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4 ottobre 2021

Dal 2020 al 2021 si vede una differenza sugli investimenti esteri: sono stati aggiunti valori
per l’anno 2020 e si può notare come il commercio estero abbia subito un calo degli
investimenti dovuto al periodo di pandemia che ha rallentato e bloccato il sistema economico.

I fattori di localizzazione dell’industria non sono universali, ci sono alcune industrie per cui
essi non valgono ma ne seguono altri specifici, ad esempio, questo è il caso delle industrie
high-tech.

INDUSTRIA HIGH-TECH
Spesso si parla di industria innovativa, in realtà qualsiasi industria può esserlo, basta che
sviluppi un nuovo prodotto che conquisti i mercati. L’industria high-tech è un'industria che
destina una gran quota dei suoi investimenti nella ricerca e nello sviluppo, impiega forza
lavoro qualificata (es. ingegneri, tecnici e ricercatori. è anche un’industria che fa investimenti
consistenti ed a redditività differita nel tempo, cioè spesso si rientra dell'investimento nel
corso del tempo e sono investimenti al alto rischio (può anche essere che non si rientri affatto
delle spese) e in senso stretto sono pochi i settori con queste caratteristiche (es. aerospaziale,
robotica, ideazione elettronica, informatica, farmaceutica, etc.), è un mix di vecchio e nuovo.

INDUSTRIA HIGH-TECH - CARATTERISTICHE


- Intensità di ricerca e sviluppo: quota considerevole di investimenti destinata alla
ricerca e sviluppo.
- Impiego di forza lavoro qualificata: ricercatori, tecnici, ingegneri.
- Investimenti: consistenti, a redditività differita nel tempo e ad alto rischio.
- Settori: aerospaziale, robotica, biotecnologie, nanotecnologie, elettronica, informatica,
telecomunicazioni, farmaceutica.

CONCENTRAZIONI SPAZIALI INDUSTRIA HIGH-TECH


Dal punto di vista localizzativo gli studiosi hanno osservato che spesso per questi settori, le
industrie high-tech tendono a concetrarsi spazialmete formando dei raggruppamenti di
imprese (= distretti/cluster tecnologici).
Ne è un esempio la Silicon Valley (California) da dove è nata la rivoluzione informatica.
Esempi europei di cluster sono: Cambridge nel Regno Unito e Grenoble in Francia per
quanto riguarda le nuove tecnologie, le nanotecnologie, la microelettronica e le biotecnologie.
Anche in Italia esistono queste concentrazioni? A Trieste possiamo trovare una grande area di
ricerca che per certi versi presenta alcune caratteristiche dei cluster ma più che altro è un polo
tecnologico, cioè è nata grazie a conseguenze politiche come investimenti pubblici e la
volontà di creare una struttura di quel tipo. Nel sud Italia possiamo trovare la Etna Valley,
distretto vicino a Catania, sviluppatasi dall’insiediamento di una multinazionale del settore
della microelettronica.

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I cluster ad alta tecnologia sono presenti sia nei paesi avanzati che in quelli di recente
industrializzazione. Il caso più noto che è lo specchio della Silicon Valley è il cluster di
Bangalore in India nato intorno all’industria dei software. Anche in Cina possiamo trovare
molti cluster dell’high-tech, questo ci fa capire che la Cina non è più un paese dove abbassare
i costi del lavoro ma è anche un paese che sta sviluppando una politica che rigurda
l’innovazione.

