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SOCIOLOGIA DELL’INNOVAZIONE ECONOMICA

(Francesco Ramella)

Introduzione. Gli “innovation studies”

1. Un campo di ricerca interdisciplinare


Il tema dell’innovazione è stato considerato solo recentemente dal punto di vista dell’economia. È
solo all’inizio del ‘900 che Schumpeter tratta la questione dell’innovazione in modo organico e la
mette in relazione con lo sviluppo economico. I suoi studi vengono ripresi negli anni Cinquanta e
Sessanta e di nuovo negli anni Ottanta con la pubblicazione di un lavoro di Nelson e Winter, il
quale segna la nascita di un approccio evolutivo all’economia come alternativa alle teoria
neoclassica della crescita economica. Ciò è dato dal fatto che l’innovazione non è comprensibile
utilizzando le consuete categorie analitiche: i comportamenti innovativi sono segnati da intuizioni
e scelte operate in condizioni di profonda incertezza che rendono poco appropriati i calcoli
probabilistici e massimizzanti dell’attore razionale. Le motivazioni non sono esclusivamente
utilitaristiche e fiducia e cooperazione ricoprono un ruolo fondamentale.
A livello internazionale gli Innovation Studies si stanno configurando come un campo di ricerca
emergente e interdisciplinare. Gli studiosi europei compongono la stragrande maggioranza (71%).

2. Il contributo della sociologia


Gli IS rappresentano un nuovo ambito scientifico che si sta affermando a livello internazionale,
incentrato su un tema di ricerca particolare (l’innovazione), condiviso da ricercatori appartenenti a
una pluralità di discipline. Il ruolo della sociologia in questo ambito di ricerca si evince dai
contributi pionieristici. Essi, infatti, sono in gran parte contributi sociologici.
1) 1922 – Ogburn  mutamenti tecnologici al centro della sua riflessione sul cambiamento
sociale.
2) 1954 – Coleman, Katz, Menzel  processo di diffusione di nuovi farmaci in campo medico
(adozione di un nuovo antibiotico ad ampio spettro da parte dei medici di quattro piccole
città dell’Illinois). Si evidenzia l’importanza delle reti di comunicazione interpersonale, il
ruolo degli opinion leader, la diffusione delle novità tramite contagio sociale.
3) 1962 – Rogers  “Diffusion of Innovation”. La diffusione dell’innovazione segue sempre
una curva a S dei tassi di adozione.
4) Sociologia industriale e dell’organizzazione.
a. 1965 Woodward  relazione esistente tra tecnologi impiegate, organizzazione del
lavoro e prestazioni economiche delle imprese
b. 1961 Burns, Stalker  contrapposizione tra organizzazione del lavoro meccanica
(gerarchica/centralizzata) e organica (orizzontale/complessa). La seconda permette
fluidità nella comunicazione interna ed esterna e favorisce la creatività, l’innovazione e
l’adattamento ai mutamenti del mercato.

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3. Una prima definizione
Innovazione = mutamento di uno stato di cose esistente al fine di introdurre qualcosa di nuovo.
Ci riferiamo, quindi, all’azione e al risultato che implicano una contestualizzazione e una
comparazione diacronica.
 L’innovazione è processuale  attività complessa divisa in 6 fasi.
1) Individuazione di un problema/bisogno
2) Decisione di fare ricerche per risolvere la situazione
3) Sviluppo dell’innovazione
4) Commercializzazione (produzione+distribuzione)
5) Adozione e diffusione
6) Conseguenze dell’innovazione
Queste fasi non sono da interpretare come un modello rigido e consequenziale, possono
sovrapporsi o non esserci. L’innovazione ha, infatti, una dimensione circolare e ricorsiva.
 L’innovazione è relazionale  è relativa poiché va posta in relazione a un periodo e a un
contesto; si avvale del contributo di altri soggetti nella fase generativa e attuativa; deve
essere accettata e diffondersi passando attraverso la mediazione di relazioni interpersonali.
 L’innovazione è diversa dal cambiamento  il cambiamento è più generico e può non
riferirsi all’introduzione di qualcosa di nuovo.
 L’innovazione è diversa dalle invenzioni  inventare = concepire un nuovo prodotto o
processo; innovare = mettere in pratica queste idee. Il confine tra i due concetti non è
sempre facilmente tracciabile.
 L’innovazione non sempre porta risultati positivi  le innovazioni possono essere
soggette a fallimenti tecnologici, sociali ed economici e riportare risultati inattesi e non
necessariamente benefici.

4. L’innovazione economica
Nelle scienze sociali esistono due accezioni del termine “economia”.
1) Accezione formale  si basa sul criterio di razionalità e scarsità delle risorse. Si incorre
nella fallacia economicistica: l’utilitarismo è alla base di una sola era, quella del capitalismo
liberale.
2) Accezione sostanziale  più ampia, tipica della sociologia. L’uomo dipende dalla natura e
dagli altri uomini per la sua sopravvivenza e la soddisfazione del propri bisogni.
Da ciò possiamo derivare una definizione.
Innovazione economica = processo istituzionalizzato di cambiamento che introduce elementi di
novità economica: nei bisogni che vengono soddisfatti, nei beni e servizi che vengono prodotti e nei
modi di produzione, distribuzione e uso di essi.
Non si limita al cambiamento tecnologico:
innovazione tecnologica + bisogni di mercato + pratiche organizzative + fattori sociali

I tipi di innovazione
“Il Manuale di Oslo” guida la raccolta dei dati sulle innovazioni nelle indagini condotte all’interno
dell’UE. Esso sancisce 4 tipi di innovazione.
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1) Innovazioni di prodotto (bene o servizio)
2) Innovazioni di processo (modi di produzione di beni e servizi)
3) Innovazioni organizzative (organizzazione delle attività aziendali)
4) Innovazioni di marketing (design, packaging, modalità di promozione, determinazione dei
prezzi)
Ogni cambiamento di questi ambiti può presentare diversi gradi di novità:
 le innovazioni incrementali sono quelle riferite alla produzione o all’uso di un determinato
prodotto (es. continui cambiamenti nei PC in commercio);
 le innovazioni radicali comportano la riconfigurazione dello stato delle conoscenze e
competenze fino a quel momento utilizzate e possono creare nuovi mercati (es.
introduzione del PC sul mercato).
 Quando a cambiare sono le relazioni tra i componenti si tratta di innovazioni architetturali
(es. crollo delle vendite per la Xerox quando aziende concorrenti fabbricano macchine
fotocopiatrici più piccole e pratiche).
A fianco delle innovazioni tecnologiche vanno considerati anche i cambiamenti di più ampia
portata:
 I mutamenti di sistema tecnologico sono cambiamenti molto estesi che investono più
settori economici e vedono l’introduzione di una costellazione di innovazioni
interconnesse, alcune di tipo radicale, altre incrementali e altre ancora di tipo organizzativo
(es. nuove tecniche di produzione di materiali sintetici nel Novecento);
 I mutamenti di paradigma tecnico-economico sono cambiamenti ancora più vasti che
modificano l’intero sviluppo economico (es. rivoluzione industriale derivata
dall’introduzione della macchina a vapore).

I. Innovazione e cambiamento sociale

1. Capitalismo, società e innovazione


La sociologia nasce nel corso dell’Ottocento occupandosi proprio del cambiamento sociale e della
società capitalistica. Il dinamismo del capitalismo è legato alle novità introdotte nei modi di
produzione e di consumo. Di seguito le riflessioni fondamentali sull’innovazione economica.

2. Adam Smith e la divisione del lavoro


1776 – “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni”.
La ricchezza di una nazione non è altro che il rapporto tra la quantità di beni prodotti in un anno
(beni prodotti all’interno + beni acquisiti dall’esterno) e la quantità di persone che li deve
consumare.
La quantità di beni prodotti (capacità produttiva) dipende a sua volta dalla quota di lavoratori sul
totale della popolazione e dalla produttività dei lavoratori stessi.
La produttività dei lavoratori dipende dalla divisione del lavoro.
La divisione del lavoro genera 3 tipi di vantaggi:
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1) Aumenta la destrezza  il lavoratore si specializza in una sola attività
2) Riduce il tempo necessario  non si passa da un compito ad un altro
3) Facilita l’invenzione di nuove macchine  secondo Smith gran parte delle nuove macchine
sono state inventate dai lavoratori per ridurre le proprie fatiche. Le innovazioni
incrementali più semplici derivano dagli utilizzatori delle macchine, le innovazioni
incrementali più complesse dai costruttori e le innovazioni radicali dai “filosofi”, cioè
personaggi che per professione osservano ogni cosa e non producono fisicamente.

Dalla riflessione di Smith emergono due meccanismi generativi delle innovazioni:


 Processo incrementale basato sulla divisione del lavoro: miglioramenti graduali introdotti
dal lavoratori impegnati fisicamente nelle attività produttive e frutto di una forte
specializzazione.
 Processo discontinuo e radicale basato sull’uso di conoscenze teoriche: innovazioni di
maggiore portata che provengono da lavoratori intellettuali che combinano saperi ampi e
diversi.

Si evince, quindi, che il vero motore del cambiamento non è tanto la specializzazione quanto la
capacità di combinare saperi diversi e distanti tra loro (è un’anticipazione delle riflessioni di
Schumpeter).

Riassumendo:
- Alla base dell’innovazione c’è la divisione del lavoro: nessun determinismo tecnologico,
tutto dipende dalle modalità di organizzazione sociale ed economica del processo
produttivo. Anche le differenze di ingegno personale derivano dai diversi ruoli professionali
e non tanto dalle caratteristiche personali.
- La divisione del lavoro, a sua volta, si afferma progressivamente con l’evoluzione sociale e
con l’ampliamento del mercato. Tali sviluppi sono dovuti, ancora una volta, a fattori socio-
istituzionali: capitalismo, ampliamento delle vie di comunicazione e trasporto…
È una visione poco economicista dell’innovazione: Smith formula un’analisi che tiene insieme
economia e società.
A differenza dei suoi successori, però, egli non intravede il carattere contraddittorio del processo:
secondo Smith la maggiore ricchezza creata dalla divisione del lavoro si distribuisce anche ai ceti
inferiori, creando consenso sociale.

3. Tra conflitto e consenso: Marx e Durkheim


L’idea di Smith viene contestata radicalmente dalle teorie contrapposte di Marx (teoria del
conflitto) e Durkheim (teoria dell’ordine sociale).

Karl Marx
È profondamente consapevole del carattere innovativo del capitalismo ed è un attento
osservatore della tecnologia: avverte che l’aumento della capacità produttiva del capitalismo è

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strettamente connesso al progresso scientifico-tecnologico: le nuove forze produttive influenzano
il modo di produzione che a sua volta modifica i rapporti sociali.
Queste riflessioni non sono, però, da leggere come un determinismo tecnologico, infatti:
- Le forze produttive non coincidono con gli strumenti tecnici ma includono anche la forza
lavoro.
- Il cambiamento tecnologico non gioca alcun ruolo nell’origine del capitalismo. Infatti il
capitalismo prende avvio con la nascita della manifattura, che consisteva in una estensione
della bottega: nessuna innovazione tecnologica ma solo una innovazione organizzativa.
Nella manifattura, l’incremento della produttività è dovuto solamente al coordinamento
degli operai e alla loro crescente specializzazione unilaterale. Accanto agli operai
specializzati si formano schiere di operai senza alcuna abilità. Il costo di formazione è molto
basso in entrambi i casi. Inizia così un processo di svalorizzazione della forza lavoro che va
di pari passo con una crescente valorizzazione del capitale.
Con l’introduzione delle macchine e l’applicazione della scienza al processo produttivo si
passa alla grande fabbrica: in questa fase abbiamo un’innovazione di processo.
Solo nella seconda fase troviamo l’innovazione tecnologica.
Il processo di meccanicizzazione crea un conflitto con il proletariato, che entra in diretta
concorrenza con la macchina. La lotta proletaria non fa che stimolare un’ulteriore
meccanicizzazione per ridurre ulteriormente il potere della manodopera.

Da questo ragionamento si evince che:


- L’innovazione economica non coincide e non si esaurisce nel cambiamento tecnologico.
- Le origini del capitalismo non sono determinate dalle innovazioni tecniche ma dalla
trasformazione complessiva dei rapporti di produzione.
- Le innovazioni non sono frutto dell’operato di singoli individui ma di processi sociali
complessi.
- Tra economia e tecnologia c’è interazione reciproca e molteplici effetti di retroazione.
- L’innovazione tecnologica ed economica può creare dinamiche di conflitto.
- La divisione del lavoro genera una dequalificazione degli operai e una conseguente
alienazione che ostacola le capacità creative.

Émile Durkheim – “La divisione del lavoro sociale”


La divisione del lavoro ha, in teoria, una valenza positiva per la coesione sociale.
Nelle società antiche esisteva una solidarietà meccanica: basata sulla somiglianza dei membri del
gruppo e su una coscienza collettiva che, oltre ai valori comuni, prescriveva dettagliate norme di
comportamento.
Nelle società moderne, dove si afferma la divisione del lavoro, abbiamo una solidarietà organica
basata sulla differenziazione degli individui che, specializzandosi in attività diverse, si rendono
indispensabili gli uni agli altri. La coscienza collettiva è meno forte e gli individui sono più liberi di
scegliere le norme di azione.
Durkheim riconosce che la divisione del lavoro aumenta il rendimento mettendo a disposizione più
risorse e di migliore qualità e da ciò gli economisti hanno dedotto che la divisione del lavoro derivi
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dal desiderio degli uomini di migliorare il proprio benessere materiale e la propria felicità. Egli,
però, obietta che il mutamento non coincide sempre con il progresso e che l’aumento dei piaceri
non comporta necessariamente una maggiore felicità. È, infatti, necessaria una regolazione sociale
dei desideri e dei modi per soddisfarli. La coesione morale e la regolazione collettiva sono carenti
nelle società industriali.

La divisione del lavoro per produrre progresso deve quindi:


- associarsi a solidarietà e giustizia sociale. Sono, quindi, necessarie adeguate basi di
consenso e la divisione del lavoro non deve essere coercitiva (non deve costringere
l’individuo a lavorare sotto le proprie capacità);
- associarsi a una adeguata qualificazione, coordinamento e motivazione dei lavoratori.
L’operaio deve essere consapevole e collaborare con le altre parte del sistema produttivo.
In determinate situazioni, infatti, l’insieme degli individui coinvolti in intense relazioni
sociali può innescare un momento di effervescenza collettiva, mettendo in grado il gruppo
di creare qualcosa di nuovo e di potenziare la propria azione.

Marx e Durkheim concordano su alcuni punti in riferimento alle tesi di Smith:


1) la divisione del lavoro non determina necessariamente un aumento del benessere
personale e collettivo (non tutte le classi sociali ne beneficiano/la ricchezza materiale non
corrisponde alla felicità);
2) la divisione del lavoro ha un lato oscuro: genera conflitto;
3) un’eccessiva specializzazione del lavoro tende a impoverire anziché arricchire la
qualificazione professionale, riducendo la capacità innovativa.

4. Gli innova-attori: Simmel, Sombart e Weber


Si concentrano in particolare sulla figura dell’imprenditore.

Simmel
Gruppi etnici, sociali e religiosi oppressi e relegati ai margini della società (ebrei e stranieri), non
potendo ottenere prestigio attraverso percorsi professionali legittimi, si dedicano ad attività
considerate dalla comunità (di cui essi non fanno pienamente parte) moralmente dubbie: affari,
commercio estero, prestito di denaro. Il possesso di denaro li rende ricercati e indispensabili e
permette loro di ottenere un riconoscimento sociale. è proprio l’attività commerciale a consentire
di venire in contatto con idee diverse e di provare “nuove combinazioni” precluse al resto della
società.

