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Economia aziendale

(Prof. Carlo Sorci)

Prima parte.
Fondamenti per il governo
delle aziende

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Economia Aziendale

La nozione di azienda e di economia aziendale (cap 1)

Nella lingua greca “economia” vuol dire governo della casa. Esiste un libro scritto da
Senofonte il quale costruisce un dialogo tra Socrate e Critobulo, il quale chiede al
filosofo come diventare imprenditore. Il filosofo non sapeva nulla in materia
economica ma sapeva tirar fuori dalle persone il sapere. Andando avanti col
discorso esce fuori che il padre di Iscomaco era un abile imprenditore, poiché egli
acquistava terreni incolti e inutili, per poi trasformarli in terreni fertili facendo
aumentare il loro valore, da qui possiamo trarre una prima definizione di
imprenditore, infatti, l’imprenditore è colui che vede una cosa apparentemente
inutile e la rende utile per poi renderla, per dirla meglio—> “ il segreto
dell’imprenditore: riuscire vedere cose che gli altri non vedono, renderle parte di un
progetto e avere la capacità di realizzarlo; trasformare le cose che gli altri
considerano inutili in cose utili; ossia, riuscire a dare, d aggiungere valore alle cose.”
Gino Zappa, fondatore dell’economia aziendale in Italia, ha lasciato due importanti
definizioni di azienda. La prima dice “ l’azienda è una coordinazione economica in
atto, istituita e retta a soddisfacimento di bisogni umani” tale coordinazione
economica è coordinazione di operazioni ma anche di azioni.
La seconda dice” l’azienda è un istituto economico atto a produrre, che, per il
soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in continua coordinazione la
produzione, o il procacciamento e il consumo della ricchezza” con questa
definizione egli pone l’accento sul fatto che l’azienda è vista come strumento per il
soddisfacimento dei bisogni umani.
Per comprendere e interpretare correttamente la nozione di economia aziendale
occorre sfruttare i concetti fin ora affrontati:
- il significato del termine economia come scienza del governo della casa
- e quello del significato di azienda
Da ciò possiamo affermare che il governo della casa, o quello dell’amministrazione
aziendale, punto a ricondurre ad unico fine una pluralità di atti ed operazioni.
Il codice civile definisce l’azienda come “ il complesso di beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. Dunque l’azienda è l’effetto
patrimoniale dell’attività dell’imprenditore nel quale si rispecchia il principale
fondamento della garanzia dei terzi creditori.per il codice civile l’imprenditore è
colui che “esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni”.

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I comuni principi di governo per la continuità e lo sviluppo
delle aziende (cap 2)

Il principio di progresso:
Prendendo sempre in considerazione il lbro
di Senofonte (l’Economico), e partendo
sempre dalla definizione di economia- la
scienza con cui gli uomini possono
accrescere i beni della casa- possiamo
comprendere che da tale definizione viene
fuori una certa tensione la quale porta
l’uomo ad avere una spinta che lo porti a
fare bene, a migliorarsi e a migliorare le
cose. Gli effetti di tale tensione, in oltre,
porta all’accrescimento dell’azienda, la porta
a progredire nel raggiungimento del
soddisfacimento dei bisogni umani.
Il progresso non è solo di carattere
materiale, ma coinvolge la realizzazione
della personalità degli uomini che
promuovendo tale progresso realizzano
anche se stessi. Per tale motivo il concetto di
progresso ha radici filosofiche. Tale
principio, in quanto presuppone una tensione, che a sua volta da atto al divenire
delle cose e quindi al dinamismo, considera la vita delle cose e dei fenomeni in
continuo divenire. Ed è per questo che il progresso dell’uomo è essenziale per la vita
delle aziende. L’uomo non è un semplice favore della produzione, perché nel
momento in cui lavora, deve trovare un senso in ciò che compie. Non si può
concepire quindi lo sviluppo dell’azienda senza quello dell’uomo; naturalmente non
di può trascurare l’attenzione alle cose del patrimonio, MA GUAI A DIMENTICARE
CHE IL LAVORO E’ PER L’UOMO E NON VICEVERSA. Quando l’uomo vede nel
lavoro un opportunità per crescere si sottopone ai sacrifici più volentieri; ciò non
accade se si sente sfruttato.
Principio di unita e il finalismo aziendale:
Tutte le risorse, tutte le operazioni devono essere tra di loro collegate, coordinate e
coerenti; devono cioè convergere verso un unico obbiettivo, che è quello del
soddisfacimento dei bisogni umani. Le aziende che attuano bene questo principio
risultano più competitive delle altre, la loro gestione da luogo a minori sprechi di
risorse umane e materiali. La condivisione convinta delle idee sta alla base della
concreta attuazione del principio di unita aziendale.
Principio di economicità:
Tale principio segue quello di progresso e quello di unita. Il principio di economicità
deve configurarsi nella relazione esistente tra il valore delle risorse impiegate nella
gestione e il valore di quelle che dalla medesima gestione vengono generate.
Spieghiamoci meglio!

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Per avviare un’azienda occorre del denaro per farla partire. Spesso il denaro è
messo a disposizione dell’imprenditore, ma a volte questa somma risulta
insufficiente, così da richiedere finanziamenti presso istituti come banche,
risparmiatori ecc ecc. I mezzi finanziari reperiti devono esser spesi per acquistare i
fattori produttivi materiali ed immateriali che servono per svolgere l’attività che si
vuole intraprendere. Detta fase prende il nome di investimenti. Con dette
operazioni le risorse vengono investite e si passa alla fase di trasformazione . I
prodotti frutto della trasformazione vengono messi nel mercato allo scopo di essere
venduti. Dando luogo al realizzo.

La condizione di economicità è così espressa: R > I+i

Dove:
R= realizzi
I= investimenti
i= interessi
Se il governo della gestione è tale ds consentire il verificarsi della condizione di
economicità, allora esisterà per l’azienda la possibilità dello sviluppo del progresso
Principio di solvibilità:
Si è detto che per rispettare il principio economicità, lo si può rispettare nel lungo
tempo. Ma si può dire lo stesso del principio di solvibilità? No. Non lo si può dire in
quanto questo principio dice che “l’azienda è in grado in ogni momento di
estinguere i debiti in scadenza senza compromettere la propria economicità”. Ciò
significa che l’azienda, qualora ci fosse un imprevisto e deve necessariamente
estinguere un deito prima della data di scadenza dello stesso, debba essere in grado
di pagarlo senza intaccare la propria economicità e quindi senza procurarsi il
denaro dalla vendita di alcune risorse della stessa azienda. Tale principio, se viene a
mancare però, non indica necessariamente che l’azienda sia anche ineconomica.
La solvibilità è data dall’equilibrio delle entrate e delle
uscite (fig. a fianco)
I du principi enunciati danno luogo a due diverse,
seppur in coordinazione, aspetti dell’azienda. Parliamo
infatti del piano economico e del piano finanziario. Sul
piano economico gli investimenti determinano i costi ed
i realizzi i ricavi; sul piano finanziario gli investimenti
determinano le uscite e i realizzi le entrate. In sostanza
parliamo di due facce della stessa medaglia.
Sul versante economico il saldo positivo tra ricavi e costi determina l’utile e il saldo
negativo la perdita; sul piano finanziario il saldo positivo determina l’avanzo, il
saldo negativo il disavanzo.
Nonostante il piano economico e quello finanziario siano in stretta correlazione, se
si volesse determinarli entrambi in un determinato lasso di tempo, questi non
risulterebbero incidenti. Questo si deve perché il momento relativo al costo può non
coincidere a quello relativo all’uscita possono non essere gli stessi. Ciò avviene ad
esempio quando acquistiamo qualcosa a rate.
Medesimo discorso può ripetersi in riferimento alle entrate e ai ricavi. Ad esempio
oggi vendo della merce ma il pagamento avverrà tra 30, 60 o 90 giorni. Infatti solo a
gestione terminata i risultati relativi ai due aspetti dovrebbero coincidere.
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Principio di autonomia:
Un azienda economica e solvibile si dice essere dotata anche di autosufficienza
economico-patrimoniale che la rende appunto autonoma. La mancanza di
autonomia fa si che le decisioni siano prese da terzi che provvedono
economicamente alla sopravvivenza dell’azienda. Autonomia vuol dire libertà di
decisione, responsabilità.
Efficenza ed efficacia: si può affermare che la misura di un’azienda sarà tanto
maggiore quanto più riuscirà a ridurre gli investimenti a parità di realizzi.
L’economicità dunque si ottiene su due fronti:
- quello della crescita dei realizzi mediante lo sforzo di soddisfare al meglio i
bisogni (efficacia)
- quello dell’oculato uso dei fattori della produzione impiegati, cercando di evitare
sprechi inutili senza menomare le quantità dei prodotti realizzati (efficienza)
Dunque l’efficienza è quella qualità delle coordinazioni aziendali che consente di
ottenere parità di risultati con quantitativi minori di fattori produttivi, o maggiori
risultati a parità di quantitativi di fattori di produzione.
L’efficacia invece, è la qualità di soddisfare al meglio i bisogni umani, dunque
risultera più efficace quell’azienda che soddisferà i bisogni meglio delle altre.
Il rischio economico aziendale: Nel momento in cui l’azienda investe il proprio
capitale per il realizzo di un bene al quale seguirà il realizzo economico. A questo
punto l’azienda va in contro a un rischio che è soprattutto di natura economico-
patrimoniale. E’ possibile distinguere due tipi di rischio, il rischio economico
generale e cioè il pericolo che l’incerto flusso di realizzi non sia in grado di
reintegrare il flusso di investimenti effettuati; il rischio economico particolare, che
può essere il fritto di diverse situazioni:
- realizzi minori conseguiti a fronte di quelli attesi
- maggiori investimenti effettuati (ad esempio per riparazioni straordinarie)
- entrambe le alternative.
Vi è tuttavia un fattore che accomuna entrambi i tipi di rischi ed è l’incertezza cioè
alla non sufficiente conoscenza del futuro assetto delle variabili aziendali e
ambientali.L’incertezza deriva dal dinamismo dell’ambiente in cui l’azienda opera e
dalla difficoltà di percezione delle diverse variabili rilevanti. L’incertezza è quindi
connessa alla consapevolezza dell’assetto attuale del sistema in cui l’azienda opera.
Questo fenomeno può ulteriolmente essere acuito da due fattori:
- la rigidità degli investimenti dell’azienda ( Più è lento il ciclo di realizzo degli
investimenti aziendali più sarà maggiore la rigidità e quindi l’esposizione al
rischio economico connesso ad eventi imprevedibili)
- resistenza al cambiamento derivante dai valori impreditoriali. Cioè dipende ai
convincimenti che hanno i oggetti che operano nell’azienda, e quindi in merito a
cio che secondo loro è giusto per il bene dll’azienda.
- Il rischi economico aziendale deve essere governato. Lo si può governare agendo
sulle cause che lo determinano e quindi focalizzando i pinti di forza e di
debolezza dell’azienda. Oppure controllando gli effetti economici, spostandoli nel
tempo o nello spazio, quindi ad esempio ci si può affidare ad un contratto di
assicurazione o conguagliando il rischio su diversi esercizi amministrativi.

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Alcune relazioni tra economicità e solvibilità (cap 3)

Come è stato già evidenziato, l’azienda è un complesso e dinamico strumento


istituito per soddisfare dei bisogni. Ogni progresso in questa direzione costituisce
crescita e progresso per l’azienda. Non vi sarebbe però progresso durevole senza
autonomia da parte dell’azienda, cioè senza autosufficienza economico-
patrimoniale. Il progresso durevole è condizionato dai principi di governo che
salvaguardano sviluppo e sopravvivenza dell’azienda, essi a loro volta dipendono da
solvibilità ed economicità. Come si è detto, l’economicità esprime la capacità
dell’azienda di reintegrare anche in tempi immediati i suoi investimenti, attraverso
la sua attività; la solvibilità esprime la capacità dell’azienda di estinguere le
obbligazioni assunte alle rispettive scadenze senza compromettere l’economicità. Le
operazioni di gestione sono interne (comportano movimenti di scambio con altri
operatori e comprendono finanziamenti, investimenti e realizzi) ed esterne (non
comportano momenti di scambio con altri operatori e comprendono trasformazioni
fisico-tecniche nel tempo e nello spazio e si può pervenire allo schema del ciclo
tipico processuale aziendale delle operazioni di gestione):

In esso il principio di economicità è verificato nel tempo t quando si ha:

R > I+i —> R-( I-i) = risultato economico; mentre il principio di solvibilità è
verificato quando la somma nel periodo t delle uscite (U) è fronteggiata da una
somma almeno pari di entrate (E):
U=I + i + restituzioni di finanziamenti
E=R+ incremento dei finanziamenti
E>U
Dalle relazioni indicare si evince come l’economicità è legata prevalentemente alla
gestione operativa (R-I= reddito operativo)e alla misura degli interessi e quindi alla
struttura dell’indebitamento e alla sua onerosità, la solvibilità è legata oltre che dai
risultati conseguiti, alla capacita di credito dell’azienda in rapporto alle scadenze.

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Esistono diverse relazioni tra solvibilità ed economicità evidenziate dalla seguente
tabella:

Dalla tavola 1 emergono quattro situazioni, le situazioni I e Iv che sono di armonia,


e le situazioni II e III che sono disarmoniche la prima per eccedenza di risorse
finanziarie e la seconda per difetto delle stesse quest’ultima può portare a una crisi
finanziaria nel breve e all’insolvenza pur se esistono prospettive economiche
favorevoli.

Dalla tavola 2 si evidenziano altre quattro situazioni:


I: la capacità di reddito comporta anche la capacita di credito;
II: la capacita di reddito non riesce a tradursi in adeguata capacita di credito perché
ad esempio non è ancora evidenziabile in risultanze di bilancio o per difetti nelle
reflazioni con i finanziatori;
III: la capacita di reddito non si fonda su presupposti di economicità ma su garanzie
patrimoniali o personali esterne o su un errata conoscenza dell’azienda da parte
delle istituzioni creditizie o di altri finanziatori;
IV: negatività della gestione e la fiducia dei finanziatori si aggravano e si intrecciano
aggravando la crisi.

Il bilancio come strumento rappresentativo del risultato di gestione dell’azienda,


non è sempre uno strumento idoneo a rappresentare solvibilità ed economicità.
(vedi schema pag 33) le evidenze di bilancio sono ingannevoli nelle situazioni I e IV.
Nella fase di avviamento il prodotto appena lanciato offre prospettive di
economicità basse dl momento che non si conosce la risposta del mercato, così gli
investimenti risultano superiori ai realizzi in questa prima fase. Nella fase di
sviluppo il prodotto dimostra di conquistare i favori del mercato ed infatti crescono
le vendite, le prospettive di economicità sono buone ma i realizzi sono ancora,
seppur di poco, inferiori agli investimenti. Nella fase di “maturità” buona parte degli
investimenti sono stati recuperati e la differenza con i realizzi si manifesta positiva
con buone prospettive di economicità. Nella fase di declino, se non ci si preoccupa
di investire sul prodotto, i realizzi superano gli investimenti e i costi, ma le
prepositive di economicità non sono buone perché il tasso di crescita delle vendite
risulta negativo. Dunque è necessario tenere presente che il bilancio può essere
ingannevole in quanto tiene conto dei risultati in una determinata data, senza
evidenziare situazioni che potrebbero innescarsi o senza tener conto della capacità
di credito che ha l’azienda.
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La permanenza dei principi di governo nel variegato
universo delle fattispecie aziendali (cap 4)

Il variegato configurarsi dei bisogni umani ha fatto si che si siano create variegati
tipi di aziende, alcuni esempi sono: famiglie, istituzioni pubbliche, partiti politici,
istituzioni religiose, associazioni di imprese e via dicendo.

Una delle classificazioni più importanti delle aziende, risale agli studi di Teodoro
D’Ippolito, ed è quella che si riferisce al modo in cui le aziende soddisfano i bisogni
dei soggetti che ne fanno parte. In tal senso le aziende vengono classificate in dirette
e indirette.
Le aziende dirette soddisfano in modo immediato i bisogno dei soggetti attraverso i
consumi o l’utilizzo di beni acquisiti mediante un’attività di spesa. Solitamente in
esse non si produce per il mercato ma soltanto per il consumo interno.
Le aziende indirette, invece, soddisfano indirettamente i bisogni dei partecipanti
(lavoratori, proprietari di capitale) attraverso le remunerazioni monetarie
provenienti dai mercati ai quali si rivolgono le produzioni di beni o servizi che
caratterizzano la loro attività. Le remunerazioni dei partecipanti confluiranno
all’interno di piede dirette per essere spese in toto o in parte per il soddisfacimento
dei bisogno dei componenti di queste ultime.
Alla prima categoria appartengono le famiglie, gli istituti religioai, sportivi, e gli
istituti pubblici territoriali; alla seconda appartengono le imprese. Sia le aziende
dirette sia quelle indirette devono tener conto dei principi di governo, con delle
ovvie differenze. Infatti, nelle famiglie non si riscontrano, come per le imprese,
investimenti destinati, dopo una trasformazione interna, a generare realizzi
attraverso gli scambi sul mercato. La relazione entrate/uscite, se positiva genera
risparmio, se negativa indebitamento. Se le spese necessarie sono superiori delle
entrate la famiglia dovrà contrarre dei debiti. Ma questo non può avvenire
all’infinito. Il vincolo di economicità vale dunque anche per le famiglie.
Anche lo Stato e più in generale gli enti pubblici devono tenere conto del principio
di economicità. Le politiche cosiddette di deficit spending, cioè le politiche di spesa
che trovano copertura nell’emissione del debito pubblico, possono essere tollerate
se servono a finanziare investimenti per lo sviluppo del paese. Per tutte le aziende,
vale, in ogni istante della propria vita il principio di solvibilità.

Relazione investimenti-realizzi nelle aziende indirette:


La dinamica della relazione investimenti-realizzi è diversa di azienda in azienda.
Tale diversità permette di identificare delle proprietà di identificazione, le quali
possono orientare scelte di opportunità degli operatori economici in diverse
direzioni o di abbandono di un determinato settore. La conoscenza di tali tipicità è
oggetto di ricerca economica e appare portano evidenziarle per determinare
categorie di aziende in base al tipo di relazione investimenti-realizzi. Le seguenti
esemplificazioni ci aiutano a capire:

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a) aziende bancarie
Nelle banche tradizionali l’attività di intermediazione porta a identificare i realizzi
prevalentemente nei tassi d’interesse attivi delle somme date in prestito ai clienti. A
fronte di tali realizzi si trovano la raccolta dei capitali e le spese di gestione. Il
principale attore del sistema bancario, suscettibile di modificare i tassi d’interesse
attivi e passivi, è costituito dalla banca centrale, che sotto la spinta di motivazione di
politica economica stabilisce il tasso ufficiale di sconto (t.u.s.) variabile che,
influisce sul conto del denaro per le banche. Ad ogni variazione di tale indice, le
banche apportano degli adeguamenti che puntano a lasciare invariata o migliorare
la differenza tra tassi attivi (R) e passivi (I), per cui la relazione investimenti-realizzi
si presenta tendenzialmente costante. In realtà, questo non è vero nel breve
periodo, poiché ad ogni abbassamento del tasso di sconto, la banca adegua
immediatamente la remunerazione dei capitali depositati, mentre cerca di ritardare
l’adeguamento dei tassi sui capitali dati a prestito, mentre in caso di aumento del
tt.u.s. cerca di fare l’opposto. In tal modo, nel breve periodo, ad ogni variazione del
t.u.s. può corrispondere un incremento dei risultati economici, a parità di altre
condizioni.

b) aziende assicurative
Nel caso delle aziende assicurative i realizzi sono dati dalla riscossione dei premi
(R) che di norma sono antecedenti al verificarsi di eventi dannosi e quindi al
pagamento di indennizzi (I). L'impresa assicurativa ricorre a finanziamenti esterni
nel caso in cui gli indennizzi nel breve termine siano superiori ai premi. Pertanto la
tipicità della relazione R-I è simile a quella delle banche, in quanto si scaricano sugli
assicurati gli effetti dinamici nei costi provocati dagli indennizzi.

c) aziende industriali
Relativamente alle aziende industriali, esse hanno dei costi di impianti che
inizialmente faranno si che i realizzi saranno inferiori agli investimenti, e solo dopo
un certo lasso di tempo, i realizzi supereranno gli investimenti. Nelle aziende
petrolifere gli investimenti sono talmente alti che i realizzi saranno superiori agli
investimenti dopo una decina di anni.

d) aziende a domanda stagionale


Le aziende stagionali svolgono un’attività produttiva legata ai cicli di natura
(agricoltura o turiamo) o della moda (abbigliamento). Queste aziende concentrano i
realizzi in determinanti periodi dell’anno, mentre l’attività di investimento viene
attuata l periodo antecedente i realizzi. La dinamicità I-R è irregolare con periodi
positivi e periodi negativi.

e) aziende della grande distribuzione


Le aziende della grade distribuzione (supermercati) si caratterizzano per
investimenti iniziali che sono moderatamente maggiori dei realizzi, in quanto
hanno l’affitto del locale da pagare o i fornitori, i quali agevolano tale imprese con la
dilazione del pagamento, successivamente ci sarà un alto grado di realizzi legato alla
vendita della merce, ma successivamente ci sarà un periodo di costi in quanto si
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dovranno pagare i fornitori. In tali aziende la crescita è legata al posizionato ( in
modo da attrarre più clienti possibili) e alla moltiplicazione dei punti vendita.

f) aziende ad alta tecnologia


Le aziende che perano nei settori ad alta tecnologia (high-tech) sono caratterizzate
da elevati investiti iniziali per ricerca e sviluppo che saranno recuperati dopo
periodi di solito assai lunghi di tempo, ma con alti margini. La dinamica I-R è
caratterizzata da risultati negativi nei periodo iniziali e da risultati molto positivi
successivamente.
( hanno un grande vantaggio attraverso il brevetto poiché possono garantirsi
l’esclusività di un prodotto per almeno 25 anni)

Il successo delle aziende (cap 5)

Il successo per un’azienda consiste nella piena realizzazione della propria regione
d’essere e nel pieno raggiungimento degli obiettivi e degli scopi per i quali essa è
stata istituita e condotta nel tempo. Ma qual è la ragione d’essere di un’azienda?
Spesso si è risposto che è il soddisfacimento dei bisogni umani.
In prima approssimazione si può affermare che i bisogni che l’azienda è in grado di
soddisfare sono riconducibili alle seguenti categorie:
- bisogni legati alla funzione d’uso dei prodotti, o dei servizi che l’azienda produce;
- Bisogni legati alle esigenze ed aspettative di coloro che collaborano, direttamente
e indirettamente, alla vita dell’azienda stessa e cioè, alla sua istituzione e alla sua
gestione del tempo.
I bisogni del primo tipo determinano le richieste da parte di gruppi più o meno
ampi di clienti e quindi da una domanda di mercato. Detta domanda può
diversificarsi e scomporsi, in rapporto a specifiche esigenze, gusti e necessità di più
ristretti segmenti di mercato; ad esempio rendendo in considerazione i prodotti
alimentari, è facile immaginare come la domanda possa scomporsi in termini di
qualità, natura, gusti e prezzi. La capacità dell’azienda nel soddisfare questo primo
tipo di bisogni, consiste nell’essere in grado di offrire prodotti, o servizi, il più
possibile rispondenti alle esigenze, gusti e necessità di segmenti di domanda, più o
meno ampi. Perché ciò accada, l’azienda deve essere in grado di soddisfare le
richieste di clienti consolidati e di potenziali clienti, e individuare sistemi e modi per
soddisfarli, meglio e più, di quanto non siano in grado le altre aziende. Ciò può
avvenire per esempio per quel ce riguarda il rapporto qualità/prezzo
particolarmente attraente che l’azienda riesce a proporre; o per la particolare
distribuzione capillare che per mette al prodotto di essere facilmente raggiungibile.
La capacita dell’azienda di competere con altre è detta appunto competività. Ma ciò
che rende competitiva un’azienda sono propri e competenze dei sui dipendenti. Ma
non una qualsiasi competenza, deve trattarsi di un “saper fare” qualcosa che,
innanzitutto, abbia un peso rilevante e sia quindi importante nel rendere il prodotto
attraente rispetto alle aspettative del consumatore. Questo “saper fare” deve essere
più conveniente, o più economico rispetto a quello di altre aziende concorrenti.
L’azienda deve, in altre parole, crearsi un vantaggio competitivo per poter mettersi
in competizione con altre aziende attraendo i clienti per i propri prodotti.
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A questo punto è utile richiamare il concetto di efficacia aziendale, che riguarda il
grado di capacità di soddisfare i bisogni che fanno parte della missione aziendale,
per cui è più efficace chi meglio soddisfa i bisogni. È dunque possibile correlare il
libello e l grado di efficacia dell’azienda e del suo ciclo gestionale, al livello ed al
grado di competitività perseguita dalla stessa, nonché come testimone della
struttura stessa a progettare, produrre ed offrire i prodotti e servizi sempre più
rispondenti alle attese dei clienti. Possiamo ora dare una prima definizione di
successo aziendale dicendo che quanto più un’azienda è competitiva, tanto più è
capace di soddisfare i bisogni dei suoi clienti attuali e/o potenziali, tanto più,
quindi, realizza, da questo primo punto di vista, la propria “ragione d’essere”; con
ciò, si può affermare che una prima dimensione del cosiddetto successo aziendale è
quella della competitività.
Occorre a questo punto introdurre l’altra categoria di bisogni, quella legata a coloro
che fanno parte della vita dell’azienda, i cosiddetti stakeholders.
Con ciò possiamo affermare che ad un’azienda conviene sempre tenere alto il grado
di qualità di rapporti lavorativi e di retribuzione per i dipendenti. Infatti se
un’azienda è conosciuta per la sua serietà col dipendente e ha prospettive di crescita
e carriera all’interno, ovviamente attirerà a se ottimi dipendenti se non i migliori.
Dunque una seconda dimensione del successo è la coesione fra stakeholder e
azienda sulla base di una convergenza dei reciproci interessi.
Le dimensioni del successo già tratta permettono di definire una terza dimensione
del successo aziendale, si tratta dell’economicità della gestione aziendale. Essa è
causa ed effetto per l’azienda, infatti ne è la causa perché in assenza di congrui e
costanti flussi di reddito, non è possibile mantenere ed accrescere la capacità dei
prodotti di soddisfare i bisogni dei clienti e si assisterà ad una progressiva perdita di
efficacia dei prodotti. Ne è l’effetto perché se i clienti sono soddisfatti dai prodotti,
essi continueranno ad acquistarli e consentiranno all’azienda, se efficientemente
gestita, di conseguire congrui flussi di reddito.
Allo stesso modo, l’economicità è causa ed effetto della coesione fra azienda e
stakeholders, infatti ne è la causa perché solo con congrui flussi di reddito l’azienda
potrà permettere di dare delle giuste ricompense ai dipendenti; ne è l’effetto perché
l’elevato grado di efficienza che la coesione consente non può non riflettersi sul
livello di economicità della gestione.
Anche il raggiungimento dell’economicità aziendale può definirsi il raggiungimento
di un successo, che in questo caso è un successo interno all’azienda che permette di
essere competitiva. Abbiamo dunque evidenziato tre dimensioni di successo: una
reddituale dell’economicità, la dimensione competitiva e la dimensione della
convergenza degli interessi reciproci fra l’azienda e i suoi interlocutori.
In conclusione possiamo affermare che un fattore fondamentale per il successo
aziendale è costituito dalle persone che in essa e per essa lavorano, dalle
competenze che li contraddistinguono e dal loro desiderio di collaborare
attivamente al successo di una “impresa”.

La formula imprenditoriale
L’azienda, nella sua essenzialità, può essere vista come una struttura operante su
due versanti tra di loro correlati: quello competitivo e quello sociale in senso lato.
Il primo è dominato fisiologicamente dal valore del servizio al cliente e spinge alla
costante ricerca e realizzazione di sistemi di prodotto-servizio sempre più efficaci; il
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secondo è parametro dell’esigenza di consenso e pieno coinvolgimento di tutti i
partecipanti in modo che il clima organizzativo sia forte di coesione e di
identificazione con l’azienda.

Specifichiamo la terminologia usata:


Struttura: essa rappresenta l’aspetto permanete dell’attività aziendale. La struttura
normalmente è anelastica, e presenta, dunque, tutti i pericoli della rigidità, perché
tutto ciò che è rigido non è, in genere, compatibile con il dinamismo che caratterizza
l’attività aziendale. In ogni caso è necessario che il rapporto tra le dimensioni della
struttura ed il loro che l’azienda richiede sia equilibrato, altrimenti si corre il rischio
di dovere cercare lavoro per la struttura, se questa è sovraordinata, o di dover
mantenere in vita una struttura anche se questa è diventata inidonea allo
svolgimento del lavoro di cui l’azienda pro tempore necessita.
Sistema di prodotto/servizio: la struttura deve essere in grado di realizzare un
sistema di prodotto. Il sistema di prodotto è un insieme di valori che l’azienda
dispone per approntare una risposta ai bisogni da soddisfare in presenza di una
pluralità di soggetti in competizione. Per dare un’idea, il sistema di prodotto ha
delle componenti materiali, come la qualità, la gamma caratteristiche tecniche, e
delle componenti immateriali, come il prestigio, l’eleganza, che possono
caratterizzarlo come uno status symbol. Strettamente legato alle componenti
materiali e immateriali, sono e condizioni economiche, che non si riferiscono solo al
prezzo, ma anche alla modalità di pagamento, alle assicurazioni, ecc ecc. molto
importante sono i servizi legati al prodotto come la velocità di consegna e la
puntualità.
Sistema competitivo: il sistema di prodotto, entra cosi in un’arena di competitori e
interlocutori di aziende. Ovviamente le aziende che trattano con i migliori fornitori
e che hanno una certa clientela, non avranno lo stesso peso delle aziende che non
hanno questi elementi.
Insieme delle prospettive offerte e dei contributi o consensi richiesti: l’impresa,
nella realizzazione della proposta progettuale che essa rivolge alle forze sociali ed
economiche che intende coinvolgere, inevitabilmente offre oro un insieme di
prospettive e, allo stesso tempo, richiede loro un insieme di contributi o consensi.
Secondo lo studio di Juan Antonio Peréz Lopéz, se scelte miranti al risultato
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economico nel breve periodo hanno spesso per mezzo la stasi nel processo di
crescita delle professionalità individuali presenti nell’azienda, o disturbano la
crescita della professionalità di gruppo, esse devono essere riconsiderate in quanto
non creano presupposti di miglioramento nel lungo andare, a insano elementi di
disgregazione dell’unità.
Se dunque uno dei fondamenti è la collaborazione all’interno dell’azienda, è
importate capire come si arriva a questo risultato.
Inoltre, è più efficace una professionalità di gruppo piuttosto che una individuale.
Il sistema degli attori sociali interessati: sono i soli detentori di interessi coinvolti
dall’esercizio dell’impresa estranei dal sistema competitivo, e quindi non sono
compresi i clienti, i fornitori ed i concorrenti. Sono attori sociali i lavoratori ed i
diversi interlocutori esterni come banche, mass media e Stato.

L’analisi delle condizioni di successo delle aree strategiche di affari


Il successo di un’impresa si fonda sia sul modo di produrre beni e servizi, che sia
sulla coesioni di lavoratori e azienda, il primo è il successo competitivo il secondo il
successo sociale. L’azione combinata del successo competitivo e del successo sociale
fanno si che l’azienda può perdurare nel tempo. l’analisi delle relazioni tra
vantaggio competitivo e vantaggio sociale vanno condotte separatamente per
singola area strategica di affari (ASA)
ASA: Un’ASA è costituita da una o più combinazioni prodotto/mercato/tecnologia
configuranti come un’unità di sintesi e responsabilità reddituale, con una struttura
economica sua propria con esigenze di conduzione strategica differenziata derivanti
dalle caratteristiche della sua arena competitiva. <— pag 59

Ogni prodotto ha tre fasi di vita:


- avviamento, fase in cui i realizzi sono inferiori agli investimenti più gli interessi;
- Affermazione, fase in cui i realizzi superano interessi più investimenti;
- Declino, fase in cui i realizzi tornano inferiori a investimenti più interessi.
Quando cresce la capacità competitiva di un’azienda in un’ASA? È possibile che tale
capacità cresca quando i realizzi sono minori degli investimenti più gli interessi?
Per rispondere a queste domande non bisogna guardare i risultati realizzati ma la
tendenza del tasso di crescita delle vendite, infatti può essere alto in fase di
avviamento e basso in fase di affermazione.
Al fine di comprendere il processo di formazione dei risultati aziendali, è necessario
distinguere i cicli di scambio da quelli di sviluppo. I primi riguardano lo
sfruttamento della posizione competitiva acquistata e puntano a minimizzare i costi
e a massimizzare i guadagni. I secondi vertono alla ricerca di nuovi prodotti e nuovi
mercati non appena si manifestano i primi “avvertimenti” riguardanti l’esaurimento
del successo dei prodotti in fase di avviamento. Ed è proprio in questo preciso
momento che bisogna intervenire, in quanto, una volta entrati in fase recessiva,
occorrerà non solo effettuare nuovi investimenti, ma anche sostenere il prodotto in
declino.
Un ulteriore strumento che viene utilizzato per valutare la competitività di un
prodotto è dato dalla matrice di Boston che mette in relazione il tasso di sviluppo
della domanda del prodotto con la sua quota di mercato relativa.
In essa i prodotti vengono classificati in base al guadagno che riescono a portare in
confronto col loro costo di produzione, basandosi sulle fasi di vita degli stessi. Se un
!13
prodotto è in avviamento la quota di mercato cresce, ma fino ad un punto di stallo
che è dato dalla domanda di mercato. Se si
è in presenza di un’elevata quota di
mercato e di un alto tasso di crescita della
domanda allora ci si trova nella fase di
affermazione del prodotto. Se, ferma
restando la quota di mercato, comincia a
diminuire il tasso di crescita della
domanda, l’azienda inizia a seguire la
politica del “mungere la mucca” ovvero di
considerare il prodotto esclusivamente
come un mezzo per drenare risorse di
liquidità al mercato. Se le risorse finanziare
prodotte dall’ASA non coprono più i costi,
si entra nella fase di declino del prodotto.
A questo punto, è possibile studiare la competitività di un’impresa in una
determinata ASA mediante una matrice degli indicatori del successo. Se l’impresa
ha successo in quella determinata ASA sia sul piano competitivo he su quello
reddituale, significa che la formula competitiva è internamente coerente. Se
l’impresa ha un sostanziale successo reddituale senza avere una consistente
affermazione sul mercato, ciò è dovuto a condizioni esterne di particolare vantaggio
che facilitano la produzione di risultati
economici positivi (dazi doganali etc
etc ). Se l’impresa ha successo sul
versante competitivo, ma non su quello
reddituale, la formula competitiva è
internamente incoerente a causa di uno
squilibrio tra la qualità del prodotto e il
prezzo, oppure tra la dimensione della
nicchia di mercato dominata e la
capacità produttiva. Infine l’impresa
non ha né successo reddituale né
competitivo manca una ragione d’essere
ricompensata dal mercato. (Vedi figura
a fianco).

Diversi possono essere i sentieri di successo o di crisi (vedi prossime figure) che
conducono l’impresa ad una certa posizione nel l’ambito della matrice anzidetta.
Alcune aziende (I) possono conseguire un immediato successo a) concependo,
sviluppando e realizzando o consolidando idee imprenditore che conducono a
produzioni innovative o collocate in un contesto di mercato particolarmente
favorevole. Altro percorso di successo può nascere nel II quadrante b) ed è
caratteristico di chi entra nel mercato in un momento favorevole e sa utilizzare i
risultati economici conseguiti per crescere nell’apprendimento di una formula
competitiva di successo. Al di fuori di queste due ipotesi, la collocazione delle
imprese nel I quadrante della matrice può essere dovuto ad una semplice
razionalizzazione della formula imprenditoriale passando dal III al I quadrante c) o,
!14
addirittura ad un
riorientamento della formula
competitiva allorché si abbia il
passaggio dal IV al I quadrante
d) in cui si assiste ad una vera
rifondazione dell’impresa:

Passando a considerare i
percorsi di crisi, essi possono
essere frutto di un intensificarsi
delle forze competitive di altre
aziende del settore, o di una
strategia di precisione errata,
del restringimenti della domanda,. Altro percorso è quello del tardivo avviamento di
nuove tecnologie, o di prodotti sostitutivi della concorrenza. (Vedi figura a pag 66).

La valutazione della formula imprenditoriale sotto il profilo sociale.


Si tratta adesso di valutare la formula imprenditoriale nel suo insieme, relazionando
il successo sociale con quello reddituale. Sotto il profilo sociale, occorre valutare il
livello di soddisfazione degli attori sociali e la capacità dell’azienda di attrarre
risorse, collaborazioni e consensi. Sotto l’altro aspetto, la misura di redditività da
considerare a livello aziendale è la redditività netta dei mezzi propri (reddito netto
su capitale proprio):

Il successo competitivo influenza quello


reddituale, il successo reddituale influenza quello
sociale, e, in ultima analisi, il successo
competitivo influenza quello sociale:

!15
Valori imprenditoriali e
successo delle aziende (cap 6)

Oggi sono numerosi gli studi sul tema dei valori nell’impresa. I più significativi
possono essere riconducibili ai seguenti filoni:
a) istituzionalista-aziendale, nel quale i valori evocati sono espressi dall’impresa
stessa, vista come un istituto unitario e destinato a perdurare ( e perciò deve
essere dotato di autosufficienza con una economia fondata sull’efficienza e
sull’efficacia nel lungo andare dell’attività rivolta a soddisfare i bisogni
istituzionali). Tale filone, la cui origine va ricondotta alla concezione zappiana
dell’azienda, esprime un contributo per la definizione dei “valori-base” cui ogni
altro “valore” dell’imprese deve essere riferito. Il primo di essi è la
conservazione e lo sviluppo dell’azienda (istituto economico e sociale) come
entità necessaria alla società interna ed esterna ad essa.
b) Dell'etica dell’impresa, nella quale viene focalizzata l’attenzione sulla
dimensione morale delle decisioni. I valori che tali studi propongono sono la
vita ed il benessere di ogni singolo uomo, l’onestà, la lealtà, la giustizia. Tali
valori vengono intesi come “meta valori” cioè valori che stanno alla base dei
valori d’impresa, ma che non sorreggono alcuna cultura d’impresa in quanto
non possono ancora dirsi “fattori di produzione”.
c) Della strategia sociale, che evoca come valore quello della ricerca del consenso
sociale attraverso l’attuazione di strategie aziendali coerenti con le istanze
sociali e col loro divenire. Tale filone è vicino a quello istituzionalista ma non
mette a fuoco le relazioni tra tali strategie, l’economicità aziendale e la
soddisfazione dei partecipanti.
d) Dell’innovazione imprenditoriale, che evoca l’innovazione imprenditoriale
come valore cardine intorno a cui costruire la cultura aziendale.
e) Delle imprese eccellenti, partendo da studi empirici fatti su aziende ritenute di
successo, si è notato come queste abbiano una forza interna dettata da una certa
partecipazione emotiva, dedizione alla clientela e a un certo credere al progetto
aziendale, che crea un entusiasmo imprenditivo.

!16
Individuazione in concreto dei valori imprenditoriali.
Se i valori hanno cosi grande importanza per l’azienda, essi vanno studiati e
analizzati. Il punto di partenza è capire cosa è l’azienda per l’imprenditore, ma non
basta chiederglielo perché potrebbe fare il solito discorso socio-economico
nascondendo una possibile verità. Dunque è necessario porsi degli interrogativi e da
questi analizzare il comportamento dell’imprenditore.
Il rimo interrogativo da porsi è l seguente:
a) Che cosa è stata l’impresa per i suoi attori chiave, in relazione alle loro
aspettative, ai loro interessi individuali e familiari, alle loro responsabilità?
Si pio constatare che in molti casi, tutti, o quasi tutti, i guadagni dell’azienda
vengono prelevati dall’imprenditore, e nel momento in cui l’azienda ha bisogno di
liquidità, essa viene recuperata tramite l’indebitamento dell’azienda. Tutto ciò è
incoerente con il principio di economicità e a lungo andare può essere molto
dannoso per l’azienda.
Altre volte si constata che molti membri dell’organico dell’azienda siano familiari o
persone affini all’imprenditore, il che mette in rilievo gli interessi effettivi
dell’imprenditore, che non è la crescita dell’azienda, ma un tornaconto familiare
creando posti di lavoro appunto per amici o parenti. Tutto ciò può essere dannoso
in quanto è possibile che vengano intromesse nuove regole e che queste non
vengano seguite egualmente da tutti, il che crea un clima ostile e non benefico.
Finora abbiamo considerato dei disvalori, al quale va aggiunto il voler controllare
possessivamente l’azienda. Questo può accadere quando è necessario che entrino
dei nuovi soci, e che quindi il potere decisionale e di controllo diminuisca, o quando
le decisioni prese dall’imprenditore, ormai avanti con l’età e quindi incapace di
prendere decisioni all’avanguardia ed efficaci, possano essere ignorati dalla voglia di
avere tutto sotto il proprio controllo.
b) Come si rapporta l’impresa con i lavoratori, con le minoranze azionarie, i
creditori e gli altri attori sociali interessati?
I valori coinvolti in questo interrogativo riguardano la fiducia, la collaborazione, il
dialogo. La trasparenza d’informazione, il tutto visto sotto un’ottica attraente della
missione aziendale.
c) quale visione del proprio ruolo hanno gli attori chiave nell’ambito dell’arena
competitiva in cui operano e in che modo tale visione si traduce in coerenti scelte
organizzative?
Bisogna capire se gli attori dell’azienda ricoprono il loro ruolo con coscienza e
dedizione, o se non mostrano impegno e non si preoccupano della vita dell’azienda.
A questo scopo è utile fare riferimento al concetto di “missione” dell’azienda. Essa
evoca sia il campo dell’attività in cui l’azienda vuole operare, si aia grado di intensità
e quindi essere vincenti in quel campo. Quando nell’azienda la consapevolezza della
propria missione è alta e generalmente condivisa, altri valori vengono coinvolti,
come il valore del lavoro, il valore dell’innovazione e dell’apprendimento, il valore
della libertà di espressione delle proprie idee, la capacità di lavorare insieme. Questi
sono valori che possono realmente operare e si autoperpetuano se permeano lo
stile, la struttura organizzativa ed i meccanismi operativi, diventando così i
fondamenti della cultura aziendale. Tutto ciò è tipico delle cosiddette aziende
!17
eccellenti, dove i valori diventano il principe fattore di produzione, il binario nel
quale tutte le altre scelte finiscono per incanalarsi.
d) quale immagine aziendale perseguono gli attori chiave? Un'immagine chiara e
costruita on coerenza? Oppure un’immagine sfocata e contraddittoria rispetto ai
reali obiettivi posti all’azione?
Il management che intende costruire una cultura forte, fatta di valori capaci di
animare tutti i collaboratori, non può far a meno di lavorare ad una seria politica di
immagine che metta in luce positiva l’azienda agli occhi di attori interni ed esterni.
Ma ciò non vuol dire dare un’immagine falsa dell’azienda, ma costruire
un’immagine autentica di essa e di ciò che l’impresa vuole e cerca di essere. E
l’identità ricercata non può che essere che l’immagine di un’azienda che risponda ai
bisogni dei sui clienti, dei suoi dipendenti e che rispetti il suo ruolo economico.

Le condizioni per esprimere un giudizio sull’efficacia dei valori imprenditoriali in


rapporto al successo aziendale.
È necessario che i valori stessi diventano oggetto di valutazione critica. Tale
opportunità ci viene data dalla teoria istituzionalista aziendale che concepisce il
successo dell’impresa come una realizzazione di lungo periodo alla quale vengono
simultaneamente esaltati in un rapporto sinergico l’economicità aziendale, la
soddisfazione dei partecipanti all’impresa e la competitività della stessa. Il successo
di una sola delle tre situazioni non risulta durevole, dunque devono essere tutti e tre
gli elementi ad essere di successo. Nessuno di questi può essere autentico in assenza
degli altri due.
Definito cosi il successo a tutto tondo, occorre identificare i valori che stanno alla
base ovvero sono la fondamentale funzione di soddisfare i bisogni umani
in un contesto concorrenziale, in modo economico, valorizzando e
sviluppando le proprie risorse e quelle delle persone che lavorano al
suo interno.
Se si conviene su questo assunto ne viene che i valori-cardine del successo
imprenditoriale hanno inevitabilmente a che fare con categorie come il servizio al
cliente, il rispetto e la valorizzazione delle persone, l’economicità della gestione,
l’innovatività.
In tal modo l’innovatività diventa l’elemento
motore del successo in un rapporto di scambio
biunivoco con le tre dimensioni del successo
aziendale, contribuendo ad evidenziare il sistema di
valori imprenditoriali tipico delle imprese che
avanzano su di un cammino di successo.