CLUSTER HIGH-TECH: CARATTERISTICHE COMUNI


- Elevato numero di imprese tecnologiche e di laboratori di ricerca e sviluppo di grandi
imprese;
- Presenza di università e centri di ricerca di livello internazionale, attraggono
ricercatori e studenti da tutto il mondo per fare ricerca (es. la Silicon Valley è nata
attorno all’università di Stanford);
- Presenza di servizi avanzati, in particolare venture capital (servizi che mettono a
disposizione il cosidetto capitale di rischio);
- Infrastrutture di rango elevato (es. aereoporti), fondamentali per connettere l’area con
l’esterno;
- Buona attrattività del luogo e qualità della vita, in questo modo attraggono personale
maggiormente qualificato;
Sono state individuate anche altre due caratterisctihe comuniche che in realtà non troviamo
sempre nei cluster high-tech:
- Centri di ricerca e sperimentazione militari;
- Politiche territoriali;
Ad esempio, in molti casi si sono sviluppati centri di ricerca e sperimentazione militare
(primo nucelo) e grazie a questi sono arrivati finanziamenti, commesse e poi, solo dopo,
questi cluster si sono distaccati da queste commesse militari per lavorare nel settore privato
es. Silicon Valley prima dello sviluppo dell’industria informatica, si sono sviluppati dei
laboratori militari e poi le politiche territoriali, anche in questo caso non empre c’è un attore
pubblico che interviene nella creazione/gestione di questi cluster dell’high-tech.

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INDUSTRIA ALTA TECNOLOGIA: FATTORI DI LOCALIZZAZIONE PRIMARI
I fattori di localizzazione primari dell’industria ad alta tecnologia sono:

Le università e i centri di ricerca sono grandi fonti di conoscenze e di formazione


professionale per le imprese.
Il venture capital (capitale di rischio) sono imprese rivolte al finanziamento di imprese
nuove, ad alto rischio, come sono quelle dell’alta tecnologia e quindi prestano il proprio
capitale investendo (che assume una condizione di rischio). Si parla anche di business angel,
ex imprenditori che hanno fatto fortuna lavorando in un determinato settore e che a loro volta
investono in altre imprese in cui vedono un potenziale di sviluppo.
Le infrastrutture di rango elevato (trasporti ma anche altro) mettono in contatto le imprese
con l’esterno.

CHE COSA SONO LE STARTUP?


S. Blank, The Startup Owner’s Manual (2012):
1. Innovatività;
2. Scalabilità (le startup solitamente non restano piccole ma solitamente o vengono
assorbite da imprese più grandi o grazie ad investitori arrivano in borsa):
3. Replicabilità (devono essere replicabili anche in altri contesti, diversi da quello in cui
si è sviluppata).

Le startup sono tutte registrate nel registro delle imprese, dopo 5 anni, o diventano delle
piccole-medie imprese (e vanno ad inserirsi in un altro registro) oppure vengono chiuse.
Questo è un campo in cui c'è molto dinamismo poiché nascono, mutano ma muoiono anche
rapidamente e questo perché non trovano finanziamenti o non arrivano alla fase dello
sfruttamento commerciale.

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3. Gli effetti geografici dell’industrializzazione
Chiave di lettura: innovazione tecnologica, modi di produzione e geografia della
produzione. L’industria è uno dei settori più legato all’innovazione tecnologica, questa
innovazione cambia i modi di produrre e a sua volta cambia il modo in cui la produzione
varia la propria collocazione geografica.

Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico, 2016

Il modello ci permette di individuare 4 rivoluzioni industriali:


La prima rivoluzione industriale è quella che parte alla fine del ‘700 e che comprende tutto
l’800 e che pian piano, partendo dall’Inghilterra, si diffonde sempre più negli altri paesi.
Questa fase è caratterizzata da una serie di innovazioni tecnologiche per l’epoca radicali, che
ha cambiato non solo i modi di produrre ma anche il mondo dei trasporti; in questa fase sono
importanti quei fattori di localizzazione che riguardavano le materie prime.
La seconda rivoluzione industriale utilizza come fonte di energia il petrolio ed è l’era
dell'elettricità e del passaggio ad una produzione di tipo fordista incentrata sulla produzione
di massa e sulla catena di montaggio. In questo caso i fattori di localizzazione che attraggono
sono tutto ciò che riguarda l’economia di urbanizzazione (es. forza lavoro, mercati di sbocco
per i prodotti, infrastrutture, etc.).
La terza rivoluzione industriale parte alla metà degli anni ‘70 con la microelettronica e una
prima robotizzazione degli impianti industriali (forte spinta all'automazione degli impianti

