Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Prima parte.
Fondamenti per il governo
delle aziende
!1
Economia Aziendale
Nella lingua greca “economia” vuol dire governo della casa. Esiste un libro scritto da
Senofonte il quale costruisce un dialogo tra Socrate e Critobulo, il quale chiede al
filosofo come diventare imprenditore. Il filosofo non sapeva nulla in materia
economica ma sapeva tirar fuori dalle persone il sapere. Andando avanti col
discorso esce fuori che il padre di Iscomaco era un abile imprenditore, poiché egli
acquistava terreni incolti e inutili, per poi trasformarli in terreni fertili facendo
aumentare il loro valore, da qui possiamo trarre una prima definizione di
imprenditore, infatti, l’imprenditore è colui che vede una cosa apparentemente
inutile e la rende utile per poi renderla, per dirla meglio—> “ il segreto
dell’imprenditore: riuscire vedere cose che gli altri non vedono, renderle parte di un
progetto e avere la capacità di realizzarlo; trasformare le cose che gli altri
considerano inutili in cose utili; ossia, riuscire a dare, d aggiungere valore alle cose.”
Gino Zappa, fondatore dell’economia aziendale in Italia, ha lasciato due importanti
definizioni di azienda. La prima dice “ l’azienda è una coordinazione economica in
atto, istituita e retta a soddisfacimento di bisogni umani” tale coordinazione
economica è coordinazione di operazioni ma anche di azioni.
La seconda dice” l’azienda è un istituto economico atto a produrre, che, per il
soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in continua coordinazione la
produzione, o il procacciamento e il consumo della ricchezza” con questa
definizione egli pone l’accento sul fatto che l’azienda è vista come strumento per il
soddisfacimento dei bisogni umani.
Per comprendere e interpretare correttamente la nozione di economia aziendale
occorre sfruttare i concetti fin ora affrontati:
- il significato del termine economia come scienza del governo della casa
- e quello del significato di azienda
Da ciò possiamo affermare che il governo della casa, o quello dell’amministrazione
aziendale, punto a ricondurre ad unico fine una pluralità di atti ed operazioni.
Il codice civile definisce l’azienda come “ il complesso di beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. Dunque l’azienda è l’effetto
patrimoniale dell’attività dell’imprenditore nel quale si rispecchia il principale
fondamento della garanzia dei terzi creditori.per il codice civile l’imprenditore è
colui che “esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni”.
!2
I comuni principi di governo per la continuità e lo sviluppo
delle aziende (cap 2)
Il principio di progresso:
Prendendo sempre in considerazione il lbro
di Senofonte (l’Economico), e partendo
sempre dalla definizione di economia- la
scienza con cui gli uomini possono
accrescere i beni della casa- possiamo
comprendere che da tale definizione viene
fuori una certa tensione la quale porta
l’uomo ad avere una spinta che lo porti a
fare bene, a migliorarsi e a migliorare le
cose. Gli effetti di tale tensione, in oltre,
porta all’accrescimento dell’azienda, la porta
a progredire nel raggiungimento del
soddisfacimento dei bisogni umani.
Il progresso non è solo di carattere
materiale, ma coinvolge la realizzazione
della personalità degli uomini che
promuovendo tale progresso realizzano
anche se stessi. Per tale motivo il concetto di
progresso ha radici filosofiche. Tale
principio, in quanto presuppone una tensione, che a sua volta da atto al divenire
delle cose e quindi al dinamismo, considera la vita delle cose e dei fenomeni in
continuo divenire. Ed è per questo che il progresso dell’uomo è essenziale per la vita
delle aziende. L’uomo non è un semplice favore della produzione, perché nel
momento in cui lavora, deve trovare un senso in ciò che compie. Non si può
concepire quindi lo sviluppo dell’azienda senza quello dell’uomo; naturalmente non
di può trascurare l’attenzione alle cose del patrimonio, MA GUAI A DIMENTICARE
CHE IL LAVORO E’ PER L’UOMO E NON VICEVERSA. Quando l’uomo vede nel
lavoro un opportunità per crescere si sottopone ai sacrifici più volentieri; ciò non
accade se si sente sfruttato.
Principio di unita e il finalismo aziendale:
Tutte le risorse, tutte le operazioni devono essere tra di loro collegate, coordinate e
coerenti; devono cioè convergere verso un unico obbiettivo, che è quello del
soddisfacimento dei bisogni umani. Le aziende che attuano bene questo principio
risultano più competitive delle altre, la loro gestione da luogo a minori sprechi di
risorse umane e materiali. La condivisione convinta delle idee sta alla base della
concreta attuazione del principio di unita aziendale.
Principio di economicità:
Tale principio segue quello di progresso e quello di unita. Il principio di economicità
deve configurarsi nella relazione esistente tra il valore delle risorse impiegate nella
gestione e il valore di quelle che dalla medesima gestione vengono generate.
Spieghiamoci meglio!
!3
Per avviare un’azienda occorre del denaro per farla partire. Spesso il denaro è
messo a disposizione dell’imprenditore, ma a volte questa somma risulta
insufficiente, così da richiedere finanziamenti presso istituti come banche,
risparmiatori ecc ecc. I mezzi finanziari reperiti devono esser spesi per acquistare i
fattori produttivi materiali ed immateriali che servono per svolgere l’attività che si
vuole intraprendere. Detta fase prende il nome di investimenti. Con dette
operazioni le risorse vengono investite e si passa alla fase di trasformazione . I
prodotti frutto della trasformazione vengono messi nel mercato allo scopo di essere
venduti. Dando luogo al realizzo.
Dove:
R= realizzi
I= investimenti
i= interessi
Se il governo della gestione è tale ds consentire il verificarsi della condizione di
economicità, allora esisterà per l’azienda la possibilità dello sviluppo del progresso
Principio di solvibilità:
Si è detto che per rispettare il principio economicità, lo si può rispettare nel lungo
tempo. Ma si può dire lo stesso del principio di solvibilità? No. Non lo si può dire in
quanto questo principio dice che “l’azienda è in grado in ogni momento di
estinguere i debiti in scadenza senza compromettere la propria economicità”. Ciò
significa che l’azienda, qualora ci fosse un imprevisto e deve necessariamente
estinguere un deito prima della data di scadenza dello stesso, debba essere in grado
di pagarlo senza intaccare la propria economicità e quindi senza procurarsi il
denaro dalla vendita di alcune risorse della stessa azienda. Tale principio, se viene a
mancare però, non indica necessariamente che l’azienda sia anche ineconomica.
La solvibilità è data dall’equilibrio delle entrate e delle
uscite (fig. a fianco)
I du principi enunciati danno luogo a due diverse,
seppur in coordinazione, aspetti dell’azienda. Parliamo
infatti del piano economico e del piano finanziario. Sul
piano economico gli investimenti determinano i costi ed
i realizzi i ricavi; sul piano finanziario gli investimenti
determinano le uscite e i realizzi le entrate. In sostanza
parliamo di due facce della stessa medaglia.
Sul versante economico il saldo positivo tra ricavi e costi determina l’utile e il saldo
negativo la perdita; sul piano finanziario il saldo positivo determina l’avanzo, il
saldo negativo il disavanzo.
Nonostante il piano economico e quello finanziario siano in stretta correlazione, se
si volesse determinarli entrambi in un determinato lasso di tempo, questi non
risulterebbero incidenti. Questo si deve perché il momento relativo al costo può non
coincidere a quello relativo all’uscita possono non essere gli stessi. Ciò avviene ad
esempio quando acquistiamo qualcosa a rate.
Medesimo discorso può ripetersi in riferimento alle entrate e ai ricavi. Ad esempio
oggi vendo della merce ma il pagamento avverrà tra 30, 60 o 90 giorni. Infatti solo a
gestione terminata i risultati relativi ai due aspetti dovrebbero coincidere.
!4
Principio di autonomia:
Un azienda economica e solvibile si dice essere dotata anche di autosufficienza
economico-patrimoniale che la rende appunto autonoma. La mancanza di
autonomia fa si che le decisioni siano prese da terzi che provvedono
economicamente alla sopravvivenza dell’azienda. Autonomia vuol dire libertà di
decisione, responsabilità.
Efficenza ed efficacia: si può affermare che la misura di un’azienda sarà tanto
maggiore quanto più riuscirà a ridurre gli investimenti a parità di realizzi.
L’economicità dunque si ottiene su due fronti:
- quello della crescita dei realizzi mediante lo sforzo di soddisfare al meglio i
bisogni (efficacia)
- quello dell’oculato uso dei fattori della produzione impiegati, cercando di evitare
sprechi inutili senza menomare le quantità dei prodotti realizzati (efficienza)
Dunque l’efficienza è quella qualità delle coordinazioni aziendali che consente di
ottenere parità di risultati con quantitativi minori di fattori produttivi, o maggiori
risultati a parità di quantitativi di fattori di produzione.
L’efficacia invece, è la qualità di soddisfare al meglio i bisogni umani, dunque
risultera più efficace quell’azienda che soddisferà i bisogni meglio delle altre.
Il rischio economico aziendale: Nel momento in cui l’azienda investe il proprio
capitale per il realizzo di un bene al quale seguirà il realizzo economico. A questo
punto l’azienda va in contro a un rischio che è soprattutto di natura economico-
patrimoniale. E’ possibile distinguere due tipi di rischio, il rischio economico
generale e cioè il pericolo che l’incerto flusso di realizzi non sia in grado di
reintegrare il flusso di investimenti effettuati; il rischio economico particolare, che
può essere il fritto di diverse situazioni:
- realizzi minori conseguiti a fronte di quelli attesi
- maggiori investimenti effettuati (ad esempio per riparazioni straordinarie)
- entrambe le alternative.
Vi è tuttavia un fattore che accomuna entrambi i tipi di rischi ed è l’incertezza cioè
alla non sufficiente conoscenza del futuro assetto delle variabili aziendali e
ambientali.L’incertezza deriva dal dinamismo dell’ambiente in cui l’azienda opera e
dalla difficoltà di percezione delle diverse variabili rilevanti. L’incertezza è quindi
connessa alla consapevolezza dell’assetto attuale del sistema in cui l’azienda opera.
Questo fenomeno può ulteriolmente essere acuito da due fattori:
- la rigidità degli investimenti dell’azienda ( Più è lento il ciclo di realizzo degli
investimenti aziendali più sarà maggiore la rigidità e quindi l’esposizione al
rischio economico connesso ad eventi imprevedibili)
- resistenza al cambiamento derivante dai valori impreditoriali. Cioè dipende ai
convincimenti che hanno i oggetti che operano nell’azienda, e quindi in merito a
cio che secondo loro è giusto per il bene dll’azienda.
- Il rischi economico aziendale deve essere governato. Lo si può governare agendo
sulle cause che lo determinano e quindi focalizzando i pinti di forza e di
debolezza dell’azienda. Oppure controllando gli effetti economici, spostandoli nel
tempo o nello spazio, quindi ad esempio ci si può affidare ad un contratto di
assicurazione o conguagliando il rischio su diversi esercizi amministrativi.
!5
Alcune relazioni tra economicità e solvibilità (cap 3)
R > I+i —> R-( I-i) = risultato economico; mentre il principio di solvibilità è
verificato quando la somma nel periodo t delle uscite (U) è fronteggiata da una
somma almeno pari di entrate (E):
U=I + i + restituzioni di finanziamenti
E=R+ incremento dei finanziamenti
E>U
Dalle relazioni indicare si evince come l’economicità è legata prevalentemente alla
gestione operativa (R-I= reddito operativo)e alla misura degli interessi e quindi alla
struttura dell’indebitamento e alla sua onerosità, la solvibilità è legata oltre che dai
risultati conseguiti, alla capacita di credito dell’azienda in rapporto alle scadenze.
!6
Esistono diverse relazioni tra solvibilità ed economicità evidenziate dalla seguente
tabella:
Il variegato configurarsi dei bisogni umani ha fatto si che si siano create variegati
tipi di aziende, alcuni esempi sono: famiglie, istituzioni pubbliche, partiti politici,
istituzioni religiose, associazioni di imprese e via dicendo.
Una delle classificazioni più importanti delle aziende, risale agli studi di Teodoro
D’Ippolito, ed è quella che si riferisce al modo in cui le aziende soddisfano i bisogni
dei soggetti che ne fanno parte. In tal senso le aziende vengono classificate in dirette
e indirette.
Le aziende dirette soddisfano in modo immediato i bisogno dei soggetti attraverso i
consumi o l’utilizzo di beni acquisiti mediante un’attività di spesa. Solitamente in
esse non si produce per il mercato ma soltanto per il consumo interno.
Le aziende indirette, invece, soddisfano indirettamente i bisogni dei partecipanti
(lavoratori, proprietari di capitale) attraverso le remunerazioni monetarie
provenienti dai mercati ai quali si rivolgono le produzioni di beni o servizi che
caratterizzano la loro attività. Le remunerazioni dei partecipanti confluiranno
all’interno di piede dirette per essere spese in toto o in parte per il soddisfacimento
dei bisogno dei componenti di queste ultime.
Alla prima categoria appartengono le famiglie, gli istituti religioai, sportivi, e gli
istituti pubblici territoriali; alla seconda appartengono le imprese. Sia le aziende
dirette sia quelle indirette devono tener conto dei principi di governo, con delle
ovvie differenze. Infatti, nelle famiglie non si riscontrano, come per le imprese,
investimenti destinati, dopo una trasformazione interna, a generare realizzi
attraverso gli scambi sul mercato. La relazione entrate/uscite, se positiva genera
risparmio, se negativa indebitamento. Se le spese necessarie sono superiori delle
entrate la famiglia dovrà contrarre dei debiti. Ma questo non può avvenire
all’infinito. Il vincolo di economicità vale dunque anche per le famiglie.
Anche lo Stato e più in generale gli enti pubblici devono tenere conto del principio
di economicità. Le politiche cosiddette di deficit spending, cioè le politiche di spesa
che trovano copertura nell’emissione del debito pubblico, possono essere tollerate
se servono a finanziare investimenti per lo sviluppo del paese. Per tutte le aziende,
vale, in ogni istante della propria vita il principio di solvibilità.
!8
a) aziende bancarie
Nelle banche tradizionali l’attività di intermediazione porta a identificare i realizzi
prevalentemente nei tassi d’interesse attivi delle somme date in prestito ai clienti. A
fronte di tali realizzi si trovano la raccolta dei capitali e le spese di gestione. Il
principale attore del sistema bancario, suscettibile di modificare i tassi d’interesse
attivi e passivi, è costituito dalla banca centrale, che sotto la spinta di motivazione di
politica economica stabilisce il tasso ufficiale di sconto (t.u.s.) variabile che,
influisce sul conto del denaro per le banche. Ad ogni variazione di tale indice, le
banche apportano degli adeguamenti che puntano a lasciare invariata o migliorare
la differenza tra tassi attivi (R) e passivi (I), per cui la relazione investimenti-realizzi
si presenta tendenzialmente costante. In realtà, questo non è vero nel breve
periodo, poiché ad ogni abbassamento del tasso di sconto, la banca adegua
immediatamente la remunerazione dei capitali depositati, mentre cerca di ritardare
l’adeguamento dei tassi sui capitali dati a prestito, mentre in caso di aumento del
tt.u.s. cerca di fare l’opposto. In tal modo, nel breve periodo, ad ogni variazione del
t.u.s. può corrispondere un incremento dei risultati economici, a parità di altre
condizioni.
b) aziende assicurative
Nel caso delle aziende assicurative i realizzi sono dati dalla riscossione dei premi
(R) che di norma sono antecedenti al verificarsi di eventi dannosi e quindi al
pagamento di indennizzi (I). L'impresa assicurativa ricorre a finanziamenti esterni
nel caso in cui gli indennizzi nel breve termine siano superiori ai premi. Pertanto la
tipicità della relazione R-I è simile a quella delle banche, in quanto si scaricano sugli
assicurati gli effetti dinamici nei costi provocati dagli indennizzi.
c) aziende industriali
Relativamente alle aziende industriali, esse hanno dei costi di impianti che
inizialmente faranno si che i realizzi saranno inferiori agli investimenti, e solo dopo
un certo lasso di tempo, i realizzi supereranno gli investimenti. Nelle aziende
petrolifere gli investimenti sono talmente alti che i realizzi saranno superiori agli
investimenti dopo una decina di anni.
Il successo per un’azienda consiste nella piena realizzazione della propria regione
d’essere e nel pieno raggiungimento degli obiettivi e degli scopi per i quali essa è
stata istituita e condotta nel tempo. Ma qual è la ragione d’essere di un’azienda?
Spesso si è risposto che è il soddisfacimento dei bisogni umani.
In prima approssimazione si può affermare che i bisogni che l’azienda è in grado di
soddisfare sono riconducibili alle seguenti categorie:
- bisogni legati alla funzione d’uso dei prodotti, o dei servizi che l’azienda produce;
- Bisogni legati alle esigenze ed aspettative di coloro che collaborano, direttamente
e indirettamente, alla vita dell’azienda stessa e cioè, alla sua istituzione e alla sua
gestione del tempo.
I bisogni del primo tipo determinano le richieste da parte di gruppi più o meno
ampi di clienti e quindi da una domanda di mercato. Detta domanda può
diversificarsi e scomporsi, in rapporto a specifiche esigenze, gusti e necessità di più
ristretti segmenti di mercato; ad esempio rendendo in considerazione i prodotti
alimentari, è facile immaginare come la domanda possa scomporsi in termini di
qualità, natura, gusti e prezzi. La capacità dell’azienda nel soddisfare questo primo
tipo di bisogni, consiste nell’essere in grado di offrire prodotti, o servizi, il più
possibile rispondenti alle esigenze, gusti e necessità di segmenti di domanda, più o
meno ampi. Perché ciò accada, l’azienda deve essere in grado di soddisfare le
richieste di clienti consolidati e di potenziali clienti, e individuare sistemi e modi per
soddisfarli, meglio e più, di quanto non siano in grado le altre aziende. Ciò può
avvenire per esempio per quel ce riguarda il rapporto qualità/prezzo
particolarmente attraente che l’azienda riesce a proporre; o per la particolare
distribuzione capillare che per mette al prodotto di essere facilmente raggiungibile.
La capacita dell’azienda di competere con altre è detta appunto competività. Ma ciò
che rende competitiva un’azienda sono propri e competenze dei sui dipendenti. Ma
non una qualsiasi competenza, deve trattarsi di un “saper fare” qualcosa che,
innanzitutto, abbia un peso rilevante e sia quindi importante nel rendere il prodotto
attraente rispetto alle aspettative del consumatore. Questo “saper fare” deve essere
più conveniente, o più economico rispetto a quello di altre aziende concorrenti.
L’azienda deve, in altre parole, crearsi un vantaggio competitivo per poter mettersi
in competizione con altre aziende attraendo i clienti per i propri prodotti.
!10
A questo punto è utile richiamare il concetto di efficacia aziendale, che riguarda il
grado di capacità di soddisfare i bisogni che fanno parte della missione aziendale,
per cui è più efficace chi meglio soddisfa i bisogni. È dunque possibile correlare il
libello e l grado di efficacia dell’azienda e del suo ciclo gestionale, al livello ed al
grado di competitività perseguita dalla stessa, nonché come testimone della
struttura stessa a progettare, produrre ed offrire i prodotti e servizi sempre più
rispondenti alle attese dei clienti. Possiamo ora dare una prima definizione di
successo aziendale dicendo che quanto più un’azienda è competitiva, tanto più è
capace di soddisfare i bisogni dei suoi clienti attuali e/o potenziali, tanto più,
quindi, realizza, da questo primo punto di vista, la propria “ragione d’essere”; con
ciò, si può affermare che una prima dimensione del cosiddetto successo aziendale è
quella della competitività.
Occorre a questo punto introdurre l’altra categoria di bisogni, quella legata a coloro
che fanno parte della vita dell’azienda, i cosiddetti stakeholders.
Con ciò possiamo affermare che ad un’azienda conviene sempre tenere alto il grado
di qualità di rapporti lavorativi e di retribuzione per i dipendenti. Infatti se
un’azienda è conosciuta per la sua serietà col dipendente e ha prospettive di crescita
e carriera all’interno, ovviamente attirerà a se ottimi dipendenti se non i migliori.
Dunque una seconda dimensione del successo è la coesione fra stakeholder e
azienda sulla base di una convergenza dei reciproci interessi.
Le dimensioni del successo già tratta permettono di definire una terza dimensione
del successo aziendale, si tratta dell’economicità della gestione aziendale. Essa è
causa ed effetto per l’azienda, infatti ne è la causa perché in assenza di congrui e
costanti flussi di reddito, non è possibile mantenere ed accrescere la capacità dei
prodotti di soddisfare i bisogni dei clienti e si assisterà ad una progressiva perdita di
efficacia dei prodotti. Ne è l’effetto perché se i clienti sono soddisfatti dai prodotti,
essi continueranno ad acquistarli e consentiranno all’azienda, se efficientemente
gestita, di conseguire congrui flussi di reddito.
Allo stesso modo, l’economicità è causa ed effetto della coesione fra azienda e
stakeholders, infatti ne è la causa perché solo con congrui flussi di reddito l’azienda
potrà permettere di dare delle giuste ricompense ai dipendenti; ne è l’effetto perché
l’elevato grado di efficienza che la coesione consente non può non riflettersi sul
livello di economicità della gestione.
Anche il raggiungimento dell’economicità aziendale può definirsi il raggiungimento
di un successo, che in questo caso è un successo interno all’azienda che permette di
essere competitiva. Abbiamo dunque evidenziato tre dimensioni di successo: una
reddituale dell’economicità, la dimensione competitiva e la dimensione della
convergenza degli interessi reciproci fra l’azienda e i suoi interlocutori.
In conclusione possiamo affermare che un fattore fondamentale per il successo
aziendale è costituito dalle persone che in essa e per essa lavorano, dalle
competenze che li contraddistinguono e dal loro desiderio di collaborare
attivamente al successo di una “impresa”.
La formula imprenditoriale
L’azienda, nella sua essenzialità, può essere vista come una struttura operante su
due versanti tra di loro correlati: quello competitivo e quello sociale in senso lato.
Il primo è dominato fisiologicamente dal valore del servizio al cliente e spinge alla
costante ricerca e realizzazione di sistemi di prodotto-servizio sempre più efficaci; il
!11
secondo è parametro dell’esigenza di consenso e pieno coinvolgimento di tutti i
partecipanti in modo che il clima organizzativo sia forte di coesione e di
identificazione con l’azienda.
Diversi possono essere i sentieri di successo o di crisi (vedi prossime figure) che
conducono l’impresa ad una certa posizione nel l’ambito della matrice anzidetta.
Alcune aziende (I) possono conseguire un immediato successo a) concependo,
sviluppando e realizzando o consolidando idee imprenditore che conducono a
produzioni innovative o collocate in un contesto di mercato particolarmente
favorevole. Altro percorso di successo può nascere nel II quadrante b) ed è
caratteristico di chi entra nel mercato in un momento favorevole e sa utilizzare i
risultati economici conseguiti per crescere nell’apprendimento di una formula
competitiva di successo. Al di fuori di queste due ipotesi, la collocazione delle
imprese nel I quadrante della matrice può essere dovuto ad una semplice
razionalizzazione della formula imprenditoriale passando dal III al I quadrante c) o,
!14
addirittura ad un
riorientamento della formula
competitiva allorché si abbia il
passaggio dal IV al I quadrante
d) in cui si assiste ad una vera
rifondazione dell’impresa:
Passando a considerare i
percorsi di crisi, essi possono
essere frutto di un intensificarsi
delle forze competitive di altre
aziende del settore, o di una
strategia di precisione errata,
del restringimenti della domanda,. Altro percorso è quello del tardivo avviamento di
nuove tecnologie, o di prodotti sostitutivi della concorrenza. (Vedi figura a pag 66).
