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1 Capitolo

Teorie e modelli di sviluppo dell’innovazione

1.1 Introduzione all’innovazione

L’innovazione è una naturale tendenza umana a cercare il diverso, lo sconosciuto, la varietà,


indipendentemente dall’attività coinvolta. Tutti i cambiamenti generati e causati dall’uomo
sono il frutto degli impulsi che lo spingono verso tale ricerca. Un impulso diretto può avere
dei risultati che migliorano la qualità di un’attività: in tal caso si parla di innovazione. La
produzione di nuove idee è illimitata, ma solo quando esse creano valore, si può parlare di
innovazione. Talvolta, l’innovazione viene effettuata prendendo un’idea, un concetto o un
prodotto esistente e applicandovi un miglioramento, un perfezionamento. Tuttavia, ciò che
risulta essere fondamentale, è l’abilità di pensare fuori dai canoni, di andare al di là di ciò che
già esiste e inventare un concetto totalmente nuovo. Di estrema importanza, è la distinzione
tra invenzione e innovazione. L’invenzione è l’ideazione tradotta in realtà di un progetto o di
un elemento risolutivo originale nell’ambito di una funzionalità determinato. È, dunque, un
processo che porta un’idea che, però, deve essere tradotta in realtà. Autentico innovatore,
invece, non è colui che possiede idee o tecniche, ma colui che le traduce in fatti concreti e
utili, in modo da creare valore economico e sociale.

Nel contesto attuale in continuo divenire, l’innovazione tecnologica è diventata il fattore


determinante del successo competitivo: per la maggior parte delle imprese, innovare è
diventato un imperativo strategico, al fine di acquisire e mantenere posizioni di leadership nel
mercato. Per via della globalizzazione dei mercati, alle imprese risulta essere necessario
applicare dei processi innovativi, con l’obiettivo di produrre servizi e prodotti con un elevato
grado di differenziazione rispetto alla concorrenza (Schilling, 2009).

Non tutte le imprese sono in grado di adattarsi ai continui cambiamenti dell’ambiente


circostante, talvolta, esse sono costrette a fronteggiare delle forti riduzioni della propria
competitività. Analogamente, si osserva che nessuna organizzazione, indipendentemente dalla
dimensione e dalla posizione all’interno del mercato, è immune a tale processo di
trasformazione. Dunque, il mantenimento della propria forza competitiva è dato dalla capacità
di assimilare nuove tecnologie e di generare innovazione. Tale necessità, ha spinto le imprese
ad innovare, determinando un innalzamento degli standard competitivi con una conseguente
maggiore difficoltà nel raggiungere il successo all’interno del mercato, ma anche fornendo
grandi benefici alla società. I consumatori, infatti, grazie agli effetti del progresso tecnologico,
possono godere di un accesso ad una gamma di prodotti e di servizi sempre più ampia.

Molte imprese, a causa del timore di perdere il proprio vantaggio competitivo, si buttano a
capofitto nello sviluppo di nuovi prodotti e di nuovi servizi senza aver definito una precisa
strategia e senza avvalersi di adeguati sistemi di gestione di tali processi. In questo modo, le
imprese avviano più progetti di quanti effettivamente possono sostenerne oppure scelgono
progetti poco coerenti con gli obiettivi. Questa situazione si traduce in un fallimento per
l’impresa.

1.2 Definizione e classificazione

“L’implementazione di un prodotto (bene o servizio) nuovo o significativamente


migliorato, oppure un processo, un nuovo metodo di marketing, o altrimenti un
nuovo metodo organizzativo di business, luogo di lavoro o relazioni esterne.”
(OECD, 2005)

Tale definizione di innovazione, è stata fornita dalla Organization for Economic Co-operation
and Development, OECD, quando, nel 2005, si è venuta a creare la necessità di sviluppare un
approccio più relazionale alle attività di ricerca e innovazione che ha portato alla realizzazione
del Manuale di Oslo. La OECD è un’organizzazione sovranazionale, finalizzata allo sviluppo
economico e alla cooperazione di cui fanno parte una grande porzione di paesi europei e gli
Stati Uniti d’America.

Il Manuale di Oslo, per misurare l'innovazione, definisce quattro tipi di innovazione:


innovazione di prodotto, innovazione di processo, innovazione di marketing e innovazione
organizzativa. Tali tipologie presentano non solo delle sostanziali differenze, ma anche dei
collegamenti reciproci. Ad esempio, un’innovazione di processo può non generare alcuna
innovazione di prodotto, ma è molto probabile che un’innovazione di mercato impatti sul
prodotto al punto da generare un’innovazione in tale ambito, e che questa a sua volta
giustifichi un’innovazione di processo e così via.
Ø Innovazione di prodotto: introduzione di un bene o un servizio nuovo o notevolmente
migliorato nelle sue caratteristiche e nei suoi utilizzi. Ciò include miglioramenti
significativi nelle specifiche tecniche, componenti e materiali, software nel prodotto,
facilità d'uso o altre caratteristiche funzionali. Le innovazioni di prodotto possono
utilizzare nuove conoscenze o tecnologie oppure possono essere basate su nuovi usi o
combinazioni di conoscenze o tecnologie esistenti. Il termine "prodotto" fa riferimento
sia ai beni che ai servizi. Un’innovazione di prodotto include sia l’introduzione di un
bene o servizio che rappresenta una assoluta novità, sia l’introduzione di un
significativo miglioramento nelle caratteristiche funzionali del bene o del servizio
esistente. I nuovi prodotti sono beni e servizi che differiscono in modo netto e
significativo nelle loro caratteristiche o negli usi previsti dai prodotti precedentemente
realizzati dall'impresa. Tali innovazioni includono rilevanti migliorie nelle specifiche
tecniche, nei materiali, nei componenti, nell’ergonomia e nelle prestazioni. Può basarsi
su nuove conoscenze o tecnologie o su usi e combinazioni diversi dagli esistenti.

Ø Innovazione di processo: implementazione di un metodo di produzione o di


distribuzione nuovo o notevolmente migliorato. Ciò include cambiamenti significativi
nelle tecniche, attrezzature e software. Le innovazioni di processo hanno come
obiettivo quello di ridurre i costi unitari di produzione e consegna, aumentare la
qualità e produrre o fornire prodotti nuovi o notevolmente migliorati. I metodi di
produzione comprendono le tecniche, le attrezzature e i software utilizzati per
produrre beni o servizi. I metodi di consegna riguardano la logistica dell'impresa e
comprendono attrezzature, software e tecniche per reperire input, allocare forniture
all'interno dell'impresa o consegnare prodotti finiti. Sostanzialmente le innovazioni di
processo sono orientate al miglioramento dell’efficacia o dell’efficienza di un
processo di produzione o distribuzione, rendendolo più performante ed economico. Di
conseguenza si registra un aumento degli standard di produzione a fronte di un costo
più basso.

Ø Innovazione di marketing: implementazione di un nuovo metodo di marketing che


comporta cambiamenti significativi nella progettazione, nel posizionamento
all’interno del mercato, nel prezzo e nel packaging di un prodotto. Le innovazioni di
marketing mirano a soddisfare meglio le esigenze dei clienti, ad aprire nuovi mercati o
a posizionare un determinato prodotto di un'impresa sul mercato, con l'obiettivo di
incrementare le vendite dell'impresa. A tal proposito, gioca un ruolo fondamentale la
dinamicità e la mutevolezza dei mercati; è, dunque, fondamentale e necessario lo
sviluppo di una coerente strategia di innovazione, essendo essa stessa la causa
dell’innovazione. Tali strategie possono comprendere delle nuove tecniche di vendita,
nuovi metodi di commercializzazione, attraverso modifiche al design del prodotto,
inteso non come il puro aspetto estetico, bensì come un cambiamento, un’evoluzione
del significato attribuito al prodotto.
Un'innovazione di marketing, per essere definita tale, prevede l'implementazione di un
metodo di marketing mai precedentemente utilizzato dall'impresa. Dunque, è
necessario discostarsi dai metodi di marketing esistenti all’interno dell’impresa,
sviluppando strategie e concetti nuovi. Nuovi metodi di marketing possono essere
implementati sia per i prodotti nuovi che per quelli esistenti (OECD, 2005).