Sombart
Si concentra sui migranti: chi decide di migrare è solitamente più capace, volitivo e audace rispetto
agli altri appartenenti alla comunità. Sono due le dimensioni che mettono il migrante in condizioni
di innovare:
1) Dimensione socionormativa: le norme sociali, sia della comunità di origine che della
comunità di arrivo, sono meno vincolanti.
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2) Dimensione sociocognitiva: la sua collocazione tra i due mondi consente di costruire ponti
tra di essi.
Da queste due dimensioni derivano due meccanismi dell’innovazione economica:
a. Marginalità: le nuove imprese piccole e marginali sono più disponibili a cogliere
l’opportunità innovazione poiché hanno meno fattore di inerzia rispetto alle grandi
aziende.
b. Intermediazione: collocarsi al confine di diverse cerche sociali ed economiche consente di
introdurre nuove combinazioni mettendo a frutto idee provenienti da mondi diversi.

Weber
Il capitalismo moderno si fonda su tre capisaldi:
1) Calcolo razionale del capitale
2) Ordinamento nazionale prevedibile
3) Perenne rinnovamento della tecnica e impiego della scienza come fattore produttivo
Nelle società antiche erano già esistite forme di capitalismo ma senza progresso tecnologico.
Nell’era moderna questi due fattori procedono di pari passo grazie al “disincantamento” del
mondo”: la razionalizzazione religiosa e culturale che ha permesso l’applicazione della ragione alla
comprensione dei fenomeni naturali.
Ma ciò che contraddistingue maggiormente in capitalismo occidentale è la presenza di un’etica
economica razionale orientata all’innovazione: nasce una borghesia imprenditoriale per la quale
l’orientamento al profitto e all’accumulo diventano un dovere professionale. Si tratta di un’etica
sociale che legittima il guadagno e spinge verso comportamenti acquisitivi, innovativi che si
distanziano dalla tradizione.
I due aspetti fondamentali della riflessione weberiana sono:
1) Origini ascetico religiose di questa etica economica.
Weber esplora il nesso tra l’etica protestante e lo spirito del capitalismo.
- Il protestantesimo e il calvinismo inducono i fedeli a una costante razionalizzazione
etica della condotta
- I fedeli operano un controllo metodico del loro stato di grazia mediante l’impegno
attivo nelle attività professionali (ascesi intramondana = l’impegno nel mondo è
per glorificare Dio)
- Dal successo negli affari ottengono la conferma del loro stato di elezione: la
certezza di essere predestinati da Dio alla salvezza eterna (Predestinazione =
ricercano nella lotta quotidiana la certezza della loro salvezza)
Weber individua quindi l’origine religiosa del capitalismo: un’etica sociale utilitaristica che
non ha fini edonistici ma si pone al servizio del guadagno di denaro come scopo in se
stesso.
2) Rottura con la tradizione economica.
La sacralizzazione del passato e della consuetudine viene meno e il tradizionalismo
economico, rinforzato da elementi magici, che si opponeva all’innovazione viene meno
grazie al processo di razionalizzazione innescato dalle religioni universali. Tutto ciò non

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avviene senza resistenze: i borghesi innovatori dovevano avere un grande carisma e
capacità di leadership.

Finita questa fase, l’abbandono progressivo di questa radice religiosa dell’uomo economico
moderno tende a creare problemi al capitalismo: libera il conflitto delle classi sotto-privilegiate e
inaridisce le fonti etico-motivazionali dell’imprenditorialità borghese. È possibile che prevalga una
mentalità burocratica meno avvezza al rischio e all’innovazione.

5. Schumpeter e l’economia dell’innovazione


L’analisi economica tradizionale, che vede la vita economica come un flusso circolare basato su
routine e consuetudini consolidate, considera i cambiamenti negli stati di equilibrio come fattori
esogeni all’economia. Schumpeter sostiene, invece, che il carattere dinamico del capitalismo vada
spiegato con fattori endogeni: lo sviluppo avviene sul piano tecnologico e organizzativo mediante
un cambiamento industriale che rivoluziona dall’interno la struttura economica.

Le innovazioni:
- Assicurano un profitto economico di natura transitoria: le novità vengono presto imitate
- Si concentrano in particolari settori
- Tendono ad apparire a grappoli (cluster)  innovazioni collegate tra di loro si alimentano a
vicenda
- Hanno un carattere ciclico
- Sono legate alla nascita di nuove imprese/nuovi uomini alla guida di vecchie imprese
L’imprenditore/innovatore:
- Non è solamente un amministratore dell’azienda
- Non è il proprietario del capitale (esiste il sistema creditizio che permette l’investimento
nelle innovazioni)
- Non è un inventore ma è colui che introduce le invenzioni nella sfera economica
- Le logiche imprenditoriali non sono utilitaristiche e massimizzanti: all’imprenditore
mancano le informazioni necessarie per applicare una valutazione razionale dei costi e dei
benefici del proprio comportamento, poiché esso si allontana dalle routine.
- Ha particolari caratteristiche psicologiche: volontà di vincere, di raggiungere il successo in
quanto tale.
Schumpeter, oltre alle caratteristiche personali dell’imprenditore, pone, comunque, attenzione al
contesto socio istituzionale e alle relazioni tra gli attori: lo sviluppo influenza a sua volta le logiche
della competizione e dell’innovazione. Distingue, infatti, due tipi di capitalismo:
 Capitalismo concorrenziale  le innovazioni sono introdotte da imprenditori individuali:
nuovi uomini a capo di nuove imprese (tipico imprenditore industriale dell’Ottocento)
 Capitalismo trustificato  l’innovazione è frutto dei laboratori R&S delle grandi aziende
oligopolistiche (USA, a partire dal ‘900). In questo scenario la competizione è ristretta a
poche grandi aziende nelle quali la proprietà si separa dalla direzione (manager) e la
funzione imprenditoriale perde i tratti personali.

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Ciò che può condurre alla crisi del capitalismo è proprio questa burocratizzazione dell’innovazione
con cui la classe dominante va a perdere gran parte della sua legittimazione sociale. L’azienda
gigante soppianta la piccola e media impresa e fa perdere alla borghesia il reddito e ancor peggio,
la sua posizione.

6. I modelli di capitalismo
La political economy è un filone di studi che analizza la reciproca influenza tra fenomeni
economici, sociali e politici e i loro modi di regolazione in differenti contesti istituzionali.
Esistono diversi modelli di capitalismo che si differenziano in base alla regolazione di una serie di
attività economicamente rilevanti, differenze dovute ai diversi assetti istituzionali, politici e sociali
dei paesi.
Esistono due modelli idealtipici di capitalismo contemporaneo:
 Modello anglosassone, cioè le economie di mercato liberali (USA, Gran Bretagna), che si
contraddistinguono per il maggior spazio accordato al mercato nella regolazione
dell’economia.
 Modello renano, cioè le economie di mercato coordinate (Germania, Giappone, molti stati
europei), nelle quali l’azione congiunta delle istituzioni politiche ed economiche e delle
organizzazioni tende a limitare i meccanismi di mercato e a disegnare sistemi di protezione
sociale più estesi ed inclusivi.
Gli incentivi forniti dalla cornice istituzionale orientano le imprese a produrre certi beni, a
specializzarsi in certi settori e a innovare in un certo modo.
Le economie coordinate agevolano l’innovazione incrementale, tipiche di settori slow-tech, come
l’industria meccanica, dei mezzi di trasporto, dei beni di consumo durevoli. Il sistema di
finanziamento è basato sulle banche, “capitale paziente”, che valuta nel lungo termine i risultati
delle aziende.
Le economie liberali, invece, agevolano l’innovazione radicale e i settori fast-tech come
biotecnologie, informatica e telecomunicazioni. In questo caso il sistema di finanziamento è basato
sulla borsa e sul capitale di rischio, cioè “capitale poco paziente”, interessato ai risultati nel breve
periodo.

Recentemente si sono sviluppati alcuni sviluppi anomali: sono comparse start-up di alta tecnologia
in Europa. Ciò può avvenire perché le dinamiche innovative variano sì per il contesto socio-
politico, ma anche da settore a settore. Il problema si risolve se notiamo che le nuove politiche
messe in atto nelle economie coordinate hanno creato incentivi per la nascita di imprese di alta
tecnologia in Europa e queste si sono poi naturalmente orientate verso i settori più compatibili
con l’assetto istituzionale del modello renano.
Gli assetti istituzionali, quindi, non vanno considerati immutabili e va tenuta in considerazione
l’azione intenzionale degli attori.
Le aziende, infatti, non sono solo rule-takers ma anche rule-makers: esse hanno l’autonomia di
prendere le proprie decisioni strategiche e organizzative all’interno.
I principali tipi di processi legati al problem-solving sono due:
1) Processi analitici = applicabili quando le problematiche e i risultati possibili sono ben noti.
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2) Processi interpretativi = appropriati quando né le alternative né i risultati possibili sono
conoscibili in anticipo: le soluzioni vanno cercate nell’ambito dell’innovazione. L’attività di
scoperta di soluzioni avviene tramite conversazioni interpretative, cioè scambi comunicativi
aperti al contributo di una pluralità di soggetti e trasformandosi in organizzazioni
eterarchiche.
L’eterarchia si pone come una strategia di organizzazione della dissonanza per sfruttare
l’intelligenza distribuita nelle organizzazioni senza sopprimere la presenza di criteri diversi di
azione e valutazione che, anzi, servono a creare nuove combinazioni produttive e quindi per
innovare. In questo caso, la funzione imprenditoriale non si colloca su un individuo ma nei punti di
contatto tra le varie reti e gruppi di lavoro.

7. Le reti innovative
Negli ultimi anni sono cresciuti i rapporti di collaborazione tra gli attori economici e le imprese, per
adattarsi ai rapidi cambiamenti e alla crescente competizione internazionale, sono diventate
sempre più dipendenti da risorse esterne. Specialmente nel campo della ricerca e dell’innovazione
si sono moltiplicate le partnership interorganizzative. Questo fenomeno ha attirato l’attenzione
degli studiosi, i quali hanno applicato la network analysis allo studio dei fattori socioeconomici.

L’azione economica è radicata all’interno di relazioni sociali tra attori individuali o collettivi. Le reti,
però, non sono tutte uguali: si differenziano a seconda delle relazioni tra gli attori.
 Informali (conoscenza personale, appartenenza alla stessa comunità) o formali (regolata da
un contratto)
 Di lunga o breve durata
 Composte da attori individuali oppure collettivi
 Con obiettivi specifici o con una connotazione più indefinita
 Avere natura transazionale o anche relazionale
 Possedere modalità di governance diverse
 Presentare una configurazione più o meno chiusa

Gli studi affermano che esiste un rapporto tra reti e innovazione:


 Emerge una relazione positiva tra reti di collaborazione e innovazione. Si tratta di un circolo
virtuoso: le aziende che instaurano relazioni con attori esterni ne migliorano le prestazioni
innovative e ciò alimenta ulteriori collaborazioni.
 Non emerge un nesso univoco tra il tipo di legami, la posizione nella rete e le prestazioni
innovative.
Per comprendere la mancanza di questo nesso presentiamo alcune teorie: la “forza dei legami
deboli” (Granovetter), la “Teoria dei buchi strutturali” (Burt), la teoria di Powell…
o “La forza dei legami deboli” – Granovetter
I legami forti fanno riferimento a soggetti con cui esiste un rapporto di familiarità e
confidenza, i legami deboli indicano rapporti di minore intensità comunicativa e affettiva.
I risultati delle indagini dimostrano che sono più importanti i legami deboli per raccogliere
informazioni utili alla ricerca di un nuovo lavoro. Parenti e amici appartengono alla stessa
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area di informazione e difficilmente riescono a fornirgli informazioni nuove. Dal punto di
vista dell’innovazione, i legami deboli diffondono meglio nuove informazioni e idee mentre
i legami forti rafforzano la fiducia e fanno circolare idee già note che si stabilizzano e
diventano idee normative ostacolando così i comportamenti innovativi. Ciò non toglie che
possano contribuire all’istituzionalizzazione di un’innovazione.
o “Teoria dei buchi strutturali” – Burt
Le relazioni sociali tendono ad agglomerarsi attorno a cluster (=grappoli) di individui che
hanno relazioni intense e frequenti tra loro. I cluster sono “isole di opinione” e formano
una barriera rispetto alle idee divergenti.
Nella struttura sociale possono esistere disconnessioni (=gap relazionali) ovvero una
mancanza di rapporto tra cluster, che si isolano gli uni dagli altri. Questi gap relazionali
configurano dei buchi strutturali che ostacolano il flusso di informazioni ma che creano
opportunità imprenditoriali: gli individui (broker) che si collocano in questi spazi possono
fruire di fonti di informazioni non ridondanti e possono controllare il flusso di informazioni
tra i cluster.
o Collaborazioni interorganizzative – Powell
Le collaborazioni interorganizzative offrono un grande vantaggio innovativo alle imprese.
- L’efficacia della partnership dipende molto dalla fiducia e dalla capacità di
apprendere nuove conoscenze
- La capacità di apprendimento dalle relazioni esterne è condizionata dalle risorse
interne, in termini di conoscenze e competenze tecniche.
o Diffusione delle innovazioni – curva ad S del tasso di adozione
L’adozione delle innovazioni e la loro diffusione dipende dai rapporti interpersonali e dalla
conformazione della struttura sociale.
I ritmi di adozione seguono una caratteristica forma ad S: all’inizio sono pochi ad adottare
l’innovazione ma in seguito, grazie al passaparola, i tassi aumentano sempre più
rapidamente. La curva, infine, si appiattisce perché si riduce il numero di individui che non
l’ha ancora adottata.
o Diffusione delle informazioni
- I legami forti sono più adatti a veicolare conoscenze tacite, complesse e
interdipendenti; i legami deboli sono più adatti per le conoscenze codificate e le
informazioni non ridondanti.
- Nei settori slow-tech sono più rilevanti i legami forti, nei settori high-tech quelli
deboli.
- Per quanto riguarda l’innovazione, è necessario per le imprese avere legami forti
all’interno e molti legami deboli all’esterno.
In ogni caso, la rilevanza delle reti è contingente e contestuale: la loro presenza ed efficacia
dipende da una pluralità di fattori sociali e istituzionali.

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II. Inventori e creatività

1. Geni o burattini?
Esistono due approcci diversi all’analisi dei protagonisti delle innovazioni:
1) una concezione individualista, che tende ad attribuire valore a soggetti particolarmente
creativi;
2) una concezione olista, che attribuisce un peso quasi esclusivo alle condizioni di contesto
che determinano l’emergere delle innovazioni.
La legge di Lotka sembra confermare la prima ipotesi: gran parte della produzione scientifica
dipende da pochi uomini  legge dell’inverso dei quadrati della produttività scientifica (su 100
scienziati, 60 scrivono un solo articolo, 15 ne hanno due, 7 ne hanno tre…)
Alcuni aspetti della personalità sicuramente influiscono sul processo creativo, ma non bisogna
dimenticare di prendere in esame il contesto.

