare di relazioni di mercato.”
La sua idea di economista che guardava al mondo dell’organizzazione era che ogni impresa poteva essere considerata una isola di
coordinazione pianificata all’interno di un mare di relazioni di mercato. Le imprese erano completamente indipendenti le une dalle altre che
definivano al loro interno tutto quello che è necessario da definire rispetto a come produrre, in che luogo produrre, cosa produrre, quanto
produrre, con quale tecnologia. Tutte queste decisioni vengono prese all’interno dell’impresa.

L’idea implicita nella dicotomia tra queste due forme di coordinamento


Rispetto alla programmazione consapevole c’è la direzione che mantiene il controllo all'interno delle imprese;
Nel mercato il coordinamento avviene attraverso il meccanismo dei prezzi. Si tratta di un meccanismo che informa gli agenti economici
Es: aumenta il prezzo del carburante. i consumatori capiscono che c’è una scarsità di metano, ci sono problemi che influenzeranno il sistema
dei trasporti. L’aumento del prezzo mi informa che c’è qualcosa che sta succedendo.
I prezzi si portano nella loro variabilità delle informazioni che danno ai soggetti che entrano in relazione nei mercati.
Il mercato coordina attraverso il meccanismo dei prezzi, se il prezzo aumenta significa che c’è una grande quantità che viene domandata data
la dimensione dell’offerta; viceversa se il prezzo diminuisce c’è un eccesso di offerta rispetto alla domanda. Il mercato attraverso il
meccanismo dei prezzi informa e coordina rendendo possibile l’aggiustamento verso la riduzione della domanda o verso il possibile aumento
dell’offerta per far fronte a un incremento della domanda.
Il meccanismo dei prezzi “spontaneamente” agisce sulle relazioni:
– tra le imprese che producono uno stesso prodotto  relazioni orizzontali
– tra le imprese e i loro clienti e fornitori  relazioni verticali

Relazioni tra le imprese


Le attività che le imprese svolgono vengono realizzate attraverso una fitta rete di cooperazione/collaborazione e affiliazioni per mezzo della
quale le imprese sono connesse tra loro, a prescindere dalle relazioni che riescono ad avere attraverso i mercati
Le imprese quindi possono ottenere informazioni non solo dai prezzi, ma direttamente dalle altre imprese con cui entrano in relazione
nell’acquisto e nella vendita.

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Esempio di che cosa vuol dire ‘le informazioni che si riescono ad avere attraverso la cooperazione, collaborazione e affiliazioni’: questo
esempio riguarda fornitori di componenti meccaniche che erano molto lontani dai mercati di uso dei loro componenti. La crisi del 2008 parte
dal mondo della speculazione immobiliare e arriva dopo un po' all’economia reale. Gli imprenditori non pensavano che la crisi riguardasse
anche loro, in alcuni settori c’era una totale distanza tra quello che succedeva nei mercati finanziari e quello che poteva succede all’economia
reale
Hanno iniziato a capire quello che stava succedendo quando i produttori di componenti per le macchine di edilizia hanno incominciato a non
ricevere più ordini in quanto la dinamica di crescita delle macchina dell’edilizia era sostenuta dalla espansione del settore edilizio. Iniziano
quindi a ridursi drasticamente le commesse
Che cosa succede all’interno di queste imprese quando i committenti cessano di alimentare una domanda sistematica? Viene meno anche un
canale informativo in quanto come produttori di componenti non si erano mai posti il problema di studiare i mercati finali. Loro della
dinamica dei mercati finali erano informati attraverso la dinamica delle commesse che ricevevano in maniera diretta o indiretta. Questo è
stato un blocco informativo drammatico perché molte imprese, soprattutto le piccole imprese, non avevano altro canale di informazione che
quello dei loro committenti e fornitori. Il venir meno delle relazioni tra imprese blocca i canali informativi.
L’impossibilità di avere informazioni impedisce alle imprese di prendere decisioni strategiche rispetto a quanto produrre, cosa produrre, in
quale luogo e con quale tecnologia produrre.
I meccanismi dei prezzi sono potentissimi perché immediatamente veicolano informazioni sull’andamento della domanda e dell’offerta. Ma
in un contesto in cui non è quello il canale d’informazione, il venire meno delle informazioni paralizza l’azione strategica dell’impresa o la
orienta verso scelte che non sono quelle più efficaci.

La più semplice forma di collaborazione fra imprese: una relazione di compravendita, fra due o più parti, che sia abbastanza stabile da
determinare aspettative di domanda più attendibili e perciò tali da facilitare la programmazione della produzione. Le parti stabiliscono quanto
comprare e quanto vendere

Come si ottiene tale collaborazione?  coordinamento?


– volontà di collaborazione oppure
– stipulando accordi più formali, contratti a lungo termine o partecipazioni azionarie.
Il coordinamento è necessario:
• Per bilanciare le quantità di input e output che vengono prodotte dalle diverse imprese che entrano in relazione
• Per garantire specifiche caratteristiche qualitative dei prodotti
Es: sulle specifiche della copertina di un libretto di istruzioni (rosso Ferrari)
Le caratteristiche qualitative e dimensionali dei prodotti sono elementi essenziali. Il coordinamento qualitativo è un aspetto strategico in tutte
le produzioni in quanto in assenza non si riescono a mettere assieme componenti che devono essere assemblate.
La supremazia dell’industria americana nell’800 non è dovuta al fatto che loro avessero tante materie prime e mercati in espansione, ma è
dovuta al fatto che inventano macchine utensili che consentono loro di raggiungere dei livelli di precisione tali da consentire la produzione
separata dei singoli componenti che vengono poi assemblati in maniera indipendente tra di loro (es. fucili).

Un’altra forma di cooperazione


Le imprese che contano l'una sull'altra per la produzione e la commercializzazione

Cooperazione senza partecipazioni o contratti


Esempio: M&S/Zara/H&M e le imprese da cui si fornisce si coordinano nelle funzioni di ricerca e sviluppo,
produzione e commercializzazione
• in assenza di partecipazioni della Marks & Spencer al capitale azionario dei suoi fornitori
• e persino senza la stipulazione di contratti a lungo termine.
Accordi di cooperazione per trasferire tecnologia
Accordi basati sulla concessione o l'utilizzazione comune di brevetti e tecnologie. Questa è un’altra forma di cooperazione molto importante
in alcuni domini tecnologici

Cooperazione vs transazioni di mercato


Come si può distinguere in quali casi l’impresa farà ricorso alla cooperazione e in quali casi sarà attiva nelle transazioni di mercato per capire
quali decisioni prendere?

C’è cooperazione quando


• i contraenti accettano un certo numero di vincoli relativi alla loro reciproca condotta futura. Il committente si impegna ad acquistare un
certo numero di pezzi e il fornitori si impegna a produrli per un certo numero di anni
• e quindi si garantiscono, l'un l'altro, un certo margine di sicurezza in termini di specifiche caratteristiche che possono variare nel tempo.

La collaborazione e la reputazione
La collaborazione e la reputazione, rendono superflua la specificazione formale dei termini e delle condizioni di garanzia data dal fornitore e
dal committente. La reputazione è un aspetto centrale che è garantito da conoscenza reciproca e consuetudini di attività in comune. È entrato
nell’analisi economica in maniera molto importante ed è un aspetto centrale nell’analisi dei sistemi produttivi che caratterizzano i distretti.

Transazioni di mercato
Abbiamo transazioni di mercato invece nei casi in cui compratore e venditore non accettano vincoli alla loro condotta futura  in questi casi
non si ha cooperazione, non c’è nessun accordo che interessa le due parti.
Questa è una condizioni che si trova in moltissimi contesti produttivi.

Quale principio governa la scelta tra impresa e mercato?

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Una risposta (insoddisfacente) di Richardson:
- l'impresa realizza i prodotti
- le forze del mercato determinano le quantità di ogni prodotto, a seconda di come varia la domanda

Quando noi pensiamo alle decisioni che una impresa deve prendere rispetto alla produzione dobbiamo considerare che una teoria della
organizzazione industriale deve tener conto:
• dell'organizzazione della produzione e della commercializzazione,
• del ruolo della conoscenza, dell'esperienza, delle competenze (skills) nel determinare le attività realizzate dall’impresa
Abbiamo una considerazione sul fatto che l’impresa dovrà organizzare produzione e commercializzazione, poi prendere delle decisioni su
quali fasi realizzare all’interno. Dobbiamo anche saper valutare che cosa l’impresa sa effettivamente fare

L’impresa: una definizione


Definiamo l’impresa come il compimento di una serie di attività. L’impresa non è il capitale investito ma sono le attività che l’impresa deve
intraprendere:
- nell’individuazione e valutazione delle future necessità,
- nella ricerca, sviluppo, progettazione, esecuzione e coordinazione delle trasformazioni fisiche,
- nella commercializza zione dei beni
- ecc.

Richardson stabilisce che consideriamo due tipi di attività:


 attività simili
 attività complementari
Definite rispetto alle capacità e competenze necessarie per realizzare le attività
Il tema su cui ci sta orientando l’analisi di Richardson è che noi dobbiamo guardare dentro le imprese, un’osservazione sulle competenze che
sono presenti nell’impresa ma anche sulle caratteristiche dei prodotti che l’impresa intende produrre

Attività simili
Le attività che richiedono le stesse capacità per la loro intrapresa
Es: vendere uno spazzolino da denti richiede le stesse capacità che vendere una saponetta. I processi produttivi sono molto diversi, ma le
attività potrebbero avere bisogno dello stesso tipo di competenze.
Le organizzazioni tenderanno a specializzarsi in quelle attività per le quali hanno capacità che creano per loro alcuni vantaggi relativi.

Attività complementari
Attività che rappresentano distinte fasi di un processo di produzione e che richiedono in qualche modo di essere coordinate.
Esempio: produttori di auto e di componenti entrano in relazione nelle attività di produzione ma anche nelle attività di produzione e le
corrispondenti attività di ricerca, sviluppo e commercializzazione
Il coordinamento assume un carattere importantissimo laddove i processi produttivi sono scomposti in fase e laddove ci sono competenze
molto diverse tra le diverse fasi del processo produttivo

Le attività complementari devono essere coordinate sia qualitativamente che quantitativamente.


Questa coordinazione può avvenire secondo tre diverse modalità:
1. direzione  coordinazione all’interno dell’impresa
Le attività sono assoggettate ad un solo controllo ed inserite in un piano coerente  integrazione verticale
2. cooperazione  coordinazione tra imprese diverse
Due o più organizzazioni indipendenti si accordano anticipatamente per armonizzare i loro piani, che sono in relazione tra loro
3. mercato  coordinazione attraverso meccanismi di mercato
Come una conseguenza indiretta di successive decisioni correlate, prese in risposta a variazioni nelle possibilità di profitto dati i sistemi
di prezzi che si vengono a determinare nei mercati in cui opera l’impresa.

Tre questioni:
Quale è l’appropriata (più efficiente) forma di coordinamento tra …?
- l’integrazione verticale nell’impresa
- la cooperazione tra imprese
- le transazioni di mercato
Noi non possiamo ipotizzare che ci sia una sola forma di coordinamento che va bene per qualsiasi delle decisioni che l’impresa deve
prendere rispetto alle forme di coordinamento. Quindi la scelta della forma di coordinamento dipende dal settore industriale e dal contesto
produttivo.
Se non abbiamo una sola forma di coordinamento ci dobbiamo chiedere anche se la concorrenza è alternativa alla cooperazione e se quando
abbiamo cooperazione non abbiamo concorrenza e viceversa. La cooperazione elimina la concorrenza?
Infine quando parliamo di organizzazione e coordinamento nelle decisioni delle imprese dobbiamo anche pensare che questa non è una
decisione che l’impresa prende una volta per tutte nella sua esistenza; ma può modificare il quadro di riferimento nelle scelte di
coordinamento all’interno, in cooperazione con altre imprese e con il mercato. Dipende dal processo di formazioni all’interno dei distretti che
addensa competenze e opportunità.
Laddove le imprese si trovavano ad operare in un tessuto produttivo in cui le uniche competenze rilevante erano quelle al loro interno, la loro
integrazione verticale era condizione necessaria per riuscire a realizzare il prodotto che avevano deciso di produrre. Acquisire le competenze
internamente era l’unica strada per realizzare il prodotto.

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Lo sviluppo di competenze all’interno dei distretti, la nascita di imprese che aumentano la capacità del distretto di rispondere a una domanda
crescente interna al distretto favorisce la riduzione del livello di integrazione verticale all’interno di molte imprese che fanno realizzare da
imprese specializzate fasi del processo produttivo che prima erano costrette a realizzare internamente.
L’efficienza è il risultato di un processo di cambiamento dell’organizzazione industriale: dinamica vs statica
I processi di formazione dei distretti e il loro cambiamento nel tempo è un aspetto importantissimo che condiziona le decisioni di
coordinamento tra le diverse forme che l’impresa può scegliere ma ne favorisce anche alcune rispetto al altre.

Traccia della lezione


• In che modo avviene il coordinamento delle decisioni di produzione delle imprese? (che cosa produrre, quanto produrre, in che modo
produrre, quale tecnologia e organizzazione della produzione adottare, in quale luogo
produrre).
• Dicotomia tra due forme di coordinamento: interna all'impresa e attraverso il meccanismo dei prezzi (mercato) che spontaneamente
agisce sulle relazioni tra le imprese che producono uno stesso prodotto (relazioni orizzontali), tra le imprese e i loro clienti e fornitori
(relazioni verticali). Vi sono alcune attività per le quali i meccanismi di coordinamento non si verificano: né attraverso la direzione (la
programmazione consapevole), né attraverso il mercato (il meccanismo dei prezzi).
• Attività che vengono realizzate attraverso una fitta rete di cooperazione e affiliazioni per mezzo della quale le imprese sono connesse tra
loro. Forme di cooperazione fra imprese.
• Coordinamento: quantitativo e qualitativo. Come si può distinguere tra cooperazione da una parte e transazioni di mercato dall'altra.
• Quale principio governa la divisione del lavoro tra impresa e mercato.
• Due tipi di attività: attività simili e attività complementari. Le attività complementari devono essere coordinate sia qualitativamente che
quantitativamente. Questa coordinazione può avvenire secondo tre diverse modalità: direzione; integrazione verticale; cooperazione.

Domande
 Che cosa intendiamo per fasi di un processo produttivo?
 Tutti i processi sono scomponibili in fasi?
 Le diverse fasi sono sempre realizzate in un unico stabilimento? Nella stessa impresa?
 La produzione di macchinari è una fase del processo produttivo? In quali casi?
 In quali casi si verifica la specializzazione di un’impresa in una o più fasi del processo produttivo
 In che modo avviene il coordinamento delle decisioni di produzione delle imprese?
 Quali variabili caratterizzano un piano strategico di produzione di un’impresa?
 Quali sono le forme di coordinamento delle decisioni di produzione?
 In che modo avviene il coordinamento delle decisioni di produzione all’interno dell’impresa? E nel mercato? In che modo agisce il
meccanismo dei prezzi?
 Che cosa intendiamo per relazioni verticali tra le imprese? E che cosa sono le relazioni orizzontali?
 Vi sono alcune attività per le quali i meccanismi di coordinamento non si verificano: quali sono? E in che modo si verifica il
coordinamento tra queste attività?
 Perché alcune attività vengono realizzate attraverso una fitta rete di cooperazione e affiliazioni per mezzo della quale le imprese sono
connesse tra loro?
 Perché occorre un coordinamento quantitativo e qualitativo tra le decisioni di produzione? E in che modo può avvenire?
 Quale principio governa la divisione del lavoro tra impresa, cooperazione e mercato?
 Come sono definite le attività simili?
 Come sono definite le attività complementari?
 In che modo possono essere coordinate le attività complementari?
 Le attività complementari devono essere coordinate sia qualitativamente che quantitativamente?
 Le imprese dei distretti svolgono attività simili o complementari?
16/03
Capitolo 4: Le regole del gioco nei distretti industriali – il contributo di Sebastiano Brusco (1999)

Questo lavoro di Sebastiano Brusco si basa su un quadro teorico che viene da uno sfondo giuridico, ossia il codice barbaricino in Sardegna.
Brusco dice che ci sono dei contesti sociali in cui funzionano delle regole non scritte. Il maestro di Brusco, Pigliaru ha per primo studiato in
Italia i codici non scritti di regole all’interno delle comunità. Scrisse sulla Barbagia le regole di comportamento all’interno di quella
comunità; mostrava come quella comunità avesse delle regole non scritte molto precise in cui venivano definite anche sanzioni per chi non
rispettava quelle regole.
Brusco si ispira a questo lavoro per rendere esplicite delle condizioni di comportamento delle imprese che lavorano nei distretti. Brusco
scrive questo saggio nel 1996 e si interroga se ci siano degli elementi comuni nel funzionamento dei distretti. La domanda che si pone è:
questi distretti sono confrontabili per le loro regole di funzionamento interno?
Inizia a raccontare a cosa si deve il successo dei distretti e ci dice che nei distretti c’è una particolare capacità di risolvere armoniosamente tre
antinomie (contraddizioni apparenti o reali):
1. sapere locale rispetto al sapere codificato
2. concorrenza e la cooperazione tra imprese
3. conflitto e la partecipazione nelle imprese
Ci sono elementi che hanno a che fare con le conoscenze, ci sono elementi che determinano le relazioni tra le imprese e altri elementi che
riguardando il funzionamento all’interno dell’impresa
Queste interazioni, secondo Brusco, non producono un risultato distruttivo ma aumentano la competitività del sistema.

Relativamente alla concorrenza Brusco dice che tra le imprese del distretto c’è concorrenza e in particolare la vicinanza fisica che osserviamo
nei distretti dove c’è una concentrazione spaziale in un certo territorio di un insieme di imprese favorisce, da parte delle imprese, la scelta e

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l’individuazione dei fornitori migliori per qualità, prezzi, servizi post vendita. Abbiamo un contesto in cui ogni impresa può focalizzarsi sui
propri punti di forza e trae vantaggio dalla conoscenza delle altre imprese. Averle lì vicino favorisce la conoscenza, favorisce questa
conoscenza, favorisce la scelta rispetto ad elementi di valutazione che può direttamente acquisire l’impresa.
Le imprese in quel contesto hanno anche informazioni direttamente (imprese che si conoscono per vari motivi) o indirettamente (conoscenza
che deriva dal fatto che si utilizzano le stesse imprese che sono fornitori o committenti) sui loro concorrenti.
Quando diciamo che c’è una facilità di avere informazioni sui concorrenti è perché questo viene favorito dalle conoscenze tra le persone.
Non viene considerato un venir meno alla riservatezza e al segreto industriale se due persone che si conoscono e lavorano in imprese diverse
si scambiano informazioni sulle loro imprese, questo perché spesso si danno informazioni ma si ricevono informazioni.
Il fatto che le strategie siano visibili e copiabili rappresenta anche un elemento strategico delle imprese perché all’interno del distretto, tenere
dentro qualcosa, può produrre da parte di tutti gli altri un comportamento di coalizione avversa. Il rendere visibili e copiabili le strategie è un
elemento strategico per lo sviluppo delle imprese nel distretto. Nel distretto di Sassuolo le informazioni venivano rese largamente visibili,
tutti i manager delle imprese si conoscevano pur lavorando in imprese diverse. Abbiamo quindi un contesto di condivisione di informazioni
che era consuetudine. Ci si scambiano informazioni attraverso mille canali, personali, diretti e indiretti

Il fatto che le informazioni sulle innovazioni circolino velocemente produce l’effetto fiera. Gli studiosi che si occupano di fiere dicono che le
fiere sono come dei distretti in quanto alle fiere si può vedere tutto quello che fanno tutti. Brusco negli anni ’90 disse che i distretti
producono l’effetto fiera, girando nel territorio si può vedere che cosa fanno le altre imprese.
Le informazioni sulle innovazioni generano anche il reverse engineering  dal prodotto finale si ricostruisce come è stato fatto, consiste
quindi nella ricostruzione di un prodotto già esistente. Il prodotto viene “smontato”
per comprenderne l’architettura, la struttura e il funzionamento. Se non si hanno le competenze per risalire in maniera dettagliata a tutti i
processi necessari per produrre i componenti, semilavorati, fasi di assemblaggio che sono necessarie per produrre il prodotto finale, il reverse
engineering genera delle truffe.
Il reverse engineering potrebbe portare a un disastro che imbroglia il consumatore oppure potrebbe produrre un salto di qualità essenziale e
straordinariamente importante
Brusco e Paba parlano della natura incrementale delle innovazioni per spiegare il vantaggio delle imprese all’interno dei distretti. Nel senso
che quello che caratterizza le innovazione nei distretti sono cambiamenti che migliorano l’efficienza dei macchinari e processi produttivi
attraverso aggiustamenti continui.
Questa natura incrementale viene dalla capacità di rispondere alle domande specifiche che pongono i singoli clienti.
Le innovazioni incrementali funzionano in maniera radicalmente diversa e hanno come base costitutiva le interazioni tra chi produce il
componente e chi lo utilizzerà nel processo produttivo.
Sono innovazioni che si basano su grandi quantità di conoscenze che attingono a quei saperi taciti posseduti dalle persone che lavorano nelle
imprese, che conoscono i processi di produzione su singoli materiali.
Alcune operazioni, per esempio nella meccanica, sono particolarmente delicate. La dimensione tridimensionale degli oggetti è una cosa
delicatissima dentro la meccanica, perché i livelli di precisione di cui si ha bisogno sono essenziali. Se si sbaglia la dimensione della forma
originale tutto verrà prodotto nelle dimensioni sbagliate. Quindi una operazione critica nell’industria meccanica è quella delle fonderie di
seconda fusione perché è il luogo dove si costruisce il modello e dal modello di costruiscono gli stampi che verranno utilizzati per produrre i
pezzi. Questo territorio della meccanica in Italia è ancora oggi uno dei più importanti al mondo. Quindi la natura incrementale si basa
sull’accumulo di conoscenze che si è venuto a consolidare nel territorio.
Quando Brusco dice che le informazioni sulle innovazioni hanno natura incrementale si sta concentrando sul pezzo dell’interazione favorita
dalla prossimità delle imprese nel distretto. È una interazione che nel contesto del distretto vede una fase di imitazione molto forte. Questa
imitazione favorisce la concorrenza che a sua volta aumenta lo stimolo perché le imprese facciano dell’altro.
L’innovazione produce un profitto extra in un contesto concorrenziale, tuttavia questo profitto extra non ci può essere per sempre a meno che
l’impresa che ha introdotto l’innovazione non abbia una posizione di monopolio su quel campo. Grazie alla concorrenza quei profitti extra
verranno ridotti e si ridurranno i prezzi dei prodotti.
Le innovazioni quindi, in un contesto che garantisce la concorrenza perché c’è un processo di imitazione, consentono al distretto una
dinamica di cambiamento molto importante in quanto nuove imprese entrano oppure imprese esistenti cambiano tecnologia. Il distretto
quindi non rimane ancorato alle conoscenze che aveva in un certo momento ma modifica continuamente le tecniche e i prodotti disponibili.
La capacità di copiare, di migliorare e modificare richiede un patrimonio di conoscenze straordinario e produce una diffusione delle
innovazioni. Questa pluralità di imprese che vede quello che gli altri fanno non è una pluralità in cui ognuno si tiene il suo pezzo e raggiunto
un livello di mercato si attesta li, perché guarda cosa fanno tutti gli altri anche in segmenti diversi delle fasi di produzione. È una tensione
continua verso il miglioramento della propria posizione. Mentre noi abbiamo una riflessione sistemica, gli attori del distretto lavorano per sé.
All’interno dei distretti industriali la bassa dimensione e la piccola dimensione di imprese specializzate in fasi richiede un livello di capitali
relativamente contenuto per realizzare l’investimento di entrata nell’attività di produzione. La bassa dimensione, concepita come quella
necessaria per fare quell’attività in maniera efficiente, traduce la possibilità che molte imprese nascano.

I vantaggi della concorrenza derivano dal fatto che non c’è mai una situazione di controllo/monopolio, favoriscono la crescita dell’intero
sistema perché tutte le altre imprese possono cimentarsi nell’applicare la stessa idea. Sono quindi vantaggi temporanei (ovviamente perché
prima o poi le strategie di innovazione cessano di essere “nuove”). Brusco dice che le imprese sono in una posizione di vantaggio
competitivo rispetto a quello fuori dal distretto.
La banca d’Italia infatti ha scoperto che a parità di settore e a parità di dimensione, le imprese che operavano nei distretti industriali avevano
una maggiore reddittività. Come lo giustifichiamo? La banca d’Italia risponde che lo giustifichiamo per i vantaggi dovuti alle economie
esterne di cui godono le imprese nei distretti.
Quando Brusco dice che le imprese sono in concorrenza nel distretto e hanno un vantaggio competitivo rispetto alle imprese esterne, dice che
questo vantaggio deriva dal potere avere delle condizioni, ossia le economie esterne che consente loro di avere costi per unità di prodotto più
bassi e margini di reddittività maggiori.
Successivamente la cosa che Brusco struttura nell’analisi della concorrenza e della cooperazione è che ci sia una concorrenza orizzontale e
una collaborazione verticale, ossia una concorrenza tra imprese finali o tra imprese subfornitrici nelle stesse fasi e una
collaborazione/cooperazione verticale perché abbiamo condizioni in cui le imprese devono cooperare tra di loro. Si tratta di forme di

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cooperazione che servono per il coordinamento qualitativo e quantitativo tra le fasi di produzione che sono oggetto di specializzazione di
imprese diverse. Brusco dice che è sleale corrompere per conoscere ciò che fa un concorrente; ma ci sono delle forme leali di scambio di
informazioni.
Le imprese subfornitrici possono diventare concorrenti dei loro clienti nei mercati finali.
I distretti cambiano grazie ai processi di cambiamento e anche dal fatto che le imprese subfornitrici diventano produttori di prodotti finali;
cioè spostano la loro catena del valore fino al mercato finale dei prodotti in cui si usano i componenti che loro realizzato.
Quando le imprese subfornitrici, in particolare nella meccanica emiliano, si trovarono nella situazione in cui i loro committenti chiudevano le
commesse e non andavano a ritirare commesse già realizzate e internalizzavano fasi del processo produttivo che prima erano decentrate a
causa della crisi del 2008, le piccole imprese cambiarono strategia. Una delle leve della loro strategia fu ridurre il loro grado di dipendenze
dai committenti. Quindi hanno creato degli accordi verticali tra imprese di diverse fasi del processo produttivo in modo da realizzare insieme
il prodotto finale mettendosi al riparo dall’arbitrio del cliente finale che decideva cosa fare dentro e cosa fare fuori a seconda delle condizioni
della dinamica della domanda.
Questa idea della concorrenza nei mercati finali non è una cosa né occasionale né casuale.
Quando parliamo di dinamica del distretto non dobbiamo pensare soltanto alla concorrenza orizzontale e alla collaborazione verticale, ma
dobbiamo pensare che uno dei motori della dinamica di cambiamento nel distretto sta nell’innovazione e nell’emergere di importanti
fenomeni di concorrenza verticale realizzata quando c’è una realizzazione di tutte le fasi della filiera.

Brusco dice che la cooperazione non vuol dire collusione. Le basi sociali e culturali sono una base istituzionale, nel senso che non ci si
accorda per fregare gli altri, ma ci si accorda perché si pensa che questo produrrà dei benefici
Brusco dice: “è certamente ingenuo pensare che gli emiliani e veneti abbiano una particolare inclinazione ad essere corretti e di buon cuore”.
Non è che cooperano perché qui sono buoni, Brusco dice che ci sono norme che regolano la cooperazione. Non è quindi l’inclinazione
personale di un popolo, ma parliamo di un processo che ha generato delle condizioni di comportamento che vedono delle cautele all’interno
di regole di interazione molto specifiche, e che prevedono anche delle sanzioni quando queste norme non vengono rispettate.
Le cautele sono applicate unilateralmente perché sono necessarie per avviare una collaborazione. Questa cautela deve lasciare libera
l’impresa che entra in relazione con una impresa con cui non ha mai lavorato di avviare una collaborazione.
Le regole di interazione richiedono di definire quali sono i comportamenti che si metteranno in atto. E si tratta poi di capire che tipo di
sanzioni, chi è che deve accertare le violazioni e che sanzione va praticata

Le cautele
La prima cautela è suddividere le commesse tra più fornitori e suddividere anche le commesse che si ricevono da più clienti per poter ridurre
il rischio connesso. C’è quindi la necessità di non avere un solo cliente ma nemmeno un solo fornitore.
Però le cautele riguardano anche i rapporti di fiducia e conoscenza reciproca. Questa cosa non avviene da un giorno all’altro ma ci vuole
tempo. La fiducia avviene attraverso la ripetizione di interazioni, ha bisogno di tempo. La fiducia richiede conoscenza, tempo ed è costoso
ma Brusco dice che il maggior costo, dovuto al fatto che la fiducia richiede tempo, rappresenta una assicurazione contro eventuali tradimenti.
Prima di arrivare il committente ad affidarsi del fornitore e viceversa, bisogna valutare se le parti sono adeguate a mantenere il rapporto nel
tempo. Questa è una cosa che si rompe in condizioni di crisi
C’è una regola: dare fiducia ma essere anche prudenti
Brusco in quell’epoca studiava i distretti del settore tessile in Emilia e in Toscana e li comparava con quelli del Veneto e del Mezzogiorno e
scopre che le regole sono diverse. Le cautele avvengono in Emilia e in Toscana con legami multipli e maggiore flessibilità reciproca (forma
di cautela importante), in Veneto invece erano legami totalizzanti (o amici totali o nemici totali).
La regola del dare fiducia ma essere anche prudenti dipende dalle condizioni del contesto locale
18/03
Le regole di interazione
Una delle regola di interazione è imparare a lavorare insieme. Ci vuole tempo per conoscersi e per intendersi nel linguaggio tecnico che si
costruisce assieme. Questo dipende dalle relazioni. La creazione di un linguaggio comune richiede tempo e richiede anche che si sappiano
calcolare i costi in maniera precisa e che si sappiano accettare suggerimenti.
Il committente arriva dal fornitore con una idea dei tempi di lavorazione e del costo che quel tempo ha. A quel punto inizia un elemento
fondamentale, ossia la contrattazione tra parti che hanno costruito un linguaggio comune e hanno una idea della base dei costi a cui faranno
riferimento che verrà costruita in maniera molto dettagliata per singola lavorazione nei diversi settori. Nei diversi contesti distrettuali queste
sono conoscenze di cui hanno padronanza quelli che lavorano nel distretto e sono conoscenze condivisibili tra tutti.
Un’altra regola è la possibilità di sottoscrivere contratti ripetuti che facilita la conoscenza reciproca. Conoscenza non vuol dire conoscenza
personale, ma significa che le imprese che entrano in relazione tra di loro conoscono gli elementi organizzativi, l’affidabilità reciproca, le
caratteristiche tecniche dettagliate dei prodotti che l’impresa committente richiede, in che contesto d’uso verranno impiegati e quindi il
fornitore potrà in maniera puntuale rispondere alle esigenze del committente. D’altro lato il committente impara a conoscere le tecnologie
che il fornitore sa utilizzare.
I contratti ripetuti nelle piccole imprese spesso sono semplicemente dei buoni d’ordine. I contratti possono in alcuni casi riferirsi a un
orizzonte temporale molto lungo, anche anni dove si specifica le caratteristiche generali del contratto. Mentre invece si lascia la specifica dei
dettagli tecnici in termini di caratteristiche e di quantità ai singoli buoni d’ordine che vengono anche definiti da contratto su una cadenza che
può essere anche settimanale. Un buono d'ordine firmato è un accordo legale tra parti per il trasferimento di beni o servizi
Come effetto della crisi del 2008, prima i contratti dei distretti erano molto modesti, tutto si basava sui buoni d’ordine; dopo la crisi i
contratti sono diventati da un lato una dimensione più importante delle relazione delle imprese e dall’altro si è molto accorciato il profilo
temporale del riferimento contrattuale. Quindi la specificazione della commessa era “i prossimi 4 anni e poi di settimana in settimana il
committente chiede al fornitore la specifica quantità da produrre”.
Questo ha messo sotto pressione una rete di fornitura abituata a farsi carico di anticipazione nell’acquisto di materie prime per far fronte alle
commesse e di magazzino di prodotti lavorati per far fronte alle esigenze del committente che aveva una richiesta molto variabile nel tempo
del tipo di prodotti di cui aveva bisogno.
Se abbiamo una relazione tra committente e fornitore in cui il committente dice ‘i tuoi macchinari vanno benissimo, quindi per 4 anni
produrrai per me. Però ti dico per settimana in settimana cosa devi produrre e quanto devi produrre’, sta scaricando sul fornitore tutti i

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problemi dell’organizzazione e dell’approvvigionamento in quanto il fornitore non può fare approvvigionamento di quel materiale la
settimana per l’altra perché i costi sono determinati dalle quantità di acquisto. Se il fornitore andasse una volta alla settimana a comprare quel
materiale, come acciaio, il costo dell’acciaio avrebbe un costo decisamente molto più alto di quello che il fornitore riesce ad avere quando
l’acquisto che fa si riferisce all’acciaio necessario per un trimestre
Tante più sono le fasi del processo produttivo che vengono svolte da fornitori indipendenti, tanto più dobbiamo occuparci non genericamente
del processo di coordinamento, ma specificamente su chi cadono gli oneri del coordinamento fatto in maniera decentrata. Tendenzialmente la
cosa che si è capita con la crisi del 2008 era che si stavano accentuando i costi a carico dei fornitori. Il fornitore si fa carico di tutti gli aspetti
organizzativi, anche degli aspetti organizzativi legati alla logistica e al trasporto.
Brusco dice ‘non si userà mai il proprio potere di mercato e in caso di congiunture sfavorevoli si cerca di sostenere i subfornitori’. La
congiuntura sfavorevole della crisi del 2008 che si riverbera sull’economia reale è una crisi che vede comportamenti strategici molto diversi
nelle relazioni tra fornitori e committenti
Esempio: IMA è una delle più importanti imprese di packaging al mondo. IMA durante la crisi mise insieme tutti i suoi fornitori e consentì
loro di avere un accesso al credito riservato, dedicato alle imprese della fornitura IMA.
L’idea era che senza quelle competenze non avrebbe potuto avere nessuna speranza di ripartire dopo la crisi. Il caso di IMA è proprio il caso
in cui non si usa il proprio potere di mercati in caso di congiuntura sfavorevole, ma si cerca di sostenere i subfornitori.
Questo elemento della fase di congiuntura sfavorevole ha anche un insediamento nel corso della ripresa post crisi nella struttura produttiva di
questa regione dove si realizzano delle filiere molto corte con una produzione just in time.
Esempio: i fornitori di Ducati stanno attorno all’impresa. Tutti devono consegnare a Ducati e poi tornare nel proprio magazzino. I fornitori
avranno orari scaglionati. I fornitori saranno in competizione tra di loro, in quanto quelli più vicini alla Ducati riusciranno sicuramente ad
arrivare prima. Potrebbe succedere che i fornitori si occupano di consegnare non solo a Ducati, ma a vari committenti.
Le fabbriche del ‘900 erano territori giganteschi, dentro quel territorio succedeva quello che noi osserviamo nelle province di Modena e
Bologna. Si andava avanti e indietro a portare i materiali prodotti, oppure c’erano le catene di montaggio.
Noi viviamo immersi in questo sistema produttivo; l’efficienza delle infrastrutture di trasporto è un pezzo importante che consente alle
imprese del distretto di godere delle economie di scala. Se io come fornitore devo portare i prodotti al mio committente attraverso una strada
piena di buche, sarà meno efficiente dal punto di vista dei tempi di percorrenza rispetto a quello che succede se la strada fosse messa in
ordine da una manutenzione che è pagata dal sistema del finanziamento pubblico.
Le regole di interazione hanno implicazioni che vanno oltre l’interazione tra fornitore e committente
Le interazioni non sono con un ordine specifico. Il committente richiede al subfornitore non dei prodotti su specifiche tecniche già definite,
ma il committente va dal fornitore con un problema. L’industria meccanica è uno dei contesti in cui si sviluppa la maggiore varietà dei
problemi, la cui soluzione alimenta lo sviluppo di tecnologie specifiche che a loro volta alimentano una domanda di macchinari che a sua
volte alimenta l’industria meccanica.

Abbiamo anche una serie di problemi.


Tutta questa questione delle interazioni è esaltata nel saggio di Brusco e Paba. Chi studia la struttura industriale osserva che il tema delle
interazioni tra committenti e fornitori è un tema strutturale di qualsiasi organizzazione industriale. Ci sono molti esempi e contesti produttivi
in cui osserviamo l’emergere di organizzazioni che hanno una modalità d’azione di tipo distrettuale.
È stata creata a metodo dell’organizzazione una modalità che riguarda una libera richiesta di soluzioni e una offerta di possibili soluzioni. Ci
sono agenzie dedicati a rendere possibile l’esprimere problemi senza sapere come delinearne i caratteri tecnici e quantitativi
Esempio: la british Petroleum dice che hanno tanti contenitori del gas e non sanno dove sono, in che stato sono e che manutenzione va fatta.
Questo è un problema. La gestione efficiente di questi contenitori potrebbe essere un elemento di maggiore reddittività in quel ramo da parte
dell’impresa.
Abbiamo soluzioni che ricordano soluzioni che osserviamo nei modelli di relazioni tra le imprese nei distretti.

Le sanzioni
Riguardano chi viene meno alla fiducia che gli è stata concessa. È vero che la fiducia è stata conquistata con le interazioni ripetute nel tempo,
con i contratti ripetuti, etc. ma può succedere che qualcuno venga meno a questa fiducia che era stata riposta sulla costruzione di una
conoscenza reciproca.
Ci può essere:
- Riduzione della commessa
- Sospensione di una commessa
- Rifiuto ad accettarla
Le sanzioni possono essere graduate in modo diverso. in alcuni casi, quando vi è il dubbio che il mancato rispetto degli impegni presi possa
dipendere da cause di forza maggiore o siano non dolose, la sanzione può consistere in una semplice diminuzione della commessa. In altri
casi, invece, la sanzione è rappresentata dalla sospensione delle commesse o dal rifiuto di accettarle, con perdita dell'investimento iniziale
rappresentato dai sunk costs che sono stati necessari per costruire il rap porto di conoscenza e di collaborazione.
Brusco dice che in realtà in un contesto in cui le informazioni circolano facilmente, la violazione diventa un elemento facilmente condiviso,
ossia si sa chi ha sgarrato (si sa che quel fornitore aveva detto che avrebbe consegnato alle 7 del mattino davanti alla Ducati, ma non lo fa;
oppure si sa che quel committente che aveva ordinato 1000 pezzi al giorni per due mesi in realtà dopo il primo mese non è andato a ritirare
niente lasciando l’onere dei costi di approvvigionamento di materie prime e semilavorati sul fornitore). Sono comportamenti scorretti di cui
l’intera comunità è consapevole.
Sono emerse delle risposte specifiche a questi elementi di scorrettezza: i fornitori hanno capito che dovevano giocare un gioco diverso e
hanno integrato la loro produzione indipendente per arrivare a fornire un intero prodotto più complesso di quello che singolarmente erano in
grado di realizzare.

La competitività
La competitività è un elemento importante ed è il risultato di un grande conflitto, ma anche di partecipazione.
La competitività riguarda la qualità dei rapporti tra lavoratori e imprese, ma anche nell’impresa occorre un clima di collaborazione e fiducia.