!15
Valori imprenditoriali e
successo delle aziende (cap 6)
Oggi sono numerosi gli studi sul tema dei valori nell’impresa. I più significativi
possono essere riconducibili ai seguenti filoni:
a) istituzionalista-aziendale, nel quale i valori evocati sono espressi dall’impresa
stessa, vista come un istituto unitario e destinato a perdurare ( e perciò deve
essere dotato di autosufficienza con una economia fondata sull’efficienza e
sull’efficacia nel lungo andare dell’attività rivolta a soddisfare i bisogni
istituzionali). Tale filone, la cui origine va ricondotta alla concezione zappiana
dell’azienda, esprime un contributo per la definizione dei “valori-base” cui ogni
altro “valore” dell’imprese deve essere riferito. Il primo di essi è la
conservazione e lo sviluppo dell’azienda (istituto economico e sociale) come
entità necessaria alla società interna ed esterna ad essa.
b) Dell'etica dell’impresa, nella quale viene focalizzata l’attenzione sulla
dimensione morale delle decisioni. I valori che tali studi propongono sono la
vita ed il benessere di ogni singolo uomo, l’onestà, la lealtà, la giustizia. Tali
valori vengono intesi come “meta valori” cioè valori che stanno alla base dei
valori d’impresa, ma che non sorreggono alcuna cultura d’impresa in quanto
non possono ancora dirsi “fattori di produzione”.
c) Della strategia sociale, che evoca come valore quello della ricerca del consenso
sociale attraverso l’attuazione di strategie aziendali coerenti con le istanze
sociali e col loro divenire. Tale filone è vicino a quello istituzionalista ma non
mette a fuoco le relazioni tra tali strategie, l’economicità aziendale e la
soddisfazione dei partecipanti.
d) Dell’innovazione imprenditoriale, che evoca l’innovazione imprenditoriale
come valore cardine intorno a cui costruire la cultura aziendale.
e) Delle imprese eccellenti, partendo da studi empirici fatti su aziende ritenute di
successo, si è notato come queste abbiano una forza interna dettata da una certa
partecipazione emotiva, dedizione alla clientela e a un certo credere al progetto
aziendale, che crea un entusiasmo imprenditivo.
!16
Individuazione in concreto dei valori imprenditoriali.
Se i valori hanno cosi grande importanza per l’azienda, essi vanno studiati e
analizzati. Il punto di partenza è capire cosa è l’azienda per l’imprenditore, ma non
basta chiederglielo perché potrebbe fare il solito discorso socio-economico
nascondendo una possibile verità. Dunque è necessario porsi degli interrogativi e da
questi analizzare il comportamento dell’imprenditore.
Il rimo interrogativo da porsi è l seguente:
a) Che cosa è stata l’impresa per i suoi attori chiave, in relazione alle loro
aspettative, ai loro interessi individuali e familiari, alle loro responsabilità?
Si pio constatare che in molti casi, tutti, o quasi tutti, i guadagni dell’azienda
vengono prelevati dall’imprenditore, e nel momento in cui l’azienda ha bisogno di
liquidità, essa viene recuperata tramite l’indebitamento dell’azienda. Tutto ciò è
incoerente con il principio di economicità e a lungo andare può essere molto
dannoso per l’azienda.
Altre volte si constata che molti membri dell’organico dell’azienda siano familiari o
persone affini all’imprenditore, il che mette in rilievo gli interessi effettivi
dell’imprenditore, che non è la crescita dell’azienda, ma un tornaconto familiare
creando posti di lavoro appunto per amici o parenti. Tutto ciò può essere dannoso
in quanto è possibile che vengano intromesse nuove regole e che queste non
vengano seguite egualmente da tutti, il che crea un clima ostile e non benefico.
Finora abbiamo considerato dei disvalori, al quale va aggiunto il voler controllare
possessivamente l’azienda. Questo può accadere quando è necessario che entrino
dei nuovi soci, e che quindi il potere decisionale e di controllo diminuisca, o quando
le decisioni prese dall’imprenditore, ormai avanti con l’età e quindi incapace di
prendere decisioni all’avanguardia ed efficaci, possano essere ignorati dalla voglia di
avere tutto sotto il proprio controllo.
b) Come si rapporta l’impresa con i lavoratori, con le minoranze azionarie, i
creditori e gli altri attori sociali interessati?
I valori coinvolti in questo interrogativo riguardano la fiducia, la collaborazione, il
dialogo. La trasparenza d’informazione, il tutto visto sotto un’ottica attraente della
missione aziendale.
c) quale visione del proprio ruolo hanno gli attori chiave nell’ambito dell’arena
competitiva in cui operano e in che modo tale visione si traduce in coerenti scelte
organizzative?
Bisogna capire se gli attori dell’azienda ricoprono il loro ruolo con coscienza e
dedizione, o se non mostrano impegno e non si preoccupano della vita dell’azienda.
A questo scopo è utile fare riferimento al concetto di “missione” dell’azienda. Essa
evoca sia il campo dell’attività in cui l’azienda vuole operare, si aia grado di intensità
e quindi essere vincenti in quel campo. Quando nell’azienda la consapevolezza della
propria missione è alta e generalmente condivisa, altri valori vengono coinvolti,
come il valore del lavoro, il valore dell’innovazione e dell’apprendimento, il valore
della libertà di espressione delle proprie idee, la capacità di lavorare insieme. Questi
sono valori che possono realmente operare e si autoperpetuano se permeano lo
stile, la struttura organizzativa ed i meccanismi operativi, diventando così i
fondamenti della cultura aziendale. Tutto ciò è tipico delle cosiddette aziende
!17
eccellenti, dove i valori diventano il principe fattore di produzione, il binario nel
quale tutte le altre scelte finiscono per incanalarsi.
d) quale immagine aziendale perseguono gli attori chiave? Un'immagine chiara e
costruita on coerenza? Oppure un’immagine sfocata e contraddittoria rispetto ai
reali obiettivi posti all’azione?
Il management che intende costruire una cultura forte, fatta di valori capaci di
animare tutti i collaboratori, non può far a meno di lavorare ad una seria politica di
immagine che metta in luce positiva l’azienda agli occhi di attori interni ed esterni.
Ma ciò non vuol dire dare un’immagine falsa dell’azienda, ma costruire
un’immagine autentica di essa e di ciò che l’impresa vuole e cerca di essere. E
l’identità ricercata non può che essere che l’immagine di un’azienda che risponda ai
bisogni dei sui clienti, dei suoi dipendenti e che rispetti il suo ruolo economico.
!19
Continuità e ricambio generazionale
nell’azienda (cap 7)
Le imprese sono “istituti economici destinati a perdurare”. Al loro interno tutti gli
attori lavorano affinché l’azienda possa perorare e innovarsi continuamente.
Nell'incessante rinnovamento che si realizza nell’attività dell’impresa ha certamente
un certo peso il ricambio ineluttabile degli attori chiave dell’impresa:
l’imprenditore, il soggetto economico.
La preminenza di tale ricambio nasce dal ruolo rivestito da tali soggetti, ruolo
centrico cui fanno capo tutti gli altri attori che vedono influenzati da tale ruolo si
anche esso sia singolare (imprenditore) si anche esso sia formato da una pluralità di
individui che hanno di fatto o di diritto le massime responsabilità dell’azienda. Tale
rinnovamento segue dei valori aziendali che di fondo fanno in modo che l’azienda
persisti e perduri nel tempo.
Per altro verso esiste una patologia per la quale nel ricambio generazionale
prevalgono valori disfunzionali alle esigenze aziendali. Le motivazioni di fondo degli
attori chiave dunque non solo determinano il carattere e le principali condizioni di
sviluppo dell’impresa ma stanno alla base di ogni scelta dei successori, del perché e
del modo in cui viene percepito e realizzato il ricambio generazionale:
!20
L’impresa viene vista come Scelte di valore sottintese Prefigurazione del ricambio
generazionale
2. Una fonte di occupazione per Si privilegia la pace e l’equilibrio Si adotta una politica di
tutti i membri della famiglia. familiare del gruppo proprietario, assunzione e di inserimento
da mantenere dando occupazione nell’azienda dei figli dei
in azienda a qualunque erede lo proprietari, si demotivano le
desideri, ancorché inadatto e forze valide, squalificando il
impreparato. ricambio generazionale.
!21
ovvero la capacità di “comandare” ma non con tirannia bensì coinvolgendo,
appassionando e incoraggiano i dipendenti.
Non esiste un solo modo per attuare un ricambio generazionale, esistono infatti
diversi modi, riportiamo qui un esempio:
“Un volta mio padre mi chiese se una determinata mossa potesse andar bene per
l’azienda ed io risposi di si, ma in realtà non andò bene cosi mi scusai per ‘errore ma
mi rispose che lui sapeva già che non andava bene, cosi stupito gli chiesi perché non
mi avesse fermato al momento di attuare tale mossa, ma replicò dicendomi che non
si può imparare senza commettere errori”.
Con questo esempio possiamo capire che alcuni elementi per il ricambio
generazionale sono:
- l’apprendi stato sul campo, con margini di libertà decisionale, assunti anche con
la possibilità di commettere errori, ma sotto una guida esperta che sappia
rivolgere osservazioni di apprezzamento o di critica costruttiva;
- L’acquisizione di livelli culturali più elevati, ottenuti mediante la frequenza di
scuole di business o esperienze extra aziendali presso realtà imprenditoriali più
evolute;
- Rapporto di stima profonda e di fiducia tra vecchia e nuova generazione
caratterizzati da una comunicazione autentica e costante;
- Il distacco concretamente praticato mortificando la tentazione do vedere i figli ad
ogni costo e prematuramente inseriti ai vertici dell’azienda.
L’azienda può essere vista sotto un profilo soggettivo come sistema di azioni, e sotto
un profilo oggettivo come sistema di operazioni. Il sistema di operazioni aziendali fa
oggetto alla gestione, invece il sistema di azioni fa oggetto alla disciplina
dell’organizzazione.
L'organizzazione è il modo in cui viene coordinato il lavoro all’interno dell’azienda,
la coordinazione del lavoro presuppone la suddivisione dei compiti. Normalmente
in azienda non lavora un solo uomo ma più persone e si rende necessario
suddividere i compiti all’interno dell’azienda. Il funzionamento di una struttura
organizzativa presuppone due elementi fondamentali, il potere e i meccanismi
operativi e fra questi in primo luogo la comunicazione.
Tutte le organizzazioni si reggono o si sfaldano in base alla concezione che ha
l’uomo di essa e in particolare in base alla concezione che hanno nei confronti degli
attori chiave dell’azienda.
Esistono relazioni di dipendenza tra l’organizzazione e la concezione dell’uomo che
hanno nei confronti degli attori chiave:
1. Una prima teoria organizzativa è quella fornita da Taylor, il quale proporre
un’organizzazione scientifica del lavoro, ovvero una ripartizione di compiti
basata su due ipotesi fondamentali: la prima è che uomo è tendenzialmente
pigro, ma dotato di una razionalità economica che lo porta a lavorare di più se
!22
guadagna di più, la seconda è che il mercato possa assorbire tutto quello che
l’azienda produce. Per produrre al minimo costo, obiettivo ritenuto
predominante in Taylor, occorre da un lato definire dettagliatamente i compiti
dei lavoratori e dall’altro realizzare grandi volumi di produzione per ridurre il
livello di costi unitari. La struttura organizzativa che deriva è una struttura
gerarchico-funzionale, che se non adeguatamente supportata da meccanismi
operativi che favoriscono la flessibilità al suo interno, mal si presta
all’attivazione di processi di sviluppo in quanto è una struttura tendenzialmente
rigida, all’interno della quale può accadere che uomo venga considerato alla
stessa stregua di una macchina. La teoria organizzativa di Taylor subì un trauma
con la crisi del ‘29, allorché non crollò solo la borsa ma anche il mercato tout
court, con grave depressione dell’economia. In questo contesto acqua la teoria
keynesiana, che postulava l’intervento pubblico in economia per stimolare la
domanda. La situazione impose il forarsi della coscienza dell’esistenza del
mercato: l’azienda non viene più vista come variabile indipendente, ma
dipendente. Si concepiscono e sviluppano delle strutture di tipo divisionale.
Esse sono comunque strutture gerarchiche ma al loro interno sono presenti
numerosi staff di supporto e i compiti sono divisi per tipo di prodotto realizzato
e per tipo di mercato in cui inserire il prodotto. Ogni divisione ha il suo staff col
propor manager; il manager generale gestisce l’organizzazione generica di tutte
le divisioni.
2. Altri studi nascono dal processo decisionale sviluppati negli anni ’40 da Simon.
Alla perfetta razionalità che nella teoria neoclassica guida le decisioni dell’homo
oeconomicus, Simon contrappone l’imperfetta dell’’homo administrativus con
una razionalità limitata. I limiti della razionalità del decisore dipendono da
molteplici variabili tra cui Simon ha inserito le sue capacità, le sua attitudini, le
sue conoscenze di base, e i suoi valori e fini perseguita. I decisori sono
limitatamente razionali perché non sono consapevoli di tutte le alternative tra
cui scegliere la migliore. La razionalità poi è limitata perché non esiste un solo
decisore ma tanti decisori aziendali, conseguentemente per rendere più
aderente l’azione dell’azienda alle decisori del attori-chiave è importante ridurre
il numero di decisori. La teoria della razionalità limitata si innesta nel contrasto
che esiste tra le esigenze del mercato che sono origine di variabilità e di
innovatività e le esigenze della produzione che premono per una costanza ed
uniformità delle condizioni produttive. Ed allora come concilia Simon le
esigenze di innovatività con quelle di ripetitività? Si è visto che la teoria
tayloristica mal si presta a risolvere questo problema perché garantisce la
costanza della produttività ma non l’innovazione del prodotto. Simon parte
dall’idea che uomo deve essere visto come soggetto in grado di prendere
decisioni; egli distingue pero decisioni tout court che sono quelle vere e proprie
e vano arricchite con la promozione di contatti e dalla partecipazione dell’uomo
nell’azienda; e decisioni di routine che ove possibile devono essere delegate alle
macchine.
3. Tra il pensiero di Taylor e quello di Simon si inserisce la scuola delle relazioni
umane. Tale scuola (che ebbe inizio dagli studi di Mayo presso gli stabilimenti
della Western Eletric Comapny, alla quale si deve la piena riconoscenza del
lavoro e della dignità del lavoratore come persona) diede spunto ad ulteriori
stufi effettuati da McGregor. quest’ultimo considerava l’uomo né totalmente
!23
razionale né totalmente irrazionale, ma lo vede dotato di una propri emotività e
sensibilità di cui l’azienda non può non tener conto. Azienda deve conoscere i
suoi lavoratori per potergli dare i compiti che meglio si adattano alle loro
esigenze e condizioni. Esiste una piramide che classifica le esigenze, tale
piramide vede al primo posto i bisogni fisiologici, a seguire quelli di sicurezza,
sociali, di stima, di autorganizzazione. McGregor afferma l’esistenza di due modi
opposti di concepire la natura umana a cui corrispondono due diversi modi di
organizzare il lavoro in azienda espressi dalle teorie X e Y. Secondo la teoria X
l’uomo è pigro e mette al primo posto le porrei esigenze tralasciando quelle
aziendali, ed è reattivo lo se punito o ricompensato. Secondo la teoria Y parte
uomo non è pigro, può essere motivato e riesce a conciliare le proprie esigenze
con quelle dell’azienda. Questa teoria da supporto a Simon cioè al fatto di dare
responsabilità e creare ruoli sempre più artigianali con grandi spazi per
l’innovatività. Simon porta alle estreme conseguenze questo ragionamento
dicendo che il lavoro deve essere svolto da professionisti. In funzione di ciò
vengono create nuove strutture organizzative prendendo il nome di strutture
organizzative a matrice in cui uomo viene considerato una risorsa professionale
da utilizzare caso per caso, costituendo progetto per progetto, gruppi di lavoro
con risorse specializzate scelte ad hoc dalle diverse aree.
Una volta scelta la struttura organizzativa occorre avere i meccanismi operativi che
rappresentano l’elemento dinamico dei ruoli. Impulso originario che avvia i
processi produttivi è l’ordine e presuppone che i processi siano fondamentali, in
particolare sono ritenuti tali la comunicazione e il potere che si esplicita in un
particolare stile di direzione.
Il potere non può essere separato dalla responsabilità, esso è legittimato solo
dall’assunzione di responsabilità il che è un esercizio abbastanza difficile, doloroso e
costoso al quale bisogna adattarsi.
Il dovere del potere è ontologicamente collegato al compito originario dell’uomo di
custodire, coltivare, far crescere ciò che gli è affidato (principio di progresso):
bisogna coltivare il mondo e non distruggerlo, sviluppare l’uomo e non umiliarlo,
far fruttificare le cose e non impadronirsene.
Il potere ha natura fiduciaria, e ciò vale sia per il management sia per la proprietà:
si deve operare sempre con la consapevolezza di dover rendere conto a qualcuno
che ci ha affidato la materia che trattiamo e, in ultima analisi, alla verità. Il potere
esercitato in spirito di verità diventa servizio, è invece usurpazione quello esercitato
con spirito di dominio, senza limiti di qualunque tipo. Arthur Andersen richiamava
sempre la necessità di porsi di fronte ai problemi impersonalmente per analizzarli e
risolvere nel modo più oggettivo possibile, e insisteva sul carattere fiduciario del
gestore delle aziende, si anche fosse il proprietario, sia che fosse il dirigente.
Il problema del potere e della responsabilità si lega al concetto di libertà. Questa
non è un’autonomia radicale che ha come effetto il sopravvento sul prossimo, la
vera libertà è la conoscenza della verità e della capacità di conformarsi ad essa
nell’agire.
“Attraverso l’esercizio della libertà si diminuisce la distanza tra la persona che si è
e quella che si dovrebbe essere” K.Wojtyla.
!24
Poniamo una distinzione tra autorità e autoritarismo. Se il potere viene esercitato in
modo arbitrario e slegato dalla funzione per la quale è detenuto allora esso sfocia
nell’autoritarismo. Se invece, il potere è colletto al responsabile esercizio di una
funzione si esprime come autorità solo di “posizione” ma reale, e fa si che in azienda
si instaurino mei confronti di chi lo esercita rapporti di stima, indispensabili per
l’unità aziendale.
Si consideri adesso la comunicazione. Essa è fondamentale e richiede fiducia tra
l’emittente e il ricevente il che presuppone lealtà, competenza, precisione che
determinano autorità vera dell’emittente. L’autorità vera genera la fiducia vera. In
qualche modo si può affermare che la fiducia genera autorità in quanto stimola i
soggetti a ben meritare la considerazione di cui sono oggetto. Talvolta le reti di
comunicazione generano distorsione in quanto sono presenti eccessivi poli
intermedi tra emittente e ricevente. Il potere esercitato con autorità, attraverso
un’autentica comunicazione, è la base per la creazione di una vera autorità
aziendale e per la realizzazione di quello che si è definito come principio di
“consistenza” (approfondisci in appendice 4) cioè quel principio in virtù del quale
più persone all’interno di un’organizzazione si impegna a valorizzare il lavoro di
gruppo spinti da motivazioni non egoistiche e consapevoli che solo un principio di
solidarietà tra i partecipanti può generare una cultura forte in grado di supportare il
successo durevole dell’azienda e di arginare la volatilità delle sue risorse umane.
Secondo Fabio Besta (economista che visse tra il XIV sec e il XX) l’azienda necessita
di un’autorità emittente, di una mente direttiva e di lavoro esecutivo. L’autorità
emittente è propria dell’organo che si occupa di deliberare decisioni e ne ha la
facoltà. La mente direttiva è propria di coloro che si occupano del coordinamento
aziendale e si impegna a raggiungere la missione data dall’azienda. Il lavoro
esecutivo è degli organi che eseguono i compiti e le operazioni aziendali. Il pensiero
di Besta sembra più orientato ad identificare le funzioni essenziali dell’azienda e
non a identificare i ruoli gerarchici dell’organigramma aziendale.
L’autorità eminente è del soggetto economico, ovvero nell’interesse di colui o coloro
i quali è svolta l’attività aziendale. Ad esempio nella società di persone, è quel socio
o quei soci che riescono ad imporre la propria volontà all’assemblea.
Occorre sempre riconoscere il soggetto economico reale e quello apparente, perché
come si dice che a casa il capo è il marito ma in realtà è la moglie a comandare, cosi
anche in azienda potrebbe accadere ciò.
Il soggetto economico si distingue dal soggetto giuridico, in quanto quest’ultimo è
titolare dei diritti e dei doveri che derivano dall’attività aziendale, esso può essere
una persona fisica (imprenditore individuale) oppure un soggetto creato dal diritto
che agli effetti della legge è titolare dei diritti e di doveri (imprenditore collettivo). Il
soggetto giuridico si dice che è dotato di personalità giuridica, esse sono persone
adulte o emancipate che per il c.c. sono soggetti di diritto creati dalla legge.
!25
La tipologia giuridica dell’impresa può essere quella delle società di persone, società
capitali e società cooperative. Le società di persone e per azioni attribuiscono
diversa importanza all’elemento personale ( cioè alle qualità dei soci) e al capitale
d’impresa (cioè al fatto di apportare capitale)e godono di una differente autonomia
patrimoniale, a seconda che i soci siano responsabili limitatamente o
illimitatamente per le obbligazioni sociali.
Le società di persone si dividono in:
1. Società in nome collettivo, nelle quali tutti i soci rispondono solidalmente ed
illimitatamente per le obbligazioni assunte.
2. Società in accomandita semplice, in cui troviamo due categorie di soci: i soci
accomandatari che rispondono solidamente e illimitatamente per le
obbligazioni sociali e detengono il potere di amministrare; ed i soci
accomandanti che rispondono nei limiti delle quote conferite.
Le società di capitali si dividono in:
1. Società per azioni (S.p.a.), nelle quali le quote di diversi soci sono rappresentate
da “azioni”; in esse per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il
proprio patrimonio.
2. Società in accomandita per azioni, nelle quali i soci si dividono in due categorie
come nell’accomandita semplice e le quote di partecipazione di ciascun socio
sono rappresentate da “azioni”.
3. Società a responsabilità limitata (S.r.l), nelle quali tutti i soci sono responsabili
limitatamente ai propri conferimenti e le quote non sono rappresentate da
azioni, cioè da titoli trasferibili mediante girata.
Infine si hanno le società cooperative, che si distinguono per le finalità perseguite
che sono prevalentemente di tipo mutualistico, e non di lucro, e in cui i soci
possono, a seconda del tipo di società, avere responsabilità limitata o illimitata.
Ci sono anche associazioni in partecipazione, in cui un associato conferisce lavoro o
capitale ad un’iniziativa promossa da un associante partecipando agli utili e alle
perdite connesse a questa iniziativa senza gestirla e senza rispondere per le
obbligazioni assunte. Hanno personalità giuridica non soltanto le società di capitali
o le cooperative a responsabilità limitata, ma anche tutti quegli enti morali
riconosciuti dalla legge.