Ø Innovazione organizzativa: implementazione di un nuovo metodo organizzativo nelle


pratiche commerciali dell'impresa, nell'organizzazione del posto di lavoro o nelle
relazioni esterne. Un’innovazione di tipo organizzativo si pone come obiettivo la
riduzione dei costi di transazione o di amministrazione, l’incremento del livello di
soddisfazione dei lavoratori, la possibilità di accedere ad asset intangibili e la
riduzione dei costi di fornitura. La realizzazione di tali obiettivi è possibile grazie
all’implementazione di nuove routine, di nuove procedure per lo svolgimento del
lavoro, di cambiamenti nella divisione del lavoro, della distribuzione delle
responsabilità e del potere decisionale e da nuove strutture organizzative dell’attività.
L’implementazione di tali attività si traduce nella capacità di creare innovazione,
ovvero l’adattarsi ai cambiamenti continui dell’ambiente circostante.

Dopo aver definito le tipologie di innovazione, è possibile fare un ulteriore distinzione


rispetto al grado di novità che le innovazioni hanno ottenuto.

Ø Innovazione radicale: rappresenta una combinazione di novità assoluta e


differenziazione rispetto ai prodotti e ai processi già esistenti. Un’innovazione radicale
può essere ottenuta ricombinando elementi già stabiliti (Fleming, 2001) o
introducendo un elemento già stabilito in un nuovo contesto (Hargadon e Sutton,
1997). La radicalità di un’innovazione talvolta consente la creazione di una nuova
traiettoria tecnologica e, inoltre, avvia la catena di miglioramenti o costituisce il
nucleo del cambiamento (Silverberg, 2002). Un'invenzione radicale può essere in
grado di influenzare le innovazioni future, ossia il contenuto tecnico futuro. Essa è
l'agente di cambiamento nelle industrie esistenti, o il punto di partenza per nuove
industrie, spesso sostenuta da un individuo o un'organizzazione che non riuscirà a
trarne alcun vantaggio economico (Tellis e Golder, 1996). L'invenzione iniziale di
solito non è il prodotto finito che viene immesso sul mercato. Nonostante molte
invenzioni radicali falliscano nelle loro prime realizzazioni, le idee chiave alla base
dell'invenzione potrebbero avere un grande impatto sugli elementi e sulle
combinazioni di elementi utilizzati nelle invenzioni successive. Pertanto, avendo un
impatto sui futuri contenuti tecnici, un'invenzione radicale potrebbe trasformare la
tecnologia in un secondo momento, anche se le prime manifestazioni falliscono. Per
essere considerata radicale un'invenzione deve soddisfare tre criteri: deve essere
nuova, ovvero dissimile dalle invenzioni precedenti, deve essere unica, quindi
dissimile dalle invenzioni attuali, e deve essere adottata, influenzando il contenuto
delle invenzioni future. Se un'invenzione soddisfa i primi due criteri, si può affermare
ex ante che è un'invenzione radicale. Laddove essa soddisfi anche il terzo criterio, si
può affermare ex post che è un agente di cambiamento di successo, che genera un
cambiamento tecnologico radicale in un settore. Ad ogni criterio è associato un
periodo di tempo che deve essere utilizzato per analizzare ciascuna invenzione:
passato, presente, e futuro. In ciascuno di essi, si determina se l'invenzione è simile o
dissimile da altre invenzioni. Il carattere radicale di un’innovazione viene talvolta
definito anche in termini di rischio e, poiché le innovazioni radicali spesso
incorporano nuove conoscenze e dunque la percezione di tale rischio risulta essere
differente tra individui diversi, di relatività, in quanto può cambiare nel tempo o
secondo la prospettiva di analisi (Dahlin e Behrens, 2005).

Ø Innovazione incrementale: non presenta caratteristiche particolarmente nuove e


originali, le quali possono essere già note all’interno dell’impresa o del settore in cui
essa opera e consiste in cambiamenti marginali o in lievi adattamenti di soluzioni
preesistenti (Schilling, 2009). L’innovazione incrementale sviluppa paradigmi
preesistenti, è continua, ma con ritmi diversi nei vari settori, è solitamente frutto di
invenzioni degli ingegneri e del personale dei processi produttivi. Aumenta
produttività e competitività dell’impresa migliorando l’efficienza di utilizzo di tutti i
fattori della produzione. Inoltre, sfrutta il potenziale del design stabilito e spesso
rafforza le capacità e il predominio di aziende consolidate (Nelson e Winter, 1982).

Ulteriore classificazione di fondamentale importanza è quella tra innovazione competence


enhancing e innovazione competence destroying.

Ø Innovazione competence enhancing: un’innovazione viene definita competence


enhancing quando consiste in un’evoluzione della base di conoscenze preesistenti,
dunque, quando tende a basarsi sulla tecnologia e di un modello precedente.

Ø Innovazione competence destroying: un’innovazione viene definita competence


destroying quando la nuova tecnologia non nasce da competenze già possedute, bensì
quando tale tecnologia rende obsoleta quella precedente.

Un’innovazione, inoltre, può implicare una modifica dei singoli componenti, della struttura
generale, ovvero l’architettura, entro la quale operano i singoli componenti, oppure di
entrambi. Sulla base di ciò, è possibile fare un’altra classificazione di innovazione (Henderson
and Clark, 1990).

Ø Innovazione modulare: innovazione che apporta delle modifiche e dei cambiamenti ad


uno o a più componenti senza modificare la configurazione generale del sistema. Tali
modifiche hanno un impatto piccolo o irrilevante sugli altri componenti del sistema. È
un tipo di innovazione più semplice rispetto a quella architetturale e comporta un
grado di rischio minore.

Ø Innovazione architetturale: innovazione che comporta un cambiamento della struttura


generale del sistema o della maniera in cui i componenti interagiscono tra loro, ma
anche una riconfigurazione dei meccanismi di interazione dei suoi componenti pur
senza modificare i concetti fondamentali del design e le conoscenze alla base dei
componenti. Tale tipologia di innovazione tende ad esercitare delle profonde e
complesse influenze sui concorrenti e su coloro i quali utilizzano la tecnologia
(Schilling, 2009). Distrugge l'utilità della conoscenza architettonica di un'impresa ma
preserva l'utilità della sua conoscenza sui componenti del prodotto. Un componente è
definito come una parte fisicamente distinta del prodotto che incarna un concetto di
design di base e svolge una funzione ben definita. La distinzione tra il prodotto come
sistema e il prodotto come insieme di componenti sottolinea l'idea che lo sviluppo di
un prodotto richiede due tipi di conoscenza: dei componenti, ossia la conoscenza di
ciascuno dei concetti fondamentali di progettazione e del modo in cui sono
implementati in un particolare componente, e dell'architettura, ossia la conoscenza dei
modi in cui i componenti sono integrati e collegati tra loro. La distinzione tra
conoscenza architetturale e conoscenza del componente, o tra i componenti stessi e i
collegamenti tra di loro, è una fonte di comprensione di come le innovazioni
differiscono tra loro. L'essenza di un'innovazione architetturale è la riconfigurazione di
un sistema consolidato per collegare i componenti esistenti in un modo nuovo. Ciò
non significa che i componenti stessi non siano toccati dall'innovazione. L'innovazione
architetturale è spesso innescata da un cambiamento in un componente, ovvero il
cambiamento di uno o più parametri del suo design, che crea nuove interazioni e
collegamenti con altri componenti nel prodotto stabilito. Il concetto di design di base
dietro ogni componente e le conoscenze scientifiche e ingegneristiche associate
rimangono gli stessi.

