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ECONOMIA DELL'INNOVAZIONE

CAPITOLO 1 – Introduzione all’economia dell’Innovazione


Essa può essere definita come lo strumento chiave per aumentare i profitti e le quote di mercato,
mentre i governi si affidano ad essa quando cercano di migliorare l'economia, quindi l'innovazione
influenza il modo di agire, competere e cooperare delle imprese e degli altri attori economici. Negli
ultimi anni l’innovazione ha giocato un ruolo sempre più rilevante per le imprese, la crescita delle
economie, la competitività delle nazioni, lo sviluppo dei paesi arretrati, la nascita e il declino di settori
e tecnologie. L'economia dell'innovazione riguarda l’applicazione degli strumenti dell’analisi
economica alla comprensione del cambiamento tecnologico e dei processi innovativi; essa ha
l'obiettivo di studiare la natura, le determinanti, le caratteristiche e le conseguenze delle innovazioni
e delle diffusione della tecnologia a livello di impresa, settore e sistema, i soggetti e le istituzioni
coinvolti nella dinamica innovativa, i processi di apprendimento, la generazione di conoscenza e le
relazioni tra i soggetti economici e le istituzioni. Essa è caratterizza da 5 capisaldi:
1. dinamica come metodologia di analisi;
2. Innovazione come processo;
3. Apprendimento e conoscenza alla base del processo innovativo;
4. Importanza delle interazioni tra i soggetti;
5. Ruolo chiave delle istituzioni.

1.2 L'innovazione tecnologica nel pensiero economico Smith, Ricardo e Marx.

Smith considera le innovazioni da un punto di vista particolare. Egli si concentra sulla relazione tra
cambiamento tecnologico, divisione del lavoro e mutamento strutturale dell’economia. Non si
concentra sul processo di generazione di innovazioni ma sulla incorporazione del progresso
tecnologico nei beni capitali e i suoi effetti sulla:
 Produttività del lavoro
 Specializzazione
 Occupazione
La divisione del lavoro è limitata dall'ampiezza del mercato e genera una elevata produttività dal
lavoro attraverso la specializzazione dei compiti e l'apprendimento per esperienza; l’applicazione
delle macchine alla produzione e la divisione del lavoro sono ritenuti elementi essenziali per la
generazione della ricchezza delle nazioni. Il progresso tecnico è considerato come una variabile
endogena al sistema di produzione. Accumulazione di capitale e progresso tecnico generano
rendimenti crescenti di scala purché aumenti il mercato di sbocco dell’output. Il progressivo
ampliamento dei mercati, fornendo ai capitalisti nuove opportunità di investimento, stimola
l’accumulazione di capitale e la divisione del lavoro.

Ricardo è principalmente interessato alle conseguenze del progresso tecnologico. Egli parla di
meccanismi di natura endogena (→ aumento della domanda per effetto della diminuzione dei prezzi
dovuta al progresso tecnico ossia la relazione innovazione-riduzione dei prezzi-aumento della
domanda); e meccanismi di natura esogena → (produzione di nuove macchine) attraverso i quali il
cambiamento tecnologico (l'innovazione) ha effetti sull'occupazione: da queste riflessioni scaturisce
la teoria della compensazione in base alla quale i sacrifici che i lavoratori affrontano per effetto del
progresso tecnico attraverso l’eliminazione dei posti di lavoro, vengono compensati dai vantaggi che
derivano dalla creazione di nuove imprese dedite alla costruzione di macchine che assorbiranno i
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lavoratori in surplus in altri settori. Il progresso tecnico può contrastare/ritardare l’avvento di uno
stato stazionario in cui il saggio di profitto raggiunge un livello al quale non vi è più incentivo ad
investire.

Marx enfatizza il ruolo chiave della tecnologia nelle economie moderne. Sostiene che l’innovazione è
un processo sociale e non individuale. Essa è incorporata nelle macchine, le quali permettono di
passare da processi inefficienti a standardizzati. Enfatizza la natura sociale dell’innovazione che non
nasce da inventori ma da un processo sociale fatto di scontri tra interessi contrapposti esistenti tra
gruppi e classi di soggetti economici, volto alla realizzazione di extra-profitti e dall’ampiezza dei
mercati. Evidenziava gli aspetti negativi del cambiamento tecnologico perché la competizione, spinta
da una visione capitalistica, aveva effetti negativi sociali e individuali. Il cambiamento tecnologico è
endogeno. Quando si passa dal prototipo alla produzione su larga scala, l’elemento organizzativo
gioca un ruolo rilevante.

Usher, considera l’innovazione come un processo. Per egli le innovazioni sono frutto di un fenomeno
di “sintesi cumulativa” che dalla percezione di un problema/bisogno conduce alla introduzione di
un’innovazione e quindi alla sua progressiva modificazione e miglioramento per risolvere il problema
o soddisfare il bisogno. Nello specifico la sintesi cumulativa si realizza in 4 fasi:
1. Percezione di un problema;
2. Preparazione della soluzione (studio dell’ambiente e del problema, sviluppo delle skills per
risolverlo);
3. Invenzione (atto di comprensione che permette la soluzione del problema);
4. Revisione critica dell’invenzione (invenzione adattata al contesto economico, tecnologico e
settoriale).
Le dimensioni di questo processo sono: cognitiva (percezione e invenzione), organizzativa
(preparazione) e di adattamento al contesto (revisione).

1.2.2 Schumpeter
Schumpeter è stato colui che per primo ha discusso ed esaminato il ruolo delle innovazioni nelle
moderne economie industriali. Egli considera l’innovazione la determinante principale del
mutamento industriale. Schumpeter distingue l’invenzione dalla innovazione in quanto la prima è
qualcosa di puramente scientifico e tecnologico, mentre la seconda nel << fare qualcosa di nuovo>>
nel sistema economico e non deriva necessariamente da un’invenzione. Tale distinzione è legata alla
realizzazione tecnica e al conseguente sfruttamento commerciale di una nuova idea.

Elementi dell’INVENZIONE:
- Una nuova idea, un nuovo sviluppo (una scoperta) scientifico/a oppure una novità tecnologica
che non è stata ancora realizzata tecnicamente e materialmente. Si tratta quindi di qualcosa di
puramente scientifico o tecnologico.
- La nascita di una invenzione è spesso casuale e non indotta da motivazioni economiche e/o
competitive e per tal motivo possono essere concepite ovunque (es: il caso dei post-it che
sono nati da un errore di creazione di una colla);
- Non tutte le invenzioni diventano innovazioni. I lunghi intervalli di tempo che possono
intercorrere tra un’invenzione e la sua applicazione spesso derivano dalla carenza totale o
parziale dei finanziamenti o altro per commercializzarla.
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Elementi dell’INNOVAZIONE:
- Consiste in nuove combinazioni di mezzi di produzione, cioè nell’introduzione di nuovi beni
e/o di nuovi metodi di produzione, nella creazione di nuove forme organizzative, nell’apertura
di nuovi mercati e nella conquista di nuove fonti di approvvigionamento.
- Innovazione è fare “qualcosa di nuovo” nel sistema economico, un nuovo prodotto, mercato o
processo di produzione. L’innovazione è la risposta creativa delle imprese, che si verifica
ogniqualvolta l'economia o un settore o alcune aziende di un settore fanno qualcosa di
diverso che è al di fuori della pratica esistente. ( è diversa dalla risposta adattiva che si
manifesta quando un’economia o un settore si adatta ai mutamenti della situazione nel modo
descritto dalla teoria tradizionale).
- Innovare significa mettere in pratica una nuova idea. Le innovazioni si realizzano
principalmente nelle imprese, le quali sono spinte da bisogni commerciali, anche se può
avvenire in altri contesti organizzativi.
- L’innovazione può aver luogo sia in imprese di grandi che di piccola produzione. Nelle piccole
imprese, l’imprenditore è il principale attore del processo innovativo (capitalismo
concorrenziale); nelle grandi è l’impresa ad essere la sede principale dell’innovazione
(capitalismo tristificato).
- L’innovazione origina un profitto che è temporaneo; esso può perdurare nel tempo se
l’attività innovativa dell’impresa rimane sostenuta, in caso contrario esso scompare in seguito
alla reazione delle altre imprese. Infine può essere pensata come la realizzazione di
un’invenzione di un nuovo prodotto o processo produttivo e il suo sfruttamento commerciale.

Entrambi sono processi in continuo mutamento.


Il passaggio da una invenzione ad una innovazione:
 Può essere automatico: invenzioni ed innovazioni possono essere indistinguibili
(biotecnologia);
 Può richiedere un lungo lasso di tempo (es: la macchina da cucire fu brevettata nel 1790 ma
non commercializzata quindi è rimasta un’invenzione; bisogna aspettare Singer che più di 50
anni dopo creò un impero);
Per innovare sono necessarie risorse, competenze, capacità produttive e continue innovazioni
complementari (es: macchine di Leonardo da Vinci; automobile); raramente l’innovazione è una e si
conclude in sé. L’innovazione ha spesso bisogno di invenzioni e innovazioni complementari per poter
essere introdotta. I lunghi intervalli temporali tra un’invenzione e la sua applicazione ossia
l’innovazione spesso sono da attribuirsi alla carenza totale o parziale delle condizioni per
commercializzarla come la mancanza di un’adeguata domanda, o di input e fattori complementari
essenziali.
NB: è possibile fare innovazione senza avere un’invenzione corrispondente, nel senso che non tutte le
innovazioni derivano da invenzioni. È il caso di innovazioni dovute alla ricombinazione intelligente di
prodotti o servizi già esistenti o dovute all’applicazione di un bene esistente ad un nuovo mercato,
nella creazione di nuove forme organizzative, nell’apertura di nuovi mercati e nella conquista di
nuove fonti di approvvigionamento. (Schumpeter)

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Ulteriori contributi schumpeteriani in tema di innovazione e di imprese innovative - Caratteristiche
dell’innovazione secondo Schumpeter.

Per Schumpeter l'innovazione si caratterizza come un processo ad esito incerto. L'innovazione quale
risposta creativa ha 3 caratteristiche essenziali:
1. L’innovazione può essere compresa solo ex-post e mai ex-ante, vale a dire che non può essere
prevista applicando le regole ordinarie di inferenza dei fatti preesistenti.
2. L’innovatore (x schumpeter l'imprenditore) è un soggetto a razionalità limitata e non può
prevedere l’esito (gli effetti) della sua attività innovativa, proprio per questo motivo le
strategie innovative delle diverse imprese possono differire tra di loro.
3. Le innovazioni non rimangono eventi isolati e non sono distribuite in modo uniforme nel
tempo, ma tendono ad ammassarsi, a sorgere a grappoli; le innovazioni non sono in nessun
momento distribuite casualmente in tutto il sistema economico, ma tendono a concentrarsi in
certi settori e nei lo dintorni.
Una innovazione in un determinato settore provoca ulteriori innovazioni in settori correlati → le
innovazioni tendono a concentrarsi in certi settori e nei loro dintorni per realizzare una innovazione è
necessario combinare risorse, competenze e capacità produttive. L’innovazione avviene tanto nelle
piccole quanto nelle grandi imprese, la dimensione non è né necessaria né sufficiente per
determinare l’innovazione. Analisi della dinamica innovativa di un’industria distinguendo non solo tra
imprese grandi e piccole, ma anche tra imprese “giovani” e imprese “vecchie”; l’età delle imprese è
fondamentale per spiegare la dinamica innovativa. L’impresa giovane tenderà ad innovare
maggiormente nel tentativo di scalfire la leadership di imprese anziane che, con un comportamento
conservatore, risponderà con innovazioni incrementali o con l’imitazione. Le innovazioni possono
essere distinte per il grado di novità rispetto alla tecnologia, alla organizzazione e alla domanda
esistenti. Quindi abbiamo:
- Le innovazioni incrementali comportano un miglioramento di processo, prodotto o servizio
rispetto ad un design esistente, sono più numerose (es schermo piatto del computer,
lampadine led); avvengono a complemento. Sono difficili da studiare/misurare.
- Le innovazioni radicali rappresentano una rottura con il design esistente e possono generare
nuove industrie e mercati, sono più rare (PC), ed infine le rivoluzioni tecnologiche (il
paradigma tecnologico legato alle ICT); rappresentano un cambiamento complessivo/totale
rispetto al prodotto precedente. Da queste innovazioni in alcuni casi si originano nuove
industrie o nuovi segmenti di mercato. Si misuravano attraverso il numero dei brevetti. (es:
prima le gallerie si scavano con la dinamite, poi invece è stata brevettata una talpa meccanica
 questa è a monte un’innovazione di prodotto radicale che poi comporta un’innovazione
radicale del processo ma non del risultato finale).
Un'altra distinzione riguarda quella tra Innovazione di prodotto e di processo:
- Di prodotto sono le innovazioni che portano a nuovi prodotti/servizi ed ha a che fare con
l’output dell’impresa (es: passaggio dai floppy disk ai cd); hanno un effetto positivo
sull’aumento dei redditi e dell’occupazione.
- Di processo che portano a nuovi processi/fasi per la produzione del medesimo prodotto (es:
introduzione di nuovi e più veloci telai per la produzione dei tessuti); può avere effetti ambigui
a causa della riduzione dei costi che implica.

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Infine un’ultima distinzione da fare riguarderà innovazione e diffusione. Quest’ultima infatti si
riferisce al processo di adozione di una innovazione (un componente elettronico, un personal
computer oppure una macchina utensile) da parte delle imprese utilizzatrici o dei consumatori.
Tra le tipologie di innovazione vanno annoverate anche i nuovi modelli organizzativi, l'apertura di
nuovi mercati e nuove fonti di approvvigionamento Schumpeter, in definitiva, studia il processo di
innovazione e le ripercussioni nel sistema economico e non le cause scatenanti. Inoltre privilegia gli
aspetti di discontinuità e radicalità piuttosto che quelli di continuità e incrementalismo. →
Schumpeter considera infine solamente le innovazioni radicali. Col tempo, la nuova tecnologia
permette di raggiungere maggiori quantità di prodotto finito. Non è importante la quantità
d’innovazione, ma la qualità.

1.2.3 Due scuole di pensiero a confronto sul tema dell’innovazione. Neoclassici VS Evolutivi
Si confrontano nell’analisi delle caratteristiche, determinanti e conseguenze dell’innovazione e del
cambiamento tecnologico: i neoclassici e gli evolutivi. Ipotesi principali della teoria neoclassica:
tecnologia data, imprese come scatole nere (internamente piene di tante conoscenze, ma
esternamente tutte uguali), caratteristiche della domanda date, unità di analisi=scambio,
conoscenza=informazione (per loro sono due concetti uguali). La teoria evolutiva focalizza
l’attenzione sull’importanza del progresso tecnologico.

Le affinità tra i due gruppi:


- Opportunità scientifiche e tecnologiche influiscono sul tasso di progresso tecnologico ed è
diverso tra le industrie. Elevate opportunità generano un alto tasso innovativo, mentre basse
condizioni di opportunità sono associate ad una ridotta innovatività delle imprese.
- Gli incentivi economici giocano un ruolo chiave nello stimolare l’innovazione. In particolare,
l’appropriabilità dei risultati influisce grandemente sullo sforzo innovativo delle imprese. Un
alto livello di appropriabilità stimola una elevata spesa in R&S in quanto l’innovatore è in
grado di ottenere profitti e bloccare l’imitazione, ma riduce lo spillover di informazioni e
conoscenze tra le imprese e quindi limita la diffusione delle stesse industrie;
- Le condizioni di domanda influiscono sul tasso di innovazione. Una domanda di elevate
dimensioni o in crescita incentiva le imprese a spendere maggiormente in R&S.
- Struttura di mercato e innovazione si influenzano reciprocamente: più concentrata è la
struttura di mercato, più elevato è il tasso di sviluppo tecnologico. Ma questo a sua volta ha
un feedback sulla struttura di mercato. Essa è una relazione endogena (interna) tra struttura
di mercato ed innovazione: una struttura di mercato più (meno) concentrata genera un tasso
di progresso tecnologico più (meno) elevato, ma quest’ultimo a sua volta modifica
significativamente la struttura del mercato.

Le diversità:
1. I neoclassici studiano il sistema economico in equilibrio (pongono poca attenzione ai processi
di aggiustamento verso l’equilibrio), gli evoluzionisti lo studiano durante le fasi di transizione
(non equilibrio).
2. I neoclassici pongono molta attenzione sia all’aspetto statico che a quello dinamico, mentre gli
evolutivi sono molto più interessati ai processi di innovazione e alle dinamiche associate;
3. I neoclassici considerano la tecnologia come informazione, gli evoluzionisti come
multidimensionale, legata alla conoscenza
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4. I neoclassici ritengono importanti le strategie di impresa, gli evoluzionisti danno maggior
importanza alle competenze delle imprese
5. I neoclassici considerano l’apprendimento come il risultato dell’esperienza (learning by doing)
mentre gli evoluzionisti danno più importanza all’aspetto cognitivo e di soluzione di problemi
(apprendimento multidimensionale e problem-solving).
6. I neoclassici considerano le imprese come agenti isolati e senza storia (a-specificità storica), gli
evoluzionisti le considerano immerse nel contesto sociale e istituzionale
7. Le imprese neoclassiche sono razionali e hanno a disposizione tutta l’informazione. Quelle
evoluzioniste sono a razionalità limitata e comportamento “soddisfacente”.
8. In ottica neoclassica, i fallimenti del mercato (non c’è più l’ottima allocazione di risorse) sono
dovuti a beni indivisibili e difficoltà di appropriabilità. Per gli evoluzionisti le istituzioni e i
sistemi innovativi nazionali giocano un ruolo determinante.

La conoscenza comprende sia le conoscenze tacite, incorporate negli individui e trasmesse face-to-
face, sia quelle codificate che si esprimono nel linguaggio e sono codificate e scritte  per i
neoclassici non c’era questa distinzione. Conoscenze = conoscenze codificate o informazioni e quindi
hanno due caratteristiche che ne fanno dei beni pubblici:
 Non escludibilità: difficile impedire a qualcuno di consumarlo;
 Non rivalità: il consumo da parte di un individuo non riduce la quantità a disposizione degli
altri individui.
 Poiché non è scarsa e non è privata, non si può attribuire un prezzo quindi in alcuni casi non
è conveniente produrre conoscenza.
Il “mercato delle idee” (delle informazioni) è caratterizzato da vari fallimenti del mercato che
giustificano l’intervento pubblico. Esistono 4 tipi di fallimenti:
1. Appropriabilità: l’impresa che crea conoscenza realizza degli investimenti importanti (in R&S)
ma visto la facilità con cui l’informazione si diffonde e si copia non è sicura di godere dei
rendimenti della sua innovazione.  bassi incentivi ad innovare.
2. Esternalità (il comportamento di un soggetto ha effetti sugli altri) positive: spillovers di
conoscenze (l’attività di R&S di un’impresa ha effetti sulle altre imprese (fornitori, etc.).
3. Rischio e incertezza: gli investimenti in R&S sono molto costosi mentre la probabilità di
innovare è molto bassa. 3 tipi di incertezza:
 Tecnologica: è possibile fare quello che vogliamo?
 Di mercato: qualcuno comprerà il nuovo prodotto?
 Concorrenziale: i concorrenti inventeranno qualcosa di meglio prima? (chi arriva prima
prende i vantaggi)
4. Non convessità (economia di scala nell’uso) dato che MC (costi medi) della acquisizione
dell’informazione=0  se si aumenta la produzione e la dimensione di un bene, nel lungo
periodo i costi medi diminuiscono; ma se la conoscenza non ha queste caratteristiche perché
si trasferisce a costo 0 non si creano economie di scala.
Problema di politica pubblica: vogliamo massimizzare la diffusione di idee ma se la diffusione è
massimizzata allora rendimenti dell’innovazione=0 e non ci sono incentivi ad innovare. Tradeoff:
minore diffusione maggiore stimolo a innovare e viceversa; possibili soluzioni di 4 tipi:
1. Sussidi all’innovazione (per ridurre i costi di R&S)
2. Brevetti (per evitare diffusione troppo rapida e dare tempo all’impresa innovatrici di godere
dei rendimenti delle sue innovazioni)
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3. Domanda pubblica
4. Collaborazione in R&S (programmi di collaborazione in R&S tra imprese, tra imprese e
università o altri centri di ricerca, per ridurre rischio ed incertezza).

1.3.2 Definizioni introduttive


Ciascun libro di microeconomia introduce il cambiamento tecnologico con la funzione di produzione.
La Tecnica è rappresentata da un punto situato su un isoquanto, mentre la Tecnologia è
rappresentata da tutto l’isoquanto. Ad ogni modo il cambiamento tecnologico è lo spostamento della
funzione di produzione nel tempo, cioè lo spostamento dell’isoquanto verso l’origine.
La funzione di produzione è data da: Q = f (K,L,t) e collega l'output Q all'ammontare di capitale K,
lavoro L e tecnologia/tempo o altro t (che è una variabile esogena).

Il cambiamento tecnologico può essere di 2 tipi:


- Incorporato, ovvero legato all’introduzione di nuovi beni capitali K o forza lavoro specializzata L
- Disincorporato, ovvero legato a t, e non dipendere da investimenti in K o L.

Il cambiamento tecnico invece è definito:


1. Neutrale se lascia invariata la proporzione capitale/lavoro.
2. Labour saving se riduce maggiormente la quantità di lavoro impiegata
3. Capital saving se diminuisce più che proporzionalmente la quantità di capitale investito.

1.3.2 Differenza tra Scienza, Tecnologia e Tecnica


Esistono due diversi modi di vedere la relazione tra scienza, tecnologia e tecnica:
1. La prima sostiene che: la scienza è un bene pubblico che è di utilizzo da parte di tutti e non ha
un prezzo; i prodotti della scienza non hanno un valore economico, perché sviluppa una
conoscenza astratta e a-finalizzata, a meno che non viene incorporato in qualcosa; la
tecnologia: bene privato e quindi ha un suo valore economico quantificabile; è la
finalizzazione del sapere scientifico a fini utili e obiettivi specifici (es: fini che hanno a che fare
col miglioramento del benessere, aumento del valore dei prodotti…); la tecnica è la
materializzazione della scienza e della tecnologia in prodotti e servizi.
2. David e Dasgupta propongono che la distinzione tra scienza e tecnologia è legata a una
diversa organizzazione sociale e a diversi incentivi e regole di gioco. La scienza è un bene
pubblico che ha come obiettivo una completa pubblicizzazione dei risultati in modo da
ottenere notorietà scientifica ed è regolata da priorità nelle pubblicazioni scientifiche sulle
principali riviste accademiche. La tecnologia è un bene privato sviluppata da imprese che
puntano a profitti e quote di mercato dovuti all’introduzione di innovazioni. Il loro intento è la
segretezza dell’innovazione per evitare imitazioni.

1.3.7 Le fonti dell’innovazione


L'attività innovativa da parte delle imprese si differenzia notevolmente a seconda del settore di
appartenenza, delle dimensioni e del contesto di riferimento. Tali diversità caratterizzano anche le
fonti a cui l'impresa si affida per generare le sue innovazioni. Convergeremo le nostre attenzioni però
sulla R&S dato che rappresenta un'attività organizzata e formalizzata da parte delle imprese
finalizzata all'introduzione di innovazioni. Le imprese infatti spendono notevoli risorse in R&S e
seguono strategie diverse (innovativo, imitativo ecc). La R&S viene intesa come una misura dello
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stock di conoscenze a disposizione dell’impresa (o di un settore industriale o di un paese). La R&S,
siccome può essere misurata quantitativamente, può essere inserita come input nella funzione di
produzione aggregata.
L’attività di R&S si divide in 3 fasi, non necessariamente sequenziali:
1. Ricerca di base è finalizzata all’ampliamento delle conoscenze scientifiche e non orientata
all'ottenimento di un obiettivo preciso e definito a livello di prodotto/processo produttivo.
2. Ricerca applicata utilizza le conoscenze scientifiche per la creazione di nuovi
prodotti/processi.
3. Sviluppo è la fase più a valle della ricerca e consiste nell’effettiva realizzazione di nuovi
prodotti/processi/servizi.

1.3.8 Le fonti dell’innovazione: l’apprendimento per esperienza


L’apprendimento non formalizzato (per esperienza) in R&S costituisce un'altra fonte di innovazione.
L’apprendimento è un processo automatico e senza costi, risultato dell’attività produttiva oppure del
passare del tempo e capace di generare una riduzione dei costi medi di produzione. Questo tipo di
apprendimento (learning by doing) pone la riduzione dei costi medi di produzione come funzione
della quantità cumulata di output (quindi le imprese che producono di più apprendono
maggiormente) oppure del tempo (le imprese da più tempo presenti sul mercato con un prodotto
sono quelle che hanno appreso maggiormente).

1.4.1 L’innovazione come processo: modello lineare e modello a catena


L'innovazione può essere molto efficacemente rappresentata come un processo attraverso il quale
viene generato un nuovo prodotto o processo produttivo. A riguardo vi sono 2 modelli diversi:

Il modello lineare: È utilizzato in numerosi modelli di innovazione tecnologica, e detto così perché si
presuppone che le innovazioni attraversino una serie di passaggi ben definiti e diversi:
Ricerca di base --> Ricerca applicata --> Sviluppo --> Produzione --> Commercializzazione.
I primi tre a concludere la fase della ricerca vera e propria. Produzione e commercializzazione invece
riguardano la diffusione del prodotto nel sistema economico. In tale modello la sequenza ben definita
e la direzione univoca. Kline e Rosenberg criticano questo modello perché:
1. si dà per scontato una serie di rapporti causa-effetto che vale solo per una minoranza di
innovazioni. Sebbene molte innovazioni importanti siano nate da scoperte scientifiche, questo
non si verifica nella maggior parte dei casi, infatti generalmente le imprese innovano per
bisogno commerciale.
2. non prende in considerazione molti feedback e cicli che si verificano durante i vari stadi del
processo. Eventuali difetti o fallimenti lungo la strada potrebbero far riconsiderare iniziative
precedenti o portare magari a innovazioni radicalmente diverse.

Il Modello a catena: Klein e Rosemberg hanno proposto un modello alternativo di processo


innovativo che ricalca nella parte centrale il modello lineare tradizionale però se ne differenzia per il
ruolo che la percezione e l’individuazione del mercato potenziale ha nella fase iniziale del processo
innovativo. Il modello è caratterizzato da diverse fasi:
1 fase: Definizione di un mercato potenziale;
2 fase: Una volta individuato inizia il processo innovativo centrato sul design analitico dove, non solo
si introducono innovazioni ma si ricombinano conoscenze e componenti già esistenti per la
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produzione di un nuovo prodotto/servizio/processo.
3 fase: Il design poi è testato;
4 fase: Modificato o aggiustato affinché si produca il prodotto
5 fase: Commercializzato nella forma di prodotto finito.

I flussi “c” sono design testato, modificato e commercializzato in forma di prodotto finito
Oltre questa catena centrale esistono anche nuove forme di relazione:
- I feedback che agiscono lungo la catena principale (F) che forniscono utili informazioni sulle
fasi più a valle del processo innovativo;
- A bidirezionalità che lega il processo di innovazione alla ricerca. Questo significa che nuovi
prodotti possono nascere dall’avanzamento scientifico ma allo stesso tempo nuovi prodotti
possono aiutare l’attività di ricerca (vedi ad esempio i microscopi, i computer, ecc.);
- La conoscenza scientifica interviene lungo tutta la catena principale e non solo durante la fase
di design analitico;
- Infine, le innovazioni in termini di nuovi prodotti possono consentire avanzamenti in diversi
campi scientifici.
Viene ribaltata la unidirezionalità del modello lineare che va dalla scienza all’innovazione.

1.4.3 L’impresa come attore fondamentale


È considerata l’attore fondamentale del cambiamento economico in quanto apprende, introduce
nuove tecnologie investendo in attività innovative al suo interno e all’esterno, tramite accordi che
danno profitti ed ottimi risultati e devono essere difesi da eventuali competitors con strumenti
adeguati. Esso sono, anche, soggetti eterogenei tra loro in base a diverse caratteristiche come
competenze, organizzazione, comportamenti e performance. Inoltre, cambiano nel tempo secondo
processi di apprendimento, accumulazione delle conoscenze, trasformazione e selezione.

1.4.4. Il ruolo delle istituzioni


Per innovare le imprese hanno bisogno del sostegno di una serie di attori diversi: senza il contributo
di università, istituti pubblici di ricerca, politiche pubbliche di sostegno alla R&S e alla diffusione,
istituzioni finanziarie (come il venture capital) sarebbe assai difficile per le imprese innovare con
successo (Continua in cap.3)

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1.5 I principali indicatori
Indicatori di INPUT innovativi: Investimenti in R&S
Gli investimenti in R&S sono spesso utilizzati per esaminare l’input e lo sforzo d’innovazione di
un’impresa. Tale indicatore purtroppo rischia di sottostimare il fenomeno dal momento che in molte
imprese, specie se di piccole dimensioni, la ricerca è portata avanti in maniera non formalizzata, non
cogliendo a pieno la loro innovazione.

Indicatori di OUTPUT innovativi: I brevetti


I brevetti forniscono all’inventore il diritto esclusivo sulla sua scoperta per un determinato periodo:
essi sono strumento di protezione ed incentivo ad innovare. Il numero di brevetti posseduti da
un’impresa e la loro importanza (misurata contando il numero di brevetti costruiti sulla base dei
brevetti posseduti dall’impresa) possono fornire una stima del livello d’innovazione. Il problema è che
spesso i brevetti vengono richiesti ancor prima che l’invenzione si trasformi in prodotto (output
innovativo) oppure alcuni brevetti vengono richiesti esclusivamente per evitare la produzione di
prodotti simili da parte delle imprese concorrenti (output inventivo).

Altri indicatori
Pubblicazioni e citazioni scientifiche (per valutare l’innovazione a livello paese) ma che sono più
difficili e costose da ottenere, commercio internazionale di prodotti tecnologici (stima la competitività
di un paese in settori tecnologici), bilancia tecnologica dei pagamenti, misura lo scambio
internazionali di beni intangibili (brevetti, licenze, assistenza, formazione ecc...) tra un paese e l’altro.

CAPITOLO 3 – TEORIA EVOLUTIVA - Conoscenza, impresa ed innovazione.


3.1 Introduzione
In questo capitolo verranno discussi i recenti sviluppi della teoria evolutiva del cambiamento
economico, a partire dal lavoro seminale di Nelson e Winter che spiegano come la teoria evolutiva ha
come elemento caratterizzante un forte interesse alla dinamica e i processi. Focalizza l’attenzione
sulla conoscenza, sui processi dinamici collegati alla ricerca e all’innovazione e sull’impresa che
apprende, è depositaria di conoscenze e ha competenze specifiche.
La teoria evolutiva ritiene che la conoscenza è il fulcro degli studi inerenti il processo innovativo: il
costo di acquisto di nuova conoscenza aumenta il gap tra conoscenze nuove e già acquisite. Per
questo motivo la conoscenza è un “bene pubblico impuro” che non ha il carattere della rivalità e della
escludibilità. La diffusione del bene conoscenza richiede il sostenimento di costi di apprendimento e
di costi di transazione.