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La discussione ha a che fare con le relazioni tra imprese e con le relazioni all’interno delle imprese. La competitività di cui si parla riguarda
sia i rapporti tra lavoratori e imprese che tra le imprese.
C’è un legame piuttosto stretto tra ciò che succede nelle imprese e ciò che succede tra le imprese.
Ciò che succede nelle imprese è importante, dice Brusco, perché occorre costruire un contesto in cui la partecipazione dei lavoratori ai destini
dell’impresa sia un elemento che i lavoratori considerano costitutivo dell’essere lavoratori di quell’impresa. È questo che rende il legame tra
l’imprenditore e i lavoratori così importante.
La capacità delle imprese di mantenere un legame forte con i propri lavoratori è un aspetto importante: il problema viene risolto dai
lavoratori che elaborano una soluzione e che trovano normale affrontare e trovare soluzioni a problemi sempre nuovi.
Quale può essere la disponibilità di un lavoratore che viene sistematicamente vessato per le condizioni di lavoro, per il salario che percepisce
per il lavoro che svolge, che magari non ha un riconoscimento del lavoro che viene richiesto in orario straordinario ma che viene obbligato a
fare? Come potrà quel lavoratore essere così disposto a cedere pezzi importanti della propria intelligenza e vita per un’impresa che non
riconosce valore al suo impegno?
Con queste domande entriamo in una sfera delicata, ossia quella delle relazioni industriali. Sono un pezzo importante del funzionamento di
ciò che succede nei distretti. All’interno dei distretti il lavoro è una componente importante in quanto i lavoratori portano conoscenze
distintive nei processi produttivi, ma devono essere messi in condizione di lavorare in maniera che siano tutelati. La partecipazione ai destini
dell’impresa è una cosa molto importante, che è la passione per un lavoro ben fatto. Questa passione anima i lavoratori e attinge a molte
dimensioni del lavoratore in quanto essere umano.
La partecipazione dei lavoratori è importante per far sì che il lavoro sia ben fatto.

La partecipazione
È un tema che richiede da un lato dosi addizionali di intelligenza, impegno e diligenza, ma ha anche a che fare con il mettersi in gioco
(creatività). È un mettersi in gioco fuori dalla sfera del controllo gerarchico. Se io posso mettermi in gioco e faccio delle proposte, ma devo
stare nel mio ruolo, questo genererà nel corso del tempo una crescente indisponibilità a mettermi in gioco.
Le dosi addizionali di impegno sono, di fatto, testimonianza di un coinvolgimento vero del lavoratore nel processo produttivo; sono il segno
che il lavoratore partecipa al processo produttivo non solo con la testa e le mani, ma anche con il cuore e percepisce il proprio lavoro come
utile, importante, anche dal suo punto di vista, oltre che dal punto di vista dell'impresa. Quando ciò si verifica, quando la partecipazione
operaia al processo produttivo e ai destini dell'impresa raggiunge livelli alti, ne deriva per le imprese una straordinaria capacità
competitiva, in termini sia di prezzo sia di qualità.
La partecipazione e il coinvolgimento dentro le imprese non è una cosa che si può costruire in un contesto in cui non ci sono diritti, in cui
non ci sia una partecipazione democratica, in cui non ci sia rappresentanza dei lavoratori.
Il tema dell’essere fuori dal controllo gerarchico è un aspetto che spesso viene sottovalutato, nel senso che si dice “devi essere molto
creativo, ma nei limiti che ti ho definito io” --> questo è l’opposto della possibilità di essere capaci di fornire soluzioni adeguate alle risposte
e alle sfide che l’impresa deve affrontare.

Anche nelle partecipazioni ci sono delle cautele. Il lavoratore investe nella sua carriera all’interno dell’impresa, sceglie un’impresa piuttosto
che un’altra perché quell’impresa gli dà possibilità di carriera, di passare da una posizione lavorativa ad un'altra, di apprendere nei processi di
produzione, di entrare in relazione con un mondo di conoscenze. Il lavoratore potrebbe anche diventare imprenditore, scegliere di mettersi in
proprio in un’attività economica.
Esempi: Loccioni e Oliveti. Loccioni è un’impresa metalmeccanica nelle Marche e Loccioni che è un grande sognatore del ruolo che
l’impresa ha nel cambiamento sociale e non soltanto economico, raccontava che molti lavoratori della sua impresa aspiravano a mettersi in
gioco come imprenditori una volta raggiunto il livello di esperienza adeguato. Per Loccioni questo non era un tradimento, ma era il risultato
di un disegno di crescita di autonomia su cui lui faceva forza per lo sviluppo della sua impresa. Perché questi lavoratori, quindi, costruiscono
poi nuove imprese diventando imprenditori e allargano l’orizzonte di conoscenze che lui come impresa poteva avere, perché con quegli ex
lavoratori c’era un linguaggio comune, c’era una consuetudine all’innovazione e al cambiamento, allo sguardo verso lo sviluppo.
Sono processi che alimentano un contesto sociale ricco e articolato.
Gli imprenditori però, sono imprenditori che devono passare dall’autorità all’autorevolezza che hanno a che fare con l’esercizio del potere
rispetto alle conoscenze ed esperienze che si sono maturate nel ruolo che si è ricoperto.

Informalità e discrezionalità
Tutte queste dimensioni sono costruite in un processo sociale che può essere modificato e adattato alle esigenze. L’informalità è una cosa che
riguarda il contesto culturale e sociale in cui si sviluppa e anche il senso che una dimensione formale dell’interazione viene attribuito
all’interno di un contesto di relazioni più formali.

Il riconoscimento reciproco della pari dignità


È l’altra faccia delle relazioni tra lavoratori e imprenditori. Brusco conclude con il tema della distribuzione del sovrappiù: alla fine non è che
il lavoratore è in un contesto di partecipazione e riconoscimento solo in un’impresa in cui non si fanno profitti. Brusco dice che i profitti sono
una cosa importante purché generino crescita dell’impresa; perché l’imprenditore che estragga profitto dall’attività dei suoi lavoratori e porti
questi profitti all’estero e non investa nella crescita della sua impresa, gioca un gioco in cui non c’è reciprocità.
Quindi c’è questo elemento di una condizione in cui i lavoratori devono essere informati sulle sorti dell’impresa, su cosa effettivamente
potrebbe succedere all’impresa in quanto potrebbero esserci condizioni avverse che sono indipendenti dalla volontà dell’imprenditore nei
mercati in cui opera, possono succedere dei cambiamenti che prescindono la volontà dell’imprenditore, ma la condizione di sobrietà nel
comportamento dell’imprenditore è fondamentale. Sobrietà vuol dire essere capaci di giocare un gioco per la collettività e di guardare alle
sorti dello sviluppo dell’impresa e del territorio.
Tutto questo ha delle implicazioni complicate nell’analisi dello sviluppo dei distretti perché non in tutti i territori le cose funzioneranno nello
stesso modo. Quando parliamo di distretti bisogna guardare dentro le imprese per capire il loro successo.

Sanzioni

27
Se non vengono riconosciute le loro dosi addizionali di impegno e valore che aggiungono all’impresa, i lavoratori abbandonano l’impresa.
Questo diminuisce le competenze dell’impresa.
I lavoratori saranno meno disponibili ad andare a lavorare in quell’impresa.
Tuttavia, ci sono anche dei lavoratori che non si impegnano affatto e questo renderà loro difficile cambiare lavoro in un’altra impresa perché
la loro reputazione sarà contrassegnata dal loro comportamento nell’impresa in cui lavoravano.

La politica per la cooperazione


La domanda di qualsiasi economista che si occupi di tematiche di sviluppo è “questo modo di intrecciare organizzazione economica e sociale
potrebbe essere riprodotto in altri luoghi?”. Non è una domanda superflua perché dietro c’è lo sfondo del Mezzogiorno e quindi ci si chiede
se esista un modo per rendere ciò un modello anche per territori che invece arrancano nel percorso di sviluppo. Questa è una cosa a cui
Brusco dedica una parte importante delle sue riflessioni nel dibattito dei distretti industriali.
Si chiede che cosa potrebbe generare fiducia, cooperazione, regole di interazione. Brusco dice che intanto occorre creare delle condizioni per
far sì che si verifichi un gioco ripetuto, un gioco che favorisce la costituzione di rapporti e che non lascia spazio al comportamento
opportunistico.
L’opportunismo rompe il potenziale della collaborazione e quindi un gioco ripetuto alimenta reputazione e fiducia.
Nella discussione sui distretti spesso si è concentrata l’attenzione sulla fiducia come qualcosa che doveva precedere la costruzione stessa dei
distretti (se non c’è fiducia non ci può essere un modello di organizzazione industriale come quello distrettuale). Brusco ci dice che la fiducia
si costruisce nel tempo, all’interno di contesti che consentono la conoscenza reciproca e che sono favoriti da contratti ripetuti perché quello
consolida la reputazione e alimenta la fiducia.
Questo ha un effetto sistemico a livello di distretto e dato che ogni attore gioca su più tavoli, c’è la possibilità che non cementiamo il
carattere di lavoratore ad una condizione di subordinazione perché i lavoratori possono diventare soggetti imprenditoriali che quindi
alimentano la dinamica id cambiamento del sistema.
Si tratta di un cambiamento del gioco con cui è più facile affrontare cambiamenti esogeni.

Quindi ci sono regole, c’è una comunità, c’è una storia. Se questo è un processo che si sviluppa nel tempo con queste caratteristiche molto
articolate dal punto di vista produttivo e sociale che richiede la creazione di istituzioni in una pluralità di ambiti, bisognerebbe poter scegliere
i propri antenati.
Che fare? Si possono cambiare e migliorare le condizioni delle persone nei diversi luoghi? C’è qualcosa che si può fare per far sì che si
inneschino dei circuiti virtuosi che portano verso un miglioramento economico e sociale? Il tema è quello delle politiche che favoriscono la
circolazione di informazioni.

Esempio: estratto CHN DEU ITA


Immaginiamo che ad un certo punto l’Europa dica Green deal: mobilità sostenibile-elettrico. Ci siamo trovati dalla sera alla mattina tutti
elettrici. Usciti dal lock down il mondo era tutto elettrico, c’erano solo pubblicità di auto elettriche. La Cina, in realtà, si stava muovendo da
tempo sull’auto elettrica ma non si pensava che anche l’Europa si potesse trovare immersa dentro questo tormento dell’auto elettrica.
Ci sono state tantissime novità che avevano informazioni incredibili dal punto di vista economico e tecnologico di un mercato emergente.
Sono novità che riguardano i produttori di auto elettriche, i produttori di componenti di auto, i luoghi in cui si producono, quante se ne
producono, con che sostegno pubblico vengono realizzate. Quindi sono una fonte di informazione in un contesto in rapido cambiamento che
è potentissima.
Questa fonte di informazione ha prodotto un estratto micro: si sono catalogate una serie di imprese per capire cosa esse facessero. Nelle righe
le imprese, nelle colonne l’attività di cui l’impresa si occupa.
Si sono classificate le attività economiche: l’impresa dichiara di fare un certo prodotto, ma ogni prodotto è classificato da Eurostat secondo la
sua corrispondenza all’attività economica in cui viene realizzata.
Lo strumento è un file che riguarda la classificazione dei prodotti per attività (classification products by activity, CTA) e questa
classificazione si trova nel sito di Eurostat.
Tale classificazione si configura in questo modo: ci sono dei codici e degli elementi descrittivi.

Per esempio, io non so le batterie che cosa siano e


quindi che classificazione diamo alle batterie?

28
Troviamo che il codice di attività economica corrispondente al prodotto che ha come descrizione “batteries and accumulators” è a due o tre
cifre (27 o 27.2)
Se invece andiamo a guardare il codice a 4 cifre (27.20) abbiamo le “primary cells and primary batteries and parts thereof”.
Nel 27.20.1 abbiamo invece soltanto le “primary cells and primary batteries”.
Sto cercando qualcosa che ha a che fare con le batterie perché le imprese in questo database mi descrivono nelle news per esempio che
producono batterie.
La codifica delle attività: se l’impresa fa batterie o accumulatori è indifferente perché il codice sarà 27; Fa operazioni di subfornitura come
parte della produzione di batterie e accumulatori? Sostanzialmente è sempre 27, ma il codice specifico è dettagliato perché è il 27.20.9.
Se invece fa il riciclo delle batterie, son sempre batterie, ma è un'altra attività.
La classificazione dei prodotti avviene attraverso una codifica dettagliata prodotta da questa tavola di raccordo tra la classificazione di
prodotti sulla base della loro descrizione e le attività in cui si producono quei prodotti, ossia la classificazione Ateco.

Documento che racconta in dettaglio la classificazione delle attività economiche: se si consulta questo documento, cerco il termine batterie
come elemento descrittivo del prodotto delle imprese che ho nella mia lista di imprese da classificare.
Ci sono una serie di strumenti che danno la possibilità di indagare dove sono la classificazione delle batterie e mi porta sul codice 27. A
questo punto osservo che le imprese italiane che producono batterie che vengono citate dalla news lettere sono molto meno delle imprese
cinesi o tedesche.
La cosa interessante è che l’obiettivo era usare la classificazione delle attività economiche per rendere confrontabili le informazioni.

Traccia della lezione


• Nel distretto matura la capacità di risolvere tre antinomie: tra sapere locale e sapere codificato; tra concorrenza e cooperazione tra le
imprese; tra conflitto e partecipazione dei lavoratori nelle imprese.
• Perché i saperi locali sono rilevanti anche i contesti tecnologici fortemente caratterizzati da conoscenze codificate.
• Cooperazione e concorrenza nelle relazioni verticali e in quelle orizzontali.
• Cooperazione: cautele, regole di interazioni e sanzioni nel distretto.
• Politiche per favorire la cooperazione e la partecipazione

Domande
 Come sono definiti i saperi locali?
 Che cosa sono i saperi codificati?
 Quali sono i meccanismi di coordinamento delle imprese?
 In che modo avviene il coordinamento in un mercato concorrenziale?
 Che cosa è la concorrenza?
 Che nesso c'è tra concorrenza e innovazione?
 In che modo avviene la cooperazione nelle imprese del distretto?
 Che cosa si intende per relazioni verticali e relazioni orizzontali tra le imprese? sono relazioni mutualmente esclusive?
 Le regole di interazione nei distretti aumentano la concorrenza?
 In quali condizioni le grandi imprese sono più efficienti delle piccole imprese?
 C’è un solo modello efficiente di organizzazione della produzione?
 Quali cautele sono ritenute efficaci?
 Quali sono secondo Brusco le regole di interazione nei distretti industriali?
 Quali sono secondo Brusco le sanzioni che possono colpire imprenditori inadempienti? E quelle verso lavoratori che non sono
disponibili a impegnarsi?
 È possibile una politica che favorisca la cooperazione e la partecipazione?
21/03
Conflitto e partecipazione: il caso Lamborghini 1963-2017
In questo caso possiamo vedere come gli elementi di conflitto e partecipazione rientrano all’interno di una impresa che ha una storia molto
lunga, localizzata all’interno di uno dei territori a carattere distrettale più importanti (Sant’Agata Bolognese)
Le domande di ricerca riguardando un cambiamento importante che avviene all’interno dell’impresa che riguarda le trasformazioni societarie
e produttive di Lamborghini. All’interno di Lamborghini si verifica, nel corso degli anni che precedono l’acquisizione da parte di Audi VW,
episodi di forte conflitto tra i lavoratori e la proprietà dell’impresa. Con il passaggio della proprietà ad Audi la situazione cambia
completamente.
Cambia la situazione perché questi lavoratori sono valorizzati oppure sono lavoratori diversi che non vogliono più avere elementi di conflitto
con la proprietà aziendale? Brusco dice che il conflitto e la partecipazione sono due elementi importanti nelle relazioni all’interno
dell’impresa.
Un caso specifico può chiarire quali sono le dinamiche in questa relazione tra i lavoratori e la proprietà dell’impresa.

Domande di ricerca: premessa


1968-2018: trasformazioni nelle relazioni industriali
• Il processo di contrattazione a livello nazionale viene fortemente indebolito
• Il dialogo sociale tra le parti è stato messo in discussione in diverse occasioni
• La quota dell’occupazione manifatturiera (sull'occupazione totale) è diminuita significativamente in Italia: dal 35% al 26,3%, tra il 1991
e il 2017. Si dubita che il manifatturiero sia una componente significativa dello sviluppo economico del paese. Sono anni in cui a fatica
si sta recuperando un senso dell’elemento strategico che un paese deve avere nel settore manifatturiero.
• La contrattazione dei lavoratori metalmeccanici a livello nazionale

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o sottoscrizione di contratti separati. Quando Fiat esce da Confindustria inizia a sottoscrivere un contratto Fiat per i lavoratori Fiat, i
lavoratori non sono più nel contratto nazionale dei metalmeccanici. C’è quindi un indebolimento della contrattazione nazionale e
una spaccatura nelle condizioni definite nelle diverse imprese
o FIAT esce da Confindustria nel 2012
• La contrattazione aziendale nel gruppo automobilistico Fiat cambia in maniera significativa
o Vengono messi da un lato lo sviluppo economico vs. rinuncia ai diritti dei lavoratori, come due elementi non negoziabili. Se si
vuole lo sviluppo, ossia occupazione bisogna rinunciare per esempio alle pause. I diritti dei lavoratori acquisiti attraverso una
negoziazione tra le parti vengono contrapposti alle condizioni di sviluppo.
o dimensione globale delle relazioni industriali in un’impresa multinazionale vs. contrattazione aziendale
• La contrattazione aziendale in Lamborghini:
o sviluppo economico e diritti dei lavoratori: modello tedesco di co-determinazione. Modello che vede la partecipazione dei
lavoratori nelle decisioni dell’impresa (diritto ad esprimere un parere sulle tecnologie). La co-determinazione è specifica del
modello di relazioni industriali in Germania e VW porta quel modello dentro Lamborghini
o dimensione globale delle relazioni industriali in un’impresa multinazionale che gioca a sostegno della contrattazione aziendale:
Carta globale dei rapporti di lavoro in VW
Porta dentro la contrattazione in quella impresa degli elementi di partecipazione che hanno scritto in questa Carta globale.

Domande di ricerca
• Cambiamenti nelle relazioni industriali 1968-2018:
o quali sono le condizioni (sociali, economiche, organizzative) che hanno favorito l’affermarsi di sentieri divergenti da quello che
caratterizzava il modello Fiat?
o In che modo possiamo analizzare le diverse dimensioni del cambiamento? Nello studio di caso di Lamborghini abbiamo una
prospettiva storica in cui studiamo i cambiamenti nel contesto locale e utilizziamo una ricerca empirica utilizzando i contratti
aziendali sottoscritti in cinquanta anni
o Emilia-Romagna & distretti industriali  automotive
o Strumento: analisi automatica dei testi della contrattazione aziendale

Da Ferruccio Lamborghini ad Audi VW


Se noi guardiamo dal 1963 al 2018 vediamo un primo periodo di Ferruccio
Lamborghini, italiano che costruisce l’impresa. Nel 1972 la passa a Rossetti
(proprietà svizzera). Dopodiché la cede a Renè Leimer (svizzero) e la tengono
assieme fino al ‘77
Successivamente c’è il fallimento e l’amministrazione controllata per 2 anni. Si
arriva poi alla liquidazione nel 1980.
Patrick e Jean Claude Mimran (francesi) la tengono per 6 anni
Dopodiché arriva Chrysler dal 1987 al 1993
Poi arriva Megatech, una impresa di proprietà Indonesia e Bermuda
Cedono poi ad Audi che arriva nel 98 ed è ancora proprietaria di Lamborghini
Da Ferruccio Lamborghini ad Audi VW: modelli in produzione (20) e prototipi (15):
1963-2017
Nella foto possiamo
vedere
un’ambientazione
rurale in cui possiamo trovare una figura femminile vestita in maniera
elegante.
Tra il 1963 e il 2017 producono 20 modelli, di cui 15 prototipi.
Il primo SUV lo costruiscono nell’86.
Si tratta di una impresa che cambia molto la sua immagine anche in ambiti
che non sono soltanto le macchine sportive, ma che sono macchine utility

Da Ferruccio Lamborghini ad Audi VW: proprietà, produzione, occupati, sindacalizzazione


Abbiamo numerosi cambiamenti:
• nell’assetto proprietario
• nella produzione e nei risultati commerciali, es.
o 350 GT: 120 unità
o Gallardo: più di 14000 esemplari
• nell’occupazione
o qualche decina di lavoratori all'inizio degli anni sessanta,
o 310 lavoratori, nel 1998 (169 operai, 136 impiegati e 5 dirigenti)
o quasi 1500 lavoratori, nel 2017 (744 operai, 749 impiegati)
• nel tasso di sindacalizzazione:
o alto, nonostante una flessione dal 1992 al 2001, negli anni di instabilità proprietaria, si attesta sotto il 50% del totale dei lavoratori.
Si tratta di un tasso di sindacalizzazione altissimo tra gli operai e bassissimo tra gli impiegati

Da Ferruccio Lamborghini ad Audi VW: cambiamenti nelle relazioni industriali


In quali condizioni e con quali specifici strumenti un diverso modello di relazioni sindacali viene adottato in un contesto che è caratterizzato
da norme e attori sociali differenti da quello in cui ha avuto origine?

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Bisogna capire in che modo il coinvolgimento degli attori diventa determinante per ottenere un'efficace adozione di pratiche innovative che
sono anche pratiche di organizzazione del lavoro.

Dati e metodi: Caratteristiche DB Lamborghini


IL DB è composto da 270 documenti su un orizzonte temporale di 48 anni (dal 1968 al dicembre del 2016)
Riguardanti:
• Contrattazione (206 documenti)
o Accordo sindacale – 132 documenti
o Verbale di Incontro – 36 documenti
o Verbali della Commissione Tecnica Bilaterale – 38 documenti
• Informazione (64 documenti)  all’interno del contesto Audi – VW era un diritto dei lavoratori
o Comunicazione aziendale – 32 documenti
o Comunicazione congiunta – 2 documenti
o Comunicazione sindacale – 30 documenti
Mentre i contratti sono documenti in formato testo (cartacei o digitali), le informazioni sono anche loro in formato testo.
Ma ad un certo punto si è perso il contatto con le informazioni perché erano solo digitali e contenute nelle email inviate tra le parti.
I contratti sono documenti sottoscritti tra le parti, quindi per poterli leggere bisogna ottenere l’autorizzazione tra le parti coinvolte (direzione
dell’impresa e le rappresentanze sindacali)
Questi sono i documenti in termini di
numerosità e categorie.
La cosa interessante è che la categoria
‘contrattazione’ rimane una categoria
molto importante nel numero dei
documenti, ma la categoria
‘informazione’ ha un picco nel 1996,
ma aumenta la sua rilevanza in anni
più recenti (nell’ultimo decennio).
Dove ci sono i buchi sono anni in cui
non si contrattava perché c’erano dei
cambi di proprietà in cui bisogna
stabilizzare prima di iniziare a
contrattare
Si tratta di documenti brevi (1-3
pagine), tuttavia erano tantissimi.

Questo è un modo per rappresentare


sinteticamente i risultati dei vari documenti. I
documenti sono stati classificati per tipologia e
sono stati raggruppati a seconda della
somiglianza dei contenuti testuali all’interno
dei documenti.
Tanto più vicini sono i nodi, tanto più simili
sono i documenti.
Il gruppo blu è quello del ’68-’72. Questi
documenti non sono tutti attaccati, però sono
relativamente più vicini di quanto non lo siano
quelli arancioni del 2013-2016 o quelli marroni
del 2000-2010
In questo modo si sono fatti dei
raggruppamenti che tracciavano una dinamica
temporale delle tematiche

Tematiche al centro della contrattazione: un’analisi


temporale
Possiamo vedere un primo periodo che va dal ’68 al ’72
dove la contrattazione aziendale si concentrava su temi
che erano premi di produzione e passaggi di categoria.
Poi c’è un altro periodo più lungo, dal ’73 al ’91 dove i
temi centrali erano l’incontro tra scuola e mondo del
lavoro (tematica molto ampia per la loro contrattazione) e

31
la riconversione produttiva. Sono gli anni in cui passavano da una proprietà all’altra, sono anni in cui non trovano una collocazione
soddisfacente per il rilancio dell’impresa. I lavoratori nella contrattazione ottengono che la tematiche della riconversione produttiva sia al
centro della discussione tra le parti. L’impresa riconosce l’importanza della formazione che chi vive in quel territorio deve avere per essere
una base di professionalità adeguata per l’impresa. L’impresa tenta di introdurre nelle pratiche formative esterne (scuola) elementi di contatto
con le imprese. In quegli anni non esistevano ancora forme di avvicinamento degli studenti alle varie esperienze del mondo del lavoro.
Il periodo ’93-2007 e 19998 sono anni in cui il centro della contrattazione è sulle retribuzioni. Parlare di retribuzioni o parlare di premi di
produzione non è la stessa cosa. Il premio di produzione ha a che fare con un incentivo connesso al contributo individuale del lavoratore, la
retribuzione guarda alle componenti che costituiscono il salario e che definisce la possibilità di avere accesso a condizioni specifiche (es. la
mensa, l’assistenza di vario tipo). La retribuzione non è solo la definizione degli incentivi sul contributo dei lavoratori
L’ultimo decennio è fatto da elementi diversi: si parla della sospensione del lavoro e della cassa integrazione, ma anche della formazione e
della partecipazione (2002 - 2010). Poi c’è un gruppo di contratti nel 2008-2015 dove il focus è sul lavoro interinale; non ci sono più solo i
lavoratori dipendenti, operai, impiegati, ma ci sono molti lavoratori che sono presi su specifiche esigenze dell’impresa. Viene posto da parte
dei lavoratori Lamborghini e accettato da parte della proprietà l’informazione del perché si fa ricorso al lavoro interinale. L’idea è di definire
volta a volta perché non si assumono lavoratori a tempo indeterminato; il lavoro interinale ha una durata temporale limitata e ed è giustificato
da esigenze specifiche che l’impresa può avere. I lavoratori e l’impresa concordano che effettivamente occorre monitorare la dinamica di
richiesta di lavoro interinale perché potrebbe esserci uno spostamento verso la riduzione di professionalità all’interno dell’impresa, questo
preoccupa molto i lavoratori e la proprietà
Infine ci sono gli ultimi 2 anni in cui l’intera discussione è attorno alle commissioni tecniche bilaterali, affrontano le tematiche della crescita,
le tematiche relative all’ampliamento verso tecnologie completamente nuove sia per i materiali che per i processi di produzione. Iniziano ad
introdurre materiali molto sofisticati che consentono di ridurre il peso della scocca e che tanto più sono sofisticati, tanto più aumenta il lavoro
manuale impiegato nella produzione di queste auto. Contrariamente a quello che uno può pensare (materiali molto sofisticati richiedono
molta più tecnologia e lavoro automatico), ci si rende conto che prodotti come le Lamborghini sono il frutto di un lavoro artigianale
estremamente sofisticato, dove le conoscenze dei lavoratori sono la parte centrale della qualità del prodotto. Lavorare dei materiali molto
speciali richiede quelle competenze.
Le commissioni tecniche bilaterali sono composte dai rappresentati dei lavoratori e dei manager che si siedono, discutono e definiscono cosa
fare.

Tematiche al centro della contrattazione: 1968-1972 premi di produzione e passaggi di categoria

• Contratti brevi e frequenti (durata spesso annuale).


• Tematiche principali: premio di produzione, ambiente di lavoro (i.e. mensa), e passaggi di categoria.
• Piena aderenza alla linea del sindacato metalmeccanico bolognese durante gli anni successivi all’autunno caldo.
• Nasce il Consiglio di Fabbrica nel 1970, riconosciuto ufficialmente dall’azienda nel 1972.

Tematiche al centro della contrattazione: 1973-1991 scuola e mondo del lavoro, riconversione produttiva

• Periodo di
grande
instabilità
(4 cambi di
proprietà e
1

amministrazione controllata) ed incertezza che si riflette nella discontinuità della contrattazione.


• Si introduce il tema del rapporto tra la scuola e la fabbrica con lo stanziamento nel 1983 di una borsa di studio per i mesi estivi rivolta
agli studenti del territorio. Nel 2014, il tema ritorna di grande attualità con il progetto DESI (progetto che vede strutturalmente un
percorso di formazione dedicato dentro Lamborghini come formazione professionale).
• Sindacato e lavoratori si interrogano sulle prospettive produttive-occupazionali dell’azienda, ma anche sul ruolo delle innovazioni
tecnologiche e dell’organizzazione del lavoro.

Tematiche al centro della contrattazione: 1993- 2007 e 1988 retribuzioni

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• Cluster più lungo: copre vent’anni di storia Lamborghini.
• Focus di molti documenti è la retribuzione nella definizione delle sue componenti (scatti di anzianità, straordinario, quota fissa,…).
• Attenzione crescente ai diritti dei lavoratori: recepimento dell’istituto della banca ore e riconoscimento di 40 e 80 ore aggiuntive rispetto
al CCNL per gli esami e la laurea.
• Inizio periodo AUDI-VW nel 1998.
• Contratto collettivo aziendale nel 2007 che anticipa lo scoppio della crisi economica, definisce delle condizioni economiche che
avvantaggiano così i lavoratori. I lavoratori che si troveranno a sottoscrivere i contrati alla fine del 2008 non riusciranno ad avere

Tematiche al centro della contrattazione: cassa integrazione, formazione, partecipazione, 2002-2010

• 25

documenti nei 3 anni 2002-2009-2010 (soprattutto accordi sindacali)


• Cassa Integrazione nel periodo di crisi 2009-2010.
• Formazione del personale (i.e. accordi su competenze trasversali). Le competenze trasversali consentono idi far fronte ai cambiamenti, i
lavoratori di Lamborghini riconoscono e la proprietà inserisce e sottoscrive nei contratti che la formazione del personale è un elemento
centrale delle strategie d sviluppo dell’impresa. Quindi la partecipazione dei lavoratori offre opportunità per i lavoratori per riconoscere
loro diritti, ma per creare condizioni che diano continuità e prosperità all’impresa, grazie alla prosperità e alle conoscenze dei loro
lavoratori.
• CHARTA del gruppo Volkswagen ispirata al modello “Mitbestimmung” [Co-determinazione]: Dichiarazione sui diritti sociali e i
rapporti industriali presso VW del 2002
Nuova edizione: Charta sui rapporti di lavoro per tutte le società e i siti produttivi appartenenti al gruppo VW del 2009, recepita
ufficialmente in Lamborghini nel 2011.

Tematiche al centro della contrattazione: lavoro interinale, premio di risultato e flessibilità positiva, 2008-2015

• 59 documenti, di cui circa un terzo appartenenti alle Commissioni tecniche bilaterali.


• Regolazione sul lavoro interinale e imposizione di alcuni vincoli all’uso di forme di lavoro atipiche (i.e. soglia massima del 10% sul
totale degli occupati). Il lavoro interinale è contingentato, se si inizia a portare dentro troppo lavoro interinale il breve periodo dei
contratti non favorirà la professionalità dei lavoratori e questo indebolirà il potenziale di conoscenza dell’impresa. Di conseguenza il
sentiero della crescita dell’impresa è orientato in una relazione diversa. Loro quindi riducono il lavoro interinale per non perdere di vista
il circolo virtuoso che c’è tra competenze dei lavoratori e professionalità interne e sviluppo dell’impresa
• Istituzione della Commissione tecnica bilaterale sul premio di risultato.
• Ricorso crescente e sistematico alla flessibilità positiva, regolamentata per la prima volta nell’era Chrysler nel 1988. La flessibilità in
genere è vista come flessibilità negativa, ossia la fuoriuscita dei lavoratori; mentre qui è la stabilizzazione del lavoro all’interno
dell’impresa

Tematiche al centro della contrattazione: commissioni tecniche bilaterali, 2013-2016

• 61

documenti in 3 anni: 55 appartenenti alla contrattazione, di cui 18 verbali delle commissioni tecniche bilaterali.
• Avvio lavori di tutte le 4 commissioni: Tempi e Metodi, Salute e Sicurezza, Formazione e Inquadramento, Premio di Risultato (ha a che
fare su elementi che non riguardano solo lo specifico produttivo del lavoratore, ma riguardano il contesto in cui il lavoratore è inserito).
• Progetto DESI di alternanza scuola lavoro (2014-2016, successivamente viene esteso)
• Accordo sul plusvalore cognitivo nel 2016.
• URUS e ampliamento del sito produttivo da 80mila a 150mila mq e del numero di occupati (+300).

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Tematiche al centro della contrattazione: tecnologia 1973-1992
Quando si parla di tecnologia, all’inizio nel periodo ’73-’92 la discussione era sulle macchine utensili, sugli investimenti e innovazione. La
discussione sulla tecnologia (rappresentata essenzialmente dalle macchine utensili) è oggetto di conflitto e di richieste salariali perché la
tecnologia altera il rapporto dei lavoratori con le macchine; richiede una maggiore professionalità, un riconoscimento del salario di lavoratori
più professionalizzati e richiede investimenti. Gli investimenti e l'innovazione sono determinati solo dall'impresa, ma i sindacati cominciano
ad avanzare proposte sui modelli organizzativi, sui tempi di produzione e sulle competenze dei lavoratori.

Tematiche al centro della contrattazione: tecnologia 2008-2015


La tecnologia invece diventa decisione nel periodo 2008-2015 sulle nuove tecnologie. Le decisioni sulle nuove tecnologie sono prese in un
quadro di accordi collettivi. Gli investimenti non riguardano solo l'innovazione in macchinari, ma anche una crescente offerta di programmi
di formazione per i lavoratori al fine di favorire lo sviluppo di nuove competenze e percorsi di valorizzazione professionale.

Spunti per la discussione: lettura sincronica dei cambiamenti, proprietà, direzione e rappresentanze

Una cosa

singolare di questa impresa è che hanno due responsabili di relazioni umane, quando cambia la proprietà non cambia anche il responsabile
delle relazioni umane. Tutte le proprietà che si sono susseguite nel corso degli anni hanno mantenuto molto stabile il contatto sul tema delle
relazioni umane.
Anche il sindacato mantiene una stabilità di presenza, per cui il ritmo di cambiamento dei dirigenti dei dirigenti sindacali è molto lento.
Imparare queste tematiche richiede tempo, richiede tempo per conoscere le persone, il contesto , le tecnologie, per essere ritenuti affidabili.
Nello schema possiamo vedere in alto la proprietà, in basso i rappresentanti sindacali che sono periodi abbastanza lunghi. Claudio Sabatini è
uno dei più grandi teorici della contrattazione in Italia nell’industria metalmeccanica.
La contrattazione di Lamborghini è un modello che ispira i contratti nazionali e uno degli artefici di questo legame è Claudio Sabatini.
C’è sostanzialmente un primo pezzo di relazioni umane che non si è riusciti a capire chi fosse, poi c’è Claudio Galli e Alberto Tossini.

Spunti per la discussione: lettura sincronica dei cambiamenti, i temi della contrattazione

Abbiamo periodi di contrattazione che abbracciano più periodi di cambiamenti proprietari.

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Si inizia a parlare di retribuzioni con Chrysler e se ne continua a parlare con Megatech e Audi, cambiando registro della contrattazione

Spunti per la discussione: conflitto e partecipazione


Aspetti positivi:
• crescente presa di coscienza da parte degli operai e senso di appartenenza della fabbrica
o conflittualità e forti rivendicazioni (aumento salari, migliore organizzazione del lavoro, istituzione del servizio mensa)
o collaborazione e disponibilità ad accettare: ore di straordinario, programmi di ristrutturazione, periodi di flessibilità per garantire e
soddisfare le esigenze produttive dell’azienda
• i sindacati di Lamborghini hanno saputo partecipare - nel tempo - al processo di innovazione, con miglioramenti rilevanti dopo
l'acquisizione da parte di AUDI-VW (da conflittuale a cooperativo). Gli articoli su Lamborghini, prima dell’acquisizione, raccontavano
di un sindacato che era sempre contro, di un sindacato dove i lavoratori non erano disponibili a scontare niente.
L’arrivo di Audi non è casuale, in quanto compra un sistema produttivo all’interno di un territorio ricco di competenze. VW compra
Lamborghini perché sono imprese ultra radicate nel territorio della meccanica. Si tratta di un investimento di rilancio dell’impresa, in
cui il piano industriale guarda al futuro e non agli interessi contingenti.
Da conflittuale a cooperativo significa entrare in un contesto in cui i lavoratori sentono che il loro contributo ha un valore. La riduzione
del conflitto è un elemento estremamente importante e riconosciuto tra le parti
• la competenza e la consapevolezza dei sindacalisti sembrano ridurre ed evitare, al momento, la diffusione di meccanismi di
prevaricazione sui lavoratori.
Si richiede ai lavoratori professionalità e competenze e si pretende che chi rappresenta i lavoratori abbia ancor più competenze. Questa è
una cosa su cui Lamborghini ha sempre aperto la propria impresa e le proprie conoscenze a tutti i livelli per rendere possibile l’accesso a
queste competenze.
• un processo virtuoso che migliora l’organizzazione del lavoro: eredità del pensiero di rappresentanti sindacali della Fiom bolognese
(Claudio Sabattini, Francesco Garibaldo)
• crescente coordinamento con i lavoratori a livello di stabilimento: 1100 lavoratori su 3000 in totale sono impiegati da altre aziende in
attività di mensa, logistica e sicurezza
I sindacati hanno deciso e ottenuto dall’impresa la possibilità di sottoscrivere il contratto di stabilimento, ossia che dentro lo
stabilimento di Lamborghini non c’è solo Lamborghini, ma anche la mensa, l’impresa di manutenzione, l’impresa di pulizia.
L’aver definito un contratto di stabilimento ridisegna le regole in gioco in cui l’impresa può decidere che alcune competenze sono
specifiche, lontane dal core business. Bisogna capire dove finiscono i diritti del lavorare per Lamborghini; questa è una cosa su cui
hanno ottenuto una sorta di integrazione della loro possibilità di affiancare gli altri lavoratori verso contrattazioni sui loro diritti.

Aspetti critici:
• difficoltà a sviluppare gruppi di lavoro orizzontali e a creare un ruolo non autoritario del team leader
• tendenza ad aumentare la quota di lavoratori temporanei (anche se, d'altra parte, c'è un crescente investimento in capacità e competenze
dei lavoratori permanenti).
• reparti di progettazione e R&S ancora chiusi ai sindacalisti (scelta nella progettazione separata dalla scelta nell'adozione). Questa
chiusura dei reparti non danneggia solo il sindacato, ma anche il resto dell’impresa perché sono molto separati dalla fase di adozione
degli sviluppi tecnologici

Domande
 Quali elementi di interesse ci offre il caso Lamborghini per una discussione su «conflitto e partecipazione» nei distretti industriali?
 Quanto osservato con riferimento a Lamborghini può essere generalizzato a tutte le imprese che producono automobili Emilia-
Romagna?
 Che ruolo hanno le relazioni industriali nel caratterizzare l’antinomia conflitto/partecipazione? Mutano nel tempo?
 Lamborghini è una tipica impresa del distretto industriale della meccanica in Emilia-Romagna?
 Come mutano nel tempo i temi della contrattazione/quali sono gli elementi ricorrenti?
 In che modo muta la concettualizzazione della tecnologia nei temi della contrattazione
23/03
Capitolo 5: Politiche per lo sviluppo dei distretti industriali - i servizi reali (Brusco)

Brusco si interroga su quanto sia possibile riprodurre il modo di operare nei distretti industriali, quindi le regole del gioco nei distretti. Pone
la domanda se ci siano politiche che possano favorire la cooperazione. Le politiche che riguardano il conflitto e la partecipazione sono
politiche molto specifiche che sollecitano l’azione dei diritti die lavoratori attraverso le rappresenta sindacali. Le politiche che incidono sulla
struttura del sistema produttivo dal punto di vista della specializzazione delle imprese, della loro capacità di stare al passo con l’innovazione
tecnologica, della loro capacità di intercettare nuovi bisogni che emergono nei mercati lungo le filiale di produzione e in altri mercati
concorrenti.

