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Appunti e riassunti di Finanza Aziendale

finanza aziendale (Università degli Studi di Firenze)

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FINANZA AZIENDALE

INTRODUZIONE

PRESUPPOSTI DELLE DECISIONI ECONOMICO-FINANZIARIE

I presuppos) per poter prendere delle decisioni economico-finanziarie sono:

- la presenza di una necessità di scambio;


- l’esistenza della moneta, che consente di effe=uare scambi reali, monetari e finanziari;
- la presenza di sogge? decisori (inves)tori industriali, risparmiatori, impresa) che possono
originare e ges)re lo scambio; esso si svolge tra 2 sogge? con comportamen) simmetrici,
ovvero inves)tori e risparmiatori;
- la presenza di un mercato nel quale la domanda incontra l’offerta, determinando il prezzo; se
l’incontro funziona bene, non vi è asimmetria informa)va;

SISTEMA FINANZIARIO

Il sistema finanziario è una stru=ura complessa in cui operano numerosi sogge? che, con
differen) aspe=a)ve, realizzano e scambiano servizi e strumen) con natura finanziaria.
Si può studiare so=o 2 aspe?:

• aspe?o funzionale: comprende:


- funzione credi)zia o di allocazione delle risorse: basata sul processo di trasferimento delle
risorse finanziarie dai sogge? in surplus a quelli in deficit;
- funzione monetaria: regola gli scambi reali e finanziari con un efficiente funzionamento dei
sistemi di pagamento;
- funzione di trasmissione della poli)ca monetaria: incide sul volume complessivo dei mezzi di
pagamento e del credito;
• aspe?o stru?urale: secondo il quale fanno parte del sistema finanziario:
- merca): si dividono in:
A. merca) monetari: rappresentano l’insieme di negoziazioni che hanno per ogge=o strumen)
finanziari con durata inferiore ai 12-18 mesi;
B. merca) finanziari: in essi vengono scambia) strumen) finanziari di varia natura a medio-lungo
termine;
- strumen) in essi negozia): possono essere considera) come prodo? (contra?, )toli) che
hanno ad ogge=o diri? e prestazioni di natura finanziaria;
- operatori: sono principalmente intermediari finanziari e altri inves)tori.

L’efficienza del sistema finanziario può essere di 2 )pi:

• funzionale: capacità degli operatori e dei merca) di favorire l’incontro tra domanda e offerta;
• informaEva: capacità di favorire la circolazione delle informazioni per garan)re la trasparenza e il
funzionamento del mercato. Può essere debole, semi-forte e forte.

Se non vi è efficienza informa)va, siamo in presenza di asimmetria informaEva, cioè alcuni


sogge? dispongono di maggiori informazioni rispe=o ad altri, determinando inefficienza
informa)va.
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Le conseguenze dell’asimmetria informa)va sono:

• selezione avversa: si manifesta prima della conclusione dei contra? finanziari e comporta
un’errata individuazione dei sogge? da finanziare;
• moral hazard: si verifica dopo la conclusione dei contra? finanziari e consiste in una una serie di
comportamen) opportunis)ci da parte di una controparte a danno dell’altra.

I fenomeni origina) dalle asimmetrie informa)ve sono:

- insider trading: uso opportunis)co di informazioni riservate;


- free riding: adozione di comportamen) che inducono alla rinuncia della raccolta e
dell’elaborazione delle informazioni e del monitoraggio degli inves)men) allo scopo di evitare i
cos) correla).

CAPITOLO 1 - I FONDAMENTI, PRINCIPI E OBIETTIVI

La finanza aziendale è una disciplina che studia le decisioni economico-finanziarie e le loro


implicazioni sull’a?vità d’impresa, orientando le decisioni dell’imprenditore al mantenimento di
un equilibrio finanziario durevole.

PRINCIPI GUIDA

La finanza aziendale si basa su 3 principi guida:

• principio di invesEmento: inves)re in proge? con un rendimento a=eso superiore a una soglia
minima di rendimento:
- tale soglia deve essere più elevata per i proge? più rischiosi e rifle=ere la stru=ura finanziaria
u)lizzata, ovvero fondi propri o capitale di terzi preso a pres)to;
- il rendimento a=eso di un proge=o va misurato sulla base dell’ammontare dei flussi di cassa
genera) e della loro distribuzione nel tempo. Bisogna anche tenere conto che gli inves)tori sono
razionali (avversi al rischio) e le risorse per lo svolgimento delle a?vità sono spesso limitate. Si
investe solo se:

rendimento a=eso > soglia minima di rendimento

• principio di finanziamento: scegliere una stru=ura finanziaria che massimizzi il valore degli
inves)men) effe=ua) e che sia in linea con il )po di inves)mento da finanziare. L’ideale sarebbe
u)lizzare il capitale di terzi, in quanto è meno rischioso rispe=o al capitale proprio;
• principio dei dividendi: res)tuire il denaro ai proprietari dell’impresa ogni volta che non vi siano
opportunità di inves)mento in grado di generare un rendimento superiore alla soglia minima.

Nel prendere tu=e queste decisioni, la finanza aziendale usa come punto di riferimento il suo
obie?vo, ovvero massimizzare il valore dell’impresa, cercando di minimizzarne il rischio.

L’OBIETTIVO E LE PROSPETTIVE DI VALUTAZIONE

È necessario per il management perseguire un unico obie?vo per guidare il processo decisionale,
perché:

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- senza un obie?vo manca un metodo sistema)co per prendere le decisioni che prima o poi
un’impresa si trova ad affrontare;
- se persegue più obie?vi contemporaneamente si rischia di paralizzare il processo decisionale.

L’obie?vo ideale deve soddisfare alcuni requisi):

- avere una definizione chiara e non ambigua;


- poter essere misurato con chiarezza e tempes)vità;
- non creare cos) superiori ai benefici per l’impresa.

L’OBIETTIVO TRADIZIONALE

L’obie?vo dell’impresa è la massimizzazione del valore. In par)colare, l’obie?vo principale per le


aziende quotate in Borsa e il cui azionariato è diffuso tra mol) inves)tori è la massimizzazione del
valore del capitale ne=o (prezzo azionario, shareholder value), mentre per le aziende non quotate
l’obie?vo rimane la massimizzazione del valore dell’impresa nel suo insieme (enterprise value),.
La massimizzazione del valore si raggiunge se sussistono 3 aspe?:

- assenza di confli? di interessi e una buona governance;


- efficienza dei merca) finanziari;
- perfe=a razionalità degli agen) economici.

La massimizzazione del valore azionario fallisce se:

• esiste un confli=o di interessi tra gli azionis) e gli altri stakeholders;


• gli obbligazionis) non sono tutela) contro l’opportunismo degli azionis);
• i merca) finanziari non sono efficien);
• esistono significan) cos) sociali correla) alla massimizzazione del valore azionario;
• irrazionalità degli operatori economici, cioè non riescono a prendere spesso decisioni o?mali.

In un’impresa quotata in Borsa, gli azionis) affidano al management il compito di ges)re l’azienda
per loro conto; il management, a sua volta, si rivolge alle banche o al mercato obbligazionario per
o=enere le risorse necessarie per finanziare le operazioni dell’azienda. Inoltre, l’impresa che ha
l’obie?vo di massimizzare il proprio valore può generare cos) sociali talmente eleva) da richiedere
una modifica dell’obie?vo.
In questo quadro, un obie?vo basato sulla massimizzazione del prezzo azionario pone una serie di
problemi a causa dei potenziali confliO d’interesse, che si hanno quando gli interessi dei vari
sogge? che interagiscono con l’impresa non coincidono e, spesso, sono contrastan), generando
dei confli? (azionis), manager, obbligazionis), società).
I confli? più conosciu) sono quelli tra: manager e azionis), azionis) e obbligazionis), azienda e
merca) finanziari, azienda e società.

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CAPITOLO 2 - LA CORPORATE GOVERNANCE, LA MASSIMIZZAZIONE DEL VALORE E IL RISCHIO


D’IMPRESA

CORPORATE GOVERNANCE E FUNZIONE OBIETTIVO

Nonostante l’obie?vo della finanza aziendale sia la massimizzazione del valore dell’impresa, esso
diventa spesso la massimizzazione del prezzo azionario, perché tale valore ha il vantaggio di
rappresentare una misura chiara del successo di un’impresa e quindi un punto di riferimento
preciso per il management.
Il presupposto che il prezzo azionario sia l’unico obie?vo, però, è reso problema)co dai confli? di
interesse che possono sorgere tra i vari stakeholders.
I confli? d’interesse hanno molte conseguenze nega)ve:

- il management precede i propri interessi a quelli degli azionis);


- gli azionis) cercano di approfi=arsi degli obbligazionis);
- le imprese forniscono ai merca) informazioni fuorvian);
- le imprese prendono decisioni che generano notevoli cos) per la società.

Di conseguenza, diventa necessario ges)re tali confli? tramite i meccanismi della corporate
governance. Infa?, le relazioni tra i vari a=ori che partecipano alla vita aziendale sono regolate dai
principi di corporate governance, cioè l’insieme di stru=ure cos)tuite per la ges)one delle imprese
nei rappor) tra i vari stakeholders, sviluppando sistemi di ges)one dei confli? di interesse e di
direzione e controllo dell’impresa.

CONFLITTO DI INTERESSI TRA MANAGEMENT E AZIONISTI

Gli azionis) hanno il potere di disciplinare ed eventualmente rimuovere i manager che non
dimostrino di operare nel loro interesse. I 2 meccanismi a disposizione degli azionis) per l’esercizio
di questo potere sono l’assemblea annuale e il consiglio di amministrazione.

Assemblea annuale degli azionisE: qui gli azionis) possono esprimere le loro opinioni sulla
ges)one dell’impresa e votare proposte di modifica dello statuto societario. Però la maggior parte
degli azionis) non partecipano alle assemblee annuali, perché:

- mol) piccoli azionis) ritengono che la loro presenza e il loro voto non possano avere un impa=o
significa)vo; se votano, preferiscono farlo semplicemente per il manager in carica;
- i manager hanno un vantaggio iniziale derivante dall’esercizio delle deleghe ricevute;
- i grandi azionis) che non gradiscono il manager (e che solitamente hanno partecipazioni anche
in altre società) preferiscono vendere i )toli e andarsene.

Quindi, un a=eggiamento meno passivo degli azionis) contribuirebbe a rendere il management più
sensibile agli interessi degli azionis) stessi.

Consiglio di amministrazione: è l’organo deputato alla supervisione della ges)one. I membri del
consiglio, che vengono ele? per rappresentare gli azionis), hanno l’obbligo fiduciario di verificare
che il management agisca nell’interesse degli azionis). A tale scopo, hanno il potere di sos)tuire il
management e influenzare in modo significa)vo le scelte ges)onali. Ma anche il potere del CdA di
disciplinare il management e renderlo responsabile di fronte agli azionis) viene rido=o da diversi

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fa=ori, con la conseguenza che esso venga meno al suo compito principale, cioè proteggere gli
interessi degli azionis).

Il potere che hanno gli azionis) di influenzare le decisioni del management tramite l’assemblea
annuale e il CdA può dipendere dalla ripar)zione del diri=o di voto fra gli azionis) e da chi
possiede le quote della società. Di conseguenza, la corporate governance sarà:

- più forte in società che hanno una sola classe di azioni (dà diri=o a un voto), limitate
partecipazioni incrociate e mol) inves)tori a?vi;
- più debole in società che hanno diverse )pologie di azioni (danno diri? di voto diversi), molte
partecipazioni incrociate e mol) inves)tori passivi (che non assumono la ges)one dell’impresa e
sono gli azionis) di risparmio e gli inves)tori is)tuzionali).

Se, però, ques) 2 meccanismi di corporate governance non dovessero essere efficaci nel
mantenere il management responsabile di fronte agli azionis), esso darà maggiore importanza ai
propri interessi e svilupperà alcune ta?che di tutela:

• blocco di tentaEvi di scalata osEle senza il consenso degli azionisE: quando l’impresa diventa il
target di un tenta)vo di acquisizione os)le (hos)le takeover), per un management inefficiente
lasciare che tale acquisizione avvenga spesso implica il licenziamento. Esso, dunque, cercherà di
u)lizzare alcuni meccanismi interni a danno degli azionis), senza il loro consenso e senza che
essi possano intervenire. Tali meccanismi sono:
- greenmail: si verifica quando il management rileva partecipazioni azionarie a prezzi superiori a
quelli di mercato con conseguenze nega)ve sui prezzi azionari, in modo da far perdere valore
all’impresa e rendendo meno appe)bile la sua acquisizione;
- golden parachute (paracadute d’oro): sono clausole inserite nel contra=o di lavoro del manager
che gli assicura il pagamento di una somma molto elevata qualora dovesse perdere il proprio
lavoro a seguito dell’acquisizione;
- poison pill (pillole avvelenate): sono )toli che si a?vano in caso di offerte os)li e rendono
difficile e costosa l’acquisizione del controllo dell’azienda da parte di terzi.
• meccanismi con il consenso degli azionisE: richiedono il voto favorevole degli azionis) per
essere autorizza) in quanto prevedono modifiche statutarie o decisioni che devono essere
approvate dall’assemblea degli azionis), oltre che dal CdA. Possono essere:
- clausole an)-takeover: vi sono diversi )pi di clausole che hanno in comune l’obie?vo di ridurre
la probabilità di essere sogge? a un takeover (acquisizione), per es.: super majority
requirement, fair-price amendments, elezioni a scaglione nel CdA;
- operazioni straordinarie volte a bloccare l’acquisizione: un es. è il caso della scalata di Olive? a
Telecom, nel quale l’assemblea dei soci di Telecom era chiamata ad approvare una serie di
operazioni straordinarie di una certa en)tà, tra cui la conversione delle azioni di risparmio in
ordinarie, che avrebbero potuto rendere molto difficile e meno conveniente l’operazione di
acquisizione da parte di Olive?.

Una possibile soluzione a questo confli=o di interessi riguarda le stock opEon, cioè strumen)
finanziari che cercano di coinvolgere il management dell’impresa, inserendolo all’interno della
stessa compagine azionaria e s)molandolo ad incrementare la remunerazione degli azionis) di cui
lo stesso farà parte.
Le stock op)on danno al possessore il diri=o, ma non l’obbligo, di acquistare azioni di una società a
un determinato prezzo di esercizio (strike price). Tale diri=o sarà esercitato quando il prezzo di

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esercizio è inferiore al valore di mercato dell’azione. Esistono solo per le società quotate e spesso
sono conferite gratuitamente ai dipenden) (solitamente ai manager) con l’intento di aumentare la
loro produ?vità e le loro performance aziendali. In questo modo si va ad allineare il loro interesse
personale a quello degli azionis).
Tali opzioni possono rivelarsi dannose per il mercato finanziario in quanto creano opportunità di
arbitraggio sui prezzi, per cui spesso vengono emesse dotate di un pa=o di lock in o lock up, che
consentono la cessione trascorsi almeno 1 o 2 anni dal conferimento.
Inoltre, sempre per risolvere i confli? tra azionis) e manager, si può:

- rendere il CdA più efficace inserendo amministratori indipenden);


- aumentare il potere degli azionis) e la trasparenza informa)va.

CONFLITTO DI INTERESSI TRA AZIONISTI E OBBLIGAZIONISTI

In teoria non esistono confli? di interessi tra ques) sogge?, ma nella realtà gli azionis) possono
avvantaggiarsi della mancanza di meccanismi prote?vi a difesa degli obbligazionis) in vari modi
per massimizzare la propria ricchezza. Ques) modi sono:

• invesEmenE rischiosi (poliEca di invesEmento): quando un’impresa si trova a dover decidere se


inves)re o meno in un proge=o rischioso, potrebbe verificarsi l’eventualità che gli azionis) siano
favorevoli, in ragione del potenziale profi=o, mentre gli obbligazionis) più sce?ci, dato che sono
espos) al rischio di perdite;
• ulteriore indebitamento (leverage) (poliEca di finanziamento): se tale aumento incide sul
rischio d’insolvenza dell’impresa, gli obbligazionis) verranno danneggia) (e agli azionis)
avvantaggia)) qualora essi non siano in grado di rinegoziare i termini del pres)to o di proteggersi
completamente;
• ulteriori dividendi/riacquisE di azioni proprie (poliEca dei dividendi): gli aumen) dei dividendi
comportano un rialzo del prezzo dell’azione, riducendo le disponibilità liquide disponibili per
l’impresa, rendendo il debito più rischioso.

Gli obbligazionis) possono difendersi con:

- clausole (covenant) vincolan) sulle poli)che di inves)mento, finanziamento e dividendo inserite


nel corpo dell’offerta;
- nuovi )pi di obbligazioni per proteggersi da incremen) del leverage o da incremen) della
rischiosità dell’impresa (obbligazioni con clausole pu=able e callable).
- )toli ibridi che perme=ono agli obbligazionis) di diventare azionis) (obbligazioni conver)bili o
cum warrant).

CONFLITTO DI INTERESSI TRA IMPRESA E MERCATI FINANZIARI

In teoria i merca) finanziari sono efficien), ovvero ricevono dai manager informazioni vere, in
modo da poter giudicare ragionevolmente il valore reale dell’impresa e stabilendo i prezzi di
mercato. In tali merca), il prezzo azionario verrà acce=ato come corre=a misura del successo delle
decisioni aziendali.
Nella realtà, i merca) difficilmente sono efficien), generando 2 )pi di problemi che renderanno
incompa)bili le poli)che volte a massimizzare i prezzi azionari con la massimizzazione del valore:

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Problema dell’informazione: i prezzi di mercato si basano sull’informazione, che deve essere


trasmessa in modo veloce e veri)ero ai merca) finanziari, ma in realtà esistono degli impedimen)
a questo processo:

- la diffusione delle informazioni viene a volte soppressa o ritardata dalle aziende, sopra=u=o
quando essa con)ene no)zie nega)ve;
- alcune aziende, preoccupate di far salire il prezzo delle azioni, trasme=ono ai merca) finanziari
informazioni volutamente fuorvian) riguardo la loro situazione a=uale e le loro prospe?ve
future.

Tali informazioni possono generare un divario tra valore e prezzo dell’azione: quando la verità
viene a galla, il prezzo dell’azione precipita.

Problema del mercato: anche se l’informazione venisse trasmessa ai merca) finanziari in modo
completo e senza distorsioni, non c’è nessuna garanzia che il prezzo azionario risultante
rappresen) una s)ma ogge?va del valore. Il problema riguarda quindi l’irrazionalità degli
inves)tori. Sono state mosse diverse cri)che, legi?me e non, ai merca) finanziari:

- non sempre i merca) finanziari valutano in modo ragionevole e razionale gli effe? di nuove
informazioni sul prezzo di un’azione. I sostenitori di questa tesi fanno riferimento all’elevata
vola)lità dei merca) finanziari, che reagiscono anche di fronte a no)zie prive di contenuto reale,
e al fa=o che la vola)lità dei merca) finanziari sia superiore a quella dei fondamentali di
un’azienda;
- i merca) finanziari reagiscono in modo eccessivo, specie quando le imprese annunciano u)li al
di sopra o al di so=o delle aspe=a)ve degli analis);
- in alcuni casi gli insider riescono a manipolare i merca) e spesso a danno degli azionis), specie
quando le azioni sono poco liquide;
- i merca) finanziari possono essere miopi e non considerare gli effe? degli inves)men) di lungo
periodo dell’impresa.

Vi sono però alcune evidenze che dimostrano che i merca) non sono miopi, per es. ci sono molte
start-up che non hanno al momento profi? né prevedono di averne nel futuro immediato, ma che
comunque riescono a reperire notevoli finanziamen) sui merca) sulla base di aspe=a)ve di
successo future. Se i merca) fossero così miopi, tali aziende non sarebbero riuscite a finanziarsi e
quindi non avrebbero potuto svolgere la propria a?vità;
La soluzione per questo )po di confli=o è il miglioramento della qualità, tempes)vità e trasparenza
dell’informazione in modo da rendere i merca) più efficien).

CONFLITTI DI INTERESSE TRA IMPRESA E SOCIETÀ

La maggior parte delle decisioni prese dal management hanno delle implicazioni sociali.
Una funzione obie?vo che punta a massimizzare il valore dell’impresa o del capitale ne=o assume
che i cos) sociali collaterali siano talmente limita) da poter essere ignora) oppure misura) e
imputa) all’azienda.
Nella realtà la situazione è diversa: vi sono casi in cui i cosE sociali (es. cos) ambientali) sono
considerevoli, ma non possono essere imputa) all’azienda, con il management che, pur
consapevole dei cos), potrebbe decidere di ignorarli e massimizzare la funzione obie?vo
dell’impresa.

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È necessario che le aziende siano consapevoli dell’esistenza di tali cos), me=endo in secondo
piano la massimizzazione del valore dell’impresa per poterli ridurre, altrimen), se esistono cos)
sociali a loro insaputa, il rischio è il fallimento.
I cos) sociali nascono, dunque, quando l’impresa non è adeguatamente ges)ta.
Alcuni studiosi ritengono che l’obie?vo di massimizzazione del valore per gli azionis) vada quindi
sos)tuito con un obie?vo di massimizzazione del valore per tu? gli stakeholder dell’impresa,
quindi non solo azionis), ma anche dipenden), clien), comunità, società nel suo complesso, in
modo da ridurre i cos) sociali.
Alcune soluzioni per ridurre i confli? di ques) )po sono:

- introdurre norma)ve che sanzionano comportamen) contrari alla società;


- s)gma)zzare pubblicamente le imprese che creano cos) sociali (caso Nike e lavoro minorile).

LA GOVERNANCE DELL’IMPRESA E IL RISCHIO

All’interno della corporate governance un ruolo centrale è assunto dalla governance del rischio,
che comprende il complesso delle a?vità svolte per iden)ficare, s)mare e valutare il complesso
dei rischi aziendali, unendo capacità, infrastru=ure e sistemi informa)vi sviluppa) per il risk
management. Il rischio intacca in modo preponderante sulla creazione del valore e non può essere
trascurato: o si minimizza o si aumenta con una strategia di rischio.
Il rischio è tu=o ciò che comporta incertezza sull’esito finale delle aspe=a)ve e l’intento è quello di
non eliminarlo, ma di sapere quanto rischio si corre a farselo adeguatamente pagare.
La determinazione dell’adeguata remunerazione del rischio è una delle basi logiche della creazione
del valore, perché si crea valore quando l’inves)mento supera il rischio che si va a correre.
L’obie?vo della massimizzazione del valore degli azionis) viene raggiunto con un risk management
a?vo che cerca di massimizzare i flussi di cassa a=esi (E(CF)) e minimizzare il rischio (agendo sul
tasso di a=ualizzazione r).

CAPITOLO 3 - LA NOZIONE DI RISCHIO IN FINANZA

IL RISCHIO NELLE DECISIONI ECONOMICHE

Si definisce privo di rischio l’inves)mento che a=ribuisce una probabilità del 100% ad un
determinato risultato.
La maggior parte degli inves)men) sono cara=erizza) da una certa dose di incertezza.
Il rendimento minimo a=eso di un proge=o (Rp) è una s)ma sul rendimento di un inves)mento
legata al grado di incertezza dei risulta) a=esi e aumenta al crescere della rischiosità (R premium),
partendo da un rendimento base privo di rischio (Rf):

Rp = Rf + R premium

Nel nostro linguaggio il conce=o di rischio è spesso usato come sinonimo di probabilità di perdita o
come indicatore di pericolo, molto più vicino al rischio assicura)vo e non al rischio in finanza.
Si deve fare, quindi, riferimento alla cultura cinese, che esprime il rischio come la combinazione tra
pericolo e opportunità.
In finanza, quindi, il rischio è la possibilità che il rendimento effe?vo sia diverso (maggiore o
minore) da quello a=eso (combina i conce? di pericolo e opportunità).

