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Capitolo 2

Creazione di valore per il cliente


Nella prospettiva tradizionale l'impresa produce qualcosa e poi la vende, il marketing rientra nel processo di
vendita. Questa prospettiva virgola non funziona in economia in cui sono presenti tanti diversi tipi di
persona, ognuna con i propri desideri, le proprie percezioni, le proprie preferenze i propri criteri di
acquisto. Gli attori di successo in questi mercati sono in grado di progettare e distribuire offerte
differenziate per mercati obiettivo ben definiti. possiamo dividere la creazione di valore per il cliente in tre
fasi. La scelta o progettazione il valore rappresenta il “compito preliminare “ che il marketing deve svolgere
prima ancora che esiste un prodotto. I marketing manager devono segmentare il mercato, selezionare il
target appropriato e sviluppare il posizionamento dell offerta. La trilogia “segmentazione, targeting,
posizionamento “ e l'essenza del marketing strategico punto la seconda fase consiste nel fornire il valore; il
marketing deve determinare caratteristiche , prezzo e modalità di distribuzione dell'offerta. La terza fase
consiste nel comunicare il valore utilizzando la forza vendita, internet, la pubblicità, influenza Air e qualsiasi
altro strumento di comunicazione utile a promuovere l'offerta. il processo di creazione del valore per il
cliente inizia prima che vi sia un prodotto sul mercato e continua per tutto lo sviluppo anche dopo il lancio.

Catena del valore


Porter ha proposto la catena del valore quale strumento per identificare i modi con cui creare più valore
per il cliente considerando il tempo stesso le esigenze di creazione di valore per l'impresa.

Il successo dell’impresa dipende non solo da come opera ciascuna funzione aziendale, ma anche dal modo
in cui le differenti funzioni sono coordinate a livello aziendale per lo svolgimento dei processi operativi
fondamentali (core business processes). Tra questi vi sono:

1. Processo di ricognizione del mercato : tutte le attività connesse all acquisizione di dati e
informazioni di mercato e allo sviluppo ascolto dei processi decisionali basati su questi dati ;
2. processo di realizzazione delle nuove offerte: tutte le attività connesse alla ricerca, allo sviluppo e
al lancio di nuove offerte di alta qualità nei limiti del budget e dei tempi previsti;
3. processo di acquisizione dei clienti: tutte le attività connesse alla definizione dei mercati obiettivo e
alla ricerca di nuovi clienti;
4. processo di gestione delle relazioni con il cliente: tutte le attività connesse a una maggiore
comprensione del cliente, alla creazione di un rapporto più solido e alla formulazione di offerte
personalizzate;
5. processo di gestione degli ordini: tutte le attività connesse all’acquisizione e all’accettazione degli
ordini, alla fornitura dei beni entro i termini previsti e alla discussione crediti.
Le competenze chiavi, da non stare esternalizzare , hanno tre caratteristiche: (1) sono una fonte di
vantaggio competitivo perché contribuiscono in modo significativo al valore percepito dal cliente; (2)
trovano applicazione in un'ampia varietà di mercati ; (3) sono difficilmente riproducibili da parte dei
concorrenti ma sarebbero a rischio di imitazione qualora venissero trasferite presso imprese esterne.

Per il successo dell'attività di marketing sono necessarie capacità di comprensione, creazione e


distribuzione del valore per il cliente; Capacità da cui discendono, a loro volta, quelli di acquisizione e
mantenimento dei clienti. al fine di garantire la scelta e l'esecuzione delle attività appropriate per la
creazione di valore in marketing manager devono dare priorità alla pianificazione strategica considerando
tre punti chiave: (1) la gestione dei diversi business dell'impresa; (2) la valutazione dei punti di forza di
ciascuno di questi business, considerandole tasso di crescita e posizionamento dell'impresa; (3) la
definizione di una strategia.

La maggior parte delle grandi imprese è organizzata su quattro livelli: (1) impresa, (2) divisione, (3) business
unit, (4) prodotto, linea o marca. Più la direzione generale provvede a definire un piano strategico che Guidi
l'intera impresa e decide la quantità di risorse da allocare su ogni singola divisione, oltre a quali attività
avviare o eliminare. Ogni business unit sviluppa un piano strategico per svolgere la propria attività in modo
da ottenere profitto.

il piano di marketing rappresenta lo strumento principale per la direzione virgola il coordinamento e il


controllo dell'attività di marketing. opera su due livelli: strategico e tattico. Il piano di marketing strategico
definisce i mercati obiettivo e la value proposition dell'impresa, sulla base di un'analisi delle migliori
opportunità di mercato e della concorrenza. Il piano di marketing tattico Specifica le singole azioni di
marketing da realizzare per dare concretezza alla value proposition e raggiungere il mercato obiettivo.
(Caratteristiche del Prodotto ▪ Promozione ▪ Merchandising ▪ Prezzo ▪ Canali di Vendita ▪ Servizio)

Lo sviluppo dei piano strategici a livello di impresa e di divisione


La direzione si occupa di quattro attività essenziali nello sviluppo dei piani strategici:

1. definizione della missione dell'impresa;


2. identificazione delle business unit;
3. assegnazione delle risorse a ciascuna business unit;
4. valutazione delle opportunità di crescita.

1) Le organizzazioni elaborano definizioni formali della propria missione da condividere con i dirigenti,
i dipendenti e (in molti casi ) anche con i clienti. Una formulazione chiara e meditata della missione
crea nel personale il senso condiviso dell' obiettivo , della direzione verso cui marciare e
dell’opportunità da cogliere. La definizione di missione più efficaci presentano 5 caratteristiche
principali: (1) Si concentrano su un numero di obiettivi limitato; (2) Definiscono rigidamente le
politiche e valori principali dell'azienda; (3) definiscono i principali ambiti competitivi in cui opera
l'azienda; (4) presentano una visione a lungo termine; (5) sono il più possibile brevi, facile da
ricordare e significative.
2) le imprese spesso definiscono il proprio settore basandosi sui prodotti: sono nel “settore
dell'automobile” o “nel settore dell'abbigliamento “.la definizione di mercato obiettivo tende a
concentrarsi sulla vendita di un prodotto o di un servizio in un mercato . Pepsi definirà come
proprio mercato obiettivo Tutti coloro che bevono bibite analcoliche gassate e come concorrenti
tutti gli altri produttori di bevande analoghe. Le definizioni del mercato possono avere , ambiti più
ampi. Per esempio, adottando una definizione di mercato strategico ci si può basare non solo sul
mercato obiettivo, ma anche sul mercato potenziale. In questo caso, pepsi potrebbe considerare
come mercato tutti coloro che intendono bere qualcosa per dissetarsi. normalmente le grandi
imprese gestiscono attività piuttosto differenti ognuna delle quali richiede una propria strategia ad
esempio General Electric e giunta identificare 49 distinte SBU. una SBU possiede tre caratteristiche
fondamentali: (1) è costituita da un singolo filone di attività o da filoni correlati che possono essere
sottoposti a un processo di pianificazione indipendente rispetto al resto dell'impresa; (2) presenta
un proprio sistema competitivo; (3) è gestita da un manager di vertice che ne assume la
responsabilità per quanto attiene alla pianificazione strategica e alle performance, controllando di
conseguenza la maggior parte dei fattori che influenzano la redditività. lo scopo di identificare le
SBU è quello di sviluppare, per ogni singola attività, strategie separate ed effettuare un adeguata
allocazione delle risorse.
3) Una volta definite le SBU, i vertici aziendali devono decidere come allocare le risorse aziendali per
ciascuna unità. Un modello molto noto è la matrice BCG. tale matrice prendi in esame la quota di
mercato il tasso di crescita , impiegando gli indicatori di quota di mercato relativa, o sia rapportata
al principale concorrente virgola e tasso annuale di crescita del mercato come criteri guida per
prendere decisioni sugli investimenti, classificando le SBU come Dog, cash cow , question Mark e

star.
4) La valutazione delle opportunità di crescita include la pianificazione di nuove attività, la riduzione e
l'eliminazione di attività esistenti. Se si riscontra un divario fra il volume di vendita desiderato e
quello previsto, e necessario che il management sviluppi o acquisisca nuova attività per colmarlo.
Come può colmare il divario di crescita a partire dalla pianificazione strategica? la prima possibilità
consiste Nell identificare ulteriori opportunità di sviluppo nell'ambito delle attività che l'impresa già
svolge (sviluppo intensivo). la seconda alternativa prevede l'individuazione delle opportunità legate
alla produzione o all acquisizione di attività collegate a quelle già svolte dall' impresa (sviluppo
integrativo).Più la terza ipotesi prevede, un'analisi delle possibilità di ampliamento delle attività
che, malgrado non siano correlati all'attività tradizionale dell'impresa , presentano elementi di
interesse in termini di redditività (diversificazione ).
Lo sviluppo di piani strategici a livello di business unit

Analisi
ambiente
esterno
Mission
Business
ANALISI SWOT
Unit
Analisi
ambiente
interno

Missione della business unit


E’ necessario che ogni business unit sviluppi una missione specifica coerente con la più ampia e generale
mission aziendale.

Analisi Swot
La valutazione generale dei punti di forza e di debolezza, nonché delle opportunità e delle minacce viene
definita analisi svolte ed è un modo per monitorare l'ambiente di marketing esterno e Interno.

Analisi dell'ambiente esterno (Analisi delle opportunità /minacce )


Una business unit deve monitorare le forze chiavi del macro ambiente i principali attori del microambiente
che influenzano la sua capacità di conseguire profitti. Il marketing efficace coincide con l'arte di individuare
le opportunità, svilupparle e trarne profitto. Un'opportunità di mercato e’ un'area di interessi o di bisogni
degli acquirenti che possono essere soddisfatti dall' impresa in modo profittevole. Esistono tre fonti
principali di opportunità di mercato. La prima consiste nell offerta di un prodotto di scarsa disponibilità, la
seconda fonte è l'offerta di un prodotto o servizi Esistente in modo nuovo in grado di generare un valore
superiore per il cliente. Infine, si chiede ai consumatori di descrivere le fasi di acquisizione, utilizzo e
smaltimento il prodotto, integrando le loro risposte con accurate osservazioni. L'ultimo metodo spesso
conduce allo sviluppo di un prodotto un servizio completamente nuovo. i marketing manager devono
essere bravi nell individuare le opportunità di mercato. Consideriamo le seguenti possibilità:

 l'impresa può trarre vantaggio dalle tendenze di convergenza fra più settori con l'introduzione di
prodotti e servizi ibridi ancora assenti sul mercato.
 Gli impresa può rendere più comodo efficiente un processo d'acquisto.
 l'impresa può soddisfare un bisogno di informazioni e consulenza.
 l'impresa può personalizzare un prodotto o un servizio.
 L'impresa può introdurre nuove funzionalità.
 L'impresa può essere in grado di fornire un prodotto un servizio più rapidamente.
 l'impresa può essere in grado di offrire un prodotto a un prezzo inferiore.
per valutare le opportunità, le imprese possono utilizzare un metodo definito appunto analisi delle
opportunità di mercato, Che si basa sulle seguenti domande:

1. siamo in grado di formulare e proporre nuovi benefici in modo convincente per uno o più mercati
obiettivo?
2. la nostra impresa possiede o ha accesso alle risorse capacità necessarie per poter offrire tali
benefici?
3. siamo in grado di fornire al cliente questi benefici in modo migliore rispetto ai concorrenti attuali o
potenziali?
4. siamo in grado di individuare i mercati obiettivo e raggiungerli tramite media e canali di
distribuzione economici?
5. il ritorno sugli investimenti raggiunge il livello di redditività richiesto per effettuare l'investimento ?
Analisi dell'ambiente interno (analisi dei punti di forza e di debolezza)
Ogni business unit deve valutare i propri punti di forza e di debolezza per prepararsi a potenziare risorse e
competenze necessarie a cogliere le opportunità e ritorno annullare l'impatto potenziale delle minacce.
naturalmente l'impresa non deve correggere proprio tutti i suoi punti deboli, né dall'altra parte perdersi a
contemplare tutti i propri punti di forza appunto il problema critico per il marketing manager e decidere se
limitarsi a perseguire le opportunità per le quali l'impresa possiede già i punti di forza richiesti, o se
considerare anche quelli che potrebbero richiede di acquisire e sviluppare i sede capacità.

Formulazione degli obiettivi


l'impresa virgola dopo l'analisi swot, può procedere alla formulazione degli obiettivi, definendo obiettivi
specifici per il periodo considerato. La maggior parte le business unit persegue una molteplicità di obiettivi
quali la redditività, lo sviluppo delle vendite, la crescita della quota di mercato, il contenimento del rischio,
l'innovazione e la reputazione. Ciascuna business unit definisce questi obiettivi e poi applica un processo di
gestione per gli obiettivi ( MBO). gli obiettivi della business unit devono soddisfare quattro criteri:

1. gli obiettivi devono presentare una struttura gerarchia, secondo un criterio di importanza
decrescente.
2. Gli obiettivi devono essere espressi il più possibile in termini puntuali e quantitativi.
3. Gli obiettivi devono essere realistici.
4. Gli obiettivi devono essere coerenti.
Formulazioni delle strategie
La strategia rappresenta il modo in cui si intendono conseguire gli obiettivi prefissati. ogni unità di
pianificare una strategia per il raggiungimento dei propri obiettivi sviluppa una strategia di marketing e al
contempo una strategia tecnologica e una strategia di acquisizione delle risorse coerente e sostenibile.

Le strategie fondamentali di Porter


Porter ha proposto tre strategie fondamentali:

1. Leadership di costo. l'impresa opera per conseguire un livello minimo dei costi di produzione e
di distribuzione, così da poter praticare prezzi più bassi rispetto ai concorrenti e acquisire una
più elevata quota di mercato. L'importanza del marketing questo quadro strategico è minore.
2. Differenziazione. l'impresa si concentra sul raggiungimento di una performance superiore
rispetto ai benefici ritenuti rilevanti dai clienti rivolgendosi in taluni casi a molti diversi segmenti
di domanda. L'impresa deve realizzare prodotti con componenti migliori, assemblarli in modo
accurato, espressione attentamente e comunicarne modo efficace i benefici, funzionalità ,
differenziando l'offerta per i diversi gruppi di clientela.
3. Specializzazione. L’imprese si dedica soltanto uno comunque pochi segmenti di mercato e
punta ad acquisire una profonda conoscenza dei segmenti prescelto per poi perseguire, nei
confronti ciascuno di essi, una strategia di costo o di differenziazione.
Aliens strategica
Per operare in altri paesi, per esempio, le imprese sono spesso costrette a concedere licenze per i propri
prodotti, formare joint ventures con una o più imprese locali oppure acquisire una parte delle forniture in
loco virgola in modo tale riescono ottemperare alle condizioni poste da alcuni governi alle imprese
straniere. Molte alleanze strategiche assumono la forma di alleanze di marketing. Questi accordi rientrano
in quattro categorie principali:

1. alleanze di prodotto di servizio. Un'impresa concede un'altra la licenza per la realizzazione del
proprio prodotto, oppure le 2 imprese commercializzano congiuntamente beni complementari o
nuovo prodotto.
2. Alleanze promozionali. un'impresa accetta di promuovere i prodotti e i servizi di un'altra impresa.
3. alleanze logistiche. Un'impresa offre servizi logistici per i prodotti di un'altra impresa.
4. Alleanze di prezzo. Uno più imprese si uniscono per una collaborazione speciale sui prezzi.
Le imprese devono dimostrarsi creative anche nella ricerca di partner complementari, o si è in grado di
completare i propri punti di forza e bilanciare i propri punti di debolezza. Alleanze ben gestite consentono
alle imprese di ottenere un maggior impatto sulle vendite a costi più bassi. (PRM partner reletionship
managment)

Formulazione e attuazione dei programmi di marketing


Anche un eccellente strategia di marketing può essere vanificata da uno scadente processo di attuazione.
dopo aver formulato i programmi di marketing, quindi, è necessario progettare le attività esecutive e
stimare i relativi costi. Oggi le imprese si rendono conto che, se non coltivano le relazioni con gli altri
stakeholder ( clienti, dipendenti, fornitori, distributori ) rischiano di non ottenere utili sufficienti per gli
azionisti. Le prime tre ( strategia, struttura e sistemi gestionali ) sono considerate “la hardware “ del
successo. le rimanenti 4 (stile direzionale, capacità, personale e sistemi di valori condivisi) costituiscono il
software.

Monitoraggio e controllo dei risultati


Le organizzazioni, soprattutto quelle più grandi, sono soggetti all inerzia: è difficile cambiare una parte
senza dover modificare tutto il resto appunto tuttavia, il cambiamento generalizzato è possibile solo con
una leadership forte, che sappia comunicare visione e senso della missione, motivando il sacrificio che ogni
cambiamento comporta. una leadership, cioè virgola in grado di comunicare dipendenti, fornitori e talora
anche ai clienti la nuova vela proposition che il cambiamento porterà.

Lo sviluppo di piani livello di prodotto: struttura e contenuti di un piano di


marketing
Il piano di marketing è un documento scritto che riassume ciò che si conosce sul mercato e indica in modo
che impresa e ciascun marketing manager a cui viene assegnata una responsabilità di risultato prevede di
conseguire i propri obiettivi di marketing. Contiene indicazioni tattiche per sviluppare la strategia di
marketing è uno schema dell allocazione delle risorse finanziarie lungo l'intero periodo considerato. Il piano
di marketing è una delle più importanti manifestazioni del processo di marketing management. Fornisce
obiettivi e direzioni da intraprendere nella gestione di Marche, prodotti imprese nel loro complesso. Le
organizzazioni no profit lo utilizzano come guida per la raccolta di fondi e la programmazione delle attività;
gli enti pubblici e le istituzioni governative ce ne servono, per esempio, per favorire la consapevolezza dei
cittadini nei confronti dell alimentazione e per stimolare il turismo verso una data destinazione. Il piano di
marketing documenti il modo in cui l'organizzazione intende raggiungere i propri obiettivi strategici
attraverso specifiche strategie e tattiche di marketing, centrato sul cliente. Solitamente un piano di
marketing contiene le seguenti sezioni:

 Premessa generale e indice. il piano di marketing deve iniziare con un indice e un breve epilogo
dei principali obiettivi e delle linee strategiche.
 Analisi della situazione attuale. questa sezione contiene le informazioni di fondo relativo alle
vendite, ai costi, al mercato, ai concorrenti e alle varie forze del macroambiente.
 Strategie di marketing. In questa parte del piano il responsabile di marketing definisce la missione
e gli obiettivi finanziari e di marketing.
 Previsioni di conto economico. le proiezioni di carattere finanziario includono una previsione delle
vendite e dei costi, nonché un analisi del punto di pareggio ( break even Analysis). tra i ricavi sono
indicati il volume delle vendite previste per mese e per categoria di prodotto virgola e tra i costi
sono indicate le previsioni sui costi del marketing, suddivisi in vari componenti. Un metodo più
complesso per stimare la sostenibilità economica di un piano è l'analisi dei rischi, mediante cui si
ricavano tre stime ( ottimistica, pessimistica e più probabile ) per ogni variabile incerta che
influenza la redditività, assumendo un ambiente e una strategia di marketing per il periodo
considerato nella pianificazione.
 Controlli dell'attuazione. l'ultima parte del piano di marketing evidenza i controlli necessari a
monitorare e ad adeguare l'attuazione.
(SIM)- Il sistema informativo di marketing è suddiviso in: una parte più generale cioè la marketing
and customer intelligence e la parte più specifica che riguarda le ricerche di mercato.
A cosa serve un SIM (sistema informativo di marketing)? si tratta di un apparato, a volte anche
estremamente complesso, che serve a raccogliere e elaborare informazioni.
A cosa servono le informazioni? Fondamentalmente ad aiutare le decisioni di marketing. Quanto
più una decisione è basata su una serie di previsioni e di fatti corretti, tanto più quella decisione ha
probabilità di essere una buona decisione.
Quindi in sostanza il SIM è fondamentale per ridurre (mai eliminare) tutti i rischi e le incertezze
del management quando è impegnato ad assumere decisioni di marketing, soprattutto decisioni di
alto impatto (es. decisioni strategiche, entrata in nuovi mercati, lancio di un nuovo prodotto).
Facciamo alcuni esempi. Quindi le decisioni di marketing sono tante e riguardo diversi ambiti tra
loro collegati, pensiamo semplicemente alla scelta di perseguire una strategia di differenziazione
(far sì che il proprio prodotto venga percepito come unico rispetto ai concorrenti) e quindi, a
monte di una decisione del genere, devo raccogliere ed elaborare informazioni su tutti i prodotti
offerti dalla concorrenza (quindi devo capire quali sono i prodotti simili sul mercato, i prodotti non
simili da un punto di vista tecnico ma che il consumatore può percepire come sostituti del mio,
devo poi andare ad analizzare nel dettaglio quelle che sono le strategie dei miei concorrenti e le
loro politiche di comunicazione).
Una volta che ho queste informazioni, il più possibile corrette e complete, allora avrò maggiori
chance di formulare una strategia di differenziazione che sia efficace.
Pensiamo appunto alla progettazione di nuovi prodotti o anche operazioni di cosiddetto
riposizionamento (che a che fare con delle modifiche del modo in cui io voglio che i miei
consumatori percepiscano il mio brand) di una marca, ovviamente questa serie di decisioni deve
essere anticipata da un analisi informativa su quelli che sono i nuovi bisogni rispetto ai quali nuovi
prodotti devono essere progettati e, quindi, le informazioni che mi servono sono appunto
l'evoluzione dei valori, l'evoluzione e i cambiamenti nelle abitudini, degli stili di vita e anche
qualsiasi variabile di natura macro ambientale che sia in qualche modo rilevante.
Il sistema informativo di marketing (SIM) è una struttura integrata e dinamica (quindi è un’entità
permanente all’interno delle imprese di media e grande dimensione) che è formata da tre
elementi fondamentali: persone, tecnologie e procedure.
- Persone. In un’epoca di big data, sono sempre più essenziali persone che abbiano una
competenza elevata nei sistemi di analisi dati. Se pensiamo alle analisi che si fanno sui big data,
ormai moltissimi analisti provengono dal campo della fisica o della computer science, cioè sono
persone che hanno un training di elevatissimo livello nella gestione di modelli quantitativi.
- Tecnologie. Questo è un discorso, ovviamente, che riguarda tutti quegli algoritmi o altre
metodologie che consentono di raccogliere dati in quantità enorme, per poi elaborarli in maniera
automatica.
- Procedure.
In tale struttura, persone, tecnologie e procedure hanno il fine di raccogliere, selezionare,
analizzare, elaborare, valutare e trasmettere (diffondere) informazioni che siano utili al
management per prendere le decisioni. Questo è in sostanza il lavoro del sistema informativo di
marketing.
Il sistema informativo di marketing si compone di tre blocchi (ambiti, sottosistemi) a cui
corrispondono altrettante fonti di dati che, tutti insieme, concorrono a costruire l'informazione
sulla quale poi il management si basa.
- Il primo sottosistema è quello delle rilevazioni interne (o anche dette customer intelligence).
- Il secondo blocco è quello della cosiddetta marketing and competitive intelligence.
- Il terzo blocco riguarda nello specifico le ricerche di mercato.
La differenza tra i primi due, cioè tra customer intelligence e marketing and competitive
intelligence, e il terzo blocco, cioè le ricerche di mercato, è che: customer intelligence e marketing
and competitive intelligence sono sistemi che lavorano in background e in maniera continua, cioè
si tratta di un'attività di continua raccolta e elaborazione di informazioni. Questi due sistemi,
quindi, funzionano sempre e raccolgono dati in continuazione.
Il terzo sistema invece, delle ricerche di mercato, di solito ha un inizio e una fine. Cioè, i marketing
manager decidono che valga la pena mettere in piedi una ricerca specifica di mercato su una
determinata domanda di ricerca che sia rilevante e quindi la ricerca viene condotta (progettata ed
eseguita), i risultati vengono trasmessi al management e la ricerca si conclude.
Quindi, i primi due sistemi lavoro in continuo e invece il terzo ha un andamento più discreto nel
tempo.
1) Il primo sistema, la customer intelligence, non è altro che il database aziendale che l'impresa
gradualmente si costruisce mettendo dentro i dati dei clienti. Quindi, si chiama customer
intelligence perché riguarda i dati di chi è già cliente dell'impresa (o di chi lo è stato almeno una
volta). Es. ogni volta che acquistiamo qualcosa su Amazon, si crea un ciclo di informazioni (si crea il
nostro ordine, la spedizione fisica del bene, la fatturazione, il pagamento, ecc.), ogni momento di
questo ciclo crea delle informazioni che l'impresa registra e immette nel suo database che, così
facendo, nel tempo diventa sempre più ampio. Questo è il customer database, che viene creato in
maniera continua attraverso registri delle vendite e sul quale vengono fatte operazioni di
cosiddetto data mining (che è una sorta di “elaborazione intelligente” delle informazioni per
cercare di estrarre informazioni utili da capire, per esempio il profilo di ciascun cliente in maniera
dettagliata) per ricavarne conoscenza, cioè informazioni poi utili alla decisione.
Questo blocco riguarda però una fetta molto piccola dell'informazione di cui l'impresa ha bisogno
perché, come detto, riguarda chi è già cliente o comunque lo è già stato.
2) Il secondo blocco (forse quello più importante specialmente in un mondo che cambia in
maniera estremamente rapida) è la cosiddetta marketing and competitive intelligence. La
marketing intelligence è tutto quell’insieme di procedure, e ovviamente anche di fonti di dati, che
marketing manager usano per tenere costantemente sotto controllo gli sviluppi dell'ambiente in
cui l'impresa opera. Sostanzialmente questa operazione di sorveglianza dell'ambiente e delle
diverse aree del macroambiente avviene in maniera continuativa in modo da cogliere con rapidità
qualsiasi cambiamento, tendenza latente o novità appena questa si manifesta. La marketing
intelligence poi si distingue in quello che si chiama market sensing (che è proprio questa attività di
monitoraggio che coglie i cambiamenti) e poi nell’elaborazione e nell'analisi, non solo
automatizzata, che dovrebbe dare luogo al market insight, cioè ad una comprensione di cosa sta
succedendo e di cosa si prospetta nell’immediato futuro.
Si chiama marketing and competitive perché vengono captate informazioni sia dall'ambiente in
generale e sia dai concorrenti.

Quali sono le principali fonti della marketing and competitive intelligence? Sono diverse e tutte
importanti.
- Giornali e comunicazioni commerciali. Innanzitutto quello che potremmo definire come i media,
soprattutto la carta stampata distinta sia per l'informazione cosiddetta generalista e sia per tutto
quell’ambito delle comunicazioni di tipo commerciale. Quindi questa è una prima fonte di dati
importanti.
- Panel con i vari attori della filiera (consumatori ,fornitori, distributori ed eventualmente altri
partner). L'impresa può (anzi deve) creare quelli che si chiamano i panel. Un panel è un gruppo di
persone o di imprese che l’impresa seleziona, queste persone o imprese selezionate accettano di
far parte del panel e quindi accettano di venire periodicamente intervistati o ascoltati nel corso del
tempo. Ad esempio, se pensiamo al panel di consumatori, l'impresa seleziona un numero
abbastanza ridotto di consumatori (perché questa è un’indagine che non si può fare su grandissimi
numeri) fedeli e che consumano i prodotti dell'impresa in quantità abbastanza rilevante e li
intervista a periodi prefissati nel corso del tempo. Questo è un modo per far sì che i marketing
manager rimangano aggiornati su qualsiasi possibile cambiamento nelle tendenze, abitudini d'uso,
costumi, preferenze ecc. Quindi i panel che possono riguardare i consumatori ma anche i fornitori
(perché anche i fornitori possono dare input importanti, per esempio su eventuali cambiamenti
nei prezzi delle materie prime, eventuali movimenti rilevanti nei mercati di approvvigionamento),
distributori (sono coloro che hanno il contatto più diretto con il cliente finale e quindi è un attore
con informazioni molto preziose a disposizione che può trasmettere all’impresa attraverso i panel).
- Monitoraggio delle comunicazioni su internet. Questo è sempre più fondamentale. Il
monitoraggio deve avvenire in maniera molto continua per poter captare dei cambiamenti in
tempo reale.
- Avvalersi di specialisti esterni. Esistono consulenti che si occupano dell’aspetto relativo alle
ricerche di marketing, all'aspetto relativo a cogliere nuove tendenze, consulenti che fanno ricerche
generiche che vengono pubblicate (e che quindi possono essere utilizzate da tutte le imprese che
lo desiderano), oppure consulenti che vengono assunti su commissione per effettuare una ricerca
o per offrire una consulenza su una questione specifica che interessa l’impresa. Quindi specialisti
esterni che sono ovviamente da contattare, ci sono proprio grandi società di consulenza come la
Nielsen che sono specializzati in ricerche di mercato.
- Forza di vendita. Nei casi in cui quindi la forza di vendita è sotto il diretto controllo dell'impresa,
quindi quando l'impresa non si avvale di intermediari ma ha una propria rete di vendita. La forza
vendita è molto importante perché gli addetti alle vendite sono quelli che hanno il più stretto
contatto con il cliente finale e quindi sono persone che possono trasmettere ai marketing manager
informazioni preziose e fondamentali per captare nuove tendenze e modifiche nelle richieste o
nelle abitudini d’uso.
- Network di settore (o associazioni di settore e lobbying). Le associazioni di settore che vengono
create e mantenute apposta per condividere informazioni preziose che interessano tutte le
imprese di settore (es. Confindustria).
Ovviamente, parlando di marketing and competitive intelligence, non si può non menzionare
l'importanza della cosiddetta big data intelligence. La big data intelligence si può esplicare in tutti
e tre questi domini, quello in cui risulta più interessante e utile è proprio quello della marketing
and competitive intelligence (perché lì c'è la più grande mole di informazioni disponibile).
Quali sono le fonti per big data intelligence?
- Social Network.
- Blog Pubblici. Anche i blog sono molto importanti nel mondo della comunicazione odierna, cioè
nel mondo di internet 2.0.
- Siti di reclami. Soprattutto nel mondo anglosassone, esistono siti specializzati nel raccogliere i
reclami e le lamentele dei clienti insoddisfatti di quella determinata prestazione o di quel
determinato prodotto.
- Forum indipendenti. Si possono distinguere i forum di tipo “generalista” e i forum di tipo più
“specializzato”. Il mondo dei forum ha un po’ perso popolarità a seguito dell'avvento dei social
infatti molti forum, che erano creati su argomenti specifici, si sono un po' svuotati perché molti
utenti hanno preferito usare la funzione dei gruppi di Facebook.
- Siti specializzati in recensioni e siti specializzati che offrono opinioni di esperti. Se pensiamo, ad
esempio, a Trip Advisor, vi è una mole di dati nell'ambito del turismo che l'operatore del turismo
può reperire non solo, ovviamente, relativa a tutte le valutazioni che i clienti possono dare sulla
propria struttura ricettiva ma anche su tutte quelle dei concorrenti.
- Siti specializzati che raccolgono commenti e opinioni dei distributori e degli agenti di vendita.
Il mondo di internet è un mondo vasto e che tende a essere molto sempre più settorializzato e
specializzato, pertanto tutte queste sono fonti di informazioni importanti per le imprese per
quanto riguarda la funzione marketing.
Big data si riferisce al fatto che oggi con internet 2.0 ogni volta che compiamo una minima
operazione su internet noi lasciamo traccia di noi stessi. Questo genera una mole impressionante
di dati su di noi che vengono elaborati ed analizzati in maniera intelligente con algoritmi sempre
più sofisticati per pervenire a una conoscenza sempre più sofisticata e dettagliata di noi e di ogni
ambito della nostra vita che sia in qualche modo rilevante per il business.
Ci sono, ovviamente, grossi problemi di privacy perché possiamo intendere al consumatore come
una “vittima” di questo sistema. Ad esempio i dati sanitari, cioè i dati che complessivamente
denotano il nostro profilo sanitario, sono dati molto sensibili su cui alcune imprese, ad esempio le
compagnie di assicurazione, fanno si che ci sia un rischio di vedersi dei premi assicurativi
aumentati a fronte di informazioni che le compagnie riescono ad ottenere, ma anche che ci si
possa vedere negata un’assicurazione sanitaria perché la compagnia è in possesso di alcune
informazioni sul nostro profilo di rischio. Ovviamente, ci sono delle leggi a protezione della privacy
ma il problema è che non sappiamo fino a che punto queste vengano rispettate dato che non è
difficile entrare in possesso di dati sensibili.
Una delle attività prevalenti effettuate utilizzando i big data è quella della cosiddetta Sentiment
Analysis, cioè si cerca di elaborare questa mole di dati, ad esempio i nostri post su Facebook o i
nostri tweet su Twitter o i post su Instagram, per cercare di capire qual è il sentiment (cioè l’umore
prevalente degli utenti) prevalente in un determinato momento. Il sentiment Analysis cerca di
captare l’umore prevalente degli utenti soprattutto in corrispondenza di determinati eventi ad
esempio, in corrispondenza del lancio del nuovo modello di iPhone, si va a fare una sentiment
analysis prendendo i tweet di Twitter o i post di Facebook per capire, in tempo reale, qual è il
livello di gradimento dei primi utenti che si sono aggiudicati il nuovo modello per cercare di capire
qual è il rumore prevalente.
La sentiment Analysis si tratta di analisi sofisticate fatte attraverso algoritmi. Si parla di analisi
semantiche, statistiche e soprattutto di interpretazioni del linguaggio (perché il cuore di questa
analisi è proprio l'interpretazione del significato delle parole). Si tratta di quindi di algoritmi di tipo
semantico che devono andare innanzitutto a trovare quante volte viene usata una determinata
parola ma, a monte, ci deve essere una teoria su quale particolare tipo di emozione viene
associata a quella parola. Ad esempio, uno degli ambiti in cui si sono scatenati recentemente gli
analisti che si occupano di sentiment Analysis, è stata ovviamente la pandemia di covid-19,
soprattutto nella sua fase più acuta. La sentiment Analysis può essere fatta per eventi che possono
riguardare un ambito specifico di un particolare mercato o esclusivamente la singola impresa (es.
nell’occasione del lancio di un nuovo prodotto).
Nuovo tipo di approccio:
Quindi sostanzialmente il cosiddetto approccio big data impone anche una rivoluzione
copernicana del tipo di sequenza delle ricerche. Cioè con l’approccio tradizionale, i marketing
manager si ponevano delle domande e con quelle domande andavano dagli analisti per cercare le
risposte tramite ricerche di mercato. Con l’approccio big data invece si verifica il contrario, in
sostanza gli analisti forniscono una piattaforma che è in grado di pescare di tutto in questa mole di
dati enormi e, a quel punto, i marketing manager devono essere creativi a cercare di capire quali
domande vale la pena porsi e cercare la risposta in questa mole di dati. Quindi, con l’emergere dei
big data, è proprio approccio che cambia.
I big data servono sostanzialmente per queste operazioni, inclusa la cosiddetta sentiment Analysis,
che si chiamano complessivamente customer analytics.

La customer analytics è proprio questa analisi dei dati sul comportamento finalizzata offrire un
supporto alle decisioni manageriali. Quindi, la customere analytics fornisce supporto poi per quelle
che sono le decisioni strategiche cruciali quali la segmentazione e soprattutto la selezione dei
segmenti più promettenti.
ANALISI DEL MACROAMBIENTE (unità di analisi)
Come dicevamo le imprese usano la competitive and marketing intelligence come delle antenne
per captare qualsiasi tipo di cambiamento in atto. In questo senso è opportuno distinguere tra
diversi tipi dei cambiamenti, soprattutto nell'ambito dei fenomeni che possono essere anche
fenomeni di costume, ed è opportuno distinguere tra quelle che sono classificabili come mode, le
tendenze e le mega tendenze.
- moda. Per definizione, una moda è un comportamento che generalmente è passeggero (es.
nell'ambito del fashion la moda dura una stagione). La moda quindi è in genere un fenomeno
effimero, di breve durata e anche però difficilmente prevedibile. Cioè è molto difficile prevedere se
e come un determinato capo d'abbigliamento, comportamento, modo di parlare diventerà una
moda. Un esempio è la classica canzone che diventa il tormentone dell'estate, in realtà è molto
difficile prevedere perché quel pezzo è diventato un tormentone e altri pezzi simili no. Così come è
difficile prevedere se uno dei cosiddetti “film commerciali” avrà successo o meno al botteghino.
- tendenza. La tendenza, la differenza della moda, si basa su qualche motivo reale. Per esempio, la
tendenza che possiamo riscontrare più o meno tra tutte le società avanzate verso un minore
consumo del cosiddetto “cibo spazzatura” e un maggiore consumo di cibo biologico è una
tendenza che deriva da ragioni reali e concrete, cioè del fatto che i consumatori sono sempre più
informati dei danni alla salute che possono essere provocati dal cibo spazzatura e quindi cambiano
la loro alimentazione in una direzione più salutista.
- megatendenza. Le megatendenze sono quelle che riguardano il lungo periodo. Per esempio, la
tendenza verso le energie rinnovabili che esiste da decenni e che si suppone aumenterà in futuro.
Tendenza e mega tendenza sono entrambi fenomeni non effimeri e legati in genere delle ragioni
reali e sottostanti. La distinzione tra tendenze mega tendenza risiede nello spazio temporale.
Andiamo a vedere quali sono gli ambiti del cosiddetto macroambiente che l'impresa deve
costantemente monitorare. Le principali forze del macroambiente che l'impresa deve tenere
sotto controllo si possono riassumere in sei categorie:
- ambiente demografico. E’ fondamentale per l'impresa avere una panoramica sul tasso di crescita
di una popolazione, sulla suddivisione per fasce di età, sulla presenza di una diversa composizione
per etnia, sul livello di istruzione, sulla presenza di determinati modelli familiari. Le informazioni
sulle caratteristiche demografiche, per esempio di un paese, sono variabili che, a differenza di
altre, cambiano non nell’immediato (es. se il tasso di natalità in Italia è uno dei più bassi al mondo,
questo dato non cambierà nel giro di un anno), cioè sono variabili che si modifica abbastanza
lentamente e quindi consentono una maggiore pianificazione e prevedibilità.
- ambiente naturale. Cioè tutto ciò che concerne le tematiche ambientaliste. Qui possiamo
ricomprendere per esempio le pandemie, che sono chiaramente influenzate dall'azione dell'uomo,
e l'impatto che avrà il cambiamento climatico. L'ambiente naturale è legato anche all’ambiente
tecnologico perché i problemi innescati dal cambiamento climatico poi portano all’investimento
per esempio in tecnologie alternative.
- ambiente tecnologico. Significa monitorare qualsiasi tipo di innovazione che si prospetta.
Parlando dell’ambiente tecnologico gli ambiti in cui vedremo gli effetti di una nuova rivoluzione
tecnologica in un futuro prossimo saranno probabilmente ad esempio la robotica applicata in vari
ambiti, l'intelligenza artificiale, tutto il mondo della cosiddetta “internet of things” (cioè
l'intelligenza artificiale applicata agli oggetti di uso quotidiano), le tecnologie indossabili, le energie
rinnovabili. L’ambiente tecnologico è fondamentale perché attraverso le innovazioni crea non solo
nuove opportunità di business ma anche una crescente complessità e la formazione di veri e
propri ecosistemi (sistemi di imprese che collaborano nell'ambito di una innovazione tecnologica)
che si strutturano attorno a delle innovazioni.
- ambiente socioculturale. Cioè la persistenza o il cambiamento di valori sottostanti, l'esistenza o
la nascita di particolari subculture (o sottoculture, con cui ci si riferisce a culture specifiche di
gruppi specifici). E’ molto importante sfruttare l’emergere di sottoculture per poterle
opportunamente promuovere e cavalcare in chiave di marketing. Tra l'altro, l'ambiente
socioculturale, è molto importante ogni qual volta si ragioni sui mercati globali, quindi in quel caso
bisogna avere ben presente le principali differenze culturali rilevanti (es. lo spot di
Dolce&Gabbana, che nelle loro intenzioni doveva essere un atto di ammirazione per la cultura
cinese, venne interpretato come razzistico perché ritraeva quelli che secondo i cinesi erano degli
stereotipi).
- ambiente politico-istituzionale. Abbiamo l'ambiente politico-istituzionale con le attività di
regolamentazione, attività di lobbing e con le nuove leggi. Cioè, ad esempio, nel momento in cui vi
sia un determinato governo che decide un taglio delle tasse, tutto ciò avrà un’ovvia ricaduta a
livello economico.
- ambiente economico. Può cambiare in maniera anche repentina. Per esempio, la pandemia ha
determinato un crollo repentino dei consumi, con un conseguente aumento dei risparmi, e
ovviamente ha visto delle previsioni al ribasso per quanto riguarda il PIL. Tra questo rientrano le
variabili circa il livello di reddito prevalente, indice di occupazione, livello di risparmio, livello di
indebitamento, livello di ricorso al credito. Tali variabili attengono anche alla psicologia del
consumatore, (ad esempio per quanto riguarda la diversa propensione al risparmio un
consumatore che crea delle aspettative pessimista sul futuro tenderà a risparmiare di più). Quindi
sono variabili di carattere economico ma che hanno a che fare molto anche con la psicologia del
singolo.
Analisi della domanda
Nell’ambito delle parti di ambiente che è necessario monitorare, una menzione speciale deve
essere riservata all’ambito di mercato e, in particolare, all’analisi della domanda. Possiamo
distinguere due ambiti:
- analisi quantitativa della domanda (approccio strutturalista). Si traduce in una serie di indicatori
come la quota di mercato, la domanda potenziale e indicatori numerici come l’elasticità della
domanda. Tale analisi si può tradurre nella curva di domanda.
- analisi qualitativa della domanda (approccio comportamentista). Riguarda più la psicologia del
consumatore andando ad analizzare motivazioni, regole decisionali, ecc.
Parlando della misurazione e previsione della domanda a livello aggregato, quindi riferendoci
all’analisi di tipo quantitativo, dobbiamo tener presente che quando parliamo di domanda di
mercato bisogna stabilire a quale dimensione noi ci riferiamo. Questo perché, ci sono tre
dimensioni (o livelli) che bisogna decidere:
- livello temporale. Stiamo parlando della domanda che si esprimerà la prossima settimana, il
prossimo anno o nei prossimi dieci anni? Quindi la prima dimensione è quella temporale che
distingue domanda di breve termine, di medio termine o di lungo termine che ovviamente
possono essere molto diverse. Per esempio, la domanda di mascherine nel breve termine è
altissima ma si spera che nel medio-lungo termine vada quasi a zero.
- livello del prodotto. Io posso stimare ed essere interessato a stimare la domanda del singolo
articolo, della singola linea di prodotto (insieme di prodotti altamente correlati tra loro, cioè che
hanno la stessa funzione d’uso), complessiva dell’azienda (comprendendo tutti i prodotti offerti sul
mercato), dell’intero settore, delle vendite totali (se mi riferisco all’ambito macroeconomico).
- livello spaziale. La domanda può riguardare il singolo cliente oppure può riguardare la domanda
mondiale di un determinato prodotto, o linea di prodotto, ecc.
Devo quindi decidere queste tre dimensioni perché, ovviamente, a seconda dei valori che
assumono queste tre dimensioni avrò metodi di stima molto diversi e valori chiaramente diversi.
Quindi bisogna sempre riferirsi a queste tre dimensioni quando si parla di domanda.
Configurazione del mercato
-Il mercato potenziale è l’insieme di tutti i consumatori o degli acquirenti che sono
potenzialmente interessati ad acquistare un determinato bene o servizio. Quindi è il massimo
teorico raggiungibile. Quando un mercato sta raggiungendo il suo livello potenziale, quel mercato
si può dire che è saturo e quindi è un mercato in cui l’unica domanda che si può esprimere è una
domanda di cosiddetta “di sostituzione” perché ormai tutti i consumatori sono stati raggiunti da
quel prodotto (non c’è nessuno, o quasi, che non l’abbia acquistato) e quindi l’unica domanda che
questi possono esprimere è una domanda di sostituzione.
-Il mercato disponibile è un sottoinsieme del mercato potenziale fatto da quei consumatori che
hanno un effettivo interesse, reddito e accesso a una particolare offerta. In particolare, se c’è un
gap di potenziale, l’impresa può cercare di convincere con azioni di marketing coloro che
appartengono al mercato potenziale ma che non sono al momento interessati a quel prodotto.
-Il mercato target è quella porzione di mercato che l’impresa seleziona come suo target.
-Il mercato penetrato non è altro che un indicatore di risultato. Cioè, quanto la mia offerta è
riuscita a penetrare nel mercato? Quindi quanto effettivamente l’impresa ha raggiunto i risultati
prefissati.
La domanda di mercato (domanda primaria) non è immutabile ma è in funzione di due cose:
- sforzi di marketing o della singola impresa o dell’intero settore. Ovviamente, all’aumentare degli
investimenti in marketing, la domanda aumenta.
- dell’ambiente più generale che non è sotto il controllo dell’impresa.