!28
Seconda parte. Gli strumenti
di verifica delle condizioni
generali del successo del
sistema d’azienda.
!29
Premessa: Libro esercitazioni, richiamo teorico.
Il principio di competenza è uno dei principi fondamentali per la redazione del
bilancio di esercizio e, in particolare, per la determinazione del reddito d’esercizio.
Ricordiamoci che le operazioni che danno vita al ciclo tipico processuale aziendale
danno luogo a tre tipi di flussi che raramente coincidono:
- flussi economici, ossia quelli che riguardano il consumo dei fattori produttivi e
la valutazione dell’utilità conseguita, e che vengono misurati dai costi e ricavi;
- Flussi fisici in entrata e in uscita, i primi con riferimento agli investimenti ed i
secondi con riferimento ai realizzi;
- Flussi finanziari, che concernono le entrate e le uscite finanziare relative al
pagamento degli investimenti e la riscossione dei realizzi.
I flussi sopra descritti si manifestano sfalsati in quanto non sempre al momento
della vendita si percepisce il valore del bene o viceversa.
Quando si procede alla determinazione del reddito di esercizio si prendono in
considerazione esclusivamente i flussi economici, quelli cioè che danno luogo a
costi e ricavi. Tale operazione avviene in modo periodico, suddividendo l’unitaria
attività aziendale in esercizi amministrativi. La divisione in esercizi
amministrativi, pur essendo una finzione del continuo fluire delle operazioni di
gestione, risulta essere assai utile per chi ha degli interessi nei confronti
dell’azienda (stato, banche, azionisti, soci, dipendenti, fornitori ecc..). dunque
diventa necessario individuare un metodo per estrapolare un documento
riassuntivo dell’esercizio, tale documento è il reddito esercizio. Per la corretta
determinazione del redito di esercizio bisogna correggere i costi e i ricavi rilevati
dall’inizio fino al termine dell’esercizio, in seguito al rilevamento di entrate e uscite
di cassa e/o di banca e quindi al sorgere di crediti o debiti di funzionamento. Tale
correzione avviene in sede di redazione del bilancio di esercizio, attraverso le
scritture di assestamento, applicando il principio di competenza economica. Per
principio di competenza economica si intende l’ideale correlazione casuale che si
deve cercare tra costi sostenuti o da sostenere e i ricavi relativi a tali costi,
considerando coacervi di operazioni in periodi amministrativi tutti uguali tra
loro. Il Pincio di competenza economica si articola in tre corollari:
1. Si devono imputare al conto economico, costi e ricavi, per i quali,
rispettivamente, siano stati conseguiti o sostenuti i ricavi o costi correlativi;
2. Si rinviano costi o ricavi, già manifestati finanziariamente, alla
determinazione del risultato economico di un esercizio successivo, in quanto
sia attendibile che nel futuro esercizio debbano conseguissi i ricavi o sostenersi
i costi correlativi (rettifiche).
3. È necessario imputare l’esercizio costi e ricavi non ancora manifestatisi
finanziariamente, in quanto sono stati conseguiti i correlativi ricavi o sostenuti
i correlativi costi (integrazioni).
Lo strumento contabile utilizzato per la determinazione del reddito mediante
l’applicazione del principio di competenza economica è il conto economico,
all’interno del quale vengono indicati i costi (componenti negativi di reddito) nella
sezione di sinistra e i ricavi (componenti positivi di reddito) nella sezione di destra.
Il conto economico ha diverse forme, ad esempio quella accolta dal nostro codice
civile è quella scalare. L’utilizzo del conto economico a sezioni contrapposte viene
però consigliata in quanto è più semplice la comprensione logica del procedimento
!30
di determinazione del reddito di competenza. In particolare è possibile dividere il
conto economico in tre settori, nel primo vengono messi costi e ricavi degli esercizi
passati, nel secondo quali present, nel terzo vengono inserite le correzioni da
applicare a costi e ricavi del primo e del secondo settore che in ottemperanza con il
principio di competenza economica, hanno una correlazione con ricavi e costi di
futura manifestazione.
Considerato che i valori deflativo e del passivo sono delle previsioni di entrata e
uscita nel corso dello svolgimento della gestione, al fine di analizzare la solvibilità
dell’azienda si mettono a confronto le attività a lento ciclo di reintegro con le
passività a lunga scadenza più il capitale proprio, e le attività a breve ciclo di
reintegro con le passività a breve scadenza. La solvibilità viene giudicata in
equilibrio allorché le attività a breve ciclo di reintegro siano sufficienti a coprire le
passività a breve ciclo di esborso, ovvero le attività a lento ciclo siano sufficienti a
coprire le passività a lento ciclo di esborso.
Nel caso della tabella qui sopra, le attività sono pari a 1000 e le passività sono pari a
1300, ma in questo caso la fonte di copertura finanziari a lunga scadenza è
superiore degli investimenti a lento ciclo di reintegro in quanto nelle attività a breve
notiamo che esse sono superiori delle passività a breve, dunque la situazione
finanziari appare soddisfacente e non mostra pericoli di insolvenza nel breve
termine.
!32
Nella prima parte si è fatto riferimento all’economicità quale differenziale di lungo
periodo che deve esistere tra i realizzi e gli investimenti più il costo dei
finanziamenti. L’economicità può ricondursi all’attitudine della gestione e
remunerare attraverso i ricavi tutti i costi dei fattori produttivi acquisiti, con
l’evidenza di un divario positivo, ovvero può essere ancora vista come espressione
della variazione positiva del capitale, preso in considerazione all’inizio di un periodo
(differenza tra attività e passività) subisce per effetto della gestione esplicita del
periodo. Il divario tra costi e ricavi, ossia la variazione subita dal capitale per effetto
della gestione, viene definita reddito (utile se positiva, perdita se negativa).
Il reddito, nella sua determinazione sintetica, viene misurato e determinato
confrontando due situazioni patrimoniali relative a due diversi momenti della
gestione sulla linea del tempo.
La differenza tra i netti patrimoniali dei due momenti presi in considerazione
rappresenterà il reddito prodotto nel periodo:
N2-N1= ∆N= Reddito prodotto nel periodo 1-2
Bisogna tener conto, però, che il netto patrimoniale potrebbe subire delle variazioni,
sia per effetto della gestione, che per effetto di eventuali operazioni extra-gestionali,
come ad esempio di apporti o prelievi di capitale da parte dei soci, per cui la
relazione precedente:
N2-N1=∆N- apporti di capitali dei soci+prelievi di capitali dei soci=
Reddito di periodo
inoltre, si deve tenere della possibilità che il potere d’acquisto ad inizio esercizio sia
diverso da quello a fine esercizio, ciò è dovuto all’inflazione. Allora si deve
correggere questo “errore” per render uguali i poteri d’acquisto, per renderli
omogenei, lo si fa anche attraverso i coefficienti di adeguamento.
La nozione di reddito, così definita risata essere troppo sintetica in quanto risponde
solo al seguente quesito: “quanto con l’attività di gestione si è guadagnato?”
Ovviamente questo non soddisfa appieno le finalità di governo, infatti non occorre
solo sapere se l’azienda guadagni o meno, ma è essenziale sapere come il reddito si
sia formato. Per intervenire sulla gestione infatti è necessario sapere quali fattori
abbiano apportato guadagno così da potenziarli, e quali hanno portato perdita così
da neutralizzarli. A tale scopo viene utilizzato il conto economico.
!34
• È necessario imputare all’esercizio costi e ricavi non ancora manifestatisi
finanziariamente, in quanto siano stati conseguiti i correlativi ricavi o sostenuti i
correlativi costi (integrazioni).
La corretta determinazione del reddito mediante l’applicazione del principio di
competenza economica ai costi e ricavi si serve di uno strumento contabile di tipo
sintetico comunemente chiamato conto economico, dove per convezione
vengono accolti i costi (componenti negativi del reddito) nella sezione sinistra e i
ricavi (componenti positivi di reddito) nella sezione destra. Il conto economico ha
varie forme di rappresentazione, quella accolta dal nostro codice civile è quella
scalare, tuttavia si ritiene meglio comprensibile la forma a sezioni contrapposte. Si
divide il conto in tre settori per evidenziarne la logica. Nel primo settore vengono
essi costi e ricavi che riguardano l’esercizio precedente e che hanno delle
correlazioni con l’esercizio del presente; nel secondo settore si includono costi e
ricavi di esercizio, che hanno cioè manifestazione negoziale nell’esercizio; nel terzo
settore vengono considerate le correzioni da applicare a costi e ricavi del primo e
secondo settore per determinare il reddito di competenza in funzione delle
manifestazioni di ricavi e costi correlati di futura manifestazione.
Facciamo un esempio:
Conto economico
Componenti negativi I esercizio di attività Componenti positivi
I Settore I settore
II settore II settore
Macchinari 2.000 Ricavi vendita 3.500
Materie prime 1.000
Salari 1.000
Energia 500
Affitti 500
III settore III settore
!35
Le correzioni sono di due tipi: rettifiche e integrazioni. Le rettifiche riguardano i
costi e i ricavi che hanno avuto manifestazione negoziale nell’esercizio o in esercizi
passati ma che vengono giudicati in tutto o in parte di competenza dei futuri
esercizi.
Le rettifiche di costi danno luogo a:
• Rimanenze di costi poliennali: la caratteristica degli investimenti che generano
costi poliennali è che il loro contributo alla gestione viene fornito nel corso di più
esercizi. Alla fine del primo esercizio, solo una parte di tali fattori è stata
“consumata” dando luogo ai relativi ricavi; la parte non consumata, che genera
una rimanga di costo poliennale, ed esprime la possibilità di utilizzare il bene per
ulteriori cicli produttivi, non contribuisce a formare reddito di esercizio, per
tanto, deve essere dedotta dal valore dei costi riportato nel secondo settore. Tale
deduzione è effettuata inserendo il valore di tali rimanenze nel terzo settore dei
componenti positivi di reddito. In modo opposto vengono trattate le rimanenze
di ricavi poliennali qualora fossero presenti;
• Rimanenze di costi di esercizio: i costi di esercizio sono espressione di fattori che
cedono immediatamente la propria utilità. Tuttavia, non tutti i fattori della
produzione a rapido ciclo di reintegro hanno generalmente nel corso
dell’esercizio stesso i correlativi ricavi. Si pensi, per esmpio, alle materie prime
acquisite ma non consumate o ai prodotti trasformati ma non ancora venduti.
Questi costi, che non hanno dato luogo a ricavi correlativi, dovranno essere
“sospesi” temporaneamente e rinviati al futuro, lavando che partecipano al
reddito di esercizio solamente quelli di competenza. I costi di esercizio possono
riferirsi sia a fattori acquisiti a titolo di proprietà sia a fattori acquisiti in uso
( basti pensare ai contratti di locazione degli immobili aziendali, o agli interessi
passivi che vengono pagati per ottenere l’uso di mezzi finanziari) anche tali
fattori possono dare luogo a rimanenze, per esempio quando viene pagato
anticipatamente l’affitto per un periodo che va oltre il momento di chiusura
dell’esercizio amministrativo. Tali costi, che devono per lo stesso motivo essere
“sospesi” temporaneamente prendono il nome di risconti finali attivi.
Trattamento opposto viene riservato alle rimanenze di ricavi di esercizio qualora
fossero presenti (risconti finali passivi).
Le rettifiche vengono effettuate indirettamente in quanto le singole voci del I e del
II settore non subiscono modificazioni; vengono, invece, introdotta delle poste
rettificate nel terzo settore della sezione opposta a quella in cui si trovano le
componenti economiche da correggere.
Cosi le rettifiche dei costi confluiscono nel III settore dei ricavi e le rettifiche dei
ricavi confluiscono nel III settore dei costi. Va osservato come nella realtà dei
bilanci aziendali nel conto economico non sono presenti i costi poliennali e le
relative rimanenze, incluse nel nostro esempio solo per esigenze esplicative. Nella
sezione dei costi viene invece inserita una quota di ammortamento quale
differenza tra il costo iniziale (o rivalutato) del fattore poliennale o la rimanenza
dello stesso alla dine del precedente esercizio e la rimanenza alla fine dell’esercizio
considerato. In tal modo, la quota di ammortamento corrispondente alla differenza
tra i due valori rappresenta il consumo del fattore poliennale di competenza
dell’esercizio considerato.
!36
Le rettifiche sono di seguito rappresentate sinteticamente:
!37
Dopo le rettifiche introdotte, il conto economico diventa il seguente:
Conto economico
Componenti negativi I esercizio di attività componenti positivi
I settore I settore
II settore II settore
Integrazioni
( la differenza tra rettifiche e integrazioni sta nel fatto che le rettifiche riguardano
correzioni che hanno avuto manifestazione finanziaria, le integrazioni non si sono
manifestate invece)
Si hanno:
a) eventi aleatori nell’an e nel quantum relativi a rischi attuali, sono operazioni
per le quali non si sono manifestate ancora eventi dannosi, che non sono stati
assicurati o che non si possono assicurare. In questo caso si è incerti sul
!38
momento e sull’incidenza che tali aventi eventi possono verificarsi. È
comunque evidente che debbano essere presi in considerazione nella
determinazione del reddito di competenza.
b) Eventi certi nell’an ma incerti nel quantum, tra i quali si fanno rientrare le
quote di trattamento fine rapporto (TFR), per imposte e tasse, per
manutenzioni subordinate, ecc. In questi casi vi è la certezza della
manifestazione di tali costi, ma bisognerà prevederne l’ammontare. La quota
TFR rappresenta la parte differita della retribuzione di ogni lavoratore
dipendente e sarà percepita alla fine del rapporto di lavoro. Ad ogni esercizio si
dovrà determinare una quota di tale retribuzione, ancorché non pagata, ma
veramente di competenza, dal momento che il lavoratore con il suo lavoro avrà
contribuito in quell’esercizio alla formazione dei ricavi, sebbene la
manifestazione del costo si avrà soltanto a fine del rapporto di lavoro con il
dipendente. Con riguardo alle imposte, esse, di norma, vengono pagate anni
dopo la chiusura dell’esercizio. Pertanto una previsione di tali oneri va fatta
per poterli correttamente riferire all’esercizio di competenza.
c) I costi relativi a fattori acquisiti in uso ma di futura manifestazione
riguardano le quote di costi per fitti e interessi passivi aventi manifestazione
posticipata rispetto alla competenza (ratei passivi). In questi casi i fattori di
produzione di cui si è acquisito l’uso verranno pagati successivamente
all’utilizzo degli stessi, dopo, l’erogazione del loro contributo alla produzione
dei ricavi, nell’esercizio in chiusura. Per i ricavi relativi a fattori ceduti in uso
ma di futura manifestazione, denominati ratei attivi la situazione è
esattamente opposta a quella dei ratei passivi, dal momento che si stratta di
integrazioni di ricavi.
Nell’esempio avviato consideriamo che vengano effettuate le seguenti integrazioni:
- Viene calcolata la quota TFR di 200
- Vengono svalutati i crediti per 200
- Vengono accantonate imposte future per 100
- Vengono calcolati ratei attivi per 100
- Vengono calcolati ratei passivi per 100
!39
Risconto passivo: un fitto attivo viene registrato ha avuto manifestazione
finanziaria nell’anno X, fitto che però riguarda un periodo che sta a cavallo tra
l’anno X e l’anno X+1. Nel conto economico dell’anno X si troverà iscritto tutto il
fitto attivo tra i ricavi. Al 31/12 dell’anno X, nel momento in cui si ridire il bilancio,
va considerato il fatto che il fitto riguarda un periodo che sta a cavallo, dunque
bisogna scinderlo in base al tempo. La parte di fitto attivo che non è di
competenza dell’anno X, ma dell’anno X+1, andrà rinviata al futuro esercizio
attraverso un’operazione di rettifica che va sotto il nome di risconto passivo. E
che trova posto tra i costi nel terzo settore e che nel conto del futuro anno sarà
nel primo settore dei ricavi.
Risconto attivo: nell’anno X viene pagata una somma anticipatamente relativa a
un periodo che sta a cavallo tra l’anno X e l’anno X+1. La somma ha avuto
manifestazione finanziaria nell’anno X, quindi verrà iscritta per intero tra i costi
dell’anno X, nel momento in cui si redige il bilancio la somma deve essere scissa
in base al tempo. La parte della somma che non riguarda l’anno X ma il
successivo, deve essere rinviata al futuro con un’operazione di rettifica sotto il
nome di risconto attivo e viene iscritta nel terzo settore nella parte dei ricavi, cosi
nel conto economico dell’anno X+1 la scriveremo tra i costi del primo settore
sotto forma di integrazione.
Fattura da emettere: nell’anno X vedono spediti dei prodotti a un cliente che
pagherà successivamente, dunque non risulta ancora emessa alcuna fattura, la
quale verrà emessa nell’anno X+1. Nel momento della redazione del conto
dell’anno X va comunque considerato il fatto che anche se non si è manifestata
finanziariamente, la vendita fa parte di quell’esercizio, dunque andrà imputato
all’esercizio dell’anno X un’integrazione che va sotto il nome di fattura da
emettere e trova posto tra i ricavi del terzo settore. Relativamente all’anno X+1
essa troverà luogo tra i costi del primo settore sotto forma di rettifica,
successivamente quando sarà emessa la fattura verrà contabilizzato il ricavo che
avrà luogo tra i ricavi del secondo settore sotto il nome di ricavo di vendita.
Rateo passivo: nell’anno X+1 verrà pagata una somma relativa all’anno X per un
periodo che sta a cavallo tra i due anni. La quota da pagare nell’esercizio
dell’anno x non avrà manifestazione finanziaria ma in fase di bilancio si dovrà
calcolare la parte di competenza di quell’anno, tale parte calcolata, attraverso
un’operazione di integrazione troverà posto tra i costi del terzo settore sotto il
nome di rateo passivo. Nell’anno X+1 la parte calcolata relativa a quell’anno si
troverà nel primo settore tra i ricavi attraverso l’operazione di una rettifica. Nel
momento in cui la quota verrà pagata verrà contabilizzata per il suo importo
totale nel secondo settore tra i costi.
Ammortamento: nell’anno X si acquista un macchinario per una certa somma, si
riflette però sul fatto che il macchinario avrà durata di 10 anni e dunque si deve
suddividere il suo costo negli anni. L’acquisto del macchinario rappresenta per
l’azienda un costo poliennale. Nel conto dell’anno X, anno in cui si ha la
manifestazione finanziaria dell’acquisto, troveremo il costo per intero, per
spalmare negli anni la quota dell’acquisto si procede con l’ammortamento. La
parte di costo pluriennale non imputabile all’anno X, ma agli altri, andrà nel terzo
settore tra i ricavi attraverso una rettifica e lo troveremo col nome di rimanenza
finale di costo poliennale. Relativamente all’anno X+1, la rimanenza finale di
costo poliennale sarà tra i ricavi del primo settore sotto forma di integrazione. Al
momento di redigere il conto economico dell’anno X+1, la procedura si ripete e
cosi via con gli altri anni, cosi da spalmare l’intera somma sul periodo di tempo di
vita del macchinario. !40
TFR: La quota da accantonare annualmente al TFR si compone di due elementi: la
quota di effettiva competenza di quell’anno che si calcola dividendo l’importo
della retribuzione annuale per 13,5; la rivalutazione del fondo preesistente che si
ottiene applicando a quest’ultimo un tasso di rivalutazione del 1,5% aumentato
del 75% dell’aumento dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di
operai e impiegati registrato rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.
Alla quota così determinata va sottratto ‘importo del contributo FAP ( fondo
pensioni) anticipato nel corso dell’anno dal datore di lavoro all’INPS e pari allo
0,50% delle retribuzioni soggette a contribuzione.
Nell’anno X i coti relativi agli stipendi sono stati di 46.000€ e nell’anno X+1 sono
aumentati a 52.000€. Dobbiamo adesso determinare il TFR da imputare ai
rispettivi anni e correggere il bilancio. Calcolando con i dovuti dati abbiamo che il
TFR dell’anno X sarà di 4.077€ quello dell’anno X+1 sarà di 4.675€.
Non essendosi ancora manifestata finanziariamente, la quota TFR andrà imputata
attraverso un’operazione di integrazione che trova posto tra i costi del terzo
settore, in questo modo nel bilancio dell’anno X avremo la quota TFR di 4.077€.
Nel bilancio dell’anno X+1, il TFR dell’anno X sarà tra i ricavi del primo settore,
successivamente al 31/12 si dovrà calcolare il TFR maturato, tale quota si troverà
ad essere rettificata dal TFR relativo all’anno precedente presente nel primo
settore. In questo modo nel conto economico dell’anno X+1 si troverà la quota
effettivamente da accantonare che in questo caso è 8.752€ (TFR maturato
all’anno X+1) - 4.077€ (TFR anno X)= 4.675€.
Tale procedura andrà ripetuta per ogni esercizio. Ogni anno aumenterà e diminuirà
nel momento un cui un dipendente verrà liquidato. Nella prassi contabile, in realtà,
si scrive semplicione nel conto economico la quota TFR:
(risconto passivo incasso prima, risconto attivo pago prima, fattura da emettere
spedisco al cliente che paga dopo, rateo passivo io pago dopo, ammortamento io
compro macchinari che pago negli anni,TFR ogni anno amento la quota)
!41
Relazione tra i valori del conto economico, quelli dello stato patrimoniale e quelli
del conto economico successivo: il sistema dei valori del bilancio di esercizio:
!42
A questo punto redigiamo la situazione patrimoniale col conto economico
precedente modificando alcune voci:
- Il c/c bancario attivo presenta una consistenza di 700.
- I crediti verso i clienti ammontano a 600.
- Il c/c bancario passivo ha una consistenza di 500.
- È stato contratto un mutuo passivo per finanziare la gestione di 800.
- I debiti verso i fornitori ammontano a 400.
L’utile d’esercizio viene incluso nel passivo dello stato patrimoniale perché
rappresenta l’incremento che il capitale iniziale subisce per effetto della gestione;
nel gergo contabile esso costituisce una parte ideale del netto.
Stato patrimoniale
I esercizio di attività
Rim. Finali di costi pluriennali 1.800 Netto iniziale 1.000
Utile d’esercizio 500
Risconti attivi 300 Mutui passivi 800
Banche 700 Fondo TFR 200
Rimanenze di m.p. 500 Fondo sval. Crediti 200
Ratei attivi 100 Banche 600
Crediti 600 Imposte 100
Fornitori 400
Ratei passivi 100
Risconti passivi 100
Quanto esposto riguarda uno stato patrimoniale al primo anno d attività. Vediamo
adesso cosa succede nel momento della determinazione del reddito del secondo
esercizio dell’azienda. In questo caso bisognerà tenere conto degli effetti delle
operazioni che erano state “sospese” in quanto correlati a futuri costi e ricavi. Per
fare ciò analizzeremo gli elementi del terzo settore del conto economico del primo
esercizio di attività:
• Rettifiche di costi e ricavi: nell’esercii precedente le rettifiche di componenti
negative erano state inserite nella componente positiva in quanto considerate
operazioni per le quali si è fatto investimento in attesa di ricavi correlativi. Per il
secondo esercizio è logico inserirli nel primo settore fra le componenti negative,
come integrazioni di costi del nuovo esercizio. Per le stesse considerazioni, le
rettifiche di ricavi verranno considerate integrazioni di ricavi indirete nel primo
settore tra le compienti positive.