2. Sulle spalle di giganti


La figura dell’inventore non è mai stata analizzata approfonditamente. Ciò è dovuto al fatto che, a
partire dal fordismo, siamo davanti al declino degli inventori indipendenti: team di ricerca, crescita
del sapere codificato, procedure standard di valutazione di costi e benefici dei progetti,
routinizzazione della ricerca.
La figura sociale e professionale dell’inventore nasce nell’Ottocento con la rivoluzione industriale e
con l’istituzionalizzazione di un mercato delle scoperte tecnologiche. Tutte queste innovazioni
tecnologiche non avvengono ovunque, ma solo in determinati contesti e non sono frutto di
individui isolati. Allo stesso tempo, però, non possono essere create da chiunque ma solo da
particolari soggetti con certe competenze e determinazione. Molte invenzioni, anche se prodotte
da un solo individuo, discendono da uno sforzo anche collettivo.

3. La scoperta degli inventori


L’emergere degli inventori, nell’Ottocento, come ceto autonomo che segue una logica auto
imprenditoriale si basa sull’istituzionalizzazione di un vero e proprio mercato delle innovazioni
tecnologiche reso possibile dalla creazione dei brevetti. Prima di questo, molto spesso, gli
inventori erano lavoratori che poi non riuscivano a sfruttare in modo adeguato le proprie scoperte.
L’incertezza sulla possibilità di godere dei benefici derivanti dalle invenzioni, spingeva i dipendenti
a non rivelare le scoperte, nel timore che a sfruttarle fossero esclusivamente i datori di lavoro.
La legislazione inglese in questo senso è la più antica ma bisogna aspettare la seconda metà
dell’Ottocento perché i costi dei brevetti si abbassino e siano accessibili anche alle classi più basse.

Il sistema brevettuale americano era più semplice e aveva costi più bassi. Infatti, il numero di
brevetti procapite supera quello della Gran Bretagna e l’estrazione sociale degli inventori è
diversificata.

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La crescita delle transazioni tecnologiche fa sì che si sviluppi tutta una serie di figure professionali
specializzate in materia di brevetti: giornalisti e testate dedicate, avvocati specializzati, agenzie di
consulenza e d’intermediazione.
Nella prima metà dell’Ottocento gli inventori spesso sfruttavano le proprie scoperte, fondando
nuove aziende; in seguito si assiste a una crescente professionalizzazione della figura
dell’inventore che si dedica alla commercializzazione dei propri brevetti.

Con l’inizio del Novecento, anche negli USA, comincia il declino degli inventori indipendenti. Essi
cominciano ad affiliarsi in esclusiva e con rapporti di lunga durata alle imprese e aumenta il
numero degli inventori dipendenti. Da questo momento le imprese sentono il bisogno di vincere la
concorrenza tramite apparati di R&S e si dotano di grandi laboratori industriali (Es. General
Motors, General Electric, IBM…).
Ma la ricerca scientifica viene svolta anche all’interno delle università e di altre grandi strutture di
ricerca, private e pubbliche e la conoscenza viene concettualizzata dagli economisti come un puro
“bene pubblico”, determinato elevati costi di produzione e bassi costi di riproduzione e diffusione
che, quindi, mal si presta a seguire regole di mercato.
Ciò porta a una chiara divisione di ruoli tra:
 Comunità scientifica  collocata nelle università e mossa da incentivi di reputazione,
promuove la conoscenza pubblica e la libera circolazione dei risultati della ricerca.
 Comunità dei tecnologi  collocata nelle aziende private e mossa da incentivi economici,
tende alla segretezza e alla tutela brevettuale delle invenzioni.
Con la diffusione dei grandi laboratori industriali sorge la necessità di regolare i rapporti con i
dipendenti: le scoperte fatte durante l’orario di lavoro devono essere di proprietà dell’azienda. In
quel periodo, la vera difficoltà era proprio quella di gestire le menti creative all’interno
dell’impresa. L’imprenditore deve convincere la mente creativa che una collaborazione leale con
l’impresa è meno rischiosa e che, comunque, offre loro buone possibilità economiche.
All’inizio del Novecento, la ricerca tecnologica diventa sempre più capital intensive e questo
garantisce un vantaggio competitivo alle grandi imprese. Esse attraggono gli inventori indipendenti
che vedono nell’azienda la possibilità di proseguire le proprie ricerche e attraggono anche i
finanziatori che si sentono maggiormente tutelati rispetto all’investimento in singoli progetti ad
alto rischio di fallimento.

La crescita di questi laboratori industriali porta comunque delle controindicazioni:


 Burocratizzazione della ricerca  riduce la capacità di fare scoperte innovative e di
metterle in pratica (Xerox aveva inventato il pc, ma il management aveva ritenuto non
fosse un'invenzione utile per il mercato)
 Stretto controllo costi-benefici
In generale, l’innovazione radicale spesso proviene dalle piccole e medie imprese, mentre
l’innovazione incrementale dalle grandi imprese, che svolgono attività di miglioramento su proditti
già esistenti.

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Con il postfordismo abbiamo un ritorno all’inventore indipendente o alla piccola e media impresa
specializzata che vende i diritti delle proprietà intellettuali. A ciò corrisponde un nuov
orientamenti degli studi in questo campo, che si focalizzano sulla trasmissione delle informazioni e
sull’agglomerazione territoriale delle imprese.
Oggi, la creazione e l’apprendimento di nuove conoscenze vengono visti come processi collettivi,
basati sull’interazione tra impresa e università. I confini che separavano la comunità scientifica da
quella dei tecnologi vengono meno.

In conclusione:
dall’imprenditore innovatore  grande impresa innovatrice  sistemi sociali e territoriali
dell’innovazione

4. Psicologia della creatività


Creatività = capacità, individuale o di gruppo, di sviluppare soluzioni originali che possono risultare
utili o influenti.
Ci sono vari approcci allo studio della creatività:
a. Gestalt
La psicologia della forma (gestalt) dedica attenzione all’aspetto dell’intuizione (insight),
considerandola una risposta adattiva a stimoli considerati inusuali.
Esistono, infatti, due stili di pensiero usati in condizioni diverse:
 Pensiero riproduttivo: modo di pensare che applica procedure di risoluzione già
sperimentate in passato. Si applica a problemi di routine.
 Pensiero produttivo: ragionamento creativo. Si applica ai problemi insoliti. L’insight
fa parte del pensiero produttivo ed è definibile come un fenomeno di
apprendimento improvviso e discontinuo.
b. Psicoanalisi (’10)
Nella psicoanalisi la creatività è ricondotta a pulsioni con una forte valenza emozionale per
il soggetto. La creatività è un modo per far fluire i desideri più profondi a livello conscio,
cioè per esprimere i desideri in una forma socialmente accettabile.
c. Guilford (’60)
Inizialmente, gli scienziati cercano di misurare la creatività come il QI ma viene dimostrato
che queste due dimensioni sono indipendenti.
Guildford individua due dimensioni diverse per intelligenza e creatività. I test di intelligenza
colgono il pensiero convergente, cioè una modalità di ragionamento che sfrutta le capacità
logico-razionali della mente umana per trovare la risposta corretta; la creatività, invece, si
basa sul pensiero divergente, che non cerca di trovare una risposta giusta ma la pluralità di
soluzioni potenzialmente valide.
Il pensiero divergente è definito da:
 Fluidità  capacità di generare velocemente un gran numero di idee
 Originalità  capacità di fornire risposte nuove
 Flessibilità  capacità di non rimanere imbrigliati in un unico schema di
ragionamento
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La novità introdotta da Guildford è la convinzione che la creatività possa essere studiata in
soggetti ordinari e non esclusivamente in soggetti “geniali” e, inoltre, egli sostiene che con
appositi percorsi formativi sia possibile migliorare le capacità intellettive, inclusa anche la
creatività.
d. Cognitivismo (’70)
La tesi che cercano di dimostrare è che la creatività emerga dalle normali procedure
mentali utilizzate nelle attività quotidiane.
La creatività:
1) Non è un processo mentale speciale ma implica attività cognitive ordinarie (le quali
portano, però, a risultati straordinari).
2) Non è un tratto distintivo della personalità ma deriva dalla combinazione di capacità
mentali di base.
3) È frutto di un duro lavoro.
4) È specifica di un campo e si associa solitamente a persone bilanciate e di successo nei
loro settori.
I soggetti creativi hanno tratti ricorrenti: interessi ampi, attrazione per la complessità,
elevata energia, indipendenza di giudizio, autonomia, intuizione, autostima, solida
concezione di sé come “creativi”.
e. Dialogo con la sociologia (’80)
Fino a questo punto la creatività era stata studiata come de socializzata e
decontestualizzata quando in realtà l’individuo creativo, anche se lavora da solo, è sempre
in una relazione di influenza con altri soggetti.
Teresa Amabile sostiene che un prodotto è creativo quando gli esperti del settore lo
ritengono tale. Sottolinea, quindi, il carattere consensuale e settorialmente specifico della
creatività.
Il soggetto creativo deve possedere:
- Domain skills  conoscenze e competenze specialistiche.
- Creativity skills  specifiche capacità nel generare nuove idee e nel confrontarsi
con situazioni complesse.
- Task motivations  motivazioni appropriate rispetto all’obiettivo da perseguire,
che dipendono dal contesto e dagli incentivi.
Amabile distingue due tipi di motivazioni: le motivazioni estrinseche sono legate al
raggiungimento di qualche obiettivo o beneficio esterno all’attività, hanno origine dal
contesto; le motivazioni intrinseche sono legate alle gratificazioni specifiche derivanti da
quel compito, hanno origine dall’attività stessa.
f. Approccio socio-culturale
Considera il contesto sociale in cui le persone operano.
Esistono due concezioni diverse di creatività:
 La “grande C”  creatività eminente, rara, con un forte impatto sociale ed
economico. (l’approccio socioculturale si colloca su questo versante)
 La “piccola c”  creatività diffusa, posseduta da tutti gli individui che si dispiega
nella vita di ogni giorno per risolvere problemi ordinari.
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La creatività di un nuovo prodotto non dipende tanto dalle sue qualità intrinseche ma
dall’effetto che esso produce sugli altri. Esso richiedere un riconoscimento pubblico,
fondato sul rapporto tra produttore e audience. La creatività dipende, quindi, anche dal
contesto, che si compone di:
 Dominio  aspetto simbolico culturale
 Campo  aspetto sociale
La creatività si realizza con l’interazione di tre elementi: l’individuo (fonte dell’innovazione),
il campo (esperti del settore creativo, che selezionano le idee ritenute originali e
appropriate) e il dominio (settore in cui le innovazioni, una volta riconosciute come tali,
entrano e vengono diffuse).
Anche la fase cruciale della creazione, l’intuizione (insight), non è un processo isolato. Essa
va analizzata all’interno di una sequenza di stadi che strutturano il processo creativo,
tenendo insieme sia la dimensione intrapsichica che contestuale. Gli stadi della scoperta
sono:
1) Preparazione: attività di studio e ricerca
2) Incubazione: periodo di incubazione della scoperta che si verifica mentre l’individuo si
distacca momentaneamente dal lavoro.
3) Intuizione (insight): momento in cui emerge la nuova idea.
4) Messa a punto: duro lavoro di elaborazione e valutazione della nuova idea per
svilupparla e precisarla.
L’insight è inserito in una narrativa della scoperta e non è unico ma segue altri insight
minori.
L’istruzione formale non ostacola il lavoro creativo ma tanto un deficit quanto un eccesso
di istruzione possono limitare la creatività e rendere convenzionale il modo di pensare
degli individui.

L’innovazione risulta dalla combinazione originale di idee e informazioni diverse e le nuove


combinazioni si avvalgono spesso di metafore e analogie provenienti da attività e settori differenti.
Seguire una molteplicità di progetti aumenta, perciò, la possibilità di cross-fertilization.
Anche le dinamiche creative di tipo collettivo stanno conquistando uno spazio di rilievo in questo
campo di studi. I gruppi più produttivi sono composti da individui che hanno lavorato per un po’
insieme, che condividono convenzioni e conoscenze ma possiedono anche conoscenze
complementari. La varietà di conoscenze risulta più efficace quando si tratta di affrontare
problemi poco conosciuti, mentre l’integrazione e il possesso di conoscenze comuni si adattano
meglio alla risoluzione di problemi più convenzionali.

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III. La sociologia delle invenzioni economiche

1. Sombart, Tarde e Ogburn: il ruolo dell’inventore

Sombart
Le caratteristiche distintive sei sistemi economici emergono da tre elementi:
1) Mentalità economica  insieme degli elementi spirituali che orientano le attività
economiche.
2) Tecnica  insieme dei procedimenti utilizzati per la produzione di beni.
3) Organizzazione del lavoro  ordine a cui sono sottoposte le singole operazioni
economiche.
Sombart sviluppa la riflessione sugli inventori a partire dalla tecnica.
La tecnica assume forme diverse a seconda dell’epoca storica e può essere a base:
- Empirica = fondata su procedimenti tramandati e accettati passivamente
- Razionale = fondata su un esame sistematico dell’adeguatezza dei mezzi rispetto ai fini
- Scientifica = la razionalità dei procedimenti poggia su una spiegazione causale dei fenomeni
naturali a cui viene applicata.
Il tipo di tecnica utilizzata nelle varie epoche si associa a diverse modalità di organizzazione sociale
di lavoro e innovazione:
SISTEMA
Feudale - Artigianale Primo Capitalismo Capitalismo Maturo
ECONOMICO
Seconda metà del XVIII
EPOCA Medioevo Rinascimento-Barocco
sec.
TIPO di TECNICA Tradizionalista Razionalista Scientifico-razionalista
Empirico-organico Empirico-organico. Le Inorganico-meccanica.
Empirica perché si basi sono le stesse ma La sovrabbondanza di
basa sull’esperienza ci si orienta a una invenzioni è dovuta al
pratica; organica ricerca consapevole di mutamento nelle
perché le fonti di mezzi più adeguati per condizioni oggettive e
FONDAMENTO della energia sono animate raggiungere soggettive dell’attività
TECNICA (uomini, animali, determinati fini. È inventiva.*
piante). Questa forma un’epoca pervasa
di organizzazione è dalla volontà di
basata sulla tradizione innovare.
e lascia poco spazio
all’innovazione.
Artigiani: Inventori: Inventori:
- Maestri - Dilettanti - Geni inventivi
- Apprendisti - Di professione (simili al primo
Cominciano a capitalismo)
ATTORI
comparire i primi - Profani
inventori di (inventori
professione che occasionali)
compensano con una - Professionali
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grande creatività la specializzati (di
mancanza di mestiere)
formazione scientifica.

*Perché il capitalismo maturo è così prolifico? La risposta sta nei cambiamenti delle condizioni
oggettive e soggettive dell’attività inventiva.
Condizioni Oggettive:
- Fondamento scientifico della tecnica
- Contesto culturale (onori e riconoscimento del successo agli inventori) ed economico
(sfruttamento commerciale delle invenzioni dovuto al nuovo ordinamento giuridico)
- Promozione dell’attività degli inventori (creazione di istituti tecnici, reparti nelle imprese,
incentivi, finanziamenti…)
Condizioni Soggettive dell’inventore:
- Gioia di inventare
- Ricerca del successo
- Desiderio di guadagno

Tarde
Attribuisce grande attenzione al “genio”, unico e insostituibile. Ha un approccio decisamente
individualista e mira a scoprire leggi valide per tutte le società.
La società è composta da due tipi di fatti sociali:
1) Imitazione  le relazioni sociali sono forme di influenza reciproca.
2) Invenzione  a volte compaiono novità introdotte da individui particolarmente dotati
di talento creativo che introducono una variazione nella ripetizione identica dei modelli
già creati in passato.
I grandi inventori sono soggetti geniali, orientati al problem-solving, che agiscono
intenzionalmente per raggiungere determinati obiettivi. Le loro capacità sono dovute ad aspetti
fisiologici, emozionali e addirittura inconsci: età, passione…
È una visione decisamente iposocializzata dell’attività inventiva. Tuttavia, le dimensioni sociali del
processo inventivo non sono totalmente trascurate: Tarde riconosce che il processo inventivo si
configura come l’incontro tra una finalità interna e una favorevole occasione esterna.

