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Smith considera le innovazioni da un punto di vista particolare. Egli si concentra sulla relazione tra
cambiamento tecnologico, divisione del lavoro e mutamento strutturale dell’economia. Non si
concentra sul processo di generazione di innovazioni ma sulla incorporazione del progresso
tecnologico nei beni capitali e i suoi effetti sulla:
Produttività del lavoro
Specializzazione
Occupazione
La divisione del lavoro è limitata dall'ampiezza del mercato e genera una elevata produttività dal
lavoro attraverso la specializzazione dei compiti e l'apprendimento per esperienza; l’applicazione
delle macchine alla produzione e la divisione del lavoro sono ritenuti elementi essenziali per la
generazione della ricchezza delle nazioni. Il progresso tecnico è considerato come una variabile
endogena al sistema di produzione. Accumulazione di capitale e progresso tecnico generano
rendimenti crescenti di scala purché aumenti il mercato di sbocco dell’output. Il progressivo
ampliamento dei mercati, fornendo ai capitalisti nuove opportunità di investimento, stimola
l’accumulazione di capitale e la divisione del lavoro.
Ricardo è principalmente interessato alle conseguenze del progresso tecnologico. Egli parla di
meccanismi di natura endogena (→ aumento della domanda per effetto della diminuzione dei prezzi
dovuta al progresso tecnico ossia la relazione innovazione-riduzione dei prezzi-aumento della
domanda); e meccanismi di natura esogena → (produzione di nuove macchine) attraverso i quali il
cambiamento tecnologico (l'innovazione) ha effetti sull'occupazione: da queste riflessioni scaturisce
la teoria della compensazione in base alla quale i sacrifici che i lavoratori affrontano per effetto del
progresso tecnico attraverso l’eliminazione dei posti di lavoro, vengono compensati dai vantaggi che
derivano dalla creazione di nuove imprese dedite alla costruzione di macchine che assorbiranno i
1
lavoratori in surplus in altri settori. Il progresso tecnico può contrastare/ritardare l’avvento di uno
stato stazionario in cui il saggio di profitto raggiunge un livello al quale non vi è più incentivo ad
investire.
Marx enfatizza il ruolo chiave della tecnologia nelle economie moderne. Sostiene che l’innovazione è
un processo sociale e non individuale. Essa è incorporata nelle macchine, le quali permettono di
passare da processi inefficienti a standardizzati. Enfatizza la natura sociale dell’innovazione che non
nasce da inventori ma da un processo sociale fatto di scontri tra interessi contrapposti esistenti tra
gruppi e classi di soggetti economici, volto alla realizzazione di extra-profitti e dall’ampiezza dei
mercati. Evidenziava gli aspetti negativi del cambiamento tecnologico perché la competizione, spinta
da una visione capitalistica, aveva effetti negativi sociali e individuali. Il cambiamento tecnologico è
endogeno. Quando si passa dal prototipo alla produzione su larga scala, l’elemento organizzativo
gioca un ruolo rilevante.
Usher, considera l’innovazione come un processo. Per egli le innovazioni sono frutto di un fenomeno
di “sintesi cumulativa” che dalla percezione di un problema/bisogno conduce alla introduzione di
un’innovazione e quindi alla sua progressiva modificazione e miglioramento per risolvere il problema
o soddisfare il bisogno. Nello specifico la sintesi cumulativa si realizza in 4 fasi:
1. Percezione di un problema;
2. Preparazione della soluzione (studio dell’ambiente e del problema, sviluppo delle skills per
risolverlo);
3. Invenzione (atto di comprensione che permette la soluzione del problema);
4. Revisione critica dell’invenzione (invenzione adattata al contesto economico, tecnologico e
settoriale).
Le dimensioni di questo processo sono: cognitiva (percezione e invenzione), organizzativa
(preparazione) e di adattamento al contesto (revisione).
1.2.2 Schumpeter
Schumpeter è stato colui che per primo ha discusso ed esaminato il ruolo delle innovazioni nelle
moderne economie industriali. Egli considera l’innovazione la determinante principale del
mutamento industriale. Schumpeter distingue l’invenzione dalla innovazione in quanto la prima è
qualcosa di puramente scientifico e tecnologico, mentre la seconda nel << fare qualcosa di nuovo>>
nel sistema economico e non deriva necessariamente da un’invenzione. Tale distinzione è legata alla
realizzazione tecnica e al conseguente sfruttamento commerciale di una nuova idea.
Elementi dell’INVENZIONE:
- Una nuova idea, un nuovo sviluppo (una scoperta) scientifico/a oppure una novità tecnologica
che non è stata ancora realizzata tecnicamente e materialmente. Si tratta quindi di qualcosa di
puramente scientifico o tecnologico.
- La nascita di una invenzione è spesso casuale e non indotta da motivazioni economiche e/o
competitive e per tal motivo possono essere concepite ovunque (es: il caso dei post-it che
sono nati da un errore di creazione di una colla);
- Non tutte le invenzioni diventano innovazioni. I lunghi intervalli di tempo che possono
intercorrere tra un’invenzione e la sua applicazione spesso derivano dalla carenza totale o
parziale dei finanziamenti o altro per commercializzarla.
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Elementi dell’INNOVAZIONE:
- Consiste in nuove combinazioni di mezzi di produzione, cioè nell’introduzione di nuovi beni
e/o di nuovi metodi di produzione, nella creazione di nuove forme organizzative, nell’apertura
di nuovi mercati e nella conquista di nuove fonti di approvvigionamento.
- Innovazione è fare “qualcosa di nuovo” nel sistema economico, un nuovo prodotto, mercato o
processo di produzione. L’innovazione è la risposta creativa delle imprese, che si verifica
ogniqualvolta l'economia o un settore o alcune aziende di un settore fanno qualcosa di
diverso che è al di fuori della pratica esistente. ( è diversa dalla risposta adattiva che si
manifesta quando un’economia o un settore si adatta ai mutamenti della situazione nel modo
descritto dalla teoria tradizionale).
- Innovare significa mettere in pratica una nuova idea. Le innovazioni si realizzano
principalmente nelle imprese, le quali sono spinte da bisogni commerciali, anche se può
avvenire in altri contesti organizzativi.
- L’innovazione può aver luogo sia in imprese di grandi che di piccola produzione. Nelle piccole
imprese, l’imprenditore è il principale attore del processo innovativo (capitalismo
concorrenziale); nelle grandi è l’impresa ad essere la sede principale dell’innovazione
(capitalismo tristificato).
- L’innovazione origina un profitto che è temporaneo; esso può perdurare nel tempo se
l’attività innovativa dell’impresa rimane sostenuta, in caso contrario esso scompare in seguito
alla reazione delle altre imprese. Infine può essere pensata come la realizzazione di
un’invenzione di un nuovo prodotto o processo produttivo e il suo sfruttamento commerciale.
3
Ulteriori contributi schumpeteriani in tema di innovazione e di imprese innovative - Caratteristiche
dell’innovazione secondo Schumpeter.
Per Schumpeter l'innovazione si caratterizza come un processo ad esito incerto. L'innovazione quale
risposta creativa ha 3 caratteristiche essenziali:
1. L’innovazione può essere compresa solo ex-post e mai ex-ante, vale a dire che non può essere
prevista applicando le regole ordinarie di inferenza dei fatti preesistenti.
2. L’innovatore (x schumpeter l'imprenditore) è un soggetto a razionalità limitata e non può
prevedere l’esito (gli effetti) della sua attività innovativa, proprio per questo motivo le
strategie innovative delle diverse imprese possono differire tra di loro.
3. Le innovazioni non rimangono eventi isolati e non sono distribuite in modo uniforme nel
tempo, ma tendono ad ammassarsi, a sorgere a grappoli; le innovazioni non sono in nessun
momento distribuite casualmente in tutto il sistema economico, ma tendono a concentrarsi in
certi settori e nei lo dintorni.
Una innovazione in un determinato settore provoca ulteriori innovazioni in settori correlati → le
innovazioni tendono a concentrarsi in certi settori e nei loro dintorni per realizzare una innovazione è
necessario combinare risorse, competenze e capacità produttive. L’innovazione avviene tanto nelle
piccole quanto nelle grandi imprese, la dimensione non è né necessaria né sufficiente per
determinare l’innovazione. Analisi della dinamica innovativa di un’industria distinguendo non solo tra
imprese grandi e piccole, ma anche tra imprese “giovani” e imprese “vecchie”; l’età delle imprese è
fondamentale per spiegare la dinamica innovativa. L’impresa giovane tenderà ad innovare
maggiormente nel tentativo di scalfire la leadership di imprese anziane che, con un comportamento
conservatore, risponderà con innovazioni incrementali o con l’imitazione. Le innovazioni possono
essere distinte per il grado di novità rispetto alla tecnologia, alla organizzazione e alla domanda
esistenti. Quindi abbiamo:
- Le innovazioni incrementali comportano un miglioramento di processo, prodotto o servizio
rispetto ad un design esistente, sono più numerose (es schermo piatto del computer,
lampadine led); avvengono a complemento. Sono difficili da studiare/misurare.
- Le innovazioni radicali rappresentano una rottura con il design esistente e possono generare
nuove industrie e mercati, sono più rare (PC), ed infine le rivoluzioni tecnologiche (il
paradigma tecnologico legato alle ICT); rappresentano un cambiamento complessivo/totale
rispetto al prodotto precedente. Da queste innovazioni in alcuni casi si originano nuove
industrie o nuovi segmenti di mercato. Si misuravano attraverso il numero dei brevetti. (es:
prima le gallerie si scavano con la dinamite, poi invece è stata brevettata una talpa meccanica
questa è a monte un’innovazione di prodotto radicale che poi comporta un’innovazione
radicale del processo ma non del risultato finale).
Un'altra distinzione riguarda quella tra Innovazione di prodotto e di processo:
- Di prodotto sono le innovazioni che portano a nuovi prodotti/servizi ed ha a che fare con
l’output dell’impresa (es: passaggio dai floppy disk ai cd); hanno un effetto positivo
sull’aumento dei redditi e dell’occupazione.
- Di processo che portano a nuovi processi/fasi per la produzione del medesimo prodotto (es:
introduzione di nuovi e più veloci telai per la produzione dei tessuti); può avere effetti ambigui
a causa della riduzione dei costi che implica.
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Infine un’ultima distinzione da fare riguarderà innovazione e diffusione. Quest’ultima infatti si
riferisce al processo di adozione di una innovazione (un componente elettronico, un personal
computer oppure una macchina utensile) da parte delle imprese utilizzatrici o dei consumatori.
Tra le tipologie di innovazione vanno annoverate anche i nuovi modelli organizzativi, l'apertura di
nuovi mercati e nuove fonti di approvvigionamento Schumpeter, in definitiva, studia il processo di
innovazione e le ripercussioni nel sistema economico e non le cause scatenanti. Inoltre privilegia gli
aspetti di discontinuità e radicalità piuttosto che quelli di continuità e incrementalismo. →
Schumpeter considera infine solamente le innovazioni radicali. Col tempo, la nuova tecnologia
permette di raggiungere maggiori quantità di prodotto finito. Non è importante la quantità
d’innovazione, ma la qualità.
1.2.3 Due scuole di pensiero a confronto sul tema dell’innovazione. Neoclassici VS Evolutivi
Si confrontano nell’analisi delle caratteristiche, determinanti e conseguenze dell’innovazione e del
cambiamento tecnologico: i neoclassici e gli evolutivi. Ipotesi principali della teoria neoclassica:
tecnologia data, imprese come scatole nere (internamente piene di tante conoscenze, ma
esternamente tutte uguali), caratteristiche della domanda date, unità di analisi=scambio,
conoscenza=informazione (per loro sono due concetti uguali). La teoria evolutiva focalizza
l’attenzione sull’importanza del progresso tecnologico.
