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DISPENSA SIMB 2016/2017

a cura prof. Alessandro Basile


Università di Catania

BUSINESS MODEL INNOVATION: LE


IMPLICAZIONI STRATEGICHE E OPERATIVE

1. Il ruolo del Business model come management


innovation

La trattazione del secondo capitolo è stata incentrata sulla nuova


prospettiva di ricerca della Management Innovation che pur
focalizzandosi sull’innovazione gestionale e organizzativa riconosce il
forte legame con l’innovazione tecnologica in prospettiva co-evolutiva,
considerando le relative interdipendenze di processo (Volberda e al. 2013,
Hollen e al. 2013). Le tematiche sull’impatto e gli effetti dell’innovazione
tecnologica a livello di impresa, settore, e network hanno caratterizzato
l’affermarsi della ricerca nel filone di studi individuato. Congiuntamente
allo studio dei processi innovativi, dei modelli di sviluppo e delle capacità
dinamiche come driver di rinnovamento strategico e creazione di valore,
la Management Innovation negli ultimi cinque anni vede l’affermarsi
dell’esplorazione delle innovazioni organizzative, gestionali-manageriali,
amministrative e delle innovazioni nei “tools” di analisi e supporto ai
processi decisori. Il Business Model Innovation appare sicuramente la
tematica di maggiore interesse perché rappresenta una sintesi di
complementarità della ricerca sull’innovazione tecnologica e
sull’innovazione gestionale nelle imprese di qualsiasi dimensione. Al
proliferare del dibattito scientifico sui business model si assiste
parallelamente alla progressiva crescita delle applicazioni nella pratica
manageriale delineando un crescente processo di affermazione come
moda gestionale e strumento/pratica di innovazione gestionale adotatta in
un numenro crescente di imprese. In tale contesto scientifico ed aziendale
il business model si è dapprima configurato come strumento e nuova
prativa per lo stato dell’arte e attraverso la validazione esterna ed interna
delle prime esperienze di applicazione è divenuto un’ innovazione
gestionale nuova per moltre imprese che la stanno adottando. Rispetto
alle fasi del processo di management innovation, in molte imprese il
livello di adozione del business model si posiziona già nella fase di
etichettatura, per molte altre imprese, in particolar modo quelle minori, il
processo di management innovation stenta ad avviarsi; appare assente la
fase della motivazione ed insoddisfazione dello status quo delle routine
correnti e gli imprenditori-manager sono poco aperti al ruolo degli agenti
di cambiamento esterni. Gli effetti di tale processo si riflettono nei
collegamenti dei driver del business model ai meccanismi organizzativi e
operativi in atto e alla strategia aziendale pianificata e deliberata nei
documenti programmatici.

1
L’evoluzione del concetto di Business model e il legame con la
strategia d’impresa.
I processi di riorganizzazione e le manovre di riconfigurazione della
catena del valore e dei meccanismi interni sfociano nella rimodulazioni nei
sistemi operativi e nel re-engineering dei processi. Il processo di
riorganizzazione aziendale in ottica strategica e operativa viene strutturato
con nuove pratiche e strumenti che consentono di definire chiaramente
l’assetto d’impresa cioè il “modo di stare sul mercato” delle imprese; il
tema della riorganizzazione aziendale lontana dal vecchio paradigma
strategia-struttura di Chandler è stato oggetto di numerosi tentativi di
sistematizzazione teorica, con risultati eterogenei nei contenuti.1

1
Ad esempio per approfondimenti sul Business Process Reengineering si
rimanda a Gambel (1998).

2
Parallelamente negli ultimi dieci anni, dall’avvento della net-economy e
la nascita delle dot.com specializzate in tecnologie digitali, scaturì un
importante filone di ricerca della Management Science nel quale il nuovo
modo di fare impresa fu spiegato dall’evoluzione del concetto di business
model. Il termine “business model” è divenuto di uso comune sia nella
pratica imprenditoriale e manageriale, sia nella ricerca scientifica (Alt e
Zimmermann 2001). La diffusione del termine ha coinvolto e interessato
le imprese technology-intensive e internet-based per poi comprendere
anche altre categorie di organizzazioni. Le tematiche collegate ai business
model sono state analizzate da differenti ambiti disciplinari, con metodi
ed obiettivi di lavoro ogni volta diversi. Rispetto ai livelli di impatto oggi
è possibile affermare che esiste un nesso logico e una relazione forte tra
business model e sviluppo dell’e-business, business model e performance
aziendali, business model e innovazione aziendale (Zott. al 2011).

Ripercorrendo le tappe storiche, nonostante la fioritura della ricerca sui


Business Model sia avvenuta a partire dal 1998, il termine business model
appare per la prima volta in un articolo accademico nel 1957 (Bellman et
al., 1957) e nel titolo di un saggio nel 1960 (Jones, 1960). Le prime
ricerche tuttavia iniziano più tardi, con lo sviluppo di tecnologie e settori
web-based, periodo in cui emerge la necessità di elaborare e sviluppare,
oltre a strategie competitive innovative, modelli di business efficaci e
sostenibili.
Nonostante la crescente importanza di questo concetto, c’è una mancanza
di spunti teorici di base comuni e la letteratura ha difficoltà ad individuare
una definizione ampiamente condivisa. Spesso il termine viene utilizzato
per indicare aspetti diversi di uno stesso fenomeno.
I primi studi nel campo del management, come quello di Van de Ven e
Walker (1984), pongono l’attenzione sul ruolo dell’assetto strategico
come base di nuovi modelli di business e alla sua importanza per la
sopravvivenza e la competitività delle nuove imprese.
Con il passare del tempo la crescita esponenziale del concetto è stata tale
da catturare il dibattito scientifico e l’attenzione di diversi studiosi che
sono andati ad esplorare l’evoluzione nel corso del tempo. Nel 2005
Ghaziani e Ventresca hanno svolto una ricerca che aveva l’obiettivo di
quantificare l’utilizzo del termine business model negli articoli di
management pubblicati dal 1975 al 2000 (Ghaziani & Ventresca, 2005)
Durante i venticinque anni analizzati, il termine business model era stato
citato millesettecentoventinove volte in articoli specialistici diversi, di
questi solo centosessantasei riguardavano il periodo 1975-1994, i restanti
90,4% erano stati pubblicati negli anni successivi.

A conferma della maggior rilevanza che il concetto di business model ha


ottenuto negli anni, è stata sviluppata un’analisi anche da Massa, Zott e
Amit nel 2011. La loro ricerca pubblicata in Journal of Management si
differenzia da quella di Ghanziani e Ventresca per due motivi:
- il periodo di tempo analizzato è stato esteso dal 2000 al 2009;
- gli articoli trovati sono stati suddivisi tra pubblicazioni accademiche e
pubblicazioni giornalistiche.
La loro analisi ha individuato 1202 articoli accademici ed 8066 documenti
che trattavano il business model. L’analisi incrociata dei risultati di
entrambe le ricerche portano ad affermare che l’interesse ai business
models è esploso nei quindici anni successivi al 1995. La suddetta
evoluzione è evidenziata nella Figura 1 che, inoltre, pone l’accento sul
minor sviluppo degli articoli accademici (PAJ: articles published in

3
academic journals) rispetto a quelli non accademici (PnAJ: articles
published in nonacademic journals).

Fig. 3.1 – Articoli su business model pubblicati dal 1975 al 2009.