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Il rischio assume, dunque, un duplice ruolo: è fonte di possibili perdite da coprire ed è legato a
nuove opportunità di inves)mento da sviluppare.
In finanza, il rischio di un proge=o è quello che l’inves)tore o l’impresa sopporta nel formulare una
previsione di rendimento a=eso possibilmente diversa dal rendimento effe?vo. Quindi il rischio è
un errore di previsione, che può essere posi)vo (upside risk) o nega)vo (downside risk).
La possibile distribuzione dei risulta) di un qualunque inves)mento ha un andamento
campanulare: può avere un’asimmetria e, quindi, una tendenza verso il meglio o verso il peggio,
ma comunque sia sono presen) entrambe le aree di pericolo e opportunità (downside risk a
sinistra per il pericolo, upside risk a destra per l’opportunità).
Ca=aneo suggerisce come i conce? di certezza, rischio ed incertezza possano essere applica) alle
decisioni d’impresa analizzando 3 cara=eris)che essenziali di una decisione:

1. conoscibilità dell’ambiente nel quale la decisione è assunta;


2. presenza di alterna)ve;
3. ordinabilità delle stesse.

Secondo Ca=aneo, per affrontare il rischio, l’impresa può prendere:

• decisioni in condizioni di certezza, cara=erizzate dal fa=o di poter operare in un ambiente


conosciuto, dove vi sono alterna)ve per raggiungere l’obie?vo note al decisore e perfe=amente
ordinabili;
• decisioni in condizioni di rischio, cara=erizzate dalla presenza di alterna)ve note, dovendo però
operare in un ambiente sconosciuto dove le scelte fa=e sono ordinabili tramite una funzione di
probabilità ogge?va;
• decisioni in condizioni di incertezza, cara=erizzate per l’ambiente sconosciuto e la mancata
ordinabilità delle alterna)ve, che sono presen) e possono ordinate solo facendo riferimento a
funzioni di probabilità.

CLASSIFICAZIONE PER NATURA DEI RISCHI D’IMPRESA

Il rischio d’impresa è il rischio sostenuto dall’imprenditore nell’organizzare la produzione con


l’obie?vo di soddisfare i bisogni degli individui e di realizzare un guadagno incerto.
I principali rischi sostenu) dalle imprese sono:

1. rischi operaEvi: sono lega) allo svolgimento delle a?vità opera)ve d’impresa e si manifestano
a seguito delle decisioni di impiego delle risorse. Vi rientrano i rischi di controllo, che sono
errori, omissioni di comportamen) ed errate valutazioni dei cos), compiu) dal management a
seguito di incapacità, colpa o comportamen) dolosi. Poi ci sono anche i rischi rela)vi alla
governance, rischi legali e rischi di business;
2. rischi finanziari: sono gli scostamen) del risultato finale a=eso in conseguenza di cambiamen)
nelle variabili finanziarie. Si dividono in:
• interni: connessi alla stru=ura finanziaria e suddivisibili in:
- rischi di insolvenza: riguardano la probabilità che l’impresa non sia in grado di adempiere al
pagamento degli interessi sul debito e al rimborso del capitale prestato;
- rischi di liquidità: lega) al verificarsi di un temporaneo deficit di cassa che comporta uno
smobilizzo non previsto di capitali immobilizza) o rende necessaria la negoziazione di un
affidamento bancario per recuperare l’indispensabile elas)cità di cassa. Ciò provoca un
aumento degli oneri finanziari e incide sui risulta) finali e sul valore dell’impresa;

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- rischi di controparte: lega) alle difficoltà di incassare dalla controparte i corrispe?vi monetari
delle vendite effe=uate, trasformando i credi) commerciali in effe?va liquidità;
- rischi di proge=azione della stru=ura finanziaria: conseguen) ad una stru=ura finanziaria non
adeguata alle esigenze di business dell’impresa e ai suoi vincoli;
• esterni: conseguen) all’ambiente e al sistema economico nel quale l’impresa opera e suddivisibili
in:
- rischi di tasso di cambio: si ha quando il rapporto di cambio tra 2 monete nazionali viene a
modificarsi in modo sostanziale, facendo variare il valore di credi) e debi) in valuta;
- rischi di tasso d’interesse: lega) alla variabilità dei tassi nel tempo e alla loro stru=ura per
scadenza;
- rischi di inflazione: lega) alla perdita di potere d’acquisto della moneta nel tempo;
3. rischi di mercato: de? anche rischi di posizione, sono lega) al mercato e all’ambiente
economico nel suo complesso (es. cambiamen) nella norma)va fiscale e nelle merci fungibili),
oltre che agli even) atmosferici, poli)ci, bellici. Si tra=a di rischi non eliminabili con una
diversificazione non correlata di portafoglio e che possono essere rido? soltanto investendo in
molteplici e differen) sistemi economici.

LA MISURAZIONE DEL RISCHIO IN STATISTICA E FINANZA: INDICATORI SIGMA E BETA

I 2 indicatori u)lizzabili per misurare il rischio sono il fa=ore sigma e il fa=ore beta.

FATTORE SIGMA (σ): de=o anche rischio totale, misura la distanza dei possibili esi) finali s)ma)
dall’esito ritenuto più probabile e noto come valore a=eso. Tale risultato in sta)s)ca viene indicato
con lo scarto quadra)co medio della distribuzione o con la varianza. Esistono altri indicatori
u)lizzabili nello studio di una distribuzione di frequenza:

• indicatori di posizione (media e valore a=eso, moda, mediana): il principale indicatore di


posizione è rappresentato dal valore a=eso, cioè la media dei valori assun) dalla variabile nei
differen) scenari. Si indica con il valore a=eso in presenza di scenari con iden)che probabilità
di realizzo, mentre si indica con E[x] la media ponderata dei valori assun) dalla variabile in un
numero n di scenari con differen) probabilità di realizzo. Spesso, anche in quest’ul)mo caso, si
u)lizza :

• indicatori di rischio o di dispersione (varianza e scarto quadra)co medio): la varianza indica la


dispersione dei valori di una distribuzione intorno alla propria media e misura l’oscillazione e il
rischio. Si indica con σ:

• indicatori di forma e simmetria (mediana, curtosi e skewness):


- la curtosi indica l’allontanamento della distribuzione dalla forma normale segnalando o un
maggiore appia?mento (distribuzione pla)cur)ca) o un maggiore allungamento verso l’alto
(distribuzione leptocur)ca). Una maggiore curtosi indica una maggiore dimensione delle code e
quindi una maggiore probabilità di rendimen) estremamente al) o estremamente bassi;
- l’indicatore di simmetria (skewness) segnala invece se la possibile dispersione dei valori della
variabile dipende maggiormente dagli scenari nega)vi (asimmetria nega)va) o dagli scenari
posi)vi (asimmetria posi)va). La distribuzione:
‣ presenta un’asimmetria posi)va quando la mediana < media, evidenziando la maggiore
probabilità di o=enere rendimen) eleva);

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‣ presenta un’asimmetria nega)va quando la mediana > media ed è spostata verso il rischio di
perdita invece che di guadagno.

FATTORE BETA (ß): è uno strumento u)lizzato per lo studio della variabilità indo=a da un
fenomeno su una variabile dipendente e può essere u)lizzato per studiare l’effe=o della variazione
di una qualsiasi grandezza esogena o endogena all’impresa su grandezze come il reddito opera)vo,
l’u)le ne=o, il cash flow, ecc.
Il fa=ore beta più conosciuto è il beta azionario.

LA SEMIVARIANZA

La semivarianza rifle=e solo l’aspe=o nega)vo del rischio, noto come downside risk.
Se i rendimen) seguono una distribuzione normale, la semivarianza e la varianza coincidono, ma se
i rendimen) seguono una distribuzione asimmetrica, semivarianza e varianza possono differire
notevolmente.

DIVERSIFICAZIONE E RISCHIO SPECIFICO DELL’IMPRESA

Il rischio di un invesEmento è misurato dalla varianza dei rendimen) e può essere suddiviso in:

• rischio specifico: è il rischio )pico dell’impresa, è collegato alle cara=eris)che specifiche di


quest’ul)ma e si riduce con la diversificazione non correlata di portafoglio. Le sue componen)
sono: rischio di proge=o (un proge=o può avere un maggiore o minore rendimento rispe=o a
quello a=eso), rischio di concorrenza, rischio di se=ore e rischio internazionale;
• rischio sistemaEco: è il rischio di mercato che interessa tu? gli inves)men) e le imprese e può
essere rido=o solo investendo in altri sistemi.

Le poli)che di diversificazione possono essere u)lizzate come strumento di risk management per
ridurre i rischi specifici dell’impresa che non dipendono dall’andamento del sistema economico e
degli even) socio-poli)ci.
In par)colare, la diversificazione non correlata consiste nell’a?vità, effe=uata dall’impresa o
dall’inves)tore, di selezione degli inves)men) che non abbiano dinamiche di rendimento simili e i
cui rendimen) abbiano una correlazione vicina o pari a 0. Tali inves)men), se combina), riducono
la varianza e la rischiosità del portafoglio.
La diversificazione e il possesso di un ampio portafoglio eliminano il rischio specifico per 2 mo)vi:

- ogni inves)mento è solo una piccola percentuale dell’intero portafoglio e ha un impa=o


marginale sul valore di quest’ul)mo;
- in ciascun periodo, le specifiche poli)che aziendali avranno effe? di segno posi)vo e nega)vo
sui prezzi di ciascun )tolo. In un portafoglio di certe dimensioni ques) effe? tenderanno a
cancellarsi a vicenda e il rischio specifico d’impresa non influirà significa)vamente sul valore
complessivo del portafoglio.

Da un punto di vista sta)s)co, quando il portafoglio comprende 2 inves)men) che non si muovono
allo stesso modo (cioè non correla)), lo scarto quadra)co medio di quel portafoglio (che è una
misura della sua rischiosità) sarà inferiore allo scarto quadra)co medio dei 2 inves)men) presi
individualmente.

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Es: ho un portafoglio con 2 a?vità A e B, con le rispe?ve medie, varianze e una correlazione . Il
rendimento a=eso e la varianza del portafoglio sono:

dove e indicano, rispe?vamente, le frazioni del valore del portafoglio inves)te in A e in B.


Dalla formula si capisce che i benefici della diversificazione dipendono dalla correlazione fra le
a?vità: maggiore è la correlazione, minori sono i benefici in termini di riduzione della varianza nel
portafoglio (la correlazione deve essere minore di 1).

INVESTITORE MARGINALE

L’inves)tore azionario che ci interessa per la costruzione dei modelli rischio-rendimento è


l’invesEtore marginale, ovvero quell’inves)tore che effe=ua una transazione su azioni,
determinandone il prezzo di scambio. Se l’inves)tore marginale è diversificato, l’unico rischio che
sos)ene nell’inves)re in quel )tolo è rappresentato dal rischio sistema)co; se, invece, l’inves)tore
marginale è un singolo individuo non diversificato, egli si preoccuperà di tu? i rischi di un’impresa.
Perché un inves)tore sia classificabile come “marginale” deve soddisfare 2 criteri: possedere una
percentuale rilevante del capitale ne=o della società e svolgere a?vità di compravendita con esso.
L’inves)tore marginale può essere:

• un grosso inves)tore is)tuzionale, nel caso di imprese quotate di grandi dimensioni;


• vari individui, cara=erizza) da diverse filosofie di inves)mento e di livelli di diversificazione, nel
caso di imprese di dimensioni più piccole e con azionariato poco diffuso;
• un insider con una partecipazione azionaria significa)va e un dire=o coinvolgimento nella
ges)one dell’impresa.

Nei modelli rischio-rendimento si sos)ene che l’inves)tore marginale sia ampiamente diversificato.

CAPITOLO 4 - FINANZA AZIENDALE, MISURAZIONE DEL RISCHIO D’IMPRESA E COSTO DEL


CAPITALE

L’intento della finanza aziendale non è quello di rimuovere il rischio, ma fare in modo che gli
inves)tori (azionis) e obbligazionis)) siano adeguatamente remunera) per il rischio che vanno a
correre. Affinché il manager s)mi l’adeguata remunerazione degli inves)tori, è necessario
determinare il costo del capitale aziendale, cioè il costo complessivo delle fon) a?vate per coprire
gli inves)men), a=raverso la ricerca di un buon modello rischio-rendimento.
Il costo del capitale aziendale rappresenta la soglia minima di rendimento (hurdle rate) acce=abile
per eccellenza per inves)re (ovvero non ha senso intraprendere un proge=o il cui costo è superiore
al suo rendimento) e assume configurazioni specifiche al variare della prospe?va dell’inves)tore:

- se si usa la prospe?va equity side, si parla di costo del solo capitale ne=o, che sarà confrontato
con il rendimento a=eso del capitale ne=o inves)to. Quindi dovrebbe valere:

rendimento del capitale ne=o (ROE) > Ke (costo del capitale ne=o)
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- se si usa la prospe?va asset side, si parla di costo del capitale aziendale, che sarà confrontato
con il rendimento a=eso sugli inves)men) aziendali. Quindi dovrebbe valere:

rendimento del capitale inves)to (ROI) > WACC (costo del capitale aziendale)

Il costo del capitale aziendale:

- viene considerato il giusto tasso di a=ualizzazione dei flussi finanziari o reddituali genera) dal
proge=o;
- rifle=e la stru=ura finanziaria ado=ata;
- è una media ponderata dei cos) delle fon) (equity, debi), fon) ibride).

Per s)mare il costo del capitale aziendale, quindi, occorre trovare un buon modello rischio-
rendimento.

LA STIMA DEL COSTO DEL CAPITALE PROPRIO DELL’IMPRESA

Il modello della varianza rischio-rendimento è uno strumento che consente di trasformare il


rischio da un numero matema)co ad una percentuale di rendimento, cioè in un tasso di
rendimento, che è un tasso-costo (Ke) per l’impresa e un tasso-rendimento (R) per il finanziatore.
Le cara=eris)che di un buon modello sono:

- essere applicabile a qualunque )po di inves)mento;


- indicare quale )po di rischio remunerare;
- fornire una misura standardizzata per poter confrontare i vari inves)men);
- tradurre il rischio in un tasso di rendimento;
- riuscire a predire rendimen) futuri.

L’evoluzione dei modelli rischio-rendimento si è susseguita nel seguente modo:

1. fron)era dei portafogli efficien) (Markowitz, 1952);


2. Capital Market Line (CML) e la differente propensione al rischio (Tobin, 1958);
3. Capital Asset Pricing Model (CAPM) (Sharpe 1976 e Lintner 1977);
4. Arbitrage Pricing Model (APM) e Modello Mul)fa=oriale;
5. modelli di regressione.

Ques) modelli si cara=erizzano per il fa=o che riguardano la misurazione del rischio non
diversificabile, ovvero il rischio di mercato.

1) FRONTIERA DEI PORTAFOGLI EFFICIENTI (MARKOWITZ, 1952)

I primi studi vol) a s)mare il rendimento a=eso sulla base del rischio si diffondono negli anni ’50,
quando Markowitz presentò “la teoria dei portafogli efficien)”. Questa teoria è conosciuta anche
come la relazione min-max, in quanto un portafoglio efficiente è definito come la combinazione di
)toli che massimizza il rendimento a=eso dato un livello di rischio o, viceversa, la combinazione di
)toli che minimizza il rischio (varianza) dato un certo livello di rendimento a=eso.
Gli assun) fondamentali della teoria dei portafogli efficien) sono:

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• gli inves)tori intendono massimizzare la ricchezza finale e sono avversi al rischio;


• il periodo di inves)mento è unico;
• i cos) di transazione e le imposte sono nulli, mentre le a?vità sono perfe=amente divisibili;
• il valore a=eso e la deviazione standard sono gli unici parametri che guidano la scelta;
• il mercato è perfe=amente concorrenziale.

Ques) portafogli si trovano su una linea di combinazione rischio-rendimento chiamata fronEera


dei portafogli efficienE. La relazione che lega il rendimento al rischio perme=e di dividere la
fron)era in 2 porzioni:

• fronEera efficiente o fronEera dei portafogli efficienE: comprende portafogli con un rendimento
superiore a quello del portafoglio a varianza minima (è in grigio nella fig.);
• fronEera dei portafogli non efficienE: comprende i portafogli con rendimento inferiore a quello
del portafoglio che minimizza il rischio (è in nero nella fig.).

Nella figura la varianza minima è pari a 1/C, in corrispondenza del rendimento a=eso B/C.
Il rischio è misurato dallo scarto quadra)co medio o dalla varianza, mentre il rendimento è
misurato dal valore a=eso (sigma). Ad uno stesso scarto quadra)co medio corrispondono più
rendimen) a=esi, che iden)ficano tu? i portafogli di pari rischiosità.
Sulla base di questa definizione, sogge? avversi al rischio che preferiscono un rendimento a=eso
maggiore e uno scarto quadra)co medio minore sceglieranno portafogli posiziona) sulla fron)era
delle loro curve di indifferenza. Da ciò nasce la parabola della fron)era dei portafogli efficien) della
fig. sopra, che lega il valore dei rendimen) al loro scarto quadra)co medio.
Dall’osservazione dei comportamen) degli inves)tori emerge che:

- la scelta o?male dell’inves)tore razionale ben diversificato ricade sul portafoglio di mercato,
per il fa=o che il modello affianchi all’ipotesi di razionalità degli inves)tori anche quella della
perfe=a diversificazione del portafoglio, in quanto esso, oltre a soddisfare la relazione min-max,
è anche quello o?male in termini di rischi specifici assun);
- gli inves)tori sono razionali e avversi al rischio e pertanto la combinazione per loro o?male è
quella della fron)era efficiente, ovvero investono in tu=e le a?vità che massimizzano il
rendimento a=eso dato il livello di rischio non diversificabile.

Tu=avia, il modello di Markowitz presenta dei limi):

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- considera la propensione al rischio degli inves)tori come omogenea;


- il portafoglio degli inves)men) si compone solo di azioni e ignora i )toli privi di rischio.

2) CAPITAL MARKET LINE (CML) E LA DIFFERENTE PROPENSIONE AL RISCHIO (TOBIN, 1958)

Tobin osservò che, in realtà, gli inves)tori hanno propensioni al rischio diverse tra loro, anche se
generalmente essi ne sono avversi. Accanto all’inves)mento nel portafoglio di mercato composto
da sole azioni, l’autore introduce una nuova classe di assets, quella degli inves)men) privi di
rischio, e prevede la possibilità per gli inves)tori di dare e prendere a pres)to denaro a un tasso
fisso privo di rischio. In tal modo, combinando una quota di inves)mento nel portafoglio di
mercato e una nel )tolo privo di rischio, l’inves)tore ha la facoltà di ada=are il livello di rischiosità
complessiva del portafoglio alla propria avversione ai rischi.

corrisponde alla linea del mercato dei capitali (CML), dove:

• l’interce=a Rf è pari al rendimento risk free e rappresenta il valore finanziario del tempo, ovvero
la remunerazione per la rinuncia al consumo;
• l’inclinazione (Rm - Rf)/ è pari al premio richiesto per inves)re nel portafoglio rischioso;
• Rc: rendimento a=eso dalla combinazione tra portafoglio di mercato e )tolo privo di rischio;
• m: a?vità rischiose;
• f: )tolo privo di rischio.

In sintesi, il rendimento di un )tolo rischioso è pari al tasso privo di rischio maggiorato di un


premio per il rischio.

3) CAPITAL ASSET PRICING MODEL (CAPM) (SHARPE 1976, LINTNER 1977)

Il CAPM stabilisce una relazione tra il rendimento di un )tolo e la sua rischiosità, misurata tramite
un unico fa=ore di rischio, il beta di mercato o beta azionario, che s)ma la sensibilità del
rendimento del )tolo al variare del rendimento del mercato. Il beta è pari al rapporto tra la
covarianza tra il rendimento del )tolo e il rendimento del mercato e la varianza dei rendimen) del
mercato, e rappresenta una misura standardizzata della rischiosità.
Tale relazione viene sinte)zzata graficamente tramite la security market line (SML), costruita sul
piano beta/rendimen).

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La SML ha un’importante funzione pra)ca: perme=e infa? di s)mare il tasso di rendimento


appropriato per aziende e proge? aven) uno specifico profilo di rischio sistema)co.

Ipotesi del CAPM: sono:

- mercato efficiente;
- assenza cos) di transazione;
- divisibilità degli inves)men);
- assenza di arbitraggi;
- tasso a?vo = tasso passivo;
- diversità della propensione al rischio degli inves)tori;
- ruolo dell’inves)tore marginale;
- ricerca del rendimento del singolo inves)mento.

Misurazione del rischio di mercato di una singola aOvità: nel contesto del CAPM, dove tu? gli
inves)tori scelgono di detenere il portafoglio di mercato, il rischio di una singola a?vità per un
inves)tore corrisponde al rischio che quest’a?vità aggiunge al portafoglio di mercato.
Sta)s)camente, questo rischio addizionale è misurato dalla covarianza dell’a?vità con il
portafoglio di mercato. Maggiore è la correlazione tra l’andamento di un’a?vità e l’andamento del
portafoglio di mercato, maggiore è il rischio aggiunto da tale a?vità.
Il beta di un’a?vità (i) rappresenta il contributo al rischio-mercato della stessa:

Dato che la covarianza del portafoglio di mercato con se stesso non è altro che la varianza del
portafoglio, il beta del portafoglio di mercato è 1. Quindi le a?vità più (o meno) rischiose della
media saranno quelle con beta superiore (o inferiore) a 1. Il )tolo privo di rischio avrà ovviamente
beta pari a 0:

- ß = 1 —> a?vità con rischio pari al mercato;


- ß > 1 —> a?vità con rischio superiore al mercato;
- ß < 1 —> a?vità con rischio inferiore al mercato;
- ß = 0 —> a?vità priva di rischio.

Rendimento a?eso nel CAPM:

Rendimento a=eso di un’a?vità i: E(Ri) = Rf + ßi x [E(Rm) - Rf]

dove:

• E(Ri): rendimento a=eso dell’a?vità i (“E” indica il valore a=eso di una variabile);
• Rf: tasso di rendimento del )tolo privo di rischio;
• ßi: beta dell’a?vità i (corrisponde al beta levered);
• E(Rm): rendimento a=eso del portafoglio di mercato;
• E(Rm) - Rf: premio per il rischio di mercato (= ERB);
• ßi x [E(Rm) - Rf]: premio per il rischio del )tolo.

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Secondo questa formula, il rendimento a=eso di un’a?vità rischiosa è dato dal rendimento di un
)tolo privo di rischio maggiorato di un premio per il rischio, che sarà più o meno elevato a seconda
del rischio aggiunto dall’a?vità al portafoglio di mercato.
Per s)mare il rendimento a=eso da un inves)mento azionario con il modello CAPM, sono necessari
3 input:

• tasso di rendimento del Etolo privo di rischio, dove per )tolo privo di rischio si intende un )tolo
il cui rendimento a=eso, nel periodo di riferimento, è noto all’inves)tore con certezza;
• premio per il rischio di mercato, che indica la remunerazione richiesta dai risparmiatori per
inves)re nel portafoglio di mercato piu=osto che nel )tolo privo di rischio;
• beta del Etolo, espressione della rischiosità sistema)ca dell’azione.