• Integrazioni di costi e ricavi: alla fine del secondo esercizio l’impresa dovrà
effettuare analoghe integrazioni rispetto all’esercizio precedente. In particolare
verrà esposto nuovamente tra i costi l’ammontare complessivo, ad esempio, del
TFR. Tuttavia, una parte di tali costi è già stata imputata all’esercizio precedente
e, quindi, se non si rettificasse il dato, si farebbe partecipare tale parte di costo
anche alla formazione del reddito del nuovo esercizio, con un effetto di
duplicazione. La rettifica di tali cosi viene effettuata inserendo le integrazioni di
costi del primo esercizio nel primo settore nella sezione dei ricavi. La differenza
tra questo valore e quello nel terzo settore nella sezione di sinistra indica la quota
di costo di competenza dell’esercizio. Allo stesso modo le integrazioni di ricavi
!43
vedono trattate secondo la stessa logica delle integrazioni di costi. In sintesi
possiamo affermare che le integrazioni di un esercizio diventano rettifiche negli
esercizi successivi, viceversa le rettifiche diventano integrazioni.
Lo stato patrimoniale e il conto economico nella forma prevista dagli art. 2424 e
2425 del codice civile
Gli schemi finora utilizzati rispondono ad un esigenza logica in quanto ritenuti utili
per dimostrare il modo in cui si perviene alla costituzione del bilancio. Tali schemi
vengono in buona parte diversamente rappresentati dalla nostra legislazione che ha
reso obbligatorie altre forme statuite dal D.Lgs. del 9 aprile 1991 n. 127. Gli schemi
previsti sono quelli degli art. 2424 per lo stato patrimoniale e 2425 per il conto
economico del c.c.
!45
Passando al conto economico, è stata adottata la forma espositiva scalare, che
consente di mettere in evidenza alcuni risultati parziali ritenuti significativi.
La classificazione dei costi è fatta per natura ( in base alla causa economica che li ha
determinati) e non per destinazione ( in base all’aera funzionale che ha utilizzato i
fattori della produzione creano il costo).
Lo schema adottato prevede il raggruppamento delle diverse voci in cinque classi.
Le prime due comprendono componenti positivi e negativi di reddito che riguarda
l’attività che contraddistingue e caratterizza l’azienda. I raggruppamenti
contrassegnati con le lettere C) e D) riguardano invece l’area cosiddetta finanziaria,
all’interno della quale si trovano componenti positivi e negativi di reddito di natura
finanziaria. Il raggruppamento contrassegnato dalla lettera E) attiene all’aerea
cosiddetta straordinaria in cui la straordinarietà delle operazioni riguarda
l’occasionalità delle stesse. Vengono poi evidenziate, dopo aver determinato il
risultato prima del prelievo fiscale, quelle che sono le imposte, in modo da arrivare
al termine alla determinazione dell’utile o perdita d’esercizio.
Va notato che se la finalità principale del Conto Economico è quella di mostrare la
dinamica delle operazioni compiute all’interno di un esercizio, evidenziando
risultati economici intermedi di sintesi significativi, lo schema previsto dalla
legislazione non assolve fino in fondo a tale scopo.
La differenza tra valore e coti della produzione (A-B) comprende elementi di tipo
accessorio.
Va notato inoltre che il valore della produzione ( lettera A dello schema) fa
riferimento a elementi eterogenei come valore di ricavi, valore variazione di scorte,
semilavorati e prodotti finiti.
Il conto economico civilistico non permette, noltre, di evidenziare altri importanti
risultati intermedi all’interno dell’attività che caratterizza l’azienda.
Se invece:
Il legislatore, per l tutela dei terzi, fornisce indicazioni rigorose per l’applicazione
del principio di prudenza consentendo la creazione di riserve occulte e vietando gli
annacquamenti di capitale. Tale volontà è in qualche modo contraddittoria, in
quanto stabilisce che il reddito sia determinato secondo il principio di competenza
economica e che il bilancio “deve rappresentare in modo veritiero e corretto la
situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico
dell’esercizio”.
!48
In questo senso il principio di prudenza prevale sul principio di competenza
economica. È un principio posto a tutela e salvaguardia delle aziende in quanto
tende a dare alle stesse maggiore solidità patrimoniale ritenuta base per lo sviluppo
economico.
Il codice civile- al di là della clausola riportata nell’art. 2423 c.c.- regolamenta i
principi e i criteri di redazione del bilancio fondamentalmente con due articoli: l’art
2423-bis e l’art 2426: il primo sottolinea dei principi generali, il secondo enuncia
dei criteri di valutazione specificatamente per singole voci dell’attivo patrimoniale.
-L’art. 2423-bis:
1) La valutazione delle coi deve essere fatta secondo la prudenza e nella
prospettiva della comunicazione dell’attività;
2) Si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura
dell’esercizio;
3) Si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio,
indipendentemente dalla data d’incasso o del pagamento;
4) Si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio,
anche se conosciuti dopo la chiusura di questo;
5) Gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati
spontaneamente;
6) I criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro.
!49
1 e 2. Valutazione delle immobilizzazioni: sul punto il legislatore prescrive che le
immobilizzazioni vadano iscritte secondo il loro valore di acquisto o produzione,
seconda che siano state prodotte all’esterno o all’interno dell’azienda. Il legislatore
sdciace l’obbligo di procedere sistematicamente all’ammortamento delle
immobilizzazioni acquisite.
3. Rettifica di valore delle immobilizzazioni: la previsione legislativa contenuta in
questo punto ha una sua ratio detta dal fatto che esistono dei fenomeni di
“obsolescenza”(6), per cui l’utilità di alcuni fattori della produzione pluriennali, che
era stata programmata per un certo numero di anni, viene meno o si esaurisce
prima del tempo previsto, e quindi il residuo valore da ammortizzare delle
immobilizzazioni che diventano obsolete risulta maggiore di quello che si ritiene
congruo in rapporto alla “residua possibilità di utilizzazione” delle stesse. Per cui il
valore iscritto in bilancio di questi cespiti, per motivi di prudenza, deve essere
rettificato, procedendo a una svalutazione di tali beni, ed evitando così di avere
come risultato una vision annacquata del patrimonio dell’azienda.
Inoltre se i motivi della rettifica vedono meno, si deve procedere al ripristino del
valore di costo.
4. Valutazione delle partecipazioni: la previsione normativa riguarda il caso in cui
una società abbia delle partecipazioni in un’impresa controllata o collegata; il
legislatore prescrive che deve essere valutata in funzione del capitale netto della
partecipata. In particolare in tale valutazione si deve seguire l’andamento del
patrimonio della controllata o collegata e in base a principio di prudenza, se esso
subisce una diminuzione, va registrato, se subisce un aumento non va tenuto in
considerazione. Questo metodo è chiamato patrimonio netto.
5. Verifica del collegio sindacale per gli investimenti a carattere immateriale: il
legislatore afferma che ci sono alcuni investimenti a carattere immateriale per i
quali risulta difficile verificare l’esistenza di una utilità prospettica. Per questo
motivo per essere iscritti al bilancio occorre una verifica da parte del collegio
sindacale.
6. Valutazione dell’avviamento: per avviamento si intende la differenza tra il prezzo
di acquisto di un’azienda ed il suo capitale netto. La sua determinazione avviene
dopo l’acquisto. La sua rappresentazione in bianco segue le stesse sorti del punto
precedente.
(6) il fenomeno dell’obsolescenza viene dalla maggior parte dei studiosi di economia aziendale definito
come invecchiamento economico e deprezzamento dei fattori tecnici poliennali della produzione per
effetto del progresso tecnico che può provocare negli impianti posseduti una perdita di valore di natura più
o meno imprevedibile, improvvisa ed indeterminabile. Nella sostanza, l’obsolescenza deve essere
considerata come la minore durata, rispetto a quella assunta come ipotesi in fase programmatica, dei
fattori la cui capacità produttiva viene acquisita per periodi poliennali.
!50
7. Valutazione del disaggio sui prestiti: riguarda l’emissione dei prestiti
obbligazionari. Questi sono caratterizzati da una durata normalmente superiore
all’anno e sono in genere rappresentati da titoli al portatore(8) di libera circolazione.
L’emissione di tali prestiti può avvenire sotto la pari, alla pari, sopra la pari, a
seconda che il prezzo di emissione si rispettivamente inferiore, uguale o superiore al
nominale delle obbligazioni, che rappresenta il valore di restituzione del prestito. Il
disagio di emissione si configura come un costo pluriennale che compete all’intero
periodo di durata del prestito e he conseguentemente deve essere ripartito tra tutti
gli esercizi compresi in tale durata. Conseguentemente deve essere iscritto
nell’attivo, tra le immobilizzazioni immateriali, e armonizzato in ogni esercizio per
la parte di competenza di quest’ultimo.
8. Valutazione dei crediti: la prescrizione civilista implica che eventuali
svalutazioni, connesse alle insolvenze dei debitori, siano portate in rettifica diretta
del valore dei crediti sull’attivo.
In passato, invece, si costituiva il fondo svalutazione crediti iscritto al passivo.
Nella nota integrativa sono indicati il valore originario, la svalutazione ed i crediti di
svalutazione adottati.
9. Valutazione delle rimanenze: le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non
costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione; col
ristette del principio di prudenza.
10. Valutazione dei beni fungibili: i beni fungibili sono quei beni che sono tutti
uguali e che di conseguenza possono essere sostituiti indifferentemente tra loro, il
loro costo può essere calcolato tramite la media ponderata oppure con quelli
fifo(first in first out).
11. Valutazione dei lavori in corso su ordinazione: vi sono delle aziende che
lavorano per appalti. A tali aziende vengono periodicamente liquidati corrispettivi
per il lavoro svolto sulla base di un contratto nel quale si ha la quantificazione per
l’intero appalto. Pertanto non si hanno incertezze sui ricavi. Le rimanenze di tali
lavori possono essere valutate come frazioni del ricavo totale in relazione al lavoro
effettivamente svolto.
(8) I titoli di credito sono documentati una promessa unilaterale di pagamento o ordine di
pagamento di una somma di denaro. I titoli si distinguono in: titoli al portatore, che attribuiscono il
diritto alla prestazione solo con la loro consegna; titoli all’ordine, che si trasferiscono tramite la
consegna e girata ( ordine che l’intestatario dà al debitore di eseguire la prestazione a favore di
una terza persona); titoli nominativi, intestati ad una determinata persona attribuendole il diritto
alla prestazione, tuttavia il loro trasferimento è possibile anche mediante girata piena.
!51
La determinazione del cosiddetto reddito imponibile
(10).Un bilancio è un sistema di simboli: il significato dei simboli è dato dal fine del bilancio: è paralogistico
leggere quei simboli, anziché con la chiave fornita dal fine del bilancio, con criteri che sono legittimi, o
possono esserlo, i altre loro applicazioni.
!52
L’analisi dello stato patrimoniale per un giudizio di prima
approssimazione sulla solvibilità aziendale.
L’analisi della redditività:
reddito netto, reddito operativo.
(cap 3)
Per analisi della solvibilità si intende la verifica della capacità dell’azienda di far
fronte agli impegni finanziari assunti alle scadenze dovute e non in contrasto con
l’equilibrio economico.
Da tale condizione dipende la sopravvivenza stessa dell’azienda; in sua assenza essa
può arrivare al fallimento. Al fine di poter trarre dall’esame di una situazione
patrimoniale giudizi sul livello di solvibilità della gestione bisogna avere l’accortezza
di tenere distinte, all’intero dell’attivo, le immobilizzazioni, cioè i fattori a lento
ciclo di reintegro dal cosiddetto capitale circolante e, all’interno del passivo, il
capitale permanente, comprensivo del capitale proprio e dei debiti a medio/lungo
termine, dai debiti a breve termine.
Attività Passività
(capitale investito) (fonti finanziarie)
Immobilizzazioni Capitali permanenti
(Investimenti a lento ciclo di reintegro finanziario) (Debiti a lento ciclo di esborso e capitale proprio)
Capitale circolante Debiti a breve termine
!53
Il confronto tra capitale circolante e debiti a breve termine, consentirà di esprimere
giudizi positivi o negativi sulle effettive capacità dell’azienda di far fronte
tempestivamente alle obbligazioni assunte. In altri termini, potrà presentarsi un
capitale circolante maggiore, minore o uguale ai debiti a breve termine, ovvero una
differenza tra le due quantità maggiore, minore o uguale a zero. Perché l’azienda
possa definirsi solvibile:
Capitale circolante
Debiti a breve termine
Capitali permanenti
Immobilizzazioni
Indice di indebitamento :
Passività consolidate + passività correnti
Totale passività e netto
!55
Il conto economico come strumento di analisi della economicità della gestione.
R.O.E.=
Reddito netto
Capitale proprio
Per captale proprio si intende la differenza tra attività e passività e coincide con la
nozione di netto patrimoniale. Tale concetto è per sua natura un’astrazione, in
quanto non coincide con nessuno degli elementi patrimoniali attivi e passivi. Il suo
valore complessivo è in linea di massima suddiviso in parti dette ideali positive e
negative. Questo indice soddisfa l’esigenza conoscitiva dei proprietari del capitale.
È un indice importante, anche se limitatamente espressivo in quanto non indica a
cosa è dovuto il risultato netto, ma semplicemente in che percentuale la gestione
complessiva dell’azienda remunera il capitale proprio.
Il R.O.I. (Return On Investiment, letteralmente ritorno sul capitale investito)
misura la velocità con cui si recuperano gli investimenti netti e prende in
!56
considerazione al numeratore il reddito operativo, ossia il risultato legato alla
gestione gestione caratteristica, all’area tipica dell’azienda.
R.O.I.=
Reddito operativo
Investimenti netti
Il reddito operativo viene in qualche modo messo in evidenza dalla forma prevista
dal c.c. del conto economico, in quanto essendo in forma scalare sottrae in primo
luogo tutti i costi della gestione dal valore della produzione, ciò definisce in linea di
massima il reddito operativo.
Vengono poi presi in considerazione i dati provenienti dalle altre aree gestionali
dell’azienda e si perviene infine all’utile d’esercizio. Quest’ultimo dato costituisce il
numeratore del R.O.E. (reddito netto) che però non evidenzia l’apporto della
gestione caratteristica al risultato complessivo; si potrebbe, infatti, verificare una
perdita netta complessiva ed un risultato positivo della gestione caratteristica o
viceversa (3). A denominatore del R.O.I. vanno gli investimenti netti per evidenziare
la relazione tra il reddito operativo e gli investimenti netti strumentali.
Gli investimenti netti sono pari all’attivo totale già al netto dei fondi rettificativi di
poste patrimoniali attive, inoltre dovrebbe essere depurato anche dai debiti vero i
fornitori e dal fondo TFR, in quanto il reddito operativo posto al numeratore non
tiene conto dei proventi e oneri finanziari e non è possibile, per ragioni di
omogeneità, considerare nel denominatore elementi che implicano interessi passivi
impliciti.
Si può poi passare ad esaminare le determinai causali del tasso di redditività
operativa del capitale investito, scomponendo questo nelle sue componenti: la
redditività delle vendite e la rotazione di capitale investito.
L’indice di redditività dee vendite ( Return On Sales) R.O.S. è dato da:
Detto indice esprime la capacità remunerativa del flusso dei ricavi operativi
dell’azienda in esame, ossia il reddito operativo per ogni euro di fatturato.
(3) Tale configurazione di risultati pone l’esigenza di conoscere, oltre al risultato della gestione
complessiva, anche i risultati parziali che consentano di capire da dove e perché si perviene al risultato
complessivo. In tale modo si potranno identificare le aree di intervento per migliorare le performances
!57
L’indice di rotazione del capitale investito è, invece, espresso dal rapporto:
Questo indice esprime la velocità del rigiro del capitale impiegato, e quindi quante
volte nell’arco dell’anno il capitale stesso ritorna in forma liquida attraverso le
vendite nette.
La correlazione di tipo matematico fra i quozienti risulta facilmente individuabile,
ed infatti, si ha:
e cioè che il R.O.I., o redditività del capitale investito, è ugual al prodotto fra le
redditività delle vendite e la rotazione del capitale investito. La redditività delle
vendite è espressione della relazione che si crea fra i prezzi di vendita e i costi
complessivi della gestione operativa; la rotazione del capitale investito esprime,
invece, il grado d utilizzo delle risorse impiegate per attuare detta gestione. quindi,
mentre il primo deriva dalla politica dei prezzi effettuata dalla direzione aziendale,
il secondo deriva dalle scelte relative agli investimenti.
È opportuno rilevare che il diverso peso relativo ai due quozienti, dal quale si ricava
i R.O.I., è da porre in relazione achee cn il tipo di attività che l’azienda svolge. Così,
ad esempio, un’impresa di. Commercio all’ingrosso di generi di largo consumo può
raggiungere tassi di redditività del capitale investito (R.O.I.) soddisfacenti operando
con ridotti tassi di redditività sulle vendite (R.O.S.) in conseguenza dei margini di
ricarico in relazione agli elevato quantitativi di vendite conseguibili. La situazione
opposta, si verifica ad esempio, nell’industria cantieristica, che opera in generale,
con alti tassi di redditività delle vendite e tassi di rotazione del capitale investito
assai contenuti. Scomponendo il R.O.I. nei due indici esaminati, sarà possibile
analizzarne le variazioni nel tempo, attribuendone l’origine a corrispondenti
variazioni dell’uno e/o dell’altro.
!59
L’individuazione attraverso il bilancio delle fonti finanziarie
endogene ed esogene (cap 4)
!61
Dall’esame del prospetto si evidenzia un
ammontare complessivo di fonti pari a 2.300, di
cui 800 fanno parte dell’autofinanziamento e i
restanti 1.500 sono costituite dalle variazioni
aumentate di debiti verso i fornitori. Tali fonti
sono state utilizzate per finanziare gli impieghi
così ripartiti: aumento investimenti (1.000),
aumento scorte (500) aumento crediti verso i
clienti (500) e diminuzione debiti verso banche
(300).
Il prospetto delle fonti e degli impieghi, oltre ad essere elaborato tramite il bilancio
d’esercizio, può essere elaborato anche in fase decisionale a supporto
dell’individuazione dello sviluppo compatibile.
Nel primo caso, esso evidenzia in che modo sono state utilizzate le risorse finanziare
endogene fornite dall’azienda ( autofinanziamento) e quelle forniti da terzi
( esogene) mettendo in luce quale è stata la politica seguita dall’azienda.
Inoltre, il prospetto in esame può dare indicazioni sull’esistenza e sul grado di
sfruttamento delle riserve di liquidità, basta oltre che sull’autofinanziamento, anche
sulla fiducia di cui gode l’azienda. Infatti in questo caso nei confronti dei fornitori
riesce ad ottenere incrementi di fornitura e/0 dilazioni di pagamenti; nei confronti
dei clienti nella capacità di ridurre le dilazioni senza perdere la loro fiducia, e nei
confronti della banca nella capacità di ottenere finanziamenti senza condizioni che
possono intaccare l’economicità della gestione.
Il prospetto delle fonti e degli impieghi può essere redatto anche in preventivo; in
questo caso viene denominato budget delle fonti e degli impieghi e consiste nel
programma di tutti gli investimenti che l’azienda dovrà realizzare e di tutte le fonti
di finanziamento su cui potrà contare nel periodo oggetto di programmazione.
Il bilancio di previsione
(cap 5)
Nell’ambito delle indagini aziendali, per quanto possa essere importante il bilancio
d’esercizio, esso soltanto non può essere sufficiente. A tal proposito si affianca il
bilancio di previsione che verifica il probabile andamento futuro della gestione e
quindi la situazione economico-finanziaria prospettica. Si entra dunque nel merito
della programmazione aziendale.
I bilanci prospettici, che consistono nel redigere il conto economico e lo stato
patrimoniale relativi a uno o più esercizi futuri. In essi non è presente la nota
integrativa, cioè quel documento descrittivo di tipo non contabile, che la normativa
del c.c. considera parte integrante del bilancio di esercizio e nel quale vengono date
spiegazioni per una migliore comprensione dello stesso; semmai i bilanci
prospettici sono accompagnati da una indicazione delle ipotesi su cui sono fondati e
degli obiettivi che intendono si raggiungere.
!62
La programmazione economica e la costruzione del “conto economico
previsionale”
In una rappresentazione logica delle operazioni aziendali le fasi del tipico ciclo
processuale hanno una dinamica antioraria, mentre in fase programmatica la
dinamica del ciclo ha un andamento orario (come in figura). Si parte cioè dal
mercato, con una previsione dei realizzi, in relazione ad essi si fa una previsione
degli investimenti necessari per conseguirli e successivamente si fa una previsione
delle fonti di copertura dei relativi fabbisogni finanziari.
I R
!63
L’individuazione di scorte iniziali e finali influisce sulla determinazione dei volumi
di produzione a base del conto economico. Infatti un incremento delle scorte finali
rispetto a quelle iniziali comporterebbe un aumento di volumi da produrre,
viceversa si creerebbe un volume di produzione vendibile superiore a quella da
realizzare. ( vedi esempio di pag 194-195).
Bisogna proseguire nella costruzione dl bilancio prospettico per calcolare il reddito
necessario pre soddisfare la relazione di economicità: R>I+i.
L’elemento fondamentale che ancora manca è il valore degli interessi passivi che
non può essere desunto se non considerando la situazione finanziaria prospettica
dell’azienda. Ovviamente essendo il conto previsionale non vanno previsti i punti
appartenenti all’area straordinaria in quanto per loro natura non prevedibili.
(3) Nel periodo preso in considerazione tali fondi non vanno incrementa per determinare la
copertura finanziaria prospettica, ciò vale per il TFR e così per gli altri costi non rilevanti.
!65
Il valore da prendere in considerazione è quello delle materie prime. Il fabbisogno
sarà così: Fabbisogno= C + ca x d5
12
( C= costo delle materie prime, ca costi accessori annui della materia, d5= dilazione
media ottenuta).
L’eventuale saldo negativo tra immobilizzazioni e mezzi di copertura, a meno che
non si prevedano delle soluzioni particolari ( come emissioni di obbligazioni o
aumento del capitale), costituisce il valore del presunto indebitamento bancario, se
si considera questo come variabile dipendente; ove questo fosse una variabile
indipendente, la residua copertura finanziaria andrà a scaricarsi su un altra fonte
considerata variabile elastica, ad esempio, il capitale proprio.
Il bilancio di previsione, pur essendo un modello molto utile per capire il possibile
andamento futuro dell’azienda, non offe una visione di medio-lungo periodo ma ne
offre una riguardante l’esercizio dell’anno successivo alla redazione di questo. In
oltre non offre una visione dinamica, bensì statica. Per questo motivo si ritiene
importante redarre un nuovo strumento di previsione, il business plan.
Tale strumento di previsione si presenta con una struttura più estesa e capace di
includere elementi di rilevanza strategica nel processo di previsione di lungo
termine quali nuovi progetti e investimenti, evoluzione di mercato e piano di
marketing.
Il Business plan è un’elaborazione che meglio del bilancio di previsione relativo ad
un esercizio normale o medio si presta a rappresentare in un ottica di medio-lungo
termine un progetto di sviluppo o risanamento aziendale con lo scopo di valutarne
la fattibilità in relazione alla struttura aziendale e al costo in cui essa opera.