Tra l’innovatività e ciascuno degli alti tre valori di


fondo devono stabilirsi dei circuiti virtuosi
autoalimentatisi: “gli utili che si ottengono grazie
alle capacità innovative dell’impresa concorrono in larga misura ad autofinanziare
ulteriori innovazioni; gli sforzi innovativi che vanno nel senso di creare spazi per
l’esplicarsi delle potenzialità urne presenti nell’impresa sono destinati ad avere un
enorme “ritorno” sulle capacità innovative della stessa; i vantaggi concorrenziali
conseguiti e mantenuti grazie ad un costante impegno innovativo consentono di
!18
stringere rapporti sempre più stretti con la clientela, di conoscerne sempre meglio
le esigenze e di indirizzare efficacemente gli ulteriori sforzi innovativi”.
Il valore della economicità non può saldarsi sinergicamente con gli altri valori
d’impresa se gli attori chiave non sono animati da una corretta concezione del loro
rapporto con la stessa e non sono consapevoli della responsabilità che essi hanno di
migliorarla. E la valorizzazione delle risorse è impensabile senza un profondo
rispetto delle persone e una costante attenzione alle attese dei vari soggetti
partecipanti. I valori di business invece, quali che essi siano, possono ritenersi
racchiusi nel servizio al cliente, mentre i valori organizzativi e sociali sono ciò che
consente al sistema di valori di essere non già patrimonio esclusivo di uno o pochi
attori chiave, ma di pervadere tutta l’organizzazione e di conservarsi nel tempo
diventando cosi una potente forza coesiva e motivazionale destinata a perdurare.

L’apprendimento di valori funzionali al successo aziendale dipendono dalla


consapevolezza del management che ha delle idee di fondo dell’azienda. Spesso esse
dipendono dalla storia stessa dell’azienda in quanto sono state messe in pratica da
uomini che ne hanno fondato le basi.
In secondo luogo è necessario un giudizio critico su tali idee, bisogna dunque
stabilire se esse definiscono una visione imprenditoriale valida ed in questo caso
stabilire se è o meno coerente. Per fare ciò si colloca l’azienda in una matrice che
incrocia da in lato la validità e dall’altro la coerenza. Il divario tra situazione reale e
situazione desiderabile può assumere significati completamente diversi se la
prospettiva desiderabile richiede profondi cambiamenti:

Il posizionamento migliore è ovviamente quello in cui la visione imprenditoriale è


valida e la sua realizzazione è coerente: si tratta in questo caso di mantenere e
consolidare la formula imprenditoriale. Se la visione è valida ma la realizzazione è
incoerente si dovrà invece razionalizzare la formula imprenditoriale. Quando invece
la visione imprenditoriale non è valida ma c’è coerenza con la sua realizzazione, si
dovrà disorientare la formula imprenditoriale in modo da renderla valida. Ultimo
caso, quando la visione non è valida e la realizzazione è incoerente allora si tratta di
rifondare l’azienda. I quattro scenari evidenziati non sono sempre demarcati
nettamente, possono esservi situazioni intermedie in cui ad esempio si richieda in
parte il consolidamento ed in parte la razionalizzazione o il riorientamento della
formula imprenditoriale.

!19
Continuità e ricambio generazionale
nell’azienda (cap 7)

Le imprese sono “istituti economici destinati a perdurare”. Al loro interno tutti gli
attori lavorano affinché l’azienda possa perorare e innovarsi continuamente.
Nell'incessante rinnovamento che si realizza nell’attività dell’impresa ha certamente
un certo peso il ricambio ineluttabile degli attori chiave dell’impresa:
l’imprenditore, il soggetto economico.
La preminenza di tale ricambio nasce dal ruolo rivestito da tali soggetti, ruolo
centrico cui fanno capo tutti gli altri attori che vedono influenzati da tale ruolo si
anche esso sia singolare (imprenditore) si anche esso sia formato da una pluralità di
individui che hanno di fatto o di diritto le massime responsabilità dell’azienda. Tale
rinnovamento segue dei valori aziendali che di fondo fanno in modo che l’azienda
persisti e perduri nel tempo.
Per altro verso esiste una patologia per la quale nel ricambio generazionale
prevalgono valori disfunzionali alle esigenze aziendali. Le motivazioni di fondo degli
attori chiave dunque non solo determinano il carattere e le principali condizioni di
sviluppo dell’impresa ma stanno alla base di ogni scelta dei successori, del perché e
del modo in cui viene percepito e realizzato il ricambio generazionale:

Vedi pag seguente—->

!20
L’impresa viene vista come Scelte di valore sottintese Prefigurazione del ricambio
generazionale

1. Una mucca da mungere Si privilegia l’accumulazione del Si privilegia una politica di


patrimonio extra aziendale e la sottrazione di risorse, di limitati
vita dispendiosa con le riserve investimenti, non si pensa né si
liquide asportabili dall’impresa. prepara il ricambio
generazionale.

2. Una fonte di occupazione per Si privilegia la pace e l’equilibrio Si adotta una politica di
tutti i membri della famiglia. familiare del gruppo proprietario, assunzione e di inserimento
da mantenere dando occupazione nell’azienda dei figli dei
in azienda a qualunque erede lo proprietari, si demotivano le
desideri, ancorché inadatto e forze valide, squalificando il
impreparato. ricambio generazionale.

3. Un mezzo per realizzare la Si alimenta la creatività Si punta allo sviluppo di nuove


propria carta imprenditoriale. imprenditoriale. iniziative, si punta su una politica
di formazione adeguata al
successore con un traino di
imprenditorialità interna.

4. Un bene da possedere Si perviene a uno scorretto Resistenza di fatto ad un


gelosamente come cosa propria. esercizio del potere di controllo realistico ricambio generazionale.
che porta, ad es., a rifiutare
l’ingresso di nuovi soci quando
sarebbe indispensabile; a forzare
in azienda l’ingresso dei propri
figli salvo poi non lasciare loro
più spazio; a non staccarsi da
posizioni di responsabilità anche
quando l’età avanzata appanna le
facoltà intellettuali; etc.

5. Una fonte di ricchezza che ha Si privilegia la solidarietà e la Il ricambio generazionale viene


richiesto assidue cure ed il continuità dell’impresa. visto come il problema principale
robusto autofinanziamento da per garantire la continuità
trasmettere intatta o migliorata dell’impresa.
nelle sue potenzialità alle
generazioni future.

Come può evincersi dalla tabella un ricambio generazionale perfettamente riuscito


presuppone nuovi attori chiave e capacità imprenditoriali e di organizzazione
orientate al servizio della continuità dell’impresa. Ovviante non bastano solo le
buone intenzioni, ma una preparazione seguita nei confronti delle nuove figure.
In merito a ciò possiamo riprendere un dialogo tra Socrate e Iscomaco (pervenutoci
da Senofonte). Nel dialogo Iscomaco spiega a Socrate come il padre abbia trasmesso
a lui l’arte dell’imprenditorialità secondo cui il padre acquistava le terre
improduttive ad un costo basso per poi renderle produttive e venderle ad un prezzo
maggiore di quello dell’acquisto. Ciò sta alla base dell’imprenditorialità, se vogliamo
può essere la formula imprenditoriale, poiché è imprenditore chi vede valore in
qualcosa che nessun altro vede. Produrre beni da qualcosa che è già al massimo
della sua produttività non porta a nessun valore aggiunto, invece produrre o creare
qualcosa da un’attività inizialmente improduttiva rende tale attività molto piacevole
e soddisfacente. Tutto ciò è quella disciplina che deve essere trasmessa al ricambio
generazionale, ovvero la capacità di imprenditorialità e la capacità di leadership

!21
ovvero la capacità di “comandare” ma non con tirannia bensì coinvolgendo,
appassionando e incoraggiano i dipendenti.

Non esiste un solo modo per attuare un ricambio generazionale, esistono infatti
diversi modi, riportiamo qui un esempio:
“Un volta mio padre mi chiese se una determinata mossa potesse andar bene per
l’azienda ed io risposi di si, ma in realtà non andò bene cosi mi scusai per ‘errore ma
mi rispose che lui sapeva già che non andava bene, cosi stupito gli chiesi perché non
mi avesse fermato al momento di attuare tale mossa, ma replicò dicendomi che non
si può imparare senza commettere errori”.
Con questo esempio possiamo capire che alcuni elementi per il ricambio
generazionale sono:
- l’apprendi stato sul campo, con margini di libertà decisionale, assunti anche con
la possibilità di commettere errori, ma sotto una guida esperta che sappia
rivolgere osservazioni di apprezzamento o di critica costruttiva;
- L’acquisizione di livelli culturali più elevati, ottenuti mediante la frequenza di
scuole di business o esperienze extra aziendali presso realtà imprenditoriali più
evolute;
- Rapporto di stima profonda e di fiducia tra vecchia e nuova generazione
caratterizzati da una comunicazione autentica e costante;
- Il distacco concretamente praticato mortificando la tentazione do vedere i figli ad
ogni costo e prematuramente inseriti ai vertici dell’azienda.

L’organizzazione: i riflessi delle concezioni del lavoro su


strutture, potere organizzativo e meccanismi operativi.
(Cap 8)

L’azienda può essere vista sotto un profilo soggettivo come sistema di azioni, e sotto
un profilo oggettivo come sistema di operazioni. Il sistema di operazioni aziendali fa
oggetto alla gestione, invece il sistema di azioni fa oggetto alla disciplina
dell’organizzazione.
L'organizzazione è il modo in cui viene coordinato il lavoro all’interno dell’azienda,
la coordinazione del lavoro presuppone la suddivisione dei compiti. Normalmente
in azienda non lavora un solo uomo ma più persone e si rende necessario
suddividere i compiti all’interno dell’azienda. Il funzionamento di una struttura
organizzativa presuppone due elementi fondamentali, il potere e i meccanismi
operativi e fra questi in primo luogo la comunicazione.
Tutte le organizzazioni si reggono o si sfaldano in base alla concezione che ha
l’uomo di essa e in particolare in base alla concezione che hanno nei confronti degli
attori chiave dell’azienda.
Esistono relazioni di dipendenza tra l’organizzazione e la concezione dell’uomo che
hanno nei confronti degli attori chiave:
1. Una prima teoria organizzativa è quella fornita da Taylor, il quale proporre
un’organizzazione scientifica del lavoro, ovvero una ripartizione di compiti
basata su due ipotesi fondamentali: la prima è che uomo è tendenzialmente
pigro, ma dotato di una razionalità economica che lo porta a lavorare di più se
!22
guadagna di più, la seconda è che il mercato possa assorbire tutto quello che
l’azienda produce. Per produrre al minimo costo, obiettivo ritenuto
predominante in Taylor, occorre da un lato definire dettagliatamente i compiti
dei lavoratori e dall’altro realizzare grandi volumi di produzione per ridurre il
livello di costi unitari. La struttura organizzativa che deriva è una struttura
gerarchico-funzionale, che se non adeguatamente supportata da meccanismi
operativi che favoriscono la flessibilità al suo interno, mal si presta
all’attivazione di processi di sviluppo in quanto è una struttura tendenzialmente
rigida, all’interno della quale può accadere che uomo venga considerato alla
stessa stregua di una macchina. La teoria organizzativa di Taylor subì un trauma
con la crisi del ‘29, allorché non crollò solo la borsa ma anche il mercato tout
court, con grave depressione dell’economia. In questo contesto acqua la teoria
keynesiana, che postulava l’intervento pubblico in economia per stimolare la
domanda. La situazione impose il forarsi della coscienza dell’esistenza del
mercato: l’azienda non viene più vista come variabile indipendente, ma
dipendente. Si concepiscono e sviluppano delle strutture di tipo divisionale.
Esse sono comunque strutture gerarchiche ma al loro interno sono presenti
numerosi staff di supporto e i compiti sono divisi per tipo di prodotto realizzato
e per tipo di mercato in cui inserire il prodotto. Ogni divisione ha il suo staff col
propor manager; il manager generale gestisce l’organizzazione generica di tutte
le divisioni.
2. Altri studi nascono dal processo decisionale sviluppati negli anni ’40 da Simon.
Alla perfetta razionalità che nella teoria neoclassica guida le decisioni dell’homo
oeconomicus, Simon contrappone l’imperfetta dell’’homo administrativus con
una razionalità limitata. I limiti della razionalità del decisore dipendono da
molteplici variabili tra cui Simon ha inserito le sue capacità, le sua attitudini, le
sue conoscenze di base, e i suoi valori e fini perseguita. I decisori sono
limitatamente razionali perché non sono consapevoli di tutte le alternative tra
cui scegliere la migliore. La razionalità poi è limitata perché non esiste un solo
decisore ma tanti decisori aziendali, conseguentemente per rendere più
aderente l’azione dell’azienda alle decisori del attori-chiave è importante ridurre
il numero di decisori. La teoria della razionalità limitata si innesta nel contrasto
che esiste tra le esigenze del mercato che sono origine di variabilità e di
innovatività e le esigenze della produzione che premono per una costanza ed
uniformità delle condizioni produttive. Ed allora come concilia Simon le
esigenze di innovatività con quelle di ripetitività? Si è visto che la teoria
tayloristica mal si presta a risolvere questo problema perché garantisce la
costanza della produttività ma non l’innovazione del prodotto. Simon parte
dall’idea che uomo deve essere visto come soggetto in grado di prendere
decisioni; egli distingue pero decisioni tout court che sono quelle vere e proprie
e vano arricchite con la promozione di contatti e dalla partecipazione dell’uomo
nell’azienda; e decisioni di routine che ove possibile devono essere delegate alle
macchine.
3. Tra il pensiero di Taylor e quello di Simon si inserisce la scuola delle relazioni
umane. Tale scuola (che ebbe inizio dagli studi di Mayo presso gli stabilimenti
della Western Eletric Comapny, alla quale si deve la piena riconoscenza del
lavoro e della dignità del lavoratore come persona) diede spunto ad ulteriori
stufi effettuati da McGregor. quest’ultimo considerava l’uomo né totalmente
!23
razionale né totalmente irrazionale, ma lo vede dotato di una propri emotività e
sensibilità di cui l’azienda non può non tener conto. Azienda deve conoscere i
suoi lavoratori per potergli dare i compiti che meglio si adattano alle loro
esigenze e condizioni. Esiste una piramide che classifica le esigenze, tale
piramide vede al primo posto i bisogni fisiologici, a seguire quelli di sicurezza,
sociali, di stima, di autorganizzazione. McGregor afferma l’esistenza di due modi
opposti di concepire la natura umana a cui corrispondono due diversi modi di
organizzare il lavoro in azienda espressi dalle teorie X e Y. Secondo la teoria X
l’uomo è pigro e mette al primo posto le porrei esigenze tralasciando quelle
aziendali, ed è reattivo lo se punito o ricompensato. Secondo la teoria Y parte
uomo non è pigro, può essere motivato e riesce a conciliare le proprie esigenze
con quelle dell’azienda. Questa teoria da supporto a Simon cioè al fatto di dare
responsabilità e creare ruoli sempre più artigianali con grandi spazi per
l’innovatività. Simon porta alle estreme conseguenze questo ragionamento
dicendo che il lavoro deve essere svolto da professionisti. In funzione di ciò
vengono create nuove strutture organizzative prendendo il nome di strutture
organizzative a matrice in cui uomo viene considerato una risorsa professionale
da utilizzare caso per caso, costituendo progetto per progetto, gruppi di lavoro
con risorse specializzate scelte ad hoc dalle diverse aree.

Una volta scelta la struttura organizzativa occorre avere i meccanismi operativi che
rappresentano l’elemento dinamico dei ruoli. Impulso originario che avvia i
processi produttivi è l’ordine e presuppone che i processi siano fondamentali, in
particolare sono ritenuti tali la comunicazione e il potere che si esplicita in un
particolare stile di direzione.
Il potere non può essere separato dalla responsabilità, esso è legittimato solo
dall’assunzione di responsabilità il che è un esercizio abbastanza difficile, doloroso e
costoso al quale bisogna adattarsi.
Il dovere del potere è ontologicamente collegato al compito originario dell’uomo di
custodire, coltivare, far crescere ciò che gli è affidato (principio di progresso):
bisogna coltivare il mondo e non distruggerlo, sviluppare l’uomo e non umiliarlo,
far fruttificare le cose e non impadronirsene.
Il potere ha natura fiduciaria, e ciò vale sia per il management sia per la proprietà:
si deve operare sempre con la consapevolezza di dover rendere conto a qualcuno
che ci ha affidato la materia che trattiamo e, in ultima analisi, alla verità. Il potere
esercitato in spirito di verità diventa servizio, è invece usurpazione quello esercitato
con spirito di dominio, senza limiti di qualunque tipo. Arthur Andersen richiamava
sempre la necessità di porsi di fronte ai problemi impersonalmente per analizzarli e
risolvere nel modo più oggettivo possibile, e insisteva sul carattere fiduciario del
gestore delle aziende, si anche fosse il proprietario, sia che fosse il dirigente.
Il problema del potere e della responsabilità si lega al concetto di libertà. Questa
non è un’autonomia radicale che ha come effetto il sopravvento sul prossimo, la
vera libertà è la conoscenza della verità e della capacità di conformarsi ad essa
nell’agire.
“Attraverso l’esercizio della libertà si diminuisce la distanza tra la persona che si è
e quella che si dovrebbe essere” K.Wojtyla.

!24
Poniamo una distinzione tra autorità e autoritarismo. Se il potere viene esercitato in
modo arbitrario e slegato dalla funzione per la quale è detenuto allora esso sfocia
nell’autoritarismo. Se invece, il potere è colletto al responsabile esercizio di una
funzione si esprime come autorità solo di “posizione” ma reale, e fa si che in azienda
si instaurino mei confronti di chi lo esercita rapporti di stima, indispensabili per
l’unità aziendale.
Si consideri adesso la comunicazione. Essa è fondamentale e richiede fiducia tra
l’emittente e il ricevente il che presuppone lealtà, competenza, precisione che
determinano autorità vera dell’emittente. L’autorità vera genera la fiducia vera. In
qualche modo si può affermare che la fiducia genera autorità in quanto stimola i
soggetti a ben meritare la considerazione di cui sono oggetto. Talvolta le reti di
comunicazione generano distorsione in quanto sono presenti eccessivi poli
intermedi tra emittente e ricevente. Il potere esercitato con autorità, attraverso
un’autentica comunicazione, è la base per la creazione di una vera autorità
aziendale e per la realizzazione di quello che si è definito come principio di
“consistenza” (approfondisci in appendice 4) cioè quel principio in virtù del quale
più persone all’interno di un’organizzazione si impegna a valorizzare il lavoro di
gruppo spinti da motivazioni non egoistiche e consapevoli che solo un principio di
solidarietà tra i partecipanti può generare una cultura forte in grado di supportare il
successo durevole dell’azienda e di arginare la volatilità delle sue risorse umane.

Unità di governo e pluralità di


soggetti giuridici: i gruppi. (Cap 9)

Secondo Fabio Besta (economista che visse tra il XIV sec e il XX) l’azienda necessita
di un’autorità emittente, di una mente direttiva e di lavoro esecutivo. L’autorità
emittente è propria dell’organo che si occupa di deliberare decisioni e ne ha la
facoltà. La mente direttiva è propria di coloro che si occupano del coordinamento
aziendale e si impegna a raggiungere la missione data dall’azienda. Il lavoro
esecutivo è degli organi che eseguono i compiti e le operazioni aziendali. Il pensiero
di Besta sembra più orientato ad identificare le funzioni essenziali dell’azienda e
non a identificare i ruoli gerarchici dell’organigramma aziendale.
L’autorità eminente è del soggetto economico, ovvero nell’interesse di colui o coloro
i quali è svolta l’attività aziendale. Ad esempio nella società di persone, è quel socio
o quei soci che riescono ad imporre la propria volontà all’assemblea.
Occorre sempre riconoscere il soggetto economico reale e quello apparente, perché
come si dice che a casa il capo è il marito ma in realtà è la moglie a comandare, cosi
anche in azienda potrebbe accadere ciò.
Il soggetto economico si distingue dal soggetto giuridico, in quanto quest’ultimo è
titolare dei diritti e dei doveri che derivano dall’attività aziendale, esso può essere
una persona fisica (imprenditore individuale) oppure un soggetto creato dal diritto
che agli effetti della legge è titolare dei diritti e di doveri (imprenditore collettivo). Il
soggetto giuridico si dice che è dotato di personalità giuridica, esse sono persone
adulte o emancipate che per il c.c. sono soggetti di diritto creati dalla legge.

!25
La tipologia giuridica dell’impresa può essere quella delle società di persone, società
capitali e società cooperative. Le società di persone e per azioni attribuiscono
diversa importanza all’elemento personale ( cioè alle qualità dei soci) e al capitale
d’impresa (cioè al fatto di apportare capitale)e godono di una differente autonomia
patrimoniale, a seconda che i soci siano responsabili limitatamente o
illimitatamente per le obbligazioni sociali.
Le società di persone si dividono in:
1. Società in nome collettivo, nelle quali tutti i soci rispondono solidalmente ed
illimitatamente per le obbligazioni assunte.
2. Società in accomandita semplice, in cui troviamo due categorie di soci: i soci
accomandatari che rispondono solidamente e illimitatamente per le
obbligazioni sociali e detengono il potere di amministrare; ed i soci
accomandanti che rispondono nei limiti delle quote conferite.
Le società di capitali si dividono in:
1. Società per azioni (S.p.a.), nelle quali le quote di diversi soci sono rappresentate
da “azioni”; in esse per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il
proprio patrimonio.
2. Società in accomandita per azioni, nelle quali i soci si dividono in due categorie
come nell’accomandita semplice e le quote di partecipazione di ciascun socio
sono rappresentate da “azioni”.
3. Società a responsabilità limitata (S.r.l), nelle quali tutti i soci sono responsabili
limitatamente ai propri conferimenti e le quote non sono rappresentate da
azioni, cioè da titoli trasferibili mediante girata.
Infine si hanno le società cooperative, che si distinguono per le finalità perseguite
che sono prevalentemente di tipo mutualistico, e non di lucro, e in cui i soci
possono, a seconda del tipo di società, avere responsabilità limitata o illimitata.
Ci sono anche associazioni in partecipazione, in cui un associato conferisce lavoro o
capitale ad un’iniziativa promossa da un associante partecipando agli utili e alle
perdite connesse a questa iniziativa senza gestirla e senza rispondere per le
obbligazioni assunte. Hanno personalità giuridica non soltanto le società di capitali
o le cooperative a responsabilità limitata, ma anche tutti quegli enti morali
riconosciuti dalla legge.

Per migliorare la propria capacità economico-funzioanle, azienda cerca in modo


continuo di coordinare in maniera conveniente le sue relazioni col mondo esterno
dando vita a dei legami tra aziende.
I legami tra aziende possono avere carattere transitorio o duraturo: sono
solitamente transitori i legami derivanti da associazioni in partecipazione per uno o
più affari, sono più duraturi quali derivanti dal raggruppamento di imprese che
rinunciano in parte alla loro autonomia e si uniscono per dar luogo a gruppi
aziendali.
Un gruppo aziendale è, in generale, costituito dai seguenti elementi:
• Esistenza di più aziende giuridicamente distinte;
• Struttura societaria delle aziende componenti il gruppo;
• Legame derivante dal possesso, da parte di una società del gruppo, detta
capogruppo, della maggioranza o comunque di una rilevante parte delle azioni
formati il capitale sociale delle altre aziende, in guisa da controllare e dirigere
direttamente e/o attraverso altre società la gestione dell’intero gruppo;
!26
• Unitarietà economico-finanziaria del società del gruppo che, pur avendo ciascuna
distinti soggetti giuridici, hanno il medesimo soggetto economico, allocato nella
capogruppo.
A seconda delle attività scolte dalle varie aziende costituenti un gruppo si possono
avere:
a) gruppi economici: costituiti da aziende che si integrano a vicenda formando
vere e proprie comunità economiche; l’integrazione può essere orizzontale, se le
aziende del gruppo svolgono un'attività simile o affine e si collocano sullo stesso
piano del ciclo produttivo; o verticali, se le aziende svolgono un’attività riferita a
fasi diverse dello stesso ciclo produttivo.
b) Gruppi finanziari: nascono per ragioni finanziarie, fra aziende svolgenti attività
diverse tra loro non collegate; all’interno del gruppo vi è un coordinamento nella
gestione finanziaria ma non in quella produttiva e commerciale.
c) Gruppi misti: costituiti da aziende in parte collegate tecnicamente ed
economicamente, in quando svolgenti attività integratesi a vicenda, e in parte
distinte in quanto svolgenti attività eterogenee e differenziate.
Accade spesso che la società controllante assuma la forma di holding, ossia di
società finanziaria. Si denominano con tale termine quelle società che hanno per
oggetto l’assunzione di partecipazioni in altre società, il finanziamento o il
coordinamento tecnico o finanziario di società o enti, la compravendita, il possesso,
la gestione, il collocamento di titoli pubblici o privati.
Un gruppo può sorgere per concentrazione, quando una società acquista
partecipazioni in società già esistenti, o per decentramento quando una grossa
impresa scorpora determinati rami aziendali dando vita a nuove società delle quale
possieda in tutto o in parte il capitale di partecipazione.
Le relazioni dei gruppi societari con la società capogruppo possono essere assai vari,
la più semplice è piramidale, possono esserci anche relazioni di tipo radiale nelle
quali ci sono partecipazioni a catena. Un caso particolare è rappresentato dalle
joint-venture al cui capitale partecipano o società di gruppi diversivo società private
ed enti pubblici della stessa nazione, o società provate ed enti statali stranieri.

Si possono individuare tre fondamentali strutture di gruppo:


1. Struttura semplice.
2. Struttura composta.
3. Struttura complessa.
La struttura semplice è caratterizzata da un
rapporto diretto di partecipazione. In questo caso la
società A (holding o capogruppo) attraverso la
proprietà di una certa quota del capitale sociale,
controlla una o più società:

La struttura composta è caratterizzata da un


rapporto diretto e indiretto di partecipazione. In
questo caso la società A controlla la società B che a
sua volta controlla C, quindi A controlla
indirettamente C. Esiste anche il caso in cui A, B e C
controllino D e che questa controlli E, F e G, si crea
!27
cosi il controllo indiretto a più gradi, tale struttura crea un forte coordinamento ed
efficenza:

La struttura complessa è caratterizzata da rapporti reciproci di partecipazione, di


tipo semplice e di tipo composto, A controlla B che a
sua volta controlla una parte di A. Oppure A
controlla B che controlla C che a sua volta controlla
una quota del capitale di A. Ricordiamo in otre che
ci sono società che tra loro controllano il 50% del
capitale dell’altra società. C’è in oltre da precisare
che nella nostra legislazione, l’art. 2359-bis c.c.,
vieta secondo particolari circostanze, tali
partecipazioni reciproche, per evitare fittizie
moltiplicazioni dei legami azionari:

Continua tra pag 108 e 112 del libro


È possibile che una società x possa vere il controllo su più società cosi da creare dei
disagi “ingiusti” nei confronti delle società con minore quota. Questo è un problema
posto da poco in Europa che non ha ancora applicato delle efficaci politiche
antitrust al contrario degli Stati Uniti.
Per approfondire vedi pag 113.

!28
Seconda parte. Gli strumenti
di verifica delle condizioni
generali del successo del
sistema d’azienda.

!29
Premessa: Libro esercitazioni, richiamo teorico.
Il principio di competenza è uno dei principi fondamentali per la redazione del
bilancio di esercizio e, in particolare, per la determinazione del reddito d’esercizio.
Ricordiamoci che le operazioni che danno vita al ciclo tipico processuale aziendale
danno luogo a tre tipi di flussi che raramente coincidono:
- flussi economici, ossia quelli che riguardano il consumo dei fattori produttivi e
la valutazione dell’utilità conseguita, e che vengono misurati dai costi e ricavi;
- Flussi fisici in entrata e in uscita, i primi con riferimento agli investimenti ed i
secondi con riferimento ai realizzi;
- Flussi finanziari, che concernono le entrate e le uscite finanziare relative al
pagamento degli investimenti e la riscossione dei realizzi.
I flussi sopra descritti si manifestano sfalsati in quanto non sempre al momento
della vendita si percepisce il valore del bene o viceversa.
Quando si procede alla determinazione del reddito di esercizio si prendono in
considerazione esclusivamente i flussi economici, quelli cioè che danno luogo a
costi e ricavi. Tale operazione avviene in modo periodico, suddividendo l’unitaria
attività aziendale in esercizi amministrativi. La divisione in esercizi
amministrativi, pur essendo una finzione del continuo fluire delle operazioni di
gestione, risulta essere assai utile per chi ha degli interessi nei confronti
dell’azienda (stato, banche, azionisti, soci, dipendenti, fornitori ecc..). dunque
diventa necessario individuare un metodo per estrapolare un documento
riassuntivo dell’esercizio, tale documento è il reddito esercizio. Per la corretta
determinazione del redito di esercizio bisogna correggere i costi e i ricavi rilevati
dall’inizio fino al termine dell’esercizio, in seguito al rilevamento di entrate e uscite
di cassa e/o di banca e quindi al sorgere di crediti o debiti di funzionamento. Tale
correzione avviene in sede di redazione del bilancio di esercizio, attraverso le
scritture di assestamento, applicando il principio di competenza economica. Per
principio di competenza economica si intende l’ideale correlazione casuale che si
deve cercare tra costi sostenuti o da sostenere e i ricavi relativi a tali costi,
considerando coacervi di operazioni in periodi amministrativi tutti uguali tra
loro. Il Pincio di competenza economica si articola in tre corollari:
1. Si devono imputare al conto economico, costi e ricavi, per i quali,
rispettivamente, siano stati conseguiti o sostenuti i ricavi o costi correlativi;
2. Si rinviano costi o ricavi, già manifestati finanziariamente, alla
determinazione del risultato economico di un esercizio successivo, in quanto
sia attendibile che nel futuro esercizio debbano conseguissi i ricavi o sostenersi
i costi correlativi (rettifiche).
3. È necessario imputare l’esercizio costi e ricavi non ancora manifestatisi
finanziariamente, in quanto sono stati conseguiti i correlativi ricavi o sostenuti
i correlativi costi (integrazioni).
Lo strumento contabile utilizzato per la determinazione del reddito mediante
l’applicazione del principio di competenza economica è il conto economico,
all’interno del quale vengono indicati i costi (componenti negativi di reddito) nella
sezione di sinistra e i ricavi (componenti positivi di reddito) nella sezione di destra.
Il conto economico ha diverse forme, ad esempio quella accolta dal nostro codice
civile è quella scalare. L’utilizzo del conto economico a sezioni contrapposte viene
però consigliata in quanto è più semplice la comprensione logica del procedimento
!30
di determinazione del reddito di competenza. In particolare è possibile dividere il
conto economico in tre settori, nel primo vengono messi costi e ricavi degli esercizi
passati, nel secondo quali present, nel terzo vengono inserite le correzioni da
applicare a costi e ricavi del primo e del secondo settore che in ottemperanza con il
principio di competenza economica, hanno una correlazione con ricavi e costi di
futura manifestazione.

Il controllo della economicità e della solvibilità e i suoi


strumenti: il bilancio.
(cap 1)

L’attività di governo delle aziende si svolge di norma con l’ausilio di idonei


strumenti conoscitivi. Senza questi strumenti i principi di solvibilità, economicità,
di autonomia, di progresso, efficacia e di unità, sarebbero solo delle enunciazioni
astratte. Tali strumenti possono essere rivolti a verificare le condizioni generali del
successo del sistema d’azienda considerato nella sua unitarietà, oppure le
condizioni particolari di tale successo riguardanti specifici processi di gestione.

Attraverso l’analisi della situazione patrimoniale è possibile verificare se si rispetta


o meno il principio di solvibilità. La situazione patrimoniale è un prospetto formato
da due serie di elementi:
- gli investimenti (attività), ovvero i beni o i diritti che fanno capo all’azienda in
un determinato istante, e possono essere beni materiali come macchinari,
impianti, materie prime ecc, e beni immateriali come brevetti, marchi,
concessioni ecc.
- Finanziamenti (passività e netto) ovvero le obbligazioni o debiti che l’azienda ha
in un determinato istante e il capitale proprio.
Tra gli investimenti hanno distinti gli investimenti a lungo ciclo di reintegro e gli
investimenti a lento ciclo di reintegro, cosi come per i finanziamenti a lungo ciclo di
rimborso e investimenti a lento ciclo di rimborso.
Con tale classificazione gli investimenti (attività) e i finanziamenti (passività e
netto) vengono inseriti all’interno del ciclo tipico processuale aziendale, e quindi
nella loro apparente staticità sono espressione di un momento della
dinamica delle combinazioni aziendali. Gli elementi dell’attivo patrimoniale
possono sempre distinguersi in economici e finanziari. I primi non sono che
investimenti in fattori della produzione in attesa di realizzo (materie prime ad
esempio), si tratta di beni in attesa di trasformazione che a fine ciclo torneranno in
forma monetaria. I secondi ( come immobilizzazioni finanziare, o crediti verso i
clienti) rappresentano investimenti già sottoposti a trasformazione ma situati in
una fase pre-finale rispetto a quella ultima della trasformazione in moneta.
I debiti rappresentano i valori presumibili di esborso al momento in cui i
finanziamenti ottenuti dovranno essere restituiti con conseguente uscita finanziaria
!31
o monetaria. I singoli elementi del passivo e dell’attivo, rappresentano di fatto
previsioni di realizzo nell’ambito dei cicli processuali con riguardo alle attività, e di
esborso con riguardo alle passività.

Spiego un attimo un esempio.


In questa tabella vediamo determinati valori a destra e altri a sinistra, i valori
alla sinistra sono le attività, quelli a destra le passività. In oltre notiamo che la
tabella è divisa in sezioni, nella prima sezione in alto a sinistra ci sono le attività a
lento ciclo di reintegro, nella sezione in alto a destra le passività a lunga scadenza.
Nelle sezioni in basso invece avremo a sinistra le attività a breve ciclo di reintegro
e nella parte a destra le passività a breve ciclo di esborso. In questo esempio
vediamo che le immobilizzazioni fanno parte delle attività, questo perché nel
momento dell’acquisto di un immobile questo ci permette di produrre, di contro i
mutui industriali sono dei costi che dovremo affrontare per il pagamento di tali
immobili, il capitale proprio viene invece messo tra le passività perché è quel
capitale che l’imprenditore mette a disposizione dell’impresa e che poi questa
dovrà restituire, dunque nella prima sezione ci risulta che la situazione
patrimoniale è positiva. Nella seconda sezione abbiamo le attività e le passività
che nel breve tempo pagheremo o acquisiremo e la situazione risulta di equilibrio.

Considerato che i valori deflativo e del passivo sono delle previsioni di entrata e
uscita nel corso dello svolgimento della gestione, al fine di analizzare la solvibilità
dell’azienda si mettono a confronto le attività a lento ciclo di reintegro con le
passività a lunga scadenza più il capitale proprio, e le attività a breve ciclo di
reintegro con le passività a breve scadenza. La solvibilità viene giudicata in
equilibrio allorché le attività a breve ciclo di reintegro siano sufficienti a coprire le
passività a breve ciclo di esborso, ovvero le attività a lento ciclo siano sufficienti a
coprire le passività a lento ciclo di esborso.
Nel caso della tabella qui sopra, le attività sono pari a 1000 e le passività sono pari a
1300, ma in questo caso la fonte di copertura finanziari a lunga scadenza è
superiore degli investimenti a lento ciclo di reintegro in quanto nelle attività a breve
notiamo che esse sono superiori delle passività a breve, dunque la situazione
finanziari appare soddisfacente e non mostra pericoli di insolvenza nel breve
termine.

!32
Nella prima parte si è fatto riferimento all’economicità quale differenziale di lungo
periodo che deve esistere tra i realizzi e gli investimenti più il costo dei
finanziamenti. L’economicità può ricondursi all’attitudine della gestione e
remunerare attraverso i ricavi tutti i costi dei fattori produttivi acquisiti, con
l’evidenza di un divario positivo, ovvero può essere ancora vista come espressione
della variazione positiva del capitale, preso in considerazione all’inizio di un periodo
(differenza tra attività e passività) subisce per effetto della gestione esplicita del
periodo. Il divario tra costi e ricavi, ossia la variazione subita dal capitale per effetto
della gestione, viene definita reddito (utile se positiva, perdita se negativa).
Il reddito, nella sua determinazione sintetica, viene misurato e determinato
confrontando due situazioni patrimoniali relative a due diversi momenti della
gestione sulla linea del tempo.
La differenza tra i netti patrimoniali dei due momenti presi in considerazione
rappresenterà il reddito prodotto nel periodo:
N2-N1= ∆N= Reddito prodotto nel periodo 1-2

Bisogna tener conto, però, che il netto patrimoniale potrebbe subire delle variazioni,
sia per effetto della gestione, che per effetto di eventuali operazioni extra-gestionali,
come ad esempio di apporti o prelievi di capitale da parte dei soci, per cui la
relazione precedente:
N2-N1=∆N- apporti di capitali dei soci+prelievi di capitali dei soci=
Reddito di periodo
inoltre, si deve tenere della possibilità che il potere d’acquisto ad inizio esercizio sia
diverso da quello a fine esercizio, ciò è dovuto all’inflazione. Allora si deve
correggere questo “errore” per render uguali i poteri d’acquisto, per renderli
omogenei, lo si fa anche attraverso i coefficienti di adeguamento.
La nozione di reddito, così definita risata essere troppo sintetica in quanto risponde
solo al seguente quesito: “quanto con l’attività di gestione si è guadagnato?”
Ovviamente questo non soddisfa appieno le finalità di governo, infatti non occorre
solo sapere se l’azienda guadagni o meno, ma è essenziale sapere come il reddito si
sia formato. Per intervenire sulla gestione infatti è necessario sapere quali fattori
abbiano apportato guadagno così da potenziarli, e quali hanno portato perdita così
da neutralizzarli. A tale scopo viene utilizzato il conto economico.

La determinazione analitica del reddito


Per la redazione del conto economico, che è fondamentale per l’analisi del reddito,
bisogna tener conto che il reddito deriva da un confronto tra investimenti effettuati
e realizzi conseguiti. Le operazioni che scaturiscono dallo svolgersi del ciclo
processuale danno luogo a tre tipi di flussi che raramente coincidono.
I flussi economici sono quelli che attengono al consumo dei fattori produttivi e alla
valutazione dell’utilità conseguita e vengono rispettivamente misurati dai costi e
ricavi. Ad essi si riconnette la movimentazione di flussi fisici in entrata con
riferimento agli investimenti (macchinari, merci, ecc) e in uscita con riferimento ai
realizzi (spedizione di prodotti). Infine, i flussi finanziari relativi alle entrate e alle
uscite finanziare connesse al pagamento degli investimenti e alla riscossione dei
realizzi.
Tali flussi, solitamente risultano essere sfasati dal punto di vista temporale, poiché
non sempre alla vendita di un prodotto corrisponde l’avvenuto pagamento del
!33
cliente, e viceversa (pagamento dilazionato). Nella determinazione del reddito di
esercizio si dovrà prendere in considerazione la dinamica dei flussi economici, cioè
di quei flussi che danno luogo a costi e ricavi.
Va puntualizzato che l’attività d’impresa, è unitaria, ovvero nasce e muore con
l’azienda, per cui per conoscere l’esatta situazione reddituale senza alcun errore, si
dovrebbe aspettare la fine della vita aziendale. Ovviamente ci sono attori che per
motivi diversi hanno bisogno di conoscere la situazione reddituale prima della fine
della vita aziendale, tali attori ad esempio potrebbero essere i soci, o lo Stato, o
ancora i manager, e via dicendo. Per fare ciò, la gestione unitaria deve essere
suddivisa in diversi periodi, solitamente annuali o comunque di durata uguale, tale
divisione in realtà non esiste nella gestione, che è costituita da un fluire unitario di
operazioni e travalica i limiti temporali stabiliti dall’uomo per contenere gli esercizi
amministrativi, e ciò crea numerose difficoltà alla corretta determinazione del
reddito.
Per quanto considerato, la determinazione del reddito richiede un metodo che sia in
grado di individuare una differenza (reddito) idealmente astratta, da un qualcosa
(gestione) che non è divisibile. La difficoltà principale è connessa al fatto che il
momento negoziale, nel quale è possibile misurare in moneta i costi e i ricavi, non
coincide, di norma, con quelli dell’effettivo sostenimento del costo e del
conseguimento del ricavo.
Ai fini della corretta determinazione del reddito, non è possibile considerare i costi
e i ricavi rilevati dal principio al termine dell’esercizio, poiché si commetterebbe un
grave errore. Alcuni costi e ricavi infatti, benché contabilizzati, sono relativi ad
operazioni ancora non concluse, cioè non sono stati conseguiti i relativi ricavi e i
relativi costi. Tali costi e ricavi dovranno temporaneamente essere sospesi fino a
quando le operazioni cui si riferiscono saranno concluse e. Essendo noti tutti gli
elementi necessari, potranno contribuire a formare il reddito d’azienda.
Il principio che sul quale ci si basa per la determinazione dei valori suddetti viene
chiamato principio di competenza economica. Per principio di competenza
economica s’intende l’ideale correlazione causale che si deve cercare tra costi
sostenuti o da sostenere e i ricavi relativi a tali costi, considerando coacervi di
operazioni in periodi amministrativi tutti uguali tra di loro.
L’applicazione di tale principio, impone di sospendere le operazioni non ancora
concluse fino a quando non si saranno manifestati i correlativi costi e/o ricavi e
potranno partecipare alla determinazione del reddito.
Bisogna tenere conto, però, che la correlazione tra costi e ricavi è una
macrocorrelazione, perché non sempre è possibile o logico stabilire la relazione tra
singoli costi e singoli ricavi. La correlazione viene quindi considerata
sistematicamente per insiemi di operazioni omogenee.
I corollari sui quali si fonda il principio di competenza economica sono i seguenti:
• Si devono imputare al conto economico costi e ricavi per i quali, rispettivamente,
siano stati conseguiti o sostenuti i ricavi o i costi correlativi;
• Si rinviano costi o ricavi, già manifestatisi finanziariamente, alla determinazione
del risultato economico di un esercizio successivo, in quanto sia attendibile che
nel futuro esercizio debbano conseguirsi i ricavi o sostenersi i costi correlativi
(rettifiche);

!34
• È necessario imputare all’esercizio costi e ricavi non ancora manifestatisi
finanziariamente, in quanto siano stati conseguiti i correlativi ricavi o sostenuti i
correlativi costi (integrazioni).
La corretta determinazione del reddito mediante l’applicazione del principio di
competenza economica ai costi e ricavi si serve di uno strumento contabile di tipo
sintetico comunemente chiamato conto economico, dove per convezione
vengono accolti i costi (componenti negativi del reddito) nella sezione sinistra e i
ricavi (componenti positivi di reddito) nella sezione destra. Il conto economico ha
varie forme di rappresentazione, quella accolta dal nostro codice civile è quella
scalare, tuttavia si ritiene meglio comprensibile la forma a sezioni contrapposte. Si
divide il conto in tre settori per evidenziarne la logica. Nel primo settore vengono
essi costi e ricavi che riguardano l’esercizio precedente e che hanno delle
correlazioni con l’esercizio del presente; nel secondo settore si includono costi e
ricavi di esercizio, che hanno cioè manifestazione negoziale nell’esercizio; nel terzo
settore vengono considerate le correzioni da applicare a costi e ricavi del primo e
secondo settore per determinare il reddito di competenza in funzione delle
manifestazioni di ricavi e costi correlati di futura manifestazione.
Facciamo un esempio:

Conto economico
Componenti negativi I esercizio di attività Componenti positivi
I Settore I settore

II settore II settore
Macchinari 2.000 Ricavi vendita 3.500
Materie prime 1.000
Salari 1.000
Energia 500
Affitti 500
III settore III settore

Il primo settore non presenta alcuna movimentazione, perché ci troviamo davanti


un attività al primo anno di vita. Se considerassimo il risultato di esercizio facendo
la semplice differenza tra i costi e i ricavi nel secondo settore il risultato sarebbe
negativo per 1.500 (-5.000+3.500).
Ma non tutti i costi sostenuti hanno dato luogo ai relativi ricavi: per esempio, i
macchinari sono utilizzabili per ulteriori trasformazioni; inoltre, non tutte le
materie prime sono state trasformate e i prodotti realizzati venduti; è anche stata
acquistata la disponibilità, attraverso fitti pagati anticipatamente, di fattori della
produzione ancora parzialmente utilizzabili in futuro. Infine non tutti i costi di
competenza dell’esercizio hanno avuto manifestazione nell’esercizio come valori
negoziati, e lo stesso dicasi per i ricavi.
Pertanto i dati del secondo settore vanno corretti dagli errori volontariamente
commessi considerando come momento rilevativo dei costi e dei ricavi quello
negoziale e non quello legato ai consumi di utilità dei fattori di produzione e ai
correlati reintegri di utilità attraverso i ricavi.