Previsione di mercato: corrisponde in genere a un livello di vendite previsto in corrispondenza di


un livello di investimenti di marketing.
Potenziale di mercato: è il limite a cui tende la domanda di mercato quando gli investimenti in
marketing tendono all’infinito in un dato ambiente di mercato (e quindi quando la domanda non è
più espandibile). Un esempio è il mercato dei cellulari, il mercato del motore di ricerca, mercato
automotive.
L’indice di penetrazione nel mercato è il confronto (rapporto) tra il livello corrente della domanda
e il suo livello potenziale. Questo ci serve per capire quanto quel mercato sarà in grado di
espandersi nei prossimi anni. Questo è un indice che si usa anche nella famosa matrice del BCG.
Quando si ha un indice di penetrazione nel mercato molto basso vuol dire che quel mercato ha
ancora molta possibilità di espandersi prima di raggiungere il suo potenziale.
L’indice di penetrazione della quota di mercato di un’impresa non è altro che il rapporto tra la
quota di mercato corrente e quella desiderata (potenziale).

A cosa serve la misura della domanda potenziale? Serve per una serie di decisioni sia strategiche
che di tipo operativo, quindi è molto importante per l’impresa averne una stima perché riguarda le
decisioni relative all’introduzione di nuovi prodotti, l’allocazione degli investimenti, la
determinazione delle quote di vendita (per questo si usa in genere la matrice del BCG), decisioni
sulla localizzazione di nuovi impianti, attivazione di nuovi canali distributivi.
L’albero della quota di mercato è uno molto utile per raffigurare in maniera grafica e sintetica le
determinanti della quota di mercato di un’impresa.
supponiamo che un’impresa ha una quota di mercato (fatturato dell’impresa/fatturato dell’intero
mercato) del 7,6%. Questa quota di mercato finale, che può essere giudicata positiva (se l’impresa
è appena nata) o negativo, deriva da una serie di fattori che contribuiscono successivamente a
restringere il campo. Cioè si arriva a una quota di mercato del 7,6% scomponendo questo risultato
finale di quota di mercato nei fattori che hanno contribuito ad ottenerla. In questo esempio si
vede che dell’intero mercato potenziale solamente il 71% dei miei potenziali clienti è consapevole
dell’esistenza del mio prodotto (o brand). Questo significa che devo investire in comunicazione per
fare in modo che anche il 29% residuo mi conosca. Di questo 71%, il 46% mostra di apprezzare il
mio prodotto. Il restante non apprezza il mio prodotto, se voglio recuperare questi consumatori
che mi conoscono ma non sono interessati alla mia offerta devo operare su investimenti relativi al
prodotto (es. funzionalità tecniche, prestazioni, packaging, attributi simbolici). Di questo 46% che
conoscono e apprezzano la mia offerta, il 63% considera il prezzo accettabile ma il restante 37%
non sono disposti a pagare quel prezzo (cioè apprezzano la mia offerta ma ritengono che abbia un
prezzo eccessivo). Infine, di quei consumatori che mi conoscono, apprezzano la mia offerta e
ritengono che il prezzo sia adeguato (sono disposti a pagarlo), il 43% non trova il mio prodotto,
cioè c’è un gap nella distribuzione. Se voglio ridurre questo gap devo investire nel miglioramento
della distribuzione. Infine, quanti di questi consumatori che mi conoscono, sono soddisfatti, sono
disposti a pagare il prezzo e che lo trovano, restano consumatori fedeli? Il 65%. Questo è l’ultimo
gap che si evidenzia ed è l’ultimo punto su cui intervenite, devo potenziale la “retention strategie”
(politica di customer relationship management che punta a trasformare i clienti in clienti fedeli,
cioè punta a rafforzare la relazione con i clienti nel tempo).
Market Share = 7,6% = 0,71*0,46*0,63*0,57*0,65
Quindi, a partire dal 100% del mercato, siamo arrivati a una quota del 7,6% a causa di questi gap
che riguardano le 4P del marketing (product, price, place, promotion) più la quinta che riguarda le
strategie di fidelizzazione. Per arrivare a questa percentuale devo effettuare delle ricerche di
mercato cercando di capire dove devo intervenire e, soprattutto, dove è urgente intervenire.
Un indicatore molto importante è l’elasticità della domanda. Quando si parla di domanda si
enuncia la legge di domanda. La legge di domanda, che graficamente si esprime con la curva di
domanda, mi dice che c’è una relazione inversa tra prezzo di un bene e quantità domandata di
quel bene.
L’elasticità è un indicatore numerico che mi dice, tenendo conto da quanto affermato dalla legge
di domanda, di quanto quella domanda di quel particolare bene è sensibile a variazioni di prezzo.
Ci sono beni per i quali basta una variazione anche piccola del prezzo per spostare la domanda, e
beni rispetto ai quali la domanda, anche a fronte ad aumenti rilevanti del prezzo, resta
sostanzialmente stabile. Un esempio di bene di domanda rigida (o inelastica) sono le sigarette, ma
anche tutti i beni di prima necessità come la benzina; un esempio di bene a domanda elastica sono
i beni di largo consumo.
Stima della domanda futura di un bene è un’informazione fondamentale per un’impresa per tutta
una serie di ragioni e quindi è necessario stimarla nella maniera più accurata possibile. Per farlo, la
cosa migliore è usare una pluralità di metodi in quanto nessun metodo da solo assicura una misura
accurata.
- E’ possibile mettere in atto per esempio un’indagine sulle intenzioni di acquisto per cercare di
capire le intenzioni di acquisto del mio prodotto da parte dei potenziali consumatori.
- Inoltre, è molto importante sentire periodicamente le opinioni della forza vendita perché sono
coloro che hanno un contatto continuativo e diretto con il consumatore finale.
- E’ possibile anche raccogliere opinioni di esperti di società di consulenza che, su commissione,
svolgono stime richieste dall’impresa.
- Un altro indicatore da tenere in considerazione è l’analisi delle vendite passate, però con
l’accortezza di sapere che qualsiasi previsione futura che si basa sul passato per essere accurata
presuppone che ci sia una gradualità nel cambiamento (ma non è sempre così).
- Infine, è possibile effettuare dei test di mercato su aree di mercato, anche molto circoscritte,
analizzando i dati sulle vendite per un periodo di tempo.
Tutti questi sono strumenti che possono essere utili per stimare la domanda.
L’ultimo sottosistema che costituisce il SIM (sistema informativo di marketing) è dato dalle
ricerche di mercato (o ricerche di marketing).
Le ricerche di mercato, a differenza degli altri due sottosistemi, cioè il database dei clienti e la
marketing and competitive intelligence, vengono svolte se e quando c’è un obiettivo conoscitivo
specifico (quando c’è una domanda specifica che il marketing manager si pone e la cui risposta
necessita l’attivazione di una ricerca). Quindi, mentre gli altri due sottosistemi, sono sistemi che
funzionano sempre in background, le ricerche di mercato di solito hanno un inizio e una fine.
Quindi, attivo una ricerca di mercato se ho un obiettivo specifico conoscitivo che non è soddisfatto
dal semplice monitoraggio dell’ambiente.
La ricerca di marketing può definirsi quindi come una sistematica identificazione, raccolta, analisi e
presentazione di dati e informazioni che siano a supporto di una specifica decisione di
management.
Le ricerche le posso:
- condurre in proprio. Questo dipende dalle mie risorse interne. Le imprese di grandi dimensioni
hanno al loro interno degli analisti di mercato e un’intera sezione dedicata alla ricerca.
- affidare a società esterne specializzate. Ad esempio la Nielsen, o comunque società che, su
commissione, svolgono ricerche di mercato.
In entrambi i casi, il prodotto della ricerca dovrebbe fornirmi elementi di conoscenza importanti su
un aspetto dei miei potenziali clienti che mi serve poi per prendere delle decisioni strategiche.
Il processo di ricerca di marketing segue una sequenza ben definita.
- Il primo step è definire bene il problema e gli obiettivi della ricerca. L’obiettivo conoscitivo è uno
degli step più complicati.
- Sviluppare il piano di ricerca. Che comprende il tipo di dati che voglio utilizzare, come devo
raccoglierli, qual è il campione da testare, che tipo di analisi statistica voglio fare.
- Raccogliere le informazioni.
- Analizzare le informazioni. A seconda del tipo di dati che raccolgo user un’analisi diversa.
- Presentazione dei risultati
- Prendere la decisione. Questa spetta ai manager che, oltre alla decisione, devono spiegare anche
le implicazioni possibili dei risultati.
1) Riguardo la definizione del problema, delle alternative e degli obiettivi della ricerca, a
parte le ricerche che possono essere progettate per problemi di ricerca specifici, le altre
ricerche possono essere esplorative/descrittive oppure causali.
Le ricerche esplorative (o descrittive) sono ricerche che mirano a esplorare i contorni di un
fenomeno nuovo, o comunque ancora poco conosciuto. Possono essere esplorative
quando si riferiscono a un fenomeno nuovo, o semplicemente descrittive quando ho lo
scopo di descrivere ad esempio un determinato stile di vita. Queste ricerche possono
essere utili per prendere decisioni pratiche, senza però la volontà di testare una relazione
di causa-effetto tra le variabili.
Infatti, le ricerche che, in genere, hanno maggior valore sono le ricerche causali, cioè le
ricerche progettate in modo da testare l’esistenza di una relazione causa-effetto tra due
variabili. Queste ricerche sono, in genere, più complicate da portare avanti perché il
metodo di ricerca deve essere rigoroso e conforme al metodo scientifico (metodo generale
applicabile a qualsiasi ricerca, se le condizioni pratiche lo permettono, che mi dà la
possibilità di identificare una relazione causale). Un esempio di tale ricerca è la ricerca per il
vaccino contro il Covid. La fase di definizione degli obiettivi è la più importante.

2) Quando si sviluppa il piano di ricerca bisogna prendere delle decisioni per esempio su quali
fonti di dati utilizzare (dati primari o dati secondari). La differenza sta nel fatto che i dati
primari sono dati che raccolgo io in prima persona, i dati secondari sono dati raccolti da
altri e quindi dati preesistenti.
Poi devo decidere l’approccio, che è strettamente collegato alla tecnica o allo strumento
che decido di utilizzare. Se voglio adottare un approccio di tipo qualitativo, allora potrò
usare per esempio il metodo delle interviste, il metodo dell’osservazione, sondaggi, ecc. Se
invece uso approcci quantitativi allora userò un questionario.
Devo decidere il campione da esaminare, che dipende strettamente dalle decisioni prese
nella fase precedente. Se voglio condurre una serie di interviste in profondità, esaminerò
un campione più limitato; viceversa, se decido di fare un questionario, posso provare ad
esaminare un campione più ampio.
Infine, il metodo di contatto che può essere: telefonico, online, di persona, ecc. Questo
dipende dal tipo di decisioni prese in precedenza.

3) Poi c’è la fase di raccolta dei dati e delle informazioni. Questa è una fase molto delicata
perché è la fase in cui c’è la maggiore probabilità di commettere degli errori. Per cui è
molto utile pianificare molto bene le fasi precedenti.

4) Poi c’è la fase di analisi dei dati e delle informazioni che è anch’essa molto delicata perché
i dati devono essere contestualizzati e analizzati, quindi devo sapere bene cosa devo
cercare tra i dati a disposizione.

5) Per finire vi è la presentazione dei risultati che è importante perché è una fase di
comunicazione all’esterno di ciò che si è fatto. Quindi la comunicazione dei risultati deve
essere sempre inserita all’interno di una storia, spiegando le motivazioni alla base della
ricerca, i risultati principali e , soprattutto, dare sempre importanza a quelle che sono le
implicazioni pratiche (dato che lo scopo ultimo è quello di aiutare il management a
prendere decisioni).

6) La fase finale è la fase di presa di decisione che però, in genere, non compete a chi ha
svolto la ricerca.
La ricerca QUALITATIVA è lo strumento preferibile ogni qual volta si vuole acquisire una
conoscenza approfondita, sfaccettata, dettagliata di un fenomeno. Questo è il più importante
vantaggio della ricerca qualitativa sulla ricerca quantitativa. Conoscenza approfondita vuol dire per
esempio nel caso dello studio di un consumatore in relazione a un prodotto, capire quali sono le
percezioni del consumatore su quel prodotto, le motivazioni superficiali e profonde che spingono
all’acquisto di quel prodotto, quali sono gli aspetti di quel prodotto che il consumatore valuta
maggiormente, ecc.
Il principale svantaggio della ricerca qualitativa è che, in genere, ha una scarsa generalizzabilità.
Cioè, siccome la ricerca qualitativa per sua natura, viene svolta su piccoli campioni di partecipanti
e quindi proprio perché i campioni in genere sono limitati, allora i risultati che si ottengono non
sono così facilmente generalizzabili all’interno di una popolazione di cui mi interessa conoscere il
comportamento (più piccolo è il campione, più ho un problema di scarsa rappresentabilità).
La ricerca quantitativa è invece l’opposto.
Altra caratteristica specifica della ricerca qualitativa, è che è fondamentale la bravura del
ricercatore nella fase di raccolta dei dati.
Inoltre, nella ricerca qualitativa proprio perché il dato raccolto è un dato molto ricco, dà una
visione complessiva di un fenomeno.
Gli approcci alla ricerca qualitativa sono: intervista, focus group, osservazione, ricerca
etnografica/netnografia.
-L’intervista, che in genere si chiama “intervista in profondità”, è, di solito, personale (svolta faccia
a faccia) in un rapporto a due (perché con questo rapporto diretto è possibile cogliere aspetti può
profondi) ed è in genere semi-strutturata (l’intervistatore non ha la lista completa di tutte le
domande, ma ha una traccia da seguire) e, a volte, completamente de-strutturata.
Nel corso dell’intervista, oltre a quello che l’intervistato dice, c’è la possibilità di cogliere altre
informazioni che attengono all’ambito della comunicazione non verbale (es. l’aspetto esteriore, la
postura, i movimenti del corpo, la mimica del volto, lo sguardo, i gesti, ecc). Spesso infatti le
interviste vengono videoregistrate per non perdere questo aspetto relativo alla comunicazione
non verbale.
In genere si stila una traccia di intervista che aiuta l’intervistatore a non perdere il filo e,
soprattutto, a toccare tutti i punti essenziali. In genere si comincia con domande abbastanza
descrittive e generali per poi passare alle domande che più interessano gli obiettivi della ricerca
(cioè c'è una sorta di progressivo approfondimento andando dal generale al particolare).
Il focus Group, o intervista di gruppo, rispetto all’intervista individuale ha la differenza che non si
intervista un partecipante ma un piccolo gruppo rispetto al quale l’intervistatore funge da
moderatore nel cercare di condurre la conversazione.
Il focus Group, rispetto all’intervista individuale, ha il vantaggio di essere più economico e di poter
condurre la ricerca in termini più rapidi (perché nella stessa unità di tempo si intervistano più
persone). Al tempo stesso c'è un’ulteriore ricchezza dell’informazione che si ottiene perché la
differenza fondamentale tra il focus Group e l'intervista individuale è che nel focus Group, essendo
un’intervista di gruppo, quello che conta è che stimola ulteriormente le risposte e l'interazione fra
le persone.
Se è vero che l'esistenza del gruppo può stimolare ulteriormente le persone a parlare, è anche
vero che questo dipende molto dalle caratteristiche individuali dei partecipanti (c'è chi è stimolato
e c'è chi invece e intimidito).
-Vantaggi: stimola l'interazione sociale; maggiore flessibilità indotta dall'influenza di gruppo; tempi
rapidi a costi contenuti.
-Svantaggi: inibizione da gruppo; meno efficace su alcuni target; minor grado di controllo e
maggiore complessità logistica.
Il focus Group è uno strumento molto complesso da saper gestire, il moderatore deve infatti
essere in grado di massimizzare i vantaggi e minimizzare gli svantaggi.
L'osservazione è un metodo che appartiene alla famiglia di metodi di ricerche qualitative e che è
mutuato dall’antropologia. Se pensiamo al mystery shopping (metodo di indagine attraverso la
quale un ricercatore, ma anche un esponente di un’impresa concorrente, va in un punto vendita
fingendo di essere un cliente in modo da elaborare in un secondo momento i dati ottenuti), questo
è un esempio di osservazione. Nel caso del mystery shopping l'osservatore è nascosto, mentre in
altri casi l'osservatore rivela la sua identità.
L’etnografia è anch’essa mutuata dall’antropologia. Il metodo etnografico combina l'osservazione
con lo studio dei documenti e quindi per esempio, traslato nel marketing, io posso andare a
studiare un determinato fenomeno di mercato sia andando a osservare i partecipanti a quel
particolare fenomeno, e sia andando a fare un'analisi dei loro testi (blog, siti, ecc.).
Il metodo prevede la combinazione dell’intervista in profondità con l'osservazione partecipante e
l'analisi documentaria, in quanto le tracce della cultura di un individuo si riscontrano anche nel
contesto in cui questi vivono e negli eventuali documenti prodotti e utilizzati.
Caso Facebook
Un altro esempio di ricerca sperimentale. Facebook ha preso un gruppo di utenti e li ha divise in
due secondo un criterio casuale. Al primo gruppo venivano presentati post che suscitavano
emozioni positive, mentre agli altri erano sottoposti dei post suscitanti emozioni negative. Si è
visto che le emozioni erano contagiose influenzando le sensazioni e i pensieri degli utenti. Cioè, le
persone esposte ai post che suscitavano emozioni positive erano più propense a condividere e a
mettere like ai post, mentre le persone esposte ad emozioni negative tendevano ad esternare
emozioni negative anche nei loro post. Questo caso è stato oggetto di numerose critiche dato che
questo esperimento, riguardante la manipolazione delle emozioni degli utenti, era condotto
all’oscuro dei partecipanti a cui erano sottoposti i posts. Facebook inoltre, con questo esperimento
non ha violato nessuna legge ma ha violato alcuni dei principali criteri etici tra i quali, per esempio,
i codici di condotta delle diverse società di ricerche di mercato.

Marketing 24-09

Per la ricerca qualitativa lo strumento principe è la cosiddetta intervista in profondità, il focus Group,
l'osservazione e quella che si chiama ricerca etnografica (o etnografica se viene svolta prevalentemente sui
documenti).
Sull’intervista abbiamo visto le principali caratteristiche la cosa importante è elaborare una traccia di
intervista che sia certa di includere tutti i punti che l'intervista deve toccare (che ovviamente dipendono
dagli obiettivi dell’intervista). La traccia è importante perché non si tratta di un intervista rigida e codificata
le cui risposte sono basiche ma si tratta, di solito, più di una sorta di conversazione il cui scopo è quello di
far parlare intervistato il più possibile aiutandolo ad esternare motivazioni, pensieri e credenze magari
anche non consapevoli (si chiama infatti intervista in profondità proprio per questo motivo).
Ci sono alcune tecniche retoriche per approfondire ulteriormente eventuali punti interessanti per condurre
l'intervista, utilizzate anche dai giornalisti: quando intervistato finisce la risposta a una determinata
domanda se si vuole che l'intervista tu vada più a fondo rispetto a quanto già detto, si prendono le sue
ultime parole e le si riformano in maniera interrogativa.
I dati che si ricavano sono molto ricchi e complessi che poi devono essere analizzati con gli opportuni
strumenti.

Il secondo strumento è il focus Group che si distingue dall'intervista per il fatto che riguarda un gruppo di
persone e non un individuo.
Ha tra i suoi vantaggi principali il fatto di essere, in un certo senso, più economico perché in una stessa
seduta si intervistano più persone (e quindi anche i tempi si comprimono rispetto all’intervista individuale)
e ha come ulteriore elemento di ricchezza del dato il fatto che si produce informazione non solo tramite
quello che ognuno degli intervistati dice ma anche tramite la relazione che si instaura tra i diversi
partecipanti (quindi c'è un elemento relazionale che rende il dato ancora più ricco) in modo da stimolarsi a
vicenda.
Naturalmente qui è ancora più importante e delicato il ruolo dell’intervistatore che agisce più che altro
come moderatore che deve stare attento ad evitare che poi la discussione di gruppo vado fuori tema e che
l'intervista di gruppo tocchi tutti i punti che è necessario toccare per gli obiettivi della ricerca.

Per l’osservazione i dati si raccolgono osservando. Ci può essere l'osservazione partecipata o non
partecipata.
Quella partecipata e quella degli antropologi che passano del tempo a vivere all'interno di comunità e, al
contempo, osservano e registrano una serie di comportamenti.
Ci può essere poi un'osservazione più distaccata con un osservatore che si limita, appunto, l'osservatore
senza partecipare.
Anche qui, l'informazione da osservare e registrare, dipende strettamente dagli obiettivi della ricerca. Se
non si hanno chiari gli obiettivi, non si sa nemmeno su che cosa concentrare la sua attenzione e quindi si
finisce per essere dispersivi.

L'etnografia è anch'esso un metodo utilizzato dall’antropologia culturale. L'etnografia non è altro che una
combinazione di osservazione più un’analisi testuale dei documenti.
Quando si parla delle tribù studiate dagli antropologi i documenti spesso non sono documenti scritti ma
sono artefatti, mentre nel caso del comportamento dei consumatori ci si riferisce soprattutto, per esempio
nel caso delle ricerche sul web, ai blog, forum dedicati, gruppi Facebook e tutti quei luoghi virtuali dove si
incontrano per esempio gli appassionati di una determinata attività, brand, o prodotto che si scambiano i
pareri. Tutte queste conversazioni sono documenti testuali che l’etnografo può andare ad analizzare
esattamente come fa l'antropologo.

Altre ricerche più specifiche che vengono portate avanti sono: (tecniche di ricerca qualitativa)
- il laddering. Che è un'intervista che prevede una serie di step successivi fino ad andare sempre più in
profondità nel ricercare le motivazioni più profonde, e quindi spesso inconsce, che spingono il consumatore
a consumare un determinato prodotto.
- critical incident technique. Consiste nel far raccontare al consumatore un esperienza positiva o negativa
riguardante l’uso del prodotto
- protocol analysis. E’ una variante di un esperimento di laboratorio. Con l'analisi di protocollo si chiede in
genere a un soggetto di operare una scelta ipotetica tra due prodotti diversi (o tra due brand diversi di uno
stesso prodotto) esplicitando a voce alta il ragionamento mentale che lo porta a scegliere l'uno o l'altro.
Con questa analisi si mira a individuare quello che è il processo decisionale, cioè la sequenza di operazioni
che portano il consumatore a scegliere il prodotto X piuttosto che il prodotto Y.
- associazione di parole. Dire un gruppo di parole al cliente e analizzare le prime cose che gli vengono in
mente.
- tecniche proiettive. Raccontare l’inizio di una storia e lasciarla continuare al cliente.

Passiamo alla ricerca QUANTITATIVA.


*Mentre la ricerca qualitativa consente una conoscenza molto approfondita di un fenomeno (perché si va
molto in profondità) ma ha come principale limite quello di essere poco generalizzabile (perché tipicamente
i campioni di partecipanti, su cui si esercita quel tipo di ricerca, sono campioni piccoli), la ricerca
quantitativa ha le caratteristiche opposte.*
La ricerca quantitativa è molto più generalizzabile, cioè i risultati ottenuti con la ricerca quantitativa,
essendo la ricerca svolta su campioni più ampi di partecipanti, assicura che i risultati abbiano un grado
maggiore di generalizzabilità (cioè quello che ottengo è un risultato più robusto e che quindi con maggiore
probabilità può essere attribuito all'intera popolazione di riferimento).
La ricerca quantitativa però ha come principale limite il fatto che il dato ottenuto dalla ricerca quantitativa è
un dato più povero di contenuto, non è un dato così approfondito, dettagliato e sfaccettato.

Spesso, quando parliamo di ricerca quantitativa, parliamo del questionario che è lo strumento principale.
Bisogna decidere preliminarmente che tipo di informazione mi serve, che è quella strettamente funzionale
al tipo di obiettivo che ho (cioè, se devo testare una serie di ipotesi, devo essere sicuro che con il mio
questionario sono in grado di raccogliere tutta e solo l'informazione che mi consente di testare le mie
ipotesi).
Costruzione del questionario.
1) decisioni preliminari.
- chiarire l'informazione richiesta in base agli obiettivi.
- delimitare bene il target (es. popolazione generale, specifico target di consumatori di una certa fascia di
età, di un certo reddito, ecc.)
- scegliere il metodo di contatto. Chiaramente, spesso il target e il metodo di contatto vanno insieme.
2) Decidere il contenuto di ogni singola domanda.
- per ogni domanda dobbiamo chiederci se è strettamente necessaria. Questo perché non ha senso inserire
troppe domande in quanto possono risultare inutili per i miei obiettivi e possono far sì che la persona che
deve compilare il questionario inizi a rispondere non prestando più attenzione (più il questionario è lungo,
più la persona risponde a caso o addirittura interrompe e non lo conclude).
- per ogni domanda dobbiamo chiederci se è sufficiente ad ottenere il dato che mi serve per quella ipotesi.
- per ogni domanda dobbiamo chiederci se l’intervistato è in grado di rispondere correttamente o se è
disposto a rispondere correttamente. Quindi, per ogni domanda, devo chiedermi se è formulata in modo
adeguato e se crea il rischio di essere una domanda o troppo personale o che mette in gioco variabili
sensibili rispetto alle quali un individuo può essere restio a dire la verità (spesso le persone non rispondono
in maniera veritiera perché tendono a dare un'immagine di sé migliore di quella che è in realtà).
3) Decisioni su come verbalizzare le domande.
- la domanda deve essere formulata in un modo il più possibile neutro, cioè in modo da evitare di suggerire
la risposta.
4) Decisioni sul formato della risposta. In questionari hanno questi formati abbastanza tipici:
- risposta aperta. La domanda a risposta aperta lascia più libertà a chi risponde però, chiaramente, la
risposta è più difficile da analizzare.
- risposta a scelta multipla. E’ la più frequente.
- dicotomica. Cioè che ci sono due alternative (generalmente “sì” o “no”).
- a scala di Likert. Dove una persona esprime il suo grado di accordo o disaccordo relativamente a
un’affermazione o un'opzione.
Anche qui, la tipologia di domanda dipende dai nostri obiettivi.
5) Decisioni riguardanti la sequenza delle domande.
E’ stato dimostrato che la particolare sequenza con cui un intervistato si trova le domande può influenzare
le risposte. Un esempio può essere fatto citando un famoso esperimento fatto da Daniel Kahneman che
prevedeva un questionario fatto su due campioni di studenti. In una delle due versioni del questionario
c'era la domanda “quanti dates hai avuto gli ultimi tre mesi?” e, la domanda successiva era “quanto ti senti
felice?”, mentre all'altro campione di studenti, la domanda “quanto ti senti felice?” era la prima della lista,
cioè non era preceduta dalla domanda sui dates. Succedeva che, nei due campioni cambiava molto la
risposta alla domanda “quanto ti senti felice?” ma, la cosa più interessante era che sostanzialmente la
risposta alla domanda sulla felicità era fortemente correlata alla risposta precedente. Questo significa che
in chi svolge il questionario si attiva una riflessione su un particolare aspetto della felicità e quindi, nel
rispondere alla domanda successiva, lo studente era influenzato dalle sue riflessioni. Mentre, nel caso in cui
la domanda sui dates non c'era, quello studente dava una risposta più generica.
Quindi, il fatto che ci fosse una correlazione tra la risposta sui dates e il livello di felicità percepita sta ad
indicare che la sequenza delle domande può influenzare le risposte.
6) Tenere conto delle decisioni riguardanti il layout del questionario.
Deve essere semplice da compilare e, soprattutto, deve essere chiaro.
7) Pretest e revisione.
E’ fondamentale sottoporre un questionario a un campione, anche molto limitato di persone, per
evidenziare eventuali punti poco chiari.

10 regole per costruire un buon questionario.


- definire chiaramente gli obiettivi formativi.
- collegare ogni domanda e ogni sezione del questionario a uno degli obiettivi. Questo per evitare di inserire
domande che non servono e che allungano inutilmente (e quindi rendono più noioso) il questionario.
- controllare l'ordine delle domande.
- controllare che non ci siano ripetizioni, incoerenze, sovrapposizioni. Evitare quindi di porre la stessa
domanda più volte ma formulata in modo diverso.
- prevedere tutte le possibili risposte.
- misurare il tempo necessario per la lettura le risposte. Quindi stimare un tempo di completamento del
questionario.
- definire in anticipo una griglia di interpretazione delle risposte. Questo sarà fondamentale per l'analisi
successiva.
- effettuare un test di prova del questionario.
- definire le istruzioni per l’intervistatore. Questo è molto utile nel caso in cui si chieda a qualcun’altro di
sottoporre il questionario per conto nostro.

Tipi di domande.
A risposta chiusa:
- dicotomica. Si hanno due risposte possibili: sì o no. Si può usare solo quando “si” e “no” sono le uniche
due risposte possibili ed esaustive.
- a risposta multipla. Sono quelle più comuni. Qui, bisogna stare attenti alla possibilità di includere tutte le
possibili risposte oppure la possibilità di rispondere “altro” rispetto le risposte già presenti tra le opzioni.
- scala di Likert. Esprime in valore numerico l'intensità di accordo o disaccordo rispetto a una determinata
affermazione.
- differenziale semantico. E’ una scala inserita tra due parole che corrisponde al nostro livello di accordo
con questi due aggettivi antitetici. Questa è una tipologia di risposta che ha il vantaggio di essere molto
flessibile perché addirittura teoricamente fornisce un'infinità di risposte (in quanto è una linea continua),
però poi, se il ricercatore inserisce una domanda di questo tipo, deve sapere come analizzare le risposte.
- scala di importanza.
- scala di valutazione.
- scala delle intenzioni d'acquisto.
A risposta aperta:
- associazione di parole. Questo è possibile inserirlo se si ha ex-ante le idee molto chiare su quelle che
potrebbero essere più frequentemente le parole associate alla parola in questione. Qui l'analisi delle
risposte potrebbe essere più facile perché si potrebbe fare una lista delle parole più frequenti.
- completamento di frasi.
- completamento di storie.

L'altra cosa da decidere sono i criteri di campionamento.


I criteri più utilizzati sono:
- campionamento casuale semplice. Significa totale casualità delle estrazioni e cioè che ogni membro della
popolazione di riferimento ha la medesima probabilità di venire estratto per partecipare al questionario.
Questo non è semplicissimo nella pratica perché bisogna avere la possibilità concreta di poter contattare
qualsiasi membro della popolazione che ci interessa studiare.
- campionamento casuale stratificato. Per il quale prima la popolazione viene suddivisa in sottogruppi che
siano omogenei rispetto a una caratteristica e poi, all'interno di ogni sottogruppo, si effettua l'estrazione
casuale. Tale campionamento è stato utilizzato per esempio dall’Istat per effettuare l'indagine
epidemiologica sul Covid. Tale campionamento è utile quando si fanno indagini molto complesse e si vuole
avere una risposta accurata per categorie di riferimento.
- campionamento per convenienza. In sostanza il campionamento non è del tutto casuale ma vengono
selezionati quei membri della popolazione di riferimento che sono più facili da reperire in base ai tempi
della ricerca. E’ quello più comunemente utilizzato perché quello che presenta i maggiori vantaggi dal
punto di vista pratico.
- panel. Un panel non è altro che una forma di campionamento che prevede il riutilizzo dello stesso
campione nel tempo. Quindi, le ricerche effettuate mediante panel sono ricerche tendenzialmente più
lunghe perché gli scopi della ricerca prevedono che si debba selezionare inizialmente il campione a cui
supponiamo di somministrare il questionario (o l’intervista, ecc.) e, questo stesso campione di cui quindi
bisogna tenere traccia, viene testato in un secondo momento a distanza di tempo. Quindi panel vuol dire
seguire lo stesso campione nel tempo e utilizzarlo periodicamente per delle indagini per le quali si suppone
si voglia vedere l'andamento di qualche variabile nel tempo.

Nell'ambito delle ricerche quantitative bisogna menzionare il neuromarketing perché è entrato tra i
principali metodi di ricerca, così come la neuroscienza è entrata in tutte le scienze sociali.
La neuroeconomia, di cui il neuromarketing fa parte, è un campo interdisciplinare (transdisciplinare) perché
si usano tecniche e conoscenze che vengono dalla medicina e, in particolare, da quella branca della
medicina che studia il funzionamento del cervello.
Quindi, in sostanza, le neuroscienze ci dicono che appunto spesso il nostro processo decisionale è guidato
dalle emozioni delle quali non siamo nemmeno pienamente consapevoli e quindi la neuroeconomia, e il
neuromarketing, usa le tecnologie i metodi delle neuroscienze per cercare di capire quali aree del cervello
vengono attivate quando compiamo determinate scelte (o quando veniamo esposti a determinati stimoli di
marketing).
Questo è un campo molto affascinante ma sul quale ci sono anche delle considerazioni etiche da fare
perché lo spazio di manipolazione è molto ampio.
Le tecniche utilizzate nel neuromarketing sono quelle tecniche che vanno ad indagare le reazioni corporali.
La più costosa, e anche la più invasiva, di queste tecniche è la cosiddetta “risonanza magnetica funzionale”.

La fase 4 è quella di analisi dei dati.


L'analisi dei dati si riferisce proprio alle varie tecniche di analisi statistica o econometrica: analisi univariate,
analisi bivariate, analisi multivariate. Tra le tecniche più utilizzate per i questionari c'è sicuramente la
regressione che è in grado di ricostruire un modello causale, cioè un modello che identifica una relazione di
causa-effetto tra una variabile dipendente è una variabile indipendente (o più variabili indipendenti).

E’ importante sottolineare anche la fase di presentazione dei risultati perché, una volta che si hanno le
analisi, bisogna scegliere le analisi più appropriate e scegliere anche la modalità di presentazione dei
risultati che sia più appropriata. E’ molto importante la scelta del format con cui presentare i risultati,
specialmente nei contesti professionali in cui chi ascolta la presentazione, in genere, non ha tempo di
perdersi nei dettagli e quindi dobbiamo trovare il modo di presentare i risultati in maniera molto sintetica
ed efficace.
E’ inoltre molto importante inserire risultati all'interno di una storia (evidenziando bene le motivazioni alla
base dello studio, il metodo che abbiamo scelto, ecc.) e poi presentare i principali risultati (in genere si
presenta prima una sintesi descrittiva dei principali risultati e poi la parte più di test delle ipotesi).
Può essere utile riferirsi allo storytelling, cioè l'utilizzo di tecniche di comunicazione ispirate alla letteratura.
Inserire la presentazione di una ricerca all'interno di uno storytelling puoi aiutare rendere i risultati di quella
ricerca più fruibili, comprensibili e anche più facilmente memorizzabili.

La fase 6, quella di prendere la decisione, compete a chi deve decidere sulla base dei risultati.

Una valida ricerca di marketing deve avere delle caratteristiche:


- deve essere scientifica. Non si può prescindere dal rigore scientifico, cioè bisogna fare in modo che tutta
la struttura della raccolta dei dati soddisfa i criteri di scientificità (questo è fondamentale a qualsiasi livello).
- creatività. Nel rispetto dei principi di scientificità, occorre essere creativi cioè individuare nuove modalità
per testare delle ipotesi.
- molteplicità di metodi. Usare più metodi è sempre preferibile, anche se non sempre è possibile.
- interdipendenza tra modelli e dati.
- valore e costo delle informazioni. Cioè, è necessario bilanciare il valore delle informazioni che posso
ottenere mediante un particolare metodo con il loro costo.
- sano scetticismo. Ciò vuol dire che non è opportuno farsi coinvolgere troppo delle proprie ipotesi di
ricerca. Questo perché si rischia, anche in buona fede, di comportarsi in modo da influenzare il risultato.
- eticità. C’è una questione etica che si pone in particolare per le ricerche che riguardano i big data (perché
sono ricerche vengono fatte spesso senza il consenso del partecipante) e le neuroscienze (che vanno a
indagare le determinanti del nostro comportamento di cui noi spesso non siamo coscienti e consapevoli).