Brusco S. (2008) “Distretti industriali e servizi reali”: Saggio scritto nel 2008, è un saggio fondante nella discussione degli interventi di
politica industriale. Riguarda le politiche di sviluppo di sistemi industriali che, secondo Brusco, devono rotare attorno ai servizi reali.

Definizione di distretto industriale con riferimento al sistema di imprese collocato in un territorio relativamente piccolo. Sono imprese che
lavorano direttamente o indirettamente per lo stesso mercato finale e condividono una serie di valori e conoscenze importanti da definire un
ambiente culturale. Le imprese sono collegate tra loro da imprese e competizione.

È un saggio scritto per un’occasione particolare: Clinton venne in Italia per portare un contributo analitico e di policy allo sviluppo di una
economia manifatturiera che era in grandissimo affanno. L’amministrazione di Clinton guardava all’area dell’antica industrializzazione degli
Stati Uniti con il rancore per aver perso quel primato manifatturiero, Clinton riconobbe questo problema come uno degli elementi critici

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dell’economia americana. Individua nella criticità di quel modello di sviluppo l‘assenza di sistemi di piccole imprese che erano considerati
un modello importante per lo sviluppo economico di una economia occidentale, come quella Italiana.
Viene in Italia per studiare i distretti e Brusco prepara per lui questo saggio. Clinton chiede a Brusco come fossero fatti i distretti e Brusco
racconta quanto devono essere grandi le imprese, quante devono essere e di che tipo devono essere. Parla di una base produttiva
individuandola come un settore verticalmente integrato in cui ci siano sia le imprese di fase (molte piccole e alcune grandi) ed imprese finali
(molte piccole e alcune grandi). Alcune operano sul mercato mondiale e quelle grandi essenzialmente operano nel mercato mondiale.
Nelle imprese di fase dovremmo inserire anche le imprese che producono macchinari; questo è un aspetto importante di moltissimi distretti
che hanno sviluppato un circolo virtuoso di dinamica del cambiamento del prodotto finale del distretto e di macchie specifiche per la
produzione del prodotto finale (es. Sassuolo e distretto delle calze)
Dice inoltre che ci sono lavorato autonomi e anche altre imprese. Sostanziatamene parla di dimensioni che devono avere le imprese: molte
piccole, alcune grandi. Quindi c’è l’idea di non pensare al fatto che i distretti sono caratterizzato solo dalle piccole imprese. L’interrelazione
tra le piccole e le medie e le grandi imprese nei distretti è uno degli elementi che maggiormente caratterizzano la dinamica dei distretti, in
quanto c’è da un lato una crescita dimensionale delle imprese, ma c’è anche una caratteristica del tipo di specializzazione che le imprese
possono avere nel distretto.
La dimensione in termini di addetti non sempre spiega completamente cosa sta succedendo a quelle imprese.

Fattori culturali
Ci sono convenzioni adeguate per concludere contratti spot con costi di specificazione bassi. Nei distretti, dice Brusco, le regole di
interazione limitano le frodi e gli inganni grazie alle sanzioni che consentono di ridurre tali rischi.
C’è una mancanza di opportunismo, competenze, mobilità sociale che favoriscono il senso di appartenenza che consolidano i fattori culturali
che caratterizzano i distretti.

Definizione operativa
Non ci può essere una distinzione netta tra aree di concentrazione spaziale.
Poi dice che i distretti cambiano nel tempo. C’è una fase di evoluzione e anche una fase di declino
Lui tratteggia quindi elementi analitici che verranno elaborati nel saggio del ’97 e nel saggio delle regole del gioco

Politica industriale per i distretti industriali


Le questioni che Brusco affronta sono 3:
- Il modello dei distretti è replicabile?
- È possibile una politica per sostenere la cooperazione?
- Saranno capaci i distretti industriale a far fronte alle nuove tecnologie dell’informazione?
Per affrontare la risposta a queste domande, Brusco dice che dobbiamo tener conto di un contesto dell’analisi che deve sgomberare il campo
da ipotesi non esplicitate. Parte da alcune ipotesi:
1. Non si assume a priori che la grande impresa sia più efficiente
2. In generale, Brusco dice che non c’è un solo modello efficiente per organizzare la produzione.
Bisogna avere chiara la caratteristica dell’impresa che analizziamo rispetto ai prodotti e rispetto a come organizza la produzione,
rispetto a livelli di integrazione verticale dell’impresa, rispetto alla serie di produzione. Se l’impresa produce un numero elevato di pezzi
tutti uguali potrà dotarsi di macchinari che hanno una capacità di componenti elevati, ma sono macchinari costosi e complessi che non
ha senso utilizzare se la scala di produzione è di poche centinaia di pezzi. Se l’impresa produce 100 pezzi al giorno utilizzerà una
tecnologia diversa del caso dell’impresa che ne produce 10 mila di pezzi.

Brusco distingue i servizi reali rispetto agli incentivi finanziari


I servizi reali riguardano un’offerta alle imprese di ciò di cui hanno bisogno direttamente in natura, anziché dare alle imprese il denaro
necessario per acquistare ciò che hanno bisogno, acquisto che dovrebbe fare sul mercato.
Questa contrapposizione viene fatta perché le imprese potrebbe non sapere di cosa hanno bisogno, quindi dare loro il denaro per comprare
ciò di cui hanno bisogno non si saprebbe nemmeno quanto darne e a chi darne. Inoltre non sempre esiste un mercato per quello per cui le
imprese hanno bisogno, semmai lo sapessero.
Elenco di esempi di servizi reali:
- Fornire informazioni sugli standard tecnici che sono in vigore
- Fornire specifici software
- Fare controllo degli input attraverso laboratori (es. nel settore tessile in cui bisognava certificare i diversi tipi di tessuti, di filato, …)
- Traduzione di tenders (gare d’appalto) internazionali. La traduzione dei bandi internazionali era una cosa importante perché apriva le
piccole imprese dei distretti industriali verso opportunità di espansione con le vendite in mercati in cui loro non avevano capacità di
controllare per problemi linguistici.
In generale: servizi reali vuol dire offrire, cioè vendere le informazioni di cui le imprese hanno bisogno
Il tema è: perché questi servizi devono essere offerti per iniziativa pubblica? La risposta riguarda una risposta tipica dell’analisi economica,
ossia ci vogliono politiche pubbliche laddove ci sono dei fallimenti di mercato. Il mercato non funziona, e quando non funziona interviene lo
Stato. Laddove non si determina una condizione di offerta che risponda alle esigenze, quindi a una domanda, interviene lo stato soprattutto
quando si tratta di bisogni delle persone o quando si tratta di un pezzo importante della nostra struttura produttiva.
Se il mercato non funziona, quindi non si possono dare alle imprese incentivi per comprare quei servizi. Quindi una strada potrebbe essere
quella di sostenere l’offerta.

Le imperfezioni nel meccanismo di mercato


Le imperfezioni derivano dalla mancanza nel distretto di competenze. Come si introducono nel distretto le competenze? Bisogna capire se
l’investimento necessario per produrre quei servizi è accessibile a ovunque oppure se è un investimento molto alto. Il caso dei servizi reali è
esattamente quello di servizi la cui produzione richieda un investimento alto iniziale e un ritorno differito nel tempo. Una rischiosità
dell’investimento che riduce la probabilità che ci siano imprese private che vogliono entrare nell’offerta di quei servizi

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Quindi ci sono poche competenze dal lato dell’offerta e c’è scarsità di domanda in quanto le imprese non sanno di aver bisogno di quei
servizi.
Esempio: la regione Toscana nell’ultimo decennio ha iniziato a stilare una lista dei servizi che loro potevano effettivamente finanziare. Ma
c’era una idea che le imprese sapessero cosa fossero quei servizi, cioè sapessero di aver bisogno di quelle cose. Si è arrivati a un grado di
maturità di definizione dei bisogni delle imprese, da parte delle imprese, che riusciva a definire una lista e a far riconoscere all’impresa di
aver bisogno di quello specifico servizio per il quale riceveva uno specifico servizio finanziario.
Quando siamo in una situazione in cui ci sono poche competenze dal lato dell’offerta e scarsità dal lato della domanda è l’imperfezione al
massimo livello
Inoltre si tratta di fornire alle imprese informazioni e le informazioni hanno il carattere più puro del bene pubblico.

Beni pubblici
Assenza di rivalità e non escludibilità dal consumo. Il consumo di un bene da parte di un individuo non implica che anche altri non lo
possano utilizzare (non rivalità). Una volta prodotto non si può impedire che venga consumato anche da chi non ha pagato per averlo (non
escludibilità).
L’informazione ha questo carattere di bene pubblico ed è questo al centro della discussione sui servizi nei distretti che sono essenzialmente
informazioni
• Radio, giardino pubblico: aperti a tutti
• Giornali, giardino del duca: aperto con biglietto poco costoso
• Centro di ricerca, giardino dell’hotel: carissimo
Questi tre livelli riguardano la diffusione di informazioni con diversi gradi di accesso.
Una grande impresa può investire risorse per avere direttamente informazione, per esempio la grande impresa può avere un centro di ricerca
che gli consente di avere le risposte specifiche sui propri problemi produttivi e di sviluppo tecnologico
Nel caso delle piccole imprese si ha una grande difficoltà di disporre di risorse per produrre informazioni (scala molto elevata per essere
efficientemente raccolte, elaborate e rese operative) e non essendo servizi che può acquistare non potrebbe trovarsi sul mercato.
Brusco utilizza questi concetti per capire che cosa si può fare. Se ciò di cui hanno bisogno le imprese nei distretti sono le informazioni e c’è
questo trade-off tra produrre le informazioni (che hanno un costo altissimo di produzione) e una volta prodotte queste informazioni tutti
possono appropriarsi del loro valore, allora accade che individualmente chi le ha prodotte non ha nessun ritorno per l’investimento che ha
fatto  per questo motivo deve intervenire l’azione pubblica.

Azione pubblica
Azione che richiede che si crei una domanda. È importante che i vantaggi potenziali dell’acquisto di quelle informazioni venga percepito
dagli utilizzatori, quindi dalle piccole imprese. Tra l’altro vendere informazioni richiede che ci sia più consapevolezza dal lato della
domanda.
La consapevolezza dal lato della domanda si costruisce attraverso azioni mirate fatte da agenti specializzati che hanno bisogno di avere uno
spazio d’azione di carattere pubblico. La consapevolezza dal lato della domanda riguarda il vendere informazioni e queste richiede
formazione. Brusco ha l’idea che questi sistemi di produzione richiedono una vasta rete di competenze che è diffusa in tutto il sistema
produttivo. Innescare in questi sistemi produttivi nuove consapevolezze richiede competenze specifiche e quindi formazione specifica.
Ma quando lui pensa alle competenze necessarie nel tessuto produttivo pensa non solo alle competenze dei lavoratori ma anche a quelle degli
imprenditori, competenze che vanno incluse del set di competenze in quanto sono una parte decisiva della dinamica di cambiamento dei
distretti perché sono i soggetti economici che prendono decisioni per l’impresa. Gli imprenditori sono le figure che concentrano nelle loro
competenze le capacità tecniche, conoscenza dei mercati di sbocco, dei mercati di approvvigionamento di materie prime e semilavorati e
l’organizzazione del lavoro. Quindi la formazione degli imprenditori è un aspetto importante per la crescita di quelle competenze e dei
lavoratori

Meccanismi di offerta
Brusco affronta un problema attraverso l’analisi del meccanismo d’offerta: una volta che si ammette che ci sono dei fallimenti del mercato,
Brusco si chiede a chi vendere e per chi progettare servizi reali. Ci sono due strade:
1. Concentrarsi su alcune imprese leader che verranno rese consapevoli, diventeranno dei punti di riferimento e poi crescerà la domanda
all’interno di tutto il sistema. Offrendo servizi a queste imprese i vantaggi della specificazione di servizio, ossia la costruzione di
contenuti informativi ad hoc per queste imprese potrà percolare nell’intera filiera produttiva attraverso le interazioni che hanno con i
fornitori e con i concorrenti
2. Un’altra ipotesi che Brusco persegue in questo modello è che sia preferibile progettare servizi reali per un insieme di piccole imprese in
modo da affrontare una varietà di esigenze, si limitano i rischi di errori nella progettazione di un servizio che risulta essere destinato da
uno specifico destinatario. Si potranno mettere in gioco una varietà di esperti che operano congiuntamente per riconoscere i potenziali
bisogni delle piccole imprese.
Quindi da un lato c’è l’idea di singole imprese leader attraverso cui i cambiamenti percolano nell’intero sistema e dall’altro lato c’è l’idea che
ci sia un eco sistema territoriale che richiede una pluralità di soggetti con competenze varie (non singolo consulente), con una varietà di
bisogni (non una sola impresa).
La scelta tra la singola impresa e l’insieme di imprese deve comunque mettere a fuoco come fare a definire quali servizi

Quali servizi per immettere nuove competenze nel distretto industriale o per rendere possibile la formazione di organizzazioni distrettuali in
contesti che non hanno carattere distrettuale?
Brusco guardava le trasformazioni dei distretti industriali e la possibilità di replicare il modello dei distretti, cioè di innescare competenze in
luoghi che avessero bisogno di una animazione territoriale che favorisse gli elementi esistenti e innescasse nel tessuto produttivo elementi e
conoscenze nuove.
Occorre individuare quali sono le competenze che mancano in quanto in alcuni contesti mancano le competenze manageriali, oppure in altri
quelle gestionali, in altri quelle finanziarie, … Bisogna trovare la combinazione che favorisce con interventi mirati il completamento delle
competenze presenti nei diversi territori ed è una delle azioni più importanti che può essere fatta nei processi di sviluppo.

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È una cosa su cui investono moltissimo non i paesi in via di sviluppo, ma investono moltissimo paesi come la Germania che ha costruito una
rete capillare di innovation hub che arriva nei vari land a livello del singolo gruppo di comuni, dove guarda alle esigenze specifiche che si
trovano in quei territori.
Quindi abbiamo consapevolezza che il tessuto produttivo vada sostenuto nelle sue sostanziali trasformazioni, innescando gli elementi di
competenza che nel tessuto produttivo non sono venuti a maturare naturalmente.
Gli interventi necessari sono a tutto tondo elementi che richiedono l’analisi degli standard che consentono di capire quali siano le carenze
nella filiera presente nel distretto o nel territorio in analisi, ma anche fare un’analisi delle relazioni tra imprese perché un limite sostanziale
della possibilità di imprese di accedere a informazioni è che ci sono imprese di fase che avrebbe il potenziale di trasformarsi in imprese finali
ma non colgono quali sono gli elementi che devono collegare per fare questa trasformazione. La cosa che dice Brusco è che bisogna stare
attenti nel valutare se le difficoltà che i distretti stanno attraversando non dipendano da condizioni di asimmetria di potere all’interno delle
filiere produttive.
Se ci si trova di fronte a contesti in cui i committenti hanno rispetto ai loro fornitori una posizione di controllo sullo sviluppo dei fornitori,
questo potrebbero inibire la capacità dei fornitori di rispondere a sfide tecnologiche che devono affrontare.
Brusco inoltre dice che occorre una ricerca comparata che guardi ad altri paesi, ad altre organizzazioni e ad altri territori.
25/03
In che forma vanno offerti questi servizi?
Si sottolinea l’importanza di rendere i cambiamenti associati all’utilizzo di questi nuovi servizi come dei cambiamenti accettabili; fornendo
alle imprese gli strumenti operativi per inserire all’interno dei loro processi organizzativi, delle modalità tecnologiche con cui svolgono i loro
processi di trasformazione, offrire alle imprese l’accompagnamento che consenta di integrare le nuove modalità tecnologiche, organizzative
all’interno del contesto produttivo delle imprese.
Spesso si semplificano i bisogni delle imprese come se fossero sostanzialmente dei bisogni di nuove tecnologie incorporate in macchinari.
Tuttavia si sottovaluta quanto i cambiamenti, che risultano incrementi di produttività significativi, sono dovuti a cambiamenti
nell’organizzazione del lavoro, a parità di macchinari.
Esempio: impresa di Mirandola in cui gli effetti del terremoto furono il crollo dell’intero tetto sullo stabilimento di produzione. L’impresa si
trovò in una condizione di totale impossibilità ad utilizzare gli impianti. Gli impianti però non erano stati danneggiati in maniera
significativa, però c’erano stati significativi danneggiamenti nelle fasi di stoccaggio dei materiali e nei magazzini dei prodotti intermedi. Il
terremoto aveva fatto andare giù i pezzi, componenti e prodotti finiti; questi si erano accatastati sulle linee dove scorrevano i robot che
automaticamente prelevavano i vari componenti. Questo rendeva impossibile l’utilizzo dei materiali in quanto non era possibile accedere,
rendeva impossibile la riattivazione dei macchinari.
L’intervento di ricominciare da zero l’organizzazione di quel capannone fu fondamentale nel cambiare completamente la disposizione dei
macchinari. Nel corso degli anni le varie fasi del processo produttivo erano state aggiunte una dopo l’altra dove c’era spazio. I materiali
giravano avanti indietro, ottimizzando gli spazi in tutte le tre dimensioni (orizzontali, del piano e dell’altezza del capannone), con tempi di
percorrenza poco veloci, con costi per tutte le linee di raccordo che non erano nulli ma che erano funzionali al processo che nel corso del
tempo aveva visto lo sviluppo di quell’impresa. Il terremoto manda giù questa organizzazione, di fatto loro costruiscono un capannone che a
parità di dimensioni ha un layout dell’impianto molto più razionale. A quel punto si riorganizzano le localizzazioni delle singole fasi di
produzione riducendo a qualche centinaio di metri rispetto a qualche chilometro il percorso che doveva essere svolto dai singoli componenti
per arrivare a diventare il prodotto finito.
Non c’è una tecnologia, nel senso di macchinari nuovi, in quanto i macchinari li recuperano, li ricondizionano nelle parti che erano state
danneggiate e li dislocano in maniera più appropriata in un contesto che non ha vincoli.
Dal punto di vista del layout dei macchinari spesso le imprese si ritrovano a cimentare una certa organizzazione del flusso produttivo
dell’impresa di cui non ricordano più perché è successo così. L’importante è trovare per ogni esigenza di espansione o di modifica del
processo produttivo la soluzione che risulta più adatta.
Lo sguardo esterno che osserva in quali condizioni si potrebbero modificare le cose è uno sguardo che non sempre le imprese riescono ad
avere e ad accogliere in quanto è uno sguardo che richiede cambiamenti anche molto onerosi economicamente. In quel caso, far fronte per
esempio a tecnologie che avvantaggiano l’impresa nel controllo dei flussi di materiali tra le varie fasi, potrebbe comportare dei cambiamenti
che sono di concettualizzazione dell’intero processo produttivo. Non richiedono dei nuovi macchinari, ma richiedono un ripensamento del
flusso nel processo.
Il punto di rendere i cambiamenti accettabili è un aspetto molto importante perché Brusco è convinto che ci sia un elemento critico nelle
imprese dei distretti industriali che è la difficoltà del management degli imprenditori del distretto di affrontare dei cambiamenti rispetto alla
consuetudine con cui loro si sono formati e con cui hanno fondato le loro imprese e sviluppato la produzione nelle loro imprese.

Quale prezzo?
Un altro aspetto molto critico è il prezzo a cui offrire questi servizi.
Un caso di analisi costi-benefici può essere un aspetto molto importante, in quanto si può valutare in maniera analitica qual è la spesa erogata
per produrre il servizio. Però si tratta di capire come stimare i benefici, nel senso che i benefici sono per esempio i vantaggi dall’aver evitato
il declino delle imprese nel distretto, questo può essere una stima molto importante.
Se il prezzo venisse fissato a livello troppo basso potrebbe dare un segnale di qualcosa che non è molto importante, un servizio che tutto
sommato potrebbe lasciare il servizio che viene offerto non di grande interesse perché è come se non avesse valore. Però un prezzo troppo
basso potrebbe danneggiare l’agenzia che lo sta proponendo.
I costi effettivi del servizio servono come riferimento alle imprese per fissare qual è il valore, dopodiché il prezzo è quello che verrà integrato
rispetto al contributo che viene dato per l’acquisto del servizio. Quindi serve un prezzo basato sui costi effettivi per consentire all’impresa di
avere una valutazione del valore di quello che viene offerto.
L’impresa non ha elementi di riferimento, non sa di che cosa si tratta, deve comunque fare una scelta: se accettare o meno di richiedere quel
servizio. La valutazione di quel servizio, che una volta accettano all’interno dell’impresa richiede cambiamenti di qualche tipo, è un aspetto
molto delicato.
Quindi dal lato dell’agenzia che eroga il servizio bisogna evitare che essa venga messa in condizione di fissare prezzi troppo sotto il costo a
cui vengono prodotti; dal lato delle imprese un prezzo troppo basso darebbe un segnale con una informazione non adeguata sull’utilità del
servizio.

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Conclusioni
Quindi secondo Brusco serve raccogliere moltissimi dati attraverso molti attori e competenze che devono essere messe in gioco.
Quando la Toscana iniziò a mettere a punto un catalogo dei servizi reali, una delle cose che fece in maniera molto puntuale fu la costruzione
di poli di innovazione. Un modello molto interessante di raccolta degli interessi di imprese attorno a progetti; su quei progetti le agenzie
intervenivano offrendo servizi. In qualche modo la Toscana sollecitava le imprese, attorno a dei bandi che finanziavano questi progetti, a
mettersi insieme attorno all’elaborazione di un progetto comune che coinvolgeva imprese grandi, piccole, medie, centri di ricerca, agenzie
territoriali di vario tipo, amministrazioni comunali. L’idea era che ci fossero dei soggetti economici presenti nel territorio che intermediavano
tra il finanziamento che la regione avrebbe erogato al progetto e la costruzione e implementazione del progetto. Lo studio in quel caso, per la
produzione di servizi specifici per le imprese, avveniva nella fase di formulazione del progetto coinvolgendo una molteplicità di attori con
competenze molto diverse nella fase di definizione, creazione ed implementazione dei servizi.
Le conclusioni di Brusco riguardano due punti:
1. regole del gioco nel distretto
2. ruolo del tempo. Questa questione del tempo ha a che fare con i processi di trasformazione che non sempre sono possibili senza tener
conto che alcuni di questi processi richiedono anche cambiamenti sociali.
Una cosa che Brusco ricorda è che l’intervento pubblico non deve realizzare la trasformazione, ma deve possibilmente innescarla in modo
che siano gli attori coinvolti a realizzarla. Questo vuol dire creare le condizioni per il cambiamento e non pensare di doversi far carico di
tutto il cambiamento. Questa leva sgombera il campo da una prospettiva in cui l’attore pubblico è omnisciente.
Il disegno di politiche incentrate al sostegno della trasformazione è un disegno che pervade molte agenzie che si occupano di processi di
innovazione in vari paesi (Europa e non solo)

Interventi
Il tema dei servizi reali si conclude con interventi che sono dal suo punto di vista molto difficili perché si tratta di convincere chi opera nei
distretti e non di ordinare loro di fare delle cose. Per altro sono molto difficile, perché se si trattasse di intervenire solo su una grande
impresa, gli ostacoli nel costruire le condizioni per il cambiamento sarebbero molto minori di quelli che ci si trova di fronte quando si tratta
con una molteplicità di imprese di piccole dimensioni con molti agenti che devono interagire tra di loro e che devono essere sollecitati nelle
loro capacità di creatività e innovazione.
Dall’altra parte dice Brusco sono interventi poco costosi perché una volta iniziato il meccanismo camminerà sulle sue gambe. L’idea è che
innescare cambiamenti richiede un investimento pubblico decisamente più basso di quello che sarebbe necessario per operare tutta una serie
di cambiamenti sulla scala di tutte le imprese del distretto.

Traccia della lezione


• Politiche per lo sviluppo locale vs politiche settoriali. Il bisogno di conoscenza delle piccole imprese spesso resta inconsapevole, non
esprimendosi in domanda pagante nemmeno in presenza di contributi: è per questo che occorrono interventi specifici rivolti a bisogni
inespressi delle piccole imprese. Tali interventi non possono che
essere interventi pubblici perché le informazioni «non si sa quanto valgano sino a quando non le si conosce, e quando le si conosce e se
ne capisce il valore non vale più la pena di acquistarle»: è questo il paradosso dell'informazione, presentato per la prima volta da Arrow
nel 1960. Necessità di offrire alle piccole imprese non
contributi, ma i «servizi reali» di cui hanno bisogno: «non le risorse per comprare le informazioni, ma le informazioni stesse».
• Politica industriale e politiche della formazione. Ruolo delle informazioni e della formazione, e quindi dei saperi: sfera di azione dei
centri di servizio reali (in contrapposizione a politiche basate sulla sola erogazione di contributi). I saperi locali sono un tema centrale
per le politiche di intervento per allargare l'arco delle alternative che il sapere disponibile a livello locale rende praticabili, per impedire
che la mancanza di conoscenza impedisca di muoversi su sentieri innovativi.
• Politiche per le piccole e medie imprese vs. politiche per PMI nei distretti industriali. Politiche a sostegno del credito (singole imprese
vs sistemi di imprese: il caso dei consorzi fidi). Politiche per l'innovazione: capitali per R&S, conoscenze, istruzione e formazione;
ricerca (reti di attori); servizi alle imprese.

Domande
 Quali tipi di imprese vi sono nei distretti?
 Che cosa significa che nel distretto “è compresente uno straordinario numero di mercato”?
 La dimensione di impresa rappresenta un indicatore del ruolo svolto dall’impresa nel processo produttivo?
 Nel distretto ci sono le condizioni chiave del modello di concorrenza? quali sono?
 Quali forme di cooperazione sono presento nel distretto?
 Quale è il nesso tra cooperazione e innovazione nel distretto?
 Quali sono le forme di coordinamento della cooperazione?
 Ci sono nei distretti consorzi di vendita?
 Che cosa è la mobilità sociale? perché è un aspetto rilevante nello sviluppo dei distretti industriali?
 Il linguaggio locale ha effetti sui costi di transazione?
 La crisi può modificare le regole del gioco in un distretto? perché?
 Che cosa sono i servizi reali?
 Perché occorrono i servizi reali?
 Quali sono alcuni esempi di servizi reali?
 In che forma offrire i servizi reali?
 Quale deve essere il prezzo al quale le agenzie devono vendere i servizi reali?
 A quali tipi di imprese devono essere destinati i servizi reali?
 Come si fa a definire quali servizi reali offrire in un distretto industriale?
 Possiamo accorciare il tempo necessario per favorire una trasformazione tecnologica?

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 Che cosa sarebbe necessario per esportare in altre aree non distrettuali il modello dei distretti industriali?
 Perché tra le politiche per i distretti industriali ci sono anche le politiche della formazione della forza lavoro e degli imprenditori?
 Quale è il ruolo dell’intervento pubblico nello sviluppo dei distretti industriali?

Capitolo 6: La trasformazione digitale

La trasformazione digitale
Questo è uno dei temi che Brusco si pone rispetto alle sfide che dovranno affrontare le imprese quando dice ‘ma le piccole imprese nei
distretti saranno in grado di far fronte alle trasformazioni dell’economia dell’informazione?’. A distanza di vent’anni l’Europa si interroga
sull’importanza di costruire strumenti adeguati per sostenere le imprese verso la trasformazione digitale, dove abbiamo una integrazione di
molti elementi che vanno sia dall’economia dell’informazione all’economia di Internet, ma anche a molti altri elementi di trasformazione.
 trasformazione dell'economia e della società indotta dall'uso delle tecnologie dell'informazione riguardano praticamente tutti i settori
dell'economia
 l'economia digitale è diventata un termine comune utilizzato sia in ambito politico che accademico, ma non esiste una definizione
universalmente accettata
 l'economia di Internet è spesso utilizzata come sinonimo di economia digitale, anche se il suo campo di applicazione è più ristretto.
Trasformazione digitale: l’economia di internet
"L'intera gamma delle nostre attività economiche, sociali e culturali sostenute da internet e dalle relative tecnologie dell'informazione e della
comunicazione (TIC)" (OCSE 2008).

Trasformazione digitale: start-up digitali


Ci sono dei soggetti fondamentali di cui bisogna tenere conto: start up digitali
Sono importanti perché immettono sul mercato un nuovo prodotto, un prodotto aggiuntivo, un servizio digitale
trasformano in digitale le attività commerciali esistenti ad esempio, l'adozione di tecnologie digitali per aumentare l'efficienza o la comodità
di un prodotto o di un servizio o per consentire l'introduzione di nuove funzionalità.

Trasformazione digitale: piattaforme digitali


La trasformazione digitale ha altri soggetti altrettanto importanti: le piattaforme digitali
Il caso di Vodafone: uso delle infrastrutture tecnologiche (connessioni internet) per servizi di data analytics. Vodafone da un lato gestisce una
rete molto capillare di servizi di telefonia e di trasmissione dati, ma la cosa interessante di Vodafone è che è uno dei pochi operatori della
telefonia mobile che utilizza la propria infrastruttura ai fini di analisi dei dati. Questa è un’altra attività di business di Vodafone.
Vodafone è in grado di sviluppare un’analisi dei dati che visualizza la provenienza di tutti quelli che erano andati al concerto di Vasco Rossi
a Modena, da dove venivano, quanto tempo stava a Modena e dove sono andati successivamente.
Vodafone ha utilizzato questa analisi a scopo promozionale e per analizzare più in dettaglio dei dati su quelli che erano andati al concerto.

Industria 4.0
Il termine Industry 4.0 identifica un modello industriale emergente, la ‘quarta rivoluzione industriale’, caratterizzata da un insieme di
tecnologie abilitanti interconnesse e comunicanti tra loro grazie ad internet. Queste innovazioni coinvolgono prodotti, processi, modelli
organizzativi e di business e trovano spazio in tutte le funzioni aziendali, dalla ricerca e sviluppo alla produzione, e interessano tutti gli attori
lungo la catena del valore: l’interconnessione tecnologica va oltre i confini dell’impresa e abbraccia fornitori e clienti creando un sistema
cyber fisico che connette persone e tecnologie. Tutte le fasi della creazione del valore possono essere gestite e comunicare tra loro grazie alle
nuove tecnologie del digitale
Questo mondo dell’Industria 4.0 riassume, dal punto di vista delle trasformazioni che riguardano il sistema industriale, l’insieme di
tecnologie e trasformazioni in gioco.
L’idea è di un implementazione di tecnologie digitali che si integrano nei sistemi di produzione industriale e vedono da un lato la crescente
automazione e dall’altro lato una fortissima importanza della connettività nella produzione.
Il termine è stato utilizzato per la prima volta dal ministero dell’industria tedesca nel 2012 e si riferisce a una strategia volta a digitalizzare il
settore manifatturiero come una svolta essenziale per l’economia tedesca (BMBF, 2015). La Germania infatti nel corso dei decenni in cui si
contrae l’importanza relativa nelle attività economiche del settore manifatturiero mantiene molto alta l’attenzione a una articolazione
produttiva che si espande nei paesi dell’Est Europa. La Germania quindi mantiene il suo primato manifatturiero, tuttavia riconosce la
necessità di orientare in maniera diversa la gestione delle catene del valore e di sfruttare il massimo che le tecnologie digitali consentono di
valorizzare, cioè creare valore all’interno della trasformazione sia nella produzione di beni manifatturieri che nell’integrazione tra
manifattura e servizi.
Mentre paesi come l’Italia si ‘vergognano’ del proprio primato manifatturiero, che considerano qualcosa fuori moda in un contesto in cui c’è
la trasformazione digitale. Per moltissimi anni l’Italia ha sostenuto che l’assenza di quelle imprese era la nostra debolezza e l’assenza era
dovuta al fatto che avevamo solo manifatturieri. In realtà chi si è tenuto stretto il manifatturiero, come la Germania è riuscito a mettere una
marcia in più rispetto alla trasformazione digitale. Questo disegno di Industria 4.0 nasce da un disegno dell’Unione degli Industriali tedeschi
di cui si fa portavoce il Ministero dell’Industria.
Il numero "quattro in «industria 4.0» si riferisce alla "quarta rivoluzione industriale" o alla «prossima rivoluzione di produzione»; rivoluzione
che va oltre quelle precedenti. Le tre precedenti rivoluzioni industriali si riferiscono ai cambiamenti determinati rispettivamente dall'energia
idraulica e da quella a vapore, dall'energia elettrica e dall'automazione (Davies, 2015; Schwab, 2016).
«Industria 4.0» è stato ampiamente adottato da altri governi e dall'industria per riferirsi allo sviluppo di "fabbriche intelligenti". La
trasformazione digitale che entra nella produzione manifatturiera determina una:
• una maggiore flessibilità, che prima non era immaginabile nelle produzioni manifatturiere
• possibilità di avere una personalizzazione su larga scala. Uno degli elementi che ha favorito, in una certa fase di sviluppo, le imprese dei
distretti industriale è perché ciascuna di loro aveva la capacità di realizzare pochi prodotti e complessivamente il distretto forniva una
grande varietà di prodotti. Mentre quello era possibile date le piccole dimensioni delle imprese specializzate; a questo punto il gioco
diventa accessibile anche per le grandi imprese perché con le tecnologie digitali applicate nelle fasi di trasformazione produttiva, le

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grandi imprese possono progettare la realizzazione di prodotti personalizzati, realizzandoli in una scala inimmaginabile prima. La scelta
di una personalizzazione su larga scala richiede feedback
• velocità e autonomia nella produzione
• raccolta di grandi quantità di dati
Tutto questo serve per raggiungere una:
 riduzione significativa dei costi, aumentando l'efficienza della produzione
 riduzione della durata dei cicli di innovazione. Complessivamente dal disegno di un nuovo modello di prodotto al momento in cui quel
prodotto viene messo sul mercato, il tempo si è enormemente ridotto.
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Principali fattori tecnologici di Industria 4.0
I fattori tecnologici sono l’insieme di tecnologie digitali che consentono la comunicazione tra macchine, prodotti e persone nei sistemi
cibernetici e fisici (Cyber-Physical-Systems, CPS). Sono sistemi in cui si hanno scambi di materia, energia, informazioni e incorporano
flussi di dati e calcoli in ambienti fisici e in processi (ad es. processi di fabbricazione). Sono un insieme integrato che può anche agire
attraverso dispositivi.
In che modo? Tramite dispositivi di identificazione a radiofrequenza (RFID), chip della dimensioni di un chicco di riso. La tecnologia RFID:
• è collegata ai prodotti
• è in grado di trasferire grandi quantità di dati, attraverso sistemi cloud, a centri di raccolta che si occupano dell’elaborazione dei dati.
L’elaborazione dei dati permette di utilizzarli allo scopo di ottenere informazioni che questi dati da soli non necessariamente
contengono, ma contengono per i modelli di elaborazione  valutano le informazioni e comunicano con le macchine, altri prodotti e le
persone. Quindi i dati servono per una gestione che consenta la sincronizzazione di comunicazione tra macchine e altri prodotti e
persone.
Esempio: macchine a guida autonoma in cui la grande quantità di dati raccolti richiede che l’elaborazione sia effettuata in tempi reali.
Questo perché non possiamo percorrere un tratto di strada avendo un dispositivo a guida autonoma con dei vuoti che siano significativi
dal punto di vista dell’impossibilità di intervenire su eventuali ostacoli lungo il movimento di un veicolo tra i molti che sono in
movimento. L’idea è di avere un traffico che in maniera automatica venga orientato verso soluzioni migliori di velocità relative, per
raggiungere gli obiettivi definiti che sono destinazioni fuori o lungo la strada che si percorre.
Questo monitoraggio dei dati in tempo reali sono in contesti d’uso, come quelli del veicolo autonomo hanno implicazioni estreme e
difficili da accettare perché i mezzi di raccolta e elaborazione nel monitoraggio di questi dati non sono ancora sufficientemente attivabili
per consentire l’impiego in vivo.
Il controllo in tempo reale dei risultati dei processi che generano delle trasformazioni degli input richiedono un adattamento delle
macchine che eseguono le lavorazioni successive in modo da tenere conto delle caratteristiche dei prodotti che sono stati realizzati. Il
tasso di velocità dei cambiamenti in questo caso è minore, per tale motivo è più facile trovare queste applicazioni in campo industriali
 un nuovo livello di sincronizzazione dei processi di produzione.
 il monitoraggio dei dati di prodotto in tempo reale (es. guida autonoma. Tutto quello che succede nella strada deve essere monitorato e
integrato in modo tale che le informazioni vengano coordinate in tempo reale per restituire indicazioni).

Un punto importante gioca l’intelligenza artificiale. Essa è una chimera che inizia ad apparire nell’immaginario già negli anni ’50, dove
assume il ruolo di soluzione di tutti i problemi computazionali e dove però ci sono degli ovvi problemi computazionali (i computer non erano
in grado di sostenere i modelli di intelligenza artificiale che erano stati concettualizzati. Quei modelli non potevano essere implementati sui
computer in funzione all’epoca).
Le capacità computazionali e la possibilità di mettere in rete le capacità di calcolo di molti computer rende possibile oggi un avanzamento
dell’intelligenza artificiale a livelli che si avvicina a quelli che erano stati immaginati da Simon già dagli anni ’50.
Il tema dell’integrazione dell’intelligenza artificiale è un tema che consente di spostare il livello di integrazione dei sistemi anche attraverso
elementi di simulazione
L'idea è che applicando l’intelligenza artificiale ai sistemi di produzione si può:
• ottimizzare automaticamente i livelli di automazione,
• prevedere i guasti delle macchine.
Perché è importante prevedere i guasti delle macchine? Prima dell’intelligenza artificiale bisognava fare delle revisioni periodiche di
tutto il macchinario, di un certo componente, etc. Prima l’imprevisto era in un qualche modo calcolato, in quanto si sapeva come far
fronte ad esso attraverso un apposito fondo per gli imprevisti, oppure avere anche un macchinario di scorta che tanto più oneroso, tanto
più l’impresa è piccola. Tenere un macchinario di scorta avendo solo un macchinario, significa avere un 50% di macchinari di scorta. I
macchinari di scorta quindi incidono in misura decrescente all’aumentare della dimensione d’impresa.
Quindi chi si avvantaggia veramente dell’intelligenza artificiale che stima in maniera molto puntuale i problemi dei guasti sono le
imprese molto piccole che possono utilizzare i modelli di intelligenza artificiale per programmare gli interventi in modo da non
utilizzare il fondo di riserva. Programmando gli interventi, quando c’è un segnale che un certo componente sta arrivando al limite, posso
intervenire per una manutenzione.
Quindi non è detto che l’intelligenza artificiale sia necessariamente condizionata all’impiego in impianti di grandi dimensioni, ma
potrebbe essere estremamente importante per impianti di piccole dimensioni.
• simulare nuove innovazioni di produzione e di prodotto. Questo fa risparmiare moltissimo in tutta la parte di progettazione che
attraverso i modelli di simulazione consente di vedere quali potrebbero essere, per esempio le tensioni di un certo materiale, i punti di
rottura o di carico. Si fanno quindi delle simulazioni che consentono di verificare, prima ancora di costruire un certo prodotto, quali
sono le migliori caratteristiche che dovrebbero avere i componenti del prodotto
Effetti della quarta rivoluzione industriale
«La prossima rivoluzione della produzione" comporta una confluenza di tecnologie. Gli effetti quindi riguardano:
 tecnologie digitali (ad esempio stampa 3D, internet degli oggetti, robotica avanzata, scanner 3D)
 nuovi materiali (ad esempio bio o nanotecnologie)

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 nuovi processi (ad esempio produzione basata sui dati, intelligenza artificiale, biologia sintetica). Una volta che integro tutti questi
elementi delle tecnologie che ho a disposizione posso alimentare nuovi processi che utilizzano la progettazione che è stata realizzata,
oppure che arrivano all’elaborazione di dati che utilizzano le conoscenze basate sui dati e sull’elaborazione di intelligenze artificiali
Tutti questo ha un grande impatto sulla produzione e sulla distribuzione di beni e servizi in praticamente tutti i settori. Immaginiamo le molte
applicazioni che vanno in tutti i campi della produzione di beni che riguardano i singoli individui dove si esaltano le diversità che ci sono tra
gli individui su cui si interviene
Si prevede che avranno conseguenze di vasta portata su:
• produttività
• competenze
• distribuzione del reddito
• benessere
• ambiente.
Si tratta di effetti che hanno una rilevanza che si modifica nel corso del tempo e che non è uniforme in tutti i contesti.