Le invenzioni possono avere due funzioni economiche diverse:


- Produrre nuovi desideri
- Soddisfare desideri esistenti a prezzi inferiori
Inoltre, agiscono a livello del desiderio e a livello della fiducia, rispondendo alle esigenze di
certezza e rassicurazione (ricerca scientifica, innovazioni nella legislazione, nella giustizia…).
Per queste ragioni, le invenzioni vanno aggiunte agli altri fattori produttivi e giocano un ruolo
fondamentale nello sviluppo economico.
Ma non tutte le innovazioni sprigionano il cambiamento sociale e lo sviluppo economico. Perché
sono poche le invenzioni che effettivamente si diffondono?

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Si tratta delle “leggi dell’imitazione”: nei processi di diffusione agiscono cause sociali logiche, che
spingono all’adozione dell’innovazione per ragioni logico-razionali, e cause sociali non logiche, che
agevolano la diffusione agendo su leve di tipo psico-sociale.
In ogni caso non bisogna cadere in un determinismo sociale: Tarde lascia ampio spazio alla
soggettività e all’accidentalità.

Ogburn
Ogburn ha un approccio analitico di tipo olista e determinista, che attribuisce una forte centralità
alla tecnologia nel cambiamento sociale e sottrae rilevanza ai singoli inventori e alle loro scoperte.
Egli evidenza la differenza tra evoluzione biologica ( lenta) ed evoluzione culturale ( veloce).
All’interno dell’evoluzione culturale osserviamo una squilibrio: la cultura materiale (artefatti,
tecnologia…) cambia molto velocemente; la cultura immateriale (leggi, valori, costumi sociali…)
procede con lentezza e si deve adeguare ai cambiamenti della prima. Per questo Ogburn la chiama
cultura adattiva.
La tecnologia è, quindi, la molla del cambiamento sociale.

Ogburn fornisce due modelli di spiegazione che riesce solo in parte a conciliare:
 Le invenzioni sono prevalentemente incrementali e spesso accade che un’invenzione venga
sviluppata contemporaneamente in ambienti diversi. Quando si crea uno squilibrio tra
condizioni sociali e valutazioni sociali, entra in campo l’inventore che fornisce una
soluzione per riportare l’equilibrio.
 L’inventore ha delle abilità innate superiori alla media (riprende Tarde)
 Siamo, quindi, davanti a una visione ipersocializzata delle invenzioni e iposocializzata
dell’inventore.

2. La classe creativa
Florida
Negli ultimi anni, Florida propone una nuova analisi sostenendo che le economie avanzate, che si
sono configurate come economie della conoscenza, sono entrate in una nuova fase di sviluppo
definita era creativa. La creatività assume molta importanza per le persone e, a livello economico,
essa diventa fondamentale in tutti i settori.
Anche in passato la creatività aveva avuto un ruolo fondamentale nel progresso, ma ciò che
caratterizza questa nuova fase è la rapidità e intensità della crescita del lavoro creativo, che dà vita
a una nuova classe sociale con un preciso fondamento economico: la classe creativa è costituita da
persone che creano valore aggiunto grazie alla propria creatività.
La classe creativa è composta da:
1) Un nocciolo super creativo: scienziati, ingegneri, professori, poeti, artisti, attori…
pienamente impegnati nel lavoro creativo e che producono innovazioni utili e trasferibili.
2) I professionisti creativi: persone che lavorano in settori ad alta intensità di conoscenza,
high-tech, servizi finanziari, sistemi sanitari. Si tratta di professionisti impegnati in problem-
solving creativi.

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La restante forza lavoro raccoglie coloro che svolgono attività routinarie con un debole apporto
creativo.
In questo scenario, la formula per la crescita è quella delle “3T”:
 Tecnologia
 Talento
 Tolleranza
La tolleranza è il fattore chiave per permettere ai primi due asset di funzionare: i lavoratori creativi
si spostano verso quei luoghi diversi, tolleranti e aperti alle nuove idee, che quindi a livello di
geografia dello sviluppo vengono “premiati”.
Quindi, la qualità dei luoghi è fondamentale per attrarre lavoratori creativi che, a loro volta,
porteranno le imprese ad investire in quella regione.

Le critiche a Florida
1) La spiegazione basata sulla classe creativa aggiunge poco alle tradizionali analisi in termini
di capitale umano.
2) È difficile credere che le scelte di mobilità dei lavoratori creativi siano connesse solamente
alle caratteristiche dei luoghi e che la loro presenza sia sufficiente a generare innovazione e
sviluppo. È, al contrario, la dislocazione spaziale della produzione a spiegare le scelte dei
lavoratori e lo sviluppo urbano.
3) La disponibilità dei lavoratori creativi alla mobilità è molto variabile e influenzata da fattori
socio istituzionali.

3. Meglio soli o ben accompagnati?


Chi produce le invenzioni più rilevanti: gli inventori autonomi (in proprio), solitari (che lavorano da
soli) oppure in team (alle dipendenze di un’organizzazione)?

Team o solitari?
Studiando i brevetti più citati, si evince che gli inventori isolati hanno minori possibilità di produrre
innovazioni radicali e tendono a generare tante innovazioni modeste; i lavoratori in team hanno
minori probabilità di brevettare idee molto deludenti e maggiori probabilità di produrre scoperte
importanti.
Questi risultati si possono spiegare attraverso due meccanismi sociali:
1) Durante la fase della variazione, gli inventori che lavorano in gruppo hanno a disposizione
un numero maggiore di idee e fonti di ispirazione.
2) Durante la fase della selezione, gli inventori isolati valutano autonomamente le proprie
nuove idee, mentre gli inventori in team le sottopongono anche al giudizio critico dei
colleghi.

Autonomi o dipendenti?
Gli inventori autonomi producono invenzioni di minore impatto rispetto ai dipendenti, ma nel caso
essi possiedano un elevato livello di competenze specialistiche raggiungono risultati comparabili o
addirittura superiori.
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Questi studi mostrano, quindi, che anche nelle economie avanzate c’è ancora spazio per la fugura
dell’inventore autonomo e solitario.

Critiche
 Non analizzano il ruolo variabile che gli inventori autonomi e quelli in team occupano nelle
varie economie.
 Vengono trascurate le variabili socio normative, il capitale sociale degli inventori e delle
organizzazione e la coesione dei team.

4. Pluralizzazione e decentramento
Diversi studi hanno dimostrato che si assiste oggi a una pluralizzazione e a un decentramento delle
fonti di dell’innovazione: le invenzioni sono spesso il prodotto di un lavoro collettivo (e non è
semplice distinguere l’apporto individuale) e il processo inventivo tende ad essere sempre più
aperto e collaborativo.
All’interno di questa cornice, si collocano alcuni fenomeni particolari:
1) Le invenzioni collettive
Questo fenomeno fa riferimento a un modo di regolare il processo inventivo diverso da
quello pubblico collettivo e da quello privato di mercato. Si basa sul libero scambio di
informazioni tra imprese che si trovano a fronteggiare un problema tecnico comune. Il
risultato finale è cumulativo ed è impossibile attribuire la scoperta a un singolo inventore.
Questa collaborazione avviene quando ci sono in ballo grandi potenziali di apprendimento,
assenza di perdite consistenti derivanti dalla condivisione delle informazioni e presenza di
benefici grazie alla reputazione acquisita, allo sviluppo di beni complementari…
2) Le comunità di open-innovation
Nell’ambito del software, negli ultimi anni stiamo assistendo alla lotta tra software
proprietario e open-source. Quest’ultimo rende pubblico il codice sorgente del programma
e consente l’apporto di modifiche migliorative. Siamo davanti a fenomeni di collaborazione
non motivati da incentivi economici e non orientati alla produzione di beni per il mercato.
La collaborazione all’interno delle comunità di open-innovation (= gruppi di volontari non
retribuiti che lavorano informalmente e si sforzano di mantenere i loro processi di
innovazione pubblici e disponibili e di distribuire il loro lavoro gratuitamente) funziona
grazie all’operare di alcuni fattori:
o Condizioni istituzionali  licenze libere
o Motivazioni intrinseche  piacere personale nel problem-solving, interesse
tecnologico
o Motivazioni estrinseche  reputazione sociale e professionale
o Presenza di attori che fanno rispettare le regole
3) Democratizzazione dell’innovazione
Negli ultimi anni assistiamo a un processo di democratizzazione che vede gli utilizzatori
“evoluti” di beni e servizi introdurre autonomamente modifiche e novità ritenute utili.

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A fianco al modello classico di innovazione manufacturer-centric si sta sviluppando un
modello di innovazione user-centred, incentrato sugli utilizzatori.
Alcuni studi hanno dimostrato che le innovazioni introdotte con la collaborazione degli
users introducono novità più radicali e commercialmente profittevoli.
4) La strategia dell’open innovation
È un modello imprenditoriale che si contrappone al modello chiuso delle imprese
verticalmente integrate.
Nel modello aperto di innovazione il management promuove flussi di conoscenze in
entrata e in uscita per accelerare l’attività innovativa ed espandere il mercato dei propri
prodotti. Le imprese si aprono verso collaborazioni esterne per generare innovazioni e per
commercializzarle.

5. Organizzare l’innovazione
Qual è l’impatto che le configurazioni organizzative hanno sulle prestazioni inventive delle imprese
e di altre istituzioni di ricerca?  Le scelte organizzative influenzano la capacità innovativa ma non
esiste una one-best-way, cioè un disegno organizzativo che rappresenti in generale la migliore
soluzione possibile.
I punti fermi che caratterizzano questi studi sono due:
 C’è accordo sul fatto che l’aumento della competizione a livello internazionale e il rapido
mutamento tecnologico costringono le imprese a un continuo processo di apprendimento
e a una maggiore flessibilità organizzativa
 Si possono riconoscere una serie di “ere organizzative” che evidenzia il passaggio
dall’organizzazione verticale a quella orizzontale all’outsourcing e al partnering.
Prima era  Organizzazioni auto contenute (fino agli anni ’70)
- Gerarchia
- Formalizzazione
- Innovazione all’interno, presenza di grandi laboratori
Seconda era  Organizzazioni orizzontali (anni ’80)
- Riduzione della gerarchia
- Comunicazione orizzontale
- Lavoro in team  sviluppo delle comunità di pratica
- Apertura agli stakeholder
Terza era  Organizzazioni aperte (dalla metà degli anni ’90)
- Forte apertura verso l’esterno
- Nascita di nuove forme organizzative: le imprese rete che si avvalgono di unità di
produzione e vendita in franchising sotto il controllo della casa madre; le reti di
imprese come quelle che uniscono le piccole e medie imprese dei distretti
industriali.  anche le attività di innovazione diventano sempre più reticolari.
Queste ere non vanno considerate in successione temporale: la seconda e la terza si
sovrappongono.

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In generale, le scelte organizzative che sono ritenute più adatte a stimolare la creatività degli
inventori sono: riduzione dei livelli gerarchici, decentramento decisionale, diffusione dei team di
progetto, forme di coordinamento orizzontali, partnership esterne, risorse dedicate
all’innovazione, frequenza delle comunicazioni interne, gruppi di lavoro coesi, basso turnover del
personale, strutture flessibili, ambiente che apprezzi le novità.

6. Chi sono gli inventori


Gli inventori europei
Un’indagine su circa 9000 inventori europei ha cercato di delineare il profilo socio professionale
dell’inventore contemporaneo. Si tratta in larga prevalenza di uomini nelle classi centrali di età,
dotati di elevati livelli di istruzione, che nella maggior parte dei casi lavorano come dipendenti per
lo più di grandi imprese. Contrariamente a quanto riscontrato da Florida, gli inventori europei
mostrano una marcata stabilità occupazionale. Dal punto di vista motivazionale emergono
principalmente motivazioni personali e sociali, cioè motivazioni intrinseche. Gran parte delle
invenzioni sono frutto di un lavoro collettivo.

Gli inventori italiani


Emergono tre modi sociali delle invenzioni, ciascuno con protagonisti, basi territoriali e
organizzazione differenti.
1) Farmaceutica e apparecchi medicali:
o Processo inventivo fortemente formalizzato che ha per obiettivo il brevetto
o Protagonisti altamente specializzati
o Grandi aziende del nord-ovest
2) Meccanica a elevata istituzionalizzazione
o Formalizzazione inferiore
o Protagonisti altamente specializzati
o Medio-grandi imprese del centro-nord
3) Meccanica a bassa istituzionalizzazione
o Poca formalizzazione
o L’inventore opera spesso come lavoratore autonomo, piccolo imprenditore o
dipendente di imprese minori.
o Piccole imprese anche del centro-sud.
Lo studio sugli inventori italiani offre alcuni spunti teorici:
 L’importanza della costruzione sociale delle invenzioni: sia perché la maggior parte dei
brevetti deriva da uno sforzo collettivo, sia perché gli scambi di idee tra gli studiosi
influenzano i risultati delle ricerche. Ciò non implica però la totale scomparsa di inventori
autonomi e isolati né la loro irrilevanza a livello di brevetti.
 L’importanza di un approccio di studio integrato: bisogna essere in grado di coniugare i
contenuti di diversi filoni analitici.
 La rilevanza delle dimensioni socio-organizzative: un ambiente favorevole può creare
innovazione, la quale, quindi, non dipende solo dal genio di pochi.

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 La complementarietà delle risorse utili all’innovazione: tra le relazioni interne ed esterne
all’organizzazione; tra le reti di collaborazione corte e lunghe; tra la varietà delle
conoscenze e la coesione delle relazioni.

IV. I piccoli mondi della creatività e dell’innovazione

1. Sei gradi di separazione


La teoria dei Sei gradi di separazione afferma che chiunque, nel mondo, può essere raggiunto
attraverso cinque intermediari. Rappresenta bene l’idea che il mondo si stia restringendo e che
siamo davanti a quello che viene chiamato fenomeno “small-world”.
Gli studi sulle reti sociali hanno implicazioni rilevanti per gli studi sull’innovazione.

Pool e Kochen
I due studiosi sono interessati a sviluppare i primi passi di una teoria dell’influenza (sociale e
politica) come funzione delle relazioni sociali, cioè come abilità di raggiungere le persone giuste
attraverso i canali appropriati.
Le reti di conoscenza, infatti, non sono distribuite casualmente ma sono socialmente strutturate e
questo accorcia notevolmente le distanze tra certi individui mentre le allunga tra certi altri. Le reti
tendono ad addensarsi attorno ad alcune dimensioni sociali come il territorio, l’occupazione, la
famiglia e il tempo libero (relazioni elettive). Le società e le organizzazioni possono quindi essere
viste come cluster sociali in cui le persone si conoscono bene.

Questi temi vengono studiati elaborando un modello matematico delle reti di conoscenza. Se le
società non fossero strutturate e non esistessero individui isolati, sarebbe semplice calcolare la
probabilità di conoscenza reciproca tra due persone. Le società reali, però, sono diverse: gli amici
hanno lavori simili e si muovo negli stessi ambienti e ciò determina che il numero di nuovi
conoscenti con cui un amico ci mette in contatto è più limitato e ciò tende ad allungare le catene.
A determinare quanti intermediari sono necessari per mettere in contatto due persone, quindi è il
livello di strutturazione sociale e il calcolo della probabilità non è di alcun aiuto. Bisogna, invece,
conoscere la struttura relazionale presente nella popolazione studiata.
Dagli studi emerge che l’aumento di soli uno o due intermediari aumenta drasticamente la
possibilità di conoscenza indiretta.