Il Business plan presenta un ampio ventaglio di finalità conoscitive, in particolare
quelle di:
• Promuovere una nuova attività d’impresa, studiando le reali opportunità di
business presenti e future.
• Progettare lo sviluppo dell’azienda nel lungo termine, studiando la gestione, la
struttura organizzativa, i risultati economici futuri, l’assetto patrimoniale e
finanziario dell’azienda.
• Investire in un’altra azienda esistente, studiando le sinergie possibili con tale
attività.
• Acceder al credito, mostrando la capacità di restituire i relativi debiti contratti con
le banche.
!66
• Richiedere agevolmente e finanzieri pubblici, tale finalità è volta a verificare la
fattibilità del progetto al fine di reperire risorse finanziarie messe a disposizione
da bandi pubblici.
• Ricorre nuovi soci e partnership. Ciò include la ricerca di finanziamenti sotto
forma di capitale di rischio o di accordi di partnership quali joint-venture,
creazione di consorzi, reti di franchising.
• Operare ristrutturazioni per il rilancio di aziende in crisi. In questo caso il
Business plan ha la funzione di analizzare l’impatto economico e finanziario di
strategie di risanamento quali riconversione produttiva, riorientamento
strategico, ridimensionamento e sviluppo dimensionale, ristrutturazione della
organizzativa e tecnico-operativa.
La molteplicità di funzioni del Business plan, fa si che i suoi destinatari siano,
fondamentalmente, di tre categorie:
a) Gli aspiranti imprenditori: l’avvio di una iniziativa imprenditoriale è spesso
animata da grande entusiasmo, ma comporta dei costi delle incertezze rilevanti.
Il Business plan fa si che tali idee imprenditoriali possano tradursi in una
strategia ordinaria, capace di esplicitare le ipotesi sull’evoluzione di mercato, di
analizzare in cifre la fattibilità economica nonché la copertura finanziaria
necessaria all’avvio del progetto imprenditoriale;
b) Gli investitori esterni: tali soggetti utilizzano il Business plan per valutare se
finanziare o meno l’iniziativa imprenditoriale; essi apportano all’azienda i
capitali necessari al suo avvio e/o alla sua gestione sotto forma di capitale di
debito, di rischio, ovvero, nel caso di finanziamenti pubblici, a titolo di
contributi in conto capotale o esercizio;
c) Gli imprenditori e i loro collaboratori: una volta avviata l’attività gli soggetti
utilizzano il Business plan come guida per implementare e valutare l’attività
intrapresa e gli eventuali scostamenti rispetto al progetto originario contenuto
nel Business plan.
Principi di redazione
Il Business plan non presenta una struttura univoca propio perché i soggetti che lo
possono richiedere sono di tre categorie differenti come abbiamo visto. In ogni caso,
nonostante la sua flessibilità possiamo redigere uno schema fisso per la stesura di
un Business plan:
a) sintesi del progetto imprenditoriale o Executive Summary. Tale sezione
riporta una sintesi del progetto imprenditoriale, pertanto, sebbene sia la prima
ad essere rappresentata, è l’ultima sezione che viene redatta. Deve essere molto
breve, di norma due o tre pagine e riportare in modo conciso i contenuti chiave
che rendono il progetto unico agli investitori o enti finanziatori, per tale motivo
deve focalizzarsi in patibolare modo sui benefici degli stakeholder. Tale sezione
include la denominazione sociale dell’azienda, l’attività svolta o da svolgere,
servizi o prodotti da realizzare o realizzati, mercato di appartenenza, cicli
produttivi, tecnologia adottata, dati gestionali. Poi in oltre contenuti e obiettivi
di mercato, iter di realizzazione, investimenti necessari, principali risultati
attesi. Questa parte della sezione deve focalizzarsi sugli elementi distintivi del
progetto e dimostrare ai finanziatori perché sia conveniente investire sul stesso,
deve convincere qualcuno ad investire sul progetto.
b) Descrizione dell’azienda. Di fondamentale importanza è la descrizione
dell’azienda, della sua storia e del settore in cui opera o opererà. Inoltre è
importante descrivere i prodotti o servizi erogati e le competenze manageriali, e
anche le gerarchie aziendali con i relativi obiettivi.
c) Descrizione del progetto e dei prodotti/servizi da offrire. Questa sezione è
dedicata alla descrizione e illustrazione approfondita del progetto e dei
prodotti/servizi da offrire. Inoltre bisogna descrivere perché il prodotto può
essere utile alla possibile clientela e come può essere utile.
d) L’analisi di settore e di mercato. Questa sezione spiega le caratteristiche del
settore dove opererà l’azienda. Quindi deriverà il settore, i clienti, l’economicità
del settore, il contesto ambientale, le barriere all’entrata e all’uscita, l’influenza
politica, clienti fornitori e competitors, il mercato target e la sua dimensione la
clientela specifica e il livello di servizio richiesto.
e) Il piano di marketing e delle vendite. Bisogna descrivere come l’azienda intende
agire nel mercato di riferimento. Tale sezione specifica quali sono le strategie
relative di marketing-mix, e riguardano: il prodotto/servizio, caratteristiche che
!68
deve avere in termini di contenuto e packaging, immagine, possibilità di
differenziazione; il prezzo, se si tratta di un prodotto nuovo bisogna capire
quanto il cliente sarebbe disposto a pagare in relazione al beneficio che ne trae.
Se non è nuovo bisogna far riferimento ai prezzi dei prodotti simili in quel
mercato; la distribuzione e quindi capire se l’azienda si avvarrà di servizi
internet o ad aziende del settore distributivo o con mezzi propri e soprattutto
spiegare in che condizioni i clienti avranno reperibile il servizio o prodotto;
promozione e pubblicità, se il prodotto è nuovo occorre studiare bene un piano
di marketing per far conoscere il prodotto ai clienti. Il piano di marketing è
fondamentale per la redazione del piano delle vendite che riporta le quantità
vendute, prezzi e dinamica del fatturato per il periodo oggetto alla previsione.
f) Il piano di realizzazione e/o investimento. Prevede un’analisi dettagliata del
processo di produzione del prodotto/servizio e delle tappe del progetto
imprenditoriale con una particolare attenzione alle risorse impiegate e ai tempi
relativi agli investimenti. Il piano dovrà, inoltre, includere in modo dettagliato,
gli investimenti da realizzare e la specificazione della loro copertura attraverso
adeguate fonti finanziarie interne ed esterne.
g) Il piano economico finanziario ( a seguire).
Il piano economico-finanziario
Questo documento deve includere una descrizione delle ipotesi fatte sulle singole
voci dello stato patrimoniale e del conto economico previsionali come negli esempi
seguenti:
• Crediti verso i clienti: incasso a 30 giorni;
• utile/perdita d’esercizio: non è prevista distribuzione degli utili per tutta la durata
del finanziamento bancario;
• Debiti verso i fornitori: dilazione media prevista di 60 giorni;
• Costi per polizze assicurative: è previsto un incremento annuale di tale voce del
2%.
!69
2 Prospetto degli investimenti da realizzare con indicazione del valore lordo, degli
ammortamenti annuali e del valore netto del piano di ammortamento
Questo documento indica per ciascun anno oggetto di previsione gli investimenti
lordi, gli ammortamenti di tali investimenti e il valore netto delle immobilizzazioni:
i primi andranno inseriti nel prospetto delle fonti e degli impieghi, i secondi tra
costi nel conto economico e nel pronto delle fonti e degli impieghi, i terzi vanno
inseriti nello stato patrimoniale previsionale.
Questo documento indica per ciascun anno oggetto di previsione il dettaglio del
piano di ammortamento dei finanziamenti da ricevere. Il debito residuo di ogni
anno va inserito nella voce “ finanziamenti bancari” dello stato patrimoniale
previsionale, e gli interessi annuali tra gli oneri finanziari del conto economico
previsionale.
Tale documento illustra le dinamiche delle attività, passività e del patrimonio netto
nell’arco temporale oggetto di previsione. La struttura dello stato patrimoniale è
flessibile pertanto può essere reddito sia in forma logica che in forma civilistica. In
particolare nello stato patrimoniale previsionale:
• Le immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie vengono scritte
annualmente al loro valore netto secondo il prospetto degli investimenti.
!70
• L’immobilizzo finanziario dei crediti viene calcolato attraverso la formula vista
per il bilancio di previsione;
• Le disponibilità liquide sono calcolate attraverso il prospetto delle fonti e degli
impieghi;
• Le rimanenze devono essere stimate per ogni anno;
• Il finanziamento della gestione derivante dalle dilazioni dei fornitori viene
calcolato attraverso la formula vista per il bilancio di previsione;
• I ratei attivi e passivi devono essere stimati ogni anno in base al principio di
competenza economica;
• I fondi TFR, svalutazione crediti e rischi devono essere stimati ogni anno sulla
base degli accantonamenti effettuati;
• I debiti verso le banche devono riportare il debito residuo calcolato in base al
piano di ammortamento dei finanziamenti;
• I debiti verso soci devono riportare la quota residua da rimborsare alla fine di ogni
esercizio oggetto di previsione;
• Il capotale sociale deve essere riportato all’interno del patrimonio netto e deve
includere eventuali aumenti o diminuzioni;
• La ricerca legale aumenta del 5% degli utili prodotti nell’esercizio precedente;
• Gli utili non distribuiti incremento la relativa riserva di patrimonio netto e le fonti
a medio lungo termine nel prospetto fonti e impieghi, la quota distribuita di tali
utili non deve incrementare il patrimonio netto dello stato patrimoniale e deve
essere apportata a rettifica degli utili netti nel prospetto fonti e impieghi.
!71
viceversa) totale positivo è indice di solvibilità dell’azienda. Analizzando meglio
i flussi di cassa, è possibile considerare che:
• Un consistente flusso di cassa positivo relativo alla gestione reddituale è indice di
un valido progetto imprenditoriale che deve essere finanziato, contrariamente, in
presenza di scarsi o negativi flussi di cassa, il progetto è poco remunerativo o
fallimentare;
• Un consistente flusso di cassa positivo relativo al capitale circolante netto è indice
di buone condizioni operative di gestione legate agli incassi, pagamenti e alle
rimanenze. Al contrario invece, l’imprenditore dovrebbe agire per ottenere
condizioni operative migliori.
• Un consistente flusso di cassa positivo relativo alle attività e passività a medio-
lungo termine e al patrimonio netto è indice di coerenza tra l’attività di
investimento da realizzare e le fonti di copertura finanziaria adottate. Invece, in
presenza di scarsi o negativi flussi di cassa il progetto imprenditoriale, seppur
valido e con condizioni operative buone relative al capitale circolante netto,
mostra un’incoerenza tra investimenti da realizzare e la tipologia di fonti
utilizzate.
!72
Nessuna delle nozioni di capitale sopra esposte può essere soddisfacente per la
disciplina economica aziendale. L’economia aziendale mira a definire il capitale in
termini quali-quantitativi, finalizzati alla risoluzione di obiettivi conoscitivi pratici.
Pur essendo immediato il riferito ai beni costituenti il capitale (o patrimonio)
d’impresa, in economia aziendale è comunque necessario porre enfasi sul concetto
di capitale inteso come fondo astratto di valori, cioè come potenzialità operativa
disponibile in un dato istante.
Ma lo stesso concetto non è sufficiente se si pensa che alla valutazione in oggetto si
può procedere i presenza di condizioni diverse d’azienda e d’ambiente e che diverse
possono essere le finalità conoscitive che dettano la necessità di procedere a tali
compiti.
Per tale motivo la dottrina fa riferimento ai concetti di capitale di funzionamento,
di liquidazione ed economico, che rappresentano differenti configurazioni che il
capitale può assumere.
Il capitale di liquidazione
Il capitale economico
!74
Il capitale economico può risultare, a volte, anche inferiore di quello di
funzionamento e, talvolta, persino di quello di liquidazione. In questa ipotesi si
perviene alla stima di un avviamento negativo o badwill, derivante dall’inettitudine
dei risultati a remunerare congruentemente un investimento a titolo di capitale
proprio la cui soglia minima sia almeno pari alla misura del capitale di
funzionamento.
Dai concetti esposti si perviene alla seguente relazione:
Lo scopo della determinazione del capitale economico non è quella di ottenere una
variazione del prezzo di cessione, bensì quello di determinare il valore teorico del
capitale economico, ovvero il valore di riferimento per una eventuale negoziazione
che ciascuna delle parti necessita di individuare. Cercheremo di dare un’idea di tale
processo partendo da due ipotesi.
1. Ipotesi:
L’azienda che si cede si ipotizza abbia durata illimitata dei suoi flussi reddituali
Immaginiamo che l’azienda che si cede sia caratterizzata da flussi reddituali medi
costanti e che possano essere prodotti per un durata illimitata, ovvero l’azienda
oggetto è vista come una macchina che produce risultati reddituali medi e
predeterminabili. Tale oggetto è il prodotto del soggetto che cede non è
influenzabile dall’attività del soggetto che acquista.
!75
In questo caso esemplificato, il valore di tale oggetto può essere determinato
utilizzando i valori del reddito medio prospettico ad un congruo tasso di sconto
(vedi computisteria: interessi), così da avere al momento della valutazione tutti i
singoli valori medi prospettici che hanno manifestazione in momenti differenti.
La formula di matematica finanziaria che esprime questo calcolo è la seguente:
Va= Rm
r
Dove Va rappresenta il valore attuale di una rendita perpetua, Rm= reddito medio
prospettico, e r= tasso di rendimento (vedi appendice) atteso per la remunerazione
del capitale di rischio e usato per l’attualizzazione.
Nonostante la perpetuità degli affari non esista, in caso in cui l’azienda persista da
diversi anni (superiori a 15), il valore attuale determinato è molto prossimo a quello
derivante dall’applicazione della formula della rendita perpetua.
A questo punto ci sono due problemi da risolvere:
- determinazione del reddito medio prospettico da attualizzare Rm:
Considerando il fatto che non esiste azienda che guadagni nel tempo la stessa
somma, quello del reddito medio prospettico risulta un dato molto incerto, da
determinare con estrema prudenza, prendendo in riferimento, con opportune
cautele, i dati del passato e cercando di individuare eventuali variazioni in funzione
di mutamenti di prospettiva;
- determinazione del tasso di attualizzazione r: ciò che fa variare il tasso r non è
solo il sacrificio sofferto da chi rinuncia ad usi alternativi dei piropi capitali, ma
soprattutto dal rischio che incombe sul recupero degli stessi attraverso l’attività
aziendale. Dunque il tasso di rendimento è in realtà composto da tre elementi:
remunerazione del capitale i; un elemento che maggiora la remunerazione del
capitale per effetto del rischio k; un altro elemento h che tiene conto della
capacità delle imprese di scaricare sui propri clienti il fenomeno dell’inflazione.
( cioè la diminuzione del potere d’acquisto della moneta)
r= i + k + h
Il tasso reale di rendimento dei capitali investiti in assenza di rischio si determina
considerando quello dei titoli di Stato e decurtando il tasso di inflazione.
Quest’ultimo fa entrare in gioco la capacità delle aziende di scaricare l’inflazione sui
clienti, e, maggiore sarà l’inflazione scaricata sui clienti più r risulta pari al solo
tasso reale di rendimento dei capitali in assenza di rischio più il coefficiente di
rischio d’impresa. Quest’ultimo (k) dipende dalle circostanze legate al livello del
rischio dell’impresa.
Dunque: al crescere del tasso di attualizzazione r, il valore del capitale economico
diminuisce, e quindi possiamo affermare che la misura del tasso di attualizzazione
agisce in senso inversamente proporzionale sul valore del capitale economico.
Va considerato che una volta che l’acuente ha acquistato l’oggetto, e quindi
l’azienda, essa non dipenderà più dalle capacità del vecchio imprenditore ma di
quello nuovo e dunque risata logicamente errato la valutazione dell’azienda
attraverso la formula della rendita perpetua, a tal proposito è necessario applicare
la rotula della rendita determinata.
!76
2. Ipotesi:
L’azienda che si cede si ipotizza che abbia una durata limitata dei suoi flussi
reddituali
!77
Terza parte.
Strumenti di verifica delle
condizioni particolari di
successo del sistema
d’azienda.
!78
La determinazione dei costi come pre-condizione essenziale
del governo della economicità (cap 1)
Come abbiamo visto, in fase di biascio, i costi possono essere classificati per natura
( e quindi ad esempio tutti i costi di materia prima, costo di lavoro, ecc), per
destinazione temporale (cioè se si riferiscono ad esercizi diversi da quello di
riferimento), e altra destinazione dei costi può essere quella dello spazio, e quindi
ricondotta ad un oggetto di riferimento più ristretto, come ad esempio ad un singolo
prodotto o ad una produzione. In questi casi il problema diventa quello di riferire
un insieme di costi sostenuti per l’attività aziendale non più al complesso di
operazioni svolte in un periodo di riferimento, ma al prodotto o alla produzione o
ad altro soggetto definito.
!79
Le configurazioni di costo
Ci sono diverse finalità per cui è necessario conoscere i costi dei diversi oggetti di
riferimento; spesso, però, quello che interessa conoscere sono aggregazioni di costi
che possono essere in parte diretti e in parte indiretti.
Per configurazione di costo si intende la sommatoria di più elementi di costo che,
caratterizzati da relativa omogeneità, possono riferisci ad uno stesso oggetto. E
configurazioni di costo sono tante quanto gli n-1 elementi di costo.
Le configurazioni di costo più frequentemente utilizzate sono le seguenti:
a. Costo primo, definito dalla sommatoria dei costi diretti;
b. Costo complessivo, definito dal costo primo più la sommaria di quote di costi
indiretti;
c. Costo economico-tecnico o totale, definito dal costo complessivo più i costi
virtuali, più la quota di profitto.
Sino alle prime due configurazioni, troviamo tali costi nel conto economico. Nella
terza configurazione si scopre che vi sono fattori della produzione che vengono
utilizzati, ma per i quali non si paga un prezzo e il cui costo non si rileva dal conto
economico.
Infatti a volte, per effettuare operazioni di gestione vengono impiegati sevizi di
personale, mezzi tecnici e finanziari, ai quali non corrisponde alcuna concreta
remunerazione monetaria o altra controprestazione, perché, ad esempio si tratta di
mezzi di proprietà o comunque relativi al proprietario-imprenditore. Tali costi
prendono il nome di costi virtuali e riguardano gli interessi sul proprio capitale
investito, il lavoro non retribuito dei titolari, i fitti dei terreni e fabbricati di
proprietà destinati gratuitamente all’esercizio d’azienda. Alla determinazione del
costo economico-tecnico, oltre che dei costi virtuali bisogna tener conto anche della
quota di profitto che è una categoria economica che vuole remunerare il rischio
dell’attività d’impresa.
Esiste una correlazione tra le varie configurazioni e le finalità conoscitive, per cui,
ad esempio, se si vogliono valutare le rimanenze di prodotti si deve considerare il
costo primo; se invece si vuole conoscere il prezzo rimuneratore di vendita si deve
fare riferimento al costo economico-tecnico; se si vogliono confrontare i risultati di
due o più aziende si deve guardare al costo economico-tecnico; in fine se si vuole
stabilire il limite di sicurezza al di sotto del quale non è opportuno andare nella
fissazione del prezzo di vendita si deve considerare il costo complessivo.
!80
Ripartizione dei costi indiretti su base unica d’azienda
Anche con tale forma di riparto il risultato è influenzato dalla base di ripartizione
prescelta, in quanto, se anziché queste due basi se ne scegliesse una diversa, si
ricadrebbe nella medesima censura mossa al procedimento su base unica.
I procedimenti di cui si è parlato non solo sono poco obiettivi, ma, se usati
impropriamente, possono pure condurre a scelte sbagliate.
!82
Se i costi indiretti ammontassero a 250.000.000, la loro ripartizione in base al
procedimento in oggetto, avrebbe come segue:
Si è visto che i criteri causali, quindi si riparto dei costi su base unica e su base
multipla, non sono rigorosi in quanto spesso non si riesce a stabilire una relazione
diretta tra il sostenimento dei costi e l’ottenimento degli oggetti, e ancor meno
ricorso si presenta la ripartizione con criteri commerciali.
Dopo la crisi negli Stati Uniti del 1929, gli studi di Taylor funsero da sprono per gli
studi di controllo di gestione.
Si sostiene che se non esiste uno stretto legame di casualità tra il sostenimento dei
costi e la realizzazione dei prodotti è pur vero ch esiste una relazione diretta tra il
sostenimento dei costi e le attività necessarie a tale realizzazione. Ad esempio, gli
stipendi per la segreteria della direzione generale, sono certamente costi diretti
rispetto all’attività svolta nell’ambito della direzione generale. Quindi i costi si
sostengono sempre per qualche cosa per la quale è possibile stabilire una relazione
di causalità; il problema sorge nel momento in cui si vuole riferire quei costi a
oggetti che sono il risultato finale dell’attività produttiva.
La ripartizione attraverso il criterio della localizzazione è caratterizzato proprio dal
tentativo di eliminare il problema costituito dalla ripartizione dei costi indiretti
sulla produzione, prendendo a base del ragionamento l’attività globale dell’azienda
opportunamente divisa in aree omogenee, facendo diventare tutti i costi diretti, o
rispetto ai prodotti o rispetto ai centri di attività.
Se, infatti, si suddivide l’azienda in un certo numero di aree di attività omogenee,
sarà possibile localizzare, per ciascuna area, i propri costi, i quali saranno appunto
diretti in rapporto all’area medesima. Il problema esposto si ripropone nel
momento in cui non si vogliono determinare i costi delle singole aree ma i costi
complessivi di prodotto.
La prima fase del procedimento è quella di costruire una sorta di mappa
dell’azienda che rappresenti quali sono le aree di attività della complessa gestione
aziendale. Tali aree di attività devono essere omogenei al loro interno, nel senso che
l’attività svolta da esse non deve essere confondibile con quella svolta da altre aree,
e che ci sia un unico responsabile al fine da poter sviluppare un serio controllo di
gestione, ricordando bene che non c’è controllo vero senza autonomia.
La seconda fase consiste nella predeterminazione dei volumi di produzione del
periodo preso in considerazione, che sta alla base per le determinazioni di costo in
oggetto, dato che al variare di detto volume varia l’incidenza unitaria di alcune
!83
categorie di costi dei prodotti: quanto maggiore sarà la capacità produttiva
utilizzata tanto muore sarà l’incidenza unitaria di tali costi sui singoli prodotti, e
viceversa.
Nelle aziende che producono in serie ed a ciclo continuo, con produzione omogenea,
detto problema non comporta grosse difficoltà: basterà, infatti, stimare il volume
delle vendite che si prevede di realizzare nel periodo, detrarre da esso l’entità
quantitativa delle rimanenze iniziali e aggiungere quella delle presunte rimanenze
finali per ottenere il dato ricercato, e cioè la quantità da produrre nel periodo stesso.
Se la produzione è su commessa non può conoscessi a priori la quantità e la qualità
del prodotto che all’azienda verrà richiesto di produrre. In questo tipo di aziende la
produzione può essere costituita da prodotti eterogenei, cioè non misurabili con un
unica unità di misura, mente il volume di produzione che è necessario fissare sarà
necessariamente espresso attraverso una unità di misura unica.
vi è quindi la necessità di ricondurre la produzione eterogenea in omogenea, il
problema può essere risolto esprimendo la produzione non più per unità di
prodotto, ma per unità di capacità produttiva necessaria per l’ottenimento di essi.