3.2.1 Conoscenza, apprendimento e ricerca


La conoscenza ha un ruolo centrale nella generazione di cambiamento e risulta essere molto diversa
dall’informazione. Conoscenza significa dunque comprensione, elaborazione e assimilazione
dell’informazione e comprende aspetti codificati e taciti, di conseguenza è fortemente specifica alla
singola impresa e al contesto in cui opera e non si diffonde facilmente tra le imprese.
L’apprendimento gioca anch’esso un ruolo chiave, è lo sviluppo di nuove conoscenze e competenze
che consentono alle imprese di sfruttare le opportunità che si presentano ma anche la costruzione di
nuove rappresentazioni dell’ambiente e lo sviluppo di nuove conoscenze e competenze strettamente
legato alla conoscenza passata che ne genera di nuova. È quindi locale, contestuale e diverse sono le
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modalità e gli obiettivi. In un’ottica evolutiva alcuni fattori chiave influiscono sulla intensità, direzione
e rilevanza economica della ricerca e innovazione delle imprese: Quattro sono i fattori presi in
considerazione:
1. Opportunità scientifiche e tecnologiche: Si intendono i contesti scientifici e tecnologici esterni
all’impresa ma anche gli aspetti interni o tangenti all’impresa come fornitori, utilizzatori e
aziende concorrenti o R&S;
2. Organizzazione e procedure di ricerca: Le procedure di ricerca possono essere di 2 tipi: R&S e
apprendimento non formalizzato. L’apprendimento non formalizzato non avviene
automaticamente con il passare del tempo, ma è un’attività focalizzata alla soluzione di
specifici problemi tecnologici, produttivi o di mercato e può essere apprendimento per
esperienza, utilizzo o utilizzazione. La ricerca non formalizzata può emergere per esperienza o
per interazione con altri soggetti focalizzata alla risoluzione di specifici problemi con metodi
innovativi;
3. Conoscenza accumulata: ossia conoscenze specifiche del settore industriale e del contesto
locale di cui l’impresa si è impossessata attraverso il percorso realizzato e le competenze
accumulate. La conoscenza accumulata, o esperienza, indirizza la ricerca. La relazione è
bidirezionale; la ricerca aumenta le competenze che a loro volta permettono una ricerca più
avanzata.
4. Ricerca come processo interattivo e collettivo (competenze e relazioni): non solo all’interno
dell’impresa ma anche all’esterno. In un mondo popolato da agenti interagenti (imprese,
istituzioni pubbliche, ecc), la ricerca si sviluppa proprio grazie all’interazione. Questa visione si
contrappone a quella neoclassica dove l’intensità degli investimenti in R&S è stimolata
dall’appropriabilità dell’innovazione (relazione non dimostrata empiricamente e troppo
semplificativi per essere verosimile) e la direzione di avanzamento è determinata dalla
variazione della domanda e dei prezzi relativi (considerando in questo modo solamente
innovazioni che permettono di ridurre i costi dei fattori di produzione). Il superamento del
modello lineare ha portato la teoria evolutiva ad abbracciare il modello a catena dove le fasi di
R&S, non più in sequenza lineare, presentano feedback.

3.2.2 L’impresa (nella teoria evolutiva)


All’interno della teoria evolutiva, l'impresa è vista come il soggetto centrale che ricerca, innova e
produce in ambienti incerti e in forte cambiamento. Essa è vista come assorbitore, elaboratore e
generatore di conoscenza. Le imprese sono depositarie di conoscenza incorporata in routine
caratterizzate da competenze specifiche. Del dilemma se centralizzare o decentralizzare,
l’imprenditore deve tenere conto del fatto che meglio decentrare i processi di apprendimento
(perché possono essere più spontanei) e centralizzare il coordinamento e l’organizzazione (maggiore
percezione di come l’utilità e le conoscenze possono avere un ruolo importante nel sistema
complessivo)  può avvenire anche il contrario, basta che le routine siano robuste. Affinché
un’impresa sia innovativa c’è bisogno:
- Fare strategia: scegliere il mercato; individuare le tecnologie
- Finanziare: fare investimenti;
- Organizzare: mettere insieme le risorse
- conoscenze e apprendimento.
Mentre l’impresa ottimizzatrice ha come obiettivo la massimizzazione vincolata, l’impresa innovativa
si propone la trasformazione e il superamento dei vincoli (problemi).
11
I processi di ricerca e innovazione sono collocati all’interno di ambienti dinamici e in continuo
cambiamento. Per la teoria evolutiva sono maggiormente innovative le imprese neonate, non
soggette a meccanismi già strutturati. Le imprese già insediate, al contrario, rimangono bloccate
all’interno delle “trappole di competenza”, legate allo sviluppo di tecnologie che hanno dato loro
successo. La teoria evolutiva pone particolare attenzione all’influenza del contesto sullo sviluppo della
realtà d’impresa. Le imprese che appartengono allo stesso contesto seguono modelli di
apprendimento molto simili, e quindi, per avere la varietà che spinge nuova conoscenza è necessario
che si modifichi il regime tecnologico di riferimento.
Il progresso tecnologico è concepito come un elemento di discontinuità che altera le condizioni di
concorrenza tra le imprese. Esso favorisce l’innescarsi di processi di differenziazione e di selezione
delle tecnologie da adottare e degli assetti organizzativi delle imprese. Il progresso tecnologico
innesca nelle imprese processi di generazione, accumulazione e diffusione della conoscenza. Questi
processi sono diversi da impresa ad impresa anche se rispondono all’obiettivo comune di conseguire
posizioni di rendite di monopolio nello sfruttamento delle innovazioni tecnologiche. Il progresso
tecnologico ha una natura sistemica, poiché coinvolge un’ampia varietà di attori che interagiscono
con le imprese nei loro processi di apprendimento. Il progresso tecnologico è dinamico poiché
prevede tutta una serie di feedback (azioni e reazioni) che riguardano le tecnologie, le imprese e le
istituzioni. Questi meccanismi di ritorno sono fondamentali nel successo di una qualsiasi innovazione
tecnologica e quindi l’innovazione non è separabile dalla sua diffusione. La sua configurazione
dipende dai feedback che derivano dai sui adottatori. Il progresso tecnologico è endogeno, poiché
qualsiasi innovazione tecnologica (ed anche le imprese e istituzioni) si trasforma qualitativamente
con l’evolversi dei sui processi di apprendimento e la concorrenza competitiva. I pilatri della teoria
evolutiva sono 7 e sono:
1. Varietà
2. Selezione
3. Routine e path-dependence
4. Apprendimento
5. Skills-Capabilities-Competenze
6. Diffusione delle tecnologie
7. Ruolo delle Istituzioni e Co-evoluzione

Varietà: intesa come varietà netta ossia quantità di prodotti, processi e fattori produttivi che non
spariscono. La varietà netta è il risultato dei meccanismi di selezione attuati dal mercato e che sono
alimentati dalle condizioni di disequilibro alla base dello sviluppo economico (Schumpeter). La varietà
netta comporta dei costi per le imprese che intendono attivare un’innovazione tecnologica e che
devono essere attentamente valutati. Costi di informazione relativi all’introduzione di un’innovazione
tecnologica. Ad esempio, se sul mercato competono diverse innovazioni tecnologiche che interessano
lo stesso processo produttivo, le imprese che utilizzano quel processo produttivo devono acquisire
informazioni per poter scegliere l’innovazione ottimale tra le tante alternative. L’affermarsi di
un’innovazione tecnologica dominante (dominant design) ossia la sua standardizzazione riduce la
varietà e quindi i costi dell’informazione e aumenta l’efficienza delle imprese che la adottano.
Affinché l’innovazione sia profittevole per l’impresa che la adotta, essa dovrà garantire un
bilanciamento tra i costi aggiuntivi delle attività innovative e i costi associati alle attività in corso.

Selezione: Esistenza di fasi cicliche in molti settori industriali in relazione al progresso tecnologico che
12
ripropongono le tappe tipiche del capitalismo concorrenziale teorizzato da Schumpeter. Una prima
fase ciclica è caratterizzata da un’incertezza relativa all’innovazione tecnologica che causa una
turbolenza sul mercato; questa incertezza riguarda sia il lato della domanda che l’offerta. Tutte le
imprese innovative riescono ad entrare nel mercato ma soltanto quelle che apportano innovazioni di
successo riescono a sopravvivere. La seconda fase vede le imprese che hanno adottato la nuova
tecnologia acquisire nuove capacità e competenze. I processi di apprendimento consentono alle
imprese di sviluppare innovazioni di lungo periodo verso la tecnologia dominante. Si configura un
“regime tecnologico” che esprime la convergenza al nuovo paradigma che coinvolge imprese,
programmi di ricerca e formazione, istituzioni pubbliche. Le imprese che non sono riuscite ad
adottare innovazioni di successo hanno sempre più difficoltà a convertirsi alla tecnologia dominante e
tendono a fallire (diminuiscono le imprese che entrano nel mercato e aumenta il numero delle
imprese che escono). La terza fase ciclica è generalmente caratterizzata dalla posizione di monopolio
assunta da poche grandi imprese, che sono state in grado di produrre R&S in-house e progetti di
formazione. Questa dinamica concorrenziale è stata rilevata in molti settori industriali (automobili,
pneumatici, apparecchi televisivi, computer).

Routine: È un modello o più comunemente noto come un “pattern” di comportamento ripetitivo che
l’impresa utilizza in specifiche circostanze. Le Routine sono ricorrenti ed invarianti, legate al contesto
e rappresentano le capacità di base e la memoria dell’impresa. Non sono riconducibili a competenze
individuali ma si sviluppano grazie all’interazione tra i diversi soggetti che compongono l’impresa. Le
Routine sono un elemento basilare delle competenze organizzative dell’impresa. Le routine sono
risposte inerziali delle imprese a problemi decisionali complessi, sono basate sulla conoscenza,
sull’esperienza e sul sistema di valori che si sono depositati nel tempo al loro interno e quindi
esprimono una base di conoscenza che varia da impresa ad impresa ossia “firm- specific”. Le routine
si distinguono in statiche (se assumono la fisionomia di replicazione di procedure) e dinamiche (se
apportano fasi di avanzamento nei processi di apprendimento). Le routine sono profondamente
radicate nei processi di apprendimento che si differenziano da impresa ad impresa; non esiste una
routine ottima sul piano globale, ma ci sono tante routine, ciascuna ottimale sul piano locale, basata
sulla conoscenza specifica dell’impresa. Le routine consentono alle imprese di rispondere agli stimoli
dell’ambiente esterno. Se tali stimoli oltrepassano la risposta predeterminata, le routine falliscono e
devono essere sostituite da altre. Le routine segnalano un processo che inizia con una rottura, indotta
da una discontinuità (ad esempio un’innovazione tecnologica) che si impone sul mercato, alla quale
seguono periodi di relativa stabilità o di cambiamento graduale, che tuttavia si realizzano in un nuovo
contesto industriale e istituzionale, rispetto a quello precedente la rottura. Quando si verifica il caso
in cui il sentiero già percorso frena o blocca le decisioni e la sperimentazione si usa l’espressione
“path dependence” ossia dipendenza dal sentiero tecnologico intrapreso.

Skill e Capabilities: Le skills e le capabilities fanno riferimento alla conoscenza tacita (e non a quella
codificata contenuta e formalizzata in manuali e documenti scaricabili da Internet). Le skills si
definiscono come la capacità di analisi, sintesi e valutazione messa in atto per utilizzare, trasformare
o incrementare le conoscenze disponibili o, a un livello superiore, per risolvere un problema (problem
solving). Le skills non sono rigidi né stabili, ma rappresentano un’attitudine, la cui efficacia dipende
dalla particolare combinazione delle variabili che si presentano di volta in volta, ma non si può
conoscere in anticipo quale sarà la loro combinazione né se essa ricadrà nell’ambito di applicazione
delle skill.
13
Le capabilities consistono nella capacità di mettere in atto azioni appropriate per raggiungere un
determinato risultato. Esse riguardano l’applicazione della conoscenza (”Know-how”). Il know what è
la capacità di ottenere informazioni su uno specifico problema che non si conosce. Le dynamic
capabilities sono la capacità dell’impresa di integrare e riconfigurare le competenze in risposta a
cambiamenti nell’ambiente esterno.

Competenze organizzative: Sono un sistema che comprende, risorse complementari e capacità


specifiche, in parte tacite e basate su conoscenza procedurale, legate a un determinato dominio
applicativo, difficilmente trasferibili tra le imprese. Comprendono informazioni su come fare le cose,
capacità tacite ed automatiche.

Diffusione: Dipende dall’ambiente economico e istituzionale in cui le innovazioni si verificano (o non


si verificano) e quindi dal rapporto tra le imprese e le istituzioni che presiedono alla formazione di
skills e alla codificazione della conoscenza, alla regolamentazione del mercato, ai regimi di
appropriazione e alle politiche pubbliche in generale. Non dipende solo dalla domanda, cioè dalla
profittabilità attesa dall’adozione della nuova tecnologia da parte degli utilizzatori, ma anche
dall’offerta cioè dalla profittabilità attesa dalla produzione della nuova tecnologia. Le aspettative di
profittabilità sono influenzate dalle aspettative tecnologiche, relative ai miglioramenti che la
tecnologia potrebbe subire dopo la sua introduzione. La diffusione di una tecnologia dipende dai costi
richiesti dalla sua adozione. Il punto chiave delle decisioni circa la diffusione di una tecnologia è il
timing della decisione di investimento. Le ragioni che ritardano l’adozione di una nuova tecnologia
sono:
- Incompatibilità della nuova tecnologia (anche parziale) con il sistema tecnologico già
installato, con le caratteristiche del capitale umano impiegato, con le pratiche organizzative
consolidate;
- Rapporto tra il valore del costo opportunità del capitale installato che dovrebbe essere
rimpiazzato con l’adozione della nuova tecnologia e l’incremento dei costi variabili associati
all’adozione;
- Interdipendenza tra la diffusione e l’evoluzione di una tecnologia.

Istituzioni: Le istituzioni esprimono finalità condivise e consistono in sistemi coattivi di regole di


comportamento (norme e sanzioni) che sono inglobati in strutture e meccanismi formali e informali,
materiali e simbolici che governano e danno coerenza e stabilità alla collettività. Le istituzioni sono un
prodotto sociale, da un lato trascendono l’azione dei singoli individui, dall’altro mutano nel tempo
con il variare delle finalità e delle norme sociali di riferimento. Le istituzioni sono il prodotto
dell’azione collettiva che mira a standardizzare le routine e tendono ad auto-rafforzarsi nel tempo
condizionando i comportamenti dei soggetti economici finché non si impongono nuove routine. Il
cambiamento istituzionale può essere innescato oltre che da riforme politiche e normative, e dal
cambiamento del sistema di valori culturali anche dalle tecnologie quando esse generano un
cambiamento cumulativo (cumulative change) di natura tecnica, economica e istituzionale. Le
istituzioni, in questo ragionamento, diventano le unità di analisi, esse sono considerate endogene al
sistema economico.

3.2.3 Sulla rilevanza delle competenze per la teoria evolutiva dell’impresa


Perché è importante una teoria evolutiva dell’impresa basata sulla conoscenza e sulle competenze?
14
Perché essa rappresenta il blocco costitutivo di una teoria che intende affrontare il tema della ricerca,
dell’innovazione e della dinamica industriale in ambienti incerti e in notevole cambiamento. Nello
specifico una teoria basata su conoscenza, apprendimento e competenze permette di:
1. Definire un'impresa dal punto di vista produttivo e tecnologico:
2. Spiegare le differenze di performance delle imprese quanto a innovazione e profittabilità
3. Analizzare specifici aspetti dell’organizzazione dell’impresa innovativa: Secondo la teoria
evolutiva, l’organizzazione di impresa emerge, in contesti in rapido cambiamento,
dall’interazione delle parti che la costituiscono. Una delle funzioni principali di una struttura
organizzativa risulta essere quella di scambio e conoscenza ed informazioni, generazione di
nuova conoscenza, coordinamento di complementarietà e creazione di conoscenza collettiva.
4. Studiare il comportamento delle imprese che dipende molto dall’esperienza. Imprese
affermate tenderanno ad inerzia tecnologica, ovvero ad investire in tecnologie che in passato
hanno portato buoni risultati. Al contrario, imprese in cerca di affermazione, sapranno meglio
sfruttare i cambiamenti dell’ambiente adottando tecnologie nuove, non essendo influenzati
dall’effetto rinforzo che affligge le imprese affermate. Imprese con buone performance nel
lungo periodo sono imprese che hanno saputo coniugare efficacemente strategie di
sfruttamento e di esplorazione tecnologica.
5. Analizzare il ruolo dei contesti diversi su comportamento e organizzazione delle imprese: Le
routine e le competenze si sviluppano e si trasformano in contesti molto differenti da impresa
a impresa, caratterizzati da basi tecnologiche, conoscitive, istituzionali di domanda molto
diverse. Questa analisi ha permesso di evidenziare significative differenze tra le imprese e tra
le modalità innovative ed organizzative delle industrie sono legate a differenze nei “regimi
tecnologici”, nelle caratteristiche settoriali e nei sistemi innovativi nazionali.
6. Esaminare il modificarsi dei confini delle imprese: una prima determinante riguarda le
complementarietà statiche: la presenza di costi di transazione, unita ad apprendimento lento
e complementarietà conoscitive, induce le imprese all’integrazione verticale per evitare
comportamenti opportunistici quando le imprese usano il mercato. Una seconda ragione
riguarda le complementarietà dinamiche cioè il coordinamento e l’integrazione di conoscenze
e competenze complementari in continuo cambiamento.
Le variabili in grado di spiegare i confini delle imprese in contesti mutevoli sono: capacità
interne, capacità esterne e costi di governo. L’integrazione verticale, favorita da un elevato
livello di competenze interne rispetto alle esterne, migliora il coordinamento di impresa ma
allo stesso tempo riduce la generazione di varietà in quanto i contatti con l’esterno si
riducono.
7. Comprendere l'emergere e il costituirsi di network e relazioni tra imprese: i network
emergono quando sono presenti caratteristiche specifiche della conoscenza di base e del
regime tecnologico; essi evitano i costi e le inefficienze dell'integrazione completa,
permettono un migliore coordinamento dei processi di apprendimento e consentono l'accesso
a capacità di altre imprese e organizzazioni (fornitori, utilizzatori..). rappresentano una
soluzione intermedia tra centralizzazione e il coordinamento dei processi di apprendimento
all’interno di un’impresa, e il decentramento completo delle attività di apprendimento ad
organizzazioni esterne per promuovere la varietà di approcci.

3.2.4 Progressi e sfide


I Progressi sono ottenuti dall’approccio evolutivo nell’analisi dell’evoluzione e dell’impresa
15
innovativa; Fattori fondamentali che hanno permesso negli ultimi 10 anni, mediante un’attività
innovativa, di avere questi progressi sono la: conoscenza, l’apprendimento, e le competenze. Le Sfide
invece sono i traguardi che oggi ci si impegna nel raggiungerli. Sono in tutto 5 le sfide che rimangono
da affrontare:
1. Ruolo della domanda. Gli studi si basano sull’attenzione della crescita reale o attesa della
domanda, altri invece analizzano il ruolo degli utilizzatori nell’influire sulla ricerca e
l’innovazione delle imprese, e come gli utilizzatori a loro volta siano caratterizzati da
componenti, conoscenze e competenze assai diversi tra loro e dipendenti dai contesti.
2. Livello di organizzazione d’impresa. È necessario esaminare il collegamento tra meccanismi di
apprendimento e coordinamento da un lato e incentivi dell’altro (questa strada consente di
avere una visione integrata dell’impresa);
3. Le competenze: mancano sia l’individuazione di quali competenze siano da prendere in analisi,
sia la misurazione dei loro effetti e della loro rilevanza nelle dimensioni empiriche e in cui esse
si rivelano – principalmente a livello di performance.
4. I contesti. Esame delle interazioni fra effetti tecnologici (condizioni in cui ha luogo l’attività
innovativa in termini di opportunità, appropriabilità e base conoscitiva), regimi produttivi e
variabili istituzionali e dall’altro comportamenti di impresa e organizzazione dell’attività
produttiva.
5. Modellistica teorica formale: essa va sviluppata in alcune direzioni: la relazione tra
competenze, inerzia e varietà di comportamenti da un lato e organizzazione e performance
delle imprese, cambiamento dei confini delle imprese e rapporti tra imprese dall’altro.

3.3.1 L’evoluzione strutturale


È intesa come un processo di trasformazione industriale, cioè di cambiamento nei prodotti e nelle
tecniche produttive, di crescita e mutamento nei confronti dell’impresa e/o del suo assetto
istituzionale. È possibile distinguere tre fasi nell’evoluzione di una industria.
1. specifiche dimensioni nella dinamica industriale, ovvero ci si riferisce ad analisi di demografia
industriale (entrata – uscita) e crescita nelle performance dell’impresa
2. dinamica strutturale che sono meno rilevanti rispetto alle prime, e ci si riferisce alla relazione
dinamica tra variabili strutturali di una industria, R&S e innovazione di prodotto e di processo.
3. evoluzione strutturale delle industrie, che prende in considerazione l’emergere di nuove
industrie, la trasformazione di tecnologie e prodotti, lo sviluppo e il mutamento delle
competenze e dei confini delle imprese, il ruolo svolto dalle istituzioni e dai fornitori ed
utilizzatori.
Tutto ciò se vogliamo parlare di dati empirici ma da un punto di vista teorico si può utilizzare il
processo di coevoluzione e i modelli history friendly.

3.3.2 La Coevoluzione
Si riferisce al mutamento congiunto ed interdipendente tra tecnologia, competenze, strategie ed
organizzazione d’impresa, struttura di mercato. La coevoluzione è fortemente specifica e si
differenzia a seconda del tipo di industria. Maggiormente studiata è stata la relazione tra tecnologia,
innovazione e struttura di mercato. Nel caso di:
 Industrie di consumatori con domanda simile. La nascita di un’industria attorno ad un gruppo
di nuovi prodotti è accompagnata dall’entrata di nuovi attori e dalla continua introduzione di
innovazioni di prodotto. In seguito emerge un design dominante e l’innovazione diventa di
16
processo. Questo porta il settore a concentrarsi e le imprese ad ampliare le loro dimensioni.
 Nel caso di tecnologie concorrenti, il vantaggio iniziale di una tecnologia può farle raggiungere
un dominio sul mercato e potrà innescare il fenomeno di “lock-in”, ovvero lo sfruttamento
iniziale del vantaggio tecnologico, per cui l’industria si ritrova bloccata in una sorta di
immobilismo tecnologico.
 Un caso diverso riguarda la presenza di complementarietà, esternalità di network e standard,
che può portare a una specializzazione e divisione del lavoro tra imprese.

Altro aspetto caratteristico della coevoluzione è la Path Dependancy (dipendenza del sentiero): ossia
il fenomeno per cui alcuni settori il livello e la qualità tecnologica attuale dipendono strettamente dal
passato e l’emergere di alternative migliori non sempre riesce a schiodare il sistema dall’utilizzo di
tecnologie inferiori: in altri termini, la condizione tecnologica attuale dipende dalle condizioni di
partenza del settore. Condizioni di partenza differenti (anche lievemente differenti), possono portare
a configurazioni tecnologiche diverse. Non è detto che la configurazione tecnologica sia la migliore, è
stato dimostrato empiricamente come alcune tecnologie dominanti non siano in realtà le migliori.

3.3.3 Modelli History Friendly


I modelli History Friendly sono modelli che hanno come obiettivo quello di studiare il mutamento
strutturale dell’industria, tenendo conto delle specificità di un settore, senza ridurre l’eterogeneità
degli attori presenti nell’industria e la complessità dell’ambiente economico e tecnologico (
intendono cogliere il mutamento strutturale di un’industria). Quindi studiare le caratteristiche
tecnologiche per esempio tra diverse industrie e rendere poi accessibile e possibile la loro
spiegazione logica è la base dei modelli friendly. I modelli History Friendly riguardano analisi formali
dell’evoluzione strutturale di un’industria e dei suoi processi di coevoluzione, l’individuazione di
similarità nelle dinamiche di industrie diverse, relazioni tra struttura di mercato e innovazione. Sono
stati sviluppati indagano sulle relazioni esistenti tra struttura di mercato e progresso tecnico (Malerba
et al. 1999) e su integrazione verticale delle imprese entrambi riguardanti l’evoluzione strutturale
dell’industria dei computer. (Malerba et al. 1998).
1. Il primo modello ha esaminato l’evoluzione dell’industria quando si aprono nuovi mercati, in
cui si è appreso che ogni discontinuità tecnologica apre un nuovo tipo di domanda,
consentendo così l’ingresso a nuovi competitors sia nel vecchio che nel nuovo mercato e le
imprese seguono traiettorie tecnologiche e di prodotto diverse. Ad ogni discontinuità
tecnologica le imprese esistenti devono adottare le nuove tecnologie, mentre ad ogni
discontinuità di domanda devono decidere se diversificare nel nuovo mercato.
2. Il secondo modello esamina l’evoluzione dei confini delle imprese (in termini di integrazione
verticale e specializzazione in componenti ed in sistemi) secondo un approccio che esamina
variabili come: competenze, dimensione impresa, ampiezza di mercato, turbolenza
ambientale.
Il modello considera tra le determinanti dell’integrazione verticale un efficace coordinamento
tra nuovi componenti e nuovi sistemi, la mancanza di competenze esterne a livello
componentisti ed una domanda interna di componenti ampia rispetto all’offerta dei singoli;
tra le ragioni della disintegrazione invece la crescita della turbolenza innovativa ambientale e
l’emergere tra i componentisti di un’impresa leader a livello tecnologico e produttivo. In
ultima analisi l’integrazione verticale, la disintegrazione e la specializzazione sono il risultato
della coevoluzione di due industrie, quella dei sistemi e quella dei componenti.
17
CAPITOLO 6 – L’impresa innovativa: conoscenza, competenze, organizzazione e confini
6.2 Conoscenza e apprendimento
L’impresa innovativa è un’organizzazione che apprende ed è dotata di competenze specifiche. Le
imprese sono organizzazioni che sanno “come” fare le cose e sono depositarie di conoscenze
specifiche. La conoscenza specifica è incorporata nelle routine organizzative, che sono in parte tacite
e che cambiano attraverso un processo di adattamento e ricerca. Conoscenza ed apprendimento
rappresentano quindi i due elementi alla base della teoria dell’impresa innovativa.
 L’informazione è di libera circolazione, a meno che non sia protetta da un brevetto, ha un
costo di riproduzione pari a zero e si diffonde liberamente tra le organizzazioni, ma perde il
suo valore nel momento in cui viene rivelata (paradosso di Arrow). Se vengono introdotti
brevetti allora si innesca un processo di competizione tra le imprese che tentano di
appropriarsene per primi: il vincitore di una “gara” tecnologica è in grado di ottenere tutte le
rendite da innovazione, mentre le imprese perdenti generano una duplicazione di sforzi
innovativi con una perdita netta per la società. La diffusione di nuova informazione è rapida
ed automatica e, nel caso di tecnologia incorporata nei beni capitali, è legata al livello di
investimento in nuovi beni capitali e attrezzature.
 Nei modelli evolutivi, la conoscenza è tenuta distinta dal concetto di informazione; infatti si
parla di tecnologia come informazione e tecnologia come conoscenza. La conoscenza è
comprensione, elaborazione e assimilazione dell'informazione. Essa comprende aspetti
codificati e taciti, come le competenze sviluppate dall’impresa con l’esperienza, nell’affrontare
determinati problemi. Di conseguenza la conoscenza è fortemente specifica alla singola
impresa e al contesto in cui opera, questo rende la trasmissione di conoscenza un processo
meno fluido di quanto non accada per l’informazione; essa non è automatica e non avviene
liberamente. La conoscenza se tacita, non osservabile nell’uso, non codificabile e complessa, è
più difficilmente trasferibile. La conoscenza tacita gioca un ruolo rilevante nel processo
innovativo e conferisce vantaggi alle imprese, non essendo accumulata o trasmessa attraverso
canali formali. Al contrario si sviluppa tramite apprendimento, esperienza ed interazioni
personali. Proprio perché tacita, è difficilmente trasferibile, sia all’interno dell’impresa che, in
misura maggiore, tra imprese. Nonaka ha proposto un modello di creazione di una nuova
conoscenza e di conversione della conoscenza per passare da una forma all'altra:
 da tacita a tacita (attraverso la socializzazione all'interno dell'impresa)
 da tacita a esplicita (attraverso l’esternalizzazione)
 da esplicita a esplicita (attraverso la combinazione esterna all'impresa)
 da esplicita a tacita (attraverso l’internalizzazione)

Invece il secondo elemento chiave della teoria evolutiva, ovvero l'apprendimento non è visto solo
come semplice acquisizione di informazioni da parte delle imprese, ma anche e specialmente
sviluppo di nuove conoscenze e competenze che consentono alle imprese di sfruttare le opportunità
che si presentano loro. Ne consegue quindi che l'apprendimento è locale e contestuale; ha
caratteristiche sia ripetitive che creative; è un processo cumulativo; procede per tentativi (by trial-
and-error); è un processo sociale e non individuale poiché richiede l’interazione tra diversi individui;
genera conoscenza tacita ossia trasmessa in via informale e mediante interazione personale senza
assumere una forma codificata. L’apprendimento è il processo di accumulazione, da parte delle
imprese, di conoscenza che avviene attraverso la ricerca, la produzione e il marketing.
18
L’apprendimento può essere di tipo:
1. Learning by doing (Genera traiettorie di miglioramento dei processi produttivi)  interno
all’impresa e collegato all’attività di produzione;
2. learning by using  interno all’impresa e collegato all’uso dei prodotti, dei macchinari e degli
input;
3. learning by searching (miglioramenti delle performance dei prodotti)  interno all’impresa e
collegato principalmente ad attività esplicitamente dedicate alla generazione di nuova
conoscenza, come la R&S;
4. learning by interacting (customizzazzione e segmentazione dei prodotti)  esterno
all’impresa e collegato sia all’interazione a monte e a valle con fonti di conoscenza esterne
quali i fornitori o gli utilizzatori, sia alla cooperazione con altre imprese dello stesso settore;
5. learning by monitoring.
L’apprendimento influenza le competenze alimentandole e modificandole, ma queste a loro volta
influiscono sul processo, velocità e direzione di apprendimento. Un generico processo di
apprendimento (o “learning”) è articolato nelle seguenti fasi:
1. Acquisizione di conoscenza: include l’apprendimento per esperienza (learning by doing).
2. Distribuzione di informazione: processi di condivisione dell’informazione proveniente da diverse
fonti, che portano alla creazione di nuova informazione.
3. Interpretazione dell’informazione: può dar luogo a una o più interpretazioni condivise.
4. Memoria organizzativa: insieme di mezzi con cui la conoscenza è depositata per essere utilizzata
successivamente.