2. Il mondo è piccolo
Nel lavoro di Pool e Kocher, il problema della struttura e della connettività sociale non veniva
esaurito in modo soddisfacente. Da qui lo stimolo per il lavoro di Milgram.

Milgram
Studia il fenomeno small-world attraverso due esperimenti empirici in due zone diverse degli USA.
Ad alcune persone scelte a caso (starting persons) vengono fornite informazioni di base (nome,
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professione, indirizzo…) su un residente di un altro Stato (target person) chiedendogli di far
pervenire a quest’ultimo una lettera. L’unico vincolo è che vengano usate esclusivamente catene
di conoscenti.
Da questo esperimento si evince che:
o È la distanza sociale più che quella fisica a limitare la trasmissione delle informazioni.
o Esistono degli hub relazionali: molte catene diverse convergono verso un numero limitato
di persone che poi recapitano il messaggio al destinatario finale.
o Questi hub risultano particolarmente specializzati (terminali di catene professionali oppure
di catene territoriali)
o Forte segregazione di genere delle catene.
o Tendenza alle catene di conoscenti più che alle catene di parenti.
o Tutti questi, sono tratti sociali che dipendono dalla società presa in esame.

Nel 2003 un esperimento dei genere è stato ripetuto con l’uso della posta elettronica. Questa
volta lo small-world preso in considerazione è su scala mondiale. Le target persons sono 18,
residenti in 13 nazioni diverse e di varia estrazione sociale.
Il tasso di successo è risultato molto più basso rispetto al 30-35% dell’esperimento di Milgram (ciò
probabilmente è da imputare alla mancanza di incentivi) e la media di intermediari è stata di 4,05.
Quando diciamo che lo starter è separato dalla target person da 5 intermediari, ciò non significa
che essi sono separati solo da 5 persone ma da 5 cerchie di conoscenti, cioè da un’enorme distanza
sociale. I significati dell’esperimento:
 per quanto riguarda l’innovazione: le distanze sociali possono essere abbattute e
attraverso le reti sociali si possono far circolare informazioni e conoscenze diverse da
quelle che il soggetto e la sua cerchia possiedono già. Il soggetto può, quindi, acquisire
informazioni non ridondanti.
 Bisogna parlare di “piccoli mondi” al plurale, altamente integrati al proprio interno. è
proprio il fatto che la società sia clusterizzata ad allungare le catene, più che se le relazioni
fossero distribuite casualmente.
 I gruppi di conoscenti stretti che comunicano tramite legami diretti sono anche collegati
all’esterno da una serie di legami indiretti.

Considerando il basso tasso di successo degli esperimenti, vanno tenuti in conto i problemi e i costi
di transazione impliciti nell’uso delle reti:
o Il più ovvio è quello di tipo motivazionale: è vero che costa poco mettere in comunicazione
due conoscenti, ma è necessario avere abbastanza motivazioni per farlo.
o Quando le catene si allungano:
a. Viene meno il vantaggio informativo della rete  Ogni passaggio causa un ritardo,
diminuendo i benefici della tempestività
b. Viene meno il vantaggio di controllo della rete  Ogni passaggio depotenzia la
credibilità delle info. Se l’informazione che proviene dal un conoscente è ritenuta
credibile, quella che proviene dal conoscente del conoscente del conoscente lo è meno.

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3. Le reti small-world
Gli esperimenti basati sull’inoltro di messaggi hanno ricevuto molte critiche e sono poi stati
abbandonati:
 Piccole dimensioni e arbitrarietà del campione
 Bassi tassi di risposta
 Errori dei soggetti che allungano le reti

Watts e Strogatz
Vogliono dimostrare che partendo da un modello ordinato di cluster locali e aggiungendo
casualmente poche relazioni a lungo raggio è possibile ridurre notevolmente la distanza media tra
i punti presenti nel modello.
 Grafo regolare = ogni nodo ha lo stesso numero di legami (casualità nulla)
 Grafo casuale = nessun ordine nelle interazioni (casualità massima)
Le situazioni del mondo reale si collocano a metà tra questi due modelli:
o Un legame lungo può ridurre esponenzialmente le distanze tra i punti
o Sono fortemente clusterizzate

4. Le reti a invarianza di scala


Le reti sociali non seguono una distribuzione dei noti di tipo normale, ma sono ordinati dalla legge
di potenza: moltissimi nodi con pochi legami coesistono con pochissimi nodi con molti legami. I
(pochi) nodi che possiedono un numero molto elevato di legami sono gli hub (connettori).
In una rete di tipo casuale i nodi hanno mediamente lo stesso numero di legami e quindi sono reti
a scala tipica; le reti sociali, invece, non hanno una scala tipica e quindi vengono definite a
invarianza di scala.
Il punto di partenza di questo studio è il world wide web: tramite metodo induttivo calcolano che
la grande ragnatela mondiale è formata da nodi distanti al massimo 18,6 link.
Essi dimostrano che la connettività globale non è assicurata uniformemente da tutti i nodi, come
affermava il modello small-world, ma soprattutto dagli hub. Sono proprio gli hub a essere
responsabili del fenomeno small world, infatti, la loro grande connettività tiene uniti molti nodi,
assicurandone la raggiungibilità tramite percorsi piuttosto brevi.
Il modello a invarianza di scala supera i modelli precedenti tenendo in considerazione questi due
punti:
 La crescita = le reti tendono ad espandersi continuamente aggiungendo nuovi nodi.
 Il collegamento preferenziale = i nuovi nodi tendono a privilegiare gli hub nel connettersi
alla rete esistente.
Le reti del mondo reale sono quindi sistemi dinamici.

Le risorse necessarie ad alimentare i legami sociali, comunque, sono molto diverse da quelle per
tenere in vita o generare nuovi link: la presenza di hub e il grado di connettività dei reticoli
dipendono in gran parte dal contesto sociale e istituzionale in cui i legami si dispiegano. È una
logica di interdipendenza complessa quella che lega le reti alla struttura socio istituzionale: le reti
sono condizionate dal contesto sociale e allo stesso tempo lo condizionano.
26
Questa nuova scienza delle reti:
1) Si focalizza sulle proprietà dei network presenti nel mondo reale ed è quindi interessata a
questioni sia teoriche che empiriche.
2) Assume che i network non sono statici ma evolvono nel tempo dinamicamente.
3) Mira a comprendere i network non come semplici oggetti topologici ma come strutture si
cui si costruiscono sistemi dinamici distribuiti.
Gli autori della nuova scienza delle reti criticano:
 Il carattere troppo astratto della teoria dei grafi
 Il carattere troppo empirico e descrittivo della social network analysis praticata nell’ambito
delle scienze sociali. ( anche se in realtà la social network analysis ha fondamenti teorici
validi)

Va sempre tenuto presente che le reti sociali sono fatte di individui dotati di identità sociali e
queste identità le rendono esplorabili e fanno sì che si strutturino per omofilia ( gli individui si
associano con chi condivide le stesse caratteristiche). Questi piccoli mondi omogenei riducono la
possibilità di avere nuove informazioni ed esperienze ma sono interconnessi: consentono il
contatto con altri mondi.
Sono due i principi che nella rete agiscono in senso opposto:
1) Omofilia  rende piccoli i mondi locali seguendo un criterio di omogeneità
2) Multidimensionalità  rende piccolo il mondo globale, consentendo di oltrepassare i
confini del mondo locale.
In conclusione, l’elemento distintivo delle reti sociali è che sono composte da attori che
manipolano intenzionalmente le loro relazioni e questo condiziona le proprietà che le reti
dispiegano.

5. Le reti di affiliazione
Le reti di affiliazione consistono in un set di nodi e di eventi ad essi associati. Due attori sociali si
definiscono affiliati se appartengono allo stesso gruppo (es. due inventori che lavorano allo stesso
progetto, due ricercatori coautori di un articolo…).
Spesso queste collaborazioni si strutturano come reti small-world e ciascun ricercatore può essere
raggiunto mediante catene di collaborazione piuttosto corte.

Un altro tipo di rete di affiliazione è quella che deriva dalla presenza incrociata dei manager nei
consigli di amministrazione delle grandi aziende americane. Ogni componente dell’elite americana
era raggiungibile attraverso 4/5 passaggi. Questa caratteristica non si è modificata nemmeno oggi
che i consigli di amministrazione sono sempre più piccoli e le crescenti richieste ai manager
rendono più difficile fare parte di diversi consigli contemporaneamente. La business elite
americana che è di circa 6000 persone) si presenta come uno small-world, coniugando alti livelli di
integrazione locale e bassa distanza reciproca.
L’elevata integrazione di questa elite è una proprietà emergente della rete small-world, non
richiede alcun disegno intenzionale né alcuna autorità di pianificazione che ne agevoli il

27
coordinamento. La connettività risulta stabile nel tempo: anche togliendo attori centrali la
connettività complessiva non viene meno e le distanze medie non crescono di molto.

6. L’industria dei musical


Che relazione esiste tra reti small-world e capacità innovativa? La doppia caratteristica della reti
small-world di essere fortemente clustered a livello locale ma anche fortemente connessa a livello
globale influenza le performance creative?
L’elevata connettività delle reti small-world permette di mettere in contatto un numero maggiore
di soggetti, permettendo alle informazioni di circolare attraverso i vari cluster di relazioni. La
coesione, invece, crea i presupposti di fiducia e reputazione affinchè il materiale proveniente da
un cluster acquisti valore in ambienti diversi.
Questa ipotesi viene testata a partire dall’industria del musical di Broadway.
Il successo di un musical deriva dalla capacità di coniugare elementi già noti al pubblico perché
esso sia comprensibile e, dall’altra parte, elementi nuovi che lo rendano interessante. I gruppi di
artisti che collaborano strettamente tra di loro (cluster locali) condividono lo stesso repertorio
artistico e, per contro, i legami-ponte che si instaurano tra diversi cluster ad opera di alcuni artisti
producono un duplice effetto positivo: consentono a diverse convenzioni di entrare in contatto e
agevolano l’accreditamento del nuovo materiale.
Al variare del mix di coesione locale e connettività globale cambia anche la performance creativa:
la relazione è a “U rovesciata”. All’aumentare del “quoziente small world (Q)” ( coesione nei
cluster e connettività tra cluster) le prestazioni creative tendono a migliorare. Se valori troppo
bassi di Q generano un eccesso di varietà, valori troppo alti di Q causano un eccesso di
omogeneità. I risultati intermedi si verificano quindi a livelli intermedi di quoziente small-world.

7. Le alleanze strategiche e le partnership brevettuali


Anche nell’ambito imprenditoriale, le reti small-world sembrano influenzare positivamente le
capacità innovative delle imprese. Definendo l’innovazione come un processo di problem-solving
di tipo ricombinatorio, in cui le nuove soluzioni si basano sull’utilizzo creativo di elementi in parte
già noti, le reti small-world delineano una struttura favorevole all’innovazione. Gli elevati livelli di
clustering locale migliorano la trasmissione di informazioni tra le imprese e generano i presupposti
di fiducia per la condivisione di conoscenze; i legami bridging che uniscono diversi cluster locali
agevola la circolazione di informazioni non ridondanti tra i vari cluster.

I dati confermano l’ipotesi:


o Le alleanze strategiche risultano molto clustered: le imprese tendono ad allearsi con altre
aziende a loro volta unite da accordi di collaborazione.
o Nei settori in cui si verifica l’effetto small-world (ovvero esistono anche basse distanze tra i
cluster) cresce la capacità innovativa misurata in termini di brevetti negli anni successivi
all’alleanza.

28
L’analisi diacronica sulla produttività degli inventori, però, non mostra alcuna relazione
significativa tra aumento dell’attività brevettuale e small-world. Ciò che influenza la produttività è
la riduzione delle distanze tra gli inventori e la loro crescente integrazione in una rete regionale
pienamente connessa. [non ho capito molto bene… ???]

8. Gli hub della Silicon Valley


La nuova scienza delle reti è stata utilizzata anche per analizzare il cluster innovativo della Silicon
Valley. È un cluster innovativo poiché crea innovazioni radicali, al contrario dei cluster industriali
che forniscono un’innovazione incrementale.
Il vantaggio competitivo di questi territori risiede nella continua generazione di nuove start-up
all’avanguardia tecnologica. L’innovazione però, è prodotta non dalle singole aziende ma
dall’intero sistema locale.

Siamo davanti a una rete complessa. Le reti complesse presentano alcuni tratti distintivi:
 Composte da una pluralità di nodi che interagiscono senza un coordinamento gerarchico
 La struttura relazionale e la modalità di coordinamento emergenti influenzano l’efficienza
degli attori  le loro prestazioni non dipendono solo dalle risorse e competenze possedute
singolarmente ma anche dalle modalità di interazione con l’ambiente circostante.
 Robustezza  capacità di resistere alle perturbazioni esterne. Questa resistenza dipende
dalla completezza della rete (Es. Silicon Valley: imprese, università, laboratori di ricerca,
studi legali, di consulenza, banche commerciali, di investimento… attori eterogenei e
complementari).
Il ruolo di hub è svolto dalle società di venture capital che svolgono le seguenti funzioni:
o Finanziamento
o Selezione (Le VC finanziano circa il 9% delle start-up. Molto spesso è la percentuale di start-
up che avrà successo.)
o Segnalazione (accreditamento della start-up che assume prestigio)
o Radicamento (inserimento della nuova impresa nella rete)
o Apprendimento collettivo (accumulo di esperienze imprenditoriali messe al servizio delle
nuove imprese)

V. I Sistemi dell’Innovazione

1. Un approccio di studio integrato


A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, negli Innovation Studies cominciano ad apparire
prospettive analitiche più integrate:
o Si generalizza l’idea che la conoscenza è uno dei driver fondamentali dello sviluppo
(knowledge economy).
o Viene abbandonata la visione strettamente economicistica dell’innovazione:
- Per innovare è necessario il contributo di una pluralità di attori economici e non
29
- Le istituzioni giocano un ruolo rilevante nel modellare il contesto in cui tali attori
operano
o Viene riconosciuto il carattere intrinsecamente sociale e relazionale del processo
o Tutti gli approcci assumono una prospettiva sistemica, cioè: innovazione come proprietà
emergente di un sistema di elementi e relazioni, con esiti che possono essere voluti e non
voluti, positivi o negativi.
2. I presupposti
I processi di innovazione sono diventati sempre più complessi e articolati in seguito a una serie di
fenomeni economici:
1) Crisi del fordismo
La crisi del fordismo introduce un cambiamento nei modelli di produzione e di regolazione
dell’economia. Emergono i distretti industriali e le zone di piccola impresa, che mostrano
come l’efficienza produttiva e la competitività siano fondate sulla costruzione sociale del
mercato, sulla natura sempre più relazionale dell’economia e sull’importanza del territorio.
2) Sviluppo del settore high-tech
Lo sviluppo del settore high-tech mette in luce un processo crescente di “scientificazione”
della tecnologia.
3) Crescita delle partnership interaziendali
Soprattutto nell’ambito di R&S, dovuto al carattere sempre più variegato e interdipendente
delle conoscenze specialistiche necessarie all’innovazione.
4) Globalizzazione e riorientamento delle politiche pubbliche
L’emergere di una nuova concorrenza internazionale proveniente dai paesi di nuova
industrializzazione rende chiaro che:
- L’innovazione è l’arma vincente per competere con i paesi a basso costo del lavoro
- Il ruolo delle politiche pubbliche è fondamentale per sostenere l’innovazione
- Le politiche vanno pensate all’interno di una cornice integrata e sistemica: i sistemi
di innovazione possono essere definiti attraverso 3 criteri:
a. Criteri spaziali/geografici (sistemi nazionali, regionali)
b. Criteri tecnico-industriali (settori produttivi, tecnologici)
c. Tipi di attori e di rapporti (tripla elica)

[ecco una serie di varianti dell’approccio sistemico all’innovazione]

3. Sistemi d’Innovazione Nazionale (SIN)


Il concetto di sistemi di innovazione nazionale (SIN) compare per la prima volta negli anni Ottanta
e viene accolto positivamente dalla comunità scientifica e dalla politica. Il successo dell’approccio
è dovuto ad alcuni motivi:
 Sviluppa contributi degli anni precedenti (ruolo delle relazioni a lungo termine con attori
esterni alle imprese, relazioni non di mercato nella trasmissione delle conoscenze, contesto
istituzionale nella regolazione dell’economia…) che tendevano già all’analisi integrata di
struttura economica e contesto istituzionale.