L’unità di capacità produttiva da scegliere deve avere una caratteristica: deve essere
riferita al fattore di produzione raro o limitativo cui è legato il vincolo dimensionale
dell’intera azienda.
Ad esempio potrebbe essere il numero ( piccolo rispetto al fabbisogno) di operai di
un certo reparto, che determina una strozzatura o un “collo di bottiglia”; oppure
può essere la capacità produttiva minore di un macchinario rispetto ad altri; o
ancora potrebbe essere la materia prima. Prendendo in esempio un’azienda che ha
dei reparti i quali producono, uno 10 quintali per ora per macchina, uno 3 e uno 20,
il collo di bottiglia è costituito dal macchinario che produce 3 quintali.
Il collo di bottiglia, costituito in questo caso dalla minori capacità produttiva del
reparto rispetto a quella degli altri due settori, fa si che la produzione finale non
dipenda dalle capacità dei reati che possono fare di più, ma dalla capacità del
reparto che può produrre di meno. Si dice allora che in quest’ultimo reparto è
contenuto il fattore di produzione raro dell’azienda, cioè quel fattore che delimita la
capacità produttiva dell’azienda.
Prendendo in considerazione l’esempio di un’azienda con due linee di lavorazione e
diversi reparti, e che abbia un collo di bottiglia descritto come nel precedente
esempio, le ore indicate per definire la capacità produttiva dei diversi reparti sono
ore di macchina nel caso del reparto di anodizzazione, ore di lavoro diretto di operai
specializzati nel caso del reparto taglio e ore di lavoro diretto nel caso del reparto
assemblaggio. I fattori di produzione attraverso cui esprimere la capacità produttiva
dei diversi reparti sono dunque:
- reparto anodizzazione: ore macchina
- Reparto taglio: ore lavoro
- Reparto assemblaggio: ore lavoro diretto
Per calcolare la capacità produttiva annua del reparto di anodizzazione vanno
moltiplicare le ore di lavorazione giornaliere (8 ore) per il numero di giornate
lavorative effettive (200). Va infine tenuta in considerazione la limitazione
derivante dal reparto che contiene il fattore di produzione raro (taglio) e che
determina l’effettiva velocità della linea di lavorazione.
!84
- capacità produttiva reparto anodizzzazione= 8 ore giornaliere x 200. gg.
lavorativi x 0,30 ( coefficiente di utilizzo della capacità del reparto)
- Capacità produttiva reparto taglio= 8 ore giornaliere x 200 gg. x n. operai
- Capacità produttiva reparto assemblaggio= 8 ore giornaliere x 200 gg. x 0,15
(coefficiente di utilizzo delle capacità del reparto) x. operai.
Il volume produttivo così determinato viene denominato standard e suo variare a
seconda dei criteri che si sono utilizzati nello stabilire la correlazione quantitativa
fra l’unità di misura ed il risultato ottenuto nell’unità di tempo.
La terza fase di questo procedimento consiste nell’imputazione dei costi ai centri.
Una volta identificato il volume di produzione è possibile stabilire cosa bisogna fare
per realizzare tale volume di produzione e quindi quali costi bisogna sostenere.
Questi costi vanno suddivisi tra i centri di attività in proporzione ai fattori installati
o assegnati in questi centri. Tale fase riguarda tutti i costi ad eccezione delle materie
prima che sono considerate costo diretto di prodotto e non vengono ripartite tra i
diversi centri. Alla fine di questa fase tutti i costi saranno ripartiti fra i vari centri:
alcuni andranno ad alimentare l’attività dei centri diretti, altri l’attività dei centri
indiretti. Tutti i costi a questo punto sono diretti e si potranno avere costi diretti di
prodotto, costi diretti di centri diretti, costi diretti di centri indiretti.
La quarta fase potrebbe anche non esserci se si ritenesse sufficiente conoscere la
ripartizione diretta dei costi nei vari centri. Ove si volesse pervenire alla
determinazione del costo complessivo di prodotto occorrerà redistribuire i costi dei
centri indiretti, pro quota, sui centri diretti, in base ad un nesso causale.
Detta ripartizione si potrà effettuare su base unica, cioè sommando tutti i costi di
tutti i centri indiretti e ripartendoli mediante un’unica base di ripartizione; in tal
modo il procedimento verrà chiamato su base unica di centro; ovvero su base
multipla distribuendo cioè i costi dei centri indiretti su quelli diretti secondo le basi
di alta in volta ritenute più idonee per ciascun centro. Dopo tale operazione si
saranno svuotati i centri indiretti dei loro costi e si saranno riempiti i centri diretti
delle quote di costo provenienti dai centri indiretti, ottenendo cosi una
configurazione di costo complessivo per ciascun centro diretto relativa al periodo
preso in considerazione.
È da notare però che così facendo si ritorna alle medesime arbitrarietà già criticate
nei precedenti metodi.
La quinta fase è quella della determinazione dei coefficienti unitari di centro,
risultanti dalla divisione dei costi complessivi di periodo del centro diretto
( composti da costi diretti dei centri diretti e quote di costi diretti dei centri
indiretti) sul numero dei prodotti o delle unità con cui viene rappresentata in modo
omogeneo la produzione. In tal modo si ottime l’incidenza del costo di periodo
sull’unità di produzione omogenea.
La sesta fase consiste nel determinare il costo complessivo di prodotto: occorre
sommare ai costi diretti di prodotto il risultato della moltiplicazione tra i coefficienti
unitari di centro ed il numero di ore di lavoro diretto e necessarie per l’ottenimento
del prodotto in ciascun centro diretto. (Vedi esempio pag 256).
È da notare come il costo complessivo così calcolato è poco utile ai fini della politica
delle vendite. Tale costo non interessa nemmeno ai fini di controllo di gestione,
perché per questo si tiene conto dei costi primi dei singoli centri. Il costo
complessivo non appare dunque utile in termini operativi.
!85
Conviene dunque non riversare i costi dei centri indiretti sui centri diretti
controllando l’attività dei singoli centri, e trasferire sui singoli prodotti soltanto i
costi diretti, determinando così il costo primo da utilizzar ai fini della politica delle
vendite.
Il criterio della localizzazione dei costi per la loro determinazione, vedremo, non è
più utile rispetto a come lo sarebbe stato in tempi diversi, questo perché il mondo in
cui ci troviamo è in continua evoluzione. Infatti se prima le aziende fissavano come
obbiettivo la massimizzazione delle quantità produttive così da ridurre i costi
unitari, oggi non lo è più poiché l’obiettivo è diventato diversificare il prodotto dal
momento che si risponde a una clientela sempre più esigente. Questo cambiamento
ha avuto tra i suoi effetti un cambiamento della struttura dei costi aziendali.
Le aziende odierne puntano alla differenziazione, qualità e flessibilità del prodotto;
così un prodotto semplice con caratteristiche standardizzate e alti volumi di
produzione, assorbirà meno costi di un prodotto o servizio altamente
personalizzato. I metodi finora analizzati legano il sostenimento dei costi ai volumi
produttivi realizzati e non sono in grado di rappresentare efficacemente le nuove
configurazioni produttive.
Il metodo ABC si caratterizza per l’abbandono della tradizionale distinzione tra costi
fissi e costi variabili in funzione dei volumi di produzione. In tal senso i costi
vengono definiti variabili, nonostante i volumi di produzione restino invariati, in
virtù del fatto che la loro variazione si verifica come una conseguenza di una
differenziazione di prodotto che comporta nuovi costi. Per cui il problema di
determinazione del costo complessivo si concretizza nell’individuazione di nuove
metodologie e più opportune per ripartire correttamente i costi indiretti variabili
indicativi della complessità destinate delle produzioni.
L’idea forza del metodo ABC che permette di ripartire i costi e quindi di
determinare il costo complessivo in maniera più coerente è: i costi vengono
sostenuti per generare o acquisire risorse che vengono utilizzate per svolgere delle
attività che vengono poi “consumate” per la realizzazione di beni e servizi. Il
concetto centrale è quello di attività che può essere definita come un insieme di
operazioni elencati ed omogenee tra di loro che sono indispensabili per la
realizzazione di un prodotto. Ogni attività si distingue per gli input utilizzati e gli
output realizzati. Se il concetto di centro di costo che caratterizzava il criterio della
localizzazione, è fortemente legato alla struttura organizzativa, il concetto di attività
è più trasversale: all’interno di un centro di costo possono essere svolte più attività,
mentre un’attività può riferirsi a più centri di costo.
Secondo concetto chiave per l’applicazione del metodo ABC è quello di cost driver
che rappresenta il fattore causale che spiega, guida, giustifica il sostenimento del
costo di una specifica attività. Esso individua da una parte il volume di attività
svolto, dall’altra il consumo che di quell’attività è stato fatto da parte dei prodotti.
Nello specifico, un resource driver permette di misurare quanta parte delle risorse,
il cui acquisto/generazione ha portato al sostenimento die costi, viene consumata
per lo svolgimento di singole attività. Un activity driver misura quanta parte di
un’attività è stata assorbita da un prodotto.
!86
La figura schematizza i concetti chiave alla base del metodo ABC:
Utilizzate da Assorbite da
Costi diretti
!87
Altra classificazione può essere ricondotta al grado di riferibili dell’attività al
prodotto:
Un’altra caseificazione identifica le diverse attività che posso essere ricondotte alle
varie funzioni aziendali:
Fin ora abbiamo analizzato i costi sotto una rappresentazione statica. Adesso li
guarderemo da una prospettiva dinamica e sotto questo aspetto possiamo definire
due categorie di costi:
- I costi fissi: secondo cui il loro ammontare resta invariato al variare della
produzione;
- I costi variabili: secondo cui il loro ammontare varia proporzionalmente al
variare del volume di produzione.
Il costo complessivo della produzione aumenta all’aumentare del volume di
produzione per effetto dei maggiori costi variabili; al contrario il costo unitario del
singolo prodotto diminuisce all’aumentare del volume di produzione in presenza di
costi fissi.
Costi
Sull’asse delle
ordinate i costi
variabili totali o di
volume; sull’asse
Volume produttivo
Costi
Volume produttivo
!91
Quindi man mano che aumentano i volumi produttivi si riducono i rendimenti delle
materie prime: rendimento=
Risultato ottenuto
Risultato che si sarebbe dovuto ottenere
B
A
Costi
Costi fissi
Volume produttivo
Tali costi restano invariati entro certi limiti di volume di produzione, per superare
questi limiti devono sostenersi costi fissi addizionali per l’acquisto di fattori
produttivi facendo crescere l’attività produttiva e innalzando il valore dei costi fissi
complessivi. Anche all’interno della capacità produttiva, i costi fissi non restano
invariati, per fattori che non hanno natura tecnica ma che si riferiscono a fattori
dell’organizzazione. Infatti non è detto che all’aumentare del volume di produzione,
il lavoro del personale amministrativo non devia aumentare, comportando maggiori
costi fissi, sebbene si resti entro i limit della capacità produttiva degli impianti.
Così il diagramma di redditività diventa:
Tale grafico rappresenta l’andamento a gradini dei costi fissi che restano stabili
almeno fino al momento in cui non vi sia un salto causato ad esempio dall’aumento
dei costi fissi organizzativi o un aumento della capacità produttiva degli impianti.
!93
Con riguardo ai costi unitari di prodotto, andamento è sensibilmente diverso in
quanto al variare del volume di produzione ne diminuirà l’incidenza sull’unità di
prodotto; tuttavia per le considerazione fatte in merito all’andamento a gradini, al
variare del volume verranno sostenuti nuovi costi fissi con l’effetto di innalzare il
costo fisso unitario di prodotto:
Quindi, dato che i costi fissi, anche se per scaglioni, presentano una certa
variabilità, ne deriva che l’ipotesi sui costi fissi alla base del diagramma di
redditività non risulta realistica.
Si analizzi, infine, la dinamica sui ricavi:
Ricavi
Ricavi
Volume produttivo
Sulla quale vanno fatte le stese considerazioni degli sconti ottenuti sulle materie
prime. Infatti se si vuole vendere un maggior volume di produzione, è plausibile
consentire degli sconti, per cui:
B
A
!94
Si provi a questo punto a tracciare un diagramma di redditività inserendo
all’interno dello stesso i costi fissi, i costi variabili, i costi complessivi (Cf + Cv) e i
ricavi rispettando le ipotesi poste a base:
Ricavi
Costi complessivi
P
Costi variabili
Costi fissi
V1
!95
( esempio pag 285)
!96
Ciò considerato si provi a pensare a quelle aziende che hanno centinaia di prodotti
in portafoglio e che vogliono rappresentare il futuro andamento della gestione
economica aziendale in un diagramma di redditività immaginando di fissare un mix
produttivo. A questo punto il diagramma di redditività non ha alcun valore
segnaletico e rappresentativo. Il diagramma risulta tanto meno rappresentativo
quanto maggiore è il numero di prodotti in portafoglio.
In conclusione, il diagramma di redditività può essere utile alle aziende mono
prodotto o a quale che hanno un assai ristretta gamma di prodotti. Viceversa risulta
più utile riferire questo strumento alle ASA piuttosto che all’azienda.
La misura dell’autofinanziamento -in senso lato- è data dalla somma dell’utile non
distribuito e dei costi non rilevanti, tra i quali la componente più importante è
quella che si riferisce agli ammortamenti.
Il punto di partenza per valutare gli effetti economici dell’autofinanziamento
dovrebbe essere quello di incontro tra la retta dei ricavi e la retta dei costi aventi
manifestazione finanziaria contenuta nell’arco di tempo considerato. Il punto
trovato esprime il volume produttivo superato il quale l’azienda comincerà a
produrre risorse finanziarie. Bisogna considerare che l’autofinanziamento dipende
dalle politiche dei dividendi stabilite dall’azienda, se gli amministratori decidessero
di adottare una politica costante nel tempo, la misura dell’autofinanziamento
risulterà assillante, viceversa se si persegue una politica proporzionale all’utile
conseguito. Appare evidente che la rappresentazione dell’autofinanziamento basata
sul diagramma di redditività presenta gravi limiti: tale strumento è in realtà troppo
semplice per rappresentare una realtà ben più complessa.
!97
I preventivi flessibili
Tramite la distinzione tra costi variabili e costi fissi, è possibile giungere alla stesura
dei preventivi flessibili, preventivi, cioè, che vengono articolati per successivi
volumi di produzione.
Una delle prime operazioni da compiere nella redazione del budget è quella di
determinare il probabile futuro volume di produzione. Tale quantità è frutto
prevalentemente di due tipi di stime: un riguardante la determinazione della
probabile quota di mercato raggiungibile dall’azienda, l’altra riguardante la capacità
produttiva interna. Se tali stime si rivelassero inattendibili, l’intera indagine
risulterebbe inadeguata.
Cosi per evitare tali pericoli, si introducono dei volumi di produzione successivi,
una volta definito il volume realmente realizzato si possono rintracciare i relativi
silurati reddituali e il fabbisogno finanziario programmati per verificarne il
raggiungimento. Questo tipo di preventivo prende il nome di preventivo flessibile e
può essere studiato sia in ordine di programmazione economia che per la
determinazione del fabbisogno finanziario, in particolar modo del capitale
circolante netto.
Ci si occuperà della programmazione economica. In questo caso, qualunque sia il
grado di sfruttamento della capacità produttiva, le componenti di costo fisso
dovranno essere considerate interamente nel preventivo, mentre e componenti
variabili verranno adeguate moltiplicando il relativo valore standard unitario
previsto per la quantità effettivamente prodotta.
Graficamente il preventivo flessibile trova rappresentazione nel diagramma di
redditività, dove per ogni livello di produzione, è possibile rintracciare la differenza
tra ricavi totali e i costi totali e quindi l’utile o la perdita relativa allo specifico
volume di produzione.
I preventivi flessibili possono essere utilizzati anche nella programmazione
finanziaria in particolare modo per determinare il fabbisogno finanziario relativo al
capitale circolante netto (CCN). Anche in questo caso si può rintracciare per ogni
grado di sfruttamento della capacità produttiva il relativo fabbisogno finanziario.
Il fabbisogno finanziario delle materie prime, che sono un costo variabile, si riduce
man mano che si riduce il volume produttivo realizzato. Diverso è il trattamento del
fabbisogno finanziario relativo ai prodotti finiti, ai semilavorati e ai crediti verso i
clienti: quest’ultimo dipende dal costo primo industriale per quanto riguarda i
semilavorati ed i prodotti finiti, e dal costo operativo del venduto al netto dei costi
non rilevanti per quanto riguarda i prodotti finiti e i crediti verso i clienti. Per
calcolare questi fabbisogni bisognerà distinguere all’interno del costo in oggetto le
componenti fisse che verranno inserite per intero, dalle componenti variabili il cui
costo dovrà essere moltiplicato per la quantità effettivamente realizzata.
(vedi esempio pag 298).
Anche nel caso del preventivo finanziario si vede come, riducendo la produzione, il
fabbisogno si riduce in maniera meno proporzionale proprio in virtù della presenza
dei costi non eliminabili.
!98
Il cosiddetto budget e l’analisi degli scostamenti
(cap 3)
Il ciclo di budgeting.
L’analisi degli scostamenti viene effettuata con riferimento ai costi variabili e fissi e
ai ricavi di vendita.
Per quanto riguarda i costi variabili, due esempi possono essere d’aiuto nella
comprensione della tecnica di calcolo degli scostamenti, con riferimento ai costi di
materia prima e a quelli di manodopera diretta.
Si parte dal presupposto che il costo di budget può essere così calcolato:
C= V x S x P
Dove C è il costo totale del budget, V il volume di produzione, S consumo standard
unitario della risorsa ( ovvero la quantità di risorsa che si prevede dovrà essere
utilizzata nella trasformazione per ottenere una unità di prodotto), P il prezzo
standard unitario della risorsa ( ovvero il prezzo che tipicamente viene praticato
dall’azienda per l’acquisto di 1 Kg di materia prima).
Consideriamo il seguente esempio:
Preventivo
!100
Nel caso preso in esame, la produzione di 10.000 pezzi verrà a costare 5.000.
Supponiamo adesso che una colta terminato il ciclo di budgeting e realizzate le
relative attività, ci si renda conto che i risultati ottenuti siano di versi da quelli
programmati:
Consuntivo
Scostamento di volume
Andiamo a determinare quale parte del maggior costo di 400 dipende da una
variazione nel volume di produzione. Per enucleare lo scostamento di volume, è
necessario sottrarre dal budget originale quello cosiddetto flessibilizzato, che si
ottiene ricalcolando i valori di budget con riferimento ai volumi di produzione
effettivi, che vanno a sostituire quelli programmati, si avrà quindi:
( n. 10.000 pezzi x Kg 1 x 0,5)-(n. 12.000 pezzi x Kg 1 x 0,5)=
= (5.000-6.000)= 1.000 scostamento di volume.
Dalle analisi emerge che aver prodotto 12.000 unità in più ha comportato un
aumento del costo della materia prima di 1.000. Attenzione!! Questo fatto non è
negativo, in valore assoluto, ci dice che a fronte di una spesa maggiore sono state
prodotte 2.000 unità in più, quindi maggiori costi potrebbero trovare
giustificazione in questo fenomeno.
Scostamento di efficienza
Si vuole determinare quale della parte dello scostamento rimanente globale dipende
da uno scostamento sull’efficienza, ovvero al fatto che per produrre ogni unità di
prodotto son stati utilizzati 1,5 Kg di materia invece di 1 Kg. Lo calcoliamo
sostituendo il consumo programmato con quello effettivo.
!101
Si avrà quindi:
( n. 12.000 pezzi x Kg 1 x 0,5)-(n. 12.000 pezzi x Kg 1,5 x 0,5)=
= (6.000-9.000)= 3.000 scostumato di efficienza. Ciò ci lascia intuire che dato che
lo scostamento totale è di 400, e la somma degli scostamenti già calcolati è 4.000,
lo scostamento di prezzo dovrebbe essere positivo.
Scostamento di prezzo
Preventivo
Nel budget consuntivo invece abbiamo 2.800 pezzi, 0,4 ore con un costo effettivo di
4,5= 5.040.
Dunque abbiamo uno scostamento globale di 960 ( 6.000-5.0.40) e suo essere
scomposto come segue.
!102
Scostamento di volume
Scostamento di efficienza
Scostamento di prezzo
Nel caso in cui si procede a determinare gli scostamenti riferiti ai costi fissi, la
formula utilizzata per i costi variabili non può essere presa in considerazione, in
quanto risulta irrilevante la determinazione dello standard unitario fisico della
risorsa, poiché i costi fissi sono costanti anche al variare del volume produttivo.
Inoltre risultano irrilevanti il volume di attività e il costo unitario perché i costi fissi
rimangono costanti al variare della produzione.
Si può determinare lo scostamento tra l’incidenza unitaria dei costi costanti prevista
a budget e quella effettivamente misurata a consuntivo. Questa differenza è
segnaletica dell’attitudine -riferita a ciascuna area di responsabilità- ad utilizzato
alpino i fattori di produzione pro tempore acquisiti.
l’unico confronto realizzabile è:
!103
Su questa differenza è possibile valutare le conseguenze economiche che la
realizzazione di un volume di produzione diverso da quello programmato può avere
avuto in termini di incidenza del costo fisso unitario.
Se invece di ottenere a quantità programmata si è realizzata una quantità maggiore
si parla di scostamento di volume o di assorbimento, e in particolare:
- sotto-assorbimento nel caso in cui il volume effettivo risulti inferiore a quello
programmato, e quindi i costi fissi unitari risultino maggiori di quelli previsti.
- sopra-assorbimento nel caso in cui il volume effettivo risulti maggiore di quello
programmato, e quindi i costi fissi unitari risultino minori di quelli previsti.
La formula con cui si determina questo particolare tipo di scostamento è data:
Caso “a”:
Lo scostamento globale dei ricavi di vendita può essere scomposto in due
spostamenti elementari: scostamento di volume e scostamento di prezzo.
Lo scostamento globale sarà calcolato analogamente a quanto fatto per i costi:
Meno
=
Scostamento globale
!104
Tale scostamento a sua volta può essere cosi scomposto:
Scostamento di volume
meno
Scostamento di prezzo
meno
Caso “b”:
Consideriamo un’azienda che realizzi due prodotti a e b. Ipotizziamo che a budget si
ipotizzi di vedere 1.700 unità di a a prezzo 0,4 e realizzando un fatturato di 680; e di
vendere 4.500 unità del prodotto b ad un prezzo unitario di 0,1 realizzato un
profitto di 450 per un totale di 1.130.
Si immagini a consuntivo che del prodotto a siano stati venduti 2.200 pezzi a prezzo
unitario di 0,3 realizzando un fatturato di 660 invece di 680. Relativamente al
prodotto b si ipotizzi che siano stati venduti 5.000 pezzi ad un prezzo unitario di 0,2
credo profitto per 1.000 invece di 450.
Complessivamente è stato realizzato un fatturato superiore a quello previsto (1.660
invece di 1.130) e si è creato uno scostamento positivo di 530.