Le diversità:
1. I neoclassici studiano il sistema economico in equilibrio (pongono poca attenzione ai processi
di aggiustamento verso l’equilibrio), gli evoluzionisti lo studiano durante le fasi di transizione
(non equilibrio).
2. I neoclassici pongono molta attenzione sia all’aspetto statico che a quello dinamico, mentre gli
evolutivi sono molto più interessati ai processi di innovazione e alle dinamiche associate;
3. I neoclassici considerano la tecnologia come informazione, gli evoluzionisti come
multidimensionale, legata alla conoscenza
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4. I neoclassici ritengono importanti le strategie di impresa, gli evoluzionisti danno maggior
importanza alle competenze delle imprese
5. I neoclassici considerano l’apprendimento come il risultato dell’esperienza (learning by doing)
mentre gli evoluzionisti danno più importanza all’aspetto cognitivo e di soluzione di problemi
(apprendimento multidimensionale e problem-solving).
6. I neoclassici considerano le imprese come agenti isolati e senza storia (a-specificità storica), gli
evoluzionisti le considerano immerse nel contesto sociale e istituzionale
7. Le imprese neoclassiche sono razionali e hanno a disposizione tutta l’informazione. Quelle
evoluzioniste sono a razionalità limitata e comportamento “soddisfacente”.
8. In ottica neoclassica, i fallimenti del mercato (non c’è più l’ottima allocazione di risorse) sono
dovuti a beni indivisibili e difficoltà di appropriabilità. Per gli evoluzionisti le istituzioni e i
sistemi innovativi nazionali giocano un ruolo determinante.
La conoscenza comprende sia le conoscenze tacite, incorporate negli individui e trasmesse face-to-
face, sia quelle codificate che si esprimono nel linguaggio e sono codificate e scritte per i
neoclassici non c’era questa distinzione. Conoscenze = conoscenze codificate o informazioni e quindi
hanno due caratteristiche che ne fanno dei beni pubblici:
Non escludibilità: difficile impedire a qualcuno di consumarlo;
Non rivalità: il consumo da parte di un individuo non riduce la quantità a disposizione degli
altri individui.
Poiché non è scarsa e non è privata, non si può attribuire un prezzo quindi in alcuni casi non
è conveniente produrre conoscenza.
Il “mercato delle idee” (delle informazioni) è caratterizzato da vari fallimenti del mercato che
giustificano l’intervento pubblico. Esistono 4 tipi di fallimenti:
1. Appropriabilità: l’impresa che crea conoscenza realizza degli investimenti importanti (in R&S)
ma visto la facilità con cui l’informazione si diffonde e si copia non è sicura di godere dei
rendimenti della sua innovazione. bassi incentivi ad innovare.
2. Esternalità (il comportamento di un soggetto ha effetti sugli altri) positive: spillovers di
conoscenze (l’attività di R&S di un’impresa ha effetti sulle altre imprese (fornitori, etc.).
3. Rischio e incertezza: gli investimenti in R&S sono molto costosi mentre la probabilità di
innovare è molto bassa. 3 tipi di incertezza:
Tecnologica: è possibile fare quello che vogliamo?
Di mercato: qualcuno comprerà il nuovo prodotto?
Concorrenziale: i concorrenti inventeranno qualcosa di meglio prima? (chi arriva prima
prende i vantaggi)
4. Non convessità (economia di scala nell’uso) dato che MC (costi medi) della acquisizione
dell’informazione=0 se si aumenta la produzione e la dimensione di un bene, nel lungo
periodo i costi medi diminuiscono; ma se la conoscenza non ha queste caratteristiche perché
si trasferisce a costo 0 non si creano economie di scala.
Problema di politica pubblica: vogliamo massimizzare la diffusione di idee ma se la diffusione è
massimizzata allora rendimenti dell’innovazione=0 e non ci sono incentivi ad innovare. Tradeoff:
minore diffusione maggiore stimolo a innovare e viceversa; possibili soluzioni di 4 tipi:
1. Sussidi all’innovazione (per ridurre i costi di R&S)
2. Brevetti (per evitare diffusione troppo rapida e dare tempo all’impresa innovatrici di godere
dei rendimenti delle sue innovazioni)
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3. Domanda pubblica
4. Collaborazione in R&S (programmi di collaborazione in R&S tra imprese, tra imprese e
università o altri centri di ricerca, per ridurre rischio ed incertezza).
Il modello lineare: È utilizzato in numerosi modelli di innovazione tecnologica, e detto così perché si
presuppone che le innovazioni attraversino una serie di passaggi ben definiti e diversi:
Ricerca di base --> Ricerca applicata --> Sviluppo --> Produzione --> Commercializzazione.
I primi tre a concludere la fase della ricerca vera e propria. Produzione e commercializzazione invece
riguardano la diffusione del prodotto nel sistema economico. In tale modello la sequenza ben definita
e la direzione univoca. Kline e Rosenberg criticano questo modello perché:
1. si dà per scontato una serie di rapporti causa-effetto che vale solo per una minoranza di
innovazioni. Sebbene molte innovazioni importanti siano nate da scoperte scientifiche, questo
non si verifica nella maggior parte dei casi, infatti generalmente le imprese innovano per
bisogno commerciale.
2. non prende in considerazione molti feedback e cicli che si verificano durante i vari stadi del
processo. Eventuali difetti o fallimenti lungo la strada potrebbero far riconsiderare iniziative
precedenti o portare magari a innovazioni radicalmente diverse.
I flussi “c” sono design testato, modificato e commercializzato in forma di prodotto finito
Oltre questa catena centrale esistono anche nuove forme di relazione:
- I feedback che agiscono lungo la catena principale (F) che forniscono utili informazioni sulle
fasi più a valle del processo innovativo;
- A bidirezionalità che lega il processo di innovazione alla ricerca. Questo significa che nuovi
prodotti possono nascere dall’avanzamento scientifico ma allo stesso tempo nuovi prodotti
possono aiutare l’attività di ricerca (vedi ad esempio i microscopi, i computer, ecc.);
- La conoscenza scientifica interviene lungo tutta la catena principale e non solo durante la fase
di design analitico;
- Infine, le innovazioni in termini di nuovi prodotti possono consentire avanzamenti in diversi
campi scientifici.
Viene ribaltata la unidirezionalità del modello lineare che va dalla scienza all’innovazione.
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1.5 I principali indicatori
Indicatori di INPUT innovativi: Investimenti in R&S
Gli investimenti in R&S sono spesso utilizzati per esaminare l’input e lo sforzo d’innovazione di
un’impresa. Tale indicatore purtroppo rischia di sottostimare il fenomeno dal momento che in molte
imprese, specie se di piccole dimensioni, la ricerca è portata avanti in maniera non formalizzata, non
cogliendo a pieno la loro innovazione.
Altri indicatori
Pubblicazioni e citazioni scientifiche (per valutare l’innovazione a livello paese) ma che sono più
difficili e costose da ottenere, commercio internazionale di prodotti tecnologici (stima la competitività
di un paese in settori tecnologici), bilancia tecnologica dei pagamenti, misura lo scambio
internazionali di beni intangibili (brevetti, licenze, assistenza, formazione ecc...) tra un paese e l’altro.
Varietà: intesa come varietà netta ossia quantità di prodotti, processi e fattori produttivi che non
spariscono. La varietà netta è il risultato dei meccanismi di selezione attuati dal mercato e che sono
alimentati dalle condizioni di disequilibro alla base dello sviluppo economico (Schumpeter). La varietà
netta comporta dei costi per le imprese che intendono attivare un’innovazione tecnologica e che
devono essere attentamente valutati. Costi di informazione relativi all’introduzione di un’innovazione
tecnologica. Ad esempio, se sul mercato competono diverse innovazioni tecnologiche che interessano
lo stesso processo produttivo, le imprese che utilizzano quel processo produttivo devono acquisire
informazioni per poter scegliere l’innovazione ottimale tra le tante alternative. L’affermarsi di
un’innovazione tecnologica dominante (dominant design) ossia la sua standardizzazione riduce la
varietà e quindi i costi dell’informazione e aumenta l’efficienza delle imprese che la adottano.
Affinché l’innovazione sia profittevole per l’impresa che la adotta, essa dovrà garantire un
bilanciamento tra i costi aggiuntivi delle attività innovative e i costi associati alle attività in corso.
Selezione: Esistenza di fasi cicliche in molti settori industriali in relazione al progresso tecnologico che
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ripropongono le tappe tipiche del capitalismo concorrenziale teorizzato da Schumpeter. Una prima
fase ciclica è caratterizzata da un’incertezza relativa all’innovazione tecnologica che causa una
turbolenza sul mercato; questa incertezza riguarda sia il lato della domanda che l’offerta. Tutte le
imprese innovative riescono ad entrare nel mercato ma soltanto quelle che apportano innovazioni di
successo riescono a sopravvivere. La seconda fase vede le imprese che hanno adottato la nuova
tecnologia acquisire nuove capacità e competenze. I processi di apprendimento consentono alle
imprese di sviluppare innovazioni di lungo periodo verso la tecnologia dominante. Si configura un
“regime tecnologico” che esprime la convergenza al nuovo paradigma che coinvolge imprese,
programmi di ricerca e formazione, istituzioni pubbliche. Le imprese che non sono riuscite ad
adottare innovazioni di successo hanno sempre più difficoltà a convertirsi alla tecnologia dominante e
tendono a fallire (diminuiscono le imprese che entrano nel mercato e aumenta il numero delle
imprese che escono). La terza fase ciclica è generalmente caratterizzata dalla posizione di monopolio
assunta da poche grandi imprese, che sono state in grado di produrre R&S in-house e progetti di
formazione. Questa dinamica concorrenziale è stata rilevata in molti settori industriali (automobili,
pneumatici, apparecchi televisivi, computer).
Routine: È un modello o più comunemente noto come un “pattern” di comportamento ripetitivo che
l’impresa utilizza in specifiche circostanze. Le Routine sono ricorrenti ed invarianti, legate al contesto
e rappresentano le capacità di base e la memoria dell’impresa. Non sono riconducibili a competenze
individuali ma si sviluppano grazie all’interazione tra i diversi soggetti che compongono l’impresa. Le
Routine sono un elemento basilare delle competenze organizzative dell’impresa. Le routine sono
risposte inerziali delle imprese a problemi decisionali complessi, sono basate sulla conoscenza,
sull’esperienza e sul sistema di valori che si sono depositati nel tempo al loro interno e quindi
esprimono una base di conoscenza che varia da impresa ad impresa ossia “firm- specific”. Le routine
si distinguono in statiche (se assumono la fisionomia di replicazione di procedure) e dinamiche (se
apportano fasi di avanzamento nei processi di apprendimento). Le routine sono profondamente
radicate nei processi di apprendimento che si differenziano da impresa ad impresa; non esiste una
routine ottima sul piano globale, ma ci sono tante routine, ciascuna ottimale sul piano locale, basata
sulla conoscenza specifica dell’impresa. Le routine consentono alle imprese di rispondere agli stimoli
dell’ambiente esterno. Se tali stimoli oltrepassano la risposta predeterminata, le routine falliscono e
devono essere sostituite da altre. Le routine segnalano un processo che inizia con una rottura, indotta
da una discontinuità (ad esempio un’innovazione tecnologica) che si impone sul mercato, alla quale
seguono periodi di relativa stabilità o di cambiamento graduale, che tuttavia si realizzano in un nuovo
contesto industriale e istituzionale, rispetto a quello precedente la rottura. Quando si verifica il caso
in cui il sentiero già percorso frena o blocca le decisioni e la sperimentazione si usa l’espressione
“path dependence” ossia dipendenza dal sentiero tecnologico intrapreso.
