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La responsabilità sociale nelle reti d'impresa

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Antonella Zucchella
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La responsabilità sociale
nelle reti d’impresa

Antonella Zucchella *

1. Le catene del valore globali

L’obiettivo della creazione del valore caratterizza differenti attività economiche


in tutto il mondo e la organizzazione e gestione della catena di valore a livello
globale rappresenta uno dei mezzi più comunemente utilizzati per raggiungere
tale finalità in un contesto competitivo internazionale. Quest’ultimo implica che
l’impresa oggi debba confrontarsi con le minacce e le opportunità derivanti dalle
molteplici potenziali localizzazioni delle attività della catena del valore in tutto il
mondo. Identificare la miglior localizzazione, i migliori partners con cui
realizzare queste operazioni - quando non sono attuate internamente attraverso
investimenti diretti esteri - e gestire sistemi di value creation, che sono dispersi in
diversi paesi, sono tutti diventati le decisioni ed attività strategiche sulle quali è
costruito il posizionamento competitivo dell’ impresa.
Quando Porter (1985) scrisse il suo contributo sulla catena del valore, il
fenomeno era ancora agli inizi e nel suo lavoro si può percepire la fondamentale
ipotesi di una catena del valore “internalizzata”. Analogamente le decisioni di
localizzazione delle attività, così come le scelte di realizzare partnership, non
rappresentavano il tema principale.
Nei vent’anni successivi, la globalizzazione ha evidenziato progressivamente la
sua natura di forza trasformatrice (Nordhaug, 2002); le opportunità di fare
business si sono estese sia a livello settoriale che geografico, insieme alle minacce
della competizione globale. Le decisioni riguardanti il dove localizzare le attività
della catena del valore e il chi, cioè i partner eventuali per lo svolgimento di date
attività, diventano fondamentali al fine di mantenere e accrescere la competitività
e la creazione di valore.
Più recentemente, una crescente attenzione è stata rivolta alla responsabilità
sociale dell’impresa e alla sua necessità di comportarsi come “buon cittadino” in
uno scenario globale. Nell’approccio alle decisioni strategiche, l’esigenza di
orientamento verso i consumatori è risultata essere complementare alla necessità
di orientamento sociale (Maloni, Brown, 2006). Quest’ultima considerazione si è

*
Professore Ordinario di Marketing, Università degli Studi di Pavia

Edited by: ISTEI - Università degli Studi di Milano - Bicocca


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manifestata in conseguenza di differenti motivazioni: probabilmente la più


importante è rappresentata dalla crescita della domanda, da parte dei consumatori,
di imprese e di prodotti socialmente responsabili (demand-pull motivation), anche
se alcune aziende hanno perseguito questo comportamento come risultato di una
tensione etica interna (organisation-push motivations). Anche fattori “ambientali”
hanno avuto un impatto rilevante (Gereffi, Sturgeon, Humphrey, 2005), come la
pressione dei movimenti politici, delle ONG, dell’opinione pubblica, del quadro
normativo, ecc.
La value proposition dell’impresa non è solamente il risultato di un’ “estrazione
di valore” su scala globale, attraverso lo sfruttamento delle differenziate capacità
e risorse locali, ma per un crescente numero di imprese è un insieme di valori e
proposte di valore, basate su un comportamento socialmente responsabile.
Questo contributo ha l’obiettivo di esplorare questo tema e di analizzare la sua
potenziale rilevanza per la competitività aziendale. In particolare questo lavoro si
propone di integrare il concetto teorico di catena del valore con quello di catena
dei valori, che significa implica fornire una evidenza circa il rispetto dei valori
dichiarati dall’impresa (rispetto dei diritti umani, corrette condizioni di lavoro,
pari opportunità, rispetto dell’ ambiente, contributo al benessere delle comunità
locali, ecc.) lungo l’intera catena del valore nelle sue diverse localizzazioni e per
le attività svolte dai diversi partners (fornitori esterni, alleati strategici, filiali,
agenti, e così via). La catena del valore sposta l’attenzione dalla pratica della
responsabilità sociale a livello di impresa individuale (la tradizionale CSR), a
quella di network social responsibility (NSR, ovvero reti di responsabilità
sociale). È ampiamente riconosciuto che l’azione economica avviene sempre più
attraverso reti di imprese, ma la questione della responsabilità sociale è ancora
trattata principalmente a livello di impresa singola e raramente a livello di
network (McGuire, Sundgren, Schneeweis, 1988; Wheeler, Colbert, Freeman,
2003).
Questo approccio non dovrebbe essere considerato dalle imprese come un costo
aggiuntivo o come un limite all’azione imposto da vincoli esterni e interni (i
consumatori, i movimenti di opinione, i sindacati, i partiti politici, ecc), ma come
un’opportunità per fornire innovative proposte di valore al mercato, dove la
questione del “value for money” è integrata con quella del “value for values” e
come un’opportunità per l’intera organizzazione di condividere i valori
dell’azienda.