Un’ulteriore definizione di innovazione è stata fornita da Peter Drucker, uno dei maggiori
studiosi di management e di innovazione.

“Lo strumento specifico di imprenditori, il mezzo con cui essi sfruttano il


cambiamento come un’opportunità per un business diverso o un servizio
diverso. L’innovazione è in grado di essere presentata come disciplina, in
grado di essere appresa, in grado di essere praticata. Gli imprenditori hanno
bisogno di individuare le fonti di innovazione, i cambiamenti e i loro sintomi al
fine di cogliere opportunità di innovazione di successo.” (Drucker, 1999)

Drucker afferma che un’impresa acquisisce valore nel momento in cui possiede la capacità di
anticipare e di investire nelle opportunità del domani, credendo nell’innovazione qualsiasi
essa sia: di prodotto, di processo, di marketing, organizzativa.
1.2.1 Il contributo di Schumpeter
Un contributo fondamentale è stato fornito da Joseph Schumpeter, il primo economista che ha
esaminato in modo ampio, sistematico e approfondito il ruolo dell’innovazione nelle moderne
economie industriali.

Schumpeter assiste ad una trasformazione epocale del mondo delle imprese, dove gli sviluppi
tecnologici vengono implementati nei prodotti. Egli comprende che non si può considerare
l’innovazione come qualcosa che avviene nelle imprese secondo lo schema neoclassico. La
sua ipotesi fondamentale è che la tecnologia nasce al di fuori delle imprese e, osservando che
l’innovazione accompagna le imprese che divengono sempre più grandi, considera
l’innovazione come la chiave di sviluppo dell’impresa, ossia che un’impresa possa svilupparsi
per effetto dell’innovazione e non per effetto di una combinazione di capitale e lavoro o come
riduzione dei costi. Inoltre, i cambiamenti nelle imprese sono condizionati dai grandi
cambiamenti tecnologici, tali innovazioni, dunque, entrano nelle imprese perché avvengono
cambiamenti tecnologici a livello globale che diventano fondamentali per le imprese. Il
cambiamento tecnologico determina anche lo sviluppo del sistema economico centrale, quindi
i cambiamenti tecnologici sono responsabili dello sviluppo economico di un paese.

Con l’innovazione si ha una distorsione del mercato, sconvolge la struttura del mercato.
L’innovazione schumpeteriana ha un potere distruttore: è una forza che distrugge le
precedenti strutture di mercato e le precedenti strutture delle imprese.

Schumpeter identifica due caratteristiche legate all’innovazione:

Ø Rispetto al tempo in cui essa si manifesta: le innovazioni non rimangono eventi isolati
e non sono distribuite in modo uniforme nel tempo, ma tendono a comparire in modo
discontinuo e “a grappoli”, poiché all’inizio solo alcune imprese avviano processi di
innovazione e in un secondo momento la maggior parte di esse seguono, facilitate
dall’azione delle prime. Questa è una delle principali cause delle fluttuazioni cicliche
(business cycles) che caratterizzano l’andamento dello sviluppo economico.

Ø Rispetto al settore economico in cui essa si manifesta: le innovazioni non sono in


nessun momento distribuite casualmente in tutto il sistema economico, ma tendono a
concentrarsi in alcuni settori. Questo è il motivo per cui alcune industrie avanzano e
altre restano indietro e da tali divergenze si trae il carattere dell’innovazione che nel
tempo coinvolgerà l’intero sistema economico. Un ragionamento analogo può essere
effettuato per le aree geografiche.

L’innovazione, secondo Schumpeter, consiste in:

Ø Introduzione di nuovi beni;

Ø Introduzione di nuovi metodi di produzione;

Ø Creazione di nuove forme organizzative;

Ø Apertura di nuovi mercati;

Ø Conquista di nuove fonti di approvvigionamento.

1.3 Le fonti dell’innovazione

Varie sono le fonti che possono generare un’innovazione (Figura 1).

Figura 1 - Il sistema delle fonti di innovazione (Schilling, 2009)

Innanzitutto, può nascere all’interno della mente di un individuo, come accade nel caso
dell’inventore solitario o degli utilizzatori di un determinato prodotto o di una determinata
tecnologia, i quali vanno alla ricerca di soluzioni innovative al fine di soddisfare i propri
bisogni, sostituendo, in un certo senso, l’impresa nella creazione e ideazione di determinate
caratteristiche del prodotto o nella creazione di un prodotto ex novo.

In secondo luogo, l’innovazione può essere generata dalle attività di ricerca condotte da enti
pubblici di ricerca, università, incubatori di imprese e fondazioni private. Le imprese
rappresentano una delle fonti di innovazione più significative, grazie alla disponibilità di
maggiori risorse rispetto al singolo individuo e alla capacità di utilizzare tali risorse
orientandole verso il raggiungimento delle strategie e degli obiettivi prefissati. Le imprese,
inoltre sono notevolmente propense a realizzare prodotti e offrire servizi attivi, al fine di
aumentare il proprio grado di differenziazione rispetto ai competitors.

Un’ulteriore fonte di innovazione, non menzionata in precedenza ma altrettanto importante e


rilevante in termini di capacità di produrre innovazione, è rappresentata dalle interazioni e
dalle relazioni che si instaurano tra le fonti di innovazione precedentemente citate. Questo
network di innovatori rappresenta la fonte di innovazione più efficace, grazie alle risorse e
alle conoscenze di cui dispongono i vari soggetti che lo compongono. Questo concetto
rimanda alla teoria della “Triple Helix” proposta da Leyesdorff e Etzkowitz (2000). La
crescita di interazioni fra università, imprese e Stato, come partner egualitari, e lo sviluppo
congiunto di nuove strategie innovative e attività, frutto di questa cooperazione, sono il cuore
della teoria, presentata come modello per un nuovo sviluppo economico e sociale. La triple
helix diviene la piattaforma per la nascita di nuove forme istituzionali e la costituzione di
nuovi format organizzativi per promuovere l’innovazione, come gli incubatori, i parchi
scientifici e le imprese di venture capital. Tali organizzazioni sono il frutto dell’interazione fra
Stato, imprese e università e rappresentano una sintesi degli elementi della triple helix.
L’innovazione è dunque un fenomeno globale che implica il “learning by borrowing”, ossia
imparare prendendo in prestito da altri, importando ed adottando modelli organizzativi ed
invenzioni.

Uno degli aspetti rilevanti della teoria della triple helix riguarda il rapporto fra il Sistema
Nazionale dell’Innovazione e la triple helix stessa. Nonostante gli attori che prendono parte ai
due sistemi siano gli stessi, il nuovo sistema si differenzia fortemente dal quella che è
l’interpretazione classica del Sistema Nazionale dell’Innovazione nell’economia della
conoscenza, poiché, mentre in quest’ultimo ciascuna istituzione opera secondo un unico asse,
che rappresenta la “funzione specifica”, nella triple helix ciascuna sfera opera lungo due assi,
un asse “x” in cui riveste il suo ruolo tradizionale e un asse “y” in cui assume nuovi ruoli.
Questa interpretazione del ruolo che le istituzioni giocano, le une rispetto alle altre, assume un
ruolo fondamentale poiché la tesi che ne sta alla base è che sia possibile, per ciascuna
istituzione, comprese le università, assumere ruoli multipli, senza che la funzione primaria sia
danneggiata, bensì con un effetto sinergico in cui l’assunzione di nuove responsabilità porta
beneficio nello svolgimento delle funzioni originali (Etzkowitz, 2000).

Le fonti di innovazione, dunque, fanno parte di un sistema altamente complesso, in cui ogni
singola innovazione può emergere da uno o più attori del sistema o piuttosto dai legami tra i
nodi del network (Schilling, 2009).