Le tecnologie digitali chiave che consentono la trasformazione digitale della produzione industriale comprendono, tra l'altro:
• internet degli oggetti, IoT
• intelligenza artificiale
• cloud computing --> (spazio di archiviazione, elaborazione e trasmissione di dati che risulta essere accessibile on demand attraverso
Internet)
• simulazione --> simulation (simulazione tra macchine interconnesse per ottimizzare i processi con dati ottenuti in tempo reale grazie a
sistemi intelligenti)
• big data --> (raccolta e analisi di un’ampia base dati per ottimizzare prodotti e processi produttivi lungo l’intera catena del valore)
• la produzione additiva (ad es. stampa 3D) --> additive manufacturing (produzione per sovrapposizione di materiale realizzata attraverso
le stampanti 3D che consentono la personalizzazione di massa del prodotto, la produzione di forme complesse e la flessibilità nell’uso
della stessa linea produttiva per produzioni diverse)
• automobili e sistemi autonomi
• integrazione uomo-macchina --> advanced manufacturing solutions (prevalentemente robot collaborativi interconnessi e rapidamente
programmabili che, grazie a sensori, saranno in grado di lavorare fianco a fianco con gli esseri umani e impareranno da loro)

Smart manufacturing in Industry 4.0


Qual è la rappresentazione dello smart manufacturing dell’industria 4.0?
Possiamo vedere tutte le connessioni, sensori, le nuvolette
rappresentano i cloud, individui che guardano dati, rappresentazioni,
che osservano da lontano macchinari in funzione. Inoltre ci sono
elementi di scambio con i dati e di scambio tra le varie attività che
vengono svolte da coloro che sono coinvolti nei processi, nella fase
di formazione, nella fase di elaborazione, ma anche di ricezione e
trasmissione di dati
La cosa che colpisce di questa rappresentazione sono le linee di
connessione. Tutto è connesso con tutto. Questo elemento della
connettività è un elemento base, tuttavia la connettività richiede
elementi di stoccaggio dei dati, di elaborazione delle informazioni;
quindi elementi esterni alle singole connessioni

Questa figura ha tutte le T che evidenziano le Things, cioè le cose che sono
collegate. Queste cose sono pezzi di macchinario che vengono tenuti sotto
controllo a bordo macchina da un operatrice donna che osserva uno schermo
che mostra informazioni su una fase di montaggio di un’automobile.
La trasformazione digitale porta le donne come emblema di una
trasformazione che rende possibile, anche nei processi manifatturieri,
l’impiego di donne in operazioni che prima erano tipicamente svolte da
uomini. Dentro l’industria automotive in particolare osservavamo una quota
di lavoro femminile tra le più basse nell’industria manifatturiera. Il lavoro
femminile viene compreso come un lavoro che può essere impiegato in lavori
che non sono più faticosi, in quanto veniva escluso da lavori che richiedevano
fatica fisica. Si
tratta di un
lavoro di
controllo

In questa rappresentazione al centro abbiamo smart factory e attorno è tutto


smart. Gli elementi di intelligenza non possono essere relegati solo alla fase di
produzione, ma devono essere strutturalmente integrati in tutto quello che
riguarda l’intero processo di approvvigionamento di materie prime, di
semilavorati e di distribuzione dei prodotti.

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Smart manufacturing in Industry 4.0
Osserviamo che lo smart manifacturing vede sostanzialmente il Cyber Physical Systems attraverso sensori, attuatori, processori connessi
dall’IoT
Poi il Digital Twin è il modello digitale del prodotto/processo (anche parziale) che consente di registrare/analizzare lo svolgimento del
processo produttivo. Si tratta di una cosa che ha una storia antica nello sviluppo delle macchine utensili. Quando c’era la guerra fredda gli
americani avevano un problema che la produttività della loro industria aereonautica era scarsa. Il problema della produzione di aerei è che
sono oggetti molto complicati in cui la quantità dei componenti richiede dei livelli di precisone molto alti e in cui il lavoro direttamente
impiegato nella produzione era decisamente elevato, soprattutto nelle fasi di lavorazioni meccaniche. Quindi il problema che si pone nei
primi anni ’60 è automatizzare il più possibile le lavorazioni meccaniche, quindi sviluppare delle tecnologie che rendessero le lavorazioni
meccaniche indipendenti dal contributo dei lavoratori e centralizzate rispetto al controllo della qualità. Questo è il nuovo paradigma dello
sviluppo tecnologico delle macchine a controllo numerico che si afferma negli Stati Uniti nel corso degli anni ’60. Lì ci sono due scuole di
pensiero che vengono messe a dura prova e vince non quella del Digital Twin, ma quella Top Down, cioè degli ingegneri che disegnano i
programmi che devono essere eseguiti dalle macchine utensili. questi programmi non funzionano e verranno corretti, ma non si ammette che
il lavoratore addetto alle macchine utensili abbia le competenze più adatte per essere riprodotte nel modello digitale.
L’idea di quelli che sostenevano la necessità di replicare le conoscenze dei lavoratori era che i lavoratori avessero accumulato attraverso le
loro pratiche sulle macchine utensili moltissime conoscenze specifiche. Loro registravano tutte le operazioni che venivano svolte in
analogiche e poi le trasformavano in comandi da consegnare alle macchine utensili, quindi in programmazione delle macchine. Questo
sarebbe voluto dire riconoscere ai lavoratori specializzati un loro contributo di conoscenze che invece nessuno voleva riconoscere.
Tendenzialmente i lavoratori dovevano usciere il più possibile dai processi produttivi con competenze di controllo, gli ingegneri per contro
avrebbero fatto qualche fatica e passaggio in più, ma prima o poi ci sarebbero arrivati. Infatti ci sono arrivati con un risultato straordinario
che si levava la competenza dai lavoratori e i lavoratori diventarono controllori a bordo macchina dell’esecuzione definita dalle macchine a
controllo numerico programmate dagli ingegneri.
Questa è una storia che si è vista in particolare nello sviluppo dell’automazione nella fase più importante, in cui si sviluppano le macchine a
controllo numerico per la realizzazione di operazioni meccaniche.
Lo studio della trasformazione digitale chiama in gioco il Digital Twin, cioè la possibilità di fare qualcosa di analogo al Record Playback ma
per interi processi produttivi. Inserendo lungo i processi di produzione sui singoli macchinari dei sensori che misuravano la performance di
quella macchina nel realizzare quell’operazione era possibile descrivere in maniera digitale l’intero processo di produzione.
Il Digital Twin è stato associato a processi altamente sviluppati, a contesti produttivi molto sofisticati.
Esempio: in Messico c’era una fabbrica che produceva componenti di gomma e plastica per l’industria automobilistica. Era uno stabilimento
sperimentale di una impresa con moltissimi stabilimenti. Un giovane ingegnere di una trentina d’anni che aveva studiato all’università del
Messico e che stava facendo il master negli Stati Uniti aveva messo a punto un sistema autonomo di ricostruzione dei processi di produzione
nello stabilimento. Questo perché nel corso dello sviluppo dello stabilimento loro non avevano mai avuto un disegno, un progetto dello
stabilimento; ma avevano via via messo le macchine man mano che le commesse arrivavano. Non avevano nessun modo per controllare il
processo di produzione nel suo insieme. Quindi non c’era la possibilità di verificare le macchine di scorta che erano tantissime. Il Digital
Twin in questo caso è all’interno di un processo privo di progetto, loro ovviamente sapevano che macchine usare per fare che cosa, sapevano
come organizzarle all’interno dello stabilimento. Ma lo scoprono, attraverso questa lettura digitale del loro processo di produzione, è che
possono programmare le manutenzioni, possono capire qual è il carico di materiali che si possono ottimizzare per il riempimento delle
macchine che dovranno sagomare i vari componenti di plastiche o gomme. Loro quindi hanno degli elementi di progettazioni che sono quelli
di ottimizzazione dei processi basati sull’impiego dell’intelligenza artificiale che consente l’uso predittivo delle risorse. Si sa quanti materiali
dovranno essere acquistati perché possa esserci un flusso regolare di consegne di input per la lavorazione di quella particolare fase di
produzione. Ma sanno anche rispondere ai loro clienti che gli hanno ordinato quel particolare componente a che stadio del processo è,
quando è entrato in lavorazione e quando uscirà. Sanno rispondere in maniera puntuale a tutti i controlli che sono indispensabili per esempio
all’interno dell’industria meccanica e automobilistica.
- Configurazione della produzione flessibile, guidata dalle caratteristiche del prodotto
- Automazione intelligente: robots che collaborano con robot se con le persone
- Ottimizzazione dei processi basata sull’impiego dell’intelligenza artificiale: utilizzo predittivo delle risorse

Smart manufacturing in Industry 4.0 attori coinvolti (a molti livelli), tecnologie/dispositivi


Qui si parla di una trasformazioni che non è una trasformazione della produzione ma di un sistema che riguarda i clienti, i partner che
operano nei servizi, i fornitori, le agenzie di regolazione, ..
I regulators sono fondamentali perché queste agenzie determinano cosa fare dei dati quando sono personali, determinano a quali condizioni si
possono stoccare dei materiali o si possono utilizzare certi materiali e non altri. I regolatori sono un pezzo importante di questa storia perché
non fanno passare tutte le cose che si potrebbero fare.
Poi ci sono i fornitori di tecnologie.
Esempio: Symens fa tutti i sistemi di controllo che uno può immaginare. Determina degli standard che orientano l’impiego di alcune
tecnologie. Quindi i fornitori di tecnologia diventano dei forti
condizionatori dello sviluppo che possono avere i processi di
produzione.
Poi ci sono i concorrenti e la loro capacità di mantenere il ritmo di
trasformazioni connessi con la generale trasformazione
dell’industria 4.o
Gli investitori sono quelli che incidono nel ritmo di cambiamento:
un basso tasso di investimento rallenta il processo intero di
trasformazione

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I media sono una componente non banale.
Quindi la smart facory è all’interno di un incrocio molto complesso di tantissimi elementi e attori che sono coinvolti.

Smart manufacturing in Industry 4.0 attori coinvolti (a molti


livelli), tecnologie/dispositivi
Uno dei punti importanti è che c’è un intero sistema di supporto
all’attività manifatturiera, oltre che ai servizi.
Abbiamo molti elementi che consentono di padroneggiare tutte
queste relazioni tra la smart factory e il contesto di manifatture e
di servizi.
Abbiamo elementi di project manager, la supply chain
management, il technology scouting, information rights
management, customer relationship management.
Sono tutte cose dentro il contesto di supporto alla smart factory
dal punto di vista sia dell’attività di produzione manifatturiera
che di servizi necessari al funzionamento della smart factory

Big data in Giappone: indagine 2016: Research Institute of


Economy, Trade and Industry Motohashi 2017
L’associazione tedesca di industriali che aveva promosso
l’industria 4.0 scrive un manuale di che cosa è l’industria 4.0. Scrive quindi tutto quello che c’è nell’industria 4.0, come si costruisce una
fabbrica 4.0. i giapponesi prendono il manuale in tedesco e lo traducono in Giapponese.
Loro si rendono conto che tradurre il manuale in Giapponese non basta, nel senso che l’implementazione di industria 4.0 non si fa soltanto
traducendo il manuale. Quindi iniziano a cercare di capire che cosa sta succedendo nell’industria giapponese che non sembra mantenere il
passo della trasformazione digitale dell’industria tedesca.
Quindi si tratta di due grandi paesi manifatturieri che si contengono il primato del controllo dell’industria automobilistica mondiale.
L’industria giapponese sembra arretrare rispetto a quella tedesca.
L’idea è che c’è un declino del settore manifatturiero ma che ci sono paesi che investono in maniera significativa nel rafforzamento del
proprio paese.
Quindi i giapponesi vanno a vedere che cosa succede nelle loro imprese e intervistano 539 imprese su un campione di 4000 imprese.
I temi che loro affrontano sono in particolare quello dei big data:
1. organizzazione nell'uso di big data da parte delle imprese
2. raccolta e uso da parte delle imprese di big data, per tipo di dati
3. uso di dati al di fuori delle imprese
Se le imprese non usano i big data vuol dire che non stanno usando una componente essenziale del processo di implementazione della
trasformazione digitale.
Quindi cercano di capire se li stanno usando, come li usano, per quali tipi di dati e che uso ne fanno al di fuori delle imprese
Osservano tre macro attività nei processi di produzione:
• progettazione e sviluppo
• produzione
• servizi post-vendita

I risultati: sono ampiamente utilizzati in tutte le attività; le aziende con funzione dedicata all’uso di big data hanno maggiori probabilità di
utilizzarli in vari reparti, e questo migliora la loro performance (effetti positivi), MA si osservano differenze negli stili di utilizzo dei big data
nelle imprese di diverse dimensioni.
Più della metà delle piccole e medie imprese ha risposto di aver sentito parlare dell’internet of things, ma non sapeva come potrebbe
utilizzare quella tecnologia.
L’intenzione è quella che nelle PMI venga promosso l’uso di grandi dati, si sostenga lo sviluppo del capitale umano e venga attuata l’attività
di normalizzazione strategica dell’internet degli oggetti.

In che modo le tecnologie digitali favoriscono/cambiano il sistema economico?


Studi di caso
 Big data in Japan
 Industry 4.0 in Italia
 Automotive supply chain: Germany, China and Italy

Big data in Giappone: indagine RIETI 2016


L’anno dell’indagine è il 2017 e i dati vengono pubblicati nel 2018.
Questa indagine che loro fanno si occupa di alcuni approfondimenti su:
• generazione e dell'utilizzo dei dati in ogni processo produttivo
• uso dei dati tra le varie attività (ad esempio, lo sviluppo utilizza i dati raccolti dalla produzione)
• collaborazione con altre imprese nell'utilizzo dei dati (fornitori e clienti)
• struttura di gestione per l'uso dei dati, la presenza o l'assenza di un reparto specializzato per promuovere l'uso di big data
• risorse umane necessarie per l'uso dei big data nei reparti
• ostacoli all'uso dei dati
• loro effetto sulle performance delle imprese

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Schema analisi
Questo schema riassume un modo
di guardare non solo le imprese
giapponesi, ma anche le imprese
dei nostri distretti.
Immaginiamo le varie fasi che sono
i rettangoli, ossia produzione,
progettazione e sviluppo e servizi
post-vendita.
Possiamo leggere che ci sono delle
specifiche applicazione per
l’elaborazione dei dati che sono
quelli verdi: CAD, CAM, CAE,
SCM, PLM. Sono applicazioni
software per l’elaborazione dei
dati, ma abbiamo anche strumenti
come 3D printer. Poi abbiamo
anche il MES.
Quindi abbiamo tante applicazioni
tutte specifiche di ogni gruppo di
attività.
Le caselle rettangolari sono esterne
all’azienda: i supplier non sono
dentro l’azienda e i customer
I dati in blu sono i dati generati nell’attività commerciali con clienti e fornitori e all’interno dell’impresa.
Poi rispetto ai clienti abbiamo altri dati che entrano in gioco, come i failure data e operating data; quindi quali sono le vendite messe a punto
e i problemi riscontrati.
Quindi ci sono moltissimi flussi di informazioni che sono le frecce e le scritte in nero.
Per esempio tra le attività di sviluppo e progettazione e le attività di produzione avremmo dei flussi di produzione che riguardano il
manifacturing e design requirements, ossia quali sono i requisiti definiti dal progetto per la produzione. Questo richiede la definizione delle
tolleranze che devono essere specificate per ogni prodotto.
Le frecce vanno in tutte e due le direzioni, questo vuol dire che sono dei flussi di informazioni che generanno dei riscontri da parte di chi li
ha generati verso chi li riceve e viceversa.
Per quando riguarda i servizi post vendita ci sono altri tipi di dati che vengono scambiati. Sono dati che vanno dalla vendita verso la
produzione perché si vuole riscontrare la fase del processo di produzione in cui è stato riscontrato un problema sul prodotto venduto. Quindi
ho dei flussi di produzione che pescano dei dati della produzione ma ho anche una domanda di miglioramento che viene dagli utilizzatori
finali e viene inviata alla produzione.
Tutti questi flussi di informazione non necessariamente corrispondono a delle azioni sollecitate da quelle informazioni.
Se in un contesto di trasformazione digitale questi dati vengono raccolti, elaborati e trasmettono informazioni questo non è sufficiente.
Questi flussi di informazione devono generare dei cambiamenti nei processi, delle competenze adeguate per sostenere quelle trasformazioni.

Sezioni del questionario


• Profilo dell’impresa
• Struttura e organizzazione nell’uso dei dati
• Raccolta e utilizzo dei dati da parte dei reparti
• Utilizzo di dati esterni

Il questionario è stato fatto dal giapponese in inglese e, dall’inglese all’italiano.


I giapponesi iniziano a tradurre i documenti tedeschi sull’industria 4.0. La traduzione non è soltanto linguistica, ma è influenzata da quella
che è la cultura e i modi di pensiero. Il mondo tedesco e quello giapponese sono diversi tra loro e la sfida stava nel cogliere in che misura le
imprese giapponesi stavano al passo delle tecnologie millantate dall’industria tedesca. Mettono al lavoro uno dei più importanti studiosi e
partono con un campione di 4000 imprese, riescono ad avere risposte solo da 539.
I temi erano: organizzazione nell’uso di big data da parte delle imprese; raccolta e uso da parte delle imprese di big data, per tipo di dati; uso
di dati al di fuori delle imprese. Analizzano con riferimento alla progettazione e sviluppo, alla produzione e ai servizi post-vendita. Sono
interessati all’approfondimento sulla generazione e l’utilizzo dei dati in ogni processo (chi utilizza che cosa?), sull’uso dei dati tra le varie
attività (elaborazione fatta internamente o esternamente?), sulla collaborazione con altre imprese nell’utilizzo dei dati, sulla struttura di
gestione per l’uso, sulle risorse umane, sugli ostacoli all’uso dei dati, sul loro effetto sulle performance delle imprese.

Industry 4.0 Italy: risultati dell’indagine nazionale


Un’indagine sull’Italia commissionata dal Ministero dell’industria dello sviluppo economico quando in quell’anno era
stata lanciata da poco una serie di finanziamenti pubblici che favorivano la trasformazione delle imprese italiane per
consentire loro di sfruttare appieno la trasformazione in digitale indotta dall’industria 4.0
Si osserva, quindi, una diffusione significativa delle tecnologie:
• Maggiore nelle grandi imprese, ma con una presenza molto elevata anche nelle PMI
• Coinvolte più del 20% delle aziende da 10 dipendenti in su, quasi il 50% delle grandi aziende
• Diffusione prevista: molto elevata tra le PMI nei successivi due anni 2018-2019 (anche nel Sud)
• Fenomeno molto importante fra le varie macro regioni dell’Italia
• Tecnologie diverse e obiettivi diversi per:

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o Grandi imprese => obiettivo: efficienza (anche a scapito dell’occupazione)
o PMI => obiettivo: nuovi modelli di business e miglioramenti qualitativi
• Nel tracciare un identikit delle imprese maggiormente coinvolte nella trasformazione dell’industria 4.0, i ricercatori sintetizzano 2
elementi:
1) Sono imprese di eccellenza, ma i valori mediani hanno dimensioni ridotte (7 dipendenti => sono imprese
piccole)
2) Hanno una caratteristica critica: diventa rilevante per il successo delle trasformazioni che le imprese stanno mettendo in capo la
qualità del fattore manageriale (forte incidenza della formazione e delle relazioni esterne)

Industry 4.0 Italy: attuale diffusione, per dimensione d’impresa Brancati e Maresca 2018 (MISE, fig. 1.4)
La diffusione di queste tecnologie 4.0 per classe
dimensionale (da 1 a 9 addetti, da 10 a 49 addetti,
da 50 a 249 addetti e da 250 e oltre addetti),
riguarda ambiti molto diversi. Ci sono due assi in
questo grafico, in quella di sinistra ci sono i valori
totali e sull’asse destro i valori delle classi
dimensionali. Sull’asse delle ascisse sono elencate
le diverse tecnologie, come la cyber security, la
gestione dei dati su Cloud, l’industria dell’internet
of Things (IOT), robot collaborativi, materiali
intelligenti, realtà aumentata, ecc.
Il 3% degli interventi hanno riguardato la cyber
security. Dato che l’altezza degli istogrammi è
riferita alla percentuale delle imprese che hanno
fatto investimenti in quelle tecnologie, deduciamo
che non tutte le tecnologie hanno ricevuto lo
stesso interesse da parte delle imprese. Le diverse
tecnologie interessano in misura diversa al totale
delle imprese; per dimensione di imprese,
leggiamo il dato in base ai simboli: il quadratino
nero si
riferisce alle imprese con più di 250 addetti e, non
tutte le tecnologie avevano la stessa importanza
poiché troviamo il quadratino sempre ad altezze
diverse.
Sull’asse di destra leggiamo la percentuale del
fenomeno. È un modo per vedere due fenomeni in
termini di
composizione contemporaneamente. Le piccole imprese sono quelle contrassegnati con il trattino (da 1 a 9 addetti): la cyber security si trova
al 2,5%.
Osserviamo l’Industrial Internet of Things, dal punto di vista delle grandi imprese non è così alto il valore (quanto
invece osserviamo per la cyber security di queste), ma il suo istogramma è molto alto. Il valore medio complessivo sul
totale si alza perché ci sono molte imprese piccole coinvolte nell’IOT.
Industry 4.0 Italy: futura diffusione, per
dimensione d’impresa Brancati e Maresca
2018 (MISE, fig. 1.7)
Osserviamo la futura diffusione di queste
tecnologie che era auspicata ai tempi: si tratta
di interventi previsti.
La quota di diffusione del IOT è sempre
più alta rispetto a quella delle altre tecnologie
Rispetto al grafico precedente osserviamo che
la quota di materiali intelligenti è aumentata
ed è un ambito di interesse
maggiore nel futuro.
Cambia l’orientamento delle prospettive su
cui si vuole investire nelle tecnologie digitali
e cambiano anche i tipi di impresa.
01/04
Industry 4.0 Italy: attuale diffusione delle
tecnologie, per industria Brancati and
Maresca 2018 on MISE, fig. 2.2
Prima abbiamo osservato la diffusione per
tecnologie e per impresa, ora osserviamo per
macro-ambito produttivo. Leggiamo come
primo elemento nel grafico che non è

46
distribuito uniformemente e, che la quota più alta è quella del eletric machinery and electronic., mentre quella inferiore è quella
dell’abbigliamento.
Nella struttura degli istogrammi abbiamo visto le principali differenze, ma notiamo anche che effetti ci sono sull’occupazione.
I diversi settori industriali pesano in modo diverso rispetto all’occupazione e, questo grafico ci dà un informazione che ha a che fare con il
fatto che i settori industriali abbiano una diversa quota di occupazione e il fatto che la diffusione delle tecnologie sia maggiore nelle imprese
di grandi dimensioni.
La produzione di veicoli in termini di imprese ha una quota più bassa della quota in termini di
occupati, perché si parla di imprese che hanno ampiezze maggiori.
Se facciamo questa analisi in un settore inferiore, come il clothing supply chain, il pallino rosso si trova molto più in
alto rispetto all’istogramma grigio, quindi: le imprese più grandi qualsiasi sia la tecnologia hanno una quota più elevata.
Nel caso dell’industria dell’ eletric machinery and electronic, si capisce che la dinamica non va nella stessa direzione,
ovvero non c’è lo stesso divario tra le percentuali. Ognuna delle filiere ha una struttura dimensionale diversa e, alla fine l’effetto netto è che
non abbiamo un profilo dell’istogramma e dei pallini rossi che ha la stessa distanza, perché dentro ci sono le strutture diverse delle stesse
filiere. Non è un cambiamento in cui tutti procedono nello stesso modo, quindi i ritmi di cambiamento e adeguamento alle nuove tecnologie
digitali sono un elemento da tenere conto.
L’idea quindi è che settori in cui la percentuale di occupati coinvolti nella trasformazione dell’industria 4.0 è elevata, ci danno una chiave di
lettura del potenziale che veicolo attraverso questi lavoratori in tutto il sistema economico per i fenomeni di mobilità del lavoro.

Perché è importante che ci siano gli stessi ritmi di cambiamento nell’insieme di tecnologie dell’industria 4.0 nelle varie industrie?
Questo permette alle imprese di cooperare tra di loro, di scambiare risorse, informazioni e conoscenze. Si genera anche una domanda molto
strutturata. Se tutti sono sullo stesso livello sono in grado di sfruttare tutti i passaggi di informazioni tra una imprese e l’altra.
Immaginiamo che solo un settore molto particolare usi i robot, tendenzialmente i produttori di robot dovrebbero fare dei robot solo per
quell’applicazione.
La questione che arriva a fornire alle imprese valore è la vendita sul mercato dei prodotti che producono o dei servizi che realizzano per l’uso
da parte dei cliente.
Abbiamo una natura sistemica di questi fenomeni e delle politiche che orientano la crescita in una direzione che favorisce lo sviluppo del
paese.

Stato di avanzamento della trasformazione digitale nella catena di fornitura automobilistica: Germania, Cina, Italia
Quali sono i ritmi di cambiamento nelle filiere globali?
Il confronto tra Germania, Cina e Italia si concentra in particolare sull’industria automobilistica.
L’industria automobilistica nel grafico precedente è la manufacture of vehicles, si tratta di un settore molto importante in termini di
occupazione e di percentuali di imprese. Il 15% delle imprese utilizza tecnologie industria 4.0 e ha una quota importante di occupati attorno
al 40%.
Il confronto tra questi paesi quindi guarda all’industria automobilistica. La scelta di questi tre paesi è casuale, nel senso che l’analisi era
partita dall’Italia perché c’era un osservatorio sull’industria automobilistica con molti risultati, nel frattempo era stata fatta un’analisi analoga
in Cina e in Germania. L’idea è di tornare al confronto con il paese di origine dell’industria 4.0
La trasformazione viene vista sotto diversi elementi, tutti quelli che riguardano le caratteristiche di industria 4.0
 Cloud computing services providing platform for worldwide access
 Mobile services and technologies integration in the working environment
 RFID data transfer without physical contact
 Big Data --> Smart Data: analytics converting big data in smart data
 All-time localization through sensors and data transfer
 Robotics in production and logistics
 Internet of Things connecting devices
 Additive manufacturing solutions 3D printers, flexibility: prototypes, small batches
 Augmented reality
 Simulation
Sono tutti elementi che erano stati presi in considerazione anche dall’indagine del Mise

Trasformazione digitale: le politiche


Germania: ha attori chiave nel settore OEM (coloro che controllano i prodotti che vengono progettati, assemblati nel settore auto) in Europa
e a livello mondiale (BMW, Volkswagen)
 Industria 4.0: la Germania ha tutto dall'automazione e robotica ai sistemi fisici informatici
Cina: ha un mercato interno enorme e in espansione. In Cina ci sono le condizioni perché l’espansione sul lato delle automobili le previsioni
siano ancora in crescita per il prossimo decennio
 Politica nazionale: Linea guida "Made in China 2025". Il piano si configura in maniera molto articolata con obiettivi, industrie
target e strumenti. La Cina programma e rivede i programmi.
In Cina la politica nazionale con strumenti di programmazione di lungo termine è rafforzata dal raggiungimento degli obiettivi nel
breve termine e dal rilancio degli obiettivi di lungo.
 Molte aziende cinesi sono ancora sulla strada dell'Industria 3.0
 In ritardo (in alcuni campi) e un passo avanti (in altri settori): I fornitori cinesi sono importanti per le case automobilistiche europee
Italia: ha una lunga tradizione come fornitore di case automobilistiche europee e statunitensi
 Politica nazionale per l'industria 4.0, incentivi a sostegno degli investimenti in beni fisici per I-4.0 e alle competenze. PMI
costituiscono un asset straordinario per il paese per la varietà di competenze che esprimono e per i livelli di qualità che molte di
queste imprese hanno (Diverse opportunità e livello di aggiornamento nella filiera)

Caso di studio: Stato di avanzamento della trasformazione digitale nella catena di fornitura automobilistica: Cina e Germania --> Risultati

47
Fonte: Kern and Wolff 2018, Bosh Chair of Global Supply Chain Management, Tonji Univ. Shanghai, China
Lo studio di caso mette a confronto le condizioni critiche per lo sviluppo di industria 4.0 in Cina e in Germania.
China
 Sicurezza dei dati
 Perdita di know-how attraverso il turnover dei dipendenti; i lavoratori cinesi si spostano per n motivi, si spostano perché c’è una tale
crescita della domanda di lavoro che cercano le migliori condizioni di vita della loro famiglia.
C’è una politica che viene fatta nei singoli stati e nelle singole città di attrazione dei manager.
Tuttavia nonostante un’attenzione delle imprese a tenersi i lavoratori, questi cambiavano lavoro. Avere nuovi lavoratori significa
riformarli, questa è una cosa devastante per le imprese
 Mancanza di talenti nei posti di lavoro ad alta tecnologia; solo alcune città riescono ad attrarre gli ingegneri e li attraggono a colpi di
bonus (lo status di cittadino residente in Cina fa completamente la differenza. Se la città ti attira con condizioni particolari, ti sta dando
lo status di cittadino residente nel periodo in cui lavoro, questo vuol dire avere l’assistenza sanitaria, beneficiare della qualità degli
ospedali, vuol dire anche avere un potenziale per il livello di istruzione dei figli molto più alto di altre aree del paese). La mancanza di
talenti nei posti di lavoro ad alta tecnologia è una questione che si gioca mettendo sul piatto che offre di più in termini di attrazione di
questi talenti
 Standardizzazione: manca
 Le associazioni raramente creano standard, che invece è una cosa considerata molto importante in altri contesti
 Problema di ottimizzazione degli OEM, ecc.
 L'aspettativa che il governo guidi la standardizzazione, visto che le associazioni non riescono a portarla avanti
 Obiettivo: cooperare più strettamente con i partner della catena di approvvigionamento per definire gli standard. Questo obiettivo era
considerato il possibile stadio intermedio per l’avanzamento verso l’industria 4.0
Germany
 Sicurezza dei dati
 Attacchi di hacking --> nel campo industriale questa è una questione importantissima.
 Qualità dei dati delle fonti esterne
 Mancanza di know-how informatico dei soci
 Gli associati hanno una scarsa accettazione delle tecnologie
 Standardizzazione
o Focus sulla riduzione della complessità interna (es. riduzione del numero di soluzioni software). I software non dialogano tra di
loro
o Uso degli standard VDA (associazione delle imprese automobilistiche tedesche)
o Scarsa collaborazione nella standardizzazione dei dati con clienti o fornitori. Questo è un elemento di potere relativo; è il fornitore
che si deve adattare a trasmette i dati con le condizioni previste dal cliente e questo dipende dal peso relativo del potere che ha il
cliente nei confronti del fornitore
Alcune cose sono simili, come la sicurezza dei dati.

Sfide chiave della trasformazione digitale in Cina


1) scalabilità degli esperimenti in molte tecnologie alternative --> vuol dire portare gli esprimenti direttamente verso la loro dimensione
ottimale di produzione
2) qualità della digitalizzazione
3) rete di competenze tra paesi

1) Scalabilità degli esperimenti in molte tecnologie alternative


i) le dimensioni del mercato interno cinese (se non quelle dei paesi africani) si aprono alla scalabilità degli esperimenti in molte tecnologie
alternative.
Quali esperimenti? Quello sulle tecniche alternative per produrre energia.
La Cina prevede di concentrarsi principalmente su batterie e sull'energia prodotta negli impianti nucleari (altre fonti energetiche rinnovabili)
Questo è importante perché: le tecnologie migliorano le loro prestazioni:
• in modo cumulativo
• nell'ambito di sistemi socio-tecnici, in cui vi sono tecnologie complementari
• grazie a interazioni utenti-produttori. Si vengono a creare una varietà di opportunità che migliorano le tecnologie, consentono di avere
innovazioni nelle tecnologie perché il committente di un componente riceve dal fornitore una proposta di miglioramento della
progettazione, dei materiali, di caratteristiche dimensionali o specialmente di aspetti che finiscono per produrre un miglioramento
Questi tre aspetti sono aspetti che producono risultati per un intero sistema economico di grande importanza

ii) Condizioni di lock-in influenzano la path-dependence


Quindi:
• quali risultati si potrebbero ottenere se la loro applicazione venisse stata sfruttata a sufficienza?
• le politiche industriali dovrebbero lasciare aperte molte porte per favorire l'emergere di tecnologie complementari o miglioramenti
derivanti dall'apprendimento e dalla scalabilità.
Ma la Cina ha già chiuso molte porte, in particolare quelle sull’idrogeno. Negli ultimi anni l’ha riaperto.
– La combinazione di produzione su larga scala e di adozione per il mercato interno potrebbero ridurre la possibilità di alternative più
efficaci, come le celle a combustibile a idrogeno, e la produzione decentrata su piccola scala di
idrogeno (tra quelle attualmente in fase di realizzazione)

2) Qualità della trasformazione digitale

48
La qualità della digitalizzazione nella catena di approvvigionamento automobilistico in Cina avrà un impatto sui veicoli dell'UE: Questione
critica sulla normativa e sul controllo efficace

3) Cina-Italia-Francia: una rete di competenze con controllo a distanza --> apprendimento


i) Il caso di un'azienda italiana
 leader nel segmento dei gruppi di continuità modulari e ridondanti (oltre 600 dipendenti)
 leader europeo nella produzione di sistemi telematici per il controllo remoto dei veicoli (grande impatto sulle assicurazioni)
 acquisita nel 2016 dall'azienda cinese Deren Electronics, con l'obiettivo (di Deren) di diventare leader mondiale nella connettività,
estendendosi a molteplici linee di prodotto nelle piattaforme automotive
 Aumento dell'occupazione in Italia
 Progetto di crescita a lungo termine un nuovo stabilimento a Chongqing Industrial Park (OEM: Porsche, BMW, Volkswagen, PSA)
 progetto d'investimento: Deren
 contratto a lungo termine: PSA
 progettato e controllato, in remoto, dalla controllata italiana

Queste sono le conclusioni:


• Feedback sulle competenze locali in Italia dalla progettazione e dal controllo remoto di un impianto di questo tipo.
• Impatto sulle competenze locali in Cina per quanto riguarda il forte legame all'interno di tale rete di
competenze.
• Feedback sulla rete di competenze nei tre paesi e nelle attività commerciali correlate fornitura.
L’Italia vende questa sua competenza ai clienti francesi attraverso la sua proprietà cinese. Questa rete di competenze attraversano i
distretti.
04/04
Italia: Risultati di un’indagine sull’impatto dell’industria 4.0 sull’industria automotive.
Caso di studio Stato di avanzamento della trasformazione
digitale nella catena di fornitura automobilistica: risultati
La rilevanza strategica dell’innovazione nel settore dell’auto
Companies that invest in Industry 4.0 are basically companies
capable of grasping.
I dati che abbiamo a disposizione sono i risultati di un’indagine
empirica, 400 rispondenti. Si tratta di imprese meccaniche e le
domande che vengono poste sono ad esempio “Quanto conta
per voi l’industria 4.0?”. Il 40% dei rispondenti dice che non c’è
nessuna iniziativa nell’impresa sull’industria 4.0. Quasi il 26%
ha lanciato qualche iniziativa, 22% non ha definito una strategia
e il 6% aveva effettivamente iniziato a realizzare soluzioni
collegate ad un piano strategico sull’industria 4.0. Un piano
abbastanza variegata che va da “niente” a “stiamo
effettivamente operando in un piano specifico su industria 4.0”.
Un’altra domanda è “avete adottato o pensate di adottare
soluzioni?” Il 48% dice no, ma almeno una in futuro. Il 37%
dice di non adottare innovazioni collegate all’industria 4.0 C’è
eterogeneità tra le imprese all’interno di un comparto che ha
una grandissima eterogeneità. Quando parliamo di imprese
meccaniche nella produzione di componenti auto in realtà
parliamo di produttori che fanno molte cose diverse (da molle e bulloni a motori), con diverse strutture organizzative e con diverse esigenze
di tecnologie nell’industria 4.0.

Le imprese che investono in I4.0 sembrano essere in grado di trarre valore da quelle scelte di investimento.
Ci sono rischi?
Le imprese non investono perché potrebbero esserci dei rischi. Questa figura rappresenta cosa rispondono.
Sono rischi con caratteristiche diverse per i diversi tipi di specializzazione (E&D = Engineer and developmente; System integratos,
Subfornitori che producono componenti o lavorazioni, etc.). Oltre ¼ delle imprese risponde che c’è un problema di costo.
Un aspetto non secondario è quello della cultura aziendale che nelle imprese incide in maniera specifica soprattutto per i system integrator,
ossia quelli che di fatto producono soluzioni integrate per l’intera produzione di componenti. Poi c’è una scarsa disponibilità di risorse
interne come le competenze, una difficoltà a trovare partner che integrano le azioni strategiche dell’impresa, etc.

49
Poi c’è un problema di scarsa conoscenza degli
incentivi fiscali ed economici, ci sono rischi legali
e legati alla sicurezza come l’adozione di
tecnologie che potrebbero avere impatti importanti
sui prodotti e sulla performance delle imprese.
Questo è molto rilevante nel Motorsport perché è
un settore che richiede dei requisiti molto specifici
dell’intera catena di produzione dell’auto. Infine,
c’è una scarsa propensione di attori interni o
esterni a scambiare informazioni lungo la filiera e
lungo la catena del valore.
Questo introduce un forte elemento di incertezza
perché cambiare le proprie tecnologie quando non
si sa come verranno interpretate e integrate dai
fornitori committenti potrebbe essere
problematico per un’impresa che intraprende una
strada di trasformazione che potrebbe non risultare
non adeguata a mantenere il ritmo di cambiamento
di fornitori e clienti.
Se non c’è uno stesso livello di accettazione di
queste tecnologie si corre il rischio di aver fatto un
investimento più avanti rispetto alla capacità dei
fornitori o clienti di trarre vantaggio
dall’implementazione delle tecnologie
nell’impresa che le ha adottate. E se i vantaggi
dell’impresa derivano dalla capacità di fornitori e
clienti di sfruttare quei vantaggi, si riduce il
margine di profittabilità di quelle scelte.
Ci sono molti rischi interni come ci dicono le imprese del automotive e bisogna stare attenti a come all’interno della filiera di produzione,
quei cambiamenti possono effettivamente produrre valore con i partner con cui l’impresa è collegata.