Fonte: Zott. e al. 2011, Journal of Management

2. La dinamica evolutiva del business model

Alla dinamica esponenziale della curva rappresentata in Figura 3.1 sono


state proposte diverse interpretazioni; Amit e Zott, 2001 sostengono che
l’interesse dedicato ai business models sia cresciuto esponenzialmente a
causa dell’avvento di Internet, altri autori (Thompson & MacMillan, 2010,
Prahalad & Hart, 2002; Seelos & Mair, 2007) credono che le principali
cause di sviluppo siano state la crescita dei mercati emergenti e il maggiore
interesse per i processi di pianificazione bottom-up, infine Perkmann e
Spicer, 2010
crescita di industrie e organizzazioni basate sulle tecnol
logie post-industriali, non solo web-based.
E’ comunque verosimile che l’interesse crescente nell’ambito dei business
models può essere giustificato solo da un insieme di concause scientifiche,
ambientali ed aziendali che hanno agito contemporaneamente.
L’interazione di diversi fattori quali la dirompenza del web nell’acquisire
sempre più rilevanza nella vita di persone ed organizzazioni, l’utilizzo di
tecnologie innovative che sono andate moltiplicandosi ed affinandosi negli

4
anni, la graduale convergenza multi-tecnologica in singoli prodotti, la
crescita di mercati emergenti ed una costante evoluzione dei processi di
globalizzazione, ha determinato che l’interesse ai business models
divenisse sempre più forte, non solo nella mente dei ricercatori e degli
studiosi, ma anche all’interno delle imprese e delle organizzazioni che
hanno visto subentrare nel loro mercato di riferimento nuovi concorrenti e
rafforzare quelli esistenti, la cui forza principale era quella di basarsi ed
implementare un business model innovativo.

Nonostante un’attenta ricerca storica evidenzi che già nel 1997 Treacy e
Wiersema scrivevano ” The second concept – the operating business model
oriented to customer value – describes the interaction of operating
processes, management systems, organizational structures and corporate
culture, which enables a company to keep its promise of service. These are
the systems, infrastructures and the environment that help realizing the
customer benefit. The promise of service is the corporate objective,
whereas the operative business model oriented to the customer value is the
method with which this objective is achieved.”, il lavoro seminale di Paul
Timmers (1998) è probabilmente il primo che ha contribuito a risvegliare
l’interesse verso questo filone di ricerca. Timmers definisce il BM come:
“An architecture of the product, service and information flows, including
a description of the various business actors and their roles, a description
of the potential benefits for the various business actors, a description of
the sources of revenues”
L’approccio di Timmers è una tiplogia sistemica poiché si basa su
un’analisi dei possibili punti di aggregazione delle informazioni lungo la
catena del valore in relazione ai livelli di innovazione. Egli introduce
undici tipologie di BM (Fig. 3.2) per le imprese classificndoli sulla base di
2 criteri: “numero di funzioni integrate” e “grado di innovazione”.
Riprendendo la descrizione del lavoro di Timmers in un recente lavoro di
Savarese 2012 si legge:
-“E shop: è un BM di tipo “one-to-one”. L’azienda promuove i suoi
prodotti o servizi tramite strumenti di marketing innovativi e gli utenti
possono concludere la transazione direttamente on-line. In questo modo
l’impresa ha accesso a nuovi mercati con notevoli benefici in termini di
riduzione dei costi generali e di marketing. L’utente non dovrà recarsi
direttamente presso i punti vendita e potrà confrontare i prezzi;
- E-procurement: è un BM di tipo “one-to-many” attraverso il quale
l’impresa individua nuove strategie di approvvigionamento da sostituire a
quelle tradizionali. Il processo di approvvigionamento web-based è più
snello e risponde comunque ai requisiti di controllo e verifica richiesti;
- E-auction: sono aste elettroniche simili a quelle tradizionali. Il gestore
della piattaforma realizza il profitto attraverso la vendita dello spazio
virtuale, le commissioni sulle transazioni e la pubblicità;
- E-mall: è un BM di tipo “many-to-many” e consiste in un insieme di e-
shops riuniti in una piattaforma virtuale, spesso caratterizzata da un brand
comune;
- Third party marketplace: anche questo è un BM di tipo “many-to-many”
ed è utilizzato dalle aziende che danno in outsourcing la gestione del
marketing sul web;
- Virtual communities: sono dei luoghi virtuali di aggregazione dove i
partecipanti si confrontano su argomenti specifici. Nel B2B i partecipanti
interagiscono tra
loro condividendo anche risorse immateriali quali progetti, idee, etc.;

5
- Value chain service provider: si caratterizza per la fornitura di una
specifica attività della catena del valore come la logistica dei prodotti e il
pagamento elettronico;
- Value chain integrators: le aziende integrano più attività e riescono a
trarre vantaggio dai flussi di informazioni che intercorrono tra i vari
passaggi. Esse si finanziano grazie a commissioni per la consulenza e le
transazioni;
- Collaboration platforms: offrono strumenti per la collaborazione
interaziendale sia per funzioni specifiche, come ad esempio design,
progettazione, etc., sia di carattere generale;
- Information brokerage, trust e altri servizi: questo tipo di BM ha la
caratteristica di aggiungere valore ai dati disponibili sulla rete; qui sono
compresi sia gli infomediaries che hanno il compito di raccogliere i dati
sulle abitudini dei consumatori, sia i Trust Services i quali forniscono
credibilità attraverso l’utilizzo di enti certificatori o di terzi ritenuti
affidabili.

Fig. 3.2 La tassonomia di Timmers (1998)

A partire dal 1998 le altre mappature sui business model appaiono


incomplete, in altre parole manca un approccio completo allo studio del
concetto di business model, che ne includa la definizione, l’individuazione
dei componenti, una tassonomia di riferimento, la rappresentazione
grafica, il processo per trasformare un BM tradizionale in un eBM ed infine
un framework per la valutazione concreta del potenziale di un eBM.
Qualunque sia l’approccio adottato, si può osservare che esiste un insieme
ricorrente di elementi di contorno, formato da struttura del mercato, value
proposition, attività e processi, core competences, politiche di prezzo e
flussi finanziari, strategia, regole applicate e tecnologia.
La tabella 1 sotto riportata sintetizza l’eterogeneità degli approcci proposti
dalla letteratura corrente dal 1998 al 2002 nella configurational
perspective ed evidenzia come siano davvero esigui i contributi che
propongono un approccio sistematico e completo al concetto di business
model. I lavori successivi a partire da quello di Osterwalder, Pigneur e
Tucci (2005) si avviarono verso una prospettiva dinamica del business
model legata alle performance aziendali e all’innovazione.

6
Tabella 1: Review dei contributi dal 1998 al 2002

Researcher Definition Components Taxonomy Design Changing Evaluation


tool metodology framework
Timmers
 
(‘98)
Mahadevan
 
(‘00)
Kraemer et al.

(‘00)
Chesbrough
&

Rosembloom
(‘00)
Tapscott,
Ticoll, Lowy    
(’98 – ‘00)
Hamel (‘00)  
Linder &
Cantrell (‘00)
Accenture
   
Institute of
Strategic
Change
Methlie (’01) 
Afuah e Tucci
 
(‘01)
Alt &
Zimmerman  
(‘01)
Gordijn &
Akkermanns  
(’01)
Weill &
    
Vitale (‘01)
Rappa (‘01)  
Hawkins

(’01)
Amit & Zott

(’01)
Applegate
 
(’01)
Petrovic et al
(’01)
Auer &
Follack (’02)
  
Evolaris
eBusiness
Competence
Center
Osterwalder
& Pigneur   
(’02)

7
Researcher Definition Components Taxonomy Design Changing Evaluation
tool metodology framework
Magretta
 
(’02)
Elliot (’02) 

2. Business model: concettualizzazione e legame con tre


fenomeni aziendali

La visione integrante fornita dalle evidenze di modellazioni degli assetti


strategico-organizzativi ha condotto all’evoluzione dei pregressi strumenti
di management; si è assistiti alla graduale evoluzione degli elementi del
Business di Abel (1980), della business idea di Norman 1979, o della
formula imprenditoriale di Coda (1984), della Balance Scorecard (Kaplan
e Norton 1998) verso l'integrazione in un più vasto sistema integrato di
mappatura e valutazione aziendale di natura principalmente qualitativa.
Come anticipato nei paragrafi precedenti le definizioni fornite di “Business
Model” variano quindi sia nella struttura che nel contenuto; certo appare
invece il suo ruolo come innovazione gestionale cruciale per la
competitività d’impresa. Dai tentativi di concettualizzazione riportati si
può affermare che un business model, in qualunque contesto di
applicazione, identifica e individua elementi che si posizionano alla base
dell’implementazione delle strategie aziendali e dei meccanismi
organizzativi:

o Stakeholders e loro coinvolgimento nei


flussi materiali ed immateriali (informazioni,
prodotti, servizi);
o Caratteristiche dell’offerta;
o Gestione delle relazioni orizzontali, a
monte e a valle;
o Creazione del valore;
o Aggressione o dominanza nel mercato di
riferimento;
o Infrastrutture di supporto.