Marketing 28-09
Analisi del comportamento del consumatore
Quando si parla di comportamento del consumatore si parla anche di analisi qualitativa della domanda per
distinguerla dall’analisi quantitativa.
L'analisi quantitativa riguarda proprio l'analisi della domanda come aggregato, la sua variazione nel tempo,
ecc.; l'analisi qualitativa invece va a studiare il comportamento di acquisto e di consumo del singolo
consumatore, quindi si avvale molto di contributi dalla psicologia e del metodo dell’esperimento di
laboratorio per cercare di capire come le persone prendono decisioni.
Con “comportamento del consumatore” intendiamo una molteplicità di cose. Questo perché un
consumatore quando effettua un acquisto entrano in gioco moltissime variabili quali razionalità, emozioni,
motivazioni superficiali, motivazioni profonde e soprattutto tutta una serie di caratteristiche che ci
distinguono quali l'ambiente sociale di riferimento, l'ambiente culturale, la situazione economica, ecc.
Quindi, il comportamento del consumatore include l'insieme di tutte queste componenti e la loro
interazione.

Alcuni dei fattori che influenzano il nostro comportamento di consumo.


Ci sono ovviamente fattori economici, fattori culturali, fattori sociali e fattori personali.
Questi sono esempi di fattori personali che incidono sui consumi.
ESEMPIO
Uno dei fattori di tipo personale più ovvi che influenza le nostre scelte di consumo è dove ci troviamo nel
nostro stadio del ciclo di vita. E, a seconda dello stadio del ciclo di vita in cui ci troviamo, abbiamo bisogni
diversi e quindi esprimiamo il nostro comportamento di acquisto e di consumo in modo diverso. Prenatal è
un brand che ha creato la sua value proposition attorno a tutti i bisogni che circondano un particolare
stadio del ciclo di vita, che è appunto la gravidanza e i primi anni del bambino. Inoltre, il brand deve il suo
successo anche al fatto che i punti vendita Prenatal organizzano spesso degli incontri con ostetriche o
puericultrici che forniscono informazioni di vario genere su cosa fare alle neo/future madri.
ESEMPIO
Tra i fattori personali rientra anche la situazione economica in cui si può trovare una persona. /(fattori
economici)Un altro brand che sfrutta la limitata disponibilità economica di una parte dei consumatori è
Tiger, una catena di negozi che si caratterizza per prezzi molto bassi ma anche per il fatto di offrire dei
prodotti di qualità (soprattutto in termini di design particolare). E, un altro fattore di successo, è il layout dei
propri punti vendita che incoraggia la sperimentazione fino a diventare quasi un'esperienza giocosa. Quindi
Tiger ha creato la sua offerta facendo leva soprattutto sul prezzo estremamente competitivo ma
aggiungendo tutta una serie di elementi di contorno che hanno poi arricchito la brand image e che hanno
contribuito al successo.
ESEMPIO
Tra i fattori personali rientrano anche l'insieme dei valori di una persona che ne determinano, come
conseguenza, gli stili di vita. (fattori sociali) In questo senso c'è l'esempio dei cosiddetti Lohas, che sono
quei consumatori (in genere persone dai 25 ai 50 anni) particolarmente sensibili a tematiche che
riguardano la salute e l'ambiente. Avere dei valori ispirati alla salvaguardia dell'ambiente, e quindi uno stile
di vita improntato a questo, comporta poi a cascata tutta una serie di decisioni particolari che interessano
tantissimi ambiti del consumo. Quindi, lo stile di vita influenza le abitudini di consumo in moltissimi ambiti
perché riguarda l'intero comportamento di un consumatore.
ESEMPIO
(Fattori culturale)Eataly in Italia si è sposata con il movimento Slow Food, che si tratta di un vero e proprio
movimento che incarna una filosofia di vita che si oppone alla logica del fast food (alla logica del cosiddetto
“cibo spazzatura”) per prediligere un’idea del cibo come un qualcosa da rispettare. Questa è una vera e
propria filosofia di vita che Eataly ha sposato e sfruttato per guadagnarsi un grosso credito presso tutto quel
segmento di consumatori italiani che sono sensibili a questa tematica sull'alimentazione. Eately all'estero
invece punta sulla fama che ha il made in Italy all'estero in campo di alimentazione, facendo leva quindi
sull'italianità della cucina.

Poi, ad influenzare le nostre scelte, ci sono anche i fattori situazionali che influenza le nostre scelte in un
particolare momento (cioè ci possono essere oggi e domani non ci sono).
Un fattore situazionale è, per esempio, il nostro stato d'animo. Questo è un esempio di fattore situazionale
che è un fattore, rispetto agli stili di vita e ai valori, molto più volabile.
I cosiddetti “acquisti di impulso” sono influenzati da fattori variabili come i fattori situazionali.
Un altro fattore situazionale che ci influenza è l'ambiente fisico in cui ci troviamo. Se ci troviamo in un
ambiente particolarmente pieno di stimoli, siamo spinti dall'ambiente stesso ad acquistare.
Altro fattore situazionale è l'interazione sociale.
E, infine, possono esserci fattori situazionali dettati dalle tecnologie con cui ci troviamo ad interagire (un
esempio che si fa quando si parla di experience marketing è la cosiddetta virtual dressing room, cioè i
camerini virtuali presso i punti vendita).

Modello di comportamento del consumatore: Sostanzialmente, noi riceviamo degli input in continuazione.
Parte di questi stimoli sono gli stimoli del marketing e poi ci sono tutti gli altri stimoli (situazione economica,
culturale, tecnologia, ecc.). Tutta questa serie di stimoli, impattano sul consumatore come individuo che ha
una sua psicologia, e quindi impattano sulle sue motivazioni, percezioni, apprendimento e sui meccanismi
della memoria. Questo individuo ha anche delle caratteristiche sue che sono di tipo culturale, sociale e poi
strettamente personali. Tutto questo incontro produce, nel consumatore, una serie di emozioni e un
atteggiamento (che è una propensione generale). Tutto questo porta al processo decisionale di acquisto
che si attiva quando c'è il riconoscimento di un problema/bisogno. E poi c'è la vera e propria decisione di
acquisto con i relativi tempi, modi e scelta.

I processi psicologici fondamentali sono: motivazione, percezione, atteggiamento, memoria,


apprendimento ed emozioni.

(motivazione) Maslow era un sociologo che ha creato questo modello a piramide dei bisogni umani.
I bisogni primari, alla base della piramide, sono i cosiddetti bisogni fisiologici cioè quelli proprio che
abbiamo in comune con gli altri animali (soddisfare lo stimolo della fame, della sete, di avere un riparo).
questi sono i bisogni basilari che ci caratterizzano come esseri viventi.
subito dopo, troviamo bisogno di sicurezza e di protezione (es. bisogno di avere un riparo, un alloggio).
anche questi sono bisogni che caratterizzano molti altri animali sociali, quindi non è un qualcosa che ci
caratterizza in particolare come esseri umani.
al terzo livello vengono i bisogni sociali che possono essere senso di appartenenza (senso di far parte di un
gruppo che trascenda l'individuo), bisogno di relazioni d’amore, affetto, ecc.
al quarto livello Maslow pone i bisogni di stima che comprendono sia l'autostima, sia ottenere un
riconoscimento dagli altri (che è collegato all’autostima). in questo livello rientra, per esempio, anche il
bisogno di acquisire un certo status all'interno di un gruppo o di una comunità.
in cima alla piramide Maslow situa i bisogni più elevati che attengono alla realizzazione di sé, cioè in cima
alla piramide c'è il bisogno di diventare ciò che si e realizzando pienamente se stessi.
questa piramide è molto importante perché secondo Maslow, i bisogni sono situati in questa piramide e,
sostanzialmente, se l'individuo non soddisfa pienamente i bisogni che si situano ai livelli inferiori, non è in
grado nemmeno di percepire i bisogni di livello superiore. Il punto fondamentale è che l'individuo, per
essere sensibile ai bisogni di livello superiore, deve aver soddisfatto i bisogni di livello inferiore.

La percezione è molto importante perché tutti noi abbiamo un sistema percettivo fatto sia dai nostri sensi,
sia soprattutto dal nostro cervello che elabora e interpreta i segnali che ci arrivano dall’esterno che ci
arrivano attraverso i sensi.
Ci sono tre fenomeni legati alla percezione che sono molto importanti e studiati:
- attenzione selettiva. Noi come individui siamo bersagliati da una serie di stimoli quotidianamente. Quello
che il nostro cervello fa, senza che noi ce ne rendiamo conto, è di rimuovere la maggior parte degli stimoli
ricevuti.
- distorsione selettiva. Noi tendiamo a distorcere le informazioni in modo che si adeguino a quelli che sono
i nostri valori, credenze e preconcetti. Questo è evidente se pensiamo all’ambito della politica in cui è molto
facile avere delle convinzioni che si sviluppano nel tempo, e tutte le informazioni che riceviamo tendiamo a
interpretarla alla luce delle nostre convinzioni (tendendo quindi ad adattarla), operando una distorsione.
Questo ovviamente avviene in tutti gli ambiti compreso l’ambito delle informazioni che riguardano i brand.
Questo fenomeno può andare a vantaggio dei brand che hanno già una forte posizione consolidata, perché
consumatori fidelizzati al brand tendono a ignorare (o comunque a non dare sufficientemente importanza)
all'informazione negativa che possono ricevere riguardo quel brand.
- ritenzione selettiva. Questo attiene a come funziona la nostra memoria che è molto selettiva per fare
spazio alle cose importanti.
Le imprese sanno che la nostra attenzione è selettiva e quindi devono cercare di superare i filtri che il
nostro cervello automaticamente erige contro gli stimoli. I titoli acchiappa click, o più in generale il
fenomeno del clickbait sui social è basato proprio su questo.
Più la ritenzione selettiva, come la distorsione selettiva, opera vantaggio delle marche forti cioè quelle
marche che sono già molto conosciute (un nuovo brand deve fare molto più sforzo per essere anche solo
semplicemente ricordato).
L'atteggiamento è una sorta di via di mezzo tra quelle che sono le nostre convinzioni (in genere abbastanza
difficili da cambiare) e i giudizi. L'obiettivo delle campagne di marketing deve essere quello di sviluppare
atteggiamenti il più possibile positivi o tutt’al più neutri sono sufficienti, perché una persona che non ha una
posizione netta su un prodotto/brand/stile di vita (atteggiamento neutro), è una persona che un domani
potrebbe sviluppare un atteggiamento positivo.

Le emozioni giocano un ruolo enorme in moltissime nostre scelte di consumo, comprese scelte che
apparentemente dovrebbe essere freddo e razionali. Es. anche nella scelta di un bene durevole come
un’automobile, che in teoria dovrebbe essere una scelta guidata da criteri dalla razionalità, entrano in gioco
meccanismi che hanno a che fare con le emozioni (es. Peugeot).

La memoria è un meccanismo estremamente complesso (ancora non si sa bene come funzioni la memoria).
Per esempio, quasi nessuno di noi ha dei ricordi sulla primissima infanzia (da 0 a 4 anni).
Tra i vari modelli che sono stati creati riguardo la funzione della memoria, uno dei più accreditati è quello
che vede la memoria funzionare come una sorta di network associativo (rete di nodi collegati). E quindi,
nell'ambito del comportamento del consumatore, è importante cercare di costruire le mappe mentali dei
consumatori.
Una mappa mentale non è altro che tutto ciò che il consumatore associa quel brand. Con “tutto ciò”
intendiamo tutto quello che un brand evoca alla mente del consumatore sia degli aggettivi, sia immagini,
colori, luoghi, persone, situazioni che ci sono familiari.
Della memoria quindi bisogna ricordare, sostanzialmente, l'idea che la nostra memoria funziona per
associazioni di idee.

Caso Peugeot.
Il caso spiega le logiche che ci sono dietro la scelta di utilizzare una pubblicità che punti sul senso di colpa.
Uno studio afferma che vi sia maggior coinvolgimento psicologico dell’individuo in pubblicità di questo tipo
poiché l’individuo stesso si identifica in essa e, così facendo, sarà più propenso ad avere un determinato
comportamento, a iscriversi a un determinato servizio o ad acquistare un determinato bene. Tale tipo di
pubblicità, quindi, vuole far leva sull’empatia dell’individuo.
Ci sono molti messaggi pubblicitari (es. le campagne di pubblicità progresso) che fanno leva sul nostro
senso di colpa con l’idea che, facendoci sentire in colpa per un comportamento sbagliato o per il nostro
semplice non preoccuparci abbastanza di determinati problemi sociali, ci fanno, grazie al senso di colpa,
assumere quel comportamento che dovremmo assumere.
Ciò che il caso Peugeot evidenzia è spesso, in questo meccanismo, non c’è un legame così diretto ma quello
che il senso di colpa, e quindi i messaggi pubblicitari che scatenano il senso di colpa, induce in noi è una
riflessione sulla tematica che viene affrontata dal senso di colpa. Noi non adottiamo il comportamento che
il messaggio pubblicitario vorrebbe suscitare in noi, è più che altro una sorta di meccanismo che ci innesca
una serie di pensieri e riflessioni sul tema. Ovviamente però, l’effetto del senso di colpa esiste ma non è
l’effetto che ci si aspetterebbe, infatti, è un effetto più mediato.
Per contro, il caso dice anche che, a volte, se il messaggio è molto aggressivo (troppo mirato a scatenare il
senso di colpa) si può ottenere l’effetto opposto. Se ad esempio pensiamo ai messaggi troppo aggressivi
delle campagne antifumo, questi sono volti a spaventare e suscitare un forte senso di colpa nel fumatore.
Ma quello che queste campagne hanno dimostrato è che questi messaggi, essendo troppo aggressivi,
suscitano spesso l’effetto opposto. Dopo che sono partite queste campagne sono infatti aumentate
vertiginosamente le vendite dei copri pacchetti di sigarette. Il consumatore così facendo ha iniziato ad
operare una sorta di rimozione.
Altro esempio estremo sono le campagne pubblicitarie di organizzazioni no-profit come Save the Children
che, con le loro immagini, tendono a generare un effetto di assuefazione che rende quasi indifferente
l’individuo nei confronti di queste ultime.

Torniamo alla teoria

Stavamo discutendo delle varie componenti psicologiche della scelta tra cui la memoria. Avevamo detto che
una cosa importante per quanto riguarda la memoria del consumatore è cercare di capire come sono
formate le mappe mentali dei consumatori (in relazione soprattutto ai brand più che ai prodotti).

Le mappe mentali sono tutto ciò che nella mente del consumatore è associato a un determinato brand (es.
luoghi, colori, aggettivi, profumi, persone, ecc).

Modello descrittivo che riguarda il comportamento della domanda (riguarda il consumatore)


E’ facile da memorizzare perché non è altro che una serie di risposte a una serie di domande.
1) what? Cosa acquistiamo?
2) who? Chi sono i veri soggetti coinvolti nella decisione di acquisto e poi nel successivo consumo? Non
sempre chi decide l’acquisto, chi materialmente acquista e chi poi consuma sono la stessa persona.
3) when? Quando scatta il processo che ci porta a operare la decisione d’acquisto e successivamente a
consumare?
4) how? Operazioni a coinvolgimento
5) where? Dove acquistiamo?
6) why? Motivazioni all’acquisto.

What (cosa)? Ci sono alcune classificazioni importanti da ricordare che riguardano i prodotti che
possono essere distinti e catalogati a seconda di vari criteri.
1) Il primo criterio riguarda la tangibilità e la frequenza di utilizzo e di acquisto. La tangibilità è un attributo
in base al quale si è soliti distinguere tra beni e servizi (un servizio è prevalentemente intangibile; un bene è
tangibile). E’ opportuno specificare che questa distinzione è più teorica che altro, perché da un lato
nell’economia contemporanea quasi non esistono prodotti fisici puri che non abbiano anche una
componente di servizio (es. oggi anche l’industria manifatturiera non può prescindere dai servizi collegati al
prodotto fisico) e dall’altra parte, quasi non esistono servizi puri, ovvero che siano completamente
intangibili e che non abbiano anche una componente di bene fisico (cioè che non abbiano bisogno anche di
beni o infrastrutture fisiche per poter essere erogati). Quindi il criterio della tangibilità serve a distinguere i
beni dai servizi con le specifiche appena illustrate.
Un altro criterio molto importante è la frequenza. Per i beni fisici si distinguono i beni durevoli dai beni non
durevoli. I beni durevoli (lavatrici, lavastoviglie, frullatori, automobili, motociclette ecc.) sono quei beni la
cui frequenza d’acquisto è saltuaria (sono beni che esercitano il loro beneficio nel corso di un tempo
prolungato). I beni non durevoli invece, sono tutti quei beni che non sono durevoli (shampoo, detersivo
ecc.) ovvero beni la cui funzione d’uso si esaurisce o nell’immediato oppure nel giro di pochi giorni.
Per quanto riguarda i servizi si distingue tra servizi di tipo continuativo e servizi spot. I servizi continuativi
(es. assicurazione auto) se si tratta di un mezzo che usiamo abitualmente. I servizi spot sono quelli ad es. ho
forato e mi serve un meccanico in quel determinato momento per un determinato problema.
2) Un'altra distinzione molto usata nel marketing riguarda le abitudini di acquisto. Qui si distingue tra beni
a largo consumo ad acquisto ricorrente (in inglese “convenience goods”) tra cui rientrano tutti i beni non
durevoli (es. i beni di largo consumo, beni alimentari) ovvero i beni il cui acquisto è molto frequente, poco
ponderato e che hanno in genere un valore unitario piuttosto basso (cioè il prezzo di questi beni in
relazione al nostro paniere di spesa incide molto poco). La seconda categoria riguarda i beni ad acquisto
saltuario e ponderato (shopping goods). In questo caso la frequenza d’acquisto è più bassa e l’attenzione e
l’ammontare di risorse cognitive dedicate all’acquisto è più alto (anche perché il costo unitario di questi
beni è più alto) es. cappotto per l’inverno. La terza categoria è quella dei beni speciali (specialty goods),
ovvero quei beni che per le loro caratteristiche vengono acquistati un numero limitatissimo di volte o
addirittura una sola volta nella vita (es. abito da sposa, immobili, anello di fidanzamento, orologio prezioso).
L’attenzione e l’ammontare di risorse cognitive per questo tipo di acquisto è massima e l’acquisto è molto
saltuario.
3) questo terzo criterio è molto importante: la capacità valutativa. Questo criterio è importante da un
punto di vista cognitivo e psicologico. Si distingue tra beni esperienza (experience goods), beni fiducia
(credence goods) e beni ricerca (search goods). Questa distinzione è importante perché si distingue in base
alla mia capacità come consumatore di poter valutare compiutamente e correttamente la qualità di un
bene prima di acquistarlo. Ci sono dei beni che per le loro caratteristiche intrinseche possono essere
pienamente valutati dal consumatore in tutte le loro caratteristiche rilevanti prima della decisione di
acquisto e viceversa ci sono dei beni che per le loro caratteristiche intrinseche non possono essere
pienamente valutati in tutte le loro caratteristiche se non dopo averli acquistati (quindi quando in teoria è
troppo tardi). Es. un cappotto è un bene fisico che posso toccare, vedere, indossare, informarmi sul tipo di
tessuto ecc. ovvero io, prima di decidere se acquistarlo o meno, ho tutta l’informazione che mi serve per
valutarne la qualità. Per questo tipo di beni ho tutte le informazioni prima della scelta, questi sono i
cosiddetti beni ricerca (search goods). Viceversa, pensiamo a un’automobile usata. La posso vedere,
provarla, ecc. però se questa auto se ha qualcosa che non va, lo scoprirò solo dopo che l’ho acquistata
perché per sua natura si tratta di un bene la cui qualità non posso verificarla al 100% prima di acquistarla,
questi sono i beni esperienza (experience goods). La terza categoria è quella dei beni fiducia (credence
goods), questi sono, al 90% dei casi, dei servizi. I beni fiducia sono quei beni per i quali anche dopo averli
acquistati, spesso noi consumatori non siamo in grado di valutarne pienamente la qualità (es. servizi medici
di tipo specialistico). Questo perché stiamo parlando di un servizio intangibile e complesso, la cui qualità
non è valutata da chi non ha quelle competenze specialistiche necessarie a valutare l’operato. Man mano
che si passa dai prodotti search, a quelli experience ed infine a quelli credence, la decisione diventa sempre
più rischiosa perché bisogna decidere in assenza di informazioni importanti.
I brand, sapendo che la scelta è rischiosa, cercando di aumentare l’informazione e soprattutto cercano di
sfruttare l’effetto reputazione. L’effetto reputazione (es. devo scegliere un avvocato e allora inizio a cercare
un nome che abbia una buona reputazione) è molto importante perché la reputazione è un requisito
fondamentale che guida la scelta nell’ambito di questi beni/servizi estremamente complessi riguardo i quali
è difficile avere piene informazioni.
Se un bene/servizio è di tipo experience, e ancora di più se è credence, è necessario per le imprese fare leva
sull’effetto reputazione per far diminuire al potenziale consumatore il rischio percepito associato alla scelta.
Ci sono anche meccanismi a livello dell’intero settore che facilitano la scelta del potenziale consumatore
(es. ranking servizio di istruzione superiore, ranking degli ospedali).
4) Altre due distinzioni sul coinvolgimento riguardano la distinzione tra prodotti high involvement e
prodotti low involvement. Qui si tratta di un coinvolgimento di tipo emotivo che coinvolge anche il
significato che un particolare prodotto può rivestire per noi. Facendo di nuovo l’esempio dell’abito da sposa
questo può avere, non solo delle caratteristiche di bene ricerca (lo posso valutare compiutamente prima di
decidere), ma può essere anche un bene che per una natura simbolica (la natura dell’evento a cui è
associato) è ad alto coinvolgimento emotivo (e quindi poi anche di risorse cognitive).
5) ultima distinzione riguarda la problematicità del processo di acquisto con la conseguente distinzione tra
prodotti banali e prodotti problematici (rischio percepito). Questa è molto simile (quasi indistinguibile) alla
distinzione tra beni search, credence e experience perché la problematicità del processo di acquisto è
strettamente legata alla natura del bene e alla capacità di valutarne la qualità prima della scelta. E’ chiaro
quindi che la gran parte dei prodotti ricerca sono prodotti banali (nel senso che magari ci metto un po’ di
tempo per scegliere un cappotto, provo molti modelli, però alla fine bene o male il processo di scelta è
abbastanza semplice perché ho piena informazione), viceversa la scelta di un servizio complesso è un
prodotto molto problematico. La problematicità del processo di acquisto è strettamente legata al rischio
percepito di fare una scelta sbagliata.

L’altra domanda è il who (Chi è)?


Quando si parla di processo di acquisto e consumo, di chi si parla esattamente? Qui c’è da tenere presente
che, in genere, per capire compiutamente un comportamento di acquisto e di consumo, è necessario
ricordare che in molti casi ci sono più fattori che concorrono alla decisione finale dell’acquisto e poi all’atto
finale del consumo e non sempre chi acquista e chi consuma sono la stessa persona.
Distinguiamo tra quelli che sono gli:
- utilizzatori: quelli che effettivamente consumano il prodotto.
- decisori: non necessariamente coincidono con gli utilizzatori (es. acquisti che i genitori decidono di fare
per i propri figli). Questo è importante per capire a chi indirizzare i messaggi pubblicitari.
- influenzatori (influencer): colui che attiva tutto il processo di influenza che porta un determinato numero
di consumatori a desiderare quel particolare prodotto e quindi acquistarlo e consumarlo.
- acquirenti: coloro che materialmente acquistano il prodotto e che hanno la capacità finanziaria di pagarlo.
Anche in questo caso potrebbe non necessariamente esserci una coincidenza di ruoli.
- iniziatori
- autorizzatori
Ovviamente dipende da prodotto a prodotto. Per alcuni prodotti, infatti, queste figure potrebbero non
essere la stessa persona e potrebbero essere importanti nell’influenzare la scelta finale.

Poi abbiamo il when (quando)?. Quando siamo coinvolti nella decisione di acquistare
qualcosa?
- Chiaramente il primo step è la percezione di un problema o di un bisogno insoddisfatto. Questa
percezione scatena la fase successiva.
- la fase successiva è la ricerca di informazioni. Il consumatore ricerca un certo ammontare di informazioni
che gli sembrano sufficienti per operare una scelta oculata.
- valutazione delle alternative. La ricerca sul comportamento del consumatore ha evidenziato una serie di
regole decisionali che usiamo per scremare il set di alternative possibili (per paragonarle tra loro, scartarne
alcune, ecc) fino ad arrivare a una soluzione finale.
- decisione d’acquisto
- comportamento post-acquisto. E’ conseguente a quanto il consumatore è rimasto soddisfatto della sua
scelta.

1)Percezione del problema


La percezione del problema è il punto di partenza. Questa è conseguente a una serie di stimoli, alcuni
interni (stimoli primari e di livello superiore) e altri esterni (dalla comunicazione di marketing e dal mondo
esterno).
Gli stimoli, quindi, innescano la percezione di un bisogno insoddisfatto. Questo genera a sua volta la fase
successiva, ovvero quella della ricerca di informazioni.

2)Ricerca di informazioni. La fase di ricerca di informazioni è molto delicata, inoltre è una fase che può
essere anche influenzata dal marketing.
Molti sondaggi hanno dimostrato che, nel caso di beni durevoli (beni ad alto valore unitario e ad acquisto
saltuario es. automobile, lavatrice), la metà di tutti i consumatori visita soltanto un negozio e solo il 30%, ad
esempio, esamina solo una marca di elettrodomestici. Da ciò si evince che la ricerca di informazioni dei
consumatori è molto limitata, e questo per un sacco di motivi (su tutti: vincoli di tempo e di risorse
cognitive). Di solito si distingue tra due livelli:
- il primo livello (inferiore) della ricerca di informazioni è detto intensificazione dell’attenzione. Quindi nel
momento in cui ci rendiamo conto che abbiamo più o meno deciso che abbiamo bisogno di un’automobile
(o di cambiare la nostra), innanzitutto ancora non andiamo attivamente alla ricerca di informazioni ma
stiamo attenti ogni volta che vediamo qualche messaggio pubblicitario che riguarda le automobili. Questa è
la fase di intensificazione dell’attenzione che ci porta ad essere più ricettivi alla comunicazione, soprattutto
quella pubblicitaria, che riguarda quel particolare prodotto. Nell’era dei social se facciamo una semplice
ricerca su Google, il giorno dopo, la maggior parte dei social e dei siti web, ci propongono messaggi
sponsorizzati (ai quali facciamo molta attenzione) che sono relativi a quella determinata categoria di
prodotto.
- la fase successiva è detta ricerca attiva di informazioni ed è, appunto, quella in cui la persona si muove
attivamente per ricercare informazioni. Decido di visitare concessionarie vicino casa, cerco documentazioni
scritte (soprattutto su internet) e magari sento il parere e i consigli di qualche conoscente. Quindi attivo un
piano di ricerca di informazioni che utilizzi diverse fonti, per cercare di farmi un’idea.

Quali sono le fonti che noi utilizziamo?


1) fonti commerciali. Ovviamente una fonte importante è la fonte commerciale, ovvero i messaggi
promozionali dei diversi brand. Tali messaggi (continuando l’es dell’auto) non riguardano solo le
caratteristiche dei modelli in sé e per sé ma anche per esempio tutti i servizi accessori (assicurazione
gratuita, le modalità di finanziamento). Tali fonti oggi sono molto forti sia sui social che sul web.
2) fonti pubbliche. Posso leggermi le pubblicazioni specializzate (quattroruote o altre riviste specializzate)
che danno delle valutazioni obiettive perché sono indipendenti dalle case produttrici; posso consultare i
forum;
3) fonti personali (social). Sono quelle più importanti nonostante internet e i social. Ancora oggi, per
moltissime categorie di prodotti, noi alla fine ci fidiamo del consiglio di quelle persone attorno a noi e alle
quali diamo ancora molto peso. E’ quindi ancora molto importante l’ascolto dell’opinione personale. Ciò è
importante nella scelta di servizi molto complessi (es. avvocato, medico, parrucchiere).
4) fonti empiriche. Sono quelle in cui, nel caso sia possibile, vado e provo il prodotto. Quindi ho una mezza
idea di prendere una Fiat, vado in concessionaria, la provo. L’aggettivo “empirico” indica l’avere
informazioni che non riguardano solo aspetti teorici ma riguardano il provare il prodotto, toccarlo. Sono
informazioni importanti perché spesso riguardano tutti e cinque i sensi (sono informazioni di tipo sensoriale
oltre che cognitivo).

Il processo di ricerca di informazioni e di valutazione successiva porta a un restringimento progressivo


(slide 9) delle alternative prese in considerazione. Qui c’è l’esempio di marche di PC. All’inizio, nell’insieme
teorico da cui noi possiamo scegliere, riguarda tutti i brand sul mercato. Però difficilmente noi valuteremo
tutti i modelli di tutti i brand e quindi da questo total set dobbiamo togliere quei brand di cui non siamo
nemmeno consapevoli (brand mai sentiti) rimanendo con la awareness set cioè i brand di cui siamo
pienamente consapevoli. Da questi ne selezioneremo solo alcuni che siamo disposti a prendere seriamente
in considerazione per la nostra scelta, arrivando così alla consideration set. Come avviene la selezione?
Ogni consumatore sceglierà in base a suoi determinati criteri (es c’è chi non comprerebbe mai Apple). Alla
fine, ci sarà un altro criterio che porterà ad eliminare altre marche e ci concentreremo (grazie a un criterio
di eliminazione progressiva) su un confronto finale (choice set) che porterà il consumatore alla decisione
finale (decision).
Total set > awareness set > consideration set > choice set > decision
Si può quindi interpretare la decisione come un processo di eliminazione progressiva ed è molto
interessante cercare dii capire i parametri e i criteri che noi utilizziamo in ogni stadio per eliminare
progressivamente sempre più opzioni finche non ne rimangono 2-3 prima, e una sola finale poi.
E’ molto importante quindi per i marketing manager capire qual è la gerarchia degli attributi che guidano le
nostre decisioni, in modo tale da capire su quali attributi puntare. Questo è oggetto di ricerca di molti studi
di psicologia cognitiva sul consumatore, ovvero studi che si concentrano sul processo di scelta (come si
arriva alla scelta finale a partire dalle alternative disponibili).

3)La valutazione delle alternative.


La valutazione è la formulazione di un giudizio a partire dall’ascolto di opinioni e a partire da un
atteggiamento (tendenza) di fondo. L’atteggiamento è un qualcosa che sta a metà tra il giudizio e
l’opinione, è più un orientamento di fondo (es. c’è chi non ha un atteggiamento favorevole verso Apple). Gli
atteggiamenti però non sono rigidi (a differenza in genere delle opinioni) e quindi si possono cambiare.

Tra tutte le varie modalità di valutazione delle opzioni, ce n’è una che è la più citata: il modello del valore
atteso (o modello di Fishbein). Il modello del valore atteso non è altro che una media pesata degli attributi.
Secondo il modello del valore atteso, il consumatore considera il prodotto come un insieme di attributi che
per lui sono importanti (e che guidano la sua scelta). Es. per l’automobile possono essere: l’estetica, la
sicurezza, il prezzo, le dimensioni, il livello di consumo, ecc.
Secondo la formula del modello del valore atteso, il consumatore valuta ognuna delle alternative in base a
ciascuno degli attributi che per lui sono importanti e, per ogni alternativa, il consumatore assegna un
punteggio parziale che quella alternativa ottiene relativamente a ciascun attributo. Il giudizio finale si
ottiene attraverso la somma pesata dei giudizi parziali che ogni opzione ha ricevuto in relazione a ciascun
attributo.
VA (A) = sommatoria Wi * PiA
dove Wi è il peso relativo all’attributo i-esimo e Pi è la performance relativa dell’attributo i-esimo con
riferimento alla marca oggetto della valutazione (A).
Il modello del valore atteso ha un’applicazione che richiede ingenti risorse cognitive perché si basa sul
presupposto che il consumatore, sia sugli attributi oggettivi e sia su quelli puramente soggettivi, sia in grado
di dare un valore alla performance relativa all’attributo. Il modello non distingue tra attributi oggettivi e
soggettivi perché si suppone che il consumatore sia in grado di segnare a ciascun attributo un punteggio
parziale. E’ un modello apparentemente semplice però a monte richiede la lavorazione di una serie di
informazioni che non è banale.
In realtà, può succedere che la scelga sia composta dall’applicazione di due criteri:
- un primo criterio, che si chiama “compensatorio”, per arrivare ad una valutazione complessiva di tutte le
possibili opzioni.
- un secondo criterio, che si chiama “non compensatorio”.
Si dice compensatorio un criterio di scelta (es. metodo del valore atteso) in base al quale una valutazione
negativa che un prodotto riceve riguardo un attributo, può essere compensata da una valutazione positiva
che quello stesso prodotto riceve riguardo ad un altro attributo. E’ compensatoria qualsiasi regola
decisionale per la quale vantaggi e svantaggi di ciascuna opzione vengono bilanciati perché il tutto è
riassunto in una media ponderata.
Viceversa, sono non compensatorie tutte quelle regole decisionali che non consentono questa
compensazione. Ad es. se io decido che c’è un attributo che è il più importante di tutti (es. prezzo) e
supponiamo di avere un budget massimo, qualsiasi opzione che superi il budget io la scarto
indipendentemente dalle sue altre caratteristiche. In questo caso quindi, valori molto buoni di altri attributi
non servono a compensare la valutazione negativa sul prezzo.
Questa è una distinzione molto importante per le ricerche di consumer behaviour perché si è visto che, in
genere, quando il livello di coinvolgimento della scelta è molto alto e quando l’individuo ha a disposizione
informazioni, tende ad usare euristiche di tipo compensatorie. Mentre, molte volte, si utilizzano euristiche
non compensatorie o quando si hanno delle priorità molto rigide (es. priorità relativa al prezzo), oppure
quando si è in un contesto di informazione limitata e quindi dobbiamo per forza di cose semplificare il
problema di scelta, oppure quando la nostra scelta avviene in condizione di vincoli di tempo (quando
dobbiamo scegliere in fretta).

4) decisioni d’acquisto.

5)L’ultimo step è il comportamento post-acquisto.


L’individuo sarà insoddisfatto, soddisfatto o entusiasta e, a seconda del suo livello di soddisfazione, metterà
in atto una serie di risposte. La soddisfazione dipende in maniera stringente dal confronto tra l’esperienza
percepita nell’utilizzo del prodotto e le aspettative che il consumatore aveva relativamente a quel prodotto.

Il livello di soddisfazione o insoddisfazione post-acquisto porta a delle azioni conseguenti:


- il consumatore soddisfatto tendenzialmente sarà ben disposto verso il riacquisto di quel brand in futuro
(anche se bisogna sempre tener presente che il consumatore, per alcune categorie di prodotto, ha anche
un’innata curiosità e voglia di sperimentare).
- il consumatore insoddisfatto può mettere in atto varie cose: può smettere di acquistare quel brand (quella
che prende il nome di “opzione exit”); può decidere di agire pubblicamente reclamando con il produttore,
consultando un avvocato o lamentandosi del prodotto presso organizzazioni private o istituzionali o i
conoscenti (opzione voice); può dismettere il prodotto o restituirlo.

Marketing 5-10

Why? (perché)
Perché il consumatore compra quello che compra e perché tale consumatore consuma quello che
consuma? È la domanda delle domande è molto profonda. Ci sono le motivazioni più superficiali ma anche
le più profonde e queste cambiano nel tempo, e da consumatore a consumatore. Uni dei modi per cercare
di capire quali sono le motivazioni che spingono il consumatore, è il modello della catena (mezzi-fini /
mezzi fini). Tale modello determina la sequenza che passa da un prodotto o da un determinato brand che
parte dai sui attributi che possono essere tecnici o simbolici, per poi arrivare ai benefici che questi attributi
apportano al consumatore e infine per approdare a quello che è il fine ultimo, e cioè i valori personali a cui
questi benefici consentono di aspirare.

È sostanzialmente un modello che ci dice: guardate che il consumatore acquista quel prodotto o quella
marca perché in realtà gli interessa ottenere determinati attributi. (es. telefono, qualità delle foto, della
batteria, ecc…). Il consumatore non vuole solo quegli attributi come fine ultimo, perché a sua volta gli
servono per ottenerne dei benefici. Questi benefici possono essere di natura pratica (es. il telefono mi
permette di fare determinate cose e quindi ha un’utilità pratica), o di natura più simbolica (es. motocicletta
oltre ad avere dei benefici molto pratici ha anche dei benefici molto emotivi, come il senso di libertà).
Questi benefici non sono il fine ultimo ma a loro volta servono a soddisfare il fine ultimo che sono i valori
personali cioè quelli che una persona aspira davvero. I valori vengono distinti in quelli che sono i valori
terminali e valori strumentali (es. strumentale, ambisco a vivere serenamente con la mia famiglia che può
essere funzionale ad un valore attitudinale di una persona che crede nella famiglia). Questo modello ci fa
capire quali sono le motivazioni che portano il consumatore a scegliere un determinato laptop o un
determinato telefono.

Questo metodo di intervista viene chiamato la

ddering e quindi l'intervista si muove come in una scala, tramite una serie di domande che inizia sempre
con il perché. Secondo questa sequenza di domande si procede uno scalino alla volta partendo da quelli che
sono gli attributi del prodotto fino ad arrivare a capire tutta la sequenza che parte dagli attributi,
conseguenze/benefici fino ad arrivare al valore per il cliente.

es. cibo speziato che ha come attributo quello di avere un sapore molto forte addirittura pizzica in bocca.
L’attributo distintivo e il sapore forte, il beneficio che il consumatore ne ricava dal mangiare cibi con molte
spezie e che a lungo andare ne consuma sempre di meno e quindi mangia meno, e quindi, se mangio meno
alla fine non ingrasso. Tutto ciò serve ad avere un valore che è quello di avere una maggiore autostima
derivante da una forma migliore del proprio corpo.

Altro esempio alcol:


Esempio automobile e profumo: Se noi ci facciamo caso, in molti spot pubblicitari i prodotti trasmettono
sia Benefici pratici e funzionali e sia benefici psicologici. Per alcuni prodotti è chiaro che ci siano benefici
funzionali come ad esempio l'automobile che ha determinate prestazioni tecniche, come velocità,
sicurezza, accessori, eccetera. Ma poi ha anche una serie di attributi o benefici di tipo psicologico come ad
esempio i brand del lusso che soddisfano dei bisogni ideologici come lo status simbol. Per altri prodotti
come ad esempio profumi da donna troviamo difficile trovare benefici pratici del profumo perché la natura
del prodotto è tale per cui lo rende più un prodotto volto a soddisfare benefici psicologici.

Altro esempio, orologio: Un altro esempio può essere quello di un orologio, dove in un primo caso (casio) si
evidenziano i benefici funzionali ed economici. Nell'altro caso abbiamo un rolex che è un brand storico del
lusso, dove si evidenzia per i suoi benefici psicologici (se ho un Rolex al polso mi sento molto parte di un
elite di ricchi e di persone benestanti ).

Esempio, geox e tacchi: Un altro esempio può essere quello della Geox dovemle scarpe hanno la
particolarità di avere delle suole che consentono la traspirazione del piede e quindi evitano cattivi odori. In
questo caso si evidenziano i benefici di tipo pratico funzionale. se invece analizziamo delle scarpe come i
tacchi Vediamo che il messaggio è di tutt'altra natura si evidenzia un beneficio psicologico legato
all’eleganza unito alla sensualità.

Altro esempio, smartfone: Ad esempio prendiamo un telefono come il black Berry dove riusciamo a
percepire un beneficio strettamente funzionale in quanto l'azienda punta sul fatto che il telefono può
offrire dei vantaggi dal punto di vista del GPS. Come controparte possiamo analizzare altri tipi di
smartphone in cui l'azienda, tramite il messaggio pubblicitario vuole fare percepire quel senso di esperienza
nell’usare un Samsung Galaxy oppure un altro esempio simile può essere airpods, dove lo spot pubblicitario
evidenzia la possibilità di ballare per strada e quindi tutto ciò porta a soddisfare quei benefici che noi
definiamo psicosociali.

Esempio, sport: Un altro esempio che evidenzia i benefici strettamente funzionali espliciti e quello di una
scarpa che trasmette comfort mentre un esempio di benefici psico sociali può essere legato a delle
emozioni come quelle di poter tagliare un traguardo possibile. (impossible is nothing).