Riepilogo e discussione
• Ci sono molteplici dimensioni, tra loro interconnesse, della trasformazione digitale in corso
• Riguardano nuovi attori emergenti, nuove competenze e abilità e nuove opportunità di apprendimento reciproco che si verificano lungo
le fasi della filiera nell’interazione tra chi introduce le nuove tecnologie e le imprese committenti e fornitrici.

Discussione su economia digitale


• La trasformazione digitale; le start-up digitali, le piattaforme digitali. Industria 4.0: implementazione di tecnologie digitali nei sistemi di
produzione industriale e la crescente automazione e connettività nella produzione. La fabbrica intelligente: caratteristiche, attori
coinvolti (a molti livelli), tecnologie/dispositivi
• Principali fattori tecnologici di Industria 4.0, Effetti della quarta rivoluzione industriale
• L’indagine sui Big Data in Giappone: domande della ricerca empirica; attività prese in esame: progettazione e sviluppo, produzione,
servizi post-vendita; temi di approfondimento della ricerca RIETI 2016.
Risultati: utilizzo nelle grandi imprese, scarsa conoscenza nelle piccole imprese. Implicazioni per le politiche pubbliche.
• Schema di analisi: quali tipi di dati sono generati nelle diverse attività e nelle interconnessioni tra le attività
• Risultati: l’utilizzo di dati varia per tipo di dati e per uso a livello di impresa o di singoli reparti.
Livello di coinvolgimento del management nell’uso di big data. Diffusione di IoT
• La ricerca del MISE sulla diffusione delle tecnologie Industria 4.0 in Italia. Diffusione attuale (significativa, anche nelle PMI),
diffusione prevista (molto elevata anche tra le PMI, e anche nel Sud). Tecnologie diverse e obiettivi diversi per grandi e piccole
imprese.
Criticità- Differenti ritmi di adozione nei diversi settori.
• Trasformazioni digitali nella filiera automotive: Germania, Cina, Italia.
• Caratteristiche strutturali della produzione di auto nei tre paesi.
• Condizioni critiche per lo sviluppo di I4.0 in Cina e Germania
• Sfide chiave della trasformazione digitale in Cina: scalabilità degli esperimenti in molte tecnologie alternative; qualità della
digitalizzazione; rete di competenze tra paesi
• Trasformazione digitale nella catena di fornitura automobilistica in Italia: importanza strategica e rischi dell’innovazione 4.0. Differenze
tra i vari tipi di impresa nei segmenti della filiera automotive in Italia.

Domande
 Che cosa è la trasformazione digitale?
 Che cosa è la fabbrica intelligente
 Quali tecnologie caratterizzano la trasformazione nota come Industria 4.0
 Quale ruolo hanno le start-up nella quarta rivoluzione industriale? e le piattaforme?
 Quale era l’obiettivo della ricerca sui Big data in Giappone?

50
 Quali aspetti erano al centro della ricerca? Quali risultati emergono dalle interviste in Giappone?
 Quali solo le implicazioni per le politiche pubbliche in Giappone che mirano a sostenere l’adozione di tecnologie I4.0?
 Quale era l’obiettivo della ricerca del Mise sull’Italia?
 Quali aspetti erano al centro della ricerca del MISE? quali risultati emergono dalla rilevazione?
 Ci sono differenze tra grandi e piccole imprese nella adozione di tecnologie I 4.0?
 Ci sono differenze tra settori? Quale è il settore che ha la maggiore adozione di tecnologie I 4.0? e quale settore ha il livello più basso di
adozione?
 Ci sono differenze tra nord e sud dell’Italia? Chi ha un tasso di adozione più elevato? e che cosa prevedono le imprese per i prossimi
due anni?
 Quali sono le criticità per le imprese della fornitura di componenti auto in Cina e Germania?
 Quali sono i risultati della ricerca sull’automotive in Italia? ci sono differenze tra le imprese attive nelle diverse specializzazioni

Internet of things (IoT) solution architecture: functions and players, by layer.

L’industria 4.0 è un complesso di tecnologie che va dai robot, all’internet of things, ai cloud computing, etc. Quindi abbiamo molti elementi
che caratterizzano domini tecnologici diversi (robot sono diversi dai cloud computing dove ci sono software e algoritmi che permettono di
elaborare grandi quantità di dati).
L’internet of things è quell’ambito in cui entrano dimensioni diverse ma che strutturano la capacità di un impianto di essere controllato in
tutte le sue fasi perché ci sono sensori e attuatori in tutti i momenti della trasformazione.
I sensori possono essere sensori ottici che vedono il passaggio dei pezzi, che ne osservano le caratteristiche dimensionali, possono essere
sensori che misurano lo specifico peso dei componenti che vengono lavorati, etc.
Si tratta di una porzione dell’industria 4.0 che riguarda l’internet delle cose, stiamo parlando di applicazioni in campo industriale, stiamo
parlando della realizzazione di un controllo dei processi industriali attraverso sistemi di controllo durante le fasi del processo di
trasformazione.
Partiamo da un’architettura fatta da
specifiche applicazioni (applications)
le cui soluzioni devono essere
definite ad hoc rispetto ai problemi
che si vogliono affrontare.
Questo fa parte del modo in cui si
risolvono i problemi, ossia si attinge
all’esperienza, alle pratiche ma gli
sviluppatori di soluzioni in realtà
sono specializzati in vari campi e
guardano a diverse soluzioni Iot. Una
soluzione in agricoltura può essere
sviluppata esattamente nello stesso
modo di un’industria ceramica
perché la configurazione di alcuni
problemi appare simile.
È il problema che viene analizzato
per definire la somiglianza e non il
settore.
Abbiamo nella parte centrale una
serie di elementi che contribuiscono
a descrivere l’architettura della
soluzione che si configura nell’ Iot,
poi abbiamo a sinistra le funzioni e a
destra chi sono gli attori coinvolti.
Per definire le applicazioni ci sono
gli sviluppatori che hanno la capacità
di identificare le caratteristiche del problema.
Si tratta di una parte importante per definire tutti i passaggi che caratterizzeranno la soluzione di Iot che verrà utilizzata,
abbiamo quindi una architettura molto specifica per le diverse applicazioni
Dopodiché abbiamo vari strati di colori diversi (connectivity e hardware).
Poi abbiamo verticalmente degli elementi che sono trasversali rispetto alle specifiche attività necessarie, che sono funzioni di integrazione
dove il tipo di attori coinvolti sono integratori di sistema.
Sono funzioni specifiche e ci sono anche delle specifiche imprese che hanno queste caratteristiche, le più famose sono Bosch e Siemens.
Oltre all’integrazione, c’è la funzione della sicurezza che è una delle questioni critiche e trasversali su ciascuna delle attività.
Quindi il sistema di soluzione Iot si configura sostanzialmente come una serie di layer dove ci sono le applicazioni che vengono rese
possibili sullo specifico problema che vanno a risolvere, ci sono delle specifiche attività di data analystics, di data management e anche tutti i
dispositivi per il management di questi dati e tutti gli elementi di connettività che rendono possibile il management delle informazioni
connesse con l’Iot.
Poi ci sono degli aspetti di connettività che possono essere sia wireless che Wired, sia di breve raggio che di lungo raggio e poi ci sono tutti
gli hardware, ossia la produzione di dispositivi che vanno dai sensori, agli adattatori, etc.
L’idea è che la parte centrale (sfondo più chiaro) riguarda fornitori di piattaforme e gestione dei dati, mentre abbiamo un gruppo di imprese
che si occupa di connettività e un altro gruppo di imprese che si occupa dei vari dispositivi hardware necessari per la soluzione Iot.

51
Al fondo di questo schema c’è un problema: non esiste un codice dell’attività economica Internet of things, per ognuno dei layer dovremmo
avere un codice che descrive l’attività.
E’ importante sapere il codice di attività per sapere chi sono le impese che operano nell’Iot per stimare l’entità del fenomeno.
Cercare di individuare chi sono le imprese che operano nell’Iot è importante per capire cosa potrà sostenere lo sviluppo in Europa di
tecnologie nelle imprese industriali che utilizzano l’Iot: chi è che produce queste tecnologie, dove si producono e che cosa fanno le imprese?

In Italia ci sono puntini verdi che


corrisponde al cluster 6 di
produzione di componenti
elettriche ed elettroniche con
imprese di tutte le dimensioni.
La macchia arancione è
particolarmente presente in alcuni
paesi, ma non in Italia. È presente
soprattutto in Olanda, Belgio in cui
quell’attività è molto presente.
È un’analisi di clustering dei vari
tipi di impresa per classificare i
diversi domini dell’Iot in 5
principali aree che riguardano
l’elaborazione di dati, le
telecomunicazioni, gli strumenti di
misura, gli strumenti di
telecomunicazioni e la manifattura
di componenti elettriche ed
elettroniche.
Le bolle sono proporzionali al
numero di imprese e la stragrande
maggioranza delle imprese che
operano nell’ Iot (85%), opera
nell’elaborazione dei dati e nelle
telecomunicazioni e questo spiega
la grande bolla arancione. Sono
piccole imprese localizzate in molti paesi, ma non nei paesi più importanti per l’industria manufatturiera in Europa. Quindi non in
Germanica, Francia, Italia e poco in Inghilterra.
L’Iot si è sviluppata con una polarizzazione tra la presenza in alcuni paesi delle attività di software, data processing e telecomunicazioni e del
manifatturiero.

In questo caso, il gruppo di bolle arancioni è stato diviso


ulteriormente con una configurazione spaziale che distingue
quello che succede in Spagna e Irlanda da quello che succede in
altri luoghi dove si fa software e data processing.
Il verde acido dell’Italia fa riferimento ad attività di produzione
di dispositivi elettrici ed elettronici usati per il controllo dell’Iot
Le macchie viola riguardano aree in cui sono attive grandi
imprese di telecomunicazioni (Vodafone, Tim), ma sono anche
l’insieme di operatori che sono molto presenti come system
integrators.
Conclusione: anche entrando nel dettaglio appare un Europa
molto differenziata in cui ci sono dei territori che fanno solo una
cosa che è lo sviluppo software, dei territori che fanno solo
un'altra cosa che è l’hardware (Germania) e troviamo pochi
luoghi in cui di fatto ci sono i system integrators.
Occorrono dei system integrators per poter finalizzare le
soluzioni immaginate dagli sviluppatori che hanno delineato le
varie applicazioni per implementare soluzioni Iot, ma questi
system integrators sono localizzati in pochi luoghi, controllano
l’intera filiera di produzione dell’hardware e dei software e
definiscono gli standard di soluzioni Iot.
Il potenziale di quei territori è che c’è una conoscenza nella
produzione di particolari dispositivi hardware, ma c’è anche la
conoscenza di un tessuto produttivo che esso stesso potrebbe
alimentare una domanda di quei dispositivi hardware. La
Germania rispetto alla Spagna ha un potenziale nello sviluppo delle tecnologie Iot più alto: ha le competenze hardware e le competenze
software sono facili da acquisire.
C’è un differenziale di potenziale nello sviluppo di tecnologie nell’ambito dell’Iot che a loro volta sono tecnologie che cambiano
rapidamente e quindi chi è presente nel software deve tener dietro a una dinamica di cambiamento rapidissima nei problemi che bisogna
affrontare, nella scala in cui vanno affrontati, nella velocità con cui vanno affrontati.

52
I problemi riguardano ad esempio gli algoritmi che ottimizzano i tempi per l’elaborazione dei dati mentre invece chi produce l’hardware
mette a punto dei dispositivi e si guarda attorno rispetto ai potenziali ambiti di applicazione.
Mentre quelli che fanno software difficilmente si espandono verso l’hardware, quelli che fanno hardware in modo relativamente più semplice
potrebbero espandere le loro competenze verso i software. Gli investimenti necessari sono relativamente più contenuti, una fabbrica
manufatturiera è pur sempre un investimento più alto che una software house dedicata allo sviluppo di algoritmi.
La mappa dell’Iot in Europa ci dà una separazione tra potenziali di sviluppo di queste tecnologie su scala europea e su singole regioni.
Cosa succede alle regioni che hanno i system integrators, come Londra? Il system integration avviene per la capacità di progettazione
dell’intero sistema. Quelle aree sono molto più avanti, ma si tratta di aree che però devono continuare ad investire.
La dinamica di cambiamento in queste tecnologie è rapida e quindi gli investimenti che queste imprese con capacità di integrazione devono
avere sono elevati.
Le imprese che fanno l’integrazione di sistema sanno andarsi a prendere le competenze ovunque in Europa come in Germania, Paesi Bassi,
Belgio, paesi del nord Europa. Sanno esattamente in quali cluster trovare le competenze rilevanti per rispondere alle esigenze dei propri
clienti.
Il quadro è differenziato e ci deve far ragionare anche sull’Italia.
Se guardiamo l’Emilia Romagna è verde perché c’è molta meccanica e produzione di componenti elettriche ed elettroniche.
L’Emilia Romagna però in realtà è scarsa, non abbiamo una integrazione sistemica di conoscenze e imprese all’interno del territorio
regionale.
Ci sono quindi non solo divari su scala europea, quindi l’Europa che fa una politica di trasformazione digitale deve stare attenta sugli
squilibri regionali presenti in Europea, ma le stesse regioni europee devono calibrare le loro politiche industriali cercando di capire qual
strade sono più opportune.
Ci sono molte possibilità, come politiche cross region, ossia le regioni che dialogano con altre regioni che hanno competenze complementari,
quindi non costruiscono una varietà interna alla regione, ma una varietà per accordi tra regioni.

Il gruppo più importante di imprese sono le imprese dei Paesi Bassi


(viola). L’Italia è il grigio e possiamo vedere che non sono tantissime
le imprese e sono solo in alcuni settori.
Molto importante è il Belgio, la Finlandia, la Norvegia, la Svezia, la
Spagna e il Portogallo.
L’85% delle imprese nell’Iot sono piccole imprese.
Conta sia la numerosità delle imprese che il settore di specializzazione
Un sistema all’interno dell’industria 4.0 presenta una varietà di
condizioni e specializzazioni territoriali e alcune criticità per il
potenziale di sviluppo che osserviamo in quei territori.

Capitolo 7: Innovazione e incertezza nel processo di innovazione -


il contributo di Rosenberg

A questo punto ci interroghiamo chiedendoci: cos’è l’innovazione e


perché dobbiamo interrogarti sulla questione dell’incertezza? Il campo
dell’incertezza è strettamente connesso ai temi dell’innovazione

Premessa: secondo Rosenberg


Il tema del cambiamento tecnico, secondo Rosenberg è essenzialmente caratterizzato da un elevato grado di incertezza. Rosenberg ci dice
che occorre stare molto attenti perché occorre comprendere:
- la natura di tali incertezze, da dove vengono questi elementi di incertezza (le cause)
- e gli ostacoli che si incontrano per rispondere, le difficoltà che ci sono nel cercare di superare tali elementi di incertezza
Perché è importante tenere conto di questa incertezza? Perché questa comprensione del modo in cui si verificano le specifiche condizioni
dell’incertezza, ci può mettere in condizione di capire:
• in che modo nuove tecniche sono inventate
• in che modo si sviluppano e si diffondono
• quale è il loro effetto in termini economici

Quali tecniche prenderemo in esame?


Spesso si fa riferimento al fatto che le tecnologie nella loro fase iniziale non si sa che usi e implicazioni avranno. Quindi Rosenberg dice di
non star parlando in quella fase inziale in cui molte invenzioni falliscono per avere un loro effettivo campo di applicazione, ma considera
l’incertezza connessa con le innovazioni tecnologiche di successo che hanno avuto un impatto significativo
Fallisce la maggior parte dei tentativi di innovazione --> gran parte delle innovazioni è segnata da insuccessi
Rosenberg si concentra solo sull’incertezza connessa all’impatto futuro di innovazioni di successo anche dopo che la loro fattibilità tecnica è
stata stabilita.
Quindi si parla di una incertezza intesa come incapacità di prevedere l’impatto futuro di una certa tecnologia.

Incertezza
Rosenberg sostiene che questa incertezza vi è oggi (es.: laser) come 200 anni fa (es.: macchina a vapore). Non è una incertezza che oggi è
condizionata dall’elevata velocità di cambiamento a cui assistiamo. Questa incertezza certamente aumenta anche per queste ragioni, ma in

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realtà i tipi di incertezza non sono quelli che hanno a che fare con il problema dell’appropriabilità (brevetti, trade-off tra rischio e
rendimento)
È a questa incertezza --> incertezza intesa come incapacità di prevedere l’impatto futuro di una certa tecnologia
che si riferisce l’analisi di Rosenberg

Premessa: secondo Schumpeter - Incertezza e innovazione


Uno degli autori che più ha ragionato sui temi dell’innovazione, che introduce tale tema nel vocabolario dell’analisi economia è Joseph
Schumpeter.
Schumpeter riconosce che l’incertezza viene eliminata dopo che l’innovatore ha introdotto la nuova combinazione
Questo perché gli imitatori delle imitazioni troverebbero una situazione di consolidamento dell’uso di una certa tecnologia, delle condizioni
per produrla e quindi non vi sarebbero incertezze dopo che l’innovatore ha introdotto la nuova combinazione.
Eppure la storia di molte tecnologie mostra che, una volta che la tecnologia sia stata introdotta e si sia affermata,
emergono nuove incertezze, specialmente di natura economica piuttosto che tecnica.
Quindi gli imitatori che per Schumpeter sono dei meri imitatori, cioè non hanno nulla di particolare, in realtà anche gli imitatori si trovano a
dover affrontare delle sfide significative proprio per la successiva fase di affermazione delle innovazioni
Rosenberg: gli imitatori non sono «meri» imitatori

Alcuni esempi: laser


• Inventato a metà degli anni ‘60
• Ha avuto una vasta gamma di usi:
o in molte industrie
o negli strumenti di navigazione
o nelle strumenti di misura di precisione
o nel taglio (dei tessuti, dei metalli,…)
o nella ricerca chimica
o nella riproduzione della musica (CD)
o nella chirurgia (oftalmica per es.)
o nella stampa
o nelle telecomunicazioni --> insieme alla fibra ottica

Perché è importante questo esempio?


Rosenberg si concentra sulle tecnologie complementari che rendono l’applicazione congiunta, per esempio della fibra ottica e del laser, uno
strumento fondamentale per il miglioramento delle telecomunicazioni.
C’è un campo di applicazione che non era nemmeno immaginale quando negli anni ’60 gli inventori del laser si presentarono dai legali dei
lavoratori Bell e andarono a chiedere di brevettare il laser. Questi risposero: cosa c’entra il laser con il core business della nostra impresa che
riguarda le telecomunicazioni?
Fu una grande pensata lasciar cadere questa resistenza e brevettare il laser, perché in realtà il Bell System si avvantaggiò moltissimo
dell’essere proprietari di questo brevetto e del poter applicare questo brevetto nell’impiego congiunto delle fibre ottiche per le
telecomunicazioni
Il laser era l’amplificazione della luce mediante emissione stimolata di radiazioni oscillatore di frequenze ottiche.
Il laser riguardava le telecomunicazione, ma le riguardava in connessione con le fibre ottiche

Alcuni esempi: radio (altri esempi: computer, transistor)


• Marconi si aspettava di avere a che fare con una grande invenzione per comunicare tra due punti senza fili
• Lui si immaginava comunicazioni private da punto a punto
o da nave a terra
o nei giornali
o nella marina militare
• Non nella comunicazione al vasto pubblico (da uno a molti)
Nelle comunicazioni --> narrow casting vs broad casting (come la radio).
La radio trasmette da uno a molti, quindi non è affatto quello che aveva immaginato Marconi.

Alcuni esempi: radio - perché questo esempio è interessante?


Quando guardiamo l’esempio specifico della radio, ci sono tre osservazioni su cui ragionare:

Osservazione 1
Vi è una sostanziale incapacità di superare ex ante le incertezze connesse con gli usi di nuove tecnologie
Incertezze connesse con la capacità di prevedere:
• le traiettorie di futuri miglioramenti
• le conseguenze economiche e gli effetti sociali di quei miglioramenti
Per moltissimi decenni l’80% delle spese di ricerca e sviluppo (R&S) non sono per cose nuove, ma è destinato al miglioramento di
tecnologie esistenti. Questo ci deve fare capire che il cambiamento in tecnologie che già si sono affermate può essere effettivamente molto
ampio
Non della ricerca di invenzioni radicalmente nuove
Es: telefono: in 100 anni dalla sua invenzione Fax, posta elettronica, trasferimenti dati, numero verdi, …smart phone

Osservazione 2

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Il processo di miglioramento richiede maggiore attenzione

Osservazione 3
L’incertezza non è connessa soltanto a questioni di natura tecnica. L’incertezza è forse di più ignoranza dei possibili usi che potranno essere
fatti. Questi usi non si conoscono, ma non si conoscono e non si possono prevedere i mutamenti sociali associati a quelle tecnologie ed usi
Non si tratta di una incertezza che ha a che fare con una scelta razionale perché stiamo parlando di cambiamenti indotti da usi di tecnologie
che non sono prevedibili a livello di singola capacità di previsione in quanto riguardano i cambiamenti che attraversano intere società
Non si può ipotizzare un comportamento di scelta razionale (Vedi Lane et al. Choice and Action)

Quali sono le fonti di incertezza?


Tra le fonti di incertezza ce ne è una che ha a che fare con l’identificazione degli usi di nuove tecnologie.
E’ intrinsecamente difficile identificare gli usi di nuove tecnologie. Esse si presentano in forme molto «primitive»
Es. TAC (tomografia assiale computerizzata), si tratta di tecnologie di diagnostica medica a cui siamo tutti abituati. Immaginiamo qual è
stato il problema quando sono apparse queste macchine per guardare cosa c’era negli organi umani.
La medicina aveva una lunga tradizione di conoscenza del corpo umano grazie alle pratiche di anatomia che c’erano fino all’antichità (si
aprivano e sezionavano i cadaveri per studiare la configurazione del corpo umano)
L’idea è che la varietà dei corpi umani è estremamente grande, quindi capire se un certo organo stava segnalando una patologie e quale
patologia. Quindi questa tecnologia creava dei gran problemi perché bisognava formare tecnici radiologi in grado di leggere i risultati delle
TAC. La tecnica in sé non aveva un potenziale di sviluppo che richiedeva l’accrescimento di competenze che si è evoluto nel tempo
Il tema dell’identificazione di usi e tecnologie non è banale: una volta che sia stata identificata una tecnologia di diagnostica che non riguarda
l’uso di radiazioni con metodi di contrasto, ma che riguarda altre dimensioni dell’esplorazione del corpo umano; tutto questo richiede molti
aggiustamenti

Quali sono le fonti di incertezza?


L’impatto di una innovazione dipende da futuri miglioramenti, ma anche da innovazioni complementari
La struttura temporale di questo processo varia
Es. energia elettrica fu usata nell’industria manifatturiera con una modalità di organizzazione degli impianti che ha impiegato 40 anni per
arrivare a cambiare il layout degli impianti rispetto a quello che gli ingeneri avevano concettualizzato quando avevano un’unica fonte
centralizzata di produzione di energia.
L’uso dell’energia elettrica impiega molti decenni per diventare diffusa all’interno dell’industria manifatturiera.
Se pensiamo anche al caso dell’intelligenza artificiale, quando alla fine degli anni ’50 Herbert Simon dice che bisogna assolutamente
utilizzare delle tecniche per affrontare le strategie di problem solving.
Lui aveva già trovato la soluzione, ma non c’erano le macchine per implementare tale soluzione
Newell e Simon: programmi "Logic Theory Machine" (1956) e "General Problem Solver" (G.P.S.) 1957).
G.P.S. tentativo di separare la strategia di problem solving dall'informazione sui problemi da risolvere.
Newell, Shaw e Simon Information Processing Language (IPL) (1956)

Quali sono le fonti di incertezza?


Invenzioni complementari costituiscono sistemi tecnologici interamente nuovi in generale: innovazioni complementari che non sono già lì
Si tratta quindi non solo di innovazioni complementari necessarie per utilizzare a pieno una tecnologia, ma sono innovazione complementari
che devono essere ancora sviluppate.
--> Comprendono costellazioni di invenzioni complementari che hanno un effetto cumulativo
Es. ferrovie e canali: concepiti inizialmente come integrazione nei trasporti fluviali, radio e telefono
07/04
Quali sono le fonti di incertezza?
Flussi intersettoriali hanno a che fare con le complementarità generate in settori molto diversi: innovazioni importanti hanno l’effetto di
indurre ulteriori innovazioni e investimenti lungo un’ampia frontiera --> impossibile prevedere l’impatto di una nuova tecnologia
Es. motore a vapore: inventato per pompare acqua dalle miniere --> macchina per produrre energia nelle fabbriche tessili, siderurgiche nei
mezzi di trasporto (navi, ferrovie).
Es. settore macchine utensili. Lo sviluppo di quel settore alimenta un circuito virtuoso in tutti i settori manufatturieri in cui si usano macchine
utensili. Rosenberg ricostruisce una serie di connessioni che chiama convergenze tecnologiche in cui mostra come l’applicazione di alcune
macchine utensili in alcuni settori che si propagano all’interno dell’economia verso settori lontani dal punto di vista dell’ambito di
applicazione dei prodotti: si va dall’uso di macchine utensili nella produzione di fucili all’uso di macchine utensili nella produzione di
macchine da cucire. Le macchine utensili nella produzione di macchine da cucire sono l’elemento centrale perché consente di produrre gli
aghi e i porta aghi con particolari caratteristiche. Le macchine da cucire sono un pezzo centrale dello sviluppo di molte industre
manufatturiere in quanto permette la produzione di abiti e scarpe ad esempio. Il sostegno allo sviluppo di tecnologie nelle macchine utensili
attraversa tanti settori.
Nel corso di 3-4 decenni cambia il volto dell’industria manufatturiera americana. Si tratta esattamente di complementarità intersettoriale
dove i flussi di sviluppi tecnologici attraversano più settori produttivi con dei feedback importanti: una volta che si risolve un problema
tecnologico in un settore di applicazione, questa soluzione viene generalizzato a tutta l’industria manufatturiera nella fabbricazione di
macchine utensili.
Aumentando la velocità di lavorazione dell’utensile, questo è in grado di produrre più pezzi, ma si consumava più velocemente (trade off tra
la velocità e necessità di sostituire l’utensile più volte).
Nella nostra vita quotidiana tecnologie che attraversano moltissimi settori sono i software perché possono essere applicati in molti settori;
tecnologia edile; tematiche dell’efficientamento energetico; sistemi gestionali; i dati: abbiamo un contesto in cui i flussi intersettoriali di
informazioni, di dati e di tecnologie come quelle del software che giocano a favore di un ritmo molto elevato di cambiamento che genera
nuovi scenari di azione, ad esempio le politiche che un’amministrazione comunale deve mettere in atto per rispondere ai bisogni della

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popolazione di quel territorio di fronte alla possibilità di accedere a nuovi dati anche l’analisi di quello che è il fabbisogno può diventare
diversa.
Rosenberg, quindi, dice che ci sono molte tecnologie che alimentano fonti di incertezza dovute al fatto che gli investimenti di lungo periodo
sono molto ampi (in termini di consistenza) e sono per esempio, l’investimento relativo all’integrazione delle basi dati. Sono investimenti
ingenti perché i dati hanno una loro condizione materiale per poter essere raccolti, stoccati, mantenuti in maniera corretta, protetti e utilizzati
in maniera efficaci. Dati enormi richiedono infrastrutture enormi per poter essere organizzati, gestiti e resi accessibili. Queste infrastrutture
richiedono a loro volta investimenti enormi

Quali sono le fonti di incertezza?


Questa fonte di incertezza riguarda l’immaginazione sociale.
Identificare specifiche categorie di bisogni umani: è meno precisa delle altre fonti di incertezza, ma non meno importante
- provvedere per quei bisogni in modo nuovo dal punto di vista del costo
- occorre un esercizio di immaginazione sociale
Es. radio, il computer, il walkman. L’immaginario sui bisogni sociali individuali e collettivi è molto al di fuori di quello che noi vediamo
nella storia delle tecnologie e di quello che possiamo ragionevolmente immaginare sul tasso di sviluppo che quei cambiamenti potranno
avere. Questa è una cosa su cui gli investimenti necessari costituiscono una si fa notevole perché rendono possibile il raggiungimento di una
certa scala per cui la sperimentazione può essere realizzata e da cui derivano frutti significativi in termini di impiego di quelle tecnologie.
Sono tutte tecnologie che richiedono l’immaginazione di un’applicazione ad un bisogno che va però rilevato.
Immaginazione sociale: mancò a Marconi, ma anche ad Aiken.
Aiken è stato un grande ingegnere che ha contribuito moltissimo allo sviluppo di computer, negli anni 50 discuteva delle applicazioni del
computer dicendo che il computer fosse qualcosa che serviva per la soluzione di equazioni differenziali e che non sarebbe mai stato
utilizzabile nella gestione di un magazzino. Ad Aiken è mancata l’immaginazione sociale perché negli anni ’50 i computer erano enormi e
non avevano una grandissima potenza di calcolo come ad oggi. Il cambiamento legato alle potenzialità di calcolo dei computer e la riduzione
della loro dimensione sono una dimensione che hanno portato alla loro diffusione.
Gli elementi di cambiamento non sono prevedibili. Stiamo entrando in un mondo in cui l’incertezza è massima da parte di chi deve fare gli
investimenti.
NB: il cambiamento sociale o l’impatto economico non può essere estrapolato dalle caratteristiche tecniche di una macchina
Immaginazione sociale, ma anche fiducia delle proprie capacità tecniche
Es. del videoregistratore: dalla registrazione per stazioni radio alle famiglie

Alcune conclusioni
• Le nuove tecnologie: sostituti più che complementi di tecnologie esistenti (vedi TAC, risonanza magnetica, …)
--> processo che genera incertezza e un alto rischio agli investiment
• Non sembra possibile mettere a punto un modello di tutte queste variabili delle loro interrelazioni. Che fare? Quale politica industriale?
Gestire un portafoglio di ricerca deliberatamente diversificato: aprire molte finestre per offrire al settore privato incentivi finanziari per
esplorare il panorama tecnologico che da quella finestra si può a mala pena scorgere [tecnologie energetiche: eolico, idrogeno]
Rosenberg di dice che incertezza ce ne sono di vario tipo e determina che cosa si può fare, ossia quale politica industriale si potrebbe avere.
La conclusione che egli trae da queste sue considerazioni sull’incertezza sono da un lato che non è vero che l’incertezza si esaurisce una
volta che l’innovazione sia stata consolidata dal punto di vista economico e dall’altro che c’è bisogno di concettualizzare l’azione pubblica
per ridurre l’incertezza nell’azione degli agenti economici. Riducono l’incertezza dove questa ha un carattere sistemico. È un’incertezza che
prescinde dalla capacità di azione del singolo agente economico.
Rosenberg dice che l’azione pubblica dovrebbe essere consapevole che lo sviluppo delle tecnologie genera flussi intersettoriali,
complementarità che si vengono a creare e quindi la sua soluzione è una soluzione che afferma l’importanza di un’azione pubblica ma che
propone un’azione pubblica aperta su un ventaglio di alternative per consentire di attivare quei processi virtuosi di miglioramento delle
tecnologie, di raggiungimento della scala ottimale, di raggiungimento e definizione della complementarità. Ad esempio, nella metà degli anni
’90 lui ci parla delle tecnologie in campo ambientale nella produzione di energia e dice di dare una chance alle fonti rinnovabili e la politica
di Rosenberg è una politica che apre a molte alternative in un contesto in cui alle fonti rinnovabili non dava una chance nessuno in un
contesto a fine degli anni ’90.
L’indicazione che dà Rosenberg è quella di aumentare la varietà di possibilità per consentire il raggiungimento di scale rilevanti per la
sperimentazione, il raggiungimento di significativi spazi per tecnologie complementari che emergeranno e il raggiungimento di significativi
flussi intersettoriali che aumentano la scala a cui la sperimentazione potrà essere utilizzata.
Modelli dei path dependence (Arthur, urna di Polya): quelle tecnologie che apparivano all’inizio una relativamente più efficiente dell’altra,
all’aumentare del numero di utilizzatori possono invertire la loro scala di efficienza relativa perché man mano che aumenta il numero degli
adottatori, una tecnologia che era relativamente meno efficiente potrebbe conquistare degli spazi che la rendono una tecnologa migliore dal
punto di vista dei costi.

Traccia della lezione


• Comprendere la natura delle incertezze che caratterizzano il cambiamento tecnico ci aiuta a capire in che modo nuove tecniche sono
inventate, si diffondono e hanno effetti economici.
• Rosenberg si concentra sull'incertezza del futuro sviluppo di tecnologie che hanno già raggiunto il successo. Vari tipi di incertezza
(esempi: laser, radio, computer, transistor).
• Tre osservazioni generali: incapacità di superare ex ante le incertezze connesse con gli usi di nove tecnologie; processo di miglioramenti
delle tecnologie esistenti; l’incertezza non è solo una questione tecnica, ma è ignoranza di possibili usi (non può essere una questione di
scelta razionale).
• Cinque principali fonti di incertezza. difficoltà a identificare gli usi di nuove tecnologie; ruolo di futuri miglioramenti e tecnologie
complementari; le invenzioni complementari possono costituire sistemi tecnologici interamente nuovi; flussi intersettoriali favoriscono
l’adozione e l’ulteriore sviluppo di tecnologie; l’immaginazione sociale non è attribuibile ad un singolo individuo (né il cambiamento
sociale può essere estrapolato dalle caratteristiche tecniche di una macchina).

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• Implicazioni per le politiche pubbliche: le nuove tecnologie come sostituti e non solo complementi di tecnologie esistenti. Gestire un
portfolio di ricerca deliberatamente diversificato per offrire incentivi al settore privati per esplorare le nuove tecnologie

Domande
 Secondo Rosenberg, quali sono le fonti di incertezza che hanno effetto sullo sviluppo di nuove tecnologie?
 Quali effetti possono avere sullo sviluppo di nuove tecnologie i miglioramenti di tecnologie esistenti?
 Quali effetti possono avere sullo sviluppo di nuove tecnologie l’affermarsi di tecnologie complementari?
 Che cosa è l’immaginazione sociale?
 Le politiche pubbliche devono sostenere solo tecnologie già affermate? perché?

Capitolo 8: Innovazione - Foresight complexity and Strategy: il contributo di Lane e Maxfield

Concetti chiave
· Incertezza
· Innovazione
· Strategie
Il punto di vista di Lane e Maxfield riguarda l’azione, cioè se c’è un mondo così complesso dal punto di vista dell’incertezza che gli agenti
economici devono affrontare con orizzonti temporali che riguardano gli investimenti che devono mettere in campo per la loro attività
economica, come fanno questi agenti ad agire?

Che cosa è una strategia?


La risposta dipende dall’orizzonte a cui si riferisce la previsione, vale a dire a quanto lontano e in che misura lo stratega deve prevedere. Lo
strumento di previsione che dobbiamo considerare riguarda anche l’orizzonte temporale che dovrà affrontare la strategia.

Di cosa parleremo
Rispetto alle strategie che vanno formulate è importante distinguere un orizzonte chiaro, complicato e complesso e quindi un orizzonte
rispetto agli elementi che entrano in campo per definire una strategia e non solo in riferimento all’orizzonte temporale.

1. Orizzonti della previsione – chiaro


XVIII secolo: un generale prepara un piano per affrontare il nemico il giorno dopo sebbene non possa prevedere con certezza l’esito dei
molti eventi contingenti che si verificheranno, né della battaglia, può tuttavia, essere ragionevolmente sicuro che uno dei relativamente pochi
scenari che egli può prevedere si verificherà effettivamente --> orizzonte chiaro
La strategia si delinea come un concetto tipicamente in campo militare perché era il campo in cui si programmavano le azioni per ottenere il
risultato che metteva in campo la soluzione di un conflitto. L’azione con un orizzonte chiaro riguarda gli eserciti che stanno nel campo di
battaglia e si osservano avendo gli elementi tutti sotto controllo (le forze relative in campo, il campo di battaglia e le sue caratteristiche, etc.).
Era possibile prevedere quali eventi si potevano verificare e quale esito avrebbe avuto l’attacco di un certo tipo con un certo tipo di forze
sull’avversario visibile in quel momento.

1. Orizzonti della previsione - complicato


XIX secolo: un comandante della cavalleria che affronta gli indiani in un territorio sconosciuto: è sicuro che riconoscerà qualsiasi situazione
incontrerà, quando la incontrerà e agirà di conseguenza senza fare ex ante un piano dettagliato di azione --> orizzonte complicato
Un territorio sconosciuto che non riesce a vedere, il comandante di cavalleria manda gli esploratori che sanno riconoscere i segnali del
passaggio delle tribù che stanno inseguendo. Non è in grado di fare ex ante un piano d’azione, man mano che avanza deciderà che cosa si
può fare. Un piano d’azione che è il risultato della conoscenza che viene costruita nell’avanzare nel campo di battaglia. È un orizzonte
complicato perché non è possibile definire un paino strategico ex-ante.

1. Orizzonte della previsione - complesso


Settembre 1995: un diplomatico bosniaco che cerca di porre fine allo spargimento di sangue nel suo paese le variabili rilevanti per la sua
previsione mutano in modo rapido e continuo, non sa su cosa fare affidamento e, quando lo sa, il giorno dopo tutto cambia --> orizzonte
complesso
Orizzonte di mediazione in cui il diplomatico bosniaco si trova di fronte un contesto di trattativa che muta dalla sera alla mattina. Questo fu
uno degli elementi più drammatico delle negoziazioni bosniache perché i soggetti che entravano in campo non avevano l’affidabilità che era
necessaria per poter progettare un intervento. È un orizzonte complesso perché cambiano continuamente le variabili in campo, mutano
rapidamente e non si sa su cosa fare affidamento. Questo impedirebbe di definire un piano strategico in un orizzonte complesso in cui gli
elementi di cambiamento sono molto rapidi

Questi orizzonti sono rilevanti per prendere decisioni. Se gli attori cambiano le loro posizioni, ciò impedisce di definire una strategia che
orienti l’azione. Quindi si fa riferimento alla variabilità, rapidità con cui variano le variabili in gioco.

Incertezza e orizzonte di previsione e conoscenze delle possibili conseguenze


C’è molta incertezza e il punto centrale è la conoscenza delle possibili conseguenze.
L’incertezza entra in tutte e tre le storie, ma con differenze rilevanti rispetto a:
- L’orizzonte temporale rilevante per l’incertezza
- La conoscenza delle relative possibili conseguenze

Caso oggetto di studio


Mondo multimediale entro cui opera l’impresa Rolm

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Un mondo che è emergente, dal punto di vista strutturale ambiguo, dal punto di vista cognitivo. L’emergente struttura e l’ambiguità cognitiva
generano, per le imprese che operano nel mondo multimediale, orizzonti complessi entro cui fare previsioni.
Il mondo multimediale come ogni altro campo d’affari è caratterizzato da uno spazio degli agenti e degli artefatti che sono strutturati da varie
relazioni tra gli agenti, tra gli artefatti, tra gli agenti e gli artefatti.

Entriamo in un contesto economico che tratta di un’azione strategica definita da un’impresa.