A fronte dei numerosi contributi scritti in materia di business model in


riviste di importanza primaria e secondaria, sono state ipotizzate diverse
classificazioni del concetto. La terminologia impiegata nelle definizioni di
business models è eterognea; tra i principali termini che Zott. e al. 2011
menzionano:
- statement o descrizione (Stewart, Zhao, 2000; Applegate, 2000; Weill e
Vitale, 2001)
- rappresentazione o modello (Morris, Schindehutte e Allen, 2005; Shafer,
Smith e Linder, 2005; Amit e Zott, 2001) ;
- architettura o disegno di riferimento (Dubosson-Torbay, Osterwalder e
Pigneur, 2002; Timmers, 1998; Brousseau e Penard, 2006)
- insieme di strumenti di gestione o metodo George, Bock, 2009;
Osterwalder, 2004; Afuah e Tucci, 2001
- struttura o set (Afuah, 2004; Seelos e Mair, 2007)
Il business model non necessita sempre di una definizione; accanto alle
pubblicazioni che forniscono una definizione di business model, ci sono
ricerche che, pur focalizzandosi sul tema, non ne danno una definizione.

8
Massa, Amit e Zott (2011) infatti, evidenziano come, delle pubblicazioni
afferenti alla loro analisi, solo il 44% dà una definizione, il restante 56 %
non propone una definizione del concetto trattato. Si può quindi affermare
che le definizioni esistenti da un lato abbiano intriso la letteratura di punti
di vista differenti, dall’altro abbiano condotto ad una confusione generale
che, addizionata alla mancata definizione di altri autori, ha fatto sì che pur
essendoci un ampio interesse in materia, non esista una definizione di
business model accettata universalmente. 2

2
Nel paper di Zott, Amit and Massa 2011 pubblicato in
Journal of Managementsi legge: “At a general level, the business
model has been referred to as a statement (Stewart & Zhao, 2000),
a description (Applegate, 2000; Weill & Vitale, 2001), a
representation (Morris, Schindehutte, & Allen, 2005; Shafer,
Smith, & Linder, 2005), an architecture (Dubosson-Torbay,
Osterwalder, & Pigneur, 2002; Timmers, 1998), a conceptual tool
or model (George & Bock, 2009; Osterwalder, 2004; Osterwalder,
Pigneur, & Tucci, 2005), a structural template (Amit & Zott,
2001), a method (Afuah & Tucci, 2001), a framework (Afuah,
2004), a pattern (Brousseau & Penard, 2006), and a set (Seelos &
Mair, 2007). Surprisingly, however, the business model is often
studied without an explicit definition of the concept. Of the 103
business model publications reviewed, more than one third (37%)
do not define the concept at all, taking its meaning more or less for
granted. Fewer than half (44%) explicitly define or conceptualize
the business model, for example, by enumerating its main
components. The remaining publications (19%) refer to the work of
other scholars in defining the concept”.
9
Braccini, 2008 afferma: “allo stato attuale manca ancora consenso
unanime su una definizione condivisa di Business Model ed emerge la
necessità di intensificare la ricerca empirica in questo settore. Recenti
lavori di ricerca, nel tentativo di riassumere e considerare tutte le
precedenti posizioni, hanno proposto l’adozione di ontologie per la
derivazione di una definizione di Business Model condivisa e
condivisibile”
In linea con gli obiettivi di questo studio, la classificazione presentata da
Zott, Amit, Massa, 2011, suddivide i business model e ne definisce le
caratteristiche, partendo dalla considerazione che essi siano stati impiegati
principalmente per spiegare tre distinti fenomeni:
- l’e-business e l’uso delle information technologies nelle organizzazioni;
- i problemi strategici e operativi quali la creazione di valore, i vantaggi
competitivi e la performance delle imprese;
- l’innovazione aziendale
Come detto l’e-business, legato alla crescita esponenziale dei settori high-
tech e internet based, rappresenta l’origine delle ontologie e dei framework
teorici. Di attuale interesse sia nel dibattito scientifico che nella pratica
manageriale, appaiono invece il legame tra business model assetti
strategici per la creazione del valore e dei vantaggi competitivi e il legame
tra business model e innovazione aziendale tecnologica e manageriale
dove il business model può essere analizzato come soggetto o oggetto
dell’innovazione.

3. L’utilizzo di ontologie nella descrizione di un Business


Model

Un business model non può essere la descrizione riferita all’impresa come


sistema sociale complesso, dei suoi attori, relazioni, processi. Piuttosto, un
business model deve descrivere la logica di un assetto del business per la
creazione di valore che sta dietro i processi in essere. “A business model
is the conceptual and architectural implementation of a business strategy
and represents the foundation for the implementation of business
processes and information systems”. Il modello di business è dunque il link
mancante tra strategia e processi (Osterwalder 2004).
Dall’affermazione si deduce che l’implementazione di un business model
in strutture organizzative e sistemi, ovvero il business modeling, è uno dei
processi aziendali, mentre il concetto di business model in sé, la sue
logiche di funzionamento e il suo design riportano ad un livello più alto,
all’integrazione delle azioni di definizione della strategia dell’impresa,
della business idea implementata e degli strumenti per realizzarla.
L’obiettivo di questo approccio al problema di definizione dell’assetto
strategico è determinato dalla necessità di concepire una definizione di
business model che non sia fine a se stessa ma che possa essere di supporto
anche nella fase di design, alla costruzione (formale e grafica) ed
integrazione della propria business idea intesa come sistema di dominanza
operante di un business o di un settore o di un segmento (Normann 1979)
e non come concept iniziale del business planning.

10
D’altro canto, è proprio questo lo scopo di una ontologia: cercare di
formalizzare a livello concettuale in termini di elementi, relazioni,
terminologia e semantica.3

Come detto a partire dalla metà del duemila i ricercatori hanno sentito la
necessità di riassumere tutti i contributi teorici esistenti. I contributi
cruciali per la ricerca sono stati quelli di Osterwalder (2004) e di
Akkermans e Goordijn (2005) i quali, attraverso l’uso di ontologie, hanno
cercato di sintetizzare le esperienze precedenti. 4

3
E’ d’obbligo una premessa sul termine “ontologia”: dal
greco “eon” + “logos”, “discorso” sull’ “ente”, è la parte della
filosofia che studia il concetto e la struttura dell’essere in generale,
in modo assolutamente astratto e dunque senza entrare nel merito
dei fenomeni in cui l’essere si concreta e specifica. Partendo da
questo assunto, l’informatica ha mutuato una definizione di
ontologia come “formulazione di uno schema concettuale esaustivo
e rigoroso nell'ambito di un dato dominio; si tratta generalmente
di una struttura dati gerarchica che contiene tutte le entità
rilevanti, le relazioni esistenti fra di esse, le regole, gli assiomi, ed
i vincoli specifici del dominio”. citazione di Wikipedia.
4
Le ontologie sono delle rappresentazioni formali il cui
impiego in passato era limitato alla ricerca in campo filosofico,
mentre oggi vengono utilizzate anche come metodo di
rappresentazione della conoscenza.
11
Osterwalder propone la “e-Business Model Ontology” (eBMO), il cui
scopo è la formalizzazione delle relazioni all’interno di un’organizzazione,
mentre Akkermans e Goordijn la “L’E3-Value Ontology” che si occupa
delle relazioni tra diverse organizzazioni.