Skill e Capabilities: Le skills e le capabilities fanno riferimento alla conoscenza tacita (e non a quella
codificata contenuta e formalizzata in manuali e documenti scaricabili da Internet). Le skills si
definiscono come la capacità di analisi, sintesi e valutazione messa in atto per utilizzare, trasformare
o incrementare le conoscenze disponibili o, a un livello superiore, per risolvere un problema (problem
solving). Le skills non sono rigidi né stabili, ma rappresentano un’attitudine, la cui efficacia dipende
dalla particolare combinazione delle variabili che si presentano di volta in volta, ma non si può
conoscere in anticipo quale sarà la loro combinazione né se essa ricadrà nell’ambito di applicazione
delle skill.
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Le capabilities consistono nella capacità di mettere in atto azioni appropriate per raggiungere un
determinato risultato. Esse riguardano l’applicazione della conoscenza (”Know-how”). Il know what è
la capacità di ottenere informazioni su uno specifico problema che non si conosce. Le dynamic
capabilities sono la capacità dell’impresa di integrare e riconfigurare le competenze in risposta a
cambiamenti nell’ambiente esterno.
3.3.2 La Coevoluzione
Si riferisce al mutamento congiunto ed interdipendente tra tecnologia, competenze, strategie ed
organizzazione d’impresa, struttura di mercato. La coevoluzione è fortemente specifica e si
differenzia a seconda del tipo di industria. Maggiormente studiata è stata la relazione tra tecnologia,
innovazione e struttura di mercato. Nel caso di:
Industrie di consumatori con domanda simile. La nascita di un’industria attorno ad un gruppo
di nuovi prodotti è accompagnata dall’entrata di nuovi attori e dalla continua introduzione di
innovazioni di prodotto. In seguito emerge un design dominante e l’innovazione diventa di
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processo. Questo porta il settore a concentrarsi e le imprese ad ampliare le loro dimensioni.
Nel caso di tecnologie concorrenti, il vantaggio iniziale di una tecnologia può farle raggiungere
un dominio sul mercato e potrà innescare il fenomeno di “lock-in”, ovvero lo sfruttamento
iniziale del vantaggio tecnologico, per cui l’industria si ritrova bloccata in una sorta di
immobilismo tecnologico.
Un caso diverso riguarda la presenza di complementarietà, esternalità di network e standard,
che può portare a una specializzazione e divisione del lavoro tra imprese.
Altro aspetto caratteristico della coevoluzione è la Path Dependancy (dipendenza del sentiero): ossia
il fenomeno per cui alcuni settori il livello e la qualità tecnologica attuale dipendono strettamente dal
passato e l’emergere di alternative migliori non sempre riesce a schiodare il sistema dall’utilizzo di
tecnologie inferiori: in altri termini, la condizione tecnologica attuale dipende dalle condizioni di
partenza del settore. Condizioni di partenza differenti (anche lievemente differenti), possono portare
a configurazioni tecnologiche diverse. Non è detto che la configurazione tecnologica sia la migliore, è
stato dimostrato empiricamente come alcune tecnologie dominanti non siano in realtà le migliori.
Invece il secondo elemento chiave della teoria evolutiva, ovvero l'apprendimento non è visto solo
come semplice acquisizione di informazioni da parte delle imprese, ma anche e specialmente
sviluppo di nuove conoscenze e competenze che consentono alle imprese di sfruttare le opportunità
che si presentano loro. Ne consegue quindi che l'apprendimento è locale e contestuale; ha
caratteristiche sia ripetitive che creative; è un processo cumulativo; procede per tentativi (by trial-
and-error); è un processo sociale e non individuale poiché richiede l’interazione tra diversi individui;
genera conoscenza tacita ossia trasmessa in via informale e mediante interazione personale senza
assumere una forma codificata. L’apprendimento è il processo di accumulazione, da parte delle
imprese, di conoscenza che avviene attraverso la ricerca, la produzione e il marketing.
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L’apprendimento può essere di tipo:
1. Learning by doing (Genera traiettorie di miglioramento dei processi produttivi) interno
all’impresa e collegato all’attività di produzione;
2. learning by using interno all’impresa e collegato all’uso dei prodotti, dei macchinari e degli
input;
3. learning by searching (miglioramenti delle performance dei prodotti) interno all’impresa e
collegato principalmente ad attività esplicitamente dedicate alla generazione di nuova
conoscenza, come la R&S;
4. learning by interacting (customizzazzione e segmentazione dei prodotti) esterno
all’impresa e collegato sia all’interazione a monte e a valle con fonti di conoscenza esterne
quali i fornitori o gli utilizzatori, sia alla cooperazione con altre imprese dello stesso settore;
5. learning by monitoring.
L’apprendimento influenza le competenze alimentandole e modificandole, ma queste a loro volta
influiscono sul processo, velocità e direzione di apprendimento. Un generico processo di
apprendimento (o “learning”) è articolato nelle seguenti fasi:
1. Acquisizione di conoscenza: include l’apprendimento per esperienza (learning by doing).
2. Distribuzione di informazione: processi di condivisione dell’informazione proveniente da diverse
fonti, che portano alla creazione di nuova informazione.
3. Interpretazione dell’informazione: può dar luogo a una o più interpretazioni condivise.
4. Memoria organizzativa: insieme di mezzi con cui la conoscenza è depositata per essere utilizzata
successivamente.
A livello empirico è stata dimostrata l’esistenza di una correlazione positiva tra la produzione di un
nuovo prodotto e la riduzione del costo di produzione e del tempo per unità prodotto. Modello
matematico delle “curve di apprendimento” o “curve di esperienza”: forma ad S, in cui all’aumentare
della pratica, si susseguono una fase di partenza relativamente lenta (“slow beginning”), una fase di
apprendimento rapido (“steep acceleration”) e una fase di miglioramenti minori ma comunque
positivi (“plateau”) che possono verificarsi nel corso di mesi o di anni.
1. La dimensione Inerziale
L'apprendimento e la dinamica delle competenze tendono ad irrigidirsi intorno alle competenze
esistenti. L’inerzia è un problema che affligge le imprese che si concentrano su un numero ristretto di
competenze in merito a ciò che sanno meglio e trascurando altri sviluppi. Quando una impresa ha
successo, tende a valorizzare, per effetto di un feedback positivo, la competenza che lo ha
determinato. Questo porta ad inerzia, ovvero alla non capacità di cambiare le proprie competenze nel
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momento in cui queste non rispondono efficacemente alle mutate condizioni di mercato.
Competenze core di un’azienda possono trasformarsi in rigidità core, in quanto ostacolano
l’introduzione o l’assorbimento del cambiamento tecnologico. Questo fenomeno è osservabile in
imprese consolidate ed in imprese altamente specializzate dove l’attività di ricerca è verticale (ovvero
indirizzata verso la specializzazione) piuttosto che orizzontale ed orientata all’esplorazione.
- Trappola delle competenze: gli innovatori di successo spesso rimangono bloccati su specifiche
tecnologie.
- Capabilities dinamiche: l’aggiornamento delle competenze (ed il superamento dell’inerzia)
richiede delle meta-competenze, che dipendono dalla struttura organizzativa e dalla
localizzazione dell’impresa, e diventano fondamentali per la sopravvivenza nel lungo periodo.
- Trade-off “exploration-exploitation”: l’aggiornamento delle competenze (exploration)
diminuisce la capacità di sfruttare quelle esistenti (exploitation), e viceversa: necessità di
calibrarle nel tempo.
Le capacità dinamiche possono essere collegate al concetto di adattabilità; esiste una tensione
dinamica durante l’evoluzione delle imprese. Apprendendo e accumulando conoscenze, le imprese
sviluppano le proprie competenze distintive. Nello stesso tempo, esse diminuiscono la possibilità di
sopravvivere al di fuori dell’ambiente in cui hanno sviluppato le competenze. Vi è quindi un ciclo
dinamico delle imprese. Le imprese apprendono, hanno successo e si specializzano, ma proprio per
questo, in caso di cambiamento rapido o di mutamento dell’ambiente in cui operano, sono
rimpiazzate da nuove imprese. L’impresa dovrebbe calibrare “esplorazione” e “sfruttamento”,
permettendo dapprima un’ampia esplorazione a livello di sottosistemi e in seguito lo sfruttamento, a
livello di impresa, di quando scoperto.
2. La dimensione Contestuale
Le competenze sono strettamente legate al contesto tecnologico, produttivo (architettura di
prodotto) e di domanda in cui si sviluppano. Essendo il frutto di processi di apprendimento
interattivo, le competenze dipendono dall’organizzazione e dal contesto in cui opera l’impresa. È
possibile definire dunque tre contesti nei quali le competenze delle imprese hanno un ruolo rilevante
nella competizione:
Contesto di domanda:
La domanda finale (dei consumatori) o dei beni intermedi (imprese) può avere un duplice effetto sulle
competenze delle imprese: da un lato stimolare l’innovazione ed accrescere le competenze delle
imprese produttrici, ma dall’altro aumentare l’inerzia nelle competenze dei produttori esistenti
(congelamento delle competenze: la focalizzazione sulla domanda esistente come schermo rispetto a
nuovi segnali di domanda) ad esempio nell’industria americana dei disk drive per computer le
imprese consolidate hanno guidato l’industria fino a quando la tecnologia ha soddisfatto la domanda
degli utilizzatori esistenti.
Implementazioni strategiche: superiorità delle nuove imprese nel cogliere nuovi segnali di domanda
rispetto alle imprese incombenti. Il ritardo con cui le imprese consolidate hanno percepito la nuova
domanda ha consentito alle nuove imprese di accumulare vantaggi incolmabili e quindi di dominare i
nuovi mercati che nel tempo hanno raggiunto una dimensione rilevante.
3. La dimensione Organizzativa
Tale dimensione è legata alla presenza di complementarità nell'attività innovativa e produttiva delle
imprese. Tre sono i livelli di analisi che possono essere identificati:
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1. la gerarchia delle competenze (legami e architettura delle competenze all'interno
dell'organizzazione)
2. capacità organizzativa (coordinamento delle competenze)
3. capacità di integrazione (integrazione di conoscenze diverse)
COMPETENZE
ADATTIVE
La capacità organizzativa:
può essere definita come un sistema di capacità differenziate, routine e beni complementari, in parte
taciti e non formalizzati, legati al contesto e difficilmente trasferibili tra le imprese. Essa esprime la
proprietà emergente del sistema di combinare e coordinare i suoi elementi ed i suoi sub-sistemi.
La capacità d’integrazione:
L’integrazione delle competenze consiste nell’unire le conoscenze complementari provenienti da
fonti eterogenee, particolarmente importante nelle industrie con incertezza, complessità e necessità
di integrare conoscenze tecnologiche e scientifiche con componenti della domanda. Quindi sono
rilevanti quando ricevono le varie conoscenze da fonti diverse e sono necessarie nel processo
innovativo e produttivo. Vantaggio competitivo e capacità di integrazione: ampia evidenza empirica di
una correlazione positiva.
Sulla base di queste variabili è possibile classificare le principali forme di organizzazioni di impresa
presenti nelle industrie:
1. diversificazione (tecnologica vs. di prodotto) nelle imprese multitecnologiche
frequentemente la diversificazione tecnologica anticipa quella produttiva; operano in contesti
caratterizzati da apprendimento rapido, ampia path-dependency e intensa selezione.
2. integrazione verticale: operano in contesti di apprendimento lento, ampia path-dependency e
risorse specializzate.
3. network e relazioni tra imprese: presenza di competenze e risorse specifiche una delle
principali ragioni della formazione dei network risultato di esperienze precedenti e
competenze esistenti ed hanno un processo evolutivo e path-dependent; si verificano nel caso
di apprendimento rapido, ricche opportunità, traiettorie convergenti e intensa selezione.