2. Le caratteristiche emergenti della catena del valore

Il mondo della produzione è cambiato profondamente nel corso degli ultimi tre
decenni. La produzione di beni finali è sempre più il risultato di catene del valore
che sono:
1. disperse in tutto il mondo;
2. distribuite tra diverse organizzazioni.
La dispersione delle attività della catena del valore potrebbe essere vista come
il principale elemento di competitività per l’impresa, perché è il risultato della
scelta delle migliori localizzazioni per alcune attività (basso costo del lavoro, alta
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produttività, risorse e competenze uniche, e così via) e dei migliori partners per la
creazione di valore (i più efficienti o più economici subfornitori, i soggetti in
possesso di risorse e competenze uniche per quel business, soggetti caratterizzati
da “ottima” distanza cognitiva e così via). Da questo punto di vista, la dispersione
e l’eterogeneità, sia in termini di localizzazione geografica che in termini di
tipologie di partners coinvolti, contribuisce alla creazione di valore e rafforza il
posizionamento competitivo internazionale (Nohria, Ghoshal, 1997).
Alcuni autori si riferiscono a queste catene anche come “commodity chain”:
“una commodity chain consiste in un insieme di reti inter-organizzative
raggruppate intorno a quelle di commodities o prodotti che collegano famiglie,
imprese e Stati gli uni agli altri all’interno dell’economia mondiale” (Gereffi e
altri, 1994).
Il network è una caratteristica strutturale delle attuali catene di valore globali:
una significativa quota di scambi commerciali nell’economia mondiale (sebbene
sia difficile quantificarla con precisione) è realizzata attraverso transazioni tra
società controllate e filiali di imprese transnazionali. È ancora meno
quantificabile il commercio organizzato tramite reti di imprese giuridicamente
indipendenti, che utilizzando una varietà di relazioni transazionali. Trenta anni fa,
Richardson (1972) ha descritto questo fenomeno come “la fitta rete di
cooperazione e di affiliazione con la quale le imprese sono interconnesse”.
Recenti ricerche suggeriscono che tali rapporti sono sempre più diffusi nel
commercio internazionale. La ricerca riguardante la catena del valore globale, in
particolare, mira a comprendere la natura di queste relazioni e le loro implicazioni
per lo sviluppo aziendale (Nohria, Ghoshal, 1997; Humphrey, Schmitz, 2001).
La dispersione delle catene del valore e l’esistenza delle strutture di network
richiedono il coordinamento di queste attività disperse e implicano costi di
coordinamento così come dei rischi. I primi sono principalmente costi
organizzativi relativi alla gestione di differenti organizzazioni localizzate in
diverse località. Gli ultimi sono rappresentati da una varietà di fattori di rischio:
questo contributo si focalizza principalmente sui rischi associati a società
controllate/partners stranieri che non sono allineati con la responsabilità sociale
dell’impresa (se c’è). Un partner del Terzo Mondo che impiega bambini o una
filiale estera che sfrutta le risorse locali, quali ad esempio l’acqua, o inquina
l’ambiente, sono comuni esempi di comportamenti di partners stranieri che
possono seriamente danneggiare la reputazione di un’organizzazione.
Da questo punto di vista, il coordinamento della catena del valore non è solo
una questione di migliorare le prestazioni aziendali, ma si trasforma in un
problema strategico di garantire ai clienti finali il rispetto delle loro aspettative,
comprese le attese di responsabilità sociale. Per la maggior parte dei consumatori
l’interesse verso la catena di produzione che sta dietro ogni prodotto è cresciuta
notevolmente.
In realtà l’emergente questione della tracciabilità si sta muovendo dal suo
originale campo di applicazione (quello alimentare) verso qualsiasi
prodotto/servizio (Maloni, Brown, 2006). Nel suo più ampio significato, la
tracciabilità implica che il venditore del bene finale dovrebbe garantire
l’acquirente/utente non solo per quanto riguarda la realizzazione fisica del
prodotto/servizio, ma anche con riferimento alla qualità e all’etica dei processi
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sottostanti, compresi quelli che dipendono da differenti organizzazioni localizzate