!35
Le correzioni sono di due tipi: rettifiche e integrazioni. Le rettifiche riguardano i
costi e i ricavi che hanno avuto manifestazione negoziale nell’esercizio o in esercizi
passati ma che vengono giudicati in tutto o in parte di competenza dei futuri
esercizi.
Le rettifiche di costi danno luogo a:
• Rimanenze di costi poliennali: la caratteristica degli investimenti che generano
costi poliennali è che il loro contributo alla gestione viene fornito nel corso di più
esercizi. Alla fine del primo esercizio, solo una parte di tali fattori è stata
“consumata” dando luogo ai relativi ricavi; la parte non consumata, che genera
una rimanga di costo poliennale, ed esprime la possibilità di utilizzare il bene per
ulteriori cicli produttivi, non contribuisce a formare reddito di esercizio, per
tanto, deve essere dedotta dal valore dei costi riportato nel secondo settore. Tale
deduzione è effettuata inserendo il valore di tali rimanenze nel terzo settore dei
componenti positivi di reddito. In modo opposto vengono trattate le rimanenze
di ricavi poliennali qualora fossero presenti;
• Rimanenze di costi di esercizio: i costi di esercizio sono espressione di fattori che
cedono immediatamente la propria utilità. Tuttavia, non tutti i fattori della
produzione a rapido ciclo di reintegro hanno generalmente nel corso
dell’esercizio stesso i correlativi ricavi. Si pensi, per esmpio, alle materie prime
acquisite ma non consumate o ai prodotti trasformati ma non ancora venduti.
Questi costi, che non hanno dato luogo a ricavi correlativi, dovranno essere
“sospesi” temporaneamente e rinviati al futuro, lavando che partecipano al
reddito di esercizio solamente quelli di competenza. I costi di esercizio possono
riferirsi sia a fattori acquisiti a titolo di proprietà sia a fattori acquisiti in uso
( basti pensare ai contratti di locazione degli immobili aziendali, o agli interessi
passivi che vengono pagati per ottenere l’uso di mezzi finanziari) anche tali
fattori possono dare luogo a rimanenze, per esempio quando viene pagato
anticipatamente l’affitto per un periodo che va oltre il momento di chiusura
dell’esercizio amministrativo. Tali costi, che devono per lo stesso motivo essere
“sospesi” temporaneamente prendono il nome di risconti finali attivi.
Trattamento opposto viene riservato alle rimanenze di ricavi di esercizio qualora
fossero presenti (risconti finali passivi).
Le rettifiche vengono effettuate indirettamente in quanto le singole voci del I e del
II settore non subiscono modificazioni; vengono, invece, introdotta delle poste
rettificate nel terzo settore della sezione opposta a quella in cui si trovano le
componenti economiche da correggere.
Cosi le rettifiche dei costi confluiscono nel III settore dei ricavi e le rettifiche dei
ricavi confluiscono nel III settore dei costi. Va osservato come nella realtà dei
bilanci aziendali nel conto economico non sono presenti i costi poliennali e le
relative rimanenze, incluse nel nostro esempio solo per esigenze esplicative. Nella
sezione dei costi viene invece inserita una quota di ammortamento quale
differenza tra il costo iniziale (o rivalutato) del fattore poliennale o la rimanenza
dello stesso alla dine del precedente esercizio e la rimanenza alla fine dell’esercizio
considerato. In tal modo, la quota di ammortamento corrispondente alla differenza
tra i due valori rappresenta il consumo del fattore poliennale di competenza
dell’esercizio considerato.

!36
Le rettifiche sono di seguito rappresentate sinteticamente:

Nell’esempio da cui siamo partiti immaginiamo che vengano introdotte le seguenti


rettifiche:
a. risconti passivi per 100
b. Rimanenze di materie prime per 500
c. Rimanenze di macchinari per 1.800
d. Riscontri attivi per 300

!37
Dopo le rettifiche introdotte, il conto economico diventa il seguente:

Conto economico
Componenti negativi I esercizio di attività componenti positivi
I settore I settore

II settore II settore

Macchinari 2.000 Ricavi di vendita 3.500


Materie prime 1.000
Salari 1.000
Energia 500
Affitti 500
III settore III settore

Risconti passivi 100 Rimanenze mat. prime 500


Rimanenze di macch. 1.800
Risconti attivi 300
Totale 5.100 Totale 6.100
Reddito di esercizio 1.000
Totale 6.100

A questo punto, dopo le correzioni indicate, il reddito di esercizio sarebbe positivo e


pari a 1.000. tuttavia il reddito così determinato non risulta ancora corretto. In
effetti esistono elementi di costo e di ricavo che, pur non avendo avuto
manifestazione finanziaria nell’esercizio ( e dunque non trovandosi nel settore
centrale), hanno già generato i correlativi costi e ricavi. Ci si riferisce a costi e ricavi
presunti, la cui manifestazione finanziaria si avrà in esercizi futuri ma che, sotto il
profilo della cessione e del reintegro di utilità, hanno interessato la formazione
dell’esercizio in esame e che sono di competenza di quest’ultimo. Tali costi e ricavi
danno luogo ad integrazioni correttive.

Integrazioni

Costi di competenza ma di futura manifestazione a) eventi aleatori nell’an e nel quantum


relativi a: b) Eventi certi nell’an ma incerti nel quantum
c) Fattori presi in uso
Ricavi di competenza ma di futura manifestazione d) Fattori dati in uso
relativi a:

( la differenza tra rettifiche e integrazioni sta nel fatto che le rettifiche riguardano
correzioni che hanno avuto manifestazione finanziaria, le integrazioni non si sono
manifestate invece)

Si hanno:
a) eventi aleatori nell’an e nel quantum relativi a rischi attuali, sono operazioni
per le quali non si sono manifestate ancora eventi dannosi, che non sono stati
assicurati o che non si possono assicurare. In questo caso si è incerti sul
!38
momento e sull’incidenza che tali aventi eventi possono verificarsi. È
comunque evidente che debbano essere presi in considerazione nella
determinazione del reddito di competenza.
b) Eventi certi nell’an ma incerti nel quantum, tra i quali si fanno rientrare le
quote di trattamento fine rapporto (TFR), per imposte e tasse, per
manutenzioni subordinate, ecc. In questi casi vi è la certezza della
manifestazione di tali costi, ma bisognerà prevederne l’ammontare. La quota
TFR rappresenta la parte differita della retribuzione di ogni lavoratore
dipendente e sarà percepita alla fine del rapporto di lavoro. Ad ogni esercizio si
dovrà determinare una quota di tale retribuzione, ancorché non pagata, ma
veramente di competenza, dal momento che il lavoratore con il suo lavoro avrà
contribuito in quell’esercizio alla formazione dei ricavi, sebbene la
manifestazione del costo si avrà soltanto a fine del rapporto di lavoro con il
dipendente. Con riguardo alle imposte, esse, di norma, vengono pagate anni
dopo la chiusura dell’esercizio. Pertanto una previsione di tali oneri va fatta
per poterli correttamente riferire all’esercizio di competenza.
c) I costi relativi a fattori acquisiti in uso ma di futura manifestazione
riguardano le quote di costi per fitti e interessi passivi aventi manifestazione
posticipata rispetto alla competenza (ratei passivi). In questi casi i fattori di
produzione di cui si è acquisito l’uso verranno pagati successivamente
all’utilizzo degli stessi, dopo, l’erogazione del loro contributo alla produzione
dei ricavi, nell’esercizio in chiusura. Per i ricavi relativi a fattori ceduti in uso
ma di futura manifestazione, denominati ratei attivi la situazione è
esattamente opposta a quella dei ratei passivi, dal momento che si stratta di
integrazioni di ricavi.
Nell’esempio avviato consideriamo che vengano effettuate le seguenti integrazioni:
- Viene calcolata la quota TFR di 200
- Vengono svalutati i crediti per 200
- Vengono accantonate imposte future per 100
- Vengono calcolati ratei attivi per 100
- Vengono calcolati ratei passivi per 100

Conto economico I esercizio di attività

Costi di esercizio 3.000 Ricavi di esercizio 3.500


Costi pluriennali 2.000
Rettifiche di ricavi Rettifiche di costi
Risconti passivi 100 Risconti attivi 300
Rimanenze mat. prime 500
Rimanenze costi plurien. 1.800
Integrazioni di costi Integrazioni di ricavi
Quota TFR 200 Ratei attivi 100
Svalutazione crediti 200
Imposte presunte 100
Ratei passivi 100
Totale costi 5.700
Reddito d’esercizio 500
Totale 6.200 Totale 6.200

!39
Risconto passivo: un fitto attivo viene registrato ha avuto manifestazione
finanziaria nell’anno X, fitto che però riguarda un periodo che sta a cavallo tra
l’anno X e l’anno X+1. Nel conto economico dell’anno X si troverà iscritto tutto il
fitto attivo tra i ricavi. Al 31/12 dell’anno X, nel momento in cui si ridire il bilancio,
va considerato il fatto che il fitto riguarda un periodo che sta a cavallo, dunque
bisogna scinderlo in base al tempo. La parte di fitto attivo che non è di
competenza dell’anno X, ma dell’anno X+1, andrà rinviata al futuro esercizio
attraverso un’operazione di rettifica che va sotto il nome di risconto passivo. E
che trova posto tra i costi nel terzo settore e che nel conto del futuro anno sarà
nel primo settore dei ricavi.
Risconto attivo: nell’anno X viene pagata una somma anticipatamente relativa a
un periodo che sta a cavallo tra l’anno X e l’anno X+1. La somma ha avuto
manifestazione finanziaria nell’anno X, quindi verrà iscritta per intero tra i costi
dell’anno X, nel momento in cui si redige il bilancio la somma deve essere scissa
in base al tempo. La parte della somma che non riguarda l’anno X ma il
successivo, deve essere rinviata al futuro con un’operazione di rettifica sotto il
nome di risconto attivo e viene iscritta nel terzo settore nella parte dei ricavi, cosi
nel conto economico dell’anno X+1 la scriveremo tra i costi del primo settore
sotto forma di integrazione.
Fattura da emettere: nell’anno X vedono spediti dei prodotti a un cliente che
pagherà successivamente, dunque non risulta ancora emessa alcuna fattura, la
quale verrà emessa nell’anno X+1. Nel momento della redazione del conto
dell’anno X va comunque considerato il fatto che anche se non si è manifestata
finanziariamente, la vendita fa parte di quell’esercizio, dunque andrà imputato
all’esercizio dell’anno X un’integrazione che va sotto il nome di fattura da
emettere e trova posto tra i ricavi del terzo settore. Relativamente all’anno X+1
essa troverà luogo tra i costi del primo settore sotto forma di rettifica,
successivamente quando sarà emessa la fattura verrà contabilizzato il ricavo che
avrà luogo tra i ricavi del secondo settore sotto il nome di ricavo di vendita.
Rateo passivo: nell’anno X+1 verrà pagata una somma relativa all’anno X per un
periodo che sta a cavallo tra i due anni. La quota da pagare nell’esercizio
dell’anno x non avrà manifestazione finanziaria ma in fase di bilancio si dovrà
calcolare la parte di competenza di quell’anno, tale parte calcolata, attraverso
un’operazione di integrazione troverà posto tra i costi del terzo settore sotto il
nome di rateo passivo. Nell’anno X+1 la parte calcolata relativa a quell’anno si
troverà nel primo settore tra i ricavi attraverso l’operazione di una rettifica. Nel
momento in cui la quota verrà pagata verrà contabilizzata per il suo importo
totale nel secondo settore tra i costi.
Ammortamento: nell’anno X si acquista un macchinario per una certa somma, si
riflette però sul fatto che il macchinario avrà durata di 10 anni e dunque si deve
suddividere il suo costo negli anni. L’acquisto del macchinario rappresenta per
l’azienda un costo poliennale. Nel conto dell’anno X, anno in cui si ha la
manifestazione finanziaria dell’acquisto, troveremo il costo per intero, per
spalmare negli anni la quota dell’acquisto si procede con l’ammortamento. La
parte di costo pluriennale non imputabile all’anno X, ma agli altri, andrà nel terzo
settore tra i ricavi attraverso una rettifica e lo troveremo col nome di rimanenza
finale di costo poliennale. Relativamente all’anno X+1, la rimanenza finale di
costo poliennale sarà tra i ricavi del primo settore sotto forma di integrazione. Al
momento di redigere il conto economico dell’anno X+1, la procedura si ripete e
cosi via con gli altri anni, cosi da spalmare l’intera somma sul periodo di tempo di
vita del macchinario. !40
TFR: La quota da accantonare annualmente al TFR si compone di due elementi: la
quota di effettiva competenza di quell’anno che si calcola dividendo l’importo
della retribuzione annuale per 13,5; la rivalutazione del fondo preesistente che si
ottiene applicando a quest’ultimo un tasso di rivalutazione del 1,5% aumentato
del 75% dell’aumento dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di
operai e impiegati registrato rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.
Alla quota così determinata va sottratto ‘importo del contributo FAP ( fondo
pensioni) anticipato nel corso dell’anno dal datore di lavoro all’INPS e pari allo
0,50% delle retribuzioni soggette a contribuzione.
Nell’anno X i coti relativi agli stipendi sono stati di 46.000€ e nell’anno X+1 sono
aumentati a 52.000€. Dobbiamo adesso determinare il TFR da imputare ai
rispettivi anni e correggere il bilancio. Calcolando con i dovuti dati abbiamo che il
TFR dell’anno X sarà di 4.077€ quello dell’anno X+1 sarà di 4.675€.
Non essendosi ancora manifestata finanziariamente, la quota TFR andrà imputata
attraverso un’operazione di integrazione che trova posto tra i costi del terzo
settore, in questo modo nel bilancio dell’anno X avremo la quota TFR di 4.077€.
Nel bilancio dell’anno X+1, il TFR dell’anno X sarà tra i ricavi del primo settore,
successivamente al 31/12 si dovrà calcolare il TFR maturato, tale quota si troverà
ad essere rettificata dal TFR relativo all’anno precedente presente nel primo
settore. In questo modo nel conto economico dell’anno X+1 si troverà la quota
effettivamente da accantonare che in questo caso è 8.752€ (TFR maturato
all’anno X+1) - 4.077€ (TFR anno X)= 4.675€.

Tale procedura andrà ripetuta per ogni esercizio. Ogni anno aumenterà e diminuirà
nel momento un cui un dipendente verrà liquidato. Nella prassi contabile, in realtà,
si scrive semplicione nel conto economico la quota TFR:

(risconto passivo incasso prima, risconto attivo pago prima, fattura da emettere
spedisco al cliente che paga dopo, rateo passivo io pago dopo, ammortamento io
compro macchinari che pago negli anni,TFR ogni anno amento la quota)

!41
Relazione tra i valori del conto economico, quelli dello stato patrimoniale e quelli
del conto economico successivo: il sistema dei valori del bilancio di esercizio:

Il conto economico ha strettissime relazioni con lo stato patrimoniale. Entrambi i


prospetti forniscono una diversa rappresentazione dello stesso oggetto, che è il
reddito d’esercizio (l’uno analitica, l’altro sintetica.) tali relazioni risultato
ulteriormente evidenti nel caso delle rettifiche e delle integrazioni che dl conto
economico vengono trasferite nello stato patrimoniale.
• Rimanenze finali d’esercizio: si tratta di beni facenti parte del patrimonio
aziendale e che sono in attesa di realizzo, per tale motivo trovano giusta
collocazione tra le attività dello stato patrimoniale.
• Risconti finali attivi: nonostante si tratti di beni o di diritti di cui si è acquistati
semplicemente l’uso, si tratta di un investimento acquisto nella disponibilità
aziendale, che parteciperà ad altri cicli produttivi, anche i risconti trovano posto
tra le attività dello stato patrimoniale in quanto investimenti.
• Risconti finali passivi: caso opposto al precedente, quello delle rettifiche di ricci si
riconduce ad una rinuncia alla disponibilità di taluni fattori specifici o generici,
per i quali si è già “patrimonializzato” (entrate finanziarie) un realizzo in parte
non di competenza che va perciò corretto mediante collocazione del resoconto
nella sezione di destra dello stato patrimoniale.
• Rimanenze di ricavi poliennali: questa voce non è comunemente riportata nei
bilanci, ma si riferisce a quei contratti che a fronte di un unico pagamento
prevedono la fornitura di un bene o un servizio per più periodi amministrativi.
Una parte di tali ricavi è di futura competenza, del resto vale anche per essi
quanto già detto dei risconti passivi.
• Quote di costi presunti di futura manifestazione: ogni anno vengono imputate tali
quote di presunti costi ( TFR, manutenzione, ecc). Nello stato patrimoniale si
procederà ad accumulare tali quote nel tempo creando nel passivo degli apposti
fondi in maniera da attualizzare le connesse prospettive di esborsi.
• Quote di ricavi presunti di futura manifestazione: nonostante la manifestazione
numerica posticipata, tali ricavi esprimono un’attesa di entrate che compete
all’esercizio e pertanto si iscrivono in attivo.
• Rimanenze di costi poliennali: il valore dei costi poliennali nel stato
patrimoniale, si ottiene per differenza tra il valore originario del cespite e la
somma delle quote di ammortamento imputate (consumi del cespite). Tali quote
di ammortamento, che vengono iscritte per ciascun cespite nel conto economico,
vengono progressivamente accumulate nei fondi di ammortamento che si
trovano nel passivo dello stato patrimoniale. Tali fondi servono a correggere il
valore del bene poliennale per esprimere la parte di investimento ancora in attesa
di realizzo in previsione delle potenzi<litò di utilizzo futuro di tale bene. Il c.c.
dispone che tale rettifica venga effettuata direttamene detraendo il valore del
fondo di ammortamento dal valore del cespite ammortizzabile: si perde cosi la
misura del valore originario e della parte che fino a quel momento è stata
consumata, con l’effetto di non poter valutare la probabile vita residua del cespite
se non tramite una nota integrativa.

!42
A questo punto redigiamo la situazione patrimoniale col conto economico
precedente modificando alcune voci:
- Il c/c bancario attivo presenta una consistenza di 700.
- I crediti verso i clienti ammontano a 600.
- Il c/c bancario passivo ha una consistenza di 500.
- È stato contratto un mutuo passivo per finanziare la gestione di 800.
- I debiti verso i fornitori ammontano a 400.
L’utile d’esercizio viene incluso nel passivo dello stato patrimoniale perché
rappresenta l’incremento che il capitale iniziale subisce per effetto della gestione;
nel gergo contabile esso costituisce una parte ideale del netto.

Stato patrimoniale
I esercizio di attività
Rim. Finali di costi pluriennali 1.800 Netto iniziale 1.000
Utile d’esercizio 500
Risconti attivi 300 Mutui passivi 800
Banche 700 Fondo TFR 200
Rimanenze di m.p. 500 Fondo sval. Crediti 200
Ratei attivi 100 Banche 600
Crediti 600 Imposte 100
Fornitori 400
Ratei passivi 100
Risconti passivi 100

Totale investimenti 4.000 Totale finanziamenti 4.000

Quanto esposto riguarda uno stato patrimoniale al primo anno d attività. Vediamo
adesso cosa succede nel momento della determinazione del reddito del secondo
esercizio dell’azienda. In questo caso bisognerà tenere conto degli effetti delle
operazioni che erano state “sospese” in quanto correlati a futuri costi e ricavi. Per
fare ciò analizzeremo gli elementi del terzo settore del conto economico del primo
esercizio di attività:
• Rettifiche di costi e ricavi: nell’esercii precedente le rettifiche di componenti
negative erano state inserite nella componente positiva in quanto considerate
operazioni per le quali si è fatto investimento in attesa di ricavi correlativi. Per il
secondo esercizio è logico inserirli nel primo settore fra le componenti negative,
come integrazioni di costi del nuovo esercizio. Per le stesse considerazioni, le
rettifiche di ricavi verranno considerate integrazioni di ricavi indirete nel primo
settore tra le compienti positive.
• Integrazioni di costi e ricavi: alla fine del secondo esercizio l’impresa dovrà
effettuare analoghe integrazioni rispetto all’esercizio precedente. In particolare
verrà esposto nuovamente tra i costi l’ammontare complessivo, ad esempio, del
TFR. Tuttavia, una parte di tali costi è già stata imputata all’esercizio precedente
e, quindi, se non si rettificasse il dato, si farebbe partecipare tale parte di costo
anche alla formazione del reddito del nuovo esercizio, con un effetto di
duplicazione. La rettifica di tali cosi viene effettuata inserendo le integrazioni di
costi del primo esercizio nel primo settore nella sezione dei ricavi. La differenza
tra questo valore e quello nel terzo settore nella sezione di sinistra indica la quota
di costo di competenza dell’esercizio. Allo stesso modo le integrazioni di ricavi
!43
vedono trattate secondo la stessa logica delle integrazioni di costi. In sintesi
possiamo affermare che le integrazioni di un esercizio diventano rettifiche negli
esercizi successivi, viceversa le rettifiche diventano integrazioni.

Lo stato patrimoniale e il conto economico nella forma prevista dagli art. 2424 e
2425 del codice civile

Gli schemi finora utilizzati rispondono ad un esigenza logica in quanto ritenuti utili
per dimostrare il modo in cui si perviene alla costituzione del bilancio. Tali schemi
vengono in buona parte diversamente rappresentati dalla nostra legislazione che ha
reso obbligatorie altre forme statuite dal D.Lgs. del 9 aprile 1991 n. 127. Gli schemi
previsti sono quelli degli art. 2424 per lo stato patrimoniale e 2425 per il conto
economico del c.c.

La struttura prevista è quella delle sezioni contrapposte. L’attivo è suddiviso in


quattro classi principali evidenziate dalle lettere maiuscole. Va sottolineato che la
classificazione non è basata sul criterio finanziario della liquidità, per il quale le
attività vengono raggruppate in funzione del periodo entro cui queste si
trasformano in liquidità, bensì si fonda sul criterio della destinazione dei valori
patrimoniali rispetto all’attività ordinaria dell’impresa.
Il passivo è suddiviso in cinque classi. Anche in questo caso la classificazione delle
voci non segue il criterio finanziario della liquidità, per il quale le passività vanno
raggruppate in funzione del periodo entro cui queste saranno esigibili sotto forma
!44
liquida, distinguendo sostanzialmente tra mezzi piropi e mezzi di terzi. Al fine di
fornire informazioni che siano di natura finanziaria, per talune voci dell’attivo e del
passivo è richiesta la distinzione tra quegli importi che sono esigibili entro
l’esercizio e quelli esigibili oltre l’esercizio successivo.
Volendo dare un giudizio sulla idoneità di tale schema a svolgere la funzione
informativa evidenziata per lo stato patrimoniale per l’analisi della solvibilità
aziendale, va detto che questo non dà la possibilità di pervenire in maniera
autonoma ed immediata ad un raffronto tra attività e passività a lento ciclo di
reintegro o rimborso e attività a lungo ciclo di reintegro o rimborso.

!45
Passando al conto economico, è stata adottata la forma espositiva scalare, che
consente di mettere in evidenza alcuni risultati parziali ritenuti significativi.
La classificazione dei costi è fatta per natura ( in base alla causa economica che li ha
determinati) e non per destinazione ( in base all’aera funzionale che ha utilizzato i
fattori della produzione creano il costo).
Lo schema adottato prevede il raggruppamento delle diverse voci in cinque classi.
Le prime due comprendono componenti positivi e negativi di reddito che riguarda
l’attività che contraddistingue e caratterizza l’azienda. I raggruppamenti
contrassegnati con le lettere C) e D) riguardano invece l’area cosiddetta finanziaria,
all’interno della quale si trovano componenti positivi e negativi di reddito di natura
finanziaria. Il raggruppamento contrassegnato dalla lettera E) attiene all’aerea
cosiddetta straordinaria in cui la straordinarietà delle operazioni riguarda
l’occasionalità delle stesse. Vengono poi evidenziate, dopo aver determinato il
risultato prima del prelievo fiscale, quelle che sono le imposte, in modo da arrivare
al termine alla determinazione dell’utile o perdita d’esercizio.
Va notato che se la finalità principale del Conto Economico è quella di mostrare la
dinamica delle operazioni compiute all’interno di un esercizio, evidenziando
risultati economici intermedi di sintesi significativi, lo schema previsto dalla
legislazione non assolve fino in fondo a tale scopo.
La differenza tra valore e coti della produzione (A-B) comprende elementi di tipo
accessorio.
Va notato inoltre che il valore della produzione ( lettera A dello schema) fa
riferimento a elementi eterogenei come valore di ricavi, valore variazione di scorte,
semilavorati e prodotti finiti.
Il conto economico civilistico non permette, noltre, di evidenziare altri importanti
risultati intermedi all’interno dell’attività che caratterizza l’azienda.

Limiti della determinazione del reddito d’esercizio:


incertezza, arbitrarietà, relatività.
(cap 2)

La metodologia che si è illustrata garantisce solo una correttezza formale del


risultato. Tutte le componenti di reddito sono soggette a stima. Il risultato
economico della gestione è un risultato incerto, ancorché sia stato correttamente
determinato; detta incertezza deriva dalle previsioni. Queste sono caratterizzate da
due fattori:
- Incertezza ( fattore oggettivo in quanto non si può conoscere il futuro);
- Arbitrarietà ( fattore soggettivo, la pressione è influenzata dalle caratteristiche
del soggetto che la formula).
In base a ciò si può dire che, il reddito è tanto più incerto quanto sono maggiori le
componenti del primo e del terzo settore del conto economico ( componenti del
passato e del futuro).
Anche le attività e le passività dello stato patrimoniale sono delle previsioni
sottoposte ad incertezza ed arbitrarietà.
!46
L’effetto di tutto questo fa si che le quantificazioni delle attività, passività e del netto
patrimoniale non siano effettive ma solo apparenti. Cosi anche i costi e i ricavi non
sono certi e dunque il reddito che ne deriva è apparente.

Attività apparenti> Attività effettive


=> Netto apparente>Netto effettivo
Passività apparenti> Passività effettive

In questo caso le attività sono sopravvalutate e/o le passività sottodimensionate,


dunque si verifica il fenomeno dell’annacquamento del capitale.

Se invece:

Attività apparenti< Attività effettive


=> Netto apparente< Netto effettivo
Passività apparenti< Passività effettive

In questo caso si verifica la costituzione delle riserve occulte.

Stesso fenomeno può crearsi con costi e ricavi.

Nonostante le inevitabili incertezze ed arbitrarietà, è necessario che i criteri di


valutazione utilizzati nella determinazione delle componenti del bilancio rispettino
il principio di prudenza , secondo il quale ricevi incerti, non ancora realizzati, non
devono esser contabilizzati, mentre tutti i costi di competenza, anche se ancora non
sostenuti, devono essere considerati nel bilancio. Il principio di prudenza agisce nel
senso di comprimere i valori in modo da non gonfiare il netto effettivo o il reddito
effettivo.

Nella figura affianco si vede l’effetto cumulato


delle previsioni concernenti sia le attività sia le
passività. Le la sottostima di talune attività e
passività è pari alla sovrastima di tal altre, il
bilancio formalmente non è corretto, in quanto
non lo sono le singole stime, anche se
sostanzialmente il risultato sintetico cui si
perviene può essere corretto.
Nelle aree di annacquamento di capitale sono
preponderanti elementi di imprudenza; nelle
aree di riserve occulte, sono maggiori gli
elementi di prudenza.
Gli errori di valutazione danno luogo a voci del
conto economico che non si ispirano né al
principio di competenza né a quello di
prudenza: le sopravvenienze attive o passive
che non sono costi o ricavi di competenza ma correzioni ad errori nell’applicare il
principio di prudenza fatti nel passato.
!47
Il principio di liquidità dei costi e ricavi al momento del bilancio

Per spiegare il principio di liquidità ricorriamo ad un esempio. Prendiamo in


considerazione le rimanenze di prodotti finiti, quale valore è conveniente dare in
bilancio alle suddette rimanenze?
Il criterio che sembrerebbe idoneo per valutare queste sarebbe quello del loro valore
di futuro realizzo, derivante dal presunto prezzo di vendita. In questo modo però il
valore verrebbe imputato all’esercizio in cui i prodotti finiti sarebbero stati
fabbricati, applicando invece il principio di competenza economica, tale valore
verrebbe suddiviso tra i due esercizi in proporzione degli investimenti affrontati.
Bisogna ricondurre questo valore alla data di bilancio!
Il valore di realizzo costituisce un limite che va ridotto per le ragioni esposte.
L’entità della riduzione potrà essere stabilita prendendo in considerazione i costi
che sono stati sostenuti per l’ottenimento dei prodotti finiti in rimanenza e che
costituirebbero il limite minimo della valutazione stessa.
Facciamo un esempio: supponendo che il valore presunto del futuro realizzo sia
400.000 e il costo è stato di 300.000, i 100.000 di guadagno dovranno essere divisi
tra i due esercizi, mettendo a bilancio del primo esercizio solo 350.000 di realizzo.
Se invece il futuro realizzo della vendita dei prodotti finiti è 400.000 e il costo è
stato di 500.000 i 100.000 di perdita non verranno suddivisi e verranno imputati
solo al primo esercizio. Cosi facendo diminuiscono i realizzi ma si rispettano i
principi di competenza economica e di prudenza. In conclusione la valutazione
andrà fatta al valore presunto di realizzo congruentemente rotto se questo è
superiore al costo; viceversa andrà fatta al valore di presunto realizzo senza alcuna
riduzione.
Situazione analoga vale per le materie prime e per i semilavorati, con la differenza
che con questi devono essere considerati anche i costi he ancora si devono
affrontare per l’acquisto di questi.
Simili criteri vengono utilizzati per la stima dei crediti nei confronti dei clienti, per
essi bisogna prima valutare l’effettiva possibilità del loro realizzo, apportando le
dovute correzioni attraverso il “Fondo svalutazione crediti”. Occorrerà poi tener
conto del tempo che intercorre tra la data del bilancio e quella dell’effettivo realizzo
dei crediti. In modo analogo, con dovute differenze, si procederà per i debiti verso i
fornitori. Per la valutazione delle immobilizzazioni tecniche si ricorrerà a criteri
concettuali orientati ad ammortizzare nei tempi più brevi tali fattori produttivi.

I principi di redazione del bilancio secondo il c.c.

Il legislatore, per l tutela dei terzi, fornisce indicazioni rigorose per l’applicazione
del principio di prudenza consentendo la creazione di riserve occulte e vietando gli
annacquamenti di capitale. Tale volontà è in qualche modo contraddittoria, in
quanto stabilisce che il reddito sia determinato secondo il principio di competenza
economica e che il bilancio “deve rappresentare in modo veritiero e corretto la
situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico
dell’esercizio”.

!48
In questo senso il principio di prudenza prevale sul principio di competenza
economica. È un principio posto a tutela e salvaguardia delle aziende in quanto
tende a dare alle stesse maggiore solidità patrimoniale ritenuta base per lo sviluppo
economico.
Il codice civile- al di là della clausola riportata nell’art. 2423 c.c.- regolamenta i
principi e i criteri di redazione del bilancio fondamentalmente con due articoli: l’art
2423-bis e l’art 2426: il primo sottolinea dei principi generali, il secondo enuncia
dei criteri di valutazione specificatamente per singole voci dell’attivo patrimoniale.
-L’art. 2423-bis:
1) La valutazione delle coi deve essere fatta secondo la prudenza e nella
prospettiva della comunicazione dell’attività;
2) Si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura
dell’esercizio;
3) Si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio,
indipendentemente dalla data d’incasso o del pagamento;
4) Si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio,
anche se conosciuti dopo la chiusura di questo;
5) Gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati
spontaneamente;
6) I criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro.

Il punto 1 del codice impone alle valutazione una connotazione dinamica


sottintendendo un riferimento al ciclo economico in una prospettiva di
funzionamento. Altri sarebbero i principi in situazioni diverse come cessazione
dell’attività in caso di liquidazione.
Il punto 2 afferisce direttamente al principio di prudenza con una terminologia
equivoca; infatti avrebbe dovuto parlare di ricavi piuttosto che di utili realizzati; è
chiara comunque la volontà del legislatore di citare che vengano imputati al conto
economico ricavi non realizzati e dunque incerti.
Il punto 3 riguarda la competenza economica, e stabilisce che tutti i costi e ricavi
vadano imputati al conto economico per competenza e non per cassa.
Il punto 4 concerne i rischi e le perdite di futura e dunque incerta manifestazione, di
cui si deve tenere conto rispettando il principio di prudenza.
Il punto 5 stabilisce il principio di omogeneità dei contenuti delle voci ed è
finalizzato alla chiarezza espositiva del bilancio.
Il punto 6 riguarda la comparabilità dei bilanci in epoche successive, che impone
che la redazione dei bilanci sia effettuata con gli stessi criteri di valutazione. Se i
bilanci non fossero comparabili, infatti, non sarebbe possibile stabilire se un
esercizio è andato meglio di un altro, e il bilancio perderebbe così la sua valenza
informativa.
I principi di valutazione contenuti nell’art 1423-bis sono integrati dall’art. 2426 che
espone i criteri di valutazione che forniscono delle indicazioni concrete sul modo
con cui valutare i singoli elementi dello stato patrimoniale e rappresentano una
specificazione dei principio contenuti nell’art. 2423-bis.

Leggi art. 2426 c.c. fino al punto 12.

!49
1 e 2. Valutazione delle immobilizzazioni: sul punto il legislatore prescrive che le
immobilizzazioni vadano iscritte secondo il loro valore di acquisto o produzione,
seconda che siano state prodotte all’esterno o all’interno dell’azienda. Il legislatore
sdciace l’obbligo di procedere sistematicamente all’ammortamento delle
immobilizzazioni acquisite.
3. Rettifica di valore delle immobilizzazioni: la previsione legislativa contenuta in
questo punto ha una sua ratio detta dal fatto che esistono dei fenomeni di
“obsolescenza”(6), per cui l’utilità di alcuni fattori della produzione pluriennali, che
era stata programmata per un certo numero di anni, viene meno o si esaurisce
prima del tempo previsto, e quindi il residuo valore da ammortizzare delle
immobilizzazioni che diventano obsolete risulta maggiore di quello che si ritiene
congruo in rapporto alla “residua possibilità di utilizzazione” delle stesse. Per cui il
valore iscritto in bilancio di questi cespiti, per motivi di prudenza, deve essere
rettificato, procedendo a una svalutazione di tali beni, ed evitando così di avere
come risultato una vision annacquata del patrimonio dell’azienda.
Inoltre se i motivi della rettifica vedono meno, si deve procedere al ripristino del
valore di costo.
4. Valutazione delle partecipazioni: la previsione normativa riguarda il caso in cui
una società abbia delle partecipazioni in un’impresa controllata o collegata; il
legislatore prescrive che deve essere valutata in funzione del capitale netto della
partecipata. In particolare in tale valutazione si deve seguire l’andamento del
patrimonio della controllata o collegata e in base a principio di prudenza, se esso
subisce una diminuzione, va registrato, se subisce un aumento non va tenuto in
considerazione. Questo metodo è chiamato patrimonio netto.
5. Verifica del collegio sindacale per gli investimenti a carattere immateriale: il
legislatore afferma che ci sono alcuni investimenti a carattere immateriale per i
quali risulta difficile verificare l’esistenza di una utilità prospettica. Per questo
motivo per essere iscritti al bilancio occorre una verifica da parte del collegio
sindacale.
6. Valutazione dell’avviamento: per avviamento si intende la differenza tra il prezzo
di acquisto di un’azienda ed il suo capitale netto. La sua determinazione avviene
dopo l’acquisto. La sua rappresentazione in bianco segue le stesse sorti del punto
precedente.

(6) il fenomeno dell’obsolescenza viene dalla maggior parte dei studiosi di economia aziendale definito
come invecchiamento economico e deprezzamento dei fattori tecnici poliennali della produzione per
effetto del progresso tecnico che può provocare negli impianti posseduti una perdita di valore di natura più
o meno imprevedibile, improvvisa ed indeterminabile. Nella sostanza, l’obsolescenza deve essere
considerata come la minore durata, rispetto a quella assunta come ipotesi in fase programmatica, dei
fattori la cui capacità produttiva viene acquisita per periodi poliennali.

!50
7. Valutazione del disaggio sui prestiti: riguarda l’emissione dei prestiti
obbligazionari. Questi sono caratterizzati da una durata normalmente superiore
all’anno e sono in genere rappresentati da titoli al portatore(8) di libera circolazione.
L’emissione di tali prestiti può avvenire sotto la pari, alla pari, sopra la pari, a
seconda che il prezzo di emissione si rispettivamente inferiore, uguale o superiore al
nominale delle obbligazioni, che rappresenta il valore di restituzione del prestito. Il
disagio di emissione si configura come un costo pluriennale che compete all’intero
periodo di durata del prestito e he conseguentemente deve essere ripartito tra tutti
gli esercizi compresi in tale durata. Conseguentemente deve essere iscritto
nell’attivo, tra le immobilizzazioni immateriali, e armonizzato in ogni esercizio per
la parte di competenza di quest’ultimo.
8. Valutazione dei crediti: la prescrizione civilista implica che eventuali
svalutazioni, connesse alle insolvenze dei debitori, siano portate in rettifica diretta
del valore dei crediti sull’attivo.
In passato, invece, si costituiva il fondo svalutazione crediti iscritto al passivo.
Nella nota integrativa sono indicati il valore originario, la svalutazione ed i crediti di
svalutazione adottati.
9. Valutazione delle rimanenze: le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non
costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione; col
ristette del principio di prudenza.
10. Valutazione dei beni fungibili: i beni fungibili sono quei beni che sono tutti
uguali e che di conseguenza possono essere sostituiti indifferentemente tra loro, il
loro costo può essere calcolato tramite la media ponderata oppure con quelli
fifo(first in first out).
11. Valutazione dei lavori in corso su ordinazione: vi sono delle aziende che
lavorano per appalti. A tali aziende vengono periodicamente liquidati corrispettivi
per il lavoro svolto sulla base di un contratto nel quale si ha la quantificazione per
l’intero appalto. Pertanto non si hanno incertezze sui ricavi. Le rimanenze di tali
lavori possono essere valutate come frazioni del ricavo totale in relazione al lavoro
effettivamente svolto.

(8) I titoli di credito sono documentati una promessa unilaterale di pagamento o ordine di
pagamento di una somma di denaro. I titoli si distinguono in: titoli al portatore, che attribuiscono il
diritto alla prestazione solo con la loro consegna; titoli all’ordine, che si trasferiscono tramite la
consegna e girata ( ordine che l’intestatario dà al debitore di eseguire la prestazione a favore di
una terza persona); titoli nominativi, intestati ad una determinata persona attribuendole il diritto
alla prestazione, tuttavia il loro trasferimento è possibile anche mediante girata piena.

!51
La determinazione del cosiddetto reddito imponibile

Il reddito di esercizio a cui si perviene mediante l’applicazione della normativa


civilistica può considerarsi la misura legale del reddito prodotto e risponde
all’esigenza di tutelare gli interessi dei terzi e di definire un limite per la
distribuzione dei dividendi.
Accanto a questa configurazione di reddito d’esercizio vi è quella del reddito fiscale
imponibile, a cui si perviene mediante l’applicazione della normativa tributaria e
che risponde all’esigenza di garantire il prelievo tributario stabilito dalla legge.
Per le determinazione del reddito si utilizza i metodo del doppio binario prendendo
in considerazione entrambe le normative ma senza che l’una intacchi l’altra cosa che
prima accadeva generando confusione e illeciti nella redazione perché era
consentito nella misura in cui una delle due “intralciava” l’altra, infatti le normative
difendono esigenze diverse. L’orientamento attuale è quello di separare le due
normative.

Relatività del bilancio ed interessi prevalenti

Oltre all’incertezza, all’arbitrarietà, esiste un’altra caratteristica propria della


determinazione del reddito e connesso al capitale di funzionamento ed è la
relatività. Essa porta alla determinazione dei risultati funzionali ad un fine
prevalente che consiste nel soddisfare i diversi interessi che ci sono in un’azienda.
Spesso questi interessi possono essere in contrasto tra di loro, basti pensare ad
esempio agli interessi che può avere lo Stato per quel che riguarda la parte fiscale, o
gli interstizi degli azionisti, dei lavoratori, dei manager e cosi via. Tutti questi
interessi interessi finiscono con l’influire nelle valutazioni di bilancio e sulla
determinazione dei risultati. In un certo senso si può dire che al bilancio redatto in
prima approssimazione applicando i principi di competenza e prudenza, segue un
bilancio di seconda approssimazione in cui si determinano i valori in seconda
approssimazione secondo “politiche” di bilancio informate dagli interessi prevalenti
pro tempore.
Anche per quanto riguarda il bilancio inteso come strumento informativo a tutela
dei terzi esistono sempre degli spazi di fuga per effetto dei quali tutt’oggi può valere
quanto diceva Pantaloni all’inizio del ‘900, quando definiva il bilancio un sistema di
simboli intelligibile solo a chi ne ha la chiave(10).

(10).Un bilancio è un sistema di simboli: il significato dei simboli è dato dal fine del bilancio: è paralogistico
leggere quei simboli, anziché con la chiave fornita dal fine del bilancio, con criteri che sono legittimi, o
possono esserlo, i altre loro applicazioni.

!52
L’analisi dello stato patrimoniale per un giudizio di prima
approssimazione sulla solvibilità aziendale.
L’analisi della redditività:
reddito netto, reddito operativo.
(cap 3)

I soggetti aziendali e coloro che necessitano di disporre di strumenti idonei al fine di


poter svolgere un controllo della gestione finalizzato al raggiungimento di una serie
di obiettivi, hanno una serie di elementi, ma su tutti, quelli più attendibili sono
economicità e solvibilità. Come strumento, il bilancio rimane quello più attendibile
e spesso è l’unico strumento adatto ad attuare le analisi. Si può condurre un’analisi
statica, analizzando un specifico bilancio, o un’analisi dinamica, prendendo in
considerazione bilanci di più esercizi. È evidente che il livello di solvibilità aziendale
si verifica fondamentalmente attraverso la situazione patrimoniale, se invece si vuoi
analizzare l’economicità aziendale si utilizza il conto economico.

La situazione patrimoniale come strumento di analisi del livello di solvibilità della


gestione.

Per analisi della solvibilità si intende la verifica della capacità dell’azienda di far
fronte agli impegni finanziari assunti alle scadenze dovute e non in contrasto con
l’equilibrio economico.
Da tale condizione dipende la sopravvivenza stessa dell’azienda; in sua assenza essa
può arrivare al fallimento. Al fine di poter trarre dall’esame di una situazione
patrimoniale giudizi sul livello di solvibilità della gestione bisogna avere l’accortezza
di tenere distinte, all’intero dell’attivo, le immobilizzazioni, cioè i fattori a lento
ciclo di reintegro dal cosiddetto capitale circolante e, all’interno del passivo, il
capitale permanente, comprensivo del capitale proprio e dei debiti a medio/lungo
termine, dai debiti a breve termine.

Attività Passività
(capitale investito) (fonti finanziarie)
Immobilizzazioni Capitali permanenti

(Investimenti a lento ciclo di reintegro finanziario) (Debiti a lento ciclo di esborso e capitale proprio)
Capitale circolante Debiti a breve termine

(Investimenti a rapido ciclo di reintegro finanziario) (Debiti a rapido ciclo di esborso)

La nozione di capitale circolante, come somma degli investimenti a rapido rigiro


finanziario, può essere utile nell’analisi di solvibilità, in quanto circoscrive quella
parte di impieghi che si prevede torneranno in forma liquida a breve scadenza e che
pertanto, si renderanno disponibili per il pagamento degli impegni finanziari che
vanno via via in scadenza.

!53
Il confronto tra capitale circolante e debiti a breve termine, consentirà di esprimere
giudizi positivi o negativi sulle effettive capacità dell’azienda di far fronte
tempestivamente alle obbligazioni assunte. In altri termini, potrà presentarsi un
capitale circolante maggiore, minore o uguale ai debiti a breve termine, ovvero una
differenza tra le due quantità maggiore, minore o uguale a zero. Perché l’azienda
possa definirsi solvibile:

Capitale circolante > Debiti a breve termine

Nella pratica comune si usa il rapporto cosi da ottenere un indice: rapporto


corrente o indice di disponibilità

Capitale circolante
Debiti a breve termine

All’indice di disponibilità corrisponde il margine di disponibilità o capitale


circolante netto, ottenuto dalla differenza fra i valori prima considerati ( capitale
circolante- debiti a breve termine). Detto margine consente di misurare, in valore
assoluto, l’eccedenza, o la deficienza, del capitale circolante rispetto alle passività a
breve.
Nelle analisi della solvibilità aziendale può ricorrersi ad un altro indice che ispira a
criteri di prudenzialità, detto indice di tesoreria o test acido; tale indice depura il
circolante delle componenti meno liquide, riducendolo alle solo liquidità immediate
ed ai crediti esigibili:

Liquidità immediate + crediti a breve termine di scadenza


Debiti a breve termine

Il senso di questo indice è quello di verificare l’attitudine dell’azienda a soddisfare


gli impegni finanziari a breve termine con le sole liquidità immediate e con quelle
che possono divenire tali in un breve volgere di tempo, senza tenere quindi conto
delle rimanenze di magazzino.
Si può dire che un’azienda è dotata di una struttura finanziaria equilibrata quando:

Immobilizzazioni < Capitali permanenti

Nella migliore delle situazioni (capitale permanente strettamente maggiore delle


immobilizzazioni) avremo che il capitale permanente, oltre a finanziare per intero le
immobilizzazioni, coprire idealmente in parte, insieme con i debiti a breve termine,
il capitale circolante pertanto si verificherà che:
!54
Capitale circolante > debiti a breve termine

Tale disuguaglianza può essere tradotta in un indice, chiamato indice di copertura


delle immobilizzazioni:

Capitali permanenti
Immobilizzazioni

Il che è lo stesso di:

Capitale netto + Passività consolidate


Immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie

All’indice in questione, sorrisone il margine di struttura:


Capitali permanenti - Immobilizzazioni, ovvero, (Capitale netto + Passività
consolidate) - (Immobilizzazioni materiali + Immobilizzazioni immateriali +
Immobilizzazioni finanziarie). Il predetto indice, o tale margine, ha lo scopo di
verificare come viene finanziato l’attivo fisso del bilancio.
Un ulteriore aspetto della situazione finanziaria dell’azienda, è correlato all’analisi
della struttura patrimoniale, che consente di valutare il grado di indebitamento o, il
grado di autonomia finanziaria.

Indice di autonomia finanziaria:


capitale netto
Totale passività e netto

Indice di indebitamento :
Passività consolidate + passività correnti
Totale passività e netto

!55
Il conto economico come strumento di analisi della economicità della gestione.