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industriali). In questo caso i fattori di localizzazione diventano maggiormente elastici, le
distanze si abbreviano sempre più e avviene una prima convergenza spazio-temporale.
La quarta rivoluzione industriale è quella moderna, quella delle macchine intelligenti, dei
dispositivi interconnessi, dell’intelligenza artificiale, di una forte spinta verso l’automazione e
la robotizzazione. Questa rivoluzione viene anche chiamata ‘industria 4.0’.

DALLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE ALLA GLOBALIZZAZIONE

Dalla rivoluzione industriale fino al fordismo non cambiano gli assetti del territorio poiché la
prima rivoluzione industriale ha messo in moto un processo di urbanizzazione, industria e
città progrediscono insieme. Questo è ancor più evidente con il fordismo e ci spiega lo
sviluppo delle città nel corso del ‘900. Con il passaggio dal fordismo al post-fordismo,
ovvero con la terza rivoluzione industriale, cambiano gli assetti territoriali, tutto diventa più
fluido e si spezza il nesso tra crescita dell’industria e crescita della città. Con la prima
rivoluzione industriale e il fordismo si vede la nascita delle città industriali, città in cui c’è
una forte componente del settore industriale nell’economia urbana.

MANCHESTER - ANDAMENTO DELLA POPOLAZIONE

Manchester è stata una delle capitali


protagoniste della rivoluzione industriale
(principalmente industria tessile),
vediamo una grandissima crescita della
popolazione con la prima e seconda
rivoluzione industriale e una forte
diminuzione poco prima dell’avvento del
post-fordismo. Molte citt seguono questo
schema e vengono chiamate città
industriali, l’industria, di diverso tipo,
diventa una presenza importante
dell’economia urbana.

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Con la rivoluzione industriale nasce anche la città fabbrica, città in cui si sviluppa un settore
industriale e tutta l’economia urbana gravita intorno a quel settore. Si parla anche di villaggi
operai, villaggi che nascono attorno ad una grande impresa e molto importante.
Schio – La Fabbrica Alta (1862)
Nella città fabbrica si trovava la fabbrica, il luogo di
lavoro, i quartieri residenziali, creati dall’imprenditore
stesso e le infrastrutture di carattere sociale, l’asilo
d’infanzia, le scuole elementari e un teatro. Nei quartieri
residenziali abitavano tutti coloro che lavoravano
all’interno della fabbrica, da qui si può notare una prima
differenziazione delle case operaie da quelle dei dirigenti,
etc.

Nuovo Quartiere Operaio


di Schio - case operaie →

Nuovo Quartiere Operaio


← di Schio – i villini

Schio – Le infrastrutture
sociali: l’Asilo d’Infanzia →

← Schio – Le infrastrutture
sociali: le scuole elementari

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Il modello della città industriale è chiamato ‘modello del paternalismo industriale’ poiché
l’imprenditore non da solo il lavoro ma metta a disposizione tutta una serie di servizi per i
propri dipendenti.

Villaggio Leumann
(Torino): stampa d’epoca
Altro esempio di città
fabbrica.

Tutto il nord Italia presenta molti esempi di città fabbrica, ottimo strumento per capire come
era organizzata un’industria all’epoca della rivoluzione industriale. Oggi molti di questi
stabilimenti non mantengono la propria funzione originale ma vengono adibiti ad altre
funzioni, ad esempio, vengono utilizzati come musei della storia produttiva del territorio e
vanno ad alimentare il turismo industriale.

MODELLO DI PRODUZIONE FORDISTA (1950-73):


CARATTERISTICHE
- Produzione di beni standardizzati destinati a un consumo di massa;
- Organizzazione scientifica del lavoro incentrata sulla catena di montaggio;
- Integrazione verticale della produzione, in uno stesso stabilimento sono concentrati
tutti i cicli produttivi;
- Dequalificazione del lavoro, al lavoratore non sono richieste conoscenze specifiche;
- Rafforzamento della gerarchia, separazione tra lavoratori e dirigenti.
- Sindacalizzazione della forza lavoro.