Esempio vestito da sposa (catena mezzi fini): Un attributo possibile può essere la fattura il design e la
qualità dei tessuti. il grosso dei benefici è di tipo Psicologico e simbolica, quindi deve soddisfare dei benefici
estetici e diciamo che è quello l'obiettivo primario quando si sceglie un abito da sposa.

Esempio, acqua evian ferragni (catena mezzi fini): Come attributi funzionali non c’è ne sono perché è una
bottiglietta di plastica che contiene acqua. Mentre c'è un attributo psicologico che è molto forte cioè che
questa collezione è firmata da chiara ferragni. come beneficio simbolico possiamo dire che questa bottiglia
appartiene ad uno status perché è difficile che uno che acquista una tale bottiglietta di acqua se la beva
perché lo scopo principale non è quello di dissetarsi. Un bisogno psico sociale può essere quello di
collezionismo e quindi di possedere qualcosa di esclusivo, che porta a realizzare un senso di appartenenza.
come valore possiamo identificare proprio l'appartenenza da ad un elite, ovvero a qualcosa a cui una
persona comprando questa bottiglietta aspira. Un'altra possibilità da prendere in considerazione e che
questo bene può essere comprato da quelle persone che vogliono attuare una speculazione e quindi
comprarla oggi per poi in un futuro venderla ad un prezzo più elevato.

Where? (Dove): si può realizzare un potenziale conflitto tra l’impresa industriale, che tende
più alla fidelizzazione al brand. Invece lo store può aumentare il numero di marche offerte, a discapito del
brand, per ottenere fidelizzazione allo store. Dalla soddisfazione passiamo dunque alla fedeltà, questo però
non è un passaggio scontato. La soddisfazione si realizza quando si realizza esattamente o in maniera
superiore il valore atteso del consumatore. Dunque la leva è il potenziamento del valore atteso dal cliente.
Per avere una reale fedeltà durevole del tempo bisogna dare al consumatore la percezione che il valore
viene condiviso con il cliente. Un aumento della qualità del prodotto, correlato ad un aumento però più che
proporzionale rispetto al miglioramento, il consumatore percepisce che l’impresa vuole solo mantenere per
sé il miglioramento attraverso l’aumento del presso e quindi un consistente aumento di profitto. La
soddisfazione avviene con il confronto tra aspettative, per questo il marketing pone attenzione su questo e
su come le aspettative si formano. Possono essere rilevanti le esperienze passate, i pareri degli amici, i
marketing management (->l’impresa promette aspettative tramite la comunicazione, uno dei rischi è di
generare aspettative eccessive e quindi poi delusione, ma va male anche il contrario, perché basse
aspettative->nessuno copra il prodotto).

Segmentazione e Targeting
Si segmenta il mercato sulla base di due presupposti:

 Che la domanda sia sufficientemente eterogenea, si suppone che i consumatori di un determinato


prodotto siano sufficientemente diversi tra loro da suggerire l’utilità di una segmentazione di
questo mercato. Diversi significa che reagiscono anche in modo diverso dagli stimoli di marketing e
alle varie leve del marketing mix.
 L’impresa sia capace di differenziare la sua offerta ovvero che sia capace di creare una value
preposition che sia sufficientemente diversa per ogni singolo segmento che l’impresa sceglie come
obiettivo.
La segmentazione consiste nel suddividere la domanda in sotto-insiemi di consumatori che siano omogenei
al loro interno ma disomogenei tra di loro. La segmentazione ha senso ed è una segmentazione corretta
quando i consumatori che appartengono al segmento sono sufficientemente simili in base a determinati
criteri e sufficientemente diversi dai consumatori degli altri segmenti e poi l’impresa sceglierà quei
segmenti che considera segmenti-obiettivo. Un segmento di mercato è un gruppo di consumatori che sono
simili sulla base dei bisogni e dei benefici che ricercano nel prodotto. La segmentazione ha 3 livelli. La
segmentazione avviene prima a livello strategico del business : per individuare quelle aree dove si vuole
operare. Dopo di che all’interno di ciascuna area di business si va a segmentare quella area di business nell’
area della domanda ( segmentazione della domanda) quindi si va a segmentare quell’area potenziale di
consumatori. Poi c’è il targeting che sarebbe la selezione dei segmenti che mi interessano.

La segmentazione strategica procede per individuare le ASA (area strategica di affari) che sono quelle aree
in cui un impresa decide di entrare, sono gli oggetti che entrano nella famosa matrice BCG. Per identificare
l’area strategica di affari si usa il modello ABbell e Hammon (funzione d’uso, tecnologia, gruppo di clienti).
All’interno di ciascuna ASA si va a segmentare quel mercato.

L’obiettivo della segmentazione è appunto:

 Individuare e descrivere i profili di diversi gruppi di acquirenti distinti per bisogni e desideri
(segmentazione del mercato)
 Selezionare uno o più segmenti di mercato a cui rivolgersi (definizione dei mercati obiettivo)
 Per ciascuno dei segmenti obiettivo, stabilire e comunicare i vantaggi distinti dell’offerta
dell’impresa (posizionamento di mercato). Quindi creo la mia value proposition per ciascun
prodotto e poi la propongo.
La segmentazione è alla base della differenziazione che vediamo oggi su tutti i mercati. Ad es. all’inizio la
Ford produceva solo 1 unico modello di macchina con 1 colore (famoso modello T), oggi invece la Ford
sforna 62548 versioni di Ford differenti. Poiché oggi l’automobile è un oggetto che soddisfa una gamma di
bisogni sia pratici che psicologici. Un altro esempio è il brand Armani che è un brand umbrella dove
sottostante ci sono i sotto brand (es. armani exchange, armani jeans, emporio armani…) che si riferiscono a
determinati segmenti (giovani, vip, uomini maturi..)

Ci sono due criteri per segmentare un mercato potenziale:

1. CRITERIO DELLA CORRELAZIONE : Io prendo il mio mercato potenziale e lo suddivido in segmenti


sulla base di alcuni indicatori che possono essere geografici, socio-demografici, segmentazione
psico-grafica. Tutta l’utilità di questo processo si basa sul presupposto che determinati criteri ad.
Es. quello socio-demografici siano correlati con la ricerca di determinati benefici ed attributi dei
prodotti. Suppongo che il segmento dei consumatori rappresentato dai i giovani tra i 18-24 anni
che vivono nei grandi centri urbani sia correlato con il ricercare per esempio nel brand armani
determinati benefici o attributi quindi un look casual, soddisfazione di un senso di appartenenza.
Mentre persone dai 50 anni in su, ricche che vivono nelle periferie della stessa grande città, essi
cercheranno altri attributi e benefici.
Questo metodo ha tempi di realizzazione e costi ridotti. Ha questi vantaggi perché si basa
sull’utilizzo di dati secondari. Naturalmente è meno accurato come metodo perché non è detto
che persone con la stessa età o dello stesso sesso o dello stesso stile di vita poi effettivamente
ricercano gli stessi benefici in un prodotto.

2. CRITERIO DI STRUMENTALITA’(VALUE BASED) io prendo il mio campione tutto insieme di


potenziali clienti, non guardo distinzione di sesso, reddito, età… Creo i segmenti direttamente sulla
base di benefici che questi consumatori ricercano nei diversi prodotti e quindi il raggruppo sulla
base di cosa cercano loro. Solo dopo che ho creato questi segmenti sulla base dei benefici e
attributi, e solo dopo, vado a vedere questi segmenti come si compongono quindi l’età, reddito,
etc.. La logica è opposta nei due approcci. Questo è un metodo più costoso perché se io voglio
segmentare i miei consumatori sulla base proprio dei benefici io devo fare una indagine di mercato
quindi usato i dati primari.

Criterio della correlazione


 Segmentazione geografica: Più diffuse e semplici in quanto viviamo nell’era di big data. Io
segmento il mio mercato potenziale sulla base di variabili geografiche ad esempio sulla tipologia
urbana, condizioni climatiche, aree territoriali circoscritte (quartieri dei grandi centri urbani). Es la
segmentazione più banale che mi viene in mente è la segmentazione in Italia diviso in Nord, Sud e
centro. Si può segmentare ad esempio a seconda delle condizioni climatiche ( es. se io vendo creme
solari per me segmentare in base alle condizioni climatiche è fondamentale in quanto vado ad
analizzare il numero di ore in cui sono esposti durante l’arco dell’anno. ). La segmentazione
geografica può riguardare anche la tipologia urbana contrapposta alla tipologia rurale in quanto chi
vive in campagna avrà determinati stili di vita e valori rispetto a chi vive in un centro urbano e
cercheranno benefici diversi in un prodotto. Posso segmentare anche per aree molto circoscritte
per esempio segmentando in base ai differenti quartieri delle città.(differenza tra Roma nord e
roma sud). Non solo il centro storico e la periferia ma i singoli quartieri che hanno una diversa
specificità antropologica, sociale, etnica, culturale e livello di reddito. In questo senso quando si
parla di segmentazione geografica si parla del cosiddetto GRASS ROOTS ovvero che sorge dal basso
ad esempio City bank offre pacchetti parzialmente diversi nelle sue filiali a seconda del quartiere
della città in cui la filiale è collegata. (Differenze tra Parioli e Pigneto. Parioli è un quartiere
residenziale, elegante, formato da persone con un livello di reddito alto, alto livello di istruzione,
età media molto alta. Mentre Pigneto ha un livello di reddito medio-basso, quartiere centrificato,
età media più bassa..). Un altro esempio potrebbe essere la suddivisione in quartieri altri, quartieri
bene e legge tutta la slide 12 e poi dice “se volete andate a consultare il sito”.
Un altro esempio è la segmentazione della Nielsen. E’ una segmentazione geografica che è basata
sui quartieri e sulle diverse città. Fa parte della segmentazione PRIZM. Se voi abitasse in America
inserendo il codice di avviamento postale, vi esce fuori la descrizione dell’abitante tipico

 Segmentazine Socio-demografiche:
-Età e fase del ciclo di vita= : i desideri e le abilità dei consumatori variano con il tempo;
Pampers, ad esempio, suddivide il mercato in prenatale, neonati (fino a 5 mesi), prima infanzia
(6-12 mesi), primi passi (13-23 mesi) ed età prescolare (dai 24 mesi in su).
- stadio del ciclo di vita= Le persone che si trovano nello stesso punto del ciclo della vita
possono comunque differire per quanto riguarda lo stadio del ciclo di vita, che corrisponde a
una preoccupazione di grande importanza per una persona, per esempio affrontare un divorzio,
intraprendere un secondo matrimonio, prendersi cura di un genitore anziano, decidere di
coabitare con un'altra persona, decidere di acquistare una nuova casa e così via. Queste fasi
della vita offrono opportunità agli operatori di marketing che sono in grado di aiutare le persone
a occuparsi di ciò che più interessa loro. Non è detto che età e stadio di vita sono strettamente
correlati in quanto ad esempio si può diventare mamma anche a 20 anni o 45 rispetto ai 30 nella
media.
- Sesso= Es. donne più orientate alla cura della persona con creme etc mentre gli uomini no.
Molto marcata è anche l’editoria ( ci sono molte più riviste destinate al pubblico femminile
rispetto a quello maschile). Un altro mercato che è sempre più differenziato per il sesso è il
mercato per i giocattoli per la prima infanzia (differenza marcata tra i giochi del bambino rispetto
a quello delle femminucce). La stessa cosa identica è per i vestiti sempre in età infantile.Uomini e
donne hanno atteggiamenti e comportamenti differenti, dovuti in parte alle diverse caratteristiche
genetiche e in parte alla diversa socializzazione(donne più orientate alla comunità, orientate allo
shopping “compensativo”, uomini più individualisti, orientati allo shopping “gratificativo”), caso
Victoria’s Secret.Le donne tendono a essere più orientate alla comunità, gli uomini più assertivi e
concentrati su alcuni obiettivi; le donne tendono a considerare in modo globale l'ambiente
circostante, gli uomini a concentrarsi sulla parte dell'ambiente che può essere utile al
raggiungimento di un obiettivo. Una ricerca condotta sul modo in cui le donne e gli uomini fanno
shopping ha rilevato che spesso gli uomini hanno la necessità di essere sollecitati a toccare il
prodotto, mentre è probabile che le donne lo facciano senza che venga loro suggerito. Agli uomini
spesso piace leggere le informazioni sui prodotti; le donne invece si relazionano con un prodotto
su un piano più personale. Uomini e donne hanno atteggiamenti e comportamenti differenti.
-Reddito= si tratta di una pratica consolidata in settori quali abbigliamento, automobili, cosmetici,
servizi finanziari e turismo. Il reddito, tuttavia, non sempre consente di individuare i clienti ideali
per un determinato prodotto. Pensate al settore bancario per la creazione di pacchetti (importante
sapere ad. Esempio il reddito medio di un determinato quartiere).
-Generazione= Abbiamo la generazione silenziosa i quali hanno provato la guerra, poi abbiamo i
baby boomers che sono dal 46 al 64, In gran parte ancora nel pieno del loro ciclo di consumo,
scelgono prodotti e stili di vita che consentano loro di rallentare il cammino del tempo. Poi
abbiamo la generazione X (quella della prof) considerati come generazione di passaggio. A volte
considerati intermedi rispetto alle generazioni seguenti e precedenti, rappresentano un ponte
tra la competenza tecnologica della Generazione Y e la realtà adulta dei baby boomer. Poi
abbiamo la generazione Y (79-94) Cresciuti in relativo benessere, tecnologicamente esperti e
consapevoli delle problematiche ambientali e sociali, hanno un forte senso di indipendenza e la
percezione di essere immuni rispetto al marketing. Noi siamo la generazione Z . Ogni coorte è
profondamente influenzata dai tempi in cui cresce. I MM cercano dunque di usare immagini o
icone tratti dalle esperienze che hanno segnato le varie generazioni e che incontrino i particolari
interessi o desideri di un determinato target generazionale, anche se passato (caso Fiat 500,
consumatori nostalgici o della nuova generazione); Ad esempio tutti noi abbiamo il “ricordo”
della pandemia. (ricordo collettivo)
-etnia e cultura = il marketing multiculturale è un approccio fondato sull’idea che i diversi
segmenti etnici e culturali abbiano bisogni e desideri differenti abbastanza da giustificare attività
di marketing differenziate, e che un approccio di massa non sia raffinato per la realtà
diversificata del mercato. Tra l’altro, in un mondo sempre più dinamico, le popolazioni di molti
paesi sono ormai costituite da minoranze etniche che partecipano in modo consistente alla
crescita demografica. La grande diversificazione culturale ed etnica della gran parte dei mercati
domestici ha implicazioni sulle ricerche di marketing: convenzioni, sfumature linguistiche,
abitudini di acquisto e pratiche commerciali devono essere tenute in considerazione fin
dall’inizio. Esistono mezzi di comunicazione specializzati per raggiungere virtualmente ogni
segmento culturale, anche se questo comporta un aumento dei costi e della complessità della
progettazione ed implementazione delle campagne di comunicazione e di marketing.
Negli USA ad esempio, i principali mercati etnici sono l’ispano, l’afro e l’asiatico-americano, vedi
caso Kraft, con annunci pubblicitari, degustazioni e siti web appositamente sviluppati per
quest’ultima comunità etnica.
Es: Kraft iniziò a rivolgere le proprie attività di marketing alla comunità asiatico-americana nel 2005,
con una campagna integrata che prevedeva annunci pubblicitari in lingua, degustazioni di prodotti in
diversi punti di vendita e un sito web con ricette e suggerimenti per una vita sana. Una ricerca
condotta dall’impresa rivelò che i consumatori asiatico-americani non desideravano da Kraft altri
prodotti di stile asiatico; volevano invece imparare a utilizzare i prodotti Kraft per cucinare pasti di
tipo occidentale. Le comunicazioni di marketing Kraft utilizzavano il mandarino e il cantonese, due
dei dialetti più comuni tra gli immigrati asiatici, e si rivolgevano alle madri in quanto custodi culturali
delle loro famiglie, cercando un equilibrio tra la cultura occidentale e quella orientale. Un'inserzione
sulla stampa affiancava il proverbio cinese: "La vita ha centinaia di sapori" all'immagine di una serie
di prodotti Kraft adagiati su un vassoio. Per avvicinarsi ulteriormente agli acquirenti, Kraft inviò
rappresentanti di lingua cinese nei supermercati.

Marketing 8-10

Il raggruppamento generazionale è importante molto soprattutto nella comunicazione.


Per esempio, lo spot della fiat 500 è un esempio di un tipo di comunicazione che fa leva
sull’esistenza di una sorta di memoria condivisa a livello nazionale (nonostante la presenza di
persone di carattere internazionale come Maria Teresa di Calcutta). Molti di questi riferimenti
erano rivolti a una specifica generazione, non a caso la Fiat 500 è stata un simbolo di un'intera
generazione perché richiama immediatamente alla memoria un particolare momento storico per
l'Italia. I riferimenti storici dello spot riguardano personaggi, eventi particolari e foto simbolo tra
questi ricordiamo: Alberto Sordi, Falcone e Borsellino, la strage di Capaci, foto simbolo degli anni
di piombo, strage di Bologna, ecc.
STIAMO PARLANDO DEL CRITERIO DI CORRELAZIONE.
- segmentazione per area geografica che può andare anche molto nel dettaglio (es. segmentazione
per diversi quartieri di una città).
- segmentazione socio-demografica (es. età, sesso, reddito)
- segmentazione generazionale
- segmentazione psicografica
La segmentazione psicografica è un tipo di segmentazione che raggruppa i consumatori sulla base
di un insieme di indicatori che fanno riferimento a questi tre elementi:
- tratti psicologici
- stili di vita
- valori di riferimento
sulla base del presupposto che questi tre tratti siano tra loro fortemente correlati (non siano
indipendenti), cioè sulla base dell’ipotesi che chi adotta un certo stile di vita sia anche una persona
che esprime un certo tipo di valori e chi adotta un altro stile di vita molto differente sia una
persona ispirata da altri valori.
Tra i metodi di segmentazione psicografica:

-il metodo VALS (Values and LifeStyles), elaborato da una società di consulenza americana
specializzata in questo tipo di segmentazioni. Tale metodo si basa sull’incrocio di due dimensioni: il
livello di risorse (dimensione verticale) che una persona ha a disposizione (cioè il suo patrimonio di
risorse, non si intende solo quello economico) e la motivazione primaria che spinge le persone
(dimensione orizzontale).
Dall’incrocio di queste due dimensioni (risorse e motivazione primaria) vengono fuori sei categorie
di individui: riflessivi, ambiziosi, sperimentatori, devoti, velleitari e i pratici.
-Per motivazione primaria si intende la “molla” principale che ci fa agire nella vita, ci fa prendere
delle scelte piuttosto che altre, assumere stili di vita piuttosto che altri, ecc. Si distinguono tre
motivazioni: -ideali, il senso di conquista realizzazione personale (nell'ambito professionale) e
l’espressione di sé. Quindi ci sono persone primariamente motivate dai ideali (es. l’altruista)
guidati nella loro vita dalla conoscenza e da principi etici. –(autorealizzazione) Poi ci sono
consumatori la cui motivazione primaria è da ricercarsi nel conseguimento del successo
(professionale, politico, economico, ecc.) che appaia all'esterno (sono cioè persone ambiziose che
vogliono riconoscimento dall'esterno) e quindi sono alla ricerca di quei prodotti/servizi che
dimostrano il successo (i famosi “status symbol”). -La terza categoria sono quei consumatori che
sono motivati dall’espressione e realizzazione di sé a prescindere dal successo riconosciuto dalla
società, queste sono persone che ricercano attività sociale, fisica e amano la verità è il rischio (es.
compiere scelte coraggiose e controcorrente).
L'altra dimensione, che si incrocia con la prima, sono le risorse.
Con risorse non si intende solo ovviamente risorse economiche ed educative ma anche l'età,
l'energia, la fiducia in se stessi, la curiosità intellettuale, la capacità intellettuale, l'atteggiamento di
ricerca della novità, il grado di innovatività, impulsività, capacità di leadership e la vanità. Tutte
queste caratteristiche sono incluse nella dimensione delle risorse.
Il livello di risorse di una persona determina la sua capacità di raggiungere la sua motivazione
primaria, cioè una persona che ha grandi motivazioni primarie e grandi ideali ma ha poche risorse
ha meno possibilità di soddisfare la sua motivazione primaria.

*Quindi, incrociando queste due dimensioni si ottengono le sei categorie di individui.


Sostanzialmente, in alto ci sono quei segmenti che hanno più risorse (dato che la risorsa è la
dimensione verticale) e in basso ci sono quelli che hanno meno risorse, e poi per righe si
differenziano per la motivazione primaria (es. i riflessivi sono quel segmento caratterizzato da una
motivazione primaria di tipo idealistico e hanno un livello elevato di risorse; i pratici hanno risorse
modeste e sono motivati dall'espressione di sé; gli innovatori sono quelli che hanno molte risorse,
più della media, e quindi sono quelle che innovano, creano e aprono nuove strade; i sopravvissuti
si trovano al polo opposto e quindi sono quelli con meno risorse).
Questo è un esempio di segmentazione psicografica che incrocia i tratti psicologici e i valori, che
determinano determinati stili di vita.
Un altro esempio di segmentazione psicografica riguarda l’ambito del lusso. Questo esempio
distingue tra due categorie di consumatori di brand del lusso:
- i consumatori “parvenus”. Cioè quei consumatori che comprano il brand di lusso per un
consumo di tipo ostentativo. A questi consumatori il lusso piace perché è un segnale di status,
perché i benefici che loro cercano tra i brand di lusso è la possibilità di sfoggiare un brand di lusso
all'esterno. Questi consumatori cerca nel lusso per il suo valore sociale (es. io compro la borsa di
Gucci perché così tutti vedono che la borsa di Gucci). A questo consumatore interessa una borsa di
Gucci dalla quale si capisca che è una borsa di Gucci, quindi deve esserci il logo del brand ben
visibile perché lo scopo primario è quello di mostrarlo.
- i consumatori “patrician”. Sono esattamente l'opposto. Questa categoria di consumatori compra
il lusso non per il logo e per ostentarlo ma per le sue intrinseche proprietà (es. ne apprezzano le
caratteristiche, l’artigianalità, i materiali di qualità, la durata, il design). Quindi, in questo caso,
abbiamo il consumatore che acquista brand di lusso per motivi completamente diversi dal
precedente. Inoltre, un consumatore patrician, probabilmente non comprerebbe mai un brand di
lusso con il logo ben in vista perché lo considererebbe molto ostentativo.
Questa segmentazione è importante perché non si venderà mai una borsa Gucci con logo ben in
vista a un consumatore patrician perché non la comprerà mai e, al tempo stesso, non si può offrire
un consumatore parvenus una borsa Gucci che non si capisca che sia una borsa Gucci (dato che
l'unico motivo per il quale la vuole comprare è il logo).
Quindi, questo è un altro esempio di segmentazione basato su tratti psicologici e su motivazioni
primarie (in un caso l’ostentazione e un certo apprezzamento delle qualità intrinseca nell'altro) ed
è importante perché dà delle direttive molto precise in termini di value proposition.
Ricordiamo
Perché si chiama correlazione? Perché si basa sull’ipotesi che determinati valori, determinati stili
di vita, determinati tratti psicologici, determinate fasce di età, di sesso, di reddito, ecc. siano
correlati con determinati comportamenti di consumo (in particolare con la ricerca di alcuni
benefici nei prodotti).
CRITERIO DI SEGMENTAZIONE VALUE BASED (SPIEGAZIONE DETTAGLIATA)
Andiamo a vedere i processi di segmentazione basati sul criterio di causalità o, in altri termini,
quelli che non ipotizzano questa correlazione ma le vanno direttamente a cercare, cioè il metodo
della strumentalità (o value based).
Se uno adotta il metodo value based, definisce i segmenti direttamente in funzione dei benefici e
degli attributi che il consumatore ricerca nel medesimo prodotto. Quindi, per esempio, in questo
caso io vado a chiedere direttamente ai consumatori: “ma tu cosa cerchi in uno smartphone?”
Quindi crea il segmento in questo modo e solo dopo che ho creato il segmento sulla base di questi
dati, prendo ognuno di questi segmenti e vado a vedere chi c'è dentro (vado a vedere tra le
persone che ho messo dentro qual è l'età media, il loro livello medio di reddito, il valore medio di
istruzione, ecc.). Quindi la logica di questo metodo è esattamente opposta a quella del metodo
precedenti.
La prima fase della value based è partire cercando di capire quali sono gli attributi o gli elementi
più importanti che possono costituire valore per il cliente (ovviamente avranno valore diverso per
clienti diversi). Per esempio, per la borsa Gucci logo ben visibile avrà valore per un tipo di
consumatore e avrà valore zero, o addirittura negativo, per un altro tipo di consumatore. Quindi
devo identificare tutto l'insieme possibile di elementi che, per alcuni consumatori, possono
costituire del valore.
Successivamente, indago e vado a misurare quanti di questi consumatori attribuiscono valore a
ciascuno di questi attributi e quanto valore danno a quel determinato attributo (vado a fare
proprio un’indagine o una ricerca sul campo per misurare quanto valore ciascun consumatore
attribuisce a ciascun attributo).
Dopo aver ottenuto questi dati, a quel punto creo, attraverso un‘analisi statistica, i miei segmenti
attraverso metodi cluster analysis, raggruppando i consumatori che nel mio questionario hanno
dato valori simili (o punteggi simili) agli stessi attributi.
Solo dopo che ho trovato i miei segmenti, vado a vedere all'interno di ciascun segmento qual è
l'età media, il reddito medio, ecc. Cioè li descrivo secondo alcuni indicatori demografici,
sociologici, geografici, ecc.
Es. Questionario che viene sottoposto a un campione di consumatori che serve a segmentare
secondo il metodo value based. Quindi il consumatore da una serie di risposte per ognuna di
queste domande, dopodiché, una volta raccolte tutte le risposte del campione, attraverso le
tecniche statistiche di cluster analysis si raggruppano insieme il consumatore che hanno dato
punteggi simili. Per cui nello stesso segmento finiranno quei consumatori che usano lo
smartphone per scopi simili. una volta costruiti i miei segmenti in questo modo, vado a vedere
come sono fatti per le altre caratteristiche.
La segmentazione value based è un metodo più costoso (perché devo andare a cercarmi i dati sul
campo, devo fare l'indagine e sottoporre il questionario e quindi non posso basarmi su dati che
qualcun’altro raccolto) però è più affidabile (perché vado a chiedere direttamente al consumatore
quali sono i benefici che tra e dall’uso di questo prodotto e non sono io ad ipotizzarlo).
C’è anche da dire che c'è un alto rischio di sbagliare cioè di creare segmenti che non
corrispondono esattamente alla realtà se non si è sufficientemente attenti nella prima fase. Cioè,
affinché, per esempio, un questionario effettivamente rifletta la totalità dei possibili usi di uno
smartphone, io devo essere sufficientemente sicuro che nella lista degli usi possibili ci deve stare
tutto o quasi. Questo perché, se non sono sufficientemente attento nel fare una lista completa dei
possibili usi e benefici, rischio che poi mi rimane fuori una fetta importante di benefici che non ho
considerato.
Quindi questo metodo è più affidabile a patto che venga svolto bene, soprattutto nella fase iniziale
che è quella più delicata perché è quella in cui si considerano tutti i possibili usi in modo che poi la
fotografia restituita sia lo specchio della realtà.

Valutazione e Selezione del Segmento (targeting)


Come scelgo il segmento su cui focalizzarmi? In base ad alcuni criteri:

 Dimensione e redditività: numero di consumatori di ciascun segmento e la sua redditività. Non


sono per forza correlati i due fattori. Ci possono essere segmenti poco numerosi dal punto di vista
quantitativo basti pensare al mondo del lusso ma molto redditizio dal punto di vista dei margini
 Tasso di sviluppo attuale e prospettico: Se il segmento ha opportunità di crescere. Se consideriamo
il settore prima infanzia in Italia che diciamo è un settore destinato al declino perché il tasso di
natalità in Italia è basso.
 Pressione competitiva (Modello di Porter)-attuale e prospettica: Il modello di Porter che si usa per
valutare le singole aree di business, può essere usato allo stesso modo per valutare la pressione
competitiva all’interno di ciascun segmento. Ci possono essere segmenti molto “affollati” dai
competitor e per questo si può scegliere di puntare a segmenti più scoperti.
 Ritorni e sinergie di immagine: Es. Valentino decide di rivolgersi ad una fascia di clienti più bassa.
Un operazione di questo tipo che estende un Brand di lusso ad un fascia di consumatori che non è
collegata bene al lusso può avere delle ripercussioni negativi sul brand. Quindi bisogna valutare gli
eventuali ritorni sia postivi che negativi dell’immagine.
 Ritorni e sinergie di conoscenza: Se l’estensione su un determinato segmento porta delle sinergie
positive magari delle conoscenze che possono rivelarsi per operare in altri segmenti. Puntare per
esempio ad un nuovo segmento di consumatori, magari anche in segmenti in cui non si ha nessuna
proposta di valore, porta ad una conoscenza più approfondita di questo segmento e delle sue
dinamiche e ovviamente una conoscenza che può essere utile in futuro e per il brand stesso.

Per la scelta del segmento sono importanti tutti questi criteri, non ce n'è uno più importante di un altro .

Livelli di segmentazione
Nella scelta dei segmenti target, in genere, c'è uno spettro di possibili scelte e gli estremi dello spettro sono
da un lato mercato di massa, quindi rivolgersi a tutto il mercato quindi scelgo tutti i segmenti ( è una scelta
che si possono permette solo i grandi brand). Questa scelta di coprire tutto il mercato Può essere fatta in
due modi diversi:

 proponendo una offerta di valore diversa e personalizzata su ciascun segmento.


 creando un'offerta di valore standardizzata. Questa seconda scelta rende un pò la stessa
segmentazione inutile. Se scelgo di coprire il mercato con una value proposition standardizzata in
questo caso la segmentazione non ha più senso.

In genere quando si parla di segmentazione ci si riferisce a questa scelta (completa copertura di mercato)
ipotizzando che vengono fatti pacchetti di offerte personalizzati per ciascun segmento. Questo è un
estremo.

L'altro estremo è quello di scegliere alcuni segmenti , alcuni e non altri , c'è la scelta di nicchia ovvero vuol
dire che mi concentro su un segmento che magari è un segmento che risulta scoperto in quel momento
ovvero non servito dalla mia concorrenza. Questa si chiama strategie di nicchia.

C'è un'altra scelta estrema di considerare un singolo individuo come segmento. Grazie ai big data, è
possibile personalizzare un prodotto per ciascun consumatore quindi la lunghezza del segmento è 1.

Posizionamento e differenziazione dell’offerta


Quando si parla di posizionamento si intende lo spazio mentale del consumatore. Tutti noi ci creiamo delle
rappresentazioni mentali di tutti i brand o prodotti e queste rappresentazioni, un pò per comodità ,
vengono di solito visualizzate in uno spazio che è uno spazio le cui dimensioni sono determinati dagli
attributi che guidano la nostra scelta. Ad esempio per lo smartphone gli attributi possono essere il prezzo,
la durata della batteria, la larghezza del display, il tempo di ricarica …. nella nostra testa quindi abbiamo
uno spazio e all'interno di questo spazio si posizionano i diversi brand con il loro prodotto a seconda del
valore dei loro attributi. Il brand deve posizionarsi in questo spazio mentale della mente del consumatore
dove vuole posizionarsi ovvero qual è il suo obiettivo di posizionamento nella nostra mente. In sostanza
posizionamento si parte dal presupposto che noi consumatori colleghiamo i brand in un spazio mentale a
seconda degli attributi e questo ci porta a creare una mappa mentale di tutti i brand. Il posizionamento è un
atto di progettazione dell'offerta del value preposition al fine di far si che il nostro brand occupi il posto che
abbiamo individuato come il nostro obiettivo. Il posizionamento deve compiersi in maniera corretta
affinché sia un posizionamento di successo ovvero in modo che il nostro brand venga percepito come noi
desideriamo che venga percepito. Il primo passo è cercare di capire come è l'attuale mappa in modo che io
possa decidere dove posizionarmi. Come faccio a costruirmi la mappa? devo individuare quali sono gli altri
punti della mappa cioè quali sono i miei concorrenti.
Quindi per definizione dell ambiente competitivo, devo identificare quali sono i miei concorrenti che
occupano lo stesso mio spazio mentale e devo analizzarlo per capire in quali punti di questo spazio mentale
i miei concorrenti si collocano. Può sembrare un operazione banale ma non è sempre così perché bisogna
distinguere tra concorrenti diretti cioè quei concorrenti che hanno un modello di business quasi identico al
mio e da i concorrenti meno diretti che magari hanno un modello di business parzialmente diverso dal mio
ma che dal punto di vista del consumatore offrono un qualcosa che è considerato altamente sostituibili da
quello che offro io.

Con chi è in concorrenza youtube?

Spotify, Twitch , Sound cloud, mercato dei CD, prime video, netflix, sky, disney plus. Non è affatto banale
ricreare la lista competitor di youtube, alcuni sono più ovvi mentre altri no perchè yotube è pieno di
contenuti in quanto possono usare youtube per una miriadi di motivi diversi. In base a cosa un
consumatore preferisce un abbonamento a spotify rispetto a youtube? Vado a vedere sulla base degli
attributi che definiscono il mio spazio la posizione che hanno i miei competitor.

Poi devo trovare degli elementi che mi permettono di differenziare dai miei competitor (elementi di
differenziazione POD). Faranno parte sia della mia value proposition del prodotto che offro sia può essere
un oggetto della mia campagna di comunicazione ovvero devo comunicarli sennò perdono la loro efficacia .
Ci sono trucchi fondamentali che determinano se un determinato elemento può funzionare o no come
elemento di differenziazione rispetto ai miei competitor. Prima di tutto l'elemento di differenziazione deve
essere:

 desiderabile per il consumatore


 deve essere effettivamente un elemento che mi differenza rispetto ai concorrenti
 deve essere qualcosa che corrisponde che possibilmente riesco ad offrire. Ovvero devo offrire
qualcosa che posso permettermi di offrire.

L'altro elemento fondamentale che spesso è altrettanto necessario per comunicare in maniera efficace il
posizionamento sono l'insieme degli elementi di parità (POP) . Gli elementi di parità sono tutti quegli
elementi comuni che accomunano me i miei competitor. Sono quei elementi che caratterizzano diciamo
tutti i brand che competono nella stessa categoria di prodotto. Perché sono importanti ? perché bisogna
non solo Comunicare gli elementi di differenziazione ma è necessario anche rassicurare il consumatore sul
fatto che nulla di quanto lui o lei ha al momento se sceglie il competitor perderà se sceglierà noi. gli
elementi di parità sono una sorta di rassicurazione che comunica il consumatore che tutto ciò che
importante che offrono gli altri brand, lo offriamo anche noi.

Quindi se voglio convincerti a passare da spotify a youtube, non solo devo dirti perché youtube è meglio di
spotify ma devo anche dirti che non ti perdi nulla se passi a youtube, anche io ho X milioni di contenuti,
anche io ho le stesse librerie di spotify, anche io ho determinati artisti. Un altro esempio C’è una nuova
modalità ovver il noleggio a lungo termine. Si tratta di una formula nuova che sta a metà tra il possedere un
auto e il noleggio. In questo caso non solo è fondamentale marcare il motivo per cui converrebbe al
consumatore adottare questa formual piuttosto che comprare una auto nuova ma deve anche rassicurare il
consumatore sui punti parità (es. inclusione assicurazione, tagliando pagato..) Quando gli elementi di
differenziazione sono difficili da riscontrare nella realtà In qualche modo si punta sul simbolico ed è quello
che succede nell ambito delle acque minerali.

Ci sono centinaia di brand di acqua minerale, naturalmente ci sono delle differenze tecniche-chimiche ma
fondamentalmente queste differenze non hanno un grande impatto. Quindi puntano ad elementi di
differenziazione verso il packaging (es EVIAN) o la San pellegrino punta sul proporsi come un brand di
qualità abbinandolo a ristoranti famosi. O il Perrier che in Francia è considerato il Dom Perignon dell’acqua
in questo caso si usa il simbolico ovvero abbinando una bottiglia di acqua Perrier ad un piatto di caviale.
Quindi quando non si riesce a differenziare più in ambito tecnico-funzionale si punta al simbolico. In Italia si
usa esagerare le differenze chimiche (esagerando i benefici) Es. quelle che favoriscono la diuresi…

L'ultimo elemento utile quando si parla di posizionamento è la mappa delle percezioni e riposizionamento.
L'elemento fondamentale per creare un posizionamento è proprio quella di creare una mappa fisica. Un
esempio molto semplice.

Abbiamo una scala che va da una immagine contemporanea ad un immagine tradizionale. L’altro asse è
dato da un gusto leggero ad un gusto forte. Stiamo parlando di caffè. In rosso vediamo la posizione delle 3
marche (A,B,C) e in blu vediamo 3 segmenti di consumatori con le aspettative combinazione di attributi. Per
il segmento 1 privilegiano un immagine molto contemporanea ed un gusto diciamo medio. I clienti del
segmento 2 privilegiano un gusto leggero e non fanno caso all’immagine in quanto stanno al centro. Il 3
segmento sono più estremi che vogliono un gusto forte ed una immagine tradizionale. Le mappe servono
anche per decidere le strategie di ri-posizionamento ad esempio il brand A si trova in una posizione non
molto felice perché si trova lontano alle combinazioni ideali dei 3 segmenti di consumatori. In questo caso
ci sono 2 possibilità: spostarsi verso A’ quindi mantenendo invariato il gusto ma cambiando l’immagine del
brand rendendola più contemporanea. Oppure è quello di andare da A a A’’ lasciando inalterata l’immagine
del brand ma modificando il gusto in modo significativo rendendolo più leggero. (oppure introducendo una
versione light). In tutti e due i casi si avvicinerebbe ai segmenti. Spostandosi da A a A’ si avvicinerebbe al
segmento 1 ma anche al brand B. Con l altra opzione si avvicina al segmento 2 ma anche al brand C.

Il brand D nuota nel blue ocean ovvero quando si crea un offerta molto lontana dai competitor.

Posizionamento
Gli attributi della mappa di posizionamento non devono essere presi a caso ma in realtà bisognerebbe fare
una ricerca di mercato per sapere quali sono gli attributi più importanti per i consumatori. Si fanno a volte
anche più mappe con coppie diverse di attributi. Ricordiamo che è una mappa mentale. Gli assi cartesiani di
questa mappa sono costituiti da attributi che guidano la scelta del consumatore.
Bisogna fare una distinzione di posizionamento: come un’analisi oppure il posizionamento come il risultato
di una decisione strategica quindi come l’atto di progettare la mia offerta (quindi tutte le variabili del
marketing mix compresa la comunicazione) in modo che il mio brand vada ad occupare quel punto nella
mappa mentale che io ho scelto come punto desiderato. Questa operazione se riesce dovrebbe garantire i
risultati che si sono stati ipotizzati quando si è deciso il posizionamento da raggiungere. Più che due
posizionamenti ci sono due modi diversi di intendere il posizionamento:

 posizionamento percettivo : È una fotografia dell'esistente ovvero com'è la situazione in un


determinato momento. Come ottengo questa fotografia ? analizzando come consumatori scelgono
quel particolare prodotto, quali sono gli attributi che preferiscono e come posizione diversi brand in
relazione allo spazio definito dagli attributi. Il risultato di questo processo di analisi è una mappa
che mi dice com'è la situazione, come sono posizionati i diversi brand, come è posizionato il mio
brand.
 Posizionamento competitivo : Che è quello che consegue ad una scelta. Io voglio che il mio brand
venga posizionato in un determinato punto dello spazio mentale e quindi attuerò tutte quelle
decisioni strategiche e tattiche che mi portano a quell’ obiettivo.
Su posizionamento c'è anche da dire che in genere in un posizionamento di successo gli attributi che
posizioniamo sugli assi non sono ipotizzati sulla base di conoscenza del prodotto dal punto di vista
dell'impresa (ovvero non sono scelte a caso dall’impresa) ma sulla base dell’ascolto dei consumatori. E’
molto importante che tutta la scelta del posizionamento competitivo sia customer based cioè tutto parte
dall ascolto del consumatore quindi attraverso indagini di mercato , sondaggi, interviste…

A cosa serve il posizionamento ? Per le seguenti: finalità del posizionamento

 Modifiche di linee o prodotti già esistenti :l'analisi di posizionamento è fondamentale sia per il
lancio di un nuovo prodotto o di nuovo un nuovo brand o brand e prodotti già esistenti.
 Modifiche di politiche di marketing: Ovvero voglio modificare non il mio prodotto o brand ma il
tipo di comunicazione senza andare ad intaccare le caratteristiche del prodotto.
 Lancio di nuovi prodotti o linee : Si parla di un posizionamento ex novo.
Nei due casi precedente parliamo di un ri-posizionamento.
Es. Noi siamo il brand A e vogliamo riposizionarci in quanto siamo in un punto che non è né carne e né
pesce e vogliamo appunto riposizionare il nostro Brand. Due strategie possibile sono: o quello di muoverci
da A a A’ e cambiare l’immagine del brand in una direzione di maggiore contemporaneità. Così facendo
diamo fastidio al brand B. Oppure un riposizionamento che non va ad intaccare l’immagine ma va ad
intaccare il prodotto quindi andando a modificare il gusto. Con questo strategia ci avviciniamo al segmento
dei consumatori 2 ne ci avviciniamo al nostro competitor C.