Si è gia detto che l’economicità è parte fondamentale per il successo aziendale. Il


risultato che qualifica economicamente la gestione è il reddito, il quale è un valore
che si forma dopo una serie di calcoli e che positivamente o negativamente qualifica
la gestione. Si ricorre a diverse configurazioni di reddito di particolare rilevanza, e le
due più frequentemente usate sono:
• Reddito operativo, riferibile l’area operativa, ossia alla cosiddetta gestione
caratteristica, che è l’area di gestione nel cui ambito si perseguono quegli obiettivi
che caratterizzano l’attività dell’impresa. Tale reddito deriva dalla differenza dei
costi e ricavi operativi, escludendo tutte le altre aree circostanti come l’area
finanziaria che produce oneri e proventi finanziari; l’area atipica che produce
oneri proventi atipici come quelli provenienti dalle partecipazioni azionarie; area
della gestione straordinaria che produce oneri e proventi relativi a minusvalenze e
plusvalenze; l’area tributaria che produce oneri tributari riferiti alle poste
tributarie.
• Reddito netto globale, o “reddito dell’esercizio” o “reddito netto”, che si riferisce
all’intero esercizio “globalmente2 includendo tutte le voci enunciate
precedentemente comprensive del reddito netto.
Occorre distinguere la nozione di reddito da quella di redditività. Il primo fa
riferimento alla variazione in valore assoluto del netto iniziale per effetto della
gestione. La seconda esprime la remunerazione relativa data al capitale iniziale dal
reddito prodotto. Tale remunerazione percentuale non è misurabile in brevi periodi,
in periodi sufficientemente lunghi nei quali le componenti straordinariamente
negative o positive possano compensarsi.
L’analisi della redditività della gestione aziendale può essere effettuata per indici,
per flussi o per determinanti casuali (lo vedrai negli appendici quest’ultimo).
Gli indici più rappresentativi sono il R.O.E. ed il R.O.I.
Il R.O.E. (Return On Equity, letteralmente ritorno sul capitale proprio) misura la
percentuale di recupero del capitale proprio attraverso il reddito netto, ovvero la
misura della remunerazione dei mezzi propri investiti:

R.O.E.=
Reddito netto
Capitale proprio

Per captale proprio si intende la differenza tra attività e passività e coincide con la
nozione di netto patrimoniale. Tale concetto è per sua natura un’astrazione, in
quanto non coincide con nessuno degli elementi patrimoniali attivi e passivi. Il suo
valore complessivo è in linea di massima suddiviso in parti dette ideali positive e
negative. Questo indice soddisfa l’esigenza conoscitiva dei proprietari del capitale.
È un indice importante, anche se limitatamente espressivo in quanto non indica a
cosa è dovuto il risultato netto, ma semplicemente in che percentuale la gestione
complessiva dell’azienda remunera il capitale proprio.
Il R.O.I. (Return On Investiment, letteralmente ritorno sul capitale investito)
misura la velocità con cui si recuperano gli investimenti netti e prende in

!56
considerazione al numeratore il reddito operativo, ossia il risultato legato alla
gestione gestione caratteristica, all’area tipica dell’azienda.

R.O.I.=
Reddito operativo
Investimenti netti

Il reddito operativo viene in qualche modo messo in evidenza dalla forma prevista
dal c.c. del conto economico, in quanto essendo in forma scalare sottrae in primo
luogo tutti i costi della gestione dal valore della produzione, ciò definisce in linea di
massima il reddito operativo.
Vengono poi presi in considerazione i dati provenienti dalle altre aree gestionali
dell’azienda e si perviene infine all’utile d’esercizio. Quest’ultimo dato costituisce il
numeratore del R.O.E. (reddito netto) che però non evidenzia l’apporto della
gestione caratteristica al risultato complessivo; si potrebbe, infatti, verificare una
perdita netta complessiva ed un risultato positivo della gestione caratteristica o
viceversa (3). A denominatore del R.O.I. vanno gli investimenti netti per evidenziare
la relazione tra il reddito operativo e gli investimenti netti strumentali.
Gli investimenti netti sono pari all’attivo totale già al netto dei fondi rettificativi di
poste patrimoniali attive, inoltre dovrebbe essere depurato anche dai debiti vero i
fornitori e dal fondo TFR, in quanto il reddito operativo posto al numeratore non
tiene conto dei proventi e oneri finanziari e non è possibile, per ragioni di
omogeneità, considerare nel denominatore elementi che implicano interessi passivi
impliciti.
Si può poi passare ad esaminare le determinai causali del tasso di redditività
operativa del capitale investito, scomponendo questo nelle sue componenti: la
redditività delle vendite e la rotazione di capitale investito.
L’indice di redditività dee vendite ( Return On Sales) R.O.S. è dato da:

R.O.S.= Reddito operativo


Vendite

Detto indice esprime la capacità remunerativa del flusso dei ricavi operativi
dell’azienda in esame, ossia il reddito operativo per ogni euro di fatturato.

(3) Tale configurazione di risultati pone l’esigenza di conoscere, oltre al risultato della gestione
complessiva, anche i risultati parziali che consentano di capire da dove e perché si perviene al risultato
complessivo. In tale modo si potranno identificare le aree di intervento per migliorare le performances

!57
L’indice di rotazione del capitale investito è, invece, espresso dal rapporto:

Indice di rotazione del capitale investito= vendite


Investimenti netti

Questo indice esprime la velocità del rigiro del capitale impiegato, e quindi quante
volte nell’arco dell’anno il capitale stesso ritorna in forma liquida attraverso le
vendite nette.
La correlazione di tipo matematico fra i quozienti risulta facilmente individuabile,
ed infatti, si ha:

Reddito operativo = reddito operativo x vendite


Investimenti netti vendite investimenti netti

e cioè che il R.O.I., o redditività del capitale investito, è ugual al prodotto fra le
redditività delle vendite e la rotazione del capitale investito. La redditività delle
vendite è espressione della relazione che si crea fra i prezzi di vendita e i costi
complessivi della gestione operativa; la rotazione del capitale investito esprime,
invece, il grado d utilizzo delle risorse impiegate per attuare detta gestione. quindi,
mentre il primo deriva dalla politica dei prezzi effettuata dalla direzione aziendale,
il secondo deriva dalle scelte relative agli investimenti.
È opportuno rilevare che il diverso peso relativo ai due quozienti, dal quale si ricava
i R.O.I., è da porre in relazione achee cn il tipo di attività che l’azienda svolge. Così,
ad esempio, un’impresa di. Commercio all’ingrosso di generi di largo consumo può
raggiungere tassi di redditività del capitale investito (R.O.I.) soddisfacenti operando
con ridotti tassi di redditività sulle vendite (R.O.S.) in conseguenza dei margini di
ricarico in relazione agli elevato quantitativi di vendite conseguibili. La situazione
opposta, si verifica ad esempio, nell’industria cantieristica, che opera in generale,
con alti tassi di redditività delle vendite e tassi di rotazione del capitale investito
assai contenuti. Scomponendo il R.O.I. nei due indici esaminati, sarà possibile
analizzarne le variazioni nel tempo, attribuendone l’origine a corrispondenti
variazioni dell’uno e/o dell’altro.

Esempio pag 179.


Quanto descritto ci dice che da una redditività netta negativa si ha una redditività
operativa positiva. L’azienda risulta in perdita ma tale risultato non è dovuto alla
gestione caratteristica ma dall’aera finanziaria e straordinaria dunque è in
quell’area che bisogna intervenire. Viceversa, quand’anche il reddito netto globale
fosse positivo e tale da assicurare una congrua remunerazione al capitale proprio, la
gestione non potrebbe qualificarsi positivamente dal punto di vista dell’economicità
se il reddito fosse nullo, o pur risultando positivo, non fosse tale da concorrere in
congrua misura a formare lo stesso reddito globale. In questa situazione non
sarebbe azzardato ricercare le cause in anomalie dell’impresa proprio all’interno
dell’area operativa. l’analisi fin qui condotta è stata effettuata in modo statico.
Di seguito l’analisi di tipo dinamico.
Essa confronta valori di conti economici di diversi esercizi.
!58
Innanzitutto si riportano in valore in percentuale, infatti a causa dei mutamenti che
da periodo a periodo assume quest’ultimo, è importante l’indivisuazione in relativo l
variare del peso dei singoli costi su di esso.

2000 2001 2000% 2001%

Valore della 10.000 20.000 100% 100%


produzione

Costi della 8.000 18.000 80% 90%


produzione
Reddito operativo 2.000 2.000 20% 10%
Interessi passivi 500 1.000 5% 5%
Oneri straordinari 500 500 5% 2,5%
Imposte 500 500 5% 2,5%

reddito netto 500 - 5% -

Dall’esempio sopra riportato si ricava che, operando in tal modo, innanzitutto si


comprende come da un anno all’altro la gestione abbia prodotto in valore assoluto
un redito operativo di uguale entità ed un reddito netto decrescente che, nel
secondo esercizio si annulla.
È utile vedere come nessuna analisi presa isolatamente riesce a dare conoscenze
pienamente soddisfacenti. Va sempre considerata la situazione aziendale con le sue
peculiarità e le sue prospettive future, spesso non rilevabili, se non parzialmente dai
numeri del bilancio.

!59
L’individuazione attraverso il bilancio delle fonti finanziarie
endogene ed esogene (cap 4)

L’autofinanziamento è generalmente inteso come fonte di capacità dell’azienda ad


autofinanziarsi tramite risorse endogene.
In prima approssimazione, si potrebbe dire che è autofinanziamento la differenza
tra due netti patrimoniali misurati in due momenti diversi, in tal senso sarebbe pari
ai soli utili non distribuiti se non ci sono operazioni extra-gestionali. In base a tale
approssimazione sarebbe evidente che se la differenza evidenziasse una perdita non
dovrebbe esserci alcun autofinanziamento. Detta nozione risulta troppo restrittiva e
più adeguata a definire il risparmio aziendale piuttosto che l’autofinanziamento,
quest’ultimo consiste nel flusso netto, originato dai ricavi, che residua dopo la
copertura dei costi che comportano un esborso finanziario.
Dalla seguente tabella si evince che al tempo t l’azienda risata solvibile in quanto
mostra un esubero delle fonti a medio-lungo termine di sorso sulle corrispondenti
attività s medio-lungo termine di reintegro che consente di finanziare una parte del
capitale circolante.
Inoltre vediamo che abbiamo un utile di esercizio di 200 dal conto economico e nel
tempo t+1 notiamo che aumentano gli investimenti e si riducono gli indebitamenti:

Come è stato possibile effettuare nuovi investimenti e pagare debiti spendendo


complessivamente 700, avendo guadagnato solo 200? Questa domanda introduce la
nozione di autofinanziamento che richiede la pacificazione della classificazione dei
costi sotto il profilo finanziario.
Dal punto di vista finanziario è possibile distinguere i costi rilevanti, quelli che si
manifestano nel periodo, dai costi non rilevanti, quelli che non si manifestano nel
periodo. Così nell’esempio, la quota di ammortamento o il TFR sono costi non
rilevanti. Detto ciò si può asserire che l’autofinanziamento del periodo misurato dai
maggiori investimenti e dai minori debiti si determina sommando all’utile
d’esercizio i costi non rilevanti: nell’esempio fatto l’autofinanziamento (700) è
esattamente pari alla riduzione dei debiti (200) e all’aumento degli investimenti
(500). Si evince che vi può essere autofinanziamento anche se si è subita una
!60
perdita. In presenza di una perdita infatti è sufficiente che era sia inferiore ai costi
non rilevanti perché vi sia autofinanziamento. È importante conoscere non solo a
posteriori ma anche a priori l’esistenza dell’autofinanziamento in quanto questo
può essere importante per la possibilità di sviluppo dell’azienda.
Il conto economico, fornendo i dati dell’autofinanziamento che influiscono sulle
decisioni di sviluppo, è uno strumento importante di informazione per lo sviluppo
dell’azienda.

Analisi dei flussi e prospetto delle fonti degli impieghi

L’autofinanziamento non è l’unica fonte di risorse finanziarie interne. Per


individuarne alle occorre l’analisi dei flussi finanziari ed elaborare un documento
denominato prospetto delle fonti e degli impieghi.
L’analisi dei flussi finanziari serve a conoscere la disponibilità di tutte le risorse
finanziarie utilizzabili ed il prospetto delle fonti e degli impieghi è ad essa
funzionale in quanto accoglie tutte le variazioni subite dagli elementi patrimoniali
attivi e passivi in un dato momento, tenendo conto che sotto il profilo finanziario le
passività patrimoniali ed il netto rappresentano delle fonti di finanziamento mentre
le attività patrimoniali rappresentano degli impieghi e cioè tutto ciò che assorbe
risorse finanziarie.

Mettendo a confronto lo stato patrimoniale al 31/12/00 con quello al 31/12/01,


notiamo che sono aumentati gli investimenti i crediti verso i clienti e i fornitori e
che inoltre si sono costituiti fondi di ammortamento per 300 e aumentati i debiti
verso i fornitori e diminuiti quelli verso le banche, il tutto porta ad un
autofinanziamento di 800 ( 300 che sono i costi non rilevanti + 500 che è l’utile
d’esercizio).

!61
Dall’esame del prospetto si evidenzia un
ammontare complessivo di fonti pari a 2.300, di
cui 800 fanno parte dell’autofinanziamento e i
restanti 1.500 sono costituite dalle variazioni
aumentate di debiti verso i fornitori. Tali fonti
sono state utilizzate per finanziare gli impieghi
così ripartiti: aumento investimenti (1.000),
aumento scorte (500) aumento crediti verso i
clienti (500) e diminuzione debiti verso banche
(300).

Il prospetto delle fonti e degli impieghi, oltre ad essere elaborato tramite il bilancio
d’esercizio, può essere elaborato anche in fase decisionale a supporto
dell’individuazione dello sviluppo compatibile.
Nel primo caso, esso evidenzia in che modo sono state utilizzate le risorse finanziare
endogene fornite dall’azienda ( autofinanziamento) e quelle forniti da terzi
( esogene) mettendo in luce quale è stata la politica seguita dall’azienda.
Inoltre, il prospetto in esame può dare indicazioni sull’esistenza e sul grado di
sfruttamento delle riserve di liquidità, basta oltre che sull’autofinanziamento, anche
sulla fiducia di cui gode l’azienda. Infatti in questo caso nei confronti dei fornitori
riesce ad ottenere incrementi di fornitura e/0 dilazioni di pagamenti; nei confronti
dei clienti nella capacità di ridurre le dilazioni senza perdere la loro fiducia, e nei
confronti della banca nella capacità di ottenere finanziamenti senza condizioni che
possono intaccare l’economicità della gestione.
Il prospetto delle fonti e degli impieghi può essere redatto anche in preventivo; in
questo caso viene denominato budget delle fonti e degli impieghi e consiste nel
programma di tutti gli investimenti che l’azienda dovrà realizzare e di tutte le fonti
di finanziamento su cui potrà contare nel periodo oggetto di programmazione.

Il bilancio di previsione
(cap 5)

Nell’ambito delle indagini aziendali, per quanto possa essere importante il bilancio
d’esercizio, esso soltanto non può essere sufficiente. A tal proposito si affianca il
bilancio di previsione che verifica il probabile andamento futuro della gestione e
quindi la situazione economico-finanziaria prospettica. Si entra dunque nel merito
della programmazione aziendale.
I bilanci prospettici, che consistono nel redigere il conto economico e lo stato
patrimoniale relativi a uno o più esercizi futuri. In essi non è presente la nota
integrativa, cioè quel documento descrittivo di tipo non contabile, che la normativa
del c.c. considera parte integrante del bilancio di esercizio e nel quale vengono date
spiegazioni per una migliore comprensione dello stesso; semmai i bilanci
prospettici sono accompagnati da una indicazione delle ipotesi su cui sono fondati e
degli obiettivi che intendono si raggiungere.
!62
La programmazione economica e la costruzione del “conto economico
previsionale”

In una rappresentazione logica delle operazioni aziendali le fasi del tipico ciclo
processuale hanno una dinamica antioraria, mentre in fase programmatica la
dinamica del ciclo ha un andamento orario (come in figura). Si parte cioè dal
mercato, con una previsione dei realizzi, in relazione ad essi si fa una previsione
degli investimenti necessari per conseguirli e successivamente si fa una previsione
delle fonti di copertura dei relativi fabbisogni finanziari.

I R

Soltanto dopo aver identificato il risultato prospettico dell’attività programmata


sarà possibile stabilire se la stessa è conveniente e, quindi, passare alla fase
esecutiva.
Il punto di partenza per redigere un conto economico corretto è individuare il
probabile volume e mix di produzione nel periodo preso in considerazione.
Per determinare una simile quantità bisogna valutare tre aspetti:
- il volume e mix presunto delle vendite;
- La capacità produttiva disponibile;
- Le rimanenze iniziali disponibili e quelle che vanno mantenute alla fine
dell’esercizio prospettico.
Per stabilire la quantità di vendite è necessario conoscere approfonditamente il
mercato di riferimento. Attraverso un’accurata analisi di mercato, analizzando
domanda e offerta, l’azienda è in grado di individuare l’eventuale esistenza di
bisogni insoddisfatti e mettere a punto un’offerta di prospetto competitiva tale da
occupare lo spazio eventualmente libero, o da sottrarne agli altri competitori. Le
ricerche di mercato hanno lo scopo di capire quali ostacoli l’azienda potrà affrontare
per immettersi in quel determinato mercato come ad esempio, la barriera
all’entrata, studio dei concorrenti, ecc., al fine di identificare la possibile quota di
mercato acquisibile. Queste ricerche spesso sono lunghe e costose e nel caso di
aziende già operanti in quel mercato vengono sostituite da analisi storiche sui trend
di vendita. Una volta identificati il mix e il numero di produzione si può identificare
i prezzo di vendita, il quale può essere di politica adattiva o di rottura. Nell’ipotesi di
prodotti totalmente nuovi e che il mercato non consce, la predeterminazione dei
prezzi sarà fondata su un’analisi di verosimiglianza che metta a confronto il costo
di produzione e il guadagno atteso con il grado di appetibilità del bene alla scala dei
bisogni dei potenziali clienti e del loro potere d’acquisto.
Predeterminato il volume di vendita, prima di stimare l’entità dei ricavi, bisogna
fare una pressione sulla futura capacità produttiva aziendale: potrebbe infatti,
l’azienda non sia in grado di produrre tutta la quantità attesa. Si possono avere
anche dei casi di esubero di capacità produttiva.

!63
L’individuazione di scorte iniziali e finali influisce sulla determinazione dei volumi
di produzione a base del conto economico. Infatti un incremento delle scorte finali
rispetto a quelle iniziali comporterebbe un aumento di volumi da produrre,
viceversa si creerebbe un volume di produzione vendibile superiore a quella da
realizzare. ( vedi esempio di pag 194-195).
Bisogna proseguire nella costruzione dl bilancio prospettico per calcolare il reddito
necessario pre soddisfare la relazione di economicità: R>I+i.
L’elemento fondamentale che ancora manca è il valore degli interessi passivi che
non può essere desunto se non considerando la situazione finanziaria prospettica
dell’azienda. Ovviamente essendo il conto previsionale non vanno previsti i punti
appartenenti all’area straordinaria in quanto per loro natura non prevedibili.

La programmazione finanziaria e la costruzione del “piano di copertura


finanziaria”: la determinazione preventiva dell’immobilizzo finanziario medio-
prospettico relativo al capitale circolate

Per completare il quadro del conto economico previsionale con l’individuazione di


oneri/proventi finanziari occorre fermare un attimo la programmazione economica
e affrontare quella finanziaria, al fine di evidenziare gli immobilizzi di capitale
connessi al programma economico già redatto, le conveniente fonti di copertura
finanziaria e il loro costo. Bisogna redigere uno stato patrimoniale prospettico dove
vengono messi in evidenza immobilizzi fidanzati necessari per attuare la produzione
programmata e le fonti finanziarie a copertura di tali immobilizzi.
vi sono dei criteri per determinare le voci più significative dello stato previsionale:
1. Investimenti fissi: per una maggiore correttezza formale bisognerà
programmare i piani di ammortamento per ciascun cespite, i tempi delle
rispettive sostituzioni, i costi dei nuovi cespiti, le eventuali plusvalenze o
minusvalenze derivanti dalla cessione.
2. Capitale circolante: la configurazione di capitale circolante che si accoglie
solitamente in questo tipo di programmi è quella corrente costituita dalle
seguenti componenti: giacenze di materie prime, di semilavorati, di prodotti
finiti, crediti verso i clienti, disponibilità immediate, debiti verso i fornitori.
a) Per calcolare l’immobilizzo finanziario delle, materie prime bisogna tenere in
conto due aspetti. Il primo riguarda le scorte di materie prime nei magazzini, le
quali devono essere presenti per mantenere avviato il processo di produzione senza
interruzioni, il che dipende achee dai tipi di trasporti, dalla lontananza del mercato
di materie e dalla loro deteriorabili e obsolescenza. Il secondo aspetto da valutare è
il costo unitario della materia prima: questo include il costo unitario d’acquisto e
tutti i costi accessori. A questo punto si può calcolare il fabbisogno finanziario
medio relativo alle scorte seguendo la seguente formula:
Fabbisogno= (C+ca) x d
. 12
(dove C= costo di acquisto annuo della materia; ca= costi accessori annui della
materia; d= tempi di permanenza media delle scorte in magazzino). Nel nostro
esempio C+ca= 650.000 e il temo necessario per mantenere le materie prime è di
tre mesi dunque il fabbisogno sarà: F=650.000/12x3 = 162.500.
b) semilavorato in ciclo: anche l’immobilizzo finanziario delle scorte dei
semilavorati è funzione di due variabili: la durata media del ciclo produttivo, e il
!64
costo unitario degli stessi. La durata del ciclo produttivo dipende da moltissimi
fattori di tipo tecnico connessi al tipo di produzione: caratteristiche del prodotto e
degli impianti, tipo di lavorazione e l’eventuale presenza di “colli di bottiglia” ( ossia
fattori o circostanze limitanti). Il costo dei semilavorati comprende una serie di
elementi: i costi delle materie, del lavoro diretto e altri costi industriali. Nel calcolo
del fabbisogno per semilavorati non si includono gli ammortamenti perché, come
già detto sono costi non rilevanti, inoltre vengono esclusi i costi di vendita e i costi
commerciali. La formula del calcolo del fabbisogno è:
Fabbisogno= Cxd2
12
( C= sommatoria costi rilevanti derivati dal processo di produzione e cioè il costo
primo industriale al netto degli ammortamenti e d2 è la durata media del ciclo
produttivo)
c) scorte di prodotti finiti: qui bisognerà valutare il tempo medio di giacenza dei
prodotti nel magazzino prima delle vendite. Per il costo dei prodotti finiti si possono
ripetere le stesse considerazioni fatte per i semilavorati. Di conseguenza la formula
è: Fabbisogno= Cxd3
12
( C= sommatoria di tutti i costi rilevanti industriali e d3 è la giacenza media dei
prodotti finiti in magazzino prima di essere venduti)
d) crediti verso i clienti: bisogna prima di tutto prevedere quanta parte dei crediti i
clienti pagheranno in contanti e quanta con dilazione, e poi calcolare la dilazione
media. In più bisogna considerare che la data di incasso della fine della dilazione
non sempre coincide con il reale incasso in quanto i clienti tendono a non rispettare
le scadenze.
Il costo da considerare come base per il calcolo del fabbisogno finanziario è quello
operativo del venduto al netto di tutti i costi non rilevanti:
Fabbisogno= ( Cdv - Cnr) x d4
12
( Cdv= costo operativo del venduto, Cnr= costi non rilevanti, d4= tempo medio di
incasso).

Una volta stimato il presunto ammontare delle immobilizzazioni finanziarie,


bisognerà determinare le relative fonti di copertura. A tal fine bisognerà dapprima
stimare la quota di copertura assegnata al capitale proprio, l’esistenza di eventuali
mutui o finanziamenti a medio e lungo termine, i vari fondi di accantonamento
esistenti al momento della progettazione(3). Successivamente bisognerà valutare la
consistenza dei debiti verso i fornitori, che per l’azienda costituiscono un vero e
proprio finanziamento di solido a breve termine. Anche in questo caso bisognerà
tener conto della dilazione che i fornitori concedono e del costo delle dilazioni.

(3) Nel periodo preso in considerazione tali fondi non vanno incrementa per determinare la
copertura finanziaria prospettica, ciò vale per il TFR e così per gli altri costi non rilevanti.

!65
Il valore da prendere in considerazione è quello delle materie prime. Il fabbisogno
sarà così: Fabbisogno= C + ca x d5
12
( C= costo delle materie prime, ca costi accessori annui della materia, d5= dilazione
media ottenuta).
L’eventuale saldo negativo tra immobilizzazioni e mezzi di copertura, a meno che
non si prevedano delle soluzioni particolari ( come emissioni di obbligazioni o
aumento del capitale), costituisce il valore del presunto indebitamento bancario, se
si considera questo come variabile dipendente; ove questo fosse una variabile
indipendente, la residua copertura finanziaria andrà a scaricarsi su un altra fonte
considerata variabile elastica, ad esempio, il capitale proprio.

La determinazione degli oneri finanziari come fonte della determinazione


progressiva dei risultati economici e della situazione patrimoniale prospettici
Pag 203

Dal bilancio di previsione al business plan


(cap 6)

Il bilancio di previsione, pur essendo un modello molto utile per capire il possibile
andamento futuro dell’azienda, non offe una visione di medio-lungo periodo ma ne
offre una riguardante l’esercizio dell’anno successivo alla redazione di questo. In
oltre non offre una visione dinamica, bensì statica. Per questo motivo si ritiene
importante redarre un nuovo strumento di previsione, il business plan.
Tale strumento di previsione si presenta con una struttura più estesa e capace di
includere elementi di rilevanza strategica nel processo di previsione di lungo
termine quali nuovi progetti e investimenti, evoluzione di mercato e piano di
marketing.
Il Business plan è un’elaborazione che meglio del bilancio di previsione relativo ad
un esercizio normale o medio si presta a rappresentare in un ottica di medio-lungo
termine un progetto di sviluppo o risanamento aziendale con lo scopo di valutarne
la fattibilità in relazione alla struttura aziendale e al costo in cui essa opera.
Il Business plan presenta un ampio ventaglio di finalità conoscitive, in particolare
quelle di:
• Promuovere una nuova attività d’impresa, studiando le reali opportunità di
business presenti e future.
• Progettare lo sviluppo dell’azienda nel lungo termine, studiando la gestione, la
struttura organizzativa, i risultati economici futuri, l’assetto patrimoniale e
finanziario dell’azienda.
• Investire in un’altra azienda esistente, studiando le sinergie possibili con tale
attività.
• Acceder al credito, mostrando la capacità di restituire i relativi debiti contratti con
le banche.

!66
• Richiedere agevolmente e finanzieri pubblici, tale finalità è volta a verificare la
fattibilità del progetto al fine di reperire risorse finanziarie messe a disposizione
da bandi pubblici.
• Ricorre nuovi soci e partnership. Ciò include la ricerca di finanziamenti sotto
forma di capitale di rischio o di accordi di partnership quali joint-venture,
creazione di consorzi, reti di franchising.
• Operare ristrutturazioni per il rilancio di aziende in crisi. In questo caso il
Business plan ha la funzione di analizzare l’impatto economico e finanziario di
strategie di risanamento quali riconversione produttiva, riorientamento
strategico, ridimensionamento e sviluppo dimensionale, ristrutturazione della
organizzativa e tecnico-operativa.
La molteplicità di funzioni del Business plan, fa si che i suoi destinatari siano,
fondamentalmente, di tre categorie:
a) Gli aspiranti imprenditori: l’avvio di una iniziativa imprenditoriale è spesso
animata da grande entusiasmo, ma comporta dei costi delle incertezze rilevanti.
Il Business plan fa si che tali idee imprenditoriali possano tradursi in una
strategia ordinaria, capace di esplicitare le ipotesi sull’evoluzione di mercato, di
analizzare in cifre la fattibilità economica nonché la copertura finanziaria
necessaria all’avvio del progetto imprenditoriale;
b) Gli investitori esterni: tali soggetti utilizzano il Business plan per valutare se
finanziare o meno l’iniziativa imprenditoriale; essi apportano all’azienda i
capitali necessari al suo avvio e/o alla sua gestione sotto forma di capitale di
debito, di rischio, ovvero, nel caso di finanziamenti pubblici, a titolo di
contributi in conto capotale o esercizio;
c) Gli imprenditori e i loro collaboratori: una volta avviata l’attività gli soggetti
utilizzano il Business plan come guida per implementare e valutare l’attività
intrapresa e gli eventuali scostamenti rispetto al progetto originario contenuto
nel Business plan.

Principi di redazione

La stesura di un Business plan comporta un’attività di valutazione dei suoi


contenuti sostanziali e di osservanza di aspetti formali. Per valutare l’efficacia
complessiva del Business plan, la seguente domanda pio risultare utile: “Tale
progetto imprenditoriale. È convincente a tal punto da indurre a supportarlo
finanziariamente?”.
Al fine di guidare l’articolazione di un progetto imprenditoriale nel Business lan, la
dottrina e la pratica hanno elaborato i seguenti principi:
• Principio di chiarezza: essa deve essere intesa non solo come facilità di lettura ma
anche come rispetto di univocità terminologica e si ha univocità terminologica
quando ciascun termine o vocabolo impiegato nel documento del Business plan
viene usato con una e una sola determinazione semantica, ossia con un unico
significato, al fine di evitare equivoci e confusioni, consentendo al lettore di
concentrare la propria attenzione sui contenuti.
• Principio di completezza sostanziale e formale: in primo luogo si necessita che il
piano prenda in considerazione tutte le aree aziendali, in secondo luogo i
contenuti documentali devono essere completi come il progetto imprenditoriale,
l’esperienza dei soci, struttura organizzativa, piano marketing, ecc.
!67
• Principe di affidabilità: esso riguarda sia la parte della raccolta dei dati, che deve
essere sempre documentata, sia la coerenza delle assunzioni sottostanti lo
sviluppo delle proiezioni del progetto imprenditoriale.
• Principio di attendibilità: esso richiede che il mix di strategia/risorse impiegate/
contesto di riferimento siano coerenti con la realtà in cui deve operare l’azienda.
• Principio di neutralità: deve essere redatto con oggettività.
• Principio di trasparenza: devono essere riportate tute le fonti dei dati così da
poterle rintracciare.
• Principio di prudenza: deve essere rispettato il principio di prudenza.
In modo sintetico possiamo dire che il Business plan deve essere: sintetico ma
esauriente nei contenuti, comprensibile anche ai non esperti, completo nelle
informazioni sui ritorni finanziari attesi e sul ritorno degli investimenti.

Struttura del Business plan

Il Business plan non presenta una struttura univoca propio perché i soggetti che lo
possono richiedere sono di tre categorie differenti come abbiamo visto. In ogni caso,
nonostante la sua flessibilità possiamo redigere uno schema fisso per la stesura di
un Business plan:
a) sintesi del progetto imprenditoriale o Executive Summary. Tale sezione
riporta una sintesi del progetto imprenditoriale, pertanto, sebbene sia la prima
ad essere rappresentata, è l’ultima sezione che viene redatta. Deve essere molto
breve, di norma due o tre pagine e riportare in modo conciso i contenuti chiave
che rendono il progetto unico agli investitori o enti finanziatori, per tale motivo
deve focalizzarsi in patibolare modo sui benefici degli stakeholder. Tale sezione
include la denominazione sociale dell’azienda, l’attività svolta o da svolgere,
servizi o prodotti da realizzare o realizzati, mercato di appartenenza, cicli
produttivi, tecnologia adottata, dati gestionali. Poi in oltre contenuti e obiettivi
di mercato, iter di realizzazione, investimenti necessari, principali risultati
attesi. Questa parte della sezione deve focalizzarsi sugli elementi distintivi del
progetto e dimostrare ai finanziatori perché sia conveniente investire sul stesso,
deve convincere qualcuno ad investire sul progetto.
b) Descrizione dell’azienda. Di fondamentale importanza è la descrizione
dell’azienda, della sua storia e del settore in cui opera o opererà. Inoltre è
importante descrivere i prodotti o servizi erogati e le competenze manageriali, e
anche le gerarchie aziendali con i relativi obiettivi.
c) Descrizione del progetto e dei prodotti/servizi da offrire. Questa sezione è
dedicata alla descrizione e illustrazione approfondita del progetto e dei
prodotti/servizi da offrire. Inoltre bisogna descrivere perché il prodotto può
essere utile alla possibile clientela e come può essere utile.
d) L’analisi di settore e di mercato. Questa sezione spiega le caratteristiche del
settore dove opererà l’azienda. Quindi deriverà il settore, i clienti, l’economicità
del settore, il contesto ambientale, le barriere all’entrata e all’uscita, l’influenza
politica, clienti fornitori e competitors, il mercato target e la sua dimensione la
clientela specifica e il livello di servizio richiesto.
e) Il piano di marketing e delle vendite. Bisogna descrivere come l’azienda intende
agire nel mercato di riferimento. Tale sezione specifica quali sono le strategie
relative di marketing-mix, e riguardano: il prodotto/servizio, caratteristiche che
!68
deve avere in termini di contenuto e packaging, immagine, possibilità di
differenziazione; il prezzo, se si tratta di un prodotto nuovo bisogna capire
quanto il cliente sarebbe disposto a pagare in relazione al beneficio che ne trae.
Se non è nuovo bisogna far riferimento ai prezzi dei prodotti simili in quel
mercato; la distribuzione e quindi capire se l’azienda si avvarrà di servizi
internet o ad aziende del settore distributivo o con mezzi propri e soprattutto
spiegare in che condizioni i clienti avranno reperibile il servizio o prodotto;
promozione e pubblicità, se il prodotto è nuovo occorre studiare bene un piano
di marketing per far conoscere il prodotto ai clienti. Il piano di marketing è
fondamentale per la redazione del piano delle vendite che riporta le quantità
vendute, prezzi e dinamica del fatturato per il periodo oggetto alla previsione.
f) Il piano di realizzazione e/o investimento. Prevede un’analisi dettagliata del
processo di produzione del prodotto/servizio e delle tappe del progetto
imprenditoriale con una particolare attenzione alle risorse impiegate e ai tempi
relativi agli investimenti. Il piano dovrà, inoltre, includere in modo dettagliato,
gli investimenti da realizzare e la specificazione della loro copertura attraverso
adeguate fonti finanziarie interne ed esterne.
g) Il piano economico finanziario ( a seguire).

Il piano economico-finanziario

Il piano economico-finanziario traduce in cifre il progetto imprenditoriale descritto


nelle sezioni precedenti. La modalità di costruzione è simile a quella del bilancio di
previsione, le divergenze attengono al contenuto in quanto è più ampio di dati e più
ampio come arco temporale. Questo è determinato prevalentemente per chi è
all’esterno dell’azienda come gli investitori, piuttosto che per chi ne sta all’interno.
Un piano economico-finanziario, deve, di norma, contenere i seguenti documenti:
ipotesi del piano; prospetto degli investimenti da realizzare; piano di
ammortamento dei finanziamenti; conto economico previsionale; stato
patrimoniale previsionale; prospetto delle fonti e degli impieghi e gli indici di
bilancio. Prendiamo in esempio il piano economico-finanziario di un Business plan
per la realizzazione di un impianto fotovoltaico.

1 Ipotesi riguardanti le voci del conto economico e stato patrimoniale previsionali

Questo documento deve includere una descrizione delle ipotesi fatte sulle singole
voci dello stato patrimoniale e del conto economico previsionali come negli esempi
seguenti:
• Crediti verso i clienti: incasso a 30 giorni;
• utile/perdita d’esercizio: non è prevista distribuzione degli utili per tutta la durata
del finanziamento bancario;
• Debiti verso i fornitori: dilazione media prevista di 60 giorni;
• Costi per polizze assicurative: è previsto un incremento annuale di tale voce del
2%.

!69
2 Prospetto degli investimenti da realizzare con indicazione del valore lordo, degli
ammortamenti annuali e del valore netto del piano di ammortamento

Questo documento indica per ciascun anno oggetto di previsione gli investimenti
lordi, gli ammortamenti di tali investimenti e il valore netto delle immobilizzazioni:
i primi andranno inseriti nel prospetto delle fonti e degli impieghi, i secondi tra
costi nel conto economico e nel pronto delle fonti e degli impieghi, i terzi vanno
inseriti nello stato patrimoniale previsionale.

3 Piano di ammortamento dei finanziamenti

Questo documento indica per ciascun anno oggetto di previsione il dettaglio del
piano di ammortamento dei finanziamenti da ricevere. Il debito residuo di ogni
anno va inserito nella voce “ finanziamenti bancari” dello stato patrimoniale
previsionale, e gli interessi annuali tra gli oneri finanziari del conto economico
previsionale.

4 Conto economico previsionale

Tale documento illustra la previsione del risultato d’esercizio. Il conto economico


previsionale può essere redatto in forma logica o in forma solare come previsto
dall’art. 2425 c.c.. È consigliabile adottare un discreto livello analitico di dettaglio
delle voci che costituiscono il conto economico.
Il conto economico previsionale si dimostra anche molto utile nel calcolo della
capacità finanziaria dell’impresa nel portare avanti il progetto imprenditoriale.
L’utile netto di ogni esercizio sommato ai costi non finanziari va portato in aumento
delle fonti derivanti dalla gestione reddituale nel prospetto delle fonti e degli
impieghi.

5 Stato patrimoniale previsionale

Tale documento illustra le dinamiche delle attività, passività e del patrimonio netto
nell’arco temporale oggetto di previsione. La struttura dello stato patrimoniale è
flessibile pertanto può essere reddito sia in forma logica che in forma civilistica. In
particolare nello stato patrimoniale previsionale:
• Le immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie vengono scritte
annualmente al loro valore netto secondo il prospetto degli investimenti.
!70
• L’immobilizzo finanziario dei crediti viene calcolato attraverso la formula vista
per il bilancio di previsione;
• Le disponibilità liquide sono calcolate attraverso il prospetto delle fonti e degli
impieghi;
• Le rimanenze devono essere stimate per ogni anno;
• Il finanziamento della gestione derivante dalle dilazioni dei fornitori viene
calcolato attraverso la formula vista per il bilancio di previsione;
• I ratei attivi e passivi devono essere stimati ogni anno in base al principio di
competenza economica;
• I fondi TFR, svalutazione crediti e rischi devono essere stimati ogni anno sulla
base degli accantonamenti effettuati;
• I debiti verso le banche devono riportare il debito residuo calcolato in base al
piano di ammortamento dei finanziamenti;
• I debiti verso soci devono riportare la quota residua da rimborsare alla fine di ogni
esercizio oggetto di previsione;
• Il capotale sociale deve essere riportato all’interno del patrimonio netto e deve
includere eventuali aumenti o diminuzioni;
• La ricerca legale aumenta del 5% degli utili prodotti nell’esercizio precedente;
• Gli utili non distribuiti incremento la relativa riserva di patrimonio netto e le fonti
a medio lungo termine nel prospetto fonti e impieghi, la quota distribuita di tali
utili non deve incrementare il patrimonio netto dello stato patrimoniale e deve
essere apportata a rettifica degli utili netti nel prospetto fonti e impieghi.

6 Il prospetto delle fonti e degli impieghi

Questo documento è di norma articolato in tre sezioni afferenti la gestione


reddituale, le variazioni di capitale circolante netto e le variazioni di attività e
passività a medio-lungo termine e di patrimonio netto. La costruzione di tale
prospetto è molto semplice e avviene nel seguente modo:
a) Per i flussi relativi alla gestione reddituale si devono sommarie, per ogni
esercizio oggetto di previsione, gli utili netti/perdite di esercizio e i costi non
finanziaria relativi agli ammortamenti e agli accantonamenti (TFR e/o fondi
rischi9. Dagli utili netti vanno sottratti quelli distribuiti ai soci;
b) Per le variazioni di capitale circolante netto e per quelle relative alle attività e
passività a medio-lungo termine bisogna per ogni voce dello stato patrimoniale
operare la differenza del valore relativo all’esercizio oggetto di previsione e a
quello precedente. Se tale differenza è positiva andrà riportata tra le fonti nel
caso di voce del passivo o tra gli impieghi nel caso di voce dell’attivo, viceversa
se tale differenza è negativa.
c) Il valore della cassa ottenuto per ogni esercizio oggetto di previsione dovrà
essere riportato nello stato patrimoniale e nell’esercizio successivo del prospetto
delle fonti e degli impieghi. Tale documento ha un ruolo fondamentale nella
valutazione delle capacità di rimborso da parte dell’azienda dei finanziamenti da
ricevere e fornisce indicazioni importanti nel valutare la coerenza tra
investimenti contenuti nel progetto imprenditoriale e finti finanziarie necessarie
alla loro copertura. Un flusso di cassa ( essi originano dalla differenza tra fonti e
impieghi, sono positivi se le fonti sono maggiori degli impieghi, negativi

!71
viceversa) totale positivo è indice di solvibilità dell’azienda. Analizzando meglio
i flussi di cassa, è possibile considerare che:
• Un consistente flusso di cassa positivo relativo alla gestione reddituale è indice di
un valido progetto imprenditoriale che deve essere finanziato, contrariamente, in
presenza di scarsi o negativi flussi di cassa, il progetto è poco remunerativo o
fallimentare;
• Un consistente flusso di cassa positivo relativo al capitale circolante netto è indice
di buone condizioni operative di gestione legate agli incassi, pagamenti e alle
rimanenze. Al contrario invece, l’imprenditore dovrebbe agire per ottenere
condizioni operative migliori.
• Un consistente flusso di cassa positivo relativo alle attività e passività a medio-
lungo termine e al patrimonio netto è indice di coerenza tra l’attività di
investimento da realizzare e le fonti di copertura finanziaria adottate. Invece, in
presenza di scarsi o negativi flussi di cassa il progetto imprenditoriale, seppur
valido e con condizioni operative buone relative al capitale circolante netto,
mostra un’incoerenza tra investimenti da realizzare e la tipologia di fonti
utilizzate.

7 Gli indici di bilancio

L’ultima sezione del piano economico-finanziario è dedicata all’elaborazione degli


indici di bilancio al fine di permettere un’analisi sintetica dei risultati del progetto
imprenditoriale nell’arco temporale oggetto della previsione. Dal momento che i
destinatari del Business plan, nel maggior numero dei casi, sono esterni all’azienda
è consigliabile fornire una descrizione sintetica per ogni indice utilizzato come nel
seguente esempio.

Le nozioni di capitale: capitale d’esercizio, di liquidazione,


economico (cap 7)

Il capitale costituisce una categoria concettuale d’interesse comune per le diverse


discipline economiche; notevoli sono però le divergenze che si possono riscontrare
nei differenti ambiti di studio. Spesso si fa riferimento al capitale come somma di
denaro date in prestito; in economia politica si sule attribuire al capitale la funzione
di fattore della produzione intendendolo come complesso di beni prodotti e
destinati a nuove produzioni.

!72
Nessuna delle nozioni di capitale sopra esposte può essere soddisfacente per la
disciplina economica aziendale. L’economia aziendale mira a definire il capitale in
termini quali-quantitativi, finalizzati alla risoluzione di obiettivi conoscitivi pratici.
Pur essendo immediato il riferito ai beni costituenti il capitale (o patrimonio)
d’impresa, in economia aziendale è comunque necessario porre enfasi sul concetto
di capitale inteso come fondo astratto di valori, cioè come potenzialità operativa
disponibile in un dato istante.
Ma lo stesso concetto non è sufficiente se si pensa che alla valutazione in oggetto si
può procedere i presenza di condizioni diverse d’azienda e d’ambiente e che diverse
possono essere le finalità conoscitive che dettano la necessità di procedere a tali
compiti.
Per tale motivo la dottrina fa riferimento ai concetti di capitale di funzionamento,
di liquidazione ed economico, che rappresentano differenti configurazioni che il
capitale può assumere.

Il capitale di funzionamento e i suoi valori “limite”

Alla valutazione del capitale di funzionamento si procede in fase di bilancio. Esso si


presenta come una somma algebrica di valori tra loro connessi per l’unicità delle
loro finalità che li accomuna.
Il Capitale di funzionamento (Cf) o di bilancio può essere considerato come fondo
stretto di valori che scaturisce da un complesso di valutazioni riguardanti valori
certi, stime e congetture attinenti agli investimenti a fronte dei quali non sono
ancora stati consegui i relativi realizzi ed ai finanziamenti in attesa di rimborso. Per
cui ogni elemento, materiale o immateriale, del patrimonio deve essere stimato in
relazione al presunto realizzo che esso apporterà.
La logica che presiede alla determinazione del CF attinge dunque alle valutazioni di
fine esercizio, inerenti alle rettifiche e alle integrazioni da apportare ai costi e ricavi
del settore centrale del conto economico in forma logica.
Quanto più si tende a gonfiare i componenti postivi del reddito e/o a comprimere
quali negativi, il capiate di funzionamento rischia un annacquamento o rischia di
creare risorse occulte se si agisse in maniera opposta. A tal proposito, Maffeo
Pantaleoni, Lorenzo De Minico e Teodoro D’Ippolito, cercano di trovare dei limiti
all’arbitrarietà di formulazione di valori che stanno alla base della misura del
Capital di funzionamento. Per tali autori il capotale di funzionamento è idealmente
compreso fra due limiti: capitale di liquidazione (limite inferiore) e capitale
economico (limite superiore).
pertanto, per una saggia determinazione del capitale di funzionamento, si deve
verificare la seguente espressione:
Cl < Cf < Ce

Il capitale di liquidazione

La nozione di capitale di liquidazione si riferisce ad aziende che vogliono estinguere


i debiti e dismettere gli attivi, poiché non si è più in prospettive di funzionamento
ma di liquidazione.
La liquidazione può essere forzata o volontaria ed il valore del capitale di
liquidazione è rappresentato nel bilancio preventivo di liquidazione o inventario di
!73
liquidazione. In esso si procede ad una valutazione dei singoli elementi patrimoniali
( viene meo la visione d’insieme caratterizzante del capitale di funzionamento), fatta
con riferimento a presunti realizzi diretti che potranno essere ottenuti attraverso
una loro collocazione al meglio sul mercato e a presunti esborsi ai quali si dovrà far
fronte per rimborsare i finanziamenti. Dalla differenza tra le entrate e le uscite
monetarie corrispondenti alle suddette operazioni di realizzo e di rimborso
scaturisce il capitale di liquidazione (Cl).
I componenti patrimoniali del capitale di liquidazione possono essere differenti
rispetti a quelli del capitale di funzionamento. Infatti alcuni elementi presenti del
bilancio d’esercizio, non compaiono nel Cl, ad esempio i costi ammortizzabili non
riferiti a fattori produttivi non vendibili ( spese di costruzione, spese per la ricerca e
sviluppo), dei risconti attivi e passivi, dei fondi di ammortamento e dei fondi di
spese e rischi futuri.
Invece, altri sono gli elementi tipici del Cl come i realizzi provenienti dalle
know-how relativo al processo prodotti e/o distribuito o dalla vendita di
informazioni sulla clientela o sulla concorrenza.
Ci sono casi in cui le liquidazioni possono durare diversi anni, in questi casi si deve
valutare il realizzo presunto dei fattori da liquidare; generalmente tale realizzo è
diretto ma per alcuni beni può essere indiretto. È il caso di materie prime,
semilavorati, scorte varie, ecc,
Può essere opportuno a volte, non liquidare le materie prime, ma trasformarle e poi
liquidarle dal momento che il realizzo può essere maggiore.
L’orizzonte temporale caratteristico del Cl è comunque più limitati rispetto al Cf,
poiché nel caso in specie viene a cessare in prospettiva la condizione di
funzionamento del sistema aziendale, per tale motivazione, generalmente il Cf è
maggiore del Cl, ciò nonostante esistono dei chi contrari, dovuti ad esempio a
plusvalenze degli immobili o all’inflazione.