MODELLO DI PRODUZIONE FORDISTA (1950-73):


L’ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE
- Gigantismo industriale e sviluppo delle imprese multinazionali;
- Forte spinta ai processi di urbanizzazione e grandi regioni urbano-industriali;
- Impatto ambientale: uso illimitato di risorse non rinnovabili e degrado ambientale.

Una parte dell’impianto industriale della Ford a River


Rouge (anni 1940)
Grande livello di occupazione del suolo ma anche
enorme impatto ambientale.

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In questa fase si sviluppano le agglomerazioni
urbano-industriali (es. asse della Ruhr,
Manufacturing Belt in America, etc.)
← Principali agglomerati urbano-industriali
precedenti al 1970.
Fonte: Grener, Dematteis, Lanza, 2011

Anche in Italia, questi grandi processi di


agglomerazione, li possiamo vedere nelle principali
città, allora si parlava di ‘triangolo industriale’
Milano-Torino-Genova. Torino era una città fabbrica
poiché si era sviluppata attorno al settore
automobilistico e ad una sola proprietà, ovvero la
FIAT. Milano era una città industriale ma molto più
diversificata per specializzazione e settori produttivi; già negli anni ‘70 aveva una buona base
di servizi. Genova era specializzata soprattutto nella portualità e in tutte quelle che erano le
industrie legate al porto (es. cantieristica, petrolchimica, industria pesante, etc.).

Vediamo una popolazione sempre più in crescita fino agli anni ‘70, periodo di maggior
espansione, e poi un calo dovuto alle fasi successive del post-fordismo e della rivoluzione
industriale. La FIAT a Torino ha portato
un grande contributo per l’aumento della
popolazione poiché attirava molta forza
lavoro, era strutturata sul modello della
città fabbrica.
Anche Milano e Genova presentano un
grafico simile a quello della città di
Torino, con un aumento della popolazione
fino ai primi anni ‘70.

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Verona era una città industriale con una
base economica molto diversificata e con
un buon numero di servizi, anche qui
possiamo vedere un’impennata fino al
1971 e poi una caduta, in realtà meno
drammatica rispetto alle città
dell’industrializzazione fordista.

Cosa cambia negli anni ‘70 che porta ad un declino, come quello dei grafici precedenti?
La prima crisi energetica viene individuata nel 1973, da qui in poi il modello fordista andrà
sempre più verso il suo declino.

DAL FORDISMO AL POST-FORDISMO: CRISI DEL MODELLO FORDISTA


- Crisi energetica degli anni ‘70: aumento dei costi di produzione e trasporto;
- Aumento del costo del lavoro (sindacalizzazione del lavoro, scioperi, etc.);
- Saturazione del mercato di beni standardizzati a causa dell’eccessiva quantità di beni
prodotta negli anni precedenti (es. automobili, elettrodomestici, etc.);
- Cambiamenti della domanda verso beni non standardizzati, più sensibili alla moda. ai
quale la produzione fordista non è più in grado di rispondere;
- Innovazioni nel campo dell’elettronica e dell’informatica che modificano
l’organizzazione della produzione (più flessibile) e la distribuzione dei prodotti;
- Concorrenza crescente di paesi con costi di produzione più bassi (es. Corea del sud,
etc.).

PRINCIPALI DIFFERENZE TRA FORDISMO E PRODUZIONE FLESSIBILE

FORDISMO PRODUZIONE FLESSIBILE

Massimizzazione scorte dei magazzini. Scorte minime, riduzione del magazzino:


modello just-in-time (arriva quando serve).

Progettazione prodotto altamente standardizzata Progettazione prodotto varia e in base agli


(pochi modelli ma grandi quantità numeriche). ordini.