30
 Si afferma come un policy-concept, cioè come un concetto utile a orientare non solo la
ricerca ma anche le politiche pubbliche.

Ma cosa sono i SIN?


Una delle molte definizioni vede i SIN come tutti i fattori importanti di tipo economico, sociale,
politico, organizzativo, istituzionale e altro che influenzano lo sviluppo, la diffusione e l’uso delle
innovazioni. Tutte le definizioni condividono alcuni assunti teorici:
1) Le economie nazionali presentano una varietà di specializzazioni che non riguardano
solamente le strutture produttive e commerciali ma anche quelle conoscitive. Esse sono tra
loro interdipendenti.
2) La conoscenza è “appiccicosa”, non circola facilmente poiché è incorporata nelle menti,
nelle routine aziendali, nelle relazioni interpersonali.
3) Gli individui, le imprese e le altre organizzazioni non innovano mai in completo isolamento:
per studiarli bisogna adottare una prospettiva interazionista.
4) La pluralità eterogenea di attori e istituzioni implicati nell’innovazione richiede un
approccio analitico, olistico, interdisciplinare e storico-evolutivo.

Sistema = insieme interconnesso di elementi che lavorano per un obiettivo comune, possiede
proprietà emergenti diverse da quelle degli elementi che lo compongono ed è formato da due
elementi:
 Componenti del sistema
- Organizzazioni  insieme di attori che interagiscono nel sistema, strutture formali
create appositamente con un obiettivo esplicito.
- Istituzioni  norme, insiemi di abitudini, routine, pratiche stabilite norme o leggi
che regolano le relazioni e interazioni tra individui, gruppi e organizzazioni.
 Relazioni
Si riferiscono ai rapporti che legano le varie componenti del sistema

La definizione dei confini del sistema è un aspetto cruciale poiché individua quali componenti
vengono prese in considerazione. Normalmente si assumono gli Stati nazionali come unità di
analisi, senza dimenticare altre dimensioni e senza negare che istituzioni internazionali e aziende
multinazionali giochino un ruolo di rilievo.
La funzione del SIN è quella di promuovere sviluppo, diffusione e uso delle innovazioni.
Le attività sono svolte dalle varie organizzazioni e rappresentano il contributo specifico
all’innovazione. Un’organizzazione può svolgere diverse attività e un’attività può essere svolta da
diverse organizzazioni.

I SIN svolgono 10 attività principali:


 Produrre nuova conoscenza attraverso R&S (prevalentemente incrementale)
 Costruire competenze per il capitale umano attraverso il sistema scolastico
 Fondare nuovi mercati
 Articolare requisiti qualitativi per i nuovi prodotto in base alle esigenze della domanda
31
 Creare e modificare le organizzazioni necessarie allo sviluppo di nuovi campi d’innovazione
 Generare reti per la circolazione delle conoscenze
 Creare e modificare istituzioni in grado di creare vincoli e incentivi per l’innovazione
 Svolgere attività di incubazione a sostegno di nuove iniziative
 Assicurare finanziamenti per l’innovazione
 Fornire servizi di consulenza
Un esempio: il sistema di innovazione degli USA.
Quali sono i suoi tratti distintivi?
1) La dimensione di scala. Dal secondo dopoguerra, il volume degli investimenti americani in
R&S supera di gran lunga quello delle altre economie avanzate.
2) Il ruolo preminente delle piccole start-up nella commercializzazione delle nuove tecnologie.
3) L’impatto avuto dalla normativa antitrust sulle prestazioni delle imprese. Verso la fine
dell’Ottocento viene introdotta una normativa che vieta gli accordi di cartello tra imprese
concorrenti, cioè le intese finalizzare a un controllo collusivo di prezzi e mercati. Queste
norme generano una grande ondata di fusioni e queste nuove imprese giganti danno il via
ai primi grandi laboratori di ricerca industriale.
All’inizio degli anni Ottanta, l’allentamento dei vincoli antitrust determina una
proliferazione di accordi interaziendali. Questo fattore accompagna e agevola un
cambiamento strutturale nel sistema innovativo americano: ridimensionamento dei grandi
laboratori ed esternalizzazione della ricerca che vede la crescita dei rapporti con le
università e dell’internazionalizzazione della R&S.
4) La forte incidenza della spesa del governo federale sulla R&S. Il sistema di innovazione
americano è stato a lungo dominato dall’industria privata e, nella prima metà del ‘900, il
70% degli scienziati erano assunti da aziende private. Nel secondo dopoguerra, la guerra
fredda e il nuovo ruolo americano di superpotenza mondiale spingono il governo federale a
pesanti finanziamenti della ricerca scientifica in ambito industriale e universitario. La gran
parte della ricerca è legata a spese militari e per la difesa nazionale. Solo dalla fine degli
anni Ottanta si è assistito ad una riduzione dell’investimento federale nella ricerca; dato
che è in linea con gli altri paesi sviluppati dell’area OCSE.

L’ingrediente fondamentale perché il SIN abbia delle buone performance è la solidità, competenza
e competitività delle imprese nazionali. In tutti i casi di successo, il tratto comune è che le imprese
non hanno goduto di protezioni nei confronti del mercato e sono state esposte a forti pressioni
competitive. E, ancora una volta, a favorire la nascita e il consolidamento di un’economia
competitiva, sono state le forme di regolazione pubblica, la qualità del sistema formativo
nazionale e le politiche macroeconomiche.

Un’interessante riflessione sui SIN è quella svolta da Lundvall.


Il punto di partenza è che, nei nuovi scenari economici, le risorse fondamentali per la
competizione sono conoscenza e processi di apprendimento delle imprese. Siamo a tutti gli effetti
in una learning economy.

32
L’economia neoclassica, focalizzata sul concetto di scarsità, non è adatta a descrivere questi
mutamenti. Vede, infatti, l’innovazione come un evento esogeno straordinario che fa uscire il
sistema dal suo stato di equilibrio.
Per contro, nel capitalismo moderno l’innovazione è:
 Costitutiva e onnipresente (diffusa in tutto il tessuto economico, implica continuo
apprendimento)
 Graduale e cumulativa (formata da nuove combinazioni di elementi già presenti, introduce
discontinuità più o meno radicali con il passato)
 Processuale (consiste di una serie di attività tra loro concatenate che si influenzano a
vicenda)
 Interattiva e collettiva (l’apprendimento è relazionale e la conoscenza è un bene comune
che viene condiviso dentro network e organizzazioni)

Per tutte queste ragioni, Lundvall sostiene la necessità di un nuovo modello analitico che ponga al
centro l’apprendimento finalizzato all’acquisizione e creazione di conoscenze utili per
l’innovazione. Nel nuovo modello:
 La conoscenza non è un semplice accumulo di informazioni poiché include la capacità di
interpretarle e utilizzarle.
 L’apprendimento, quindi, si configura come un processo di costruzione di competenze, le
quali possono essere di quattro tipi:
a. Know-what e know-why  riguardano la conoscenza dei fatti e dei principi che li
spiegano e si basano su competenze di tipo cognitivo.
b. Know-how  fa riferimento alle conoscenze pratiche per svolgere compiti specifici
c. Know-who  conoscere “chi sa cosa” e abilità nel costruire rapporti interpersonali.
 I processi di apprendimento sono radicati in attività di routine, le quali possono generare
economie di apprendimento di tre tipi:
a. Learning by doing  migliora il processo produttivo
b. Learning by using  aumenta l’efficienza d’uso dei sistemi complessi
c. Learning by interacting  introduce miglioramenti che derivano dalle relazioni con altri
In conclusione, anche l’approccio di Lundvall coniuga l’analisi economica con quella istituzionale:
tra le due esiste una relazione circolare di influenza reciproca.

4. I Sistemi d’Innovazione Settoriale (SIS)


L’assunto è che le modalità del cambiamento tecnologico e dell’innovazione dipendano dalle
caratteristiche specifiche delle varie industrie.
L’economia evolutiva è la cornice teorica di questo approccio e fornisce i suoi assunti di base:
1) Le trasformazioni tecnologiche sono centrali per spiegare il cambiamento economico
2) Gli attori coinvolti nei processi innovativi sono eterogenei e agiscono seguendo una
razionalità limitata
3) Il comportamento delle imprese è plasmato dal contesto.
Partendo da queste premesse, ecco la definizione dei SIS: un sistema settoriale di innovazione e
produzione si compone di una serie di prodotti (nuovi o esistenti) per usi specifici e di una serie di
33
agenti che svolgono attività, hanno interazioni e sono finalizzati alla creazione, produzione,
vendita di quei prodotti.
I principali elementi costitutivi dei SIS sono:
 Conoscenze e tecnologie  ciascun settore ha una sua base di conoscenza e specifici
processi di apprendimento
 Agenti e network  i protagonisti dei SIS sono individui e/o organizzazioni in relazione tra
loro
 Istituzioni  norme, routine, abitudini, pratiche, leggi che plasmano conoscenze e
comportamenti degli attori
Conoscenze e tecnologie rappresentano i punti centrali dell’approccio. Ogni SIS ha come suo
fondamento un diverso regime tecnologico che si differenzia dagli altri per:
o Condizioni in cui avviene il cambiamento tecnologico. Le condizioni che possono variare
sono:
a. Condizioni di opportunità  potenziale di innovazione, incentivi all’innovazione…
b. Condizioni di appropriabilità  possibilità di tutelare i risultati della ricerca e renderli
fonte di profitto.
c. Condizioni di cumulatività  grado in cui le conoscenze del passato sono importanti
per produrne di nuove.
o Caratteristiche delle conoscenze di base, che fanno riferimento al know-how necessario
all’innovazione e si distinguono in base a:
a. Natura  specifica, tacita, complessa, indipendente…
b. Mezzi di trasmissione  formali, informali.

Ogni regime tecnologico si associa a diversi modelli di innovazione:


 Modello della distruzione creativa (Schumpeter Mark I) tipico di mercati con basse
barriere in entrata, caratterizzato da molte piccole e medie imprese e da innovazioni
generate da imprenditori-innovatori.
Prevale nei settori tradizionali e meccanici (abbigliamento, calzature / macchinari
industriali).
 Elevate opportunità di innovazione, bassa appropriabilità e cumulatività.
 Modello dell’accumulazione creativa (Schumpeter Mark II) tipico di mercati con alte
barriere all’ingresso e processi innovativi dominati da R&S delle grandi imprese.
Prevale nei settori che impiegano tecnologie chimiche ed elettroniche.
 Alta appropriabilità e cumulatività
Dagli studi empirici sui brevetti si può notare somiglianza tra i paesi nei modelli dell’innovazione
settoriale e diversità tra i settori all’interno dei singoli paesi.
I modelli di innovazione non sono statici e la loro evoluzione non è lineare: si può passare dal
primo al secondo, dal secondo al primo oppure avere un’ibridazione dei due modelli.

Un esempio concreto: il settore farmaceutico.


1) Prima fase: 1850 – 1945.

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La farmaceutica si colloca all’interno dell’industria chimica ed è dominata dalle grandi
imprese tedesche e svizzere che avviano la produzione di massa di farmaci e svolgono poca
attività di ricerca.

2) Seconda fase: 1946 – 1980.


Le grandi imprese investono molto di più in R&S. Nuovi farmaci, aumento della domanda
anche grazie alla nascita dei sistemi sanitari nazionali, necessità di ampie risorse per la
ricerca, regime regolativo che garantisce alta appropriabilità. È la fase in cui la supremazia
europea nella farmaceutica viene messa in discussione.
3) Terza fase: dal 1980 in poi.
Le nuove scoperte sul DNA e sulla biologia molecolare creano un nuovo regime di
apprendimento. Vengono varate nuove metodiche di scoperta che consentono un disegno
più mirato. Tutto ciò modifica il processo di innovazione e l’organizzazione del settore, che
ora vede rapporti molto più stringenti con le università. I mutamenti nel regime
tecnologico ridisegnano gli equilibri tra le imprese incumbents (grandi imprese radicate) e
le new entries (start-up). Le nuove aziende sono portatrice di grande innovazione ma per la
commercializzazione esse si avvalgono spesso delle imprese incumbents. Col tempo si è,
quindi, venuta a creare una coesistenza collaborativa tra queste due entità e tende a
prevalere il modello Schumpeter Mark I, ma l’esito non era scontato.

Dunque, i processi di cambiamento settoriale sono tutt’altro che lineari e procedono attraverso
tre tipi di processi evolutivi:
- Creazione di varietà che aumenta le opzioni disponibili (tecnologie, prodotti,
imprese, istituzioni…)
- Selezione di una o più opzioni tra queste
- Riproduzione della soluzione affermatasi
Non è detto, però, che le soluzioni selezionate e riprodotte siano le migliori in assoluto e, in alcuni
casi, il processo è irreversibile e può causare un fenomeno di lock-in. Un esemepio calzante è
quello della tastiera QWERTY  questa disposizione serviva a non incastrare i martelletti della
macchina da scrivere. Ora non ne abbiamo più bisogno ma le soluzioni migliori non riescono ad
emergere perché il cambiamento sarebbe soggetto a grandissimi costi di adattamento.

Pavitt riesce a identificare alcuni modelli ricorrenti di cambiamento tecnologico e formula la sua
tassonomia settoriale:
 Imprese dominate dai fornitori
Operano nei settori manifatturieri tradizionali, agricoltura, costruzioni, servizi. Le imprese
sono piccole, fanno poca ricerca e i vantaggi competitivi si basano su competenze
professionali, design, marchi e pubblicità. Le traiettorie tecnologiche si basano sulla
riduzione dei costi.  le innovazioni provengono dai fornitori di materiali e attrezzature.
 Imprese a intensità di scala
Operano nei settori di produzione di materiali, di beni di consumo durevoli e di veicoli. Le
imprese sono medio-grandi e puntano a creare economie di scala attuando una forte
35
divisione del lavoro interno. Le traiettorie tecnologiche sono orientate all’innovazione di
processo.  le innovazioni provengono dalle attività interne di R&S, dalle esperienze nei
reparti produttivi, dal rapporto con i fornitori specializzati di macchinari.
 Imprese di fornitori specializzati
Operano nella meccanica strumentale e nella produzione di macchinari e attrezzature. Le
imprese sono piccole. La loro traiettoria tecnologica è orientata all’innovazione di prodotto
volta a migliorarne la prestazione.  le innovazioni provengono dall’apprendimento per
esperienza (learning by doing) e dalle interazioni con gli utilizzatori (learning by
interacting).
 Imprese basate sulla scienza
Operano nei settori chimico-farmaceutici ed elettrici/elettronici. Le imprese sono spesso
medio-grandi. Intrattengono rapporti con università, centri di ricerca e comunità
scientifica.  le innovazioni provengono dagli apparati interni di R&S e dalla
collaborazione con la comunità scientifica e producono la gran parte delle innovazioni di
quel settore, che poi vengono usate anche in altri comparti produttivi.