A livello empirico è stata dimostrata l’esistenza di una correlazione positiva tra la produzione di un
nuovo prodotto e la riduzione del costo di produzione e del tempo per unità prodotto. Modello
matematico delle “curve di apprendimento” o “curve di esperienza”: forma ad S, in cui all’aumentare
della pratica, si susseguono una fase di partenza relativamente lenta (“slow beginning”), una fase di
apprendimento rapido (“steep acceleration”) e una fase di miglioramenti minori ma comunque
positivi (“plateau”) che possono verificarsi nel corso di mesi o di anni.

6.3 Routine come pattern di azione dell’organizzazione


Come rappresentare i comportamenti delle imprese? Un metodo è quello di utilizzare il concetto di
routine, ovvero di schemi comportamentali ripetitivi usati in specifiche circostanze per la risoluzione
di problemi ricorrenti. Non rappresentano scelte ma vere e proprie regole decisionali e procedure
comportamentali di tipo meccanico e ripetitivo, in base alle quali le imprese conducono la propria
attività quotidiana ed operano sul mercato. Esse rappresentano quindi ciò che l'impresa sa e può
fare. Esse sono fortemente legate al contesto, in quanto nascono e si sviluppano in determinati
ambienti. Esse hanno anche una dimensione organizzativa, rappresentando la capacità di base e la
memoria dell'impresa. Una routine non è riducibile alla somma delle capacità individuali dei membri
dell'organizzazione, in quanto ciascuna performance individuale è strettamente legata alla
performance degli altri individui. La riproduzione delle routine, anche all’interno di una stessa
impresa, per dirsi di successo, richiede un certo grado di codificazione della conoscenza o la mobilità
delle persone all’interno dell’impresa. L’imitazione di routine tra imprese diverse in presenza di bassa
mobilità e limitata codificazione incontra maggiori difficoltà rispetto alla loro riproduzione all’interno
dell’impresa stessa. Si potrebbe verificare il seguente paradosso: le imprese cercano di codificare la
propria conoscenza per diffondere meglio le routine al loro interno, ma così facendo riducono le
19
barriere all’imitazione da parte delle imprese rivali. Contributi recenti hanno osservato che le routine
non hanno solo una dimensione cognitiva, ma anche una di governo e controllo.
Nelson e Winter rappresentano l'impresa come composta da sistemi di routine. In particolare ne
considerano 3 tipi:
1. le procedure operative standard che determinano ciò che l'impresa fa in termini di produzione
e prezzi
2. le routine che guidano le politiche di investimento e di crescita
3. le routine che guidano i processi di R&S, e che generano i cambiamenti delle routine esistenti.
Il loro carattere prevalentemente tacito le rende difficilmente trasferibili, anche all’interno
dell’impresa. Nel momento in cui si tenta di esplicitarle, si rende più facile il loro trasferimento anche
ad altre imprese (con il rischio di venire imitati).

6.4 Competenze e cambiamento industriale


6.4.1 Competenze e risorse
Le competenze (Schumpertiana) hanno un ruolo fondamentale, si trovano alla base della persistente
differenza nella performance d’innovatività e sono il risultato dei processi di apprendimento e
accumulazione di conoscenze da parte delle imprese. Le competenze definiscono anche l'ampiezza
dei prodotti che l'impresa può sviluppare o produrre e dei processi che può adottare. Le imprese sono
limitate nelle loro azioni e decisioni dalle competenze proprie; poche risorse possono essere viste
come l'input del processo di innovazione e produzione, ma esse non sono produttive da sole, le
competenze riguardano la capacità di un set di risorse di svolgere attività. Quindi le risorse sono il
requisito per la performance di successo di molte imprese, ma sono le competenze che integrano le
risorse e le usano in applicazioni produttive. All’interno delle competenze, le Core Competences sono
l’insieme di conoscenza, risorse e routine che stanno alla base del permanente vantaggio competitivo
di un’impresa (competenze distintive).
La teoria dell’impresa basata sulle competenze ha una stretta relazione con l’approccio resource-
based, che parte dalla definizione di Penrose (1959) dell’impresa quale insieme di risorse produttive.
Le risorse comprendono sia quelle tangibili, umane, fisiche e finanziarie, che quelle intangibili quindi
anche quelle organizzative, i marchi, la reputazione ecc. alcune di queste sono acquisibili nel mercato
dei fattori e sono trasferibili, altre sono specifiche all’impresa. Le risorse possono essere viste come
gli input del processo di innovazione e di produzione. Poche risorse sono produttive da sole. Al
contrario, le competenze riguardano la capacità di un set di risorse di svolgere attività. Pertanto le
risorse sono il requisito per la performance di successo di molte imprese, ma sono le competenze che
integrano le risorse e le usano in applicazioni produttive.

6.4.2 Le principali dimensioni delle competenze


Le competenze hanno alcune dimensioni chiave, che risultano essere importanti per l’analisi
economica. Tre vengono qui considerate:

1. La dimensione Inerziale
L'apprendimento e la dinamica delle competenze tendono ad irrigidirsi intorno alle competenze
esistenti. L’inerzia è un problema che affligge le imprese che si concentrano su un numero ristretto di
competenze in merito a ciò che sanno meglio e trascurando altri sviluppi. Quando una impresa ha
successo, tende a valorizzare, per effetto di un feedback positivo, la competenza che lo ha
determinato. Questo porta ad inerzia, ovvero alla non capacità di cambiare le proprie competenze nel
20
momento in cui queste non rispondono efficacemente alle mutate condizioni di mercato.
Competenze core di un’azienda possono trasformarsi in rigidità core, in quanto ostacolano
l’introduzione o l’assorbimento del cambiamento tecnologico. Questo fenomeno è osservabile in
imprese consolidate ed in imprese altamente specializzate dove l’attività di ricerca è verticale (ovvero
indirizzata verso la specializzazione) piuttosto che orizzontale ed orientata all’esplorazione.
- Trappola delle competenze: gli innovatori di successo spesso rimangono bloccati su specifiche
tecnologie.
- Capabilities dinamiche: l’aggiornamento delle competenze (ed il superamento dell’inerzia)
richiede delle meta-competenze, che dipendono dalla struttura organizzativa e dalla
localizzazione dell’impresa, e diventano fondamentali per la sopravvivenza nel lungo periodo.
- Trade-off “exploration-exploitation”: l’aggiornamento delle competenze (exploration)
diminuisce la capacità di sfruttare quelle esistenti (exploitation), e viceversa: necessità di
calibrarle nel tempo.
Le capacità dinamiche possono essere collegate al concetto di adattabilità; esiste una tensione
dinamica durante l’evoluzione delle imprese. Apprendendo e accumulando conoscenze, le imprese
sviluppano le proprie competenze distintive. Nello stesso tempo, esse diminuiscono la possibilità di
sopravvivere al di fuori dell’ambiente in cui hanno sviluppato le competenze. Vi è quindi un ciclo
dinamico delle imprese. Le imprese apprendono, hanno successo e si specializzano, ma proprio per
questo, in caso di cambiamento rapido o di mutamento dell’ambiente in cui operano, sono
rimpiazzate da nuove imprese. L’impresa dovrebbe calibrare “esplorazione” e “sfruttamento”,
permettendo dapprima un’ampia esplorazione a livello di sottosistemi e in seguito lo sfruttamento, a
livello di impresa, di quando scoperto.

2. La dimensione Contestuale
Le competenze sono strettamente legate al contesto tecnologico, produttivo (architettura di
prodotto) e di domanda in cui si sviluppano. Essendo il frutto di processi di apprendimento
interattivo, le competenze dipendono dall’organizzazione e dal contesto in cui opera l’impresa. È
possibile definire dunque tre contesti nei quali le competenze delle imprese hanno un ruolo rilevante
nella competizione:

 Considerando il contesto tecnologico:


In caso di rapidi cambiamenti ambientali e di notevoli discontinuità tecnologiche, l’introduzione di
una nuova tecnologia (radicale), richiede nuove competenze e nuove procedure di risoluzione dei
problemi, si parla in questo caso di cambiamento tecnologico distruttore di competenze (esistenti).
Tale cambiamento tecnologico distruttore ha effetto sull'entrata e sull'uscita delle imprese, poiché la
necessità di nuove competenze fornisce un'opportunità di ingresso alle nuove imprese. Infatti, i nuovi
entranti sono più veloci ed efficaci nell'introduzione di nuovi prodotti, perché non sono bloccati dai
contesti tecnologici precedenti e costringono le imprese consolidate ad uscire dal mercato.
Una innovazione incrementale, quindi basata sulle stesse tecnologie, non determina grandi
mutamenti, ma solo un miglioramento ed un rafforzamento delle competenze (esistenti), si parla in
questo caso di cambiamento tecnologico rafforzatore di competenze (esistenti). Tale cambiamento
tecnologico rafforzatore di competenze aumenta i vantaggi competitivi delle imprese già insediate, in
quanto esse sono in grado di continuare a usare efficacemente le loro competenze e conoscenze nel
contesto nel quale si sono sviluppate.
Le discontinuità distruttrici premiano le imprese “entranti”, mentre quelle rafforzatrici premiano le
21
imprese “incombenti”.

 Contesto dell'architettura di prodotto:


Una innovazione architetturale consiste nel cambiamento dell'architettura di prodotto, ovvero la
ricombinazione delle componenti di base (modificano le relazioni e la gerarchia tra i componenti e le
parti di un prodotto), senza comportare un cambiamento nella tecnologia. Conoscenza architetturale:
come relazionare e combinare la conoscenza relativa ai diversi moduli di un prodotto complesso; essa
è incorporata nell’organizzazione, ossia in routine organizzative, canali di comunicazione, filtri
informativi. Quando le innovazioni sono di questo tipo vi può essere un cambiamento della struttura
di mercato, in quanto le imprese consolidate tendono a focalizzarsi sulle architetture esistenti
sottovalutando la rilevanza delle nuove architetture e si trovano quindi svantaggiate rispetto alle
nuove imprese la cui struttura è calibrata sulla nuova architettura. Quindi le innovazioni architetturali
pur non influendo sulla tecnologia, comportano una distruzione delle competenze (esistenti) e la
nascita di nuove competenze. Solo le innovazioni incrementali (miglioramento nella tecnologia dei
componenti di base, con una stessa architettura di prodotto) sono innovazioni che esaltano le
competenze esistenti, mentre le innovazioni architetturali rappresentano una discontinuità a livello di
prodotto che può essere distruttrice di competenze. Implementazioni strategiche: le nuove imprese
implementano le innovazioni architetturali meglio delle incombenti (sono quelle già presenti) che
invece non le riconoscono.

 Contesto di domanda:
La domanda finale (dei consumatori) o dei beni intermedi (imprese) può avere un duplice effetto sulle
competenze delle imprese: da un lato stimolare l’innovazione ed accrescere le competenze delle
imprese produttrici, ma dall’altro aumentare l’inerzia nelle competenze dei produttori esistenti
(congelamento delle competenze: la focalizzazione sulla domanda esistente come schermo rispetto a
nuovi segnali di domanda)  ad esempio nell’industria americana dei disk drive per computer le
imprese consolidate hanno guidato l’industria fino a quando la tecnologia ha soddisfatto la domanda
degli utilizzatori esistenti.
Implementazioni strategiche: superiorità delle nuove imprese nel cogliere nuovi segnali di domanda
rispetto alle imprese incombenti. Il ritardo con cui le imprese consolidate hanno percepito la nuova
domanda ha consentito alle nuove imprese di accumulare vantaggi incolmabili e quindi di dominare i
nuovi mercati che nel tempo hanno raggiunto una dimensione rilevante.

3. La dimensione Organizzativa
Tale dimensione è legata alla presenza di complementarità nell'attività innovativa e produttiva delle
imprese. Tre sono i livelli di analisi che possono essere identificati:
22
1. la gerarchia delle competenze (legami e architettura delle competenze all'interno
dell'organizzazione)
2. capacità organizzativa (coordinamento delle competenze)
3. capacità di integrazione (integrazione di conoscenze diverse)

COMPETENZE
ADATTIVE

La gerarchia delle competenze:


Carlsson ed Eliasson (1994) identificano 4 tipi di capacità che insieme determinano le competenze
dell'impresa e le associano ai livelli gerarchici dell'organizzazione:
1. C. funzionali: legate alle specifiche funzioni dell'impresa, ai prodotti o ai mercati. → unità
operative
2. C. organizzative: coordinano le attività e le funzioni dell'organizzazione in modo tale da
ottenere effetti sinergici a livello di impresa. → management intermedio
3. C. strategiche: riguardano l'abilità di sviluppare strategie efficaci e di generare, individuare e
sfruttare le opportunità economiche. → Alta direzione (top management)
4. C. adattive: si riferiscono alla capacità di apprendere da esperienze (punti 1,2 e 3) precedenti
e reagire ai segnali del mercato e ai cambiamenti dell'ambiente esterno. → sono trasversali,
interessano l'organizzazione in ogni suo livello gerarchico.
È fondamentale il flusso tra un livello e un altro, perché se il cambiamento è rapido il passaggio tra
competenze deve essere funzionale e soprattutto rapido (capacità di comprendersi reciprocamente
soprattutto in quelle imprese che realizzano prodotti complessi).

La capacità organizzativa:
può essere definita come un sistema di capacità differenziate, routine e beni complementari, in parte
taciti e non formalizzati, legati al contesto e difficilmente trasferibili tra le imprese. Essa esprime la
proprietà emergente del sistema di combinare e coordinare i suoi elementi ed i suoi sub-sistemi.

La capacità d’integrazione:
L’integrazione delle competenze consiste nell’unire le conoscenze complementari provenienti da
fonti eterogenee, particolarmente importante nelle industrie con incertezza, complessità e necessità
di integrare conoscenze tecnologiche e scientifiche con componenti della domanda. Quindi sono
rilevanti quando ricevono le varie conoscenze da fonti diverse e sono necessarie nel processo
innovativo e produttivo. Vantaggio competitivo e capacità di integrazione: ampia evidenza empirica di
una correlazione positiva.

6.5 L’organizzazione delle imprese


Le teorie neoclassiche esistenti spiegano l’organizzazione aziendali in termini di incentivi, controllo e
23
potere. La teoria neoclassica aggiunge l’aspetto cognitivo. Quindi, riassumendo, le funzioni
(meccanismi) principali di una struttura organizzativa sono:
1. f (m) di incentivo: si riferiscono al sistema di remunerazione e di penalità per le azioni dei
membri dell'organizzazione.
2. f (m) di controllo: intendono monitorare le azioni degli individui
3. f (m) di potere: assegnano potere agli individui e ai gruppi all'interno delle organizzazioni
4. f (m) cognitivi: sono rivolti alla generazione e allo scambio di conoscenza ed informazione, al
coordinamento tra le varie parti dell'organizzazione e alla creazione di conoscenza collettiva.
Quindi i punti da 1 a 3 si concentrano sulle asimmetrie informative e non esaminano le caratteristiche
della conoscenza ed apprendimento dei gruppi. L’approccio evolutivo aggiunge un quarto
meccanismo: quello cognitivo. La presenza di conoscenze ed esperienze diverse all’interno di un
gruppo è una delle principali fonti dell’innovazione, in particolare quando il processo innovativo deve
integrare elementi diversi, in quanto una specializzazione eccessiva blocca lo sviluppo autonomo di
nuova conoscenza. Strutture centralizzate e gerarchiche (verticali) sono adatte a sfruttare meglio
condizioni di domanda relativamente stabili. Quando l’ambiente esterno è estremamente incerto la
necessità di reagire prontamente al cambiamento richiede centralizzazione. Al contrario, se i
cambiamenti sono incrementali (non drastici) e continui, allora una struttura orizzontale (decentrata)
è in grado di reagire meglio rispetto ad una gerarchica e verticale. Ma se consideriamo un ambiente
molto incerto (cosi come ipotizzato dalla teoria evolutiva), dove i cambiamenti incrementali sono
imprevedibili, allora è necessario considerare una struttura intermedia. Questa struttura dovrà essere
orizzontale, in modo da raccogliere maggiori informazioni possibili ma allo stesso tempo dovrà avere
una gestione centralizzata delle conoscenze, in modo da permetterne la libera circolazione tra le
divisioni di impresa. Vi può essere però tensione tra decentramento e centralizzazione in ambienti
dinamici. Il decentramento consente apprendimento e sperimentazione presso le diverse unità
organizzative, ma nello stesso tempo provoca una dispersione della conoscenza. In questi casi, il
decentramento nella creazione di conoscenza deve essere accompagnato dalla centralizzazione
nell’integrazione e condivisione di conoscenza, in modo tale da creare conoscenza comune per
l’intera struttura organizzativa. Pertanto un efficace equilibrio tra decentramento e centralizzazione
deve basarsi sul decentramento dei processi di apprendimento e sulla centralizzazione di
coordinamento e integrazione di conoscenze differenti e di generazione di conoscenza comune.
Nel modello elaborato da Marengo (1992 – 1996) le simulazioni confermano che una struttura
completamente centralizzata o decentrata raggiungono il coordinamento più rapidamente e hanno
una performance più elevata in un ambiente statico. Al contrario, differenti modelli di organizzazione,
come la centralizzazione della rappresentazione dell’ambiente ed il decentramento del
coordinamento interno (o viceversa), reagiscono più lentamente ma sono più adatti nell’affrontare
cambiamenti drastici ed improvvisi dell’ambiente. Nel caso in cui l’ambiente continui a cambiare
secondo un pattern regolare, un’organizzazione con un coordinamento centralizzato unito ad una
rappresentazione decentrata dell’ambiente ha il rendimento più elevato. Al contrario, in presenza di
cambiamenti dell’ambiente continui ma imprevedibili, una rappresentazione centralizzata
dell’ambiente unita ad un coordinamento decentrato ottiene il più alto rendimento. In sintesi, il
decentramento permetterà la varietà e la sperimentazione di nuove conoscenze, ma queste devono
essere integrare dall’organizzazione; al contrario, la centralizzazione dell’apprendimento, bilanciata
dal decentramento del coordinamento, è molto efficace qualora siano richieste robuste routine.

6.6 I confini delle imprese: coerenza, integrazione verticale, diversificazione e network


24
I confini delle imprese rappresentano una delle variabili strategiche ed organizzative fondamentali
per l'impresa innovativa.

6.6.1 La coerenza di impresa


Un’impresa moderna ha tre caratteristiche chiave: essere multiprodotto; hanno una distruzione delle
attività non casuale ed infine una distribuzione stabile nel tempo. Un'impresa è coerente se le sue
attività produttive hanno una distribuzione non casuale. Le attività di un’impresa possono essere
legate tra loro a causa di interdipendenze tecnologiche, complementarietà ed economie di scopo. In
generale le imprese nascono specializzate e poi si trasformano in multi-prodotto in modo coerente,
seguendo lo sviluppo delle conoscenze e competenze. La coerenza è diversa dalla specializzazione: la
specializzazione è legata ad una specifica linea di prodotti, la coerenza è legata a diverse linee di
prodotto che hanno caratteristiche comuni a livello di mercato, conoscenze o tecnologia.
I fattori alla base (driving factors) della coerenza sono:
1. costi di transazione per il passaggio
2. apprendimento: genera processi cumulativi di crescita delle conoscenze
3. opportunità tecnologiche: si riferiscono agli sviluppi scientifici e tecnologici
4. path-dependency : (dipendenza dalla tecnologia di partenza → percorso evolutivo) è legata
alla storia del gruppo, allo sviluppo delle competenze, alla complementarietà ed al contesto
esterno
5. selezione: riguarda i processi competitivi e la politica pubblica.

Sulla base di queste variabili è possibile classificare le principali forme di organizzazioni di impresa
presenti nelle industrie:
1. diversificazione (tecnologica vs. di prodotto)  nelle imprese multitecnologiche
frequentemente la diversificazione tecnologica anticipa quella produttiva; operano in contesti
caratterizzati da apprendimento rapido, ampia path-dependency e intensa selezione.
2. integrazione verticale: operano in contesti di apprendimento lento, ampia path-dependency e
risorse specializzate.
3. network e relazioni tra imprese: presenza di competenze e risorse specifiche una delle
principali ragioni della formazione dei network  risultato di esperienze precedenti e
competenze esistenti ed hanno un processo evolutivo e path-dependent; si verificano nel caso
di apprendimento rapido, ricche opportunità, traiettorie convergenti e intensa selezione.
4. gruppi
5. imprese vuote (destinate a non sopravvivere a lungo, perchè caratterizzate da debole
selezione, si procurano all'esterno tutte le capacità necessarie allo sviluppo e alla
commercializzazione di un prodotto)

6.6.2 Integrazione Verticale


Oltre agli incentivi e ai costi di transazione, come affermato dalla teoria neoclassica e dei costi di
transazione, vi sono altri 3 fattori che determinano l’integrazione verticale di un’impresa:

1. Le complementarità statiche:
Esse spingono alla integrazione verticale nel caso in cui l’apprendimento sia lento e vi siano asset
complementari dovuto alla conoscenza relativamente stabile, alla specificità degli asset e al
comportamento opportunistico. Anche in ambienti con bassa appropriabilità dell’innovazione è
25
possibile assistere a integrazione; per evitare di essere imitati, le imprese integrano a monte e a valle
nel tentativo di rafforzare l’appropriabilità.

2. Il coordinamento dinamico:
Tale ragione nasce dalla necessità di coordinare ed integrare competenze complementari nel
processo innovativo. Esso determina integrazione nel caso in cui, per la produzione di un bene, siano
necessarie competenze specializzate ed eterogenee. Il bisogno di coordinamento ed integrazione
risulta rilevante nel caso di innovazioni sistemiche in presenza di rapido progresso tecnologico,
quando il cambiamento di un’attività richiede un cambiamento corrispondente in un’altra. se le
competenze esterne sono nettamente superiori a quelle interne e se il cambiamento rapido e
l’intensa concorrenza non permettono alle imprese di sviluppare internamente le competenze
adeguate, l’impresa non si integra. Al contrario, un’impresa può sviluppare un’attività al suo interno,
se non esistono capacità esterne o se queste ultime esistono, ma sono più costose di quelle che
possono essere sviluppate internamente. Infine, un’impresa può internalizzare un’attività
potenzialmente disponibile sul mercato, a causa di elevati costi di transazione, della divergenza di
aspettative e della specificità delle risorse richieste per questa attività. Se queste sono disponibili sul
mercato, è possibile che si manifesti una disintegrazione. Ma l’esternalizzazione porta con sé
svantaggi legati al coordinamento tra diverse imprese, che deve essere tanto più tempestivo quanto
più è rapido il cambiamento dell’ambiente. Per questo motivo spesso si sceglie d’internalizzare
integrando verticalmente. L’integrazione verticale ha come principale svantaggio quello di ridurre le
fonti di informazione. Le imprese si integrano per raggiungere un migliore coordinamento dinamico
delle attività. L’integrazione riduce infatti il numero di approcci e la varietà di esperienze che si
possono ottenere ricorrendo al mercato (esternalizzando).

3. Il ciclo di vita dell’industria:


quando un'industria nasce attorno a sistemi completamente nuovi, che richiedono un nuovo tipo di
componenti sviluppabili con competenze diverse da quelle dei componenti esistenti, i produttori di
sistemi possono integrarsi verticalmente a monte dovuta alla mancanza di un mercato sviluppato per
i nuovi componenti. Con il passare del tempo il fabbisogno di componenti su larga scala da parte di
un numero crescente di imprese e l’introduzione allo stesso tempo standard aperti consentono
l’entrata di nuovi componentisti e rendono l’innovazione a livello di componenti e sottosistemi
sempre più autonoma (in quanto un cambiamento in un componente non genera cambiamenti in un
altro componente o nel sistema). Si verifica allora una disintegrazione verticale. È il caso dell’industria
dei
computer negli anni novanta, quando modularità e standard aperti hanno consentito l’emergere di
imprese specializzate. In certi casi la disintegrazione è anche il risultato di un utilizzo crescente di
conoscenza generale ed astratta che consente di separare compiti ed attività precedentemente non
separabili in una nuova visione del lavoro innovativo. Ma essa può verificarsi anche in caso di
rallentamento del cambiamento tecnologico perché i confini e le relazioni tra attività si stabilizzano e
le competenze si diffondo sia nell’industria a valle che in quella monte.

6.6.3 Diversificazione
Oltre alla spiegazione neoclassica della diversificazione (diversificazione del portafoglio prodotto per
ridurre il rischio), la teoria evolutiva indica un’altra causa: la crescita della conoscenza in aree vicine a
quelle attualmente presidiate (effetto prossimità conoscitiva). La crescita delle conoscenze e delle
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tecnologie, specialmente se generiche, porta le imprese a diversificare in settori affini. La
diversificazione può verificarsi quando le imprese generano tecnologie generiche e pervasive che
interessano anche altri settori. La diversificazione, oltre che di prodotto, può essere di tecnologia. È
più ampia della diversificazione di prodotto, in particolare nelle industrie ad alta tecnologia o basate
sulla tecnologia. In questi settori le imprese per sviluppare e produrre nuovi prodotti e servizi devono
avere una base di conoscenza molto ampia e coprire un rilevante spettro di tecnologie. Pertanto in
questi settori le imprese sono multitecnologiche; anche se esse sono specializzate a livello produttivo,
la produzione deve integrare conoscenze e tecnologie diverse. Spesso la diversificazione tecnologica
anticipa quella di prodotto. Il profilo della diversificazione tecnologica è diverso tra le grandi imprese
come conseguenza della loro storia, della specializzazione, degli incentivi del mercato e dei sistemi
istituzionali nei quali operano; però, il profilo risulta simile tra grandi imprese che producono prodotti
simili, soprattutto tra quelle ad alta tecnologia o operanti in settori basati sulla tecnologia.

6.6.4 Network e relazioni tra imprese


Intanto un network consiste in un compromesso organizzativo tra la centralizzazione del processo di
apprendimento nell’impresa e il decentramento dell’apprendimento tra attori diversi per
promuovere la diversità. Le imprese ricorrono ai network quando non sono in grado di internalizzare
le conoscenze e le capacità. Ovviamente possono differire a seconda del coordinamento, integrazione
e proprietà volta ad una forte specializzazione strutturale. I network si determinano nel momento in
cui la conoscenza è eterogenea e con un alto livello di appropriabilità. Questo costringe nelle imprese
a cooperare per la produzione. Al contrario della teoria dei costi di transizione, elevati costi di
specializzazione e comportamento opportunistico portano a internalizzazione; secondo la teoria
evolutiva la presenza di competenze e risorse specifiche portano alla costituzione di network. I
network hanno una forte specializzazione settoriale. A livello geografico le dinamiche dei network
sono grandemente influenzate dalla presenza di esternalità di rete.
I network evitano i costi e le inefficienze dell’integrazione completa, permettono un migliore
coordinamento dei processi di apprendimento e consentono l’accesso a capacità di altri soggetti
(imprese dello stesso settore, fornitori, utilizzatori, istituti di ricerca, intermediari finanziari ecc…). I
network possono essere del tipo:
 Distretto industriale marshalliano dove vi è una elevata specializzazione orizzontale e verticale
e si ricorre spesso allo scambio di mercato (è basso invece il coordinamento e l’integrazione di
proprietà);
 Terza Italia dove elevata specializzazione è accompagnata da elevata cooperazione per
infrastrutture, marketing e servizi alle imprese ma debole integrazione della proprietà;
 Network innovativi dove oltre ai network dei produttori-innovatori vi è quello dei finanziatori
Venture Capitalist (capitale di rischio) con un livello intermedio di coordinamento e
integrazione della proprietà;
 Network che sorgono grazie all’indotto delle grandi imprese core (vedi il settore auto) con un
forte coordinamento tra queste imprese e quelle componentistiche tramite relazioni di lungo
periodo.
I distretti marshalliani e quelli della Terza Italia si adattano bene a contesti dove il cambiamento è
modulare all’interno di un ambiente noto. I network innovativi si adattano a contesti di cambiamento
strutturale (ovvero arrivo di nuove conoscenze). I network che sorgono intorno alle grandi imprese
ben rispondono ai cambiamenti radicale dove è necessaria una riorganizzazione centralizzata dei
processi produttivi (competenze).
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Swann e Prevezer (1996) hanno identificato tre meccanismi principali (agglomerazione, convergenza
e congestione) nella crescita, nel declino e nella rinascita dei cluster industriali:
- I vantaggi da agglomerazione ed i feed-back positivi hanno un ruolo principale nella fase di
crescita dei cluster, mentre gli effetti di saturazione e congestione sono collegati alle fasi di
picco e stabilità dei cluster maturi.
- Quando un’industria declina, in diversi casi declina anche il cluster industriale ad essa
associato, mentre nuovi cluster legati ad una nuova industria possono emergere in nuove
localizzazioni.
- Se si verifica una convergenza tecnologica tra la vecchia e la nuova industria, i cluster maturi
ed in declino possono diventare attraenti come localizzazione per le nuove imprese della
nuova industria (ad esempio le imprese del software nei cluster di hardware).
I network si manifestano nelle industrie in periodi diversi. 3 teorie sono state formulate;
1. la prima sostiene che i network sono una nuova forma organizzativa permanente perché la
conoscenza è più generica e codificabile;
2. La seconda sostiene che i network siano fenomeni temporanei, che si verificano in fasi
specifiche dell’evoluzione industriale, e che siano legate alle competenze ed
all’apprendimento delle imprese;
3. Una terza sostiene che i network emergono quando la conoscenza è articolata e complessa e
proviene da diverse fonti quindi i diversi attori si specializzano su specifiche parti della
conoscenza complessiva necessaria al processo innovativo.
Vi sono diverse conseguenze dell’approccio collaborativo attraverso i network:
1. Accresce la collaborazione
2. Influenza l’apprendimento e le traiettorie tecnologiche delle imprese
3. Le relazioni tra i membri generano nuove opportunità di ricerca e innovazione e cambiamenti
nell’azione delle imprese e nella rappresentazione dell’ambiente esterno.

Le persistenti differenze nel comportamento, nell’organizzazione e nelle competenze delle imprese


che operano in tecnologie, industrie e paesi diversi sono dovute a pattern di apprendimento diversi.
Si possono avanzare due affermazioni: vi è una restrizione “tecnologica” e “settoriale” nei pattern di
apprendimento ed evoluzione delle imprese, in quanto essi sono inseriti nelle specificità e
caratteristiche di una tecnologia o di un settore che sono condivise in tutte le imprese presenti e
tendono a persistere anche in paesi diversi (effetto tecnologia-settore). In secondo luogo tutte le
imprese di un paese o di una specifica area condividono comportamenti e lineamenti organizzativi
comuni ì, dovuti al fatto che le imprese sono immerse in un contesto istituzionale comune ( effetto
istituzioni).

CAPITOLO 8 – Regimi tecnologici e pattern settoriali di innovazione


Approccio evolutivo evidenzia alcuni elementi:
- l’entrata e l’uscita delle imprese da un settore sono strettamente collegate al modo con cui si
organizzano le attività innovative.
- l’organizzazione dell’attività innovativa, gli incentivi ad innovare e lo stesso tasso di innovazione
possono però variare da industria a industria.
- esistono settori dove la propensione ad innovare si concentra in poche imprese solitamente leader,
altre dove invece è equi-distribuita.
- esistono settori dove la gerarchia degli innovatori (si fa riferimento al posto che si occupa in una
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classifica/graduatoria) si mantiene stabile nel tempo, altri invece dove è altamente instabile. Questo
dipende dal tipo di tecnologia e innovazione che si utilizzano.
- esistono modi diversi in cui le attività innovative sono organizzate nei settori, che dipendono da
diversi regimi tecnologici (si riferisce al fatto che la tecnologia prevalente in una industria crea una
sorta di schema/regime che condiziona il modo di innovare dell’impresa e del settore.