Stile manageriale fortemente gerarchizzato. Stile manageriale interattivo (divisione meno


netta del lavoro).

Forza lavoro scarsamente qualificata. Forza lavoro pluriqualificata.

Molta forza lavoro. Forza lavoro ridotta ma più efficiente.

Integrazione verticale. Esternalizzazioni (decentramento o


delocalizzazione)

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Decentramento = Affidiamo la produzione di una componente ma anche di tutto il processo
produttivo ad un’altra impresa localizzata all’interno del territorio nazionale.

Delocalizzazione = Affidiamo la produzione di una componente ma anche di tutto il processo


produttivo ad un'impresa straniera. Questo mi permette di ridurre i costi di produzione ma
anche quelli ambientali.

DAL POST-FORDISMO ALLA GLOBALIZZAZIONE

Con il passaggio dal fordismo al post-fordismo si rompe quel legame stretto,


precedentemente creatosi, tra industria e città. Nei paesi economicamente avanzati si mette in
moto una prima fase di deindustrializzazione (seconda metà degli anni ‘70, inizio anni ‘80),
questo comporta un declino del settore industriale e anche un minor numero di posti di lavoro
disponibili. Questo ben presto porta ad un declino urbano, le città dei paesi industrialmente
avanzati diminuiscono improvvisamente la popolazione (es. grafici Torino, Genova e
Milano), le città diventano meno attrattive per chi dalle zone limitrofi ha bisogno di lavoro
ma ci si sposta dalla città a zone più semplici anche per il costo minore della vita. Soprattutto
in alcuni paesi, mentre l’industria va in crisi, si afferma un nucleo di imprese di piccola
dimensione e molto flessibili che in molti paesi diventano l’ossatura del sistema industriale.
Ci si accorge che la piccola impresa non è uno svantaggio ma è un attore dinamico
dell’economia e soprattutto lo è laddove l’economia opera all'interno di sistemi produttivi
locali. I distretti industriali sono un esempio di sistemi produttivi locali, sono costituiti da
concentrazioni di imprese di piccole-medie dimensioni altamente specializzate che si
dividono tra loro il lavoro. Tutto i fenomeni che avvengono in quegli anni sono i precursori
della fase che ancora oggi stiamo vivendo, la globalizzazione. I distretti industriali sono
arrivati fino ad oggi e sono ancora una parte importante per l’economia, in alcuni paesi (es.
America) si diffondono i cluster tecnologici che sono sempre delle aggregazioni. La grande
impresa entra in crisi e per questo si riorganizza in senso più flessibile e da vita alle grandi
catene del valore su scala globale. Oggi per distinguere queste imprese da quelle
multinazionali del periodo fordista tendiamo a chiamarle imprese multinazionali globali. La
rade impresa si trasforma e, diventando più flessibile, contribuisce alla formazione di una
nuova geografia della produzione su scala globale che vede anche cambiare i ruoli dei diversi

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paesi. Subito dopo i primi anni del 1970 le città vanno in declino per poi assestarsi, oggi dalle
città le grandi industrie sono scomparse lasciando spazio al settore terziario (i servizi).

L’ULTIMA FASE DELLA GLOBALIZZAZIONE DALLA CRISI DEL 2008 AL 2019


Quarta rivoluzione industriale;
● Rallentamento crescita del commercio internazionale;
● Stagnazione degli investimenti diretti esteri;
● Fenomeni di reshoring/nearshoring = imprese che avevano delocalizzato in paesi a
basso costo del lavoro, fanno rientrare parte della produzione nella madre patria o le
avvicinano;
● Sostenibilità dei sistemi produttivi.

SEGNALI DI «RALLENTAMENTO» DEL PROCESSO DI GLOBALIZZAZIONE


Alcuni studiosi parlano di:
- De-globalizzazione (Antras, 2020; Pegoraro et al., 2020);
- Slowbalisation (The Economist, 2019);
- Riorganizzazione dell’organizzazione della produzione internazionale (UNCTAD,
2020).

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