Akkermans e Goordijn, per definire la loro ontologia, partono dal


presupposto che spesso i BM siano rappresentati da un insieme di forme
testuali, verbali e grafiche. Ovviamente, una tale rappresentazione
confusionaria limita la chiara esposizione nei confronti degli stakeholders
degli obiettivi che il top management intende raggiungere nonché la
traduzione di tali obiettivi in un’efficiente infrastruttura informatica da
parte della funzione IT.
Due sono le caratteristiche principali della metodologia proposta:
o Riconosce l’importanza del valore economico in sé, e
dunque analizza la creazione, lo scambio ed il consumo di
oggetti aventi un valore economico in un network del
quale fanno parte più attori;
o Si basa sui principi del “multi-viewpoint requirements
engineering5

5
E’ il processo di sviluppo dei requisiti mediante un
meccanismo cooperativo di analisi del problema, documentazione
dei risultati mediante una varietà di formati e controllo
dell’accuratezza ottenuta.
12
o ” and “semi-formal conceptual modeling6

6
Per la descrizione e rappresentazione dei concetti gli autori
hanno scelto di adottare un linguaggio essenzialmente grafico, che
ben si presta ad essere interpretato anche da persone che non hanno
competenze tecniche e, per la loro attività, anche poco tempo da
dedicare alla valutazione di progetti complessi presentati in forma
interamente testuale (si pensi al top management).
13
o ”.
Grazie ad una chiara articolazione della value proposition dell’impresa,
tale approccio facilita l’individuazione di un accordo tra gli attori del
network sulle caratteristiche del servizio da offrire e consente una
valutazione economica del modello. Quest’affermazione comunque non
deve far pensare alla misurazione esatta dei profitti attesi, quanto piuttosto
alla validità commerciale dell’eBM. È chiaro però che l’uso della
metodologia degli scenari è applicabile solo laddove esista, come punto di
partenza, una chiara, precisa ed articolata descrizione del e-business model
adottato.
Coerentemente con quanto affermato in merito ai presupposti ed obiettivi
di un’ontologia, l’approccio dell’e3-value fornisce gli elementi per valutare
un universo composto da attori (imprese e consumatori finali) che
scambiano tra loro oggetti ai quali attribuiscono un valore economico.
Ecco chiarite le ragioni che portano gli autori a definire un BM come un
modello concettuale che mostra come oggetti aventi valore economico
siano creati, scambiati e consumati in un universo composto da più attori
(imprese, consumatori). Secondo Faraci e al. 2004 per lo sviluppo di tale
sistema, vengono considerate e sviluppate tre diverse prospettive:
o The value viewpoint mostra come il valore economico
viene creato, scambiato e consumato all’interno del
sistema;
o The process viewpoint rappresenta tale scambio in termini
di processi;
o The system architecture viewpoint rappresenta invece il
sistema informativo che sta alla base di tali processi e
consente dunque lo scambio di valore.

Una peculiarità di questo modello è che consente di applicare allo studio


dei BM un processo di dis-intermediazione e re-intermediazione, che è
anche di maggiore semplicità in quanto si basa su entità tipo UCM7

7
Si tratta di tecniche di rappresentazione grafica di scenari o
schemi comportamentali che hanno avuto grande successo negli
ultimi anni in applicazioni a sistemi dinamici e complessi. Per
approfondimenti, si veda il sito www.usecasemaps.org.
14
che ne consentono un’interpretazione grafica di facile lettura ed
applicazione.8
In nota si riportano i fattori di applicazione del modello e3: un cliente
desidera acquistare un certo prodotto presso un rivenditore in cambio di
denaro. Allo stesso modo dovranno comportarsi tutti gli attori coinvolti nel
processo verso chi li precede nella catena del valore: il rivenditore verso il
grossista e questi verso il produttore. La linea verticale indica il percorso
(scenario path) seguito.

15
Allo stesso tempo vengono riportate le nozioni relative agli UCM (use case
maps), che mostrano quali scambi di valore dovrebbero avvenire come
risultato dell’espressione di un bisogno da parte di un consumatore (in altre
parole, lo start stimulus) o come risultato di altri scambi di valore. In altre
parole, sono sviluppati partendo da uno stimolo iniziale al quale segue la
ricerca di un prodotto/servizio da scambiare onde soddisfare il bisogno
inizialmente espresso dall’attore.9

Nel secondo studio successivo a quello del 2002, Osterwalder e Pigneur


nel 2004 definiscono il business model come : “uno strumento concettuale
che descrive del valore offerto ad uno o più segmenti di mercato,
dell’architettura dell’azienda e della rete di partner per la creazione, il

9
In tutti i loro lavori, gli autori spiegano l’applicazione del modello mediante un
esempio pratico, che sarà riportato qui di seguito dopo aver proposto una dettagliata
descrizione delle tecniche usate: Actor – È un’entità economica (e spesso anche
legale) indipendente. Portando avanti una value activity genera profitto o aumenta la
propria utilità. Gli attori sono rappresentati da rettangoli; Value object - Sono i prodotti, i
servizi, il denaro, eventualmente anche le esperienze di consumo. Un oggetto può
rappresentare un valore anche per più attori. Sono indicati dal testo vicino alle frecce che
indicano lo scambio di valore; Value port – È lo strumento che usa un attore per
mostrare la richieste/offerta di beni o servizi. Sono rappresentati da piccoli cerchi neri (ad
esempio, il bene oggetto del bisogno dello stopper nell’esempio a fianco); Value
interface - Mostra l’oggetto che un attore intende scambiare, in cambio di un altro,
attraverso le proprie ports; un actor può avere una o più value interfaces. Graficamente,
queste sono rappresentate da un box tondeggiante, collegato all’actor, che spiega, ad
esempio, che lo shopper vuole acquistare il bene in oggetto e per far questo è disposto al
pagamento di una quota in denaro; Value exchange - Collega due value ports e
rappresenta uno o più potenziali scambi di valore attraverso queste ultime. Graficamente è
rappresentata da una freccia; Value offering – È un set di value exchanges che mostra quali
oggetti sono scambiati per ottenerne di nuovi. Vale una regola ben precisa, per cui o è
scambiato valore mediante ciascuna delle value interfaces collegate, o non è scambiato
alcun valore; Market segment - Coerentemente con il concetto classico di segmento
di mercato, rappresenta un gruppo di attori che, per una o più delle loro value interface,
valutano gli oggetti nello stesso modo; Composite actor – È la partnership che si crea tra
più attori che decidono di collaborare al fine di fornire un particolare servizio, usando solo
una delle loro value interface;
Value activity – È l’attività nel suo complesso portata avanti da un actor per il
proprio profitto o per incrementare la propria attività;
Scenario path - Consiste in uno o più segmenti legati tra loro da elementi di
connessione e start/stop stimuli;
Stimulus - Rappresenta i punti di inizio (start stimulus) e fine (stop stimulus) di
uno scenario path. Lo stimolo di partenza è determinato da un evento iniziale causato, ad
esempio, da un actor;
Segment - Uno scenario path si compone di più segmenti, che collegano le value
interfaces le une alle altre (ad esempio, attraverso elementi di connessione) e dimostrano
come gli scambi sulle varie value interfaces siano tra loro legati da rapporti di causa-effetto;
Connection - Collegano tra loro singoli segmenti, in modo diretto o indiretto,
usando gli operatori logici AND/OR, sia per spezzare uno scenario path in due o più
sottopercorsi o procede con l’operazione inversa (AND fork vs. AND join), sia per
modellare il proseguimento di uno scenario path in una direzione da scegliersi tra più
alternative o procedere con l’operazione inversa (OR fork vs. OR join).