La teoria evolutiva dei modelli settoriali dell’innovazione si differenzia dalla visione tradizionale
struttura-condotta-performances: il settore in questo caso non è costituito da imprese simili e non ha
confini statici, è invece composto da un insieme eterogeneo di imprese che operano in un ambiente
dinamico dove i loro confini ed i confini del settore stesso possono cambiare. Essa mantiene il focus
su come le conoscenze si creano, si accumulano e si distruggono e su come influenzano i vantaggi
competitivi e la vitalità nel lungo periodo. Questo focus avviene su due livelli:
- A livello di impresa: il modo diverso di accumulare conoscenze può dar luogo ad imprese che
pur appartenendo allo stesso settore possono essere molto diverse in termini di tecnologie
adottate e vantaggi competitivi.
- A livello di settore: si studiano le caratteristiche della conoscenza e dell’apprendimento
comuni allo stesso settore e diverse da settore a settore.

8.2.1 Schumpeter Mark 1 e Schumpeter Mark 2


I regimi tecnologici vanno considerati come un’approssimazione della generale idea di regimi di
apprendimento che sono alla base dei diversi modi con cui le attività innovative sono organizzate.
Schumpeter propose 2 pattern dell'attività innovativa: SM I & SM II
Il primo chiamato da Nelson e Winter, Kamien e Schwartz Schumpeter Mark I (distruzione creativa)
descritto nella <<teoria dello sviluppo economico>> del 1912, in cui esamina la tipica struttura
industriale della fine del 19° secolo caratterizzata da molte piccole imprese. All'interno di questo
contesto i pattern dell'attività innovativa è caratterizzato da facilità di entrata in una industria (dovuto
alla presenza di basse barriere ed alte opportunità tecnologiche fuori dall’impresa) e quindi dalla
consistente presenza di nuove imprese. I nuovi imprenditori entrano in un settore con idee
innovative, nuovi prodotti/processi, avviano nuove imprese che sfidano quelle già insediate e di
conseguenza cambiano in continuazione i modi correnti della produzione, organizzazione,
distribuzione, distruggendo le rendite associate alle precedenti innovazioni. Le nuove entranti
possono spiazzare le insediate e renderne obsolete le competenze.
Schumpeter Mark II (accumulazione creativa) rappresentato in “capitalismo, socialismo e
democrazia” del 1942, ispirato all'industria americana della prima metà del 20° secolo, caratterizzata
dalla centralità dell'attività di R&S di laboratorio per l'innovazione tecnologica e dal ruolo chiave delle
grandi imprese. Secondo questo approccio il pattern dell'attività innovativa è caratterizzato dalla
prevalenza di grandi imprese insediate, con grandi stock di conoscenze accumulate e grandi risorse
finanziarie che comportano la presenza di elevate barriere all'entrata. Grazie allo stock di conoscenze
accumulate in specifiche aree tecnologiche, alle avanzate competenze in progetti di R&S di larga scala
e alle rilevanti risorse finanziarie, le grandi imprese ostacolano l'ingresso di nuovi imprenditori e delle
piccole imprese. Alcune correnti di pensiero recenti hanno collegato i modelli Schumpeter Mark I e II
allo specifico stadio del ciclo di vita di un’industria. Seguendo questa teoria, all’inizio della storia di
un’industria, quando la tecnologia è in continuo cambiamento, l’incertezza è molto elevata e le
barriere all’entrata sono basse, le nuove imprese sono i principali innovatori e rappresentano
l’elemento chiave della dinamica industriale. Tuttavia, quando l’industria si sviluppa ed i cambiamenti
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tecnologici seguono traiettorie ben definite, le economie di scala, le curve di apprendimento, le
barriere all’entrata e le risorse finanziarie divengono importanti nel processo produttivo e
competitivo, e le grandi imprese con potere monopolistico dominano le attività innovative.

Su questi studi originari poggiano gli studi empirici effettuati da Malerba e Orsenigo negli anni ’90, al
fine di vedere se in diversi paesi e diversi settori possono essere rilevati i due modelli settoriali
dell’innovazione. Essi descrivono l’attività innovativa così come viene descritta dalla richiesta di
brevetti e studiano con questi brevetti si distribuiscono diversamente in 6 paesi industrializzati (Italia,
Germania, GB, USA, Francia e Giappone) e in 49 classi tecnologiche.
Raccogliendo i dati, hanno costruito 4 indicatori che servono a confrontare con quanto affermare da
Schumpeter:
1. Concentrazione delle attività innovative : rapporto di concentrazione dei brevetti dei primi 4
innovatori sul totale brevetti di una data tecnologia;
2. Dimensione imprese innovative: quota delle domande totali di brevetto presentate da
imprese con più di 500 addetti;
3. Stabilità della gerarchia degli innovatori : misurata da un indice di correlazione tra le imprese
che erano prime nel 1978-85 e quelle che lo erano nel 1986-91;
4. Entrata tecnologica: quota di domanda di brevetto richieste per la prima volta dai nuovi
innovatori in una data classe tecnologica nel periodo 1986-91, sul numero totale di brevetti
nello stesso periodo.

L'introduzione di una innovazione è il risultato delle capacità di una impresa di superare l'incertezza e
le resistenze al cambiamento e di arrivare sul mercato prima dei concorrenti.
1. In SM I (distruzione creatrice) questo è il risultato del singolo imprenditore;
2. in SM II (accumulazione creatrice) è la grande impresa a integrare al suo interno queste
capacità.

Sulla base degli indicatori si evidenziano le caratteristiche di SM I:


 Bassa concentrazione nell'attività innovativa
 Instabilità nell'ordinamento degli innovatori (instabilità nella gerarchia)
 Alta entrata tecnologica di nuovi innovatori
 Piccola dimensione
 Le classi tecnologiche di questo tipo si possono ritrovare nei settori tradizionali, nelle
tecnologie meccaniche e nella strumentazione
 Italia
 I pattern di innovazione del tipo SM I sono connotati da alta opportunità, bassa appropriabilità
e bassa cumulatività (a livello di impresa). I limitati livelli di cumulatività, per quel che riguarda
le imprese, rendono i vantaggi innovativi velocemente obsoleti, lasciando così spazio per
l'imitazione e per l'entrata di nuove imprese.

Caratteristiche di SM II:
 Alta concentrazione nell'attività innovativa
 Alta stabilità nella gerarchia degli innovatori
 Bassa entrata di nuovi innovatori

30
 Grande dimensione
 La maggior parte sono delle tecnologie chimiche ed elettroniche
 Germania, Giappone, USA
 I pattern di questo tipo sono caratterizzati da condizioni di alta appropriabilità e cumulatività
(a livello di impresa).

Risultato: si sono riscontrate importanti similitudini tra paesi e differenze tra settori, quindi esistono
diversi modi di organizzare le attività innovative che variano tra gruppi di settore. Inoltre il modello
SMI è stato rinvenuto nelle classi tecnologiche dei settori tradizionali (abbigliamento, calzature,
mobili, meccanica…) mentre il SMII è stati rinvenuto nei settori con economie di scala ed hi-tech
(chimica organica, bio-chimica, computers, aerospaziale, telecomunicazioni, tecnologia nucleare…).

8.3 Regimi tecnologici e pattern delle attività innovative


Gli studi precedenti denotano l’esistenza di diversità tra settori e somiglianze tra paesi nei pattern
dell’innovazione per una specifica tecnologia. Malerba e Orsenigo propongono di collegare i pattern
settoriali delle attività innovative alla natura del regime tecnologico rilevante. Il modo di organizzare
le attività innovative può essere diverso da un settore all’altro perché diverso è il regime tecnologico.
Per regime tecnologico si intende il diverso ambiente tecnologico che caratterizza i settori in cui
operano le imprese. Esso è una combinazione particolare di alcune fondamentali proprietà delle
tecnologie:
 Condizioni di opportunità
 Appropriabilità
 Cumulatività dell'avanzamento tecnologico
 Caratteristiche delle conoscenze di base

Le condizioni di opportunità riflettono la facilità di innovare per ogni dato ammontare di risorse
investito nella ricerca. Possono essere identificate 4 dimensioni di base dell'opportunità:
1. livello → le opportunità tecnologiche possono essere alte o basse; alte opportunità forniscono
forti incentivi a intraprendere attività innovativa che facilita a reperire le innovazioni più
rapidamente; esistono incentivi per i nuovi entranti ma questo genera turbolenza nel settore;
2. varietà → esprime la numerosità delle soluzioni tecnologiche ottenibili dagli investimenti in
ricerca. I primi stadi del ciclo di vita di un settore sono caratterizzati da alto livello e ampia
varietà delle opportunità, che si riduce drasticamente quando emerge un design dominante.
3. pervasività → misura a quanti prodotti e mercati le nuove conoscenze possono essere
applicate, se fosse bassa allora le nuove conoscenze si applicano solo a pochi (talvolta uno)
prodotti o mercati;
4. fonti → la possibilità di innovare dipende fortemente dalla tipologia delle fonti della
conoscenza e dalla loro disponibilità. Esse possono differire da settore a settore; in alcuni
settori le opportunità tecnologiche dipendono dagli avanzamenti della ricerca scientifica
svolta nelle università oppure dai rapporti con i fornitori/utilizzatori. In altri settori dipendono
dall’attività di R&S interna o dall’apprendimento ed accumulazione di conoscenza tacita
dentro l’impresa (fonti interne).

Le condizioni di appropriabilità si riferiscono alla possibilità di proteggere le innovazioni


dall'imitazione ed alla capacità di estrarre profitti dalle attività innovative. È possibile identificare
31
livello e mezzi di appropriabilità:
1. livello → alto o basso (i settori possono essere ordinati secondo basse o alte condizioni di
appropriabilità) Alta appropriabilità significa la possibilità di proteggere con successo le
innovazioni da imitazioni. Bassa appropriabilità denota un ambiente economico caratterizzato da
ampie esternalità di conoscenza (spillover)
2. mezzi → sono i diversi mezzi utilizzati dalle imprese per proteggere le proprie innovazioni come:
brevetti, segretezza, continue innovazioni ecc, la cui efficacia differisce da settore a settore. I
strumenti di Appropriabilità. I principali sono:
 brevetto: contratto tra stato e privato. Il primo concede lo sfruttamento esclusivo della
tecnologia per un certo periodo di tempo, creando così un monopolio legale temporaneo a
favore dell'innovatore e rendendo possibile l'appropriazione dei risultati dello sforzo
innovativo. Il secondo in cambio si impegna a rendere pubblico il contenuto dell'innovazione
in modo da permettere la diffusione di nuove idee. Nelle varie legislazioni nazionali è richiesto
che, per essere brevettabile, l’invenzione deve essere originale (esiste un minimo di carattere
creativo che la distingue dalle opere dello stesso genere già esistenti) e utile (se possibile una
sua applicazione industriale). Lo stato tutela gli inventori dai contravventori del brevetto,
attraverso azioni cautelari e ingiunzioni di risarcimento.
I concorrenti sul mercato finale possono tentare di aggirare un brevetto i due modi:
l’imitazione vera e propria o l’introduzione di novità che rappresentino miglioramenti
incrementali dell’innovazione stessa.
 Segretezza: su formule, modelli, progetti...che offrono l'opportunità di ottenere un vantaggio
rispetto correnti. NB rispetto al brevetto di impresa non rende pubblica l'informazione. La
tutela da parte dello Stato viene concesso solo quando qualcuno ottiene info in modo
improprio (spionaggio industriale) e non se i concorrenti arrivano indipendentemente alle
stesse conoscenze (reverse enginering). La segretezza è uno strumento complementare al
brevetto, usato quando quest’ultimo risulta inadatto o insufficiente alla protezione
dell’operato dell’impresa (es le innovazioni non hanno la caratteristica della novità o
roginalità).
 vantaggio temporale: capacità delle imprese di arrivare sul mercato prima dei concorrenti
(vantaggio di prima mossa); questo fa si che l’impresa riesca a consolidare la propria
posizione.
 vantaggi in termini di competenza: permette alle imprese di mantenere la propria posizione
concorrenziale; l’impresa ha un vantaggio in termini di competenze, tanto più vi sarà
un’elevata appropriabilità in quanto l’imitazione da parte dei concorrenti risulta difficile e
costosa.
 innovazione continua: permette alle imprese di mantenere la propria rendita monopolistica;
l’impresa innovatrice rimane sempre prima sul mercato anche nel caso in cui su questo siano
presenti imitatori.
 servizi post-vendita e asset complementari: L’impresa riesce ad appropriarsi dei profitti da
innovazione grazie al fatto che essa riesce a fornire all’utilizzatore o al consumatore risorse
complementari e servizi che un’impresa imitatrice difficilmente è in grado di offrire. I metodi
utilizzati per venire a conoscenza delle innovazioni/invenzioni sono:
1. licenza tecnologica: l’impresa innovatrice concede in licenza ad un’altra impresa la propria
invenzione in cambio di un compenso. L’impresa licenziataria si appropria quindi dei
risultati della ricerca di un’altra impresa, con il consenso di questa;
32
2. rilevazione da brevetto: l’impresa innovatrice, per ottenere la protezione dal brevetto deve
rivelare la propria invenzione. Conseguentemente, l’impresa concorrente può, ad
esempio, cercare di sviluppare un’innovazione leggermente differente da quella
brevettata (inventing-around), in modo da distinguerla da queste e non subire le denunce
legali da chi ha brevettato per primo;
3. Pubblicazioni o incontri “tecnici”: le imprese concorrenti possono tentare di stare al passo
con le imprese innovatrici cercando di capire che tipo di ricerche queste stanno svolgendo,
tramite interventi a meeting su argomenti di interesse e/o aggiornamento su pubblicazioni
delle imprese innovatrici;
4. Conversazioni informali con addetti dell’impresa innovatrice;
5. Assunzione di addetti provenienti da imprese innovatrici;
6. Reverse engineering: l‘impresa concorrente può cercare di carpire informazioni
sull’impresa innovatrice esaminando nel dettaglio i prodotti da questa lanciati sul mercato.
7. R&S indipendente: le imprese possono cercare di mantenersi al passo con le altre imprese
innovatrici svolgendo ricerca indipendente al fine di comprendere meglio gli sviluppi
tecnologici delle imprese concorrenti.

Le condizioni di cumulatività si riferiscono al fatto che le innovazioni presenti in un determinato


istante di tempo sono il punto di partenza per le innovazioni successive, e le imprese innovano
seguendo delle particolari traiettorie. Si possono identificare 4 livelli:
1. tecnologico → la cumulatività si riferisce alla dimensione cognitiva dell’apprendimento
2. di impresa → emerge quando la cumulatività a livello d’impresa nasce nel momento in cui la
continuità innovativa dipende fortemente dalle competenze della specifica impresa, oppure
quando questa è legata alla struttura organizzativa o alle dimensioni d'impresa.
3. Settoriale → la cumulatività a livello di industria è presente se esistono basse condizioni di
appropriabilità e la conoscenza di base per l'innovazione è diffusa ampiamente all'interno di
un determinato settore d'impresa
4. locale → la cumulatività può svilupparsi anche a livello locale, poiché può essere legata alle
competenze tecnologiche ed alle capacità innovative delle imprese collocate in una specifica
area geografica (DISTRETTI). In questo caso un’alta cumulatività è associata a basse condizioni
di appropriabilità e ad esternalità di conoscenze spazialmente localizzate.

Conoscenza di base si intende l'insieme di informazioni, competenze, abilità che costituiscono il punto
di partenza dell'attività innovativa all'interno di un settore.
Si possono individuare 2 caratteristiche:
1. natura della conoscenza → la conoscenza tecnologica di base può presentarsi a vari livelli:
 generica vs specifica: La conoscenza base può essere di natura generica o specifica rispetto a
determinati domini di applicazione;
 tacita vs. codificata: riferita alla conoscenza sottostante alle attività innovative
 complessa: conoscenze che permettono di acquisire competenze necessarie per l’attività
innovativa;
 indipendente: conoscenza facile da indentificare per l’attività innovativa o può essere parte di
un sistema più ampio.
2. mezzi di trasmissione e comunicazione della conoscenza → le caratteristiche della tecnologia
influenzano fortemente i modi in cui le imprese possono accedere alla conoscenza rilevante. Più la
33
conoscenza è soggetta al cambiamento, tanto più importanti sono i canali informali che sono
sensibili alla distanza tra soggetti (face to face, apprendimento, mobilità). Quando invece la
conoscenza è standardizzata semplice ed indipendente assumono rilevanza i mezzi di trasmissione
formale della conoscenza (pubblicazioni, licenze, brevetti...).

8.5 Flussi tecnologici e Tassonomia di Pavitt


Non necessariamente un’innovazione viene sfruttata dall’impresa che l’ha realizzata. Analizzare i
flussi tecnologici significa individuare la direzione nella quale una tecnologia o un’innovazione si
muove, capire da dove nasce in termini di imprese e settore e qual è il settore di destinazione ed
utilizzo grazie all’analisi delle spese in R&S e dei brevetti. I pattern d’innovazione del tipo SM I sono
connotati da alta opportunità, bassa appropriabilità e bassa cumulatività (a livello di impresa). I
limitati livelli di cumulatività, per quel che riguarda le imprese, rendono i vantaggi innovativi
velocemente obsoleti, lasciando così spazio per l'imitazione e per l'entrata di nuove imprese. I Pattern
di tipo SM II sono caratterizzati da condizioni di alta appropriabilità e cumulatività a livello d’impresa.
Pavitt ha individuato 4 macrocategorie (sulla base dei brevetti rilasciati e non sulla domanda di
brevetti) che raggruppano le innovazioni e i prodotti ad esse collegati; questa tassonomia incrocia 4
tipologie di imprese con alcune caratteristiche delle innovazioni (o denominate traiettorie
tecnologiche), ad esempio le fonti dell’innovazione (esterna/interna), il settore di produzione e di
utilizzo dell’innovazione, la dimensione delle imprese, i meccanismi di appropriazione, l’obiettivo e la
tipologia di innovazione. Le differenze tra le tipologie di imprese si rilevano soprattutto nei flussi
tecnologici:
- nei settori a minore intensità di conoscenza (settori tradizionali, dominati da imprese di
piccola dimensione e da fonti esterne, dove l’innovazione è embodied nel capitale che esse
acquisiscono da imprese specializzate e science-based) l’innovazione ha un carattere
difensivo;
- nei settori tecnologicamente più avanzati le imprese sono spinte all’innovazione da stimoli
competitivi, investono in risorse interne nell’innovazione di prodotto, oltre che di processo e
assolvono un ruolo proattivo rispetto alle altre.
In altri termini la tassonomia di Pavitt (1984) è un primo tentativo di studio delle caratteristiche
dell'attività innovativa e del cambiamento tecnologico in 4 tipologie di industrie:

1. quelle basate sulla scienza


 le innovazioni di questa macrocategoria fanno parte dell'industria elettronica e farmaceutica
 dimensioni eterogenee: imprese sia grandi e diversificate che piccole e medie
 principale fonte di innovazione attività di R&S condotta all'interno delle imprese stesse grazie
anche alle conoscenze delle università
 elevate opportunità tecnologiche
 elevata appropriabilità grazie a brevetti, segretezza, tempi di vantaggio e innovazione
continua
 alte barriere all'entrata grazie alle economie di apprendimento
 elevato livello di innovazione di prodotto e di processo

2. quelle ad elevata intensità di scala


 le innovazioni di questa macrocategoria si ritrovano nei materiali siderurgia-auto e nei beni di
consumo durevoli
34
 dimensione medio-grande delle imprese
 obiettivo dell'innovazione è la riduzione dei costi e la modificazione di processi (sfruttando le
economie di scala) e di prodotti, le imprese tendono all'integrazione verticale
 la fonte dell'innovazione è sia esterna (interazione con i fornitori) che interna (apprendimento
per esperienza e R&S)
 prevalenza di innovazione di processo
 le innovazioni sviluppate rimangono all'interno del settore
 appropriabilità media (brevetti e segretezza)
 alte barriere all'entrata

3. quelle dominate dai fornitori


 le innovazioni di questa macrocategoria si ritrovano principalmente nei settori tessile, stampa,
calzature, alimentari, agricoltura, servizi e edilizia.
 Dimensione medio-piccola delle imprese
 obiettivo dell'innovazione è la riduzione dei costi
 le imprese contribuiscono poco allo sviluppo di tecnologia di prodotto e processo, la maggior
parte delle innovazioni proviene dai fornitori di materiali e componentistica
 learning by doing & by using sono le principali modalità di apprendimento
 bassa appropriabilità
 basse barriere all'entrata
 brevetto poco diffuso perché non vi sono numerose innovazioni

4. fornitori specializzati
 le innovazioni di questa macrocategoria riguardano la meccanica strumentale e i macchinari
 imprese di piccole dimensioni e specializzate
 obiettivo dell'innovazione è il miglioramento della performance, affidabilità e customizzazione
dei prodotti
 le fonti dell'innovazione sono sia interne (apprendimento per esperienza ed attività informale)
sia esterne (interazione tra produttore ed utilizzatore)
 grado di appropriabilità elevata (conoscenze tacite)
 barriere all'entrata di medio livello

La tassonomia (schema di classificazione) di Pavitt consente di individuare i flussi tecnologici che si


manifestano da una categoria all'altra.
I flussi tecnologici individuano in termini di imprese e di settore da dove nasce una tecnologia e qual
è la sua destinazione di utilizzo, tracciandone la direzione.
Il macrosettore “dominato dai fornitori” è un assorbitore netto di tecnologia in quanto la ottiene
dagli altri 3 macrosettori.
Il macrosettore “basato sulla scienza” e quello dei “fornitori specializzati” sono generatori netti in
quanto forniscono tecnologia ai macrosettori.
Il macrosettore “ad alta intensità” fornisce a “dominato dai fornitori” e riceve da “basato sulla
scienza” e “fornitori specializzati”.

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CAPITOLO 9 – Dinamica industriale e relazioni tra imprese
La crescita delle economie moderne è stata caratterizzata dalla nascita, lo sviluppo e il declino delle
diverse industrie. È possibile distinguere 3 livelli di analisi della dinamica evolutiva delle industrie:
1. le dimensioni specifiche della dinamica industriale (separatamente analizzate, entrata e
uscita, crescita ecc)
2. la dinamica strutturale (dinamica congiunta di alcune variabili come l’ingresso e l’uscita, la
dimensione delle imprese e l’introduzione di innovazioni di prodotto e processo)
3. l'evoluzione strutturale (visione più ampia della struttura dell’industria e la sua evoluzione nel
tempo)

9.2 Le dimensioni specifiche della dinamica industriale


Il I° livello si riferisce a caratteristiche specifiche della dinamica industriale, quali:
 Una persistenza nel tempo delle differenze tra imprese nel loro grado di eterogeneità a livello
di competenze, organizzazione e strategie. Differenze che si traducono nei costi e nella
produttività, profittabilità, e nell’attività innovativa.
 Alto livello di turbolenza, legate alle dinamiche di entrata ed uscita delle imprese,
cambiamenti della dimensione aziendale, cambiamenti quote di mercato.
 Presenza di asimmetrie nelle imprese che persiste nel tempo.

9.3 La dinamica strutturale (L’unico riferimento è il modello di ciclo di vita dell’industria)


Il II° livello di analisi è relativo alla dinamica congiunta di diverse variabili strutturali quali l'ingresso e
l'uscita, la dimensione delle imprese e il grado di concentrazione dell'industria, l'introduzione di
innovazioni di prodotto e di processo che si identifica in tre stadi di evoluzione di un settore:
1. Nascita di un’industria segnata da un’innovazione radicale che genera un flusso di innovazioni
di prodotto, stimolata dalla domanda dei consumatori e/o da processi tecnologici. La
competizione è intensa e la turbolenza alta; basse barriere all’entrata, basse spese in R&S,
bassa intensità di capitale. Impianti di scala di dimensioni ridotte e non specializzati
2. Dalla competizione tra una pluralità di prodotti emerge un design dominante che vincola lo
sviluppo di nuovi prodotti e origina un flusso di innovazioni di processo, che rendono il
processo produttivo meno flessibile ma più efficiente. Impianti più grandi e specializzati;
prodotto standardizzato. La competizione avviene sul prezzo e sulla differenziazione del
prodotto. Alte barriere all’entrata che eliminano quei produttori che non si sono adeguati al
design dominante.
3. Maturità dell’industria, dato che ci sono poche innovazioni se non quelle incrementali e di
processo; elevata concentrazione e possibilità di collusione fra i produttori.
Il modello del ciclo di vita dell’industria di Klepper prevede che i primi entranti introducono prodotti
con caratteristiche distintive e, se hanno successo, crescono. Le imprese di successo hanno quindi
incentivo ad intraprendere processi di R&S che riducono i costi medi di produzione e i prezzi; ciò
conduce all’eliminazione dall’industria delle meno innovative.

9.4 L'evoluzione strutturale


Il III° livello di analisi fa riferimento a una visione più ampia della struttura di una industria e della sua
evoluzione nel tempo. Questo livello prende in considerazione l'emergere di nuove industrie, la
generazione e trasformazione di tecnologie e prodotti, lo sviluppo e il mutamento di capacità e
competenze, il cambiamento dei confini dell'impresa in termini di integrazione verticale e
36
diversificazione, sviluppo di reti e network. L’evidenza empirica disponibile suggerisce che
l’evoluzione strutturale sia legata alla trasformazione continua dei prodotti e dei processi esistenti e
all’emergere di nuove tecnologie. In secondo luogo, l’emergere di una nuova industria da altre già
esistenti o dalla comunità scientifica è un processo di notevole importanza. Le condizioni iniziali
possono variare a seconda delle caratteristiche specifiche delle nuove tecnologie, dei prodotti e dei
processi produttivi; della struttura e delle competenze delle imprese in industrie attive con prodotti
sostituti o tecnologicamente simili. In terzo luogo, la natura stessa, i confini e l’organizzazione delle
imprese possono mutare continuamente durante l’evoluzione di un’industria. Nuove imprese
compaiono sulla scena, altre abbandonano il mercato, altre diventano leader di mercato. Ciò
costringe le imprese insediate a rivedere le proprie strategie e le proprie forme organizzative.

9.5 Relazioni fra imprese e tra imprese e istituzioni all’interno della dinamica industriale
Nell’ambito della dinamica industriale, è necessario prestare particolare attenzione alle relazioni che
si vengono a realizzare nell’industria tra le varie imprese, relazioni che spesso non sono né
competitive né collusive. Possiamo avere relazioni del tipo: accordi di marketing o di produzione, di
R&S, interazioni con fornitori o utenti. Tali relazioni possono avere carattere sia formale che
informale, e hanno come oggetto ragioni di tipo produttivo e/o cognitivo. Spesso è molto difficile per i
singoli agenti possedere tutte le conoscenze, competenze, strumenti, e per tal motivo appare
vantaggioso rivolgersi ad altre imprese o attori economici che dispongono di ciò di cui si è privi. Il
fenomeno relazionale che si viene a manifestare tra le imprese spesso porta all’affermazione, in
termini dimensionali, non più della singola impresa, ma all’affermazione di un gruppo di agenti
collegati da una rete di accordi collaborativi, che prende il nome di “network” che consente di avere
accesso a tutte le info necessarie per integrare il patrimonio conoscitivo di ciascun agente.

9.7 Alcune lezioni della evoluzione strutturale dell’industria dei computer


Attraverso una analisi dell’evoluzione strutturale dell’industria dei computer nel lungo periodo delle
tre aree più sviluppate al mondo (USA, Giappone ed Europa) sono emersi diversi punti fondamentali.
Il cambiamento tecnologico, nel periodo dei mainframe, ha portato alla nascita di nuovi segmenti di
mercato (mini e microcomputer), ma non ha distrutto le competenze esistenti dei produttori di
mainframe. Al contrario, ha portato ad un allargamento del della domanda, creato nuovi segmenti di
mercato, acquirenti diversi, diverse relazioni tra utilizzatori e produttori, entrata di nuove imprese.

Il processo coevolutivo nei mainframe è stato caratterizzato da una stretta relazione tra utilizzatori e
produttori, da una finanza interna che sosteneva l’attività delle grandi aziende esistenti. La struttura
di mercato era concentrata e l’offerta era integrata verticalmente. La leader di mercato nel settore
dei mainframe è stata l’IBM. Nei minicomputer e nei microcomputer, il processo coevolutivo è stato
caratterizzato dallo sviluppo di specifiche applicazioni (mini) e dalla facilità di utilizzo e di economicità
dei PC (micro). La struttura di mercato è stata notevole all’inizio e molto crescente successivamente
sia nei mini che micro. Qui le politiche di governo non hanno grande importanza. Infine, nelle reti di
computer non è ancora emersa una struttura di mercato stabile, qui le imprese sono diverse per
dimensioni, organizzazione e specializzazione.

Nei mainframe ha avuto successo l’impresa “chandleriana” integrata, attiva nello sviluppo,
produzione, marketing e distribuzione di grandi sistemi. Il successo era dovuto ad un impegno
continuo della R-S e negli investimenti di gestione, produzione e marketing. Nei minicomputer le
37
imprese hanno speso meno in vendite, marketing e servizi, senza la necessità di sviluppare sistemi tra
loro compatibili per usi diversi. Nei microcomputer imprese specializzate in componenti o parti di
piattaforme, competono tra loro: nessuna di loro ha il controllo degli standard e dei clienti.

Il successo nel mainframe è sempre stato legato alle relazioni con una singola impresa. Nei
mainframe l’IBM, nei mini e micro computer crescita e sviluppo di nuove imprese in nuovi mercati,
con gli USA che sono rimasti leader commerciali sul lato della frontiera tecnologica. Ampie dimensioni
e rapidità di crescita con alti fattori di successo, dovuti ai nuovi tipi di computer invece il Ventur
Capital ha permesso poi l’entrata di nuove aziende nelle categorie dei PC

Nei mainframe le politiche pubbliche sono state di tipo “top-down” e mission oriented diverse per
USA, Giappone ed Europa. Queste politiche sono alla base del successo dell’IBM. In Europa queste
politiche non hanno avuto successo perché non hanno stimolato la competizione sul mercato
domestico. Nei microcomputer e nelle reti di computer le politiche pubbliche si sono concentrate
principalmente sulle infrastrutture, educazione e standard.