Va sottolineato come non soltanto si è avuto un incremento del volume produttivo
(7.200 pezzi invece di 6.200) ma è anche variata la proporzione alle vendite, ovvero
il mix ( il mix delle vendite corrisponde alla composizione percentuale delle vendite
di un prodotto sul fatturato complessivo). Infatti:
!105
Mix delle vendite a budget:
a n. 1.700 pezzi (27%)
b n. 4.500 pezzi (73%)
Totale n. 6.200 pezzi
!106
La redazione del budget per il capitale circolante netto “commerciale”
!107
parte dell’azienda di uno smobilizzo dell’attivo corrente e/o un dilatamento del
passivo a breve, per far fronte ad eventuali esigenze di tesoreria nel breve periodo.
È possibile distinguere tre livelli lungo i quali si articola la gestione del circolante
netto:
1. Livello strategico, costituito dalle politiche di scorte, dei crediti e debiti
commerciali, derivanti dalla strategia competitiva e finanziaria adottate;
2. Livello direzionale, che consiste nella programmazione e controllo del
circolante che si fonda du tre fronti: a) formulazione di giudizi di convenienza
economica riguardanti le singole variabili che lo costituiscono; b) definizione dei
parametri-obiettivi da assegnare ai respirabili dei centri di attività, con
riferimento alle variabili del CCN; c) verifica continua dell’attività, per accertarsi
il rispetto degli obiettivi e/o per modificare gli obiettivi stessi.
3. Livello operativo, riguardante i sistemi operativi di svolgimento delle attività
connesse agli approvvigionamenti, produzione, magazzinaggio, distribuzione,
gestione amministrativa delle fatture, ecc.
La formulazione di bilanci preventivi, riferiti alle singole ASA che alla gestione
complessiva, può essere di notevole ausilio perla gestione del ciarlante netto.
Ad esempio, attraverso il ricorso ad essa, è possibile procedere ad una manovra
strategica dei crediti commerciali.
Molto spesso i crediti commerciali vengono considerati come variabili riguardanti la
gestione corrente, in questo modo il problema del sorgere del credito, della sua
riscossione, si pongono solo dopo la vendita senza rendersi conto se la dilazione del
pagamento concessa po essere dannosa o meno per l’azienda, o ancora se mette in
condizioni di periodo l’azienda. Si perde soprattutto la possibilità di attuare una
manovra sinergica tra l politiche di marketing con le leve direzionali riguardanti i
crediti commerciali.
Un eccessivo ricorso alla dilazione dei pagamenti concessa ai clienti può portare nel
breve a una grave crisi di liquidità, e, al contrario, una politica restrittiva delle
dilazioni può portare a una riduzione delle vendite e al sorgere di pagamenti in
ritardo o di acquisti da parte dei clienti in più ordini aumentando così i costi
aziendali.
Gli elementi da delineare, per un’opportuna politica di gestione dei crediti
commerciali sono:
- definizione del livello di servizio che si intende fornire aò cliente, con riferimento
a un “pacchetto integrato” di offerta riguardante le condizioni di vendita;
- valutazione dell’investimento connessi all’adozione delle politiche di cui al punto
precedente e la stima dei relativi costi.
Il primo aspetto è riconducibile alle politiche di marketing e commerciali, il secondo
riguarda politiche finanziarie e di investimento.
Per quel che riguarda il primo aspetto è importante definire: gli aspetti qualitativi
dell’investimento in crediti commerciali; le dilazioni di pagamento e la relativa scala
degli sconti; i tempi di incasso.
Gli aspetti qualitativi dell’investimento riguardano il rischio di insolvenza da parte
dei clienti a non pagare il prodotto. Come arginare questo rischio? Esistono dei
parametri, come ad esempio il canale di distribuzione o l’aeea geografica in cui essa
è localizzata, o ancora le dimensioni dell’erodine medio o degli acquisti annui, che
permettono all’azienda di segmentare la clientela col fine di valutare la probabilità
di incorrere in perdite di insolvenza e/o di ritardo di pagamento e ciò va fatto
!108
attraverso la raccolta di informazioni sia interne che esterne , compresa analisi dei
bilanci della clientela.
Attraverso queste analisi, è possibile dare un punteggio collegato al rischio a
ciascun segmento di clientela e di conseguenza definire gli standard di credito e i
limiti massimi di fido accordabile sulla base del livello di rischio accettabile.
È necessario trovare un opportuno equilibrio tra la ricerca di una maggiore
competitività commerciale e la liquidità aziendale. A tal riguardo, la linea guida da
seguire dovrebbe consistere nell’opportunità di ridurre gli standard qualitativi
richiesti fino al livello in cui l’aumento del primo margine di contribuzione
(fatturato al netto del costo variabile del venduto) derivante dalle maggiori vendite
non sia pari alle perdite e ai costi connessi al maggior volume di crediti.
Per quanto riguarda la stima dei costi connessi all’investimento in crediti è possibile
distinguere tre principali elementi:
1. I costi amministrativi di gestione dei crediti che riguardano la gestione del
cosiddetto ciclo attivo, e cioè riguardante tutte le valutazioni del grado di
affidabilità del cliente e quindi alla fatturazione e al conseguente incasso. Si
tratta di costi fissi per quel che figure i volumi di fatturato, ma che
tendenzialmente diventano variabili se si guarda alle nuove richieste di credito,
al numero di clienti e al numero di fatture da gestire.
2. Gli oneri finanziari impliciti, connessi agli immobilizzi in crediti commerciali,
possono essere opportunamente calcolati applicando al costo primo variabile
del venduto un tasso di interesse espressivo del costo medio ponderato del
capitale e preso a prestito dall’azienda.
3. I costi relativi agli insoluti e sono costituiti dal mancato reintegro dei costi
suppletivi connessi alla trattazione considerata.
Tenendo conto di questi tre elementi di costo, è possibile concludere che se
l’azienda opera in condizioni in cui la propria capacità produttiva non è satura, è
economicamente conveniente ampliare la fascia di clientela anche a sementi meno
solvibili fintantoché i rivado suppletivo non eguagli i costi suppletivi amministrativi
di produzione e vendita ad essa connessi. Al contrario, se l’azienda operasse in
condizioni di saturazione della propria capacità produttiva, essa dovrebbe
classificare i propri clienti in ordine inverso di margine di contribuzione rapportato
al fattore di produzione raro, procedendo anzitutto a soddisfare le richieste di quelli
che consentono il conseguimento dei margini più elevati.
Infine, un quarto elemento di costo di cui è possibile tener conto per le valutazioni
in oggetto è dato dai cosiddetti costi di mancata vendita, di natura figurativa,
connessi alla perdita di margine di contribuzione derivante dalle minori vendite
dovute alla riduzione delle dilazioni o alla mancata concessione del credito.
Sulla base delle considerazioni effettuate è possibile concludere che i modelli
contabili fondati su bilanci prospettici, possono competere la valutazione della
convenienza economica riguardante problemi quali la variazione delle dilazioni
praticate ai clienti in un particolare segmento di mercato o la definizione della
“scala degli sconti” da praticare in relazione ai termini di pagamento accordati alle
politiche seguite dai concorrenti.
Ad esempio, la direzione commerciale di un’azienda si chiede se è conveniente
aumentare la dilazione da 30 gg a 40 gg ad un determinato gruppo di clienti.
Supponiamo che a dilazione di 30 gg le unità vendute all’anno siano 100 e che ogni
unità abbia un prezzo unitario di 20.000 e che si abbia un costo (per l’azienda)
!109
unitario di 7.000, in questo modo il ricavo annuo sarebbe di 1.300.000, se
aumentassimo la dilazione a 40 gg avremmo un ricavo lordo in più di 260.000
annui.
Da tale ricavo loro pero non sono state considerati i maggiori costi amministrativi
di gestione crediti, i costi suppletivi figurativi di immobilizzo in crediti nonché
quelli presenti di insolvenza dei clienti:
• I costi amministrativi suppletivi possono essere stimati moltiplicando il maggior
numero di fatture di vendita che si prevede di processare in questo caso pari a
2.000) per un costo medio di gestione ( in questo caso pari a 15 ed è determinato
rapportando i costi di personale e i costi generali amministrativi al numero di
fatture che si prevede di gestire normalmente durante l’anno).
• Gli oneri finanziari suppletivi si stimano moltiplicando l’immobilizzo medio
annuo in crediti ([costo del venduto/360 gg] x gg dilazione) per il tasso di
interesse passivo figurativo.
• Infine i costi relativi ai crediti insoluti si stimano in base alla differenza del
prodotto tra i crediti medi annui e il rischio di inesigibilità relativi alle due ipotesi
considerate.
Sottraendo dal primo margine differenziale (260.000) i costi differenziali relativi
alle tre poste suddette si perviene a un margine lordo differenziale pari a 223.435, il
fatto che tale magone sia positivo indica la convenienza economica a procedere
all’aumento della dilazione.
Si nota però, che tale modello, di indiscussa utilità ed efficacia, si basa su ipotesi di
linearità nelle relazioni intercorrete tra le variabili in gioco e tende a considerare
l’assetto di tali variabili come dato e non modificabile nel tempo (quali ad esempio
reazioni dei clienti, dei concorrenti, ritardi temporali).
Un altro tipo di analisi che è possibile affiancare a quest’ultima, al fine di valutare
presumibili effetti delle scelte strategiche riguardanti la dilazione, il prezzo e la
composizione della clientela, è quella che fa riferimento agli scostamenti tra budget
e consuntivo, oppure a quelli intercorrenti tra una previsione ed un’altra, ad essa
alternativa, i reazione al valore assunto sai clienti commerciali in dipendenza
dell’adozione di determinate politiche.
Si procede con l’analisi degli scostamenti dei crediti commerciali, con riferimento
alla gestione complessiva e a particolari segmenti di clientela. Se ci si riferisce allo
spostamento tra budget e consuntivo, relativo alla gestione complessiva, è possibile
scomporre lo scostamento totale dei crediti commerciali, come segue:
Dove:
Δ TOT = scostamento totale= crediti a budget - crediti a consuntivo;
Δ DIL = scostamento elementare causato dalla manovra della dilazione;
Δ VOL_PREZZO= scostamento elementare causato dall’oscillazione dei volti di
vendita e dalla manovra dei prezzi, che insieme influiscono sul fatturato e quindi sul
valore contabile dei crediti.
!110
A loro volta, le due cause elementari di scostamento possono essere cosi
determinate:
Dove:
DILSTD = dilatazione prevista a budget;
DILCON = dizione praticata a consuntivo;
FATT_GGSTD = fatturato medio giornaliero previsto a budget;
FATT_GGCON = fatturato medio giornaliero realizzato a consuntivo.
da cui:
Δ TOT =Δ DIL + Δ VOL_PREZZO=
= DILSTD x FATT_GGSTD (-) DILCON x FATT_GGCON
!111
A loro volta le equivalenze possono essere così sviluppate:
Come è possibile notare, la somma algebrica tra gli scostumati parziali è sempre
pari allo scostumato totale dei crediti commerciali riferito al segmento di clientela
di tipo “i”.
Esempio pag 333
L’analisi dei costi serve anche a mettere a confronto le diverse alternative gestionali
e a verificare quale tra esse sia sotto i profilo economico più soddisfacente.
Nelle problematiche in questione va individuata la configurazione di costo più
idonea alle finalità conoscitive perseguite.
Per modello economico-aziendale si intende: qualunque schema logico che accolga
per classi più o meno ampie costi e ricavi riferibili ad un esergo aziendale o a una
parte temporalmente e/o spazialmente individuata di esso, al fine di cogliere le
fondamentali relazioni che si stabiliscono tra classi, in funzione del miglioramento
di un risultato economico.
Affinché il modello certo sia il più efficace occorre che esso racchiuda le qualità
della semplicità e della completezza, in modo tale da consentire la più rapida
soluzione dei problemi con il ricorso al minor numero possibile di raggruppamenti
di costi e di ricavi e al minor numero di relazioni tra tali raggruppamenti.
Lo scopo conoscitivo è il fattore fondamentale di orientamento nella scena del
modello economico, la precisazione di esso consente di evitare l’incongruenza di
adottare modelli complessi per la soluzione di problemi semplici e viceversa modelli
troppo semplici per la risoluzione di problemi complessi.
Un primo modello esaminato è quello zappiniano del reddito netto, contrassegnato
da un conto economico a generale contrapposizione di costi, ricavi e rimanenze
relativi a tutte le operazioni svolte in un determinato periodo amministrativo e
finanziato alla determinazione del risultato di esercizio.
Un altro modello è quello dell’extra-reddito netto, derivante dalla contrapposizione
tra ricavi e sto economico-tecnico dell’intera produzione, finalizzato al controllo del
libello di remuneratività dei ricavi.
!112
Un ulteriore modello è quello del margine lordo di contribuzione, espresso dalla
differenza tra ricavi e costi primi di prodotto o produzione e finalizzato alle scelte di
convenienza economica, di breve e lungo periodo.
In generale, con l’espressione “margine lordo” si può intendere qualsiasi margine
non netto: esistono perciò diverse nozioni di margine lordo a seconda del numero
delle componenti negative che vengono a sottrarsi ad un complesso relativamente
omogeneo di componenti positive, la cui scelta dipende dagli scopi conoscitivi
perseguiti.
La nozione di margine lordo è legata alle distinzioni tra costi variabili e fissi, e tra
costi indiretti e diretti.
Se si vogliono rappresentare tutti i costi tenendo conto del loro duplice carattere
dinamico e statico, allora la totalità di costi può essere ricondotta ad una delle
seguenti categorie:
• CDVi= costi diretti variabili relativi all’oggetto i; sono quei costi che variano al
variare della produzione e che sto direttamente riferibili al prodotto i nel senso
che il sostenimento di tali costi è motivato esclusivamente dall’ottenimento del
prodotto i;
• CDFi= costi diretti fissi relativi all’oggetto i; sono costi fissi che si sostengono se si
realizza il prodotto i;
• CIV= costi indiretti variabili; sono quei costi che pur essendo relativamente
variabili al variare della produzione complessiva, non risultano tali con
riferimento diretto ad un prodotto determinato;
• CIF= costi indiretti fissi; sono quei costi che non variano al variare della
produzione e che si sopportano per realizzare l’intera produzione.
Quanto ai ricavi, va sottolineato che essi nella maggior parte dei casi sono riferibili
ai singoli oggetti di riferimento e variano al variare del volume di vendita.
È possibile allora rappresentare un pio modello complessivo della realtà aziendale
facendo la differenza tra la somma dei ricavi relativa ad n oggetti e la somma dei
costi fissi e variabili direttamente riferibili agli n oggetti. Tale differenza da luogo
all’utile operato più i costi indiretti fissi e variabili ed è detta margine semilordo. In
altri termini, la somma dei margini semilordi relativi ad n oggetti è uguale alla
somma dei costi indiretti con l’utile operativo di gestione:
Se i costi diretti fissi relativi ad i ed anche i costi indiretti variabili sono trascurabili,
o si possono aggiungere ai costi indiretti fissi, il modello si semplifica e diventa:
Le ipotesi su cui si fonda la struttura del modello con particolare riferimento alle
esigenze di trascurabilità dei costi indiretti variabili
!114
Il peso e la quantificazione delle incertezze nel modello a margini lordi
Il modello studiato si basa sulla stima di costi e ricavi, i quali a loro volta, sono per
loro natura gravati da incertezza il che significa che è reale la possibilità che i ricavi
e i costi a consuntivo non si manifestino secondo le previsioni di conseguenza anche
i margini lordi.
Le incertezze inerenti a pressioni riguardano i fattori che possono influenzare i
volti, i prezzi-costo, il rendimento e il mix.
I ricavi vengono in genere previsti in funzione di predeterminati volumi produttivi,
al variare dei quali variano i prezzi uniti distribuendosi in una curva più o meno
irregolare di domanda.
I prezzi unitari ed il volume del venduto sono legati, ad es., a fenomeni di abitudine
del consumatore, della fiducia che si trasmette ad essi, dell’organizzazione
aziendale, della qualità del prodotto, della pubblicità, ecc.
Tutti questi fattori vengono spesso considerati come delle costanti al momento delle
previsioni, formulammo cosi la tacita ipotesi che essi continuino ad agir con la
stessa intensità e nella maniera manifestata.
Tali ipotesi si discostano dalle concrete manifestazioni d’azienda e di mercato,
determinando così l’esigenza di un’analisi previsionale più rigorosa della curva di
domanda.
Si pone allora il problema di trattare i dati relativi a costi e ricavi per tener conto
delle incertezze tipiche dell’ambiente economico. Un primo trattamento è quello
basto su strumenti presi a prestito dalla statistica.
Il risultato probabile si ottiene ponderando con una possibilità statistica di
manifestazione i margini lordi globali nelle diverse ipotesi di manifestazione dei
costi diretti variabili unitari. Se si sommano i prodotti tra i margini lordi globali e le
ripetitive probabilità statistiche di manifestazione, si ottiene il risultato sperato o
speranza matematica.
La speranza matematica sarà confrontata con altre speranze matematiche relative
ad altre possibili situazione alternative, così da scegliere tra due o più soluzioni che
presenti la speranza matematica più grande.
Il criterio della speranza matematica si basa sulla ricerca di dati passati che
evidenziano il modo in cui si sono manifestate le cose in passato. Tale ricerca è
molto difficile a causa del continuo evolversi dell’azienda.
Per sopperire a questa difficoltà ci si basa anche sull’esperienza in funzione di
probabilità soggettive. In questo vaso l’operatore si basa sulla propria sintesi
dell’esperienza passata con la propria previsione degli eventi futuri e si passa
dall’ambito dell’incertezza a quello dell’indeterminazione. Quest’ultima è legata al
carattere estremamente soggettivo.
Questo valore della speranza fondato su apprezzamenti di esperti può essere messo
a confronto con altre situazioni, rispecchianti diverse ipotesi di volumi produttivi.
!115
Il controllo economico delle decisioni:
Il modello a margini lordi e le sue applicazioni
nelle scelte di breve periodo. (cap 5)
Le scelte che possono richiedere l’ausilio dei margini lordi possono riguardare
lunghi periodi e brevi periodi. D’altronde la differenza fondamentale tra i due è il
livello d’incertezza, infatti nel breve periodo abbiamo un’incertezza minore rispetto
al lungo periodo.
Va anche detto che le scelte che richiedono l’ausilio dei margini lordi possono
riguardare le singole A.S.A. o l’intera azienda. Le A.S.A. possono essere individuate
in funzione dei differenti prodotti oppure dei diversi mercati di sbocco, non basta
dunque omogeneità nel prodotto per definire un’ A.S.A. ma occorre anche
omogeneità del mercato di sbocco. Si identifica quindi una combinazione
prodotto/mercato.
Se ad esempio si hanno due prodotti A e B e due mercati, a e b, avremo quattro
differenti combinazioni prodotto/mercato ossia: Aa, Ab, Ba, Bb.
Per cui se si deve misurare il risultato complessivo di un’azienda cosi strutturata,
questo si calcolerà come sommatoria dei margini corsi di ogni singola area
strategica di affari:
Σ Ml= Ml + Ml Aa + Ml Ab + Ml Ba + Ml Bb
Le scelte di breve periodo vanno poi distinte in tre grandi categorie:
- aziende che producono in serie;
- aziende che producono su commessa;
- aziende che realizzano produzioni tecnicamente congiunte.
Le aziende che producono in serie sono quelle aziende che fabbricano prodotti, in
genere tutti uguali tra loro, per il magazzino e non su richiesta dei clienti. Il grosso
problema di queste aziende è l’accumulazione delle scorte, in quanto se i prodotti
immagazzinati non vengono venduti si genera un immobilizzo di risorse finanziarie
e gli investimenti non giungono rapidamente alla fase di realizzo. Per distinguere
quali sono le scelte nel breve periodo si distinguono due situazioni differenti:
- capacità produttiva ancora da sfruttare, ossia non satura, quando vi sono ancora
margini di fatto di produzione raro da utilizzare;
- capacità produttiva pienamente utilizzata, ossia satura, quando non vi sono più
margini di fattore di produzione raro da utilizzare.
Nel caso in cui vi sia una capacità produttiva ancora da sfruttare, il primo problema
è la definizione del volume di produzione relativamente ottimale. Bisogna stabilire
qual è il volume di produzione relativamente ottimale.
Una volta stabilito tale volume, il secondo problema è quello di stabilire come
sfruttare al meglio la capacità produttiva residua. Tale problema è fonte di ricerca di
nuove prospettive ed opportunità al fine di analizzare la convenziona a vendere lo
stesso prodotto in un nuovo mercato. Una volta superato questo problema, ossia
capire se è conveniente realizzare un nuovo prodotto, si arriva alla saturazione della
capacità produttiva. A questo punto l’azienda si trova nella situazione di capacità
!116
riduttiva pienamente utilizzata. Le scelte che bisogna fare sono relative al
miglioramento dell’uso di tale capacità. Risultati più soddisfacenti possono essere
ottenuti attraverso un mix produttivo, cercando di produrre maggiori quantitativi
dei prodotti con cui si guadagna di più a scapito dei volti di quelli meno
remunerativi.
Quando si arriva alla saturazione della capacità produttiva bisogna trovare il modo
di migliorare la performance aziendale nel breve periodo senza aumentare a
capacità.
Immaginiamo di essere di fronte ad un processo di produzione saturo e che con il
medesimo fattore di produzione raro si realizzano due prodotti diversi in
determinate proporzioni:
In esse il rapporto con il client è di mutuo scambio. L’azienda realizza prodotti che
tendono a soddisfare le particolari esigenze dei singoli clienti. Diverse sono le
politiche di vendita in tali aziende a seconda che si operi in condizioni di
saturazione o meno.
Se la capacità produttiva non è satura, l’interesse dell’azienda è quello di vendere il
più possibile fino a saturare la produzione, pure ci sia un margine di contribuzione.
!117
Dato che non vi è un unico mercato, ma ciascun cliente costituisce un mercato a se
stante, l’azienda tende a negoziare con i cliente commesse di maggiori dimensioni,
proponendo solitamente dei ribassi sulle quantità di unità di fattore di produzione
raro impiegate. Questa negoziazione è maggiormente conveniente quanto i margini
lordi sono elevati.
Esiste dunque un grandissimo interesse per l’azienda a stimare l’ampiezza del
ribasso di quantità suscettibile di fare passare l’ordinazione da un livello ad un
altro. L’interesse al ribasso di quantità, oltre che dai margini di capacità produttivi
non utilizzati, dipende dunque dalla posizione relativa del prezzo di vetta netto e
dall’ammontare dei costi diretti.
L’interesse dell’azienda venditrice al ribasso di quantità è stato maggiore quanto
maggiore è il divario tra prezzo unitario di vendita e ammontare unitario dei costi
diretti variabili, ossia quanto maggiore è il margine lordo. Un margine lordo levato
prima del ribasso conduce a studiare le reazioni del cliente potenziale di fronte a
eventuali ribassi.
Se si sono superati questi problemi e si è raggiunta la saturazione della capacità
produttiva, è necessario operare con criteri fortemente selettivi nei confronti dei
clienti e delle commesse da acquisire.
Si tenderà a ridurre i ribassi sulle quantità, si classificheranno le commesse in
ordine di margine di contribuzione per unità di fattore di produzione raro che le
caratterizza, cercando di modificare o al limite eliminare i rapporti con i clienti
cosiddetti marginali, che danno cioè un Margie di contribuzione inferiore al minimo
accettabile, e si punterà ad allargare i rapporti con i clienti che danno un margine di
contribuzione superiore al minimo accettabile.