Un approccio simile al SIS è quello che si rifà ai sistemi di innovazione tecnologica (SIT): fa
riferimento a specifiche tecnologie e non a un settore e per questo può trascendere i confini
settoriali e geografici.

5. La Tripla Elica
Il modello della tripla elica (TE) si focalizza principalmente sulle invenzioni radicali. La TE è
un’interazione a spirale di tre sfere istituzionali (UIG):
1) Università
2) Industria
3) Governo
Questo nuovo modello deriva dalla convergenza di due assetti istituzionali:
- Modello statalista, dove il governo controlla università ed economia
- Modello del laissez-faire, in cui le sfere sono indipendenti e interagiscono molto
debolmente.
Vi sono due percorsi che spingono verso la TE, uno per ciascun modello inappropriato:
- Differenziazione istituzionale (rispetto al modello statalista)  maggiore autonomia
a università e industria
- Integrazione tra le sfere istituzionali (rispetto al modello del laissez-faire)

La TE sottolinea come l’innovazione necessiti dell’apporto di tutte e tre le sfere istituzionali fino
alla nascita di organizzazioni ibride che sorgono nei punti di connessione tra le sfere. Le università
svolgono funzioni economiche attraverso la capitalizzazione della conoscenza, le imprese si
assumono compiti di formazione avanzata e di ricerca, il governo stimola la ricerca trasformandosi
in venture capitalist.

Per quanto riguarda l’università, siamo di fronte (soprattutto negli USA) ad una grande rivoluzione.
36
Le università medievali avevano come missione principale la preservazione e trasmissione della
conoscenza. Durante l’Ottocento la ricerca diventa la seconda missione. Oggi siamo di fronte alla
nascita di una terza missione, che consiste in una maggiore responsabilizzazione nella promozione
dello sviluppo economico e sociale. La terza missione genera l’università imprenditoriale, che
poggia su quattro pilastri:
- Leadership accademica capace di visione strategica
- Pieno controllo, da parte delle università, dei propri capitali e della proprietà
intellettuale
- Struttura organizzativa che consenta il trasferimento delle tecnologie mediante
brevetti, licenze, incubatori…
- Diffusione dell’ethos imprenditoriale tra amministratori, docenti e studenti.

La spirale evolutiva della TE si alimenta di processi di circolazione micro, all’interno delle singole
eliche, e macro, tra le eliche. Entrambi i processi vengono alimentati da:
 Circolazione di individui
 Circolazione di informazioni
 Circolazione dei risultati

Le regioni della TE non coincidono necessariamente con i confini politico-amministrativi degli stati
e sono costituite da tre elementi:
1) Knowledge space  creazione di uno spazio della conoscenza, ovvero l’agglomerazione
territoriale di attività di ricerca su un dato tema.
2) Consensus space  creazione di uno spazio del consenso, ovvero un luogo in cui i maggiori
attori di quell’ambito elaborino una strategia condivisa.
3) Innovation space  creazione di una nuova organizzazione ibrida (incubatori) che
promuova l’innovazione su scala regionale mettendo in comunicazione le risorse e le
persone.

VI. La geografia dell’innovazione

1. La morte della distanza e la riscoperta della geografia


La rivoluzione avvenuta nei mezzi di comunicazione e la riduzione degli ostacoli normativi e
tariffari alla circolazione delle merci hanno fatto pensare ad una “morte delle distanze” e anche al
fatto che, nello sviluppo economico, la localizzazione non conti più.
Ma l’evidenza empirica contraddice questa tesi: le imprese si addensano in luoghi specifici dove
trovano aziende simili e servizi adeguati.
L’importanza del territorio è anche alla base della geografia dell’innovazione, essa, infatti, tende
ad agglomerarsi in determinati luoghi, ricchi di risorse strettamente legate al contesto socio
istituzionale. Per l’innovazione, la dimensione spaziale è importante per due motivi:
1) L’introduzione di innovazione implica interazione tra più attori (imprese, governi…) e ciò è
agevolato dalla prossimità territoriale.
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2) Spillover di conoscenza  circolazione più o meno volontaria delle informazioni prodotte
con le attività di ricerca. Gli spillover producono esternalità positive di cui beneficiano
anche gli attori che non hanno contribuito a creare le conoscenze. Di conseguenza, le
prestazioni innovative delle imprese dipendono non solo dalle risorse investite al loro
interno per fare ricerca ma anche da quelle investite da altre imprese dello stesso settore o
dalle università vicine geograficamente.
Queste competenze territoriali assumono una particolare rilevanza sullo sfondo dei processi di
globalizzazione: quanto più la conoscenza codificata circola facilmente attraverso le reti globali,
tanto più quella tacita (legata all’interazione personale e, quindi, alla vicinanza geografica) diventa
un bene strategico che produce vantaggi competitivi.

Tutti gli studi svolti sui luoghi dell’innovazione concordano su tre punti:
 Riscoperta delle economie regionali legata alla questione di accumulazione e circolazione
della conoscenza  in senso diacronico, conoscenze trasmesse di generazione in
generazione; in senso sincronico, reti sociali che diffondono la conoscenza sul territorio.
 Necessità di una prospettiva interdisciplinare: economia, geografia, sociologia…
 L’attività innovativa è radicata all’interno di reti interpersonali e interorganizzative che
implicano una relazione di prossimità.

2. Conoscenza tacita e prossimità


La conoscenza tacita è una forma di conoscenza implicita e difficilmente codificabile e
trasmissibile. Le motivazioni che rendono una parte della conoscenza tacita sono:
o Esistono competenze e prestazioni padroneggiate senza sapere esattamente quali regole
vengono seguite.
o Difficoltà di comunicare attraverso il linguaggio alcuni aspetti delle nostre competenze per
le quali preferiamo esemplificazione e apprendimento pratico.

Ma cosa c’entra la conoscenza tacita con l’agglomerazione territoriale dei fenomeni innovativi?
La conoscenza è alla base della competitività dei paesi avanzati e, pertanto, ha un grande valore
economico ma, date le sue caratteristiche, la concorrenza di mercato non fornisce ai privati
incentivi sufficienti per investire risorse nella ricerca e nella produzione di nuova conoscenza. La
conoscenza ha, infatti, le caratteristiche del bene pubblico (Arrow, ‘60):
 Non rivalità nel consumo  la fruizione da parte di un individuo non esclude la possibilità
di utilizzo ad un altro.
 Non escludibilità dei benefici  è difficile escludere dalla sua fruizione altri attori che non
hanno contribuito a produrla poiché i costi di diffusione di un’idea sono molto bassi.
Chi ha sostenuto tutti i costi per produrla non può appropriarsi pienamente di tutti i benefici.
Esiste, quindi, un problema di divergenza tra benefici sociali e benefici privati: un’ampia diffusione
delle conoscenze (beneficio sociale) produce un deficit di remunerazione per chi le ha prodotte
(beneficio privato) e quindi scarsi incentivi a investirvi risorse. Anche in caso di protezione legale,
non è possibile trasformare un bene così intangibile in una merce completamente appropriabile.
Ciò implica:
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1) Importanza del finanziamento pubblico della ricerca
2) Progressiva scoperta del ruolo cruciale delle conoscenze per la crescita economica
Negli anni ’80, le nuove teorie della crescita economica mettono in discussione che la conoscenza
sia un bene pubblico con costi di diffusione bassi. La conoscenza privata è firm-specific (=calibrata
sulle esigenze specifiche dell’azienda che l’ha prodotta) e la conoscenza pubblica richiede un forte
investimento in capitale umano da parte delle imprese che devono avere personale dedicato alla
ricerca di conoscenze al di fuori dell’impresa. Per questi motivi, la conoscenza può essere definita
come un bene di club, cioè un bene condiviso privatamente da un gruppo limitato di soggetti che
possono utilizzarlo in esclusiva in virtù di un qualche meccanismo di esclusione tra cui prossimità
spaziale e prossimità relazionale.

3. Gli spillover di conoscenza


Un puro spillover conoscitivo consiste negli scambi di conoscenze che le imprese attuano
lavorando su questioni simili e quindi beneficiando della ricerca reciproca. Ma il serbatoio di
conoscenze generali può variare non solo in base al settore ma anche in base all’area geografica:
spillover conoscitivi mediato geograficamente. Per confermare questa teoria, viene fatta una
ricerca che analizza la distribuzione geografica di brevetti. Vengono costruiti campioni di brevetti
accademici e di brevetti imprenditoriali che costituiscono i brevetti di origine (2.400) da cui
comincia la ricerca di tutti i brevetti che li citano (brevetti citanti)(10.000). Questi risultati
consentono di mostrare che:
 Le citazioni provengono in prevalenza da aziende localizzate nella stessa località del
brevetto di origine.
 Gli spillover sono più forti a livello locale nei primi anni successivi al rilascio del brevetto id
origine.
 Gli spillover locali non sono confinati all’interno delle stesse classi tecnologiche ma
tendono a travalicare le varie specializzazioni.
Questa indagine è stata successivamente criticata per la scarsa attendibilità dell’indicatore
utilizzato: gran parte delle citazioni vengono inserite dagli uffici brevettuali e si tratterebbe quindi
di una pratica burocratica più che di flusso di conoscenza tra inventori. Altre indagini, comunque
hanno dimostrato che gli inventori hanno familiarità con i brevetti citati e anche l’esistenza di
scambi diretti di comunicazione. In conclusione, le citazioni rappresentano sì un indicatore dei
flussi di coscienza, ma di tipo noisy (rumore).

Ma quali sono i meccanismi concreti che rendono possibili gli spillover?


Uno dei meccanismi è quello legato agli scienziati-star che, portatori di grande capitale umano,
attraggono imprese innovative nella loro regione.
Questi ricercatori sono legati ad una determinata località (università) e possiedono capitale umano
naturalmente escludibile: le conoscenze tacite sono “incorporate” negli scienziati e posseggono un
elevato valore economico legato ai possibili impieghi commerciali. Per trasferire queste
conoscenze non ancora codificate alle imprese, è necessaria la mobilità del capitale umano che
dall’università deve entrare nell’azienda. Il ricercatore è, nella fase iniziale, poco disponibile a
lasciare il suo team di ricerca e, pertanto, egli stesso determinerà la localizzazione geografica
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dell’impresa che lo vuole impiegare (oppure sarà egli stesso a fondare una start-up in quella
località).
Non sembra, però, che siamo in all’opera puri spillover di conoscenza ma solo meccanismi di
mercato di trasferimento di capitale umano e conoscenze: le altre aziende del territorio non
beneficeranno delle nuove scoperte. Non è esatto: non beneficiano direttamente delle nuove
scoperte ma possono beneficiare del contesto socio-istituzionale plasmato in parte dalla presenza
di innovazione.

4. I Sistemi Regionali
All’inizio degli anni ’90 comincia ad essere messo in discussione l’assunto che esista un solo
regionale. Si comincia a parlare di learning regions, un primo tentativo di collegare i processi di
innovazione e le reti regionali nella spiegazione dello sviluppo regionale. Dal momento che i
processi innovativi sono molto complessi, nessuna impresa è in grado di gestirli da sola: le
economie regionali sono la sede più adatta per rispondere alla trasformazione.
La variante nordamericana della letteratura sulle learning regions si concentra sulle risorse
sociocognitive: qualità delle infrastrutture, università, centri di ricerca.
La variante europea si concentra sulle risorse socionormative: ruolo del capitale sociale, della
fiducia, dell’apprendimento interattivo.

Queste riflessioni sulle LR hanno contribuito alla ricerca sfociata nei sistemi di innovazione
regionale (SIR), che si colloca in una posizione complementare rispetto ai SIN.
Il SIR si configura come un’area geografica in cui, grazie a un contesto culturale e istituzionale
favorevole, si realizza una cooperazione per l’innovazione che coinvolge una pluralità di
organizzazioni:
 Le imprese innovative sono collocate all’interno di reti regionali in cui interagiscono e
cooperano non solo con fornitori, concorrenti e clienti ma anche con le organizzazioni
formative, i centri di ricerca, gli enti pubblici…
 La prossimità di queste organizzazioni facilita e alimenta i processi d’innovazione.
 Le autorità regionali possono giocare un ruolo importante per sostenere questi processi
offrendo servizi e promuovendo l’interconnessione.
I fattori costitutivi del SIR si dividono nel lato dell’offerta e lato della domanda:
 Lato Offerta: organizzazioni che producono conoscenza e formano capitale umano.
 Lato Domanda: imprese e organizzazioni che usano queste risorse per creare e
commercializzare innovazioni di prodotto e di processo.
 Vi è poi una serie di organizzazioni che assumono un ruolo di intermediazione.

Vengono, inoltre, specificate due dimensioni costitutive dei SIR:


o Dimensione della governance, cioè politiche pubbliche e infrastrutture conoscitive che
sostengono l’innovazione delle imprese locali. Si basa su 5 variabili che vanno a definire i
diversi tipi ideali di SIR:
1) Fonte dell’iniziativa
2) Fonte del finanziamento
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3) Competenze di ricerca
4) Grado di specializzazione
5) Grado di coordinamento

TIPO 1. Sistema Grassroots (dal basso). Es: distretti della Terza Italia.
1) Fonte dell’iniziativa: locale.
2) Fonte del finanziamento: diffuso. Dalle famiglie, dal sistema creditizio, dalle istituzioni
locali.
3) Competenze di ricerca: sparse e di tipo applicativo.
4) Grado di specializzazione: specializzazione tecnica debole, orientata alla risoluzione dei
problemi che sorgono dalla sfera produttiva.
5) Grado di coordinamento: basso coordinamento con le imprese sovralocali.

TIPO 2. Sistema Network (a rete). Es. Land tedesco del Baden-Wurttemberg.


1) Fonte dell’iniziativa: multilivello.
2) Fonte del finanziamento: deriva da accordi che coinvolgono tutti gli attori rilevanti
(banche, imprese, agenzie governative).
3) Competenze di ricerca: miste. Conoscenze teoriche ma anche applicative, che
consentono sia la ricerca di base che quella operativa.
4) Grado di specializzazione: flessibile. La domanda arriva da imprese locali e
contemporaneamente da imprese globali.
5) Grado di coordinamento: potenzialmente elevato
È un sistema che non è guidato esclusivamente dal mercato né pianificato dal governo
regionale. Ha una governance reticolare che comprende rapporti verticali di potere e
orizzontali di cooperazione.

TIPO 3: Sistema Dirigista. Es. Regione francese Rhone-Alpes.


1) Fonte dell’iniziativa: dal governo centrale.
2) Fonte del finanziamento: dal governo centrale.
3) Competenze di ricerca: di base e applicative, ma decise dalle grandi imprese pubbliche
o private provenienti dall’esterno dell’area.
4) Grado di specializzazione: elevato.
5) Grado di coordinamento: elevato.

o Dimensione dell’innovazione aziendale, cioè la struttura economica e industriale con


particolare riferimento alla cultura produttiva e alla capacità di innovazione delle imprese.
Tiene conto di: ruolo delle grandi imprese, delle relazioni tra le aziende, delle relazioni tra
le aziende e gli altri attori locali e del mondo esterno, del loro approccio all’innovazione.

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TIPO 1: Sistema Localista.
Il ruolo delle grandi imprese è limitato. La capacità innovativa delle piccole e medie
imprese è limitata. I finanziamenti pubblici sono pochi ma ci sono alcuni piccoli centri di
ricerca privati. La capacità associativa buona.