La storia di come l’impresa Rolm entrò nel mercato del PBX [prodotto: Private Branch Exchange]
L’impresa decide di affrontare questo nuovo prodotto PBX come produzione.
Ex post è possibile far sembrare chiaro un orizzonte complesso.
Sorta nel 1969 produceva minicomputer per usi militari.
Voleva trovare un mercato in cui espandere la propria crescita che non poteva essere quello dei computer per
l’industria militare. à Voleva affrancarsi dalle prospettive molto contenute di crescita che erano prevedibili se fosse rimasta a produrre il suo
prodotto tipico.
Nel 1973, con 100 dipendenti, aveva un fatturato annuo di 4 milioni di dollari e poteva aspettarsi di espanderlo, in quell’industria, non oltre i
10 milioni.
La previsione di un cambiamento di mercato: entrando nel mercato dei PBX --> decidono di utilizzare le competenze che hanno per entrare
in un mercato delle centraline telefoniche in cui si aspettano di aumentare il fatturato nel terzo anno fino a 12 milioni di dollari. Sulla base di
questa previsi0one loro decidono di entrare in questo mercato. In realtà dopo 3 anni il fatturato fu effettivamente di 50 milioni di dollari, per
arrivare a 200 nel 5 anno e ad oltre 1 miliardo di dollari nel settimo anno (cioè passa da 4 milioni all’anno nel 1973 a 1 miliardo all’anno nel
1980!).
Succede un cambiamento molto rapido, ciò che raccontano Lane e Maxfield è una storia avvincente di cosa determina questo cambiamento e
quali sono gli elementi di incertezza che entrano in gioco e come vengono affrontati.

Il mercato dei PBX in America nel 1973: agenti e artefatti


Nel 1968 la Commissione Federale delle Comunicazioni Carterphone decise di rompere il monopolio dei PBX che prima di quella decisione
era detenuto dalle locali compagnie telefoniche.
Questo dette origine a un nuovo genere di attività: i distributori di interconnessioni, i quali configuravano, installavano e facevano la
manutenzione dei sistemi di comunicazione d’affari.
Nel 1973 c’erano non più di 300 compagnie che operavano in un mercato da 500 milioni di dollari, cresciute grazie alla rottura del
monopolio: avevano diversa dimensione e struttura; alcuni vendevano localmente interconnessioni fino ad un massimo di 30 linee, altri erano
specializzati in un maggior numero, alcuni vendevano solo in nicchie quali gli alberghi o gli ospedali.
Il mercato da 500 milioni di dollari era un mercato saturo, ma non omogeneo in cui c’è una piccola dinamica della domanda dovuta al fatto
che le imprese hanno una dinamica di crescita, esigenze diverse e quindi hanno bisogno di acquistare una centralina più capiente. Dal lato
dell’offerta queste imprese avevano una struttura particolare perché c’erano alcuni che vendevano localmente interconnessioni su un numero
ridotto di linee, altri erano specializzati in un maggior numero di linee e poi c’erano alcuni che vendevano solo in nicchie. Di fatto ciò che
successe dopo la rottura del monopolio fu che il prodotto PBX non cambiò molto: la concorrenza era soprattutto di prezzo. Nell’acquisto di
nuove centraline contava la capacità dell’impresa che offriva la centralina di proporre un prezzo più basso

Il mercato dei PBX in America nel 1973: agenti e artefatti dopo il 1973
Dal 1973 alcune grandi imprese, in particolare la ITT e la IBM, iniziarono a produrre PBX con una tecnologia superiore come quella degli
interruttori elettronici, e ne migliorano la funzionalità, come ad esempio la possibilità di adattarli alle esigenze del cliente. Mentre
l’introduzione di interruttori elettronici viene considerata fattibile, si riteneva che l’uso di interruttori digitali e di controllo basato sul
computer fosse troppo costoso e non realizzabile prima di sette anni. La tecnologia digitale avrebbe reso possibile integrare la voce e i dati in
un unico sistema, il controllo mediante il computer che avrebbe reso possibile altre funzioni:
- invio delle chiamate a lunga distanza attraverso canali meno costosi,
- la chiamata automatica,
- la registrazione dei dati relativi alle chiamate
- la possibilità di spostare le chiamate da un ufficio all’altro senza modificare fisicamente tutte le connessioni dei cavi, ma solo dando dei
comandi alla tastiera.

In che modo i manager delle telecomunicazioni (TM) e il prodotto PBX contribuiscono a definirsi l’un l’altra.
Questa serie di cambiamenti avviene in realtà grazie al mutamento reciproco dei responsabili delle telecomunicazioni all’interno delle
imprese (agenti) e delle centraline che gestiscono le telecomunicazioni (artefatti) usate all’interno dell’impresa.

Perché la tecnologia dei PBX non cambiò dopo la decisone della commissione Carterphone?
Perché non era tecnologicamente realizzabile: no, perché Rolm la realizzò.
Perché era necessario un lungo periodo per mettere a punto il nuovo prodotto: no, perché Rolm impiegò solo 18 mesi.
La risposta va ricercata nella sfera delle relazioni sociali. Il punto in cui si concentra l’attenzione è la sfera delle relazioni sociali.
Gli acquirenti di PBX, vale a dire i TM (Telecommunication manager) delle imprese, non avevano incentivi ad acquistare una tecnologia
diversa: acquistavano ciò che veniva loro consigliato dal venditore locale. Prima della decisone Carterphone non avevano scelta e questo li
aveva abituati a dipendere dall’offerta. La decisone Carterphone, da sola, non poteva mutare direttamente: né il pattern di interazione tra gli
agenti né le attribuzioni che gli agenti assegnavano al prodotto PBX.
Non è la decisione di rottura di monopolio (evento esogeno al contesto del mercato) che ha un ruolo nel cambiare il pattern di interazione tra
gli agenti e neanche la commissione Carterphone da sola riesce a definire altre funzionalità.

La Rolm entra nel business dei PBX

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La Rolm (100 addetti, 4 milioni di dollari di fatturato) aveva sviluppato competenze nella progettazione e nella produzione di computer, ma
il contratto che aveva con Data General le impediva di entrare direttamente in questo mercato. È per questo che i dirigenti di Rolm decisero
di cercare nuove opportunità di mercato in cui utilizzare le loro competenze.
Dove trovarono le altre competenze necessarie? Nel giugno del 1973 assunsero due ingegneri della Hewlett- Packard per iniziare a progettare
il loro ingresso nel mercato dei PBX. Nell’agosto assunsero un dirigente del marketing della HP per fare una analisi di mercato. Questo
dirigente delinea un piano interessante che consente di definire il segmento di mercato in cui dovranno collocarsi; perché se si collocano in
un segmento di mercato in cui la dimensione di un prodotto che realizzano riguarda un prodotto con molte connessioni, questo vuol dire
andare a trattare con clienti che sono molto grandi e che ignorano il potenziale di Rolm. D’altra parte, se si concentrano su centraline con
pochissime interconnessioni devono andare a trattare con clienti molto piccoli che richiedevano di mettere a punto una strategia di marketing
e vendite che poteva diventare lontana dal loro core business.
La risposta fu incoraggiante perché emerse che il computer poteva offrire molte opportunità a costi contenuti. Decisero di puntare solo sulle
centraline da 100-800 connessioni, perché per le più piccole la tecnologia risultava troppo costosa e per le più grandi era necessario una rete
di vendita che richiedeva tempi lunghi e problemi di credibilità per un’impresa così piccola. Avviano un piano di investimenti molto
operativo per ampliare secondo l’esigenza dei clienti le caratteristiche dei centralini. A novembre decisero di andare avanti con il
programma.

La strategia di marketing adottata dalla Rolm: costruire relazioni con i manager delle telecomunicazioni all’interno delle imprese utilizzatrici
dei PBX
La Rolm doveva decidere come vendere il suo PBX e scelsero due linee da seguire:
 Addestrare i suoi distributori alla vendita ad imprese più grandi e con molti livelli decisionali
 Stabilire contatti diretti con i Telecommunication Managers di grandi imprese, quali la General Motors o l’Ibm. Per far questo
organizzarono incontri in cui spiegavano in cosa consisteva la loro tecnologia e come poteva essere utilizzata: ma molti TM erano
avversi al rischio e gli si proponeva di abbandonare una tecnologia sicura per un’altra che veniva proposta da una piccola nuova
impresa, la Rolm appunto. Tuttavia, alcuni TM si convinsero e quando videro i risultati furono i più accaniti sostenitori di Rolm.
I TM attivano all’interno dell’impresa decisioni su come migliorare servizi, come valorizzare il rapporto con i clienti e intervengono su
elementi che riguardano la composizione dei costi dell’impresa. Diventano i più grandi sostenitori della trasformazione nel settore dei
PBX intrapresa da Rolm.

Le relazioni diventano generative: le principali trasformazioni


Le relazioni tra i TM e la Rolm dette alla Rolm molto più di quanto aveva immaginato perché comportò innovazioni nei prodotti, nelle
attribuzioni e nelle identità degli agenti (Rolm dal lato dell’offerta e i TM dal punto di vista della domanda). Sono relazioni che diventano
generative di processi di innovazione e tali processi sono realizzati dal lato dell’offerta perché Rolm ha bisogno di cambiare le caratteristiche
produttive dal lato del prodotto mettendo dentro elementi che prima non c’erano e dal lato degli utilizzatori perché cambiano le funzionalità
che questi prodotti hanno.
Rolm diventa un soggetto la cui reputazione consente di aprirsi a spazi di mercato che avevano deciso di escludere, come le grandi
compagnie perché non c’era nessuno che avrebbe garantito sull’efficacia dei prodotti che erano in grado di vendere. Si tratta di un
cambiamento del posizionamento nel mercato.
08/04
Le relazioni diventano generative: le principali trasformazioni – nuovi prodotti
Nuovi prodotti: grazie ai risultati ottenuti con l’introduzione dei PBX della Rolm, i TM furono premiati con maggiori responsabilità e furono
incoraggiati a continuare la ricerca di ulteriori risparmi nei costi nell’ambito delle comunicazioni.
- Un TM propose di adattare alle PBX le stesse opportunità offerte dai sistemi di Automatic Call Distribution usati dalle compagnie aeree.
La Rolm studiò questa possibilità che poi offrì nella terza versione dei PBX, e fu un incredibile successo.
- Una responsabile delle comunicazioni di un supermercato chiese se era possibile centralizzare le chiamate a tutti i negozi in un unico
punto così che da lì sarebbe stato possibile avere un servizio di risposta 24 ore al giorno e questo servizio fu introdotto da Rolm nelle
sue centraline

Le relazioni diventano generative: le principali trasformazioni – nuove attribuzioni


Nuove attribuzioni (attribuzione emergente) di un artefatto: le nuove attribuzioni hanno a che fare con le funzionalità che vengono assegnate
alle centraline. Queste nuove attribuzioni erano funzionalità che Rolm aveva previsto legato all’impiego di tecnologie digitali (es.
reindirizzamento delle chiamate, servizi di segreteria, etc.).
Le interazioni con i TM modificarono le funzionalità assegnate alle PBX.
NB: Rolm aveva pianificato sviluppi delle PBX nel campo digitale di integrazione dei sistemi vocali e di dati, ma questi sviluppi furono
messi da parte per dare priorità alle esigenze dei TM.
Tutte queste funzionalità hanno a che fare con una dimensione tecnologica, ma che quel prodotto contenga questa funzionalità è irrilevante se
qualcuno non glielo riconosce. Questo viene riconosciuto sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda che riconosce quelle
funzionalità come rilevanti per l’azione all’interno dell’impresa in cui verranno utilizzate.
Il fatto che quel prodotto abbia certe funzionalità non vuol dire che non ne abbia altrettante. Dal punto di vista delle funzionalità della
centralina quella generale è incorporare tecnologie digitali che hanno un potenziale, ma via via diventano quelle che i singoli
Telecommunication manager affermano come una funzionalità rilevante per loro e la funzionalità di cui loro parlano sono quelle che
costruiscono l’immaginario su cui poi si baserà anche la pubblicità su quei prodotti. Loro giocano su questa dimensione delle funzionalità
assegnate alle centraline attraverso le interazioni con i TM.

Le relazioni diventano generative: le principali trasformazioni – nuova identità


Una nuova identità: un nuovo status dei TM che, da meri custodi del sistema di telecomunicazioni dell’impresa, diventano promotori di
mutamenti che riducono i costi, aumentano la produttività, migliorano i servizi offerti.
Si tratta di relazioni tra Rolm e i TM delle grandi imprese. Nella loro scelta di sviluppo strategico avevano escluso le imprese gigantesche, si
erano tagliati una fascia abbastanza ampia di connessioni che andava da 100 a 800 e loro partono dalle imprese nella fascia alta di numero di

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connessioni (800), sono imprese grandi in cui Rolm trova un riscontro positivo da parte dei TM e questo consente di diventare fornitori di
grandi imprese che la GTE che aveva sempre avuto i suoi subfornitori.
All’interno dell’impresa, anche nel modello B2B, bisogna capire chi sono gli utilizzatori e chi sono le figure coinvolte nelle decisioni
strategiche che riguardano gli acquisti. Le figure possono essere le più diverse con ruoli diversi nell’impresa. Es. market manager quando
entrano in Rolm danno un’indicazione precisa: non definire solo un segmento di mercato per i vostri prodotti ma anche un target nelle
relazioni specifiche all’interno delle imprese utilizzatrici perché quello è un prodotto originariamente che caratterizzava un mercato saturo in
cui l’unico elemento di dinamica nel mercato era quello della sostituzione delle centraline in uso con caratteristiche identiche a quelle
precedenti per consentire l’aumento di numero di connessioni di cui l’impresa poteva aver bisogno.
L’idea dei manager del marketing di Rolm si sviluppa in un proficuo legame tra chi fa il marketing e chi fa lo sviluppo di prodotti.
L’affermarsi dell’impresa nella sua reputazione di impresa innovativa nella capacità di incorporare le richieste degli utilizzatori all’interno di
nuove generazioni di centraline che non sono più sostituite perché insufficienti per far fronte alle connessioni telefoniche che l’impresa deve
garantire, ma diventano obsolete rispetto alle nuove funzi0onalità che altre centraline disponibili mettono a disposizione. Quindi cambiano le
regole del gioco nelle relazioni interne a Rolm. Nel caso di Rolm vediamo una particolare relazione interna tra chi opera nella sezione di
marketing e chi opera nella sezione di sviluppo e produzione dei prodotti, ma anche relazioni tra chi opera dal lato dell’impresa cliente
nell’impresa e come opera quella figura all’interno dell’impresa che utilizza le centraline. Ad esempio, il ruolo dei TM cambia nell’impresa,
cambia l’identità che è un elemento soggettivo e specifico della relazione. È un elemento che ha a che fare con la relazione, è qualcosa che
riconosce reciprocamente delle attribuzioni di identità. Non bisogna confondere l’identità con il ruolo che è una posizione all’interno
dell’organizzazione di un’impresa, ma l’identità dipende da come entra quella persona in quel ruolo in relazione con altre persone in altri
ruoli. Cambiare l’identità è una cosa importante, vuol dire dare una svolta alle relazioni. L’identità che attribuiamo fa una differenza enorme
nelle relazioni in cui ci si trova ad agire.

Le relazioni diventano generative: le principali trasformazioni – relazioni che generano relazioni


Relazioni che generano relazioni: Le relazioni con i TM delle grandi imprese dettero credibilità alla Rolm anche nelle vendite a imprese di
più piccole dimensioni
Le pressioni dei TM resero possibile alla Rolm di diventare i fornitori anche di grandi compagnie quali la GTE,
che da sempre aveva avuto i suoi subfornitori
Il mercato americano dei PBX nel 1980: I successi della Rolm vanno oltre le loro più ottimistiche previsioni
Prima dell’entrata di Rolm (nel 1973), solo il 7% dei sistemi veniva rinnovato ogni anno, con i nuovi PBX digitali.
Vi fu un enorme boom della domanda di questi nuovi sistemi per rimpiazzare quelli esistenti. In sette anni
l’intero stock fu rimpiazzato. Quello che era un mercato saturo ora è un mercato con caratteristiche diverse perché il prodotto non è più lo
stesso. E’ proprio la differenza delle funzionalità che hanno e nuove centraline che consente a Rolm di affermarsi e di cambiare la struttura
dell’industria spiazzando completamente tutti quei produttori che erano presenti all’inizio del suo ingresso e riconsiderando le regole del
gioco.
L’industria aveva una struttura completamente diversa da quella di sette anni prima: c’erano solo 3 imprese
(Rolm, ATT e Northern Telecom) che si dividevano il mercato con pochi altri piccolissimi produttori.

Le lezioni dalla storia Rolm: come avvengono i cambiamenti nello spazio degli agenti e degli artefatti
Quando gli orizzonti della previsione sono complessi, la struttura dello spazio degli agenti e degli artefatti subisce rapidi cambiamenti
continui. È un orizzonte in cui è difficile definire le scelte strategiche che riguardano lo sviluppo all’interno di un nuovo mercato.
Per trarre beneficio da tali cambiamenti è necessario capire come tali cambiamenti avvengono, i processi di cambiamento. Se si riesce a
studiare tale processo nelle sue determinanti si potrebbe riuscire a valorizzare quelle caratteristiche per riprodurlo.
Lane e Maxfield illustrano quattro lezioni che emergono dalla storia di Rolm.

Lezione 1: come avvengono i cambiamenti nello spazio degli agenti e degli artefatti
Il cambiamento strutturale nello spazio degli agenti e degli artefatti è mediato dalle nuove attribuzioni circa l’identità degli agenti e del
significato degli artefatti
• Le attribuzioni relative a che cosa «è» un artefatto e a cosa «fa» un agente sono importanti.
• Il significato che gli agenti assegnano a sé stessi, ai loro prodotti, ai loro concorrenti, ai loro clienti e a tutti gli altri attori che sono
presenti nel loro mondo determina il loro possibile spazio di azione e in qualche misura anche il modo in cui agiscono. Definendo il
significato che gli agenti stanno attribuendo, stanno popolando il loro mondo. La prima operazione che fanno i managers del marketing
è popolare il mondo di agenti che prima non erano nella sfera degli ingegneri di Rolm. Perché fare leva su di loro? Perché l’esigenza
dell’impresa riguarda le funzionalità e l’impresa definisce certi requisiti (600-700 connessioni). Rolm non è un’impresa in cui tutti
sanno fare tutto, ma riconosce di avere al suo interno delle competenze digitali e riconosce di non avere competenze di marketing.
Avere consapevolezza di questo vuol dire sapere che Rolm non può essere un’impresa di soli ingegneri informatici, ma deve essere
un’impresa a tutto tondo che deve completare l’insieme di competenze necessarie per il suo sviluppo.
Importante il ruolo che si dà ai concorrenti. I concorrenti erano degli agenti molto consolidati, alcuni grandi e altri piccoli, ma si
possono sfidare? Sfidare i concorrenti vuol dire immaginare un potenziale relativo che Rolm si permette di concettualizzare e alcuni
erano concorrenti che già operavano nel settore delle tecnologie digitali (es. IBM, che però non investiva tantissimo nel settore digitale
delle centraline ma che pure era decisamente esperto sulle tecnologie digitali). Riconoscersi un’identità specifica rispetto ai pari o
rispetto a chi potrebbe essere più avanti, è una cosa che bisognerebbe immaginare e non dare per scontato che la posizione relativa di
un’impresa sia data per sempre. Altra cosa è immaginare l’interazione con alcune figure dentro alle imprese clienti. L’idea che le
imprese non sono un blocco unico è una cosa che spesso nelle analisi economiche viene messa da parte.
• Il significato che gli agenti attribuiscono a loro stessi costituisce la loro identità: quello che fanno (la loro funzione), come lo fanno, con
chi e per chi.

NB. Interpretazione del significato


In genere tale interpretazione non avviene ex ante: in particolare quando vi sono situazioni relativamente stabili, i pattern di interazioni
ricorrenti tra agenti sono sollecitati dalla mera familiarità con le situazioni in cui gli agenti si trovano. Iniziano concettualizzando uno spazio

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di interazione in cui c’è la possibilità di scambiare opinioni sulle modalità con cui erano state utilizzate quelle centraline. C’è un elemento
che differenzia l’interazione dalla relazione, ossia il fatto che si costituisca uno schema ricorrente di interazioni ed è attraverso questo schema
che cambia la possibilità di affermare un nuovo prodotto.
In tali situazioni il ruolo delle attribuzioni nel guidare l’azione degli agenti può rimanere nello sfondo e gli attori potrebbero anche non essere
mai consapevoli dell’interpretazione che hanno degli altri attori e artefatti.
L’orizzonte complesso implica l’emergere di novità che sono l’ovvio risultato di interazione tra elementi che prima non esistevano: “Se gli
agenti registrano queste novità, potrebbero avviare consciamente un processo di decisione in cui cercano un senso della situazione prima di
agire in essa” --> è come se la consapevolezza che dalle interazioni ripetute possano emerge degli elementi nuovi mette gli agenti in
condizione di attivare la loro capacità di riconoscere ciò che sta per emergere.
[A questo proposito vedi Lane et al. Choice and Action, 1996, per un approfondimento del processo cognitivo degli agenti]

NB. Relazioni causali tra attribuzioni e azione


Le relazioni causali tra attribuzioni e azione non vanno solo in una direzione.
Certamente i mutamenti negli attributi dipendono da particolari storie di azioni: come, ad esempio, nel caso dei TM che non avrebbero potuto
vedere un loro diverso ruolo nell’impresa se non avessero introdotto il PBX della Rolm.
Lane e Maxfield sottolineano il ruolo delle attribuzioni nel causare l’azione, piuttosto che l’inverso, perché credono che gli agenti possano
imparare a “controllare” il processo attraverso cui essi formano nuove attribuzioni, molto più efficacemente di quanto possano fare
“controllando” direttamente gli effetti dell’azione sulle attribuzioni o sui cambiamenti strutturali --> gli agenti possono imparare a controllare
questo processo definendo nuove attribuzioni, per esempio anche assegnando nuove identità.

Lezione 2: Come avvengono i cambiamenti nello spazio degli agenti e degli artefatti
Le relazioni generative sono il luogo dei mutamenti nelle attribuzioni
Né Rolm, né i TM da soli avrebbero potuto ottenere i risultati che invece scaturiscono dalla loro interazione.
Si tratta di interazioni:
• che comportano relazioni discorsive
• che richiedono tempo
• ma richiedono anche che gli attori non vedano le cose nello stesso modo: occorre che vi sia eterogeneità perché le interazioni siano
potenzialmente generative, ma anche che gli attori vogliano colmare la distanza (di conoscenze) che li separa: quella che Lane e
Maxfield chiamano directedness, orientamento.
In questo quadro l’impresa potrebbe non essere l’unità più appropriata per individuare delle relazioni generative: piuttosto singoli reparti, o
singoli individui possono essere le unità più adatte.
Lo abbiamo visto nel caso dei TM. La relazione di Rolm non è con l’impresa cliente, ma con i TM nell’impresa cliente.
NB: potrebbe anche accadere che diversi reparti nell’impresa abbiano relazioni in alcuni casi generative e in altri che ostacolano la
generatività [tipico contrasto tra il reparto vendite e quello di produzione, o il reparto sicurezza e il reparto legale di un’impresa
farmaceutica].

Lezione 3: come avvengono i cambiamenti nello spazio degli agenti e degli artefatti
Il cambiamento strutturale nello spazio degli agenti e degli artefatti procede attraverso una dinamica «boot-strap»: nuove relazioni generative
inducono mutamenti delle attribuzioni che a loro volta generano possibilità per nuove relazioni generative. Si tratta di meccanismi che in
maniera autonoma favoriscono i processi di innovazione. L’idea è che ci siano processi interni che generano un cambiamento. L’obiettivo è
il fatto che la relazione generativa produca continui cambiamenti di tipo generativo. Nel caso di Rolm loro non si sono basati sulla prima
funzionalità digitale che i TM hanno proposto di inserire, ma hanno alimentato una serie di cambiamenti che via via tenevano conto delle
proposte e applicazioni che si potevano fare nei vari contesti d’uso.
Si verificano «costruttive retroazioni positive»:
- nuove configurazioni dello spazio degli agenti e degli artefatti alimentano nuove configurazioni mediate dalla generazione di nuove
attribuzioni. Da un lato ci sono le configurazioni rispetto alle centraline digitali che a loro volta consentono nuove attribuzioni perché ci
sono relazioni che sono configurate in una maniera diversa.
- le relazioni generative tra agenti e artefatti danno origine a nuove relazioni tra artefatti (inclusi nuovi artefatti) che offrono nuove
opportunità per relazioni generative tra agenti.
L’intera storia della Rolm può essere letta in questo modo. Si tratta di una teoria dell’innovazione in condizione di incertezza che non deve
rispondere ad un contesto contingente, ma loro vogliono costruire una strategia in un mondo in cui i cambiamenti sono molto rapidi puntando
sulla valorizzazione delle relazioni generative alimentando una dinamica di cambiamenti che li accompagna nel tempo.

Queste costruttive retroazioni positive hanno una ovvia controparte cognitiva:


- con il cambiamento dello spazio degli agenti e degli artefatti, emergono nuovi agenti e artefatti e i vecchi mutano la loro funzionalità
- quindi le loro identità cambiano e le vecchie interpretazioni delle identità comportano una crescente tensione nelle relazioni con le
azioni osservabili, i fatti del mondo.

Agenti diversi rispondono in modo diverso:


Alcuni rispondono alla ambiguità [che risulta da questo processo di cambiamento] attraverso la generazione di nuove attribuzioni per dare un
senso alla novità che si ha di fronte e in questo modo aumenta l’eterogeneità nella sfera delle attribuzioni e questo aumenta ulteriormente la
possibilità che i partecipanti realizzino relazioni generative. Possiamo avere contesti in cui ci sia un aumento dell’eterogeneità e anche
contesti in cui nel corso delle relazioni ripetute l’eterogeneità diminuisce perché si iniziano a condividere stesse conoscenze e non si riescono
ad avere punti di vista diversi sulla stessa direzione di cambiamento. Ciò che è importante è che ci fosse eterogeneità ma che tutti andassero
nella stessa direzione, quello che viene chiamato cambiamenti nello spazio negli agenti e negli artefatti. L’obiettivo non è la centralina
telefonica che faccia le funzioni digitali a, b, c, etc. ma quello di cambiare la struttura del mercato e affermare lo sviluppo delle tecnologie
digitali. Andando nella stessa direzione ognuno interpreta il raggiungimento dell’obiettivo portando un proprio contributo, questa è

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l’eterogeneità. È un contributo fondamentale per far sì che il risultato possa essere superiore alla somma dei cambiamenti che ciascuno
individualmente avrebbe potuto portare.
NB: vi potrebbero anche essere feedback negativi, ma qui non vengono presi in esame. Feedback negativi dovuti alla diminuzione di
eterogeneità nel tempo che si verifica perché gli agenti finiscono per condividere le stesse conoscenze e non riescono più a guardare con
punti di vista diversi l’obiettivo finale su cui si è orientati. Andare nella stessa direzione con le stesse conoscenze vuol dire fare un piano
d’azione in cui ognuno esegue i compiti che gli sono stati assegnati ma non è quello il gioco che si sta delineando. Ma si sta delineando un
gioco in cui il cambiamento è verso una certa cosa. Quanti saranno i player nell’industria, che tipo di tecnologie digitali si utilizzeranno,
quali saranno gli agenti, che caratteristiche avranno, quali saranno le quantità e le caratteristiche degli artefatti non si sa in questo processo di
interazione. Quando loro arrivano a determinare i concreti risultati hanno ancora delle eterogeneità rilevanti perché vivono in mondi separati,
il mondo di chi produce la tecnologia e il mondo di chi la usa restano distinti.

Lezione 4: come avvengono i cambiamenti nello spazio degli agenti e degli artefatti
La “finestra di prevedibilità” per i mutamenti delle attribuzioni e per i cambiamenti strutturali che caratterizzano orizzonti di previsione
complessi sono molto brevi e virtualmente non esistono al di fuori delle particolari relazioni generative da cui emergono.
Nessuno può prevedere cosa può emergere dal tipo di dinamica costruttiva che è stata descritta. Prima che emerga una relazione generativa,
non vi è la possibilità di immaginare le nuove attribuzioni che essa creerà, né le nuove possibilità che quelle attribuzioni renderanno possibili
nelle relazioni tra agenti e artefatti.

Quindi: quando ci sono rapidi e continui cambiamenti strutturali il tasso di creazione di nuove relazioni generative è alto e la “finestra di
previsione” dei fenomeni cui esse danno origine deve essere molto breve.
NB. Spesso i mutamenti negli attributi hanno un carattere cumulativo.

Implicazioni
Queste quattro lezioni relative alla dinamica dei cambiamenti strutturali nello spazio degli agenti e degli artefatti hanno importanti
implicazioni per il significato di strategia con un orizzonte complesso.

Implicazione 1: Riconoscere i cambiamenti per quello che sono


Il primo requisito per una strategia di successo in situazioni in cui l’orizzonte delle previsioni sia complesso è riconoscere i cambiamenti per
quello che sono.
Se non si riconoscono i cambiamenti nella struttura dello spazio degli agenti e degli artefatti o se si interpretano quei cambiamenti con le
lenti delle vecchie attribuzioni, sicuramente ci sarà un fallimento.
[Nel caso dei PBX, le imprese che operavano in questo mercato non lo consideravano instabile e complesso. Rolm, invece, vedeva il mercato
dall’esterno e la percezione dell’instabilità di quel mercato fece loro intravedere le opportunità potenziali per il loro ingresso].

Implicazione 2: Riconoscere l’esistenza della presenza di instabilità strutturale non è sufficiente


Riconoscere l’esistenza della presenza di instabilità strutturale non è sufficiente: è anche necessario realizzare che a priori non è possibile
prevedere il sentiero complesso attraverso cui sembianze di stabilità possano essere alla fine ottenute.
Non è una buona strategia formulare un piano rigido che si basa solo su un particolare scenario relativo a come una situazione complessa si
svilupperà.
[Sebbene Rolm fece un piano relativo all’ingresso nel mercato dei PBX, per fortuna non si fermò a ciò che era
previsto dal piano, dando libero sfogo a tutte le opportunità che invece emersero]

Le successive due implicazioni riguardano il ruolo critico che le attribuzioni e le relazioni generative giocano nella dinamica di bootstrap di
rapidi cambiamenti strutturali [caratteristiche di orizzonti di previsione complessi]

Implicazione 3: Impegnarsi sulle attribuzioni


Gli agenti devono impegnarsi sulle attribuzioni relative a loro stessi, ad altri agenti artefatti attorno a cui è orientata la loro attività.
Devon sviluppare pratiche che scaccino la facile, ma potenzialmente molto costosa, tendenza a trattare le interpretazioni come fatti.

Implicazione 4: monitorare le loro relazioni


Gli agenti devono monitorare le loro relazioni per valutare la loro potenzialità generatrice, e devono destinare risorse per migliorare il
potenziale generativo delle loro relazioni chiave.
Alimentare relazioni generatrici è particolarmente importante quando l’orizzonte di previsione è complesso

Strategia e complessità
Strategia come controllo
Popolare il mondo
- A livello micro, popolare il mondo consiste nel ricostruire una lista di agenti e artefatti che è rilevante e attribuire un’identità a ciascuno
di essi.
- A livello macro, popolare il mondo significa descrivere la struttura dello spazio degli agenti e degli artefatti

Alimentare relazioni generative - Monitorare le relazioni generative potenziali


Alimentare relazioni generative
Come si fa a sapere:
- Quali relazioni hanno un potenziale generativo?
- Una volta che tali relazioni siano individuate, come alimentarle?

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Per valutare quali relazioni hanno un potenziale generativo, Lane e Maxfield individuano cinque precondizioni che costituiscono un
contributo di ricerca particolarmente utile
- Nell’analisi dei processi di innovazione e
- Per delineare interventi che alimentino relazioni generative e innovazioni

Alimentare relazioni generative – Convergenza di vedute


Convergenza di vedute (aligned directedness) à Coloro che partecipano alle relazioni devono orientare la loro
attività in una direzione comune nello spazio degli agenti e degli artefatti.
Cioè vi deve essere qualche artefatto o qualche agente che focalizza la loro attività.

Alimentare relazioni generative – Eterogeneità


Eterogeneità à Gli agenti devono essere diversi per le competenze, le attribuzioni o l’accesso a particolari agenti o artefatti (es. l’eterogeneità
interna a Rolm dal punto di vista delle competenze degli ingegneri e degli esperti del marketing). Combinando competenze diverse può
contribuire a generare nuove competenze che risiedono nella relazione stessa.

Alimentare relazioni generative – Reciprocità nelle vedute


Reciprocità nelle vedute (mutual directedness) à Gli agenti devono anche cercare di sviluppare un pattern ricorrente di interazioni da cui può
emergere una relazione. Devono essere in grado di capire cosa quelli con competenze diverse stanno dicendo, non sono competenze diverse
cha viaggiano in parallelo ma che producono una comprensione reciproca del perché con quelle altre competenze si può andare in quella
direzione.
La loro volontà di fare questo dipende dalle attribuzioni che ciascuno assegna all’identità dell’altro.
In questo contesto, la fiducia reciproca aiuta, ma non è una precondizione, anzi, essa può essere un risultato dell’interazione (gli agenti
realizzano che possono trarre beneficio dalla relazione che si sta generando).

Alimentare relazioni generative – Libertà di avere relazioni discorsive


Libertà di avere relazioni discorsive (permissions) à È necessario che coloro che partecipano alla relazione parlino tra loro anche al di fuori
degli schemi convenzionali, che prevedono in genere solo scambi di richieste, ordini e dichiarazioni. Questo tema del parlare al di fuori degli
schemi convenzionali è centrale nella libertà di espressione.
Questa condizione è favorita da una struttura organizzativa dell’impresa non di tipo gerarchico in cui non ci
devono essere preclusioni a quello che un agente può fare o dire.
Es. Se ai TM non avessero dato la possibilità di fare proposte, lo spazio di cambiamento sarebbe stato zero.
Contesti ostili alla libertà di espressione sono quei contesti in cui si affermano più difficilmente cambiamenti generati da relazioni generative.
Lamborghini, ad esempio, dà moltissimo spazio alla proposta da parte dei dipendenti.

Alimentare relazioni generative – opportunità di azioni comuni


Opportunità di azioni comuni. La discussione su problemi ed entità di interesse comune può risultare più incisiva se gli agenti hanno la
possibilità di interagire in azioni che li facciano lavorare insieme. Nuove entità o nuovi agenti possono emergere dalla relazione.
Non si può costruire una relazione generativa semplicemente in astratto elencando la convergenza di vedute, l’eterogeneità, permissions, etc
e poi nessuno lavora insieme, ma bisogna fare delle cose insieme. L’opportunità di azioni è la sfida che i responsabili del marketing di Rolm
si inventano. Si inventano delle convention per costruire il contesto dell’azione comune verso il miglioramento, ossia il luogo della
discussione in cui si ragiona insieme tra Rolm e i TM delle varie imprese.
Da queste opportunità d’azione possono emergere nuove entità e nuovi agenti.

Alimentare relazioni generative – monitoraggio continuo


Lane e Maxfield sottolineano come il monitoraggio di queste condizioni deve essere continuo, perché gli agenti devono essere in grado di
interpretare i mutamenti che sono proprio il risultato di quelle relazioni (devono quindi valutarne l’efficacia in termini di creazione di
mutamenti negli attributi di agenti e artefatti, nuove relazioni con altri agenti, azioni comuni per creare mutamenti nello spazio degli agenti e
degli artefatti).
Un tale monitoraggio offre spunti per individuare come alimentare le relazioni generative perché, non appena un agente scopre che nel tempo
si verificano cambiamenti nella sfera degli attributi (assegnati a sé e ad altri agenti e artefatti), esso cercherà anche di scoprire il luogo da cui
hanno origine questi mutamenti nelle varie relazioni in cui partecipa e potrà individuare anche il modo per alimentare quelle relazioni che a
loro volta potranno generare cambiamenti.

Alimentare la generatività delle relazioni


Occorre tempo per costruire e mantenere delle relazioni tra persone e tra le imprese.
- Trovare gli incentivi più adatti
- Sollecitare la reciprocità di vedute dei partecipanti (ad esempio: la costruzione di una rete informale per la “soluzione di problemi” può
contribuire a creare occasioni per far interagire persone con competenze diverse)
- Creare una nuova entità che diventa l’agente con cui si apre una relazione generativa (ad esempio: il gruppo di utilizzatori e l’idea di
avere libertà di azione nel caso di Rolm). L’idea è quella di offrire un contesto di relazione, offrire la possibilità di lavorare in un
contesto protetto. C’è un tema di azioni specifiche che possono essere messe in campi nel sostegno a contesti di interazione dove le
relazioni generative trasformano il cambiamento nello spazio degli agenti e degli artefatti in un continuo processo di innovazione.
- Per realizzare potenziali generativi, gli agenti che partecipano alla relazione devono avere libertà di azione (“right permissions”), il
tempo e lo spazio per avere relazioni verbali e la possibilità di lavorare insieme (perché questo faciliterà la loro comprensione delle
rispettive competenze e degli attribuiti che loro assegnano alle loro identità). Le possibilità che emergono dalla loro attività congiunta
saranno amplificate quando le loro relazioni si intrecciano con una rete di altre relazioni.
Alimentare la generatività delle relazioni significa lavorare con persone, su progetti ed eventi, così che queste
condizioni siano realizzate.

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Conclusioni: strategia in situazioni complesse
Quando l’orizzonte delle previsioni è complesso è essenziale l’interpretazione e la percezione del mondo in cui si opera e questo è un
processo continuo. Le pratiche di “popolare il mondo” e “alimentare relazioni generative” sono fondamentali.

Traccia della lezione


• Strategia e innovazione: Definizione di strategia con riferimento all'orizzonte di previsione (chiaro, complicato, complesso): in che
modo emergono cambiamenti?
• Strategie di un'impresa che operai in un orizzonte complesso: insieme di pratiche (cognitive e strutturali) che interpretano e costruiscono
le relazioni nel mondo in agisce l'impresa. Il caso dei PBX e Rolm: quali meccanismi stanno alla base dei cambiamenti prodotti da Rolm
entrando nel mercato dei pbx; che ruolo hanno attribuzioni e relazioni generative.
• Lezioni apprese dal caso Rolm: il cambiamento di attribuzione di identità nel caso degli agenti e di significato/funzionalità degli artefatti
è rilevante nei processi di innovazione; sono i cambiamenti di attribuzioni che favoriscono l’azione, e non viceversa; il mutamento di
attribuzioni influisce sulle relazioni generative; cambiamenti strutturali nello spazio degli agenti e degli artefatti hanno una dinamica
boot-strap (cambiamenti nelle relazioni generative inducono ulteriori mutamenti nelle attribuzioni e possono generare ulteriori relazioni
generative); in orizzonti di complessi, le finestre di prevedibilità su cui basare le strategie sono molto brevi e dipendono dalle particolari
relazioni generative attive.
• Implicazioni: riconoscere i cambiamenti per quello che sono; riconoscere l’esistenza di instabilità strutturali; riconoscere i fatti per
quello che sono e non trattare le interpretazioni come fatti; monitorare le relazioni generative.
• Strategie. In condizioni di incertezza dovuta ad un orizzonte di previsione complesso si possono mettere in atto due pratiche: popolare il
mondo (costruire una rappresentazione della struttura del mondo in cui gli agenti operano); alimentare le relazioni generative
(assicurarsi di trarre benefici dai processi di controllo distribuito).