Il CAPM è un modello molto u)lizzato perché:

- u)lizza la varianza come misura del rischio ed è facile da calcolare;


- ipo)zza che solo la parte della varianza, che non è diversificabile, debba essere remunerata;
- misura il rischio non diversificabile con il beta, che me=e in relazione il rischio della singola
a?vità con il rischio di mercato;
- perme=e di legare il rischio sostenuto al rendimento a=eso.

Tu=avia, anche il CAPM presenta dei limi):

• il modello è basato su assunzioni poco realis)che;


• i parametri del modello non possono essere s)ma) con precisione (come l’Rm);
• il modello non funziona corre=amente:
- se il modello fosse giusto, si dovrebbe verificare una relazione lineare tra rendimen) e beta;
- la realtà, però, dimostra che la relazione tra rendimen) e beta è debole e che ci sono altre
variabili (come la dimensione) che spiegano meglio le differenze tra i rendimen) delle a?vità.

4) ARBITRAGE PRICING MODEL (APM)

L’APM, che è un modello mul)fa=oriale di estensione del CAPM, scompone il rischio in rischio
specifico d’impresa e rischio di mercato, sostenendo che il secondo derivi da variazioni impreviste
nei tassi di interesse, nell’inflazione, nel PIL e in altre variabili macroeconomiche de=e fa=ori, e
misura la sensibilità degli inves)men) a ciascuna di tali variazioni, a=ribuendo per ogni fa=ore uno
specifico beta.
Il rendimento effe?vo R è dato da:

R = E(R) + m + epsilon = R + (ß1F1 + ß2F2 + … + ßnFn) + epsilon

dove:

• E(R): rendimento a=eso;


• ßj: sensibilità dell’inves)mento a variazioni ina=ese del fa=ore j;
• Fj: variazioni ina=ese nel fa=ore j;
• m: rischio sistema)co;
• : rischio specifico (che poi verrà annullato).

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Per ogni variazione dei fa=ori, si misura la sensibilità degli inves)men) con il beta specifico del
fa=ore:

E(R) = Rf + ß1 [E(R1) - Rf] + ß2 [E(R2) - Rf] + … + ßn [E(Rn) - Rf]

dove:

• R: rendimento a=eso di un portafoglio con ß = 0;


• E(R): rendimento a=eso di un portafoglio con ß = 1, rispe=o al fa=ore j, e ß = 0 rispe=o a tu? gli
altri fa=ori;
• [E(Rj) - Rf]: premio per il rischio associato al fa=o j.

In de=aglio, l’APM:

- richiede la s)ma del beta per ciascun fa=ore;


- specifica i fa=ori rilevan) tramite analisi sta)s)che fa=oriali (metodo montecarlo);
- misura il beta di ciascuna a?vità rispe=o ad ogni fa=ore.

Il vantaggio di questo modello è che la scomposizione del rischio di mercato è più graduale, mentre
lo svantaggio è che i fa=ori sono sta)s)ci e anonimi.

4) MODELLI MULTIFATTORIALI DI RISCHIO E RENDIMENTO

I modelli mulEfa?oriali seguono la logica dell’APM, ma vengono costrui) a par)re dall’evidenza


empirica. Si differenziano dall’APM perché iden)ficano i fa=ori macroeconomici che generano il
rischio sistema)co. Inoltre, calcolano la sensibilità del rendimento del )tolo alle variazioni dei
fa=ori macroeconomici ritenu) rilevan). Perciò, l’equazione del rendimento a=eso sarà:

dove:

• : beta rela)vo alle variazioni del PIL;


• : rendimento a=eso su un portafoglio con ß = 1 rispe=o al PIL e ß = 0 rispe=o a tu? gli altri
fa=ori;
• : beta rela)vo alle variazioni nel tasso di inflazione;
• : rendimento a=eso su un portafoglio con ß = 1 rispe=o all’inflazione e ß = 0 rispe=o a tu?
gli altri fa=ori.

Il vantaggio di ques) modelli è che sono più intui)vi rispe=o all’APM, mentre lo svantaggio è che i
fa=ori sono instabili e variano nel corso del tempo.

5) MODELLI EMPIRICI BASATI SU REGRESSIONI

I modelli empirici basaE sulle regressioni partono dalla distribuzione dei rendimen) storici e
risalgono ad un modello rischio-rendimento correlando le differenze dei rendimen) alla variazione
della dimensione aziendale e ai mul)pli del prezzo azionario.
Y = a + bX + epsilon.

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Il vantaggio di ques) modelli è che spiegano le differenze nei rendimen) passa), mentre lo
svantaggio riguarda la possibilità che le variabili dei modelli non siano approssimazioni del rischio e
dipendano dalle procedure di estrazione dei da).

I PARAMETRI PER L’APPLICAZIONE DEL CAPM

Tu? i modelli di rischio e rendimento descri? richiedono un tasso privo di rischio e uno (nel
CAPM) o più (nell’APM e nei modelli mul)fa=oriali) premi per il rischio, oltre a specifici parametri
di rischio iden)fica) nei beta:

• tasso privo di rischio;


• premio per il rischio:
- metodo dei premi storici;
- metodo dei sondaggi (non si fa);
- metodo dei premi implici) (non si fa);
• misura del rischio remunerato (o s)ma del beta):
- beta dai da) storici (regression beta o beta top-down);
- beta dai fondamentali e determinan) del beta (beta bo=om-up);
- accoun)ng beta.

IL TASSO PRIVO DI RISCHIO

Per valutare il rendimento richiesto su un inves)mento rischioso, la maggior parte dei modelli di
rischio e rendimento in finanza partono da un inves)mento privo di rischio e considerano il
rendimento a=eso da quell’inves)mento come tasso privo di rischio.
I rendimen) a=esi da inves)men) rischiosi vengono poi calcola) aggiungendo al tasso privo di
rischio un premio per il rischio a=eso.
Si definisce invesEmento privo di rischio un’a?vità della quale l’inves)tore conosce con certezza il
rendimento a=eso. Di conseguenza, perché un inves)mento sia esente da rischio (abbia cioè un
rendimento effe?vo = rendimento a=eso), devono verificarsi 2 condizioni:

1. non deve esserci rischio di insolvenza (default risk), il che, di solito, implica che si tra? di un
)tolo emesso da uno Stato (anche se alcuni Sta) possono presentare un rischio di insolvenza);
2. non deve esserci incertezza sui tassi di reinves)mento (cioè tassi di rendimento a cui sono
inves)) i flussi di cassa intermedi), il che richiede che non ci siano flussi di cassa intermedi (es.
zero coupon).

Il rendimento è in questo caso la remunerazione della rinuncia al consumo immediato e non un


indennizzo per il rischio sostenuto.

IL PREMIO PER IL RISCHIO DI MERCATO (MARKET RISK PREMIUM)

Nel CAPM il premio per il rischio di mercato (ERB) misura il rendimento addizionale richiesto in
media dagli inves)tori per spostarsi da un inves)mento privo di rischio a un inves)mento medio
rischioso (portafoglio di mercato). Ne consegue che il premio per il rischio di mercato sarà
maggiore di 0 e sarà funzione di 2 variabili:

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• avversione degli invesEtori al rischio: maggiore è l’avversione al rischio, maggiore sarà il premio
richiesto dagli inves)tori;
• rischiosità del portafoglio di mercato (invesEmento rischioso medio): maggiore è la rischiosità
dell’inves)mento rischioso medio, maggiore sarà il premio richiesto dagli inves)tori.

Il premio sarà una media ponderata del premio richiesto da ciascun inves)tore, con i pesi
proporzionali al patrimonio inves)to da ciascuno di essi. Quindi, la valutazione del premio per il
rischio data da un inves)tore con un consistente patrimonio avrà un peso maggiore di quella data
da sogge? che hanno fa=o inves)men) di minor rilievo.

ERB = E(Rm) - Rf

Nei CAPM ci sono 3 metodi per misurare il premio per il rischio di mercato (metodi dei premi
storici, sondaggi, premi implici)), mentre nell’APM e nei modelli mul)fa=oriali il premio può essere
s)mato solo sulla base di da) storici. Quindi si analizza solo il metodo dei premi storici.

Metodo dei premi storici: è il metodo più comune per s)mare il premio per il rischio di mercato
nei modelli di rischio e rendimento. Nel CAPM il premio viene calcolato come differenza tra
rendimen) medi azionari e rendimen) medi su )toli privi di rischio lungo un esteso periodo di
tempo.
Questo approccio prevede 4 tappe fondamentali:

A. definire un arco temporale della s)ma (es. 1926-oggi);


B. calcolare il rendimento medio azionario e il rendimento medio di un )tolo privo di rischio nel
periodo in ques)one, con l’ausilio di appropria) indici di mercato;
C. calcolare la differenza tra tali rendimen);
D. u)lizzare questa differenza come s)ma del premio per il rischio futuro.

I limi) di questo approccio sono:

- assume che l’avversione al rischio non cambi sistema)camente nel tempo;


- assume che la rischiosità media del portafoglio rischioso (l’indice azionario) non sia cambiata in
modo sistema)co nel tempo.

IL BETA E LA STIMA DEI PARAMETRI DI RISCHIO

Nel CAPM il beta di un’a?vità deve essere s)mato rispe=o al portafoglio di mercato, mentre
nell’APM e nel modello mul)fa=oriale bisogna misurare i beta di un’a?vità rispe=o a ciascuno dei
fa=ori. Esistono 3 approcci per s)mare ques) parametri:

• u)lizzare da) storici sui prezzi di mercato delle singole a?vità (regression beta);
• effe=uare un’analisi dei fondamentali;
• u)lizzare da) contabili.

SEma del beta con daE storici nel CAPM (regression beta): innanzitu=o, bisogna calcolare i
rendimen) che un inves)tore avrebbe potuto o=enere investendo nelle azioni di un’azienda per
ogni intervallo di tempo lungo un certo periodo passato. Nel contesto del CAPM, il beta viene poi

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o=enuto esaminando la relazione tra ques) rendimen) e i corrisponden) rendimen) di un indice


del mercato azionario.
La procedura per la s)ma del beta si basa sulla regressione tra la variabile Rj (rendimento
dell’inves)mento) e Rm (rendimento dell’indice di mercato).

Rj = a + ßRm

dove:

- ß: è l’inclinazione che misura la sensibilità del rendimento del )tolo j, Rj, alle variazioni del
rendimento del mercato Rm;
- a: è l’interce=a che fornisce una semplice misura della performance del prezzo azionario.

Derivare il beta dai fondamentali (bo?om-up beta): il beta di un’a?vità dipende da 3 variabili (o
determinan)):

1) Tipo di aOvità: dal momento che i beta misurano il rischio di un’azienda rispe=o a un indice di
mercato, più l’a?vità svolta dall’azienda risente dell’andamento generale del mercato, maggiore
sarà il beta. Quindi, a parità di condizioni, le imprese cicliche, cioè quelle operan) in se=ori
dall’andamento fortemente pro-ciclico, avranno un beta più elevato.
Inoltre, il beta dipende anche da quanto sia discrezionale (occasionale) l’acquisto dei prodo?
dell’azienda. Tu=avia, ci sono aziende che hanno cercato di rendere i propri prodo? più necessari
e meno discrezionali per i loro clien), riducendo così la propria rischiosità;

beta imprese cicliche > beta imprese non cicliche


beta imprese con prodo? meno standardizza) > beta imprese con prodo? standardizza)

2) Intensità della leva operaEva: è una funzione della stru=ura dei cos) dell’azienda e viene
definita in termini di rapporto tra cos) fissi (CF) e cos) complessivi (CF + CV):

Un’impresa con un’elevata leva opera)va (in cui i CF rappresentano una frazione elevata dei cos)
complessivi) avrà anche un’elevata variabilità del reddito opera)vo rispe=o a un’impresa che
produce lo stesso )po di prodo? ma con una leva opera)va inferiore. La maggiore variabilità nel
reddito opera)vo implicherà un beta più elevato per l’impresa.
L’intensità della leva opera)va è data da:

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Per le imprese con un’elevata leva opera)va, il reddito opera)vo varia in modo più che
proporzionale al variare dei ricavi, aumentando all’aumentare delle vendite e diminuendo al
diminuire di esse.

3) Intensità della leva finanziaria: il beta delle a?vità d’impresa è la media ponderata del beta del
capitale ne=o (rischio a carico degli azionis)) e del beta di debito (rischio a carico degli
obbligazionis)).
A parità di condizioni, a un aumento della leva finanziaria (cioè del rapporto dell’indebitamento)
seguirà un aumento del rischio a carico degli azionis) (e quindi del beta del capitale ne=o).
Un’intensità maggiore della leva finanziaria (causata dagli oneri finanziari, che sono CF) fa quindi
aumentare la variabilità degli u)li per azione, rendendo più rischioso l’inves)mento nelle azioni
dell’impresa.
La relazione tra beta del capitale ne=o (equity beta) e leva finanziaria si può rappresentare così:

dove:

- ßL: è il beta levered (o equity beta) del capitale ne=o (ovvero in presenza di debito); dipende sia
dal rischio opera)vo (business risk) sia dal rischio finanziario;
- ßu: è il beta unlevered del capitale ne=o (ovvero il beta in assenza di debito); esso dipende dal
suo business risk, cioè dal rischio riguardante l’a?vità svolta dall’impresa. Spesso il beta
unlevered viene anche chiamato asset beta, in quanto il suo valore è determinato dalle a?vità
(asset o business) possedute dall’azienda;
- t: è l’aliquota d’imposta marginale per le società;
- D/E: sta per Debt/Equity Ra)o, ovvero il rapporto debito/capitale ne=o;
- D: è il valore di mercato del debito;
- E: è il valore di mercato del capitale ne=o.

Poiché la leva finanziaria ha l’effe=o di mol)plicare il rischio opera)vo, ci si aspe=a che imprese
con un alto rischio opera)vo siano più pruden) nell’indebitarsi, mentre imprese operan) in se=ori
rela)vamente stabili siano più propense a ricorrere alla leva finanziaria.
Il beta aumenta per effe=o del maggior debito, in quanto gli oneri finanziari aumentano la
variabilità dei risulta).
La dis)nzione tra componente opera)va e finanziaria del rischio suggerisce 2 possibili spiegazioni
per un beta elevato:

- l’impresa opera in un se=ore ad alta rischiosità;


- l’impresa opera in un se=ore stabile ma u)lizza un’elevata leva finanziaria.

Il beta di un’impresa non è altro che la media ponderata dei beta di ciascuna a?vità da essa svolta.
Il beta bo?om-up di un’impresa può quindi essere calcolato con questo procedimento:

1) individuare le varie a?vità svolte dall’impresa;


2) s)mare i beta unlevered medi di altre imprese quotate che operano nelle medesime a?vità,
tenendo conto però di alcuni problemi di s)ma:

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• iden)ficare le imprese comparabili: nella maggior parte dei se=ori, esistono solo alcune imprese
comparabili, in alcuni casi ce ne possono essere cen)naia;
• s)mare il beta di ciascuna impresa comparabile iden)ficata;
• trasformare il beta in beta unlevered: è possibile calcolare un beta unlevered per ciascuna delle
imprese comparabili u)lizzando il rapporto D/E e l’aliquota d’imposta rela)vi alla singola impresa
e calcolare poi la media dei beta unlevered. L’ideale, però, sarebbe effe=uare il calcolo
rela)vamente all’intero se=ore;
• media semplice o ponderata: a livello sta)s)co si o=engono errori standard minori nel caso in cui
si u)lizzi una media semplice;
• re?fica per le disponibilità liquide: gli inves)men) in disponibilità liquide e )toli negoziabili
hanno beta prossimi allo 0. Quindi, il beta unlevered che si o?ene da queste imprese
comparabili può essere influenzato dalle loro disponibilità liquide. Un beta unlevered al ne=o
delle disponibilità liquide si può calcolare come:

Il risultato che si o?ene si chiama pure play beta, con riferimento al fa=o che esso misura il rischio
di un’a?vità e non di altre partecipazioni societarie.

3) calcolare il beta unlevered dell’impresa come media ponderata dei beta unlevered delle varie
a?vità, usando come pesi la percentuale del valore di mercato dell’impresa rappresentata da
ciascuna a?vità;
4) calcolare l’indice di indebitamento corrente dell’impresa, u)lizzando i valori di mercato di debito
e capitale ne=o, se disponibili;
5) s)mare il beta levered dell’azienda a par)re dal beta unlevered (calcolato al punto 3) e dal livello
di indebitamento (calcolato al punto 4).

Il calcolo del costo dell’equity è: Ke = Rf + ßL x (Rm - Rf)

LA STIMA DEL COSTO DEL DEBITO E IL RISCHIO DI CREDITO

L’indebitamento è un accordo che prevede il pagamento di flussi predetermina) che non


dovrebbero, quindi, essere superiori a quanto inizialmente concordato.
Si ricordi che, nei modelli di rischio e rendimento azionario precedentemente analizza), il
rendimento a=eso era funzione del rischio di mercato, ma non del rischio specifico d’impresa,
eliminato dalla possibilità di diversificazione. I modelli di s)ma del rischio d’insolvenza esaminano,
invece, proprio gli effe? dei rischi specifici d’impresa (come per es. il rischio di insolvenza) sui
rendimen) a=esi. Infa?, la diversificazione non elimina il rischio specifico quando si tra=a di )toli
in parte correla) (come i )toli di debito) e la cui opportunità di apprezzamento a seguito di even)
aziendali posi)vi è molto limitata rispe=o alla potenziale perdita di valore a seguito di even)
nega)vi.
Il rischio che corre il sogge=o finanziatore è solo quello legato alla capacità del debitore di
remunerare il finanziamento o=enuto e di rimborsare il capitale ed è essenzialmente un downside
risk (mentre nel caso del capitale proprio avevamo downside e upside risk).
Secondo alcuni studiosi, il rischio di credito si può definire come il rischio che un qualunque
pres)to non dia alcun contributo posi)vo alla reddi)vità dell’azienda finanziatrice o addiri=ura
incida sfavorevolmente sui suoi risulta) d’esercizio, oppure può essere definito come l’eventualità

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che si verifichi una variazione ina=esa del merito credi)zio in grado di generare una modifica
imprevista del valore di mercato della posizione creditoria.
Il rischio di credito poggia su 2 elemen) fondan) che devono essere s)ma) per la costruzione del
modello rischio-rendimento:

• rischio d’insolvenza: è la probabilità che l’impresa non sia in grado di adempiere al pagamento
degli interessi sul debito (rischio di perdita in conto interessi) e al rimborso del capitale prestato
(rischio di perdita in conto capitale);
• rischio di migrazione (o rischio di spread): è rela)vo al deterioramento del merito credi)zio
dell’impresa.

La misurazione del rischio di credito richiede la quan)ficazione di 2 componen):

• perdita a?esa (expected loss, EL): rappresenta la perdita che l’intermediario si a=ende a fronte
di una posizione di pres)to ed è legata in modo par)colare al rischio di insolvenza, oltre che al
rischio di migrazione;
• perdita ina?esa (unexpected loss, UL): è legata a even) nega)vi imprevis) che possono essere
coper) solo con il capitale proprio ed è maggiormente correlata al rischio di migrazione.

DETERMINANTI DEL RISCHIO DI INSOLVENZA

Il rischio di insolvenza di un’impresa è funzione di 2 variabili: la capacità di generare flussi di cassa


tramite l’a?vità opera)va e l’ammontare degli impegni finanziari assun).
Inoltre, il rischio di insolvenza dipende anche dal grado di liquidità delle a?vità dell’impresa:
maggiore è tale grado di liquidità, più facile è per l’impresa trasformare tali a?vità in fondi liquidi
u)lizzabili per soddisfare gli impegni finanziari, se necessario. Quindi:

- imprese che generano flussi di cassa eleva) rispe=o ai loro impegni finanziari hanno un rischio
di insolvenza minore;
- maggiore è la stabilità dei flussi di cassa, minore è il rischio di insolvenza dell’impresa;
- maggiore è la liquidità delle a?vità, minore è il rischio di insolvenza dell’azienda.

In passato, quando la maggior parte dei finanziamen) alle imprese veniva dal sistema bancario,
erano le banche a effe=uare le valutazioni del rischio di insolvenza dei propri clien). Con lo
sviluppo del mercato dei )toli obbligazionari, una parte significa)va del finanziamento alle imprese
quotate viene da inves)tori che non hanno le risorse necessarie per valutare il rischio di insolvenza
delle imprese che eme=ono i )toli obbligazionari. Per questo negli Sta) Uni) si sono formate
agenzie di raEng, come Standard & Poor’s (S&P) e Moody’s, che analizzano il rischio di insolvenza
u)lizzando informazioni sia pubbliche sia private e traducono queste analisi in misure del rischio di
insolvenza (raEng obbligazionario) che vengono poi rese pubbliche.
Così, gli inves)tori che acquistano obbligazioni societarie possono u)lizzare il ra)ng come misura
sinte)ca del rischio di insolvenza.

Processo di raEng: vi sono 6 fasi:

1. decisione di eme=ere delle obbligazioni;


2. conta=o con l’agenzia di ra)ng;

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3. raccolta delle informazioni da parte dell’agenzia: vengono raccolte da fon) pubblicamente


disponibili e dalla stessa impresa emi=ente;
4. formulazione del giudizio di ra)ng;
5. integrazione delle informazioni da parte dell’azienda: si ha quando l’azienda è in disaccordo
con il giudizio di ra)ng espresso dall’agenzia, presentando ulteriori informazioni;
6. emissione del ra)ng defini)vo: il ra)ng è, in genere, espresso con le=ere alfabe)che, con i
ra)ng AAA di Standard & Poor’s e il ra)ng Aaa di Moody’s che rappresentano il ra)ng più
elevato e vengono assegna) a imprese con il minor rischio di insolvenza.

In par)colare, il ra)ng delle obbligazioni di una società dipende, oltre che dalle informazioni
pubbliche e private o=enute, anche dagli indici finanziari, che misurano la capacità della società di
far fronte ai debi) e di generare flussi di cassa stabili e prevedibili. Esistono mol) indici finanziari,
tra cui il rapporto reddito opera)vo / ricavi, il rapporto debito a lungo termine / capitale, ecc.
Non sorprende che ad avere i ra)ng migliori siano aziende con capacità di generare reddi) e flussi
di cassa superiori agli impegni finanziari, con maggiore reddi)vità e con bassi indici di
indebitamento. Vi sono però anche casi di aziende il cui ra)ng non sembra coerente con gli indici
finanziari: ciò accade perché nella valutazione complessiva, data dalle agenzie di ra)ng, giocano un
ruolo fondamentale anche gli elemen) sogge?vi. Quindi, un’azienda, le cui performance in termini
di indici finanziari sono state nega)ve, ma per la quale si prevede un significa)vo miglioramento
nell’immediato futuro, riceverà un ra)ng superiore a quello che deriverebbe da una meccanica
applicazione degli indici finanziari.
In par)colare, i ra)ng assegna) da S&P variano da AAA (il più elevato) a D (il più basso). Un punto
di demarcazione importante è il ra)ng BBB:

- obbligazioni con un ra)ng pari o superiore a BBB sono considerate “grado di inves)mento”
(investment grade) e assegnano un rischio di insolvenza limitato;
- obbligazioni con un ra)ng inferiore a BBB sono considerate obbligazioni spazzatura (junk bond),
o obbligazioni ad alto rendimento.

In caso di assenza di un ra)ng ufficiale, viene s)mato un ra)ng sugli indici di bilancio oppure
vengono analizza) gli andamen) storici.