Tutte le decisioni di posizionamento devono tradursi nella formulazione della proposta di valore che è un
una formula che indica il cuore dell'offerta dell'impresa ovvero ciò che giustifica al mercato il prezzo che
quell’ impresa chiede per acquistare il suo prodotto. Molto spesso nel marketing non si parla di prodotto o
servizio ma si parla di offerta o più precisamente proposta di valore.

Ad esempio Volvo è per le famiglie ad alto reddito attente alla sicurezza, i benefici chiave sono la durata e la
sicurezza, ha un sovraprezzo del 15%, la proposta di valore è quella di avere una station wagon più sicura
adatta a trasportare tutta la famiglia. Il sovraprezzo è chiamato premium price. Non è detto che vi deve
essere sempre il sovrapprezzo ma a volte si propone un prezzo “ottimale”. La proposta di valore è il cuore
del marketing strategico. La proposta di valore spiega il perché un consumatore dovrebbe scegliere me e
non un altro brand.

Posizionamento della Marca


Molto spesso il posizionamento si riferisce alla marca e non al prodotto perché per la marca è più facile
essere identificata dal consumatore. Queste sono le fasi di posizionamento:

 Schema di riferimento:
o identificazione dei concorrenti
o analisi dei concorrenti

 Elementi di parità e differenziazione


o Identificare gli elementi di parità (elementi comuni a tutti i brand ed è fondamentale
comunicarli.)
o identificare gli elementi di differenziazione
o ambienti competitivi di riferimento multipli (es. youtube è una piattaforma multicontenuto.
Su youtube si può vedere film, si può ascoltare musica quindi è simile a spotify o altre
piattaforme. Per i prodotti complessi come le piattaforme può essere essenziale
identificare diversi mercati e diversi concorrenti.)

 Mantra della Marca: SLOGAN che facilita il riconoscimento del brand e facilita il posizionamento.
(es. “Autentica performance atletica “ per nike e “divertimento per la famiglia felice” per disney. In
4 parole c’è il nocciolo della value proposition.). I 3 criteri chiavi:
o Comunicare: un buon mantra dovrebbe definire la categoria di attività per la marca e
impostarne i confini. Dovrebbe anche chiarire quali sono gli elementi caratteristici della
marca.
o semplificare : un mantra efficace dovrebbe essere facilmente ricordabile; dovrebbe essere
breve, pungente e rendere vivacemente il significato
o ispirare : il mantra dovrebbe anche porre le basi per un concetto del prodotto che sia
personalmente significativo e importante per il maggior numero di dipendenti possibile.

Affermare il posizionamento della marca

Il mantra non deve comunicare solamente all'esterno ovvero ai potenziali consumatori ma anche
all'interno dell'impresa stessa perché il posizionamento deve entrare anche nella testa di tutti coloro che
hanno a che fare con l'impresa e i primi sono propri dipendenti. Come si afferma il posizionamento di
marca ? comunicandolo ovviamente sia internamente che esternamente. Quindi è molto fondamentale
formare i dipendenti con quello che è il nucleo della value proposition perché poi i dipendenti lo possono
comunicare all'esterno. Si afferma il posizionamento dichiarando sostanzialmente l'appartenenza ad una
categoria di prodotto e qui rientra in gioco l'importanza degli elementi di parità quindi il consumatore deve
capire che ha di fronte un brand che ha oltre alle sue specificità, le sue unicità ma al quale è associato un
prodotto che appartiene ad un determinata categoria e quindi ha, per forza di cose, una serie di elementi
che sono comuni a tutti i prodotti di quella categoria.

 E’ opportuno affermare il posizionamento dichiarando i benefici e lì c'è il cuore della


differenziazione ad esempio mondo convenienza ha come mantra “la nostra forza è il prezzo “
questo è un tipo di posizionamento.
 Per le Marche nuove che si affacciano per la prima volta sul mercato può essere utile richiamare un
confronto con modelli più noti che ovviamente va a vantaggio della marca nuova.
 Un altro elemento che può facilitare un posizionamento corretto è quello di affidarsi al descrittore
del prodotto . (transit Van sotto al modello ford). Molto usato per i brand umbrella.
 Comunicare elementi di parità e di differenziazione

Come realizzare il posizionamento per le piccole imprese


 Usare la creatività per realizzare ricerche di mercato a basso costo
 concentrarsi sulla creazione di una o due Marche forti
 impiegare una serie ben integrata di elementi di marca
 incoraggiare la prova del prodotto del servizio (promozioni). Incoraggiare la prova è alla portata
anche delle piccole imprese.
 sviluppare una strategia digitale. Uso di social media.
 creare Buzz e una comunità.
 sfruttare quante più associazioni secondarie possibili. Es. attraverso creazione di eventi oppure con
testimonial.

Posizionamento su Scala Globale


-Bisogna scegliere innanzitutto in quanti mercati operare e quali. in quanto ogni mercato ha le sue
proprietà. Non ci sono differenze solamente dal punto di vista culturale ma anche dal punto di vista dello
stato di sviluppo di questi quest’ultimi. E’ molto diverso, ad esempio operare in mercati che sono più
“sviluppati “ oppure in mercati “emergenti” in quanto ci sono proprio delle logiche completamente
diverse.

-Dopodiché bisogna stabilire come entrare in questi mercati. Ci sono i quattro strumenti classici di entrata
nei nuovi mercati esteri:

1. esportazione: richiede il minore grado di complessità, di investimento ed è alla portata anche di


piccole imprese ma non ha un grande controllo sul mercato estero. Non richiede ingenti costi fissi.
L’impresa non ha controllo sul mercato di distribuzione. L’impresa non può controllare come il suo
prodotto viene presentato al cliente finale sul mercato estero.
2. La concessione di Licenze: Richiede un investimento un po’ più elevato ma anch'esso è come
l'esportazione ovvero alla portata anche di piccole imprese.
3. Le joint Venture: sono delle alleanze strategiche tra imprese che comportano una serie di obblighi
e sono importanti perché con una joint ventures due imprese magari ad esempio una italiana ed
una estera mettono in comune tutta una serie di competenze, di attività strategiche e quindi si può
considerare molto di più di una formula contrattuale. E’ una vera e propria alleanza strategica di
solito di lungo periodo. Ha molti vantaggi ma naturalmente è più rischiosa.
4. L’investimento Diretto: vuol dire io entro in un mercato estero aprendo direttamente li uno dei
miei stabilimenti di produzione o una rete distributiva. Quindi non mi affido ad un intermediario o
ad un'impresa estera ma io apro una mia rete distributiva o un mio impianto. Questa è la opzione
più costosa perché richiede ingenti investimenti e grandi costi fissi ma è l opzione che assicura un
maggiore controllo sul processo finale. Io ho il controllo di tutto il processo del retailling.

-Bisogna stabilire poi come posizionarsi. Ci sono due opzioni classiche:

 scegliere una posizione standardizzata . Cioè io mi posiziono su tutti i mercati esteri allo stesso
modo, utilizzando gli stessi elemento di differenziazione , la stessa campagna di comunicazione
quindi in sostanza utilizzando un posizionamento standardizzato.
 Adattamento ai mercati. Adattamento che può riguardare sia le caratteristiche del prodotto sia le
caratteristiche del marketing mix ad esempio sia solo la campagna di comunicazione. Nel caso di
head e shoulders : si riferisce a due mercati: quello italiano e quello cinese. Si discute la possibilità
di realizzare o una campagna pubblicitaria uniforme o adattare la campagna comunicativa
realizzando due spot diversi che riflettano le differenze culturali. Nel caso head e shoulders riguarda
solo la campagna pubblicitaria.
 Ibrido
IL valore della Marca
La marca è fondamentale. il nostro cervello è pieno di Brand, abbiamo anche in memoria brand di prodotti
che non ci interessano nemmeno però a causa della comunicazione a cui siamo sottoposti si fissano nella
nostra memoria e sono uno degli elementi che ci guidano alle nostre scelte. Il brand è fondamentale perché
svolge tre funzioni e produce tre importante conseguenze.

Contenuti Funzioni Conseguenze


Segno Funzione cognitivo-identificativa Sintesi informatica (Brand
awarness)
Significato Funzione emotivo-attitudinale Sintesi percettiva (Brand image)
Esperienza Funzione fiduciario-previsionale Sintesi decisionale (brand
loyalty)

Segno= logo Che svolge una funzione cognitivo identificativa cioe se io cammino per la strada e lo sguardo
si posa sulla mela morsicata immediatamente mi viene in mente anche se io sto pensando ad altro mi viene
in mente Apple. Una prima conseguenza molto importante di questo contenuto è la Brand Awareness cioè
attraverso il riconoscimento di questo segno particolare e la sua associazione con quel brand, l’impresa crea
una consapevolezza di marca cioè man mano che questo segno si diffonde tra i consumatori, diventano
consapevoli che quel brand esiste e loro lo riconoscono quando lo vedono.

Significato= Qui abbiamo una funzione emotiva attitudinale(atteggiamento). Io quando vedo quel segno
posso avere un atteggiamento positivo, negativo o una via di mezzo. la conseguenza del significato del
brand è la brand image, tutto ciò che è associato a un brand.

Esperienza: Noi scegliamo un brand, lo usiamo, impariamo a conoscerlo e quindi sviluppiamo esperienza di
quel particolare brand. Il contenuto di esperienza svolge una funzione Fiduciaria-previsionale cioè ad
esempio se utilizzo un determinato brand e supponiamo che mi trovo bene, imparo a conoscere e a quel
punto si sviluppa una sorta di fiducia e una capacità di prevedere le prestazioni che quel brand mi offrirà.
Es. compra uno smartphone Samsung, mi trovo bene e molto probabilmente il suo prossimo telefono sarà
sempre un Samsung perché avendo già sperimentato il Samsung, la persona già sa cosa aspettarsi quindi il
brand funge anche da sostituto per la ricerca di informazione. La conseguenza è la brand loyalty come
spiegato con l'esempio prima ovvero si sviluppa una sorta di fiducia e lealtà nei confronti del brand. Scelgo
quel brand perché so cosa aspettarmi.

Ruolo delle Marche


Abbiamo i benefici sia per i clienti che per le imprese. i benefici dei clienti sono:

 semplifica il processo decisionale: L'esempio del Samsung ovvero mi sono trovato bene quindi so
già quale sarà il mio prossimo smartphone. (soprattutto per i prodotti complessi)
 Identifica l’origine/produttore di un bene: (Attenzione ai beni contraffatti ). Chi produce quel
bene.
 Riduce i rischi connessi alla scelta.

I benefici per le imprese sono:

 semplifica la gestione e tracciabilità del bene : sia della movimentazione interna sia verso l'esterno
ovvero quando il prodotto ha lasciato la fabbrica
 Protegge l'impresa dal punto di vista legale.
 assicura un enorme vantaggio competitivo: alcuni brand hanno una posizione di dominanza sul
mercato a prescindere dal valore intrinseco dei prodotti che offre.

Il valore della marca basato sui clienti


Ragionando su un ottica customer centrica Ovvero centrata sul consumatore. Ciò che vale è ciò che i
consumatori riconoscono. Il valore della marca in un'ottica customer centrica è dato dal fatto che il
consumatore conosce la marca di un determinato prodotto. Venire a conoscenza della marca di quel
determinato prodotto modifica le sue percezioni e le preferenze e quindi genera una differenza nella
risposta del cliente. Un esempio potrebbe essere l'esperimento cieco tra riconoscere la coca cola e la pepsi.
Ovvero ad un gruppo veniva fatto assaggiare un soft drink dentro la bottiglietta che non rivelava la marca. il
risultato è che la maggioranza Preferiva pepsi come gusto non sapendo la marca. lo stesso identico
trattamento venne fatto ma con la marca ben visibile, il risultato e che la maggioranza dichiarava di
preferire Coca Cola. Questo è un esempio proprio plateale di come il brand ovvero sapere che quello che
sta bevendo e Coca-Cola influenza la nostra percezione del gusto.

Come si costruisce il valore della Marca?

Ci sono 3 modi :

1. le scelte iniziali di tutti quegli elementi compreso il segno che definiscono l'identità della marca
2. tutto ciò che concerne il prodotto , i servizi e tutte le attività (marketing mix) e i programmi di
marketing che lo sostengono
3. le cosiddette associazioni secondaria ovvero quelle associazioni che vengono in qualche modo
trasferite indirettamente alla marca tramite qualche collegamento di identità. Ad esempio
l'associazione di Apple con il suo fondatore. altri esempi potrebbero essere uso di testimonial o il
collegamento con il paese di origine.

Marketing 15-10
Il valore di una marca si determina proprio nella differenza di risposta da parte del cliente innescata dalla
consapevolezza che quel determinato prodotto è di quella determinata marca. per capire questo avevamo
fatto l'esempio il famoso esperimento su pepsi e Coca Cola.

Elementi della marca

Gli elementi iniziali sono tutti quegli elementi che contribuiscono ad uno dei goal di marketing associato al
brand cioè la brand awareness cioè la consapevolezza del brand . il secondo set di fattori cioè lo sviluppo di
veri e propri programmi di marketing (le quattro leve del marketing mix) contribuiscono ovviamente a
creare e a rafforzare la brand image attraverso tutta una serie di associazioni più o meno dirette o indirette
tra i brand e attributi del prodotto , attributi di servizi ad esso collegati , associazioni dirette e etc. C'è poi lo
sviluppo delle relazioni nel tempo con i consumatori che rafforza il terzo obiettivo di marketing che il brand
loyalty. La brand awareness genera la brand image la quale genera successivamente la brand loyalty.
Ovviamente se non c'è una buona immagine positiva non ci può essere una brand loyalty e se non c'è
nemmeno un brand awareness non ci può essere né una brand image positiva e di conseguenza non ci può
essere una brand loyalty. Per quanto riguarda la brand awareness ci sono alcuni attributi che il brand deve
avere per facilitare appunto la awareness:

Criteri di costruzione della marca


 Deve avere una forte capacità evocativa di immagini chiaramente positive, di immagini che si
vogliono associare al brand. (Facile significativo)
 Deve essere facile da ricordare
 deve essere gradevole , un nome che sia gradevole al suono.
Criteri di tipo difensivo
 deve essere poi facilmente trasferibile. Per esempio a prodotti nuovi. Se pensiamo alle grandi
imprese essi generalmente operano su diversi mercati , con diverse linee di prodotto e anche in
diverse categorie di prodotto che possono essere anche molto distanti tra di loro ed è necessario
che il brand non abbia delle caratteristiche tali da rimanere troppo facilmente ancorata ad una
specifica categoria di prodotto. Ad esempio Amazon ha iniziato vendendo libri e basta. Se avesse
scelto un nome che richiamava il concetto di libro questo avrebbe potuto essere un ostacolo nel
momento in cui Amazon inizia ad espandersi in diverse categorie di prodotto.
 deve essere anche adattabile nel tempo : cioè il nome devono essere adattabili alle eventuali
modifiche ad esempio del logo. Alcuni brand sono cambiati nel tempo ma hanno mantenuto
sempre quel simbolo o colore che li permetteva di riconoscerli.
 Deve essere tutelabile da tentativi di imitazione
Questi elementi devono essere scelti in maniera oculata e man mano che questi elementi facilitano il
riconoscimento, ovvero l'identificazione del nostro brand. Il riconoscimento man mano che diventa sempre
più frequente questo a sua volta incide su quello che si chiama la profondità di richiamo ovvero incide sulla
probabilità che quella particolare marca ci venga in mente. Si può misurare attraverso esperimenti o
interviste. Il fatto che mi venga in mente la marca può essere sollecitato dall’intervistatore oppure la marca
puoi venirmi in mente automaticamente e l'obiettivo ultimo è la cosiddetta memoria o top of mind che vuol
dire che per un campione di consumatori analizzati quel brand è il primo brand che viene in mente quando
magari si chiede all intervistato “Dimmi tre nomi di brand di smartphone “ ed il primo che viene in mente è
il nostro band, questa si chiama top of mind. Naturalmente avere una probabilità spontanea è meglio di
quella che viene sollecitata perché vuol dire che il brand è tra quelli saliente nella mente del consumatore.
l'obiettivo ultimo è quello di aspirare ad essere il brand top of mind.

Quali sono gli altri elementi della marca oltre al nome che vanno scelti in modo accurato ?

tutto ciò che contribuisce a questa identità di marca quindi:

 il nome
 i simboli (es. i 4 cerchi dell’audi, la mela morsicata dell’apple..)
 Il design distintivo(picturing) = composizione scenica che combina colori, immagini, oggetti ed etc.
 jingle Tema molto semplice ma molto accattivante che può essere ricordato facilmente e che può
essere accompagnato o no da alcune parole. i Jingle sembra semplice ma in realtà sono molto
complessi, non ci sono corsi per i musicisti specializzati nella creazione di musica a scopi di
marketing. la loro progettazione e la loro composizione molto sofisticata anche.se poi il risultato
sembra apparentemente semplice. Un esempio di Jingle sono le musichette associate alle case di
produzione cinematografiche quelli che trovate sempre all'inizio dei film
 Lo slogan ovvero che descrive il prodotto, è una combinazione di due parole che in qualche modo
identifica il prodotto (“just do it”).
 Caratteri es. scritta coca cola
Tutti questi elementi contribuiscono alla creazione dell'immagine della marca. Questo lavoro è dei creativi
solitamente.

Poi ci sono tutte le associazioni affinchè un brand risulti complessivamente apprezzato.

Come si crea una immagine del brand?


Attraverso gli attributi che vengono associati a quel brand ovvero quelli che si chiamano associazioni di
marca . Questi attributi o queste associazioni possono essere:

 relativi al prodotto: quindi posso creare delle associazioni con il prodotto (facile, elegante, sicuro,
vincente.) Posso focalizzarmi su attributi più concreti o più astratti.
 non relative al prodotto ma possono riguardare qualsiasi cosa che noi desideriamo affinchè venga
associata la marca nella mente del consumatore. Quindi per esempio possiamo usare immagini di
alcuni utilizzatori del brand , possiamo creare delle immagini particolarmente evocative e piacevole
di alcune situazioni d'uso di quel brand. Se io voglio creare una campagna della comunicazione
della Samsonite (valige da viaggio) Faccio ad esempio la foto ad un viaggiatore solitario immerso a
paesaggi meravigliosi. in questo caso io creo un'associazione d'uso oppure una personalità di
marca.

Associazioni secondarie

Tra i vari tipi di associazione secondaria abbiamo:

 aree geografiche: Di solito un paese o anche una particolare area di un paese. (es. Made in Italy)
 Altre marche: (co-branding): associazione con altre marche. Associo il mio brand con un altro brand
di prestigio, ne posso uscire rafforzato. Un esempio è microsoft con intel. Un altro esempio H&M
ospita delle collezioni con alcuni stilisti periodicamente.
 Altri prodotti: (licencing&merchandising)
 Portavoce (testimonial) = George Clooney con nespresso
 Eventi: i classici eventi (es. travis scott su fortnite) . Esempio olimpiadi, mondiali. Heineken che
sponsorizza la finale di Champions League. Non solo eventi sportivi ma anche eventi culturali.
 Canali di distribuzione = posso creare nella mente del consumatore una particolare associazione di
marca anche scegliendo di distribuire il mio prodotto attraverso un determinato canale. Ad
esempio alcune case di cosmetici, decidono di distribuire i loro prodotti attraverso i canali delle
farmacie. Distribuire una crema antietà in farmacia, può contribuire nella mente del consumatore
un senso di efficacia in quanto poiché è venduto in farmacia può essere considerato efficace come
un farmaco.

Si passa poi alla brand loyalty. Per Avere brand loyalty (fedeltà di Brand nel tempo) le altre due componenti
(brand awarness e brand image ) sono necessarie ma non sufficienti. Quindi la brand loyalty si ottiene con
le precedenti due variabili e attraverso un orientamento al cliente che si traduce in integrità quindi
potremmo dire una correttezza di comportamento quindi il rispetto del cliente nella singola transazione e
quindi si parla di equità transazionale in quanto si riferisce alla singola transazione in cui il cliente X compra
il prodotto di quel brand. Ci deve essere anche un' assenza di opportunismo nei comportamenti della marca
quindi diciamo una comunicazione veritiera e corretta quindi evitare di promettere elementi e benefici che
non si possono poi erogare effettivamente. Questo contribuisce a quella che si chiama equità relazionale
cioè la equità della relazione tra il brand e il consumatore nel tempo e infine diciamo per creare un vero e
proprio engagment che determina anche un attaccamento di tipo emotivo e quindi determina la loyalty nel
lungo termine. Ci deve essere anche una certa convergenza di finalità e valori . Quindi devo sentire che quel
brand in qualche modo esprime dei valori ma non solo a livello di immagine ma anche a livello di
comportamenti effettivi. Esprimendo dei valori che sono congruenti con i miei. (equità seriale). Questi tre
componenti dovrebbero creare il gol finale che è la brand loyalty.
Parlando di brand loyalty si possono fare diversi esempi di quelli che si chiamano comunità di marca. Le
comunità di marca molto spesso vengono anche chiamate tribù perché per studiare queste comunità si
usano in poi gli stessi metodi che gli antropologi usano per studiare le tribù ovvero i metodi cosiddetti
etnografici o netnografici. Le comunità di marca sono comunità che si creano attorno ad un brand e quindi
che riuniscono sostanzialmente non solo utilizzatori di quel brand ma anche in qualche modo gli
appassionati. In alcuni dei casi si creano spontaneamente dal basso senza alcuna sollecitazione del brand e
in altri casi sono invece incoraggiati e sponsorizzati dal brand stesso quindi vengono “calati dall'alto”. Un
esempio sicuramente è la comunità dei fan di lego ( composta da persone che da bambini usavano i lego e
che poiché sono rimasti legati al brand e che continuano ad usare per Hobby. Lego sfrutta questa comunità
per trarne delle idee per nuovi prodotti. Si tratta di una comunità molto estesa, formata da veri
appassionati che aiutano la Lego con suggerimenti ed idee per nuovi prodotti). Le comunità hanno il
compito di:

 Consapevolezza della marca: diffondere la consapevolezza della marca.


 Rituali, storie , tradizioni: diffondono storie, rituali, abitudini.
 Responsabilità e dovere morale: nei propri membri per divulgare e diffondere una immagine
positiva del brand.

Tra le più importanti c'è la comunità degli Harleysti per chi possiede un Harley Davidson, questa comunità
conta più di un milione di iscritti in questo caso è una comunità che è stata sponsorizzata da Harley
Davidson stessa. La harley è inferiore ai suoi competitor basti pensare alla yhamhaa o alla honda ma la sua
forza risiede negli elementi simbolici che sono associati a quel brand(libertà, america, viaggi coast to
coast…). Questa comunità che è stata creata dalla Harley stessa ha delle agevolazione a chi ne fa parte. Per
entrare in questa comunità bisognare pagare ma ci sono dei vantaggi ad esempio l‘abbonamento ad una
rivista, guide turistiche, servizi stradali d’emergenza, agevolazione finanziaria, tariffe scontate su molti
hotel…

BRAND MANAGMENT

estensioni di marca : una marca affermata viene utilizzata per introdurre e pubblicizzare un nuovo
prodotto. La marca viene estesa per andare a coprire un nuovo prodotto che l’impresa lancia.

Parent brand: la marca esistente dà vità ad un brand extension o sub-brand. Questo può avvenire in
diverse modalità o si crea una sottomarca (vaio con Sony) Oppure rimane invariato (Virgin).
Per quanto riguarda la brand extension ci sono due categorie di brand extension :

 presenta un livello minore di rischio ed è la cosiddetta estensioni di linea e avviene quando la


marca viene usata per coprire il lancio di un nuovo prodotto all'interno di una categoria di prodotti
che la marca già serve attualmente. Si crea un nuovo prodotto ma all'interno di una categoria di
prodotti già ben consolidata (es. danone possiamo pensare che lancio


 ad un nuovo yogurt o ad una nuova bevanda a base di latte che quindi in parte sempre di una
categoria di prodotto che già serve ma una nuova versione con un nuovo sapore),
 estensione di categoria: La marca di origine viene utilizzata per inserire una categoria di prodotto
diverso. esempio Honda fa motociclette, automobili, motoslitte, motori marini. Si tratta di categorie
di prodotto molto diverse. La yhamaa è forte nei motori ma anche nella produzione di beni acustici
come pianoforti ma anche chitarre.

Quale nome? Abbiamo varie possibilità:

 individual Brand Name: un nome per ogni prodotto diverso. Es General Mills che caratterizza il
mercato americano.
 Corporate umbrella (marca generica d’impresa): Il brand aziendale viene utilizzato come marca
ombrello su tutto il mix di prodotto. (es. Heinze che adotta una strategia diversa dalla General MIll
perché sostanzialmente lancia tutti i nuovi prodotti con lo stesso nome di marca). I costi di sviluppo
sono bassi in quanto non vi è alcuna necessità di cercare un nuovo nome o investire molte risorse
sulla pubblicità per creare il riconoscimento. Se il nome del produttore è affermato, le vendite del
nuovo prodotto ne beneficeranno.
 Nomi ibridi: c’è il nome della corporate branding ma anche il nome del prodotto (Es. Kellogs’s Corn
flakes, Kellog’s Coco pops). Il nome della marca di origine rassicura circa la qualità, mentre il nome
del prodotto aiuta differenziarlo. Se ci allontaniamo tanto da quello che produciamo ad esempio
Kellogs inzia a produrre detersivi, può essere molto più rischioso.)

Portafoglio di brand= set di tutte le marche che una particolare azienda offre nelle varie categorie in cui
opera. L’obiettivo di un portafoglio di brand è di massimizzare la copertura di un mercato in modo che
nessun potenziale cliente venga ignorato, ma, allo stesso tempo, ridurre al minimo la sovrapposizione delle
marche in modo che esse non siano in competizione per l’approvazione del cliente.

Ci sono 4 categorie di marche che compongono il portafoglio:

 Fighter Brand (marche d’assalto): hanno la funzione di fanteria. Il loro scopo non è quello di
generare profitti per l’impresa ma di proteggere le marche di punta(quelle che generano maggiore
redditività) dall’assalto dei concorrenti. Esse non devono essere molto attraenti perché sennò si
realizza la cannibalizzazione ma allo stesso tempo non devono essere di fascia troppo basso sennò
vanno a danneggiare l’immagine del brand. (l’acqua minerale Guizza protegge San Benedetto dalla
concorrenza esercitata dai brand low cost). L’impresa può tollerare una certa quota di
cannibalizzazione.
 Cash cows Brands : marche tenute in portafoglio nonostante il calo delle vendite in quanto
mantengono la loro redditività praticamente senza supporto di marketing. La soppressione di
queste marche non necessariamente incoraggia i clienti a passare a un'altra marca offerta dalla
stessa azienda. Es tutte le linee vecchie di gilette vengono tenute sul mercato perché continuano a
generare profitti. Togliere queste linee, non mi da nessuna garanzia che il consumatore passerà alle
mie nuove linee.
 Marche di fascia basse (trading down): Hanno lo scopo di attirare i clienti verso la marca avente
prezzo maggiore, “portandoli nel punto vendite” nella speranza di ottenere trading up . Ovvero la
speranza che una volta catturato il consumatore attirandolo con la “versione bassa” in futuro passi
poi alle opzioni più costose.
 Marche di fascia alta (trading up): Il loro obiettivo è di aumentare il prestigio e credibilità
dell’intero portafoglio. Sono la punta di diamante del brand. Hanno il compito di preservazione
dell’immagine. (es. corvette in caso di chevrolet)

Vantaggi dell’estensione di marca


1. Migliori probabilità di successo per i nuovi prodotti:

I consumatori formano le loro aspettative su di un nuovo prodotto in base alle conoscenze che posseggono
sulla marca. Se il brand ha creato aspettative positive, l’estensione di marca riduce il rischio nel
consumatore di “provare il prodotto nuovo”. Inoltre l’impresa può sfruttare la conoscenza e gli
investimenti in pubblicità della marca, per il riconoscimento del nuovo prodotto, riducendo così i costi di
lancio.

2. Effetti di ritorno positivi:

L’estensione di marca può contribuire a chiarire il significato di una marca e i suoi valori fondanti,
migliorando la fedeltà del consumatore verso l’intera impresa. (rafforzare la brand loyalty)

Svantaggi delle estensioni di marca


1. Diluizione della marca:

Se un brand è stato associato ad una determinata categoria di prodotto e improvvisamente si estende in


categorie di prodotto molto diverse, l’immagine del brand può subire la diluizione del prodotto ovvero che
quel determinato brand non viene più associato a quella determinata categorie di prodotti.

Si verifica quando i consumatori non associano più una marca ad un determinato prodotto o ad una serie
di prodotti una identificazione forte, ed iniziano a non esserne più attratti. Lo scenario peggiore si verifica
quando questo processo investe l’immagine dell’impresa stessa, danneggiandola.

2. Cannibalizzazione:

Tendenza dei consumatori di scegliere la nuova estensione abbandonando le offerte esistenti.

3. Assimilato a quello che si chiama in economia costi opportunità. Se io scelgo la strada A non solo
posso incorrerei in alcuni costi o mi può andare male etc ma rinuncio anche a dei potenziai vantaggi
non scegliendo la strada B. Se io decido di attuare una estensione di marca usando la marca
d’impresa, senza creare una nuova marca, posso incorrere questi vantaggi e questi costi ma tra i
costi devo anche includere la rinuncia ai potenziali guadagni che potrei ottenere se decidessi di
lanciare quel prodotto con una nuova marca.

Lezione 1 dopo l’esonero


Gestione operativa.
Quando parlo di prodotto io intendo un concetto molto ampio. Un prodotto è tutto ciò che può essere
offerto ad un mercato per soddisfare un desiderio o un bisogno. Il bisogno è più generico, il desiderio è più
indirizzato verso un oggetto specifico. Ci sono molto modi per intendere il prodotto. Esso può essere visto
come la soluzione ad un problema (es. trapano). Un prodotto può essere visto come un servizio. Il prodotto
può essere anche inteso come un dispositivo di senso, un coacervo di simboli, di ideali e stili di vita. Qui
vediamo un figura che rappresenta dei cerchi concentrici, un modello a cipolla, a strati. Un prodotto è
anche fatto a livelli. Facciamo un esempio per capire: Es. Prenotare una stanza d’albero a Parigi. Il prodotto
stanza d’albergo è fatto a più strati.

-La ragione primaria è che ci serve una sistemazione a Parigi, ogni prodotto ha il suo beneficio essenziale
ma non è certo sul beneficio essenziale che le imprese competono tra di loro. Il beneficio essenziale è
scontato.

-Poi abbiamo lo strato successivo che è il prodotto generico che è fatto ad quei elementi essenziali di cui si
compone il prodotto in quanto fornitore del beneficio essenziale. E’la descrizione generica e minimale delle
caratteristiche del prodotto (bagno, letto, scrivania…). Entrambi questi livelli non interessano al Marketing
( non si fa competizione su questi).

-Arriviamo allo strato poi del prodotto atteso e rappresenta ciò che il consumatore si aspetta. Il livello di
prodotto atteso corrisponde a quelle caratteristiche che il consumatore si aspetta di ricevere quando
acquista quel prodotto. Sono ciò che il consumatore normalmente si attende.( ad es. il consumatore si
aspetta di avere le asciugamani pulite, i sanitari puliti, le lenzuola pulite etc.).

-Il livello successivo rappresentano quelle caratteristiche sulle quali si può esercitare la differenziazione di
un brand diverso agli altri e sono quelle caratteristiche che sono in grado di superare le attese del
consumatore o in altri termini di poter fare la differenza, prodotto ampliato ( es. avere internet gratis nella
stanza, colazione inclusa, tavoletta riscaldabile…) Preferisco l’hotel che mi da internet gratis rispetto a
quello che non me lo dà. Ormai rispetto a 5/10 anni fa che era considerato un accessorio di
differenziazione, ormai negli anni moderni non è più così. Questo significa che la competizione e
differenziazione delle imprese si esercita al livello di prodotto ampliato cioè l’impresa che si vuole
differenziare cerca di aggiungere caratteristiche che i competitor non offrono. Ma cosa succede poi che
questo meccanismo di differenziazione genera imitazione. (ricopiano le caratteristiche che aggiungono).
Nel tempo questi attributi che fanno parte dello strato del prodotto ampliato, man mano che vengono
offerti da tutti, diventano parte del prodotto atteso.

-L’ultimo livello è il prodotto potenziale cioè tutte le possibile caratteristiche di differenziazione futura cioè
tutte quelle caratteristiche che si giocherà la competizione non di oggi ma di un domani. Questo sforzo di
differenziazione è collegato naturalmente ad un premium price. Io albergo che ti offro esperienza di realtà
aumentata, ti chiedo in cambio un prezzo leggermente superiore alla media. Questa dinamica comporta ad
una conseguenza ovvero nella fascia bassa del mercato (low cost) si crea una mancanza di offerta ovvero un
vuoto che viene riempito da nuovi entranti che soddisfano questa fascia di mercato scoperta.. Le
compagnie aeree competevano sulla qualità del servizio a bordo offrendo naturalmente un prezzo molto
più alto. Ad un certo punto sono arrivare le low cost che hanno riempito il vuoto che si era creato nella
parte bassa del mercato. (le imprese odiano fare le guerre di prezzo soprattutto quelle che praticano la
differenziazione). Ricordiamo che i prodotti si distinguono in beni durevoli e non durevoli, i servizi invece si
distinguono in Spot (ovvero che mi avvalgo occasionalmente) oppure servizi di tipo continuativo e così via
di beni che abbiamo già visto. I convience good sono beni di larghissimo consumo a basso valore unitario
(compriao in maniera poco ponderata), shopping goods , beni speciali(acquisto ancora più ponderato) ad
es. l’anello di fidanzamento o una bottiglia di vino pregiato che decidiamo di consumare in una determinata
occasione. Poi ci sono i beni imprevisti ma questa categoria non ci interessa.
Veniamo alla differenziazione e vediamo cosa ne consegue. Supponiamo che una impresa abbia adottato
la strategia di differenziazione e andiamo a vedere a livello di prodotto dove è possibile ottenere la
differenziazione.

La differenziazione è dal punto di vista del cliente tutte le insieme di caratteristiche che il consumatore
percepisce da quel brand rispetto ai brand concorrenti. Dal punto vi vista dell impresa sono tutte quelle
azioni che hanno come obiettivo di far percepire un valore in più al cliente.

Differenziazione prodotto

E’ possibile concentrare la differenziazione sul prodotto in sé, modificandone tutte le caratteristiche che è
possibile modificare, in senso migliorativo come per esempio caratteristiche della forma, caratteristiche
tecniche, le possibilità di personalizzazione( adell basò il suo vantaggio competitivo sulla possibilità di offrire
personal computer assemblati e di offrire al cliente la possibilità di personalizzare in maniera assoluta il suo
computer), sul livello delle prestazioni, maggiori standard di qualità, durabilità(brand tedeschi ), affidabilità
tecnica (nikon, il leader insieme a canon), facilità di riparazione(sia in modalità self service, sia in modalità
assistita), stile, design(apple, non è solo un aspettato estetico ma un aspetto che ha che fare con la facilità
d’uso)

Differenziazione mediante servizi aggiuntivi

Fondamentale è anche la facilità e la rapidità di ordinazione. Nel servizio BtB è fondamentale anche i servizi
di addestramento dei clienti. ( es. ad un azienda che crea software per le prenotazioni albelghiere,
naturalmente i dipendenti lo devono sapere usare, quindi oltre al pacchetto si offre anche
l’addestramento).

Differenziazione efficace

Queste differenziazioni devono essere rilevanti per il cliente e perciò entra in gioco anche la grande abilità
nel comunicare queste caratteristiche che devono essere anche “sostenibili” nel tempo, distintive rispetto
alla concorrenza e percepite dal cliente. Ovvero che costituiscono la base solida sulla quale poi l’impressa
possa nel tempo aggiungere alcuni elementi di differenziazione senza retrocedere su ciò che offre oggi.

Ci sono diversi tipi di differenziazione:

1) Verticale che si riferisce ad una differenziazione che riguarda l’ambito delle prestazioni. (livello di
performance). Hard disk di 32gb è di una performance superiore a quella di 16gb
2) Orizzontale quando la differenziazione riguarda diciamo l’aggiunta di servizi aggiuntivi. Non si va
ad innalzare il livello di performance ma si aggiungono servizi che accompagnano il prodotto in
maniera superiore di come fanno i concorrenti.
3) Trasversale quando l’offerta non è il singolo prodotto ma è un pacchetto che sono fra di loro
complementari. La mia differenziazione sta nell’offrirti il pacchetto.
Un elemento recente e sempre più diffuso nella differenziazione è l’offerta di un contenuto esperienziale.
(esempio drive in, cinema in macchina all aperto invece di stare sulla poltrona, camerini virtuali per
contrastare l’e-commerce, in corea fanno la spesa con il QR code e la spesa gli arriva a casa ma questo è un
omnicanalità ovvero mix di offline e online ).

Differenziazione nei mercati globali

Quando si parla di entrare nei mercato globali c’è sempre questa dicotomia tra standardizzazione e
adattamento. Standardizzazione vuol dire riprodurre la stessa formula, lo stesso prodotto con la stessa
comunicazione ovunque, facendo piccoli adattamenti. Oppure la strategia opposto è quella di adattare
l’offerta ai contesti locali. Le componenti che si vanno a modificare sono il prodotto in sé che può essere
adattato agli usi locali, alle preferenze locali, e la comunicazione quindi io posso decidere di modificare una
delle due cose, nessuna o entrambi a seconda dei casi. Abbiamo quindi la standardizzazione pura quindi
viene offerto lo stesso prodotto con la stessa comunicazione su tutti i mercati globali oppure il caso in cui il
prodotto viene adattato agli usi locali ma la comunicazione rimane la stessa o il caso inverso in cui è la
campagna di comunicazione ad essere modificata mentre il prodotto rimane uguale. La scelta dipende dagli
obiettivi e dai costi.

- estensione diretta, si introduce il prodotto nel mercato estero senza attuare nessuna
modifica. Tale pratica non comporta nessun costo aggiuntivo per quanto riguarda la R&S,
nessun adattamento di produzione.
- Adattamento della comunicazione, adattare la comunicazione del prodotto agli usi locali;
- Adattamento al prodotto, ovvero modificare il prodotto così da venire incontro a
condizioni o preferenze locali;
- Adattamento duplice, sia del prodotto che della comunicazione;
- Creazione del prodotto, creare qualcosa di nuovo che può essere vista come un
adattamento di un prodotto già esistente agli usi localo o la creazione di un prodotto
completamente nuovo che va incontro a un bisogno specifico di un paese;

La linea di prodotto è un gruppo di prodotti che presentano tra loro una serie di similarità tecnico
produttive ma soprattutto che sono accomunate tra di loro sotto il profilo del marketing in quanto
soddisfano una stessa classe di bisogni, sono strettamente complementari nell’uso, sono venduti alla stessa
categoria di clienti, vengono vendute attraverso gli stessi canali di distribuzione (es. shampoo balsamo e
maschera per i capelli..) e appartengono alla stessa categoria o livello di prezzo. Es. Shampoo balsamo e
maschera. Soddisfano gli stessi bisogno, sono altamente complementari nell’uso, sono vendute alla stessa
categoria di clienti e vengono distribuite attraverso gli stessi canali.