in parti diverse del mondo.
Questo implica una considerazione delle aspettative dei consumatori lungo due
differenti dimensioni: la sicurezza e la qualità del prodotto, compresi gli aspetti
estetici ed emotivi (individualismo) e l’impatto della sua catena del valore
sull’ambiente esterno, ad esempio in termini di inquinamento, condizioni di
lavoro, sviluppo locale e il benessere delle comunità coinvolte (collettivismo).
La rilevanza di tali questioni, che influenzano il comportamento dei
consumatori, varia tra i diversi segmenti di mercato, ma è cresciuta in maniera
significativa nel corso degli ultimi decenni. Per alcuni gruppi di consumatori
(militant customers, consumatori militanti), le scelte di consumo rappresentano il
nuovo diritto di voto nel panorama politico globale. La ricerca di marketing deve
scoprire la rilevanza quantitativa di questi segmenti e, ancora più importante, la
sua influenza sul comportamento delle altre categorie. Un più ampio e ancora più
influente segmento è rappresentato dai consumatori socialmente responsabili
(socially responsible consumers): anche in questo caso, la loro rilevanza non è
limitata solamente alle dimensioni del segmento, ma anche alla loro capacità di
influenzare progressivamente il comportamento di categorie meno socialmente
sensibili (Antil, 1984).
Le pressioni esterne nel perseguire pratiche di business socialmente
responsabili non provengono solo dalle tendenze dei comportamenti dei
consumatori, ma anche dal lato degli investitori finanziari. Secondo una serie di
ricerche, sembra dimostrato un positivo o almeno neutrale rapporto tra CSR
(Cusoumer Social Responsibility) e redditività aziendale e/o il valore del titolo
azionario (McGuire, Sundgren, Schneeweis, 1988; Hamilton, Jo, Statman, 1993).
Inoltre, i cosìddetti investitori militanti stanno diventando una categoria
significativa, che oggi gestisce un importante portafoglio di titoli. Insieme agli
investitori che finanziano le imprese socialmente responsabili, vi è un grande e
crescente numero di investitori che non finanziano attività che rientrano in
determinate categorie o le imprese che hanno incontrato problemi di scarsa
responsabilità sociale.
Perseguire un progetto di tracciabilità della qualità del prodotto esteso al tema
della responsabilità sociale e dispersa lungo la rete dei partners è una sfida per le
imprese, ma rappresenta anche un’opportunità per esprimere sia il valore per il
cliente sia i valori per il sistema, aggregando proposte di valore innovative.

3. Governance e gestione delle reti come fattore-chiave per la


responsabilità sociale

I networks sono una fondamentale forma di organizzazione per combinare


risorse e competenze uniche (Powell, 1990; Eisenhardt, Schoonhoven, 1996) e
non solo un’alternativa al mercato o alla gerarchia. Le reti rappresentano la forma
prevalente di organizzazione della produzione mondiale, sia per le piccole che per
le grandi imprese, come precedentemente detto. Come qualsiasi altra struttura, le
reti rafforzano e limitano l’ azione (Giddens, 1984; Nooteboom, 2004). Nello
scenario precedentemente esposto sono in crescita le pressioni esterne verso
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comportamenti socialmente responsabili da parte dei consumatori, dell’opinione