RaEng e tassi di interesse: il tasso d’interesse su un’obbligazione societaria è una funzione del
rischio di insolvenza della società emi=ente. Di conseguenza, alle obbligazioni con un ra)ng più
elevato sono associa) minori tassi di interesse rispe=o alle obbligazioni con ra)ng più scadente.
La differenza tra il tasso di interesse su un’obbligazione societaria con rischio di insolvenza e il tasso
di interesse sui )toli di Stato privi di rischio è chiamata differenziale per il diverso rischio di
insolvenza (default spread).
Il default spread tende a variare a seconda della scadenza dell’obbligazione, anche per obbligazioni
con stesso ra)ng. Quindi:

- nel caso di obbligazioni con ra)ng più elevato, il default spread aumenta al crescere della
scadenza;
- nel caso di obbligazioni con ra)ng più basso, il default spread diminuisce al crescere della
scadenza, una conseguenza del fa=o che il rischio di insolvenza a breve termine sia maggiore del
rischio di insolvenza a lungo termine.

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Storicamente, i default spread per ciascuna classe di ra)ng tendono a salire durante i periodi di
recessione e a diminuire durante i periodi di ripresa economica.

DETERMINANTI DEL RISCHIO DI MIGRAZIONE

Il ra)ng assegnato a un’impresa può essere cambiato dall’agenzia di ra)ng in qualsiasi momento.
Il rischio di migrazione è proprio legato a tali variazioni e, in genere, modifiche del ra)ng si hanno a
seguito di cambiamen) nella salute dell’impresa o nella stru=ura finanziaria.
A parità di condizioni:

- il ra)ng peggiorerà a seguito di un peggioramento della performance opera)va o dell’emissione


di nuovo debito;
- Il ra)ng migliorerà a seguito di un miglioramento della performance opera)va o dell’emissione
di nuove azioni.

Le agenzie di ra)ng tendono a reagire lentamente a queste informazioni e, spesso, prima di


modificare il ra)ng di un’impresa, la inseriscono in una lista di osserva) speciali, fornendo degli
outlook. Perciò non sorprende il fa=o che, spesso, i prezzi delle obbligazioni diminuiscano (o
aumen)no) prima di peggioramen) (o miglioramen)) del ra)ng.

IL CALCOLO DEL COSTO DEL DEBITO

Adesso si può passare alla costruzione del modello rischio-rendimento ai fini del calcolo del costo
del capitale di debito.
Il costo del debito dipende dal tasso a?eso di perdita (ELR, Expected Loss Rate) sia essa in conto
capitale che in conto interessi. Tale tasso è il prodo=o tra:

ELR = PD x LGD

La PD (Probability of Default) rappresenta la probabilità di insolvenza del debitore, dipende dal


suo specifico merito credi)zio e può essere s)mata e a=ribuita ex ante a ciascuna impresa.
Le probabilità possono essere raggruppate per classi di rischio al fine di determinare un ra)ng.
Il finanziatore dovrà, innanzitu=o, definire le 2 classi di ra)ng che si collocheranno agli estremi
della scala di valutazione:

- la classe migliore, nella quale si inseriscono le imprese con il più elevato merito credi)zio e per
le quali si s)ma una PD più contenuta;
- la classe peggiore, nella quale si inseriscono le imprese per le quali si verifica il default.

Il valutatore dovrà poi definire il numero delle classi da is)tuire nella scala di ra)ng e l’ampiezza di
ciascuna di esse.
La LGD (Loss Given Default) è la perdita effe?vamente conseguita al momento dell’insolvenza e
può essere intesa come quel valore tra 0 e 1 (100%) che indica la quota di credito che non può
essere mai più recuperata al momento del default. È data da:

LGD = 1 - RR

dove RR è il tasso a=eso di recupero del credito.

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La LGD rifle=e le cara=eris)che del finanziamento e il complesso di garanzie a sostegno del credito
e della sua possibilità di recupero. È funzione di alcuni fa=ori:

- )pologia di operazione di finanziamento u)lizzata;


- presenza di garanzie collaterali alla posizione di affidamento;
- valore della base garante rispe=o all’esposizione debitoria del cliente;
- a?tudine di tali garanzie a trasformarsi in moneta e il profilo temporale di mone)zzazione della
base garante;
- tempi e cos) del recupero.

La formula della LGD può essere riscri=a come:

SEma della perdita a?esa: la perdita a=esa (EL) è funzione di 2 fa=ori:

• EAD (Exposure At Default): è il valore dell’esposizione credi)zia che ci si a=ende al momento del
default;
• ELR (Expected Loss Rate): è il tasso a=eso di perdita a=ribuibile alla stessa esposizione credi)zia
ed è dato dal prodo=o tra PD e LDG.

EL = EAD x ERL = EAD x PD x LGD

In par)colare, l’EAD si basa su alcuni elemen):

- DP (Drawn Por)on): è l’en)tà corrente di fido u)lizzato;


- UP (Undrawn Por)on): è la quota inu)lizzata al momento della valutazione;
- UGD (Usage Given Default): è la percentuale di quota inu)lizzata che si prevede che sarà
u)lizzata dal debitore al momento dell’insolvenza.

EAD = DP + (UP x UGD)

Es calcolo della perdita a=esa: ho:

- EAD = 1.000.000
- PD = 2%
- LGD = 45%

Perdita a=esa = 1.000.000 x 0,02 x 0,45 = 9.000

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Pricing del presEto: la classificazione delle imprese in classi di ra)ng perme=e di passare dal
rendimento privo di rischio Rf ad un risk adjusted pricing. Tale processo consente di impostare le
poli)che di differenziazione di tasso d’interesse dei pres)) in base al rischio di credito ad essi
correlato.
Ponendo uguali il montante di 2 inves)men) di valore unitario (cioè della durata di 1 anno), di cui il
1° del )po risk free (1 + Rf) e il 2° che genera un tasso di interesse risk adjusted pari a Ip, che si
applica solo sulla quota di capitale prestato che non genera perdite, si arriva ad un’uguaglianza:

(1 - ELR) x (1 + Ip) = 1 + Rf

dove:

- ELR: tasso di perdita a=esa;


- Rf: tasso d’interesse risk free;
- Ip: tasso d’interesse sul pres)to rischioso.

Esplicitando Ip si o?ene:

Dalle 2 equazioni si ricava che il tasso di interesse al quale le imprese saranno assogge=ate per
o=enere credito tende a crescere all’aumentare delle perdite a=ese, ovvero se incrementa anche
solo una delle 2 componen) del rischio (PD o LGD).
Quindi, lo spread è sia conseguenza di una crescente insolvenza sia del venir meno di adeguate
garanzie a sostegno del finanziamento e del tasso di possibile recupero.
Questa relazione tra pricing e spread richiesto rispe=o a un inves)mento risk free si può esprimere
con la formula:

Da questa formula si evidenzia che tanto minore è la LGD, grazie alla presenza di garanzie reali o
personali, tanto più limitato sarà il premio per il rischio d’insolvenza che l’impresa dovrà pagare
alla banca.
Il risultato del modello consente di determinare il tasso a=eso dai finanziatori a )tolo di debito che
perme=e, a sua volta, di s)mare il costo del debito aziendale, ovvero il costo effe?vo che l’azienda
deve sostenere per prendere in pres)to i fondi necessari per finanziare l’a?vità opera)va. Tale
valore dipende da alcune variabili:

- livello a=uale dei tassi di interesse: all’aumentare dei tassi di interesse di mercato si ha un
incremento del costo del debito per le aziende;
- rischio di insolvenza della società: all’aumentare del rischio di insolvenza i prestatori di fondi
applicheranno tassi di interesse più eleva) per compensare il rischio maggiore;
- beneficio fiscale associato: dal momento che gli interessi passivi sono deducibili a fini fiscali, il
costo del debito al ne=o delle imposte sarà una funzione dell’aliquota d’imposta. Il beneficio
fiscale rende, quindi, il costo del debito al ne=o delle imposte inferiore al costo del debito al
lordo delle imposte, tanto più quanto maggiore è l’aliquota d’imposta:

Kd = Ip x (1 - t)

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dove:

- Kd: costo del debito al ne=o delle imposte;


- Ip: tasso privo di rischio + differenziale per il rischio di insolvenza;
- t: aliquota marginale d’imposta.

LA STIMA DEL COSTO DELLE FONTI DI FINANZIAMENTO IBRIDE

Le fonE ibride di finanziamento condividono alcune cara=eris)che del debito e alcune


cara=eris)che del capitale ne=o.
Per inserire il costo di queste forme di finanziamento nel calcolo del costo del capitale si può
procedere con 2 modi alterna)vi:

• metodo dire?o: u)lizzando i da) contra=uali o i da) di mercato;


• metodo indire?o: u)lizzando una media ponderata dei cos) delle singole componen) (debito ed
equity).

LA STIMA DEL COSTO DEL CAPITALE AZIENDALE

BUSINESS RISK E LEVERAGE RISK

Il rischio aziendale può essere ripar)to tra:

• business risk: legato alla variabilità dei risulta) opera)vi conseguen) alle decisioni di
inves)mento e risente sia delle componen) specifiche dell’impresa sia dell’andamento
complessivo del sistema economico;
• leverage risk: conseguente alla variabilità dei risulta) finali che spe=ano ai portatori di mezzi
propri a seguito delle decisioni di finanziamento dell’impresa, con l’azionista che deve essere
remunerato solo dopo la piena copertura degli impegni finanziari assun) con i terzi.

Si può affermare che l’impresa si trovi in una posizione neutrale rispe=o ai rischi assun) nella
ges)one, in quanto il rischio totale (asset risk) si trasferisce sui sogge? che finanziano l’impresa e
che vengono adeguatamente remunera) con un rendimento a=eso proporzionato al rischio
assunto. La remunerazione a=esa dal sogge=o finanziatore aumenterà al crescere di almeno una
delle 2 componen) del rischio.
I 2 )pi di rischio non hanno le stesse cara=eris)che, in quanto:

- il business risk è connaturato all’esistenza dell’impresa;


- il leverage risk è un rischio eventuale, presente solo in caso di contrazione del debito, anche se
un’impresa è difficilmente unlevered, ovvero senza debito.

L’imprenditore può evitare di sopportare i rischi rela)vi al finanziamento degli inves)men) non
dotandosi di debito, oppure limitarne la portata disegnando una stru=ura finanziaria capace di
garan)re solvibilità e sostenibilità.
Nel caso in cui l’imprenditore finanziasse l’intero fabbisogno finanziario ricorrendo alle risorse
proprie, i risulta) dell’impresa sarebbero influenza) solo dai rischi opera)vi genera) dagli
inves)men). Di conseguenza, avremo che:

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asset risk = business risk

e V assets = V equity

dove:

- asset risk: rischio totale;


- V assets: valore dell’impresa:
- V equity: valore a=ribuito agli azionis) dell’impresa.

Quindi, in assenza di debito il rischio d’impresa, misurato da ß assets, sarà:

ß assets = ß equity = ß unlevered

dove ß equity: beta del capitale proprio.

Però, una stru=ura finanziaria interamente cos)tuita da capitale proprio è un caso raro.
Nella maggioranza dei casi, infa?, le imprese coprono i loro fabbisogni finanziari ricorrendo in
parte al capitale proprio e in parte al capitale di terzi. In questo caso, accanto al business risk si
affianca il leverage risk, che riduce i flussi spe=an) in via residuale ai portatori di mezzi propri.
Il rischio totale è quindi composto da business e leverage risk e, in assenza di comportamen)
scorre?, gli azionis) sono residual claimers e devono sopportare entrambi i )pi di rischio.
In presenza di debito si ha quindi:

asset risk = business risk + leverage risk

e V assets = V equity + V debts

Quindi, in presenza di debito il rischio d’impresa, misurato sempre dal ß assets, sarà la media
ponderata dei beta delle varie fon):

dove:

- ß equity sarà un beta levered, ovvero un indicatore di rischio dell’azionista di un’impresa


indebitata;
- ß debts sarà la misura del rischio dei portatori di capitale di terzi.

LA STIMA E L’UTILIZZO DEL COSTO DEL CAPITALE

Il costo del capitale aziendale (WACC) rifle=e il costo delle fon) u)lizzate per finanziare gli
inves)men) e la sua stru=ura è legata alle )pologie di rischio (business e leverage) che l’impresa
deve fronteggiare. Si può calcolare una volta che si è in possesso delle s)me dei cos) delle singole
componen) (debito, capitale ne=o e )toli ibridi) e dei pesi basa) sul valore di mercato di ciascuna
di esse. Considerando che:

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- Ke: costo del capitale proprio;


- Kd: costo del capitale di debito;
- K ibridi: costo dei finanziamen) ibridi;
- E: valore di mercato del capitale proprio;
- D: valore di mercato del debito;
- Ibridi: valore di mercato dei finanziamen) ibridi,

il costo del capitale aziendale sarà la media ponderata dei cos) dei finanziamen):

Nella forma semplificata si esprime come:

Scelta dei pesi: nel calcolare il peso rela)vo al debito, al capitale ne=o e ai )toli ibridi si hanno 2
scelte:

- si calcolano i pesi basa) sul valore contabile di ciascuna fonte di finanziamento;


- si calcolano i pesi basa) sul rispe?vo valore di mercato di ciascuna fonte.

Come regola generale, i pesi u)lizza) nel calcolo del WACC devono basarsi sui valori di mercato.

Costo del capitale e hurdle rate: il tasso così costruito rappresenta una variabile capace di
sinte)zzare il costo delle fon) richieste e diviene il giusto tasso (hurdle rate) con cui confrontare il
rendimento a=eso dell’inves)mento e a cui scontare i FCFF.
Il WACC può anche essere interpretato come la soglia minima di rendimento acce=abile, in quanto
se l’inves)mento rende di meno sarebbe conveniente abbandonarlo e inves)re altrove o res)tuire
la ricchezza creata agli azionis) in a=esa di proge? migliori.

CAPITOLO 5 - LA GESTIONE INTEGRATA DEI RISCHI E LA CREAZIONE DI VALORE

IL RISK MANAGEMENT E LE AREE TIPICHE DI INTERVENTO

Con il termine risk management si intende l’a?vità strategica di governo dei rischi d’impresa che
fa parte della corporate governance.
L’enterprise (o corporate) risk management (ERM) si può definire come un’a?vità strategica di
supporto al processo di direzione d’impresa volta a creare valore a favore dei portatori del capitale
di rischio, a=raverso un processo integrato di iden)ficazione, s)ma, valutazione, tra=amento e
controllo di tu? i rischi aziendali. È dunque un processo che favorisce la ges)one dei rischi, li
minimizza e contribuisce a creare valore nell’impresa.
Nel corso degli anni si sono sviluppa) vari filoni di studio in ambito di risk management:

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• tradiEonal risk management (TRM): processo che si focalizza sul tra=amento dei rischi puri e
sugli strumen) e le tecniche di copertura. In questo approccio si vuole contribuire alla creazione
del valore a=raverso la minimizzazione dei downside risk;
• project risk management (PRM): processo con il quale si iden)ficano, analizzano e tra=ano i
rischi lega) a grandi opere pubbliche o private. Il PRM cerca di ridurre i downside risk genera)
nell’esecuzione del proge=o conseguen) a riduzioni dei ricavi o aumen) dei cos) dovu)
all’interruzione del servizio per even) atmosferici o geologici di altro genere;
• financial risk management (FRM): è volto ad analizzare in modo specifico i rischi finanziari a cui
l’impresa è so=oposta.

Mancava, però, una strategia di ges)one integrata del rischio su tu=e le aree aziendali, che si è
avuta con l’ERM.

I PRINCIPI STANDARD PER LA COSTRUZIONE DEL FRAMEWORK DI ERM

Gli standard rappresentano degli strumen) con lo scopo di supportare i sogge? coinvol)
nell’iden)ficazione, nella valutazione e nel controllo di even) potenzialmente rischiosi, facilitando
la trasmissione delle informazioni e il rapido tra=amento dei rischi stessi. Si possono trovare:

• standard nazionali ed internazionali:


- Bri)sh standard;
- Standard australiano AZ/NZS 4360;
- Standard canadese CAN/CSA;
• standard professionali delle organizzazioni di risk management:
- ISO 31000;
- IEEE Standard for So…ware Life Cycle Process;
- Standard europeo di risk management ado=ato dalla FERMA;
- Framework proposto da COSO (Commitee of Sponsoring Organiza)ons of the Treadway
Commission).

ISO 31000:2009

Lo scopo della norma ISO 31000 del 2009 è quello di me=ere a disposizione di tu? gli operatori i
principi e le linee guida generali sulla ges)one del rischio, tenendo conto dei pun) di vista più
accredita). Può essere u)lizzata da ogni )po di organizzazione pubblica o privata, da gruppi di
persone associate in qualsiasi forma o da singoli individui, in qualsiasi se=ore di a?vità.
Può essere applicata a qualsiasi )po di rischio, di qualsiasi natura e con conseguenze posi)ve o
nega)ve, lungo tu=a la vita di un’organizzazione, e ad un’ampia gamma di a?vità, processi,
funzioni, proge?, prodo? e servizi.
La ISO 31000 è des)nata a soddisfare le esigenze di una vasta gamma di stakeholder che hanno
bisogno di valutare l’efficacia di un’organizzazione nella ges)one del rischio.
Lo standard internazionale ISO 31000 si basa su 3 pilastri: principi, framework e processo.

1) i principi cardine riguardano il fa=o che il risk management:

- crei e protegga il valore, contribuendo al raggiungimento degli obie?vi e al miglioramento delle


prestazioni;
- sia una parte integrante di tu? i processi aziendali e decisionali;
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- sia basato sulle migliori informazioni disponibili come da) storici, esperienza, feedback degli
stakeholder, ecc.;
- sia specificatamente ada=ato alle condizioni di contesto;
- tenga in considerazione i fa=ori umani e culturali;
- sia trasparente e inclusivo;
- sia dinamico, itera)vo e sensibile al cambiamento e reagisca allo stesso in modo proa?vo;
- facili) il con)nuo miglioramento dell’organizzazione.

2) il framework rappresenta una stru=ura che aiuta le organizzazioni a ges)re i rischi


corre=amente tramite l’integrazione con la ges)one aziendale ordinaria.
Le sue componen) sono:

• mandate and commitment;


• design of framework for managing risk;
• implemen)ng risk management;
• monitoring and review of the framework;
• con)nual improvement of the framework.

3) il processo ha inizio con la fase “communica)on and consulta)on”, che consente di procedere
corre=amente all’individuazione dei rischi e alla determinazione del contesto. Successivamente
vengono svolte le fasi di risk assessment, risk treatment e risk monitoring.

COSO 2 FRAMEWORK

Il COSO 2 framework ha lo scopo di aiutare le organizzazioni nello sviluppo e nel miglioramento dei
sistemi di controllo interni, con l’obie?vo di integrarli ai processi, alle poli)che e ai regolamen)
esisten) dopo la crisi del se=embre 2001.
La premessa di base è che ogni organizzazione esiste per dare valore ai propri stakeholder. Tale
valore raggiunge il livello massimo quando le strategie e gli obie?vi sono perfe=amente allinea) ai
sistemi di ges)one e ciò garan)sce un equilibrio tra la crescita e i rischi ad essa connessi.
La ges)one del rischio d’impresa, quindi, comprende l’allineamento tra la propensione al rischio e
l’iden)ficazione e la selezione di risposte volte a coprire, ridurre e acce=are i rischi, massimizzare
le opportunità e minimizzare le perdite, a=raverso il miglioramento dell’allocazione delle risorse e
del capitale.
L’ERM framework proposto mira a facilitare il raggiungimento degli obie?vi dell’organizzazione,
suddivisi in 4 categorie: strategici, opera)vi, di controllo e di compliance (conformità).
Tra ques) obie?vi e le diverse componen) della ges)one del rischio d’impresa vi è una relazione
dire=a che può essere rappresentata in una matrice tridimensionale (in cui ci sono gli obie?vi,
componen) del CRM e le unità opera)ve dell’organizzazione).
Il modello si focalizza sulle 8 componen) del CRM, rappresentate da:

- ambiente esterno;
- iden)ficazione degli obie?vi di rischio e dei rela)vi even);
- valutazione e tra=amento del rischio;
- a?vità di controllo delle singole fasi, di monitoraggio del processo di CRM e di informazione ai
vari sogge? interessa).

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Le 4 categorie di obie?vi sono rappresentate nelle colonne ver)cali del cubo, le 8 componen)
nelle righe orizzontali e le unità opera)ve dell’organizzazione sono rappresentate dalla profondità.

IL PROCESSO DI RISK MANAGEMENT

Il processo di risk management si ar)cola in 4 fasi:

• definizione degli obie?vi di risk management e dell’impresa;


• risk assessment;
• risk treatment;
• risk monitoring.

Il processo ha la finalità di:

1. definire i rischi sostenibili dall’impresa nel suo complesso;


2. sviluppare una mappatura dei rischi potenziali;
3. perme=ere al management di includere in un modello finanziario dinamico gli effe? dei
principali rischi iden)fica), evidenziandone l’impa=o sul valore e stabilendo le decisioni di
copertura più adeguate.

L’IDENTIFICAZIONE DEGLI OBIETTIVI

Questa fase viene svolta a cara=ere manageriale e prevede la pianificazione, sulla base del grado di
avversione al rischio dell’impresa, degli obie?vi da perseguire, delle risorse disponibili per il risk
management e dei criteri generali per il tra=amento dei rischi.

IL RISK ASSESSMENT

Il risk assessment rappresenta la 2° fase del processo di risk management, ha natura


prevalentemente tecnica ed è a sua volta suddivisa in alcune importan) so=ofasi:

IdenEficazione dei rischi: questa fase comprende l’a?vità di mappatura di tu=e le fon) dalle quali
possono scaturire even) nega)vi capaci di comprome=ere il raggiungimento degli obie?vi
prefissa) (principalmente i downside risk). Per conoscere l’impa=o di ciascun rischio sulla
variabilità dei risulta) economico-finanziari e della solidità patrimoniale dell’impresa, è necessario
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scomporre ciascuna impresa nei suoi proge? e i proge? in unità elementari, all’interno delle quali
si andranno a iden)ficare le fon) di rischio.
La fase di mappatura dei rischi può essere effe=uata con numerose tecniche, tra le quali: FTA,
FMEA, FMECA, schede di rischio, con quest’ul)me che servono per individuare le cara=eris)che
dei singoli even) rischiosi e assegnare loro delle probabilità di verifica e degli impa?.

SEma dei rischi: una volta conosciuta la mappa dei rischi, l’impresa deve dotarsi di un insieme di
misure capaci di quan)ficare la probabilità dell’evento e il suo impa=o sui flussi di cassa.
I metodi di s)ma sono divisi in 3 principali gruppi:

S)me qualita)ve: queste tecniche si differenziano dalle altre in quanto si servono di parole per
descrivere gli effe? economici e la probabilità di realizzazione di un evento aleatorio.
La tecnica più diffusa è rappresentata dalla matrice probabilità-impa?o, de=a anche matrice P-I.
Per la sua costruzione, è necessaria la definizione di:

• una scala qualita)va che indichi la probabilità rela)va al verificarsi di un determinato evento. Si
hanno 5 classi di probabilità (quasi certa, probabile, moderata, improbabile, rara);
• una scala qualita)va che rappresen) gli impaO, ovvero le conseguenze economiche derivan)
dalla realizzazione dell’evento. Si hanno 5 classi di impa=o (insignificante, basso, moderato,
elevato, catastrofico);
• una scala qualita)va che assegni ad ogni combinazione di elemen) (probabilità-impa=o) un
giudizio di valutazione de=o risk raEng. Può assumere 4 valori diversi (estremo, alto, moderato,
basso);
• opportuni criteri di valutazione del risk ra)ng.