29/10

Uno dei modi per differenziare un prodotto è il cosiddetto Co-branding (a volte chiamato “ingredient
branding”). Il Co-branding è sostanzialmente la combinazione di due o più marche in un unico prodotto.
Perché si fa un’operazione del genere? Perché si ritiene che le marche coinvolte possano ricevere un
beneficio in termine di immagine (di vendite o di customer satisfaction) dall’unione dei due o più brand. Il
co-branding è quindi una specifica strategia di differenziazione. Può avvenire tra due brand della stessa
impresa (e quello è il caso più facile) oppure tra due brand di imprese diverse che magari producono
prodotti strettamente complementari (in quel caso può avvenire tramite accordi di varia natura es. joint
venture).
Una variante del co-branding è l’ingredient branding in cui c’è sempre un’unione di due o più marche ma
uno dei brand costituisce un ingrediente particolarmente rilevante del prodotto dell’altro brand. Quindi
l’ingredient branding è un tipo speciale di co-branding che è finalizzato a creare una sinergia, quindi ad
aumentare il valore di marca per tutti i brand che partecipano a questo co-branding, e in particolare creare
valore di marca anche per i materiali, componenti o singole parti contenute in altri prodotti. L’esempio
tipico che si fa sempre è Microsoft Intel o anche semplicemente tutte le marche sul mercato di PC, Apple a
parte, che adottano processori Intel. Il connubio Microsoft-Intel o IBM-Intel è un classico esempio di co-
branding e in particolare di ingredient branding (perché ovviamente il processore è una componente
fondamentale di ogni computer). Un altro esempio, nell’ambito del fast fashion, è quello degli accordi
temporanei che molte catene del fast fashion stipulano con brand emergenti dell’alta moda per
promuovere collezioni particolari all’interno dei loro store. Un altro esempio è quello di Philadelphia e
Milka.

Un concetto molto importante per il product management quando si parla di gestione del prodotto è quello
di linea di prodotto.
Una linea di prodotto si può definire come un gruppo di prodotti che presentano innanzitutto delle
similarità tecnico-produttive (quindi similarità dal punto di vista del processo produttivo; delle
caratteristiche fisiche; delle caratteristiche tecniche; dei materiali; delle proprietà fisiche/chimiche; ecc.) e
che sono accomunati tra loro sotto il profilo del marketing in quanto:
- soddisfano una stessa classe di bisogni;
- sono complementari nell’uso;
- sono venduti alla stessa categoria di acquirenti;
- vengono venduti tramite gli stessi canali di distribuzione;
- appartengono a uno stesso livello di prezzo.
Quindi la linea di prodotto è spesso il concetto su cui è molto più utile e pratico ragionare quando si ragiona
di product management.
Ci sono altri due concetti importanti da tenere in mente:
- il sistema di prodotti. Si riferisce a un insieme di articoli che sono diversi ma strettamente complementari
e correlati nell’uso (es. hardware e software; smartphone e accessori; ecc.). Specialmente nell’ambito
tecnologico, molto spesso, i prodotti sono in realtà sistemi di prodotti. Quindi c’è il prodotto core (prodotto
centrale) e tutta una serie di accessori.
- il portafoglio prodotti (o product mix o assortimento o gamma o combinazione di prodotti) che è più
ampio e che comprende tutti i prodotti e tutte le referenze (cioè i singoli articoli che identificano uno
specifico prodotto all’interno di una linea) offerte da un’impresa.
Ci sono poi alcuni indicatori, che possono anche essere misurabili, che servono ai marketing manager per
valutare eventuali azioni volte a potenziare o il portafoglio prodotti o una linea di prodotti. Questi indicatori
sono: ampiezza, lunghezza, profondità e coerenza e sono dimensioni di analisi del portafoglio. Questo
perché quando si parla di portafoglio si hanno anche delle dimensioni per valutare la composizione del
portafoglio prodotti in termini della giusta diversificazione tra diverse entità. Quindi ci sono queste
dimensioni che aiutano i marketing manager a prendere decisioni strategiche di solito secondo queste tre
classiche modalità:
- posso aggiungere nuove linee di prodotto.
- può aggiungere nuove varianti per uno stesso prodotto. Es. una stessa crema antietà può essere
successivamente lanciata anche in versione gel.
- può intervenire sull’architettura della linea o dell’intero portafoglio per aumentarne la coerenza. Es.
invece di avere diverse linee scollegate tra loro, che non danno un senso di unità e di coerenza al brand, un
possibile intervento è quello di eliminare linee poco profittevoli e che non forniscono coerenza con
l’immagine del brand.
L’ampiezza fa riferimento al numero di linee di prodotto trattate dall’impresa, quindi più alta è l’ampiezza e
più linee di prodotto vengono trattate da quell’impresa.
La lunghezza fa riferimento al numero di referenze che compongono l’intero portafoglio o la singola linea.
Quindi ci si può riferire o alla lunghezza dell’intero portafoglio o della singola linea. Come si può aumentare
la lunghezza di una linea? Aumentando il numero di referenze (cioè di articoli che compongono quella
linea).
La profondità attiene al numero di varianti di prodotto all’interno di una stessa linea (es. detersivo in più
profumazioni e in più formulazioni; detersivo in polvere, o in pastiglie o liquido).
La coerenza si riferisce alla correlazione rispetto all’uso finale, ai canali distributivi, alle caratteristiche del
processo produttivo, ecc. Se le linee, o gli articoli di una stessa linea, sono altamente coerenti, vuol dire che
c’è molta correlazione rispetto all’uso finale.

La lunghezza (nello specifico) della linea è, tra i vari indicatori, un indicatore importante nell’ambito delle
decisioni di marketing perché una delle tipiche operazioni, che riguardano il riposizionamento di un brand o
semplicemente la rivitalizzazione di una linea di prodotti, è quella di allungarli.
La lunghezza della linea è sostanzialmente il numero di articoli che compongono una linea e allungare la
linea significa sostanzialmente aggiungere prodotti a una linea.
Due sono le tipiche modalità di allungamento di una linea:
- allungamento verso l’alto (trading up). Vuol dire aggiungere a quella linea di prodotti “top di gamma”,
quindi dei prodotti che conferiscano alla linea maggior prestigio, spesso che abbiamo un costo unitario
anche più elevato, e che diano appunto un senso di prodotto di punta della linea. Aggiungo una versione
premium, di prestigio.
- allungamento verso il basso (trading down). Vuol dire esattamente il contrario, quindi aggiungere un
prodotto base alla linea. Aggiungo una versione base, light o low cost.
Naturalmente, nulla vieta di fare un allungamento bidirezionale. Infatti, si possono effettuare entrambi gli
allungamenti sulla stessa linea.
L’altra modalità tipica di intervento sulla linea è quella di completare la linea. Completare la linea vuol dire
aggiungere ulteriori prodotti che vadano a soddisfare pienamente tutta la possibile variante dei bisogni che
quella linea di prodotti soddisfa.
Es. abbiamo le varie generazioni di rasoi Gillette, aggiungere Gillette Fusion è un esempio di trading up (si
aggiunge il top di gamma ad una linea già esistente). Nel caso invece a destra, c’è un’operazione che può
essere definita di completamento: alla schiuma da barba aggiungo il gel. Altro esempio è l’aggiunta di
formulazione effervescente o la formulazione in compresse per quanto riguarda l’ambito medico.

I marketing manager intervengono in continuazione sulle linee di prodotto perché le linee di prodotto per
continuare ad essere profittevoli devono essere continuamente modernizzate (cioè devono essere
modificate sia aggiungendo items, sia completandoli) affinchè aumenti la fedeltà verso quella linea e quindi
verso il brand (se un consumatore ha tutta le possibile gamma di prodotti che vanno a soddisfare la sua
classe di bisogni, poi non ha bisogno ovviamente di riferirsi ad un prodotto concorrente).
La linea di prodotto deve quindi essere periodicamente analizzata sia in termini di indicatori più classici, più
tradizionali, più quantitativi (es. vendite, profitti, quota di mercato, ecc.) e soprattutto il loro andamento
nel tempo, sia sotto il loro profilo di mercato (cioè su indicatori prettamente di marketing) e cioè andando
ad indagare come la linea viene percepita in termini di customer satisfaction e come la linea va ad
impattare sull’immagine del brand (brand experience e brand loyalty). E’ molto importante valutare tramite
indicatori soprattutto per decisioni che riguardano le linee (se mantenere una linea sul mercato, se
rimodernarla, se ritirarla sostituendola con una linea più innovativa, ecc.). Spesso succede che
l’ammodernamento della linea possa riguardare semplicemente il packaging, o il formato o la formulazione.

Packaging

Un altro elemento sempre più importante nell’ambito delle 4P, anzi addirittura c’è chi sostiene che il
packaging dovrebbe essere considerato la 5aP, che è la confezione del prodotto. Esempi di prodotti in cui il
packaging ha un ruolo abbastanza importante nell’immagine del brand, del prodotto e nell’esperienza,
sono: Apple (con design del packaging sempre semplice e piacevole al tatto), Gucci, Nike (soprattutto per i
prodotti in collaborazione con altri brand), Starbucks.
Che funzioni svolge il packaging?
1) Favorire il self-service. Prima che si sviluppasse l’industria del packaging, i prodotti venivano in gran
parte venduti sfusi e questo significa che se pensiamo al settore alimentare, ma non solo, vuol dire che non
esisteva il self-service e che per comprare qualsiasi cosa ci si rivolgeva al negoziante che ci versava e
confezionava sul momento, nella quantità desiderata, ciò che il consumatore richiedeva. Grazie allo
sviluppo di massa del confezionamento, si è potuto sviluppare e diffondere la modalità self-service.
Ovviamente questa è la funzione essenziale, e non è su questo che si esercita la competizione tra brand o
gli sforzi di differenziazione.
2) è volto a favorire il benessere del consumatore agevolando l’acquisto, il trasporto, la manipolazione e
il consumo del bene.
3) è un’importantissima opportunità che l’impresa ha per veicolare una certa immagine del brand (es.
Apple).
4) il packaging in se e per se, può costituire un’opportunità di innovazione.
Ci sono corsi di design industriale che si focalizzano proprio sul design del packaging, quindi si tratta di un
abito tecnico molto importante che non si può lasciare all’improvvisazione.
Il packaging assume quindi la funzione di strumento di marketing, alla pari degli altri strumenti, al quale
possono essere delegati questi obiettivi:
- contribuire all’identificazione della marca (della brand awareness). Es. il rosso della Coca-Cola.
- trasmettere informazioni descrittive e motivanti per l’acquisto e il consumo. Pensiamo a tutte le
informazioni che troviamo sui packaging di prodotti di natura alimentare.
- agevolare le attività di trasporto e proteggere il prodotto.
- favorire la conservazione del prodotto dopo l’acquisto.
- agevolare le operazioni di consumo del prodotto. Anche se questo non è sempre vero.
- contribuisce, come variabile di marketing, a rinforzare tutte le altre variabili del marketing mix nel
determinare un certo posizionamento del brand.
Quindi il packaging è, a tutti gli effetti, uno strumento importante alla pari degli altri del marketing mix.

Metriche di prodotto

Nella misurazione/valutazione della performance di un prodotto (linea di prodotto o intero portafoglio) è


fondamentale giudicare la performance di prodotto secondo tre dimensioni di riferimento:
- performance tecnico-funzionale. Il prodotto funziona? E’ in grado di offrire le prestazioni per le quali è
stato progettato? Qui potremmo fare riferimento al numero di resi che si sono verificati in un certo lasso di
tempo. Nell’ambito automotive, i parametri tecnico-funzionali si riferiscono alla qualità intesa come
numero di parti o modelli difettosi sul totale.
- performance commerciale. Riguarda tutti gli indicatori specifici del marketing e quindi della customer
experience (customer satisfaction, customer loyalty, ecc.).
- performance economico-finanziaria. Va a vedere il fatturato, i profitti, la quota di mercato, ecc.
Tre dimensioni sono necessarie per valutare la bontà di una certa offerta di prodotto.

Altri due concetti molto importanti sono:


- il punto di pareggio (break even point BEP). E’ quel valore di quantità prodotta e venduta, espressa in
volumi di produzione o in unità fisiche di produzione o in fatturato, necessario a coprire i costi sostenuti.
Quando si progetta il lancio di una nuova linea di prodotti è necessario calcolare il punto di pareggio.
- la cannibalizzazione. E’ la riduzione del fatturato che un prodotto già esistente sul mercato di uno stesso
brand subisce in seguito all’introduzione di un nuovo prodotto (in genere della medesima linea quando c’è
un’operazione di trading up o trading down oppure tra linee di prodotto quando si decide di immettere una
nuova linea sul mercato che è riammodernata sotto alcuni aspetti. Quando si progetta il lancio di una nuova
linea di prodotti è necessario calcolare anche la possibile cannibalizzazione (soprattutto quando si vogliono
lanciare nuove linee di prodotto molto simili a quelle già esistenti ma che abbiano un aspetto innovativo).
La cannibalizzazione non è un male assoluto, infatti un certo tasso di cannibalizzazione può essere accettato
se si prevede che i profitti superiori derivanti siano in grado di compensare questa cannibalizzazione. Il
tasso di cannibalizzazione così misurato può essere confrontato con il tasso tollerato di cannibalizzazione
(cioè quello che si è in grado di sostenere) perché, fino a quest’ultimo i profitti addizionali derivanti dalla
nuova linea sono in grado di compensare la cannibalizzazione (quindi la cannibalizzazione effettiva deve
essere confrontata con la cannibalizzazione attesa).

La gestione del portafoglio di prodotti


A questo proposito, uno degli strumenti più utilizzati anche in quest’ambito (oltre che nell’ambito della
gestione e pianificazione strategica) è la matrice del Boston Consulting Group.
Le due dimensioni della matrice BCG sono: tasso di crescita del mercato e quota di mercato relativa.
Parliamo di crescita perché un mercato in crescita è un mercato in cui ci sono più potenzialità di profitto,
ma un mercato che sta crescendo non garantisce maggiori profitti. Semmai più elevato è il tasso di crescita
del mercato, maggiori saranno gli investimenti necessari per conquistare/mantenere una posizione di
leadership o semplicemente entrare in questo nuovo mercato.
la quota di mercato relativa è importante perché se è maggiore di 1, io sono il leader di quel mercato;
viceversa se è minore di 1, c’è qualcun altro che è il leader. Una quota di mercato elevata significa una
maggiore produzione cumulata, cioè se io ho la maggiore quota di mercato tra tutti i competitor, significa
che i miei costi di produzione sono sensibilmente inferiori ai competitor che hanno una quota di mercato
inferiore alla mia per effetto di due fattori fondamentali: economia di scala e economie di esperienza.
Perché in molti settori fortemente competitivi può costituire un vantaggio entrare per primi in quel settore
e penetrare quel settore con prezzi molto competitivi presentandosi fin dall’inizio con una produzione
quantitativamente importante? Perché così facendo si è in grado di accumulare in poco tempo l’esperienza
necessaria a ridurre i costi, cioè è possibile muoversi lungo la curva dell’esperienza (o di apprendimento)
che porta a una sensibile riduzione dei costi per effetto dell’esperienza.

C’è anche l’altro fattore che sono le economie di scala: se io ho una quota di mercato relativa maggiore di
1, e quindi vuol dire che produco grandi quantità rapportate ai miei competitors, questi significa che posso
sfruttare più dei miei competitors le economie di scala (riduzione di costo derivanti dalla produzione su
larga scala). E’ questo che è importante: bisogna relazionare le due dimensioni al fattori costi (o
investimenti).
Quindi i costi di produzione dell’impresa decrescono in maniera proporzionale all’aumentare della quota di
mercato: più è elevata la quota di mercato e minori sono i costi per effetto di economie di scala e di
esperienza, e di conseguenza migliore è la redditività (a parità di altri fattori). Viceversa il tasso di crescita
ha un effetto opposto sui costi, in particolare sugli investimenti: maggiore è il tasso di crescita (e quindi il
tasso di sviluppo) di un mercato, maggiori sono gli investimenti necessari per conseguire (o mantenere) una
posizione di leadership, per soddisfare l’aumentare della domanda (e quindi eventualmente per
incrementare la capacità produttiva), per incrementare gli investimenti in marketing, ecc.
Quindi queste due dimensioni sono importanti per far capire all’impresa quelle che sono le attività che si
può supporre che siano in grado di generare risorse nette (i generatori di cassa) e quelle attività che
saranno quelle che assorbiranno risorse nette.

Spiegazione dettagliata della matrice BCG


La matrice BCG può essere utilizzata, così come si utilizza a livello di pianificazione strategica per decidere in
quali aree di business conviene aumentare l’investimento (o disinvestire) e quali sono i cash cows (aree di
business che sono in grado di generare risorse nette), la stessa logica può essere applicata per una
valutazione del portafoglio prodotti di un’impresa. Quindi avremo quei prodotti o quelle linee di prodotto
che sono i cash cows (per le quali l’impresa ha una posizione di leadership e si trovano in mercati
relativamente poco dinamici) che generano risorse che poi vanno a finanziare le stars (linee di prodotto o
assortimenti per le quali l’impresa è leader ma necessita di investimenti essendo il mercato in forte
sviluppo) oppure i question marks (linee di prodotto che si trovano in mercati in forte crescita ma nei quali
l’impresa è ancora debole e quindi necessita di risorse/investimenti).

Una volta che si sono create le quattro caselle, e messi i vari items nelle caselle appropriate, che siano unità
strategiche di business o linee di prodotto la logica non cambia perché l’interpretazione degli items che si
trovano nelle diverse caselle è identica. Però è importante ricordare il perché si usano queste due
dimensioni: è tutto legato al fatto di cercare di capire quali linee di prodotto genereranno risorse e flussi di
cassa, e quali invece ne assorbiranno (quindi serve a capire se i flussi in entrata sono sufficienti a supportare
i flussi in uscita; quindi se le entrate nette sono sufficienti a supportare gli investimenti in altri settori).

Distribuzione
Parliamo di distribuzione, quindi parliamo di canali distributivi o, più correttamente canali di marketing.
I canali di marketing sono insiemi di organizzazioni interdipendenti (può essere la stessa impresa che ha
una propria rete o possono esserci diversi attori indipendenti che partecipano alla rete) che partecipano al
processo logistico e commerciale che rende disponibile al consumo un prodotto o servizio, nel tempo, nel
luogo e nelle modalità desiderate dal cliente finale. I canali di marketing disegnano dunque l’iter del
prodotto o servizio: dalla produzione all’utilizzatore finale.
Quindi i canali di marketing sono i responsabili di tutto ciò che accade dal momento in cui il prodotto fisico
lascia lo stabilimento di produzione al momento in cui arriva nelle case dei consumatori (nel caso di
consegna a domicilio) o nel momento in cui questi lo ritirano al negozio.

Quali sono gli attori principali dei canali di marketing? Ci possono essere:
- i classici intermediari commerciali (grossista e dettagliante). Quelli che si trovano nel classico canale
tradizionale prima che esistesse e-commerce. Il grossista compra all’ingrosso dal produttore e rivende al
dettagliante; il dettagliante compra dal grossista e rivende al consumatore finale. I classici intermediari si
caratterizzano dal fatto che acquistano i prodotti dal produttore, quindi ne diventano proprietari (non c’è
solo un trasferimento fisico del prodotto ma c’è anche un trasferimento del titolo di proprietà).
- venditori (reti di vendita). Quando si parla di reti di vendita, si parla di reti formate da soggetti, cioè i
venditori (forza vendita), che negoziano la vendita al cliente finale per conto dei produttori ma non
assumono il titolo di proprietà del bene. Quindi se un produttore utilizza una propria rete di vendita, non
trasferisce nessun titolo di proprietà (l’unico trasferimento di proprietà sarà dal produttore al consumatore
finale). Se si avvale della sua rete di vendita, il produttore distribuisce il prodotto tramite questa rete,
mantenendo la proprietà del prodotto stesso.

*intermediari sono:
- commercianti, acquistano la merce, ne detengono il possesso e la rivendono;
- agenti, ricercano clienti, conducono trattative commerciali ma non possiedono i beni
venduti;
- ausiliari, partecipano alla distribuzione ma non detengono il possesso dei beni, non
negoziano gli acquisti e non svolgono operazioni di vendita;

Quali sono le funzioni degli intermediari commerciali (le funzioni dei partecipanti al canale distributivo)?
1) la prima funzione è la più storicamente antica, cioè quella logistica. I distributori trasferiscono il prodotto
nello spazio (quindi svolgono una funzione di trasporto) e nel tempo (svolgono una funzione di deposito).
La funzione di deposito è importante perché le scorte, di semilavorati, di componenti o di prodotto finito,
costituiscono un costo non indifferente per l’impresa e quindi, avere un intermediario che si assuma il costo
di stock delle scorte, è ovviamente un grandissimo vantaggio per i produttori. La funzione logistica è
importante specialmente in tutti quei casi in cui la produzione segue sue logiche interne, ma il consumo
segue logiche diverse (es. le creme solari vengono prodotte secondo uno schema continuativo che dura
tutto l’anno, dopodichè vanno in deposito perché si sa che la domanda ha un andamento fortemente
stagionale).
2) funzione di marketing. Tale funzione è svolta per esempio formando gli assortimenti (adattamento del
prodotto alle esigenze del consumatore finale sia in termini di quantità che di qualità). Cioè, il prodotto
quando esce dagli stabilimenti di produzione non esce nei formati, nelle quantità e nelle composizioni che
noi ci troviamo al supermercato ma, molto spesso, l’adattamento sia per quantità che per qualità viene
svolto dagli intermediari. Tra la funzione di marketing rientra anche: la funzione di merchandising (quindi
tutte quelle azioni di marketing che riguardano il punto vendita), informazione e promozione delle vendite
e l’aggiunta di servizi (es. servizio qualificato del farmacista che, a fronte delle sue competenze, può
consigliare il prodotto migliore per il problema specifico del consumatore).
3) funzione contrattuale. Molto spesso gli intermediari negoziano il prezzo e le altre condizioni di vendita
con il consumatore finale.
Tutto ciò fa parte delle funzioni degli intermediari commerciali.

Sempre parlando di distribuzione bisogna distinguere due approcci o meglio: due modi diversi di intendere
la distribuzione.
1) approccio funzionalista. Cioè vedere la distribuzione come un complesso di attività (e quindi di funzioni)
necessarie per rendere un bene/servizio disponibile al consumatore nei modi, tempi, luoghi e modalità che
il consumatore desidera.
2) approccio strutturalista. Cioè vedere la distribuzione come un insieme di attori o come insieme di
imprese (che costituiscono un sistema in quanto sono collegate tra loro) che operano nel settore
commerciale.
3) un altro approccio è quello che distingue tra le politiche cosiddette di tipo pull e le politiche di tipo push.
Facciamo l’esempio più tradizionale in cui ci sono tre attori: produttore, intermediario (dettagliante) e il
consumatore finale.
Se si è in presenza di una politica di tipo “pull”, l’impresa commerciale (cioè l’intermediario) svolge
esclusivamente una funzione distributiva, mentre tutta la gestione del mercato finale (e quindi soprattutto
l’attività di marketing, comunicazione, promozione, branding, ecc.) spetta al produttore. Quindi il
produttore comunica direttamente con il consumatore finale e colui che sta nel mezzo (intermediario)
svolge esclusivamente una funzione distributiva.
Nella politica di tipo “push” invece, si suppone che l’impresa commerciale non faccia solo una funzione
esclusiva di intermediario fisico ma che abbia una propria autonomia di marketing e quindi che l’impresa
commerciale (che acquista il prodotto dal produttore e lo vende al consumatore finale) al contempo
elaborandi una sua propria politica di marketing diretta al consumatore finale. Quindi con la logica push,
abbiamo che il produttore dirige le sue attività di marketing non al consumatore finale, ma direttamente
all’intermediario (che è il suo cliente), dopodichè l’intermediario svolge in proprio le sue attività di
marketing in direzione del consumatore finale.
Quindi: nel primo caso (pull) si ha tutto il mondo del consumer marketing in cui il produttore dialoga
direttamente col consumatore finale (attraverso pubblicità e consumer promotion) e l’intermediario svolge
esclusivamente una funzione distributiva; nell’altro caso (push) abbiamo il trade marketing in cui il
produttore vende all’intermediario a cui rivolge anche le sue attività di marketing, dopodichè
l’intermediario vende al cliente finale rivolgendogli anche le sue attività di marketing.
Con la logica pull il produttore invia direttamente al consumatore i suoi messaggi di marketing (pubblicità,
comunicazione), il consumatore invogliato di acquistare da quel brand si reca dall’intermediario (che si
limita a svolgere una funzione distributiva) a richiederlo. Es. se un consumatore vuole comprare un
prodotto Apple, lo fa perché è il brand Apple che l’ha convinto che i prodotti Apple sono i migliori (e non è il
distributore a convincerlo).
Con la logica push il produttore non dialoga con il consumatore finale, ma è l’intermediario che cercherà di
spingere il prodotto verso il consumatore finale attraverso le sue proprie ed indipendenti politiche di
marketing.

Quali sono i fattori che guidano la scelta dei canali distributivi?


1) innanzitutto bisogna considerare i fattori di mercato: qual è il numero di clienti attuali o potenziali
(questo deriva dalle scelte che si sono fatte in precedenza riguardo segmentazione e targeting);
concentrazione geografica; dimensioni; frequenza d’acquisto.
2) il prodotto: qual è il valore unitario del prodotto; il suo grado di deperibilità; il suo grado di complessità
tecnica e la necessità di servizi aggiuntivi (es. installazione, manutenzione, consulenza, ecc.).
3) l’azienda: le dimensioni dell’azienda; le sue risorse finanziarie; il desiderio o la necessità di controllare il
canale. E’ chiaro che solo le aziende di grande dimensioni per esempio possono dotarsi di una propria rete
di vendita, quindi solo determinate aziende che hanno le risorse per farlo possono per esempio dotarsi di
propri store mono-brand. Viceversa, la gran parte di aziende di piccole dimensioni deve ricorrere ad
intermediari che trattano più brand.
Se io produttore posso dotarmi di una mia rete di vendita, di una catena di negozi fisici, avrò un controllo
assoluto sul canale e sul come viene gestito l’ultimo step (che è il rapporto con il consumatore finale).
Viceversa, se mi avvalgo di intermediari che trattano molti altri brand oltre al mio, ovviamente perdo
questo controllo sulla gestione del cliente finale.
4) infine la scelta dipende anche dalla disponibilità di intermediari: dall’esistenza di intermediari affidabili;
dal tipo di intermediazione che può essere richiesta; servizi offerti; collaborazione con il produttore.

Molto spesso vengono utilizzati canali ibridi, e quindi si parla infatti di marketing multicanale (nessun
brand utilizza un unico canale). Esiste una rete di rivenditori al dettaglio. Di solito i canali diversi vengono
anche ritagliati sulle esigenze della clientela (es. per la clientela business è opportuno utilizzare una rete di
rivenditori al dettaglio; per la clientela retail può essere utilizzata una rete di negozi fisici unita al canale
online).
Negli ultimi anni, uno dei tanti fenomeni che ha caratterizzato la digitalizzazione è stato il fenomeno della
cosiddetta “disintermediazione”.
Disintermediazione vuol dire fare a meno degli intermediari e, a volte, significa fare a meno delle sedi
fisiche (è il caso per esempio delle banche online). Pur tenendo presente questo esempio, ovviamente le
filiali fisiche continuano ad esistere ma in misura inferiore e con compiti molto più delimitati e riservati ai
casi più complessi.

Quali sono i principali flussi che caratterizzano i canali? Qual è la direzione principale?
Ci sono flussi che vanno dal produttore al consumatore, e che costituiscono il trasferimento fisico dei
prodotti con il relativo ed eventuale stoccaggio nelle fasi intermedie. Dal produttore al consumatore c’è
anche il flusso che riguarda il trasferimento del titolo di proprietà (specialmente nel caso in cui
l’intermediario acquisti il bene dal produttore e lo rivenda) e il flusso delle comunicazioni dalla produzione
al consumo.
In senso contrario, c’è il flusso dell’effettuazione dell’ordine e del pagamento (flusso finanziario).
E poi c’è il flusso delle informazioni che è praticamente bidirezionale: le informazioni vengono trasmesse sia
dal produttore al consumatore e ai vari intermediari, sia dal consumatore al produttore e ai vari
intermediari.

Altro elemento importante sono le decisioni che riguardano i canali distributivi.


Le decisioni, in genere, riguardano due dimensioni:
1) dimensione verticale: che concerne il numero di canali da utilizzare (se utilizzare un canale unico o più
canale) e il tipo di canale (diretto o indiretto). Il tipo di canale, in genere, si riferisce a quanti intermediari io
voglio inserire tra me e il consumatore finale.
2) dimensione orizzontale: riguarda il grado di copertura di un determinato territorio. Quindi il numero di
intermediari che voglio utilizzare per ogni tipologia di canale distributivo e la varietà degli attori che io
utilizzare all’interno di ogni canale.
La maggior parte dei brand/imprese adotta una politica multicanale tranne alcune piccoli brand/imprese
(che si sono anche affermati sui mercati globali) che hanno potuto affermarsi proprio grazie alla vendita
online (classica modalità monocanale che è stata resa possibile da internet). La classica modalità
monocanale fisico è quella usata dei piccoli produttori (es. alimentare a cui serve un mercato locale)
mentre, la maggior parte dei casi che stanno nel mezzo, adotta una politica multicanale.
C’è poi il discorso sul livello di integrazione contrattuale del canale. O si utilizzano intermediari
completamente indipendenti (es. imprese indipendenti), o si usa una propria forza di vendita (il produttore
assume alle proprie dipendenze i venditori che vendono per conto del produttore) o ci possono essere
anche forme ibride di collaborazioni/joint venture (es. franchising).

La lunghezza dei canali distributivi si riferisce al numero di intermediari (al numero di livelli).
- Abbiamo il caso di livello zero, cioè la cosiddetta disintermediazione. In questo caso non c’è nessun canale,
nessun intermediario, il produttore si rivolge direttamente al consumatore. produttore -> consumatore.
- il caso di un livello. Questo soprattutto nella grande distribuzione organizzata GDO. Questi giganti del
retail hanno un fortissimo potere contrattuale nei confronti dei produttori e, tipicamente, operano in
assenza di intermediari trattando direttamente con il produttore (date le loro dimensioni e quindi la loro
forza contrattuale). produttore -> il dettagliante -> il consumatore.
- il caso tipico due livelli. In questo caso vi è il produttore -> il grossista -> il dettagliante -> il consumatore.
- il caso di tre livelli. In questo caso c’è il jobber, che è una sorta di grossista che opera soprattutto come
ponte nei mercati esteri. produttore -> il grossista -> il jobber -> il dettagliante -> il consumatore.

02/11

Pianificazione del canale

Come si pianifica la rete distributiva, le modalità di distribuzione (tipo di canale, numero di canali,
dispersione territoriale, ecc.)?
Bisogna partire dall’analisi dei bisogni e dei desideri dei clienti, definire quelli che sono gli obiettivi e i vincoli
(cioè le principali voci di costo) e infine individuare le principali alternative di canale che si hanno a
disposizione compatibilmente con le proprie risorse e con il mercato target di riferimento.

1)Partiamo con i bisogni e i desideri dei clienti.


Cosa desideriamo noi da un particolare punto vendita? Molte cose e non necessariamente le stesse cose
per tutti i prodotti, le nostre esigenze, priorità e obiettivi cambiano di molto a seconda del tipo di prodotto
che andiamo ad acquistare. Una variabile che può avere molta importanza, e che in alcuni casi è la
principale variabile che ci orienta verso un punto vendita piuttosto che un altro, è ovviamente il prezzo.
Molti consumatori sono particolarmente attenti al prezzo (pensiamo per es. a quanto sono diffusi e affollati
i discount o gli hard discount nell’ambito dell’alimentare, o più in generale comunque non tanto al prezzo in
assoluto ma ad un buon rapporto prezzo/qualità) che è una variabile rispetto alla quale siamo sensibili.
Tra i bisogni e i desideri c’è anche quello di poter trovare un assortimento di nostro gradimento (quindi un
punto vendita che per quanto riguarda per esempio la profondità delle linee di prodotto, la varietà delle
linee di prodotto e dei brand offerti che sia soddisfacente specialmente per i prodotti di tipo “shopping”). La
qualità dell’assortimento del punto vendita è sicuramente una delle variabili principali che guidano la
nostra scelta.
Un’altra variabile fondamentale soprattutto per l’acquisto di certi beni di largo consumo (i cosiddetti
“convenience goods”, es. generi alimentari) è anche la comodità. Molto spesso per tutta una serie di beni
noi scegliamo il punto vendita più vicino (es. supermercato, farmacia, profumeria più vicina se dobbiamo
comprare qualcosa che sappiamo che lì è disponibile).
Quindi: prezzi, qualità dell’assortimento e comodità. Poi ci possono essere anche altri obiettivi personali più
difficili da indagare: obiettivi di tipo economico, di tipo sociale, di tipo esperienziale, ecc. In alcuni casi, per
alcune tipologie di negozi o di punti vendita, si è riscontrato che molte persone visitano il punto vendita
non tanto perché vogliono comprare qualcosa ma per la tipologia di clientela che lì possono trovare (quindi
quasi come una forma di socialità). E ci possono essere anche degli obiettivi per esempio di tipo
esperienziale: vado in un particolare punto vendita (es. concept store, lifestyle store) perché voglio provare
quell’esperienza.

Quali sono i principali output dei servizi distributivi? Innanzitutto l’ubicazione e quindi l’essere localizzati
in un preciso punto fisico (quindi offrire un servizio in termini di ubicazione e quindi favorire quello che si
chiama “commercio di prossimità”, ovvero quel commercio che si basa sul servire un certo bacino di utenti
che vivono/lavorano nei pressi del punto vendita).
L’altro output del servizio distributivo (che in questo caso non riguarda il negozio al dettaglio dei beni di
largo consumo) è il tempo di attesa o di consegna. Ci possono essere punti vendita che offrono tempi di
attesa e di consegna sensibilmente inferiori e per questo vengono preferiti.
Uno degli output di un servizio distributivo è quello di offrire un’ampia varietà di prodotto che facilita il
consumatore, il quale sa che in quel posto trova una serie di articoli di cui ha bisogno. Il classico caso è
quello del supermercato che può coprire quasi tutte le esigenze legate alla sfera alimentare, alla gestione
della casa e alla cura degli animali domestici. Quindi uno dei grandi vantaggi del supermercato è quello di
poter coprire tutte le esigenze connesse alla gestione di una casa, alimentazione e alla cura dei propri
animali.
Un altro output fondamentale è la frammentazione degli acquisti. Spesso ci si dimentica che i prodotti
quando escono dallo stabilimento di produzione, ovviamente, non sono così come li troviamo sugli scaffali
dei supermercati. In particolare, i servizi distributivi ci consentono di acquistare gli articoli che ci servono
nel quantitativo che è a noi più congeniale. Questo è uno dei più importanti output del servizio distributivo.
E a questo proposito ci possono essere preferenze in questo senso per quei punti vendita che offrono per
esempio anche dei formati particolari (quindi una ulteriore frammentazione degli acquisti), ad es.
nell’ambito dell’alimentare le porzioni singole che può essere un vantaggio per il singolo consumatore.
Questi sono gli output principali dei servizi distributivi. Poi naturalmente ci sono, per quelle categorie di
prodotto ad acquisto più complesso, tutti quei servizi integrativi e complementari (es. assistenza
all’acquisto, manutenzione, installazione, assistenza post-vendita, servizi di tipo finanziario, ecc.).

2)Quali devono essere gli obiettivi e vincoli della pianificazione del canale distributivo? Ovviamente
dipende molto dal tipo di prodotto di cui si sta parlando. Ci deve essere un bilanciamento del tipo di servizio
che un determinato canale distributivo può erogare alla clientela finale da bilanciare con i costi. Quindi qui
dipende molto dalla categoria di prodotto.
Ad esempio per i prodotti voluminosi per i quali il trasporto è molto costoso, bisogna privilegiare forme di
canale corto (cioè bisogna privilegiare la produzione in loco, o perlomeno a una distanza non eccessiva dal
cliente finale per minimizzare i costi di trasporto.
Invece, per quanto riguarda i prodotti non standard (prodotti altamente personalizzati destinati alle
imprese, es. macchinari particolari elaborati su progettazione del committente e destinati alle imprese)
nella maggior parte dei casi, è l’impresa stessa che si occupa della vendita, dell’installazione e della
consulenza relativa all’utilizzo. Quindi nel caso di prodotti non standard l’impresa produttrice non si avvale
di terzi ma si avvale di una propria rete di tecnici che non solo installano, trasportano e consegnano il
prodotto ma, ovviamente, forniscono anche assistenza nel suo utilizzo.
La stessa cosa è vera anche per tutti quei prodotti di una certa complessità che richiedono installazione e
manutenzione (es. caldaia dell’appartamento installata o dall’impresa stessa o da un tecnico autorizzato a
gestire quella determinata marca). In questo caso l’impresa si avvale di una rete di tecnici (che ricevono il
know-how dall’impresa stessa) e di punti vendita che forniscono assistenza e manutenzione.
Quindi in questi casi, prodotti non standard o prodotti complessi che richiedono installazione e
manutenzione, il produttore tende a usare o un canale diretto (venditori che sono alle dipendenze dirette
del produttore) o una rete di rivenditori autorizzati controllati dall’impresa.
In tutti gli altri casi invece, la scelta è molto più ampia: nei beni di largo consumo (convenience goods) si
predilige un’opzione molto reticolare (cioè l’obiettivo è essere presenti nel maggior numero di punti
vendita possibili).

3) Quali sono le principali alternative di canale?


1) dotarsi di una forza di vendita propria. Quindi dotarsi di venditori che sono dipendenti del produttore o
che hanno qualche forma di contratto (es. come di agenti).
2) internet. L’online.
3) posta tradizionale. Anche se ormai abbastanza in disuso.
4) distributori automatici. In alcuni paesi sono utilizzati anche per la vendita di prodotti high tech (es.
chiavette usb, lettori mp3), per la vendita di cosmetici (es. Sephora), prodotti farmaceutici, ecc.
Ovviamente ogni impresa deve valutare il tipo di canale che ha a disposizione in termini non solo di numero
ma anche di affidabilità e le varie forme di collaborazione con i gestori di questi canali.

Come numero di intermediari (quanti intermediari vendono il mio prodotto in un determinato territorio), ci
sono tre tipologie principali che corrispondono ad altrettante tre categorie di prodotti:
1) distribuzione intensiva. Distribuzione intensiva vuol dire distribuzione capillare, e riguarda i beni
convienience (beni di largo consumo e basso valore unitario). In questi casi l’obiettivo prevalente del
produttore è quello di essere presente nel maggior numero di punti vendita perché lo scopo è massimizzare
la presenza sul territorio.
2) distribuzione selettiva. Riguarda i prodotti shopping. Sta un po’ a metà tra la distribuzione intensiva e
quella esclusiva. La distribuzione selettiva è quella per esempio dei grandi brand dell’abbigliamento e
dell’arredamento, i cui punti vendita sono generalmente collocati in posizioni strategiche lungo le principali
arterie commerciali delle città ad alto flusso di consumatori (es. centri commerciali, Tuscolana a Roma).
3) distribuzione esclusiva. E’ l’estremo opposto della distribuzione intensiva. E’ riservata a pochi brand, per
esempio a tutti i brand del lusso (es. Via Condotti a Roma). Questo per un motivo legato al prestigio della
location.

Come si valutano le alternative di canale secondo criteri economici?


I risultati dello studio della Booz Allen Hamilton ha evidenziato, nel caso di servizi bancari, le differenze
enormi in termini di costo tra i diversi canali per effettuare una medesima operazione.
Differenza tra una transazione che avviene online, in cui è il cliente stesso che si fa i bonifici da solo, e una
transazione che avviene in filiale. In mezzo c’è la transazione tramite bancomat (ATM) e la transazione al
telefono.
Quindi il criterio economico è da tenere in considerazione ma, chiaramente, non può essere l’unico criterio
perché dall’altro lato c’è da tenere in conto il valore aggiunto (valore che tutti quei servizi collegati a quel
particolare canale distributivo possono aggiungere al valore del prodotto in sé per contribuire a creare
maggior valore finale) di quel particolare canale distributivo. Quindi, la cura del cliente, l’assistenza
personalizzata che il cliente del brand di lusso riceve nel momento in cui mette piede nel negozio, quello è
altissimo valore aggiunto che si va ad aggiungere al valore del prodotto in sé.