16
marketing e la consegna di tale valore, nonché del capitale relazionale, al
fine di generare un utile sostenibile”10

10
Si legge: “a BM is nothing else than a description of the
value a company offers to one or several segments of customers
and the architecture of the firm and its network of partners for
creating, marketing and delivering this value and relationship
capital, in order to generate profitable and sustainable revenue
streams”
17
; gli autori propongono un’ontologia che si basa su 4 elementi
fondamentali:
 I prodotti e servizi offerti (Product Innovaction);
 Il capitale rappresentato dalle relazioni con i clienti
(Customer Relationship);
 L’infrastruttura alla base dei processi operativi ed il
network di partner (Infrastructure Management);
 La struttura finanziaria, determinata da costi e ricavi
(Financials).
Questo rappresenta tuttavia il solo primo livello di decomposizione della
struttura dei BM, che si spinge oltre per diversi livelli con un crescente
grado di complessità.
Tutti gli elementi, del livello principale e dei sottolivelli, sono tra loro
collegati da relazioni di causa-effetto che spingono l’utente a confrontarsi
continuamente con la realtà pratica: dunque, se è vero che gli autori hanno
anche il pregio di aver proposto una classificazione di modelli di business
basata su un approccio multi-dimensionale, che sarà oggetto di analisi nei
successivi capitoli, è ancor più importante riflettere sul framework
proposto che è davvero una nuova, innovativa chiave di lettura del market-
space.

5. Business model canvas: il contributo di A.


Osterwalder e Y Pigneur

Sulla scia della configurational perspective anche Alex Osterwalder


insieme a Yves Pigneur nel 2002 presentarono il loro contributo sulla
concettualizzazione del business model e l’ontologia del eBusiness Model
framework. L’antecedente del business model è per gli autori la crescita
esponenziale di nuovi settori high-tech e internet based che creano
discontinuità tecnologiche e impongono alle imprese l’adozione delle
nuove tecnologie. L’innovazione tecnologica è il driver chiave di sviluppo
del nuovo costrutto teorico. Le strategie di appropriazione del valore sono
perseguibili grazie all’introduzione di nuove competenze.

Durante gli studi successivi legati principalmente alle ricerche di


Dottorato, l’autore sottolineò come i modelli aziendali tradizionali e
l’orientamento di fondo che ha guidato la gestione aziendale nelle
specifiche aree strategiche di affari necessitava una revisione rispetto a
fenomeni settoriali prima non riscontrabili. La complessità strutturale dei
settori, la progressiva convergenza di tecnologie diverse e l’evoluzione del
modo di competere nella realtà ha accelerato la creazione di capacità di
adattamento, riconfigurazione gestionale e creazione di nuove opportunità
di business.
E’ comunque evidente che il business model inteso come il link mancante
tra strategia e processi aveva le potenzialità di fornire una risposta alle
evidenze della pratica manageriale
“A business model is the conceptual and architectural
implementation of a business strategy and represents the

18
foundation for the implementation of business processes and
information systems”. (Osterwalder 2004) .
In una definizione più strutturata Osterwalder, Pigneur e Tucci scrivono
“A business model is a conceptual tool that contains a set of
elements and their relationships and allows expressing a
company's logic of earning money. It is a description of the value
a company offers to one or several segments of customers and the
architecture of the firm and its network of partners for creating,
marketing and delivering this value and relationship capital, in
order to generate profitable and sustainable revenue streams”
(Osterwalder et al. 2005).
Le definizioni si allineano a quelle di Linder & Cantrell (2001), ricercatori
dell’Institute of Strategic Change of Accenture, che definiscono un BM
come il nucleo dell’organizzazione destinato alla creazione di valore (“the
organization’s core logic for creating value”) e Petrovic e al (2001) che
si soffermano invece sulla logica di un sistema di business per la creazione
del valore che è alla base dei processi (“a BM describes the logic of a
business system for creating value that lies behind the actual processes”).

Il nesso di congiunzione tra le prospettiva statica e dinamica del business


model inquadrate pur sempre nell’approccio “configurational” è evidente
nel contributo del 2005 con Pigneur e Tucci e in maniera definitiva nel
contributo del Osterwalder e Pigneur (2010) dove gli autori propongono
in dettaglio la configurazione applicativa composta da nove elementi
(building blocks):
 value propositions
 target customer segments
 channel
 customer relationships
 key resources
 key activities
 partner network
 cost structure
 revenue streams

Fig. 3.8 - Modello di business Canvas secondo


Osterwalder e Pigneur

19
La modellizzazione proposta ha il pregio di facilitare l’identificazione dei
fattori critici oggetto delle scelte aziendali e di mappare le aree di gestione
in cui sono localizzate le determinanti del vantaggio competitivo. Gli
sviluppi applicativi del modello hanno interessato settori high-tech e
digitali, peraltro oggetto di ulteriori modellizzazioni come i collegamenti
digitali negli e-business model di Weil and Vitale 2001 e Gorgijin and
Akkermans 2001, Dubosson-Torbay, Osterwalder and Pigneur del 2002
con la decomposizione di quattro blocchi per l’analisi degli e-business
model , lo schema di Patelli del 2003 per l’analisi degli e-business, i
contributi di Chesbrough and Rosenbloom del 2002, la rappresentazione
del value network di Faber at al. 2003,e settori manifatturieri tradizionali.
Il consolidamento del concetto e dell’uso della terminologia rese il
modello di Osterwalder facile da comprendere e particolarmente adatto al
processo di ridefinizione degli assetti strategico-organizzativi. Tali
processi poggiano sulla individuazione di driver specifici di successo che
vengono rilevati dal basso (bottom-up); come a dire che il business model
è inteso come uno “strumento/guida di gestione” legato alle peculiarità
aziendali e non un framework strutturale di riferimento. Il successo del
modello sancito con il libro Business Model Generation è generato da
complementarità della approccio “configurational” e nella logica di
costruzione dei building block che si basa su una prima pianificazione e
successivi processi di adattamento che vengono dal basso.
Lo stesso Osterwalder evidenzia: esistono ottime ragioni per cui è
importante innovare, ed altre per cui il Business Model Canvas è
attualmente il Modello più efficace per l'innovazione nel Business e
davvero unico nel suo genere. Come dice lo stesso Osterwalder:”
 è un metodo completo e sistemico: riesce a includere e
rappresentare efficacemente tutte le parti e le dinamiche esistenti
in un Modello di Business così come le reciproche interazioni sia
interne, sia in rapporto al mercato esterno;
 utilizza un linguaggio visuale: questo lo rende un potente
riduttore di complessità e conferisce immediatezza,
comprensibilità ed essenzialità, mentre tende
contemporaneamente a ridurre incomprensioni ed errori. La sua
struttura implicita crea le basi per l'implementazione effettiva di
efficace linguaggio comune in azienda, elemento di importanza
vitale in qualsiasi impresa;
 stimola la generazione di idee e soluzioni: la modalità di lavoro
del Business Model Canvas è strutturata in maniera tale da
stimolare potentemente un approccio ideativo/innovativo, efficace
e “solution oriented”;
 aiuta concretamente a trasformare un'idea in un
progetto realizzabile;
 consente di mettere in pista spin-off e business unit in maniera
veloce;
 è un potentissimo strumento di analisi strategica, sia per il
proprio Modello di Business, sia per ogni tipo di benchmark
efficace, permette infatti di leggere e analizzare con una lente
unica i competitors, le loro strutture e processi aziendali;
 favorisce e stimola il lavoro di gruppo e l'affiatamento nei Team:
lavorare insieme alla creazione e/o definizione del proprio