Probabilità Impatto

Insignificante Basso Moderato Elevato Catastrofico

Quasi certo (> 50%) Alto Alto Estremo Estremo Estremo

Probabile (20% - 50%) Moderato Alto Alto Estremo Estremo

Moderata (5% - 20%) Basso Moderato Alto Estremo Estremo

Improbabile (1% - 5%) Basso Basso Moderato Alto Estremo

Rara (< 1%) Basso Basso Moderato Alto Estremo

Una volta definito lo schema generale, si può procedere all’effe?vo collocamento dei rischi nella
matrice P-I.
I limi) della matrice sono rappresenta) dal fa=o che non possa essere impiegata nel caso dei rischi
specula)vi (ma solo quelli puri) e dal fa=o che chi realizza tale matrice, solitamente, a=ribuisce una
stessa valutazione in termini di impa=o a variabili aleatorie che hanno lo stesso valore a=eso ma
differente varianza.

S)me semi-quan)ta)ve: sono tecniche che perme=ono di trasformare i giudizi qualita)vi in


variabili quan)ta)ve a=raverso l’u)lizzo di funzioni matema)che di scoring, al fine di giungere ad
un giudizio sinte)co del rischio.

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Gli scores misurano l’intensità del rischio tramite il risk scores e, una volta applica) alla matrice P-I,
consentono di costruire un indice di severità del rischio da applicare a tu? i rischi simili,
sopra=u=o in termini di varianza.

Probabilità Score Impatto Score Risk score

Quasi certo 100 Catastrofico 1000 Estremo > 5000

Probabile 50 Elevato 200 Alto 5000 - 500

Moderata 25 Moderato 50 Moderato 500 - 50

Bassa 5 Basso 10 Basso < 50

Insignificante 1 Insignificante 1

I limi) di ques) approccio sono:

- è un approccio u)le a valutare i soli rischi puri;


- si assiste ad una semplificazione eccessiva per mezzo di un unico indicatore di gravità
dell’evento;
- si ha una notevole perdita di informazioni.

S)me quan)ta)ve: hanno l’obie?vo di s)mare la distribuzione delle variabili casuali aleatorie che
rappresentano i rischi aziendali. Esistono 2 rappresentazioni delle conseguenze finanziarie dei
rischi aziendali:

• distribuzione dei risultaE possibili: indica l’impa=o di un singolo rischio sul risultato economico
aziendale, assumendo come assioma la neutralità degli altri rischi aziendali;
• distribuzione delle perdite possibili: indica la variazione nega)va che il rischio può determinare
sulla massimizzazione del profi=o. Qui si prende in esame il downside risk.

Valutazione del rischio: una volta proceduto ad una corre=a mappatura del rischio e alla s)ma dei
rischi potenzialmente evidenzia), è necessario individuare un modello economico-valutaEvo del
rischio che perme=a di realizzare concretamente il collegamento tra il valore generato nella
ges)one del rischio e il valore d’impresa.
Si tra=a di un’a?vità manageriale nella quale il decisore è chiamato ad iden)ficare uno strumento
capace di misurare l’effe=o delle poli)che di tra=amento del rischio e valutarne i benefici rispe=o
alle decisioni di non intraprendere l’inves)mento o di assumersi il rischio senza provvedere alla sua
copertura.
In par)colare, è compito del risk manager u)lizzare con discrezionalità i risulta) della s)ma dei
singoli rischi iden)fica) in precedenza e inserirli in un modello decisionale. Sulla base dei risulta)
o=enu) il manager potrà poi decidere se e su quali )pi di rischio intervenire e, nel caso di presenza
di alterna)ve di tra=amento del rischio, potrà stabilire un criterio di ordinabilità degli interven).
A tale proposito sono sta) sviluppa) dei modelli di hedging decision value (HDV), accomuna) dal
tenta)vo di collegare le distribuzioni di probabilità delle variabili fonte di rischio alle grandezze che,
invece, contribuiscono a determinare il valore dell’impresa.
Il modello deve essere coerente con gli obie?vi dell’impresa, tenendo conto dell’ambiente e dei
merca) nei quali essa opera. Inoltre, il modello è influenzato dalla )pologia di s)ma del rischio
selezionata; infa?, le s)me qualita)ve o semi-quan)ta)ve non perme=ono di esprimere in termini
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finanziari gli effe? delle decisioni di tra=amento del rischio, mentre solo le s)me quan)ta)ve
consentono tale collegamento, per cui verranno u)lizzate solo queste nei seguen) modelli
economico-valuta)vi.

Modello neoclassico: parte dall’ipotesi di un mondo ideale con merca) perfe? e assenza di
inefficienze, ma cos)tuisce la base per determinare altri modelli che corrispondono più alla realtà.
Il processo di costruzione del modello prevede alcune fasi:

- s)ma della distribuzione dei flussi aleatori incrementali ne? (FAIt) lega) sia al rischio che s)amo
valutando sia agli strumen) di copertura previs) nel modello. Ad ognuna delle possibili
manifestazioni del sinistro verrà applicata la probabilità di verificarsi, giungendo così agli E(FAIt);
- a=ualizzazione di tali flussi incrementali aleatori al tasso risk free, divenendo ognuno VA (FAIt);
- aggiustamento del risultato per tenere conto del rischio sistema)co dell’inves)mento (legato
per es. ad elemen) infla?vi o di crisi economica).

La somma dei 2 addendi sopra determina), ovvero VA (FAI) e variazione del rischio sistema)co,
darà il fair value, che rappresenta il contributo della decisione di copertura al valore dell’impresa in
assenza di imperfezioni di mercato.

Fair value = VA (FAI) + variazioni del rischio sistema)co

Modello neoclassico aggiustato per le imperfezioni: nel caso di merca) imperfe?, a causa di
asimmetrie informa)ve o irrazionalità degli operatori, devo sommare algebricamente al fair value i
flussi derivan) dagli aggiustamen) per i rischi incrementali nega)vi (downside risk) e per effe=o
delle imperfezioni. Ques) flussi vengono indica) con:

- IR: rischio incrementale nega)vo;


- IP: premio per le imperfezioni.

Il loro prodo=o darà il valore delle imperfezioni, che si può indicare con EIj o .

EIj = IR x IP

Dunque, il valore della decisione di copertura in un mercato reale è la somma algebrica delle
componen) calcolate finora:

Questo modello perme=e di valutare se la decisione di coprire il rischio possa creare o distruggere
valore:
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• se il risultato del modello è nega)vo (HDV nega)vo), la copertura non crea valore ma lo
distrugge, per cui non deve essere intrapresa;
• se il risultato del modello è posi)vo (HDV posi)vo), si dovrà comunque valutare il costo della
copertura, per verificare se sia conveniente:
- rinunciare all’inves)mento;
- rischiare senza copertura;
- intraprendere l’inves)mento, ma con adeguata copertura.

Dall’esame dell’HDV viene deciso, quindi, come tra=are il rischio e l’inves)mento che lo genera.

IL RISK TREATMENT

Ogni rischio che viene iden)ficato e presentato all’a=enzione del management è ogge=o di una
decisione. In par)colare, saranno disponibili ex ante 3 esi) della loro decisione di tra=amento:

• il rischio non viene assunto (risk avoided): il proge=o analizzato genera rischi non adegua)
rispe=o al rendimento che potrebbe garan)re, con la copertura che potrebbe essere difficile e
molto costosa in rapporto al valore creato (HDV < 0), per cui la realizzazione del proge=o non è
conveniente;
• il rischio sarà tra?ato o trasferito a terzi (risk treated o risk transferred): il proge=o è
economicamente valido e genera rischi che possono essere ges)) e minimizza) in modo tale da
creare valore;
• il rischio sarà ritenuto (risk retained): il proge=o genera rischi adegua) e non trasferibili o
eliminabili a=raverso la ges)one del rischio.

Si può anche prevedere che dopo aver deciso di accollarsi il rischio, prima di un vero tra=amento
tramite poli)che di trasferimento e copertura, possa essere considerata anche un’azione di risk
mi)ga)on tramite poli)che di diversificazione del portafoglio.
Per cui, si ha il seguente panorama decisionale:

• risk avoidance;
• risk acceptance:
- risk mi)ga)on (rischi rido? con tecniche di diversificazione non correlata);
- risk transfer (rischi trasferi) a terzi);
- risk reten)on (rischi non eliminabili o non trasferibili)

in quanto, una volta iden)fica) e valuta) con un modello economico-valuta)vo, i rischi possono
essere evita) (avoided) o acce=a).

Risk Acceptance: in questo caso i rischi genera) sono al di so=o della soglia massima sopportabile
e il decisore sceglierà di dare seguito al proge=o, sopportando il rischio conseguente. In una 2° fase
procederà a decidere se e come tra=arlo.

Risk RetenEon: rappresenta la decisione di assumere un rischio e mantenerlo all’interno


dell’impresa, senza realizzare alcuna effe?va a?vità di ges)one. A questa categoria partecipano 2
diversi )pi di rischio:

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- quelli che sono volontariamente assun) dal management e che vanno coper) a=raverso una
dotazione di capitale proprio posto a garanzia dei terzi;
- quelli per cui non è stato possibile iden)ficarli, formalizzarli, valutarli e sui quali non è stato,
quindi, possibile assumere alcuna decisione.

I rischi non evita) e non trasferi) vengono tra=enu) dall’impresa e vanno a formare il cd. rischio
d’impresa, che cos)tuisce un elemento fondante dell’a?vità dell’imprenditore.

Risk Transfer: una volta acce=ato il rischio, una possibile strategia di copertura è quella di limitare
parte dello stesso trasferendolo ad altri sogge? a=raverso l’acquisto di polizze o prodo? finanziari
ed altri contra? a)pici che possano ridurre la variabilità dei flussi e, quindi, il rischio sostenuto.
Un es. )pico di questo comportamento è quello ado=ato nei confron) dei rischi puri, come quello
di incendio e di ogni altro evento cara=erizzato dalla presenza di solo downside risk.
Nel caso di rischi specula)vi, invece, sarà necessario costruire apposite posizioni di copertura che
possano stabilizzare i flussi di cassa futuri (es. copertura sull’oscillazione del prezzo del petrolio).
Recentemente, la copertura si è estesa anche ai rischi finanziari di mercato, come quello di cambio
e quello di tasso di interesse.
Il rischio può essere trasferito a=raverso apposi) prodo? deriva), come:

• forwards: prodo=o finanziario col quale 2 contropar) si impegnano a scambiarsi a scadenza, a


prezzi prefissa), uno specifico bene;
• futures: contra=o a termine su strumen) finanziari con il quale le par) si obbligano a scambiarsi,
alla scadenza, una certa quan)tà di a?vità finanziarie ad un prezzo stabilito;
• opzioni: si cara=erizzano per essere contra? asimmetrici in cui il rischio di perdite grava solo
sulla parte che è obbligata all’esecuzione del contra=o, mentre la controparte può decidere di
esercitare l’opzione solo nel caso in cui essa si trovi in the money, ovvero sia conveniente
esercitarla (preserva l’intero upside risk);
• swaps;
• insurance;
• insurance linked securi)es.

Risk MiEgaEon: l’obie?vo di questa azione è quello di ridurre il più possibile il rischio ritenuto
u)lizzando l’abba?mento del rischio specifico sostenuto da sogge? che investono in a?vità non
correlate tra loro. Lo strumento principale per la riduzione del rischio è fornito dalle poli)che di
diversificazione introdo=e da Markowitz.

IL MONITORAGGIO DEI RISCHI SOSTENUTI (RISK MONITORING)

L’ul)ma fase del processo integrato di risk management è quella del monitoraggio dei rischi, che è
in parte tecnica e in parte manageriale vista la diversa natura dei controlli esegui).
Questa fase può prevedere:

• monitoraggio dei rischi ritenuE: si tra=a del controllo concomitante eseguito sulle variabili
aziendali individuate come potenziali fon) di rischio;
• monitoraggio sull’obsolescenza dei risultaE di un’analisi: viene eseguita rispe=o alla situazione
ambientale nella quale il rischio si manifesta;

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• monitoraggio della qualità del processo e della sua efficacia: in questo caso gli adde? al
monitoring eseguono un test sul funzionamento del processo di risk management, segnalando e
provvedendo a fornire una soluzione al top management.

CREARE VALORE DAL RISCHIO: RIEPILOGO

Il manager può creare valore a=raverso 3 modalità:

- sfru=are il potenziale di nuove opportunità per incrementare l’upside risk (risk taking);
- coprire il downside risk diversificandolo o trasferendolo a terzi (risk hedging);
- migliorare il profilo rischio-rendimento o?mizzando la propria stru=ura finanziaria
(pianificazione e ricerca della stru=ura finanziaria o?male).

Per poter raggiungere questo obie?vo, il manager può agire su alcuni input:

- flussi di cassa provenien) dagli inves)men);


- tasso di crescita a=eso dei flussi;
- orizzonte temporale che rifle=e quanto il vantaggio compe))vo dell’impresa sia durevole e
sostenibile;
- tasso di a=ualizzazione rappresentato dal costo delle fon) che rifle=e la rischiosità degli
inves)men) e la stru=ura finanziaria ado=ata per implementarli.

CREARE VALORE CON LE STRATEGIE DI HEDGING

L’Hedging perme=e di coprirsi contro il downside risk minimizzando la possibilità che un evento
nega)vo prevedibile riduca il valore aziendale facendo registrare delle perdite.
Il maggior limite dell’hedging è legato ai suoi cos), che spesso riducono notevolmente il valore
creato con la copertura (hedging decision value). Inoltre, la copertura non consente comunque di
annullare il rischio (es. black swan).
Le uscite monetarie sostenute per coprirsi da un rischio variano di en)tà e dipendono
essenzialmente dal )po di rischio coperto e dal prodo=o finanziario u)lizzato.
In generale, possono essere suddivise in:

• cos) esplici): sono rilevabili tra i cos) del CE e, quindi, riducono il risultato finale di esercizio.
Rientrano tra ques) cos) le spese per le assicurazioni, per le fideiussioni o per altre forme di
copertura a pagamento;
• cos) implici): sono lega) all’acquisto di prodo? deriva) e non sono visibili in bilancio tra i cos),
ma impa=ano in modo sensibile sul valore finale. È questo il caso di un contra=o future che
tutela dal rischio di svalutazione dei prezzi, ma che blocca un guadagno che poteva essere in
realtà più elevato.

In generale, la copertura risulta u)le se si realizzano le seguen) condizioni:

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- i benefici in termini fiscali, di riduzione del rischio di fallimento e di miglioramen) degli


inves)men) eccedono i cos) conseguen) all’uso della copertura, ovvero HDV > 0;
- è più conveniente che sia l’impresa dire=amente e non l’inves)tore a coprire il rischio. Il
manager, anche in presenza di un HDV posi)vo, deve infa? verificare se i cos) che l’impresa
deve sostenere per l’hedging siano superiori a quelli che potrebbe sostenere dire=amente
l’inves)tore marginale operando una diversificazione di portafoglio. In tal caso potrebbe non
essere necessario effe=uare la copertura.

Una volta effe=uate queste verifiche, se il manager ri)ene opportuno portare avan) l’a?vità di
hedging, dovrà selezionare gli strumen) più adegua) tra le seguen) tecniche di copertura:

• decisioni di invesEmento: la principale strategia è rappresentata dalla diversificazione in a?vità


non correlate, in modo da sfru=are i benefici lega) alla diversificazione di portafoglio;
• proge?azione della stru?ura finanziaria e scelte di finanziamento: la principale a?vità di
copertura in questa fase è rappresentata dall’allineamento di finanziamen) e inves)men) per
durata, )pologia e cara=eris)che (valuta, variabilità, rischiosità), in modo da individuare, per
ogni inves)mento, la forma finanziaria ad esso più adeguata. La logica è quella di allineare i flussi
di entrata con i flussi di uscita in modo da garan)re in ogni istante la loro copertura;
• acquisto di prodoO assicuraEvi: questa strategia prevede il trasferimento totale o parziale
(franchigia) dei rischi di perdite ad un terzo (assicuratore), pagando un premio periodico e
o=enendo un risarcimento in caso di perdite legate ad un evento nega)vo. Non sono strumen)
finanziari, ma veri e propri contra? assicura)vi;
• emissione o acquisto di strumenE derivaE: sono strumen) finanziari studia) appositamente per
coprirsi dai rischi di variazione dei tassi, dei cambi, dei prezzi (opzioni, future, forwards, swap).
Sono negozia) sia sui merca) regolamentari sia all’esterno (over the counter) e hanno il loro
valore di quotazione determinato dall’incontro tra domanda e offerta. Gli strumen) più recen)
sono i derivaE sul credito, che sono contra? bilaterali focalizza) sull’isolamento del rischio di
controparte e sul suo trasferimento ad un terzo. La selezione dello strumento più adeguato
dipende dall’obie?vo che l’impresa vuole raggiungere con la copertura.

CREARE VALORE SFRUTTANDO L’UPSIDE RISK: IL RISK TAKING

La capacità di approfi=are di un rischio posi)vo (upside), ovvero di un risultato superiore a quello


a=eso, dipende dalla rapidità con cui l’impresa si ada=a al nuovo ambiente interno ed esterno,
manipolando i 4 input u)lizza) per il calcolo del valore in base alla strategia di assunzione del
rischio seguita dal manager. Tali scelte possono:

- incrementare i cash flow;


- aumentare il tasso di reinves)mento e la crescita correlata, offrendo maggiori rendimen) sul
capitale;
- allungare la durata dei flussi posi)vi aumentando la compe))vità dell’impresa;
- ridurre i tassi di a=ualizzazione favorendo l’incremento degli extrarendimen) e dell’upside risk
collegato.

La manipolazione di ques) 4 elemen) fondamentali è legata alla flessibilità dell’impresa in risposta


ai cambiamen). A sua volta la flessibilità dipende da una serie di vantaggi possedu) dall’impresa,
come:

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• vantaggi informaEvi in termini di maggiore aggiornamento;


• vantaggi in termini di conseguente velocità di risposta ai cambiamen) del mercato;
• vantaggi lega) all’esperienza di chi ha saputo ges)re situazioni rischiose;
• flessibilità al cambiamento senza incorrere in inefficienze o ritardi nell’adeguare le stru=ure
aziendali alle variazioni ambientali;
• disponibilità di risorse reali e finanziarie per fronteggiare crisi e opportunità di inves)mento.

Di per sé i vantaggi compe))vi non sono sufficien) a garan)re il successo dell’impresa sia nella
massimizzazione del valore sia nella minimizzazione dei rischi. È necessario che tali vantaggi siano
associa) ad un adeguato processo di sfru=amento degli stessi: tale processo è de=o risk taking e
comprende alcune fasi, tra le quali:

- individuazione del personale ada=o;


- creazione di incen)vi per una buona strategia di risk taking al fine di ridurre l’opportunismo
manageriale (es. stock op)ons e compensi lega) alle performance);
- studio del contesto in cui devono essere prese le decisioni;
- monitoraggio della strategia e del suo impa=o sui flussi;
- assicurare un adeguato capitale di rischio a copertura dei rischi tra=enu) e non trasferi);
- preservare o costruire un’o?male governance del rischio con adeguate stru=ure ges)onali;

CAPITOLO 6 - MISURARE IL RENDIMENTO DI UN INVESTIMENTO

COS’E’ UN PROGETTO D’INVESTIMENTO

L’analisi dei progeO di invesEmento (capital budgeEng analysis) è finalizzata ad individuare quali
proge? intraprendere. Il )pico proge?o (che è una decisione di impiego delle risorse dell’impresa)
preso in esame in un’analisi di capital budge)ng ha le seguen) cara=eris)che:

- un cospicuo inves)mento iniziale;


- flussi di cassa distribui) lungo un certo arco di tempo;
- un valore di recupero finale.

Un proge=o d’inves)mento deve avere un rendimento a=eso superiore alla soglia minima di
rendimento.
I proge? possono essere:

• strategici, ovvero lega) al consolidamento del vantaggio compe))vo (es. decisioni di acquistare
altre imprese o decisioni rela)ve a nuove inizia)ve);
• lega) a decisioni operaEve che modificano alcuni aspe? dei proge? già intrapresi.

Le decisioni di inves)mento possono essere classificate secondo vari criteri:

1. il 1° criterio si basa sul modo con cui i proge? che l’impresa sta analizzando interagiscono fra
loro. Alcuni proge? sono:
• indipenden) dagli altri e, dunque, possono essere analizza) separatamente;
• alterna)vi, dove intraprenderne uno esclude l’altro;
• alcuni rappresentano un prerequisito per altri;
• complementari;

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2. il 2° criterio si basa sulla finalità del proge=o, che può essere generare ricavi o ridurre i cos).

SOGLIE MINIME DI RENDIMENTO PER LE IMPRESE E PER I PROGETTI A CONFRONTO

È possibile u)lizzare il costo del capitale ne=o e il costo del capitale per la valutazione delle
imprese anche nell’analisi dei proge??

• Sì: solo se tu? gli inves)men) effe=ua) sono simili in termini di esposizione al rischio;
• No: se il profilo di rischio dei vari proge? è diverso, poiché proge? più rischiosi devono essere
valuta) u)lizzando un costo del capitale ne=o e un costo del capitale maggiori rispe=o a quelli
u)lizza) per proge? più sicuri.

IL COSTO DEL CAPITALE NETTO DEI PROGETTI

Nella valutazione del beta di un proge=o si possono considerare 3 situazioni possibili:

- singola a?vità e proge? con simili profili di rischio: quando un’impresa opera esclusivamente in
un’a?vità e tu? i suoi proge? all’interno di essa hanno lo stesso profilo di rischio, può u)lizzare
il suo costo del capitale ne=o generale come costo del capitale ne=o del proge=o. Ciò implica
l’u)lizzo dello stesso beta per la s)ma del costo del capitale ne=o per ciascun proge=o che
l’impresa prende in esame;
- a?vità con diversi profili di rischio: proge? con profilo di rischio simile all’interno di ciascuna
a?vità: quando le imprese operano in più a?vità, molto probabilmente i profili di rischio
saranno diversi a seconda dell’a?vità. Se si considera che i proge? all’interno di una stessa
a?vità hanno lo stesso profilo di rischio, si può s)mare il costo del capitale ne=o per ciascuna
a?vità separatamente e u)lizzarlo poi per tu? i proge? che rientrano in quell’a?vità;
- proge? con profili di rischio differen): poiché ciascun proge=o è unico in termini di profilo di
rischio, esso non può essere analizzato u)lizzando il costo del capitale ne=o dell’impresa né
quello dell’a?vità nell’ambito della quale viene intrapreso. Bisogna valutare se i benefici
supplementari derivan) dall’u)lizzo di un costo del capitale specifico per ciascun proge=o siano
davvero superiori ai cos) sostenu) per s)marlo. Ha senso valutare singolarmente il rischio di un
proge=o e s)mare un costo del capitale a esso specifico quando si tra=a di un inves)mento di
grosse dimensioni e con un profilo di rischio sostanzialmente diverso da altri inves)men)
dell’impresa.