1.4 Le fasi dell’innovazione

Il processo di trasformazione di una invenzione in una innovazione è particolarmente


complesso ed è reso possibile grazie a numerosi studi, investimenti in ricerca e sviluppo e
investimenti di natura economica, i quali daranno i propri risultati sul medio-lungo termine.

Un processo di innovazione comprende 5 fasi:

1. Ricerca di base: è la prima fase del processo di innovazione. È un’attività basata sulla
pura curiosità e volontà di aumentare la propria conoscenza senza alcun fine
applicativo o pratico. Tale ricerca tende a produrre un tipo di conoscenza più generale
e teorica.

2. Ricerca applicata: differentemente dalla ricerca di base, la ricerca applicata è basata


su fini applicativi, orientata alla conoscenza di metodi alternativi efficienti per
realizzare un determinato fine pratico. È quella fase della ricerca in cui l’invenzione
inizia a trasformarsi in innovazione.

3. Sviluppo: il processo di trasformazione di una invenzione in una innovazione, prevede


una ricerca orientata al miglioramento dei dettagli di produzione, con una finalità
commerciale, ovvero la vendita del bene o del servizio oppure l’utilizzo di tale
tecnologia innovativa in un processo produttivo.
4. Produzione: in questa fase, l’attività principale è attuata dai processi produttivi delle
imprese, al fine di realizzare il bene o il servizio che è stato ideato e sviluppato
attraverso la ricerca nelle tre fasi precedenti. A questo punto l’innovazione è pronta ad
essere introdotta sul mercato. Qui ha luogo il vero e proprio mutamento che porta
un’invenzione a diventare una innovazione.

5. Marketing: è l’ultima delle cinque fasi che portano alla creazione di una innovazione.
Tale innovazione, qui, viene commercializzata sul mercato dall’impresa, la quale
prende una serie di fondamentali decisioni riguardo il posizionamento all’interno del
mercato, le politiche di pricing, al fine di ottenere un profitto quanto più grande
possibile (Schilling, 2009).

1.5 Le curve tecnologiche a S

È stato osservato che sia il tasso di miglioramento della performance di una tecnologia sia il
suo tasso di diffusione del mercato tendono a seguire l’andamento di una curva a S. I due
processi devono necessariamente essere considerati distinti e separati, nonostante esista una
certa correlazione tra le due curve, in quanto un miglioramento della performance può
riflettersi come un incentivo per la diffusione di una tecnologia, mentre un elevato tasso di
adozione può sollecitare le imprese ad investire per migliorare le proprie prestazioni
tecnologiche.

1.5.1 Le curve a S del miglioramento tecnologico


Molte tecnologie, lungo il proprio ciclo di vita, presentano un andamento a forma di S, in
termini di miglioramento della performance (Figura 2).
Figura 2 - La curva a S della performance di una tecnologia (Schilling, 2009)

Mettendo in relazione l’incremento delle performance della tecnologia (asse delle ascisse) con
l’impegno (asse delle ordinate), misurato come il volume di investimenti, si registra un
andamento iniziale piuttosto lento, a cui segue una decisa accelerazione e infine un netto
rallentamento del miglioramento delle performance.

Nella prima fase, detta fase dei rendimenti decrescenti, il miglioramento della performance è
lento perché i principi della tecnologia non sono stati ancora del tutto compresi. Ci si trova
nella fase di exploration, in cui si esplorano, appunto, percorsi alternativi di miglioramento o
si ricercano altri fattori in grado di favorire il progresso tecnologico. L’exploration include la
ricerca, l’assunzione di rischi, la sperimentazione, la flessibilità, la scoperta e l’innovazione.
Talvolta, i sistemi adattivi che si impegnano nell'exploration escludendo l’exploitation
scoprono di subire i costi della sperimentazione senza ottenere benefici. Mostrano troppe
nuove idee non sviluppate e troppo poca competenza distintiva. Il punto di flesso che viene
successivamente raggiunto e detto disegno dominante: in realtà la prima fase, è costituita da n
rami che rappresentano gli n tentativi da parte dei competitors; solo uno, però, risulterà essere
la soluzione vincente che verrà lanciato sul mercato, a discapito delle altre, che avranno
generato solo dei costi e non dei ricavi.

Una volta raggiunto il punto di flesso, si giunge alla seconda fase, detta fase dei rendimenti
crescenti, in cui il miglioramento subisce una forte accelerazione, in termini di performance
tecnologica, a parità di impegno. Questa fase viene anche definita exploitation, in cui avviene
lo sviluppo della tecnologia lungo traiettorie tecnologiche note e l’impresa inizia ad avere dei
profitti. L’exploitation include la selezione, l’implementazione, l’esecuzione, la raffinatezza e
l’efficienza. I sistemi che si impegnano nell’exploitation escludendo l'exploration si trovano
intrappolati in equilibri stabili non ottimali. Di conseguenza, il mantenimento di un adeguato
equilibrio tra exploration e exploitation è un fattore primario per la sopravvivenza e la
prosperità del sistema. Negli studi sull'apprendimento organizzativo, il problema
dell'equilibrio nel trade-off tra exploration e exploitation si manifesta nelle distinzioni fatte tra
il perfezionamento di una tecnologia esistente e l'invenzione di una nuova. È evidente che
l'esplorazione di nuove alternative riduce la velocità con cui vengono migliorate le capacità di
quelle esistenti. È anche chiaro che i miglioramenti nella competenza nelle procedure esistenti
rendono meno attrattiva la sperimentazione con altre. Trovare un equilibrio appropriato è reso
particolarmente difficile dal fatto che gli stessi problemi si verificano ai livelli di un sistema
annidato, a livello individuale, a livello organizzativo e a livello di sistema sociale (March,
1991).

Ad un certo punto, però, la tecnologia non supera più il livello di performance raggiunto. Ci si
trova nella terza fase, detta fase di maturità, in cui il costo marginale di ciascun
miglioramento aumenta, mentre la curva tende ad appiattirsi.

Non sempre, però, le tecnologie raggiungono i propri limiti, perché già prima potrebbero
essere rimpiazzate dall’avvento di nuove tecnologie discontinue. Un’innovazione tecnologica
si dice discontinua quando risponde a una richiesta di mercato simile a quella già soddisfatta
da una tecnologia preesistente, basandosi su una base di conoscenze completamente nuova. In
una prima fase, una discontinuità tecnologica può avere delle performance inferiori rispetto
alla tecnologia esistente (Schilling, 2009).

1.5.2 Le curve a S della diffusione di una tecnologia


Le curve a S vengono utilizzate non solo per descrivere il processo di miglioramento
tecnologico di un’innovazione, ma anche per il processo di diffusione di una tecnologia
(Figura 3). Sostanzialmente, esse differiscono tra loro in termini di tempi: affinché una
tecnologia riesca a diffondersi sono necessari tempi molto lunghi. Spesso, però, a causa della
elevata complessità delle conoscenze alla base, alcune imprese la adottano in un secondo
momento. Per essere in grado di generare valore per gli utilizzatori, ad alcune tecnologie
risulta essere di fondamentale importanza associarvi delle risorse complementari. Inoltre,
parte delle conoscenze necessarie a sfruttare a pieno il potenziale dell’innovazione può
rimanere tacita e può essere trasmessa attraverso un network di relazioni. Dunque, molti
potenziali utilizzatori tenderanno ad adottare la tecnologia solo quando disporranno di risorse
complementari e delle conoscenze tacite (Geroski, 2000).