Domande
 Che cosa è un orizzonte di previsione complesso?
 Quali sono i punti rilevanti del caso Rolm?
 Quali strategie di marketing furono adottate dalla Rolm per affermarsi nel settore dei PBX?
 Che cosa è per Lane e Maxfield lo spazio degli agenti e degli artefatti?
 Quali sono le condizioni perché le relazioni diventino generative di innovazioni?
 Quali sono le lezioni apprese dal caso di Rolm.
 In che senso il cambiamento di attribuzione di identità nel caso degli agenti e di significato/funzionalità degli artefatti è rilevante nei
processi di innovazione?
 Solo le attribuzioni che favoriscono l’azione, o viceversa?
 Che nesso c’è tra relazioni generative e mutamento di attribuzioni di identità nel caso degli agenti e di significato/funzionalità degli
artefatti?
 Che cosa è una dinamica boot-strap?
 Che cosa intendono Lane e Maxfield con l’espressione “popolare il mondo”, a livello micro e a livello macro?
 In che modo si può alimentare la generatività delle relazioni?
11/04
Art-er: politiche regionali di ricerca e innovazione: il caso dell’Emilia-Romagna

Arter = attractiveness research territory

Aster è un consorzio a cui partecipa la Regione Emilia-Romagna, con una quota di maggioranza relativa di circa un terzo delle quote, e tutte
le università che hanno sede in Emilia-Romagna. Oltre a queste, fanno parte della compagine sociale tutti gli enti di ricerca di carattere
nazionale che hanno sede in Emilia-Romagna (INFN, Enea, Cnr) e anche l'Unione Regionale delle Camere di commercio

Perché c’è bisogno di politiche di ricerca e innovazione? Per far sì che una pubblica amministrazione decida di spendere denaro pubblico per
sostenere processi di ricerca e innovazione.
Una politica di ricerca e innovazione nasce come componente delle politiche industriali, per promuovere la competitività delle imprese e
delle loro filiere, l’occupazione, la formazione delle risorse umane. Negli anni ’80 nella nostra regione si sviluppa una rete di centri e di
servizi finanziati dalla regione che hanno sede nei principali distretti industriali; aggregazione di imprese e di centri di ricerca per sostenere
l’innovazione nelle imprese e l’avanzamento tecnologico. Negli ultimi anni si è sempre più orientati allo sviluppo territoriale: attrattività,
infrastrutture, sviluppo locale.
L’ultima componente che si sta affermando è la crescente attenzione all’impatto sociale, ai bisogni delle persone e delle comunità. Non basta
fare ricerche e innovazione, ma bisogna capire che siamo di fronte a delle sfide (es. Agenda 2030). Si fa in modo che i processi del
trasferimento della conoscenza abbiano una ricaduta anche sulle sfide sociali che comporta sviluppi territoriali e quindi benessere e aumento
dell’occupazione.

Perché c’è bisogno di avere politiche regionali (o territoriali)? Perché si pensa che avvenga la creazione di un ambiente favorevole in cui
attori diversi e indipendenti sviluppano relazioni che massimizzano gli obiettivi di sviluppo tecnologico, competitività, impatto territoriale e
sociale, per sé e per il sistema. Cioè la creazione di un ecosistema regionale di ricerca e innovazione, ambiente in cui lo sviluppo di relazioni
positive è funzionale sia per il singolo che per il sistema.
Questo è l’obiettivo fondamentale della politica regionale. Ci riferiamo al caso Emilia-Romagna.

Le dimensioni dell’ecosistema in Emilia- Romagna:


- Geografica --> Dimensione regionale

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- Tipologia di attori --> Ricerca, imprese, formazione, intermediari, infrastrutture
- Settori industriali --> il nostro sistema regionale non ha una caratterizzazione settoriale, non si concentra solo su alcune aree di
specializzazione, ma si punta a tutto il sistema, quindi si tratta dell’intero sistema, con particolare attenzione alle principali filiere
regionali (meccanica, elettronica, edilizia, agrifood)
- Spontaneo vs organizzato --> il nostro è un sistema organizzato, con un coordinamento regionale e territoriale, attraverso reti
formalizzate e non. Ar-ter è uno dei protagonisti di questa organizzazione.
- Obiettivi e azioni --> molto ampie, coinvolgono ricerca collaborativa, valorizzazione risultati della ricerca, startup, competitività e
occupazione
Il nostro ecosistema si caratterizza per questi obiettivi molto ampi. Non si fa un solo tipo di attività

Un po’ di storia
• 1985 nasce Aster, Agenzia per lo Sviluppo Tecnologico dell’Emilia-Romagna (100% di proprietà della regione), parte del sistema
regionale di centri di servizio per le imprese
• 2001: riforma del titolo V della Costituzione: “Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a ricerca scientifica e tecnologica
e sostegno all’innovazione per i settori produttivi”.
• 2001: patto tra Regione ER, Università ed Enti Pubblici di Ricerca, Associazioni imprenditoriali, sistema camerale per la creazione di
un sistema regionale di ricerca e innovazione
• 2002: Legge regionale n.7/2002 “Promozione del sistema regionale delle attività di ricerca industriale, innovazione e trasferimento
tecnologico”
• 2002: ASTER “Scienza, Tecnologia, Impresa” diventa società consortile tra tutti i firmatari del patto, con maggioranza delle quote per
università/EPR. Questo elemento di governance è fondamentale perché diminuisce un po' la competizione e si riescono a massimizzare
gli effetti di molte politiche
• 2003: Adozione del Programma Regionale per la Ricerca Industriale, l’innovazione e il Trasferimento Tecnologico (PRRIITT).

Il punto di partenza della legge Regionale 7/2002


- Art. 6 – Sviluppo nel territorio regionale di una rete di Laboratori di ricerca e trasferimento tecnologico e Centri per l’innovazione”.
L’idea è quella di creare dei centri di competenza, di emanazione collegati con il sistema delle università organizzando laboratori che
dialogano con le imprese cercando di uscire dalla visione accademica.
- Art. 11 – ASTER diviene società consortile cui compete il coordinamento del sistema.
Prima del 2002 (legge regionale) le università non potevano mettersi in rete in maniera efficace e anche la loro azione nei confronti delle
imprese era limitata. Non c’era nessuna possibilità di vedere in maniera sinergica l’attività di interazione tra le imprese e il mondo della
ricerca accademica.

Gli attori dell’ecosistema regionale


Sono 6 università (simboli nella mappa), 160mila studenti, 400 corsi di
laurea, enti di ricerca nazionale e internazionale (Cineca, CNR dove ha
sede ARTER, etc.)
Sistema diffuso, qualificato nei vari ranchi.
Questo è il modello emiliano di policentrismo. C’è un modello di sviluppo
molto diffuso che sta anche nella logica del patto del 2001. È un fatto che
questo modello sia sviluppato su una logica di diffusione e di connessione
con i singoli territori. È un punto di forza, ma può avere aspetti critici. Gli
investimenti sono distribuiti; le politiche regionali sostengono gli attori
nella loro dimensione di diffusione territoriale senza grandi investimenti in
un unico posto.

Un ecosistema regionale basato su reti di collaborazione


La regione negli ultimi 20 anni ha fatto evolvere e finanziare delle reti formalizzate per
facilitare le relazioni tra i vari soggetti dell’ecosistema.
Queste sono le 3 reti principali che fanno parte di un sistema articolato

Che fine ha fatto ASTER


1° maggio 2019: ASTER S.cons. e r.l. e ERVET (100% Regione E-R) Spa si fondono in ART-ER --> società consortile dell’Emilia-
Romagna, nata per favorire la crescita sostenibile della regione attraverso lo sviluppo dell’innovazione e della conoscenza, l’attrattività e
l’internazionalizzazione del sistema territoriale.
Ricerca e innovazione e attrattività del territorio sono due componenti della stessa medaglia. Un’impresa inserita in un territorio attrattivo è
di per sé più competitiva.

Gli obiettivi:
 Guidare lo sviluppo dell’ecosistema regionale della ricerca e dell’innovazione e della conoscenza per posizionare l’Emilia-Romagna nel
contesto nazionale e internazionale come regione di eccellenza.
 Valorizzare il territorio e qualificare i sistemi produttivi e le città
 Sostenere soci e stakeholder nella programmazione e realizzazione di interventi strategici
 Promuovere l’internazionalizzazione e l’attrattività del territorio

La rete alta tecnologia dell’Emilia Romagna

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La rete alta tecnologia è lo strumento promosso dalla Regione ER per organizzare l’offerta di ricerca industriale regionale. Nasce nel 2009
con 36 laboratori. Oggi è costituita da 80 laboratori di ricerca industriale (di origine sia pubblica sia privata) e 14 centri per l’innovazione
La rete alta tecnologia serve sia per rispondere ad esigenze specifiche delle imprese ma anche per questioni di un livello più alto ovvero
visione e strategia, attraverso questi laboratori viene trasferita al sistema industriale ed economico.
• È composta da Laboratori di ricerca industriale e centri per l’innovazione (pubblici, privati, ppp)
• Fornisce competenze, tecnologie, soluzioni e strumentazioni per l’innovazione delle imprese
• Ambiti di specializzazione: Meccatronica, Materiali, Agroalimentare, Salute, Benessere, Edilizia, Costruzioni, Cultura, Digitale,
Energia, Sostenibilità. Sono settori caratterizzati da competenze di tipo tecnologico.
• Accreditamento annuale da parte della Regione ER per certificare la capacità di fornire servizi di ricerca industriale conto terzi e per
verificare una quota minima di attività (contratti/progetti).
I laboratori sono accreditati nel senso che la regione dice che se vuoi far parte della rete devi sottoporti ad un processo di accreditamento
(ti do dei soldi, quindi mi deve garantire certi standard, certi raggiungimenti di obiettivi) perché questa rete viene finanziata dalla
regione o direttamente attraverso bandi riservati ai lavoratori o indirettamente attraverso bandi per le imprese che ottengono
finanziamenti per accedere alle consulenze dei laboratori.

Tecnopoli
Insieme alla rete alta tecnologia nasce anche la rete dei tecnopoli, ossia una rete diffusa sul territorio di infrastrutture fisiche (muri) (es.
quello di Modena è al campus di ingegneria, è stato costruito un edificio dove ci sono dei laboratori). L'idea è di avere luoghi fisici in cui
collocare laboratori che siano punti di accesso per i territori, imprese e anche altri attori (persone, ricercatori, terzo settore, etc.).
I tecnopoli sono un’iniziativa della Regione Emilia-Romagna, in collaborazione con le Università, i Centri di Ricerca e gli Enti Locali dei
territori interessati.
Il tecnopolo è un edificio, ogni tecnopolo ha un suo soggetto gestore che fa parte della rete alta tecnologia ed essi hanno il ruolo di animatori
del tecnopolo (promozione della rete, matching: mettono in connessione un bisogno di una impresa o da una organizzazione con quello che
l’ecosistema può offrire, attività di facilitazione e accompagnamento su progetti di innovazione)
Il tecnopolo è in connessione con tutto il sistema e ha una funzione di coordinamento di tutti gli attori che sono coinvolti sul territorio nei
progetti di innovazione, in particolare con le amministrazioni locali.

I tecnopoli sono:
• Promotori del dialogo tra molteplici attori locali
• Abilitatori dell’ecosistema dell’innovazione regionale – tra centro e territori
• Pivot di tavoli di coordinamento territoriali in collaborazione con ART-ER
• Promotori di “patti per l’innovazione locale”
• Risultati: 6.122 attività, 1.355 imprese, 1.96 progetti, 925 eventi e 18.245 materiali.
Il problema dei tecnopoli è che tutte le attività sono attività per cui nessuno paga, non c’è un mercato. Le attività di animazione e
facilitazione difficilmente trovano entrate diverse da soggetto pubblico. La Regione li può finanziare solo al 50% e quindi si cerca di
compensare con entrate di altra natura.

CLUST-ER
La rete dei CLUST-ER si inserisce all’interno dell’ecosistema regionale dell’innovazione con l’obiettivo di integrare maggiormente il
contributo delle imprese regionali a quello del mondo della ricerca, insieme al sistema dell’Alta formazione. Le cluster organization sono
organizzazioni che su quella filiera e settore si occupano di promuovere la collaborazione tra i soggetti:
• Promuovere una visione strategica condivisa su ricerca e innovazione nelle filiere di riferimento
• Fornire alla regione indirizzi in materia di politiche su ricerca e innovazione
• Sviluppare progetti collaborativi e iniziative con impatto di filiera a livello regionale
• Sostenere la partecipazione di soggetti regionali ai programmi Europei di R&I e attivare collegamenti a livello internazionale. La cosa
che più affligge i policy maker è che ci sono risorse a cui potrebbero attingere i centri di ricerca, ma nessuno fa domanda. Questo
aspetto caratterizza i cluster rispetto ai tecnopoli che hanno una azione di promozione, ma loro rendono più operativa la partecipazione
dei soggetti ai bandi
• Favorire la formazione di alte competenze coerenti con le richieste delle imprese
I CLUST-ER non agiscono solo nell’interesse dei loro membri, ma dell’intero sistema regionale che rappresentano. Chi fa parte del cluster
promuove la filiera nel suo insieme, non promuove solo i soci. Tant’è che la regione attribuisce al cluster anche un ruolo importante nella
definizione delle politiche.
Dentro la rete alta tecnologia c’erano piattaforme tematiche (laboratori) che funzionavano poco ed erano molto autoreferenziali rispetto ai
ricercatori. L’idea è stata quella di creare delle comunità su queste tematiche che partendo dall’esperienza della rete riuscissero a coinvolgere
il sistema delle imprese e il sistema della formazione
professionale limitatamente agli enti che si occupano
della formazione terziaria.

La struttura dei Clust-ER: le Value Chain


I cluster sono 7 associazioni indipendenti, hanno un
loro consiglio direttivo, la regione li finanzia sia con
una parte fissa sia con una parte variabile in funzione
di progetti specifici e sono cresciuti parecchio. Nel
2017 i soci erano 200 ora siamo a 674 e partecipano
362 imprese a cui si aggiungono 102 altri soggetti,
quali enti di formazione, enti locali.
Sono organizzati in Value Chain, cioè ogni cluster ha
una organizzazione di lavoro rappresentativi delle

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value chain più rilevanti per l’economia regionale in termini di fatturato, occupati, posizionamento competitivo nel contesto internazionale. I
gruppi di lavoro sono: agroalimentare, edilizia e costruzioni, meccatronica e motoristica, industrie della salute e benessere, industrie culturali
e creative.
Essi sono attraversati da Energia e sviluppo sostenibile e dall’innovazione nei servizi.

Gli sviluppi più recenti: la nuova S3 2021-2021 e il PNRR


S3: Research and innovation smart specialization strategy
Dal 2014 la Commissione Europea dà soldi, risorse da spendere nelle politiche di ricerca e innovazione nei territori richiedenti, a patto che ci
sia una strategia, chiamata RIS3 (Research and Innovation Smart Specialisation Strategy).
Strategia --> insieme integrato di azioni e strumenti per la ricerca e l’innovazione, con obiettivi di impatto regionale a medio/lungo termine
Specializzazione --> Concentra le risorse sugli ambiti di specializzazione caratteristici di ogni territorio
Intelligente --> Definisce obiettivi e priorità in funzione delle specializzazioni, mette a sistema le diverse programmazioni regionali e attrae
risorse anche da programmi nazionali ed europei.

Obiettivi e specializzazioni regionali 2014-2020


Nel periodo 2014-2020 le priorità che ha individuato la regione erano: rafforzare la capacità innovativa dei sistemi produttivi consolidati e
rappresentativi dell’E-R (settore agroalimentare, edilizia e costruzioni, meccatronica e motoristica), rafforzare i sistemi industriali ad alto
potenziale di crescita e portatori di innovazione sociale (industrie della salute e benessere, industrie culturali e creative) e potenziare le filiere
industriali e di servizi trasversali come drivers per l’innovazione (Energia e sviluppo sostenibile e dall’innovazione nei servizi).

Il nuovo approccio della S3 2021-2027


Nel 2021-2021 c’è un cambiamento molto importante: mentre nella visione precedente le priorità erano declinate verticalmente, quindi si
diceva “le priorità per l’agroalimentare sono riduzione degli scarti, dell’uso dell’acqua, etc.), la nuova visione parte da un altro approccio
chiamato challenge based. Le sfide della politica di coesione UE 2021-2027 riguardano un’Europa più verde, intelligente, connessa, sociale e
vicina ai cittadini.
Social driven: innovazione e ricerca in risposta alle sfide sociali e non solo come fattore di competitività. Non solo tecnologia, ma anche
innovazione sociale, organizzativa, creativa
Cross settoriale: Tutto questo si può realizzare solo con un approccio multidisciplinare (cross settoriale). Non si può vedere la tecnologia solo
per un settore, ma ci sono delle trasversalità prioritarie.
Complessivamente, quindi, la S3 declina questi concetti da 27 orientamenti tematici della vecchia S3 fino ai 15 ambiti tematici della nuova
S3 (transazione sostenibile; trasformazione digitale; salute, benessere e nutrizione, territori; città e comunità).

I fattori abilitanti
Sono stati introdotti dei fattori abilitanti nella strategia come l’open innovation, public engagement, innovazione responsabile, ricerca,
creatività, etc. Sono tutti concetti che portano ad un'idea di ricerca e innovazione che non siano un solo affare riservato tra ricercatore e
impresa ma come una strategia che coinvolge tutti gli attori della società, come cittadini, scuole, terzo settore, etc.

Il bando PNRR
Creazione e rafforzamento di ecosistemi dell’innovazione e costruzione di leader territoriali di R&S
Negli ultimi mesi le università italiane sono state mobilitate a rispondere a bandi del ministero dell’università della ricerca che ha messo a
bando 5-6 miliardi di euro.

Progetto: Ecosystem for sustainable transition in Emilia-Romagna


Al fine di mantenere un ruolo di leadership nel contesto internazionale e rimanere ancorati alle vocazioni che caratterizzano il territorio
emiliano-romagnolo, il progetto intende supportare la transizione ecologica del sistema economico e sociale regionale attraverso un processo
che coinvolga trasversalmente tutti i settori, le tecnologie e le competenze.
E’ un modello hub and spoke che mette a sistema le competenze delle rete alta tecnologia, i servizi della rete degli incubatori, le relazioni con
i territori della rete dei Tecnopoli. Imprese ed altri attori dell'ecosistema regionale saranno coinvolti attraverso "bandi a cascata" per un
valore previsto di 28.4 mln di euro. L'Emilia Romagna fa un grande sforzo di lettura sistema sulle azioni di ricerca e innovazione, le quali
hanno a loro volta una loro natura sistemica che va governata da qualche altra parte.

Alcuni risultati
• Per un numero crescente di imprese la collaborazione con il mondo della ricerca è diventata strutturale e viceversa
• Circa 4000 ricercatori hanno lavorato dentro le università su progetti di ricerca collaborativa con imprese
• Senso di appartenenza ad una comunità regionale della ricerca ed innovazioni, sia da parte dei laboratori che delle imprese
• Consapevolezza che la competitività della propria impresa dipende anche dalla competitività del proprio territorio
• Consapevolezza che l’innovazione non si fa da soli. Le relazioni sono importanti.
13/04
Capitolo 9: The atlas of economic complexity

Outline
• Issues: competences and development
• Theory of Economic Complexity to analyze the product space
• Tools & data (Classifications, etc.)
• Browsing the Atlas on the web: search for countries and products

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Issues on countries’ development
A livello nazionale, possiamo prevedere:
• qual è il suo potenziale di crescita futura?
• quali prodotti produrrà?
• cosa possiamo imparare su queste domande dai dati di tutti i paesi e nel tempo?
• Quale teoria supporta queste previsioni?
Atlas of Economic Complexity riassume, dentro questo progetto di ricerca, una teoria dello sviluppo, i dati da usare nell’analisi e i risultati
per interpretare i problemi basati sul potenziale di crescita e orientati verso la specificazione di quali sono i prodotti che un paese potrebbe
produrre per raggiungere obiettivi di sviluppo

Your textbook
Hausmann R., Hidalgo C.A. et al. (2013), The Atlas of Economic Complexity.
Il punto centrale del Progetto è: Mapping paths to prosperity. L’idea è che il loro obiettivo non è una analisi del commercio internazionale,
ma un obiettivo di indicazioni che possono diventare operative per i governi nelle loro politiche di sviluppo

Mapping paths to prosperity


Una mappa non dice alle persone dove andare, ma le aiuta a determinare la loro destinazione rispetto alla loro posizione attuale e a tracciare
il loro viaggio verso di essa.
Una mappa potenzia descrivendo opportunità che non sarebbero ovvie in assenza di essa.» [p. 67]
Il termine mappa è l’indicazione di un possibile percorso verso la prosperità

Economic world: a description_knowledge


Loro ci dicono che le cose che noi facciamo richiedono macchinari, materie prime e lavoro
Le cose che realizziamo richiedono macchine, materie prime e manodopera Vs I prodotti sono fatti con conoscenza.
Esempio: Considera il dentifricio.
È solo una pasta in un tubo o la pasta e il tubo ci permettono di accedere alle conoscenze sulle proprietà del fluoruro di sodio sui denti e su
come ottenere la sua sintesi?
Il punto di vista espresso dall'Atlas: Il vero valore di un tubo di dentifricio è che manifesta la conoscenza delle sostanze chimiche che
uccidono i germi che causano alito cattivo, carie e malattie gengivali.
Il punto di vista dell’Atlas è che attraverso le caratteristiche del prodotto si risale alle conoscenze incorporate in quel prodotto
--> I prodotti sono fatti con conoscenza
I mercati ci permettono di accedere alle grandi quantità di conoscenza che sono sparse (distribuite) tra i popoli del mondo
Esempi: dentifrici, le auto incarnano la nostra conoscenza dell'ingegneria meccanica, della metallurgia, dell'elettronica e del design. Le mele
sulle nostre tavole incarnano migliaia di anni di addomesticamento delle piante, combinate con la conoscenza della logistica, della
refrigerazione, del controllo dei parassiti, della sicurezza alimentare e della conservazione del fresco

Economic world: products are vehicles for knowledge


Il processo di incorporazione della conoscenza nei prodotti richiede persone che possiedono una comprensione operativa di tale conoscenza.
La maggior parte di noi non ha idea di quei pezzi di conoscenza!
Uno dei principi che ci aiuta a capire di cosa parliamo è il principio della divisione del lavoro: Adam Smith's idea of division of labour and
the effects on labour productivity. Dentro il ragionamento di Adam Smith c’è un principio che informa sul perché la divisione del lavoro
diventa rilevante rispetto a quante conoscenze sono incorporate all’interno dei prodotti (the secret of the wealth of nations, Book I, ch. 1
(1776), the pin-maker, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations)

Economic world: why does the division of labour matter?


Adam Smith’s idea of division of labour and the effects on labour productivity
Why does labour productivity increase?
• first: increase of dexterity (destrezza) in every particular workman;
• secondly: saving of the time which is commonly lost in passing from one species of work to another;
• lastly: invention of a great number of machines which facilitate and abridge labour, and enable one man to do the work of many.
Applicandosi a una specifica mansione questo faciliterà la conoscenza di specifiche mansioni

Economic world: why does the division of labour matter?


Hausman et al. (2011): la divisione del lavoro ci permette di accedere a una quantità di conoscenza che nessuno di noi sarebbe in grado di
tenere individualmente.
«Ci affidiamo a dentisti, idraulici, avvocati, meteorologi e meccanici per sostenere il nostro tenore di vita, perché pochi di noi sanno come
riempire cavità, riparare perdite, scrivere contratti, prevedere il tempo o riparare le nostre auto. I mercati e le organizzazioni consentono alla
conoscenza detenuta da pochi di raggiungere molti.
In altre parole, ci rendono collettivamente più saggi. »
Ognuno di noi vive immerso in un contesto di conoscenze di altre persone. Tutto questo è possibile perché ci sono sia i mercati che le
organizzazioni che consentono alla conoscenza contenuta in maniera specifica in ciascun individuo di raggiungere molti individui nella
popolazione. In altro modo, loro esprimono questo concetto dicendo che la divisione del lavoro ci rende collettivamente più saggi, esperti e
ricchi di conoscenze

Economic world: does the amount ok knowledge matter?


La quantità di conoscenza incorporata in una società non dipende principalmente da quanta conoscenza ogni individuo possiede. Dipende:
• dalla diversità delle conoscenze tra gli individui

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• dalle loro capacità di combinare queste conoscenze, e di farne uso, attraverso complesse reti di interazione (reti complesse di
interazioni)

Economic world: the secret of modern societies


Non è che ogni persona abbia conoscenze molto più produttive di quelle di una società più tradizionale.
È che usiamo collettivamente grandi volumi di conoscenza, mentre ognuno di noi ne detiene solo pochi pezzi.
La riflessione è questa menzione di divisione del lavoro e di integrazione collettiva attraverso le singole organizzazioni e l'insieme dei
mercati
La società funziona perché i suoi membri formano reti che consentono loro di specializzarsi e condividere le loro conoscenze con gli altri. Le
società funzionano perché sono in grado di intrecciare e condividere le conoscenze tra i membri che fanno parte di reti di relazioni. Non è
soltanto la specifica conoscenza, ma la capacità di mobilitare questa conoscenza attraverso la condivisione

Knowledge: explicit vs tacit


La conoscenza esplicita (codificata) può essere trasferita facilmente leggendo un testo o ascoltando una conversazione. Si tratta di
conoscenze che chiunque potrebbe acquisire
Se tutta la conoscenza avesse questa caratteristica, il mondo sarebbe molto diverso:
• i paesi raggiungerebbero molto rapidamente le tecnologie di frontiera
• le differenze di reddito in tutto il mondo sarebbero molto più piccole di quelle che vediamo oggi.

La conoscenza tacita è una parte cruciale della conoscenza ed è difficile da trasferire. È ciò che limita il processo di crescita e sviluppo.
Le differenze nella prosperità sono correlate:
• alla quantità di conoscenza tacita che le società detengono
• alla loro capacità di combinare e condividere queste conoscenze
Due tipi di conoscenze:
 Esplicite: conoscenze codificate
 Tacite: realizzate attraverso processi di specializzazione che possono richiedere molto tempo
È un processo lungo e costoso -- > siamo specializzati
o le persone sono formate per occupazioni specifiche
o le organizzazioni diventano brave in funzioni specifiche.
o nell'assegnare conoscenze produttive agli individui, è importante che i pezzi che ogni persona ottiene siano internamente
coerenti in modo che lui o lei possa svolgere una certa funzione.
Hausman et al. si riferiscono a questi pezzi modularizzati di conoscenza incorporata come capacità. L'insieme di competenze che ciascuna
persona è in grado di tenere insieme in maniera coerente per fare certe funzioni sono quelle che loro chiamano: capabilities
Capabilities: individuals, organizations, networks
Alcune di queste funzionalità sono state modularizzate:
• a livello individuale
• altri sono stati raggruppati in organizzazioni
• e anche in reti di organizzazioni.

Increasing knowledge and specialization


Nel corso dei decenni abbiamo assistito a una crescita della specializzazione delle conoscenze
Esempio: nel secolo scorso il sistema universitario non ha risposto all'aumento della conoscenza allungando il
tempo necessario per ottenere una laurea. Invece, ha aumentato la diversità dei gradi.
Ad esempio, la laurea in filosofia è stata divisa in filosofia naturale e morale, la prima in seguito si è divisa in fisica, chimica e biologia e la
seconda in altre discipline come l'ecologia, le scienze della terra e la genetica.

Increasing knowledge and specialization


La classificazione standard delle occupazioni del Bureau of Labor Statistics per il 2010 elenca 840 diverse occupazioni, tra cui:
- 78 nel settore sanitario,
- 16 in ingegneria,
- 35 tipi di scienziati - in categorie grossolane come economisti, fisici e chimici, cinque tipi di artisti e otto tipi di designer
Se continuiamo con un'ulteriore disaggregazione per tutte le occupazioni, andremmo facilmente a decine di migliaia.

Increasing knowledge and specialization


Le società moderne detengono tutta la conoscenza che abbiamo distribuendo pezzi coerenti di essa tra gli individui. Ecco come il mondo si
adatta all'espansione della conoscenza
Come utilizzare i diversi pezzi di conoscenza specializzata?
Esempio: come viene realizzata e venduta una camicia
• Deve prima essere progettata
• quindi il tessuto deve essere procurato, tagliato e cucito.
• Deve essere imballata, marchiata, commercializzata e distribuita.
In un'azienda che produce camicie: persone diverse deterranno esperienza in ciascuno di questi pezzi di conoscenza. Il business delle camicie
li richiede tutti.
Inoltre, ha bisogno di:
• finanziare l'operazione,
• assumere le persone interessate,
• coordinare tutte le attività e negoziare il buy-in di tutti, che di per sé richiede diversi tipi di know-how.

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Per realizzare camicie è possibile importare il tessuto -- > accedere alla conoscenza dei telai e della filettatura che è incorporata in un pezzo
di stoffa.
Tuttavia, alcune delle conoscenze richieste non sono accessibili tramite input spediti - > le persone con le conoscenze pertinenti devono
essere vicine al luogo in cui vengono realizzate le camicie

Efficiency of firms: what is needed


Come fa una impresa a mettere insieme in maniera efficiente tutte le conoscenze di cui ha bisogno?
In generale, per operare in modo efficiente, le imprese si affidano a un ampio insieme di sistemi, reti e mercati complementari
 Le materie prime devono essere spedite e il prodotto finale spedito utilizzando società di trasporto, porti, strade, aerei o aeroporti.
Complementary systems ha a che fare con elementi che non riguardano l'impresa, ma opera in maniera efficiente grazie al fatto che c'è
un sistema efficiente di trasporti
 I lavoratori devono andare al lavoro e tornare a casa utilizzando una sorta di sistema di trasporto urbano.
 Le macchine devono essere alimentate dall'elettricità e i processi devono avere accesso agli impianti di trattamento dell'acqua e
dell'acqua.

Di cosa ha bisogno un direttore di stabilimento?


Per poter operare, tutti questi servizi:
• devono essere disponibile localmente
• ma il manager non ha bisogno di organizzarli
Altre organizzazioni sono responsabili dell'organizzazione e dell'aggregazione (per generare energia, fornire acqua pulita e gestire un sistema
di trasporto). Le funzionalità rilevanti per eseguire tutte queste funzioni risiedono nelle organizzazioni. Le imprese hanno delle capacità che
consentono loro di organizzare insieme di competenze in maniera più efficace se vengono separate

Utilizzare la diversità delle conoscenze in una società complessa


Molte persone devono riunirsi in molti modi.
Formano team - aziende e organizzazioni - collegati attraverso mercati e altre forme di interazione.
I mercati sono una parte delle forme di interazione. Per utilizzare la diversità di conoscenze in una società bisogna fare ricorso ai mercati e ad
altre forme di interazione

The amount of productive knowledge that a society uses is reflected:


La quantità di conoscenza produttiva che una società utilizza si riflette:
• nella varietà di imprese che incorporano sistemi di conoscenze diversi
• nella varietà di professioni che queste imprese richiedono (varietà di professionalità necessarie)
• nella portata delle interazioni tra imprese.

Complessità economica:
• è una misura
o di quanto sia intricata questa rete di interazioni
o di quanta conoscenza produttiva una società mobilita.
• è espresso nella composizione della produzione produttiva di un paese.
• riflette le strutture che emergono per contenere e combinare la conoscenza.

Knowledge: can be accumulated, transferred and preserved?


Come si fa ad accumulare, trasferire e preservare queste conoscenze? O queste conoscenze vengono usate o si perdono
Se è incorporato in reti di individui e organizzazioni che mettono questa conoscenza in un uso produttivo.
La conoscenza che non viene utilizzata non viene trasferita, scomparirà una volta che gli individui e l'organizzazione che l'hanno andranno in
pensione o moriranno.
Le conoscenze che non sono usate non vengono trasferite e quindi scompaiono una volta che gli individui muoiono o quando le
organizzazioni smettono di funzionare. Bisogna stare attenti al patrimonio di conoscenze incorporate negli individui e nelle organizzazioni.

Knowledge: what about countries?


I paesi non producono tutti i prodotti e i servizi che usano e di cui hanno bisogno.
Fanno quelli che possono, usando la conoscenza incorporata nelle loro persone e organizzazioni.

Knowledge & products


Alcuni beni, come dispositivi di imaging medico o motori a reazione:
• richiedono grandi quantità di conoscenze (vanno dalla medicina all'ingegneria)
• sono il risultato di reti molto ampie di persone e organizzazioni
Altri prodotti, come tronchi di legno o chicchi di caffè:
• richiedono molte meno conoscenze
• le reti necessarie per supportare queste operazioni non devono necessariamente essere così grandi
Abbiamo un contesto che riusciamo a giudicare rispetto ai prodotti che fa
Un paese che riesce a produrre prodotti che richiedono un grande ammontare di conoscenze sono paesi che hanno elementi di differenza
sostanziali rispetto a paesi che producono prodotti caratterizzati da reti di relazioni molto piccole e livelli di specializzazione e conoscenze
molto limitati

Complex economies vs. simpler economies


Economie complesse:

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• Intrecciano grandi quantità di conoscenze rilevanti insieme, attraverso grandi reti di persone - > per generare un mix diversificato di
prodotti ad alta intensità di conoscenza.
Economie più semplici:
• hanno una base più ristretta di conoscenze produttive, di conseguenza produrranno meno prodotti e più semplici, richiedendo reti di
interazione più piccole.

Increased economic complexity


È necessario che una società sia in grado di detenere e utilizzare una maggiore quantità di conoscenza produttiva.
Per questo motivo, possiamo misurare la complessità osservando il mix di prodotti che i paesi sono in grado di realizzare
Sono i prodotti che incorporano queste conoscenze e le reti di relazioni che sono attivate per realizzare queste conoscenze. L’obiettivo è
trovare il modo di guardare i prodotti che un paese produce

How do we measure Economic Complexity?: Diversity vs Ubiquity


Diversity: è correlato al numero di prodotti che un paese esporta. Noi abbiamo detto che le conoscenze sono importanti per capire dove gioca
la divisione del lavoro nell’incrementare il potenziale di crescita di un paese, però non possiamo direttamente misurare tali conoscenze.
Quindi puntiamo su ciò che un paese produce, però noi non sappiamo cosa un paese produce.
Però abbiamo dati molto dettagliati sui singoli prodotti per quanto riguarda il commercio internazionale. La documentazione di tutto ciò che
attraversa le frontiere è un elemento centrale della documentazione analitica che le statistiche forniscono a livello aggregato di ogni singolo
paese. Quindi possiamo riconoscere che se un paese Esporta un certo prodotto avrà un vantaggio relativo nell’esportare quel prodotto, avrà
una competenza che caratterizza quel paese in maniera significativa rispetto ad altri. La scelta di esportare e quanto esportare dipende anche
dalle esigenze interne di un paese. Quindi i prodotti che un paese esporta costituiscono un surplus dei consumi interni
La diversità è uguale al numero di collegamenti che questo paese ha nella rete che mette in
relazione i paesi con i prodotti che esportano.
In questo esempio, la diversità dei Paesi Bassi è 5 (capaci di esportare 5 prodotti diversi), quella
dell'Argentina è 3, quella del Ghana è 1.La diversità quindi ha a che fare con il numero di
prodotti diversi che un paese è in grado di esportare; in quanto immaginiamo che un paese
esporti un prodotto che caratterizza una sua capacità di produzione eccedente rispetto all’uso
che internamente si fa di quel prodotto in quel paese
Ubiquità: è correlata al numero di paesi che esportano un prodotto. Quanto è diffusa la
produzione dei prodotti?
Questo è uguale al numero di collegamenti che questo prodotto ha in questa rete.
In questo esempio, l'ubiquità del formaggio è 2, quella del pesce è 3 e quella dei medicamenti è
1
15/04
«Product space»: an analogy from game of Scrabble
Per fare riferimento allo spazio dei prodotti si può considerare il gioco dello scarabeo dove
abbiamo una serie di lettere e bisogna fare delle parole. I giocatori usano tessere contenenti
singole lettere per creare parole.
For instance, a player can use the tiles A, C and R to construct the words CAR or ARC.
In questa analogia, i giocatori sono paesi, le parole sono come prodotti e le lettere sono come
capacità o moduli di conoscenza incorporata.
Supponiamo che ogni giocatore abbia molte copie delle lettere che ha.
Se un paese ha un certo modulo di conoscenza, può utilizzare tale conoscenza in molti contesti diversi (comporre parole diverse (prodotti).
Come misuriamo il numero di diverse "lettere" (capacità/moduli di conoscenza incorporata) che i giocatori
(paesi) hanno?
Osservando due cose:
• il numero di prodotti che ogni paese può produrre;
• il numero di giocatori che possono scrivere una determinata parola.

Più lettere --> più parole (prodotti)


La diversità è una prima misura di quanta conoscenza ha un paese
Si noti che le parole lunghe richiedono molte lettere --> tendono ad essere meno onnipresenti (meno presenti in tutti i paesi)
Parole più brevi -- > tendono ad essere più onnipresenti
Diversità e ubiquità si avvicinano alla varietà di capacità richieste da un prodotto

E le lettere rare?
«Spazio prodotto»
Lettere rare (Q, X)
Risorse naturali rare (uranio, diamanti) a bassa ubiquità
E la complessità? Guardate la diversità!
Correggiamo le informazioni sulla complessità con una procedura iterativa controllando l'ubiquità e la diversità relative
Le informazioni su quante capacità ha il paese sono contenute non solo nel numero di prodotti che produce, ma anche nell'ubiquità di quei
prodotti e nella diversità degli altri paesi che li producono.
for countries --> Economic Complexity Index (ECI)
for products --> Product Complexity Index

Data: international trade data advantages & limitations

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I dati dettagliati sulla produzione non sono un oggetto di analisi dal punto di vista delle politiche economiche dei paesi, mentre invece
abbiamo dati molto dettagliati sulle esportazioni
L'unico set di dati che ha informazioni cross-country ricche e dettagliate che collegano i paesi ai prodotti che
produrre utilizzando una classificazione standardizzata.
Questi dati offrono grandi vantaggi, ma hanno dei limiti.
1. include i dati sulle esportazioni, non sulla produzione.
I paesi possono essere in grado di fare cose che non esportano, anche se il fatto che non siano in grado di vendere quei prodotti all'estero
può essere indicativo di bassa produttività o qualità, e quindi carenze di conoscenza.
I paesi possono anche esportare cose che non producono, ma solo riesportare. Per aggirare questo problema: soglia di esportazione una
«equa quota» dei prodotti
2. Il set di dati comprende solo i beni e non i servizi perché questi ultimi non passano per gli uffici doganali, che sono la fonte dei dati
statistici. Questo è un importante inconveniente, dato che i servizi rappresentano una quota crescente degli scambi internazionali.
3. Nessuna informazione sulle attività non negoziabili come l’edilizia, la distribuzione di energia elettrica e la ristorazione. Queste attività
non vengono esportate perché produttori e consumatori devono incontrarsi nello stesso luogo.
Si tratta di una parte importante dell’ecosistema economico, ma attualmente non esistono insiemi di dati globali che permettano di
catturare queste informazioni.