4. gruppi
5. imprese vuote (destinate a non sopravvivere a lungo, perchè caratterizzate da debole
selezione, si procurano all'esterno tutte le capacità necessarie allo sviluppo e alla
commercializzazione di un prodotto)
1. Le complementarità statiche:
Esse spingono alla integrazione verticale nel caso in cui l’apprendimento sia lento e vi siano asset
complementari dovuto alla conoscenza relativamente stabile, alla specificità degli asset e al
comportamento opportunistico. Anche in ambienti con bassa appropriabilità dell’innovazione è
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possibile assistere a integrazione; per evitare di essere imitati, le imprese integrano a monte e a valle
nel tentativo di rafforzare l’appropriabilità.
2. Il coordinamento dinamico:
Tale ragione nasce dalla necessità di coordinare ed integrare competenze complementari nel
processo innovativo. Esso determina integrazione nel caso in cui, per la produzione di un bene, siano
necessarie competenze specializzate ed eterogenee. Il bisogno di coordinamento ed integrazione
risulta rilevante nel caso di innovazioni sistemiche in presenza di rapido progresso tecnologico,
quando il cambiamento di un’attività richiede un cambiamento corrispondente in un’altra. se le
competenze esterne sono nettamente superiori a quelle interne e se il cambiamento rapido e
l’intensa concorrenza non permettono alle imprese di sviluppare internamente le competenze
adeguate, l’impresa non si integra. Al contrario, un’impresa può sviluppare un’attività al suo interno,
se non esistono capacità esterne o se queste ultime esistono, ma sono più costose di quelle che
possono essere sviluppate internamente. Infine, un’impresa può internalizzare un’attività
potenzialmente disponibile sul mercato, a causa di elevati costi di transazione, della divergenza di
aspettative e della specificità delle risorse richieste per questa attività. Se queste sono disponibili sul
mercato, è possibile che si manifesti una disintegrazione. Ma l’esternalizzazione porta con sé
svantaggi legati al coordinamento tra diverse imprese, che deve essere tanto più tempestivo quanto
più è rapido il cambiamento dell’ambiente. Per questo motivo spesso si sceglie d’internalizzare
integrando verticalmente. L’integrazione verticale ha come principale svantaggio quello di ridurre le
fonti di informazione. Le imprese si integrano per raggiungere un migliore coordinamento dinamico
delle attività. L’integrazione riduce infatti il numero di approcci e la varietà di esperienze che si
possono ottenere ricorrendo al mercato (esternalizzando).
6.6.3 Diversificazione
Oltre alla spiegazione neoclassica della diversificazione (diversificazione del portafoglio prodotto per
ridurre il rischio), la teoria evolutiva indica un’altra causa: la crescita della conoscenza in aree vicine a
quelle attualmente presidiate (effetto prossimità conoscitiva). La crescita delle conoscenze e delle
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tecnologie, specialmente se generiche, porta le imprese a diversificare in settori affini. La
diversificazione può verificarsi quando le imprese generano tecnologie generiche e pervasive che
interessano anche altri settori. La diversificazione, oltre che di prodotto, può essere di tecnologia. È
più ampia della diversificazione di prodotto, in particolare nelle industrie ad alta tecnologia o basate
sulla tecnologia. In questi settori le imprese per sviluppare e produrre nuovi prodotti e servizi devono
avere una base di conoscenza molto ampia e coprire un rilevante spettro di tecnologie. Pertanto in
questi settori le imprese sono multitecnologiche; anche se esse sono specializzate a livello produttivo,
la produzione deve integrare conoscenze e tecnologie diverse. Spesso la diversificazione tecnologica
anticipa quella di prodotto. Il profilo della diversificazione tecnologica è diverso tra le grandi imprese
come conseguenza della loro storia, della specializzazione, degli incentivi del mercato e dei sistemi
istituzionali nei quali operano; però, il profilo risulta simile tra grandi imprese che producono prodotti
simili, soprattutto tra quelle ad alta tecnologia o operanti in settori basati sulla tecnologia.
La teoria evolutiva dei modelli settoriali dell’innovazione si differenzia dalla visione tradizionale
struttura-condotta-performances: il settore in questo caso non è costituito da imprese simili e non ha
confini statici, è invece composto da un insieme eterogeneo di imprese che operano in un ambiente
dinamico dove i loro confini ed i confini del settore stesso possono cambiare. Essa mantiene il focus
su come le conoscenze si creano, si accumulano e si distruggono e su come influenzano i vantaggi
competitivi e la vitalità nel lungo periodo. Questo focus avviene su due livelli:
- A livello di impresa: il modo diverso di accumulare conoscenze può dar luogo ad imprese che
pur appartenendo allo stesso settore possono essere molto diverse in termini di tecnologie
adottate e vantaggi competitivi.
- A livello di settore: si studiano le caratteristiche della conoscenza e dell’apprendimento
comuni allo stesso settore e diverse da settore a settore.
Su questi studi originari poggiano gli studi empirici effettuati da Malerba e Orsenigo negli anni ’90, al
fine di vedere se in diversi paesi e diversi settori possono essere rilevati i due modelli settoriali
dell’innovazione. Essi descrivono l’attività innovativa così come viene descritta dalla richiesta di
brevetti e studiano con questi brevetti si distribuiscono diversamente in 6 paesi industrializzati (Italia,
Germania, GB, USA, Francia e Giappone) e in 49 classi tecnologiche.
Raccogliendo i dati, hanno costruito 4 indicatori che servono a confrontare con quanto affermare da
Schumpeter:
1. Concentrazione delle attività innovative : rapporto di concentrazione dei brevetti dei primi 4
innovatori sul totale brevetti di una data tecnologia;
2. Dimensione imprese innovative: quota delle domande totali di brevetto presentate da
imprese con più di 500 addetti;
3. Stabilità della gerarchia degli innovatori : misurata da un indice di correlazione tra le imprese
che erano prime nel 1978-85 e quelle che lo erano nel 1986-91;
4. Entrata tecnologica: quota di domanda di brevetto richieste per la prima volta dai nuovi
innovatori in una data classe tecnologica nel periodo 1986-91, sul numero totale di brevetti
nello stesso periodo.
L'introduzione di una innovazione è il risultato delle capacità di una impresa di superare l'incertezza e
le resistenze al cambiamento e di arrivare sul mercato prima dei concorrenti.
1. In SM I (distruzione creatrice) questo è il risultato del singolo imprenditore;
2. in SM II (accumulazione creatrice) è la grande impresa a integrare al suo interno queste
capacità.
Caratteristiche di SM II:
Alta concentrazione nell'attività innovativa
Alta stabilità nella gerarchia degli innovatori
Bassa entrata di nuovi innovatori
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Grande dimensione
La maggior parte sono delle tecnologie chimiche ed elettroniche
Germania, Giappone, USA
I pattern di questo tipo sono caratterizzati da condizioni di alta appropriabilità e cumulatività
(a livello di impresa).
Risultato: si sono riscontrate importanti similitudini tra paesi e differenze tra settori, quindi esistono
diversi modi di organizzare le attività innovative che variano tra gruppi di settore. Inoltre il modello
SMI è stato rinvenuto nelle classi tecnologiche dei settori tradizionali (abbigliamento, calzature,
mobili, meccanica…) mentre il SMII è stati rinvenuto nei settori con economie di scala ed hi-tech
(chimica organica, bio-chimica, computers, aerospaziale, telecomunicazioni, tecnologia nucleare…).
Le condizioni di opportunità riflettono la facilità di innovare per ogni dato ammontare di risorse
investito nella ricerca. Possono essere identificate 4 dimensioni di base dell'opportunità:
1. livello → le opportunità tecnologiche possono essere alte o basse; alte opportunità forniscono
forti incentivi a intraprendere attività innovativa che facilita a reperire le innovazioni più
rapidamente; esistono incentivi per i nuovi entranti ma questo genera turbolenza nel settore;
2. varietà → esprime la numerosità delle soluzioni tecnologiche ottenibili dagli investimenti in
ricerca. I primi stadi del ciclo di vita di un settore sono caratterizzati da alto livello e ampia
varietà delle opportunità, che si riduce drasticamente quando emerge un design dominante.
3. pervasività → misura a quanti prodotti e mercati le nuove conoscenze possono essere
applicate, se fosse bassa allora le nuove conoscenze si applicano solo a pochi (talvolta uno)
prodotti o mercati;
4. fonti → la possibilità di innovare dipende fortemente dalla tipologia delle fonti della
conoscenza e dalla loro disponibilità. Esse possono differire da settore a settore; in alcuni
settori le opportunità tecnologiche dipendono dagli avanzamenti della ricerca scientifica
svolta nelle università oppure dai rapporti con i fornitori/utilizzatori. In altri settori dipendono
dall’attività di R&S interna o dall’apprendimento ed accumulazione di conoscenza tacita
dentro l’impresa (fonti interne).
Conoscenza di base si intende l'insieme di informazioni, competenze, abilità che costituiscono il punto
di partenza dell'attività innovativa all'interno di un settore.
Si possono individuare 2 caratteristiche:
1. natura della conoscenza → la conoscenza tecnologica di base può presentarsi a vari livelli:
generica vs specifica: La conoscenza base può essere di natura generica o specifica rispetto a
determinati domini di applicazione;
tacita vs. codificata: riferita alla conoscenza sottostante alle attività innovative
complessa: conoscenze che permettono di acquisire competenze necessarie per l’attività
innovativa;
indipendente: conoscenza facile da indentificare per l’attività innovativa o può essere parte di
un sistema più ampio.
2. mezzi di trasmissione e comunicazione della conoscenza → le caratteristiche della tecnologia
influenzano fortemente i modi in cui le imprese possono accedere alla conoscenza rilevante. Più la
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conoscenza è soggetta al cambiamento, tanto più importanti sono i canali informali che sono
sensibili alla distanza tra soggetti (face to face, apprendimento, mobilità). Quando invece la
conoscenza è standardizzata semplice ed indipendente assumono rilevanza i mezzi di trasmissione
formale della conoscenza (pubblicazioni, licenze, brevetti...).
4. fornitori specializzati
le innovazioni di questa macrocategoria riguardano la meccanica strumentale e i macchinari
imprese di piccole dimensioni e specializzate
obiettivo dell'innovazione è il miglioramento della performance, affidabilità e customizzazione
dei prodotti
le fonti dell'innovazione sono sia interne (apprendimento per esperienza ed attività informale)
sia esterne (interazione tra produttore ed utilizzatore)
grado di appropriabilità elevata (conoscenze tacite)
barriere all'entrata di medio livello
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CAPITOLO 9 – Dinamica industriale e relazioni tra imprese
La crescita delle economie moderne è stata caratterizzata dalla nascita, lo sviluppo e il declino delle
diverse industrie. È possibile distinguere 3 livelli di analisi della dinamica evolutiva delle industrie:
1. le dimensioni specifiche della dinamica industriale (separatamente analizzate, entrata e
uscita, crescita ecc)
2. la dinamica strutturale (dinamica congiunta di alcune variabili come l’ingresso e l’uscita, la
dimensione delle imprese e l’introduzione di innovazioni di prodotto e processo)
3. l'evoluzione strutturale (visione più ampia della struttura dell’industria e la sua evoluzione nel
tempo)
9.5 Relazioni fra imprese e tra imprese e istituzioni all’interno della dinamica industriale
Nell’ambito della dinamica industriale, è necessario prestare particolare attenzione alle relazioni che
si vengono a realizzare nell’industria tra le varie imprese, relazioni che spesso non sono né
competitive né collusive. Possiamo avere relazioni del tipo: accordi di marketing o di produzione, di
R&S, interazioni con fornitori o utenti. Tali relazioni possono avere carattere sia formale che
informale, e hanno come oggetto ragioni di tipo produttivo e/o cognitivo. Spesso è molto difficile per i
singoli agenti possedere tutte le conoscenze, competenze, strumenti, e per tal motivo appare
vantaggioso rivolgersi ad altre imprese o attori economici che dispongono di ciò di cui si è privi. Il
fenomeno relazionale che si viene a manifestare tra le imprese spesso porta all’affermazione, in
termini dimensionali, non più della singola impresa, ma all’affermazione di un gruppo di agenti
collegati da una rete di accordi collaborativi, che prende il nome di “network” che consente di avere
accesso a tutte le info necessarie per integrare il patrimonio conoscitivo di ciascun agente.