Figura 3 - Curva a S della diffusione di una tecnologia (Schilling, 2009)

La curva a S della diffusione di una tecnologia si basa sul differente tempo di adozione di tale
tecnologia da parte degli utilizzatori appartenenti alle diverse categorie del mercato. Gli
adottanti, coloro che adottano la tecnologia, si dividono in:

Ø Innovatori: sono i primi individui ad adottare l’innovazione. Non temono l’incertezza


legata ad un prodotto nuovo e la complessità dello stesso, possiedono un’elevata
disponibilità finanziaria, che permette loro di sostenere le eventuali perdite in caso di
fallimento della tecnologia. La quota di consumatori appartenente a questa categoria è
pari al 2,5%.

Ø Primi adottanti: sono individui in grado di trascinare le masse ed esercitare un elevato


potenziale di influenza sul comportamento altrui, fungono, infatti, da opinion leader.
Sono stimati essere pari al 13,5%.

Ø Maggioranza anticipatrice: è pari a circa il 34% degli utilizzatori. Essa anticipa di


poco il consumatore “medio”, avviando un processo di adozione della tecnologia più
lento e prudente. Diversamente dai primi adottanti, gli appartenenti alla maggioranza
anticipatrice svolgono sì un ruolo importante del processo di diffusione
dell’innovazione, ma non sono in grado di trascinare le masse.

Ø Maggioranza ritardataria: anch’essa viene stimata pari al 34% degli utilizzatori. Gli
appartenenti a questa categoria hanno un atteggiamento scettico e riluttante nei
confronti dell’innovazione, in attesa che si attenui il grado di incertezza che
caratterizza una nuova tecnologia.

Ø Ritardatari: comprende la quota residua del mercato, pari al 16%. Sono coloro i quali
mostrano un elevatissimo grado di scetticismo verso la nuova tecnologia, si basano
sulle proprie esperienze passate piuttosto che sulle influenze dei opinion leader.
All’interno di questa categoria, gli utilizzatori adottano i prodotti solo quando hanno
l’assoluta certezza della sua utilità (Schilling, 2009).

Un’ulteriore rappresentazione della diffusione di una tecnologia e delle categorie di adottanti


è il grafico della distribuzione normale (Figura 4).

Figura 4 - Distribuzione normale delle quote di mercato (Schilling, 2009)


1.6 Il disegno dominante

Il modello delle curve tecnologiche a S lascia presupporre che i cambiamenti tecnologici


seguano un andamento ciclico. In una prima fase si registra un andamento turbolento, seguito
poi da una fase di affermazione dell’innovazione, successivamente si ha un forte calo delle
performance che portano, infine, al superamento e alla sostituzione della tecnologia
(Anderson e Tushman, 1990).

Un modello in grado di analizzare l’evoluzione tecnologica è stato realizzato da Utterback e


Abernathy che, nel 1975, hanno osservato che un processo di innovazione tecnologica passa
attraverso una serie di fasi. La prima fase, definita fase fluida, è dominata da un elevato grado
di incertezza tecnica e commerciale. Le aziende sperimentano fattori di forma e diverse
combinazioni di caratteristiche del prodotto per valutare la risposta del mercato. Nel momento
in cui le soluzioni suggerite dei produttori e le esigenze manifestate dagli utilizzatori si
incrociano, emerge un disegno o modello dominante. In questa nuova fase, detta fase
specifica, le imprese concentrano il proprio impegno sulle innovazioni di processo che
rendono la produzione di quel disegno dominante più efficace ed efficiente, oppure sulle
innovazioni incrementali volte a migliorare i singoli componenti all’interno dell’architettura
complessiva (Utterback e Abernathy, 1975).

Basandosi sul modello di Utterback e Abernathy, Anderson e Tushman hanno individuato un


periodo di incertezza e di turbolenza, definito era di fermento, generato da ogni discontinuità
tecnologica poiché, nonostante l’elevata potenzialità dell’innovazione tecnologica, è presente
una certa perplessità nei consumatori. In questa fase, la vecchia tecnologia viene sostituita
dalla nuova, innescando una competizione tra modelli e disegni tecnologici alternativi.
L’obiettivo del disegno dominante era offrire una combinazione di caratteristiche in grado di
soddisfare meglio la domanda della quota più ampia del mercato, senza necessariamente
massimizzare la performance di ogni dimensione della tecnologia. La selezione del disegno
dominante, e quindi il suo successo, sancisce il passaggio dall’era di fermento all’era di
cambiamento incrementale (Figura 5), in cui le aziende mirano al raggiungimento
dell’efficienza del prodotto e alla penetrazione del mercato e rinunciano ad investire nella
sperimentazione di architetture di progetto alternative, concentrando le risorse sullo sviluppo
e il miglioramento delle competenze relative al disegno dominante (Anderson e Tushman,
1990).
Figura 5 - Il ciclo di vita di una tecnologia (Schilling, 2009)

Il principale motivo per cui molte imprese convergono verso un unico disegno dominante è la
presenza dei rendimenti crescenti associati alla diffusione di una determinata tecnologia.
Dunque, nel momento in cui cresce il numero degli adottanti, il valore della tecnologia
aumenta (Arthur, 1994). Un maggior numero di utilizzatori permette di acquisire una
conoscenza più approfondita della tecnologia, al fine di migliorare le sue performance e
applicazioni. Inoltre, questo porta ad una elevata diffusione della tecnologia, alla quale
verranno associati e sviluppati degli asset complementari.

Gli effetti dell’apprendimento e le esternalità di rete generano i rendimenti crescenti.

1.6.1 Gli effetti dell’apprendimento


L’affermarsi di una tecnologia e la relativa diffusione, permette alle imprese di accumulare
esperienza e di generare profitti che possono essere reinvestiti in attività di ricerca sviluppo
per migliorare le performance della tecnologia. Ad una maggiore diffusione della tecnologia,
è legato un aumento del grado di efficienza.

La curva di apprendimento (Figura 6), o curva di esperienza, permette di comprendere gli


effetti dell’apprendimento.
Figura 6 - Le curve di apprendimento

Dal grafico si evince che all’aumentare del volume cumulato di produzione (x), il costo
unitario medio (y) diminuisce. L’equazione della curva di apprendimento è y=a x−b, in cui a
è il costo unitario medio di produzione della prima unità e b è il tasso di apprendimento. Posto
a costante, la funzione decresce se aumenta b. Per aumentare il tasso di apprendimento (b), è
necessario aumentare l’esperienza e la capacità di assorbimento. Questa necessità si traduce
concretamente nell’assumere e mantenere personale qualificato e investire in ricerca e
sviluppo. L’abbassamento dei costi, quindi, facilita il raggiungimento del disegno dominante.

Sulla base dell’esperienza, ovvero l’utilizzo della tecnologia in questione, e della capacità di
assorbimento, tanto più l’impresa investe in ricerca, ha personale formato e qualificato, tanto
più il tasso di apprendimento (b) sarà elevato e tanto più basso sarà il costo unitario medio (y).
Questo permette una migliore realizzazione della determinata soluzione a un costo più basso,
in modo tale da poterla rendere un disegno dominante.

Il costo unitario medio di produzione (a) può essere comune a più imprese, il tasso di
apprendimento (b), misurato dalla pendenza della curva, invece, è un fattore che caratterizza
fortemente ogni singola impresa, in quanto dipende dall’esperienza e dalla capacità
assorbitiva, e ogni singolo mercato. Talvolta il tasso di apprendimento di un’impresa viene
influenzato dai progetti di miglioramento del processo, dalle innovazioni o dal contatto con
clienti e fornitori (Dutton e Thomas, 1984).

La capacità di assorbimento, ovvero il fenomeno per cui un individuo, quando impegnato in


processi di apprendimento, è in grado di acquisire e assimilare informazioni, viene rafforzata
dalle competenze e dalle capacità apprese dall’impresa durante le proprie esperienze
precedenti (Cohen e Levinthal, 1990).