TIPO 2: Sistema Interattivo.


Mix equilibrato di piccole, medie e grandi imprese, sia di origine locale che esterna. Mix di
ricerca pubblica e privata. La capacità di ricerca si dispiega su scala locale ma se necessario
anche all’esterno. Buon livello associativo sia verticale che orizzontale.

TIPO 3: Sistema Globalizzato.


Dominato dalla grande impresa ma trovano spazio a livello locale agglomerazioni di piccola
e media impresa. La ricerca è concentrata nelle grandi imprese di tipo privatistico. La
capacità associativa dipende dal ruolo della grande impresa.

Per rendere questi “tipi ideali” adattabili al mondo empirico Cooke propone 5 concetti
interconnessi per definire il grado con cui la regione presa in esame si avvicina al tipo ideale:
1) Regione  che tipo
2) Innovazione  capacità di commercializzare nuove conoscenze
3) Network  rapporti cooperativi tra gli attori
4) Apprendimento  diffusione delle novità nelle imprese
5) Interazione  reticoli di relazioni

Europa: prevalenza SIR istituzionali  basati sulle istituzioni pubbliche


USA: prevalenza SIR imprenditoriali  basati sugli attori privati.

I sistemi regionali sono collegati ai tre tipi di conoscenza che si fondato su diverse combinazioni di
sapere tacito e codificato:
1) Base di conoscenza sintetica  comparti produttivi tradizionali (meccanica). Vengono
impiegate nozioni già disponibili per dare vita a nuove combinazioni. Innovazione
incrementale, sapere tacito.
2) Base di conoscenza analitica  ruolo maggiore della ricerca scientifica. Il sapere codificato
assume più rilievo. Innovazione radicale.
3) Base di conoscenza simbolica  creazione di significati, desideri e attributi estetici
(pubblicità, media, moda, design). Conoscenza trasmessa attraversi simboli, immagini,
suoni, narrazioni. Grande componente di sapere tacito.

VII. Innovazione e sviluppo locale

1. Le economie di agglomerazione
Come si connetto i vantaggi agglomerativi ai processi di innovazione?
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Partiamo dalla definizione di economie di agglomerazione = benefici economici che derivano alle
imprese dal fatto di essere geograficamente localizzate le une vicino alle altre. Esistono due tipi di
economia di agglomerazione:
1) Economie di urbanizzazione  legate alla dimensione urbana, al volume della
popolazione, alla densità abitativa e alla varietà delle attività e dei servizi disponibili nelle
città. Da queste dipendono le esternalità di Jacobs.
2) Economie di localizzazione  discendono dalla co-localizzazione di imprese di uno stesso
settore. Da queste dipendono le esternalità di Marshall.

Esternalità di Jacobs
A favorire l’innovazione, non sono tanto la concentrazione di imprese dello stesso settore e
l’elevata specializzazione, bensì la varietà e diversità di attività economiche collocate nella stessa
area geografica. Di conseguenza, nei contesti urbani l’addensamento di popolazione, la vicinanza e
l’interazione tra persone rendono più fluido lo scambio di informazioni e il contatto tra idee
diverse, agevolando l’innovazione.
Quindi, gli scambi economici, le collaborazioni e gli spillover di conoscenza all’interno di uno stesso
settore sono meno importanti di quelli tra settori diversi.
Da ciò discende il concetto di related variety (varietà collegata) per cui a stimolare l’innovazione è
la presenza in un luogo di una specializzazione in settori tecnologicamente limitrofi con basi
conoscitive compatibili.

2. La scuola italiana
Esternalità di Marshall
Questo tipo di esternalità è collegato al concetto di distretto industriale (DI). Il DI è un’entità socio
territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva di una comunità di persone e di una
popolazione di imprese industriali.
La comunità di persone incorpora un sistema omogeneo di valori e perché sia garantita la
riproduzione intergenerazionale di questi valori è necessario un sistema istituzionale e normativo
che li sostenga.
La popolazione di imprese industriali è composta da piccole e medie imprese (PMI) indipendenti,
appartenenti allo stesso settore produttivo e legate tra loro da una suddivisione specialistica del
lavoro. La concentrazione all’interno di un DI di un gran numero di piccole aziende specializzate in
una singola parte della lavorazione può generare la presenza di economie di scala.

Ma perché la localizzazione di tante PMI all’interno di un DI genera vantaggi competitivi?


Innanzitutto, è necessario distinguere:
Economie interne  dipendono dall’efficienza organizzativa e dalle risorse proprie delle singole
aziende.
Economie esterne  dipendono dallo sviluppo generale dell’industria a cui appartengono quelle
imprese.
Sono proprio le economie esterne a creare tre tipi di vantaggi competitivi per le PMI:

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1) Vantaggio legato alle economie di specializzazione  largo numero di fornitori
specializzati nel soddisfare ogni singola fase dell’attività produttiva.
2) Vantaggio legato al mercato del lavoro qualificato e specializzato  buon capitale umano
a disposizione, in virtù delle tradizioni produttive storicamente sedimentate nella
comunità. Si respira un’”atmosfera industriale” che crea una speciale attitudine al lavoro.
3) Vantaggio legato a circolazione delle informazione e spillover di conoscenza  facilità di
ottenere notizie cruciali per gli scambi commerciali e presenza di uno stock di competenze
specialistiche legate al contesto locale che agevolano la produzione di nuove idee.
Questa conoscenza contestuale è per lo più tacita e informale ma da sola non basta. Per
garantire un rinnovamento continuo bisogna attingere anche alla conoscenza codificata che
circola nelle reti globali e al sapere scientifico e tecnologico formalizzato.

Il DI è un ambiente favorevole all’innovazione per:


- Ragioni economiche  competizione e divisione specialistica del lavoro
- Ragioni normative  etica del lavoro, reputazione professionale, apprezzamento per le
idee innovative.
- Ragioni sociali  le reti relazionali della comunità locale che agevolano lo scambio di idee e
la diffusione imitativa delle innovazioni.
Inoltre, i processi creativi possono avvalersi creatività individuale, con la dedizione assoluta del
produttore indipendente, e della creatività collettiva, che coinvolge l’intera comunità. Infatti, nel
DI si dispiega una vera e propria capacità innovativa diffusa determinata dal carattere frazionato
delle competenze di ognuno, che da vita a veri e propri fenomeni di innovazione collettiva.

Le motivazioni che spingono all’innovazione non sono solo di tipo economico ma c’è anche il
desiderio di affermare o consolidare la propria reputazione professionale e il proprio prestigio
sociale.

Esempi di distretti industriali sono le zone della Terza Italia (Triveneto, Emilia-Romagna, Toscana,
Marche, Umbria) e dallo studio di queste zone nasce la scuola italiana dei distretti industriali e
dello sviluppo locale, che assume un approccio interpretativo convergente tra sociologi economici
ed economisti.

3. Mondi della produzione e milieu innovativi


Un approccio simile a quello della scuola italiana è quello della scuola californiana delle economie
esterne, che sottolinea il fatto che la divisione del lavoro tra le imprese è una risposta
all’incertezza causata dai mutamenti di mercato e tecnologici che tendono ad aumentare i costi
delle transizioni economiche. L’agglomerazione territoriale consente di ridurre questi costi e di
avvalersi di economie esterne che ne aumentano la capacità competitiva.
Le regioni e le località generano una varietà di interdipendenze non economiche, cioè beni
relazionali che consentono ad alcuni territori di apprendere più velocemente di altri. Queste
agglomerazioni territoriali possono essere definite mondi regionali della produzione. Alla base di
queste tendenze agglomerative troviamo la possibilità di instaurare contatti faccia a faccia,
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relazione particolarmente rilevante quando l’informazione è imperfetta e difficilmente
codificabile.

Il GREMI, gruppo di ricerca europeo, definisce il milieu innovativo come una rete complessa di
relazioni sociali prevalentemente informali che si svolgono su un’area geografica limitata
determinando un senso di appartenenza e rafforzando la capacità innovativa.
Questo filone di ricerca si concentra in particolar modo sugli ambienti (milieu) innovativi: il
territorio è concepito come uno spazio relazionale cge stimola processi di apprendimento
collettivo, incorporati nel milieu e nel mercato del lavoro locale, riducendo l’incertezza connessa al
cambiamento tecnologico.
La dimensione locale di questi processi, però, non esclude collaborazioni strategiche con attori
esterni.

4. Distretti High-Tech
Saxenian compara Silicon Valley e Route 128 (Boston), entrambe località leader dell’elettronica
fino agli anni Ottanta. All’aumento della concorrenza internazionale, questi due ambienti
rispondono in modo diverso: alla fine degli anni Ottanta la R128 cede la leadership alla SV. Perché?
La SV è una esempio di sistema industriale basato su reti orizzontali interaziendali, capace di
stimolare l’apprendimento collettivo, basato su un insieme di imprese che collaborano dividendosi
il lavoro, specializzate in tecnologie complementari. Le relazioni sociali proliferano, il mercato del
lavoro è aperto e mobile, nascono continuamente nuovi imprenditori e c’è grande competizione
tra le imprese.
La R128 è un sistema basato su poche grandi aziende autosufficienti integrate verticalmente, con
confini aziendali definiti, con un’organizzazione gerarchica e l’informazione discendente dai vertici.
Segretezza e lealtà aziendale impediscono la circolazione di informazioni.
il sistema produttivo a rete della SV le garantisce un vantaggio competitivo cruciale, sostenendo
la capacità adattiva delle imprese. Un sistema come quello della R128 è adatto a un contesto
tecnologico e di mercato più stabile.

Perché i fenomeni di agglomerazione che in passato hanno mostrato la loro importanza nei settori
manifatturieri tradizionali si dimostrano altrettanto rilevanti per i settori dell’alta tecnologia?
Nelle condizioni di funzionamento dell’economia contemporanea, la dimensione sociale e
relazionale dell’innovazione tende a diventare sempre più importante rispetto a quella
strettamente aziendale.
Ma non tutte le produzioni dell’alta tecnologia assumono una configurazione distrettuale. Perché
ci avvenga sono necessarie tre condizioni:
1) Processo produttivo scomponibile
2) L’incertezza delle traiettorie tecnologiche deve stimolare una configurazione distrettuale
3) La variabilità del mercato deve richiedere un’elevata flessibilità organizzativa.
Le economie esterne all’azienda ma interne alla località assumono, come nei DI tradizionali, una
grande importanza. Esse sono il prodotto di beni collettivi locali e possono essere tangibili e
intangibili: infrastrutture e servizi locali; conoscenza tacita, convenzioni, norme, capitale sociale.
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Le economie esterne, che producono vantaggi competitivi, non possono essere prodotte dalle PMI
ma solo all’interno di un sistema di produzione locale.

I distretti high-tech hanno, rispetto ai DI tradizionali, degli elementi tipici:


 Necessità di accesso alla ricerca e collegamento con strutture scientifiche e universitarie
 Necessità di fornitori specializzati di beni e servizi avanzati specifici per le imprese high-
tech.
 Necessità di un contesto fornito di aree attrezzate e parchi tecnologici e adeguate
infrastrutture di comunicazione.
 Ruolo familiare e delle reti parentali meno cruciale. Non si tratta di imprese famiglia (come
spesso accade nei DI tradizionali) ma più che altro di imprese di soci.
 Percorsi formativi degli imprenditori più formalizzati e basati su lunghe fasi di istruzione.
 Capitale sociale meno basato su reti parentali e comunitarie.
 La governance locale è più basata su processi intenzionali di cooperazione tra attori
pubblici e privati piuttosto che su quanto ereditato dalla storia della comunità.

Il profilo socioterritoriale dei sistemi leader è molto diverso tra alta tecnologia e meccanica
(tradizionale):
 Alta tecnologia  connotazione metropolitana, radicamento nelle grandi città del
nordovest con buona dotazione di università e laureati e un ruolo rilevante delle grandi
imprese.
 Meccanica  addensamento maggiore nelle regioni e nei sistemi produttivi della Terza
Italia con maggiore presenza di medie imprese.

Ma quali sono i tratti distintivi delle imprese fortemente innovative (sia della meccanica che
dell’alta tecnologia)?
 Imprese solide
 Mercati altamente competitivi
 Imprese altamente innovative
 Fortemente radicate sua a livello sociale che territoriale.
 Grande uso di partnership innovative  riescono a coniugare i vantaggi delle reti corte
(locali e regionali) con quelli delle reti lunghe (extraregionali).
 Elevate performance economiche (fatturati, produttività ed esportazioni)

Lo stesso tipo di analisi può essere applicato anche ai territori. Anche i poli urbani possono essere
high-tech e divisi in tre categorie:
 Città metropolitane
 Città medie universitarie
 Piccole città
I meccanismi generativi che creano questi sistemi localo sono di contesto (dotazioni naturali e
storiche, economie esterne…), a cui ci si riferisce parlando di città sistema, e di agenzia, legati
all’azione imprenditoriale e all’intervento intenzionale di attori pubblici e privati, che delineano la
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città attore. I poli urbani dell’alta tecnologia nascono dall’intersezione della città sistema e della
città attore. A fare la differenza, in ogni caso, sono i fattori di agenzia e nello specifico la presenza
di un azione imprenditoriale intenzionale che produce valore partendo dalle riscorse di contesto.
5. Vicinanza territoriale e prossimità relazionale
Tutti questi approcci condividono i seguenti punti:
o Importanza della dimensione geografica
o Centralità di conoscenza e capitale umano
o Rilievo del contesto socio istituzionale e dei beni collettivi locali capaci di generare
economie esterne
o Dimensione sistemica e reticolare dell’innovazione con particolare attenzione all’aspetto
relazionale.

Per capire la dimensione territoriale bisogna analizzare l’innovazione applicando una serie di livelli
esplicativi:
 Analisi di tipo ecologico sui fattori di contesto (assetti istituzionali, beni collettivi, risorse
economiche di un’area)
 Analisi di tipo individuale sui fattori agenzia (strategie e azioni messe in campo da attori
locali e non)
 Analisi di tipo relazionale sulle relazioni interpersonali e interorganizzativi (le relazioni
esercitano un’influenza autonoma rispetto agli elementi contestuali e alle azioni
individuali)
Fondamentale per l’analisi del processo di innovazione è mai dare per scontato che la dimensione
geografica, locale e regionale risulti sempre determinante per l’innovazione. La sua rilevanza va
desunta a partire da ricerche empiriche e da quanto emerge nei comportamenti e nelle relazioni
degli attori. Ciò consente di capire quanto le loro risorse dipendano dal contesto e quanto da
forme di prossimità di tipo non geografico.
Non a caso, siamo di fronte a una progressiva relativizzazione dei concetti di distanza e
prossimità: la distanza diventa socializzata e di conseguenza la prossimità diventa un concetto
multidimensionale:
1) Prossimità cognitiva  connessa alle diverse basi di conoscenza
2) Prossimità organizzativa  connessa alle diverse soluzioni approntate per la collaborazione
3) Prossimità sociale  connessa ai legami interpersonali
4) Prossimità istituzionale  connessa alle istituzioni che definiscono valori e norme di
condotta
5) Prossimità geografica  connessa alla distanza spaziale
Esiste una relazione a U invertita tra prossimità e innovazione: troppa vicinanza crea effetti di lock-
in causati dal deficit di varietà nelle risorse cognitive; troppa distanza non genera coesione e
fiducia creando ostacoli all’interazione e allo scambio di conoscenze.

La prossimità geografica è solo una delle possibili prossimità, pertanto, non è condizione
necessaria né sufficiente per l’innovazione, anche se può aiutarla innescando le altre dimensioni
della prossimità e rinforzandone l’azione.
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