Il processo coevolutivo nei mainframe è stato caratterizzato da una stretta relazione tra utilizzatori e
produttori, da una finanza interna che sosteneva l’attività delle grandi aziende esistenti. La struttura
di mercato era concentrata e l’offerta era integrata verticalmente. La leader di mercato nel settore
dei mainframe è stata l’IBM. Nei minicomputer e nei microcomputer, il processo coevolutivo è stato
caratterizzato dallo sviluppo di specifiche applicazioni (mini) e dalla facilità di utilizzo e di economicità
dei PC (micro). La struttura di mercato è stata notevole all’inizio e molto crescente successivamente
sia nei mini che micro. Qui le politiche di governo non hanno grande importanza. Infine, nelle reti di
computer non è ancora emersa una struttura di mercato stabile, qui le imprese sono diverse per
dimensioni, organizzazione e specializzazione.
Nei mainframe ha avuto successo l’impresa “chandleriana” integrata, attiva nello sviluppo,
produzione, marketing e distribuzione di grandi sistemi. Il successo era dovuto ad un impegno
continuo della R-S e negli investimenti di gestione, produzione e marketing. Nei minicomputer le
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imprese hanno speso meno in vendite, marketing e servizi, senza la necessità di sviluppare sistemi tra
loro compatibili per usi diversi. Nei microcomputer imprese specializzate in componenti o parti di
piattaforme, competono tra loro: nessuna di loro ha il controllo degli standard e dei clienti.
Il successo nel mainframe è sempre stato legato alle relazioni con una singola impresa. Nei
mainframe l’IBM, nei mini e micro computer crescita e sviluppo di nuove imprese in nuovi mercati,
con gli USA che sono rimasti leader commerciali sul lato della frontiera tecnologica. Ampie dimensioni
e rapidità di crescita con alti fattori di successo, dovuti ai nuovi tipi di computer invece il Ventur
Capital ha permesso poi l’entrata di nuove aziende nelle categorie dei PC
Nei mainframe le politiche pubbliche sono state di tipo “top-down” e mission oriented diverse per
USA, Giappone ed Europa. Queste politiche sono alla base del successo dell’IBM. In Europa queste
politiche non hanno avuto successo perché non hanno stimolato la competizione sul mercato
domestico. Nei microcomputer e nelle reti di computer le politiche pubbliche si sono concentrate
principalmente sulle infrastrutture, educazione e standard.
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10.2 I modelli di adozione
La scelta circa la decisione di adottare un’innovazione riguarda il momento in cui effettuarla e non se
effettuarla. Questa scelta tiene in considerazione alcuni aspetti:
- I benefici dell’innovazione permangono nel tempo;
- I costi variano in funzione del momento in cui si innova e includono costi affondati (dovuti al
fatto che la scelta è irreversibile; inoltre prima si adotta l’innovazione e maggiore è l’incertezza
sui benefici che se ne possono trarre e quindi anche i costi in termini di incertezza sono
maggiori); stato di assorbimento: questi modelli partono dall’ipotesi che una volta che c’è
un’innovazione disponibile, gli altri soggetti/imprese/consumatori la adottano tutti (il
processo di diffusione continua finché tutti i potenziali adottatori non l’avranno assorbita
ECCEZIONE: adozione in seguito ad una moda ad es alcuni hanno comprato gli smartphone
per esigenze di lavoro e altri per moda).
La curva ad S (sigmoide) rappresenta il fatto che la diffusione è lenta e graduale che è conseguenza
della visione dell’innovazione come stato di assorbimento il fatto che cambia la pendenza dimostra
che la velocità è variabile. Queste curve presentano un andamento iniziale crescente in modo
accelerato fino a un punto massimo e poi decrescono progressivamente. In un sentiero di diffusione
simmetrico il punto di massima velocità di diffusione avviene a metà del percorso (curva logistica). In
un sentiero di diffusione asimmetrico il punto di massima velocità viene raggiunto prima della metà
(curva di Gompertz). Il processo di diffusione dell’innovazione è condizionato dai seguenti fattori:
1. L’oggetto (l’innovazione che si diffonde)
2. I soggetti coinvolti (i potenziali adottatori e i loro processi decisionali
3. Il flusso di informazione tra chi adotta l’innovazione e gli utilizzatori potenziali.
10.2.1 I modelli di adozione a soglia basati sulla dimensione d’impresa “modelli di rango”
Si interessò ai modelli a soglia sulla dimensione d’impresa David che mira ad illustrare le determinanti
economiche del processo di diffusione, portando come caso empirico la diffusione della mietitrice
negli Stati Uniti prima della guerra di successione. La sua teoria si discosta dalle spiegazioni di natura
psicologica che rientrano nell’importanza dell’informazione; al contrario egli vuole esaminare le
determinanti economiche con assenza di qualsiasi informazione. Le ipotesi sono:
- assenza di problemi informativi;
- aspettative miopi (prospettive a breve termine);
- l’innovazione consente una riduzione del lavoro perché influisce sul coefficiente lavoro (con
l’introduzione della mietitrice si riduce il lavoro perché tutto diventa meccanico).
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Tutti gli adottatori conoscono la mietitrice prima dell’adozione e sono in grado di valutarne la
produttività non legata al terreno ma al risparmio nei costo-lavoro. Affiche ci sia un processo di
diffusione occorre che la soglia critica diminuisca per esempio con l’aumento dei salari. Cosi come
avvenne negli stati uniti portando anche le imprese più piccole a sostituire il lavoro con la mzietitrice.
La condizione necessaria e sufficiente per l’adozione della mietitrice è che il costo dell’innovazione sia
minore o uguale del risparmio che si ha sul costo di manodopera (la soglia è il punto di uguaglianza).
David ipotizza che il processo di diffusione sia trainato da una forza esogena, cioè da una variabile
influenzata dallo scorrere del tempo, ma non dall’azione degli adottatori. Anche il tasso di interesse e
la distribuzione dimensionale delle imprese sono variabili soggette a cambiamenti esogeni: il tasso di
interesse potrebbe diminuire per effetto di politiche macroeconomiche, mentre la dimensione delle
imprese potrebbe aumentare in modo generalizzato grazie all’aumento della domanda per il bene
prodotto con l’ausilio dell’innovazione. Ancor più interessanti sono i fattori endogeni come il prezzo
dell’innovazione o il coefficiente di input. In questi casi un ruolo fondamentale lo hanno le grandi
imprese, le uniche a superare la soglia dimensionale spingendola verso il basso; infatti esse
adotteranno l’innovazione incrementando le vendite facendo diminuire i costi medi di produzione
dell’innovazione così da poter abbassare il prezzo tutto però dipende dalle aspettative degli
adottatori e dalle strategie dei fornitori. Da questo deriva il problema della diffusione. Poiché se si
percepisce il nesso tra trascorrere del tempo e declino del prezzo le imprese saranno incentivate ad
aspettare che qualcuno le adotti ma questo potrebbe causare uno stallo.
Questi modelli fanno risalire il processo di diffusione alle decisioni di adozione dei soggetti adottatori
e assumono che la popolazione dei potenziali adottatori sia eterogenea rispetto ad alcune variabili
strategiche (ad esempio la dimensione dell’impresa, i costi di adozione, il capital vintage, le
aspettative tecnologiche). Il processo di diffusione si manifesta come una sequenza di equilibri che
mutano al mutare delle condizioni delle variabili rilevanti dell’oggetto e dei soggetti dell’innovazione.
Per queste variabili, è possibile individuare una “soglia” rispetto alla quale la popolazione dei soggetti
si differenzia tra adottatori e non adottatori. Il flusso di informazioni è un processo costoso, il rischio
aumenta in funzione dei costi di acquisizione della conoscenza relativa alla nuova tecnologia. Questi
modelli seguono un approccio statistico (probit); viene identificata una soglia critica (x*), rispetto alla
quale varia il comportamento dei singoli soggetti in termini di adozione e si può distinguere tra early
adopter e late adopter. Rispetto alla variabile x, i soggetti che superano la soglia x* adotteranno per
primi l’innovazione, mentre quelli per i quali la variabile x è inferiore alla soglia x* non la adottano. Le
caratteristiche specifiche (x) sono trattate come variabili esogene, che dipendono dallo scorrere del
tempo e non dall’azione degli adottatori. Perché si determini un sentiero di diffusione occorre che,
col passare del tempo, si modifichi qualcuna delle variabili esogene rispetto alla soglia fissata.
La dimensione dell’impresa è una caratteristica specifica rilevante. Il modello a soglia critica mostra
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che, in una situazione statica, solo le imprese con una dimensione superiore alla soglia dimensionale
critica (S*) adotteranno l’innovazione. Affinché si determini un sentiero di diffusione occorre che, col
passare del tempo, avvengano i seguenti cambiamenti:
1. Primo Caso: Diminuisca la soglia critica S*, ad esempio per la diminuzione del prezzo
dell’innovazione
2. Secondo Caso: Aumenti il numero delle imprese con dimensione superiore alla soglia critica S*
NB: poiché il processo di disseminazione di questo genere di informazioni può essere assimilato a
quello di trasmissione di una malattia contagiosa, i modelli di questo tipo sono definiti <<epidemici>>.
L'epidemia ha luogo entro una popolazione di dimensioni date (n individui). La probabilità che un
agente contragga il virus al tempo t, ovvero attenga info sufficienti per indurlo ad adottare, dipende
sia dall'intensità della comunicazione fra agenti, sia dall'entità del vantaggio attribuito dagli
utilizzatori all'innovazione. All’interno di una popolazione di (N) individui, il numero di soggetti che tra
il tempo t e il tempo t+1 contraggono il contagio è proporzionale alla percentuale dei soggetti già
contagiati e al numero di quelli ancora sani. Il coefficiente di proporzionalità dipende da vari fattori,
ad esempio il grado di infettività dell’epidemia, la frequenza dei contatti tra i soggetti. Questa
relazione è rappresentata da una curva logistica con forma a S, la diffusione è lenta nella fase di
introduzione dell’innovazione, ma con il passare del tempo essa è accelerata sia dal successo
dell’innovazione che dal diffondersi dell’informazione (contagio) per l’interazione dei potenziali
adottatori con fonti interne ed esterne, per poi decelerare man mano che si raggiunge il livello di
saturazione della popolazione degli adottatori.