pubblica e degli investitori.
La risposta dell’impresa dovrebbe in primo luogo affrontare il problema della
governance della rete (Nooteboom, Gilsing, 2004).
Prima di tutto, “il concetto di governance è centrale nell’approccio della catena
del valore globale. Noi utilizziamo il termine nel senso che alcune aziende nella
catena definiscono e/o fanno rispettare i parametri in base ai quali gli altri
operano nella catena” (Humphrey, Schmitz, 2001). In generale, a livello di
network - tra agenti indipendenti - la governance fa riferimento a “relazioni tra
imprese e meccanismi istituzionali attraverso i quali viene realizzato il
coordinamento delle attività non di mercato Tale coordinamento viene realizzato
attraverso la definizione e l’applicazione di parametri di processo e di prodotto
che devono essere soddisfatte dagli attori della catena”(Humprey, Schmitz, 2001).
Queste ipotesi evidenziano le significative differenze rispetto al caso di
governance all’interno di una singola impresa. Contrariamente ad alcune
credenze, le imprese coinvolte in un network non sono boundaryless (Ashkenas e
altri, 1995), il che significa che ogni azienda mantiene i suoi elementi distintivi
(core elements) in termini di valori aziendali e cultura (soprattutto incorporati in
culture e sistemi di valore locali). Una rete dispersa impone sfide rilevanti
quando la condivisione dei valori necessita di essere rafforzata o addirittura
costruita. La governance dei network affronta questa sfida e svolge un ruolo
fondamentale per quanto riguarda l’adozione di alcuni valori condivisi tra i
partner, e l’implementazione di comportamenti di allineamento rispetto a tali
valori, soprattutto perché i tradizionali meccanismi gerarchici sono piuttosto
deboli nel caso di collaborazioni transnazionali tra agenti indipendenti.
Secondo Fichter e Sydow (2002) le condizioni che condizionano la network
governance sono:
1. la dimensione della rete;
2. la natura dei legami (Krackhardt, 1992);
3. la presenza di un nodo centrale.
In questo contributo aggiungeremo il tema della dispersione geografica come
un ulteriore fattore di complessità. Una domanda cruciale quando noi muoviamo
dalla CSR (Corporate Social Responsability) alla NSR (Network Social
Responsibility) è la seguente: la condivisione dei valori è una condizione di
entrata o un output della rete stessa?
Se essa rappresenta un pre-requisito significa che la governance e la gestione
del network riguardano in primis la selezione dei partner sulla base di determinati
criteri. (Geringer, 1991; Denicolai, 2008). Un’impresa che costruisce la sua
catena del valore internazionale sceglie sulla base della convenienza economica,
le performance tecniche, le competenze organizzative dei partners e pre-definisce
gli standard della responsabilità sociale.
Se la NSR è un output dedotto da appropriati meccanismi di governance e
pratiche di management, significa che i partner del network sono allineati
progressivamente su alcuni valori condivisi e corrispondenti a "buone pratiche "
di responsabilità sociale.
Questo comporta un ruolo più forte dell’“impresa madre”, che implica
condivisione di conoscenza e formazione.
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Tra le diverse pratiche di network management ricordiamo le seguenti:

• presenza di strumenti di selezione dei partner (Geringer, 1991);


• impegno significativo di risorse da parte dell’impresa centrale: presenza
estera, integrazione delle procedure, creazione di un ufficio di CSR,
sistemi di reporting coerenti (Waddock e altri, 2002);
• utilizzo di codici di condotta: supporto al coordinamento del network nel
definire valori e standards condivisi, attivazione di forme di auditing
(Nooteboom, 2004).