Una conoscenza di base permette all’impresa di effettuare delle valutazioni più rapide ed
efficaci sul valore delle nuove tecnologie e dei nuovi metodi. Le imprese che sviluppano
tecnologie ed innovazioni, grazie agli effetti della capacità di assorbimento, ottengono una
posizione di leadership all’interno del mercato di riferimento, godendo di un notevole
vantaggio competitivo rispetto ai competitors. Diversamente, le imprese che non investono
nello sviluppo tecnologico oppure tendono a farlo in un secondo momento, sono destinate a
grandi difficoltà e a sostenere dei costi talvolta troppo elevati. In questo modo, il gap esistente
tra tali aziende e il leader nel mercato diventa incolmabile. (Schilling, 2009)

1.6.2 Le esternalità di rete


Nei mercati caratterizzati da esternalità di rete, il beneficio derivante dall’utilizzo di un bene
aumenta al crescere del numero degli utilizzatori. In questo modo si viene a creare uno
standard di comunicazione, ovvero la condivisione di un linguaggio comune.

Il numero di utilizzatori di una determinata tecnologia prende il nome di base di clienti o base
di installazioni. Dunque, il numero di clienti che utilizzano un determinato prodotto o
tecnologia ne determina il valore, il quale non è legato al valore intrinseco del prodotto e alle
sue performance tecnologiche. Per avere una base di clienti maggiore è fondamentale entrare
per primi nel mercato, in modo tale da creare una massa di consumatori che abbia la capacità
di influenzare gli altri.

In secondo luogo, le esternalità di rete si manifestano anche per prodotti fortemente


influenzati dalla presenza di beni complementari. Questa categoria di prodotti risulta utile e
assume valore solo nel momento in cui sono affiancati da beni complementari. Essi
costituiscono il corredo dei prodotti, aumentandone il valore. Maggiore è il numero di beni
complementari, più elevato è il valore del prodotto stesso.

Spesso i prodotti che possiedono una larga base di clienti attirano un maggior numero di
produttori di beni complementari. Esiste una relazione tra le esternalità di rete: la disponibilità
di beni complementari condiziona la scelta dell’utilizzatore e viceversa, in quanto la presenza
di beni complementari, talvolta, influenza la dimensione della base di clienti. Dunque, viene
innescato un circolo virtuoso (Figura 7).
Figura 7 - Il circolo virtuoso delle esternalità di rete

1.6.3 I provvedimenti governativi


Il disegno tecnologico dominante può nascere anche dall’introduzione di provvedimenti
governativi. In determinati settori, i benefici per il consumatore che derivano dalla
compatibilità tecnologica degli standard sono tali da indurre gli organismi governativi,
nazionali e internazionali, a intervenire per stabilire l’adesione a uno standard o disegno
dominante mediante provvedimenti governativi (Schilling, 2009).

Spesso il processo di diffusione di una tecnologia e la probabilità che essa si imponga come
disegno dominante, sono influenzati dalle decisioni dei governi.

1.6.4 I mercati winner-takes-all


Le esternalità di rete, gli effetti dell’apprendimento e i provvedimenti governativi, conducono
il mercato verso una situazione di monopolio. In questo contesto, il mercato viene dominato
da un unico standard, con cui le altre azioni tecnologiche sono costrette a convivere,
focalizzandosi su segmenti di nicchia. Nel momento in cui la tecnologia proposta da
un’impresa viene selezionata dal mercato come un disegno dominante, essa guadagna un
notevole vantaggio ed è in grado di mantenere tale posizione anche in futuro. In questo modo
l’impresa è in grado di acquisire e generare rendite monopolistiche nel breve termine, ma
anche di modellare l’evoluzione del settore e di influenzare le future generazioni di prodotto.

D’altro canto, le altre imprese che sostengono tecnologie non dominanti, sono costrette ad
adattarsi allo standard del mercato, generando delle forti perdite del capitale investito,
dell’apprendimento e del brand equity assorbiti dallo sviluppo della precedente tecnologia. Le
imprese che non sono in grado di adeguarsi allo standard del modello dominante corrono il
rischio di essere escluse dal mercato.

Nasce un conflitto dagli effetti dirompenti, talvolta irreversibili, tra l’impresa che afferma il
suo disegno dominante e le imprese che sono costrette ad adattarsi ad esso. Lo scontro porta
alla creazione dei mercati winner-takes-all, in cui il vincitore si aggiudica tutta la posta in
palio.

Il disegno dominante, una volta adottato e perfezionato, è in grado di guidare il processo di


accumulazione di conoscenza degli attori del mercato, modellandone le tecniche di problem
solving. Dunque, le imprese, piuttosto che esplorare ambiti e segmenti poco conosciuti,
preferiranno rafforzare e consolidare la propria base di conoscenze (Dosi, 1988). Questa
posizione, però, vincola l’impresa a un paradigma tecnologico statico, che restringe
l’ampiezza del raggio di sperimentazione tecnologica nel futuro.

Nei mercati winner-takes-all le imprese di successo sono le organizzazioni in grado di gestire


le varie dimensioni del valore che guidano la scelta del disegno dominante.

1.7 Il modello disruptive technology

Il termine "disruption" descrive un processo in base al quale una piccola impresa che dispone
di scarse risorse è in grado di sfidare con successo le aziende esistenti, le cosiddette
“incumbent”.

Questo avviene perché gli incumbent si concentrano esclusivamente sul miglioramento dei
propri prodotti e servizi per i clienti più esigenti, generalmente i più redditizi, non
soddisfacendo le esigenze di alcuni segmenti e ignorando le esigenze di altri.

I cosiddetti nuovi entranti nel mercato che adottano un approccio dirompente puntano al
soddisfacimento dei segmenti trascurati dagli incumbent, garantendo delle tecnologie migliori
e innovative, spesso a un prezzo inferiore. Gli incumbent, alla ricerca di una maggiore
redditività nei segmenti più esigenti, tendono a non rispondere con decisione. I nuovi entranti,
quindi, offrono ai clienti tradizionali, le prestazioni di cui questi hanno bisogno, garantendosi
un notevole vantaggio competitivo, che ne determina il successo iniziale. Nel momento in cui
i clienti tradizionali dell’incumbent tendono ad adottare le offerte dei nuovi entranti. Si è
verificata una disruption. Spesso, proprio le tecnologie dirompenti hanno accelerato il
fallimento delle aziende leader del mercato.

Le innovazioni dirompenti hanno origine in due tipi di mercati trascurati dagli incumbent:
nuovi mercati e punti di appoggio di fascia bassa. Le tecnologie dirompenti portano sul
mercato una proposta di valore molto diversa da quella disponibile in precedenza. In generale,
le tecnologie dirompenti hanno prestazioni inferiori ai prodotti consolidati nei mercati
principali, ma anche altre caratteristiche che pochi clienti marginali, e generalmente nuovi,
apprezzano (Christensen, 1997).

Questa situazione di incertezza apre la porta a un disrupter, che ha come obiettivo il


soddisfacimento dei clienti di fascia bassa, meno esigenti, fornendo loro un prodotto valido e
funzionale. Originariamente si pensava che qualsiasi innovazione dirompente mettesse radici
nei livelli più bassi di un mercato consolidato, ma a volte i nuovi entranti sono risultati in
grado di creare un mercato del tutto nuovo, focalizzandosi sulla trasformazione dei non
consumatori in consumatori.