Il capitale economico

Il capitale economico esprime il valore dell’azienda come complesso funzionante


considerato di per sé oggetto di negoziazione. esso, cioè, esprime il valore di
scambio di un’azienda funzionante, o come si dice avviata. L’azienda attraverso la
sua attività, realizza due tipi di funzioni: una orinata all’ottenimento di beni e
servizi, l’altro alla crescita della stessa. In altre parole ogni azienda, nel produrre
beni e servizi “produce anche se stessa”.
La valutazione del capitale economico ricorre principale in occasione della cessione,
fusione, trasformazione del sistema aziendale e richiede la stima della potenzialità
che l’impresa può offrire, cioè dei risultati di cui potrà beneficiare il nuovo soggetto
aziendale.
Generalmente il Ce risulta maggiore del Cf poiché deriva da un arco temporale più
ampio, infatti si considerano qui, non soltanto le combinazioni gestuali iniziate ma
non ancora concluse, ma anche tutte quelle operazioni che, pur non essendo ancora
state avviate, possono essere comprese nell’arco temporale osservato.
La differenza tra capitale economico e capitale di funzionamento si denomina in
avviamento; esso è l’espressione della stabilizzata attitudine del sistema aziendale a
generare redditi ed a remunerare congruentemente il capitale investito.

!74
Il capitale economico può risultare, a volte, anche inferiore di quello di
funzionamento e, talvolta, persino di quello di liquidazione. In questa ipotesi si
perviene alla stima di un avviamento negativo o badwill, derivante dall’inettitudine
dei risultati a remunerare congruentemente un investimento a titolo di capitale
proprio la cui soglia minima sia almeno pari alla misura del capitale di
funzionamento.
Dai concetti esposti si perviene alla seguente relazione:

Somma algebrica dei Valore dell’azienda


valori delle singole attività come complesso
e passività realizzate ed funzionante
estinte individualmente considerato come
ed in ipotesi di chiusura oggetto di
negoziazione

Capitale di Capitale di Capitale


Liquidazione
< < Economico
Funzionamento

Fondo astratto di valori


determinato in funzione
della determinazione del
reddito di un’azienda in
funzionamento

La Determinazione del capitale economico

Lo scopo della determinazione del capitale economico non è quella di ottenere una
variazione del prezzo di cessione, bensì quello di determinare il valore teorico del
capitale economico, ovvero il valore di riferimento per una eventuale negoziazione
che ciascuna delle parti necessita di individuare. Cercheremo di dare un’idea di tale
processo partendo da due ipotesi.

1. Ipotesi:
L’azienda che si cede si ipotizza abbia durata illimitata dei suoi flussi reddituali

Immaginiamo che l’azienda che si cede sia caratterizzata da flussi reddituali medi
costanti e che possano essere prodotti per un durata illimitata, ovvero l’azienda
oggetto è vista come una macchina che produce risultati reddituali medi e
predeterminabili. Tale oggetto è il prodotto del soggetto che cede non è
influenzabile dall’attività del soggetto che acquista.
!75
In questo caso esemplificato, il valore di tale oggetto può essere determinato
utilizzando i valori del reddito medio prospettico ad un congruo tasso di sconto
(vedi computisteria: interessi), così da avere al momento della valutazione tutti i
singoli valori medi prospettici che hanno manifestazione in momenti differenti.
La formula di matematica finanziaria che esprime questo calcolo è la seguente:
Va= Rm
r
Dove Va rappresenta il valore attuale di una rendita perpetua, Rm= reddito medio
prospettico, e r= tasso di rendimento (vedi appendice) atteso per la remunerazione
del capitale di rischio e usato per l’attualizzazione.
Nonostante la perpetuità degli affari non esista, in caso in cui l’azienda persista da
diversi anni (superiori a 15), il valore attuale determinato è molto prossimo a quello
derivante dall’applicazione della formula della rendita perpetua.
A questo punto ci sono due problemi da risolvere:
- determinazione del reddito medio prospettico da attualizzare Rm:
Considerando il fatto che non esiste azienda che guadagni nel tempo la stessa
somma, quello del reddito medio prospettico risulta un dato molto incerto, da
determinare con estrema prudenza, prendendo in riferimento, con opportune
cautele, i dati del passato e cercando di individuare eventuali variazioni in funzione
di mutamenti di prospettiva;
- determinazione del tasso di attualizzazione r: ciò che fa variare il tasso r non è
solo il sacrificio sofferto da chi rinuncia ad usi alternativi dei piropi capitali, ma
soprattutto dal rischio che incombe sul recupero degli stessi attraverso l’attività
aziendale. Dunque il tasso di rendimento è in realtà composto da tre elementi:
remunerazione del capitale i; un elemento che maggiora la remunerazione del
capitale per effetto del rischio k; un altro elemento h che tiene conto della
capacità delle imprese di scaricare sui propri clienti il fenomeno dell’inflazione.
( cioè la diminuzione del potere d’acquisto della moneta)
r= i + k + h
Il tasso reale di rendimento dei capitali investiti in assenza di rischio si determina
considerando quello dei titoli di Stato e decurtando il tasso di inflazione.
Quest’ultimo fa entrare in gioco la capacità delle aziende di scaricare l’inflazione sui
clienti, e, maggiore sarà l’inflazione scaricata sui clienti più r risulta pari al solo
tasso reale di rendimento dei capitali in assenza di rischio più il coefficiente di
rischio d’impresa. Quest’ultimo (k) dipende dalle circostanze legate al livello del
rischio dell’impresa.
Dunque: al crescere del tasso di attualizzazione r, il valore del capitale economico
diminuisce, e quindi possiamo affermare che la misura del tasso di attualizzazione
agisce in senso inversamente proporzionale sul valore del capitale economico.
Va considerato che una volta che l’acuente ha acquistato l’oggetto, e quindi
l’azienda, essa non dipenderà più dalle capacità del vecchio imprenditore ma di
quello nuovo e dunque risata logicamente errato la valutazione dell’azienda
attraverso la formula della rendita perpetua, a tal proposito è necessario applicare
la rotula della rendita determinata.

!76
2. Ipotesi:
L’azienda che si cede si ipotizza che abbia una durata limitata dei suoi flussi
reddituali

In relazione all’applicazione della rendita a tempo determinato è necessario


stabilire per quanto tempo si può riconoscere al soggetto cedente un effetto
preponderante nella generazione delle correnti reddituali, e a partire da quale
momento, l’imprenditore che acquista avrà dei meriti nel produrle; solitamente si fa
coincidere questo lasso di tempo con la durata residua dei fattori della produzione
di maggior rilievo.
Ciò che viene ceduto è un complesso funzionante in grado di produrre un risultato
limitato nel tempo. Alla conclusione del periodo ipotizzato saranno nuove scelte
imprenditoriali a determinare nuovi investimenti, scelte presumibilmente di
competenza del soggetto acquirente. Ad essere oggetto di vendita non è solo il
reddito ma anche i flussi finanziari misurati dagli ammortamenti in ipotesi non
necessariamente da investire nei rinnovi. Ciò che viene ceduto non è il reddito, ma
autofinanziamento, quindi anche il recupero finanziario del valore degli impianti
attraverso gli ammortamenti.
Quindi cambia anche il numeratore rispetto alla prima ipotesi perché il valore da
attualizzare è il reddito prospettico sommato agli ammortamenti e al valore del
capitale di liquidazione atteso con riferimento al momento in cui i fattori per la
determinazione della durata dovranno essere rinnovati.
Occorre considerare che nel patrimonio dell’azienda possono essere presenti fattori
non strumentali, immediatamente cedibili senza intaccare i flussi programmati che
possono avere un realizzo consistente. Tali capitali accessori andranno a sommarsi
a quelli già considerati.
Infine, potrebbe accadere che i redditi programmati necessitino di finanziamenti i
quali verranno sottratti alla somma dei valori precedenti e che finanzierà il nuovo
proprietario. Il capitale economico di un’azienda verrà cosi determinato:

!77
Terza parte.
Strumenti di verifica delle
condizioni particolari di
successo del sistema
d’azienda.

!78
La determinazione dei costi come pre-condizione essenziale
del governo della economicità (cap 1)

Come abbiamo visto, in fase di biascio, i costi possono essere classificati per natura
( e quindi ad esempio tutti i costi di materia prima, costo di lavoro, ecc), per
destinazione temporale (cioè se si riferiscono ad esercizi diversi da quello di
riferimento), e altra destinazione dei costi può essere quella dello spazio, e quindi
ricondotta ad un oggetto di riferimento più ristretto, come ad esempio ad un singolo
prodotto o ad una produzione. In questi casi il problema diventa quello di riferire
un insieme di costi sostenuti per l’attività aziendale non più al complesso di
operazioni svolte in un periodo di riferimento, ma al prodotto o alla produzione o
ad altro soggetto definito.

Costi diretti ed indiretti

La destinazione dei costi ad un dato oggetto di riferimento richiede la scelta di un


criterio di riferimento. Un criterio potrebbe essere quello della causalità, che è un
criterio scientifico in applicazione del quale la destinazione riflette una relazione di
causalità tra l’ottenimento di un certo oggetto di riferimento ed il sostenimento di
un dato costo.
Ad esempio se si vuole conoscere il costo di materia prima assorbito da un certo
pronto occorre mettere in relazione i costi di materia prima sostenuti per l’attività
produttiva con tale prodotto, individuando la quantità di materia prima che è stata
necessaria per ottenerlo e il relativo prezzo di acquisto. Sembrerebbe facile, ma non
lo è, infatti se facciamo lo stesso per un macchinario che lavora per la produzione
dei prodotti A, B, C diventa più difficoltoso, dunque possiamo parlare di maggiore o
minore attendibilità delle determinazioni di costo.
È possibile dividere i coi in due categorie: costi diretti o speciali, e costi indiretti o
comuni.
I costi diretti o speciali sono quei costi per i quali stabilire un rapporto diretto di
causalità tra il loro sostenimento e l’oggetto di riferimento. Se per esempio
prendimi in esame un reparto dell’azienda, il costo delle materie prime utilizzate
per quel reparto è un costo diretto per lo stesso reparto.
I costi indiretti o comuni, sono quelli per cui il nesso di causalità è più difficile o
meno logico da trovare, tali costi infatti, si riferiscono in comune a più oggetti di
riferimento e a questi vengono imputati pro quota. Occorre quindi dividere il costo
indiretto in quote, ciascuna delle quali va imputata ai singoli oggetti di riferimento,
mediante la scelta di una base di ripartizione.
Mentre il titolo serve per identificare l’origine, la qualifica di diretto o indiretto non
fa parte della natura del costo e suo variare in base alla variazione dell’ampiezza
dell’oggetto di riferimento. Tanto più ampi è l’oggetto, tanti più sono i costi diretti
che lo riguardano, viceversa, tanto più piccola è l’ampiezza tanto meno saranno tali
costi.
Per ultimo bisogna dire che uno stesso costo, con un riferimento di limitate
dimensioni può essere indiretto, mentre è diretto con un riferimento più ampio.

!79
Le configurazioni di costo

Ci sono diverse finalità per cui è necessario conoscere i costi dei diversi oggetti di
riferimento; spesso, però, quello che interessa conoscere sono aggregazioni di costi
che possono essere in parte diretti e in parte indiretti.
Per configurazione di costo si intende la sommatoria di più elementi di costo che,
caratterizzati da relativa omogeneità, possono riferisci ad uno stesso oggetto. E
configurazioni di costo sono tante quanto gli n-1 elementi di costo.
Le configurazioni di costo più frequentemente utilizzate sono le seguenti:
a. Costo primo, definito dalla sommatoria dei costi diretti;
b. Costo complessivo, definito dal costo primo più la sommaria di quote di costi
indiretti;
c. Costo economico-tecnico o totale, definito dal costo complessivo più i costi
virtuali, più la quota di profitto.
Sino alle prime due configurazioni, troviamo tali costi nel conto economico. Nella
terza configurazione si scopre che vi sono fattori della produzione che vengono
utilizzati, ma per i quali non si paga un prezzo e il cui costo non si rileva dal conto
economico.
Infatti a volte, per effettuare operazioni di gestione vengono impiegati sevizi di
personale, mezzi tecnici e finanziari, ai quali non corrisponde alcuna concreta
remunerazione monetaria o altra controprestazione, perché, ad esempio si tratta di
mezzi di proprietà o comunque relativi al proprietario-imprenditore. Tali costi
prendono il nome di costi virtuali e riguardano gli interessi sul proprio capitale
investito, il lavoro non retribuito dei titolari, i fitti dei terreni e fabbricati di
proprietà destinati gratuitamente all’esercizio d’azienda. Alla determinazione del
costo economico-tecnico, oltre che dei costi virtuali bisogna tener conto anche della
quota di profitto che è una categoria economica che vuole remunerare il rischio
dell’attività d’impresa.
Esiste una correlazione tra le varie configurazioni e le finalità conoscitive, per cui,
ad esempio, se si vogliono valutare le rimanenze di prodotti si deve considerare il
costo primo; se invece si vuole conoscere il prezzo rimuneratore di vendita si deve
fare riferimento al costo economico-tecnico; se si vogliono confrontare i risultati di
due o più aziende si deve guardare al costo economico-tecnico; in fine se si vuole
stabilire il limite di sicurezza al di sotto del quale non è opportuno andare nella
fissazione del prezzo di vendita si deve considerare il costo complessivo.

La determinazione dei costi complessivi

Per la determinazione dei costi complessivi, oltre all’individuazione dei costi


direttamente immutabili all’oggetto di riferimento, occorre individuare la relativa
quota di costi indiretti che, pertanto, dovranno essere opportunamente suddivisi. Ci
sono i seguenti modi di ripartizione:
- Ripartizione dei costi indiretti su base unica d’azienda;
- Ripartizione dei costi indiretti su base multipla d’azienda;
- Ripartizione dei costi indiretti con criteri commerciali;
- Ripetizione dei costi indiretti con criteri di localizzazione dei cosi.

!80
Ripartizione dei costi indiretti su base unica d’azienda

Essa si riconduce l’utilizzo di un’unica base di ripartizione, cioè di un unico


elemento che sia comune a tutti gli oggetti di riferimento in relazione alla divisione
tra gli stessi del complesso dei costi indiretti.
Nell’esempio riportato, si suppone che
un’azienda produca due prodotti A e B e che il
problema sia quello della determinazione del
costo complessivo di ciascun prodotto. Si
suppone, inoltre, che i costi indiretti da
ripartire ammontino a 100.000.000, che
entrambe le produzioni A e B siano state
realizzate con 1.000 ore di manodopera diretta
e che i costi indiretti si considerino
proporzionali al numero di ore di lavoro
diretto impiegate per realizzare i due prodotti.
Per determinare le quote di costi indiretti
occorre dividere la somma complessiva dei
costi indiretti per il totale delle ore di lavoro ,
così da ottenere un coefficiente di ripartizione,
pari, in questo caso, a 100.00 che moltiplicato
per le ore di lavoro diretto per ogni prodotto
(300 per A e 700 per B), dà luogo alle quote di
costi indiretti da attribuire ai prodotti A e B
( rispettivamente 30.000.000 e 70.000.000)
sommando ai costi indiretti dei prodotti A e B
le rispettive quote di costi indiretti si
attengono poi i costi complessivi.
Si suppone adesso che la base di ripartizione
non siano più le ore di lavoro, ma il peso della materia prima contenuta nei due
prodotti. Posto che A e B assorbono rispettivamente Kg 700 e Kg 300 di materia
prima e che il peso complessivo di materia prima sia di Kg 1.000, apportando i
medesimi calcoli perveniamo a dei risultati opposti rispetto ai precedenti. Dunque il
risultato essendo influenzato dalla base di ripartizione, non è obiettivo in quanto
non è possibile preordinare la determinazione dei costi complessivi ad un certo
risultato scegliendo la più opportuna base di ripartizione.

Ripartizione dei costi indiretti su base multipla d’azienda

Il procedimento di ripartizione su base multipla, è simile al precedente, con la


differenza che non si utilizza una sua base per la ripartizione dei costi, ma se ne
scelgono diverse. Esso parte dal presupposto che non è possibile utilizzare un unica
base di ripartizione per costi eterogenei tra di loro, e che dunque sia più opportuno
suddividere suddetti costi in un certo numero di raggruppamenti omogenei rispetto
ad una base di ripartizione.
Utilizzato l’esempio precedente si supponga di poter dividere tutti i costi indiretti in
due raggruppamenti omogenei di costo, l’uno di 40.000.000 e l’altro di
60.000.000, e che si ritenga opportuni attribuire i primi alle ore di lavoro diretto
!81
relative a ciascun prodotto, e il secondo al peso della materia prima incorporata in
ognuno di loro:
40.000.ooo + base di ripartizione ore di lavoro diretto
60.000.ooo base di ripartizione Kg materia prima
100.000.000 totale costi indiretti

Secondo questo procedimento si determinano contemporaneamente due


coefficienti di ripartizione ed il riparto viene fatto in base ad essi:
40.000.000/ h 1.000= 40.000
60.000.000/ Kg 1.000= 60.000

Si considerano sempre pari a 300 le ore di lavoro diretto per la realizzazione di A e


700 per B; ed ancora 700Kg per A e 300 Kg per B:

Anche con tale forma di riparto il risultato è influenzato dalla base di ripartizione
prescelta, in quanto, se anziché queste due basi se ne scegliesse una diversa, si
ricadrebbe nella medesima censura mossa al procedimento su base unica.
I procedimenti di cui si è parlato non solo sono poco obiettivi, ma, se usati
impropriamente, possono pure condurre a scelte sbagliate.

Ripartizione dei costi indiretti con criteri commerciali

Tale procedimento si fonda sulla rinuncia a ripartire i costi indiretti su base


tecniche ricorre a un riparto su base commerciale.
Partendo dal presupposto che ogni prodotto contribuisce alla copertura dei costi
indiretti in proporzione della sua capacità contributiva, si sceglie come base di
riparto quest’ultima, misurata attraverso il margine di contribuzione di ciascun
prodotto. Questo è dato dalla differenza tra i ricavi e i costi primi ed esprime il
contributo che il singolo prodotto dà alla copertura dei costi indiretti.
In questo criterio, prodotti con margine di contribuzione elevati assorbono più costi
indiretti, mentre prodotti con margini di contribuzione poco elevati assorbono
meno costi indiretti.
Supponendo di avere due prodotti A e b, il primo dei quali consegue ricavi per
300.00.000 ed il secondo per 400.000.000 e che i costi primi del prodotto B siano
di 100.000.000 si avrà:

!82
Se i costi indiretti ammontassero a 250.000.000, la loro ripartizione in base al
procedimento in oggetto, avrebbe come segue:

Ripartizione dei costi indiretti con criteri di localizzazione dei costi

Si è visto che i criteri causali, quindi si riparto dei costi su base unica e su base
multipla, non sono rigorosi in quanto spesso non si riesce a stabilire una relazione
diretta tra il sostenimento dei costi e l’ottenimento degli oggetti, e ancor meno
ricorso si presenta la ripartizione con criteri commerciali.
Dopo la crisi negli Stati Uniti del 1929, gli studi di Taylor funsero da sprono per gli
studi di controllo di gestione.
Si sostiene che se non esiste uno stretto legame di casualità tra il sostenimento dei
costi e la realizzazione dei prodotti è pur vero ch esiste una relazione diretta tra il
sostenimento dei costi e le attività necessarie a tale realizzazione. Ad esempio, gli
stipendi per la segreteria della direzione generale, sono certamente costi diretti
rispetto all’attività svolta nell’ambito della direzione generale. Quindi i costi si
sostengono sempre per qualche cosa per la quale è possibile stabilire una relazione
di causalità; il problema sorge nel momento in cui si vuole riferire quei costi a
oggetti che sono il risultato finale dell’attività produttiva.
La ripartizione attraverso il criterio della localizzazione è caratterizzato proprio dal
tentativo di eliminare il problema costituito dalla ripartizione dei costi indiretti
sulla produzione, prendendo a base del ragionamento l’attività globale dell’azienda
opportunamente divisa in aree omogenee, facendo diventare tutti i costi diretti, o
rispetto ai prodotti o rispetto ai centri di attività.
Se, infatti, si suddivide l’azienda in un certo numero di aree di attività omogenee,
sarà possibile localizzare, per ciascuna area, i propri costi, i quali saranno appunto
diretti in rapporto all’area medesima. Il problema esposto si ripropone nel
momento in cui non si vogliono determinare i costi delle singole aree ma i costi
complessivi di prodotto.
La prima fase del procedimento è quella di costruire una sorta di mappa
dell’azienda che rappresenti quali sono le aree di attività della complessa gestione
aziendale. Tali aree di attività devono essere omogenei al loro interno, nel senso che
l’attività svolta da esse non deve essere confondibile con quella svolta da altre aree,
e che ci sia un unico responsabile al fine da poter sviluppare un serio controllo di
gestione, ricordando bene che non c’è controllo vero senza autonomia.
La seconda fase consiste nella predeterminazione dei volumi di produzione del
periodo preso in considerazione, che sta alla base per le determinazioni di costo in
oggetto, dato che al variare di detto volume varia l’incidenza unitaria di alcune
!83
categorie di costi dei prodotti: quanto maggiore sarà la capacità produttiva
utilizzata tanto muore sarà l’incidenza unitaria di tali costi sui singoli prodotti, e
viceversa.
Nelle aziende che producono in serie ed a ciclo continuo, con produzione omogenea,
detto problema non comporta grosse difficoltà: basterà, infatti, stimare il volume
delle vendite che si prevede di realizzare nel periodo, detrarre da esso l’entità
quantitativa delle rimanenze iniziali e aggiungere quella delle presunte rimanenze
finali per ottenere il dato ricercato, e cioè la quantità da produrre nel periodo stesso.
Se la produzione è su commessa non può conoscessi a priori la quantità e la qualità
del prodotto che all’azienda verrà richiesto di produrre. In questo tipo di aziende la
produzione può essere costituita da prodotti eterogenei, cioè non misurabili con un
unica unità di misura, mente il volume di produzione che è necessario fissare sarà
necessariamente espresso attraverso una unità di misura unica.
vi è quindi la necessità di ricondurre la produzione eterogenea in omogenea, il
problema può essere risolto esprimendo la produzione non più per unità di
prodotto, ma per unità di capacità produttiva necessaria per l’ottenimento di essi.
L’unità di capacità produttiva da scegliere deve avere una caratteristica: deve essere
riferita al fattore di produzione raro o limitativo cui è legato il vincolo dimensionale
dell’intera azienda.
Ad esempio potrebbe essere il numero ( piccolo rispetto al fabbisogno) di operai di
un certo reparto, che determina una strozzatura o un “collo di bottiglia”; oppure
può essere la capacità produttiva minore di un macchinario rispetto ad altri; o
ancora potrebbe essere la materia prima. Prendendo in esempio un’azienda che ha
dei reparti i quali producono, uno 10 quintali per ora per macchina, uno 3 e uno 20,
il collo di bottiglia è costituito dal macchinario che produce 3 quintali.
Il collo di bottiglia, costituito in questo caso dalla minori capacità produttiva del
reparto rispetto a quella degli altri due settori, fa si che la produzione finale non
dipenda dalle capacità dei reati che possono fare di più, ma dalla capacità del
reparto che può produrre di meno. Si dice allora che in quest’ultimo reparto è
contenuto il fattore di produzione raro dell’azienda, cioè quel fattore che delimita la
capacità produttiva dell’azienda.
Prendendo in considerazione l’esempio di un’azienda con due linee di lavorazione e
diversi reparti, e che abbia un collo di bottiglia descritto come nel precedente
esempio, le ore indicate per definire la capacità produttiva dei diversi reparti sono
ore di macchina nel caso del reparto di anodizzazione, ore di lavoro diretto di operai
specializzati nel caso del reparto taglio e ore di lavoro diretto nel caso del reparto
assemblaggio. I fattori di produzione attraverso cui esprimere la capacità produttiva
dei diversi reparti sono dunque:
- reparto anodizzazione: ore macchina
- Reparto taglio: ore lavoro
- Reparto assemblaggio: ore lavoro diretto
Per calcolare la capacità produttiva annua del reparto di anodizzazione vanno
moltiplicare le ore di lavorazione giornaliere (8 ore) per il numero di giornate
lavorative effettive (200). Va infine tenuta in considerazione la limitazione
derivante dal reparto che contiene il fattore di produzione raro (taglio) e che
determina l’effettiva velocità della linea di lavorazione.

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- capacità produttiva reparto anodizzzazione= 8 ore giornaliere x 200. gg.
lavorativi x 0,30 ( coefficiente di utilizzo della capacità del reparto)
- Capacità produttiva reparto taglio= 8 ore giornaliere x 200 gg. x n. operai
- Capacità produttiva reparto assemblaggio= 8 ore giornaliere x 200 gg. x 0,15
(coefficiente di utilizzo delle capacità del reparto) x. operai.
Il volume produttivo così determinato viene denominato standard e suo variare a
seconda dei criteri che si sono utilizzati nello stabilire la correlazione quantitativa
fra l’unità di misura ed il risultato ottenuto nell’unità di tempo.
La terza fase di questo procedimento consiste nell’imputazione dei costi ai centri.
Una volta identificato il volume di produzione è possibile stabilire cosa bisogna fare
per realizzare tale volume di produzione e quindi quali costi bisogna sostenere.
Questi costi vanno suddivisi tra i centri di attività in proporzione ai fattori installati
o assegnati in questi centri. Tale fase riguarda tutti i costi ad eccezione delle materie
prima che sono considerate costo diretto di prodotto e non vengono ripartite tra i
diversi centri. Alla fine di questa fase tutti i costi saranno ripartiti fra i vari centri:
alcuni andranno ad alimentare l’attività dei centri diretti, altri l’attività dei centri
indiretti. Tutti i costi a questo punto sono diretti e si potranno avere costi diretti di
prodotto, costi diretti di centri diretti, costi diretti di centri indiretti.
La quarta fase potrebbe anche non esserci se si ritenesse sufficiente conoscere la
ripartizione diretta dei costi nei vari centri. Ove si volesse pervenire alla
determinazione del costo complessivo di prodotto occorrerà redistribuire i costi dei
centri indiretti, pro quota, sui centri diretti, in base ad un nesso causale.
Detta ripartizione si potrà effettuare su base unica, cioè sommando tutti i costi di
tutti i centri indiretti e ripartendoli mediante un’unica base di ripartizione; in tal
modo il procedimento verrà chiamato su base unica di centro; ovvero su base
multipla distribuendo cioè i costi dei centri indiretti su quelli diretti secondo le basi
di alta in volta ritenute più idonee per ciascun centro. Dopo tale operazione si
saranno svuotati i centri indiretti dei loro costi e si saranno riempiti i centri diretti
delle quote di costo provenienti dai centri indiretti, ottenendo cosi una
configurazione di costo complessivo per ciascun centro diretto relativa al periodo
preso in considerazione.
È da notare però che così facendo si ritorna alle medesime arbitrarietà già criticate
nei precedenti metodi.
La quinta fase è quella della determinazione dei coefficienti unitari di centro,
risultanti dalla divisione dei costi complessivi di periodo del centro diretto
( composti da costi diretti dei centri diretti e quote di costi diretti dei centri
indiretti) sul numero dei prodotti o delle unità con cui viene rappresentata in modo
omogeneo la produzione. In tal modo si ottime l’incidenza del costo di periodo
sull’unità di produzione omogenea.
La sesta fase consiste nel determinare il costo complessivo di prodotto: occorre
sommare ai costi diretti di prodotto il risultato della moltiplicazione tra i coefficienti
unitari di centro ed il numero di ore di lavoro diretto e necessarie per l’ottenimento
del prodotto in ciascun centro diretto. (Vedi esempio pag 256).
È da notare come il costo complessivo così calcolato è poco utile ai fini della politica
delle vendite. Tale costo non interessa nemmeno ai fini di controllo di gestione,
perché per questo si tiene conto dei costi primi dei singoli centri. Il costo
complessivo non appare dunque utile in termini operativi.

!85
Conviene dunque non riversare i costi dei centri indiretti sui centri diretti
controllando l’attività dei singoli centri, e trasferire sui singoli prodotti soltanto i
costi diretti, determinando così il costo primo da utilizzar ai fini della politica delle
vendite.

La determinazione dei costi per attività (ACTIVITY-BASED-COSTING)

Il criterio della localizzazione dei costi per la loro determinazione, vedremo, non è
più utile rispetto a come lo sarebbe stato in tempi diversi, questo perché il mondo in
cui ci troviamo è in continua evoluzione. Infatti se prima le aziende fissavano come
obbiettivo la massimizzazione delle quantità produttive così da ridurre i costi
unitari, oggi non lo è più poiché l’obiettivo è diventato diversificare il prodotto dal
momento che si risponde a una clientela sempre più esigente. Questo cambiamento
ha avuto tra i suoi effetti un cambiamento della struttura dei costi aziendali.
Le aziende odierne puntano alla differenziazione, qualità e flessibilità del prodotto;
così un prodotto semplice con caratteristiche standardizzate e alti volumi di
produzione, assorbirà meno costi di un prodotto o servizio altamente
personalizzato. I metodi finora analizzati legano il sostenimento dei costi ai volumi
produttivi realizzati e non sono in grado di rappresentare efficacemente le nuove
configurazioni produttive.
Il metodo ABC si caratterizza per l’abbandono della tradizionale distinzione tra costi
fissi e costi variabili in funzione dei volumi di produzione. In tal senso i costi
vengono definiti variabili, nonostante i volumi di produzione restino invariati, in
virtù del fatto che la loro variazione si verifica come una conseguenza di una
differenziazione di prodotto che comporta nuovi costi. Per cui il problema di
determinazione del costo complessivo si concretizza nell’individuazione di nuove
metodologie e più opportune per ripartire correttamente i costi indiretti variabili
indicativi della complessità destinate delle produzioni.
L’idea forza del metodo ABC che permette di ripartire i costi e quindi di
determinare il costo complessivo in maniera più coerente è: i costi vengono
sostenuti per generare o acquisire risorse che vengono utilizzate per svolgere delle
attività che vengono poi “consumate” per la realizzazione di beni e servizi. Il
concetto centrale è quello di attività che può essere definita come un insieme di
operazioni elencati ed omogenee tra di loro che sono indispensabili per la
realizzazione di un prodotto. Ogni attività si distingue per gli input utilizzati e gli
output realizzati. Se il concetto di centro di costo che caratterizzava il criterio della
localizzazione, è fortemente legato alla struttura organizzativa, il concetto di attività
è più trasversale: all’interno di un centro di costo possono essere svolte più attività,
mentre un’attività può riferirsi a più centri di costo.
Secondo concetto chiave per l’applicazione del metodo ABC è quello di cost driver
che rappresenta il fattore causale che spiega, guida, giustifica il sostenimento del
costo di una specifica attività. Esso individua da una parte il volume di attività
svolto, dall’altra il consumo che di quell’attività è stato fatto da parte dei prodotti.
Nello specifico, un resource driver permette di misurare quanta parte delle risorse,
il cui acquisto/generazione ha portato al sostenimento die costi, viene consumata
per lo svolgimento di singole attività. Un activity driver misura quanta parte di
un’attività è stata assorbita da un prodotto.

!86
La figura schematizza i concetti chiave alla base del metodo ABC:

Utilizzate da Assorbite da

Risorse/costi Attività Prodotti

Resource drivers Activity drivers

Costi diretti

Le fasi attraverso cui si perviene alla implementazione di tale sistema di contabilità


sono quattro:
1. In primo luogo è necessario individuare un cost object;
2. Successivamente vanno individuate tutte le attività attraverso cui si realizza il
cost object;
3. Si passa all’attribuzione dei costi aziendali indiretti alle attività tramite
l’individuazione di appositi resources drivers;
4. I costi delle attività csi determinati vengono infine attribuiti al cost object
tramite l’individuazione di specifici activity driver.
Per quanto riguarda la prima faee, l’importanza è data dal fatto che i cost object
possono emergere continuamente: gli oggetti di rilevazione possono essere, oltre al
singolo prodotto, anche linee di prodotti, canali distributivi e persino interi processi
aziendali come il sistema di clienti. Per semplicità si considererà come cost object il
prodotto.
Una volta individuato il cost object è necessario individuare le attività che Fano si
che questo possa essere realizzato, cioè bisogna effettuare una mappatura delle
attività aziendali. Ovviamente più la mappatura è dettagliata maggiore sarà la
pressione del processo di ripartizione dei costi indiretti ma allo stesso tempo sarà
maggiore la complessità del sistema di contabilità.
In sostanza per mappare le attività aziendali bisogna comprendere cosa
concretamente fanno i soggetti che
lavorando all’interno dell’azienda
utilizzano input per ottenere output.
Esistono diversi criteri per classificare le
attività di un’azienda.
Esistono diversi criteri per classificare le
attività di un’azienda. Seguendo il
modello della cena del valore (Porter) è
possibile identificare le attività in grado di
generare valore percepibile per il cliente:

!87
Altra classificazione può essere ricondotta al grado di riferibili dell’attività al
prodotto:

Legame con il prodotto Esempi di attività

Attività di supporto all’organizzazione Direzione di stabilimento; riscaldamento e


illuminazione; costi relativi a terreni ed edifici;
fornitura rete informatica
Attività a livello di prodotto Engineering di processo; specifiche di prodotto;
modifiche di progetto; miglioramento di prodotto
Attività a livello di lotto Attrezzaggi macchinari; movimentazione materiali;
approvvigionamento; controllo qualità

Attività a livello di unità di prodotto Decorazione; saldatura componenti; lavorazione


materie prime; tornitura pezzi meccanici.

Un’altra caseificazione identifica le diverse attività che posso essere ricondotte alle
varie funzioni aziendali:

Funzione aziendale Esempi di attività

Ricerca e sviluppo Idearne di nuovi prodotti; realizzazione prototipi

Acquisti Ricerca e selezione dei fornitori; definizione dei


contratti; controllo qualità al ricevimento delle
materie prime
Produzione Singole fasi di lavorazione; controllo qualità;
assemblaggio; confezionamento; smaltimento reflui
Area commerciale Acquisizione degli ordini; evasioni degli ordini;
sviluppo della domanda

Area amministrativa emissione delle fatture; gestione dei crediti; rapporti


contrattuali con le banche; adempimenti fiscali

La fase successiva, dopo la mappatura, è quella di attribuire i costi alle singole


attività. Da questo punto di vista esistono alcune tipologie di costi che possono
essere direttamente attribuiti ad un’attività, come ad esempio il costo degli stipendi
del personale che si occupa esclusivamente degli ordini, e il costo dello stipendio
verrà attribuito direttamente all’attività “acquisizione di ordini”. Esistono pero
alcune tipologie pe ree quali non è possibile attribuire direttamente il costo
all’attività, come ad esempio il costo del personale che svolge più attività, in questo
caso è necessario un resource driver come ad esempio il numero di ore che
l’impiegato impiega per un’attività e per l’altra. Altro esempio può essere il costo dei
fitti passivi del magazzino il tuo resource driver può essere il numero di metri
quadrati impiegato per lo svolgimento di ogni attività. In definitiva per ripartire i
costi tra le varie attività è necessario valutare la quantità di resource driver
consumata dall’attività, tale misurazione può derivare da una semplice misurazione
o da una stima.
L’ultima fase per l’implementazione del metodo ABC è il ribaltamento dei costi delle
attività ai prodotti e consta di due sotto-fasi: l’identificazione degli activity-driver e
la determinazione finale del costo complessivo tramite la ripartizione del costo
precedente attribuito alle singole attività.
!88
L’individuazione dell’activity-driver è di fondamentale importanza in quanto
consente il collegamento tra le attività e il cost object.

Attività Activity driver

Sollecito materie prime Numero solleciti


Resi per materiale difettoso Numero difetti rilevati
Movimentazione materiali Numero ordini di movimentazione
Distribuzione materiali Numero lotti
Programmazione produzione Numero lotti lanciati
Assistenza tecnica Numero interventi assistenza effettuati
Servizio al cliente Numero di chiamate per servizio
Progettazione prodotti Numero ore di progettazione

Per la scelta degli activity-dirver è necessario considerare alcuni fattori:


- Il costo della misurazione, che deve essere inferiore del vantaggio che la stessa
può generare, dunque è conveniente fare uno di dati di facile reperibilità;
- Creazione: nella scelta di un cost driver si deve considerare l’effettiva capacità
dello stesso di spiegare i diversi livelli di utilizzo delle attività da parte del oggetti
del costing.
- Gli aspetti comportamentali: questo fattore va considerato in quanto la “scelta di
un cost driver è tanto migliore quanto più riesce a rappresentare gli effetti
economici delle scelte gestionali e quanto essa è in grado di orientare
coerentemente gli atteggiamenti degli attori organizzativi”.
La scelta di un adeguato cost driver che tenga conto di quesi fattori, risulta essere
decisiva per una corretta determinazione del costo complessivo.
L’ultima fase del procedimento di progettazione ed implementazione di un sistema
di determinazione dei costi basato sulle attività è quella in cui vengono attribuiti i
costi delle attività ai vari cost-object. Per fare ciò è necessario per ogni attività
andare a calcolare quale è il suo costo unitario, dividendo il costo totale per attività
per il numero di activity driver ad essa riferibile: il risultato di tale rapporto
rappresenta nella sostanza il costo di ogni singola unità di activity driver.
Successivamente andrà prima calcolata per ogni prodotto la quantità di activity
driver da esso consumata e successivamente moltiplicata per il costo unitario di
ogni singolo activity driver. In tal modo si sarà attribuito ad ogni prodotto una
quota dei costi delle diverse attività stimando il loro livello di consumo da parte dei
prodotti proprio attraverso l’utilizzo degli activity driver.
(vedi esempio pag 267).
In sintesi, attraverso la metodologia ABC si tenta di pervenire ad una
configurazione di sto complessivo che sia in grado di riflettere in maniera più
efficace il reale consumo delle risorse acquisite dall’azienda e che portano alla
generazione dei costi di natura indiretta. Tra i principali limiti: la difficoltà di
attribuire ai prodotti i costi di attività che hanno con essi una relazione molto
sfumata; la difficoltà che, specie di realtà di piccole dimensioni, possono incontrarsi
nell’implementare tutte le fasi che caratterizzano la metodologia; la difficoltà di
individuare concretamente le attività svolte in un’azienda che potenzialmente
potrebbero essere migliaia.
A fronte di questi limiti il metodo ABC consente sicuramente una migliore
conoscenza dei sistemi aziendali contribuendo as una gestione manageriale più
efficace.
!89
Per strutture organizzative consolidate con poco sviluppo tecnologico è
probabilmente più efficace l’applicazione del metodo della localizzazione dei costi,
mentre per aziende maggiormente innovative con processi produttivi che utilizzano
in maniera massiccia tecnologie avanzate che operano prevalentemente mediante
progetti che risultano per loro natura trasversali e inter-funzionali, allora l’adozione
del metodo ABC potrebbe portare a risultati più attendibili per la determinazione
del costo complessivo.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici del metodo ABC, appare evidente come la
logica di calcolo si avvalga in maniera evidente delle tecniche utilizzate nei metodi
tradizionali, ciò che lo contraddistingue sono i concetti di attività e di cost driver che
rende la sua logica di fondo del tutto peculiare.

Variabilità e costanza dei costi.


Il diagramma di redditività.
I preventivi flessibili. (cap 2)

Fin ora abbiamo analizzato i costi sotto una rappresentazione statica. Adesso li
guarderemo da una prospettiva dinamica e sotto questo aspetto possiamo definire
due categorie di costi:
- I costi fissi: secondo cui il loro ammontare resta invariato al variare della
produzione;
- I costi variabili: secondo cui il loro ammontare varia proporzionalmente al
variare del volume di produzione.
Il costo complessivo della produzione aumenta all’aumentare del volume di
produzione per effetto dei maggiori costi variabili; al contrario il costo unitario del
singolo prodotto diminuisce all’aumentare del volume di produzione in presenza di
costi fissi.

Il diagramma di redditività: le ipotesi su cui si fonda.

Adesso vogliamo rappresentare la dinamica dei costi fissi, variabili e complessivi su


un sistema di assi cartesiani.
Bisogna porre molta attenzione sulle ipotesi da formulare in quanto esse sono di
fondamentale importanza e deve essere fatta in modo da ridurre al minimo l’errore
in base agli scopi conoscitivi che ci si propone di raggiungere.
Con riferimento al diagramma di redditività, le principali ipotesi che è necessario
formulare sono:
• Costanza dei ricavi per unità di prodotto per tutti i volumi produttivi
successivamente considerati che l’azienda porta sul mercato, entro i limiti di
capacità produttiva;
• Costanza di alcuni elementi originari o derivati di costo al variare delle quantità
prodotte;
• Variabilità proporzionale dei costi diretti al variare delle quantità prodotte;
• Omogeneità delle produzioni e relativa costanza della loro composizione rispetto
al variare del volume complessivo.
!90
Accanto a tali ipotesi specifiche, vanno considerate delle ipotesi generali, chiamate
cosi in quanto implicite ad ogni programmazione, come la condizione di
“normalità” riguardante i fattori da impiegare e quella dei ricavi conseguibili, ecc,.
vi sono fine delle ipotesi formali inerenti alla scala scelta per la rappresentazione
grafica cosi da rendere facile la lettura a chi studierà i grafici.
Per quel che riguarda i costi variabili, notiamo (in figura) che all’aumentare dei
volumi aumentano i costi, così da formare una semiretta partente dall’origine e che
si ferma nel punto di volume massimo prodotto:

Costi
Sull’asse delle
ordinate i costi
variabili totali o di
volume; sull’asse

Volume produttivo

Se analizzassimo il grafico che ha nelle ordinate i costi variabili unitari sarebbe


rappresentato da una semiretta parallela all’asse delle ascisse e al variare del
volume prodotto il costo resta invariato:

Costi

Volume produttivo

Evidentemente i grafici rappresentano in modi diversi la stessa realtà.


Tale rappresentazione è, però, schematica: nella realtà non è vero che i costi
variabili sono costantemente variabili al variare del volume di produzione e quindi
non è ero che si mantengono fissi sull’unità di prodotto qualunque sia il volume di
produzione.
Prendiamo in esempio dei costi variabili per definizione: le materie prime.
Esse rappresenta dei costi variabili ma bisogna considerare degli aspetti importanti
come ad esempio l’efficacia dell’impero di esse che dipende dal modo in cui
vengono impiegate. Di norma, quando crescono i volumi di produzione, in qualche
modo l’attenzione agli sfridi di produzione è minore: l’abbondanza provoca spreco.

!91
Quindi man mano che aumentano i volumi produttivi si riducono i rendimenti delle
materie prime: rendimento=
Risultato ottenuto
Risultato che si sarebbe dovuto ottenere

B
A

Il diagramma di redditività rappresentato è stato modificato tenendo conto


dell’incidenza dei diversi rendimenti sul costo variabile di volume all’aumentare
della produzione. L’andamento non è più rappresentato da una semiretta, ma da
una spezzata che va a creare degli scaglioni (A, B, C) dunque risulta maggiormente
corretto andare a scegliere in previsione uno scaglione produttivo all’interno del
quale è verosimile che si attesti il livello di produzione aziendale e studiare nel suo
interno la legge di variabilità dei costi.
È vero che il rendimento dei fattori non è l’unica variabile da considerare, pochi
acquistando maggiori quantità è possibile ottenere dei fornitori riduzioni nei costi
unitari.