20
Modello di Business porta ad una maggiore condivisione e
coinvolgimento dei membri, riducendo i conflitti, aumentando
l'entusiasmo nei confronti del progetto e la fiducia nella squadra
di lavoro coinvolta;
 richiede, coinvolge e attiva diversi tipi di “intelligenze”,
competenze e processi: includendo sia la parte ideativa che quella
analitico-razionale, non solo stimola il meglio da ogni tipo di
persona e stile individuale ma, a livello di modello, conduce ad un
processo completo ed equilibrato che considera ogni aspetto
fondamentale: dalla creazione di una nuova, differenziante e
innovativa Proposta di Valore per il nostro segmento di clienti,
fino al rigore richiesto dal testing e dalla verifica dei conti. Ciò
permette ad un Modello di Business di essere efficace, efficiente
e, in sostanza, “stare in piedi”;
 è un modello innovativo, moderno ed efficace ai massimi livelli,
creato da Alexander Osterwalder insieme ad altri 470 consulenti
internazionali;
 è stato testato, verificato e applicato con successo da aziende
innovative di tutto il mondo e di ogni dimensione: tra le più
conosciute ci sono Ericsson, Capgemini, Deloitte, 3M, PwC ecc...
 è attualmente insegnato in Master e Centri di formazione ed
eccellenza nazionali ed internazionali, come ad esempio Stanford
e Berkley University;
 è facilmente integrabile con alcuni dei migliori strumenti
strategici come Strategia Oceano Blu;

21
 si tratta di un modello in aggiornamento e approfondimento
continuo: grazie ad un HUB online internazionale di consulenti
esperti che lo sviluppano continuativamente viene garantito un
costante miglioramento unito ad integrazioni periodiche e sviluppi
ulteriori che contribuiscono a mantenere attuale la sua originale
efficacia e innovatività.11

11
Secondo Wirzt 2011: “Business model innovations form another important
element of business model management and are relevant in the context of changes in
business models. With the help of the concept of business model management, innovative
business models can be identified and successfully implemented. In this context Johnson,
Christensen and Kagermann (2008) note: Fully 11 of 27 companies born in the last
quarter century that grew their way into the Fortune 500 in the past 10 years did so
through business model innovation”.

22
La sezione superiore del modello riguarda gli elementi inerenti
l’organizzazione strategica delle risorse delle capacità e dei processi
relazionali; la parte inferiore i driver di accounting determinanti i
differenziali di competitività.12

L’elemento cruciale del business model è la value proposition, cioè la


proposizione di valore.
Osterwalder e Pigneur sostengono: “Il valore offerto – sostengono è il motivo
per cui i clienti passano da un’azienda all’altra. Risolve un problema del
cliente o soddisfa un suo bisogno. Ciascun valore offerto consiste in un
insieme selezionato di prodotti e/o servizi che va incontro alle richieste di
uno specifico segmento di clientela. In questi termini, il valore offerto è un
insieme di benefici che un’azienda offre ai clienti. Alcune proposte di valore
offerto possono essere innovative e rappresentare un’offerta nuova e
dirompente. Altre possono essere simili a offerte già esistenti sul mercato,
ma con caratteristiche e attributi aggiuntivi” (A.Osterwalder & Y.Pigneur
(2010) ed ital. pag.22).
Nell’analisi del business model aziendale i fattori che secondo gli autori
possono contribuire alla creazione di valore per la clientela:
novità ,performance , personalizzazione, “risolvere i problemi” design,
marchio/status prezzo, riduzione dei costi, riduzione dei rischi accessibilità
convenienza/usabilità.

12
A.Osterwalder & Y.Pigneur (2010), Business Model
Generation, John Wiley & Sons. (traduzione italiana: Creare modelli
di business, Edizioni Fag Milano, 2012).
Con la definizione chiara dealla value proposition l’impresa esplicita nell’area centrale el modello valori
aziendali e significato che intende associare al valore generato, attraverso la sua offerta di beni e servizi, sia
per il mercato e allo stesso tempo per le terze parti portatrici di interessi. In accordo con Faraci 2012: “la
proposizione di valore è dunque una “promessa” di valore condiviso ed è parte integrante della strategia di
business che l’impresa intende attuare”.

Nella costruzione del modello, i blocchi costitutivi a destra della value proposition individuano gli elementi
della gestione della clientela e del mercato attraverso cui un’impresa crea, distribuisce e si riappropria di una
parte del valore creato. Le aree di analisi e intervento sono:
 customer relationships (relazione con i clienti)
 channels (canali)
 customer segments (segmenti di clientela)

I blocchi costitutivi a sinistra della value proposition individuano lo spettro di attività, risorse e partners, ad
elevata criticità che l’impresa deve combinare, selezionare aggregare riconfigurare al fine di creare, distribuire
e riappropriarsi di una parte del valore. I building blocks presi in considerazione sono:
 key activities (attività chiave)
 key resources (risorse chiave)
 key partners (partnership chiave)

Infine uno sguardo al ruolo operativo del business model quale strumento di analisi del grado di competitività
di un’impresa di natura qualitativa; Tale ruolo è spiegato dai contenuti dei due blocchi costitutivi posizionati
nella parte bassa del modello, ovvero cost structure e revenue streams. Il primo blocco individua gli elementi,
diretti ed indiretti, che definiscono la struttura dei costi di un’impresa (Il secondo esplicita le possibili fonti di
ricavi e dunque il cosiddetto revenue model.
In relazione alla valutazione dei driver di costo, scrivono Osterwalder & Pignuer (pag.40, ed.ital.): “Questo
elemento di base definisce i principali costi che bisogna affrontare quando si opera sulla base di un determinato
modello di business. Creazione e distribuzione di valore, mantenimento delle relazioni con i clienti e
generazione di ricavi sono tutte attività che comportano dei costi. Questi possono essere calcolati in modo
piuttosto semplice dopo aver definito le risorse chiave, le attività chiave e le partnership chiave. Alcuni modelli
di business, pertanto, dipendono dai costi più di altri. Ad esempio, le cosiddette compagnie aeree low cost
hanno basato interamente il proprio modello di business su basse strutture dei costi”.
Può essere utile distinguere le strutture dei costi dei modelli di business in due grandi classi: basate sui costi e
basate sul valore (molti modelli di business si collocano fra questi due estremi). Con riferimento alla
valutazione dei driver di ricavo scrivono Osterwalder & Pigneur (pag.30, ed.it.): “Se i clienti costituiscono il
cuore del modello di business, i flussi di ricavi sono le sue arterie. Un’azienda dovrebbe porsi la domanda
seguente: per quale valore ciascun segmento di clientela è veramente disposto a pagare? Fornendo una risposta
corretta a questa domanda, un’azienda può generare uno o più flussi di ricavi da ciascun segmento di clientela.
Ciascun flusso di ricavi può essere caratterizzato da meccanismi diversi di definizione dei prezzi, come listino
prezzi fisso, contrattazione, vendita all’asta, prezzi dipendenti dal mercato, prezzi dipendenti dal volume,
gestione del rendimento. Un modello di business può prevedere due diversi tipi di flussi di ricavi: 1) ricavi da
transazioni che derivano da pagamenti in un’unica soluzione da parte dei clienti; 2) ricavi ricorrenti relativi a
pagamenti continui derivanti dal valore offerto al cliente o dall’offerta di supporto post-vendita.
La valenza applicativa del modello nella valutazione qualitativa dell’impresa si sta affermando gradualmente
nella pratica manageriale; evidente appare l’impatto nei processi decisori interni grazie alla duplice funzione
di pianificazione e adattamento e l’utilità del modello di sintetizzare efficacemente e non superficialmente il
grado di competitività d’impresa che soggetti esterni come istituti di credito, fondi di venture capital,
associazioni di categoria sono chiamati a valutare per soddisfare i bisogni d’impresa: di credito, di
investimento, di innovazione.