Nelle aziende che realizzano produzione tecnicamente congiunte quasi tutti i costi
sono comuni, e la scelta del mix è preclusa, in quanto non è possibile regolare a
priori la quantità di un prodotto o di un altro che verrà fuori della lavorazione della
materia prima in proporzioni rigide. In genere i mercati s cui si riferiscono tali
aziende sono globali, anche se è possibile che si crei qualche nicchia spazialmente e
temporalmente limitata.
In tali aziende il problema diventa quello della ricerca del volume di prodotti
congiunti che renda l’insieme dei ricavi massimo, e delle condizioni tecnico-
organizzative di mercato che rendano l’insieme dei costi minimo.
L’analisi può farsi come se si trattasse di prodotti che non hanno costi diretti
variabili ma solo ricavi diretti.
1.000 700 300 1.000 600 700.000 180.000 880.000 500.000 380.000
2.000 1.400 600 1.000 600 1.400.000 360.000 1.760.000 1.000.000 760.000
3.000 2.100 900 900 600 1.890.000 540.000 2.430.000 1.500.000 930.000
4.000 2.800 1.200 800 600 2.240.000 720.000 2.960.000 2.000.000 960.000
5.000 3.500 1.500 700 600 2.450.000 900.000 3.350.000 2.500.000 850.000
!118
La tavola si riferisce ad un’azienda che opera in condizioni tecnicamente congiunte,
realizzando i prodotti A e B; ne deriva che i costi di acquisto delle materie prime
sono costi variabili non dei singoli prodotti, ma dell’intero processo.
La colonna 10 individua qual è il volume di produzione maggiormente
remunerativo, che risulta essere non quello corrispondente al livello massimo di
produzione ( cioè 5.000 tonnellate) ma quello al livello di 4.000 tonnellate cui
risponde un margine lordo di 960.000.
Abbiamo finora supposto che entrambi i prodotti abbiano mercato e che non ci sia
alcun mercato per i prodotti derivati dopo averli sottoposti ad altre lavorazioni. In
realtà non è così infatti può esserci una fase di differenziazione di alcuni prodotti
dagli altri. È quindi possibile effettuare due ipotesi:
1. Se B può essere sottoposto ad ulteriori lavorazioni perché ha anche un altro
mercato, le colonne 5 e 7 vanno sostituite con i dati riguardanti il processo di
lavorazione di B. Risulta ovvio che il calcolo di convenienza verra in queso caso
effettuato considerando i margini lordi del prodotto C, ovvero del prodotto B
sottoposto a ulteriore lavorazione.
2. Se B deve essere sottoposto ad ulteriore lavorazione perché privo di mercato
alla fuoriuscita del processo congiunto, la colonna 5 va cancellata ed il modello
va corretto per tenere conto dei costi e dei margini del nuovo processo.
Possiamo quindi concludere che quando tali fasi successive di lavorazione sono
obbligatorie, l’attribuzione dei valori di ricavo al prodotto congiunto o al
sottoprodotto potrebbe farsi detraendo dal valore commerciale di esso allo stadio
finale di trasformazione l’ammontare dei costi di trasformazione dello stadio
successivo al processo di lavorazione in congiunzione con altri prodotti fino allo
stadio finale.
Quando le fasi di trasformazione ulteriore sono invece facoltative, i problema i
presenta diversamente. Infatti, se esiste una possibilità di scelta tra prolungare la
trasformazione o fermarla ad uno stadio determinato, in tal caso solo il valore di
realizzo del prodotto al primo stadio dovrebbe entrare a far parte del conto dei
ricavi del processo principale.
I margini lordi nelle decisioni di sostituzione degli impianti senza aumento della
capacità produttiva.
b1) Gli impianti da sostituire hanno una durata residua e gli impianti nuovi hanno
una durata presunta pari alla durata residua dei vecchi impianti.
b2) Gli impianti nuovi hanno una durata utile superiore a quella degli impianti da
sostituire.
3. Se il valore di realizzo effettivo è minore del valore di realizzo contabile, una volta
aggiunta tale differenza, la redditività del nuovo investimento sarà data da:
Redditività totale =Σ v.a. ML - (CNI + differenza sul realizzo)
CNI + differenza sul realizzo
Redditività annuale = redditività totale
durata n.i.
Un secondo gruppo di scelte proiettate nel lungo andare riguarda gli investimenti
che hanno per oggetto l’aumento della capacità produttiva. Mentre nell’ipotesi
precedente il nuovo impianto aveva la stessa capacità produttiva di quello vecchio e
consentiva di diminuire i costi variabili di prodotto, nell’ipotesi di ampliamento
degli impianti si ha per ipotesi di partenza un incremento della capacità produttiva,
cosicché diventa oggetto di previsione non solo il modello dei costi ma anche quello
dei ricavi.
Si possono verificare due casi di ampliamento, quello con sostituzione e quello
senza sostituzione degli impianti.
Nel primo caso gli impianti vecchi hanno una struttura monolitica, ovvero sono
programmati per produrre un certo numero di prodotti e di conseguenza se si vuole
aumentare il volume di produzione, bisogna sostituire gli impianti.
Nel secondo caso invece gli impianti vecchi hanno una struttura differenziata nel
senso che ad essi è possibile aggiungere un nuovo impianto allo scopo di aumentare
la capacità produttiva.
Supponiamo che ci sia il caso in cui si voglia aumentare la capacità produttiva e che
l’impianto vecchi abbia ancora vita per 4 anni. Se ne aggiunge un altro che ha vita di
10 anni, i due impianti andranno a concorrere per la realizzazione del risultato
lordo complessivo. Per la determinazione del concorso addizionale alla redditività
d’azienda del progetto da realizzare occorrerebbe stabilire qual sarebbe il reddito
!123
aziendale attualizzato durante l’intera vita del progetto in questione nel caso in cui il
progetto stesso non venisse realizzato e dedurlo dal reddito attualizzato aziendale
nel caso un cui il progetto in questione fosse invece realizzato.
Se il progetto non si è realizzato allora la redditività dell’investimento risulterete
dalla differenza tra il reddito lordo totale attualizzato dall’azienda durante i dieci
anni di durata di utile del nuovo progetto e il reddito lordo totale durante i 4 anni di
vita utile del vecchio impianto aumentato degli interessi composti sul
reinvestimento delle quote di ammortamento attualizzati per 6, 7, 8 ,9 anni
rispettivamente, i quali si annullano se l’attualizzazione è fatta al medesimo tasso di
mercato usato per il computo del montante.
Se il progetto si è realizzato, il reddito operativo del nuovo investimento sarà
determinato attualizzando i 10 termini dell’ultima colonna della tabella di pag 379
al tasso del mercato dei capitali a lungo termine e sottraendo dalla somma si quesi
termini attualizzati l’ammontare dell’investimento. Il reddito operativo così
determinato diviso per io costo del nuovo investimento esprime la resa del nuovo
investimento.
Per la convenienza ad effettuare tale investimento tale resa deve essere maggiore
del rendimento die capitali investiti a medio-lungo termine in condizioni di
sicurezza e dello stesso coefficiente calcolato con riferimento al precedente
investimento. Si può decidere di effettuare l’investimento anche se non è
soddisfacente, in quanto al momento in cui l’impianto vecchio sarà esaurito
l’azienda correrà il rischio di uscire dal mercato.
Va tenuto presente che l’ampliamento on sostituzione è una scelta molto difficile,
poiché spesso provoca l’interruzione della produzione, tanto è vero che la maggior
parte delle aziende, per evitare questo inconveniente, decidono di far partire la
produzione del nuovo impianto in un posto diverso da quello della locazione del
vecchio, cosi da avere continuità di produzione.
Nel caso di aumento di capacità produttiva senza sostituzione, ma con l’aggiunta di
nuovi impianti a quelli vecchi, è solo l’aumento di reddito lordo comprensivo
dell’ammortamento inerente a questa capacità supplementare che deve intervenire
nei calcoli di redditività dell’investimento.
Gli impianti a struttura differenziata sono tipici di quei settori che non raggiungo, in
modo continuativo, la piena saturazione. Le che operano in tali settori devono avere
una capacità produttiva di riserva superiore a quella normale in modo da poter
sfruttare i momenti favorevoli del mercato.
Vi sono delle scelte di ampliamento della capacità produttiva che comportano delle
modifiche nei prodotti e quindi nei mercati. Tali scelte possono essere di due tipi: il
primo riguarda la creazione di uno stabilimento o di una capacità produttiva per
realizzar un prodotto nuovo per l’azienda ma noto al mercato; il secondo riguarda la
creazione di uno stabilimento o di una capacità produttiva per realizzare un
prodotto completamente novo per il mercato.
Per quel che rigurda la prima ipotesi, per valutare il contributo alla redditività
d’azienda apportato da tali scelte di investimento non occorre un confronto tra una
situazione produttiva esistente e una situazione risultante in futuro dopo
!124
l’investimento, ma tra il tasso di produttività economica del nuovo investimento e il
tasso di rendimento offerto dal mercato dei capitali a lungo termine.
Relativamente al nuovo investimento, l’azienda deve stabilire cosa produrre e
scegliere quale quota di mercato acquisire e quindi quanto produrre e quanto poter
guadagnare. Le scelte alla base dell’investimento possono essere la possibilità di
produrre a prezzi più bassi rispetto ai competitori o l’esubero di capacità
finanziarie.
Una volta stabilita la dimensione ottimale dell’impianto, occorre attualizzare ad un
congruo tasso-opportunità la somma dei risultati lordi annui per tutta la durata
dell’impianto e dedurre da questa l’ammontare dell’investimento di origine,
ottenendo il reddito Neto del nuovo impianto che, rapportato al capitale investito
indicherà l’atteso concorso alla redditività netta d’azienda dell’investimento durante
il periodo della sua vita utile.
(si conosce meglio la funzione di domanda e quindi si può agire meglio per quel che
riguarda la produzione dell’output)
Gli studi finora affrontati ci hanno portato ad analizzare degli strumenti utili per il
controllo e l gestione aziendale, tra i quali ricordiamo:
- la determinazione del reddito e del connesso capitale di funzionamento,
attraverso la contabilità generale e il bilancio d’esercizio;
- L’individuazione e la valutazione delle politiche gestionali da adottare attraverso i
bilanci di previsione;
- La comprensione della struttura e della dinamica dei costi per la formulazione di
giudizi di convenienza economica o per la valutazione del grado di efficienza della
gestione, attraverso i diversi procedimenti di determinazione dei costi
complessivi, il diagramma di redditività e il modello a margini lordi;
- La valutazione a preventivo e consuntivo dei programmi relativi a ciascuna area
di attività dell’azienda, attraverso la redazione del budget, il calcolo degli
scostamenti la loro scomposizione e successiva analisi.
Tali strumenti non devono essere visti come singoli punti utili, ma come un
complesso di di elementi tra loro collegati in vista di un certo obiettivo.
Ciascuno di loro va considerato come un tassello di un mosaico più ampio che è il
controllo di gestione, il quale deve aiutare i soggetti responsabili delle diverse
attività nella valutazione del proprio contributo al successo aziendale, individuando
le possibili azioni da intraprendere per migliorare i risultati conseguiti in termini di
efficienza, efficacia, economicità, competitività, immagine, ecc.
Secondo questa protettiva ogni strumento rappresenta un elemento di un contesto
più ampio: il sistema di controllo di gestione.
!129
Parte quarta
Lo sviluppo e il
riorientamento dell’azienda
!130
I modelli di sviluppo delle aziende
(cap 5)
!131
aziendale; segue la crisi di controllo: la delega rischia di frammentare l’impresa
e l’alta dirigenza rischia di perdere il controllo ;
4. Fase del coordinamento: l’investimento in una maggiore formalizzazione dei
meccanismi di coordinamento serve a identificare nuove regole di gestione
dell’impresa, recuperando le spinte all frammentazione; segue la crisi di
burocrazia: l’investimento in formalizzazione si traduce in un’aggiunta di
burocrazia di procedure che impediscono l’innovazione e circolano l’azione
manageriale;
5. Fase della collaborazione: l’uscita dalla crisi è data da una forte collaborazione
interna frutto di un investimento nello sviluppo di meccanismi di fiducia interna
e tramite la diffusione di responsabilizzazione dei manager.
1- Stadio del sensore: all’inizio è necessaria una visione, una direzione che
orienti la ricerca; La visione è appoggiata dai centri di potere.
!132
Ottica di processo e ottica di obiettivo: due distinti modi per programmare. Le
forze trainanti spontanee
Ogni ostacolo genera una forza trainante, ovvero uno stimolo. Gli ostacoli più
frequenti sono barriere o restrizioni, che sono, ad esempio, dominanza del mercato,
difficile reperimento delle materie prime, limitazioni alla quantità da produrre,
ingenti imposizioni fiscali, ecc. Altre forze trainanti spontanee sono gli
inconvenienti e le fluttuazioni, poiché nuove business idea possono nascere nel
tentativo di sfruttare o eliminare gli stessi. Le forze trainanti evidenziate, viste in
un’ottica di sviluppo, possono generare più o meno direttamente, sensori o
embrioni di nuove Business Ideas: le forze trainanti spontanee e specifiche mettono
direttamente nella testa degli uomini dei sensori che portano a nuove business
ideas, forze trainanti più generiche non indicano immediatamente come generare
nuove business ideas ma è necessario che transitino dagli attori dell’impresa che
devono rielaborarli e indirizzare il processo di sviluppo della Business idea.
Non è facile massimizzare lo sviluppo in ognuna delle assi ma ciò che importa è la
consapevolezza negli attori chiave della necessità di non trascurare nelle proprie
scelte nessuna di queste dimensioni. Il cosiddetto BILANCIO SOCIALE delle
istituzioni punta a evidenziare il ruolo delle stesse nei quattro ambiti caratterizzanti
l’orientamento allo sviluppo integrale. Anche per le aziende, alla base dello sviluppo
vi è il sistema di valori concretamente vissuto da coloro che detengono le maggiori
responsabilità e dai loro collaboratori.
Concetto di creazione di valore durevole per il sistema aziendale: in
questo caso le dimensioni dello sviluppo sono tre: economica, competitiva e sociale,
ma tutte insieme collegate da rapporti di reciproco potenziamento per raggiungere
l’obiettivo della durevole creazione di valore per la sola azienda, che si
configurerebbe come riflesso dell’azione coordinata di tutte le forze operative nelle
tre direttrici dello sviluppo.
Vi sono tuttavia aziende che:
- Sorgono per motivi puramente economici
- Hanno origine da particolari concezioni di dignità del lavoro o del cliente del
fondatore
- Nascono con una chiara consapevolezza della quadridimensionalità dello sviluppo.
A questa fattispecie possono assimilarsi le istituzioni nate all’inizio del secolo scorso
col movimento cooperativo per affrancare dall’usura le classi povere come le banche
di credito cooperativo o per promuovere lo sviluppo imprenditoriale presso i ceti
sprovvisti di capitali. Tali iniziative hanno contribuito alla creazione nel tempo di
un metamanagement il cui ruolo si è andato via via sviluppando fino ad assumere
competenze strategiche che rendono tali istituzioni particolarmente competitive.
!135
Crisi d’impresa e strategie di superamento
(cap 4)
Nell’azienda non vi sono solo processi di sviluppo, ma anche processi involutivi
dovuti ad incapacità insite nel sistema che ne impediscono lo sviluppo. I processi
involutivi possono derivare da iniziative incompatibili con le risorse finanziarie
disponibili o essere di natura più propriamente economica, legate cioè a uno
squilibrio di lungo periodo tra costi e ricavi. Le crisi economiche divengono presto
finanziarie e quelle finanziarie non tempestivamente affrontate innestano processi
di sfiducia che compromettono l’economicità a lungo termine del sistema. Le crisi
devono essere risolte nel senso di generare autonomia economica, finanziaria e
patrimoniale, processi di crescita, di sviluppo, di conoscenza che possono avvenire
solo in presenza di una classe dirigente che si assuma la piena responsabilità
dell’impresa e che agisca in piena autonomia.
Può essere evidenziata una tipicità dei processi di risanamento con una
caratterizzazione di alcuni momenti essenziali:
- Ricerca delle cause della crisi: non si ritrovano in genere nella mancanza di
risorse finanziarie ma poggiano sull’incapacità dei soggetti di assumersi una
responsabilità piena nei confronti dell’impresa, nella loro litigiosità, nella mancanza
della cultura dell’impresa. Bisogna quindi allontanare questi soggetti e riassettare la
proprietà e il governo dell’impresa.
- Investimento sulle risorse primarie, ovvero sui dirigenti e sul capitale. Il
rinnovamento dei dirigenti deve essere accompagnato dall’immissione di nuovi
capitali a titolo di rischio ma anche dalla preparazione professionale del personale.
- Affermazione di un nuovo clima organizzativo che dia animo e ottimismo ai
dipendenti e di un nuovo clima di opinioni all’esterno, riscattando l’immagine
dell’impresa agli occhi degli interlocutori.
- Capovolgimento dell’andamento reddituale nel breve termine, verificando
possibilità di miglioramento, ovvero recupero di margini di redditività.
- Riorientamento strategico delle risorse attraverso la fissazione di obiettivi a
lungo termine volti a costruire l’immagine aziendale. Investimenti in tecnologia,
prodotti, mercati, ecc.
- MOTIVAZIONI DELL’IMPRENDITORE
Possono essere di ordine economico o psicologico. Economico: si distinguono in
dirette (ottenimento del profitto) e indirette (efficacia in relazione al sistema per
intero). Psicologiche: dirette (prestigio, affermazione di sé) indirette (stesse
motivazioni ma in relazione alla figura dell’imprenditore)
I fattori demotivanti possono essere diretti e indiretti e riguardano timori e
difficoltà a raggiungere gli obiettivi derivanti dall’interno o dall’esterno.
- CARATTERISTICHE DELL’INTERVENTO
In relazione alla materia, l’intervento si presenta come puro apporto di
imprenditorialità. Interviene operando modifiche strutturali alle combinazioni
d’azienda per le quali occorreranno risorse che il sistema non può fornire.
!139
Lo sviluppo nell’azienda pubblica (cap 5)
La crisi della finanza dello Stato e delle Regioni, caratterizzata da un elevato deficit,
un elevato indebitamento pubblico, una elevatissima pressione fiscale, ha
alimentato la spinta alle cosiddette PRIVATIZZAZIONI: lo Stato deve vendere il
suo patrimonio ed integrare con entrate patrimoniali le entrate tributarie, senza più
ricorrere per la copertura del deficit al debito pubblico. Il problema è relativo al
soggetto nelle mani del quale andranno a finire i beni dello Stato, perché non
accada che tali risorse siano gestite sconsideratamente e senza generare sviluppo.
Non è sempre detto infatti, che il privato sia meglio del pubblico. Bisogna pertanto
perseguire contestualmente gli obiettivi di recuperare le risorse finanziarie dello
Stato ma anche di creare e diffondere valore.
Le due principali prospettive emerse nel dibattito sulle privatizzazioni sono:
- NOCCIOLO DURO: vede identificato nel proprietario il soggetto in grado di
sorvegliare e garantire il
successo dell’impresa, in quanto titolare del rischio di perdere il proprio capitale.
È però accaduto che il proprietario abbia fatto una politica finanziaria mirata
!141
all’accrescimento di un potere, più che ad uno sviluppo gestionale nelle attività
dell’impresa.
- PUBLIC COMPANY: vede nella dirigenza il massimo garante della continuità
aziendale, essendone la permanenza in condizioni di comando legata alla
capacità di generare iniziative di profitto capaci di remunerare una proprietà
polverizzata detentrice di un diritto al dividendo più che di un potere di gestione.
Spesso può accadere che la dirigenza sia interessata più al dividendo, al consenso
degli azionisti e alle posizioni di carriera, che non agli investimenti con
prospettive di realizzo nel lungo periodo, quindi allo sviluppo.
- Taluni suggeriscono una terza via, quella del NOCCIOLO DURO ALLARGATO:
cessione del controllo delle imprese pubbliche ad operatori non appartenenti ai
soliti gruppi familiaristici. Si allargherebbe così da allargare il numero degli attori
sociali principali, generando un più ampio movimento e nuove iniziative.
La scelta che coinvolge il come privatizzare una struttura pubblica non può essere
fatta in astratto ma deve tener conto dei tratti caratteristici di essa. Possiamo
comprendere le strutture pubbliche in un intervallo ai cui estremi si collocano:
- Strutture orientate all’autoconservazione e che rifiutano qualunque mutamento
alle regole di tale gioco fino al rischio dell’autodistruzione.
- Strutture orientate all’innovazione e sono disponibili al cambiamento in vista di
un miglioramento dell’impresa.
Un secondo carattere riguarda la tradizione manageriale o imprenditoriale del
settore cui l’azienda appartiene.
!142
Appendici
!143
Appendice 1
L’obsolescenza in economia aziendale
Il rischio di obsolescenza
!144
Il rischio viene rappresentato da una sinusoide, partendo dal momento 0 in cui le
scelte di attuazione diventano esecutive, in un primo momento decresce in quanto
siamo in fase di avviamento e po c’è una crescita che ci fa capire che siamo nella fase
di reintegro fino ad arrivare all’apice che è il punto massimo di redditività della
struttura. Successivamente la sinusoide decresce nel tempo e ciò significa che si
deve prendere in considerazione la possibilità di cambiare fattore produttivo.
Il rilievo del riccio di obsolescenza nel sistema dei rischi è tale che, in molti casi,
l’eliminazione di esso potrebbe significare quasi l’eliminazione del rischio
economico d’azienda. Tuttavia il rischio generale d’azienda non coincide con il
rischio di obsolescenza non soltanto per l’esistenza di altre componenti di rischio,
ma anche per il più ampio intervallo temporale a cui esso è legato.
Appendice 4
Il principio di consistenza e il governo delle aziende
Secondo Coda, l’azienda ha una duplice versante, uno spinto al servizio al cliente e
alla competitività che fa si che l’azienda possa creare profitto; l’altro è
l’organizzazione interna che fa si che renda partecipi tutti i dipendenti e li faccia
crescere così da avere un valore aggiunto, quale la coesione interna. Tutto ciò crea
una sorta di valore aggiunto per l’impresa.
Secondo Juan Antonio Lopez la coesione degli uomini che collaborano al successo
dell’impresa va perseguito come valore fondamentale e prospetta l’esigenza per un
reale sviluppo dell’impresa che di ciò ogni decisione debba tenere conto.
Lopez definisce tre ambiti decisionali e per ogni ambito definisce tre grandi criteri
di valutazione a cui subordinare le varie decisioni: quello di efficacia, quello di
efficienza e quello di consistenza.
- creazione di ricchezza fondata sul servizio al cliente ( principio di efficacia ed
efficienza)
- Miglioramento delle conoscenze e delle capacità operative ( principio di efficienza
e crescita di professionalità)
- Crescita della capacità di inserzione del gruppo di lavoro (principio di
consistenza)
Per Lopez non è importante solo guadagno ma anche la crescita professionale e il
saper lavorare in gruppo.
Il principio di consistenza che viene enunciato definisce quel “nocciolo duro”
fondamento della comunità dell’azienda il cui centro è antropologico ma non
individualistico, bensì comunitario.
!147