Il costo delle materie che è rappresentato nel grafico ha un’incidenza decrescente


man mano che aumenta il volume di produzione per effetto degli sconti ottenuti.
Quindi ci sono variabili che fanno aumentare più che proporzionalmente il costo
delle materie prime per effetto del variare del rendimento al variare del volume di
produzione e fattori che fanno diminuire il costo unitario delle materie prime.
Quindi diventa fondamentale precisare qual è lo scaglione di produzione su cui si
presume di attestarsi. Esistono in oltre altre variabili come i costi di energia
elettrica e i costi di lavoro.
!92
In sintesi, le ipotesi semplicistiche sulla variabilità dei costi variabili vanno
considerate caso per caso: tendenzialmente alcuni tipi di costi, tra cui le materie
prime, sono variabili, ma il modo in cui lo sono cambia di volta in volta e va valutato
accuratamente.
Analizziamo adesso i costi fissi, e cioè quesi costi che per natura si riferiscono al
sostenimento della costituzione della struttura produttiva necessaria a svolgere
l’attività aziendale (come ad esempio i macchinari). Essi vengono solitamente cosi
rappresentati:

Costi

Costi fissi

Volume produttivo

Tali costi restano invariati entro certi limiti di volume di produzione, per superare
questi limiti devono sostenersi costi fissi addizionali per l’acquisto di fattori
produttivi facendo crescere l’attività produttiva e innalzando il valore dei costi fissi
complessivi. Anche all’interno della capacità produttiva, i costi fissi non restano
invariati, per fattori che non hanno natura tecnica ma che si riferiscono a fattori
dell’organizzazione. Infatti non è detto che all’aumentare del volume di produzione,
il lavoro del personale amministrativo non devia aumentare, comportando maggiori
costi fissi, sebbene si resti entro i limit della capacità produttiva degli impianti.
Così il diagramma di redditività diventa:

Tale grafico rappresenta l’andamento a gradini dei costi fissi che restano stabili
almeno fino al momento in cui non vi sia un salto causato ad esempio dall’aumento
dei costi fissi organizzativi o un aumento della capacità produttiva degli impianti.

!93
Con riguardo ai costi unitari di prodotto, andamento è sensibilmente diverso in
quanto al variare del volume di produzione ne diminuirà l’incidenza sull’unità di
prodotto; tuttavia per le considerazione fatte in merito all’andamento a gradini, al
variare del volume verranno sostenuti nuovi costi fissi con l’effetto di innalzare il
costo fisso unitario di prodotto:

Costi fissi unitari

Quindi, dato che i costi fissi, anche se per scaglioni, presentano una certa
variabilità, ne deriva che l’ipotesi sui costi fissi alla base del diagramma di
redditività non risulta realistica.
Si analizzi, infine, la dinamica sui ricavi:

Ricavi

Ricavi

Volume produttivo

Sulla quale vanno fatte le stese considerazioni degli sconti ottenuti sulle materie
prime. Infatti se si vuole vendere un maggior volume di produzione, è plausibile
consentire degli sconti, per cui:

B
A

!94
Si provi a questo punto a tracciare un diagramma di redditività inserendo
all’interno dello stesso i costi fissi, i costi variabili, i costi complessivi (Cf + Cv) e i
ricavi rispettando le ipotesi poste a base:

Ricavi

Costi complessivi

P
Costi variabili

Costi fissi

V1

Si ha un’area di redditività negativa sino al punto V1 corrispondente al punto di


equilibrio o pareggio P (detto anche break even Point ) in cui i ricavi coprono tutti i
costi, vale a dire fino al volume produttivo al di là del quale la redditività diventa
positiva fino al limite della capacità produttiva installata. Superato il punto V1 e
realizzando una produzione addizionale si può ottenere un risultato positivo
crescente.

I limiti di significatività del diagramma di redditività con particolare riferimento


alla variabilità della composizione ( mix ) dell’intera produzione.

Molti attribuiscono al diagramma di redditività una capacità previsiva o normativa.


In realtà la sua validità a questo fine è relativa.
In quanto come abbiamo visto i costi variabili non sono costanti come non lo sono i
costi fissi.
Per elaborare diagrammi di redditività che si avvicinano maggiormente alla realtà
sarebbe opportuno concentrare le analisi sul comportamento dei costi e dei ricavi
sul segmento di produzione che sembra più probabile analizzare e con ciò ridurre il
costo delle analisi medesime. In calo modo si verrebbe a identificare un’area di
significatività nel grafico racchiusa tra livelli di attività minimi e massimi
congruentemente scelti (V1 e V2) e l’analisi della dinamica dei costi e dei ricavi
verrebbe ad essere limitata alle variazioni dell’attività produttiva entro limiti di
attività compresi nell’area di significatività. Tale area potrà essere tanto più grande
quanto più oscillanti nel volume siano le produzioni, e tanto più ristretta quanto più
analitica ed accurata voglia essere l’analisi dei valori di costo e di ricavo. (figura 11
pag 285).
Me le cose si complicano se l’azienda, come accade spesso, non produce un unico
prodotto, ma più prodotti eterogenei, che hanno con costi fissi, costi variabili e
ricavi eterogenei perché operano in ASA diverse.

!95
( esempio pag 285)

!96
Ciò considerato si provi a pensare a quelle aziende che hanno centinaia di prodotti
in portafoglio e che vogliono rappresentare il futuro andamento della gestione
economica aziendale in un diagramma di redditività immaginando di fissare un mix
produttivo. A questo punto il diagramma di redditività non ha alcun valore
segnaletico e rappresentativo. Il diagramma risulta tanto meno rappresentativo
quanto maggiore è il numero di prodotti in portafoglio.
In conclusione, il diagramma di redditività può essere utile alle aziende mono
prodotto o a quale che hanno un assai ristretta gamma di prodotti. Viceversa risulta
più utile riferire questo strumento alle ASA piuttosto che all’azienda.

La rappresentazione degli effetti economici dell’autofinanziamento nel


diagramma di redditività.

La misura dell’autofinanziamento -in senso lato- è data dalla somma dell’utile non
distribuito e dei costi non rilevanti, tra i quali la componente più importante è
quella che si riferisce agli ammortamenti.
Il punto di partenza per valutare gli effetti economici dell’autofinanziamento
dovrebbe essere quello di incontro tra la retta dei ricavi e la retta dei costi aventi
manifestazione finanziaria contenuta nell’arco di tempo considerato. Il punto
trovato esprime il volume produttivo superato il quale l’azienda comincerà a
produrre risorse finanziarie. Bisogna considerare che l’autofinanziamento dipende
dalle politiche dei dividendi stabilite dall’azienda, se gli amministratori decidessero
di adottare una politica costante nel tempo, la misura dell’autofinanziamento
risulterà assillante, viceversa se si persegue una politica proporzionale all’utile
conseguito. Appare evidente che la rappresentazione dell’autofinanziamento basata
sul diagramma di redditività presenta gravi limiti: tale strumento è in realtà troppo
semplice per rappresentare una realtà ben più complessa.

!97
I preventivi flessibili

Tramite la distinzione tra costi variabili e costi fissi, è possibile giungere alla stesura
dei preventivi flessibili, preventivi, cioè, che vengono articolati per successivi
volumi di produzione.
Una delle prime operazioni da compiere nella redazione del budget è quella di
determinare il probabile futuro volume di produzione. Tale quantità è frutto
prevalentemente di due tipi di stime: un riguardante la determinazione della
probabile quota di mercato raggiungibile dall’azienda, l’altra riguardante la capacità
produttiva interna. Se tali stime si rivelassero inattendibili, l’intera indagine
risulterebbe inadeguata.
Cosi per evitare tali pericoli, si introducono dei volumi di produzione successivi,
una volta definito il volume realmente realizzato si possono rintracciare i relativi
silurati reddituali e il fabbisogno finanziario programmati per verificarne il
raggiungimento. Questo tipo di preventivo prende il nome di preventivo flessibile e
può essere studiato sia in ordine di programmazione economia che per la
determinazione del fabbisogno finanziario, in particolar modo del capitale
circolante netto.
Ci si occuperà della programmazione economica. In questo caso, qualunque sia il
grado di sfruttamento della capacità produttiva, le componenti di costo fisso
dovranno essere considerate interamente nel preventivo, mentre e componenti
variabili verranno adeguate moltiplicando il relativo valore standard unitario
previsto per la quantità effettivamente prodotta.
Graficamente il preventivo flessibile trova rappresentazione nel diagramma di
redditività, dove per ogni livello di produzione, è possibile rintracciare la differenza
tra ricavi totali e i costi totali e quindi l’utile o la perdita relativa allo specifico
volume di produzione.
I preventivi flessibili possono essere utilizzati anche nella programmazione
finanziaria in particolare modo per determinare il fabbisogno finanziario relativo al
capitale circolante netto (CCN). Anche in questo caso si può rintracciare per ogni
grado di sfruttamento della capacità produttiva il relativo fabbisogno finanziario.
Il fabbisogno finanziario delle materie prime, che sono un costo variabile, si riduce
man mano che si riduce il volume produttivo realizzato. Diverso è il trattamento del
fabbisogno finanziario relativo ai prodotti finiti, ai semilavorati e ai crediti verso i
clienti: quest’ultimo dipende dal costo primo industriale per quanto riguarda i
semilavorati ed i prodotti finiti, e dal costo operativo del venduto al netto dei costi
non rilevanti per quanto riguarda i prodotti finiti e i crediti verso i clienti. Per
calcolare questi fabbisogni bisognerà distinguere all’interno del costo in oggetto le
componenti fisse che verranno inserite per intero, dalle componenti variabili il cui
costo dovrà essere moltiplicato per la quantità effettivamente realizzata.
(vedi esempio pag 298).
Anche nel caso del preventivo finanziario si vede come, riducendo la produzione, il
fabbisogno si riduce in maniera meno proporzionale proprio in virtù della presenza
dei costi non eliminabili.

!98
Il cosiddetto budget e l’analisi degli scostamenti
(cap 3)

La verifica delle condizioni d’azienda si avvale anche del budget, ovvero un


programma (solitamente annuale) corredato da una periodica determinazione ed
analisi degli scostamenti tra preventivo e consuntivo.
Questo strumento consente di definire gli obiettivi di ciascuna area di attività
dell’azienda, di individuare le azioni da porre in essere nell’esercizio successivo e di
valutarne i costi e ricavi, nonché i correlativi fabbisogni e coperture finanziarie.
Esso trova ideale avvio con la definizione degli obiettivi e si conclude con la
rilevazione dei risultati effettivamente inseguiti in ciascuna area di attività. Il
budget e l’analisi degli scostamenti costituiscono lo strumento centrale per la
realizzazione del controllo di gestione.

Il ciclo di budgeting.

Il ciclo di budgeting si avvia con la programmazione delle diverse attività la quale


implica anche una valutazione preventiva di costi e ricavi, fabbisogni e coperture
finanziarie, nel periodo futuro considerato.
Per la valutazione dei valori da inserire budget è necessario puntualizzare alcuni
aspetti dei fabbisogni standard, infatti: la determinazione dei costi variabili
standard richiede il riferimento a tre componenti:
- volume programmato di produzione;
- Standard unitario del consumo fisico della risorsa;
- Costo unitario standard di acquisizione di ciascun fattore produttivo.
La determinazione dei costi fissi standard implica la stima delle risorse
corrispondenti alla capacità produttiva già acquisita o da acquisire e la conseguente
valutazione economica.
La determinazione dei ricavi standard comporta la stima dei seguenti aspetti:
- prezzo unitario sul quale si prevede di poter vendere ciascun prodotto;
- Il volume di vendita atteso;
- Il mix di vendita atteso.
Ovviamente, la stima della produzione da realizzare verrà effettuata in funzione
delle vendite attese. A sua volta la stima delle vendite attese -che costituisce la base
per la redazione del budget sui ricavi per ciascuna area alla quale è attribuita la
responsabilità di risorse utilizzate per collocare i prodotti sul mercato- deriva da
uno studio del sistema competitivo finalizzato a comprendere lo spazio che l’azienda
potrà avere nelle preferenze dei consumatori.
La stima dei costi e dei ricavi da inerire a budget è accompagnata dalla valutazione
previsionale degli investimenti (in capitale fisso e circolante).
Ai fini della valutazione dei suddetti elementi, un peso importante sono i risultati
passati che spesso possono suggerire una base di partenza per la negoziazione degli
standard e dell’allocazione delle risorse in funzione degli obiettivi che si intendono
perseguire.
La valutazione dei risultati effettivamente conseguiti e la successiva rilevazione ed
analisi degli scostamenti tra budget e consuntivo consentono di completare il ciclo
di budgeting. Sebbene il processo descritto riguardi esplicitamente il budget
!99
annuale, esso potrebbe anche influenzare gli obiettivi di più lungo andare, nel caso
in cui dall’analisi degli scostamenti emergesse l’opportunità di riformulare i
macro-obiettivi caratterizzanti la formula imprenditoriale.
Il processo deserto è alimentato da un sistema di rapporti per la direzione
(reporting) il quale non considera solo informazioni di gestione interna, ma
contempla anche alcune rilevanti informazioni esterne.

L’analisi degli scostamenti dei costi variabili.

L’analisi degli scostamenti viene effettuata con riferimento ai costi variabili e fissi e
ai ricavi di vendita.
Per quanto riguarda i costi variabili, due esempi possono essere d’aiuto nella
comprensione della tecnica di calcolo degli scostamenti, con riferimento ai costi di
materia prima e a quelli di manodopera diretta.

Determinazione degli scostamenti dei costi di materia prima.

Si parte dal presupposto che il costo di budget può essere così calcolato:
C= V x S x P
Dove C è il costo totale del budget, V il volume di produzione, S consumo standard
unitario della risorsa ( ovvero la quantità di risorsa che si prevede dovrà essere
utilizzata nella trasformazione per ottenere una unità di prodotto), P il prezzo
standard unitario della risorsa ( ovvero il prezzo che tipicamente viene praticato
dall’azienda per l’acquisto di 1 Kg di materia prima).
Consideriamo il seguente esempio:

Preventivo

Volume di Consumo Prezzo standard


produzione x standard x unitario della
programmato unitario materia

n. 10.000 pezzi x Kg 1 x 0,5/Kg= 5.000

!100
Nel caso preso in esame, la produzione di 10.000 pezzi verrà a costare 5.000.
Supponiamo adesso che una colta terminato il ciclo di budgeting e realizzate le
relative attività, ci si renda conto che i risultati ottenuti siano di versi da quelli
programmati:

Consuntivo

Volume di Consumo Prezzo effettivo


produzione x effettivo unitario x unitario della
effettivo di materia materia

n. 12.000 pezzi x Kg 1,5 x 0,3=5.400

La previsione era quella di produrre 10.000 pezzi utilizzando 1 Kg di materia prima


per unità di prodotto pagandola 0,5 al Kg; a consuntivo si è rilevata una produzione
di 12.000 pezzi con utilizzo unitario di 1,5 Kg di materia prima, il cui costo unitario
è stato pari a 0,3 al Kg.
In questo caso si registra uno scostamento di volume, di consumo della risorsa e nel
prezzo di acquisto. Se si confrontasse il solo risultato finale del preventivo (5.400)
con quello consuntivo (5.000) risulterebbe un risultato maggiore di 400 ma non
saremmo in grado di sapere se questa differenza dipende dal volume, dal prezzo o
dal consumo di risorse. A tal proposito nasce l’esigenza di scomporre lo
scostamento complessivo in tre componenti parziali di scostamento.

Scostamento di volume

Andiamo a determinare quale parte del maggior costo di 400 dipende da una
variazione nel volume di produzione. Per enucleare lo scostamento di volume, è
necessario sottrarre dal budget originale quello cosiddetto flessibilizzato, che si
ottiene ricalcolando i valori di budget con riferimento ai volumi di produzione
effettivi, che vanno a sostituire quelli programmati, si avrà quindi:
( n. 10.000 pezzi x Kg 1 x 0,5)-(n. 12.000 pezzi x Kg 1 x 0,5)=
= (5.000-6.000)= 1.000 scostamento di volume.
Dalle analisi emerge che aver prodotto 12.000 unità in più ha comportato un
aumento del costo della materia prima di 1.000. Attenzione!! Questo fatto non è
negativo, in valore assoluto, ci dice che a fronte di una spesa maggiore sono state
prodotte 2.000 unità in più, quindi maggiori costi potrebbero trovare
giustificazione in questo fenomeno.

Scostamento di efficienza

Si vuole determinare quale della parte dello scostamento rimanente globale dipende
da uno scostamento sull’efficienza, ovvero al fatto che per produrre ogni unità di
prodotto son stati utilizzati 1,5 Kg di materia invece di 1 Kg. Lo calcoliamo
sostituendo il consumo programmato con quello effettivo.

!101
Si avrà quindi:
( n. 12.000 pezzi x Kg 1 x 0,5)-(n. 12.000 pezzi x Kg 1,5 x 0,5)=
= (6.000-9.000)= 3.000 scostumato di efficienza. Ciò ci lascia intuire che dato che
lo scostamento totale è di 400, e la somma degli scostamenti già calcolati è 4.000,
lo scostamento di prezzo dovrebbe essere positivo.

Scostamento di prezzo

Andiamo a determinare lo scostamento di prezzo, sostituendo il prezzo


programmato (o,5) con quello effettivo (0,3).
Avremo quindi:
( n. 12.ooo pezzi x 1,5 Kg x 0,5)-( n. 12.000 pezzi x 1,5 Kg x 0,3)=
=( 9.000-5.400)= 3.600 scostamento di prezzo.
Dopo aver scomposto lo costipamento nelle sue componenti, si rileva che è stato
sostenuto un costo pari a 400 in più rispetto a quanto programmato, e ciò in
quanto:
- Sono state realizzate 2.000 unità di prodotto in più;
- È stata consumata una maggiore quantità di materia prima a causa di un calo di
efficienza, rispetto a quanto programmato, che ha dato luogo ad un maggiore
costo pari a 3.000;
- Sono stati risparmiati 3.600 in quanto le materie prime sono state acquistate ad
un prezzo inferiore rispetto a quello programmato.

Determinazione degli scostamenti dei costi di manodopera

Per analizzare gli scostamenti che riguardano l’utilizzo di manodopera diretta


(MOD) è sempre possibile utilizzare la formula:
C=VxSxP
dove però S non indica il consumo di materia prima ma il consumo di mano d’opera
diretta e quindi rappresenta le ore di lavoro necessarie per ottenere l’unità di
prodotto, mentre P è qui il costo orario della mano d’opera.
Nell’esempio che segue calcoliamo dapprima lo scostamento globale procedendo in
questo modo:

Preventivo

Volume di Tempo standard Costo standard


produzione x unitario di MOD x unitario di MOD
programmato

n. 3.000 pezzi x ore 0,5 x 4=6.000

Nel budget consuntivo invece abbiamo 2.800 pezzi, 0,4 ore con un costo effettivo di
4,5= 5.040.
Dunque abbiamo uno scostamento globale di 960 ( 6.000-5.0.40) e suo essere
scomposto come segue.
!102
Scostamento di volume

Calcoliamo il budget originale e sottraiamo quello flessibilizzato e avremo:


( 3.000 pezzi x 0,5 ore x 4)-( 2.800 pezzi x 0,5 ore x 4)=(6.000-5.600=400
scostamento di prezzo (costi in meno).
Da questa analisi emerge che aver prodotto 200 pezzi in meno ha completato un
costo minore di 400. Va sottolineato che di per sé non è un fatto positivo perché si è
registrato uno scostamento di 400 e di fronte a una spesa minore si sono comunque
prodotte 400 unità in meno.

Scostamento di efficienza

Andiamo a determinare quale parte dello scostamento globale di 960 dipende da


uno scostamento dell’efficienza, ovvero che per produrre ogni prodotto sono state
impiegate 0,4 ore invece di 0,5.
Avremo:
( 2.800 pezzi x o,5 ore x 4)-( 2.800 pezzi x 0,4 ore x 4)=(5.600-4.480)= 1.120
scostamento di efficienza.
Vediamo che abbiamo uno scostamento positivo di 1.120 il che significa che avendo
impiegato meno tempo del previsto abbiamo auto un risparmio di 1.120.

Scostamento di prezzo

Determiniamo quale parte dello scostamento globale dipende dal prezzo-costo


mediamente sostenuto per un’ora di lavoro, cioè dal costo unitario di mano d’opera.
Avrei quindi:
(2.800 pezzi x 0,4 ore x 4)-(2.800 pezzi x 0,4 ore x 4,5)=(4.480-5.040)= -560
scostamento di prezzo.
Dall’analisi emerge uno scostamento negativo di prezzo pari a 560 il che significa
che si è sostenuto un costo maggiore di 560 propio a causa del maggior costo
unitario di mano d’opera.

L’analisi degli scostamenti dei costi fissi

Nel caso in cui si procede a determinare gli scostamenti riferiti ai costi fissi, la
formula utilizzata per i costi variabili non può essere presa in considerazione, in
quanto risulta irrilevante la determinazione dello standard unitario fisico della
risorsa, poiché i costi fissi sono costanti anche al variare del volume produttivo.
Inoltre risultano irrilevanti il volume di attività e il costo unitario perché i costi fissi
rimangono costanti al variare della produzione.
Si può determinare lo scostamento tra l’incidenza unitaria dei costi costanti prevista
a budget e quella effettivamente misurata a consuntivo. Questa differenza è
segnaletica dell’attitudine -riferita a ciascuna area di responsabilità- ad utilizzato
alpino i fattori di produzione pro tempore acquisiti.
l’unico confronto realizzabile è:

Costo di budget - Costo consuntivo

!103
Su questa differenza è possibile valutare le conseguenze economiche che la
realizzazione di un volume di produzione diverso da quello programmato può avere
avuto in termini di incidenza del costo fisso unitario.
Se invece di ottenere a quantità programmata si è realizzata una quantità maggiore
si parla di scostamento di volume o di assorbimento, e in particolare:
- sotto-assorbimento nel caso in cui il volume effettivo risulti inferiore a quello
programmato, e quindi i costi fissi unitari risultino maggiori di quelli previsti.
- sopra-assorbimento nel caso in cui il volume effettivo risulti maggiore di quello
programmato, e quindi i costi fissi unitari risultino minori di quelli previsti.
La formula con cui si determina questo particolare tipo di scostamento è data:

Costo fisso di budget - costo fisso di budget x volume effettivo


volume programmato

L’analisi degli scostanti dei ricavi di vendita

Qui abbiamo due situazioni:


a) Azienda monoprodotto;
b) Azienda multiprodotto.

Caso “a”:
Lo scostamento globale dei ricavi di vendita può essere scomposto in due
spostamenti elementari: scostamento di volume e scostamento di prezzo.
Lo scostamento globale sarà calcolato analogamente a quanto fatto per i costi:

Volume di vendita programmato x


x prezzo standard unitario di
vendita

Meno

Volume di vendita effettivo x


x prezzo effettivo unitario di
vendita

=
Scostamento globale

!104
Tale scostamento a sua volta può essere cosi scomposto:

Scostamento di volume

Volume di vendita programmato x


x prezzo standard unitario di
vendita

meno

Volume di vendita effettivo x


x prezzo standard unitario di
vendita

Scostamento di prezzo

Volume di vendita effettivo x


x prezzo standard unitario
di vendita

meno

Volume di vendita effettivo x


x prezzo effettivo unitario di
vendita

Caso “b”:
Consideriamo un’azienda che realizzi due prodotti a e b. Ipotizziamo che a budget si
ipotizzi di vedere 1.700 unità di a a prezzo 0,4 e realizzando un fatturato di 680; e di
vendere 4.500 unità del prodotto b ad un prezzo unitario di 0,1 realizzato un
profitto di 450 per un totale di 1.130.
Si immagini a consuntivo che del prodotto a siano stati venduti 2.200 pezzi a prezzo
unitario di 0,3 realizzando un fatturato di 660 invece di 680. Relativamente al
prodotto b si ipotizzi che siano stati venduti 5.000 pezzi ad un prezzo unitario di 0,2
credo profitto per 1.000 invece di 450.
Complessivamente è stato realizzato un fatturato superiore a quello previsto (1.660
invece di 1.130) e si è creato uno scostamento positivo di 530.
Va sottolineato come non soltanto si è avuto un incremento del volume produttivo
(7.200 pezzi invece di 6.200) ma è anche variata la proporzione alle vendite, ovvero
il mix ( il mix delle vendite corrisponde alla composizione percentuale delle vendite
di un prodotto sul fatturato complessivo). Infatti:

!105
Mix delle vendite a budget:
a n. 1.700 pezzi (27%)
b n. 4.500 pezzi (73%)
Totale n. 6.200 pezzi

Mix delle vendite a consuntivo:


a n. 2.200 pezzi (31%)
b n. 5.000 pezzi (69%)
Totale n. 7.200 pezzi

In questo caso non si è solo verificato uno scostamento di volume o di prezzo, ma


uno scostamento di mix. È quindi necessario verificare quota parte dello
scostamento globale dipende dalla variazione nella composizione delle vendite. Se ci
limitassimo a calcolare lo scostamento lordo di volume otterremmo uno
scostamento di -250 lordo di volume, in esso è pero inclusa anche la quota causata
dalla variazione di mix. Al fine di enucleare tale quota, è necessario dapprima
sottrarre al budget originale dei ricavi il budget flessibilizzato calcola con
riferimento ai volumi effettivi rimodellati in funzione del mix e moltiplicati per i
prezzi standard.
Vedi pag 315. In tal modo avrei uno spostamento netto di volume di -173,20 il che
però è un gatto positivo poiché il minuendo era il budget flessibilizzato, ciò significa
che l’azienda ha conseguito maggiori ricavi grazie all’aumento delle vendite.
Uno scostamento di mix di -76,80 anche questo seppe negativo indica un maggior
ricavo conseguito. Uno scostumato di prezzo di -280,00 il che è sempre positivo
perché l’azienda è riuscita ad aumentare il prezzo del prodotto b.
Per uno scostamento globale di- 530,00.

L’opportunità di calcolare gli scostamenti di ricavo in funzione dei margini di


contribuzione unitari.

Va sottolineato che l’utilizzo del prezzo di vendita per la determinazione degli


scontenti di ricavo potrebbe indurre i responsabili commerciali a promuovere qui
prodotti che hanno un maggio prezzo di vendita a prescindere dal loro ricavo o
costo. Ci si rende conto che così si rischia di sottovalutare prodotti che hanno prezzi
più bassi ma che hanno un margine di contribuzione unitario più alto.
Al fine di evitare ciò è spesso opportuno responsabilizzare le diverse aree
commerciali in base al margine di contribuzione unitario, piuttosto che soltanto in
base al prezzo. Ad esempio supponiamo che un’azienda produca due prodotti e che
si verifichi uno scostamento in termini di prezzo di -880 e che in termini di margine
di contribuzione esso sia di 120. Va sottolineato che è opportuno utilizzare il
margine lordo unitario di contribuzione calcolato come differenza tra i ricavi ed i
costi variabili standard e non effettivi. Mio in quanto le aree gestionali caratterizzate
da una responsabilità di tipo commerciale non possono influenzare la dinamica dei
costi variabili effettivamente sostenuti. Conseguentemente, sarebbe
controproducente imputare ad un’area di vendita uno scostamento sfavorevole
causato da maggiori costi variabili di produzione generati da un’altra area
gestionale. (vedi esempio di pag 319).

!106
La redazione del budget per il capitale circolante netto “commerciale”

La determinazione del capitale circolante netto “commerciale) (crediti v. Clienti +


scorte - debiti v.fornitori) e della sua variazione intervenuta nel corso di un
determinato periodo consente di determinare il flusso di cassa connesso alla
gestione corrente. Tale determinazione è fondamentale in quanto collega l’aspetto
economico-patrimoniale con quello monetario-finanziario. In altri termini consente
di valutare sia consuntivo che a preventivo il grado di fattibilità e di convenienza
sotto l’aspetto economico-finanziario di una determinata strategia, esplicitando il
fattore sviluppo-liquidità e anche quello redditività-liquidità.
Infatti una strategia, sia a livello ASA che aziendale, pur essendo economicamente
conveniente, potrebbe avere dei livelli di sviluppo troppo elevati per le disponibilità
finanziarie dell’azienda, in quanto i margini di autofinanziamento potrebbero
risultare interamente erosi dalle variazioni in aumento del circolante netto
operativo, derivanti dall’incremento del livello medio delle scorte e/o dei crediti
commerciali, causati a loro volta dai maggiori volumi di attività e anche
dall’adozione di politiche commerciali aggressive orientati a diminuire i temi di
attesa dei clienti o all’aumento delle dilazioni di vendita.
Allo stesso modo, l’adozione di una strategia di differenziazione, tende a generare
un incremento nel livello medio delle scorte e quindi nel circolante, cosi anche
l’adozione di una tale strategia e al contempo decidere di dotarsi di un sistema di
produzione robotizzato, tende a ridurre gli investimenti in circolate, ma ad
aumentare quelli in capitale fisso (col rischio di obsolescenza dal momento che si
tratta di parti informatiche), nonché a far incrementare i costi indiretti aziendali.
Inoltre, il grado di stagionalità delle vendite, di prevedibilità della domanda, e più in
generale, il grado di turbolenza e prevedibilità del contesto ambientale in cui è
inserita l’azienda, esercitano degli effetti significativi sugli immobilizzi di circolante
netto e quindi sui fabbisogni finanziari aziendali.
Il controllo del capitale circolante netto (CCN) presenta dunque molti aspetti di
elevato interesse, specialmente perché consente di coniugare la prospettiva della
gestione corrente (breve periodo) con quella della gestione strategica
(tradizionalmente definita di lungo periodo).
Tuttavia non è semplice procedere ad un controllo degli investimenti netti in
circolante netto per due principali aspetti:
1. In genere si tende ad attribuire relativamente poca importanza a tali
investimenti, normalmente meno rilevanti in parole assoluto rispetto a quelli
relativi al capitale fisso;
2. Perché essi derivano da decisioni derivanti da soggetti differenti di diverse aree
aziendali.
È necessario progettare il sistema di controllo in modo tale che possa fungere da
meccanismo di coordinamento ed integrazione inter funzionale.
Le determinazioni del CCN possono essere effettuate sia con riferimento al suo
valore assoluto, riportato nello stato patrimoniale, sia agli scostamenti che in esso e
nelle sue componenti, intervengono in un diretto arco temporale, sia infine con
riferimento alle determinanti di tali scostamenti. Per quanto riguarda il CCN, preso
in valore assoluto, è possibile osservare che quanto maggiore è il suo valore tanto
maggiore tende ad essere il grado di liquidità aziendale, e, cioè la possibilità da

!107
parte dell’azienda di uno smobilizzo dell’attivo corrente e/o un dilatamento del
passivo a breve, per far fronte ad eventuali esigenze di tesoreria nel breve periodo.
È possibile distinguere tre livelli lungo i quali si articola la gestione del circolante
netto:
1. Livello strategico, costituito dalle politiche di scorte, dei crediti e debiti
commerciali, derivanti dalla strategia competitiva e finanziaria adottate;
2. Livello direzionale, che consiste nella programmazione e controllo del
circolante che si fonda du tre fronti: a) formulazione di giudizi di convenienza
economica riguardanti le singole variabili che lo costituiscono; b) definizione dei
parametri-obiettivi da assegnare ai respirabili dei centri di attività, con
riferimento alle variabili del CCN; c) verifica continua dell’attività, per accertarsi
il rispetto degli obiettivi e/o per modificare gli obiettivi stessi.
3. Livello operativo, riguardante i sistemi operativi di svolgimento delle attività
connesse agli approvvigionamenti, produzione, magazzinaggio, distribuzione,
gestione amministrativa delle fatture, ecc.
La formulazione di bilanci preventivi, riferiti alle singole ASA che alla gestione
complessiva, può essere di notevole ausilio perla gestione del ciarlante netto.
Ad esempio, attraverso il ricorso ad essa, è possibile procedere ad una manovra
strategica dei crediti commerciali.
Molto spesso i crediti commerciali vengono considerati come variabili riguardanti la
gestione corrente, in questo modo il problema del sorgere del credito, della sua
riscossione, si pongono solo dopo la vendita senza rendersi conto se la dilazione del
pagamento concessa po essere dannosa o meno per l’azienda, o ancora se mette in
condizioni di periodo l’azienda. Si perde soprattutto la possibilità di attuare una
manovra sinergica tra l politiche di marketing con le leve direzionali riguardanti i
crediti commerciali.
Un eccessivo ricorso alla dilazione dei pagamenti concessa ai clienti può portare nel
breve a una grave crisi di liquidità, e, al contrario, una politica restrittiva delle
dilazioni può portare a una riduzione delle vendite e al sorgere di pagamenti in
ritardo o di acquisti da parte dei clienti in più ordini aumentando così i costi
aziendali.
Gli elementi da delineare, per un’opportuna politica di gestione dei crediti
commerciali sono:
- definizione del livello di servizio che si intende fornire aò cliente, con riferimento
a un “pacchetto integrato” di offerta riguardante le condizioni di vendita;
- valutazione dell’investimento connessi all’adozione delle politiche di cui al punto
precedente e la stima dei relativi costi.
Il primo aspetto è riconducibile alle politiche di marketing e commerciali, il secondo
riguarda politiche finanziarie e di investimento.
Per quel che riguarda il primo aspetto è importante definire: gli aspetti qualitativi
dell’investimento in crediti commerciali; le dilazioni di pagamento e la relativa scala
degli sconti; i tempi di incasso.
Gli aspetti qualitativi dell’investimento riguardano il rischio di insolvenza da parte
dei clienti a non pagare il prodotto. Come arginare questo rischio? Esistono dei
parametri, come ad esempio il canale di distribuzione o l’aeea geografica in cui essa
è localizzata, o ancora le dimensioni dell’erodine medio o degli acquisti annui, che
permettono all’azienda di segmentare la clientela col fine di valutare la probabilità
di incorrere in perdite di insolvenza e/o di ritardo di pagamento e ciò va fatto
!108
attraverso la raccolta di informazioni sia interne che esterne , compresa analisi dei
bilanci della clientela.
Attraverso queste analisi, è possibile dare un punteggio collegato al rischio a
ciascun segmento di clientela e di conseguenza definire gli standard di credito e i
limiti massimi di fido accordabile sulla base del livello di rischio accettabile.
È necessario trovare un opportuno equilibrio tra la ricerca di una maggiore
competitività commerciale e la liquidità aziendale. A tal riguardo, la linea guida da
seguire dovrebbe consistere nell’opportunità di ridurre gli standard qualitativi
richiesti fino al livello in cui l’aumento del primo margine di contribuzione
(fatturato al netto del costo variabile del venduto) derivante dalle maggiori vendite
non sia pari alle perdite e ai costi connessi al maggior volume di crediti.
Per quanto riguarda la stima dei costi connessi all’investimento in crediti è possibile
distinguere tre principali elementi:
1. I costi amministrativi di gestione dei crediti che riguardano la gestione del
cosiddetto ciclo attivo, e cioè riguardante tutte le valutazioni del grado di
affidabilità del cliente e quindi alla fatturazione e al conseguente incasso. Si
tratta di costi fissi per quel che figure i volumi di fatturato, ma che
tendenzialmente diventano variabili se si guarda alle nuove richieste di credito,
al numero di clienti e al numero di fatture da gestire.
2. Gli oneri finanziari impliciti, connessi agli immobilizzi in crediti commerciali,
possono essere opportunamente calcolati applicando al costo primo variabile
del venduto un tasso di interesse espressivo del costo medio ponderato del
capitale e preso a prestito dall’azienda.
3. I costi relativi agli insoluti e sono costituiti dal mancato reintegro dei costi
suppletivi connessi alla trattazione considerata.
Tenendo conto di questi tre elementi di costo, è possibile concludere che se
l’azienda opera in condizioni in cui la propria capacità produttiva non è satura, è
economicamente conveniente ampliare la fascia di clientela anche a sementi meno
solvibili fintantoché i rivado suppletivo non eguagli i costi suppletivi amministrativi
di produzione e vendita ad essa connessi. Al contrario, se l’azienda operasse in
condizioni di saturazione della propria capacità produttiva, essa dovrebbe
classificare i propri clienti in ordine inverso di margine di contribuzione rapportato
al fattore di produzione raro, procedendo anzitutto a soddisfare le richieste di quelli
che consentono il conseguimento dei margini più elevati.
Infine, un quarto elemento di costo di cui è possibile tener conto per le valutazioni
in oggetto è dato dai cosiddetti costi di mancata vendita, di natura figurativa,
connessi alla perdita di margine di contribuzione derivante dalle minori vendite
dovute alla riduzione delle dilazioni o alla mancata concessione del credito.
Sulla base delle considerazioni effettuate è possibile concludere che i modelli
contabili fondati su bilanci prospettici, possono competere la valutazione della
convenienza economica riguardante problemi quali la variazione delle dilazioni
praticate ai clienti in un particolare segmento di mercato o la definizione della
“scala degli sconti” da praticare in relazione ai termini di pagamento accordati alle
politiche seguite dai concorrenti.
Ad esempio, la direzione commerciale di un’azienda si chiede se è conveniente
aumentare la dilazione da 30 gg a 40 gg ad un determinato gruppo di clienti.
Supponiamo che a dilazione di 30 gg le unità vendute all’anno siano 100 e che ogni
unità abbia un prezzo unitario di 20.000 e che si abbia un costo (per l’azienda)
!109
unitario di 7.000, in questo modo il ricavo annuo sarebbe di 1.300.000, se
aumentassimo la dilazione a 40 gg avremmo un ricavo lordo in più di 260.000
annui.
Da tale ricavo loro pero non sono state considerati i maggiori costi amministrativi
di gestione crediti, i costi suppletivi figurativi di immobilizzo in crediti nonché
quelli presenti di insolvenza dei clienti:
• I costi amministrativi suppletivi possono essere stimati moltiplicando il maggior
numero di fatture di vendita che si prevede di processare in questo caso pari a
2.000) per un costo medio di gestione ( in questo caso pari a 15 ed è determinato
rapportando i costi di personale e i costi generali amministrativi al numero di
fatture che si prevede di gestire normalmente durante l’anno).
• Gli oneri finanziari suppletivi si stimano moltiplicando l’immobilizzo medio
annuo in crediti ([costo del venduto/360 gg] x gg dilazione) per il tasso di
interesse passivo figurativo.
• Infine i costi relativi ai crediti insoluti si stimano in base alla differenza del
prodotto tra i crediti medi annui e il rischio di inesigibilità relativi alle due ipotesi
considerate.
Sottraendo dal primo margine differenziale (260.000) i costi differenziali relativi
alle tre poste suddette si perviene a un margine lordo differenziale pari a 223.435, il
fatto che tale magone sia positivo indica la convenienza economica a procedere
all’aumento della dilazione.
Si nota però, che tale modello, di indiscussa utilità ed efficacia, si basa su ipotesi di
linearità nelle relazioni intercorrete tra le variabili in gioco e tende a considerare
l’assetto di tali variabili come dato e non modificabile nel tempo (quali ad esempio
reazioni dei clienti, dei concorrenti, ritardi temporali).
Un altro tipo di analisi che è possibile affiancare a quest’ultima, al fine di valutare
presumibili effetti delle scelte strategiche riguardanti la dilazione, il prezzo e la
composizione della clientela, è quella che fa riferimento agli scostamenti tra budget
e consuntivo, oppure a quelli intercorrenti tra una previsione ed un’altra, ad essa
alternativa, i reazione al valore assunto sai clienti commerciali in dipendenza
dell’adozione di determinate politiche.

L’analisi degli scostamenti del capitale circolante netto commerciale con


particolare riguardo ai crediti verso i clienti

Si procede con l’analisi degli scostamenti dei crediti commerciali, con riferimento
alla gestione complessiva e a particolari segmenti di clientela. Se ci si riferisce allo
spostamento tra budget e consuntivo, relativo alla gestione complessiva, è possibile
scomporre lo scostamento totale dei crediti commerciali, come segue:

Δ TOT = Δ DIL + Δ VOL_PREZZO

Dove:
Δ TOT = scostamento totale= crediti a budget - crediti a consuntivo;
Δ DIL = scostamento elementare causato dalla manovra della dilazione;
Δ VOL_PREZZO= scostamento elementare causato dall’oscillazione dei volti di
vendita e dalla manovra dei prezzi, che insieme influiscono sul fatturato e quindi sul
valore contabile dei crediti.
!110
A loro volta, le due cause elementari di scostamento possono essere cosi
determinate:

Δ DIL = DILSTD x FATT_GGCON (-) DILCON x FATT_GGCON


Δ_VOL_PREZZO = DILSTD x FATT_GGSTD (-) DILSTD x FATT_GGCON

Dove:
DILSTD = dilatazione prevista a budget;
DILCON = dizione praticata a consuntivo;
FATT_GGSTD = fatturato medio giornaliero previsto a budget;
FATT_GGCON = fatturato medio giornaliero realizzato a consuntivo.

da cui:
Δ TOT =Δ DIL + Δ VOL_PREZZO=
= DILSTD x FATT_GGSTD (-) DILCON x FATT_GGCON

Esempio pag 330


È possibile notare che l’analisi degli scoramenti sui crediti costituisce solo un primo
passo per poter sviluppare delle ipotesi di lavoro. Se invece, ci si riferisce allo
scostamento tra budget e consuntivo relativo alla gestione di particolari segmenti di
clientela, al fine di scomporre lo scostamento totale dei crediti commerciali, è
opportuno isolare l’effetto sui crediti derivano dalla diversa composizione quali-
quantitativa del volume di vendite rispetto a quella prevista a budget.
In questo modo è possibile capire se la variazione dei crediti sia dovuta o a un
incremento del fatturato medio totale di periodo, equamente ripartito in tutti i
segmenti di clientela, secondo le composizioni a budget, oppure soltanto da una
diversa distribuzione delle dilazioni dei segmenti ( dato che le dilazioni sono diverse
da segmento a segmento) o
ancora, a una combinazione di
entrambe.
Con riferimento ad un
particolare segmento di
clientela, che potremmo
definire “segmento i” è
possibile esplicitare gli
scostamenti relativi ai crediti:

!111
A loro volta le equivalenze possono essere così sviluppate:

Come è possibile notare, la somma algebrica tra gli scostumati parziali è sempre
pari allo scostumato totale dei crediti commerciali riferito al segmento di clientela
di tipo “i”.
Esempio pag 333

Il controllo economico delle decisioni:


Il modello a margini lordi
e le ipotesi su cui si fonda. (cap 4)

L’analisi dei costi serve anche a mettere a confronto le diverse alternative gestionali
e a verificare quale tra esse sia sotto i profilo economico più soddisfacente.
Nelle problematiche in questione va individuata la configurazione di costo più
idonea alle finalità conoscitive perseguite.
Per modello economico-aziendale si intende: qualunque schema logico che accolga
per classi più o meno ampie costi e ricavi riferibili ad un esergo aziendale o a una
parte temporalmente e/o spazialmente individuata di esso, al fine di cogliere le
fondamentali relazioni che si stabiliscono tra classi, in funzione del miglioramento
di un risultato economico.
Affinché il modello certo sia il più efficace occorre che esso racchiuda le qualità
della semplicità e della completezza, in modo tale da consentire la più rapida
soluzione dei problemi con il ricorso al minor numero possibile di raggruppamenti
di costi e di ricavi e al minor numero di relazioni tra tali raggruppamenti.
Lo scopo conoscitivo è il fattore fondamentale di orientamento nella scena del
modello economico, la precisazione di esso consente di evitare l’incongruenza di
adottare modelli complessi per la soluzione di problemi semplici e viceversa modelli
troppo semplici per la risoluzione di problemi complessi.
Un primo modello esaminato è quello zappiniano del reddito netto, contrassegnato
da un conto economico a generale contrapposizione di costi, ricavi e rimanenze
relativi a tutte le operazioni svolte in un determinato periodo amministrativo e
finanziato alla determinazione del risultato di esercizio.
Un altro modello è quello dell’extra-reddito netto, derivante dalla contrapposizione
tra ricavi e sto economico-tecnico dell’intera produzione, finalizzato al controllo del
libello di remuneratività dei ricavi.
!112
Un ulteriore modello è quello del margine lordo di contribuzione, espresso dalla
differenza tra ricavi e costi primi di prodotto o produzione e finalizzato alle scelte di
convenienza economica, di breve e lungo periodo.
In generale, con l’espressione “margine lordo” si può intendere qualsiasi margine
non netto: esistono perciò diverse nozioni di margine lordo a seconda del numero
delle componenti negative che vengono a sottrarsi ad un complesso relativamente
omogeneo di componenti positive, la cui scelta dipende dagli scopi conoscitivi
perseguiti.
La nozione di margine lordo è legata alle distinzioni tra costi variabili e fissi, e tra
costi indiretti e diretti.
Se si vogliono rappresentare tutti i costi tenendo conto del loro duplice carattere
dinamico e statico, allora la totalità di costi può essere ricondotta ad una delle
seguenti categorie:
• CDVi= costi diretti variabili relativi all’oggetto i; sono quei costi che variano al
variare della produzione e che sto direttamente riferibili al prodotto i nel senso
che il sostenimento di tali costi è motivato esclusivamente dall’ottenimento del
prodotto i;
• CDFi= costi diretti fissi relativi all’oggetto i; sono costi fissi che si sostengono se si
realizza il prodotto i;
• CIV= costi indiretti variabili; sono quei costi che pur essendo relativamente
variabili al variare della produzione complessiva, non risultano tali con
riferimento diretto ad un prodotto determinato;
• CIF= costi indiretti fissi; sono quei costi che non variano al variare della
produzione e che si sopportano per realizzare l’intera produzione.
Quanto ai ricavi, va sottolineato che essi nella maggior parte dei casi sono riferibili
ai singoli oggetti di riferimento e variano al variare del volume di vendita.
È possibile allora rappresentare un pio modello complessivo della realtà aziendale
facendo la differenza tra la somma dei ricavi relativa ad n oggetti e la somma dei
costi fissi e variabili direttamente riferibili agli n oggetti. Tale differenza da luogo
all’utile operato più i costi indiretti fissi e variabili ed è detta margine semilordo. In
altri termini, la somma dei margini semilordi relativi ad n oggetti è uguale alla
somma dei costi indiretti con l’utile operativo di gestione:

Se i costi diretti fissi relativi ad i ed anche i costi indiretti variabili sono trascurabili,
o si possono aggiungere ai costi indiretti fissi, il modello si semplifica e diventa:

Quest’ultima espressione è detta margine lordo ed esprime come ogni variazione


del primo membro si traduce in una variazione dell’utile operativo, in quanto i costi
indiretti fissi sono per definizione costanti. Se ad esempio si introduce un nuovo
prodotto e di conseguenza aumento i ricavi e i costi variabili, si manifesta un
!113
incremento del valore del primo membro che si traduce in un aumento del secondo
membro in quanto i costi fissi indiretti rimangono costanti.
Dunque il modello spiegato è in grado di fornire un esemplificazione della realtà
cioè considerando solo ricavi e costi, indicazioni per sapere quale sia il contributo
economico di una scelta. Tale modello è idoneo per affrontare delle scelte nel breve
periodo, ma non per le scelte lungo periodo che comportano modifiche anche nei
costi di struttura.
Molti ritengono che tale modello non sia adatto per prendere decisioni di lungo
periodo in quanto comportano un incremento dei costi indiretti fissi e perché non si
avrebbe alcuna certezza che l’incremento del primo membro dell’uguaglianza si
traduca in un incremento dell’utile operativo e non dei conti indiretti fissi.
A tale osservazione si può obiettare che in realtà una scena di lungo periodo si
effettua perché si prevede una certa crescita di risultati. Se per effetto di una scelta
di lungo periodo, che comporta un incremento dei costi indiretti fissi, aumenta il
risultato, allora basterà sottrarre a tale risultato l’incremento dei costi indiretti fissi
per ottenere il differenziale positivo che si traduce in un incremento dell’utile
operativo.
In sostanza, tale modello potrebbe essere utilizzato nella valutano delle scelte di
lungo periodo contornando l’incremento che per effetto di tali scelte subisce il
primo membro con l’invento degli investimenti fissi.
L’unica differenza sta nell’incertezza. Nel breve periodo esistono a parità di
condizioni più esigui margini di incertezza. Nel lungo periodo, a parità di
condizioni, l’incertezza è tale per cui i risultati possono variare moltissimo e allora
le aree di manifestazione dei costi e dei ricavi diventano molto grandi.