COSTO DEL DEBITO NELL’ANALISI DEI PROGETTI

Il costo del debito di un’impresa dovrebbe rifle=erne il rischio di insolvenza. Nel caso di singoli
proge?, valutare il rischio di insolvenza è molto più difficile, in quanto raramente i proge?
vengono finanzia) singolarmente: la maggior parte delle imprese, infa?, finanziano l’insieme dei
proge? che intraprendono.
Per la s)ma del costo del debito di un proge=o esistono 3 approcci:

1. si fa coincidere la s)ma del costo del debito del proge=o con il costo del debito dell’impresa
che lo vuole intraprendere. Questo approccio ha senso sopra=u=o quando le dimensioni dei
proge? sono piccole rispe=o alle dimensioni dell’impresa e tali da non avere un impa=o
significa)vo sul rischio d’insolvenza di quest’ul)ma;

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2. si s)ma il rischio di insolvenza di altre imprese che intraprendono proge? simili e lo u)lizzo
come proxy per la s)ma del grado di insolvenza dell’impresa. Questo approccio ha senso
quando il proge=o è di dimensioni notevoli;
3. il proge=o viene finanziato singolarmente e coloro che lo finanziano non hanno diri=o di
rivalersi sull’impresa madre in caso di insolvenza del proge=o (separazione patrimoniale
perfe=a, ovvero il project financing). Ciò accade, seppur raramente, nel caso di inves)men) di
grandi dimensioni, con il costo del debito del proge=o che viene valutato u)lizzando la sua
capacità di generare flussi di cassa rispe=o ai suoi obblighi finanziari.

STRUTTURA FINANZIARIA E COSTO DEL CAPITALE DI UN PROGETTO

Per passare dal costo del debito e del capitale ne=o al costo del capitale, ho bisogno di assegnare a
ciascuno di essi un peso, che dipende dalle dimensioni del proge=o e dal suo profilo di rischio in
rapporto all’impresa:

- nel caso di piccoli proge? che non incidono dras)camente sul profilo di rischio dell’impresa, i
pesi rela)vi al debito e al capitale ne=o da u)lizzare nel calcolo del costo del capitale devono
rifle=ere l’indice di indebitamento dell’impresa nel suo insieme;
- nel caso di proge? di grandi dimensioni e con profili di rischio diversi da quelli dell’impresa, è
necessario u)lizzare dei pesi che rifle=ano l’indice di indebitamento medio di imprese simili che
operano nel se=ore di per)nenza del proge=o;
- nel caso di proge? indipenden) finanzia) singolarmente, i pesi devono basarsi sull’indice di
indebitamento del proge=o, che può variare da proge=o a proge=o.

LA STIMA DEL RENDIMENTO ATTESO DI UN PROGETTO

Per poter s)mare il rendimento a=eso di un proge=o, è necessario analizzare l’en)tà dei flussi
a=esi genera) e la loro distribuzione temporale. Per fare questo, il manager deve rispondere ad
alcune domande:

1) che cos’è un proge=o?


2) che )po di decisioni di inves)mento deve prendere un’impresa?
3) per misurare il rendimento di un proge=o, è più opportuno par)re dai flussi di cassa da esso
genera) o da misure contabili di rendimento?
4) come tener conto del fa=o che i flussi di cassa genera) da un proge=o non sono distribui) in
modo uniforme nel tempo?

MISURARE IL RENDIMENTO: LE SCELTE DI FONDO

Per poter misurare il rendimento di un inves)mento, bisognerà:

A. decidere tra misure contabili e flussi di cassa;


B. decidere tra flussi incrementali e totali;
C. scegliere tra flussi nominali e a=ualizza).

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A) DECIDERE TRA MISURE CONTABILI E FLUSSI DI CASSA

Le misure contabili sono quelle estra=e dai bilanci (reda? secondo i principi contabili), mentre i
flussi di cassa sono da) dalla differenza tra entrate di liquidità e uscite di liquidità in ciascun
periodo.
Si preferiscono i flussi di cassa, perché le misure contabili possono essere facilmente manipolate,
a=raverso crea)ve strategie contabili.
Le misure contabili e i flussi di cassa non coincidono a causa dei 2 diversi principi che ado=ano: il
principio di competenza e il principio di cassa:

• principio di competenza: le poste sono imputate all’esercizio a cui fanno riferimento temporale.
Per es:
- i ricavi vengono contabilizza) nel periodo in cui viene effe=uata la vendita;
- le spese di esercizio (che sono quelle che producono benefici solo nel periodo in cui sono state
sostenute) saranno contabilizzate come spese opera)ve solo se associate con i ricavi corren),
dai quali vengono so=ra=e per calcolare l’u)le d’esercizio;
- le spese in conto capitale (cioè quelle che producono benefici per mol) anni) non vengono
so=ra=e dai ricavi nel periodo in cui vengono sostenute ma vengono, invece, allocate su diversi
periodi, secondo un piano di ammortamento: solo la quota annua di ammortamento viene
so=ra=a dai ricavi in ciascun esercizio;
- gli ammortamen) e gli accantonamen) sono cos) non monetari che fanno diminuire l’u)le pur
non comportando delle uscite di cassa;
• principio di cassa: le poste sono imputate all’esercizio in cui si è verificata la manifestazione
finanziaria (ovvero l’entrata/uscita monetaria). Per es:
- i ricavi vengono contabilizza) nel periodo in cui il cliente paga il bene (è diverso dal principio di
competenza, perché, se il cliente ha acquistato il bene l’anno scorso ma lo paga adesso, per il
principio di competenza il ricavo deve essere contabilizzato all’esercizio precedente, mentre per
il principio di cassa deve essere contabilizzato a quest’anno);
- le spese di esercizio saranno contabilizzate quando verranno effe?vamente sostenute;
- le spese in conto capitale sono rilevate come uscite solo nell’anno in cui sono pagate;
- gli ammortamen) e gli accantonamen) sono cos) non monetari che non hanno rilevanza
finanziaria se sono fiscalmente deducibili;

Capitale circolante ne?o (ccn): si può definire come la differenza tra

ccn = a?vità corren) - passività corren)

- a?vità corren): scorte, credi) commerciali, credi) finanziari a breve, liquidità;


- passività corren): debi) commerciali, passività finanziarie a breve.

Noi si u)lizza una sua variante, il ccn non-cash o non finanziario, che è la parte del ccn depurata di
tu=e le poste finanziarie che hanno già natura liquida.

ccn non-cash = a?vità corren) non finanziarie - passività corren) non finanziarie

- a?vità corren) non finanziarie: credi) commerciali, scorte;


- passività corren) non finanziarie: debi) commerciali.

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Le differenze tra i risulta) secondo il principio di competenza e i risulta) secondo il principio di


cassa, in assenza di spese non monetarie (non-cash), possono essere misurate tramite le variazioni
del ccn non-cash:

- - ccn non-cash —> + flussi di cassa


- + ccn non-cash —> - flussi di cassa

Passaggio dalle misure contabili di rendimento ai flussi di cassa: è necessario:

• aggiungere ai risulta) contabili (per es. il reddito opera)vo al ne=o d’imposta) le spese non-cash,
come gli ammortamen), e so=rarre gli eventuali ricavi non monetari, come le rivalutazioni;
• so=rarre le spese in conto capitale e aggiungere le entrate da disinves)men);
• trasformare i ricavi e le spese contabili in entrate e spese monetarie, tenendo conto delle
variazioni del ccn non-cash, ovvero le variazioni di credi) v/clien), giacenze e debi) v/fornitori.
• so=rarre eventuali rimborsi di capitale e aggiungere la contrazione di nuove fon) di
finanziamento.

Benefici della gesEone del circolante: una ges)onale o?male del ccn riduce il fabbisogno
finanziario corrente senza incidere sulle prospe?ve di crescita.
Le modalità di ges)one del ccn possono essere:

- o?mizzazione del magazzino (tecniche del just in )me);


- riduzione delle dilazioni e scon) pronta cassa e a?vità di credit scoring;
- maggiore credito dai fornitori;
- o?mizzazione del saldo di cassa opera)vo.

GesEone del magazzino: le scorte possono essere suddivise tra:

• scorte funzionali: servono per le esigenze specifiche della produzione e sono fondamentali per la
sopravvivenza aziendale;
• scorte di sicurezza o precauzionali: servono per fronteggiare gli imprevis);
• scorte speculaEve: vengono create per guadagnare o proteggersi dalle flu=uazioni dei prezzi.

Flussi di cassa disponibili per gli invesEtori (Free Cash Flow to Firm, FCFF):

FCFF = reddito opera)vo x (1 - aliquota d’imposta) + (cos) non monetari - ricavi non monetari) -
variazione del ccn no cash - (spese in c/capitale - entrate da disinves)men))

I FCFF rappresentano flussi di cassa al lordo degli oneri finanziari e al ne=o d’imposta che misurano
le liquidità generate da un proge=o per tu? gli inves)tori dell’azienda, dopo che sono state
soddisfa=e le necessità di reinves)mento.

Flussi di cassa disponibili per gli azionisE (Free Cash Flow to Equity, FCFE):

FCFE = reddito ne=o + cos) non monetari - ricavi non monetari - variazione del ccn no cash - (spese
in c/capitale - entrate da disinves)men)) + (nuove emissioni di debito - pagamen) del debito) -
dividendi sulle azioni prive di diri=o di voto

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I FCFE rappresentano una misura dei flussi di cassa genera) da un proge=o per gli azionis)
dell’impresa (valutano il rendimento dell’azionista), dopo che sono sta) assol) tu) gli obblighi di
pagamento opera)vi e finanziari e soddisfa=e le necessità di reinves)mento. A differenza dei FCFF,
nei FCFE rientra anche il beneficio fiscale connesso agli interessi passivi.

Vantaggi nell’uso dei flussi di cassa: il vantaggio dei flussi di cassa è evidente in termini di
chiarezza e di valutazione del grado di equilibrio finanziario raggiunto.
Inoltre, nessuna impresa acce=a u)li come pagamento per i beni e servizi forni), ma chiede
liquidità. Dunque, un proge=o con u)li posi)vi e flussi di cassa nega)vi finirà per prosciugare la
liquidità dell’impresa, mentre un proge=o con u)li nega)vi e flussi di cassa posi)vi genera liquidità.

B) DECIDERE TRA FLUSSI INCREMENTALI E TOTALI

Lo scopo dell’analisi degli inves)men) è quello di individuare proge? che possano aumentare il
valore dell’impresa. Di conseguenza, i flussi di cassa da prendere in considerazione sono solo i
flussi di cassa incrementali, cioè quelli che il nuovo proge=o genera per l’azienda che lo
intraprende.
Flussi di cassa totali e incrementali di un proge=o sono diversi per 2 mo)vi:

- ci sono alcuni flussi di cassa, in quanto già prodo? prima della decisione di intraprendere o
meno l’inves)mento, che non dipendono dalla decisione stessa. Si tra=a dei cos) sommersi, che
non devono essere tenu) conto nell’analisi;
- ci sono alcuni flussi di cassa che vengono genera) dall’impresa, sia che l’inves)mento venga
intrapreso sia che esso sia respinto. Rientrano in questa categoria le ripar)zioni delle spese fisse,
che non sono incrementali e vanno quindi escluse dall’analisi.

CosE sommersi: rappresentano spese connesse a un proge=o che vengono sostenute prima che
venga effe=uata l’analisi di quest’ul)mo e che non possono essere recuperate anche se il proge=o
viene respinto. Non si tra=a dunque di flussi incrementali e quindi non devono influenzare l’analisi
d’inves)mento. Esse figurano invece nei prospe? contabili.
L’es. più frequente di cos) sommersi sono le spese per ricerca e sviluppo, sostenute molto tempo
prima dell’analisi del proge=o (decisione di introdurre o meno un nuovo prodo=o sul mercato).
Le imprese che spendono elevate somme per ricerca e sviluppo devono acce=are il fa=o che
l’analisi di proge=o rela)va a tali spese di solito può essere fa=a soltanto ex post, cioè quando
ormai esse sono state sostenute.

C) SCEGLIERE TRA FLUSSI NOMINALI E ATTUALIZZATI

È molto raro che un proge=o a lunga durata generi u)li o flussi di cassa distribui) uniformemente
nel tempo. In se=ori cara=erizza) da grossi inves)men) infrastru=urali u)li e flussi di cassa
possono essere nega)vi per un lungo lasso di tempo prima di diventare posi)vi, mentre in altri
se=ori i flussi di cassa hanno un picco all’inizio per poi decrescere gradualmente nel corso del
tempo.
Ci sono 3 mo)vi per cui i flussi di cassa rela)vi a periodi diversi non sono comparabili (non sono
quindi sommabili) e per cui un flusso di cassa a=uale vale più di un flusso di cassa futuro di pari
ammontare:

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• gli individui preferiscono consumare oggi piu=osto che domani. Per rinunciare a consumare
qualcosa oggi, un individuo pretende una maggiore opportunità di consumo in futuro,
rappresentata dal tasso di rendimento reale;
• in presenza di inflazione, il valore della moneta diminuisce nel corso del tempo;
• ogni forma di incertezza (rischio) rela)va ai flussi di cassa futuri ne riduce il valore.

Maggiore è il tasso di rendimento reale/inflazione/incertezza, maggiore sarà la differenza tra il


valore a=uale dei flussi di cassa e il loro valore futuro di pari importo.
I procedimen) che perme=ono di spostare i flussi di cassa nel tempo sono:

• a?ualizzazione: perme=e di portare i flussi futuri alla data odierna, correggendoli per rifle=ere i
3 fa=ori descri? sopra e u)lizzando un tasso di a=ualizzazione;
• capitalizzazione: perme=e di proie=are i flussi a=uali in date future.

valore a=uale del flusso di cassa = CF / (1 + r)^t

montante del flusso di cassa = CF x (1 + r)^t

rendita perpetua di un CF = CF / r

Il termine 1/(1 + r)^t è de=o fa=ore di a=ualizzazione e ha l’effe=o di pesare il flusso di cassa a
seconda del periodo in cui viene generato.
Quando i tassi di a=ualizzazione sono eleva), a causa di eleva) tassi di rendimento reale, inflazione
o incertezza, i flussi di cassa genera) in un futuro più distante saranno valuta) meno.
In sintesi, risulta più logico u)lizzare flussi di cassa a=ualizza) piu=osto che flussi di cassa nominali
per 2 mo)vi:

- i flussi di cassa nominali rela)vi a diversi periodi non sono comparabili e non possono quindi
essere somma) per s)mare i rendimen). Tramite l’a=ualizzazione, invece, tu? i flussi di cassa
genera) da un proge=o vengono conver)) nel loro valore a=uale e si possono quindi calcolare i
rendimen) in modo più preciso;
- se l’obie?vo dell’analisi degli inves)men) è la massimizzazione del valore dell’impresa, si deve
dare maggior rilievo ai flussi di cassa che si producono prima, perché questo è esa=amente ciò
che farebbero gli inves)tori che forniscono capitale all’impresa.

CRITERI DECISIONALI RELATIVI AGLI INVESTIMENTI

Una volta s)mate le misure contabili dei rendimen), i flussi di cassa e i flussi di cassa a=ualizza) di
un inves)mento, resta il problema fondamentale di scegliere se intraprendere o meno
l’inves)mento. Al riguardo, è necessario avere dei criteri decisionali che consentano di specificare
quali sono le condizioni che un proge=o deve soddisfare per essere considerato acce=abile.
Le cara=eris)che di un valido criterio decisionale sono:

- deve, allo stesso tempo, dare peso alla valutazione sogge?va del management e assicurare che
proge? diversi siano giudica) in modo coerente;
- deve consen)re all’impresa di promuovere l’obie?vo dichiarato dalla finanza aziendale, ovvero
la massimizzazione del valore dell’impresa;
- deve essere applicabile a differen) )pi di inves)men).
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I criteri decisionali possono essere:

• basa) sul reddito contabile non a=ualizzato:


- ROC;
- ROE;
• basa) sui flussi:
- non a=ualizza): payback;
- a=ualizza): payback period a=ualizzato, VAN, TIR, PI.

CRITERI DECISIONALI BASATI SUL REDDITO CONTABILE

ReddiEvità del capitale (ROC, Return on Capital): misura il rendimento o=enuto dall’impresa sul
suo inves)mento totale nel proge=o.

dove EBIT = reddito opera)vo


Es: ho un proge=o della durata di 1 anno che richiede un inves)mento iniziale pari a 1.000.000 e
che genererà un reddito opera)vo al lordo d’imposta (EBIT) pari a 300.000. Si suppone che il valore
di recupero del proge=o alla fine dell’anno sia 800.000 e che l’aliquota d’imposta sia del 40%.

Inves)mento medio nel proge=o = (1.000.000 + 800.000) / 2 = 900.000


ROC (al lordo d’imposta) = 300.000/900.000 = 33,33%
ROC (al ne=o d’imposta) = [300.000 x (1 - 0,40)] / 900.000 = 20%

Questo calcolo è semplice per un proge=o di un anno, ma diventa più complesso per proge? di
lunga durata, nei quali sia il reddito opera)vo che il valore contabile dell’inves)mento cambiano
nel tempo. In ques) casi, il ROC può essere calcolato come media dei ROC rela)vi a ciascun anno
oppure come rapporto tra reddito opera)vo medio e inves)mento medio rela)vi all’intera vita del
proge=o.
Per decidere se intraprendere o meno il proge=o, il ROC al ne=o d’imposta va confrontato con una
soglia minima di rendimento, che può essere il costo del capitale aziendale (WACC).

- ROC al ne=o d’imposta > WACC —> acce?o il proge?o


- ROC al ne=o d’imposta < WACC —> rifiuto il proge?o

Avvertenze per l’uso del ROC:

- è valido per proge? tradizionali cara=erizza) da un alto inves)mento iniziale e profi? posi)vi;
- non è valido se il reddito non rispecchia i flussi di cassa genera) dal proge=o;
- il valore contabile non esprime il valore nel tempo dell’inves)mento al ne=o degli
ammortamen);
- nel ROC i reddi) sono tra=a) allo stesso modo qualunque sia il periodo in cui si sono
manifesta).

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ReddiEvità del capitale ne?o (ROE, Return on Equity): misura il rendimento dal punto di vista
dell’azionista, basandosi sull’u)le contabile ne=o.

Es: ho un proge=o di 4 anni con un inves)mento azionario iniziale di 800 e le seguen) s)me
dell’u)le ne=o per ciascuno dei 4 anni:

Anno 0 1 2 3 4

Utile netto 140 170 210 250

Valore 800 700 600 500 400


contabile del
capitale netto

ROE 140/750 170/650 210/550 250/450

—> 18,67% 26,15% 38,18% 55,56%

(800 + 700)/2 = 750, (700 + 600)/2 = 650, (600 + 500)/2 = 550, (500 + 400)/2 = 450

A differenza del ROC, il ROE va confrontato con il costo del capitale ne=o (Ke), che rappresenta il
tasso di rendimento richiesto dagli azionis).

- ROE > Ke —> acce?o il proge?o


- ROE < Ke —> rifiuto il proge?o

Il Ke rifle=e la rischiosità del proge=o preso in esame e la leva finanziaria u)lizzata dall’impresa.
Nel caso in cui la scelta fosse tra proge? alterna)vi di pari rischiosità, sarà considerato migliore il
proge=o con un ROE più alto.

Avvertenze per l’uso del ROE:

- dipende dalle misure contabili;


- cresce nel tempo per l’ammortamento del valore contabile del capitale ne=o;
- fornisce s)me elevate di proge? a bassi inves)men);
- non dis)ngue la distribuzione temporale dei reddi).

CRITERI DECISIONALI BASATI SUI FLUSSI DI CASSA

Tu? ques) criteri decisionali hanno in comune la formula:

W = ∑ CF (1 + r)^t

- nel caso del payback period l’incognita è il tempo (t) nel quale per la prima volta i flussi di cassa
in entrata sono uguali a quelli in uscita;
- nel VAN l’incognita è W, cioè il valore a=uale ne=o della somma dei flussi di cassa a=ualizza);
- nel TIR l’incognita è il tasso di a=ualizzazione (r) per il quale VAN = 0.

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Criterio del tempo di recupero del capitale invesEto (payback period): misura quanto
velocemente i flussi di cassa di un proge=o coprono l’inves)mento iniziale. Il payback può essere
s)mato:

- dal punto di vista degli inves)tori, per cui uso i FCFF, sommandoli fino a coprire l’inves)mento
iniziale;
- dal punto di vista degli azionis), per cui uso i FCFE, sommandoli fino a coprire l’inves)mento
azionario iniziale.

Il payback period può essere a=ualizzato o non a=ualizzato (in questo caso non si )ene conto del
valore finanziario del tempo e, quindi, non è prevista l’a=ualizzazione dei flussi di cassa).
Entrambi i metodi hanno l’obie?vo di iden)ficare il tempo entro il quale l’inves)tore rientra in
possesso delle risorse inves)te, con il metodo a=ualizzato che lo fa u)lizzando il valore a=uale dei
flussi e non quello nominale.
Es: ho 2 proge? di 4 anni con i seguen) da):

Progetto A

Anni 0 1 2 3 4

Flussi di cassa 300 400 300 10.000

Investimento -1.000

Payback period = 3 anni

Progetto B

Anni 0 1 2 3 4

Flussi di cassa 500 500 100 100

Investimento -1.000

Payback period = 2 anni

Alcune imprese usano il payback period come criterio decisionale principale, stabilendo un periodo
di payback massimo acce=abile: si acce=eranno solo i proge? il cui payback a=eso è inferiore a
quello massimo acce=abile.
Più spesso, le imprese usano il payback come criterio secondario, in modo da poter operare
un’ulteriore selezione tra proge? che soddisfano un criterio principale.

Avvertenze per l’uso del payback period:

- non )ene conto di ciò che avviene dopo che l’inves)mento iniziale è stato recuperato,
rappresentando un grosso limite nella scelta tra proge? alterna)vi (vedi es. A e B);
- è concepito per un )po di proge=o tradizionale, cioè cara=erizzato da un cospicuo inves)mento
iniziale seguito da flussi di cassa posi)vi. È quindi limitato quando si realizzano degli inves)men)
in più periodi o quando non esiste un inves)mento iniziale;
- il payback non a=ualizzato usa i flussi di cassa nominali e non considera il valore finanziario del
tempo, tra=ando allo stesso modo i flussi di cassa che si producono nei primi anni e quelli che si
producono in seguito. Viene privilegiato l’uso del payback a=ualizzato.
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Valore a?uale ne?o (VAN): è dato dalla somma del valore a=uale dei flussi di cassa (posi)vi e
nega)vi) genera) dal proge=o.

Può essere s)mato:

- dal punto di vista degli inves)tori, per cui uso i FCFF a=ualizza) al costo del capitale aziendale
(WACC);
- dal punto di vista degli azionis), per cui uso i FCFE a=ualizzato al costo del capitale ne=o (Ke).

Ci deve essere coerenza.


Il criterio decisionale rela)vo al VAN di un proge=o è:

- VAN > 0 —> acce?o il proge?o


- VAN < 0 —> rifiuto il proge?o

Es: ho un proge=o di 4 anni con un inves)mento iniziale di 1.000, tasso di a=ualizzazione del 12% e
i seguen) flussi di cassa indica) nella tabella. Calcolare il VAN.

Anni 0 1 2 3 4

Flussi di cassa 300 400 500 600

Investimento iniziale -1.000

Valori attualizzati 268 319 356 381

VAN (268 + 319 + 356 + 381) - 1.000 = 324

300 / (1 + 0,12) = 268


400 / (1 + 0,12)^2 = 319
500 / (1 + 0,12)^3 = 356
600 / (1 + 0,12)^4 = 381
Dalla somma dei valori a=uali dei flussi ho so=ra=o l’inves)mento iniziale di 1.000 per trovare il
VAN di 324.