6. Business model e innovazione aziendale


Il terzo campo individuato da Zott e Amit in cui il business model ha ricevuto ampia attenzione riguarda, come
anticipato, il suo nesso logico e scientifico con l’innovazione aziendale. Per incastrare il ruolo del business
model nella prospettiva teorica del Magement Innovation è necessario in via preliminare dividere la relazione
business model e innovazione in due differenti concetti:
- business model come soggetto di innovazione, ovvero come tool e struttura gestionale da cui scaturiscono
innovazioni tecnologiche e attraverso cui esse vengono proposte al mercato di riferimento;
- business model come oggetto stesso di innovazione gestionale cioè come management innovation.
Nel primo caso secondo (Zott, Amit, Massa, 2011, p.14), “il business model è fonte e veicolo di innovazione
aziendale , il suo il ruolo è quello di “liberare il valore potenziale delle tecnologie e di convertirlo in risultati
di mercato”.
Un’interessante studio in merito è stato svolto da Chesbrough e Rosenbloom nel 2002 che attraverso l’analisi
della “Xerox Corporation” hanno voluto esplorare il ruolo ricoperto da un business model nel catturare il valore
potenziale che incorpora una nuova innovazione, in particolare gli autori fanno riferimento all’innovazione
tecnologica.
La considerazione di partenza di Chesenbrough e Rosenbloom è che il valore contenuto nell’innovazione
rimanelatente fino a quando non viene commercializzato e ciò accade attraverso l’impiego di un business
model che, pertanto, svolge una funzione di cruciale importanza. Ad esempio, può accadere che
un’innovazione non riscuota il successo desiderato o fallisca a causa dell’utilizzo di un business model non
appropriato. La performance negativa di un’innovazione in cui l’impresa aveva investito lungo la catena del
valore dell’innovazione, può condurla in ripetuti insuccessi di mercato, infatti, possono portare l’impresa a
ridurre la motivazione e la sua volontà di investire in innovazione. Il business model, quindi, viene definito
dagli autori come un costrutto teorico che è in grado di codificare la trasformazione degli input che l’impresa
inserisce nel mercato, ovvero le innovazioni dell’impresa, in risultati economici, esplicitando in tal modo il
valore delle innovazioni. Secondo gli autori le funzioni del business model possono essere così riassunte:
- articolazione dell’offerta di valore, ovvero del valore creato per i consumatori e basato sull’innovazione. Ciò
comporta un’iniziale individuazione delle ragioni che potrebbero portare i consumatori ad interessarsi
all’innovazione, dei modi in cui questa potrebbe essere sfruttata e del valore che apporta;
- identificazione del mercato di riferimento attraverso l’individuazione dei consumatori potenzialmente
interessati all’innovazione e disposti a pagare per appropriarsene. Riguardo a questo punto gli autori
puntualizzano quanto il mercato di riferimento possa essere eterogeneo, infatti, ogni consumatore dà valore ad
un’innovazione in relazione a motivazioni differenti. Non è possibile individuare in modo univoco un valore
per l’innovazione;
- definizione della catena di valore grazie a cui l’impresa è in grado di creare e distribuire l’innovazione;
- stima dei costi di struttura e dei profitti potenziali conseguibili dall’innovazione.
- descrizione della posizione investita dall’impresa all’interno dell’intero network con conseguente
identificazione di partners e competitors. Questo punto spiega di che percentuale del valore complessivo
l’impresa riuscirà ad appropriarsi.
L’elencazione di queste funzioni potrebbe condurre l’analista a confondere il concetto di business model con
quello di strategia, Chesbrough e Rosenbloom, consapevoli di questo rischio, spiegano perché i due concetti
differiscono.
Innanzitutto, il ruolo di partenza di un business model è quello di creare valore per i clienti ed il suo sviluppo
si concentra su i modi attraverso cui questo valore viene offerto alla clientela, quindi appare un’attenzione
velata e marginale alla cattura di una porzione del valore creato inizialmente; l’enfasi su questo concetto è
decisamente maggiore nel processo di elaborazione della strategia aziendale, dove alle dinamiche
competitive viene data maggiore rilevanza. Una seconda differenza, riguarda il creare valore per gli azionisti
rispetto al creare valore per il business in generale. I due riferimenti sono diversi. Molto spesso la struttura
finanziaria dell’impresa è un tema accantonato dalla teoria dei modelli di business ed è invece uno dei punti
centrali nella formulazione della strategia. Infine, un’ultima differenza risiede nell’assunzione fatta dal
costrutto di business model, ovvero che la conoscenza detenuta dall’impresa, dai consumatori e dalle terze
parti coinvolte nel modello, sia cognitivamente limitata. La strategia invece assume che questi limiti siano di
scarsa importanza e che ci sia una grande quantità di informazioni attendibili e nuove conoscenze utili per
l’impresa. 13 A completamento dell’analisi gli autori allegano poi una mappa del business model (Figura 3.8)
che mette in evidenza come la definizione dello stesso richieda la definizione di tutti gli aspetti che
descrivono il link tra i profili tecnologici e profili economici. In un processo di adattamento ognuna della
scelte ne comporterà altre o sbarrerà all’impresa determinate strade giungendo alla definizione del business
model che diviene di rilevanza fondamentale per la performance aziendale.

Figura 3.8: Il business model di Chesbrough e Rosenbloom

Della stessa opinione è Björkdahl che nel paper “Technology cross-fertilization and the business model: The
case of integrating ICTs in mechanical engineering products” analizza il modo in cui tre multinazionali
cercano di appropriarsi del valore apportato dalle innovazioni tecnologiche che propongono al mercato
(Bjorkdahl, 2009).

13
Scrive Wirst 2011: “An example for a successfully implemented business model innovation through
business model management can be found in Apple’s iPod and iTunes store. With the combination of a portable media
player with an appealing design and the digital music business, Apple has not only achieved a transformation of the
whole company, but also created a completely new market. The innovation of the Apple Company was mainly
achieved in the area of the established business model. Apple did something far smarter than take a good technology
and wrap it in a snazzy design. It took a good technology and wrapped it in a great business model. Today, Apple
receives nearly 50% of its revenue from the iPod/iTunes combination and has increased its market capitalization from one billion
US dollars to more than 150 billion US dollars. An example that is repeatedly used to confirm the significance of success of
business model management is the Dell Company. Dell was founded in 1984 by Michael Dell and began solely with direct sales of
computer systems in 1993. Dell developed into one of the leading manufacturers of computer systems worldwide and became the
most dynamic company in the computer business. IBM, Compaq and others, however, hesitated to adapt their business models
accordingly. With the business model of direct sales, Dell shortened the value chain and, due to improved customer proximity, to
respond to customer needs in a better way. The modification or the reorganization of value creation – in particular of the value chain
– is one of the central aspects of business model management and an essential factor for the significance of success”.
Attraverso l’analisi di questi processi l’autore sottolinea la valenza del business model per poter conseguire
l’incremento di valore economico nell’innovazione tecnologica. Bjorkdahl ritiene che l’attenzione della
letteratura, storicamente rivolta agli input innovativi, debba allargarsi alla domanda del mercato,
concentrandosi sul link che collega gli input, cioè innovazioni e nuove tecnologie, agli output di mercato,
ovvero la risposta data dal mercato con i conseguenti profitti realizzabili; questo link, come sostenuto da
Chesbrough e Rosenbloom, è rappresentato dal business model.
Si può affermare che la letteratura sul rapporto tra business model ed innovazioni, percorre una strada
unidirezionale ampliando il raggio della sua attenzione, storicamente focalizzato sulle tecnologie e sulle
innovazioni come autonome fonti di valore, ai business model come chiavi per ottenere questo valore.