L’assunzione di base di questi modelli è che l’innovazione sia superiore (in termini di profittabilità)
alle tecnologie esistenti e che i soggetti potenziali adottatori siano omogenei (la profittabilità
dell’innovazione è la stessa per tutti i soggetti). Il vincolo alla diffusione è dato dall’esistenza di
asimmetrie informative tra i potenziali adottatori e per colmare la carenza di informazioni
sull’esistenza e sulle opportunità della nuova tecnologia si fa leva sulle dinamiche del contagio,
aumentando cioè l’esposizione dei potenziali adottatori all’epidemia informativa. Si assume che la
diffusione delle informazioni relative all’innovazione sia necessaria e sufficiente alla sua diffusione. Il
processo di diffusione si conclude quando tutti i soggetti potenziali adottatori dispongono delle
informazioni sull’innovazione. Le fonti dell’informazione possono essere interne o esterne: le fonti
interne fanno riferimento all’acquisizione di informazioni mediante il contatto personale con soggetti
che hanno la nuova tecnologia (ad esempio per una malattia contagiosa, la probabilità che un
soggetto contragga il virus e cioè le informazioni che potrebbero indurlo ad adottare la nuova
tecnologia cresce con il numero di coloro che l’hanno già contratto e cioè coloro che hanno già
42
adottato l’innovazione); le fonti di informazioni esterne sono quelle che non dipendono dal livello di
diffusione corrente, ma provengono da soggetti eterogenei rispetto alla popolazione osservata. (ad
esempio, intermediari dell’informazione, come i mezzi di comunicazione di massa, le agenzie di
promozione dell’innovazione. Il processo di diffusione è asimmetrico, in forma variabile a seconda
dell’efficacia della campagna informativa a comunicare i vantaggi dell’adozione della nuova
tecnologia).
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- Elementi di incertezza radicale, a cui le imprese fanno fronte con aspettative tecnologiche e
routine derivanti dal proprio passato che piuttosto dalle poche informazioni liberamente
disponibili sulla nuova tecnologia.
I modelli di diffusione di tipo evolutivo sono, in linea di principio estremamente complessi. In seguito,
si riporta una versione semplificata di uno di essi: tutte le imprese producono lo stesso bene
omogeneo, ma ogni impresa possiede una diversa tecnologia di processo, tale da garantirle costi
medi costanti. Tuttavia, le imprese non hanno la stessa propensione al reinvestimento dei profitti.
Questo significa che esistono due fonti distinte di eterogeneità tra le imprese:
Tecnologica, riferita ai costi di produzione (h);
Comportamentale, riferita alla propensione all’investimento (f).
Ogni impresa è caratterizzata da una diversa coppia (h,f). Ove l’impresa con la migliore tecnologia
non sia anche quella con la più alta propensione all’investimento, possiamo immaginare che le coppie
che rappresentano le varie imprese siano racchiuse entro i suoi confini. Un’ultima ipotesi è quella per
cui le imprese operano sempre a piena capacità produttiva cosicché la crescita dell’output della
singola impresa coinciderà con gli investimenti effettuati.
Si dimostra infatti che l’impresa con la migliore tecnologia riuscirà a dominare il mercato solo in
presenza. Ove invece la domanda sia crescente nel tempo, si può giungere facilmente al predominio
di una tecnologia subottimale, ove questa sia posseduta da un’impresa con elevate propensione
all’investimento. Ogni impresa però cresce a tassi diversi in funzione dei diversi profitti realizzati. Ciò
conduce ad una continua variazione delle quote di mercato detenute dalle singole imprese. In
particolare, ad ogni tempo, possiamo distinguere 5 tipi di imprese, in funzione dell’andamento della
loro quota di mercato:
1. Le imprese che difendono la propria quota, aumentano la propria capacità produttiva nella
stessa misura dell’incremento di domanda;
2. Le imprese “marginali”, che non possono aumentare la propria dimensione, avendo costi
medi uguali al prezzo e dunque crescita zero;
3. Le imprese in espansione;
4. Le imprese in declino;
5. Le imprese con costi medi superiori al prezzo e dunque fuori mercato.
Ci aspettiamo che le imprese in grado di accrescere la propria quota di mercato, siano quelle con
elevato margini di profitto o elevata propensione all’investimento.
Questo è il risultato dato per scontato dai modelli di diffusione mediante adozione. Nei modelli di
selezione, un movimento univoco verso la frontiera risulta possibile solo in assenza di significativi
cambiamenti della domanda, ovvero per innovazioni puramente di processo, riferito a prodotti il cui
mercato non è in crescita. L’impresa in possesso della tecnologia arriva a dominare il mercato
gradualmente, grazie alla quota di mercato che tende a seguire un percorso sigmoide.
44
benefici e costi indipendentemente dal meccanismo dei prezzi. La presenza di esternalità interferisce
con il processo di diffusione dell’innovazione.
Si ha un'esternalità di rete quando il beneficio che un individuo trae dall'utilizzo di un bene cresce al
crescere del numero di utilizzatori di quel bene. Questo tipo di situazione è rilevante in mercati in cui
esistono questioni relative alla proprietà intellettuale, come il software, o in generale quando si parla
di adozione di una nuova tecnologia.
COSTI DELL’INNOVAZIONE
- Costo opportunità
La valutazione del costo opportunità (valore delle migliori alternative tecnologiche a cui si
rinuncia) dell’investimento in nuovi beni capitali può influire sulla diffusione dell’innovazione,
specialmente se gli investimenti precedenti in mezzi di produzione non si sono ancora
deprezzati o sono caratterizzati da sunk costs (alti costi di smantellamento, mancanza di un
mercato secondario). Le decisioni di investimento dipendono dal capital stock vintage ossia
dalla distribuzione per classi di età dello stock di capitale installato e dai benefici netti
ottenibili dalla sostituzione con nuovi beni capitali. Se si fissa come criterio x il beneficio netto
dall’adozione della nuova tecnologia rispetto al mantenimento della precedente. La soglia x*
indica il costo di acquisizione della nuova tecnologia che consente di ottenere il vantaggio
differenziale. Pertanto ogni progresso tecnologico che rende più attraente la vecchia
tecnologia o riduce subito i benefici dell’adozione della nuova tecnologia, invece che nel
futuro, aumenta il costo opportunità di adottare adesso, cioè sposta la soglia x* verso destra.
Gli effetti delle economie derivanti dalla concentrazione geografica delle imprese, tuttavia, non si
esauriscono soltanto nel miglioramento dell’efficienza statica dei processi produttivi – riduzione dei
costi di produzione o aumento dei vantaggi localizzativi per le imprese insediate - ma si manifestano
anche come fattori di dinamica industriale ed innovativa. La creazione di una cultura industriale
diffusa o, definita da Marshall di un industrial atmosphere, fa delle concentrazioni industriali in
particolare delle sedi urbane una delle sedi privilegiate di intensi processi innovativi e di una rapida
diffusione delle innovazioni tecnologiche. Tuttavia, sebbene l’idea che rendimenti crescenti localizzati
possano determinare fenomeni di agglomerazione spaziale delle attività produttive e tecnologiche sia
ben radicata nella storia del pensiero economico, soltanto recentemente è maturata la capacità di
46
formulare modelli in grado di incorporare la presenza di rendimenti crescenti. Sotto questo profilo è
interessante considerare due modelli che più direttamente hanno cercato di analizzare le condizioni
che determinano l'emergere di agglomerazioni spaziali delle attività innovative:
il modello di Arthur (1990)
il modello di Swann (1996)
entrambi i modelli assumono come un dato l'esistenza di economie di agglomerazione e ne
esaminano le conseguenze per la distribuzione geografica delle attività produttive ed innovative.
Modello di Arthur
Arthur considera un'industria ad alta tecnologia, in cui le imprese operanti debbano scegliere la loro
localizzazione fra 2 possibili aree alternative (città, province, regioni) che chiama Silicon Valley e Paris
(Texas). Ipotesi del modello:
Ciascuna impresa decide di localizzarsi nell'area che presenta il maggior rendimento netto e
non si muove più una volta effettuata la propria scelta.
Le imprese effettuano la loro scelta in modo sequenziale, ossia in ciascun istante di tempo una
e una sola impresa effettua la propria scelta di localizzazione, avendo osservato la scelta delle
imprese precedenti, e ciascuna impresa sceglie dove localizzarsi in base al max rendimento
presente, eliminando problemi legati ad aspettative sulla futura localizzazione di altre
imprese.
Le imprese operanti nell'industria possono essere equamente ripartite fra 2 gruppi, che
differiscono fra loro per qualche caratteristica del prodotto o tecnica usata. In conseguenza di
tale diversità i 2 gruppi di imprese hanno preferenze <<naturali>> diverse per le 2
localizzazioni.
Ossia a prescindere dalla scelta fatta dalle altre imprese, il gruppo S preferisce naturalmente la Silicon
Valley e il gruppo P preferisce Paris (Texas). Beneficio netto (rij)per la generica impresa appartenente
al gruppo “i” di localizzarsi nell'area “j”= beneficio geografico (qij ) (per l’impresa del gruppo i di
localizzarsi nella regione j) + beneficio da agglomerazione (gnj) > 0 rij = qij + gnj
dove:
beneficio geografico (qij) è indipendente dalle scelte fatte dalle altre imprese; beneficio da
agglomerazione (gnj) deriva dalla presenza di altre n imprese già localizzate in quella regione al
momento della scelta. Il parametro g > 0 fornisce una misura delle economie di agglomerazione:
all'aumentare del numero delle imprese localizzate in una certa area cresce il beneficio netto per
un'impresa derivante dal localizzarsi nella medesima area. Posto i = gruppo P, gruppo S
qS silicon valley > qS paris & qP paris > qP silicon valley
I rendimenti associati a ciascuna area aumentano linearmente con il numero delle imprese insediate,
si dimostra che l'esito finale del processo di scelta è tale che una delle 2 aree assume il monopolio
dell'industria e rilevanza rispetto all'altra, vale a dire che tutte le imprese tendono a localizzarvisi
indipendentemente dal gruppo a cui appartengono. Tuttavia quale tra esse venga selezionata non è
prevedibile, ma dipende dalla sequenza storica con cui i due tipi di imprese effettuano le scelte.
47
Modello di Swann
Tenta di formulare un ciclo di vita delle concentrazioni (cluster o gruppi) geografico-industriali.
All'inizio del ciclo di vita di una industria (tecnologia), le nuove imprese tendono a localizzarsi in modo
abbastanza casuale nello spazio geografico. Tuttavia per effetto di fattori accidentali (fattori casuali),
uno o più cluster geografici cominciano ad emergere rispetto ad altre aree raggiungendo una massa
critica di imprese, quindi si crea un circolo virtuoso che rafforza la posizione del cluster stesso. La
concentrazione spaziale delle imprese, infatti, genera benefici da agglomerazione che attraggono
l'entrata di nuove imprese. Accanto alle economie di agglomerazione altri fattori esogeni spiegano la
performance delle imprese localizzate in una certa area geografica come ad es. la dotazione di
infrastrutture (trasporto, comunicazione e ricerca) e la forza della base scientifica del cluster.
Tuttavia tale tendenza non persegue all'infinito perché all'aumentare delle dimensioni di un cluster
cominciano effetti di congestione che:
accrescono i costi di localizzazione all'interno del cluster
rallentano l'entrata di nuove imprese e la crescita e l'innovazione delle imprese già insediate
man mano che l'industria (tecnologia) entra nella fase di maturità (sia della tecnologia che
dell’impresa) e declino del suo ciclo di vita, i benefici derivanti dall'agglomerazione si
riducono, ad esempio perché la crescente standardizzazione del prodotto o delle componenti
riduce l'importanza delle relazioni localizzate con fornitori e clienti, ed eventualmente sono
superate dai costi.
Quindi il cluster geografico entra dapprima in una fase di maturità, in cui i tassi di entrata delle nuove
imprese e i tassi di crescita delle innovazioni delle imprese insediate diminuiscono; e quindi in una
fase di declino, in cui il numero delle imprese localizzate si riduce a causa delle uscite dal mercato e le
poche imprese rimaste fanno registrare tassi di crescita e di innovazione scarsi o nulli.