CAPITOLO 10 – La diffusione delle Innovazioni


10.1 Introduzione
La diffusione è il processo tramite il quale un singolo o una impresa adottano in una economia una
nuova tecnologia, o ne rimpiazzano una vecchia con una nuova, in altri termini si tratta del processo
di adozione di una innovazione da parte di altre imprese utilizzatrici o consumatori. I dati storici ci
impongono di spiegare tre fenomeni ricorrenti:
1. Le nuove tecnologie si diffondono in modo relativamente lento e graduale: non arrivano a
dominare il mercato istantaneamente dopo la loro comparsa, né giacciono a lungo inutilizzate
per poi essere adottate da tutti gli interessati.
2. I “sentieri di diffusione” hanno un andamento sigmoide: dopo il loro avvio, il processo
dapprima accelera gradualmente (è un processo lento e graduale perché l’innovazione deve
essere accettata dai consumatori), poi raggiunge una punta di velocità massima e infine
decelera progressivamente. In alcuni casi il massimo della velocità di diffusione può essere
raggiunto a metà del processo di diffusione (sentiero di diffusione simmetrico), mentre in altri
casi viene raggiunto prima della metà, subito dopo la comparsa dell’innovazione ed i suoi
primi successi (sentiero di diffusione asimmetrico).
3. Innovazioni diverse si diffondono a diverse velocità, così come innovazioni simili si diffondo a
diverse velocità se proposte in diversi settori o in diversi paesi.

La diffusione delle innovazioni discende da due fenomeni quasi sempre contemporanei:


 Nella selezione operata dal mercato a danno delle imprese ritardatarie e a favore di quelle
innovative;
 Nell’imitazione delle imprese innovative da parte di quelle ritardatarie (si parla spesso di
adozione) in modo da comprendere il caso in cui la nuova tecnologia è liberamente
disponibile sul mercato.
Negli approcci microeconomici di tipo più tradizionale invece viene usualmente data molta più enfasi
al fenomeno dell’imitazione, mentre l’opposto accade in ambito evolutivo.

38
10.2 I modelli di adozione
La scelta circa la decisione di adottare un’innovazione riguarda il momento in cui effettuarla e non se
effettuarla. Questa scelta tiene in considerazione alcuni aspetti:
- I benefici dell’innovazione permangono nel tempo;
- I costi variano in funzione del momento in cui si innova e includono costi affondati (dovuti al
fatto che la scelta è irreversibile; inoltre prima si adotta l’innovazione e maggiore è l’incertezza
sui benefici che se ne possono trarre e quindi anche i costi in termini di incertezza sono
maggiori);  stato di assorbimento: questi modelli partono dall’ipotesi che una volta che c’è
un’innovazione disponibile, gli altri soggetti/imprese/consumatori la adottano tutti (il
processo di diffusione continua finché tutti i potenziali adottatori non l’avranno assorbita 
ECCEZIONE: adozione in seguito ad una moda ad es alcuni hanno comprato gli smartphone
per esigenze di lavoro e altri per moda).
La curva ad S (sigmoide) rappresenta il fatto che la diffusione è lenta e graduale che è conseguenza
della visione dell’innovazione come stato di assorbimento  il fatto che cambia la pendenza dimostra
che la velocità è variabile. Queste curve presentano un andamento iniziale crescente in modo
accelerato fino a un punto massimo e poi decrescono progressivamente. In un sentiero di diffusione
simmetrico il punto di massima velocità di diffusione avviene a metà del percorso (curva logistica). In
un sentiero di diffusione asimmetrico il punto di massima velocità viene raggiunto prima della metà
(curva di Gompertz). Il processo di diffusione dell’innovazione è condizionato dai seguenti fattori:
1. L’oggetto (l’innovazione che si diffonde)
2. I soggetti coinvolti (i potenziali adottatori e i loro processi decisionali
3. Il flusso di informazione tra chi adotta l’innovazione e gli utilizzatori potenziali.

Esistono due modelli di diffusione tramite adozione:


 a soglia (studiano il comportamento individuale delle imprese, ricavandone le condizioni sotto
cui queste ultime decidono di adottare) e si basano sulla Dimensione dell’Impresa e sulla
integrazione strategica sulla quale si basa la quasi totalità dei modelli microeconomici più
recenti, specie se di derivazione neoclassica (in presenza di rendimenti decrescenti di
adozione  chi adotta successivamente ha un rendimento minore di chi adotta per primo);
 modelli aggregati o a massa critica (studiano il processo di diffusione nel suo complesso, sulla
base di alcune proprietà generali della popolazione degli adattatori e del tipo di innovazione
studiata).

10.2.1 I modelli di adozione a soglia basati sulla dimensione d’impresa “modelli di rango”
Si interessò ai modelli a soglia sulla dimensione d’impresa David che mira ad illustrare le determinanti
economiche del processo di diffusione, portando come caso empirico la diffusione della mietitrice
negli Stati Uniti prima della guerra di successione. La sua teoria si discosta dalle spiegazioni di natura
psicologica che rientrano nell’importanza dell’informazione; al contrario egli vuole esaminare le
determinanti economiche con assenza di qualsiasi informazione. Le ipotesi sono:
- assenza di problemi informativi;
- aspettative miopi (prospettive a breve termine);
- l’innovazione consente una riduzione del lavoro perché influisce sul coefficiente lavoro (con
l’introduzione della mietitrice si riduce il lavoro perché tutto diventa meccanico).

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Tutti gli adottatori conoscono la mietitrice prima dell’adozione e sono in grado di valutarne la
produttività non legata al terreno ma al risparmio nei costo-lavoro. Affiche ci sia un processo di
diffusione occorre che la soglia critica diminuisca per esempio con l’aumento dei salari. Cosi come
avvenne negli stati uniti portando anche le imprese più piccole a sostituire il lavoro con la mzietitrice.
La condizione necessaria e sufficiente per l’adozione della mietitrice è che il costo dell’innovazione sia
minore o uguale del risparmio che si ha sul costo di manodopera (la soglia è il punto di uguaglianza).
David ipotizza che il processo di diffusione sia trainato da una forza esogena, cioè da una variabile
influenzata dallo scorrere del tempo, ma non dall’azione degli adottatori. Anche il tasso di interesse e
la distribuzione dimensionale delle imprese sono variabili soggette a cambiamenti esogeni: il tasso di
interesse potrebbe diminuire per effetto di politiche macroeconomiche, mentre la dimensione delle
imprese potrebbe aumentare in modo generalizzato grazie all’aumento della domanda per il bene
prodotto con l’ausilio dell’innovazione. Ancor più interessanti sono i fattori endogeni come il prezzo
dell’innovazione o il coefficiente di input. In questi casi un ruolo fondamentale lo hanno le grandi
imprese, le uniche a superare la soglia dimensionale spingendola verso il basso; infatti esse
adotteranno l’innovazione incrementando le vendite facendo diminuire i costi medi di produzione
dell’innovazione così da poter abbassare il prezzo  tutto però dipende dalle aspettative degli
adottatori e dalle strategie dei fornitori. Da questo deriva il problema della diffusione. Poiché se si
percepisce il nesso tra trascorrere del tempo e declino del prezzo le imprese saranno incentivate ad
aspettare che qualcuno le adotti ma questo potrebbe causare uno stallo.
Questi modelli fanno risalire il processo di diffusione alle decisioni di adozione dei soggetti adottatori
e assumono che la popolazione dei potenziali adottatori sia eterogenea rispetto ad alcune variabili
strategiche (ad esempio la dimensione dell’impresa, i costi di adozione, il capital vintage, le
aspettative tecnologiche). Il processo di diffusione si manifesta come una sequenza di equilibri che
mutano al mutare delle condizioni delle variabili rilevanti dell’oggetto e dei soggetti dell’innovazione.
Per queste variabili, è possibile individuare una “soglia” rispetto alla quale la popolazione dei soggetti
si differenzia tra adottatori e non adottatori. Il flusso di informazioni è un processo costoso, il rischio
aumenta in funzione dei costi di acquisizione della conoscenza relativa alla nuova tecnologia. Questi
modelli seguono un approccio statistico (probit); viene identificata una soglia critica (x*), rispetto alla
quale varia il comportamento dei singoli soggetti in termini di adozione e si può distinguere tra early
adopter e late adopter. Rispetto alla variabile x, i soggetti che superano la soglia x* adotteranno per
primi l’innovazione, mentre quelli per i quali la variabile x è inferiore alla soglia x* non la adottano. Le
caratteristiche specifiche (x) sono trattate come variabili esogene, che dipendono dallo scorrere del
tempo e non dall’azione degli adottatori. Perché si determini un sentiero di diffusione occorre che,
col passare del tempo, si modifichi qualcuna delle variabili esogene rispetto alla soglia fissata.
La dimensione dell’impresa è una caratteristica specifica rilevante. Il modello a soglia critica mostra
40
che, in una situazione statica, solo le imprese con una dimensione superiore alla soglia dimensionale
critica (S*) adotteranno l’innovazione. Affinché si determini un sentiero di diffusione occorre che, col
passare del tempo, avvengano i seguenti cambiamenti:
1. Primo Caso: Diminuisca la soglia critica S*, ad esempio per la diminuzione del prezzo
dell’innovazione
2. Secondo Caso: Aumenti il numero delle imprese con dimensione superiore alla soglia critica S*

10.2.2 Il limite fondamentale dei modelli basati sulla dimensione d’impresa


Un limite che riguarda questi modelli, è quello ipotizzato da David, che presume l’indipendenza della
dimensione di impresa dall’ordine di adozione. Questa ipotesi richiede che i primi adattatori non
possono aumentare significativamente la propria produzione e dunque non siano in grado:
 né di far diminuire significativamente il prezzo del bene cui l’innovazione si applica
 né di sottrarre quote di mercato alle imprese ritardatarie.
Questo significa che la dimensione d’impresa può essere espressa indipendentemente dal prezzo del
bene finale e in funzione del solo output fisico; dopo ogni singola adozione, la distribuzione
dimensionale di tutte le imprese resta inalterata. Quindi, la dimensione d’impresa ex ante e ex post
coincidono e suggeriscono un ordine “naturale” di adozione. Questa ipotesi è credibile nel caso in cui
si parla di innovazioni di scarso rilievo, ovvero quelle innovazioni il cui costo di adozione è limitato o
trascurabile. Nel caso in cui si parla di innovazione complessa si dovrà ammettere la possibile
divergenza fra la dimensione ex ante e quella ex post. In questi casi infatti, l’adozione
dell’innovazione consentirà di per sé un significativo aumento della produzione così radicale da
giustificare la realizzazione di investimenti complementari.

10.2.3 I modelli di integrazione strategica


In questi modelli si ipotizza che i rendimenti dell’adozione siano decrescenti nel tempo. Le imprese
che adottano per prime hanno vantaggi maggiori rispetto le ritardatarie (per David, invece, i benefici
rimanevano costanti nel tempo) per effetto della caduta del prezzo del bene finale e/o della perdita
di quote di mercato. I potenziali adottatori devono quindi decidere se adottare prima di tutti per
evitare che il prezzo finale del prodotto dell’innovazione diminuisca o aspettare la caduta del prezzo
dell’innovazione stessa. Fondamentale è il modello di Reinganum che prende in considerazione due
imprese identiche. L’innovazione consente la riduzione dei costi di produzione e la sua adozione
precoce aumenta la produzione. L’adozione si presenta come un gioco alla Cournot: nel moneto
stesso in cui l’innovazione compare le imprese decidono la data di adozione senza alcuna possibilità
di revisione. Le due imprese avranno interesse ad adottare il più tardi possibile visto i costi
decrescenti. La data per l’adozione finita non potendo coincidere tra le due imprese, darà luogo ad
una adozione precoce per uno dei due utilizzatori e ad un lungo ritardo per l’atro: quindi una delle
due imprese avrà profitti inferiori rispetto alla rivale. Le critiche mosse sono state attribuite al fatto
che le imprese, una volta fissata la data di adozione, non possano modificare le proprie scelte;
secondo questa teoria la diffusione potrebbe anche essere caratterizzata da un lungo ritardo iniziale
seguito da una veloce imitazione. Per Reinganum invece è impossibile dato i lunghi tempi che stanno
dietro all’innovazione e gli elevati costi di produzione (in contrasto con l’assunzione di costi
decrescenti).  sono due imprese simili ma in realtà sono concorrenti.

10.2.4 I modelli massa critica


In questi modelli la diffusione viene considerata un processo di imitazione a cui dare una spiegazione
41
principalmente sociologica e psicologica. In questi modelli l'innovazione è considerata superiore alle
alternative esistenti e ad ogni istante tutti i soggetti osservati possono trarre un beneficio netto
dall'adozione. Causa esclusiva di lentezza è la carenza di informazioni relative all'esistenza o alle
performance dell'innovazione: ad ogni istante t non tutti i potenziali adottatori sanno che
l'innovazione esiste ed è disponibile, o più probabilmente, non tutti sono convinti del fatto che
l'innovazione si davvero superiore alle vecchie tecnologie. Ogni agente considera pertanto rischioso
abbandonare queste ultime e adottare la novità. Affinché l'innovazione si diffonda è necessario e
sufficiente che si diffondi l'informazione ad essa relativa. In questo modello, benché l’avere gusti
identici e il prezzo dell'innovazione rimanga costante nel tempo, non tutti sono informati sulle
tecnologie contemporaneamente. Questo avviene perché ciascun consumatore viene a conoscenza
della tecnologia dal suo vicino; man mano che passa il tempo sempre più persone adotteranno la
tecnologia in un dato momento, portando così ad un aumento del tasso di adozione. Alla fine,
tuttavia, il mercato si satura e il tasso di adozioni scende nuovamente. Anche questo modello
produce una curva ad S. Golder e Tellis hanno individuato nel concetto di <<decollo>> il punto in cui
la curva di diffusione empirica sembra avere la sua massima flessione rispetto al tasso di crescita
iniziale.

NB: poiché il processo di disseminazione di questo genere di informazioni può essere assimilato a
quello di trasmissione di una malattia contagiosa, i modelli di questo tipo sono definiti <<epidemici>>.
L'epidemia ha luogo entro una popolazione di dimensioni date (n individui). La probabilità che un
agente contragga il virus al tempo t, ovvero attenga info sufficienti per indurlo ad adottare, dipende
sia dall'intensità della comunicazione fra agenti, sia dall'entità del vantaggio attribuito dagli
utilizzatori all'innovazione. All’interno di una popolazione di (N) individui, il numero di soggetti che tra
il tempo t e il tempo t+1 contraggono il contagio è proporzionale alla percentuale dei soggetti già
contagiati e al numero di quelli ancora sani. Il coefficiente di proporzionalità dipende da vari fattori,
ad esempio il grado di infettività dell’epidemia, la frequenza dei contatti tra i soggetti. Questa
relazione è rappresentata da una curva logistica con forma a S, la diffusione è lenta nella fase di
introduzione dell’innovazione, ma con il passare del tempo essa è accelerata sia dal successo
dell’innovazione che dal diffondersi dell’informazione (contagio) per l’interazione dei potenziali
adottatori con fonti interne ed esterne, per poi decelerare man mano che si raggiunge il livello di
saturazione della popolazione degli adottatori.

L’assunzione di base di questi modelli è che l’innovazione sia superiore (in termini di profittabilità)
alle tecnologie esistenti e che i soggetti potenziali adottatori siano omogenei (la profittabilità
dell’innovazione è la stessa per tutti i soggetti). Il vincolo alla diffusione è dato dall’esistenza di
asimmetrie informative tra i potenziali adottatori e per colmare la carenza di informazioni
sull’esistenza e sulle opportunità della nuova tecnologia si fa leva sulle dinamiche del contagio,
aumentando cioè l’esposizione dei potenziali adottatori all’epidemia informativa. Si assume che la
diffusione delle informazioni relative all’innovazione sia necessaria e sufficiente alla sua diffusione. Il
processo di diffusione si conclude quando tutti i soggetti potenziali adottatori dispongono delle
informazioni sull’innovazione. Le fonti dell’informazione possono essere interne o esterne: le fonti
interne fanno riferimento all’acquisizione di informazioni mediante il contatto personale con soggetti
che hanno la nuova tecnologia (ad esempio per una malattia contagiosa, la probabilità che un
soggetto contragga il virus e cioè le informazioni che potrebbero indurlo ad adottare la nuova
tecnologia cresce con il numero di coloro che l’hanno già contratto e cioè coloro che hanno già
42
adottato l’innovazione); le fonti di informazioni esterne sono quelle che non dipendono dal livello di
diffusione corrente, ma provengono da soggetti eterogenei rispetto alla popolazione osservata. (ad
esempio, intermediari dell’informazione, come i mezzi di comunicazione di massa, le agenzie di
promozione dell’innovazione. Il processo di diffusione è asimmetrico, in forma variabile a seconda
dell’efficacia della campagna informativa a comunicare i vantaggi dell’adozione della nuova
tecnologia).

10.2.5 L’informazione nei modelli di adozione a soglia


I modelli di adozione a soglia si basano sulla ipotesi di perfetta conoscenza dei benefici e dei costi
dell’adozione. Esiste dunque la possibilità di riconsiderare il ruolo dell’informazione anche nei modelli
a soglia, seppure con alcune limitazioni sul contenuto di questa informazione e di conseguenza sulla
portata esplicativa dei modelli stessi. È possibile combinare la ricerca di una “soglia critica” per
l’adozione con un trattamento bayesiano dei problemi di informazione e apprendimento. Il percorso
di diffusione è derivato dall’aggregazione di ritardi di adozione individuali, l’adozione implica dunque
sia un costo fisso che un ritorno atteso e al tempo t=0 le imprese sono tra loro eterogenee.
Il suo motore del processo di adozione è individuato nella progressiva acquisizione di informazioni
sull’effettivo valore dell’innovazione, che conduce a continue revisioni del ritorno atteso da adozione.
Le imprese ottengono però informazioni ad intervalli regolari da una fonte esterna, come ad esempio
una organizzazione interessata ad eseguire ripetuti test sull’innovazione, diffondendone liberamente i
risultati. L’impresa adotta non appena la probabilità soggettiva che l’innovazione sia profittevole,
cresciuta nel tempo grazie all’accumulazione di informazioni, supera un determinato valore critico. Le
imprese dunque inizialmente più ottimiste saranno quindi le prime ad adottare, cosicché l’opinione
iniziale dell’impresa risulta essere la determinante unica del ritardo di adozione quindi da un lato è
possibile sottolineare la capacità del modello di spiegare pur sotto ipotesi semplificatrici, un certo
numero di fatti stilizzati; dall’altro è possibile evidenziare come un approccio basato su
apprendimento bayesiano ed informazioni di sola fonte esterna trovi estremamente difficile spiegare
questi fatti, non appena si rimuovano le ipotesi semplificatrici più in contrasto con la realtà
osservabile. Le esternalità informative sorgono ogni qualvolta le imprese che ancora devono decidere
circa l’adozione possono osservare i livelli di profitto raggiunti dalle imprese che hanno già acquistato
la nuova tecnologia.
In altre parole dunque, l’atto di adozione di ogni singola impresa costituisce un messaggio per tutte le
altre: positivo, in caso di aumento dei profitti, negativo nel caso opposto. Ogni impresa vorrebbe
essere l’ultima a decidere se adottare oppure no, in modo da acquisire la maggior quantità possibile
di informazioni, l’attesa però ha un costo opportunità, che consiste nella rinuncia ai profitti che
l’adozione immediate consentirebbe di iniziare immediatamente di accumulare.

10.3 I modelli di selezione


Nel criticare i limiti esplicativi dei modelli di diffusione basati sulla dimensione di impresa si sono
evidenziate le difficoltà che insorgono ogni qualvolta si intenda studiare la diffusione di innovazioni
complesse e di grande impatto, senza però ammettere la possibilità che la selezione colpisca le
imprese ritardatarie prime che queste riescono ad adottare. In generale non appena studiamo
innovazioni più sofisticate e rilevanti dobbiamo ammettere l’esistenza di:
- Notevoli peculiarità nelle modalità di adozione da parte di ogni impresa, che deve rivedere
pratiche organizzative e strategie consolidate;

43
- Elementi di incertezza radicale, a cui le imprese fanno fronte con aspettative tecnologiche e
routine derivanti dal proprio passato che piuttosto dalle poche informazioni liberamente
disponibili sulla nuova tecnologia.
I modelli di diffusione di tipo evolutivo sono, in linea di principio estremamente complessi. In seguito,
si riporta una versione semplificata di uno di essi: tutte le imprese producono lo stesso bene
omogeneo, ma ogni impresa possiede una diversa tecnologia di processo, tale da garantirle costi
medi costanti. Tuttavia, le imprese non hanno la stessa propensione al reinvestimento dei profitti.
Questo significa che esistono due fonti distinte di eterogeneità tra le imprese:
 Tecnologica, riferita ai costi di produzione (h);
 Comportamentale, riferita alla propensione all’investimento (f).
Ogni impresa è caratterizzata da una diversa coppia (h,f). Ove l’impresa con la migliore tecnologia
non sia anche quella con la più alta propensione all’investimento, possiamo immaginare che le coppie
che rappresentano le varie imprese siano racchiuse entro i suoi confini. Un’ultima ipotesi è quella per
cui le imprese operano sempre a piena capacità produttiva cosicché la crescita dell’output della
singola impresa coinciderà con gli investimenti effettuati.
Si dimostra infatti che l’impresa con la migliore tecnologia riuscirà a dominare il mercato solo in
presenza. Ove invece la domanda sia crescente nel tempo, si può giungere facilmente al predominio
di una tecnologia subottimale, ove questa sia posseduta da un’impresa con elevate propensione
all’investimento. Ogni impresa però cresce a tassi diversi in funzione dei diversi profitti realizzati. Ciò
conduce ad una continua variazione delle quote di mercato detenute dalle singole imprese. In
particolare, ad ogni tempo, possiamo distinguere 5 tipi di imprese, in funzione dell’andamento della
loro quota di mercato:
1. Le imprese che difendono la propria quota, aumentano la propria capacità produttiva nella
stessa misura dell’incremento di domanda;
2. Le imprese “marginali”, che non possono aumentare la propria dimensione, avendo costi
medi uguali al prezzo e dunque crescita zero;
3. Le imprese in espansione;
4. Le imprese in declino;
5. Le imprese con costi medi superiori al prezzo e dunque fuori mercato.
Ci aspettiamo che le imprese in grado di accrescere la propria quota di mercato, siano quelle con
elevato margini di profitto o elevata propensione all’investimento.
Questo è il risultato dato per scontato dai modelli di diffusione mediante adozione. Nei modelli di
selezione, un movimento univoco verso la frontiera risulta possibile solo in assenza di significativi
cambiamenti della domanda, ovvero per innovazioni puramente di processo, riferito a prodotti il cui
mercato non è in crescita. L’impresa in possesso della tecnologia arriva a dominare il mercato
gradualmente, grazie alla quota di mercato che tende a seguire un percorso sigmoide.

11 Tecnologie concorrenti e rendimenti crescenti da adozione


Le esternalità sono conseguenze positive (benefici) o negative (costi) delle scelte di soggetti diversi da
quello che deve prendere decisioni economiche e che alterano il meccanismo di allocazione efficiente
delle risorse attraverso la dinamica dei prezzi. Sono trattate come un esempio di fallimento del
mercato, perché distorcono le condizioni di perfetta concorrenza tra i soggetti economici, assegnando

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benefici e costi indipendentemente dal meccanismo dei prezzi. La presenza di esternalità interferisce
con il processo di diffusione dell’innovazione.
Si ha un'esternalità di rete quando il beneficio che un individuo trae dall'utilizzo di un bene cresce al
crescere del numero di utilizzatori di quel bene. Questo tipo di situazione è rilevante in mercati in cui
esistono questioni relative alla proprietà intellettuale, come il software, o in generale quando si parla
di adozione di una nuova tecnologia.

Economie di scala dal lato della domanda


Molte tecnologie di informazione presentano economie di scala dal lato della domanda, note anche
come “esternalità di rete” o “effetti rete”. Formalmente un bene presenta “effetti rete” se la sua
domanda dipende da quante altre persone lo acquistano.
ESEMPI: fax, videotelefoni, posta elettronica.
- Questi appena descritti sono effetti rete DIRETTI quando i consumatori sono effettivamente
collegati da una rete e possono comunicare tra di loro
- Esistono poi gli effetti rete INDIRETTI quando i consumatori non comunicano necessariamente tra
di loro
 non mi riguarda direttamente se voi avete un lettore di DVD (questo non influisce sul valore
del mio apparecchio), ma …
 … più numerose sono le persone che hanno un lettore di DVD, più grande sarà il contenuto
leggibile su DVD e questo mi riguarda!
 Indirettamente, il vostro acquisto di un lettore di DVD tende ad aumentare il valore del mio
apparecchio.
Le tecnologie caratterizzate da consistenti effetti di rete tendono dar vita ad un andamento noto
come feedback positivo: per cui al crescere del numero di utenti che sono già dotati della nuova
tecnologia, un numero sempre maggiore di altri utenti vengono da questa attratti. Il feedback
positivo rende l’impresa forte ancora più forte e quella più debole ancora più debole. In effetti
l’economia dell’informazione è popolata di monopoli.

COSTI DELL’INNOVAZIONE
- Costo opportunità
La valutazione del costo opportunità (valore delle migliori alternative tecnologiche a cui si
rinuncia) dell’investimento in nuovi beni capitali può influire sulla diffusione dell’innovazione,
specialmente se gli investimenti precedenti in mezzi di produzione non si sono ancora
deprezzati o sono caratterizzati da sunk costs (alti costi di smantellamento, mancanza di un
mercato secondario). Le decisioni di investimento dipendono dal capital stock vintage ossia
dalla distribuzione per classi di età dello stock di capitale installato e dai benefici netti
ottenibili dalla sostituzione con nuovi beni capitali. Se si fissa come criterio x il beneficio netto
dall’adozione della nuova tecnologia rispetto al mantenimento della precedente. La soglia x*
indica il costo di acquisizione della nuova tecnologia che consente di ottenere il vantaggio
differenziale. Pertanto ogni progresso tecnologico che rende più attraente la vecchia
tecnologia o riduce subito i benefici dell’adozione della nuova tecnologia, invece che nel
futuro, aumenta il costo opportunità di adottare adesso, cioè sposta la soglia x* verso destra.

- Switching e search costs


Gli switching costs (o costi del passaggio) includono:
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1. Costi di apprendimento tecnico della nuova tecnologia. Essi dipendono dalla capacità di
assorbimento dell’impresa
2. I costi associati allo sviluppo delle competenze necessarie dalla nuova tecnologia e quelli
associati alla distruzione o riconversione delle competenze esistenti
3. I costi dovuti all’applicazione di regolamentazioni (ad esempio standard tecnici) collegate
alla nuova tecnologia
4. I costi di tipo commerciale resi necessari dalla disponibilità di nuovi prodotti o servizi
associati all’adozione dell’innovazione
I search costs sono funzione inversa della quantità di informazione disponibile e accessibile e
della capacità delle imprese di aggiornarsi sulle nuove tecnologie. La presenza di queste due
caratteristiche dell’impresa genera esternalità positive.
Se si interpreta x come misura dei benefici netti dell’adozione di nuova tecnologia, le imprese
con switching costs alti, avranno più difficoltà a superare la soglia critica e adottare la nuova
tecnologia.

CAPITOLO 12 -La geografia delle innovazioni tecnologiche


12.2 Rendimenti crescenti localizzati ed agglomerazione delle attività innovative
L’idea che attività economiche simili o complementari tendano a concentrarsi nello spazio geografico
non rappresenta certo una novità nell’analisi economica ed è anzi stata al centro di numerose teorie
della crescita regionale. L’intuizione risale al lavoro di Marshall e alla sua formulazione del concetto di
economie esterne. In sintesi, la concentrazione geografica delle attività produttive sarebbe da
attribuire all'esistenza, accanto ad economie di scala interne all'impresa (rendimenti crescenti
localizzati nell’attività innovativa  sono propri solo di quel territorio in cui l’impresa si è localizzata),
di economie di agglomerazione o esterne, il cui effetto sarebbe quello di ridurre in modo sostanziale i
costi unitari (medi) di produzione delle imprese localizzate in una certa area e le cui fonti sarebbero
da ricondurre a 3 fattori fondamentali:
1. Presenza di indivisibilità nella fornitura di particolari beni e servizi, superabili sono in presenza
di una certa soglia minima di domanda; la concentrazione di più imprese favorisce, ad
esempio, la formazione di un bacino di manodopera specializzata e l'accumulazione localizzata
di competenze tecniche attraverso processi di apprendimento collettivo.
2. Sfruttamento di un capitale fisso sociale: infrastrutture di comunicazione, trasporto ed
energia, che contribuisce ad elevare la produttività di tutte le industrie presenti in un'area
3. creazione di effetti di sinergia che, attraverso la riduzione dei costi di transizione all'interno
dell'area e la possibilità di specializzazione e collaborazione fra le imprese all'interno del ciclo
produttivo, aumentano l'efficienza complessiva dell'industria.

Gli effetti delle economie derivanti dalla concentrazione geografica delle imprese, tuttavia, non si
esauriscono soltanto nel miglioramento dell’efficienza statica dei processi produttivi – riduzione dei
costi di produzione o aumento dei vantaggi localizzativi per le imprese insediate - ma si manifestano
anche come fattori di dinamica industriale ed innovativa. La creazione di una cultura industriale
diffusa o, definita da Marshall di un industrial atmosphere, fa delle concentrazioni industriali in
particolare delle sedi urbane una delle sedi privilegiate di intensi processi innovativi e di una rapida
diffusione delle innovazioni tecnologiche. Tuttavia, sebbene l’idea che rendimenti crescenti localizzati
possano determinare fenomeni di agglomerazione spaziale delle attività produttive e tecnologiche sia
ben radicata nella storia del pensiero economico, soltanto recentemente è maturata la capacità di
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formulare modelli in grado di incorporare la presenza di rendimenti crescenti. Sotto questo profilo è
interessante considerare due modelli che più direttamente hanno cercato di analizzare le condizioni
che determinano l'emergere di agglomerazioni spaziali delle attività innovative:
 il modello di Arthur (1990)
 il modello di Swann (1996)
entrambi i modelli assumono come un dato l'esistenza di economie di agglomerazione e ne
esaminano le conseguenze per la distribuzione geografica delle attività produttive ed innovative.

Modello di Arthur
Arthur considera un'industria ad alta tecnologia, in cui le imprese operanti debbano scegliere la loro
localizzazione fra 2 possibili aree alternative (città, province, regioni) che chiama Silicon Valley e Paris
(Texas). Ipotesi del modello:
 Ciascuna impresa decide di localizzarsi nell'area che presenta il maggior rendimento netto e
non si muove più una volta effettuata la propria scelta.
 Le imprese effettuano la loro scelta in modo sequenziale, ossia in ciascun istante di tempo una
e una sola impresa effettua la propria scelta di localizzazione, avendo osservato la scelta delle
imprese precedenti, e ciascuna impresa sceglie dove localizzarsi in base al max rendimento
presente, eliminando problemi legati ad aspettative sulla futura localizzazione di altre
imprese.
 Le imprese operanti nell'industria possono essere equamente ripartite fra 2 gruppi, che
differiscono fra loro per qualche caratteristica del prodotto o tecnica usata. In conseguenza di
tale diversità i 2 gruppi di imprese hanno preferenze <<naturali>> diverse per le 2
localizzazioni.