8. Il ruolo del business model nell’apertura all’innovazione esterna

Come argomentato al capitolo primo in un mercato caratterizzato da crescenti costi di sviluppo dei nuovi
prodotti e dalla riduzione del loro ciclo di vita nel mercato, i processi innovativi attivati dalle imprese risultano
sensibilmente ridotti se condotti esclusivamente strutturandoli sulle risorse interne(Chesbrough 2003,2006).
Il nuovo paradigma definito come modello di open innovation, evidenzia come la competizione si sposti sulla
creazione di modelli di business aperti capaci di ricercare, sviluppare e commercializzare nuove tecnologie
piuttosto che sul loro sviluppo.
Differentemente dai processi tradizionali di creazione dell’innovazione infatti un buon modello di business
appare difficilmente imitabile da parte dei competitor e dunque capace di garantire all’azienda, se ben
progettato e gestito, vantaggi duraturi anche nel lungo periodo.
Se collegato all’innovazione, un modello di business assolve prevalentemente a due funzioni: definisce tutte
le attività che porteranno alla commercializzazione del nuovo prodotto permettendo all’organizzazione di
creare valore per se e per il cliente finale; definisce come queste attività vengano gestite e il ruolo ricoperto
dall’azienda all’interno di esse, permettendole di catturare quota parte del valore creato (Chesbrough, 2006).
Tutte le imprese consapevolmente o inconsapevolmente sono dotate di un modello di business in quanto
rappresenta il modo i cui esse stanno nel mercato, il modo in cui operano e le attività attraverso che trasformano
una serie di input in un output fruibili da parte del consumatore, ottenendone un profitto derivante dalla vendita.
La differenza tra un business model efficace o meno risiede nella quantità di valore creato e a tal proposito
Chesbrough (2006) propone una classificazione dei modelli di business in varie configurazioni in grado di
creare un maggior vantaggio competitivo per l’azienda.

Tab. 4: i modelli di business sendo Chesbrough

Contenuti Tipologia
Business model non articolato BUSINESS MODEL
(inconsapevole) basato sulla vendita INDIFFERENZIATO
di un prodotto nei confronti di un
mercato indifferenziato di
consumatori. Il prezzo è il driver
principale. Non permette di
distinguersi dalle altre imprese
operantinel medesimo settore.

L'impresa ricerca una differenziazione BUSINESS MODEL


rivolgendosi ad un secondo target di LEGGERMENTE
riferimento (premium price) nei DIFFERENZIATO
confronti del quale offre una versione
upgrated del prodotto precedente (one
hit wonders syndrome).

L'impresa adotta un business model BUSINESS MODEL


articolato e si rivolge a più segmenti SEGMENTATO
occupando così tutto il mercato ed
estrapolando da esso una maggior
quantità di profitto. Tuttavia rimane la
one hit wonders syndrome in quanto si
basaesclusivamente sulle risorse
sviluppate internamente, limitando di
fatto la suacrescita in nuovi business.

L'impresa apre il suo processo BUSINESS MODEL


innovativo ai partner esterni ed è APERTO
maggiormentepredisposta a
condividere idee e tecnologie con i
propri fornitori e clienti.
Processo innovativo più veloce,
riduzione dei costi, condivisione del
rischio.

Vi è una condivisione formale delle BUSINESS MODEL


strategie di sviluppo con fornitori e INTEGRATO
consumatori. Si collabora con l'intera
catena del valore (attori più a monte
deifornitori e più a valle dei clienti) per
disegnare un business model
integrato.

Business model caratterizzato da un BUSINESS MODEL


ancora maggiore grado di apertura ADATTIVO
rispetto a quello precedente.
Disponibilità a condurre numerosi
esperimentiper individuare l'assetto
che genera e cattura la maggior quota
parte di valore.

Fonte: Elaborazione propria da Chesbrough 2006

Il business model adottato spesso rappresenta un fattore determinante nello stabilire il valore che una data
innovazione è in grado di generare; accade infatti che una nuova tecnologia possa risultare scarsamente
vincente se sviluppata e commercializzata con l’attuale modello di business dell’impresa, ma estremamente
vincente se gestita attraverso un modello differente. Secondo l’autore il business model può essere comparato
a un paio di occhiali indossati dall’impresa nel momento in cui guarda ad una particolare tecnologia; se gli
occhiali sono dotati della gradazione giusta è chiaramente possibile individuarne il potenziale di business, in
caso contraio l’impresa non sarà in grado di mettere pienamente a fuoco una giusta strategia e perderà di
conseguenza possibili opportunità di sviluppo.
Secondo Chesbrough e Rosenbloom, 2002: “quando Xerox lanciò la sua prima stampante per ufficio, il modello 914,
l’allora modello di business ne prevedeva la vendita ad un prezzo calcolato attraverso la tecnica del mark-up
(Chesbrough e Rosenbloom, 2002). Tuttavia gli elevati costi di produzione rendevano scarsamente appetibile per i
consumatori l’acquisto della stampante e venne rapidamente concluso che non vi erano potenzialità di mercato per
questa tipologia di prodotto. Tuttavia Xerox modificò il proprio modello di business ed anziché vendere la stampante
decise di offrirla in leasing ai propri consumatori al prezzo di 95 dollari al mese, impegnandosi a pagare 4 centesimi
di dollaro per ogni stampa eseguita dopo le prime duemila (Chesbrough e Rosenbloom, 2002). Questo modello di
business appariva altamente appetibile per i consumatori e complice il forte interesse dimostrato nei confronti di questo
nuovo prodotto il numero di copie prodotte superava abbondantemente le duemila unità al giorno, non al mese!”
(Chesbrough e Rosenbloom, 2002).
Il suddetto caso di pratica aziendale mostra come anche una buona tecnologia se commercializzata con un
cattivo modello di business possa dimostrarsi scarsamente efficace, ma in grado di creare valore se sviluppata
attraverso un differente modello (Chesbrough e Rosenbloom, 2002).
Nonostante l’importanza assunta dal business model, lo stesso Chesbrough (2007b) individua come vi sia una
certa resistenza da parte delle organizzazioni a modificarlo per adattarlo alle mutevoli esigenze di business. In
particolare egli osserva come nelle imprese vi sia la mancanza di una figura dotata della responsabilità e delle
competenze necessarie a svolgere questo compito. Al di la del CEO aziendale responsabile dell’andamento
dell’intera organizzazione, le altre figure di top management come quelle relative al marketing, alla finance,
alle sales, etc, sono responsabili delle performance relative alle proprie divisioni mentre un business model
deve garantire una buona overall performance e una visione d’assieme dell’assetto competitivo aziendale.
Inoltre, un ulteriore elemento di resistenza e un importante ostacolo proviene dalla rassicurazione offerta da
un modello di business conosciuto e da sempre adottato, mentre un nuovo modello comporterebbe nuove sfide
ed incertezze. Ciò si amplifica specialmente quando le performance reddituali dell’impresa non sono negative,
l’imprenditore tende a mantenere uno status quo.
Tuttavia nessun business model dura per sempre (Chesbrough, 2007); arriva per l’azienda il momento in cui
si rende necessario modificarlo. In alcuni casi la scintilla proviene da uno shock come successo ad esempio
per IBM e Procter & Gamble. Nel primo caso l’azienda cade nel 1992 in una profonda crisi finanziaria che
comporta una perdita di cinque mila miliardi di dollari e il licenziamento di numerosi lavoratori. Sotto la guida
di Lou Gerstenr, nuovo amministratore delegato, la ripresa venne ricercata attraverso l’impiego di un più aperto
modello di business volto ad individuare nuove fonti di ricavi (Chesbrough, 2007).
Una volta dimostrato il potenziale del nuovo modello di business sarà allora possibile applicarlo su più ampia
scala; in questo periodo l’azienda però dovrà gestire accuratamente la presenza di due business model, quello
in vigore e quello nuovo che inevitabilmente troveranno alcune aree di conflitto. Anche in questo si individua
un fenomeno di resistenza al cambiamento in quanto molte imprese hanno paura di lanciare degli esperimenti
che possano danneggiare i brand sviluppati in tanti anni di lavoro (Chesbrough, 2007). Non è detto che il nuovo
business model adottato dall’impresa sia migliore di quello precedente ed è proprio per questo motivo che si
rende necessario condurre alcuni esperimenti, raccoglierne i frutti, identificare la direzione da intraprendere e
condurre ancora nuove prove (Chesbrough, 2007), in un processo di adattamento continuo fino alla validazione
finale e alla legittimazione interna propria del management innovation process.

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