Proprietà del VAN: il VAN ha diverse proprietà:

1. addiEvità (legge di conservazione del valore): i VAN di singoli proge? possono essere
somma) per o=enere il VAN cumula)vo di un’azienda (o di un suo ramo):

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I vantaggi dell’addi)vità sono:

• valore dell’impresa = valore delle a?vità presen) e future;


• in caso di abbandono di un proge=o:
- se VAN del proge=o < 0, il valore dell’impresa aumenta di un ammontare corrispondente a tale
VAN;
- se VAN del proge=o > 0, il valore dell’impresa si riduce di un ammontare corrispondente a tale
VAN;
• in caso di cessione di un ramo aziendale:
- se la somma ricevuta con tale cessione > VAN del ramo, il valore dell’impresa aumenta a seguito
della cessione;
- se la somma ricevuta con tale cessione < VAN del ramo, il valore dell’impresa si riduce a seguito
della cessione;
2. reinvesEmento dei flussi intermedi: il VAN assume che i flussi di cassa intermedi (cioè quelli
che si generano tra il periodo iniziale e quello finale di un proge=o) vengano reinves)) alla
soglia minima di rendimento, che corrisponde al WACC, se si tra=a di FCFF, o al Ke, se si tra=a
di FCFE; ciò implica che il VAN sia un metodo prudenziale, perché u)lizza la minima previsione
di rendimento a=eso;
3. variazione del tasso di a?ualizzazione nel tempo: il tasso di a=ualizzazione di un proge=o può
variare durante la vita del proge=o. Dunque, la formula del VAN può essere u)lizzata anche
con tassi di a=ualizzazione variabili nel tempo:

I tassi possono variare per:

• variazione della durata dell’inves)mento;


• cambio nella rischiosità del proge=o;
• variazione della stru=ura finanziaria.

Es: ho un proge=o della durata di 4 anni con i seguen) flussi di cassa e tassi di a=ualizzazione:

Anni 0 1 2 3 4

Flussi di cassa - 300 400 500 600

Investimento iniziale -1.000

Tassi di attualizzazione 10% 11% 12% 13%

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Il valore a=uale di ciascun flusso può essere così calcolato:

VA del flusso nell’anno 1 = 300 / 1,10 = 272,72


VA del flusso nell’anno 2 = 400 / (1,10 x 1,11) = 327,60
VA del flusso nell’anno 3 = 500 / (1,10 x 1,11 x 1,12) = 365,63
VA del flusso nell’anno 4 = 600 / (1,10 x 1,11 x 1,12 x 1,13) = 388,27
VAN del proge=o = 272,72 + 327,60 + 365,63 + 388,27 - 1.000 = 354,23

Avvertenze per l’uso del VAN:

- il VAN è una misura assoluta di valore e non considera la dimensione dei proge?;
- il VAN non considera la durata, per cui vengono favori) i proge? con durata maggiore (spesso
nella scelta tra proge? alterna)vi viene unito al criterio del payback period).

Tasso interno di rendimento (TIR o IRR): il TIR è quel tasso di a=ualizzazione che rende VAN = 0,
basandosi anch’esso sui flussi di cassa a=ualizza) ma operando in termini rela)vi (percentuali).
Esso fornisce una misura della sensibilità del VAN al variare dei tassi di a=ualizzazione e individua il
tasso di equilibrio tra 2 proge? alterna)vi.

U)lizzare il TIR come criterio decisionale: se TIR > tasso di a=ualizzazione, allora VAN > 0 e il
proge=o è acce=abile. Il TIR lo posso calcolare in 2 modi:

• usando i FCFF, con il TIR che, quindi, deve essere confrontato con il WACC:
- TIR > WACC —> acce?o il proge?o
- TIR < WACC —> rifiuto il proge?o

• Usando i FCFE, con il TIR che, quindi, deve essere confrontato con il Ke:

- TIR > Ke —> acce?o il proge?o


- TIR < Ke —> rifiuto il proge?o

Di fronte a proge? di pari rischiosità si preferirà quello con il TIR più elevato.

Avvertenze per l’uso del TIR: il TIR ha alcuni limi):

- essendo una misura standardizzata espressa in percentuale, favorisce la scelta di proge? di


dimensione minore, su i quali è possibile o=enere rendimen) percentuali più eleva);
- non può essere calcolato in presenza di modesto o nullo inves)mento iniziale o con un
inves)mento fa=o in più soluzioni (flussi alterna)). Inoltre, vi sono casi in cui per un proge=o
esiste più di un TIR e non è chiaro quale si debba u)lizzare: in questo caso non può essere
u)lizzato come criterio decisionale.

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PROGETTI ALTERNATIVI E CAPITAL RATIONING

A livello teorico gli inves)men) possono essere studia) come indipenden) e senza prevedere
vincoli finanziari (capital raEoning). Nella realtà, però, vi sono interdipendenze fra i diversi
inves)men) che vanno tenute conto. Dunque, i proge? di inves)mento possono essere:

• alternaEvi in assenza di capital raEoning: viene valutata la capacità differenziale dei proge? di
creare valore rimanendo comunque in un ambiente privo di vincoli finanziari;
• alternaEvi e concorrenE alle risorse in assenza di razionamento: in un ambiente privo di vincoli
finanziari viene valutato il vincolo tecnologico della differente durata;
• alternaEvi e concorrenE alle risorse in presenza di capital raEoning: viene rimossa l’ipotesi di
risorse illimitate e viene valutata la difficoltà ad accedere alle risorse finanziarie, con par)colare
a=enzione alla dimensione dell’inves)mento iniziale e ai tempi e all’en)tà dei flussi del proge=o;
• alternaEvi, in presenza di razionamento e con effe?o sul vincolo tecnico: in un ambiente con
risorse limitate, i proge? vanno valuta) anche considerando il rapporto tra i cos) dell’eccesso di
capacità produ?va e i cos) opportunità delle perdute vendite.

2 o più proge? si dicono alterna)vi quando acce=arne uno significa escludere automa)camente
tu? gli altri, nonostante anche essi si qualifichino come inves)men) validi, ovvero con VAN > 0 e
TIR elevato, oppure anche quando hanno le stesse finalità, per cui la scelta di uno rende l’altro un
doppione.

Vincoli imposE dal razionamento del capitale: la perdita di indipendenza da parte dei proge?
(che diventano quindi alterna)vi) può essere determinata da un razionamento del capitale, che
obbliga l’impresa a non poter acce=are tu? i proge? in quanto essa ha un accesso limitato al
capitale.
Il problema del razionamento del capitale si manifesta nel momento in cui un’impresa non è in
grado di inves)re in tu? i proge? con rendimen) superiori alla soglia minima di rendimento. Ciò
può accadere perché l’impresa non ha a disposizione i fondi necessari per intraprendere tu? i
proge? con VAN > 0 disponibili o non ha la capacità o la volontà di raccogliere tali fondi.
Di conseguenza, avrà bisogno di un meccanismo per operare una scelta fra i vari proge?.

Cause del razionamento: sono:

- mancata individuazione dei proge?: in pochi casi le imprese sono in grado dire con ragionevole
certezza che un proge=o d’inves)mento creerà valore;
- sfiducia dei merca) (credibilità): i merca) finanziari tendono a interpretare con sce?cismo le
affermazioni dell’impresa, sopra=u=o quando esse contengono previsioni pessimis)che;
- inefficienze informa)ve;
- eleva) cos) di emissione per raccolta di fondi.

L’impresa non incorre in capital ra)oning se:

- iden)fica un’opportunità di inves)mento a=raente;


- informa i fornitori di capitale (come i merca) finanziari) del proge=o;
- i merca) ritengono il proge=o credibile;
- eme=e )toli a prezzi appropria) per raccogliere i fondi necessari a finanziare il proge=o;
- il costo di emissione dei )toli è minimo.

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SELEZIONE DI PROGETTI CON RAZIONAMENTO DI CAPITALE E CONFRONTO TRA VAN E TIR

Sia il TIR che il VAN sono misure, a=ualizzate e basate sui flussi di cassa, del rendimento di un
inves)mento e portano alla stessa conclusione, ovvero acce=are o rifiutare un inves)mento
indipendente. Tu=avia, nel confrontare o classificare diversi proge?, i 2 approcci possono
comportare risulta) diversi, a causa di varie differenze.

Differenze nella gesEone della dimensione dei progeO:

• il VAN è una misura assoluta e non )ene conto della dimensione del proge=o. A=raverso il VAN
verranno scel) proge? di dimensione maggiore e con cospicui flussi di cassa;
• il TIR è una misura rela)va (percentuale) e standardizzata rispe=o alla dimensione del proge=o.
A=raverso il TIR verranno scel) proge? che richiedono minori inves)men).

Es: ho 2 proge? di 4 anni con diversa dimensione:


Progetto A

Flussi di cassa 350.000 450.000 600.000 750.000

Investimento -1.000.000

VAN = 467,94 $ TIR = 33,66 %

Progetto B

Flussi di cassa 3.000.000 3.500.000 4.500.000 5.500.000

Investimento -10.000.000

VAN = 1.358.664 $ TIR = 20,88%

Con la regola del TIR scelgo il proge=o A, con la regola del VAN scelgo il proge=o B.

Differenze nel reinvesEmento dei flussi intermedi:

• il VAN ipo)zza che i flussi siano reinves)) alla soglia minima di rendimento, ovvero il tasso di
a=ualizzazione, che dovrebbe essere inferiore al TIR se il proge=o è buono;
• il TIR presuppone che i flussi vengano reinves)) al TIR medesimo. Se uso questo criterio ed
a=ualizzo al TIR, ipo)zzo che i flussi intermedi siano reinves)) al TIR > WACC e ciò può portare
ad una sopravvalutazione della crescita futura, con conseguen) errori di valutazione.

Il reinves)mento dei flussi intermedi lo posso calcolare facendo (usando per es. il TIR):

Valore futuro dei flussi di cassa intermedi = inves)mento iniziale x (1 + TIR)

Classificazione dei progeO di invesEmento: come appena visto, il VAN e il TIR possono
comportare risulta) diversi per l’impa=o della dimensione dei proge? e per le ipotesi rela)vi al
tasso di rendimento al quale sono reinves)) i flussi di cassa intermedi.
Entrambi presentano mol) limi) in caso di razionamento del capitale:

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- il criterio del VAN tende a favorire gli inves)men) di dimensioni maggiori e non comporta
l’u)lizzo migliore del capitale limitato;
- di conseguenza il criterio del TIR è il più appropriato per le imprese che presentano un
razionamento del capitale, ma il fa=o che i flussi di cassa intermedi vengano reinves)) al TIR
può condurre fuori strada le scelte di inves)mento.

Inoltre, il VAN dei proge? non intrapresi per razionamento rappresenta il costo del razionamento
stesso e s)mola l’impresa a cercare nuove fon) per la sua riduzione.
Si possono, però, applicare 3 modifiche ai criteri tradizionali di inves)mento che consentono di
compiere scelte più appropriate:

• una versione standardizzata del VAN chiamata indice di reddiEvità;


• un TIR modificato con ipotesi di reinves)mento più ragionevoli;
• un più complesso metodo di programmazione lineare che consente di tener conto di vincoli di
capitale estesi a diversi periodi (e non soltanto a quello a=uale).

Indice di reddiEvità: è una misura che considera la dimensione finanziaria del proge=o ed è molto
u)le per le imprese che hanno problemi di scelta rela)vi soltanto al breve termine e su pochi
proge?. Questo indice è dato da:

dove : inves)mento iniziale necessario


L’indice di reddi)vità fornisce una misura approssima)va del VAN che l’impresa o?ene per
ciascuna unità di capitale (proprio o di terzi) inves)ta.
Una volta calcolato l’indice per ciascuno dei proge? che l’impresa sta valutando, si classificano e si
scelgono i proge? sulla base dell’indice di reddi)vità, partendo dai valori più eleva) e scendendo,
fino ad esaurire il capitale disponibile (costruzione di un ranking).
Quando il capitale è limitato e un’impresa non è in grado di acce=are tu? i proge? con VAN > 0,
l’indice di reddi)vità iden)fica un VAN cumula)vo più elevato in base ai fondi disponibili.
Anche l’indice di reddi)vità ha dei limi):

- parte dal presupposto che il vincolo imposto dal razionamento del capitale si applichi solo al
periodo a=uale, non tenendo conto delle necessità di inves)mento future;
- se i proge? comportano inves)men) spalma) su diversi periodi e una serie di spese opera)ve,
l’indice di reddi)vità potrebbe risultare una misura non corre=a del contributo del proge=o alla
creazione di valore;
- non garan)sce che l’inves)mento totale sia esa=amente pari al capitale disponibile.

CAPITOLO 7 - LE DECISIONI DI FINANZIAMENTO E IL TRADE OFF DEL DEBITO

Le fonE di finanziamento individuano le risorse finanziarie a )tolo proprietario o di debito che mi


perme=ono di coprire i fabbisogni finanziari lega) alle scelte di inves)mento. Esiste quindi un
collegamento dire=o tra fon) e impieghi che può svilupparsi in 2 direzioni:

- nuovi impieghi richiedono nuove fon);


- nuove fon) possono s)molare inves)men) aggiun)vi;

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IL FABBISOGNO FINANZIARIO E GLI STRUMENTI FINANZIARI

Il fabbisogno finanziario indica l’ammontare complessivo di mezzi finanziari necessari all’azienda


per alimentare, in un dato periodo, il processo di ges)one e viene determinato sulla base della
dimensione degli inves)men) aziendali. È originato da:

- asincronia tra entrate e uscite (fabbisogno opera)vo);


- inves)men) stru=urali per l’avvio e la sopravvivenza dell’impresa (fabbisogno stru=urale).

Il fabbisogno finanziario può essere coperto da una mol)tudine di fon) di finanziamento, che
possono essere suddivise:

• sulla base dei diri? sui flussi, del potere di controllo e della deducibilità fiscale degli oneri
connessi:
- mezzi a )tolo di capitale proprio (ne=o);
- mezzi a )toli di finanziamen) di terzi (debito);
- mezzi ibridi;
• per provenienza:
- interne o autoprodo=e;
- esterne o raccolte;
• per scadenza:
- breve;
- medio-lunga;
- indeterminata;
• per canali di raccolta:
- priva);
- merca) finanziari;
- banche e società finanziarie e di leasing.

La suddivisione più comune è la prima, ovvero quella tra debito, capitale ne=o e )toli ibridi.

Es debito: debito bancario, cambiali finanziarie, obbligazioni societarie;


Es )toli ibridi: presentano cara=eris)che sia del debito sia del capitale ne=o e sono il debito
conver)bile, azioni privilegiate, combinazioni di obbligazioni e opzioni;
Es capitale ne=o: capitale proprio, venture capital, azioni ordinarie, warrants.

FORME E STRUMENTI DI EQUITY

Il capitale ne?o è qualsiasi strumento finanziario che:

- conferisce al suo possessore il diri=o di ricevere i flussi di cassa residuali dell’impresa dopo il
pagamento degli altri obblighi finanziari;
- perme=e il controllo sulla ges)one dell’impresa e di nominare e revocare gli amministratori;
- non genera vantaggi fiscali associa) al pagamento dei dividendi;
- ha una scadenza indeterminata;
- non ha diri=o di priorità in caso di liquidazione o riorganizzazione dell’azienda.

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FORME DI EQUITY

Sulla base della provenienza, si possono dis)nguere le seguen) forme di capitale proprio:

• capitale sociale (owner’s equity) nelle differen) forme in cui può avvenire l’apporto e le riserve di
capitale;
• appor) di nuovi soci a seguito di un aumento di capitale (venture capitalist e private equity);
• autofinanziamento.

Capitale proprio (owner’s equity): è il capitale raccolto da parte dei fondatori insieme agli u)li non
distribui) e reinves)) nell’a?vità d’impresa. Può assumere forme diverse a seconda della )pologia
dell’impresa:

- se l’impresa è una s.p.a., il capitale è cos)tuito da azioni;


- se l’impresa è una s.r.l., il capitale è cos)tuito dalle quote possedute dai soci fondatori e dai
successivi nuovi soci;
- se l’impresa è una società di persone, il capitale è cos)tuito dagli appor) dei soci che hanno,
almeno in parte, una responsabilità illimitata;
- se l’impresa è una di=a individuale, il capitale è cos)tuito dall’apporto iniziale del )tolare e dagli
u)li non preleva).

Il capitale proprio si configura come un capitale permanente inves)to senza inten) specula)vi e si
dis)ngue dal private equity.

Venture capital e private equity: è un capitale temporaneo fornito dagli inves)tori is)tuzionali per
un periodo di tempo medio-lungo, con l’obie?vo di realizzare un rendimento in termini di capital
gain, per poi cedere la partecipazione acquisita (way out). Ricorrono, di solito, a questa forma di
finanziamento a )tolo di capitale ne=o le piccole imprese i cui fondi apporta) dai fondatori non
sono sufficien) per le necessità di inves)mento dell’impresa, o=enendo denaro in cambio di una
quota della proprietà dell’impresa.
Il private equity comprende tu=e le forme di inves)mento in capitale proprio:

- in fase di avvio (venture capital);


- in fase di espansione (expansion financing);
- in fase di ristru=urazione (turnaround financing).

Gli a=ori che operano all’interno del private equity sono:

• società di venture capital: sono inves)tori professionali che acquisiscono quote di imprese per
un importo rilevante e per un periodo medio-lungo, con l’obie?vo di ges)rle, farle sviluppare e
cederle conseguendo un capital gain. Esse privilegiano imprese “giovani” cara=erizzate da un
elevato grado di innovazione a livello di prodo=o o che operano in se=ori innova)vi;
• incubatori: si occupano del finanziamento della sola idea imprenditoriale, fornendo una gamma
di servizi che vanno oltre il supporto manageriale;
• Venture Blacked industriali: partecipano come imprese fornitrici di tecnologia e infrastru=ure
per sviluppare il proge=o e la rete di clientela;

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• Business Angels: sono inves)tori non professionali (in genere ex dirigen) di grandi imprese) che
forniscono capitali e competenze e assistono l’impresa nelle fasi di sviluppo. Partecipano a )tolo
personale e spesso acce=ano tassi di remunerazione più bassi.

Autofinanziamento: in senso stre=o si dis)ngue tra:

• autofinanziamento da reddito: generato dagli u)li non distribui) e reinves)) nell’impresa;


• autofinanziamento da cosE: rappresentato dal complesso di cos) non monetari fiscalmente
deducibili che non sono reali uscite finanziarie, ma che al tempo stesso consentono all’impresa
di ridurre il carico tributario.

Si possono comprendere anche tu=e le risorse finanziarie generate in conseguenza di una corre=a
ges)one del ccn, accrescendo il grado di liquidità dell’azienda.

GLI STRUMENTI DI EQUITY

Azioni: rappresentano le quote di partecipazione al capitale in una s.p.a. Si possono suddividere


tra:

- azioni ordinarie con voto pieno;


- azioni privilegiate con voto limitato alle assemblee straordinarie.

Se l’impresa è quotata in Borsa, le azioni sono negoziate sui merca) finanziari.

Warrant: rappresentano una forma di capitale ne=o alterna)va alle azioni ordinarie u)lizzata con
successo da società di piccole dimensioni e consistono in )toli deriva) che, come un’opzione call,
in cambio del pagamento di un prezzo de=o premio, conferiscono al possessore, per un certo
periodo di tempo, il diri=o di acquistare, ad un prezzo prefissato de=o prezzo di esercizio (strike
price), un certo numero di azioni della società.
Nel caso in cui:

• il prezzo dell’a?vità salga superando il prezzo di esercizio, acquisto l’a?vità e la rivendo al prezzo
a=uale, con la differenza tra i 2 prezzi che cos)tuisce il rendimento lordo, al quale devo so=rarci
il costo sostenuto per acquistare l’opzione;
• il prezzo dell’a?vità scenda al di so=o del prezzo di esercizio, non avrebbe senso esercitare il
diri=o ad acquistarla ad un prezzo più elevato. In questo caso, si subisce una perdita ne=a pari al
costo sostenuto per acquistare l’opzione call.

Quindi, il venditore della call si obbliga a consegnare il )tolo al prezzo concordato nel caso in cui
venga esercitata l’opzione, per cui incasserà il prezzo dell’opzione, ma lascerà la possibilità di
ricevere un capital gain anche molto elevato nel caso in cui il prezzo di mercato risul) superiore al
prezzo di esercizio concordato.
Esistono validi mo)vi per cui un’impresa possa preferire i warrant piu=osto che le azioni ordinarie
come strumento per procurarsi capitale ne=o:

- il prezzo dei warrant dipende dalla vola)lità delle azioni so=ostan): maggiore è la vola)lità,
maggiore è il valore dei warrant;
- non creano obblighi finanziari al momento delle loro emissioni;
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- perme=ono di procurarsi capitale ne=o da u)lizzare senza dover eme=ere nuove azioni.

ConEngent Value Right (CVR): conferiscono al possessore il diri=o di vendere (all’impresa che li
eme=e) le azioni so=ostan) a un prezzo determinato. Hanno la stessa stru=ura delle opzioni put,
negoziate in Borsa, ma con 2 differenze:

• i ricavi della vendita del CVR vanno all’impresa emi=ente, mentre quelli rela)vi alla vendita di
opzioni put quotate vanno ai priva) che li eme=ono;
• la durata dei CVR è maggiore di quella delle opzioni put quotate.

Al pari di un’opzione put:

• se il valore dell’a?vità sale al di sopra del prezzo di esercizio, non conviene esercitare il diri=o a
venderla a un prezzo inferiore, piu=osto si lascerà che l’opzione giunga a scadenza senza che
venga esercitata, con una conseguente perdita ne=a pari all’eventuale costo sostenuto per
acquistarla;
• se il prezzo di mercato scende so=o il prezzo di esercizio, il possessore potrà cedere al venditore
dell’opzione il )tolo al prezzo prefissato, contenendo le eventuali perdite. Il venditore sarà
obbligato a corrispondere il prezzo di esercizio registrando una perdita.

Spesso i CVR vengono emessi a )tolo gratuito insieme all’emissione azionaria e sono emessi in
occasioni par)colari:

- quando l’impresa crede di essere significa)vamente so=ovalutata dal mercato, con l’emissione
del CVR che sarebbe quindi vantaggiosa per l’impresa, inviando al mercato un segnale della
propria so=ovalutazione;
- come elemen) accessori in un aumento di capitale.

FORME E STRUMENTI DI DEBITO

Il debito è qualsiasi strumento finanziario che:

- conferisce diri? contra=ualmente stabili sui flussi di cassa aziendali (capitale e interessi);
- genera pagamen) fiscalmente deducibili almeno in modo parziale (es. interessi passivi creano
un risparmio in termini di imposte);
- ha una scadenza determinata;
- ha precedenza sui flussi di cassa sia nei periodi opera)vi sia in quelli di liquidazione o
riorganizzazione dell’azienda;
- non conferisce il diri=o di voto e non comporta il controllo dell’impresa.

Inoltre, il debito:

- costa meno del capitale ne=o, in quanto i finanziatori del )tolo di debito sono principal clamers;
- prevede pagamen) fissi o prefissa);
- è fonte di rischio finanziario e di perdita di flessibilità finanziaria, perché l’inadempienza dei
pagamen) può comportare una parziale perdita del controllo dell’impresa a favore dei creditori
fino al fallimento della stessa.

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Le forme di debito ordinario non stru=urato sono:

• debito bancario: forme di pres)to provenien) da is)tu) di credito:


- medio-lungo termine —> mutuo;
- breve termine —> scoperto bancario;
• obbligazioni: è l’alterna)va per le grandi imprese quotate e può assumere varie forme a seconda
della:
- durata (breve o lungo termine);
- determinazione dei tassi (fissi o variabili);
- garanzia (pu=able);
- valuta;
- forma di rimborso (bullet, cioè alla americana, o amor)zed, cioè alla francese);
• leasing finanziario.