Le innovazioni dirompenti, dunque, non prendono piede tra i clienti tradizionali finché la
qualità non raggiunge i loro standard. La teoria oggetto di riflessione differenzia le
innovazioni dirompenti da quelle che vengono definite "innovazioni sostenitrici". Esse
rendono dei buoni prodotti migliori agli occhi dei clienti di un incumbent. Questi
miglioramenti possono essere progressi incrementali o importanti scoperte, ma tutti
consentono alle aziende di trarne notevole beneficio, vendendo più prodotti ai loro clienti più
redditizi.
Figura 8 - Modello di Disruptive Innovation (Christensen, 2015)

Il grafico (Figura 8) mette in contrasto le traiettorie delle prestazioni del prodotto (le linee
rosse mostrano come i prodotti o servizi migliorano nel tempo) con le traiettorie della
domanda dei clienti (le linee blu mostrano la disponibilità dei clienti a pagare per determinate
prestazioni). Poiché gli incumbent introducono prodotti o servizi di qualità superiore (linea
rossa superiore) per soddisfare la fascia alta del mercato, dove la redditività è più alta,
superano le esigenze dei clienti di fascia bassa e di molti clienti tradizionali. Ciò lascia
un'opportunità per i nuovi entranti, che trovano punti d'appoggio nei segmenti meno redditizi
trascurati dagli incumbent. I nuovi entranti che perseguono una traiettoria dirompente (linea
rossa inferiore) migliorano le prestazioni delle loro offerte e si spostano verso l'alto, dove la
redditività è maggiore, sfidando il dominio degli incumbent.

Le innovazioni dirompenti, d'altra parte, sono inizialmente considerate inferiori dalla maggior
parte dei clienti di un incumbent. Solitamente, questi sono restii a passare alla nuova offerta
solo perché ha un costo inferiore. Bensì, aspettano che la qualità di tale innovazione aumenti
abbastanza da soddisfarli e, una volta che ciò accade, adottano il nuovo prodotto, accettando il
suo prezzo più basso. In questa maniera la disruptive innovation è in grado di far calare in
prezzi all’interno di un mercato.

Quasi ogni innovazione, dirompente o meno, nasce come un esperimento su piccola scala. I
disrupter tendono a concentrarsi sulla creazione di un modello di business valido ed efficiente,
piuttosto che semplicemente sul prodotto. Laddove si registra un successo, il loro passaggio
dalla fascia marginale, ovvero la fascia del mercato più bassa o un nuovo mercato, alla
corrente principale erode prima la quota di mercato degli incumbent e poi la loro redditività.
Questo processo può richiedere tempo, talvolta decenni per la completa sostituzione, e gli
incumbent possono attrezzarsi per consolidare il proprio prodotto o servizio esistente.

Non tutte le innovazioni dirompenti hanno successo. Un errore comune è concentrarsi sui
risultati raggiunti, affermare che un'impresa è dirompente in virtù del suo successo. Ma il
successo non è insito nella definizione stessa: non tutti i percorsi dirompenti portano a un
trionfo e non tutti i nuovi arrivati trionfanti seguono un percorso dirompente. I fallimenti non
sono la prova delle carenze della teoria dell’innovazione dirompente; sono semplicemente
indicatori di confine per l'applicazione della teoria (Christensen, 2015).

1.8 I meccanismi di protezione dell’innovazione

La capacità di trarre benefici da una innovazione è un elemento fondamentale per


l’acquisizione e il mantenimento di un vantaggio competitivo. Tale vantaggio porta le imprese
che investono in progetti di innovazione ad alti tassi di profitto, a un maggior valore di
mercato e alla elevata probabilità di sopravvivenza nel mercato. Qualora, invece, le imprese
non siano in grado di trarre benefici, sarebbero poco incentivate ad innovare, con una serie di
conseguenti svantaggi che la penalizzerebbero fortemente, in termini di profitti e di sviluppo
tecnologico.

Per appropriabilità si intende la capacità dell’impresa di acquisire e trattenere per sé le rendite


generate dei propri processi innovativi. Il grado di appropriabilità di un’innovazione è
determinato dalla facilità e dalla rapidità con cui i concorrenti riescono a imitarla. Grado di
imitabilità, a sua volta, è funzione sia della natura della tecnologia sviluppata sia dall’efficacia
dei meccanismi di protezione adottati (Schilling, 2009).
Alcune innovazioni tecnologiche risultano difficili da imitare: questo avviene quando la
conoscenza alla base di tale tecnologia è rara e difficile da replicare, quando l’esperienza
passata è una risorsa non riproducibile, quando il know-how è radicato nell’impresa e non può
essere posseduto dai competitors. Quindi, se la base di conoscenze è tacita, ossia difficilmente
codificabile tramite formule e documenti, oppure socialmente complessa, ossia generata dalle
interazioni tra individui, risulta essere di difficile imitazione (Barney, 1991). La conoscenza
tacita è altamente personale, difficile da formalizzare e di conseguenza da comunicare agli
altri. Essa è profondamente radicata nell’azione e nell’impegno di un individuo in un contesto
specifico e consiste in parte di abilità tecniche, di abilità informali e difficili da definire con il
termine “know-how”. Inoltre, la conoscenza tacita a un’importante dimensione cognitiva:
consiste di modelli mentali, credenze e prospettive talmente radicate, che talvolta possono
essere date per scontato. Per questo motivo, tali modelli impliciti modellano profondamente il
modo in cui gli individui percepiscono il mondo che li circonda.

Si viene, dunque, a creare una sorta di spirale di conoscenza: l’articolazione, ossia la


conversione di conoscenza tacita in conoscenza esplicita, e l’interiorizzazione, ossia l’utilizzo
di quella conoscenza esplicita per estendere la propria base di conoscenza tacita, sono dei
passaggi critici, poiché entrambi richiedono il coinvolgimento attivo di sé stessi, ovvero
l’impegno personale. Poiché la conoscenza tacita include modelli mentali e credenze oltre al
know-how, passare dal tacito all’esplicito è un processo di articolazione della propria visione
del mondo. Convertire la conoscenza tacita in conoscenza esplicita significa trovare un modo
per esprimere l’inesprimibile (Nonaka, 1991).

Molte innovazioni, invece, sono di facile imitabilità, motivo per cui le imprese ricorrono a
strumenti e misure legali per proteggere il risultato del proprio processo innovativo. I
meccanismi di protezione previsti e adottati dalla maggior parte dei paesi sono:

Ø Brevetti: strumenti finalizzati alla protezione delle invenzioni.

Ø Marchi: strumenti finalizzati alla protezione di parole o simboli distintivi della fonte di
provenienza o della proprietà di un bene.

Ø Copyright: strumenti finalizzati alla protezione del diritto d’autore.


Ø Tutela del segreto industriale: è rappresentato da informazioni di proprietà esclusiva
di un’impresa che rimangono ignote all’esterno dell’organizzazione aziendale.

1.8.1 I brevetti
Nella maggior parte dei paesi, un inventore può richiedere la concessione di un brevetto per
proteggere la propria invenzione. Il brevetto serve a fornire il diritto esclusivo a chi ha
sviluppato una soluzione di commercializzarla secondo le normative vigenti. La gestione della
proprietà intellettuale è determinata da un codice legislativo che dipende dal paese specifico.

Un’invenzione, tutelata da un brevetto, è vincolata per un determinato periodo temporale e


all’interno di uno spettro geografico, ossia l’inventore può decidere in quali paesi tutelare e
per quanto tempo. Maggiore è il numero dei paesi in cui l’invenzione è tutelata, maggiori
saranno i costi e in quanto si creano le condizioni per essere monopolista in più paesi; allo
stesso modo, mantenere a lungo i diritti su un brevetto comporta dei costi, in quanto si
aumenta la potenziale sostenibilità temporale della soluzione.