Spiegazione del grafico:

Quindi il costo del canale va rapportato al valore aggiunto che quel canale è in grado di portare. In questo
senso possiamo considerare un grafico con la dimensione orizzontale rappresentata dal costo per
transazione di un determinato canale e sulla dimensione verticale possiamo indicare quel valore aggiunto
che quel canale può apportare, abbiamo che lungo la retta si collocano le diverse opzioni. Internet ha il
costo e il valore aggiunto più basso in assoluto, nonostante più di recente con alcuni meccanismi (es. Bot)
stia cominciando a curare l’aspetto del servizio al cliente. All’estremo opposto abbiamo la forza vendita
propria dell’impresa che è quindi formata dai dipendenti dell’impresa e da tutti quelli che hanno un
rapporto di lungo periodo con il produttore che sono formati dal produttore, motivati attraverso incentivi
monetari e non e che sono in grado di fornire un’assistenza a tutto tondo compresa di servizi di
personalizzazione, finanziari, di installazione, manutenzione, ecc.
In mezzo troviamo altre opzioni, l’ordine è: internet, telemarketing, singoli punti vendita al dettaglio,
distributori, i partener a valore aggiunto (partner indipendenti che non si limitano ad essere semplici
distributori ma sono in grado di fornire comunque un valore aggiunto al cliente finale grazie ad accordi con
il produttore che vanno oltre il semplice contratto di compravendita; es. franchising), forza di vendita
propria.
Si va dai canali diretti, ai canali indiretti, fino ai canali di vendita diretti tramite forza vendita.
Quindi da tenere in considerazione ci sono i costi del canale, il valore aggiunto che quel canale può
conferire (che dipende dal tipo di prodotto) e infine un confronto tra vendite e costi (confronto che
riprende la logica del punto di pareggio).

Confronto fra vendite e costi

E’ chiaro che per un certo livello di vendite può non convenire al produttore dotarsi di una propria forza di
vendita, bensì a un livello di vendite che superano una certa soglia mi può convenire farlo.
E’ chiaro che dotarsi di una forza di vendita propria è più costoso in termini di costi fissi (perché in genere si
parla di personale assunto a tempo indeterminato, e quindi di dipendenti dell’impresa che devono essere
selezionati, formati, motivati e retribuiti), viceversa rivolgersi a degli agenti esterni ha quasi solo costi
variabili.
Quindi le due curve hanno una certa pendenza. Chiaramente, per un certo livello di vendite, può convenire
dotarsi di una forza di vendita propria. Questa è la logica del punto di pareggio applicata alla scelta tra
outsourcing e forza di vendita propria.

Le decisioni sulla gestione del canale quali sono?


- ovviamente una selezione accurata degli attori del canale in termini di affidabilità, in termini di condizioni
che gli attori possono garantire, in termini di durata del rapporto, ecc.
- una valutazione periodica degli attori del canale in relazione ad alcuni indicatori.
- nel caso di forza di vendita propria (ma non solo, anche nel caso di rapporti tipo franchising), c’è tutta
l’attività di formazione e motivazione degli attori del canale di vendita. Per esempio, nel caso del
franchising, la casa madre (che fornisce al franchisee una licenza per poter usare il brand e tutti i materiali
da utilizzare secondo le sue direttive) fornisce anche una serie di conoscenze, competenze e know-how che
trasmette ai franchisee e che consentono ai franchisee di fornire al cliente finale tutta quella assistenza e
qualità del servizio che il produttore (casa madre) richiede.
La motivazione può avvenire tramite incentivi monetari e non monetari. La formazione ha come obiettivo
anche la motivazione degli attori.
- valutazione periodica dell’operato dei canali di vendita. E’ necessario valutare periodicamente l’operato
degli intermediari in relazione a quelli che sono i principali indicatori di performance: conseguimento delle
quote di vendita (rispetto a quanto stabilito come obiettivo); livello medio delle scorte (a seconda degli
accordi con i partner); tempi di consegna al cliente (molto importante per la customer satisfaction); valore
in termini di fatturato di prodotti danneggiati o perduti; livello con cui quel particolare attore del canale ha
sostenuto programmi promozionali e di formazione dell’impresa (indicatore del grado di coinvolgimento di
quel particolare attore del canale distributivo).
- modifica periodica del progetto e degli accordi di canale. Questo perché nessuna architettura di canale
distributivo vale in eterno e quindi periodicamente la casa madre deve valutare lo stato dell’arte
dell’attuale rete di canali distributivi ed eventualmente modificarla (es. riducendo la rete dei punti vendita
fisici se si rende conto che l’online funziona meglio; o al contrario ampliandola; o affiancando ai punti
vendita tradizionali dei punti vendita di tipo più esperienziale).
- considerazione sui canali globali.

Caso sephora

Tra i casi di successo nell’ambito distributivo, Sephora è un esempio di catena di punti vendita al dettaglio
multibrand che ha basato il suo successo su un ampio assortimento che comprende anche brand difficili da
trovare altrove e comprende anche una concezione dello store in chiave molto esperienziale. Sephora è
quindi un caso di successo nell’ambito della distribuzione.

La distribuzione al dettaglio, cioè il retail, si intendono tutte quelle attività di vendita dirette al
consumatore finale di beni o di servizi per uso personale e non professionale. Es. Sephora perché vende
direttamente al consumatore finale.

Per quanto riguarda le formule distributive nell’ambito retail (quindi nell’ambito del consumatore finale)
abbiamo due categorie principali:
- la vendita al dettaglio priva di negozio (la cosiddetta non store ratailing). Appartengono a questa
categoria: la vendita con distributori automatici; tutto l’ambito della vendita elettronica (internet, TV);
vendita porta a porta (molto usata da alcuni brand ad esempio la casa di cosmetici Avon).
- la vendita al dettaglio con negozio convenzionale (la cosiddetta store retailing). In questo ambito,
abbiamo tutta la tipologia varia di negozi: i tradizionali negozi di piccole dimensioni; tradizionali negozi
alimentari di piccole dimensioni (che per esempio durante il lockdown hanno avuto molta clientela);
superette (piccoli supermercati che hanno una grande importanza per il commercio di prossimità);
minimarket non alimentare; supermercati tradizionali; ipermercati che si caratterizzano per le enormi
dimensioni; discount (o hard discount); grandi magazzini (department store, es. Rinascente a Roma, gallerie
Lafayette a Parigi); variety store (department store più piccoli); negozi specializzati (piccola o grande
superficie specializzata, es. Trony, Decathlon); centri commerciali; lifestyle store e concept store (la loro
particolarità è la cura nel design e di avere nei loro punti di forza il fattore esperienziale).

09/11
Qui è anche opportuno distinguere tra diversi tipi di store retailing a seconda del livello della qualità del
servizio che si può trovare. Abbiamo:
- il classico dettaglio a servizio libero (self service puro) cioè il modello supermercato (che è un modello la
cui diffusione è stata favorita dalla diffusione del packaging). Il dettaglio a servizio libero è il dettaglio in cui
l’assistenza al cliente è pressochè zero.
- il dettaglio a selezione libera. E’ il modello di alcuni tipi di farmacie che hanno ampliato la gamma di
prodotti tradizionale offerti dalle farmacie includendo molti prodotti di cosmetica. In questo dettaglio, il
cliente per buona parte di prodotti può servirsi da solo, ma può ovviamente chiedere assistenza e/o consigli
qualificati.
- dettaglio a servizio limitato. E’ il classico negozio dello shopping tradizionale, che ha un misto di self
service per quanto riguarda la merce esposta (che il cliente può guardare e prendere) e poi l’assistenza per
quanto riguarda il reperimento della taglia giusta, ecc.
- dettaglio a servizio completo. Riguarda quei negozi in cui si è accolti e serviti dall’inizio alla fine. E’ in
genere riservato alla fascia alta del mercato o per prodotti particolarmente complessi che richiedono
un’assistenza qualificata.

esempi.
Nell’ambito alimentare ci sono le cosiddette Superette, il Supermercato tradizionale e l’Ipermercato. Ciò
che li differenzia è la dimensione e, di conseguenza, la localizzazione (gli ipermercati sono collocati in aree
più periferiche).
Questo video spiega come ha fatto Walmart a diventare un gigante del retail attraverso sostanzialmente tra
strategie molto semplici:
- innovazione tecnologica volta ad incrementare l’efficienza (e quindi ovviamente riduzione dei costi).
Un’assoluta fede nell’innovazione tecnologica volta a aumentare l’efficienza nella logistica (trasporti,
movimentazione delle merci, deposito, ecc.). Per esempio, l’introduzione del codice a barre si deve a
Walmart.
- forte potere contrattuale nei confronti dei fornitori che consente a Walmart di applicare delle vere e
proprie imposizioni di prezzo.
- la politica di every day low price (EDLP). Cioè chi va da Walmart sa che trova, tutti i giorni, quello che gli
serve al prezzo più basso possibile.
E’ bene però ricordare che uno dei problemi che Walmart ha riscontrato in alcuni mercati esteri in cui ha
cercato di entrare senza particolare successo (es. tentativo di sfondare nel mercato tedesco), ha a che fare
con la politica “sfruttatoria” di Walmart nei confronti dei dipendenti.
Questo (slide 12) era un annuncio del 2017 secondo cui era in fase avanzata un accordo (poi saltato) tra
Google e Walmart per cercare di fermare il dominio di Amazon. Questo per capire a che livelli Walmart si
muove.

Tipologie di organizzazioni per la vendita al dettaglio:


- gruppi d’acquisto. Sono libere organizzazioni di consumatori (di solito in Italia si chiamano “gruppi di
acquisto solidale”) molto diffuse sul territorio che riguardano consumatori che si associano per comprare,
in genere in grandi quantità (e quindi a condizioni vantaggiose), determinati articoli (di solito di genere
alimentare alimentare, es. biologico). Di solito questi gruppi acquistano da piccoli produttori di cui si fidano
e quindi, oltre al discorso legato a un eventuale risparmio nell’acquisto, c’è l’aspetto legato all’instaurare un
rapporto diretto realtà produttive locali.
- cooperative di dettaglianti
- cooperative di consumatori
- unioni volontarie
- conglomerati commerciali. Sono i centri commerciali che, ovviamente, riuniscono diversi esercenti che
dividono una medesima infrastruttura.
- organizzazioni in franchising.

Il franchising è una tipologia di accordo tra due attori che partecipano a momenti diversi della distribuzione
che sta un po’ a metà tra l’accordo di puro scambio tra attori completamente indipendenti (es. produttore
che vende al grossista che vende al dettagliante) e il canale diretto in cui il produttore si dota di una propria
rete di vendita che controlla al 100%.
Il franchising può appunto essere visto come una via di mezzo. E’ un rapporto commerciale tra due entità
indipendenti però, all’interno di questo rapporto, c’è molto di più che una semplice compravendita di
prodotti. Infatti, c’è una relazione di lungo termine che prevede diritti e doveri. Il franchisee (singolo punto
vendita), paga una fee per avere il diritto di fare parte del sistema (paga i costi di avvio, la licenza per l’uso
del marchio, ecc.) e il franchisor (casa madre) fornisce tutte le competenze e il know-how relativo al servizio
al cliente.
Ovviamente ci sono i pro e i contro. La casa madre fornisce tutta una serie di conoscenze, competenze,
know-how e anche di materiali per allestire i singoli punti vendita, al contempo il franchisee deve seguire le
direttive della casa madre (es. allestimento delle vetrine, esposizione della merce, eventuali promozioni,
ecc.). La cosa interessante è che c’è una sinergia e un trasferimento di conoscenze e competenze, che
rende il franchising particolarmente interessante. C’è, da parte della casa madre, un controllo di buon
livello sulla fase finale del canale distributivo (cioè sulla gestione del rapporto col cliente finale), al tempo
stesso senza avere tutti i costi connessi alla creazione di una propria rete di vendita.
Quali sono le decisioni di marketing del retailer?
- mercato obiettivo
- loyalty management
- posizionamento nell’area di attrazione
- retailing mix
Il retailer innanzitutto deve partire dall’individuazione del proprio target (del proprio mercato obiettivo) in
senso sia geografico e sia come tipologia di clientela. Questo perché la definizione del target, o dei
segmenti target, poi orienta tutte le decisioni relative alle leve del marketing mix.
C’è la decisione cruciale che riguarda il posizionamento del punto vendita. C’è un vecchio modo di dire:
”location, location, location” che dice che nel retail c’è un’unica fondamentale decisione strategica da
prendere che è location. Ciò che va a sottolineare l’importanza strategica del posizionamento del punto
vendita non solo in termini geografici (per facilitare l’assorbimento e l’attrazione del proprio bacino di
utenza) ma anche in termini di prestigio della zona.

Ovviamente il retailer deve anche decidere il livello di customer service e quello che si chiama il loyalty
management (cioè la gestione della fedeltà del cliente al punto vendita). E chiaramente può succedere
(specialmente quando il retailer non è monomarca ma plurimarca) che ci sia un conflitto tra gli interessi
della casa madre (e quindi di chi è il fornitore) e gli interessi del singolo punto vendita o di chi ne gestisce gli
interessi. Il retailer vuole massimizzare la fedeltà al punto vendita, il produttore vuole massimizzare la
fedeltà al proprio brand.

Poi ci sono le leve del cosiddetto retailing mix. Di cosa si compone il retailing mix?
- innanzitutto la scelta sull’ubicazione e la gestione dell’atmosfera. Nel retail marketing contemporaneo si
parla sempre più spesso dell’atmosfera come una delle variabili fondamentali del ratailing mix. L’atmosfera
non è altro che tutto ciò che contribuisce ad arricchire il contenuto esperienziale del punto vendita
(arredamento, colori, luci, musica, eventuali profumi, servizio al cliente, eventuali device tecnologici, ecc.).
L’atmosfera è una variabile la cui importanza dipende innanzitutto dagli obiettivi (leadership di costo o
differenziazione), dalla categoria di prodotto e dal brand e infine da quanto è intensa la concorrenza
dell’online in quella particolare categoria di prodotto.
- strategie di comunicazione (come comunico al mio pubblico di riferimento il mio assortimento) e il
merchandising (che ha a che fare con tutto ciò che riguarda la merce all’interno del punto vendita, per
esempio come viene visivamente esposta la merce all’interno del punto vendita).
- assortimento di prodotti e servizi al cliente. Quindi l’ampiezza e la profondità delle linee di prodotto e,
ovviamente il livello di servizio che si vuole assicurare alla clientela (che può essere anche 0 se si sta
parlando del settore low cost o di un hard discount).
- il prezzo. Con questo intendiamo una serie di decisioni molto complicate: i prezzi delle diverse linee di
prodotto, la tempistica delle promozioni, il tipo di scontistica, ecc.

Sempre parlando del retailing, un aspetto da tenere in considerazione è la sempre maggiore diffusione delle
cosiddette marche commerciali (soprattutto nel settore di beni di largo consumo).
Le marche commerciali sono le marche del distributore. Es. se andiamo da Auchan, Carrefour, Coop
troviamo, accanto alle marche tradizionali, in alternativa la marca del distributore.
Come si ottiene questa compresenza di marche dei produttori (di cui il distributore è in un certo senso
cliente) e marche del distributore? Spesso i distributori (parliamo di grande distribuzione organizzata GDO)
negli ultimi anni sono ricorsi alla commercializzazione di prodotti con il proprio brand per una serie di
motivi.
Minori costi di: ricerca e sviluppo, pubblicità, promozioni commerciali, distribuzione fisica.
Quindi aggiungere il proprio brand ha quasi esclusivamente vantaggi, che sono: maggiori margini di
profitto, rafforzare l’immagine del brand, completare l’assortimento (inserendo versione low cost),
fidelizzazione della clientela e può anche aumentare il potere contrattuale verso i fornitori (perché quando
il distributore sui propri scaffali espone i suoi prodotti e quelli dei brand, il distributore assume due ruoli
simultaneamente nei confronti del produttore: il ruolo di distributore e il ruolo di concorrente).
Es la Coop che vende la passata di pomodoro la acquista da una serie di piccoli produttori a costi molto
bassi. Il distributore che fa questo non deve sostenere costi aggiuntivi di pubblicità, di promozioni
commerciale e di distribuzione fisica (perché è già un distributore). La scelta è tra essere un distributore che
offre solo marche di produttori o essere un distributore che, accanto alle tradizionali marche dei produttori,
offre anche la propria marca.

La distribuzione all’ingrosso comprende tutte quelle attività che sono connesse alla vendita di beni e servizi
non al consumatore finale, bensì a soggetti che, a loro volta, li rivendono o li impiegano in un processo
produttivo (che poi porta l’output di quel processo produttivo ad essere rivenduto).
Distinguiamo:
- grossisti commercianti. Svolgono un’attività completamente autonoma e assumono il titolo di proprietà
per la merce che trattano, cioè il titolo di proprietà passa dal produttore al grossista (che si assume il rischio
d’impresa, i costi relativi allo stoccaggio, al deposito, alla movimentazione delle merci, ecc.) e poi il grossista
vende al dettagliante ricavandone il suo profitto.
- grossisti a servizio completo. Servizio completo vuol dire occuparsi di tutto ciò che concerne l’aspetto
relativo al trasferimento della merce (gestione delle scorte con costi e rischi connessi), impiego di una
propria forza di vendita autonoma, eventuali finanziamenti concedendo credito (spesso i grossisti sono in
grado di pagare cash al produttore e di concedere credito ai dettaglianti) e poi servizio di consegna e di
assistenza gestionale pre e post vendita.
- grossisti a servizio limitato
- broker e agenti
- uffici a filiale di vendita di produttori e dettaglianti
- grossisti specializzati

Quali sono le funzioni svolte dai grossisti?


1) funzione di vendita e di promozione. I grossisti, specialmente quelli di una certa dimensione, hanno una
propria forza di vendita qualificata che svolge una funzione di trasferimento di importanti conoscenze e
competenze dal produttore al dettagliante.
2) funzione di deposito. E’ importantissima perché i produttori sono localizzati in determinate zone e,
specialmente quando le merci viaggiano sui mercati esteri, la funzione del deposito diventa fondamentale.
3) funzione di acquisto e formazione di assortimenti. Il grossista acquista in genere in grandi lotti e poi
forma gli assortimenti, quindi compone l'output in modo che sia fruibile per i dettaglianti.
4) economie di acquisto. Il grossista inoltre, grazie spesso alle sue dimensioni, è in grado di ottenere dei
prezzi di acquisto dal produttore sensibilmente inferiori a quelli che sarebbero ovviamente i prezzi
d'acquisto praticati al dettagliante e, di conseguenza, è in grado di trasferire in parte o in tutto questi sconti
quantità anche alla rete di dettaglianti che serve.
5) trasporto e deposito scorte. Quindi la movimentazione fisica
6) consulenza e servizi di management nei confronti dei dettaglianti
7) forme di finanziamento (es. dilazione di pagamento che il grossista può concedere ai dettaglianti). Spesso
il grossista può acquistare in contanti in grossi quantitativi dal produttore e poi concedere dilazioni di
pagamento alla rete di dettaglianti.
8) assunzione del rischio d'impresa che è massima nel caso di grossisti commercianti (e quindi si assumono
in toto il rischio di impresa e sono imprese indipendenti a tutti gli effetti).
9) funzione di trasferimento di informazioni idi mercato. Il grossista verso il produttore può trasferire
informazioni (per esempio sullo stato della vendita al dettaglio, perché ovviamente il grossista riceve ordini
dettaglianti e dalla modifica di questo ordine ovviamente può capitare importanti modifiche del mercato
finale e trasferisce queste informazioni al produttore) e funge anche da trasmissione delle informazioni in
senso contrario, cioè trasferendo alla rete di dettaglianti informazioni importanti (per esempio su
innovazioni di prodotto, o altro, che provengono dal produttore).

La rete di vendita (o forza di vendita) è l’insieme dei venditori di cui l’impresa si avvale per raggiungere lo
stadio successivo del canale di distribuzione prescelto. La rete di vendita è quindi la rete dei venditori che
raggiungono lo step successivo: o il cliente finale, o il grossista o la rete di dettaglianti (a seconda che il
canale sia lungo, corto, diretto, ecc.).
La rete di vendita può assumere due tipologie:
1) rete di vendita diretta. E’ costituita da personale dipendente dell’impresa (rapporto di lavoro vero e
proprio, subordinato e continuativo). Generalmente la retribuzione è fissa a cui poi si aggiungono gli
incentivi connessi al raggiungimento di determinate quote di vendita. Qui si parla di tradizionali figure di
venditori diretti: addetto alle vendite, il piazzista e il commesso viaggiatore.
2) rete di vendita indiretta. La figura del venditore esterno è rappresentata da un collaboratore esterno
che, in genere, lavora a provvigione (quindi è una figura più autonoma). La retribuzione, in genere, è
rappresentata da una percentuale sulle vendite (provvigione). Quindi la retribuzione del collaboratore
esterno è molto più variabile rispetto a quella del dipendente.

Remunerazione dei venditori

Generalmente, gli schemi contrattuali di queste figure sono, più o meno, sempre gli stessi (ovviamente si
può optare per l’uno o per l’altro a seconda delle condizioni). In genere, c’è una componente fissa (che è
volta a garantire un minimo di stabilità) e la parte variabile (che è la parte incentivante in quanto dipende
dal raggiungimento di determinati target). Poi ci possono essere i rimborsi spese (volti a coprire oneri
connessi allo svolgimento delle funzioni di vendita) e eventuali benefici accessori (per accrescere sicurezza
e soddisfazione, es. assicurazione).
Queste componenti sono presenti in parti variabili, quindi possiamo avere situazioni di quasi assenza della
parte incentivante (parte variabile) e quindi un sistema basato sulla remunerazione fissa indipendente dai
risultati (sistema basato sullo stipendio fisso); possiamo avere un sistema quasi variabile, cioè basato
prevalentemente sulle provvigioni (sistema basato sulle provvigioni); oppure un sistema misto.

1)Il sistema basato sullo stipendio fisso ha dei vantaggi:


- garantisce al lavoratore una sicurezza di reddito
- è più semplice ha gestire dal punto di vista amministrativo
- flessibilità nelle funzioni di vendita e nell’organizzazione del personale
- mancanza di resistenza da parte del personale di vendita alle direttive dell’impresa
Tra gli svantaggi:
- assenza di una componente che funga da incentivo
- rigidità del costo

2)Il sistema basato sulle provvigioni è l’opposto, e quindi è un sistema totalmente variabile. Tra i vantaggi:
- forza incentivante (il venditore sa che più si impegna e più guadagna)
- legame diretto tra costi e ricavi di vendita
- possibilità di variare il livello delle provvigioni in relazione ai vari prodotti e alle varie situazioni operative
Tra gli svantaggi:
- complessità amministrativa
- adozione di tattiche di vendita troppo aggressive
- spinta di prodotti che rendono di più e scarsa disponibilità a svolgere funzioni diverse dalla vendita.

Il sistema fisso non fornisce al lavoratore un incentivo ad impegnarsi. Un sistema basato esclusivamente
sulle provvigioni può indurre a un effetto incentivante, ma anche a comportamenti dannosi e
controproducenti (può indurre nelle persone comportamenti di vendita molto aggressivi che possono
andare a discapito dell’immagine del brand) e può anche far si che i venditori siano incentivati a spingere in
particolare verso alcuni prodotti (che realizzano margini più alti, piuttosto che altri. C’è un fenomeno di
“selezione avversa”: un sistema molto incentivante può paradossalmente innestare comportamenti
dannosi soprattutto per l’immagine del brand).

3)Il sistema misto cerca di combinare i vantaggi di uno con i vantaggi dell’altro, cercando di garantire una
sorta di bilanciamento.

Quale conviene di più?

Come spesso accade, anche qui va applicata la logica del punto di pareggio. Ovviamente, la rete diretta
(persone che sono alle strette dipendenze dell’impresa e che, in quanto tali, hanno anche una componente
fissa nella loro remunerazione) è un’opzione che è più costosa; viceversa, avvalersi di collaboratori esterni
che lavorano a provvigione, è un costo variabile (opzione con minori costi fissi).
Quale delle due è più conveniente? Dipende anche dal volume di affari complessivo (dalle quantità che si
stima di vendere).
Quindi, la logica del punto di pareggio ci dice che se abbiamo due curve di costo, una caratterizzata da
maggiori costi fissi e minori costi variabili e l’altra da maggiori costi variabili e minori costi fissi, queste si
incontrano nel punto di pareggio. Quindi, per una stima di un volume di affari superiore a QBE (slide 28) si
suppone che sia più conveniente per l’impresa in questione dotarsi di una rete di vendita diretta; viceversa,
per un volume di affari inferiore a QBE la conclusione è opposta.

Specializzazione della rete di vendita

La rete di vendita può specializzarsi secondo tre tipologie diverse (o magari più di una combinata).
La rete di vendita si può specializzare:
1) per categoria di prodotto. E quindi per esempio tutte le attività di formazione dei venditori saranno
suddivise per categorie di prodotto (questo avviene quando si è di fronte a prodotti particolarmente
complessi che richiedono una formazione abbastanza sostenuta).
2) per tipologia di cliente. Per esempio, i venditori che trattano con i piccoli clienti, medi e grandi. Il
prodotto è lo stesso ma diverse sono le condizioni di utilizzo, la scontistica che si può applicare, le
condizioni di assistenza, le modalità di negoziazione, ecc.
3) per area geografica.

Cosa vuol dire omnichannel? Vuol dire omnicanalità. Il presupposto è sempre la rivoluzione digitale che ha
determinato una rivoluzione nei nostri comportamenti.
La molla che ha dato una spinta enorme a questa rivoluzione non è stata tanto internet, quanto avere
internet “in tasca” e quindi essere connessi h24 potendo acquisire informazioni da qualsiasi luogo. Questo
ha modificato radicalmente i nostri comportamenti di acquisto e, di conseguenza, ha rivoluzionato le
strategie delle aziende dal punto di vista del retailing e della comunicazione.
Perché, quando si parla di strategie di omnichannel, bisogna tenere presente che nel marketing tradizionale
si parla di distribuzione e di comunicazione come se fossero due cose diverse. Queste, in effetti, sono
diverse ma, con l’omnichannel, questa distinzione rigida tra ciò che è distribuzione e ciò che è
comunicazione, tende a sfumarsi. Es. il sito web ufficiale della Nike è uno dei tanti canali distributivi online,
ma al tempo stesso è anche un canale di comunicazione perché è il sito ufficiale del brand). Quindi, quando
si parla del mondo omnichannel bisogna tenere presente che non è semplice, e a volte non è proprio
possibile (e utile), distinguere nettamente ciò che è comunicazione e ciò che è distribuzione.
Come si è arrivati all’omnichannel? Si è arrivati gradualmente. Si può supporre che, in una sequenza logica
e temporale, si sia passati da un singolo canale distributivo a molteplici canali distributivi (multichannel, è il
caso tipico di un’impresa che ha la propria rete di vendita di negozi fisici e, in più, ha lo store online).
L’omnichannel è però diverso dal semplice multichannel perché nel multichannel ci sono molti canali, ma
ogni canale è gestito in maniera indipendente dagli altri (ci sono semplicemente più canali che lavorano in
parallelo). Omnichannel invece, vuol dire che deve cambiare il modo di gestire questi canali. Cioè, ciò che
conta nell’omnichannel è proprio la necessità di gestire tutti questi canali in maniera coordinata ed
integrata.

In sostanza, il mondo dell’omnicanalità significa che noi come consumatori tendiamo naturalmente (perché
questo ci è reso facile dalla tecnologia) a passare con estrema fluidità attraverso diversi canali di
comunicazione dello stesso brand (passiamo dalla pagina Facebook al sito ufficiale, entriamo nel negozio
fisico, andiamo su Amazon, ecc.). Alcuni di questi canali sono fisici, altri sono online.
E quindi, questo mondo molto più intricato, richiede capacità nuove da parte delle imprese (richiede un
coinvolgimento sempre più intenso del consumatore, di adottare tecnologie appropriate, ecc.) e quindi c’è
sempre di più la necessità di avere dei team che siano dedicati alla gestione integrata di tutti questi canali.
Una delle conseguenze è il fatto che la comunicazione si è estremamente frammentata ed è proprio per
questo motivo che è necessaria una gestione coordinata ed integrata.

obiettivo omnicanalità
1) selezionare il mix di canali più appropriato (tra quelli che sono sotto il controllo dell’impresa). Questo
tenendo conto che alcuni canali non saranno sotto il controllo dell’impresa. Es. se un influencer parla male
di un mio prodotto, lo può fare; nessuno può impedire al signor Mario Rossi di fare una recensione negativa
del mio ultimo prodotto.
2) integrare e connettere le diverse piattaforme. Cioè consentire il più possibile al consumatore il passaggio
fluido tra i diversi canali.
3) assicurare coerenza tra i diversi canali online ed offline. Assicurare coerenza vuol dire uniformare il
linguaggio, gli slogan, l’immagine (ma anche semplicemente usare uno stesso colore che faccia da sfondo)
in modo da aiutare il consumatore a percepire unitarietà tra i diversi canali. E poi assicurare coerenza tra le
informazioni a disposizione dei consumatori sui diversi canali.
4) indirizzare (incrementare) le vendite online e offline.

Un esempio di innovazione che è stata introdotta in Corea per la quale i coreani possono fare la spesa
inquadrando il QR code dei prodotti alla fermata della metro. Questo ha incrementato le vendite online di
Tesco, consentendo di smantellare alcuni dei negozi fisici e di ridurre l’orario fino a mezzanotte (perché si è
visto che le persone che si recavano al supermercato fisico durante la notte erano molto poche), utilizzando
così le ore notturne per la movimentazioni degli scaffali. Questo ha chiaramente portato ad un incremento
della quota di mercato rispetto alla concorrenza. Affinchè però un sistema del genere funzioni c’è bisogno
di un perfetto coordinamento tra ciò che è sul display alla fermata della metro (ciò che il consumatore
acquista) e la capacità fisica offline del punto vendita che si trova più vicino alla residenza del consumatore
di approntare la spesa ordinata e consegnarla nella modalità richiesta. C’è quindi una necessità di
coordinamento tra online e offline.
Il secondo video evidenzia il fatto che, come nel video precedente, non c’è il tradizionale shopping online,
ma c’è un device tecnologico esterno posizionato in due zone strategiche nelle quali si trovano, per molto
tempo, moltissime persone (nel primo caso le stazioni della metro, e nel secondo gli aeroporti) che
consentono alle persone di fare la spesa e poi trovarsi la spesa a casa. La cosa interessante di questo
secondo esempio è il fatto che si consente alle persone in partenza di fare la spesa che sarà recapitata al
loro ritorno. Questo richiede un coordinamento assolutamente stringente tra online e offline. E’ un
esempio di questa crescente omnicanalità.

Un altro esempio di omnicanalità è la Disney Pixar. Se andiamo sul sito ufficiale Disney è possibile: guardare
trailer dei film in uscita o pezzi di film già conosciuti, accedere ai siti online dei canali Tv, accedere alla
pagina dei giochi online (dove ottenere informazioni utili sulle app), accedere alle informazioni aggiornate
sugli eventi, accedere allo store online e trovare lo store fisico più vicino. Sui vari social della Disney è
possibile anche vedere trailer dei film, foto dei film, eventi Disney, foto dei contest lanciati da Disney, ecc.

Quindi omnicanalità significa sostanzialmente gestione integrata e coordinata di tutti questi canali (online e
offline) che, in molti casi, sono sia canali distributivi sia canali di comunicazione. E sarà sempre di più così
man mano che anche gli stessi social network diventeranno siti di vendita online (per alcuni social come
Instagram è già così).

10/11

E’ possibile diciamo adottare dei modelli di business innovativi perfino rivoluzionari anche in un certo
senso rivoluzionando proprio il sistema di gestione dei prezzi. Per esempio si dice spesso che Ryanair non
ha fatto altro che applicare al settore del trasporto aereo la stessa logica che applica un commerciante al
dettaglio cioè sostanzialmente mettendo il cartellino del prezzo ad ogni servizio accessorio e quindi ad ogni
servizio che si aggiungesse al servizio essenziale del trasporto aereo che ovviamente trasportarmi da A a B.
Questa logica è stata portata da Ryanair un po' troppo all’estremo e questo ha portato ad una certa
insoddisfazione della clientela.

Sappiamo tutti che i profitti si calcolano ricavi – costi, tra le quattro leve del marketing mix l'unica che
determina direttamente i ricavi una volta decisa è il prezzo, tutte le altre leve del marketing mix sono fonti
di costo: Il prodotto, l’innovazione di prodotto, innovazione del packaging ecc., la distribuzione, la
promozione. In genere la comunicazione sono fonti di costo. Il prezzo è la decisione che determina in
maniera diretta data la quantità venduta i ricavi.

Nella tradizionale economia della competizione nella quale ci troviamo ad operare bisogna considerare tre
fondamentali pilastri diciamo tre fondamentali vincoli considerati congiuntamente che contribuiscono a
determinare e a prendere le decisioni di prezzo. Questi 3 pilastri sono:

 la domanda : “Qual è il valore percepito dal consumatore per il mio prodotto? qual è il massimo
sacrificio che il mio potenziale consumatore è disposto a sopportare per avere il mio prodotto?“
Quindi non si possono decidere i prezzi senza tenere in considerazione il vincolo relativo alla
domanda.
 l'impresa: stessa e quindi in particolare la struttura dei costi. Non si possono decidere i prezzi non
tenendo conto della struttura dei costi di produzione (sia diretti che indiretti) altrimenti si finisce
per decidere dei prezzi che ovviamente non sono sostenibili.
 la concorrenza: non si possono decidere i prezzi prescindendo dal comportamento di prezzo
applicato dalla concorrenza poi ovviamente a seconda che noi abbiamo una strategia di costi
leadership o di differenziazione le nostre scelte di prezzo saranno differenti.

E quindi ci sono tre facce diciamo delle decisioni di pricing. Pensate la decisione di pricing un po' come
una coperta troppo corta che non si può tirare troppo da una parte del letto perché se la tiro troppo da una
parte del letto quell'altra parte di letto rimane scoperta. E’ un po' la stessa cosa se pensiamo alle decisioni
di prezzo in relazione a questi tre vincoli. Un’impresa può decidere i prezzi adottando:

-l’orientamento alla domanda, un'altra impresa può essere maggiormente orientata ai costi, una terza può
essere maggiormente orientata alla concorrenza ma come dicevo la coperta è corta non si può tirarla
troppo da una parte perché poi sennò e le decisioni di prezzo o per un motivo o per un altro non sono
sostenibili.

Lo scenario dei prezzi sta cambiando…


Chiaramente anche qui la rivoluzione digitale ha determinato una rivoluzione nei nostri comportamenti e di
conseguenza le strategie delle imprese per quanto riguarda noi consumatori potenziali. Gli acquirenti di
oggi hanno una possibilità enorme rispetto a prima per esempio di fare un confronto istantaneo tra i prezzi,
basti pensare appunto ai siti aggregatori di offerte delle compagnie aeree per uno stesso tragitto che ci dà
anche solo questo potere enorme. Ci sono molti siti che ci permettono di scegliere come prima cosa il
prezzo e ci danno risposte alternative che sono disponibili a quel prezzo per esempio avete bisogno di un
soggiorno in un hotel a Parigi potete mettere la zona prima del prezzo massimo che siete disposti a pagare
e, l'applicazione o il sito mi da tutte le alternative diciamo che sono disponibili in zona a quel prezzo. Anche
questo è un sistema ovviamente per aumentare il nostro potere contrattuale nei confronti dell'offerta. Ci
sono poi enormi possibilità di ottenere prodotti gratuiti, basti pensare ad Amazon dove si ha la possibilità
di diventare recensori diciamo “ professionali” ottenendo dei punti e ottenendo in cambio anche prodotti
gratuiti. Nelle strategie c'è un monitoraggio molto stretto del comportamento dei clienti, ci sono molte più
offerte di prezzo speciale rispetto a prima. Speciale che possa dipendere da scontistica, che possono
dipendere da diciamo prezzi ridotti a seconda del canale distributivo che si sceglie, a seconda del periodo
del mese o del giorno della settimana e così via, c'è molta più possibilità rispetto a prima per le imprese di
offrire prezzi altamente personalizzati quindi dandoci la possibilità di acquistare prodotti ritagliati sulle
nostre esigenze specifiche, pensiamo semplicemente al caso delle soluzioni assicurative che risponde
ovviamente ad esigenze molto diversificate e c'è anche la possibilità appunto quindi non solo di
personalizzare a livello di singolo consumatore, il prodotto ma anche il relativo prezzo che cambia a
seconda delle opzioni che per esempio inseriamo in un contratto di assicurazione (vogliamo il furto ma non
l’incendio e gli atti vandalici).

Veniamo a quella che si chiama la cosiddetta pricing room che in qualche modo evidenzia la logica che deve
sottostare alle decisioni di prezzo. Essa è una stanza che ha un pavimento e che ha un soffitto. Il pavimento
è dato dal costo dei costi di produzione compresi i costi indiretti e il soffitto è dato dalla domanda o meglio
dal massimo valore che il cliente percepisce in un determinato prodotto e quindi dal massimo sacrificio che
quel cliente è disposto a sostenere per avere quel prodotto. Questo è il soffitto e l'altro è il pavimento e il
prezzo non può ovviamente per ragioni proprio di sostenibilità essere al di sotto del pavimento o al di sopra
del soffitto. All'interno di questo di questi due limiti inferiore e superiore quindi all'interno della stanza, c'è
tutta un'area di discrezionalità che però deve tenere conto di tre aspetti fondamentali:

 prezzi attesi cioè il prezzo che noi consumatori generalmente ci aspettiamo o il prezzo che noi
riteniamo un prezzo ragionevole per un prodotto. Tutti noi, anche in maniera potremmo dire non
del tutto conscia, abbiamo un'idea più o meno vaga di quello che ci sembra essere un prezzo
ragionevole per ogni categoria di prodotto e quindi il prezzo reale non si può discostare troppo da
questo prezzo ragionevole, certo si può discostare un po' ma allora il produttore deve giustificare
questo premium price dicendomi “sì ok il prezzo è più di quello che ti aspetti ma per questo prezzo
superiore a quello che tu ti aspetti, io ti offro questo qualcosa in più” oppure può essere inferiore in
quel caso ovviamente l'attenzione del consumatore è quasi sicuramente è conquistata.
 il comportamento della concorrenza ma non solo il comportamento della concorrenza ma anche le
possibili reazioni della concorrenza alle nostre decisioni di prezzo perché anche questo aspetto più
strategico è da tenere in considerazione.
 gli obiettivi di impresa perché vedremo che il prezzo poi dipende anche molto da quello che è
l'obiettivo dell'impresa e questo quindi all'interno di questa pricing room, tenendo conto di questi
tre aspetti si determina poi alla fine il prezzo finale.

Allora diciamo qualcosa sulla psicologia del consumatore in relazione ai prezzi. Questi sono tutti fenomeni
che sono stati ampiamente studiati. Gli studi si basano sulla nostra percezione dei prezzi e anche su alcune
distorsioni cognitive che si verificano quando dobbiamo comparare e ragionare in termini di prezzi. Per
moltissimi beni noi abbiamo in testa quello che può essere un prezzo di riferimento cioè pensiamo, per
esempio, a una pizza Margherita abbiamo in testa più o meno quanto ci sembra ragionevole che possa
costare una pizza Margherita, può andare da 4 € a magari 10 € a seconda che la ordiniamo online su just
eat, che la mangiamo in una pizzeria in centro ma più o meno abbiamo un range di quello che ci sembra
ragionevole e che quindi insomma normale aspettarci e quindi il prezzo di una pizza non può andare troppo
al di fuori di questo range che noi consideriamo ragionevole e ovviamente le imprese devono tenere conto
di questo range (quindi parliamo di prezzi di riferimento). L'altro aspetto molto importante che riguarda le
decisioni di prezzo ed è soprattutto importante tutti quei prodotti i cosiddetti prodotti credence per i quali
non è facile valutare appieno la qualità se non dopo averlo ricevuto averlo acquistato è l’inferenza che noi
tendiamo a fare sul rapporto qualità-prezzo cioè nello specifico specialmente per i molti servizi complessi,
servizi altamente professionali pensate ai servizi di natura legale e servizi medici le consulenze mediche
tendiamo a pensare che se un servizio di questo tipo è più caro allora deve essere anche di maggiore
qualità e quindi tendiamo sostanzialmente ad usare le informazioni sul prezzo come una proxy in statistica
(si dice proxy quando uso una variabile per stimare un'altra variabile che non sono in grado di stimare
direttamente). Allora per molti settori che riguardano prodotti o servizi complessi usiamo il prezzo come
informazione per stimare il livello di qualità e quindi cosa significa questo? Significa che se un erogatore di
servizi fissa il prezzo troppo basso perché diciamo questo corrisponde ad una logica magari di costi
leadership questo potrebbe essere controproducente perché un prezzo troppo basso potrebbe essere
interpretato come un sito di scarsa qualità. E infine c'è questo fenomeno che tutti noi conosciamo
benissimo perché noi siamo vittime in continuazione anche se sappiamo che è non è nient'altro che è
un’illusione ottica (Cifre finali del prezzo) cioè quando il prezzo è di 1.99 ci sembra immensamente più
conveniente e provoca un cambiamento psicologico veramente notevole.