La prima opzione - selezione dei partner - limita la scelta e non supporta


direttamente l’azione della “casa madre” nel migliorare le condizioni lavorative e
ambientali nei paesi stranieri. Le ultime due condizioni potrebbero coesistere
perché si rinforzano reciprocamente: l’impegno di risorse coinvolge le imprese-
guida, i codici di comportamento implicano anche l’impegno di altri partner
(attraverso investimenti relationship-specific) e sviluppano un impegno reciproco
nel lungo periodo (Currall, Inkpen, 2002).
I codici di condotta comportano lo sviluppo di fiducia reciproca, la formazione
dei partners e attività di audit e non solo la pubblicazione di alcune linee guida,a
scopo di comunicazione interna/esterna. Il codice etico è considerato una risposta
a livello di impresa, che a volte comprende alcuni partners principali. Mentre
molte grandi imprese (e talvolta anche di piccole e medie dimensioni) hanno
adottato codici di condotta, la pratica dei codici etici di rete è molto meno
diffusa, anche se potrebbe essere uno strumento opportuno nel passaggio da CSR
a NSR
L’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha
rinvenuto attraverso una indagine 246 codici (OCSE, 2000, Scherrer, Greven,
2001) e questa pratica è apparentemente in crescita. Il codice di condotta solleva
sia entusiasmi che critiche: per alcuni esso è “… un mosaico di dichiarazioni
unilaterali di policy da parte di singole imprese …” (Fichter, Sydow, 2002).
Alle risposte aziendali si possono accompagnare risposte istituzionali: ad
esempio la normativa SA800, le norme ILO (Organizzazione Internazionale del
Lavoro) sono indicati come strumenti che prevedono standards che potrebbero
essere adottati da parte delle imprese e dalle loro reti, senza la necessità di
complesse contrattazioni tra partners in riferimento a regole e standards
comunemente accettati.
La questione sollevata da Kant (1795) è oggi più attuale che mai. Istituzioni
come l’ILO e organismi analoghi sono stati definiti “tigri senza denti”. In
mancanza di efficaci politiche globali e istituzioni normative, le imprese (piccole
e grandi) sono il principale strumento di regolazione, non solo in campo
economico. Secondo alcuni autori (Sabel e altri, 2000), la forza della concorrenza
potrebbe lavorare nell’interesse della responsabilità sociale. Questa è una
caratteristica tipica di una rete globale, in cui la concorrenza e la cooperazione
coesistono. Questa questione è particolarmente importante quando le imprese
competono perseguendo una strategia di orientamento al cliente ed i consumatori
sono sensibili alle questioni di responsabilità sociale dietro i prodotti che

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acquistano. Abbiamo commentato l’argomento della crescente sensibilità sociale


nei mercati di consumo e, in particolare dei segmenti di mercato (i militanti e i
socialmente sensibili) che potrebbero agire come precursori per classi di
consumatori più ampie. Ma per diversi segmenti di mercato in tutto il mondo e
per i nuovi gruppi di consumatori delle economie emergenti, la sensibilità al
prezzo può ancora superare ogni problema di responsabilità sociale. Questo
implica che un insieme di azioni istituzionali più forti sono necessarie per
garantire un’auspicabile diffusione della NSR in tutto il mondo.
Le imprese sono organizzate in reti globali di produzione in misura crescente,
in cui sorgono problemi di coordinamento, che riguardano in gran parte le
questioni economiche e la creazione di valore, ma raramente la condivisione di
valori. Le pratiche di responsabilità sociale d’impresa sono spesso più una
“bandiera” che una pratica per le imprese e tendono ad essere delimitate
all’interno della stessa. La responsabilità sociale come pratica implica l’esistenza
di meccanismi di governance e di gestione della rete dal punto di vista dei
comportamenti socialmente responsabili. Le pratiche di gestione della rete sono
ancora nella loro infanzia, nonostante la diffusione del network come mezzo
dominante di creazione di valore. La presenza di network manager e di routines
inter-organizzative sono ancora difficili da trovare anche nelle grandi
multinazionali (Denicolai, 2008). Lo stesso vale per i sistemi di monitoraggio
delle reti e le forme di reporting di rete.

4. Conclusioni

Quando si considera la CSR, si ha la sensazione che non di rado le azioni di


corporate responsability siano operazioni di facciata e inoltre che tendano ad
essere delimitate all’interno dell’impresa. Questo contributo propone un modello
di tracciabilità di prodotti/servizi a livello di rete di imprese, basata sui seguenti
aspetti:
• presenza di valori condivisi, incorporati in codici di condotta;
• implementazione dei valori condivisi e dei codici di condotta tramite lo
sviluppo di pratiche di governance e di gestione del network. Queste
ultime dovrebbero svilupparsi nell’interesse non solo della NSR ma più
generale, al fine di garantire un efficace ed efficiente funzionamento
della rete anche per la creazione di valore e la competitività. Queste
pratiche variano dalle procedure di selezione dei partner, al
monitoraggio della partnership, alle procedure per la gestione del
conflitto, al controllo di allineamento degli obiettivi e infine alla
valutazione della relazione e delle prestazioni (sia economiche che
sociali) della rete. Una adeguata impostazione organizzativa è necessaria
per lo sviluppo di queste pratiche, procedure e routines. Ad esempio la
creazione di un manager di rete e di una apposita unità organizzativa
potrebbe essere utile.

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Il ruolo dell’ impresa guida è molto importante, specialmente durante la fase di


avvio della rete, perché un modello di coordinamento quasi gerarchico di
governance rende più facile implementare valori e norme comuni.

Bibliografia

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