NB: il declino di un cluster non è inevitabile. La possibilità di superare la fase di declino industriale
dipende soprattutto dalla capacità di attrarre nuove imprese entranti nelle industrie emergenti; e a
sua volta tale capacità è funzione della specializzazione settoriale ereditata dal passato: regioni
specializzate in industrie mature, che non esercitano esternalità positive nei confronti dei settori
emergenti, è improbabile che escano dalla fase di declino; al contrario, regioni specializzate in
industrie mature, la cui base tecnologica converge con quella di industrie emergenti, esercitano un
potere di attrazione nei confronti delle potenziali entranti, rinnovando la propria forza industriale. I
modelli precedenti assumono dunque l’esistenza di economie di agglomerazione e ne esaminano le
48
conseguenze per la distribuzione geografica, ma non rispondono ad alcuni interrogativi fondamentali
per l’analisi spaziale delle innovazioni tecnologiche
49
della meccanica strumentale (frequenti interazioni e scambi di conoscenza).
2. Radicale (prodotto): Le innovazioni sono frutto dalla conoscenza generata all’interno dei
laboratori di R-S delle grandi imprese, specie nei settori chimico ed elettrico. Queste
innovazioni sono concentrate nei centri urbani e metropolitani caratterizzati da una ricca
disponibilità di infomazioni e di personale qualificato.
3. Radicale (industria): Le innovazioni sono frutto dalla conoscenza generata all’interno delle
università e dalla R-S dei laboratori pubblici; si tratta di prodotti radicalmente nuovi (materiali,
composti, ecc) senza alcuna relazione fra l’esperienza e le tecniche produttive esistenti.
Queste innovazioni sono concentrate in Poli di ricerca scientifica e tecnologica, caratterizzate
dalla forte presenza di infrastrutture di ricerca, scambi informativi fra imprese, capitale di
rischio. L’ambiente in cui questo tipo di innovazione viene incubato è caratterizzato da fattori
di sinergia, come l’esistenza di infrastruttura informatica e di ricerca, la prossimità ad
infrastrutture di trasporto, la disponibilità di capitale e la mobilità del personale.
Piccole Imprese (spin off) o Distretti Tecnologici: Questo filone identifica nell’attuale paradigma
tecno-economico le condizioni per lo sviluppo di un nuovo ordine industriale. In particolare sottolinea
che le possibilità insite nelle attuali tecnologie microelettroniche, impongono e consentono processi
di disintegrazione verticale e di specializzazione flessibile nell’organizzazione del processo produttivo.
A livello spaziale, questi processi si traducono in una tendenza alla riagglomerazione geografica della
produzione in aree dominate da una diffusa rete di PMI, flessibili, specializzate e connesse da una
fitta rete di legami ed interazioni non mediate dal mercato.
Passando all’analisi dei contributi che mettono in luce il ruolo dei fattori strutturali alcuni lavori da
parte di Malecki hanno evidenziato come le attività di R-S delle imprese tendono a concentrarsi nelle
regioni centrali, soprattutto nelle aree urbane e metropolitane di un paese per via di una maggiore
disponibilità di informazione scientifica e tecnologica, personale qualificato, dotazione di servizi ed
attività collegate alle esigenze dei laboratori di R&S. Un’analisi più recente a sua vota ha
approfondito le tendenze di insediamento dei centri di ricerca pubblici e privati. Infatti l’ubicazione
dei centri di R-S pubblici sia più influenzata da fattori ambientali, come la presenza di sedi
universitarie, mentre quelli privati prescindono da tali considerazioni. Malecki e Howells sostengono
che la dispersione spaziale delle attività di R-S è largamente dipendente dalla organizzazione
funzionale delle imprese. Ma più precisamente si arriva all’ipotesi che la localizzazione dei centri di
ricerca sia caratterizzata da un insieme di ragioni fondamentali:
da un punto di vista funzionale, l’efficienza delle attività di ricerca di base ed applicata richiede
un’organizzazione di tipo centralizzato in poche unità di R-S. i vantaggi derivanti dalla
concentrazione sono collegabili al conseguimento di economie di scala e di scopo e migliori
flussi di comunicazione; mentre le attività di sviluppo impongono un’organizzazione
decentrata allo scopo di permettere un migliore coordinamento tra lo sviluppo dei progetti
innovativi ed il marketing.
da un punto di vista spaziale, le operazioni di R-S sono concentrate in prossimità dei centri
decisionali chiave dell’impresa (sedi centrali o divisionali); le attività di sviluppo, invece, hanno
una maggiore dispersione nello spazio.
considerando i flussi di comunicazione rilevanti, si può ipotizzare che mentre le R-S di base
applicata ha tra i suoi compiti principali la raccolta e la valutazione di informazione esterna
all’impresa e beneficia quindi dall’essere localizzata nelle aree urbane e metropolitane, le
50
unità preposte allo sviluppo prevedono lo scambio di informazioni interne e tendono a
distribuirsi in modo più diffuso nello spazio geografico.
Il tema della localizzazione delle attività di R-S è stato ripreso, da una prospettiva leggermente
diversa, in vari contributi nel campo dell’economia internazionale. Diversi autori sostengono che le
attività di R-S stiano seguendo un processo di crescente internalizzazione e che le forze responsabili di
tale tendenza siano in larga misura simili a quelle che hanno promosso l’internalizzazione della
produzione manifatturiera nel passato. Altri autori hanno contestato la tesi secondo cui le attività
innovative stiano assumendo un carattere sempre più globale e de-localizzato, sottolineando che il
grado di internalizzazione della produzione di tecnologia è ancora sensibilmente inferiore rispetto a
quello di produzione manifatturiera.
Interazioni orizzontali
Le interazioni orizzontali si riferiscono a:
Alle attività di cooperazione tecnologica in relazione alla performance innovativa delle
imprese: da un lato gli accordi di scambio di conoscenza tecnologica fra imprese sono una
fonte preziosa di nuove idee e informazioni. Dall’altro, in contesti di rapido sviluppo
tecnologico e alta intensità di R-S, gli accordi di cooperazione consentono di mettere insieme
le limitate risorse dedicate alla ricerca e di acquisire aspetti chiave della conoscenza
scientifica.
Un esempio è il confronto tra la Silicon Valley e la Route 128. Solo la prima è un’esperienza di
successo ma entrambe sono caratterizzate dalla concentrazione geografica di gruppi
d’imprese. Nel primo caso si è creata una rete di relazioni fondata sull’interazione,
collaborazione e fiducia reciproca che hanno permesso un continuo rinnovamento e
adattamento di competenze e tecnologie. Nel secondo caso tale capacità di adattamento si è
manifestata in misura minore a causa della minore interazione fra le diverse unità, del
mancato manifestarsi di esternalità positive e del diverso sviluppo della regione.
Agli aspetti istituzionali che influenzano i meccanismi competitivi e il loro impatto sul
cambiamento tecnologico. L’assetto istituzionale nazionale influenza l’attività innovativa delle
imprese attraverso i modelli competitivi. I modelli competitivi sono forme istituzionali
socialmente costruite e storicamente determinate la cui architettura dipende, in parte, da
54
scelte di politica industriale.
14 La politica urbana
14.1 Introduzione
Esistono due approcci principali all’analisi delle politiche pubbliche per l’innovazione: quello
neoclassico e quello evolutivo. Nell’approccio neoclassico tradizionale, le politiche per l’innovazione
innanzitutto riguardano il sostegno pubblico alla ricerca scientifica. Poiché le conoscenze scientifiche
e tecnologiche incorporate in un’innovazione possiedono le caratteristiche di un bene pubblico: la
non rivalità nel consumo e la parziale non escludibilità dai benefici economici derivanti da
un’invenzione-innovazione riducono gli incentivi privati ad innovare. L’approccio neoclassico
riconduce alle ragioni dell’intervento pubblico nell’economia, ossia alla presenza di esternalità nella
produzione e al conseguente fallimento del mercato delle conoscenze (Arrow 1962). Un secondo
aspetto di questo approccio alle politiche per l’innovazione consiste nella modellizzazione del
processo innovativo come funzione di produzione di conoscenze. Questa rappresentazione
economica del processo innovativo è coerente con il modello di organizzazione della ricerca e
sviluppo (r-s), secondo cui le attività di r-s possono essere scomposte in diverse fasi sequenziali:
l’identificazione di un problema o l’ideazione di un nuovo prodotto, lo sviluppo di nuove tecniche e
prodotti, l’ingegnerizzazione e la prototipizzazione, e le altre attività scientifiche e tecnologiche
collegate alla R-S. Nella funzione di produzione di conoscenze e nel modello lineare di innovazione le
nuove conoscenze prodotte nell’attività di ricerca rappresentano l’input delle fasi successive del
processo innovativo, durante le quali il sapere prodotto nella fase a monte viene impiegato per la
soluzione di problemi specifichi nelle fasi a valle , come l’ingegnerizzazione e le commercializzazione.
Infine, un’ultima ipotesi fondamentale dell’approccio neoclassico è l’esistenza di un operatore
pubblico (social planner) perfettamente informato e ottimizzante.
Quest’ultima ipotesi si scontra con il fatto che l’attività innovativa è incerta e fonte di asimmetrie
informative a cui lo stesso operatore pubblico non può sottrarsi. Razionalità limitata, informazione
imperfetta e complessità del processo innovativo sono responsabili di diverse forme di “fallimento”
dello stato o delle agenzie pubbliche dedicate alle politiche per l’innovazione tecnologica.
Innanzitutto, lo stato non possiede una conoscenza diretta delle tecnologie e del processo innovativo.
In secondo luogo, lo stato non è in grado di prevedere perfettamente le conseguenze dei propri
interventi sul processo innovativo. Infine l’efficienza di strumenti tipici dell’intervento pubblico, come
la ricerca pubblica o i sussidi alla R-S privata, è indebolita dalla presenza di asimmetrie informative. La
nuova organizzazione industriale ha sviluppato l’approccio neoclassico analizzando le scelte
innovative nel contesto dell’interazione strategica tra imprese ottimizzanti, insistendo soprattutto
sull’asimmetria informativa e sui problemi (moral hazard e advers selection) che riducono l’efficienza
dei tradizionali strumenti di intervento (brevetti, sussidi, sgravi fiscali e commesse pubbliche). Questo
filone studia alcuni problemi del sistema dei brevetti, come la possibilità di duplicazione degli sforzi di
ricerca e di produzione socialmente subottimale di innovazioni, e la persistenza del monopolio
attraverso l’innovazione. Invece il filone evolutivo insiste sul ruolo centrale della conoscenza e sulla
razionalità limitata degli agenti economici, sulle inerzie organizzative e sui processi di apprendimento
delle singole organizzazioni coinvolte nel processo innovativo (imprese, policy maker, università,
utilizzatori). L’approccio evolutivo cerca di spiegare “Trade-off”, “trappole”, e “fallimenti” che sono
legati alla natura dinamica, incerta e discontinua delle attività innovative.
57
14.2 Fallimento Del Mercato Delle Conoscenze E Intervento Pubblico: Il Modello Di Arrow
Il modello che meglio riassume l’approccio neoclassico tradizionale alle politiche dell’innovazione è
quello di Arrow (1962). Questo modello vede nelle politiche pubbliche un intervento finalizzato alla
correzione del fallimento del mercato della conoscenza, che presenta le caratteristiche di bene
pubblico:
Non rivalità nel consumo (che deriva dai costi di riproduzione di un’informazione)
Non escludibilità (non completa appropriabilità dei benefici economici o esternalità da parte
dell’innovatore).
Inoltre, la produzione di innovazioni è caratterizzata da indivisibilità (elevati costi fissi) ed incertezza
(relativa ai costi e ai risultati del processo innovativo). Queste caratteristiche della produzione di
conoscenza spingono a comportamenti opportunistici (free riding) e ad un livello di spesa in r-s
inferiore rispetto a quello desiderato. Il modello di Arrow confronta gli incentivi privati a introdurre
un’innovazione di processo da parte di un’impresa monopolista e da parte di imprese concorrenziali.