Le ipotesi su cui si fonda la struttura del modello con particolare riferimento alle
esigenze di trascurabilità dei costi indiretti variabili

Il modello a margini lordi si fonda su ipotesi generali e specifiche. Le prime valgono


per tutte le determinazioni quantitative che riguardano le distinzioni dei costi in
variabili e fissi e diretti e indiretti. Le seconde invece si riferiscono specificatamente
al modello in oggetto.
L’ipotesi specifica del modello in esame è che i CIV. Siano trascurabili, questo
perché un loro aumento al primo membro non necessariamente consegue un
aumento al secondo che sia collegato all’utile operativo, bensì può essere
strettamente collegato sempre ai CIV o ad altre componenti di costo.
Per il trattamento dei CIV esistono due vie alternative.
1. La prima suggerisce di calcolare il costo complessivo del servizio e ripartirlo pro
quota tra i diversi centri diretti beneficiari in proporzione delle rispettive
utilizzazioni. Tale quota sarà portata tra i CDV se le utilizzazioni dei servizi sono
in tutto o in parte prevalente legati al volume di produzione dei centri
utilizzatori; se invece esse sono legate ad altri fattori essa avrà carattere di CDF.
2. La seconda suggerisce di portare, se possibile distinguendo nel costo di tali
servizi la parte fissa da quella variabile, la prima tra i CIF e la seconda tra i CDV
in proporzione delle rispettive utilizzazioni.
Le ipotesi di trattamento dei costi variabili indiretti ci sembra possa accettarsi senza
eccessive riserve

!114
Il peso e la quantificazione delle incertezze nel modello a margini lordi

Il modello studiato si basa sulla stima di costi e ricavi, i quali a loro volta, sono per
loro natura gravati da incertezza il che significa che è reale la possibilità che i ricavi
e i costi a consuntivo non si manifestino secondo le previsioni di conseguenza anche
i margini lordi.
Le incertezze inerenti a pressioni riguardano i fattori che possono influenzare i
volti, i prezzi-costo, il rendimento e il mix.
I ricavi vengono in genere previsti in funzione di predeterminati volumi produttivi,
al variare dei quali variano i prezzi uniti distribuendosi in una curva più o meno
irregolare di domanda.
I prezzi unitari ed il volume del venduto sono legati, ad es., a fenomeni di abitudine
del consumatore, della fiducia che si trasmette ad essi, dell’organizzazione
aziendale, della qualità del prodotto, della pubblicità, ecc.
Tutti questi fattori vengono spesso considerati come delle costanti al momento delle
previsioni, formulammo cosi la tacita ipotesi che essi continuino ad agir con la
stessa intensità e nella maniera manifestata.
Tali ipotesi si discostano dalle concrete manifestazioni d’azienda e di mercato,
determinando così l’esigenza di un’analisi previsionale più rigorosa della curva di
domanda.
Si pone allora il problema di trattare i dati relativi a costi e ricavi per tener conto
delle incertezze tipiche dell’ambiente economico. Un primo trattamento è quello
basto su strumenti presi a prestito dalla statistica.
Il risultato probabile si ottiene ponderando con una possibilità statistica di
manifestazione i margini lordi globali nelle diverse ipotesi di manifestazione dei
costi diretti variabili unitari. Se si sommano i prodotti tra i margini lordi globali e le
ripetitive probabilità statistiche di manifestazione, si ottiene il risultato sperato o
speranza matematica.
La speranza matematica sarà confrontata con altre speranze matematiche relative
ad altre possibili situazione alternative, così da scegliere tra due o più soluzioni che
presenti la speranza matematica più grande.
Il criterio della speranza matematica si basa sulla ricerca di dati passati che
evidenziano il modo in cui si sono manifestate le cose in passato. Tale ricerca è
molto difficile a causa del continuo evolversi dell’azienda.
Per sopperire a questa difficoltà ci si basa anche sull’esperienza in funzione di
probabilità soggettive. In questo vaso l’operatore si basa sulla propria sintesi
dell’esperienza passata con la propria previsione degli eventi futuri e si passa
dall’ambito dell’incertezza a quello dell’indeterminazione. Quest’ultima è legata al
carattere estremamente soggettivo.
Questo valore della speranza fondato su apprezzamenti di esperti può essere messo
a confronto con altre situazioni, rispecchianti diverse ipotesi di volumi produttivi.

!115
Il controllo economico delle decisioni:
Il modello a margini lordi e le sue applicazioni
nelle scelte di breve periodo. (cap 5)

Le scelte che possono richiedere l’ausilio dei margini lordi possono riguardare
lunghi periodi e brevi periodi. D’altronde la differenza fondamentale tra i due è il
livello d’incertezza, infatti nel breve periodo abbiamo un’incertezza minore rispetto
al lungo periodo.
Va anche detto che le scelte che richiedono l’ausilio dei margini lordi possono
riguardare le singole A.S.A. o l’intera azienda. Le A.S.A. possono essere individuate
in funzione dei differenti prodotti oppure dei diversi mercati di sbocco, non basta
dunque omogeneità nel prodotto per definire un’ A.S.A. ma occorre anche
omogeneità del mercato di sbocco. Si identifica quindi una combinazione
prodotto/mercato.
Se ad esempio si hanno due prodotti A e B e due mercati, a e b, avremo quattro
differenti combinazioni prodotto/mercato ossia: Aa, Ab, Ba, Bb.
Per cui se si deve misurare il risultato complessivo di un’azienda cosi strutturata,
questo si calcolerà come sommatoria dei margini corsi di ogni singola area
strategica di affari:
Σ Ml= Ml + Ml Aa + Ml Ab + Ml Ba + Ml Bb
Le scelte di breve periodo vanno poi distinte in tre grandi categorie:
- aziende che producono in serie;
- aziende che producono su commessa;
- aziende che realizzano produzioni tecnicamente congiunte.

Aziende che prudono in serie

Le aziende che producono in serie sono quelle aziende che fabbricano prodotti, in
genere tutti uguali tra loro, per il magazzino e non su richiesta dei clienti. Il grosso
problema di queste aziende è l’accumulazione delle scorte, in quanto se i prodotti
immagazzinati non vengono venduti si genera un immobilizzo di risorse finanziarie
e gli investimenti non giungono rapidamente alla fase di realizzo. Per distinguere
quali sono le scelte nel breve periodo si distinguono due situazioni differenti:
- capacità produttiva ancora da sfruttare, ossia non satura, quando vi sono ancora
margini di fatto di produzione raro da utilizzare;
- capacità produttiva pienamente utilizzata, ossia satura, quando non vi sono più
margini di fattore di produzione raro da utilizzare.
Nel caso in cui vi sia una capacità produttiva ancora da sfruttare, il primo problema
è la definizione del volume di produzione relativamente ottimale. Bisogna stabilire
qual è il volume di produzione relativamente ottimale.
Una volta stabilito tale volume, il secondo problema è quello di stabilire come
sfruttare al meglio la capacità produttiva residua. Tale problema è fonte di ricerca di
nuove prospettive ed opportunità al fine di analizzare la convenziona a vendere lo
stesso prodotto in un nuovo mercato. Una volta superato questo problema, ossia
capire se è conveniente realizzare un nuovo prodotto, si arriva alla saturazione della
capacità produttiva. A questo punto l’azienda si trova nella situazione di capacità

!116
riduttiva pienamente utilizzata. Le scelte che bisogna fare sono relative al
miglioramento dell’uso di tale capacità. Risultati più soddisfacenti possono essere
ottenuti attraverso un mix produttivo, cercando di produrre maggiori quantitativi
dei prodotti con cui si guadagna di più a scapito dei volti di quelli meno
remunerativi.
Quando si arriva alla saturazione della capacità produttiva bisogna trovare il modo
di migliorare la performance aziendale nel breve periodo senza aumentare a
capacità.
Immaginiamo di essere di fronte ad un processo di produzione saturo e che con il
medesimo fattore di produzione raro si realizzano due prodotti diversi in
determinate proporzioni:

Margine lordo x unità Unità di fattore di Margine lordo per


di prodotto produzione raro unità di fattore di
impiegato produzione raro
Prodotto A 1,00 10 h. Macchina 0,10
Prodotto B 3,00 60 h. Macchina 0,05

Pur avendo determinato il mix di produzione ottimale, è possibile effettuare delle


variazioni all’interno del mix in quanto va tenuta in considerazione la presenza di
un volume sensibile, ossia di quella quantità che, spostata da un mercato ad un
altro, non fa variare i prezzi di mercato.
Nell’esempio riportato il prodotto che presenta un margine lordo per unità di
prodotto più alto è il prodotto B; se invece si considera il margine lordo per unità di
fattore di produzione raro, il prodotto più conveniente è il prodotto A. È
conveniente aumentare la produzione di A a discapito di B perché A impiega una
minore quanta di fattore di produzione raro e risulta dunque più efficiente.
Dunque si hanno dei margini lordi apparenti, ossia quelli calcolati prendendo come
riferimento l’unità di prodotti e dei margini lordi reali o effettivi, che prendono
come riferimento l’unità di fattorie di produzione raro, detti anche ombra. Per
ottenere una corretta politica di mix di vendita, bisogna puntare sui prodotti che
danno un margine lordo per unità di fattore di produzione raro maggiore.
A pag 357 vengono calcolati nella tavola i margini lordi equivalenti, relativi all’unità
di fattore di produzione raro impiegato, per le diverse alternative di impiego. I
margini lordi equivalenti si ottengono dopo aver calcolato i marini lordi unitari
(ricavi netti unitari - costi variabili di trasformazione), e dividendo questi ultimi per
i consumi unitari di A, ossia del fattore di produzione raro.
Leggendo la tavole notiamo che l’alternativa migliore è la e piuttosto che la a come
poteva sembrare se si fossero presi in considerazione semplicemente i margini lordi
unitari piuttosto che il margine lordo equivalente.

Aziende che producono su commessa

In esse il rapporto con il client è di mutuo scambio. L’azienda realizza prodotti che
tendono a soddisfare le particolari esigenze dei singoli clienti. Diverse sono le
politiche di vendita in tali aziende a seconda che si operi in condizioni di
saturazione o meno.
Se la capacità produttiva non è satura, l’interesse dell’azienda è quello di vendere il
più possibile fino a saturare la produzione, pure ci sia un margine di contribuzione.
!117
Dato che non vi è un unico mercato, ma ciascun cliente costituisce un mercato a se
stante, l’azienda tende a negoziare con i cliente commesse di maggiori dimensioni,
proponendo solitamente dei ribassi sulle quantità di unità di fattore di produzione
raro impiegate. Questa negoziazione è maggiormente conveniente quanto i margini
lordi sono elevati.
Esiste dunque un grandissimo interesse per l’azienda a stimare l’ampiezza del
ribasso di quantità suscettibile di fare passare l’ordinazione da un livello ad un
altro. L’interesse al ribasso di quantità, oltre che dai margini di capacità produttivi
non utilizzati, dipende dunque dalla posizione relativa del prezzo di vetta netto e
dall’ammontare dei costi diretti.
L’interesse dell’azienda venditrice al ribasso di quantità è stato maggiore quanto
maggiore è il divario tra prezzo unitario di vendita e ammontare unitario dei costi
diretti variabili, ossia quanto maggiore è il margine lordo. Un margine lordo levato
prima del ribasso conduce a studiare le reazioni del cliente potenziale di fronte a
eventuali ribassi.
Se si sono superati questi problemi e si è raggiunta la saturazione della capacità
produttiva, è necessario operare con criteri fortemente selettivi nei confronti dei
clienti e delle commesse da acquisire.
Si tenderà a ridurre i ribassi sulle quantità, si classificheranno le commesse in
ordine di margine di contribuzione per unità di fattore di produzione raro che le
caratterizza, cercando di modificare o al limite eliminare i rapporti con i clienti
cosiddetti marginali, che danno cioè un Margie di contribuzione inferiore al minimo
accettabile, e si punterà ad allargare i rapporti con i clienti che danno un margine di
contribuzione superiore al minimo accettabile.

Aziende che realizzano produzioni tecnicamente congiunte

Nelle aziende che realizzano produzione tecnicamente congiunte quasi tutti i costi
sono comuni, e la scelta del mix è preclusa, in quanto non è possibile regolare a
priori la quantità di un prodotto o di un altro che verrà fuori della lavorazione della
materia prima in proporzioni rigide. In genere i mercati s cui si riferiscono tali
aziende sono globali, anche se è possibile che si crei qualche nicchia spazialmente e
temporalmente limitata.
In tali aziende il problema diventa quello della ricerca del volume di prodotti
congiunti che renda l’insieme dei ricavi massimo, e delle condizioni tecnico-
organizzative di mercato che rendano l’insieme dei costi minimo.
L’analisi può farsi come se si trattasse di prodotti che non hanno costi diretti
variabili ma solo ricavi diretti.

Materia Prodotti Ricavi unitari Ricavi complessivi Ricavi CV di ML


prima totali processo
1 2A 3B 4A 5B 6A 7B 8 9 10 (8-9)

1.000 700 300 1.000 600 700.000 180.000 880.000 500.000 380.000
2.000 1.400 600 1.000 600 1.400.000 360.000 1.760.000 1.000.000 760.000
3.000 2.100 900 900 600 1.890.000 540.000 2.430.000 1.500.000 930.000
4.000 2.800 1.200 800 600 2.240.000 720.000 2.960.000 2.000.000 960.000
5.000 3.500 1.500 700 600 2.450.000 900.000 3.350.000 2.500.000 850.000

!118
La tavola si riferisce ad un’azienda che opera in condizioni tecnicamente congiunte,
realizzando i prodotti A e B; ne deriva che i costi di acquisto delle materie prime
sono costi variabili non dei singoli prodotti, ma dell’intero processo.
La colonna 10 individua qual è il volume di produzione maggiormente
remunerativo, che risulta essere non quello corrispondente al livello massimo di
produzione ( cioè 5.000 tonnellate) ma quello al livello di 4.000 tonnellate cui
risponde un margine lordo di 960.000.
Abbiamo finora supposto che entrambi i prodotti abbiano mercato e che non ci sia
alcun mercato per i prodotti derivati dopo averli sottoposti ad altre lavorazioni. In
realtà non è così infatti può esserci una fase di differenziazione di alcuni prodotti
dagli altri. È quindi possibile effettuare due ipotesi:
1. Se B può essere sottoposto ad ulteriori lavorazioni perché ha anche un altro
mercato, le colonne 5 e 7 vanno sostituite con i dati riguardanti il processo di
lavorazione di B. Risulta ovvio che il calcolo di convenienza verra in queso caso
effettuato considerando i margini lordi del prodotto C, ovvero del prodotto B
sottoposto a ulteriore lavorazione.
2. Se B deve essere sottoposto ad ulteriore lavorazione perché privo di mercato
alla fuoriuscita del processo congiunto, la colonna 5 va cancellata ed il modello
va corretto per tenere conto dei costi e dei margini del nuovo processo.
Possiamo quindi concludere che quando tali fasi successive di lavorazione sono
obbligatorie, l’attribuzione dei valori di ricavo al prodotto congiunto o al
sottoprodotto potrebbe farsi detraendo dal valore commerciale di esso allo stadio
finale di trasformazione l’ammontare dei costi di trasformazione dello stadio
successivo al processo di lavorazione in congiunzione con altri prodotti fino allo
stadio finale.
Quando le fasi di trasformazione ulteriore sono invece facoltative, i problema i
presenta diversamente. Infatti, se esiste una possibilità di scelta tra prolungare la
trasformazione o fermarla ad uno stadio determinato, in tal caso solo il valore di
realizzo del prodotto al primo stadio dovrebbe entrare a far parte del conto dei
ricavi del processo principale.

Il controllo economico delle decisioni:


Il modello a margini lordi e le sue applicazioni
nelle scelte di lungo periodo (cap 6)

Le analisi d lungo periodo, come quelle di breve periodo, mirano al miglioramento


della redditività aziendale, con la differenza che le analisi a lungo periodo
riguardano prevalentemente modifiche dei costi di struttura e si pongono come
ricerca di un nuovo sistema di costi e ricavi da cui consegua il miglioramento del
risultato economico per periodi poliennali. Il modello economico a margini lordi
esprime la reattività e l’equilibrio economico del sistema aziendale attraverso il
confronto tra la somma dei margini lordi relativi all’intera produzione e non ai
singoli prodotti-mercato. Vediamo adesso se questi elementi si ritrovano nei calcoli
economici di convenienza riguardanti gli investimenti poliennali.
Le scelte economiche nelle moderne aziende di produzione si basano soprattutto su
forme di ragionamento differenziale, cioè su confronti algebrici tra ricavi e costi
!119
diretti addizionali propri di una situazione prospettata rispetto ad una situazione
attuale o ad altre situazioni prospettiche.
La convenienza a mantenere, sviluppare o eliminare la capacità produttiva va
giudicata nel senso di mantenere, accrescere o evitare che si riduca l’utile lordo
apportato da uno o più prodotti. L’eventuale incremento di utile lordo sarà ridotto
dell’ammontare del costo degli investimenti poliennali supplementari e degli
eventuali altri maggiori costi fissi, per determinare qual è il grado di convenienza ad
effettuare gli investimenti.
Il modello economico a margini lordi, viene ad assumere particolare rilievo anche
nei problemi dell’investimento poliennale, e conseguentemente nei problemi di
programmazione economica a lungo termine.
Le scelte in primo luogo riguardano:
1. La sostituzione degli impianti sera aumento di capacità produttiva;
2. L’ampliamento di capacità produttiva con sostituzione di impianti;
3. L’ampliamento, senza sostituzione di impianti, di capacità produttiva;
4. La installazione di un nuovo stabilimento o reparto destinato a produrre
prodotti noti sul mercato;
5. L’installazione di un nuovo stabilimento o reparto per la fabbricazione di un
prodotto non ancora conosciuto dal mercato;
6. La liquidazione di uno stabilimento o reparto esistente.

I margini lordi nelle decisioni di sostituzione degli impianti senza aumento della
capacità produttiva.

I giudizi di convenienza economica ad investire relativi alla sostituzione degli


impianto sono i più complessi tra le alternative di scelta. È pertanto utile
distinguere i casi della sostituzione degli impianti a seconda che essa sia connessa o
non con un aumento di capacità produttiva.
Quando la sostituzione non è connessa con un aumento di capacità produttiva si
possono distinguere due casi:
a) Gli impianti da sostituire sono arrivati all’esaurimento della loro capacità
produttiva ( gli impianti non sono fisicamente utilizzabili).
b) Gli impianti da sostituire possono ancora utilmente essere utilizzati per un
certo numero di anni ( la loro utilizzazione non risulta conveniente).
In questo secondo caso si pongono a loro volta due ulteriori possibilità:
b1) Gli impianti nuovi hanno una presunta durata pari pari a quella residua degli
impianti da sostituire (è un caso piuttosto teorico).
b2) Gli impianti nuovi hanno una durata presunta più lunga di quelli da sostituire.

a) Gli impianti da sostituire sono arrivati all’esaurimento della loro capacità


produttiva.

Rappresentiamo in un grafico di redditività il conto economico relativo allo


sfruttamento di un impianto antecedente all’eventuale sostituzione dello stesso:
(pag 367).
Supponiamo che l’impianto esistente sia allo scadere della sua vita tecnico-
economica e debba essere sostituito. In questo caso l’unica scelta possibile è quella
di continuare l’attività d’impresa privandosi dell’impianto ormai vecchio.
!120
Il problema è verificare se i ricavi connessi alle operazioni future, legate al nuovo
impianto, lascino, dopo la copertura degli ammortamenti dei nuovi impianti, un
volume di utili sufficiente a giustificare l’investimento.
Per effettuare il calcolo della produttività dell’investimento è necessario considerare
da un lato i ricavi futuri corrispondenti agli stessi volumi di vendute attuali, e
dall’altro la stima dei costi connessi al funzionamento del nuovo impianto. Dopo
aver calcolato per differenza l’eccedenza dei ricavi tali sui costi si attualizza anno
per anno questa eccedenza al tasso medio ipotizzato del mercato dei capitali a lungo
termine e si ottiene il valore attuale dei redditi lordi prospettici. La differenza tra
questo valore attuale e quello dell’investimento rappresenta il margine utile
operativo relativo all’operazione di investimento. Tale differenza però, presa in
valore assoluto, ci dice poco, è infatti opportuno considerare il rapporto tra tale
differenza e l’ammontare dell’investimento.
Il risultato cosi ottenuto è esprimibile in termini percentuali e va confrontato con il
rendimento dei capitali a medio termine in assenza di rischio, per esprimere un
giudizio sul differenziale che deve essere considerato congruo in relazione al settore
di appartenenza dell’azienda.

b1) Gli impianti da sostituire hanno una durata residua e gli impianti nuovi hanno
una durata presunta pari alla durata residua dei vecchi impianti.

Supponiamo che si voglia sostituire u. Impianto esistente ancora utilizzabile per 5


anni con un nuovo impianto che duri anch’esso presumibilmente 5 anni. Il
ragionamento da fare si fonda sul confronto tra il modello economico della
situazione produttiva dopo la sostituzione.
Si deciderà di sostituire il vecchio impianto se i ricavi, in rapporto ai nuovi costi di
gestione fissi e variabili connessi con il nuovo investimento, consentiranno la
copertura del costo del nuovo impianto, lasciando anche un margine suscettibile di
coprire gli ammortamenti e l’utile operativo non più recuperati dalla vecchia
installazione, e di remunerare i nuovi capitali investiti ad un tasso superiore a
quello prodotto dalla vecchia combinazione produttiva e non inferiore a quello
medio realizzabile nel mercato dei capitali a lungo termine.
(grafico a pag 369).
Supposto che ricavi siano identici al grafico e supposto che il nuovo impianto non
permetta un notevole risparmio nei costi fissi ma lo permetta nei costi variabili, si
può osservare come per differenza tra il totale dei ricavi ed il totale dei costi diretti e
indiretti, l’azienda disponga dei margini necessari per far fronte all’ammortamento
del vecchio impianto ed ottenere un reddito netto equivalente al reddito
conseguibile nel caso di non sostituzione degli impianti. inoltre, il maggior risultato
connesso al risparmio dei costi variabili, consente di coprire nel tempo il costo del
nuovo impianto in base alla durata della sua prevedibile vita economa, e dall’altro di
ottenere un risultato operativo differenziale sufficiente a remunerare la
realizzazione del nuovo impianto.
(tavola pag 370)
Per completare il ragionamento è necessaria la conoscenza del costo del nuovo
impianto. Questo dovrà essere sottratto dalla sommatoria dei valori attuali dei
risparmi dei costi variabili. In tal modo si otterrà il reddito operativo complessivo
del nuovo investimento per l’intera durata del suo utilizzo:
!121
Σ valori attuali dei risparmi annuali dei CV - costo nuovo investimento= reddito
operativo complessivo
Dividendo il reddito operativo per il numero degli anni presi in considerazione si
ottiene un rendimento che va confrontato con il rendimento dei capitali a medio
termine in assenza di rischio. Se il rendimento del nuovo impianto è
congruentemente superiore rispetto alla resa dei capitali in assenza di rischio, la
sostituzione dell’impianto risulta, ceteris paribus, conveniente.

b2) Gli impianti nuovi hanno una durata utile superiore a quella degli impianti da
sostituire.

Per effettuare il calcolo di convenienza economica si opera nel seguente modo:


1. Si attualizzano anno per anno i margini lordi differenziali;
2. Si sommano tali margini lordi, pervenendo cosi alla determinazione del margine
lordo totale attualizzato;
3. Si sottrae dal margine lordo così determinato il costo del nuovo impianto,
determinando così il reddito operativo differenziale per l’intero periodo di
durata utile del nuovo impianto;
4. Si rapporta tale risultato pluriennale al costo del nuovo impianto, e si determina
la redditività del capitale per l’intero periodo di funzionamento dell’impianto;
5. Si rapporta la redditività totale alla durata del nuovo impianto e si esprime in
percentuale tre rapporto, determinando così la redditività annua operativa del
capitale investito;
6. Si raffronta tale rendimento con quello del mercato dei capitali a medio termine
in assenza di rischio, per verificare se la differenza risulta congruentemente
superiore e sia tale da giustificare l’investimento.
Va specificato che il valore di realizzo del vecchio impianto possa coincidere o non
con il valore residuo attribuito alla stessa installazione per effettuare il calcolo del
relativo ammortamento annuo.
( il procedimento di ammortamento può essere espresso:
Costo originario - valore residuo al momento della dismissione/ volume di
produzione totale x volume di produzione realizzato nel periodo. )
Il valore di presunto realizzo al momento della dismissione viene per consuetudine
ipotizzato uguale a zero.
Normalmente la dismissione ha dei costi; se tali costi sono superiori ai valori di
realizzo effettivi delle installazioni abbiamo un differenziale negativo che porta as
aumentare il costo del nuovo investimento, e a ridurre i margini di convenienza
dello stesso.
Se invece tali costi sono inferiori ai vari di realizzo effettivo del vecchio impianto,
abbiamo un differenziale positivo che va a ridurre il costo del nuovo investimento,
migliorando i margini di convenienza. Si può verificare anche un caso di pareggio.
1. Se il valore di realizzo è uguale ai costi di dismissione, si ha coincidenza tra il
valore di realizzo contabile ed effettivo, e pertanto la redditività del nuovo
investimento sarà data da:
Redditività totale = Σ v.a. ML-CNI
CNI
Redditività annuale = redditività totale
durata n.i.
!122
2. Se il valore di realizzo effettivo è maggiore del valore di realizzo contabile, una
volta dedotti i costi di dismissione, la redditività del nuovo investimento sarà data
da:
Redditività totale= Σ v.a. ML - (CNI - differenza sul realizzo)
CNI - differenza sul realizzo

Redditività annuale= redditività totale


Durata n.i.

Questo è il caso in cui il valore effettivo di realizzo dell’impianto dimesso è


superiore rispetto al valore contabile, che è stato alla base del calcolo
dell’ammortamento del vecchio impianto. pertanto, dalla sostituzione del vecchio
impianto l’azienda consegue un fattore di ricavo straordinario, una sopravvivenza
attiva che va a decurtare il valore del nuovo investimento.

3. Se il valore di realizzo effettivo è minore del valore di realizzo contabile, una volta
aggiunta tale differenza, la redditività del nuovo investimento sarà data da:
Redditività totale =Σ v.a. ML - (CNI + differenza sul realizzo)
CNI + differenza sul realizzo
Redditività annuale = redditività totale
durata n.i.

I margini lordi nelle decisioni di investimento aventi per oggetto aumenti di


capacità produttiva

Un secondo gruppo di scelte proiettate nel lungo andare riguarda gli investimenti
che hanno per oggetto l’aumento della capacità produttiva. Mentre nell’ipotesi
precedente il nuovo impianto aveva la stessa capacità produttiva di quello vecchio e
consentiva di diminuire i costi variabili di prodotto, nell’ipotesi di ampliamento
degli impianti si ha per ipotesi di partenza un incremento della capacità produttiva,
cosicché diventa oggetto di previsione non solo il modello dei costi ma anche quello
dei ricavi.
Si possono verificare due casi di ampliamento, quello con sostituzione e quello
senza sostituzione degli impianti.
Nel primo caso gli impianti vecchi hanno una struttura monolitica, ovvero sono
programmati per produrre un certo numero di prodotti e di conseguenza se si vuole
aumentare il volume di produzione, bisogna sostituire gli impianti.
Nel secondo caso invece gli impianti vecchi hanno una struttura differenziata nel
senso che ad essi è possibile aggiungere un nuovo impianto allo scopo di aumentare
la capacità produttiva.
Supponiamo che ci sia il caso in cui si voglia aumentare la capacità produttiva e che
l’impianto vecchi abbia ancora vita per 4 anni. Se ne aggiunge un altro che ha vita di
10 anni, i due impianti andranno a concorrere per la realizzazione del risultato
lordo complessivo. Per la determinazione del concorso addizionale alla redditività
d’azienda del progetto da realizzare occorrerebbe stabilire qual sarebbe il reddito
!123
aziendale attualizzato durante l’intera vita del progetto in questione nel caso in cui il
progetto stesso non venisse realizzato e dedurlo dal reddito attualizzato aziendale
nel caso un cui il progetto in questione fosse invece realizzato.
Se il progetto non si è realizzato allora la redditività dell’investimento risulterete
dalla differenza tra il reddito lordo totale attualizzato dall’azienda durante i dieci
anni di durata di utile del nuovo progetto e il reddito lordo totale durante i 4 anni di
vita utile del vecchio impianto aumentato degli interessi composti sul
reinvestimento delle quote di ammortamento attualizzati per 6, 7, 8 ,9 anni
rispettivamente, i quali si annullano se l’attualizzazione è fatta al medesimo tasso di
mercato usato per il computo del montante.
Se il progetto si è realizzato, il reddito operativo del nuovo investimento sarà
determinato attualizzando i 10 termini dell’ultima colonna della tabella di pag 379
al tasso del mercato dei capitali a lungo termine e sottraendo dalla somma si quesi
termini attualizzati l’ammontare dell’investimento. Il reddito operativo così
determinato diviso per io costo del nuovo investimento esprime la resa del nuovo
investimento.
Per la convenienza ad effettuare tale investimento tale resa deve essere maggiore
del rendimento die capitali investiti a medio-lungo termine in condizioni di
sicurezza e dello stesso coefficiente calcolato con riferimento al precedente
investimento. Si può decidere di effettuare l’investimento anche se non è
soddisfacente, in quanto al momento in cui l’impianto vecchio sarà esaurito
l’azienda correrà il rischio di uscire dal mercato.
Va tenuto presente che l’ampliamento on sostituzione è una scelta molto difficile,
poiché spesso provoca l’interruzione della produzione, tanto è vero che la maggior
parte delle aziende, per evitare questo inconveniente, decidono di far partire la
produzione del nuovo impianto in un posto diverso da quello della locazione del
vecchio, cosi da avere continuità di produzione.
Nel caso di aumento di capacità produttiva senza sostituzione, ma con l’aggiunta di
nuovi impianti a quelli vecchi, è solo l’aumento di reddito lordo comprensivo
dell’ammortamento inerente a questa capacità supplementare che deve intervenire
nei calcoli di redditività dell’investimento.
Gli impianti a struttura differenziata sono tipici di quei settori che non raggiungo, in
modo continuativo, la piena saturazione. Le che operano in tali settori devono avere
una capacità produttiva di riserva superiore a quella normale in modo da poter
sfruttare i momenti favorevoli del mercato.

I margini lordi nelle decisioni relative all’installazione di uno stabilimento o


reparto destinato a produrre prodotti noti sul mercato

Vi sono delle scelte di ampliamento della capacità produttiva che comportano delle
modifiche nei prodotti e quindi nei mercati. Tali scelte possono essere di due tipi: il
primo riguarda la creazione di uno stabilimento o di una capacità produttiva per
realizzar un prodotto nuovo per l’azienda ma noto al mercato; il secondo riguarda la
creazione di uno stabilimento o di una capacità produttiva per realizzare un
prodotto completamente novo per il mercato.
Per quel che rigurda la prima ipotesi, per valutare il contributo alla redditività
d’azienda apportato da tali scelte di investimento non occorre un confronto tra una
situazione produttiva esistente e una situazione risultante in futuro dopo
!124
l’investimento, ma tra il tasso di produttività economica del nuovo investimento e il
tasso di rendimento offerto dal mercato dei capitali a lungo termine.
Relativamente al nuovo investimento, l’azienda deve stabilire cosa produrre e
scegliere quale quota di mercato acquisire e quindi quanto produrre e quanto poter
guadagnare. Le scelte alla base dell’investimento possono essere la possibilità di
produrre a prezzi più bassi rispetto ai competitori o l’esubero di capacità
finanziarie.
Una volta stabilita la dimensione ottimale dell’impianto, occorre attualizzare ad un
congruo tasso-opportunità la somma dei risultati lordi annui per tutta la durata
dell’impianto e dedurre da questa l’ammontare dell’investimento di origine,
ottenendo il reddito Neto del nuovo impianto che, rapportato al capitale investito
indicherà l’atteso concorso alla redditività netta d’azienda dell’investimento durante
il periodo della sua vita utile.
(si conosce meglio la funzione di domanda e quindi si può agire meglio per quel che
riguarda la produzione dell’output)

I margini lordi nelle decisioni relative all’installazione di uno stabilimento o


reparto per la fabbricazione di un prodotto non ancora conosciuto dal mercato

La funzione di domanda è pressoché sconosciuta e si farà un’analisi di


verosimiglianza che è data da delle probabilità statistiche.

I margini lordi e le scelte di liquidazione di uno stabilimento esistente

La fase di liquidazione potrebbe portare a notevoli perdite, infatti nel momento in


cui si prova a vendere un edificio o le materie prime o uno stabilimento, non lo si fa
mai al netto del suo valore ma per un valore molto più basso. Per tale motivo i
soggetti aziendali non considerano tale ipotesi se non nel caso in cui l’attività in
oggetto sia irreversibilmente deficitaria nel lungo periodo e che quindi possa
compromettere la stabilità aziendale.
Analizzando la problematica è possibile che si presenti una delle seguenti situazioni:
• Il reparto o lo stabilimento considerato produce utili. Lo stabilimento crea degli
utili ma vendendolo si aumenterebbero gli utili che esso stesso è in grado di
produrre. Ovviamente tale opzione va presa con molta cautela per il fatto che l
liquidazione potrebbe portare delle perdite non previste e ridurre il valore netto di
realizzo.
• Il reparto o lo stabilimento considerato provoca perdite considerevoli che sono
superiori al controvalore degli ammortamenti. Le perdite sono tali che non
permettono all’azienda di avere autofinanziamento. La continuazione dell’attività
è negativa sotto il profilo dell’economicità e comporta un peggioramento fino ad
arrivare all’insolvenza. In questo caso il reparto o lo stabilimento deve essere
immediatamente liquidato. Anche questa scelta deve maturare in un determinato
arco temporale poiché l’azienda potrebbe dare dei segali di recupero.
• Il reparto o lo stabilimento considerato produce perdite per la cui entità non è
tale da superare il controvalore degli ammortamenti. L’azienda qui non intacca
le proprie risorse finanziare e risulta conveniente continuare l’attività fino al
bisogno di dover cambiare gli impianti, va tenuto in considerazione che l’impianto
ha un valore di realizzo decrescente nel tempo. Quindi se il valore di liquidazione
!125
al tempo 1 è maggiore del valore di liquidazione al tempo 2, e la differenza tra loro
risulta maggiore della differenza tra gli ammortamenti e la perdita di esercizio,
allora la liquidazione va effettuata immediatamente. Se invece il valore della
liquidazione al tempo 1 è maggiore del valore della liquidazione al tempo 2 ma la
loro differenza è minore della differenza tra ammortamenti e perdita d’esercizio,
allora la liquidazione potrà essere rimandata fino a quando gli impantani
verranno completamente ammortizzati.

Il controllo di gestione come sistema


(cap 7)

Gli studi finora affrontati ci hanno portato ad analizzare degli strumenti utili per il
controllo e l gestione aziendale, tra i quali ricordiamo:
- la determinazione del reddito e del connesso capitale di funzionamento,
attraverso la contabilità generale e il bilancio d’esercizio;
- L’individuazione e la valutazione delle politiche gestionali da adottare attraverso i
bilanci di previsione;
- La comprensione della struttura e della dinamica dei costi per la formulazione di
giudizi di convenienza economica o per la valutazione del grado di efficienza della
gestione, attraverso i diversi procedimenti di determinazione dei costi
complessivi, il diagramma di redditività e il modello a margini lordi;
- La valutazione a preventivo e consuntivo dei programmi relativi a ciascuna area
di attività dell’azienda, attraverso la redazione del budget, il calcolo degli
scostamenti la loro scomposizione e successiva analisi.
Tali strumenti non devono essere visti come singoli punti utili, ma come un
complesso di di elementi tra loro collegati in vista di un certo obiettivo.
Ciascuno di loro va considerato come un tassello di un mosaico più ampio che è il
controllo di gestione, il quale deve aiutare i soggetti responsabili delle diverse
attività nella valutazione del proprio contributo al successo aziendale, individuando
le possibili azioni da intraprendere per migliorare i risultati conseguiti in termini di
efficienza, efficacia, economicità, competitività, immagine, ecc.
Secondo questa protettiva ogni strumento rappresenta un elemento di un contesto
più ampio: il sistema di controllo di gestione.

Il sistema di controllo di gestione

Il controllo di gestione è un’attività di guida dell’azienda che si occupa della


definizione degli obiettivi, valutando la loro plausibilità nel tempo e individuando le
risorse necessarie per il loro conseguimento e le relative modalità di utilizzo nel
rispetto dell’efficacia ed efficienza.
Tale processo si basa su un meccanismo di feedback che accoglie sia l’attività di
programmazione/pianificazione, sia quella di controllo in senso stretto la quale è
costituita da tre principali componenti: 1) una struttura organizzativa della
responsabilità, 2) una struttura tecnico-contabile ed informativa, 3) un processo
volto a collegare le informazioni alla struttura organizzativa del controllo,
principalmente attraverso il feedback.
!126
La struttura organizzativa del controllo: i centri di attività

Un centro di attività è un’unità operativa in cui si realizzano dei processi produttivi


relativamente omogenei. L’individuazione dei centri di attività è necessaria per
definire le responsabilità in merito al raggiungimento degli obiettivi che l’azienda si
pone.
Gli elementi essenziali per individuare un centro di attività possono essere:
• Uno o più soggetti responsabili, ai quali riferire le attività del centro;
• Le leve direzionali in mano al responsabile del centro. Esse sono le variabili sulle
quali è possibile agire direttamente per raggiungere gli obiettivi. In chiave di
programmazione bisogna riuscire a valutare in che modo le pollici dei
responsabili di centro potranno indirizzare il centro stesso e l’azienda verso la
direzione desiderata.
• I fattori produttivi da impiegare. È molto importante in quanto, in base al fattore
produttivo assegnato si dovrà assegnare al centro il costo di tale fattore. vi sono
dei costi controllarli ovvero dei quali si può scegliere di avvalersi o meno come ad
esempio le materie prime o l’energia elettrica; e costi non controllabili i quali si
riferiscono ai fattori produttivi già acquisiti in epoche precedenti in relazione al
quale il responsabile del centro si trova un costo indipendentemente dal fatto che
lo “volesse o meno”, un esempio sono gli ammortamenti relativi alla capiti
produttiva già acquisita.
• Le condizioni operative standard. Sono ipotesi riguardanti i fabbisogni unitari di
fattori produttivi in situazioni di normale svolgimento della gestione.
• Relazioni con gli altri centri. In sede di redazione del budget, per ciascun centro di
responsabilità, occorrerà considerare le relazioni di interdipendenza con altri
centri. Ad esempio le prestazioni di un centro potrebbero influenzare quelle di un
altro centro.
È possibile inoltre, individuare cinque tipologie di centro di responsabilità:
- Centro di costo: relazione tra costi sostenuti e risultati conseguiti.
- Centri di spesa discrezionale: non è possibile circoscriverli ad una determinata
area (ad es, pubblicità );
- Centri di ricavo: misurano i risultati in termini monetari, in funzione di beni e
servizi ceduti a terzi;
- Centri di profitto: misura i risultati di un settore o globali. Racchiude in se il
centro di costo, spesa discrezionale e ricavo;
- Centri di investimento: misura la remunerazione del capitale investito.

La struttura organizzativa del controllo: la collocazione dei centri di attività


nell’organigramma aziendale

Esistono diverse configurazioni di struttura organizzativa.


La struttura organizzativa funzionale è una struttura di tipo gerarchica che presenta
al proprio vertice la direzione generale alla quale fanno capo i vari organi di linea
raggruppati per funzioni ad esempio: la direzione acquisti, produzione,
commerciale. Tali organi vengono definiti di linea perché si trovano all’interno della
linea gerarchica di responsabilità.
Le aziende con un’attività maggiormente articolata sia in termini di volumi che di
ampiezza, presentano sesso una struttura organizzativa di tipo divisionale. Un
!127
esempio tipico sono le banche. Le divisioni normalmente fanno riferimento a
combinazioni prodotto-mercato-tecnologia o semplicemente aree geografiche
distinte. Tra la direzione generale e le singole funzioni esiste un livello intermedio
che è quello delle divisioni.
Un ulteriore tipologia è costituita dalla struttura a matrice. Tipicamente questa
struttura organizzativa si riscontra in aziende che producono su commessa, come ad
esimo le imprese edili. Queste aziende sviluppano un serie di progetti piuttosto
diversi uno dall’altro e con durate differenti. Ogni commessa costituisce spesso un
centro di profitto o di investimento e il responsabile del progetto dovrà utilizzare le
risorse che vengono mobilitate dalle diverse aree di responsabilità.
Ogni progetto ha una propria autonomia e responsabilità di profitto o di
investimento e il responsabile della commessa negozia personalmente le risorse con
il responsabile delle varie funzioni interessate: acquisti, produzione, commerciale
ecc.

La struttura tecnico-contabile e i “livelli” di controllo

Costituisce la seconda importante componente del sistema di controllo. Mentre la


struttura organizzativa evidenzia la componente soggettiva, la struttura tecnico-
contabile rappresenta la componente oggettiva, ovvero gli strumenti di cui il
controllo si avvale per aiutare le persone nello svolgimento della propria attività. La
struttura tecnico-contabile consente di analizzare costi e ricavi per processo o
prodotto, attraverso strumenti quali la contabilità analitica, il budget e l’analisi degli
scostamenti.
Se si incrociano l’aspetto oggettivo e soggettivo del controllo di gestione è possibile
individuare tre categorie di strumenti che corrispondono a tre libelli successi
concettuali di controllo e cioè:
• Controllo operativo: orientato all’esecuzione di compiti ed attività, che vengono
svolte da unità organizzative di livello inferiore. I dati e le informazioni che il
controllo operativo deve fornire, vengono gestiti dal sistema transnazionale, che si
compone di rilevazioni elementari contabili ed extracontabili;
• Controllo direzionale: riguarda l’attuazione della strategia che è definita middle
management, che presenta al suo interno i responsabili di centro. Il centro
direzionale deve acquisire e analizzare i dati e le informazioni provenienti dai
sistemi transazionali, per formulare gli obiettivi, attuare scelte e controllare l’esito
delle azioni intraprese. I principali strumenti di cui si avvale sono:
- contabilità generale (redige il bilancio d’esercizio)
- Contabilità analitica (individua costi e ricavi)
- Sistema di redazione del budget ed analisi degli scostamenti tra preventivi e
consuntivi
- Contabilità direzionale per la strategia che studia dati e informazione di origine
monetaria e non;
- Preventivi flessibili e bilanci prospettici redatti attraverso simulazioni mediante il
foglio elettronico.
• Controllo strategico: mira a supportare i processi di diagnosi, formulazione,
definizione e valutazione della strategia. Si basa su un meccanismo di feedback e
feedforward. Quest’ultimo consente di valutare in itinere la plausibilità delle
strategie ed eventualmente modificarla.
!128
Processo di controllo e il ruolo del controller

È il meccanismo che consente al controllo di gestione di funzionare effettivamente,


attraverso una serie di attività spesso soltanto idealmente sequenziali, come: la
definizione degli obiettivi, lo svolgimento delle attività, la verifica dei risultati
mediante il raffronto degli obiettivi, azioni correttive.
Tutto il processo di controllo, dalla definizione degli obiettivi alla valutazione e
analisi degli scostamenti dovrebbe essere costantemente supportato da un
responsabile del controllo: il controller. Il suo ruolo è anzitutto quello di progettare
il sistema di controllo, partendo dall’individuazione dei centri di responsabilità,
delle attività da essi effettuate, delle leve in mano ai responsabili, dei risultati
perseguiti da ognuno di essi, per mettere a fuoco i loro fabbisogni informativi. È
sempre necessario che il controller sia costantemente proteso a comprendere se il
sistema di controllo viene utilizzato nella direzione giusta.
Il controller deve essere un comunicatore abile a mediare tra diverse esigenze.