Other activities? Sharing economy


The world’ most and least complex products
[box 2.1]
L’Atlas permette di identificare per ciascun
prodotto un indice di complessità nel
commercio internazionale
Questa tabella mostra una classificazione dei
prodotti che ci dice che uno dei prodotti più
complessi sono i macchinari per la
lavorazione dei prodotti, uno dei prodotti
meno complessi sono i chicchi di cocco
anche arrostiti
Abbiamo quindi una gerarchia di prodotti che
vanno dai prodotti più complessi ai prodotti
meno complessi (numero negativo)
La complessità ci dice quanto sono presenti
nei vari paesi rispetto all’importanza relativa
che i prodotti hanno nel commercio
internazionale

Sources:
The Atlas online fornisce l'accesso ai dati
commerciali bilaterali per circa 200 paesi che coprono 50 anni e attraverso 1000 prodotti diversi, utilizzando
• la classificazione SITC4 (Standardized International Trade Code at the Four Digit Level) revisione 2.
• la classificazione del sistema armonizzato (HS4) gestita dal Centre d'Etudes Prospectives et d'Informations Internationales (CEPII)
risalente al 1995 (usata dale dogane)

The sources of the data used are:


1962 – 2000: The Center for International Data from Robert Feenstra (economista internazionale). Lui ricostruì la serie storica dei dati nel
commercio internazionale dal ’62 al 2000
2001 – 2012: United Nations (UN) COMTRADE

Data classification: (SITC4) revision 2


Standard International Trade Classification (SITC):
- è una classificazione delle merci utilizzata per classificare le esportazioni e le importazioni di un paese, al fine di consentire il raffronto
di diversi tipi di merci.
- paesi e anni.
- è gestito dalle Nazioni Unite.
- è attualmente alla quarta revisione, promulgata nel 2006.
- è raccomandata solo a fini analitici; si raccomanda invece di raccogliere e compilare le statistiche commerciali nel sistema armonizzato.
È un sistema molto dettagliato perché le dogane hanno bisogno di una identificazione puntuale dei prodotti, non aggregata in quanto le tariffe
e i dazi si applicano a certe specifiche categorie di prodotti dentro la voce principale. Quindi questa disaggregazione è preferibile

World Customs Organization (WCO): http://www.wcoomd.org/en/about-us/what-is-the-wco.aspx


The World Customs Organization (WCO)
• istituito nel 1952 come Consiglio di cooperazione doganale (CCC)
• è un organo intergovernativo indipendente
• rappresenta 180 amministrazioni doganali in tutto il mondo --> circa il 98% del commercio mondiale
• è l’unica organizzazione internazionale con competenza in materia doganale
Missione: migliorare l’efficacia e l’efficienza delle amministrazioni doganali

72
WCO 180 Members 180 Customs
Administrations members of The World Customs Organization

WCO Nomenclature and Classification of Goods: http://www.wcoomd.org/en/topics/nomenclature/instrument-and-tools/


hs_recommendations.aspx
L’Organizzazione mondiale delle dogane persegue l’applicazione corretta e uniforme della convenzione sul sistema armonizzato (Sistema
armonizzato o SA), dalla sua introduzione il 1° gennaio 1988.
Applicazione corretta e uniforme dell’SA in modo efficace
• facilita gli scambi e gli investimenti internazionali
• promuove il rispetto delle norme o delle leggi fiscali e commerciali.
Raccomandazioni dell’OMD relative alla convenzione sul sistema armonizzato

From NACE to SITC & HS


Possiamo vedere com’è concettualizzato il passaggio dai codici delle
attività economiche, ai codici dei prodotti e ai codici relativi ai beni che
sono esportati.
A livello mondiale, europeo e nazionale abbiamo diverse
classificazioni. Il codice quindi potrebbe avere un risultato diverso
all’interno delle classificazioni
La cosa interessante è che la CPA è stata costruita mettendo un
raccordo tra i prodotti e le attività. Attraverso questo passaggio c’è un
collegamento con le statistiche del commercio internazionale perché i
prodotti nella categorizzazione del commercio internazionale hanno dei
loro codici che vengono raccordati con i codici HS e i codici ISIC.
List of abbreviations

Why Is Economic Complexity


Important?
Gli autori dell’Atlas osservano che c’è una relazione tra
la crescita annualizzata del PIL pro capite (2000-2010) e
l'indice di complessità economica per il 2000, tenendo
conto del livello iniziale di reddito e dell'aumento della
esportazioni di risorse naturali durante quel periodo (in
dollari costanti in percentuale del PIL iniziale)

Complexity Outlook Index (COI)


Questa variabile è basata sulla distanza tra i prodotti che
un paese produce e quelli che non produce, ponderata in
base alla complessità dei prodotti che non produce.

Why Is Economic Complexity Important?


- perché contribuisce a spiegare le differenze nel
livello di reddito dei paesi e, cosa più importante,
- perché predice la futura crescita economica.
La Complessità Economica potrebbe non essere facile da raggiungere, ma i paesi che la raggiungono tendono a raccogliere importanti
ricompense.

Complessità economica rispetto ad altri indici


La complessità economica è diversa da:
- dimensione del paese
- openness (grado di apertura del suo commercio internazionale)
- successo di esportazione
- concentrazione del prodotto

How Is Complexity Different from Other Approaches?

73
Contributo alla varianza della crescita economica dalle variabili di complessità (ECI e COI) e dalle misure di governance e qualità
istituzionale.

How Does Economic Complexity Evolve?


I paesi hanno maggiori probabilità di passare a prodotti che possono sfruttare le capacità di cui già dispongono.
Queste capacità sono disponibili, tuttavia, perché vengono utilizzate da qualche altra industria (attirando imprese o persone che si insediano
nel territorio).
Ciò significa che un paese diversificherà passando dalle industrie già esistenti ad altre che richiedono capacità analoghe.

How to measure similarity? A simple trick


L’Atlas identifica la similarità di competenze attraverso una nozione di prossimità tra coppie di prodotti in un dataset --> “Proximity”
between all pairs of products in the dataset.
La raccolta di tutte le prossimità è una rete che collega coppie di prodotti che hanno una probabilità significativa di essere co-esportati da
molti paesi. Questo viene fatto a livello mondiale
Questa rete è quello che Hausman et al. chiamano the product space --> raccolta di tutte le prossimità che riguardano le coppie di prodotti
che sono significativamente co-esportati da molti paesi
Lo spazio prodotto viene utilizzato per studiare la struttura produttiva dei paesi.

Lo spazio dei prodotti appare come nella foto. Ogni pallino è


un prodotto, ogni colore è associato ai simboli che vanno
dagli eletronics ai minings
Possiamo vedere che sono abbastanza raggruppati: tanto più
sono disegnati uno vicino all’altro, tanto più sono grovigli di
coppie di prodotti. Tutti i verdi sono prodotti che nel
commercio internazionale i paesi esportano insieme,
congiuntamente
Ci dice che non ci interessa il caso del singolo paese che
esporta solo un prodotto del tessile, del macchinario o del
chimico; ma ci interessa esaminare le regolarità che si
osservano a livello internazionale.
In questo schema possiamo vedere dentro la struttura del
commercio internazionale delle complementarità di
conoscenze che sono molto più affini nel blocco dei prodotti
del tessile di quanto non lo sono nel blocco dell’aereospazio.

Finding paths to prosperity


The Atlas ha lo scopo di aiutare i paesi a trovare percorsi di
prosperità:
• sviluppando un quadro che chiarisca ciò che lo sviluppo
economico richiede, vale a dire l’accumulo di
le conoscenze produttive e la loro utilizzazione in
settori sempre più complessi.
• individuare percorsi di sviluppo che facilitino il coordinamento dell’accumulazione di nuove capacità produttive con lo sviluppo delle
nuove industrie che ne hanno bisogno;

Measuring several elements of the development puzzle


Economic Complexity Index
• valuta lo stato attuale delle conoscenze produttive in ogni paese;
• misura quanto sia ripida la strada da percorrere
Complexity Outlook Index
• descrive dove si trova il paese nello spazio prodotto
• chiarire le opzioni di diversificazione che un paese deve affrontare
Neighborhood each country finds itself
• quali prodotti sono nel «possibile adiacente»
• la loro complessità
• come il loro sviluppo aprirebbe ulteriori opportunità

Che dire della misurazione di altri obiettivi di sviluppo, quali:


o Libertà
o sviluppo umano
o solvibilità
o contesto imprenditoriale
o competitività
o governance
o qualità dell’istruzione
o . . . many others (dimensioni comunque rilevanti per intraprendere percorsi di sviluppo)

74
Perché usiamo gli indici:
• benchmarking delle prestazioni rispetto ai migliori risultati
• fornire obiettivi intermedi sulla via verso un obiettivo a più lungo termine (raccomandazioni)
• fornire una guida all’azione (contro un piano d’azione)
Limitazioni dell’insieme di dati utilizzati dall’Atlas: dati sul commercio internazionale ad un determinato livello di disaggregazione, esclusi i
servizi scambiabili o altre attività non esportate.

What a country needs to do to increase its complexity?


È molto specifico per il suo contesto:
- il «possibile adiacente» di ciascun paese è diverso
e
- le capacità produttive mancanti, che limitano la circolazione a qualsiasi nuova industria nello spazio prodotto, saranno anch’esse specifiche
del paese
Ad esempio:
• miglioramento delle infrastrutture
• chiarire i diritti di proprietà e le norme in materia umana
• changing the responsiveness of training institutions (cambiamento di risposta delle istituzioni preposte all’istruzione

Mappatura dei percorsi di prosperità_maps che descrivono le opportunità


«Una mappa non dice alle persone dove andare, ma le aiuta a determinare la loro destinazione rispetto alla loro posizione attuale e a tracciare
il loro percorso verso di essa.
Una mappa dà potere descrivendo opportunità che altrimenti non sarebbero evidenti». [p. 67]

Mapping paths to prosperity_ the secret to development


«Se il segreto dello sviluppo è l’accumulazione di conoscenze produttive, a
livello sociale piuttosto che individuale, allora il processo richiede
necessariamente il coinvolgimento di molti esploratori, non solo di pochi
pianificatori.
Ecco perché le mappe che forniamo in questo Atlas sono destinate ad essere
utilizzate da tutti». [p. 67]
Countries that were included in The Atlas
FIGURE 7.1: Schema della procedura utilizzata per determinare i paesi
compresi nell’Atlante.
Questi sono i seguenti:
• 99% del commercio mondiale
• 97% del PIL mondiale
• 95% della popolazione mondiale

Countries? Methodology for statistics vs sovereignty issues:


https://unstats.un.org/unsd/methodology/m49/
Methodology Standard country or area codes for statistical use (M49)
L’attribuzione di paesi o aree a raggruppamenti specifici avviene per comodità statistica e non implica alcuna
ipotesi circa l’affiliazione politica o di altro tipo di paesi o territori da parte delle Nazioni Unite.
M49 Standard --> lista di 248 elementi

Countries? independent states in the world: https://www.countries-ofthe-world.com/all-countries.html


Il paese indipendente non è solo una nazione autogovernata con proprie autorità, questo status ha bisogno dell'internazionale riconoscimento
diplomatico della sovranità.
Quindi, possiamo dire, che il numero totale di stati indipendenti nel mondo sono 197, tra cui:
• pienamente riconosciuti 193 membri delle Nazioni Unite,
• 2 paesi, Città del Vaticano e Palestina, hanno lo status di osservatori permanenti presso l'ONU.
• Another 2 states we include are Kosovo (recognized by 108 UN members) and Taiwan (recognized by 22 countries).

Five different rankings


To capture different dimensions of the world economy:
RANKING 1: Economic Complexity Index (ECI)
RANKING 2: Complexity Outlook Index (COI)
RANKING 3: Expected Growth in Per Capita GDP to 2020
RANKING 4: Expected GDP Growth to 2020
RANKING 5: Change in Economic Complexity (1964-2010)

Five different rankings: correlation matrix


Per catturare diverse dimensioni dell'economia mondiale: le basse correlazioni tra le
classifiche indicano che queste tendono a catturare diverse dimensioni dell'economia
mondiale

Definizioni_Economic Complexity Index (ECI)

75
Indice di complessità economica (ECI): Una classifica dei paesi in base a quanto diversificato e complesso sia il loro
paniere di esportazioni. I paesi che hanno una grande varietà di know-how produttivo, in particolare un know-how specializzato
particolarmente complesso, sono in grado di produrre una grande varietà di prodotti sofisticati.
La complessità delle esportazioni di un paese è in grado di prevedere i livelli di reddito attuali, o quando la complessità supera le aspettative
di reddito di un paese, si prevede che il paese registri una crescita più rapida in futuro. Gli ECI forniscono quindi un'utile misura dello
sviluppo economico.
http://atlas.cid.harvard.edu/learn/glossary/ Glossary

Indice di prospettiva della complessità economica (COI): Una misura di quanti prodotti complessi sono vicini alle attuali capacità produttive
di un paese. La COI cattura la facilità di diversificazione per un paese, dove un'elevata COI riflette l'abbondanza di prodotti complessi nelle
vicinanze che si basano su capacità o know-how simili a quelli presenti nella produzione attuale. La prospettiva della complessità cattura la
connessione delle capacità esistenti di un'economia per guidare una facile (o difficile) diversificazione nella relativa produzione complessa,
utilizzando lo spazio dei prodotti. Una prospettiva di bassa complessità riflette che un paese ha pochi prodotti che sono a breve distanza, per
cui sarà difficile acquisire nuovo know-how e aumentare la loro complessità economica.
http://atlas.cid.harvard.edu/learn/glossary/ Glossary

Spazio dei prodotti: Una visualizzazione che rappresenta la connessione tra i prodotti sulla base delle similitudini
del know-how necessario per produrli. Lo spazio prodotto visualizza i percorsi che i paesi possono intraprendere per diversificare. I prodotti
sono legati dalla loro vicinanza, in base alla probabilità di co-esportazione di entrambi i prodotti.
http://atlas.cid.harvard.edu/learn/glossary/ Glossary

La diversità: Una misura di quanti tipi diversi di prodotti che un paese è in grado di produrre.
La produzione di un bene richiede un know-how specifico; pertanto, la diversità totale di un paese è un altro modo per esprimere la quantità
di know-how collettivo che si trova all'interno di quel paese.
http://atlas.cid.harvard.edu/learn/glossary/ Glossary

Ubiquità: L’ubiquità misura il numero di paesi che sono in grado di realizzare un prodotto.
http://atlas.cid.harvard.edu/learn/glossary/ Glossary

Prossimità: Misura la probabilità che un paese esporti il prodotto A, dato che esporta il prodotto B, o viceversa.
Dato che un paese produce un prodotto, la prossimità cattura la facilità di ottenere il know-how necessario per passare ad un altro prodotto.
La prossimità formalizza l'idea intuitiva che la capacità di un paese di produrre un prodotto può essere rivelata osservando quali altri prodotti
può produrre.
http://atlas.cid.harvard.edu/learn/glossary/ Glossary

Vantaggio comparativo rivelato (RCA): Misura se un paese è un esportatore di un prodotto, in base al vantaggio o
allo svantaggio relativo che un paese ha nell'esportazione di un determinato bene. Usiamo la definizione di Balassa, che dice che un paese è
un esportatore effettivo di un prodotto se esporta più della sua "quota equa", o una quota che è almeno uguale alla quota del commercio
mondiale totale che il prodotto rappresenta (RCA maggiore di 1).
http://atlas.cid.harvard.edu/learn/glossary/ Glossar

27/04
Capitolo 10: Multinazionali in Emilia

La discussione inizia a porsi queste domande: Le multinazionali stanno spiazzando il posizionamento delle imprese locali? C’è un qualche
fattore predatorio di eliminazione della concorrenza o di penetrazione nel mercato attraverso l’acquisizione di imprese locali?
La presenza di un capitale estero quindi viene visto come un sospetto in quanto si immaginava che il capitale locale fosse più capace di porsi
problemi di prospettiva di medio lungo periodo senza incorrere in rischi di delocalizzazione delle attività produttive. Nelle multinazionali c’è
l’aggravante che i centri decisionali potrebbero considerare i luoghi di insediamento delle loro filiali interscambiabili: se va male una certa
delocalizzazione potrebbero chiuderla e aprirla in un altro luogo in cui si verificano condizioni di miglior favore per il funzionamento dei
loro stabilimenti
Che cosa succede effettivamente alle multinazionali continua ad essere oggetto di studio in quanto sono in atto strategie diverse e perché il
sospetto di un comportamento non di valorizzazione del territorio è molto alto, ossia un comportamento predatorio nei confronti di un
territorio da cui si prendono opportunità per poi lasciarlo una volta che queste opportunità vengano considerate relativamente meno
importante di quelle che si potrebbero avere in altri territori. Il sospetto è legato al fatto che i centri decisionali hanno interessi in molti
luoghi.
Le multinazionali non hanno un orizzonte strategico solo su un determinato luogo.
Nel corso degli ultimi tre decenni la loro presenza, sebbene in termini di numero di imprese non raggiunga le migliaia, ha un tratto molto
significativo in termini di occupazione e di interrelazioni con le altre imprese del territorio.

Giardino e Solinas ‘Controllo italiano, controllo estero. Cosa è meglio?’


Giardino e Solinas cercarono di andare a vedere di che imprese si tratta.

76
Questi sono dati che arrivano al 2015.
Alle 195 imprese del totale dell’industria manifatturiera
se ne sono aggiunge altre molto note, come Philips
Morris che si è insediato nel territorio della provincia di
Bologna e che ha reso necessario la costruzione di una
nuova uscita autostradale per servire lo stabilimento.
Da questa loro analisi censiscono 195 imprese, di cui una
buona parte è nella fabbricazione di macchinari e
apparecchiature, 17 nei mezzi di trasporto e 100 in
diverse varie industrie.
C’è una focalizzazione sull’Emilia, ma gli autori ci fanno
notare che le imprese multinazionali che hanno censito in
Emilia non sono solo in Emilia, ma anche in altre parti in
Italia; però in Emilia hanno la maggior parte della loro
occupazione (28429 addetti su 45603 censiti)
Il valore aggiunto in fatturato di queste imprese è
significativo, ma è ancora più significativo guardarlo nel
confronto con le imprese a controllo estero rispetto alle
multinazionali domestiche (imprese italiane che hanno
almeno uno stabilimento fuori dall’Italia).
Ci sono almeno 292 imprese in Emilia che hanno almeno uno
stabilimento all’estero, si tratta di imprese che hanno in media
un numero di addetti superiore rispetto a quelle a controllo
estero e hanno anche una dimensione media più alta in termini
di fatturato.
Il valore aggiunto per dipendente è analogo, ma il costo
unitario del lavoro è più alto nelle multinazionali a controllo
estero. Questa differenza viene spiegato da Giardino e Solinas
con le particolari caratteristiche dell’organizzazione delle
imprese in Italia, dove per le multinazionali a controllo estero
si concentra una forza lavoro relativamente più qualificata di
dirigenti o figure impegnate in particolare nella ricerca e
sviluppo.
Nel caso di altre imprese domestiche possiamo vedere che la dimensione media è molto piccola, il fatturato è decisamente più piccolo e il
valore aggiunto per dipendente si colloca su un livello molto più basso con un costo unitario del lavoro più basso. Questo per la struttura
occupazione che osserviamo nelle multinazionali estere, nelle multinazionali italiani e nella altre imprese domestiche.

Questo grafico ci mostra com’è


organizzata la presenza delle
imprese nei diversi settori.
Le quote relative al valore
aggiunto sono rappresentate
dagli istogrammi più scuri.
Il settore in cui è l’incidenza
delle imprese multinazionali
estere è più alta è il settore delle
imprese biomedicali, poi quello
dei mezzi di trasporto, della
carta, della chimica
farmaceutica e dell’elettronica e
apparecchiature elettriche.
Si segnala invece la scarsa
presenza nel settore alimentare e
nel tessile abbigliamento.
Quando analizziamo i dati di
questi settori, in questa regione,
la presenza di queste imprese
non deve sfuggirci perché le dinamiche che osserveremo, per esempio nella crescita dell’occupazione o del fatturato
in quei settori è soggetta alle decisioni strategiche prese dalle case madri.

Headquarter
L’analisi delle case madri si concentra sui principali paesi. Tra questi paesi troviamo gli Stati Uniti, Germania, la
Francia e una miriade di altri paesi che contano solo il 44% delle imprese

77
Questi dati evidenziano la dinamica del valore
aggiunto (linea alta), del fatturato e degli
addetti.
La crisi incide su tutti in maniera drammatica,
nel complesso noi vediamo che l’evoluzione
degli addetti, del fatturato e del valore aggiunto
delle imprese a controllo estero non sarebbe
molto diversa da quella che noi potremmo
osservare per le imprese nazionali. La caduta
che vediamo nel fatturato è meno rilevante
rispetto alla caduta che troviamo nel valore
aggiunto e negli addetti.
Tra il 2008 e il 2015, partendo da una base di
100, vediamo che complessivamente aumentano
gli addetti, il fatturato e il valore aggiunto.
Tuttavia queste variazioni sono generate non soltanto da quello che succede all’interno degli stabilimenti esistenti, ma è in larga parte il
frutto di acquisizioni di unità produttive presenti nel territorio.
Le imprese multinazionali non stanno solo aumentano le attività all’interno di imprese in cui erano già presenti, ma nel corso di quegli anni
va avanti un processo di acquisizione di imprese esistenti che vuol dire che quando noi guardiamo la dinamica degli addetti, del valore
aggiunto e del fatturato in Emilia Romagna dobbiamo tenere conto che alcune imprese anziché chiudere hanno passato la loro proprietà ad
imprese straniere.

Nel complesso gli Stati Uniti sono il paese che,


complessivamente tra il 2008 e il 2015 aveva il
più alto numero di imprese. Tuttavia se ci
concentriamo sulle nuove acquisizioni che
vengono realizzate nel periodo vediamo che al
primo posto restano gli Stati Uniti, ma anche
Cina e Taiwan sono paesi importanti prima di
Germania e Francia che hanno comunque
investimenti importanti.
Si tratta di imprese presenti in Emilia Romagna
in maniera significativa, Cina e Taiwan su 1648
addetti ne hanno 1353 in Emilia Romagna. La
stessa cosa succede per le imprese tedesche e
meno per le imprese francesi

Quali ragioni per gli investimenti di


multinazionali: ruolo nelle catena del valore
Giardino e Solinas ci offrono una
interpretazione su che tipo di imprese sono le 195 imprese oggetto dell’analisi.
Caratterizzano le imprese rispetto a due dimensioni:
 per chi producono
 che connessioni hanno localmente o con la multinazionale
Le imprese chiamate ‘commerciali’ sono imprese che non si occupano
della commercializzazione di prodotti realizzati da altri, ma sono
imprese che producono per il mercato nazionale, quindi sono unità
produttive delle multinazionali (54 imprese). Sono quelle unità
produttive che le multinazionali creano in Italia per vendere prodotti
destinati al mercato italiano. Loro le chiamano imprese commerciali
perché sono imprese produttive con un particolare obiettivo di
soddisfare un mercato locale/nazionale che diventa un target per
l’impresa multinazionale servito attraverso le imprese localizzate lì.
Questo gruppo di imprese viene a sua volta distinto in due dimensioni:
ma che connessioni ha questo gruppo di imprese con il sistema locale
in cui è insediato?
La localizzazione all’interno di territori con concentrazioni di specializzazioni produttive molto radicate è un elemento importante della loro
analisi. Per le imprese che producono per il mercato nazionale ci sono alcuni casi in cui le connessioni sono molto poche con il sistema
produttivo locale, mentre in altri casi sono molto forti.
Poi ci sono anche imprese multinazionali che operano essenzialmente come hub produttivi (141) su scala internazionale con connessioni con
il gruppo di due tipi: in alcuni casi sono connessioni strettamente produttive perché fungono da elementi di specializzazione all’interno del
gruppo, in altri casi invece si tratta di unità produttive che hanno una specializzazione per la vendita in tutto il mondo (localizzazione in
Emilia Romagna di unità produttive i cui prodotti sono destinati al mercato estero).

78
Questi quattro gruppo sono caratterizzati rispetto alla quota di export e
di import sul fatturato.
Le imprese che hanno poche connessioni locali (gruppo 1) sono 27
imprese e hanno una elevata quota di importazione sul fatturato.
Importano il fatturato da altre imprese nel gruppo.
Le imprese del cluster due sono 27 ed hanno una scarsa quota di export
e di import sul fatturato. Sembrano imprese che lavorano nei sistemi
locali, sono parte delle catene del valore che, a livello locale,
compongono il settore verticalmente integrato di quel processo
produttivo.
Il terzo gruppo di imprese sono 80 e sono descritte come hub
produttive internazionali e sono la grande maggioranza di imprese per
le quali la quota di export sul fatturato è molto alta (quasi ¾), ed hanno
una quota di importazione non piccola (quasi il 30%).
Nel caso invece delle imprese del quarto gruppo (61), si tratta di imprese che operano con una specializzazione destinata a mercati esteri (si
produce in Italia per vendere prodotti in tutto il mondo). Hanno una quota di import sul fatturato attorno al 15% che risponde alle necessità di
completamento dei componenti e semi lavoratori necessari per quei prodotti

Questi grafici mettono in evidenza che caratteristiche hanno, nelle


connessioni con i gruppi, andando ad analizzare la quota di export
infragruppo.
Nel caso delle imprese del gruppo 3 che lavorano per il network del
gruppo, del 73,4% del fatturato il 74% è all’interno del gruppo. Loro
esportano moltissimo, ma ¾ di quello che esportano lo esportano a
imprese del gruppo.
Per converso, quelle che operano come unità produttive da cui partono i
prodotti destinati in tutto il mondo hanno una quota di export sul fatturato
abbastanza elevante (63,5%), ma hanno una quota molto modesta di
esportazioni infragruppo. Questo caratterizza la loro specializzazione per
altri mercati, non per il completamento di prodotti all’interno del network
nel gruppo.

Giardino e Solinas ci raccontano alcuni esempi.


Guardando al caso 4 possiamo immaginare che imprese come Lamborghini, Ducati e Marazzi non producono per il gruppo, ma per
l’universo mondo. possono produrre qualcosa per altre imprese del gruppo, ma sono sostanzialmente imprese che producono per i mercati
esteri ma sono localizzate in Emilia.
Nel gruppo 3 troviamo la Bosch Rexroth (ex oil control), una impresa molto importante della provincia di Modena che ha una competenza
nel campo delle valvole oleodinamiche da molti decenni. L’acquisizione da parte di Bosch fa acquisire a Bosch un pezzo di competenze nelle
valvole che sono decisive nel controllo di meccanismi di vario tipo; ma le valvole oleodinamiche fanno acquisire a Bosch le competenze
della rete di competenze che sosteneva la produzione di oil control. Bosch quindi non compra soltanto uno stabilimento, una impresa ma ha
comprato la rete di relazioni di oil control.
Le imprese invece commerciali sono molto meno (27 imprese di un tipo e 27 nell’altro). Gli esempi del gruppo 2 sono imprese che si
coordinano con il sistema produttivo locale, per esempio nel caso delle imprese che producono apparecchi di precisione. Si tratta di imprese
che hanno una quota di import sul fatturato molto piccola perché lavorano nel mercato locale, lavorano approvvigionandosi dal mercato
locale nel contesto in cui operano.
Gli esempi sono: impresa che produce pane per la rete Mc Donald che
opera sull’intero mercato nazionale e le imprese che operano nel settore
delle macchine di precisioni.
Mentre gli esempi del gruppo 1 sono: impresa che produce sistemi di
imballaggio di vari materiali per l’industria locale, i colorifici e Alston-
ferrovie.
La presenza di colorifici non ha connessioni con il sistema produttivo
locale.
Questa caratterizzazione è fatta in termini di impegno di stabilimenti di
proprietà delle multinazionali rispetto alle spese in ricerca e sviluppo
che sviluppa.
Possiamo vedere che le imprese che lavorano come hub produttivi
internazionali (gruppo 4) hanno una quota di spese di ricerca e sviluppo
sul fattura poco meno del 2%, quindi molto alta.
Un po' meno è quella delle imprese che lavorano nel network del gruppo
perché si confrontano con problematiche importanti di investimenti
innovati che devono essere portati avanti su scala locale.
Strategie e performance nella crisi: imprese multinazionali e imprese
locali
Questo grafico mostra che cosa è successo alle imprese domestiche, alle
imprese multinazionali e all’industria nel suo complesso nel valore
aggiunto e nei dipendenti dal 2008 al 2015.

79
Mettendo in aggregato i risultati del panel che hanno costruito per confrontare, in maniera ragionevole, il gruppo di imprese domestiche e
multinazionali osserviamo che la crisi colpisce tutti (punto di caduta nel 2009).
Nella ripresa del fatturato tuttavia osserviamo che al 2015 le imprese domestiche avevano una performance superiore alle imprese
multinazionali.
Questi dati ci dicono una storia di cautela, di attenzione.
Nel corso della crisi le imprese hanno avuto un andamento simile ma hanno anche riorientato il loro orizzonte di posizionamento sull’Italia
rispetto ad altre localizzazioni all’estero.

29/04
Capitolo 11: resilienza e politiche regionali

Resilienza entra nella discussione negli ultimi dieci anni in maniera molto trasversale di fronte a situazioni che si configurano come shock
esogeni (es. terremoto in Emilia). La resilienza era un termine molto tecnico che riguardava la fisica anche in contesti molto sistemici.
Inizia a essere impiegato nel dialogo ordinario quando iniziamo a ragionare sul fatto che abbiamo dei cambiamenti molto forti esterni ai
sistemi sociali ed economici di cui non riconosciamo la leggibilità della reazione da parte del sistema utilizzando degli strumenti ordinari di
analisi.
Es sisma: che il sisma abbia un effetto sistemico è ovvio, nel senso che non distingue un’impresa dall’altra o una famiglia dall’altra, ma
colpisce quello che c’è sul territorio. Noi poi studiamo che sul territorio non vengono uniformemente distribuite tutte le attività economiche,
tutte le caratteristiche di una certa società, quindi per esempio troviamo degli effetti del sisma che possiamo studiare osservando danni
maggiori per le caratteristiche della popolazione che risiedeva in quella popolazione a parità di intensità del sisma.
Inizia quindi ad essere studiato come i territori rispondono a shock esogeni aggiustandosi in maniera diversa nel breve, nel medio e nel lungo
periodo.
(Breve periodo: nel caso degli interventi sismici abbiamo interventi esterni organizzati a livello nazionale e sono quelli previsti dalla
protezione civile per intervenire in situazioni di emergenza e per far fronte ad esigenze locali. Nella fase di emergenza post sisma è stato
studiato che le comunità locali reagiscono in modi diversi, in Emilia ad esempio quando arrivarono quelli della protezione civile a costruire
aree attrezzate per recuperare le persone che dovevano lasciare le loro abitazioni, si resero conto che in Emilia si erano già da loro
organizzati.)
Quindi la cosa che si osserva è che ogni evento esogeno non provoca la stessa risposta nei territori, quindi si è iniziato a studiare cosa sta
succedendo nei territori colpiti da disastri naturali sia nella fase di emergenza, sia nella fase di ricostruzione.

Negli ultimi 10 anni il riferimento alla risposta locale a shock esogeni viene assunto come le diverse capacità che i territori hanno nel
rispondere perché sono fatti in maniera diversa, costruendo questa diversità nel lungo periodo.
Le caratteristiche delle comunità locali vengono costruite nel tempo e si formano attorno all’azione di comunità verso alcuni obiettivi per la
comunità e per la presenza di attività economiche che vedono la partecipazione di chi vive in quel territorio.
Le imprese hanno reagito in maniera diversa, alcune sono state capaci di risollevarsi perché avevano risorse proprie che hanno consentito
loro di anticipare tutti gli interventi di ricostruzione, altre non avendo i mezzi finanziari hanno dovuto aspettare che arrivassero i sostegni
pubblici. Altre ancora hanno pensato che organizzandosi insieme si poteva accelerare il tempo della ricostruzione e ridurre il danno materiali
ed economico prodotto dal sisma (es. settore meccanico dove piccolissime imprese hanno deciso di mettere a disposizione tutto ciò che era
utilizzabile). Quest’ultimo caso si tratta di resilienza che ha a che fare con la capacità di essere all’interno di reti di relazioni capaci di trovare
una soluzione. La resilienza è quindi intesa come capacità di risposta.

Perché parliamo di resilienza e non in generale di cambiamenti? Parliamo di resilienza perché come economisti ci siamo fissati all’interno di
una visione del cambiamento che era difficile da spiegare, da modellizzare.
Lo shock esogeno potrebbe favorire soluzioni che migliorano le condizioni delle imprese all’interno del sistema o della popolazione che vive
nel territorio. Stiamo parlando della capacità di rispondere a cambiamenti che scuotono il funzionamento ordinario degli elementi del sistema
e non di cambiamenti in generale.

I territori non possono essere studiati rispetto ai dati socio economici che caratterizzano la performance e il progresso di quei territori nel
tempo, come l’aumento dell’occupazione, il reddito pro capite, il livello di scolarità …
Gli autori ci dicono che tutto quello che avviene nei territori è l’insieme di molte risposte. Come ciascuno di questi elementi concorre al
risultato ha a che fare sulla costruzione che all’interno dei territori è stata possibile grazie all’azione delle politiche pubbliche, ossia politiche
regionali che sostengono il funzionamento in una fase di difficoltà. Ciò permette di sostenere il cambiamento è possibile attraverso politiche
pubbliche.
Occorre investire con politiche pubbliche per far sì che i territori abbiano, oltre alle infrastrutture, le competenze necessarie per trattenere le
imprese in modo tale che il mercato del lavoro sia ricco di competenze e venga arricchito perché si alimenta dalla domanda di competenze.
Bianchi, Giardino, Solinas ci dicono che se si guardano le politiche pubbliche dal lato della resilienza non abbiamo elementi di valutazione
perché le politiche sistemiche sono molto complesse e quindi non riusciamo a valutarle e a compararle.
Tuttavia, tutte le politiche sono sistemiche, nessuna politica può essere considerata in isolamento perché non si riuscirebbe a valutarla
rispetto ai suoi effetti ma bisogna considerare tutti gli elementi che concorrono nell’impatto di quella politica.
È tutto resiliente ogni volta che c’è un cambiamento, ma non ci sono gli strumenti per comparare se un territorio è più resiliente dell’altro e
per individuare quali sono i fattori delle politiche pubbliche su cui fare leva. Non si può esprimere nessun giudizio.

Vodafone: le imprese nella digital transformation

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Vodafone si divide in segmento corporate (dedicato alle aziende) e il segmento dedicato al consumer (dedicato promozioni).
Il segmento corporate riguarda le grandi aziende che sono seguite con una forza vendita diretta, mentre le PMI sono seguite da agenzie che
hanno in licenza il marchio Vodafone.
Vodafone è un’azienda globale presente in 26 paesi in maniera diretta, in altri 50 paesi la presenza è indiretta (attraverso partnership).
L’obiettivo è di fare fatturato e i ricavi si aggirano intorno ai 47 miliardi di euro su 446 milioni di clienti.
Vodafone in Italia fattura 5 miliardi, e solo nel mercato delle aziende ricava 1.400 miliardi (In Italia Vodafone ha 650mila aziende come
clienti, il grosso è rappresentato dalle PMI, poche grandi aziende).
E’ il numero 1 sulla componente della telefonia mobile e della Iot: si occupa di telefonia mobile e del mondo Iot.
Sul mercato delle aziende Vodafone ha 3 obiettivi:
1. Essere i migliori dal punto di vista della creazione di efficacia ed efficienza
2. Portare l’innovazione all’interno delle aziende. Non è facile perché non tutte le aziende sono in grado di portare l’innovazione al loro
intero in quanto è costoso e per il problema della cultura aziendale.
3. Coinvolgere il cliente nelle attività. La collaborazione deve prevedere un travaso di competenze, è un processo lungo che richiede il
coinvolgimento di tutta l’impresa.

Gli impatti della digital transformation


Schema che riassume gli impatti della digital transformation. Sono i punti di contatto
all’interno di un’organizzazione dove le digital transformation a seconda della tipologia di
attività svolte va a toccare.
La digital transformation tocca sicuramente come un’azienda si muove, come è
organizzata e quali sono i processi interni. Questo nel passato è sempre stato uno dei punti
di contatto per operatori come Vodafone, Fastweb, etc.
Nel tempo Vodafone si è estesa su due componenti laterali: il rapporto con i fornitori
(mondo esterno dell’azienda) e con i clienti finali.
Nei riquadri sono i servizi che l’azienda offre.

Come Vodafone abilita la Digital Transofrmation


Questi 5 punti identifica i pilastri su cui Vodafone lavora:
 Mobile
 Convergenza --> unione tecnica e commerciale del servizio di telefonia mobile e
telefonia fissa.
 Iot
 Cloud --> permette al cliente di connettersi e di utilizzare i servizi grazie ad apparecchiature, capacità di calcolo e una forte
organizzazione
 Vodafone Analytics --> Analytics è un servizio di Vodafone, dove dietro questo servizio ci sono i Big Data. Attraverso i big data si è
riuscita a fare un’analisi osservando i comportamenti di coloro che andavano a Gardaland misurando quante persone si fermano, per
quante notti, da dove vengono, etc. Questo ha aiutato Gardaland a fare investimenti nel mondo degli hotel.
L’analytics è un pezzo del business di Vodafone. Con l’introduzione di questo servizio si è avuto un cambiamento delle competenze di
chi doveva fare questa analisi.

Vodafone IoT
La IoT è un generatore di dati: informazioni integrate tra loro e poi analizzate. E’ fondamentale per generare delle informazioni.
L’Iot connette le cose ad internet, trasformandole in dispositivi intelligenti che scambiano informazioni in tempo reale e aprono un range di
possibilità per come i business sono raggiunti, come crescono e come rendono i loro consumatori soddisfatti.
Vodafone cosa fa? Nella loro idea vogliono prendere qualsiasi dispositivo e connetterli ad internet, qualsiasi prodotto.
Il processo è: collegare gli oggetti ad internet --> trasmettere informazioni --> usare le informazioni per capire quali sono i driver per
prendere decisioni in maniera più chiara. È una grande opportunità di presa di coscienza della realtà delle cose all’interno dell’azienda. La
missione di Vodafone è quello di andare a spiegare le implicazioni positive nell’avere questi dati per poi prendere le decisioni in azienda.

Iot maturity model


All’interno delle organizzazioni si riesce a trasferire un
aumento di valore in funzione dei livelli di integrazione delle
cose che si fanno.
Esempio 1: navigatore tom tom. Tom tom vendeva un
navigatore satellitare non connesso ad internet; Vodafone,
quindi, ha detto a Tom Tom di voler integrare la possibilità di
connettere l’oggetto alla rete. Sulla stessa tecnologia Vodafone
ha creato valore connettendolo alla rete.
Vodafone è riuscito ad accompagnare Tom Tom in quella che
viene chiamata la Trasformazione Digitale: creare valore
sempre sullo stesso oggetto aggiungendo servizi grazie
all’intelligenza e alla collaborazione tra gli operatori di
Vodafone e i clienti finali.
Tom tom, grazie all’intervento di Vodafone, ora vende un prodotto e un servizio.

Iot is transforming business in every vertical

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Portafoglio diversificato. La specializzazione è fondamentale per avere
conoscenza per capire i prodotti, l’organizzazione tipica di un settore
piuttosto che un altro, etc. Il vantaggio di avere un portafoglio
diversificato è il potenziale che dà e la possibilità di stare in grande
ascolto su quelle che sono i loro sfide e le situazioni che le varie imprese
devono risolvere. La vera ricchezza è quella di capire come lavorano le
aziende e capire quali sono i loro obiettivi.
I benefici dell’Iot solutions
I benefici che l’Iot produce sono quelli che permettono di risparmiare
soldi (operational efficiency), stare all’avanguardia (New business
models), incrementare la fiducia con i clienti finali (Customer
satisfaction), evitare sanzioni e migliorare le pratiche commerciali (Compliance), riduce le emissioni di Co2 (sustainability).

Esempio di IoT
Pagani, un cliente che sugli oggetti che produce e vende (macchine) ha adottato la soluzione di Vodafone.
Lui non ha concessionari, quindi i clienti non possono avere a disposizione servizi di assistenza. Per questo motivo lui ha messo dentro ad
ogni macchina una sim di Vodafone che gli permette di stare in contatto con le performance dell’auto. Questo gli ha quindi permesso di
creare una rete di assistenza sul territorio tramite dei partner.
Lui ha potuto realizzare il suo sogno grazie alla tecnologia e grazie alla potenza della rete.

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