DEBITO BANCARIO

Il debito bancario rappresenta la principale fonte di finanziamento per tu=e le imprese non
quotate e per molte imprese quotate, con il tasso di interesse che viene determinato sulla base
della perdita a=esa, che è funzione della PD e della LGD.
Il debito bancario fornisce mol) vantaggi all’impresa che vi ricorre, perché, a differenza delle
emissioni obbligazionarie, perme=e di prendere a pres)to piccole quan)tà di denaro e, nel caso in
cui l’impresa non sia molto conosciuta o seguita dagli inves)tori, le perme=e di fornire alla banca
che eroga il pres)to informazioni interne sui proge? e su sé stessa.
A seconda della durata, il debito bancario può essere suddiviso in:

• finanziamen) bancari a breve termine, tra cui: apertura di credito in c/c, sconto effe?,
an)cipazioni su fa=ure;
• finanziamen) bancari a lungo termine, tra cui: mutui ipotecari, finanziamen) con fideiussioni,
finanziamen) stru=ura).

LE OBBLIGAZIONI (BOND)

Le obbligazioni sono )toli di credito rappresenta)vi della quota di un pres)to che, salvo deroghe,
non possono essere emessi per impor) superiori al doppio del ne=o patrimoniale aumentato di
eventuali garanzie. Per le grandi imprese quotate rappresentano un’alterna)va al debito bancario,
in quanto offrono condizioni molto più favorevoli:

- il rischio viene ripar)to su un gran numero di inves)tori;


- consentono all’emi=ente di aggiungere cara=eris)che par)colari che non sarebbe possibile
includere nel debito bancario.

I tassi possono essere fissi, variabili o indicizza) e l’emissione può avvenire in varie forme rispe=o
al valore nominale del pres)to, ovvero sopra, so=o o alla pari, mentre il rimborso eguaglia
solitamente il valore nominale.
Le varie )pologie di obbligazioni sono: ordinarie (plain vanilla financing), conver)bili (semi-equity),
con warrants, indicizzate, drop-lock, high yield, CoCo bond, zero coupon bond, commodity bond,
minibond.

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Minibond: è uno strumento finanziario volto ad assicurare alle piccole e medie imprese
un’ulteriore opportunità di accesso al credito, in modo da ridurre la loro dipendenza dal sistema
bancario. Il loro rimborso è spesso bullet e vengono u)lizza) per finanziare proge? di sviluppo e
non per il rifinanziamento di debi) esisten).
Le obbligazioni emesse da imprese non quotate possono essere quotate in un segmento speciale
del Mercato Telema)co Obbligazionario (MOT), de=o Extra-MOT. Inoltre, ques) )toli possono
essere negozia) over the counter da pia=aforme di negoziazione non regolamentata, come quelle
di Bloomberg. Alcune cara=eris)che sono:

- scadenza superiore a 36 mesi;


- non sono so=opos) al limite di emissione civilis)co;
- regime fiscale agevolato;
- tassi di interesse commisura) alle perdite a=ese per gli inves)tori e normalmente sono superiori
ai tassi vigen) per le grandi imprese.

Per gli emi=en) non quota), l’emissione di minibond deve essere assis)ta da uno sponsor, al quale
possono rinunciare solo le imprese di grandi dimensioni. Tale ruolo può essere assunto da banche,
imprese di inves)mento, società di ges)one del risparmio (SGR), ecc., le cui funzioni sono:

- classificare l’emi=ente al momento dell’emissione: la classificazione deve essere effe=uata


considerando la qualità dell’emi=ente e la consistenza delle eventuali garanzie. Inoltre, viene
assegnata secondo 5 categorie di qualità credi)zia (o?ma, buona, soddisfacente, scarsa,
nega)va) e viene resa pubblica;
- mantenere in portafoglio una quota che sia parte dell’emissione;
- vigilare sulla consistenza patrimoniale dell’emi=ente.

LEASING

Con il leasing l’impresa si impegna ad effe=uare pagamen) fissi al proprietario del bene preso a
pres)to in cambio del diri=o di u)lizzare il bene stesso. I contra? di leasing si dividono in:

• leasing operaEvo: in questo caso si hanno 2 sogge?, la durata del contra=o è più breve della
vita del bene e il valore a=uale dei pagamen) del leasing è molto inferiore al prezzo effe?vo del
bene. A scadenza del contra=o, il bene torna al locatore (che rimane proprietario per tu=a la
durata del contra=o), che può scegliere se venderlo al locatario o darlo in leasing ad altri. Il
locatario ha il diri=o di rescindere il contra=o e non si assume il rischio di obsolescenza;
• leasing finanziario: in questo caso si hanno 3 sogge?, la durata del contra=o è pari a quella del
bene e il valore a=uale dei pagamen) del leasing coprono il prezzo del bene. Il locatario non ha
la possibilità di rescindere il contra=o, ma ha la opzione di rinnovarlo a scadenza a un tasso
rido=o, oppure può acquistare la proprietà del bene a un prezzo favorevole.

Analogamente alle altre forme di debito, il leasing prevede la deducibilità fiscale dei canoni.
Non sono richieste par)colari garanzie, in quanto la società di leasing man)ene la proprietà del
bene locato fino al risca=o.
Il costo è elevato ed è rappresentato da un maxicanone iniziale, dai canoni periodici e dalle
commissioni e spese iniziali.

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FINANZA STRUTTURATA

La finanza stru?urata comprende forme di finanziamento volte a favorire un allineamento tra i


flussi degli inves)men) e le modalità di rimborso dei finanziamen). Le principali forme sono:

Cartolarizzazione: è un’operazione di finanziamento che consente a un’impresa che de)ene credi)


illiquidi di trasformarli in liquidità cedendoli ad una società veicolo, che ne farà la garanzia (backed)
di un’emissione obbligazionaria stru=urata (ABS). Tale emissione sarà infa? remunerata e
rimborsata u)lizzando proprio i flussi provenien) dal portafoglio cartolarizzato acquisito dalla
società cedente. La cessione dal )tolare del credito alla società acquirente (SPV) avviene pro-
soluto.

Finanza di proge?o (o project financing): comprende specifici affari di lungo periodo e di notevoli
dimensioni, spesso lega) a grandi opere pubbliche. Il rimborso e le garanzie sono lega) ai proven)
e ai beni inclusi nell’affare, su cui gli altri creditori sociali non hanno diri?.
Il principio guida, come nel caso della cartolarizzazione, è quello della segregazione patrimoniale

Linee di credito finalizzate: individuano dei finanziamen) bancari des)na) a specifici proge? che
implicano notevoli fabbisogni. Sono suddivisi tra: stand-by, evergreen, step-up, bid-line, linee di
credito di gruppo, pres)) mul)divisa.

FONTI IBRIDE

I Etoli ibridi sono )toli che non rientrano né nel capitale ne=o né nel debito, presentando però
cara=eris)che di entrambe le categorie. Le principali forme di )toli ibride sono:

• debito conver)bile (es. conver)ble bond, CoCo bond);


• obbligazioni con opzioni (es. cum warrant);
• azioni privilegiate (americane) vs azioni di risparmio (Italia);
• finanziamento soci (infru?fero);
• pres)) partecipa)vi e finanziamento mezzanino.

DEBITO CONVERTIBILE

Un’obbligazione converEbile è un’obbligazione che può essere conver)ta in un numero prefissato


di azioni, a discrezione del possessore dell’obbligazione. Essendo un )tolo che con)ene un diri=o
di opzione di acquisto di )toli (call), normalmente, al momento dell’emissione, è out of the money,
ovvero non conviene conver)re; l’opzione di conversione acquista valore via via che il prezzo
dell’azione aumenta e viene superato il prezzo di conversione paritaria (strike price), diventando in
the money.
L’indice di conversione misura il numero di azioni per il quale ciascuna obbligazione può essere
scambiata, mentre il valore di mercato di conversione è il valore di mercato a=uale delle azioni
nelle quali è possibile conver)re l’obbligazione.
Il premio di conversione rappresenta la differenza tra valore di mercato dell’obbligazione e il valore
di mercato di conversione dell’obbligazione.
Il valore del debito conver)bile è dato da:

obbligazione conver)bile = debito + opzione call (ne=o)

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dove:
valore del debito = valore a=uale delle cedole + valore a=uale del capitale rimborsato
valore opzione = prezzo dell’obbligazione conver)bile - valore debito ordinario

OBBLIGAZIONI CON OPZIONI

Le obbligazioni con opzioni sono una combinazione tra un’obbligazione ordinaria e un’opzione call.
Una loro )pologia, ovvero le obbligazioni cum warrant, a differenza delle conver)bili, perme=ono
al possessore di mantenere lo status di obbligazionis) diventando al tempo stesso azionis).

AZIONI PRIVILEGIATE (AMERICA)

L’azione privilegiata è un )tolo )pico americano che presenta cara=eris)che proprie sia del debito
che del capitale ne=o.
Come per il debito, le azioni privilegiate:

- pagano un ammontare fisso;


- i loro possessori non hanno il controllo sulla ges)one dell’impresa e il loro diri=o di voto è
limita) alle decisioni che possono avere implicazioni sui loro diri?.

Come per il capitale ne=o:

- i pagamen) agli azionis) privilegia) non sono fiscalmente deducibili e sono effe=ua) con i flussi
di cassa al ne=o d’imposta;
- non hanno una scadenza determinata;
- in caso di liquidazione aziendale, le azioni privilegiate sono residuali rispe=o al debito, con gli
azionis) che quindi devono a=endere che siano sta) soddisfa? tu? gli impegni finanziari.

AZIONI DI RISPARMIO (ITALIA)

Le azioni di risparmio possono essere emesse solo da società quotate e si differenziano dalle azioni
ordinarie per 2 cara=eris)che:

• il )tolare di azioni di risparmio non ha diri=o di voto sia in assemblea ordinaria che straordinaria;
• il )tolare ha diri=o a un dividendo maggiorato rispe=o all’azionista ordinario.

Sono azioni che si rivolgono ai risparmiatori, che comprano l’azione per ricevere il dividendo
annuale e non sono interessa) al controllo dell’impresa né ad intervenire nelle dinamiche di
ges)one aziendale (casse?s)).
Anche in questo caso i dividendi non sono fiscalmente deducibili e i detentori possono votare solo
nelle delibere che pregiudicano i loro diri?.

FINANZIAMENTI DEI SOCI

I presEE infruOferi soci sono versamen) di denaro da parte dei soci a )tolo di debito. La loro
durata, le garanzie e i cos) sono stabili) con delibera assembleare, mentre per la loro emissione è
necessaria l’espressa previsione nello statuto. È uno strumento che garan)sce estrema flessibilità
nel rimborso e, se fru?fero, è fiscalmente deducibile.

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La principale cara=eris)ca di ques) finanziamen) è rappresentata dal fa=o che, quando l’impresa
è in difficoltà finanziaria, essi possono trasformarsi in versamen) dei soci in c/aumento di capitale,
cioè appor) effe=ua) in via an)cipata in previsione di un futuro aumento di capitale sociale o
versamen) a fondo perduto che non sono, per legge, riferibili a un aumento di capitale sociale e
che avvengono per pura inizia)va dei soci, senza alcuna previsione di rimborso anche in sede di
liquidazione della quota sociale. In tal caso si trasformano da debito a riserva di capitale ne=o, per
evitare che il capitale non vada so=o i limi) previs) dal codice.

FINANZIAMENTI MEZZANINI

Il debito mezzanino rappresenta dei finanziamen) a doppia remunerazione il cui rimborso è legato
più ai flussi di cassa a=esi dell’a?vità finanziata che alle garanzie reali. Esso combina un pres)to a
tasso fisso ad un cd. equity kicker, ovvero al diri=o ad una quota percentuale dell’incremento di
valore del capitale inves)to.
Le imprese target per questo strumento finanziario sono quelle operan) in se=ori maturi,
cara=erizzate da business risk limitato.
Una par)colare forma sono i pres)) partecipa)vi, dove si configura un rapporto triangolare tra la
banca, l’impresa finanziata e i terzi coobbliga) (di norma i soci dell’impresa), in cui:

- la remunerazione (interessi + percentuale dell’u)le ne=o d’esercizio) è legata in parte alle


performance dell’impresa;
- il rimborso delle quote capitale è posto a carico dei soci invece che dell’azienda.

CAPITOLO 8 - LA PROGETTAZIONE DELLA STRUTTURA FINANZIARIA

Il debito ha vari benefici e cos).

BENEFICI DEL DEBITO

Leva fiscale degli oneri finanziari: è legata alla deducibilità del costo del debito.

se:
- EBIT > interessi passivi;
- non ho limi) alla deducibilità fiscale degli interessi passivi.

Maggior disciplina del management: la presenza del debito spinge le imprese ad un uso più
a=ento dei flussi di cassa disponibili.
COSTI DEL DEBITO

CosE del dissesto: sono tu? i flussi di cassa nega)vi sostenu) dall’impresa a causa del suo stato di
illiquidità, di incaglio finanziario o di insolvenza. Ques) cos) sono determina) in funzione di 2
variabili:

• costo di fallire, rappresentato da:


- cos) dire?: legali e amministra)vi;
- cos) indire?: delle perdute vendite;
• probabilità di fallimento.

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Esistono alcune implicazioni per fare in modo che l’impresa abbia una stru=ura finanziaria o?male
e, dunque, per fare in modo che evi) i cos) del dissesto:

- le imprese che operano in se=ori con u)li e flussi vola)li devono indebitarsi meno rispe=o ad
imprese con flussi stabili;
- se le imprese possono collegare flussi di cassa sul debito e flussi di cassa opera)vi, possono
perme=ersi un maggiore indebitamento;
- se un’en)tà esterna protegge l’impresa dal fallimento, l’indebitamento cresce;
- se imprese con a?vità immateriali sostengono eleva) cos) dire?, l’indebitamento sarà più
modesto;
- le imprese che erogano servizi di lungo termine devono indebitarsi di meno.

CosE di agenzia: sono lega) ai confli? di interesse tra azionis) e obbligazionis) su 3 ambi):
poli)che di inves)men), di finanziamento e di dividendo e riacquisto di azioni proprie.
Gli obbligazionis) possono avvalersi delle clausole covenant, applicate per es. sulle poli)che dei
dividendi in modo che l’impresa conservi liquidità e non paghi dividendi eleva), limitandoli.

Perdita di flessibilità finanziaria: quando un’impresa si indebita oltre la sua capacità di debito,
perde la flessibilità per i futuri finanziamen) di ulteriori proge?.
Una certa flessibilità finanziaria consente all’impresa di intraprendere validi proge? futuri man
mano che si presentano e può, quindi, essere u)lizzata per massimizzare il valore dell’impresa.
Inoltre, una maggiore flessibilità fornisce al management maggiore libertà e potere decisionale,
proteggendolo anche dall’intenso monitoraggio associato a un maggiore livello di indebitamento.

PROCESSO DI PROGETTAZIONE DELLA STRUTTURA FINANZIARIA

• Portare il proprio indice di indebitamento ad un livello o?male.


• Selezionare all’interno del debito e dell’equity gli specifici strumen) finanziari ritenu) più
adegua) (adeguatezza delle fon)).
• Stabilire le modalità temporali e tecniche con le quali potrà essere raggiunto il livello di
indebitamento obie?vo.

L’ADEGUATEZZA DELLE FONTI

L’adeguatezza delle fon) si raggiunge effe=uando una suddivisione delle fon) di finanziamento per
provenienza, in modo da individuarne tempi e difficoltà di reperimento. I finanziamen) sono:

• interni: internal equity autoprodo=o o conferito dai fondatori;


• esterni: sono sempre temporanei, quindi prima o poi usciranno dall’impresa:
- venture capital o nuovi ingressi di soci per aumen) di capitale
- Debito (bancario e parabancario, di terzi non bancario, sui merca)).

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FONTI DI FINANZIAMENTO, PROCESSO DI RACCOLTA DEL CAPITALE E CICLO DI VITA DELL’IMPRESA

STADI DEL CICLO DI VITA

1. fase di start-up (private equity): è la fase iniziale, con l’impresa creata che viene finanziata
tramite il capitale ne=o inves)to dai proprietari e il debito bancario. L’impresa, in questa fase,
avrà anche un numero limitato di scelte di finanziamento;
2. fase di espansione (IPO): una volta che l’impresa è riuscita a crearsi una clientela e a stabilire
la propria presenza sul mercato, il desiderio di crescere ne aumenta le necessità di
finanziamento, ricorrendo al capitale ne=o privato o al venture capital (dato che l’impresa in
questo momento difficilmente riesce a generare eleva) flussi di cassa). Alcune imprese
decidono di quotarsi e di raccogliere fondi tramite l’emissione di azioni;
3. fase di crescita elevata (aumenE di capitale e M&A): con il passaggio allo stato di impresa
quotata, aumentano le scelte di finanziamento a disposizione. Di solito, le imprese quotate che
si trovano in questa fase aumentano le emissioni di capitale, so=o forma di azioni ordinarie,
warrant e altre forme di equity. Se fanno ricorso al debito, u)lizzeranno molto probabilmente il
debito conver)bile;
4. fase di maturità (obbligazioni): in questa fase le imprese, per far fronte alle necessità di
finanziamento, fanno ricorso al debito bancario o alle obbligazioni societarie;
5. fase di declino (liquidazione e riacquisto azioni): qui è molto improbabile che le imprese
eme=ano nuove azioni od obbligazioni; piu=osto, è probabile che ri)rino il debito in
circolazione e riacquis)no le azioni proprie.

IL PROCESSO DI RACCOLTA DEL CAPITALE: FINANZIAMENTO CON PRIVATE EQUITY

Il processo di raccolta del capitale tramite il private equity, )pico delle imprese non quotate, si
realizza in 5 fasi:

1. SEmolo dell’interesse degli invesEtori: a tal fine, sono molto importan) il )po di a?vità svolta
dall’impresa e la reputazione del top management.
2. Valutazione e prospeOve di rendimenE: una volta stabilito il proprio interesse a inves)re
nell’impresa, gli inves)tori in private equity devono s)marne il valore considerando gli
inves)men) in essere e le prospe?ve di crescita. Per fare questo si ricorre al metodo del
venture capital, tramite il quale vengono previs) gli u)li dell’impresa non quotata rela)vi a un
anno a venire. Tali u)li vengono u)lizza) per determinare il valore dell’impresa previsto al
momento della futura cessione; tale valore prende il nome di valore di uscita o valore
terminale (terminal value). Questo valore viene a=ualizzato a un tasso di rendimento target,
che per i fornitori di venture capital rappresenta la misura di un rendimento gius)ficabile in
base al rischio al quale sono espos). Questo tasso viene posto, solitamente, a un livello molto
più elevato del Ke.

3. Termini del contra?o e della quota azionaria: nel definire i termini del contra=o con cui
apportare il private equity all’impresa:
- l’inves)tore deve determinare quale percentuale del valore dell’impresa richiederà in cambio
dell’inves)mento in private equity;
- i proprietari dell’impresa devono determinare a quale percentuale sono dispos) a rinunciare in
cambio dell’ingresso nel capitale dell’inves)tore di private equity.

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4. GesEone dell’impresa: una volta che l’inves)mento in private equity è stato effe=uato, spesso
l’inves)tore assume un ruolo a?vo nella ges)one dell’impresa.
5. Uscita (way out): gli inves)tori in private equity investono in imprese non quotate con la
prospe?va di o=enere rendimen) eleva) dal loro inves)mento. Le forme assunte da tali
rendimen) possono essere di 3 )pi:
- IPO effe=uata dall’impresa non quotata (è la forma più lucra)va);
- vendere l’impresa non quotata a un’altra società;
- ri)rare i flussi di cassa dall’impresa e liquidarla nel corso del tempo.

IL PROCESSO DI RACCOLTA DEL CAPITALE: LA QUOTAZIONE DELL’IMPRESA E L’IPO

Per IPO (IniEal Public Offering) si intende la decisione di finanziare il proprio sviluppo aprendo
l’impresa ai merca) finanziari, tramite l’offerta di azioni secondo 3 diversi )pi:

• tramite OPV (offerta pubblica di vendita), a=raverso cui vengono cedute al mercato azioni già
emesse, senza eme=ere nuovi )toli;
• tramite OPS (offerta pubblica di so=oscrizione), con l’emissione di nuove azioni conseguen) ad
un aumento di capitale sociale che si configura come una vera e propria fonte di finanziamento;
• tramite OPSV (offerta pubblica di so=oscrizione e vendita), che è l’operazione che si verifica più
frequentemente e avviene in parte a=raverso la vendita di azioni e in parte a=raverso la nuova
emissione di )toli.

Il processo di preparazione di una IPO, facendo passare l’impresa da non quotata a quotata, si
compone di 5 fasi:

1. scelta della banca di invesEmento: nella maggior parte delle IPO, una banca di inves)mento
(sponsor) so=oscrive l’emissione e garan)sce un determinato prezzo per le azioni;
2. valutazione dell’impresa: viene effe=uata dalla banca d’inves)mento capofila sulla base delle
informazioni fornite dall’impresa emi=ente. Una volta s)mato il valore della società, si o?ene
il valore per azione dividendolo per il numero di azioni, determinato a sua volta sulla base
dell’intervallo di prezzo che l’impresa emi=ente desidera avere per le sue azioni. La maggior
parte delle banche d’inves)mento stabilisce il prezzo di offerta al di so=o del valore s)mato
per azione (cd. IPO underpricing) per 2 mo)vi:
- ciò consente di ridurre l’esposizione della banca al rischio;
- gli inves)tori e le banche d’inves)mento considerano come un segnale posi)vo eventuali
incremen) del prezzo subito dopo l’emissione.
3. sEma della domanda e decisione del prezzo o della “forche?a”: nello stabilire il prezzo di
offerta, le banche di inves)mento possono verificare in an)cipo la domanda da parte degli
inves)tori per il )tolo offerto. Può farlo in 3 modi:
- bookbuilding: serie di sondaggi presso gli inves)tori;
- road show: serie di presentazioni con le quali l’impresa emi=ente e la banca d’inves)mento
presentano le informazioni ai potenziali inves)tori;
- pre-marke)ng.

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4. invio della documentazione a SEC (USA) o a Consob e Borsa (Italia): deve contenere
informazioni u)li per i potenziali inves)tori azionari riguardo la rischiosità e le prospe?ve di
sviluppo dell’impresa.
5. assegnazione delle azioni al prezzo di emissione.

CosE della quotazione: sono di 3 )pi:

• cos) legali e amministra)vi: sono cos) fissi;


• commissione di so=oscrizione: spe=a alla banca ed è necessaria per coprire i cos) di
so=oscrizione, ges)one e vendita dell’emissione;
• cos) di underpricing: riguarda l’eventuale collocamento delle azioni al di so=o del valore di
mercato, perme=endo agli inves)tori di o=enere le azioni al prezzo di offerta e rivendendole a
un prezzo di mercato più elevato.

Emissioni azionarie secondarie: sono offerte azionarie supplementari effe=uate dalla imprese che
sono già quotate e possono avvenire per:

- so=oscrizione generica dire=a al grande pubblico: le azioni e le obbligazioni vengono offerte al


pubblico al prezzo di offerta garan)to dalla banca d’inves)mento;
- collocamento privato: i )toli vengono vendu) dire=amente a uno o a pochi inves)tori;
- emissione riservata agli azionis).

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