Dunque, un brevetto concede agli inventori il diritto di escludere altri dall'uso non autorizzato
dell'invenzione divulgata, per un periodo di tempo predeterminato. Per concedere un brevetto,
l'innovazione deve soddisfare i seguenti criteri:

Ø Novità: un’invenzione è considerata nuova se non è già compresa nello stato della
tecnica, ossia tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico prima della data del
deposito della domanda di brevetto mediante descrizione scritta od orale, una
utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo;

Ø Originalità: un’invenzione implica attività inventiva quando, per una persona esperta
del ramo, essa non risulti in modo evidente dallo stato della tecnica. Il requisito della
non ovvietà intende assicurare che i brevetti siano concessi solo a risultati oggetto di
un processo inventivo o creativo e non a processi che una persona, con ordinaria
abilità nel campo tecnologico relativo, potrebbe facilmente dedurre da quanto già
esiste;

Ø Utilità (industrialità): un’invenzione ha un’applicazione industriale se il suo oggetto


può essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria. Un’invenzione non
può essere un semplice processo intellettuale, ma deve essere tecnicamente
realizzabile e capace di condurre ad un risultato immediato nell’ambito della tecnica
industriale, generando effetti pratici. Per essere brevettabile, un’invenzione deve poter
essere oggetto di utilizzazione industriale.

Nel momento in cui i tre requisiti vengono soddisfatti, la soluzione è brevettabile. Laddove
venisse a mancare uno dei tre requisiti, non sarà possibile procedere alla brevettazione della
tecnologia.

La concessione di un brevetto implica la creazione di un dettagliato documento pubblico. La


prima pagina di un brevetto contiene informazioni dettagliate sull'invenzione, l'inventore,
l’assegnatario e gli antecedenti tecnologici dell'invenzione, comprese le citazioni a brevetti
precedenti. Tali citazioni svolgono un'importante funzione giuridica, poiché delimitano
l'ambito dei diritti di proprietà concessi dal brevetto. Pertanto, se il brevetto B cita il brevetto
A, implica che il brevetto A rappresenta un pezzo di conoscenza preesistente su cui si basa il
brevetto B e su cui B non può avere una rivendicazione. Il richiedente (assignee) ha il dovere
legale di divulgare qualsiasi conoscenza della tecnica anteriore, ma la decisione riguardo quali
citazioni includere spetta in ultima analisi all'esaminatore dei brevetti (Hall et al, 2005).

La qualità tecnologica di un brevetto è correlata al suo valore (Green e Scotchmer, 1995).


Maggiore è la qualità tecnologica di un brevetto, maggiore dovrebbe essere la solidità
giuridica del brevetto (Bessen, 2008). Inoltre, maggiore è la qualità tecnologica del brevetto,
più invenzioni dovrebbero basarsi su tale brevetto, aumentando così il valore del suo diritto di
esclusione. Un indicatore del valore del brevetto che cattura la sua qualità tecnologica è il
numero di citazioni che esso riceve. Più citazioni dirette riceve un brevetto, maggiore è il suo
contributo all'arte precedente, rendendolo un buon indicatore della qualità tecnologica del
brevetto (Fischer e Leidinger, 2014).

1.8.1.1 Il processo di brevettazione

Tutti i paesi possiedono un ufficio brevetti, ma esistono delle organizzazioni che si trovano al
di sopra di quelle nazionali. Una di queste è la World Intellectual Property Organization,
semplicemente WIPO, che serve a incoraggiare l’attività creativa e a promuovere la
protezione della proprietà intellettuale. Questo ente opera nel momento in cui si hanno delle
problematiche di tipo legislativo, in quanto non tutti i paesi hanno la stessa legislazione in
termini di tutela della proprietà intellettuale, talvolta tali problemi portano a una riduzione
dell’efficacia del brevetto.

Il termine “brevettare” indica la redazione di un documento che spiega tecnicamente e


dettagliatamente la soluzione tecnologica, i suoi obiettivi, detti claims, e informazioni relative
all’inventore. Un’innovazione può essere brevettata in uno Stato o attraverso
un’organizzazione sovrastatale, quest’ultima tutela geograficamente la soluzione. Brevettando
in uno Stato, la tutela non è valida all’estero, pertanto si è liberi di copiare tale soluzione.

Il processo di brevettazione inizia con la presa in carico del brevetto da parte


dell’associazione di competenza, l’EPO per i Paesi europei, la quale avvia un processo di
verifica dei requisiti, che può durare dai tre ai sei mesi. Tale verifica è condotta da un tecnico
che analizza il brevetto da un punto di vista tecnico allo scopo di segnalare eventuali
documenti o pubblicazioni antecedenti che potrebbero privare di originalità o di novità la
soluzione, mettendo a rischio la concessione del brevetto. Se i tre requisiti non dovessero
essere tutti soddisfatti, può rendersi necessario un processo di contrattazione, in cui
l’inventore integra la propria soluzione. In caso di esito positivo, a 18 mesi dal momento in
cui viene presentata la domanda, l’EPO procede con la pubblicazione della domanda di
brevetto, il quale riceve la tutela ufficiale. Entro tre mesi dalla concessione il brevetto deve
essere regolarizzato negli Stati di interesse, depositando presso gli Uffici brevetti nazionali la
traduzione del brevetto nella lingua del Paese in questione. Il numero del brevetto, che
formalizza l’atto, viene rilasciato all’incirca dopo tre o quattro anni.

I brevetti hanno una durata massima definita di 20 anni, ma essa può variare a seconda
dell’Ufficio Brevetti di riferimento. Questo è il tempo di equilibrio tra il beneficio pubblico e
privato. Il beneficio privato viene inteso come il profitto, questo esiste perché è una
remunerazione dell’investimento, garantisce per 20 anni rendite monopolistiche e
successivamente finisce perché si cerca di imitare quel prodotto. Se non esistesse un limite
verrebbero meno gli investimenti in innovazione. Colui che sviluppa una tecnologia
successiva si basa sempre su quella precedente, poiché se non si avesse a disposizione le
informazioni il progresso innovativo subirebbe dei forti rallentamenti. Per via degli alti costi
che un processo di ricerca e sviluppo comporta, all’inventore sono garantiti 20 anni di rendite
monopolistiche, affinché possa rientrare di tali costi.
1.8.1.2 Il valore di un brevetto

Una questione di fondamentale importanza è la scelta del driver per decidere in quali paesi
brevettare. Ciò che viene tutelato è il mercato finale, bisogna lavorare su quei mercati che
possono essere attrattive per la vendita o per lo sfruttamento commerciale di quella
tecnologia. La domanda del prodotto, dunque, è il primo criterio di scelta per avviare un
processo di brevettazione.

Ogni brevetto è caratterizzato da un numero identificativo univoco, il publication number, da


una data di pubblicazione, dal nome dell’inventore o degli inventori, da chi ne detiene la
titolarità e da una serie di codici tecnologici che associano il brevetto a uno o più settori
tecnologici. Un’altra informazione fondamentale è il numero di citazioni, ossia le citazioni
che il brevetto ha ottenuto, nonché il numero di brevetti successivi che si sono basati su quello
precedente per essere realizzati. Il numero di citazioni è una proxy dell’impatto tecnologico,
ovvero quanto un determinato brevetto è alla base di ulteriori sviluppi tecnologici.

Il numero di citazioni non misura solo l’impatto tecnologico, ma anche quello commerciale.
Infatti, una volta che il brevetto viene reso pubblico, è già in grado di ricevere citazioni, anche
con il solo application number. Dunque, le citazioni sono uno strumento che permette di
misurare l’importanza economica di un brevetto ex-post.

La patent family indica il numero di paesi in cui il brevetto è tutelato. Gli studi di Putnam
(1996) hanno sostenuto che le informazioni sulla dimensione della famiglia sono
particolarmente adatte come indicatore del valore dei diritti di brevetto. Gli studi di Putnam
(1996) e Lanjouw et al. (1998) hanno dimostrato che la dimensione di una famiglia di
brevetti, misurata come il numero di giurisdizioni in cui è stata richiesta la concessione di un
brevetto, e la durata di sopravvivenza dei brevetti, ossia il tempo che intercorre tra la domanda
e il mancato rinnovo o la scadenza, sono strettamente correlati (Haroff, 2003).

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