Il modello discute anche le implicazioni di benessere sociale, introducendo il comportamento dello
stato (social planner). Le imprese concorrenziali e il monopolista hanno di fronte la stessa curva di
domanda di mercato DD’ della figura 14.1
14.2.1. CONCORRENZA
Prima dell’innovazione le imprese producono la quantità output di equilibrio Xc al costo unitario
costante c, che in equilibrio eguaglia il prezzo di mercato pm. Dopo l’innovazione le imprese pagano
una royality unitaria pari a r ad un inventore indipendente e producono a costi unitari c’ < c. Il nuovo
prezzo di mercato è p’m= c’+r. Il risultato sarebbe identico se l’inventore fosse una delle imprese
concorrenziali. L’incentivo dell’inventore dipende dalla natura dell’invenzione. Se è “drastica” (p’m <
c), come nella fig. 14.1, allora l’inventore può estrarre una rendita pari a r = p’m – c’, che corrisponde
al profitto unitario di monopolio. Nel caso in cui inventore e innovatore siano la stessa persona,
l’impresa innovatrice spiazza dal mercato le concorrenti e si comporta da monopolista. Se
l’invenzione non è drastica (p’m > c) l’inventore può guadagnare al massimo r= c-c’ (in concorrenza
perfetta il prezzo di mercato non può essere maggiore di c e la rendita dell’innovatore dipende dal
prezzo del bene).
14.2.2 MONOPOLIO
58
Prima dell’invenzione il monopolista produce la quantità di output Xm e fissa un prezzo pm in
corrispondenza dell’uguaglianza tra ricavi marginali e costi unitari (RM(Xm)=c). Assumendo che il
monopolista sia anche l’inventore, con l’adozione della nuova tecnologia di processo egli produce la
quantità X’m e fissa un prezzo p’m in corrispondenza di RM(X’m)=c’. L’incentivo del monopolista ad
introdurre l’invenzione è pari alla differenza tra profitti post e pre invenzione (Im = II’m – II).
14.3.1 I BREVETTI
Il sistema dei brevetti ha due vantaggi fondamentali. Anzitutto, favoriscono l’entrata nel mercato di
nuove imprese innovatrici, non dotate di risorse produttive adeguate a protegge le proprie
innovazioni con altri strumenti come il segreto industriale. Inoltre essi favoriscono le innovazioni
radicali, che si caratterizzano per elevata incertezza, elevati costi di sviluppo e lunghi tempi tra
invenzione e commercializzazione. Senza il sistema dei brevetti queste invenzioni probabilmente non
sarebbero state sviluppate. D’altra parte, il sistema dei brevetti conferisce all’inventore un potere
monopolistico nel mercato dei beni, che può dar luogo a inefficienza allocativa. Il trade off tra
efficienza statica e dinamica si riflette nella determinazione della durata e dell’ampiezza ottima dei
brevetti. L’analisi teorica della durata ottima è stata effettuata per primo da Nordhaus. Il problema è
stato affrontato da diversi paesi, come Germania e Giappone, istituendo classi di brevetto di durata
diversa in funzione dell’importanza dell’invenzione o inserendo delle tasse di rinnovo annuale. Questi
sistemi tendono a tutelare per periodi più lunghi le innovazioni più importanti, scoraggiando la
proliferazione nel tempo di brevetti secondari. Gli effetti negativi di un’eccessiva durata possono
essere arginati imponendo la concessione obbligatoria di licenze per favorire le invenzioni
complementare e che il titolare non abusi del suo potere di mercato. Secondo Merges e Nelson la
legge dovrebbe stimolare un ambiente concorrenziale che favorisce le invenzioni successive. Il
sistema dei brevetti non garantisce sempre una protezione effettiva dell’innovazione. Infatti,
l’efficacia della tutela legale dell’innovazione varia in funzione del tipo di tecnologia o del contesto
istituzionale. Negli USA prevale il “first to invent” (riceve il brevetto chi per primo inventa) mentre in
altri paesi prevale il “first to file” (il diritto è di chi per primo richiede la domanda). Il sistema dei
brevetti può indurre eccessivi investimenti in R-S: questo sistema spinge le imprese ad arrivare prime
alla brevettazione di una stessa invenzione, poiché il vincitore “prende tutto” questo spiega i
problemi dell’eccessivo investimento in R-S.
La fig. 14.2 illustra il costo marginale della R-S e la curva del beneficio marginale della R-S (π-π’). In
condizioni di informazione perfetta lo stato conosce la quantità di R-S di equilibrio in assenza di
sussidio, quindi può far sì che vi sia completa addizionalità del finanziamento pubblico. In questo
caso, in equilibrio il beneficio o profittabilità marginale della ricerca deve uguagliare il costo
marginale della ricerca, che con il sussidio si riduce da w a w/(1+q), inducendo un aumento della R-S
fino a r’1; ciò significa che per ogni lira di sussidio ricevuto, l’impresa aumenterà le proprie spese di R-
S di due lire. In condizioni di asimmetria informativa lo stato non conosce il livello di equilibrio della R-
S prima del sussidio, quindi l’impresa cercherà di spostare il livello di ricerca autofinanziata a sinistra
di r0, facendosi finanziare dei progetti di ricerca inframarginali (il cui beneficio marginale è maggiore
del costo marginale). Se l’impresa riuscisse completamente in questa operazione utilizzerebbe il
sussidio per farsi finanziare interamente progetti di R-S. In queste condizioni quindi la spesa pubblica
spiazzerebbe completamente quella privata e il sussidio diventerebbe un trasferimento a favore
dell’impresa innovativa. In realtà lo stato può evitare di finanziare progetti di entità molto grande
rispetto alle spese totali di R-S di un’impresa per evitare che la ricerca sussidiata spiazzi
significativamente quella finanziata dalla stessa impresa. Inoltre in condizioni di incertezza lo stato
potrebbe adottare una politica di allocazione dei sussidi molto conservativa, spingendo così le
imprese a spendere più di r0 per aumentare la probabilità di essere finanziate. L’efficacia pratica dei
sussidi alla R-S è controversa. Da un lato essi non hanno effetti negativi sulla diffusione tecnologica e
sull’efficienza nel mercato dei beni ma la R-S finanziata può spiazzare in parte quella non finanziata.
Inoltre i sussidi possono creare, ex post, problemi di moral hazard: per es. il sostegno pubblico può
trasferirsi in parte o completamente sul prezzo dei fattori innovativi (cap.umano), rendendo
trascurabile l’effetto del sussidio sul livello della R-S in termini reali.
61
Dove (I-T)ri è la riduzione del reddito imponibile dovuta alle spese di R-S e ri(tk) è il credito di
imposta. Gli sgravi fiscali presentano tuttavia dei vantaggi rispetto ai sussidi. In primo luogo, gli sgravi
sono meno “visibili” in termini di bilancio pubblico, in secondo luogo hanno maggiori automatismi e
semplicità che permettono minori costi amministrativi; infine, il loro automatismo riduce la
discrezionalità dell’autorità di politica industriale, che quindi non deve discriminare tra imprese. Gli
sgravi fiscali presentano d’altro canto anche svantaggi
essi possono produrre gli stessi effetti di sostituzione dei sussidi (nel senso di favorire imprese
che avrebbero comunque investito in R-S)
non sono efficaci nei confronti di imprese giovani e di piccole dimensioni, che hanno bassi
livelli di reddito imponibile
possono spingere le imprese a ridefinire le proprie attività di R-S interna in modo da
aumentare la base imponibile, generando soltanto effetti nominali sulla spesa privata di R-S.
Inoltre è uno strumento inadeguato per grandi progetti R-S che richiedono conoscenze dettagliate e
processi di difficile automazione.
62
articolato di politiche pubbliche che possono essere orientate alla soluzione di questi “fallimenti”:
Sostegno della ricerca di base (università e centri di ricerca). Esse migliorano la capacità di
risolvere i problemi producendo esternalità a favore del sistema industriale.
Sostegno di progetti di ricerca ad alta incertezza e complessità in tecnologie come
aerospaziale, il nucleare e la produzione di energia mediante commesse o programmi di
ricerca pubblici
Politiche orientate alla diffusione di tecnologia e alla formazione di competenze a livello di
piccole e medie imprese.
Politiche per la formazione del capitale umano. Questi interventi si rivolgono esplicitamente
alla formazione professionale in nuove discipline scientifiche e alla formazione permanente in
discipline consolidate. La capacità di risposta di un sistema industriale a nuove tecnologie è
fortemente condizionata dalla flessibilità, del proprio sistema di formazione. Es. sistema
statunitense
Politiche orientate a sbloccare meccanismi di lock-in. La cumulatività che caratterizza i
processi di apprendimento può essere fonte di trappole di competenze.
Dove Yif e Yti rappresentano rispettivamente l’intensità della R-S del paese leader e dei paesi follower
nell’anno t. Questo indice varia tra 0 e 1, rispettivamente max convergenza (la differenza che sta al
numeratore si annulla perché i paesi sono uguali) e min convergenza. Soete e Verspagen hanno
calcolato l’indice di convergenza per diversi gruppi di paesi: tutti i paesi OCSE, il gruppo di paesi
inseguitori, come la Germania e il Giappone e infine la Corea del Sud. Similmente all’andamento del
PIL pro capite, i maggiori paesi inseguitori (intensità di R&S > 1%) recuperano rapidamente terreno
rispetto al paese leader durante il periodo compreso tra gli anni cinquanta e la fine degli anni
settanta.
Successivamente fino alla fine degli anni ’80 la convergenza si arresta. L’indice di convergenza sale
leggermente e poi torna a scendere molto lentamente, senza però oltrepassare la soglia di 0,5. Sia su
dati di R&S che su quelli dei brevetti si riscontra la stessa tendenza.
Baumol mette in evidenza la formazione di convergence clubs per indicare che la convergenza è un
fenomeno limitato a pochi paesi. relazione positiva tra reddito pro-capite, R&S e brevetti vuol dire
che i paesi avanzati innovano di più. Nonostante i segnali di convergenza, la gerarchia dei maggiori
paesi innovatori rimane piuttosto stabile tra gli anni sessanta e gli anni ottanta (anche se si riducono
le distanze), inoltre Patel e Pavitt studiano le posizioni relative degli innovatori in termini di brevetti
pro capite tra il periodo 1963-68 e il periodo 1986-90, indicando un’elevata stabilità delle posizioni,
come dimostra il coefficiente di correlazione di rango. tutto questo è dovuto a differenze nel
capitale umano o differenze alle specializzazioni tecnologiche di un paese.
15.5 CONCLUSIONI
Dopo la seconda guerra mondiale Europa e Giappone hanno recuperato il ritardo tecnologico verso
gli Stati uniti. In alcuni comparti alcuni paesi follower, come il Giappone nell’elettronica di consumo e
nei trasporti, hanno sorpassato il paese leader. Il processo di convergenza tecnologica sembra aver
rallentato però negli anni ottanta. Durante questo periodo il vantaggio americano, soprattutto nei
confronti dell’Europa, è tornato ad ampliarsi. Negli anni novanta questa tendenza rimane
sostanzialmente inalterata. Questi segnali contrastanti di convergenza sono limitati ad un club di
paesi simili, in termini di reddito pro capite. Per queste persistenti differenze tra paesi nei livelli
occorrono azioni dei governi e delle istituzioni orientate a formare le capacità sociali (tecnologica e
capitale umano) necessarie per assorbire conoscenze generate da altri sistemi e per sviluppare
competenze innovative autonome.
16.4.4 Il successo delle politiche a favore del network di piccole e medie imprese
Due tipi di politiche hanno influenzato le diverse tipologie di piccole e medie imprese:
1. Le politiche in favore dell’adozione di nuovo beni capitali
2. Le politiche di informazione e diffusione della tecnologia