Ossia a prescindere dalla scelta fatta dalle altre imprese, il gruppo S preferisce naturalmente la Silicon
Valley e il gruppo P preferisce Paris (Texas). Beneficio netto (rij)per la generica impresa appartenente
al gruppo “i” di localizzarsi nell'area “j”= beneficio geografico (qij ) (per l’impresa del gruppo i di
localizzarsi nella regione j) + beneficio da agglomerazione (gnj) > 0  rij = qij + gnj
dove:
beneficio geografico (qij) è indipendente dalle scelte fatte dalle altre imprese; beneficio da
agglomerazione (gnj) deriva dalla presenza di altre n imprese già localizzate in quella regione al
momento della scelta. Il parametro g > 0 fornisce una misura delle economie di agglomerazione:
all'aumentare del numero delle imprese localizzate in una certa area cresce il beneficio netto per
un'impresa derivante dal localizzarsi nella medesima area. Posto i = gruppo P, gruppo S
qS silicon valley > qS paris & qP paris > qP silicon valley
I rendimenti associati a ciascuna area aumentano linearmente con il numero delle imprese insediate,
si dimostra che l'esito finale del processo di scelta è tale che una delle 2 aree assume il monopolio
dell'industria e rilevanza rispetto all'altra, vale a dire che tutte le imprese tendono a localizzarvisi
indipendentemente dal gruppo a cui appartengono. Tuttavia quale tra esse venga selezionata non è
prevedibile, ma dipende dalla sequenza storica con cui i due tipi di imprese effettuano le scelte.

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Modello di Swann
Tenta di formulare un ciclo di vita delle concentrazioni (cluster o gruppi) geografico-industriali.
All'inizio del ciclo di vita di una industria (tecnologia), le nuove imprese tendono a localizzarsi in modo
abbastanza casuale nello spazio geografico. Tuttavia per effetto di fattori accidentali (fattori casuali),
uno o più cluster geografici cominciano ad emergere rispetto ad altre aree raggiungendo una massa
critica di imprese, quindi si crea un circolo virtuoso che rafforza la posizione del cluster stesso. La
concentrazione spaziale delle imprese, infatti, genera benefici da agglomerazione che attraggono
l'entrata di nuove imprese. Accanto alle economie di agglomerazione altri fattori esogeni spiegano la
performance delle imprese localizzate in una certa area geografica come ad es. la dotazione di
infrastrutture (trasporto, comunicazione e ricerca) e la forza della base scientifica del cluster.
Tuttavia tale tendenza non persegue all'infinito perché all'aumentare delle dimensioni di un cluster
cominciano effetti di congestione che:
 accrescono i costi di localizzazione all'interno del cluster
 rallentano l'entrata di nuove imprese e la crescita e l'innovazione delle imprese già insediate
 man mano che l'industria (tecnologia) entra nella fase di maturità (sia della tecnologia che
dell’impresa) e declino del suo ciclo di vita, i benefici derivanti dall'agglomerazione si
riducono, ad esempio perché la crescente standardizzazione del prodotto o delle componenti
riduce l'importanza delle relazioni localizzate con fornitori e clienti, ed eventualmente sono
superate dai costi.
Quindi il cluster geografico entra dapprima in una fase di maturità, in cui i tassi di entrata delle nuove
imprese e i tassi di crescita delle innovazioni delle imprese insediate diminuiscono; e quindi in una
fase di declino, in cui il numero delle imprese localizzate si riduce a causa delle uscite dal mercato e le
poche imprese rimaste fanno registrare tassi di crescita e di innovazione scarsi o nulli.

NB: il declino di un cluster non è inevitabile. La possibilità di superare la fase di declino industriale
dipende soprattutto dalla capacità di attrarre nuove imprese entranti nelle industrie emergenti; e a
sua volta tale capacità è funzione della specializzazione settoriale ereditata dal passato: regioni
specializzate in industrie mature, che non esercitano esternalità positive nei confronti dei settori
emergenti, è improbabile che escano dalla fase di declino; al contrario, regioni specializzate in
industrie mature, la cui base tecnologica converge con quella di industrie emergenti, esercitano un
potere di attrazione nei confronti delle potenziali entranti, rinnovando la propria forza industriale. I
modelli precedenti assumono dunque l’esistenza di economie di agglomerazione e ne esaminano le

48
conseguenze per la distribuzione geografica, ma non rispondono ad alcuni interrogativi fondamentali
per l’analisi spaziale delle innovazioni tecnologiche

12.3 Economie di agglomerazione e processo innovativo


I modelli analizzati nel paragrafo precedente assumono come un dato l’esistenza di economie di
agglomerazione e ne esaminano le conseguenze per la distribuzione geografica delle attività
produttive ed innovative.

12.3.1 Fattori strutturali ed ambiente innovativo, Economia Urbana e Regionale


L’economia urbana e regionale ha per lungo tempo analizzato gli aspetti spaziali dell’innovazioni
tecnologica e, in generale si distingue dagli altri approcci disciplinari avendo quale obiettivo principale
quello di spiegare le ragioni per le quali alcune regioni o aree geografiche evidenziano un potenziale
innovativo superiore rispetto ad altre aree territoriali può essere dovuto da due aspetti:
Fattori strutturali: vale a dire la differente dotazione di imprese innovative, di laboratori di R-S di
grandi imprese e di altri input innovativi, nello spiegare performance tecnologiche diverse fra regioni
e città diverse;
Ambiente innovativo: Insieme di fattori istituzionali e variabili infrastrutturali, specifici di una
determinata area geografica, nello spiegare il diverso grado di innovatività fra imprese localizzate in
contesti geografici diversi. Essi infatti rappresentano in realtà un insieme eterogeneo e differenziato
di approcci. L’elemento che li accomuna è da rivenire nel riferimento a variabili ambientali e
caratteristiche specifiche di un’area geografica quali fattori esplicativi della diversa performance
tecnologica fra aree diverse. Quindi limitandosi agli approcci più rilevanti, si possono distinguere due
scuole di pensiero fondamentali: Milieux innovateur (Aydalot): mediante il quale si indaga sulle
condizioni esterne all’impresa siano favorevoli alla conduzione di attività innovative o alla nascita di
nuove imprese innovative; e quella che si rifà invece alla nozione di distretti tecnologici (Storper).
Aydalot afferma che l’impresa non è un agente isolato, ma parte di un contesto che determina l’agire;
individua 3 modalità di sviluppo di una tecnologia, ciascuna di esse caratterizzata da diversi ambienti
incubatori.

1. Incrementale: L’innovazione è frutto di una “filiazione” dal tessuto industriale esistente e


presenta un carattere di forte continuità con l’esperienza e le competenze accumulate dalle
imprese all’interno dell’area. Questo tipo di innovazioni si concentrano in regioni industriali
mature, caratterizzate da ambienti in cui si trovano PMI specializzate soprattutto nei settori

49
della meccanica strumentale (frequenti interazioni e scambi di conoscenza).
2. Radicale (prodotto): Le innovazioni sono frutto dalla conoscenza generata all’interno dei
laboratori di R-S delle grandi imprese, specie nei settori chimico ed elettrico. Queste
innovazioni sono concentrate nei centri urbani e metropolitani caratterizzati da una ricca
disponibilità di infomazioni e di personale qualificato.
3. Radicale (industria): Le innovazioni sono frutto dalla conoscenza generata all’interno delle
università e dalla R-S dei laboratori pubblici; si tratta di prodotti radicalmente nuovi (materiali,
composti, ecc) senza alcuna relazione fra l’esperienza e le tecniche produttive esistenti.
Queste innovazioni sono concentrate in Poli di ricerca scientifica e tecnologica, caratterizzate
dalla forte presenza di infrastrutture di ricerca, scambi informativi fra imprese, capitale di
rischio. L’ambiente in cui questo tipo di innovazione viene incubato è caratterizzato da fattori
di sinergia, come l’esistenza di infrastruttura informatica e di ricerca, la prossimità ad
infrastrutture di trasporto, la disponibilità di capitale e la mobilità del personale.

Piccole Imprese (spin off) o Distretti Tecnologici: Questo filone identifica nell’attuale paradigma
tecno-economico le condizioni per lo sviluppo di un nuovo ordine industriale. In particolare sottolinea
che le possibilità insite nelle attuali tecnologie microelettroniche, impongono e consentono processi
di disintegrazione verticale e di specializzazione flessibile nell’organizzazione del processo produttivo.
A livello spaziale, questi processi si traducono in una tendenza alla riagglomerazione geografica della
produzione in aree dominate da una diffusa rete di PMI, flessibili, specializzate e connesse da una
fitta rete di legami ed interazioni non mediate dal mercato.

Passando all’analisi dei contributi che mettono in luce il ruolo dei fattori strutturali alcuni lavori da
parte di Malecki hanno evidenziato come le attività di R-S delle imprese tendono a concentrarsi nelle
regioni centrali, soprattutto nelle aree urbane e metropolitane di un paese per via di una maggiore
disponibilità di informazione scientifica e tecnologica, personale qualificato, dotazione di servizi ed
attività collegate alle esigenze dei laboratori di R&S. Un’analisi più recente a sua vota ha
approfondito le tendenze di insediamento dei centri di ricerca pubblici e privati. Infatti l’ubicazione
dei centri di R-S pubblici sia più influenzata da fattori ambientali, come la presenza di sedi
universitarie, mentre quelli privati prescindono da tali considerazioni. Malecki e Howells sostengono
che la dispersione spaziale delle attività di R-S è largamente dipendente dalla organizzazione
funzionale delle imprese. Ma più precisamente si arriva all’ipotesi che la localizzazione dei centri di
ricerca sia caratterizzata da un insieme di ragioni fondamentali:
 da un punto di vista funzionale, l’efficienza delle attività di ricerca di base ed applicata richiede
un’organizzazione di tipo centralizzato in poche unità di R-S. i vantaggi derivanti dalla
concentrazione sono collegabili al conseguimento di economie di scala e di scopo e migliori
flussi di comunicazione; mentre le attività di sviluppo impongono un’organizzazione
decentrata allo scopo di permettere un migliore coordinamento tra lo sviluppo dei progetti
innovativi ed il marketing.
 da un punto di vista spaziale, le operazioni di R-S sono concentrate in prossimità dei centri
decisionali chiave dell’impresa (sedi centrali o divisionali); le attività di sviluppo, invece, hanno
una maggiore dispersione nello spazio.
 considerando i flussi di comunicazione rilevanti, si può ipotizzare che mentre le R-S di base
applicata ha tra i suoi compiti principali la raccolta e la valutazione di informazione esterna
all’impresa e beneficia quindi dall’essere localizzata nelle aree urbane e metropolitane, le
50
unità preposte allo sviluppo prevedono lo scambio di informazioni interne e tendono a
distribuirsi in modo più diffuso nello spazio geografico.

Il tema della localizzazione delle attività di R-S è stato ripreso, da una prospettiva leggermente
diversa, in vari contributi nel campo dell’economia internazionale. Diversi autori sostengono che le
attività di R-S stiano seguendo un processo di crescente internalizzazione e che le forze responsabili di
tale tendenza siano in larga misura simili a quelle che hanno promosso l’internalizzazione della
produzione manifatturiera nel passato. Altri autori hanno contestato la tesi secondo cui le attività
innovative stiano assumendo un carattere sempre più globale e de-localizzato, sottolineando che il
grado di internalizzazione della produzione di tecnologia è ancora sensibilmente inferiore rispetto a
quello di produzione manifatturiera.

12.3.2 Processo innovativo e network di conoscenza: l’importanza della prossimità


La creazione di innovazione tecnologica resta un fatto altamente localizzato. Sebbene buona parte
della conoscenza coinvolta nel processo innovativo è codificata e trasmissibile a lunghe distanze, una
parte sostanziale di conoscenze, invece, ha una natura fortemente tacita e incorporata nelle persone,
il che rende la prossimità geografica tra gli attori (ricercatori, ingeneri, manager, tecnici) e le funziono
(R&S, produzione, marketing, acquisti) coinvolte nel processo innovativo un requisito fondamentale
per la comunicazione e lo scambio di conoscenza rilevante. La prossimità fra l'impresa innovativa e le
fonti di conoscenza esterne può rendere più efficace lo svolgimento delle attività innovative per una
serie di ragioni essenziali:
1. la prossimità geografica facilita la trasmissione e lo scambio della conoscenza scientifica
2. la prossimità geografica fra imprese riduce l'incertezza intrinseca nelle attività innovative ed i
costi di trasmissione
3. data la complessità delle attività innovative la prossimità geografica consente di integrare e
coordinare discipline e competenze assai diverse e localizzate all'esterno dei confini
dell'impresa. Imprese localizzate in aree territoriali con una densità elevata di competenze e
servizi diversi hanno una probabilità più elevata di trovare in tempi rapidi i servizi richiesti per
il processo innovativo; al contrario, le imprese localizzate in una regione con scarsa presenza
di servizi complementari vanno incontro a rischi e costi più elevati nello svolgimento delle
proprie attività innovative, il che riduce la produttività.
4. l'efficacia del processo innovativo dipende dalla possibilità di accedere in modo tempestivo e
a bassi costi a competenze e conoscenze scientifiche e tecnologiche rilevanti, e tale possibilità
è a sua volta funzione della prossimità geografica delle imprese innovative ad una serie di
fonti conoscitive esterne ai propri confini.

12.3.3 Spillover (esternalità) “localizzati” di conoscenza


Trattasi delle ricadute benefiche che la ricerca condotta da qualche soggetto (impresa o università) ha
sul processo innovativo di altri soggetti localizzati ad una certa distanza dalla fonte originaria della
conoscenza. Ovvero gli spillovers sono flussi volontari o involontari di conoscenza tra agenti
innovativi. Un problema che si è presentato riguardo ai flussi di conoscenza, consiste nella loro
difficile misurabilità perché sono invisibili e non lasciano documentazione che permetta di seguirne la
provenienza e la destinazione.
 Jaffe, Trajtenberg e Henderson hanno proposto di risolvere il problema mediante l’utilizzo dei
dati relativi alle citazioni di brevetto. Ciascun documento brevettuale include il riferimento ad
51
uno o più brevetti anteriori, rispetto ai quali il brevetto in questione fornisce un contributo
nuovo ed originale all’avanzamento dello stato delle conoscenze. Ovvero sfruttando l’indirizzo
geografico contenuto nei documenti brevettuali citati, è possibile analizzare in che misura i
flussi di conoscenza avvengano fra soggetti distanti, ovvero localizzati all’interno di aree
geografiche delimitate.
 Anselin, Varga e Acs, basano la loro analisi su un dataset di oltre 4000 innovazioni
commercialmente rilevanti prodotte negli USA. Quindi attraverso un approccio di
“econometria spaziale”, si permette di determinare che gli spillover localizzati di conoscenza
esercitano una influenza significativa sul tasso regionale di innovazioni, specie nel settore
elettrico e della strumentazione.

12.4 Le differenze intersettoriali nella concentrazione geografica


Alcuni contributi recenti hanno sottolineato il fatto che, malgrado le attività innovative tendano in
generale ad agglomerarsi in poche regioni ed aree geografiche, il grado effettivo di concentrazione
geografica e la configurazione spaziale delle attività stesse varia in modo assai rilevante fra settori
industriali. Tali differenze andrebbero attribuite alle caratteristiche specifiche di ciascuna tecnologia,
cosi come riassunte dal concetto di regime tecnologico. Per quanto riguarda la base conoscitiva di
una tecnologia invece, come sottolineato in precedenza la conoscenza è una risorsa che comporta
aspetti taciti, specifici, sistemici e complessi e che le modalità attraverso cui è possibile accedere alla
conoscenza rilevante sono più o meno sensibili alla distanza fra agenti come funzione di tali
caratteristiche. Tanto più la conoscenza presenta queste caratteristiche, tanto più concentrata
geograficamente tenderà ad essere la popolazione degli innovatori. Anche le opportunità
tecnologiche rappresentano un aspetto importante che influenza le scelte localizzative e la
performance delle imprese innovative. Elevate opportunità innovative implicano forti pressioni
selettive e, per questa via, comportano elevati gradi di concentrazione settoriale e, dunque
geografica delle innovazioni tecnologiche. Le condizioni di appropriabilità e di cumulatività
tecnologica, infine possono anche esse influenzare il grado di concentrazione geografica delle attività
innovative, attraverso il diverso effetto selettivo che tali variabili hanno sulle imprese innovative
localizzate in aree territoriali diverse. Quindi nella sfera geografica mondiale si possono identificare
alcuni pattern spaziali tipici delle attività innovative. In particolare, Breschi e Malerba identificano
empiricamente 5 modelli di organizzazione spaziale delle attività tecnologiche.
1. Settori tradizionali: si fa riferimento ai settori legati all’agricoltura, al tessile, al legno, in cui
operano un’ampia base di innovatori ciascuna di dimensioni medie-piccole. Da un punto di
vista territoriale hanno un’ampia diffusione geografica delle attività innovative. La
conoscenza è codificabile, generica e semplice; le opportunità innovative sono legate alla
ricerca di minori costi di produzione. I confini geografici all’interno dei quali le imprese
cercano nuova conoscenza sono grandi (possono acquisire gli input in tutto il mondo), ma a
causa delle scarse competenze sono confinate ad aree di ricerca “locali”.
2. La meccanica strumentale ed i distretti industriali: qui i contenuti tecnologici sono tali da
generare pattern settoriali di attività innovativa. Dal punto di vista territoriale questi settori si
distinguono per la loro concentrazione delle attività innovative in poche province o aree
geografiche. Il processo implica un sapere tacito e un know-how specifico che possono essere
trasmessi ed acquisiti solo attraverso l’addestramento informale e lo scambio ripetuto ed
intenso di informazioni e conoscenze.
3. L’industria dell’auto: questo settore può essere considerato l’archetipo di un certo modello di
52
organizzazione settoriale e territoriale delle attività innovative. A livello spaziale si assiste ad
una elevata concentrazione territoriale delle attività innovative in poche (grandi) città e
province. Da un punto di vista settoriale, l’organizzazione delle attività innovative vede la
dominanza di pochi grandi innovatori come conseguenza sia delle elevate economie di scala,
sia dell’elevata appropriabilità innovativa e dell’alta cumulatività tecnologica a livello di
impresa. A livello spaziale, si ha una elevata concentrazione territoriale delle attività
innovative in poche (grandi) città e provincie.
4. L’industria dei mainframe computer: sono settori in cui è presente un elevata tecnologia in cui
è dominante un ristretto nucleo di grandi imprese oligopolistiche e da elevate barriere
all’entrata di nuovi concorrenti; sotto il profilo geografico si assiste alla concentrazione delle
attività innovative in alcune province e aree metropolitane, laddove sono localizzate le grandi
imprese oligopolistiche.
5. Il software e l’industria della microelettronica: l’organizzazione settoriale delle attività
innovative si caratterizza per la presenza di un elevato numero di innovator, con forti flussi in
entrata, determinati dall’ampiezza e dalla ricchezza delle opportunità innovative legate agli
avanzamenti scientifici. Accanto a queste piccole imprese coesistono grandi imprese
innovative, che fondano la loro leadership sull’innovazione continua e su capacità specifiche.
Dal punto dii vista geografico, le attività innovative in questi settori tendono a concentrarsi in
alcuni distretti ed aree limitate. Il processo innovativo è basato su di un esteso processo di
scambio e comunicazione di conoscenza all’interno di una comunità di scienziati e specialisti
che lavorano su problemi simili. Poiché la conoscenza è tacita ed altamente specializzata, gli
strumenti di trasmissione sono informali.

CAPITOLO 13 – Istituzioni e attività innovativa: I sistemi innovativi


13.1 Le istituzioni e l’attività innovativa (Definita in modo abbastanza ampio)
Alcuni fra i diversi modi attraverso cui un’impresa introduce nuovi processi produttivi o crea nuovi
prodotti per il mercato sono: R-S interna, acquisto di licenze o nuovi macchinari, finanziamento di
progetti esterni, contratti di collaborazioni, fusioni o acquisizioni.
Sistema: insieme di componenti economiche e sociali tra di loro interconnesse che contribuisce a
determinare il comportamento innovativo delle imprese.
 L’innovazione viene definita come quell’attività attraverso la quale l’impresa produce e/o
attiva nuovi prodotti o nuovi processi produttivi, il grado di diffusione della capacità di
sviluppare prodotti e processi che sono nuovi per l’impresa;
 Le istituzioni sono tutti gli usi, costumi, le regole, le norme consolidate, le leggi che regolano le
interazioni tra le persone, riducono l’incertezza e le info per le azioni e scelte e permettono di
immagazzinare e trasferire conoscenza
 Le organizzazioni sono invece le università, banche, laboratori di ricerca pubblici privati.
Freeman definisce il Sistema innovativo nazionale (SIN) come la rete di istituzioni nel settore pubblico
e privato, le cui attività e interazioni, introducono, importano, modificano e diffondono le nuove
tecnologie.

13.2 L’interazione fra imprese e organizzazioni


Le interazioni fra organizzazioni che appaiono più importanti in relazione ai processi innovativi sono
quelle: fra le imprese, fra impresa innovativa e università e istituzioni di ricerca scientifica, fra impresa
innovativa e istituzioni finanziarie, fra impresa innovativa e governo.
53
13.2.1 Interazione fra le imprese
Due tipi di interazioni fra imprese:
Interazioni verticali fra cliente e fornitore (ICF) e le interazioni orizzontali nella forma di cooperazione
e/o competizione.

Interazioni verticali cliente-fornitore (ICF)


Le ICF oggi sono importanti e permettono, se mantenute, di poter trarre vantaggi sia al fine di ridurre
l’incertezza, sia per la riduzione dei costi. Le modalità di soluzione di problemi tecnologici ed i
meccanismi attraverso cui nuovi prodotti vengono creati e messi nel mercato vengono costruiti su
specifiche basi di conoscenza tecnologica del settore e delle imprese in questione. L’apprendimento
interattivo è il modo attraverso cui le imprese possono introdurre delle novità (di processo o di
prodotto) e gestire una conoscenza tecnologica che in parte tacita e specifica all’impresa. Se l’impresa
per esempio vuole introdurre nuovi processi produttivi, in un contesto in cui si hanno condizioni di
incertezza e informazione limitata, essa potrebbe trarre vantaggio dallo sviluppare relazioni stabili
con i fornitori, al fine di mettere in moto meccanismi di confronto e di apprendimento interattivo
riguardo alle loro necessità, alle opportunità tecnologiche emergenti e alla fattibilità tecnica ed
economica dei nuovi processi. Se la relazione è stabile è possibile la realizzazione di un codice
comune di comunicazione ed una rete di relazioni personali.
Riguardo ai costi, maggiore è il grado di complessità e di specializzazione della tecnologia in
questione, maggiore sarà la velocità di invecchiamento del prodotto e quindi sarà tanto maggiore il
costo di raccogliere, selezionare e utilizzare informazioni. Quindi lo svilupparsi di ICF stabili e durature
può consentire un notevole risparmio in termini di costi di transazione. Le ICF possono essere
influenzate dalla presenza di network locali d’imprese all’interno dei confini nazionali o da clienti
competenti che stimolano l’innovazione.

Interazioni orizzontali
Le interazioni orizzontali si riferiscono a:
 Alle attività di cooperazione tecnologica in relazione alla performance innovativa delle
imprese: da un lato gli accordi di scambio di conoscenza tecnologica fra imprese sono una
fonte preziosa di nuove idee e informazioni. Dall’altro, in contesti di rapido sviluppo
tecnologico e alta intensità di R-S, gli accordi di cooperazione consentono di mettere insieme
le limitate risorse dedicate alla ricerca e di acquisire aspetti chiave della conoscenza
scientifica.
Un esempio è il confronto tra la Silicon Valley e la Route 128. Solo la prima è un’esperienza di
successo ma entrambe sono caratterizzate dalla concentrazione geografica di gruppi
d’imprese. Nel primo caso si è creata una rete di relazioni fondata sull’interazione,
collaborazione e fiducia reciproca che hanno permesso un continuo rinnovamento e
adattamento di competenze e tecnologie. Nel secondo caso tale capacità di adattamento si è
manifestata in misura minore a causa della minore interazione fra le diverse unità, del
mancato manifestarsi di esternalità positive e del diverso sviluppo della regione.
 Agli aspetti istituzionali che influenzano i meccanismi competitivi e il loro impatto sul
cambiamento tecnologico. L’assetto istituzionale nazionale influenza l’attività innovativa delle
imprese attraverso i modelli competitivi. I modelli competitivi sono forme istituzionali
socialmente costruite e storicamente determinate la cui architettura dipende, in parte, da
54
scelte di politica industriale.

13.2.2 La ricerca scientifica e il sistema educativo


Le relazioni a riguardo fanno riferimento alle competenze che si vengono a sviluppare dalle imprese
in rapporto con il sistema educativo, in particolare con l’università e laboratori di ricerca. Dal punto di
vista dell’attività innovativa è importante comprendere quali interfacce le nuove scoperte e
l’avanzamento delle conoscenze scientifiche di base promuovono il cambiamento tecnologico. Tale
interfaccia è costituita dalle cosiddette scienze di trasferimento (transfer sciences) che hanno il
compito di risolvere problemi strettamente connessi con l’attività economica. Tali scienze di
trasferimento sono sviluppate attraverso l’attività di scienziati formati all’università. In questo quadro
l’università influenza le capacità innovative delle imprese in almeno 3 modi:
1. Fornisce cultura generale (ovvero le letture della realtà che influenzano la capacità e le
attitudini delle risorse umane di fronte a problemi complessi, novità ed incertezze)
2. Fornisce competenze tecno-scientifiche
3. All’interno deli laboratori universitari viene fatta ricerca scientifica di base e applicata

13.2.3 Il sistema finanziario


L’attività innovativa presenta costi associati ad ogni stadio di produzione: dalla ricerca al marketing.
Per quanto riguarda il finanziamento di tali costi il problema è duplice: da un lato vi è un alto grado di
incertezza, dall’altro vi è un problema di percepibilità e visibilità dell’intera serie di costi che l’impresa
deve sostenere. Le istituzioni finanziarie devono avere sia la capacità sia la volontà di selezionare le
richieste e le proposte e di valutare i flussi futuri di reddito attesi dei progetti di R-S. In tale situazione
si sviluppano asimmetrie informative tra il finanziatore e il manager dell’impresa. Il finanziatore non
ha informazioni complete in merito alla funzione obiettivo e alle azioni del manager, quindi si creano
problemi di selezione avversa e di moral-hazard (sono cause di fallimento del mercato). Per selezione
avversa si intende ogni situazione in cui una variazione delle condizioni di un contratto provoca una
selezione dei contraenti sfavorevole per la parte che ha modificato, a suo vantaggio, le condizioni.
L’azzardo morale è una forma di opportunismo post-contrattuale, che può portare gli individui a
perseguire i propri interessi a spese della controparte, confidando nella impossibilità, per
quest'ultima, di verificare la presenza di dolo o negligenza.

13.2.4 Il ruolo del governo e la politica tecnologica


In quale modo le politiche tecnologiche possono influenzare le performance innovative delle imprese
nazionali? Secondo Metcalfe due sono gli obiettivi principali delle politiche tecnologiche: esse
possono essere mirate alla creazione e allo sviluppo di una specifica tecnologia e/o alle infrastrutture
che promuovono il cambiamento tecnico. Per quanto riguarda lo sviluppo di tecnologie lo strumento
più utilizzato è la R-S finanziata dal governo. Per esempio negli USA, Francia il governo finanzia la
ricerca per scopi militari. Per quanto riguarda invece lo sviluppo di infrastrutture e organizzazioni
formali di supporto all’innovazione, queste devono essere considerate in una prospettiva sistemica
congiuntamente, per esempio, alle istituzioni educative e di ricerca che possono avere anche il ruolo
di attrarre competenze specializzate e imprese tecnologicamente avanzate. I governi devono essere
capaci di creare università specializzate e programmi di ricerca comuni fra imprese e industria, al fine
di creare competenze e capacità innovative. Nei distretti il tessuto economico e sociale risulta
fortemente integrato e l’azione delle piccole e medie imprese va di pari passo con un sistema
educativo che offre manodopera qualificata. Bisogna menzionare due importanti canali attraverso cui
55
l’intervento pubblico influenza l’attività innovativa delle imprese: le politiche a garanzia della
concorrenza e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale.

13.3 I sistemi innovativi nazionali e il processo di globalizzazione


L’analisi dei SIN è caratterizzata da 3 aspetti:
1. In termini di nazione spesso vengono espresse specificità culturali e cognitive. Tali specificità
hanno un’influenza importante sui principi (codici comunicativi) su cui si coagulano i modelli
organizzativi d’impresa e il modo e i canali attraverso cui le imprese interagiscono.
2. All’interno di una nazione emergono forme specifiche di interazione tra fornitore/cliente,
creditore/impresa ecc… che si formano grazie all’esistenza di specificità culturali, cognitive e
relazionali e di politiche tecnologiche.
3. I confini nazionali delimitano lo spazio di implementazione delle politiche tecnologiche.
Essi costituiscono quell’insieme di fattori attraverso i quali si può pensare che specificità nazionali
influenzino il funzionamento del processo innovativo.
A seguito della globalizzazione si sono realizzati due fenomeni importanti:
 Una nuova fase nelle strategie di espansione delle imprese multinazionali (IMN) caratterizzata
dalla crescita degli investimenti diretti esteri (IDE), fusioni, acquisizioni e cooperazione a
livello internazionale.
 L’ampia diffusione delle tecnologie informatiche che permette la convergenza delle tecnologie
del controllo, delle telecomunicazioni e dei computer. Ciò comporta un aumento dello
scambio di informazioni su scala mondiale.
La comunicazione, lo scambio di informazioni e la possibilità di un controllo più ravvicinato hanno
aumentato la possibilità di un efficiente coordinamento fra la casa-madre e le sussidiarie.

13.4 I sistemi settoriali di innovazione (SSI)


Il processo innovativo e le tipologie sistemiche di tale processo dipendono dal settore industriale che
si prende in considerazione. Essi ritengono che il confine del sistema sia in parte endogeno al settore
e quindi rivolgono l’attenzione alle similarità e differenze settoriali dei processi innovativi. Vi sono
differenze importanti nei modi in cui i settori innovano e si sviluppano e che queste differenze hanno
un’origine di carattere tecnologico.
Il concetto di sistema settoriale di innovazione (SSI) rappresenta, pertanto, il tentativo di studiare i
processi innovativi a livello settoriale, includendo i processi di selezione e interazione fra imprese, il
ruolo delle istituzioni e la dimensione geografica delle attività innovative. I SSI sono costituiti da
imprese che producono e sviluppano quell’insieme di beni che caratterizza il settore e genera e
utilizza le tecnologie del settore. Tali imprese sono collegati in due modi, attraverso i processi di
interazione e collaborazione per lo sviluppo di beni e delle tecnologie. In un SSI le imprese
interagiscono con altre organizzazioni (università, governo, centri di ricerca) ed agiscono tenendo
conto delle istituzioni proprie del settore o che hanno una dimensione nazionale o locale. Il concetto
di SSI focalizza la sua attenzione sulle dinamiche industriali, sottolineando le caratteristiche di
regolarità, nei processi settoriali di competizione, cooperazione, selezione e di costruzioni di network.
Tale regolarità trovano origine nelle caratteristiche comuni della conoscenza, dei contesti di
apprendimento e della tecnologia nei diversi paesi. Malerba presenta alcuni tipi di SSI, come quelli
dei settori tradizionali, carta, legno, agricoltura, in cui la concentrazione dell’attività innovativa è
piuttosto debole. Il fatto che la prossimità geografica svolga un ruolo importante nella trasmissione di
conoscenza tecnologica fra imprese dipende in gran parte dalla natura tacita e specifica di tale
56
conoscenza.