!129
Parte quarta

Lo sviluppo e il
riorientamento dell’azienda

!130
I modelli di sviluppo delle aziende
(cap 5)

Vi sono tre categorie di modelli di sviluppo: esterno, interno o organizzativo e


modelli di sviluppo del sistema di idee.

I modelli di sviluppo esterno

Una panoramica sul modo in cui le aziende di espandono mostra sostanzialmente


tre modelli:
- sviluppo fondanti sulla ricerca di una dimensione tecnico-produttiva ottimale da
sfruttare al massimo in modo ma minimizzare l’incidenza dei costi sulle unità
prodotte facendo conseguire così delle economie di scala. La crisi del ’29 ha
dimostrato come il mercato non può assorbire tutto e quindi deve essere visto
come una variabile indipendente.
- Sviluppo fondato sulla diversificazione dei prodotti. Questo modello è più attento
al mercato. L’attenzione si sposta dal piano tecnico-produttivo a quello della
clientela, che diventa il fattore chiave del successo dell’impresa. Le aziende
puntano alla massimizzazione dei risultati dell’intera gamma di prodotti
piuttosto che verso un pieno sfruttamento della capacità produttiva.
- Sviluppo fondato sull’accordo con gli altri operatori in un ottica concentrata di
soddisfacimento delle esigenze di mercato da servire ciascuno con specifiche
competenze distintive e nell’ambito delle aree operative assegnate. Si cerca di
minimizzare i costi secondo il modello delle economie dimensionali con
riferimento al segmento di competenza: il mercato viene servito da un complesso
di aziende ognuna delle quali serve un particolare segmento.

I modelli di sviluppo interno o organizzativo

Secondo la teoria di Greiner, le aziende hanno dei periodi di sviluppo seguiti da


periodi di rivoluzione. Mio è dato dal fatto che un’azienda crea svliluppo partendo
dall’organizzazione, ma una volta raggiunto un alto grado di sviluppo
l’organizzazione stessa può essere un limite all’azienda e dunque segue una fase di
rivoluzione. Secondo Greiner ci sono 5 fasi di sviluppo:
1. fase della creatività, in questa fase nasce l’organizzazione attraverso lo sviluppo
di un’idea imprenditoriale; segue la crisi di leadership: lo sviluppo rende
difficile continuare a gestire l’organizzazione sulla base dell’entusiasmo ed i
fondatori faticano a gestire i conflitti che ne derivano, diventa necessario
identificare un responsabile che guidi l’organizzazione fuor dalla crisi.
2. Fase dell’autorità: l’identificazione di un responsabile d’impresa porta a un
nuovo periodo di crescita sostenuta dalla sua capacità di leadership; segue la
crisi d’autonomia: la crescita dimensionale dell’organizzazione richiede un
maggiore investimento nelle persone, l’accentramento decisionale non riesce
più a governare le scene di tutta l’impresa;
3. Fase della delega: la soluzione dei problemi viene identificata in un maggior
ricorso alla delega certo le strutture intermedie che danno spinta all’evoluzione

!131
aziendale; segue la crisi di controllo: la delega rischia di frammentare l’impresa
e l’alta dirigenza rischia di perdere il controllo ;
4. Fase del coordinamento: l’investimento in una maggiore formalizzazione dei
meccanismi di coordinamento serve a identificare nuove regole di gestione
dell’impresa, recuperando le spinte all frammentazione; segue la crisi di
burocrazia: l’investimento in formalizzazione si traduce in un’aggiunta di
burocrazia di procedure che impediscono l’innovazione e circolano l’azione
manageriale;
5. Fase della collaborazione: l’uscita dalla crisi è data da una forte collaborazione
interna frutto di un investimento nello sviluppo di meccanismi di fiducia interna
e tramite la diffusione di responsabilizzazione dei manager.

Modello di sviluppo del sistema delle idee

Lo sviluppo è legato alla capacità di apprendimento di nuove idee, valori e


conoscenze. La sfida competitiva si vince puntando sulla capacità dell’impresa di
apprendere sempre più e sempre meglio. Nell’azienda ci sono attori chiave,
portatori di valori e norme di comportamento, ma anche l’impresa ha tradizioni e
idee consolidate in essa. Tutto questo costituisce il sistema delle idee e dei valori
dell’impresa che si trasmette alla struttura organizzativa. Vi sono due processi
fondamentali che caratterizzano la vita dell’impresa: processi di scambio e di
sviluppo. I processi di scambio sono processi già maturi che generano risorse
finanziarie, i processi di sviluppo caratterizzano ciò che deve ancora avvenire nella
vita di un’azienda e spesso precedono il processo di scambio.

La dominanza di un mercato da parte dell’impresa, rilevabile attraverso l’analisi


prodotto-mercato, deriva da qualche superiorità che caratterizza il know-how, la
competenza degli uomini o della struttura organizzativa dell’impresa. Questo
sistema per la dominanza, viene chiamato da Normann BUSINESS IDEA, e collega
struttura, sistema di prodotto, sistema di mercato e conduce all’economicità e
competitività. La business idea si compone di 5 fasi:

1- Stadio del sensore: all’inizio è necessaria una visione, una direzione che
orienti la ricerca; La visione è appoggiata dai centri di potere.

2. Stadio dello sviluppo: da un lato porta ad un ulteriore


approfondimento della conoscenza circa la business idea, e dall’altro sviluppa
prodotti e sistemi per facilitare la conquista del mercato.
3. Stadio della penetrazione nel mercato: implica la ricerca delle risorse
e la creazione di un’organizzazione congruente con la conquista del mercato.
Richiede ingenti risorse finanziarie.
4. Stadio dello sfruttamento e stabilizzazione: è quello in cui l’impresa
dovrebbe dominare il mercato e raccogliere i frutti del lavoro precedente.
5. Stadio terminale: l’impresa sperimenta ostacoli nei quali identificare
nuovi sentieri di crescita per lo sviluppo di nuove business ideas.

!132
Ottica di processo e ottica di obiettivo: due distinti modi per programmare. Le
forze trainanti spontanee

Bisogna adottare due ottiche diverse nei processi di pianificazione:


ottica processo, quando si programma il cambiamento che comporta la non
conoscenza immediata di obiettivi ma l’avvio di processi di apprendimento
ottica obiettivo, una volta sviluppata al suo stadio di stabilizzazione la business
idea, è possibile porsi degli obiettivi definiti da perseguire con formule razionali.

Ogni ostacolo genera una forza trainante, ovvero uno stimolo. Gli ostacoli più
frequenti sono barriere o restrizioni, che sono, ad esempio, dominanza del mercato,
difficile reperimento delle materie prime, limitazioni alla quantità da produrre,
ingenti imposizioni fiscali, ecc. Altre forze trainanti spontanee sono gli
inconvenienti e le fluttuazioni, poiché nuove business idea possono nascere nel
tentativo di sfruttare o eliminare gli stessi. Le forze trainanti evidenziate, viste in
un’ottica di sviluppo, possono generare più o meno direttamente, sensori o
embrioni di nuove Business Ideas: le forze trainanti spontanee e specifiche mettono
direttamente nella testa degli uomini dei sensori che portano a nuove business
ideas, forze trainanti più generiche non indicano immediatamente come generare
nuove business ideas ma è necessario che transitino dagli attori dell’impresa che
devono rielaborarli e indirizzare il processo di sviluppo della Business idea.

I processi di apprendimento a supporto


dello sviluppo delle aziende (cap 2)

Secondo Zappa un’azienda è una coordinazione dinamica di operazione volte al


soddisfacimento dei bisogni umani. La parola chiave, da sottolineare è “dinamica”
in quanto per lui le aziende sono on continua evoluzione.
Inoltre, in ottica di sviluppo, come si è visto, è vincente un’azienda che ha
conoscenze e motivazioni superiori. Di conseguenza diventa importante capire quali
sono quei fattori che ostacolano o promuovono il successo aziendale. Secondo le
teorie di Kuhn e Schon, nei sistemi sociali una certa conoscenza esistente vive in
una situazione di omeostasi, cioè di tendenza a conservare se stessa ed a esistere al
nuovo attraverso un feedback negativo. I detentori di questa conoscenza formano
una struttura di potere considerando le nuove conoscenze come azioni sovversive.
Un sistema aperto alla conoscenza, invece, accoglie le novità con grande attenzione
ed accetta un cambiamento morfogenetico caratterizzato da un feedback positivo.

Taluni fattori che condizionano l’apprendimento dell’impresa

I processi di apprendimento nell’impresa sono condizionati da alcuni fattori:


a) la formazione dell’imprenditore. Il processo di apprendimento di una business
idea ha di norma un’origine individuale nella figura dell’imprenditore ed è
!133
quindi influenzato dalla formazione dello stesso. Esistono, di base, due tipi di
imprenditori, gli specialisti che hanno formazione monolitica e non sono aperti
a soluzioni provenienti dall’ambiente esterno; e i generali che hanno un
esperienza più ampia in quanto hanno esperienza lavorativa proveniente da
diversi settori e sono più aperti a diverse soluzioni.
b) La struttura organizzativa. Laddove le strutture sono di tipo burocratico si
manifestano ostacoli all’apprendimento in quanto si punta al rispetto dei
compiti e delle regole. Laddove invece la struttura è più aperta l’apprendimento
è più alto in quanto questo tipo di struttura verte in condizioni di
comunicazione e di modificazioni.
c) I sistemi di controllo. Laddove questi sono troppo rigidi e controllano sia i
processi di scambio che quelli di sviluppo, l’azienda non è aperta
all’apprendimento, in quanto lo è un errore applicare il controllo di gestione ai
processi di sviluppo in quanto potrebbe portare a eliminare le aree di sviluppo
perché non producono reddito operativo ed è sbagliato per il futuro
dell’impresa.
d) Il sistema dei compensi dell’imprenditorialità interna. In linea generale è
possibile asserire che se l’imprenditorialità è premiata ( premi concreti,
opportunità di far carriera, inserimento al gruppo, ecc) allora l’azienda è aperta
all’apprendimento; in caso contrario l’azienda è chiusa all’apprendimento e ha
scarse possibilità di sviluppo.

Il ruolo degli attori chiave nello sviluppo dell’impresa

Normalmente un’azienda viene avviata da un fondatore che ha un idea di base. Se


l’azienda riesce ad avviarsi e a collocarsi in una buona posizione di mercato, il
fondatore ha avuto una buona idea e ha saputo trarne dei vantaggi finanziari cosi da
permettere quella data posizione all’azienda. Nel momento in cui però, un nuovo
portatore di idee entra in azienda e propone alcune delle sue idee, verosimilmente il
fondatore e il nuovo soggetto entrano in contrasto e se non c’è alcuna figura in
grado di temperare la situazione, si potrebbe finire per prendere decisioni sbagliate
ai fini dell’azienda. Ecco che si ritiene necessaria e importantissima la figura di un
moderatore che riesca a equilibrare le nuove idee con quella del fondatore per il
bene dell’azienda.

I fondamenti etici dello sviluppo:


lo sviluppo integrale dell’azienda (cap 3)

Esaminando l’atto in rapporto alla persona che lo compie, si possono cogliere


almeno quattro dimensioni dello stesso:
- Atto in sé, che punta al raggiungimento di un fine immediato, di un risultato
oggettivo.
- Intenzionale o riflessiva, generata dal riflesso dell’atto sulla persona, che può
migliorarlo o peggiorarlo;
- Relazionale, cioè dell’effetto di miglioramento o peggioramento dell’atto su chi lo
riceve;
!134
- Socio-ambientale, cioè degli effetti nella relazione con la società e l’ambiente.

Lo sviluppo integrale dell’uomo non è unidimensionale, ma avviene lungo tutte


le dimensioni dell’atto che egli compie e la sua qualità dipende dalla ricchezza di
significato che la persona dà all’atto medesimo. Naturalmente non in ogni atto sono
consapevolmente presenti tutte le dimensioni, né è uguale l’intensità e il livello nelle
stesse raggiunto nel compimento dell’atto, non sempre capace di raggiungere il
massimo livello di sviluppo in ogni sua dimensione. L’integrità dello sviluppo si
fonda su un sistema di valori senza i quali la visione dello sviluppo diviene spesso
monca, grossolana e primordiale e conduce alla costruzione di un uomo e di una
società disarmonici, dominati da egoismi, antagonismi e conflitti che determinano
spesso un declino di civiltà.
Anche lo sviluppo integrale delle aziende è pluridimensionale. Ogni decisione
e azione deve cioè passare al vaglio di un quadruplice orientamento volto a:
- Raggiungere un risultato economico
- Al riflesso che tale risultato può avere sul sistema dei valori, sulla capacità di
accrescere tali valori
- Al riflesso sui soggetti destinatari dell’attività aziendale, in primo luogo ai clienti
- Al riflesso dell’attività nei confronti del sistema socio economico e ambientale in
cui si svolge.

Non è facile massimizzare lo sviluppo in ognuna delle assi ma ciò che importa è la
consapevolezza negli attori chiave della necessità di non trascurare nelle proprie
scelte nessuna di queste dimensioni. Il cosiddetto BILANCIO SOCIALE delle
istituzioni punta a evidenziare il ruolo delle stesse nei quattro ambiti caratterizzanti
l’orientamento allo sviluppo integrale. Anche per le aziende, alla base dello sviluppo
vi è il sistema di valori concretamente vissuto da coloro che detengono le maggiori
responsabilità e dai loro collaboratori.
Concetto di creazione di valore durevole per il sistema aziendale: in
questo caso le dimensioni dello sviluppo sono tre: economica, competitiva e sociale,
ma tutte insieme collegate da rapporti di reciproco potenziamento per raggiungere
l’obiettivo della durevole creazione di valore per la sola azienda, che si
configurerebbe come riflesso dell’azione coordinata di tutte le forze operative nelle
tre direttrici dello sviluppo.
Vi sono tuttavia aziende che:
- Sorgono per motivi puramente economici
- Hanno origine da particolari concezioni di dignità del lavoro o del cliente del
fondatore
- Nascono con una chiara consapevolezza della quadridimensionalità dello sviluppo.
A questa fattispecie possono assimilarsi le istituzioni nate all’inizio del secolo scorso
col movimento cooperativo per affrancare dall’usura le classi povere come le banche
di credito cooperativo o per promuovere lo sviluppo imprenditoriale presso i ceti
sprovvisti di capitali. Tali iniziative hanno contribuito alla creazione nel tempo di
un metamanagement il cui ruolo si è andato via via sviluppando fino ad assumere
competenze strategiche che rendono tali istituzioni particolarmente competitive.

!135
Crisi d’impresa e strategie di superamento
(cap 4)
Nell’azienda non vi sono solo processi di sviluppo, ma anche processi involutivi
dovuti ad incapacità insite nel sistema che ne impediscono lo sviluppo. I processi
involutivi possono derivare da iniziative incompatibili con le risorse finanziarie
disponibili o essere di natura più propriamente economica, legate cioè a uno
squilibrio di lungo periodo tra costi e ricavi. Le crisi economiche divengono presto
finanziarie e quelle finanziarie non tempestivamente affrontate innestano processi
di sfiducia che compromettono l’economicità a lungo termine del sistema. Le crisi
devono essere risolte nel senso di generare autonomia economica, finanziaria e
patrimoniale, processi di crescita, di sviluppo, di conoscenza che possono avvenire
solo in presenza di una classe dirigente che si assuma la piena responsabilità
dell’impresa e che agisca in piena autonomia.
Può essere evidenziata una tipicità dei processi di risanamento con una
caratterizzazione di alcuni momenti essenziali:
- Ricerca delle cause della crisi: non si ritrovano in genere nella mancanza di
risorse finanziarie ma poggiano sull’incapacità dei soggetti di assumersi una
responsabilità piena nei confronti dell’impresa, nella loro litigiosità, nella mancanza
della cultura dell’impresa. Bisogna quindi allontanare questi soggetti e riassettare la
proprietà e il governo dell’impresa.
- Investimento sulle risorse primarie, ovvero sui dirigenti e sul capitale. Il
rinnovamento dei dirigenti deve essere accompagnato dall’immissione di nuovi
capitali a titolo di rischio ma anche dalla preparazione professionale del personale.
- Affermazione di un nuovo clima organizzativo che dia animo e ottimismo ai
dipendenti e di un nuovo clima di opinioni all’esterno, riscattando l’immagine
dell’impresa agli occhi degli interlocutori.
- Capovolgimento dell’andamento reddituale nel breve termine, verificando
possibilità di miglioramento, ovvero recupero di margini di redditività.
- Riorientamento strategico delle risorse attraverso la fissazione di obiettivi a
lungo termine volti a costruire l’immagine aziendale. Investimenti in tecnologia,
prodotti, mercati, ecc.

Vi è la diffusa prassi di ricercare l’equilibrio economico perduto attraverso


l’applicazione di energie imprenditoriali esterne agli stessi sistemi aziendali. Tale
prassi è spesso adottata dallo Stato e dagli Enti pubblici, ma anche da aziende
private non in crisi.
Alla difficoltà di individuare chi esercita le funzioni imprenditoriali nell’azienda si
aggiunge quella della definizione del ruolo dell’imprenditore, suscettibile di
universale accettazione e tale da non generare equivoci. Quando le tensioni
all’interno dell’azienda aumentano, accade che chi esercita la funzione
imprenditoriale non riesca a contemperare le esigenze di sopravvivenza aziendali
con le richieste delle altre forze convergenti nell’impresa e che quindi finisca con
l’assumere un duplice atteggiamento dannoso per l’azienda: subire le richieste senza
controllarle o senza innescare processi economici riequilibratori, o rifiutando a
continuare a svolgere la funzione dell’imprenditore decidendo di porre l’azienda in
liquidazione.
!136
Per crisi d’azienda si intende il venir meno dell’essenziale caratteristica del sistema
d’azienda, cioè della coordinazione economica delle operazioni. Per analizzare la
crisi d’azienda si fa ricorso all’approccio sistemico. Esso coglie le situazioni di crisi
nelle loro cause, mentre l’analisi sulla coordinazione aziendale nel suo complesso
mostra se l’impresa rispetta il principio di economicità e solvibilità consentendo di
verificare solo gli effetti della crisi.
In relazione all’origine della crisi può prospettarsi un intervento di revisione degli
obiettivi quando non rispondono più agli imputs del sistema aziendale, di revisione
delle scelte qualora siano inadeguate rispetto agli obiettivi che rimangono validi, di
correzione dell’azione che si palesa incoerente o non conveniente alle scelte prese.
Bisogna considerare lo stadio di avanzamento della crisi: la gravità della crisi è
funzione del ritardo della presa di coscienza di essa, dell’individuazione delle cause,
degli ostacoli che si oppongono alla creazione delle scelte per superarle. Maggiore è
la crisi, tanto più necessario è l’intervento esterno di imprenditorialità. Esso è un
innesto di imprenditorialità in un sistema aziendale in crisi grave e diffusa
promosso e consentito da una proprietà responsabile e disponibile a cedere o
condividere con il nuovo imprenditore il controllo del sistema da risanare, in
quanto convinti di non esserne in grado. L’intervento imprenditoriale presenta
molteplici manifestazioni con profonde differenze di sostanza e forma. Possono
essere classificate in base a differenti criteri:

- MOTIVAZIONI DELL’IMPRENDITORE
Possono essere di ordine economico o psicologico. Economico: si distinguono in
dirette (ottenimento del profitto) e indirette (efficacia in relazione al sistema per
intero). Psicologiche: dirette (prestigio, affermazione di sé) indirette (stesse
motivazioni ma in relazione alla figura dell’imprenditore)
I fattori demotivanti possono essere diretti e indiretti e riguardano timori e
difficoltà a raggiungere gli obiettivi derivanti dall’interno o dall’esterno.

- CARATTERISTICHE DELL’INTERVENTO
In relazione alla materia, l’intervento si presenta come puro apporto di
imprenditorialità. Interviene operando modifiche strutturali alle combinazioni
d’azienda per le quali occorreranno risorse che il sistema non può fornire.

La difficoltà dell’intervento dipende anche dalla durata dello stesso. In una


negoziazione del prezzo dell’intervento ha un peso notevole il fattore tempo.
Analogamente al tempo, abbiamo il fattore spazio, che aumenta la difficoltà
soprattutto quando il sistema aziendale si trova distante dall’abituale centro
operativo dell’imprenditore.
- CONDIZIONI DELLA CRISI
A volte la crisi può apparire limitata e manifestarsi come crisi di mercato, di
efficienza produttiva e distributiva, ecc. Questi sono spesso il riflesso di scelte non
oculate, mancate scelte o scelte tardive. Queste mancanze innescano in una crisi
limitata processi che portano rapidamente ad estenderla. Superficialmente, per
superare queste crisi, si potrebbe pensare a un ricambio di parte del management,
ben presto però, si capirà che il problema è una carenza di imprenditorialità nelle
parti che detengono il controllo dell’azienda.
La difficoltà dipende anche dallo stadio a cui è pervenuta la crisi. Se si è in un
!137
momento iniziale, è sufficiente cambiare parte del management per riottenere un
equilibrio economico, cosa che non sarebbe sufficiente in fase avanzata, in quanto
bisognerebbe prendere provvedimenti di ricapitalizzazione aziendale e
riconversione del sistema produttivo.

- MOTIVAZIONI DELLA PROPRIETA’


L’interesse all’intervento imprenditoriale può essere influenzato da motivazioni alla
propensione o alla resistenza. Questi fattori possono essere di natura economico-
patrimoniale o psicologica. Tra i primi vi è l’esigenza di frenare l’erosione del
patrimonio a causa delle perdite. L’imprenditore esterno che interviene può avere
una motivazione molto forte ad esempio quando riguarda una azienda dello stesso
settore in cui egli opera, per poter controllare una maggiore quota di mercato. Alla
decisione di intervenire si arriva solo attraverso la comprensione e alla valutazione
delle forze che agiscono in direzione o in contrapposizione all’intervento, secondo
un processo di analisi e di sintesi delle medesime.
Attraverso la misurazione del grado di propensione o resistenza dell’intervento
insita in ciascuna forza esaminata, si perviene alla determinazione di un grado di
propensione o resistenza complessivo per ciascuna delle due parti interessate
(imprenditori esterno e interno). ( < o > di 1) A tale valutazione si accompagna
l’esigenza di valutare la forza contrattuale delle parti nella successiva negoziazione
dell’intervento imprenditoriale, dalla quale scaturirà un valore negoziale e quindi
un prezzo da attribuire all’intervento medesimo.
Non è possibile realizzare un intervento imprenditoriale senza un programma di
risanamento del sistema aziendale tra l’imprenditore esterno e colui che richiede
l’intervento. La valutazione, quindi, parte dalla determinazione dei redditi
prospettici presunti. L’accettazione del programma di rilancio comporta un punto
di vista comune sui risultati connessi alla realizzazione del programma ma anche
sui tempi di manifestazione di questi risultati che sono in ogni caso legati
all’orizzonte temporale definito nel programma stesso. La durata del periodo di
capitalizzazione dei risultati relativi al programma concordato non si può
considerare uguale a quella del periodo programmato, poiché ciò porterebbe a
restringere la considerazione degli effetti dell’intervento, né si può considerare
indeterminata perché ciò significherebbe attribuire una permanenza illimitata nel
tempo all’efficacia dell’intervento stesso. Per definire la durata del periodo di
capitalizzazione dei risultati può essere utile riconsiderare il programma
considerando i tempi entro i quali le scelte di maggior peso potranno estendere i
loro effetti.

Vi è anche la necessità di concordare i TASSI DI ATTUALIZZAZIONE dei risultati


economico-finanziari. Va
deciso preliminarmente se prendere in considerazione:
- TASSI DI INTERESSE: usati per capitali impegnati a titolo di prestito

- TASSI DI RENDIMENTO: usati per scelte di investimento e valutazione del


capitale economico
dell’azienda, quindi per il capitale di rischio
Per assegnare una misura al tasso di rendimento è necessario operare una
!138
distinzione tra:

- TASSO DI INVESTIMENTO NOMINALE: la resa dei capitali non è depurata dalla


perdita di potere
d’acquisto della moneta

- TASSO DI INVESTIMENTO REALE: resa di capitali in ipotesi di costanza del


potere d’acquisto della
moneta
La misura del tasso di rendimento passa attraverso l’ipotesi di quantificazione del
rischio generale dell’impresa. Essa considera come soglia minima della componente
di rischio dell’impresa, il rischio di insolvenza cui è sottoposto il capitale dato in
prestito. Non è un punto ma un intervallo all’interno del quale può essere scelto un
livello minimo del rischio di impresa.
Determiniamo ora il valore da riconoscere all’intervento dell’imprenditore in modo
da contemperare le sue esigenze con quelle del soggetto che lo richiede.

Le variabili che vengono considerate nelle negoziazioni imprenditoriali sono:


1- Controllo aziendale con relativa minoranza del capitale sociale.
2- Disponibilità di finanziamenti a basso costo, cioè la possibilità di ottenere
prestiti a tassi più bassi di quelli riscontrati nel mercato.
3- Diritto di prelazione sugli utili, cioè privilegi riguardo la ripartizione dei
dividendi a favore dell’imprenditore che interviene.
4- Possibilità di riscattare convenientemente le azioni sociali, cioè ottenimento di
un prezzo particolarmente conveniente delle azioni sociali.
5- Premio iniziale in azioni o denaro.
6- Emolumento per la carica sociale rivestita, cioè compenso variabile o fisso data
ad un imprenditore
per le funzioni espletate nella carica che egli rivestirà nell’azienda.
7- Forma giuridica dell’intervento, si intende il modo in cui viene regolato il
rapporto tra il soggetto
che interviene ed il soggetto richiedente (partecipazione di entrambi nella
costituzione di una
nuova società).

Questi componenti si possono ritrovare in tutto o in parte insieme ad altre meno


ricorrenti e nel loro insieme definiscono la misura dell’intervento imprenditoriale.

!139
Lo sviluppo nell’azienda pubblica (cap 5)

Nelle istituzioni pubbliche, laddove i ricavi non rappresentano il corrispettivo


dei beni prodotti o dei servizi offerti, il principio di economicità va verificato
attraverso un rigoroso controllo della spesa. Esso deve impedire che la spesa
ecceda le prospettive di entrata, innescando un processo di indebitamento i cui
oneri finiscono nel lungo periodo con l’assorbire gran parte della spesa stessa,
facendo venire meno la ragion d’essere dell’intervento pubblico. Distinguiamo spese
che generano sviluppo, da quelle che non sono in contrasto con lo sviluppo, da
quelle che generano sottosviluppo. In sostanza il principio di economicità
dell’azienda si rispetta se le entrate = uscite, generando un risparmio, quindi
sviluppo. Quindi è il principio di eguaglianza nel lungo andare delle spese con le
entrate. Per limitati periodi di tempo le spese possono superare le entrate
ricorrendo all’indebitamento, purché sia connesso con uno sviluppo che generi
ricavi maggiori per l’impresa, che consentano di ricoprire l’indebitamento.
Interventi quali:
- Previsione di posti di lavoro per gli assistiti
- Frenare gradualmente l’intervento assistenziale
- Frenare gradualmente gli incentivi assistenziali alle imprese, orientandoli alla
formazione professionale
- Favorire l’imprenditoria giovanile
- Favorire la grande impresa manifatturiera

Potranno innescare un circuito virtuoso nel quale la crescita di professionalità


spingerà verso iniziative imprenditoriali a cui è legata la crescita dell’occupazione.
Tutto ciò per passare da un sistema assistito ad uno economicamente
autosufficiente.

Nello Stato, Regioni e Comuni, l’esigenza di accrescere la spesa ha fatto perdere la


relazione che esiste tra le spese stesse e le fonti reali di entrata. In questo modo è
invalsa la tendenza a fare sì che la spesa di competenza non abbia più come limite
l’entrata di competenza. In tal modo sotto l’aspetto formale di bilancio di
competenza si nasconde l’esigenza di operare sulla base di un bilancio di pura cassa,
con previsioni delle entrate sistematicamente gonfiate. Pertanto le entrate accertate
risultano minori di quelle preiste, tuttavia non vengono effettuate delle rettifiche
nelle previsioni; vengono assunti degli impegni di spesa sulla base di entrate errate
per eccesso, per cui non possono avere copertura finanziaria.
Ad esempio, il bilancio della regione Sicilia, la previsione delle entrate è
sistematicamente gonfiata: in primo luogo perché è errata la previsione delle
entrate tributarie, poi perché viene considerato fonte di future entrate un avanzo di
amministrazione che in realtà è un disavanzo, ed infine perché sono previsti mutui
cartolari a pareggio dello sconfinamento della spesa prevista sull’entrata. Da tale
errore scaturiscono due conseguenze:
1. Nel momento in cui vengono accertate le entrate, esse risultano inferiori a quelli
previste ma ciò non si traduce, di norma, in rettifiche delle previsioni;
2. Vengono assunti impegni di spesa sulla base delle previsioni di entrata errate,
che pertanto non possono essere sostenute.
!140
Tesi di Putnam riguardo alle cause del ritardato sviluppo delle regioni del
Sud Italia rispetto a quelle del Nord. Evidenzia una serie di fattori che
differenziano nettamente la realtà meridionale da quella del Centro Nord del
Paese. Due differenti tesi:
- Il GAP, le differenze tra un’area e l’altra dipendono moltissimo dal cosiddetto
Civic Ness, traducibile con il concetto del senso civico, rappresentato dai
rapporti di reciproco rispetto, collaborazione e mutuo soccorso tra i cittadini, il
che è tipico delle società a struttura orizzontale che ritroviamo nel Nord. E’ il
livello civico che aiuta a spiegare come si arrivi allo sviluppo socio-economico e
non viceversa.
- Per ritrovare le radici di questi fenomeni bisogna ripercorrere le vicende
storiche delle regioni italiane per molti secoli. A Nord le strutture sociali e
l’atmosfera culturale dell’età comunale hanno favorito la formazione di un
capitale sociale fatto di legami orizzontali, senso civico e spirito di collaborazione.
Al Sud invece, la frattura tra i governanti e i governati apertasi durante la
monarchia feudale normanna, si è allargata durante tutta l’età moderna e i
legami sociali si sono potuti sviluppare soltanto sull’asse verticale del privilegio e
delle clientele, generando malgoverno, illegalità e mafia.

Questa tesi sottende l’esistenza di due alternativi modelli di generazione del


consenso politico:
- Modello fisiologico: si ha quando la collettività e le sue forze imprenditive,
sindacali, ecc. hanno ben chiaro che il proprio interesse con riguardo alle aziende
pubbliche è quello di promuovere o confermare leadership politiche che siano in
garanti di una gestione delle aziende efficace ed efficiente.—>valorizzazione delle
forze imprenditive in armonia con gli interessi tra gli attori sociali, generazione di
un circuito che promuove lo sviluppo.
- Modello patologico: tali forze non sono mature e chiedono assistenzialismo, si
orientano a promuovere e confermare leadership politiche in cambio di favori,
senza alcun riguardo all’utilità sociale.—>processo di sfruttamento delle risorse
pubbliche, innesco di un circuito vizioso che porta a generare favori in cambio di
consensi, allo spreco e all’improduttività.

La crisi della finanza dello Stato e delle Regioni, caratterizzata da un elevato deficit,
un elevato indebitamento pubblico, una elevatissima pressione fiscale, ha
alimentato la spinta alle cosiddette PRIVATIZZAZIONI: lo Stato deve vendere il
suo patrimonio ed integrare con entrate patrimoniali le entrate tributarie, senza più
ricorrere per la copertura del deficit al debito pubblico. Il problema è relativo al
soggetto nelle mani del quale andranno a finire i beni dello Stato, perché non
accada che tali risorse siano gestite sconsideratamente e senza generare sviluppo.
Non è sempre detto infatti, che il privato sia meglio del pubblico. Bisogna pertanto
perseguire contestualmente gli obiettivi di recuperare le risorse finanziarie dello
Stato ma anche di creare e diffondere valore.
Le due principali prospettive emerse nel dibattito sulle privatizzazioni sono:
- NOCCIOLO DURO: vede identificato nel proprietario il soggetto in grado di
sorvegliare e garantire il
successo dell’impresa, in quanto titolare del rischio di perdere il proprio capitale.
È però accaduto che il proprietario abbia fatto una politica finanziaria mirata
!141
all’accrescimento di un potere, più che ad uno sviluppo gestionale nelle attività
dell’impresa.
- PUBLIC COMPANY: vede nella dirigenza il massimo garante della continuità
aziendale, essendone la permanenza in condizioni di comando legata alla
capacità di generare iniziative di profitto capaci di remunerare una proprietà
polverizzata detentrice di un diritto al dividendo più che di un potere di gestione.
Spesso può accadere che la dirigenza sia interessata più al dividendo, al consenso
degli azionisti e alle posizioni di carriera, che non agli investimenti con
prospettive di realizzo nel lungo periodo, quindi allo sviluppo.
- Taluni suggeriscono una terza via, quella del NOCCIOLO DURO ALLARGATO:
cessione del controllo delle imprese pubbliche ad operatori non appartenenti ai
soliti gruppi familiaristici. Si allargherebbe così da allargare il numero degli attori
sociali principali, generando un più ampio movimento e nuove iniziative.

La scelta che coinvolge il come privatizzare una struttura pubblica non può essere
fatta in astratto ma deve tener conto dei tratti caratteristici di essa. Possiamo
comprendere le strutture pubbliche in un intervallo ai cui estremi si collocano:
- Strutture orientate all’autoconservazione e che rifiutano qualunque mutamento
alle regole di tale gioco fino al rischio dell’autodistruzione.
- Strutture orientate all’innovazione e sono disponibili al cambiamento in vista di
un miglioramento dell’impresa.
Un secondo carattere riguarda la tradizione manageriale o imprenditoriale del
settore cui l’azienda appartiene.

Un terzo carattere è la sua tradizione all’autosufficienza economico-patrimoniale.


Diversi casi:
- Strutture complesse e semplici con tradizione di economicità
- Strutture complesse senza tradizione di economicità ma con aree di affari attive
- Strutture semplici o complesse senza tradizione di economicità in nessuna area
d’affari.

!142
Appendici

!143
Appendice 1
L’obsolescenza in economia aziendale

L’obsolescenza viene vista ce conseguenza del sorgere di nuove invenzioni e


scoperte, di rapide trasformazioni nelle tecniche produttive che possono provocare
negli impianti una perdita di valore di natura più o meno imprevedibile,
improvvisa, ineliminabile.
La visone classica si era concentrata su quello che potremmo definire hardware
dell’azienda ovvero le componenti fisiche e tecniche di produzione, come appunto
gli impianti, ma volendo essere più completi si può affermare che l’obsolescenza
riguarda anche la parte strutturale e organizzativa dell’azienda. Ovviamente per
obsolescenza strutturale e organizzativa si intende quella parte dell’azienda in cui
rientrano risorse umane, modus operandi, e leadership.
I fenomeni che contribuiscono a favorire o attenuare l’obsolescenza sono:
• Fenomeni di evoluzione tecnica;
• Fenomeni di mercato che alterano la situazione dei prezzi;
• Fenomeni di azienda che stimolano le innovazioni;
• Fenomeni di azienda che fungono da remora alle innovazioni(ad es. difficoltà
finanziaria).
I fenomeni possono essere endogeni o esogeni. Endogeni sono fenomeni che hanno
origine all’interno dell’azienda, e sono quelli che promuovono trasformazioni di
struttura, per pervenire o anticipare manifestazioni nello stesso senso di unità
aziendali. Esogeni sono quei fattori che hanno origine all’esterno dell’azienda e sono
fattori di adattamento a trasformazioni che vengono imposte dall’esterno.
potremmo, dunque, cosi definire l’obsolescenza “l’obsolescenza si collega solo al
progresso tecnico ma a un complesso di fenomeni di varia natura e non sempre
identificabili, per effetto dei quali gli impianti e i macchinari posseduti e/o la
struttura organizzativa si trovano ad essere economicamente superati pur
perdurando la loro efficienza fisica”.
È importante definire l’intervallo temporale entro il quale l’impianto può essere di
utilizzo. Ad esempio acquisto un impianto che ha durata 10 anni, io devo esserne
consapevole prima di effettuare l’investimento.
Dunque potremmo dire: “ l’obsolescenza è la minor durata utile effettiva di un
modo di essere quali-quantitativo parziale o complessivo della durevole struttura
tecnico-organizzativa del sistema aziendale rispetto a quella assunta come ipotesi
programmatica”.

Il rischio di obsolescenza

Il rischio di obsolescenza consiste nell’incertezza che la durata programmata di una


certa struttura tecnico-organizzativa sia superiore alla durata effettiva di essa. Da
ciò può derivare un danno consistente nella non soddisfacente reintegrazione di
costi e nell’anticipato sostenimento di oneri di ristrutturazione.
Il rischio di obsolescenza non sorge nel momento in cui viene utilizzata per la prima
volta la struttura tecnico organizzativa, ma nel momento in cui viene presa la
decisone concreta di realizzare quella data struttura piuttosto che un’altra.

!144
Il rischio viene rappresentato da una sinusoide, partendo dal momento 0 in cui le
scelte di attuazione diventano esecutive, in un primo momento decresce in quanto
siamo in fase di avviamento e po c’è una crescita che ci fa capire che siamo nella fase
di reintegro fino ad arrivare all’apice che è il punto massimo di redditività della
struttura. Successivamente la sinusoide decresce nel tempo e ciò significa che si
deve prendere in considerazione la possibilità di cambiare fattore produttivo.
Il rilievo del riccio di obsolescenza nel sistema dei rischi è tale che, in molti casi,
l’eliminazione di esso potrebbe significare quasi l’eliminazione del rischio
economico d’azienda. Tuttavia il rischio generale d’azienda non coincide con il
rischio di obsolescenza non soltanto per l’esistenza di altre componenti di rischio,
ma anche per il più ampio intervallo temporale a cui esso è legato.

Obsolescenza economica ed extra economica

L’azienda per poter perdurare nel tempo deve rispettare il principio di


autosufficienza economia e all’equilibrio finanziario per perdurare nel breve
periodo. A volte pero ci sono decisioni contrastanti con tali principi che puntano
alla massimizzazione del profitto o alla massimizzazione del bene sociale che
produce l’azienda. Possiamo affermare che tanto più piccola è la dimensione
aziendale tanto più è alto il grado di efficienza e innovatività che azienda vuole
ottenere per poter competere con le altre aziende del settore.

Obsolescenza totale e obsolescenza di periodo

L’obsolescenza totale è quella determinata dalla differenza tra la durata effettiva


e quella programmata di una struttura tecnico-organizzativa e si riferisce all’intera
vita di essa. L’obsolescenza di periodo si calcola per l’esigenza di determinare la
quota di obsolescenza da attribuire ad ogni singolo esercizio amministrativo per
esigenze di valutazioni di bilancio. La definizione di tale quota è caratterizzata da
incertezza (decrescente con il passare del tempo) e arbitrarietà in riguardo all’entità
della quota da ripartire (crescente proporzionalmente al numero di esercizi
considerati).
Per calcolare l’obsolescenza di periodo si possono utilizzare vari criteri:
- Criterio che ripartisce i costi in proporzione alla produzione realizzabile in
ciascun esercizio.
X = (C/P) x p ; Dove: C è il valore netto dei costi di struttura da ripartire; P è la
produzione totale; p è la produzione nel periodo.
- Criterio che riguarda l’incertezza. Viene attribuita una maggiore quota agli
esercizi iniziali per la presenza di una elevata incertezza sulla manifestazione
dell’obsolescenza. Tale quota va via via decrescendo con il susseguirsi del tempo e
quindi degli esercizi amministrativi.
- Criterio che riguarda il grado di sfruttamento della struttura. Si attribuisce una
quota inferiore all’inizio e alla fine del ciclo di vita della struttura, una quota
massima nella fase di affermazione a causa dell’andamento campanulare del
grado di sfruttamento.
- Criterio che considera sia l’incertezza sia lo sfruttamento. Il costo della
struttura viene diviso in due parti: in quella che riguarda l’incertezza, si segue
quel criterio. La rimanente parte viene ripartita secondo l’altro criterio. La
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Appendice 3
L’analisi delle determinati causali della redditività
MATRICE DU-PONT è utilizzata per analizzare le determinanti causali della
redditività aziendale. Questa parte dalla scomposizione del ROE (reddito netto su
capitale proprio) in prodotto fra ROI (reddito operativo su capitale investito), grado
di indebitamento (capitale investito su capitale proprio) e tasso di incidenza di oneri
e proventi extra gestione tipica (reddito netto su reddito operativo).
Il ROI si ottiene facendo il prodotto tra redditività delle vendite (reddito op. su
vendite) e il tasso di rotazione delle attività (vendite su capitale investito).
L’analisi delle determinanti causali attraverso quozienti può anche essere effettuata
attraverso gli indici di leva finanziaria e di sviluppo sostenibile per il ROE, di leva
operativa per il ROI.
- Modello della leva finanziaria
[ ROI + (ROI – i) x grado di indebitamento ] x (1-t)
Con 1-t = imposizione fiscale
E’ conveniente finanziare lo sviluppo aziendale attraverso il ricorso
all’indebitamento finché il ROI è superiore al costo dell’indebitamento. Questo
perché si realizza un indice di leva positivo (ROI – i). Viceversa non sarebbe
conveniente.
- Modello dello sviluppo sostenibile
Deriva da quello della leva finanziaria e individua il tasso di crescita interno
generato dall’attività aziendale. Questo è pari ad A/CN, autofinanziamento su
capitale netto.
Esiste anche il modello dello sviluppo globalmente sostenibile che si genera
considerando sia l’autofinanziamento che l’indebitamento e/o l’apporto di capitale a
titolo di rischio.
- Modello della leva operativa
Individua la variazione del reddito operativo in seguito alla variazione del volume di
prodotto venduto. Per cui tale indice di leva operativa si calcola dividendo il
margine di contribuzione per il reddito operativo.
Le opportunità sottostanti ad un’elevata leva operativa, sono costituite dalla
realizzazione di elevati incrementi nel reddito operativo dovuti alla capacità di
ampliare la quota di mercato. I rischi che derivano da un’elevata leva operativa sono
che il mercato potenziale o la capacità competitiva dell’azienda non siano sufficienti
a determinare un volume di domanda che consenta di raggiungere almeno il punto
di pareggio.
Una bassa leva operativa comporta la realizzazione di tassi di incremento del
reddito operativo inferiori, al variare dei volumi di vendita, e quindi elevati limiti di
crescita. Limiti che possono essere superati in due modi:
1- Crescita interna: comporta l’aumento dei costi fissi derivanti dall’assunzione di
nuovo
personale, acquisizione di nuova capacità produttiva ecc.
2- Crescita esterna: mediante la realizzazione di accordi di collaborazione con altre
aziende.
Le principali variabili dalle quali dipende il ROI, sono il reddito operativo e il
capitale circolante netto, poiché il capitale fisso è difficilmente influenzabile in una
!146
prospettiva di breve-medio termine.
Il reddito operativo deriva dalla differenza tra margine di contribuzione totale e
costi fissi. Il primo può essere scomposto in margini di contribuzione medio
unitario e volume di attività.

Appendice 4
Il principio di consistenza e il governo delle aziende

Secondo Coda, l’azienda ha una duplice versante, uno spinto al servizio al cliente e
alla competitività che fa si che l’azienda possa creare profitto; l’altro è
l’organizzazione interna che fa si che renda partecipi tutti i dipendenti e li faccia
crescere così da avere un valore aggiunto, quale la coesione interna. Tutto ciò crea
una sorta di valore aggiunto per l’impresa.
Secondo Juan Antonio Lopez la coesione degli uomini che collaborano al successo
dell’impresa va perseguito come valore fondamentale e prospetta l’esigenza per un
reale sviluppo dell’impresa che di ciò ogni decisione debba tenere conto.
Lopez definisce tre ambiti decisionali e per ogni ambito definisce tre grandi criteri
di valutazione a cui subordinare le varie decisioni: quello di efficacia, quello di
efficienza e quello di consistenza.
- creazione di ricchezza fondata sul servizio al cliente ( principio di efficacia ed
efficienza)
- Miglioramento delle conoscenze e delle capacità operative ( principio di efficienza
e crescita di professionalità)
- Crescita della capacità di inserzione del gruppo di lavoro (principio di
consistenza)
Per Lopez non è importante solo guadagno ma anche la crescita professionale e il
saper lavorare in gruppo.
Il principio di consistenza che viene enunciato definisce quel “nocciolo duro”
fondamento della comunità dell’azienda il cui centro è antropologico ma non
individualistico, bensì comunitario.

Il principio di solidarietà e la legge del dono

Nel libro di Senofonte, “L’economico”, è detto:” per comandare uomini convinti di


seguirti bisogna essere divini”. Non si può trovare espressione più adatta: per far
lavorare il gruppo come singolo uomo, bisogna crescere in una dimensione umana,
intellettuale e morale molto alta. Senofonte aveva già capito come dietro l’unità,
dietro ogni collaborazione vera tra gli uomini vi sia qualcosa di divino: la capacità di
donare, la legge del Ono, di cui parla anche Giovanni Paolo II, proprio di Dio che
possiede tutto e non può che donare, impropria per la creatura ma che per crescere
deve imparare a donare.
La legge del dono è la via per imparare a lavorare insieme, l’altro esiste per
arricchirci. L’uomo trova la realizzazione di sé nel completamento degli altri.

Sintesi elaborata da Giovanni Scalavino

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