14 La politica urbana

14.1 Introduzione
Esistono due approcci principali all’analisi delle politiche pubbliche per l’innovazione: quello
neoclassico e quello evolutivo. Nell’approccio neoclassico tradizionale, le politiche per l’innovazione
innanzitutto riguardano il sostegno pubblico alla ricerca scientifica. Poiché le conoscenze scientifiche
e tecnologiche incorporate in un’innovazione possiedono le caratteristiche di un bene pubblico: la
non rivalità nel consumo e la parziale non escludibilità dai benefici economici derivanti da
un’invenzione-innovazione riducono gli incentivi privati ad innovare. L’approccio neoclassico
riconduce alle ragioni dell’intervento pubblico nell’economia, ossia alla presenza di esternalità nella
produzione e al conseguente fallimento del mercato delle conoscenze (Arrow 1962). Un secondo
aspetto di questo approccio alle politiche per l’innovazione consiste nella modellizzazione del
processo innovativo come funzione di produzione di conoscenze. Questa rappresentazione
economica del processo innovativo è coerente con il modello di organizzazione della ricerca e
sviluppo (r-s), secondo cui le attività di r-s possono essere scomposte in diverse fasi sequenziali:
l’identificazione di un problema o l’ideazione di un nuovo prodotto, lo sviluppo di nuove tecniche e
prodotti, l’ingegnerizzazione e la prototipizzazione, e le altre attività scientifiche e tecnologiche
collegate alla R-S. Nella funzione di produzione di conoscenze e nel modello lineare di innovazione le
nuove conoscenze prodotte nell’attività di ricerca rappresentano l’input delle fasi successive del
processo innovativo, durante le quali il sapere prodotto nella fase a monte viene impiegato per la
soluzione di problemi specifichi nelle fasi a valle , come l’ingegnerizzazione e le commercializzazione.
Infine, un’ultima ipotesi fondamentale dell’approccio neoclassico è l’esistenza di un operatore
pubblico (social planner) perfettamente informato e ottimizzante.
Quest’ultima ipotesi si scontra con il fatto che l’attività innovativa è incerta e fonte di asimmetrie
informative a cui lo stesso operatore pubblico non può sottrarsi. Razionalità limitata, informazione
imperfetta e complessità del processo innovativo sono responsabili di diverse forme di “fallimento”
dello stato o delle agenzie pubbliche dedicate alle politiche per l’innovazione tecnologica.
Innanzitutto, lo stato non possiede una conoscenza diretta delle tecnologie e del processo innovativo.
In secondo luogo, lo stato non è in grado di prevedere perfettamente le conseguenze dei propri
interventi sul processo innovativo. Infine l’efficienza di strumenti tipici dell’intervento pubblico, come
la ricerca pubblica o i sussidi alla R-S privata, è indebolita dalla presenza di asimmetrie informative. La
nuova organizzazione industriale ha sviluppato l’approccio neoclassico analizzando le scelte
innovative nel contesto dell’interazione strategica tra imprese ottimizzanti, insistendo soprattutto
sull’asimmetria informativa e sui problemi (moral hazard e advers selection) che riducono l’efficienza
dei tradizionali strumenti di intervento (brevetti, sussidi, sgravi fiscali e commesse pubbliche). Questo
filone studia alcuni problemi del sistema dei brevetti, come la possibilità di duplicazione degli sforzi di
ricerca e di produzione socialmente subottimale di innovazioni, e la persistenza del monopolio
attraverso l’innovazione. Invece il filone evolutivo insiste sul ruolo centrale della conoscenza e sulla
razionalità limitata degli agenti economici, sulle inerzie organizzative e sui processi di apprendimento
delle singole organizzazioni coinvolte nel processo innovativo (imprese, policy maker, università,
utilizzatori). L’approccio evolutivo cerca di spiegare “Trade-off”, “trappole”, e “fallimenti” che sono
legati alla natura dinamica, incerta e discontinua delle attività innovative.

57
14.2 Fallimento Del Mercato Delle Conoscenze E Intervento Pubblico: Il Modello Di Arrow
Il modello che meglio riassume l’approccio neoclassico tradizionale alle politiche dell’innovazione è
quello di Arrow (1962). Questo modello vede nelle politiche pubbliche un intervento finalizzato alla
correzione del fallimento del mercato della conoscenza, che presenta le caratteristiche di bene
pubblico:
 Non rivalità nel consumo (che deriva dai costi di riproduzione di un’informazione)
 Non escludibilità (non completa appropriabilità dei benefici economici o esternalità da parte
dell’innovatore).
Inoltre, la produzione di innovazioni è caratterizzata da indivisibilità (elevati costi fissi) ed incertezza
(relativa ai costi e ai risultati del processo innovativo). Queste caratteristiche della produzione di
conoscenza spingono a comportamenti opportunistici (free riding) e ad un livello di spesa in r-s
inferiore rispetto a quello desiderato. Il modello di Arrow confronta gli incentivi privati a introdurre
un’innovazione di processo da parte di un’impresa monopolista e da parte di imprese concorrenziali.
Il modello discute anche le implicazioni di benessere sociale, introducendo il comportamento dello
stato (social planner). Le imprese concorrenziali e il monopolista hanno di fronte la stessa curva di
domanda di mercato DD’ della figura 14.1

14.2.1. CONCORRENZA
Prima dell’innovazione le imprese producono la quantità output di equilibrio Xc al costo unitario
costante c, che in equilibrio eguaglia il prezzo di mercato pm. Dopo l’innovazione le imprese pagano
una royality unitaria pari a r ad un inventore indipendente e producono a costi unitari c’ < c. Il nuovo
prezzo di mercato è p’m= c’+r. Il risultato sarebbe identico se l’inventore fosse una delle imprese
concorrenziali. L’incentivo dell’inventore dipende dalla natura dell’invenzione. Se è “drastica” (p’m <
c), come nella fig. 14.1, allora l’inventore può estrarre una rendita pari a r = p’m – c’, che corrisponde
al profitto unitario di monopolio. Nel caso in cui inventore e innovatore siano la stessa persona,
l’impresa innovatrice spiazza dal mercato le concorrenti e si comporta da monopolista. Se
l’invenzione non è drastica (p’m > c) l’inventore può guadagnare al massimo r= c-c’ (in concorrenza
perfetta il prezzo di mercato non può essere maggiore di c e la rendita dell’innovatore dipende dal
prezzo del bene).

14.2.2 MONOPOLIO
58
Prima dell’invenzione il monopolista produce la quantità di output Xm e fissa un prezzo pm in
corrispondenza dell’uguaglianza tra ricavi marginali e costi unitari (RM(Xm)=c). Assumendo che il
monopolista sia anche l’inventore, con l’adozione della nuova tecnologia di processo egli produce la
quantità X’m e fissa un prezzo p’m in corrispondenza di RM(X’m)=c’. L’incentivo del monopolista ad
introdurre l’invenzione è pari alla differenza tra profitti post e pre invenzione (Im = II’m – II).

Se l’invenzione è drastica l’incentivo dell’inventore che vende la propria tecnologia ad un’industria


concorrenziale (che equivale all’incentivo dell’impresa innovatrice che opera in concorrenza perfetta)
è maggiore dell’incentivo del monopolista (II’m – IIm < II’m). L’incentivo dell’inventore in
concorrenza è uguale all’area del rettangolo p’m ehc’, mentre quello del monopolista è dato dalla
differenza tra le aree p’m ehc’ e Pmbgc (fig. 14.1). Il monopolista deve calcolare il beneficio
dell’invenzione al netto dei profitti guadagnati con la vecchia tecnologia. Anche nel caso di
innovazione non drastica, Arrow dimostra che l’incentivo del monopolista è minore di quello
dell’inventore che offre la propria invenzione a un’industria concorrenziale. Arrow ammette che
quando la differenza tra c e c’ è modesta, l’incentivo del monopolista potrebbe superare quello
dell’inventore in concorrenza. Il modello giunge apparentemente a conclusioni opposte alle ipotesi
shumpeteriane, secondo cui un certo grado di monopolio ex ante sarebbe necessario per finanziare
l’attività innovativa ed inoltre mette in evidenza che neppure l’impresa concorrenziale ha incentivi
privati sufficienti a generare un livello di innovazione socialmente desiderabile. Infatti Arrow dimostra
che il beneficio finale dell’innovazione è maggiore sia del beneficio privato del monopolista che di
quello dell’impresa concorrenziale. Per es. nel caso di innovazione drastica il guadagno di benessere
collettivo prodotto dal monopolio, Bm, è pari alla differenza tra l’area aehc’ e l’area abgc della Fig
14.1. in caso di concorrenza il guadagno di benessere collettivo dell’innovazione è Bc = area aehc’ –
area adc. Il guadagno di benessere potenziale, Bs (area cdfc’) > Bm > Bc. Quindi il benessere sociale è
sempre maggiore dell’incentivo privato dell’innovatore garantito dal mercato. Ciò giustifica
l’intervento dello stato a sostegno della ricerca privata. Il modello ha dato l’avvio ad una serie di studi
successivi in ambito neoclassico che ne hanno messo in luce i suoi limiti come la mancata descrizione
del processo inventivo-innovativo: i costi della R-S, quindi l’efficienza del processo inventivo, possono
variare molto tra imprese in funzione del loro stock di conoscenze e di capitale umano. Un altro limite
importante riguarda l’assenza del processo di concorrenza ex ante tra inventori: la selezione
tecnologica rappresenta un momento centrale della concorrenza tra imprese che viene
rappresentato sia nella lettura evolutiva sia nella nuova organizzazione industriale.
La nuova organizzazione industriale ha evidenziato a differenza del modello di Arrow come il grado di
concentrazione (e il potere di mercato) possa avere effetti positivi sull’attività innovativa
sull’efficienza. Dasgupta e Stiglitz dimostrano che all’aumentare del numero di imprese la spesa di R-S
di ciascuna di esse si riduce e quindi i costi unitari di produzione (che dipendono da R-S) aumentano.
Sebbene le spese di R-S, sostenute dall’industria aumentino con l’entrata di nuove imprese, il livello
di R-S della singola unità produttiva si riduce: le maggiori spese complessive rappresentano quindi
uno spreco. Inoltre si può notare che la struttura di mercato e il tasso di innovazione sono entrambi
esogeni, ovvero determinati da variabili come la tecnologia di ricerca, le condizioni di domanda e la
protezione legale dell’innovazione. Un altro aspetto legato all’interazione strategica tra imprese
innovatrici è l’eccessiva velocità dell’innovazione o l’eccesiva rischiosità dei progetti intrapresi. Gli
investimenti in R-S, possono inoltre essere utilizzati come barriera all’entrata strategica.

14.3 Gli strumenti tradizionali dell’intervento pubblico in un contesto neoclassico


59
Il fallimento del mercato delle conoscenze e la necessita di un intervento pubblico orientato a
spingere questo mercato verso l’equilibrio richiedono l’adozione da parte dello stato di strumenti a
sostegno della r-s privata. L’approccio neoclassico ha analizzato l’efficienza economica di diversi
strumenti quali la tutela legale dell’innovatore (brevetti, copyright, marchi), gli sgravi fiscali e i sussidi
diretti alla R-S privata, la ricerca pubblica (svolta da università o da altri centri di ricerca) e la
domanda pubblica (acquisti di beni ad alta intensità di R-S e promozione di standard tecnologici).

14.3.1 I BREVETTI
Il sistema dei brevetti ha due vantaggi fondamentali. Anzitutto, favoriscono l’entrata nel mercato di
nuove imprese innovatrici, non dotate di risorse produttive adeguate a protegge le proprie
innovazioni con altri strumenti come il segreto industriale. Inoltre essi favoriscono le innovazioni
radicali, che si caratterizzano per elevata incertezza, elevati costi di sviluppo e lunghi tempi tra
invenzione e commercializzazione. Senza il sistema dei brevetti queste invenzioni probabilmente non
sarebbero state sviluppate. D’altra parte, il sistema dei brevetti conferisce all’inventore un potere
monopolistico nel mercato dei beni, che può dar luogo a inefficienza allocativa. Il trade off tra
efficienza statica e dinamica si riflette nella determinazione della durata e dell’ampiezza ottima dei
brevetti. L’analisi teorica della durata ottima è stata effettuata per primo da Nordhaus. Il problema è
stato affrontato da diversi paesi, come Germania e Giappone, istituendo classi di brevetto di durata
diversa in funzione dell’importanza dell’invenzione o inserendo delle tasse di rinnovo annuale. Questi
sistemi tendono a tutelare per periodi più lunghi le innovazioni più importanti, scoraggiando la
proliferazione nel tempo di brevetti secondari. Gli effetti negativi di un’eccessiva durata possono
essere arginati imponendo la concessione obbligatoria di licenze per favorire le invenzioni
complementare e che il titolare non abusi del suo potere di mercato. Secondo Merges e Nelson la
legge dovrebbe stimolare un ambiente concorrenziale che favorisce le invenzioni successive. Il
sistema dei brevetti non garantisce sempre una protezione effettiva dell’innovazione. Infatti,
l’efficacia della tutela legale dell’innovazione varia in funzione del tipo di tecnologia o del contesto
istituzionale. Negli USA prevale il “first to invent” (riceve il brevetto chi per primo inventa) mentre in
altri paesi prevale il “first to file” (il diritto è di chi per primo richiede la domanda). Il sistema dei
brevetti può indurre eccessivi investimenti in R-S: questo sistema spinge le imprese ad arrivare prime
alla brevettazione di una stessa invenzione, poiché il vincitore “prende tutto” questo spiega i
problemi dell’eccessivo investimento in R-S.

14.3.2 Sussidi all’innovazione


I sussidi rappresentano il principale strumento di sostegno diretto della R-S privata nei paesi OCSE. La
domanda di fondo a cui questi studi cercano di rispondere è se il finanziamento pubblico viene a
sostituirsi a quello privato (spiazzamento spesa privata) oppure c’è stata complementarietà
(addizionalità). Nella versione base del modello di Nordhaus le imprese operano in concorrenza
perfetta nel mercato dei beni e sostengono spese di R-S per introdurre un’innovazione di processo a
cui seguirà una riduzione dei costi unitari di produzione; la relazione tra costi di produzione e spese di
R-S, c(r), detta frontiera delle possibilità inventive, è data esogenamente ed è uguale per tutte le
imprese insediate. I costi unitari di ricerca sono pari al salario del personale addetto alla R-S e si
possono assumere costanti e pari w. Assumiamo che lo stato usi uno schema di sussidi del tipo
matching grants, in base al quale l’impresa che intraprende un nuovo progetto di ricerca riceve un
sussidio di q lire per ogni lira di R-S autofinanziata. Un caso tipico è rappresentato da q = 1, che
implica un finanziamento pubblico del 50% dei costi di ricerca sostenuti dalle imprese (es.
60
finanziamenti eureka). L’impresa innovatrice sceglie il livello di R-S che massimizza i propri profitti,
incorporando l’effetto del sussidio sui propri costi di R-S.

La fig. 14.2 illustra il costo marginale della R-S e la curva del beneficio marginale della R-S (π-π’). In
condizioni di informazione perfetta lo stato conosce la quantità di R-S di equilibrio in assenza di
sussidio, quindi può far sì che vi sia completa addizionalità del finanziamento pubblico. In questo
caso, in equilibrio il beneficio o profittabilità marginale della ricerca deve uguagliare il costo
marginale della ricerca, che con il sussidio si riduce da w a w/(1+q), inducendo un aumento della R-S
fino a r’1; ciò significa che per ogni lira di sussidio ricevuto, l’impresa aumenterà le proprie spese di R-
S di due lire. In condizioni di asimmetria informativa lo stato non conosce il livello di equilibrio della R-
S prima del sussidio, quindi l’impresa cercherà di spostare il livello di ricerca autofinanziata a sinistra
di r0, facendosi finanziare dei progetti di ricerca inframarginali (il cui beneficio marginale è maggiore
del costo marginale). Se l’impresa riuscisse completamente in questa operazione utilizzerebbe il
sussidio per farsi finanziare interamente progetti di R-S. In queste condizioni quindi la spesa pubblica
spiazzerebbe completamente quella privata e il sussidio diventerebbe un trasferimento a favore
dell’impresa innovativa. In realtà lo stato può evitare di finanziare progetti di entità molto grande
rispetto alle spese totali di R-S di un’impresa per evitare che la ricerca sussidiata spiazzi
significativamente quella finanziata dalla stessa impresa. Inoltre in condizioni di incertezza lo stato
potrebbe adottare una politica di allocazione dei sussidi molto conservativa, spingendo così le
imprese a spendere più di r0 per aumentare la probabilità di essere finanziate. L’efficacia pratica dei
sussidi alla R-S è controversa. Da un lato essi non hanno effetti negativi sulla diffusione tecnologica e
sull’efficienza nel mercato dei beni ma la R-S finanziata può spiazzare in parte quella non finanziata.
Inoltre i sussidi possono creare, ex post, problemi di moral hazard: per es. il sostegno pubblico può
trasferirsi in parte o completamente sul prezzo dei fattori innovativi (cap.umano), rendendo
trascurabile l’effetto del sussidio sul livello della R-S in termini reali.

14.3.3 SGRAVI FISCALI


L’effetto di uno schema di sgravi fiscali legati alle spese di R-S viene studiato assumendo un’impresa
rappresentativa che ha la massimizzazione del profitto come funzione obiettivo. Se assumiamo una
tassa sui profitti pari a t per cento, un tipico schema di incentivi fiscali consiste nell’includere le spese
di R-S tra gli oneri deducibili dal reddito imponibile e nel concedere inoltre un credito d’imposta pari
a K per cento delle spese di R-S. I profitti al netto delle tasse per l’impresa sono:

61
Dove (I-T)ri è la riduzione del reddito imponibile dovuta alle spese di R-S e ri(tk) è il credito di
imposta. Gli sgravi fiscali presentano tuttavia dei vantaggi rispetto ai sussidi. In primo luogo, gli sgravi
sono meno “visibili” in termini di bilancio pubblico, in secondo luogo hanno maggiori automatismi e
semplicità che permettono minori costi amministrativi; infine, il loro automatismo riduce la
discrezionalità dell’autorità di politica industriale, che quindi non deve discriminare tra imprese. Gli
sgravi fiscali presentano d’altro canto anche svantaggi
 essi possono produrre gli stessi effetti di sostituzione dei sussidi (nel senso di favorire imprese
che avrebbero comunque investito in R-S)
 non sono efficaci nei confronti di imprese giovani e di piccole dimensioni, che hanno bassi
livelli di reddito imponibile
 possono spingere le imprese a ridefinire le proprie attività di R-S interna in modo da
aumentare la base imponibile, generando soltanto effetti nominali sulla spesa privata di R-S.
Inoltre è uno strumento inadeguato per grandi progetti R-S che richiedono conoscenze dettagliate e
processi di difficile automazione.

14.3.4 ALTRI STRUMENTI


In Italia esistono altri strumenti di sostegno alla R-S privata come la ricerca pubblica, le commesse
pubbliche ed il credito agevolato. Il credito agevolato è stato introdotto dalla legge 46/1982 che ha
istituito “il fondo speciale per la ricerca applicata” di competenza del ministero per la Ricerca
scientifica e tecnologica e “il fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica”. Entrambi
prevedono agevolazioni in forma di sussidi ovvero contributi a fondo perduto e credito agevolato. Es.
legge Sabatini per l’adozione di nuovi macchinari.

14.4 L’approccio evolutivo alla politica urbana


In una prospettiva evolutiva le politiche per l’innovazione sono chiamate ad intervenire sulle
trappole, trade off e fallimenti che si verificano durante il processo di cambiamento e sono finalizzate
ad obiettivi come la competitività delle industrie nazionali, il mantenimento di elevati tassi di
innovazione, la diffusione di tecnologie avanzate e la crescita di regioni o distretti industriali. Diversi
sono i nodi su cui le politiche per l’innovazione devono intervenire

 fallimenti nei processi di apprendimento (es. difficoltà di adattamento nuove tecnologie)


 fallimenti nello sviluppo di complementarietà dinamiche necessarie a sostenere lo sviluppo e
la diffusione di nuove tecnologie
 trade off nei processi di innovazione e diffusione (es. nuove conoscenze e sfruttamento delle
conoscenze esistenti)

14.4.1 Fallimenti nei processi di apprendimento


I processi di apprendimento possono essere ostacolati, in primo luogo per la limitatezza degli sforzi di
R-S come notato da Cohen e Levinthal; la R-S serve non solo a creare nuove conoscenze ma anche a
favorire l’assorbimento delle conoscenze esistenti. In secondo luogo, per la mancanza di capitale
umano o di competenze professionali che ostacolano il processo di apprendimento. Esiste un insieme

62
articolato di politiche pubbliche che possono essere orientate alla soluzione di questi “fallimenti”:
 Sostegno della ricerca di base (università e centri di ricerca). Esse migliorano la capacità di
risolvere i problemi producendo esternalità a favore del sistema industriale.
 Sostegno di progetti di ricerca ad alta incertezza e complessità in tecnologie come
aerospaziale, il nucleare e la produzione di energia mediante commesse o programmi di
ricerca pubblici
 Politiche orientate alla diffusione di tecnologia e alla formazione di competenze a livello di
piccole e medie imprese.
 Politiche per la formazione del capitale umano. Questi interventi si rivolgono esplicitamente
alla formazione professionale in nuove discipline scientifiche e alla formazione permanente in
discipline consolidate. La capacità di risposta di un sistema industriale a nuove tecnologie è
fortemente condizionata dalla flessibilità, del proprio sistema di formazione. Es. sistema
statunitense
 Politiche orientate a sbloccare meccanismi di lock-in. La cumulatività che caratterizza i
processi di apprendimento può essere fonte di trappole di competenze.

14.4.2 FALLIMENTI NELLO SVILUPPO DI COMPLEMENTARIETA’ DIMANICHE


Lo sviluppo e diffusione di nuove tecnologie possono generare complementarietà internamente alle
imprese, tra imprese concorrenti, tra imprese localizzate in diversi stadi di un ciclo industriale e tra
settori diversi. Il mancato sviluppo di tali complementarietà può ritardare il processo di cambiamento
tecnologico. I fattori che possono ostacolare la formazione di complementarietà sono:
1. La mancanza di informazione circa gli altri attori o tecnologie complementari
2. La mancanza di elementi necessari ad attivare il funzionamento delle complementarietà. Es. il
mancato sviluppo di un sistema finanziario efficiente.
Le opportunità di intervento delle politiche pubbliche in presenza di questo tipo di fallimenti sono
diverse. Si tratta in generale di politiche orientate a stimolare lo sviluppo di legami tra elementi del
sistema che non riescono a connettersi per la mancanza di incentivi o per limiti cognitivi.
Lo sviluppo di complementarietà può richiedere un intervento pubblico sulla domanda potenziale di
nuove tecnologie: questo è il caso delle general purpose technologies (come le tecnologie
dell’informazione), le quali possono richiedere elevati investimenti anche in termini di
apprendimento, da parte degli utilizzatori. A questo proposito le politiche di sostegno della domanda
possono ridurre i costi e l’incertezza che frenano il coinvolgimento degli utilizzatori nelle fasi iniziali di
sviluppo di nuove tecnologie e contribuirne il decollo.

14.4.3. TRADE OFF NEI PROCESSI DI INNOVAZIONE E DIFFUSIONE


Esistono diversi tipi di trade-off che interessano il progetto tecnologico. I principali riguardano il
grado di varietà-selezione o esplorazione-sfruttamento delle conoscenze scientifiche-tecnologiche ed
il regime di appropriabilità dei benefici economici dell’innovazione. Il trade off tra creazione di varietà
(“distruzione creatrice”) e selezione (operata dal mercato o dalle politiche pubbliche) rappresenta il
motore del cambiamento tecnologico. Ogni sistema industriale dovrebbe essere in grado di garantire
sempre un certo mix di esplorazione e sfruttamento ma è difficile stabilire il mix ottimale, la teoria
evolutiva sostiene che tale mix si modifichi durante il ciclo di vita delle industrie e può essere diverso
tra le industrie.
Il policy maker in quanto non perfettamente informato e competente, corre il rischio di favorire con il
proprio intervento tecnologie che nel lungo periodo si possono rivelare molto inferiori ad altre. In
63
queste condizioni alimentare la concorrenza tecnologica può rappresentare una forma di
assicurazione contro il rischio di scartare precocemente una tecnologia superiore. L’incertezza che
circonda queste scelte di politica dell’innovazione rende lo stato simile ad un “gigante cieco”. Le
politiche pubbliche inoltre si trovano in una “finestra stretta” dovuta al path dependency e al lock-in.
Nelle fasi iniziali di sviluppo di nuove tecnologie con rendimenti crescenti occorre che lo stato
intervenga tempestivamente, sostenendo tecnologie alternative, prima che i rendimenti crescenti e
la selezione di mercato leghino in modo irreversibile il sistema economico ad uno standard
tecnologico inferiore; nelle fasi successive, quando occorre maggiore selezione, lo stato invece
dovrebbe intervenire per favorire i processi di selezione. Questo cambiamento delle politiche
pubbliche può incontrare però forti resistenze da parte di gruppi di interesse che hanno goduto del
sostegno pubblico nelle fasi iniziali.
Il trade-off tra protezione dell’innovazione e diffusione dell’informazione, è tradizionalmente
assegnato ai brevetti, altri strumenti di protezione che possono essere più efficaci sono il segreto
industriale, il lead time (arrivare primi con un’innovazione) e l’acquisizione di competenze
complementari.

14.4.4. La competenza del policy maker


Un aspetto fortemente sottolineato dalla teoria evolutiva riguarda le competenze delle organizzazioni
pubbliche. Queste mostrano in diversi casi di non possedere capacità adeguate a coordinare o gestire
nuove traiettorie tecnologiche complesse. Per es. in Italia emerge un quadro molto debole in termini
di ambiente istituzionale (norme, regole ecc.), sistema di incentivi ed apprendimento organizzativo
delle istituzioni pubbliche.
Esistono delle variabili che ci permettono di misurare indirettamente il livello di competenze
istituzionali. La prima variabile è la flessibilità e adattabilità di obiettivi, programmi e strumenti della
politica pubblica al cambiamento dell’ambiente tecnologico. Un’altra misura riguarda l’abilità delle
organizzazioni pubbliche di comprendere la dinamica industriale di specifici settori e di formulare
politiche adeguate alle specifiche caratteristiche settoriali. Un’altra dimensione delle competenze
delle organizzazioni pubbliche è rappresenta dalla capacità di articolare delle “visioni” appropriate sui
problemi da affrontare e sulle soluzioni da sviluppare. Infine, le competenze delle organizzazioni
pubbliche si manifestavano nella capacità di coordinamento degli attori coinvolti nei processi
innovativi; questa capacità si rivela spesso carente di fronte a nuovi sistemi tecnologici complessi, il
cui sviluppo coinvolge una molteplicità di organizzazioni diverse.

CAPITOLO 15 – La competizione tecnologica internazionale


Si parla di performance innovative e quindi la capacità di innovare dei diversi paesi OCSE, in
particolare USA, Giappone e Europa.
Gli studiosi hanno letto in chiave di competizione questa tematica e non in termini di analisi generale
(intesa come risultato di uno studio). A tal proposito i paesi vengono divisi in:
- Forging ahead: cioè quelli più performanti e che vanno avanti;
- Catching up: quelli che recuperano lo svantaggio, raggiungendo i primi (attraverso strategie di
imitazione);
- Folling behind: partano svantaggiati e man mano lo svantaggio si accumula o subiscono
processi involutivi.
Il confronto avviene fra paesi con livello di reddito pro-capite simile e si misurano le diverse
performance tecnologiche.
64
15.2.1 Gap tecnologico, convergenza e specializzazione
Dopo la seconda guerra mondiale gli studiosi si sono chiesti se esiste un processo di convergenza
tecnologica tra i paesi leader e i paesi follower. L’analisi si è basata sui seguenti indicatori: spese di
r&s (indicatore assoluto) e intensità di r&s (indicatore relativo  spese in R&S/PIL), brevetti,
commercio internazionale di prodotti ad alta tecnologia (se esporto prodotti ad alta tecnologia vuol
dire che sono specializzato in quel prodotto e sono più avanzato rispetto a quello che esporto, in
termini di qualità o di prezzo). La nostra analisi si concentra sui paesi OCSE e in particolare su Stati
Uniti, Giappone ed Europa che da soli totalizzavano il 95% dei brevetti registrati.

15.2.2 R&S e brevetti


Diversi studi analizzano il processo di convergenza tra i paesi in termini di reddito pro capite e di
attività tecnologiche, misurate con le spese di R&S e con i brevetti. I dati mostrano una forte
convergenza nel periodo compreso tra gli anni ’50 e la prima metà degli anni ’70. La maggior parte di
questa convergenza viene collegata a processi di inseguimento del paese leader da parte dei paesi
follower. Dalla metà degli anni ’70 il processo di convergenza si arresta ed in parte declina. Soete e
Verspagen propongono un indice di convergenza pari alla media ponderata degli scarti dell’intensità
di R&S di ciascun paese rispetto all’intensità del paese leader:

Dove Yif e Yti rappresentano rispettivamente l’intensità della R-S del paese leader e dei paesi follower
nell’anno t. Questo indice varia tra 0 e 1, rispettivamente max convergenza (la differenza che sta al
numeratore si annulla perché i paesi sono uguali) e min convergenza. Soete e Verspagen hanno
calcolato l’indice di convergenza per diversi gruppi di paesi: tutti i paesi OCSE, il gruppo di paesi
inseguitori, come la Germania e il Giappone e infine la Corea del Sud. Similmente all’andamento del
PIL pro capite, i maggiori paesi inseguitori (intensità di R&S > 1%) recuperano rapidamente terreno
rispetto al paese leader durante il periodo compreso tra gli anni cinquanta e la fine degli anni
settanta.
Successivamente fino alla fine degli anni ’80 la convergenza si arresta. L’indice di convergenza sale
leggermente e poi torna a scendere molto lentamente, senza però oltrepassare la soglia di 0,5. Sia su
dati di R&S che su quelli dei brevetti si riscontra la stessa tendenza.
Baumol mette in evidenza la formazione di convergence clubs per indicare che la convergenza è un
fenomeno limitato a pochi paesi.  relazione positiva tra reddito pro-capite, R&S e brevetti vuol dire
che i paesi avanzati innovano di più. Nonostante i segnali di convergenza, la gerarchia dei maggiori
paesi innovatori rimane piuttosto stabile tra gli anni sessanta e gli anni ottanta (anche se si riducono
le distanze), inoltre Patel e Pavitt studiano le posizioni relative degli innovatori in termini di brevetti
pro capite tra il periodo 1963-68 e il periodo 1986-90, indicando un’elevata stabilità delle posizioni,
come dimostra il coefficiente di correlazione di rango.  tutto questo è dovuto a differenze nel
capitale umano o differenze alle specializzazioni tecnologiche di un paese.

15.2.3. IL CAPITALE UMANO


Per semplicità ci limitiamo a fornire una fotografia recente delle differenze tra i maggiori paesi ocse,
concentrandoci su due tradizionali indicatori: una misura dell’output del sistema di istruzione
65
(distribuzione della forza-lavoro per livello di istruzione) e una misura di input (le spese per istruzione
per studente in percentuale del reddito pro capite). Esistono ancora significative differenze tra paesi
OCSE nei livelli di istruzione delle forze di lavoro, sia a livello di istruzione secondaria che a livello di
istruzione universitaria. Quando si considerano le spese unitarie per l’istruzione in rapporto al reddito
pro-capite le differenze più marcate riguardano l’istruzione universitaria dove gli USA confermano la
loro leadership, seguiti da Regno Unito e dal Giappone.

15.3 Tecnologia come bene pubblico e cath-up


Secondo la visione neoclassica la tecnologia è un bene puramente pubblico e pertanto liberamente
trasferibile tra Paesi e imprese, quindi la tecnologia non può essere una fonte di differenze di lungo
periodo tra paesi. Il progresso tecnologico è una fonte esogena di produttività ugualmente accessibile
a tutti attraverso l'imitazione e l'investimento in nuovi beni capitali. Le differenze tra Paesi in termini
di crescita della produttività e di dotazione tecnologica sono solo transitorie e si possono ricondurre a
differenti condizioni iniziali.
I Paesi arretrati crescono più rapidamente dei paesi leader perché la loro intensità di capitale (K/L) è
inferiore e, quindi, maggiore è la produttività del capitale (Q/K) , maggiori sono quindi gli incentivi a
investire. La diversa produttività mette in moto un processo automatico di aggiustamento che in
equilibrio annulla il GAP tecnologico iniziale tra i paesi.

15.3.2 Le teorie del GAP tecnologico


Rispetto all'approccio neoclassico, le teorie della crescita di ispirazione schumpteriana riconoscono il
progresso tecnologico come un Giano bifronte: da un lato esso è fonte di nuove opportunità di
crescita per i paesi arretrati, ma dall'altro lato può contribuire al persistere o all'allargarsi dei divari di
produttività tra i paesi.
Gerschenkron (1962) ha notato che sebbene il gap iniziale sia una “grande promessa di crescita”,
come sostiene la teoria neoclassica, si tratta di una promessa difficile da realizzare. Egli pone in
evidenza l'esistenza di barriere interne agli stessi paesi di natura sociale (resistenza al cambiamento)
e di barriere tecnologiche. Un'altra condizione che influenza la riduzione del gap tecnologico è
rappresentata dalla coerenza tecnologica (Abramovitz, 1986). La coerenza rappresenta la distanza o
sintonie tra le tecnologie prodotte e adottate dai paesi leader e l'ambiente socio-economico dei paesi
followers, inoltre l'assorbimento di spillover tecnologici proveniente da altri paesi richiede il possesso
di social capabilities (capacità collettive, che risultano dalla combinazione di capacità tecnologiche,
istituzioni politiche, industriali, commerciali e finanziarie).
L'interazione tra coerenza tecnologica e social capabilities è all'origine di diversi percorsi di crescita
economica e di sviluppo tecnologico. Questo spiega le differenze tra Paesi che raggiungono i leader
(forging ahead), paesi inseguitori (catching up) e paesi che perdono terreno (falling behind).
La teoria del gap tecnologico, e successivamente quella della crescita “endogena” hanno messo in
evidenza che i processi di convergenza tecnologica (ed economica) dei paesi non sono automatici e
che i differenziali iniziali devono essere accompagnati da azioni deliberate dalle imprese e dalle
istituzioni rivolte ad imitare, adattare tecnologie e forme organizzative sviluppate da altri paesi.
Inoltre la probabilità di convergenza è maggiore quando questi partono da differenziali di produttività
non troppo elevati e appartengono alla stessa area economica. La dimensione istituzionale e le social
capabilities sono importanti nel determinare differenze tra paesi nei livelli e nella composizione delle
attività tecnologiche perché queste conoscenze tecnologiche non sono un bene pubblico puro. La
dimensione locale delle esternalità deriva dalla mobilità e riproducibilità limitata delle conoscenze,
66
che a loro volta dipendono dai legami delle conoscenze con il contesto economico-istituzionale
originario e dalla dimensione tacita di una parte delle conoscenze. Ne deriva che i paesi che sono
lontani dalle fonti di innovazione possono accumulare uno svantaggio assoluto rispetto a imprese e
paesi “dotati”. Cumulatività, rendimenti crescenti e dimensione locale delle esternalità favoriscono la
concentrazione industriale e geografica delle attività tecnologiche, e sono quindi all’origine di divari e
di differenti specializzazioni tecnologiche di lungo periodo, che in parte si riflettono sulla performance
commerciale e sul tasso di crescita della produttività dei paesi.

15.4.1 Tassonomia di Ergas – Sistemi mission oriented e sistemi diffusion oriented


Le politiche tecnologiche riflettono quelle che possiamo definire le caratteristiche strutturali
dell'ambiente nazionale, il quale è costituito da 3 elementi:
1. l'infrastruttura scientifica-tecnologica: Sistemi di istruzioni e formazione professionale,
laboratori di ricerca pubblici e privati, associazioni scientifiche e tecniche.
2. La domanda nazionale: Ampiezza e qualità della domanda definiscono il livello di opportunità
di mercato per l’innovazione specifiche di un paese e contribuiscono a creare vantaggi
competitivi iniziali per le imprese domestiche.
3. La struttura industriale: definita dalla dimensione delle imprese, dal tasso di entrata di nuove
imprese innovative, dall’intensità di concorrenza e dalla cooperazione tra le imprese.
L'interazione tra condizioni strutturali e politiche pubbliche (a sostegno dell'innovazione) è alla base
della distinzione tra:
 sistemi mission oriented (USA, Gran Bretagna e Francia): puntano al technology shifting. Le
politiche tecnologiche espresse da questi sistemi comportano lo spostamento di risorse da
vecchi a nuovi usi e sono fortemente condizionate dalla ricerca di obiettivi tecnologici di
rilevanza nazionale (prestigio) e dal perseguimento di innovazioni radicali. Es: spese di R&S
elevate nel settore militare.
 sistemi diffusion oriented (Germania, Svizzera, Svezia): sono orientati prevalentemente al
technological deepening, o movimento dentro la frontiera, quindi alla ricerca di una maggiore
produttività delle risorse per gli stessi usi. Di conseguenza la performance tecnologica di
questi sistemi è di tipo incrementale. Le politiche tecnologiche espresse da questi sistemi sono
motivate all'accumulazione di competenze tecnologiche diffuse a livello di sistema industriale,
attraverso l'offerta di beni pubblici collegati all'innovazione.

Limiti (della tassonomia di Ergas)


La distinzione tra sistemi mission e diffusion oriented non spiega due regolarità osservate nei modelli
di specializzazione tecnologica:
1. specializzazione nella chimica comune ai modelli mission oriented (USA) e diffusion oriented
(Germania)
2. specializzazione tecnologica ed elettronica nei computer di USA e Giappone, a fronte di un
marcato declino dei paesi europei, Gran Bretagna compresa.
Questi esempi mettono in rilievo l'esistenza di fattori che sfuggono alla distinzione tra sistemi
missione diffusione.

15.4.3. L’importanza delle competenze istituzionali: l’esempio giapponese


Il sistema giapponese presenta diverse caratteristiche che lo accomunano ai sistemi diffusion-
oriented. La sua performance tecnologica presenta peculiarità difficili da spiegare. Un obiettivo
67
nazionale che ha sempre guidato l’azione del governo giapponese nel campo delle politiche pubbliche
dopo la seconda guerra mondiale è rappresentato dal sostegno alla competitività delle imprese
nazionali. I meccanismi di legittimazione del MITI si sono fondati soprattutto sullo sviluppo di capacità
di guida e coordinamento amministrativo, piuttosto che su incentivi finanziari. Il MITI ha saputo
sviluppare delle competenze amministrative tali da correggere la “miopia” degli agenti privati,
intervenendo a sostegno dei fallimenti di mercato legati, ad es. all’elevata incertezza tecnologica,
come nel caso dell’itc, l’energia e l’ambiente.
Il primo elemento che emerge da questa esperienza è che le imprese giapponesi partecipanti a molti
progetti hanno investito maggiormente in aree tecnologiche nelle quali avevano già forti competenze
tecnologiche e quindi, probabilmente, una maggiore capacità di assorbire le esternalità prodotte dai
programmi nazionali. Un secondo elemento di riflessione riguarda il possesso di capacità “a valle”
della R-S, come l’ingegnerizzazione e lo sviluppo dei prodotti. Il possesso di queste capacità aumenta
l’appropriabilità dei benefici economici delle conoscenze tecnologiche. Un ulteriore elemento
riguarda il fatto che la partecipazione ai programmi nazionali di imprese straniere crea per le imprese
nazionali delle opportunità di assorbimento di conoscenze estere.

15.5 CONCLUSIONI
Dopo la seconda guerra mondiale Europa e Giappone hanno recuperato il ritardo tecnologico verso
gli Stati uniti. In alcuni comparti alcuni paesi follower, come il Giappone nell’elettronica di consumo e
nei trasporti, hanno sorpassato il paese leader. Il processo di convergenza tecnologica sembra aver
rallentato però negli anni ottanta. Durante questo periodo il vantaggio americano, soprattutto nei
confronti dell’Europa, è tornato ad ampliarsi. Negli anni novanta questa tendenza rimane
sostanzialmente inalterata. Questi segnali contrastanti di convergenza sono limitati ad un club di
paesi simili, in termini di reddito pro capite. Per queste persistenti differenze tra paesi nei livelli
occorrono azioni dei governi e delle istituzioni orientate a formare le capacità sociali (tecnologica e
capitale umano) necessarie per assorbire conoscenze generate da altri sistemi e per sviluppare
competenze innovative autonome.

CAPITOLO 16 – Il sistema innovativo Italiano


16.2 Storia e principali caratteristiche dell’industria italiana
L’Italia rappresenta uno dei casi di successo della crescita economica del dopo guerra. Per
comprendere il sistema innovativo durante gli anni ’80 e ’90 va sottolineato che in Italia sono presenti
due sistemi innovativi:
- il network di piccole imprese: è composto da PMI che interagiscono intensamente a livello
locale.
- Il sistema di R-S su larga scala: è composta da grandi imprese con laboratori industriali, da
piccole unità produttive ad alta tecnologia, da università, collegati attraverso un complesso
sistema organizzativo a livello nazionale.
I principali aspetti storici e strutturali dell’industria italiana, che possono essere utilizzati per
comprendere le specificità del “modello Italia” a livello di innovazione e diffusione, sono distinti in:
1. Un’industrializzazione recente: L’Italia pur essendo caratterizzata, già prima della seconda guerra
mondiale da industrie siderurgiche, automobilistiche, meccaniche, solo dopo gli anni 50’ essa ha
sviluppato un’industria moderna, ove hanno cominciato ad emergere competenze manageriali,
tecnologie avanzate.
2. Mancanza di una tradizione di R-S industriale: In Italia prima della seconda guerra mondiale non
68
c’era una tradizione di R-S industriale, esistevano solamente dei centri di eccellenza in alcune
imprese. Attorno gli anni 50’-60’ l’Italia era un paese a bassa intensità di R-S e follower dal punto
di vista tecnologico, in Italia in quell’epoca il progresso tecnico sviluppato dalle imprese, avveniva
per merito delle licenze straniere ottenute. Negli anni 80’ si ebbe una crescita dovuta grazie agli
aumenti in R-S sia da parte del settore privato che pubblico.
3. Un paese dualistico in termini di dimensione d’impresa e di differenze Nord-Sud: La rapida crescita
economica dopo la seconda guerra mondiale avviene all’interno di una economia dualistica in
termini geografici e di dimensione d’impresa. Le piccole imprese sono molto numerose nei
settori tradizionali e nei settori dei fornitori specializzati. D’altro canto il cuore dell’industria
italiana è costituito da poche “grandi imprese” attive soprattutto nei settori ad alta intensità di
scala. Solo recentemente è nata una classe media composta da diversi gruppi di medie
dimensioni. La maggior parte delle grandi imprese è situata nelle regioni settentrionali, mentre il
sud è caratterizzato da un basso grado di industrializzazione.
4. I diversi processi d’internalizzazione dell’economia italiana: Fino agli anni 80’ le imprese italiane
hanno esportato in misura consistente in settori tradizionali quali il tessile, le calzature, e avendo
dunque un basso livello di internalizzazione. Solo recentemente il livello di internalizzazione è
aumentato in attività produttive, commerciali e accordi di cooperazione in R-S.

16.3 L’innovazione in Italia: un quadro d’insieme (schemi ricerca pace)


Negli anni fra il 1990 e il 1992 un terzo delle imprese italiane (33000) ha introdotto innovazioni
tecnologiche, ma solo metà di queste tecnologie ha svolto attività di R-S. Gli obiettivi dell’attività
innovativa si possono identificare principalmente in due:
 Miglioramento delle performance dei prodotti e la riduzione dei costi di produzione;
 La R-S svolta dai concorrenti.
Per quanto riguarda le fonti dell’innovazione individuate dalla ricerca PACE (tab16.3) per le imprese
italiane il reverse engineering e i fornitori rappresentato i canali di conoscenza più utilizzati. Anche i
clienti e le imprese affiliate svolgono un ruolo di estrema importanza. Queste ultime però
costituiscono una fonte più importante per le imprese europee che per quelle italiane ad eccezione
del settore meccanico. Di scarso rilievo appaiono invece le università, gli istituti di ricerca e le join
venture. Esaminando le spese innovative emerge la prevalenza dell’acquisto e utilizzo di tecnologie
incorporate (in beni capitali e impianti) quale forma principale di innovazione: tali investimenti
rappresentano infatti il 47% delle spese totali e sono seguiti dalle spese in R-S che coprono il 35,8%
del totale. Appare invece molto limitata la spesa per acquisire tecnologie tramite brevetti e licenze;
scarso rilievo hanno anche le spese per progettazione e per prototipi. Anche in questo caso però
esistono forti differenze a livello di dimensione d’impresa e di settore: le grandi imprese innovano
principalmente tramite attività di R-S, mentre le piccole imprese spendono preferibilmente
nell’acquisto di tecnologie incorporate di beni capitali ed impianti. I settori che spendono
maggiormente per l’innovazione sono quelli ad elevate economie di scala, mentre nei settori
tradizionali sono destinate poche risorse all’innovazione. La tipologia di innovazioni (processo,
prodotto e complesse) è legata più al settore di appartenenza che alla dimensione delle imprese. Per
quanto riguarda infine gli ostacoli all’innovazione, i principali sono legati ai costi troppo elevati, alla
mancanza di fondi ed al periodo troppo lungo di recupero dell’investimento. I fattori che limitano
l’innovazione sono quindi più di natura economico-finanziaria che di natura tecnologica.

16.4 Il network delle piccole imprese


69
Gran parte dell’industria italiana è composta di un ampio gruppo di piccole e medie imprese che
operano nei settori tradizionali, nella meccanica e nei settori che forniscono beni capitali. Le PMI
formano un network di apprendimento molto dinamico, esse sono caratterizzate da avanzate
capacità di assorbire e migliorare le nuove tecnologie sviluppate. In generale si può dire che
l’innovazione non è il risultato di R-S formale, ma di apprendimento informale derivante
dall’esperienza, dall’utilizzo e dall’interazione con gli altri utilizzatori e fornitori. Nel network di PMI
possono essere identificate tre tipi di imprese:

16.4.1 Il distretto industriale


Il distretto industriale è un’area a livello spaziale in cui sono presenti numerose piccole imprese, che
appartengono a un settore industriale (es: distretto industriale di Prato della seta). La maggior parte
delle imprese operanti in un distretto sono altamente specializzate e sono responsabili di un limitato
numero di compiti, solitamente relativi ad uno specifico stadio della produzione. Il successo dei
distretti in Italia è legato ad una struttura istituzionale che si compone prevalentemente di
organizzazioni provinciali e regionali assai efficaci nel sostenere le imprese del distretto. La diffusione
della tecnologia di processo all’interno del distretto è molto rapida. Il progresso tecnico si diffonde
velocemente attraverso la trasmissione di info fra un numero ampio di produttori, che condividono
una cultura comune, hanno livelli di competenze simili, e quindi sono in grado di trasmettere e
assimilare conoscenza tacita. Nei distretti sia le innovazioni di prodotto che di processo sono
incrementali. Quelle di prodotto sono il risultato delle competenze nel design e dell’abilità di
focalizzazione sulle specifiche richieste del mercato. Le innovazioni di processo derivano invece dal
Learning By Doing nei singoli stadi di produzione.

16.4.2 Le imprese produttrici di beni capitali


L’industria italiana è caratterizzata dalla presenza di un gran numero di imprese produttrici di beni
capitali, che sono innovative e competitive a livello internazionale. Molte di queste imprese non
hanno un laboratorio di R-S formale: la loro conoscenza è per lo più non codificata, tacita, specifica ed
incorporata nei tecnici e negli ingegneri. L’apprendimento da interazione, attraverso la relazione
utilizzatore-produttore, riveste un ruolo di primo piano nell’innovazione di prodotto. Tali legami
verticali sono molto importanti nell’offrire uno stimolo all’innovazione e continui feedback da parte di
utilizzatori sofisticati sui beni capitali prodotti.

16.4.3 Le imprese dei settori tradizionali


Un ultimo gruppo di imprese è costituito dalla grande popolazione di PMI che operano nei settori
tradizionali, ma non sono collocate in un distretto. In questo gruppo l’introduzione di nuovi prodotti è
guidata dalle capacità di marketing e produzione legate al design, alla creazione di prodotti su misura
e alla segmentazione del mercato; queste imprese traggono beneficio dall’innovatività dei produttori
di beni capitali situati a monte.

16.4.4 Il successo delle politiche a favore del network di piccole e medie imprese
Due tipi di politiche hanno influenzato le diverse tipologie di piccole e medie imprese:
1. Le politiche in favore dell’adozione di nuovo beni capitali
2. Le politiche di informazione e diffusione della tecnologia

1. Politiche in favore dell’adozione di nuovi beni capitali


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Queste politiche hanno promosso l’acquisto o il leasing di nuovi macchinari, hanno consentito lo
sviluppo, l’espansione e la modernizzazione delle strutture delle PMI e infine hanno promosso lo
sviluppo della competitività e dell’innovazione delle piccole imprese, mediante l’agevolazione di
investimenti per immobilizzazioni immateriali, macchinari e impianti.

2. Politiche di informazione e diffusione tecnologica


Sono state lanciate sia a livello nazionale, sia a livello regionale e locale. Il settore pubblico ha
sostenuto numerosi parchi scientifici e tecnologici (soprattutto al Sud) con l’obiettivo di creare nuove
opportunità imprenditoriali a livello locale e di diffondere le conoscenze e le competenze
tecnologiche sviluppate in loco o disponibili all’esterno dell’area.

16.5 Il sistema della R-S su larga scala


Il sistema della R-S su larga scala comprende differenti attori: le grandi imprese oligopolistiche,
piccole imprese ad alta intensità di tecnologia, le università, centri pubblici di ricerca, governi centrali
e locali. Vi sono pertanto molte debolezze nel paese italiano: poche grandi imprese, poche piccole
imprese ad alta intensità di tecnologia, insufficienti meccanismi di interfaccia fra industria, università
e centri di ricerca, un limitato grado di internalizzazione ed una politica pubblica di sostegno
all’innovazione nell’alta tecnologia poco organica e poco coordinata nei suoi diversi livelli di
intervento. Vi sono comunque numerosi fattori che ostacolano il pieno sviluppo di R-S in Italia, che
sono:

16.5.1 Creazione limitata di opportunità tecnologiche avanzate


La creazione di avanzate opportunità scientifiche e tecnologiche in Italia è stata caratterizzata da una
frammentazione delle attività di ricerca e da un’elevata variabilità dell’output scientifico. Infatti il
livello di ricerca nelle università italiane differisce notevolmente fra i campi scientifici; questa elevata
differenziazione non permette di raggiungere standard ottimali nelle R-S. questa situazione è inoltre
aggravata dalla scarsità di fondi disponibili per l’acquisto e l’utilizzo di strumenti di ricerca avanzati e
dalla difficoltà di svolgere una ricerca “multidisciplinare” all’avanguardia.

16.5.2 Deboli condizioni di domanda


Sino a poco tempo fa le condizioni di domanda hanno ostacolato l’innovazione nel sistema R-S. il
mercato italiano non ha stimolato l’attività innovativa nei settori basati sulla scienza. Le dimensioni
ridotte del mercato hanno limitato le imprese a investire in R-S. Inoltre le grandi imprese hanno
raramente offerto stimoli innovativi ai produttori locali, perché esse stesse in molti casi non erano
innovative. Fino a pochi anni fa le grandi imprese preferivano acquistare all’estero componenti o beni
capitali avanzati piuttosto che stimolare un’offerta locale.

16.5.3 Un ristretto nucleo oligopolistico


Il numero ridotto di grandi imprese e la dimensione limitata di nuclei oligopolistici sono le principali
caratteristiche di distinzione con altri paesi industrializzati. Gran parte della R-S in Italia è concentrata
in pochi grandi gruppi industrializzati: auto, chimica, farmaceutica, elettronica e gomma. Inoltre, la
ricerca industriale è stata caratterizzata da una mancanza di sistematicità e coordinamento con le
attività di produzione e di commercializzazione delle imprese.

16.5.4 Poche piccole imprese high-tech


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Un altro fattore che limita lo sviluppo del sistema di R-S in Italia è la scarsa presenza di nuove imprese
ad alta tecnologa operanti nell’elettronica, software, biotecnologia e nei servizi.

16.5.5 Debole interfaccia tra università, istituti di ricerca pubblica e industria


Un’altra debolezza del sistema italiano di R-S riguarda le relazioni fra università, istituti di ricerca e
industria. In Italia dunque esiste una scarsa interazione fra imprese e università.
L’efficacia e l’efficienza delle relazioni industria-università-centri di ricerca sono state ostacolate dal
limitato numero di centri di eccellenza nelle università italiane, dalla scarsa mobilità e dalla struttura
burocratica del sistema universitario, dall’assenza di adeguati meccanismi per diffondere
l’informazione sulla ricerca svolta dai centri pubblici e dalla scarsa propensione delle università a
collaborare con le imprese.

16.5.6 L’ancor limitata (seppur crescente) internalizzazione del sistema italiano


L’internalizzazione dell’industria italiana nei primi anni 90’ si caratterizza per due fenomeni:
1. Il progressivo rallentamento della spinta propulsiva delle maggiori imprese industriali del
paese
2. Un dinamismo dei gruppi di media dimensione operanti nei settori tradizionalmente
competitivi dell’industria italiana e degli investimenti diretti esteri delle PMI.
Generalmente gli investimenti diretti esteri effettuati dalle imprese di piccole dimensioni hanno come
scopo la ricerca di nuovi mercati per i propri prodotti.

16.5.7 Il ruolo delle politiche pubbliche


In Italia attualmente, l’intervento pubblico si articola nel seguente modo:
1. Programmi finalizzati del CNR: sono programmi rivolti a un’ampia gamma di campi di ricerca:
alimentare, cura della salute, terra e ambiente, tecnologie all’avanguardia, energia ecc. Tali
programmi hanno seguito un approccio bottom-up: inizialmente, la leadership universitaria ha
diretto i programmi verso la ricerca accademica; in un secondo momento l’attenzione si è
spostata verso la ricerca applicata, con maggiori fondi concessi alle imprese ed una maggiore
enfasi sul coordinamento delle diverse unità operative coinvolte.
2. Il fondo per la ricerca applicata: ha lo scopo di favorire lo sviluppo di tecnologie avanzate
nell’ambito del sistema industriale. Il fondo rappresenta un sostegno finanziario esclusivamente
a favore dei progetti di “ricerca applicata industriale” autonomi o presentati da società di ricerca
costituite con la partecipazione di risorse del Fondo. Esso si colloca a monte del processo innov.
3. Fondo per l’Innovazione tecnologica: sostiene l’attività di progettazione, sperimentazione e
sviluppo ed interviene su progetti propositi in modo autonomo dalle imprese, che intendono
introdurre rilevanti avanzamenti tecnologici finalizzati allo sviluppo di nuovi prodotti ed al
miglioramento dei processi produttivi e dei prodotti esistenti. Si colloca a valle della catena
innov.
4. Programmi nazionali di ricerca: sono finalizzati allo sviluppo di tecnologie particolarmente
innovative e strategiche, applicabili a livello industriale nel medio periodo. Tali ricerche
intendono fornire tecnologie di base e avanzate e presentano un rischio elevato sia tecnico-
scientifico, sia industriale.
5. I progetti Eureka e le politiche pubbliche europee: l’iniziativa Eureka ha l’obiettivo di aumentare la
competitività delle industrie e delle economie nazionali europee sul mercato mondiale,
attraverso la cooperazione tra le imprese e gli istituti di ricerca di diversi paesi nei settori ad alta
72
tecnologia. Essa si caratterizza per un approccio “dal basso”, per una notevole flessibilità e per la
mancanza di aree tecnologiche predeterminate.

16.6 Circoli virtuosi e circoli viziosi


 I circoli virtuosi si sono venuti a manifestare nel primo sistema innovativo, fra produttori di beni
capitali e componenti e gli utilizzatori, in particolare le imprese dei distretti industriali. Le
imprese utilizzatrici tecnologicamente innovative e altamente competitive hanno richiesto beni
capitali, riuscendo così a migliorare le proprie capacità tecnologiche e la propria competitività. È
opportuno dire che i circoli virtuosi hanno notevolmente influenzato il tasso di diffusione delle
nuove tecnologie.
 I circoli viziosi si sono venuto a manifestare nel momento in cui sono venuti a mancare la
competitività o competenze tecnologiche che hanno portato al blocco di introduzione di
innovazioni o lo sviluppo di capacità tecnologiche. Un chiaro esempio di circolo vizioso è dato
dall’assenza o dalla limitatezza di interazioni fra i diversi partecipanti nel sistema nazionale della
R-S.

CAPITOLO 17 – Tecnologia e occupazione


17.2 Tassonomia derivata da dibattito fra gli economisti classici
La preoccupazione tecnologica ha caratterizzato particolarmente il periodo della prima rivoluzione
industriale raggruppando le due grandi ortodossie del periodo, con i relativi autori raggruppati sotto
gli attributi di “pessimisti” e “ottimisti”. Una, prevalente nei periodi di recessione e di alta
disoccupazione, tesa a sottolineare le conseguenze labour-saving delle innovazioni di processo (se
aumenta la domanda – elasticità al prezzo – potrebbe aumentare l’occupazione. Le innovazioni di
prodotto hanno effetti occupazionali positivi nei settori che producono macchinari e negativi nei
settori che producono nuovi investimenti. L’altra, prevalente nei periodi di espansione economica,
impegnata a sottolineare l’efficacia dei meccanismi compensativi che possono controbilanciare
automaticamente gli effetti diretti labour-saving del cambiamento tecnologico. La maggior parte degli
economisti riguarda la seconda categoria, di cui Marx era il portavoce e definì la teoria della
compensazione, secondo cui il cambiamento tecnologico comporta un effetto diretto di risparmio del
lavoro, che però viene automaticamente compensato da una serie di meccanismi di mercato innestati
dallo stesso progresso tecnologico. In Europa prevalenti innovazioni di processo che riducono
l’occupazione per via della meccanizzazione.
Egli individua 5 meccanismi di compensazione (Mdc):
1. MDC “via nuove macchine”: nuovi processi produttivi sostituiscono “lavoro vivo” a valle, ma a
monte sarà necessaria della forza lavoro per produrre le “nuove macchine”. Per possedere
carattere di convenienza, le nuove macchine devono sostituire più lavoro di quanto sia
necessario per la loro produzione.
2. MDC “via diminuzione dei prezzi”: Il più importante fra tutti. Le nuove tecnologie possono
infatti rendere possibile la diminuzione dei prezzi, aumento della competitività internazionale e
della produzione, compensando le perdite di posti di lavoro dovute all’innovazione iniziale. Ma
che tuttavia presuppone l’assenza di vincoli dal lato della domanda e un’elevata elasticità
rispetto al prezzo dei beni.
3. MDC “via nuovi investimenti”: Sostiene che gli extraprofitti temporanei ottenuti
dall’innovatore possono essere trasformati in nuovi investimenti se le aspettative di profitto
sono favorevoli. Questo può sia espandere la capacità produttiva e i posti di lavoro sia
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introdurre ulteriori effetti di sostituzione del lavoro.
4. MDC “via riduzione dei salari”: Tipico della visione neoclassica del mercato del lavoro. Con
l’emergere di disoccupazione tecnologica, i salari dovrebbero ridursi e le imprese assumere più
lavoratori. Meccanismo che si fonda tuttavia su ipotesi molto restrittive, come la possibilità di
combinare a piacimento lavoro e capitale, la presenza di mercati concorrenziali, la flessibilità
dei salari e del mercato del lavoro.
5. Mdc “via aumento dei redditi”: Opera in senso opposto, attraverso l’accresciuta domanda che
può risultare dall’aumento dei salari se ad essi viene distribuita una parte dei benefici
dell’innovazione, come è avvenuto nelle grandi imprese oligopolistiche nelle industrie a
produzione di massa; tuttavia, un aumento salariale di questo tipo difficilmente può essere
abbastanza grande da sostenere la dinamica della domanda aggregata.

17.3 Dibattito recente (Modello di Layard e Nickell, Modello di Aghion e Howitt)


Gli studi classici pongono in relazione la tecnologia e l’occupazione in un contesto aggregato e
dinamico, oggi invece gli studi sono orientata considerare tale relazione in termini di statistica
comparata e di equilibrio parziale. Layard e Nickell creano un modello per studiare il tasso di
disoccupazione di equilibrio. Il modello consente di determinare sia il tasso di disoccupazione
naturale e permette di mostrare come un’accelerazione del cambiamento tecnologico agisca
sull’occupazione in modo del tutto analogo ad una riduzione dei salari. Il tutto verte sul riequilibrio
del mercato del lavoro: l’iniziale effetto labour-saving dell’innovazione tecnologica è
automaticamente compensato all’interno del mercato: se, da un lato, il cambiamento tecnologico
aumenta la produttività del lavoro (inducendo un effetto labour-saving diretto), dall’altro lato, questo
effetto renderebbe il lavoro più conveniente (inducendo per questa via un aumento della domanda di
lavoro).
Invece per quanto riguarda le recenti applicazioni della search theory, Aghion e Howitt sviluppano un
modello in cui esiste una relazione inversa tra crescita e occupazione che può essere rappresentata
mediante