La determinazione del prezzo

Ora come si determina il prezzo? Ci sono sostanzialmente sei fasi:

1. determinazione dell'obiettivo che si vuole raggiungere con le decisioni di prezzo.


2. Una individuazione della domanda quindi una stima quantitativa e anche una analisi delle sue
caratteristiche qualitative.
3. la stima dei costi viene poi l'analisi dei concorrenti, la scelta di un particolare metodo di prezzo e
infine poi diciamo la scelta del prezzo finale. Quali sono i possibili obiettivi di prezzo?
4. Analisi dei concorrenti
5. Metodo di prezzo
6. Scelta prezzo finale

1) Un obiettivo può essere la semplice sopravvivenza (l’obiettivo di molte piccole imprese in questa fase
molto difficile della pandemia e dei vari lock down parziale o totale). Quindi la sopravvivenza, può essere
visto come un obiettivo anche temporaneo di molte imprese che hanno, per esempio, enormi costi fissi e
che in periodi di crisi hanno la necessità impellente di avere dei ricavi che consentono perlomeno di coprire
i costi fissi. Es. penso ancora una volta al caso delle compagnie aeree che spesso hanno l'obiettivo
impellente di riempire i voli per coprire gli enormi costi fissi dei voli perché aereo della manutenzione costa
prescindere dai passeggeri, idem eccetera eccetera, c’è l’ incidenza dei costi fissi elevatissimo e quindi
l'obiettivo può essere la semplice sopravvivenza per questa ragione diciamo si vendono i biglietti
estremamente scontati per riempire i voli più possibile. Un altro obiettivo può essere la massimizzazione
del profitto corrente, obiettivo più che sensato e legittimo ma naturalmente è un obiettivo che può essere
molto miope perché massimizzare il profitto corrente va benissimo ma poi bisogna vedere se questo va a
scapito dei profitti futuri, va a scapito della quota di mercato, dell’immagine del brand e tutta questa serie
di fattori. Gli altri due obiettivi che sono diciamo le principali strategie di pricing che si evidenziano nel
marketing sono: uno è la massimizzazione della quota di mercato, si parla di questo tipo di obiettivo
soprattutto quando si parla del lancio di nuovi prodotti. Un’impresa può lanciare un nuovo prodotto con
l'idea di massimizzare nel più breve tempo possibile la quota di mercato e quindi entrare nel nuovo
mercato, lanciare il nuovo prodotto con un prezzo molto competitivo, molto aggressivo e magari entrare
prima dei concorrenti in modo da riuscire a conquistare nel più breve tempo possibile un’ampia quota di
mercato che le dia fin da subito una posizione di vantaggio sui concorrenti. Quindi, in questo caso, si parla
del cosiddetto prezzo di penetrazione, un prezzo molto competitivo che consente di penetrare in un
mercato nuovo per esempio con estrema rapidità. L'altro obiettivo invece è quello di scrematura del
mercato cioè quello di entrare in un mercato per esempio sempre con un nuovo prodotto con un prezzo
alto, con l'obiettivo di trarre il massimo del profitto per poi spesso, in un secondo tempo, abbassare
gradualmente il prezzo per andare a pescare profitti nei segmenti di clientela che sono via via più sensibili al
prezzo. Infine, ci possono essere altri obiettivi come, per esempio, ottenere in un dato mercato una
leadership di qualità e quindi scegliere il prezzo che meglio risponda nella percezione del consumatore a
un’idea di qualità.

2) Ora dunque passiamo alla fase di individuazione della domanda. Ovviamente bisogna fare le ricerche di
mercato volte a cercare di capire che cosa i consumatori si aspettano, quali sono gli attributi più rilevanti,
ecc. (tutte le cose che abbiamo già visto quando abbiamo parlato di segmentazione, posizionamento ma
per quanto riguarda in particolare le decisioni di prezzo perché stiamo parlando del prezzo). Allora bisogna
innanzitutto stimare la famosa curva di domanda. La curva di domanda non è altro che la curva che mette
in relazione diversi livelli di prezzo con quantità domandata e vendute. Quindi bisogna stimare la curva di
domanda per avere una stima delle vendite che ci si può ragionevolmente attendere in corrispondenza di
diverse decisioni di prezzo. Questa è una prima variabile fondamentale, una stima quantitativa delle
vendite attese per diverse decisioni di prezzo. L'altra fondamentale variabile che devo conoscere in
relazione alla domanda è l'elasticità della domanda al prezzo.

-Come sapete l’elasticità è un rapporto tra due rapporti. Non è altro che la variazione percentuale della
quantità domandata in risposta al prezzo. L’elasticità mi dice in sostanza quanto i miei consumatori
potenziali di quel prodotto sono sensibili a variazioni di prezzo. Questo è un problema veramente
fondamentale da conoscere per decidere il prezzo. Ci sono le domande tipicamente anelastiche e ci sono
domande tipicamente elastiche. Per esempio, le sigarette sono il classico bene a domanda anelastica
perché essendo bene addictive che genera dipendenza, anche se il prezzo aumenta, la domanda
sostanzialmente diminuisce di poco. Il caso opposto (domanda elastica) è rappresentato, per esempio, da
tutta quella serie di prodotti di largo consumo, in quanto risentono fortemente di eventuali variazioni di
prezzo.
Perché è importante conoscere l’elasticità? Perché questo mi dà ovviamente un'idea di quelli che sono i
miei margini di discrezionalità. Quindi, a fronte di una domanda relativamente rigida, cioè anelastica, io so
che a parità di altre condizioni e a parità di altre considerazioni, se con un aumento del prezzo mi posso
aspettare che le mie vendite attese non si riducano di molto, o addirittura rimangano invariate. Viceversa,
se io so che la domanda del mio prodotto è fortemente elastica, i miei margini di manovra si riducono. So
che aumentando il prezzo anche di poco le vendite attese diminuiscono, ma so anche che se riduco il prezzo
di poco le mie vendite attese aumentano anche notevolmente. Questo fenomeno mi è spiegato appunto
l'elasticità.
Il livello discrezionale di Manovra del prezzo è dato dalla combinazione di due variabili. Sull’asse
orizzontale abbiamo la differenziazione del prodotto mentre sull’asse verticale abbiamo la sensibilità al
prezzo. Ricordiamo che la sensibilità al prezzo è data dall’elasticità.

Se da un lato c'è elevata sensibilità al prezzo e contenute possibilità di differenziazione siamo nell'area del
cosiddetto discount pricing (pensiamo appunto al settore alimentare degli hard discount. In questa area è
conveniente lanciare le cose dette Marche d'assalto). Nell altro quadrante, con una sensibilità al prezzo
contenuta e una differenziazione elevata, abbiamo la strategia del premium pricing, qui siamo nella zona
delle Marche di prestigio. E così via dicendo..

Come sappiamo i MM hanno una stima qualitativa e quantitativa della domanda la quale aiuta a decidere
quale è il prezzo massimo da applicare.

Poi abbiamo la stima dei costi mi dà invece la stima del prezzo minimo. L’impresa però, può decidere di
vendere sottocosto. Sappiamo che questo è possibile ma può essere praticabile solamente in maniera
temporanea e in risposta magari o a eventi contingenti di natura magari straordinaria o in risposta per
esempio ad azioni molto aggressive della concorrenza.

Sapete come si comportano i costi al variare della scala di produzione o della quantità prodotta e venduta?
Allora nel grafico di sinistra vedete la classica curva che descrive l'andamento dei costi totali al variare della
quantità prodotta (al giorno, al mese, all'anno) a impianto fisso cioè considerando immodificabile la
capacità produttiva. Questa è anche chiamata curva dei costi di breve periodo. Sappiamo che in questa
curva il punto più basso rappresenta il costo minimo possibile ed è quello che determina la quantità
ottimale che consente di produrre al costo totale minimo, dopodiché i costi ricominciano a salire perché si
verificano le cosiddette diseconomie di scala. Il grafico sulla destra non è altro che la curva dei costi totali di
lungo periodo. Assumendo non più la capacità produttiva come un dato immodificabile, questa curva non
è altro che l'inviluppo(In matematica si riferisce alla la curva tangente a tutte le curve della famiglia.)
matematicamente parlando delle curve e dei costi totali breve periodo.

3)Stima dei costi

Una cosa però importante invece anche ai fini soprattutto nostri per stimare i costi è non tanto la curva
delle economie di scala, anche quella certo, ma è la stima dei costi cumulati nel tempo quindi la variabile
che è da tenere in considerazione è la curva di esperienza che mi dice come variano i costi di produzione
all’accumularsi di esperienza nella produzione di un determinato bene. E’ molto importante sapere quale
sarà l'andamento futuro dei miei costi di produzione man mano che io accumulo esperienza in un
determinato processo produttivo. Questo è molto importante soprattutto quando parliamo del lancio di
prodotti nuovi o proprio di nuovi player che si affacciano sul mercato per la prima volta. Perché è
importante? perché io posso decidere oggi di lanciare un nuovo prodotto sul mercato. Supponiamo che
abbiamo strategie molto aggressive e che vogliamo cercare di conquistare la leadership di mercato e quindi
per realizzare questo cercherò di conquistare una più ampia quota di mercato nel più breve tempo
possibile. Per fare questo potrei dover scegliere un prezzo iniziale molto competitivo, al limite dei miei
costi di produzione. Ma se io so, dalla mia stima della curva di esperienza, che i miei costi di produzione
diminuiscono in maniera rapida e sensibile all’aumentare della mia esperienza (quindi man mano che vado
avanti della produzione) allora posso stimare anche il momento in cui i miei costi cominceranno a
scendere. Quindi in sostanza se io conosco l'andamento dei miei costi nel futuro posso anche prendere
decisioni di prezzo molto aggressive perché questo mi aiuterà ad accumulare esperienza in un tempo
rapido.. Quindi l'obiettivo non è solo di battere sul tempo la concorrenza e quindi di conquistare in tempi
rapidi una leadership di mercato per quanto riguarda proprio il fatturato o la quota di mercato ma anche
quella di accumulare esperienza in un tempo rapido e quindi abbattere velocemente i costi di produzione.
Quindi adottando la strategia di penetration pricing posso ottenere due vantaggi:

1. mi pongo subito in un tempo rapido in una posizione di leadership rispetto alla concorrenza.
2. accumulo esperienza molto velocemente e questo mi consente di abbattere i miei costi molto
velocemente e quindi di conseguenza di aumentare i profitti (per fare questo però serve stimare
l'andamento della curva di esperienza. )

Per quanto riguarda la stima dei costi, una logica molto interessante e che tra l'altro corrisponde anche un
pò ad una metodo di scelta del prezzo è quella del cosiddetto target pricing e target costing che è un po' la
logica per cercare di capirci adottata da imprese come Ikea.

Qual è la logica del target pricing e del target costing? E’ quella di iniziare l'intero processo ( per esempio
di accettazione del lancio del nuovo prodotto) con il decidere il livello massimo del prezzo e il livello
massimo del costo. Io parto decidendo per esempio il costo massimo che devo sostenere per realizzare
questo nuovo prodotto. Una volta che ho deciso il costo massimo vado dai miei progettisti, dai miei
ingegneri e dico loro “Bene progettate prodotti in modo che il costo massimo non superi questo livello”.

Il decidere all’inizio il prezzo/costo comporta la necessità di una rivoluzione nell’intera filiera che è proprio
quello che ha adottato ikea.

Video. In due minuti la logica del target cost e target pricing è quella di fissare all'inizio il costo e in base a
quello si organizzare tutto il processo di progettazione, di distribuzione e i servizi al cliente. Nel caso
specifico, come ha fatto Ikea ad ottenere quei livelli di prezzo? Attraverso una completa rivoluzione di tutta
la filiera, di tutta la catena del valore che passa dalla centralizzazione delle attività di design nuovi prodotti ,
alla razionalizzazione delle forniture, al prediligere l'aspetto di design alla qualità e gli altri aspetti sono
sappiamo il flirt packaging che consente di risparmiare molto sui costi di trasporto e l'assistenza minimale
molto scarna. Il self delivery e il self assembly che consente di risparmiare( i mobili ikea sono progettati per
essere montati dal cliente facilmente). (Anche la Toyota iniziò, negli anni 90,la cosiddetta rivoluzione della
produzione snella del just in time. Una delle innovazioni del sistema cosiddetto Toyota fu proprio quella di
progettare le parti di automobile in modo da facilitare l'assemblaggio e in modo da ridurre al minimo i
difetti di assemblaggio.) Quindi la logica della target price è quella di fissare innanzitutto il prezzo massimo
da lì parto col organizzare tutto il processo.

4) La fase successiva è quella di analisi del comportamento della concorrenza. Che cosa mi interessa
che cosa devo fare? Innanzitutto devo ovviamente raccogliere informazioni sui prezzi praticati dalla
concorrenza e questo, per lo meno nell ambito dei mercati BtoB è relativamente facile. Poi devo
ottenere informazioni sul livello di costi di produzione della concorrenza e questo può essere molto
più difficile perché le imprese diciamo per ragione strategiche tendono a non diffondere facilmente
le informazioni sui propri costi. Quindi è possibile ottenere costi dei concorrenti tramite varie
metodologie(es. spionaggio) oppure bisogna ricorrere delle stime( che sono per loro natura
incerta). Infine il terzo elemento da tenere in considerazione in relazione alla concorrenza sono
come dicevo prima le possibili reazioni che i concorrenti posso avere in conseguenza delle mie
mosse, questo è importante soprattutto nei mercati oligopolistici cioè nei mercati in cui gli attori in
gioco sono pochi e di conseguenza ogni mossa di ogni attore ha delle ovvie ricadute sul risultato
degli altri attori e quindi delle conseguenza in termini di comportamenti reattivi. Infatti questo è
uno dei domini di studio della teoria dei giochi. Se abbiamo mercato di libera concorrenza in cui ci
sono moltissimi attori in competizione, i margini per comportamenti strategici, sono molto limitati
proprio perché gli attori sono molti e nessuno da solo può influenzare significativamente il risultato
degli altri. Quali possono essere le possibili reazioni? CI possono essere reazioni molto aggressive la
cosiddetta retaliation quindi entro a gamba tesa in un nuovo mercato dove c'è un incumbent cioè è
un’impresa leader già molto consolidata. Questa impresa leader risponde con una guerra di prezzo
per esempio saturando il mercato e mi butta fuori oppure possono esserci anche diciamo reazioni
accomodanti se si ritiene che un nuovo player in quel mercato non sia una minaccia così grande per
i propri. Infine è necessario quindi analizzare l'offerta dei concorrenti e anche i loro pezzi e poi
cercare di identificare le fonti di eventuale valore per il cliente che noi possiamo offrire rispetto alla
concorrenza.Quindi analizzo l'offerta dei concorrenti, i loro prezzi, analizzo la mia offerta, identifico
le aree di maggior valore rispetto alla offerta della concorrenza e stabilisco il prezzo. Ci possono
essere aree di maggior valore che quindi giustifica un prezzo superiore alla concorrenza o al
contrario ci possono essere aree di minor valore che suggeriscono invece un prezzo inferiore al
prezzo praticato dalla concorrenza questo ovviamente il risultato delle strategie diciamo che stanno
a monte, se perseguo una leadership di costo o se persegue una strategia di differenziazione.

5)Modi di determinazione del prezzo:


i tre fattori da considerare per definire il prezzo

metodi basati sui costi

-markup che consiste semplicemente nel calcolare il costo totale unitario e di applicare un ricarico e la
percentuale di ricarico. La percentuale di ricarico è ovviamente una decisione dell'impresa. L'altro metodo
simile che è quella del profitto target che consiste appunto nell’applicare un Roi desiderato, anche
quella è ovviamente una decisione dell'impresa, un Roi desiderato sempre al costo unitario totale. Questi
sono due metodi basati sul costo che hanno dalla loro la grande semplicità, ovviamente i limiti sono quelli
che vi dicevo l’altra volta, se si guarda solamente al lato costi poi si rischia di fare disastri diciamo perché
non si tiene in sufficiente conto gli altri due pilastri o vincoli che sono il comportamento della concorrenza e
comportamento della domanda.

Dai metodi basati sulla domanda possiamo citare due metodi che non vanno confusi. Il primo si chiama
metodo del valore percepito, l'altro si chiama metodo del valore.

Metodi basati sulla domanda,

Il metodo del valore percepito è un metodo ovviamente basato sulla domanda, è metodo di calcolo del
prezzo e si basa semplicemente sull’applicare un prezzo, o meglio sull’ identificare molto bene tutte quelle
che sono le componenti che contribuiscono a creare valore che il cliente percepisce. Se mi metto dal punto
di vista dell'impresa, guardo bene il mio prodotto, tutti gli aspetti relativi al mio prodotto, le sue prestazioni
tecniche ,i suoi attributi funzionali, i suoi attributi simbolici, l'immagine che il consumatore ha, la sua
affidabilità e tutto quello che diciamo vi è collegato come servizi aggiuntivi, garanzie speciali, assistenza al
cliente pre e post. Quindi identifico tutte le componenti che contribuiscono a diciamo trasferire valore al
cliente e a ciascuna di queste componenti cerco di attribuire, un prezzo o un valore. Alla fine sommando
queste componenti pervengo a una valutazione, di quello che dovrebbe essere il prezzo finale. Quindi è un
metodo che si basa proprio sulla domanda cioè si basa diciamo su quanto noi riteniamo che il consumatore
dovrebbe valutare tutte le componenti che noi siamo in grado di offrire. Questo metodo spesso può essere
usato da aziende che adottano una politica di una strategia di differenziazione, che si vogliono differenziare
nel senso di offrire qualcosa in più rispetto alla concorrenza ma quindi possono applicare un prezzo più alto
ma al contempo sottolineano attraverso opportune strategie di comunicazione, perché ovviamente questo
valore in più deve essere poi comunicato, sottolineano che il prodotto che loro offrono ha queste
caratteristiche in più rispetto a quelli della concorrenza.

Successivo invece il metodo del valore è molto diverso ed è diciamo per riuscire a capirlo e anche a
memorizzarlo facilmente potremmo dire che è un po' il metodo Ikea. Ikea in sostanza decide i prezzi, come
decide i costi cioè ikea parte dal decidere il prezzo massimo che di solito è molto basso come sapete e a
partire da quella decisione organizza tutte le fasi a partire dalla progettazione del prodotto fino alla sua
effettiva realizzazione in modo che ogni fase diciamo contribuisca al costo totale che è stato stabilito
all'inizio. Quindi in generale il metodo del valore consiste nel fissare un prezzo molto basso, molto
competitivo e poi nel riorganizzare tutta la filiera produttiva, tutta la catena del valore, dalla progettazione
alla produzione in modo da riuscire a soddisfare quel prezzo molto competitivo, senza o quasi, sacrificare la
qualità. Il nocciolo del metodo del valore sta in questo, io impresa ti offro per un prezzo estremamente più
basso di quello dei concorrenti, un prodotto che ha una qualità appena appena più bassa di quella dei miei
concorrenti. Quindi il prezzo è di molto inferiore mentre la qualità è solo un po' inferiore. La diminuzione
nella qualità è meno che proporzionale alla diminuzione di prezzo e quindi sostanzialmente il messaggio
sottostante è che il cliente acquisisce molto più valore perché in poche parole “ spende molto di meno per
acquisire qualcosa che è solamente di poco inferiore a quello che mi offre la concorrenza.” Ikea è riuscito a
raggiungere questo risultato sappiamo attraverso tutta la ristrutturazione dell'intero processo che passa per
la progettazione di mobili facili da assemblare, che passa per il cosiddetto flat packaging, che consente di
risparmiare sui costi di trasporto, che passa nell organizzazione molto efficiente dei suoi punti vendita che
funzionano come Self service quindi consente di risparmiare sugli addetti, sul personale fino ovviamente a
favorire il self assembly. Un’ altro esempio di questa logica , che può essere anche molto aggressiva è di
nuovo il nostro amico walmart. Questa strategia è molto aggressiva e molto efficace perché è semplicissima
anche da ricordare “everyday low prices it” quindi Walmart ha come suo mantra e anche Toyota per certi
versi ha applicato quella logica cioè la tutela della filosofia della produzione snella del just in time. Anche
walmart applica una filosofia di questo tipo cioè il prezzo più basso possibile è il punto di partenza, se
vogliamo l'obiettivo. Fissato questo, io devo organizzare tutto il mio ciclo distributivo in modo da non
superare mai questo tetto e quindi ovviamente si tratta di una tecnica di prezzo molto impegnativa
chiaramente. Oppure c'è la tecnica invece opposta quella di alternare periodi a prezzo pieno con periodi a
prezzi estremamente scontati. Naturalmente avere una strategia hig and low è più complesso da gestire dal
punto di vista amministrativo, questa è l'unica differenza.

Metodi basati sulla concorrenza

Veniamo a citare brevemente quali possono essere i metodi basati sulla concorrenza. Io posso anche
decidere il prezzo dei miei prodotti e basandomi su quello che fanno i principali concorrenti, ma dipende
varia da ogni mercato naturalmente. Una strategia molto comune nei mercati delle cosiddette commodity,
dei prodotti indifferenziati, è quella che di solito c'è un player, un leader del mercato che decide i prezzi per
tutti. Il leader, cioè player dominante fissa i prezzi e gli altri follower semplicemente si adeguano, questo
perché si tratta di mercato appunto in cui la natura stessa del prodotto cioè una commodity rende quei
mercati sostanzialmente dei mercati in cui la concorrenza non può che basarsi sul prezzo. Allora
incominciano le guerre di prezzo ma sappiamo che con le guerre di prezzo tutti ci perdono perché
chiaramente le guerre di prezzo portano all'equilibrio in cui il prezzo è così basso da riuscire appena a
coprire il costo marginale oppure portano una situazione in cui c'è un player talmente grande che anche se
inizio una guerra di prezzo cercando di attaccarlo come dire non ce la faccio perché quel player è troppo
grande, di conseguenza la strategia più logica da seguire in questi mercati è semplicemente quella di
lasciare che sia leader a fissare il prezzo e gli altri si adeguano.

Più in generale quando si parla di prezzi decisi in base a quello che fanno i concorrenti si possono ravvisare
diciamo tre principali modalità, o 3 principali strategie decisionali. Si può adottare un comportamento di
tipo:

 imitativo passivo che è appunto il caso che ho appena citato nel mercato delle commodities o tutti
i casi in cui in genere c'è pricemaker sul mercato o un grosso leader che fissa il prezzo o nel caso ci
siano i mercati controllati. Un esempio che mi viene in mente di proprio esempio di questi giorni , i
tamponi rapidi antigenici che tutti ci siamo facendo in questi giorni per la positività al covid. Come
sapete, credo, la Regione Lazio ha fissato una convenzione con laboratori privati che possono fare
queste tamponi privatamente ma ha fissato un prezzo massimo di 22 €. Non ci sono altri mercati in
cui ci sono semplicemente delle consuetudini di prezzo e che vengono in qualche modo come dire
perpetuate
 imitativo comparativo: e quindi specialmente nei mercati in cui il prodotto è suscettibile di
differenziazione o per le caratteristiche del prodotto stesso o per i servizi aggiuntivi che io posso
offrire e che magari il mio concorrente non offre, quindi un comportamento di tipo imitativo
comparativo, implica che ovviamente l'impresa decide in base a un paragone tra il valore offerto al
mercato da quell impresa e il valore offerto dai concorrenti. Sulla base di questo paragone si
decide il prezzo che può essere superiore o inferiore a seconda del confronto.
 Poi c'è tutta quella gamma di comportamenti (offensivo vs Difensivo), cioè decisioni di prezzo, che
possiamo etichettare come mosse strategiche. La decisione di prezzo può essere presa anche o a
volte solo per scatenare una reazione nei concorrenti o in anticipazione di una possibile reattiva di
un concorrente.

Comunicazione di marketing

Il primo spot visto è rivolto al pubblico italiano, mentre il secondo è rivolto al pubblico statunitense e
alcune cose sono comuni come ad esempio il richiamo alla bellezza dell'Italia. Nel primo vediamo quello che
abbiamo parlato durante la segmentazione generale ovvero c'è un grande richiamo alla tradizione , alla
bellezza del passato e considera la Fiat 500 anche come un simbolo che si affaccia al futuro . L'altro spot è
destinato al mercato americano , completamente diverso , sfrutta il made in Italy, c'è l'uso dell' ironia e
adattamento.

Questo è l'esempio di un tipo di comunicazione, ovviamente, perché quando si parla di comunicazione non
si parla solo di pubblicità che è la prima forma che ci viene in mente quando pensiamo alla comunicazione
di marketing, ma non solo.

I tipi di comunicazione che possiamo riscontrare quando pensiamo alla comunicazione di un'impresa:

 comunicazione di marketing: che appunto la pubblicità, promozioni di vendita.


 Comunicazione di tipo istituzionale che proviene dai comunicati ufficiali o nelle dichiarazioni
ufficiali gli eventi di un certo tipo Dove parlano i vertici delle istituzioni.
 Comunicazione di tipo organizzativo che è quella rivolta non tanto all'esterno ma all'interno e che
spesso d è comunque permeata dalla stessa visione e degli stessi valori, perché ci deve essere
integrazione tra l'esterno e l'interno.
 comunicazione economico finanziaria: pubblicazione dei risultati di bilancio

queste forme di comunicazione devono il più possibile in qualche modo essere gestite in maniera integrata,
in maniera che l'immagine complessiva dell'impresa ne esca con un qualcosa di coerente.

Qual è il ruolo della comunicazione di marketing?

 Naturalmente informare. noi siamo a conoscenza dell esistenza di una moltitudine di prodotti e
servizi che magari non ci interessano e magari non useremo mai semplicemente perché non
abbiamo visto la loro pubblicità o le loro altre forme di comunicazione.
 Quello di modificare i nostri atteggiamenti verso un brand o verso un servizio.
 Quello di fissarci un determinato prodotto o spesso un determinato brand nella memoria.
 L'ultimo ruolo è quello di motivare, spingere ad acquistare.

Per fare questo la comunicazione di marketing usa un mix di strumenti diversi:


1. che passano dalla pubblicità in senso stretto che comprende tutte quelle forme di comunicazione
impersonale (messaggio di massa ).
2. poi c'è tutto il dominio dell'organizzazione di eventi o dell'organizzazione di esperienza legati al
brand. L'evento che può essere di natura stemporanea o anche periodico o occasionale.
3. Poi c'è la propaganda , questo è un ambito che attiene ad esempio che un determinato brand
compaia nei principali media, facendo si che determinate media ne parlino , facendosi che
l'amministratore delegato di una certa impresa venga esposto un certo tipo di pubblico.
4. Poi c'è tutto l'ampio delle promozioni delle vendite che è molto importante specialmente per
quelle piccole imprese che non sono in grado magari di sostenere ingenti budget pubblicitari e che
si affidano molto alle famose promozioni speciali. La promozione inoltre è usata anche per le grandi
aziende specialmente per il lancio di un nuovo prodotto, quando è essenziale far provare il
prodotto a quante più persone possibili.
5. C'è poi tutta l'attività di marketing diretto ovvero quel marketing che prevede una relazione
personalizzata e oggi anche tutto il marketing che prevede engagement online .
6. E poi c'è naturalmente la vendita personale soprattutto nel settore B to B.
7. Molto fondamentale è anche il passa parola.

I modelli del processo comunicativo: Quando si parla di processi di comunicazione in genere si parla di
quello che è il macromodello e quello che è il micr modello.

-Il macromodello comprende qualsiasi processo di comunicazione. C'è un comunicatore ovvero la fonte del
messaggio che deve codificare un messaggio ovvero la deve esprimere con ad esempio parole o video,
misto di parole immagini e suoni. la codifica porta dunque al messaggio che ha bisogno di essere trasmesso.
il messaggio parte, viaggia e per essere recepito deve venire decodificato dal ricevente. A volte può
succedere che la decodifica da parte del ricevente non si avvicina minimamente a quello che era il
messaggio originale nell’intenzione del comunicatore. Non è scontato che il ricevente assimili il messaggio
che il comunicante voleva tramandare (esempio caso dolce Gabbana). il ricevente una volta che ha
decodificato il messaggio produce una risposta che può essere: “bellissimo questo prodotto domani vado al
negozio a comprarlo “ oppure “mamma mia che merd* sto prodotto , fa cagar*” il comunicatore se si rende
conto che la risposta non è quella che si aspettava ovviamente opererà ad una correzione. (retroazione).

Come si sviluppa una comunicazione efficace?


1) Innanzitutto la prima fase è l’identificazione del pubblico obiettivo che è fondamentale. Dobbiamo
decidere e capire a chi dobbiamo rivolgerci/parlare, perché da lì poi discende tutto.
2) definizione degli obiettivi
3) definizione del messaggio
4) scelta dei canali
5) definizione del budget
6) definizione del mix
7) misurazione dei risultati
8) gestione della comunicazione integrata con eventuali correttivi da applicare nel caso in cui la misurazione
dei risultati faccia presagire che qualcosa non ha funzionato.

Vediamo le prime 5 fasi che sono particolarmente importanti.


Identificazione del pubblico obiettivo -> definizione degli obiettivi -> definizione del messaggio -> scelta dei
canali -> definizione del budget.
1)Per quanto riguarda l’identificazione del pubblico obiettivo, ovviamente questa in genere discende dalla
fase di segmentazione di targeting. Cioè ovviamente la comunicazione non è staccata, è semplicemente una
delle quattro leve del marketing operativo la cui esecuzione di scende dalle decisioni del marketing
strategico. Quindi, nello sviluppo di una campagna di comunicazione, chiaramente il pubblico da
raggiungere sarà costituito dal nostro mercato potenziale ma, più in particolare, bisogna andare a capire a
chi esattamente. Per esempio, vogliamo convincere direttamente gli acquirenti, i decisori o quelli che
possono essere chiamati gli influencer (quelli che poi andranno ad influenzare nelle loro scelte gli
utilizzatori finali, cioè i consumatori che effettivamente andranno ad acquistare e consumare il prodotto)?
Non sempre i due ruoli coincidono, ad esempio nell'ambito dei farmaci che hanno bisogno di prescrizione
medica chi decide, o chi fortemente influenza (anche se in genere decide perché scrive la ricetta), è il
medico e poi il paziente va ad acquistare il prodotto in farmacia.

-Quindi in questo caso molta della comunicazione per esempio svolta dalle case farmaceutiche è
ovviamente rivolta a quelli che sono i decisori o gli influenzatori, in questo senso se pensiamo al mercato
dei farmaci i medici sono sia decisori (per quelli soggetti a prescrizione) sia influenzatori e quindi una grossa
fetta di comunicazione delle case farmaceutiche è rivolta a loro (oltre che a noi consumatori finali per tutti
quei prodotti da banco).

-Oppure si può decidere di rivolgersi soprattutto ai potenziali acquirenti nel caso in cui si voglia espandere
la quota di mercato, nel caso in cui si tratti di un prodotto nuovo (e quindi tutti gli acquirenti sono
potenziali), nel caso in cui si voglia aumentare la quota di mercato a danno dei concorrenti.

-Oppure si può decidere a coloro che già utilizzano il prodotto per esempio per rinforzarli nella convinzione
che hanno fatto la scelta giusta (questo è importante per molte categorie di prodotto che creano
dissonanza cognitiva) o per ricordare loro di continuare ad usare il prodotto.
Bisogna formulare il messaggio in maniera diversa a seconda che sia rivolto potenziali nuovi acquirenti o
persone che già acquistano e consumano il prodotto.

2)Veniamo poi alla definizione degli obiettivi. Quali sono gli obiettivi possibili di una campagna di
comunicazione?

-Obiettivo ultimo è quello di indurre i consumatori ad acquistare un prodotto, però lo si può fare in molti
modi perché ci sono molte fasi diverse che portano dalla semplice consapevolezza di esistenza di un
prodotto/brand alla decisione finale di acquistare quel brand.

-Quindi, per esempio, una prima categoria di obiettivi può essere quella (e questo è valido soprattutto per
prodotti nuovi) di suscitare nel ricevente del messaggio il bisogno di quella nuova categoria di prodotto. Per
esempio, il noleggio a lungo termine di autovetture (è una categoria nuova di servizio, che esiste
relativamente da pochi anni, poco conosciuta o comunque che i consumatori non sono in grado di
catalogare/classificare), in quel caso, quindi, un messaggio pubblicitario può avere lo scopo di non solo
informare il potenziale acquirente che esiste questa possibilità/formula ma anche di suscitare il bisogno
(magari sottolineando tutti i vantaggi di una formula di questo tipo rispetto al dover possedere una
macchina). Quindi, in questo caso, l'obiettivo della comunicazione è quello di far sapere che l’esistenza di
questa possibilità, farne percepire tutti i vantaggi, far pensare e, alla fine, di far ricordare del brand.
Questo può essere un obiettivo che è molto importante per prodotti nuovi.

-Un altro obiettivo può essere quello di aumentare la consapevolezza della marca (brand awareness, che è
quel processo cognitivo che ci porta a riconoscere una marca quando ne vediamo il logo o che ci porta a
farcela venire in mente).

-Un altro obiettivo può essere quello di modificare l'atteggiamento dei consumatori nei confronti di una
marca. Magari una marca già molto nota che però, attraverso una campagna di comunicazione, può avere
l'obiettivo di ripresentarsi in una luce nuova (es. più moderna, con un taglio diverso) e quindi, in questo
caso, lo scopo è quello di modificare l'atteggiamento dei potenziali acquirenti nei confronti di quel brand.
Questi sono anche gli obiettivi di tutte quelle campagne di comunicazione che sono volte a rivitalizzare
marche ormai note (o vecchie) conferendo loro un'immagine più giovane, contemporanea, innovativa, e
quindi ovviamente l'intento è quello di modificare l'atteggiamento.
Infine possono esserci campagne che hanno come obiettivo esplicito finale quello di aumentare subito le
intenzioni d'acquisto della marca, cioè di spingere subito all'acquisto.
Quindi bisogna identificare bene qual è l'obiettivo.

3)Vediamo poi la definizione del messaggio. Le modalità sono affidate ai cosiddetti “creativi” delle agenzie
pubblicitarie che però sono in stretto rapporto con i marketing manager (ci deve essere un dialogo molto
stretto tra le parti).
La definizione del messaggio comporta sostanzialmente tre cose:

- cosa dire. Cosa dire discende necessariamente dalle decisioni strategiche, in particolare dalle decisioni di
posizionamento che si è fatto riguardo a un prodotto/marca. Quindi discende tutto dal posizionamento che
è a sua volta discende dalla strategia di differenziazione che si è scelta ho rispetto al prezzo o un'altra serie
di attributi. Tutte queste decisioni strategiche devono essere poi trasferite a livello di comunicazione perché
devono essere comunicate.

- come dirlo. E qui c'è proprio il cuore della strategia creativa. Il come dirlo è il modo in cui, a loro
discrezione, i marketing manager vogliono tradurre i loro messaggi in comunicazione. Qui, non sono i
creativi a decidere (perché i creativi si occupano della parte strettamente creativa), ma sono i marketing
manager che danno gli input. Nell'ambito del come dirlo ci possono essere due strategie abbastanza
contrapposte: focalizzarsi sui richiami di tipo informativo (quindi sulla parte più razionale e quindi ci si può
focalizzare di più su attributi pratici, tecnici, concreti e su aspetti di funzionalità del prodotto); focalizzarsi
sui richiami di tipo trasformativi (quindi focalizzarsi maggiormente su aspetti simbolici, su richiami emotivi
sfruttando associazioni secondarie con il brand quindi luoghi, persone, paesi, musiche, personaggi, ecc.
quindi una forma di messaggio più basata sulle emozioni e sulle libere associazioni). Si parla di due
alternative differenti perché non è facile combinarle in quanto è difficile avere due tagli (uno razionale ed
uno emotivo) in uno stesso messaggio.

- chi deve dirlo. E’ la fonte del messaggio. Bisogna trovare, per esempio, un testimonial che sia coerente
con le decisioni di posizionamento, che sia credibile e competente.

Scelta dei canali di comunicazione.


I canali di comunicazione sono tanti però la principale scelta è tra:
- canale di comunicazione di tipo non personale. In questo senso vedremo più in dettaglio, per esempio,
quello che è il canale tipo non personale per eccellenza, cioè la pubblicità.
- canale di comunicazione personale. Cioè tutti quei canali che prevedono un'interazione o comunque che
l'impresa si rivolga al singolo.
Chiaramente quando si progetta una campagna di comunicazione, i canali devono essere gestiti in maniera
integrata, cioè la comunicazione che viaggia sui canali personali deve essere coerente come forma, come
uso di slogan, parole, contenuti con la comunicazione viaggia lungo i canali non personali.

Come si definisce il budget da destinare alla comunicazione?


- un metodo molto semplice è fissare come budget da destinare alla comunicazione una percentuale fissa
sulle vendite. E’ un metodo molto semplice che però non tiene conto del fatto che magari alcune
campagne di comunicazione possono richiedere più investimenti di altre.
- un altro metodo (che più che altro è un’assenza di metodo) è il cosiddetto metodo del disponibile. Ciò
vuol dire che si destina alla comunicazione di volta in volta la quota di risorse che è disponibile per la
comunicazione (nel senso che non è impegnata per finanziare altre attività). E’ un metodo che potremmo
dire che basa la decisione su scelte contingenti.
- si può decidere il budget di comunicazione in base all’obiettivo da conseguire. Quindi supponiamo
un’impresa che abbia un obiettivo molto ambizioso (es. obiettivo di rivitalizzazione del brand che quindi
comporta una campagna di comunicazione molto estesa su molti canali, molto aggressivo in termini di
presenza sui media) che si vuole raggiungere, in quel caso il budget è semplicemente definito in funzione
dell'obiettivo. Quindi l'obiettivo da conseguire è ritenuto prioritario e allora si stanzia il necessario ritenuto
per conseguire quell’obiettivo.
- metodo della parità competitiva. Cioè cercare di spendere in comunicazione, più o meno, tanto quanto
spendono i concorrenti (per restare alla pari), ammesso che si riesca ad ottenere questa informazione.
Molto spesso si tende a considerare il budget di comunicazione come parte delle spese correnti. In realtà,
specialmente per brand relativamente nuovi o per l’entrata in nuovi mercati, le spese da dedicare alla
comunicazione dovrebbero più correttamente essere viste come investimenti. Questo perché chiaramente
io investo oggi in una campagna di comunicazione che mi dovrebbe portare, se ha successo, a fare
aumentare la brand equity (cioè il valore del brand nel futuro, che un asset aziendale). Quindi la logica
corretta dovrebbe essere una logica di lungo periodo che considera le spese in comunicazione come
investimenti, ma molto spesso così non è. C'è anche da dire però che dipende dall' obiettivo che si ha, per
esempio la spesa annuale della Coca Cola in comunicazione si può anche tranquillamente considerare come
una sorta di spesa corrente perché la spesa della Coca Cola in comunicazione (in particolare in pubblicità) è
tesa non tanto aumentare la consapevolezza del brand (dato che si tratta di uno dei brand più conosciuti al
mondo), ma è principalmente una pubblicità finalizzata al “ricordo” (quindi potremmo definirla una
pubblicità/comunicazione finalizzata al mantenimento).
Quindi, se l'obiettivo è una sorta di ricordo/rinforzo periodico volto a sostenere una brand equity che già
elevatissima, allora non è sbagliato considerare la spesa in comunicazione come parte di spese correnti
(perché potremmo definirla come routine). Viceversa, nel caso di nuovi prodotti, nuovi brand, nuovi
mercati la logica deve essere completamente diversa E quindi vanno considerati come investimento.

Quali sono le principali caratteristiche del mix di canali di comunicazione?


Chiaramente ogni canale ha le sue peculiarità, i suoi vantaggi, i suoi limiti.
Chiaramente la pubblicità ha dalla sua l'enorme vantaggio di poter essere particolarmente pervasiva
(perché arriva più o meno ovunque), ha un forte potenziale espressivo (perché la pubblicità è l’ambito
creativo, ci sono pubblicità che sono passate alla storia proprio per il loro contenuto originale, innovativo e
creativo), è sotto l'assoluto controllo dell'impresa (un messaggio pubblicitario/spot pubblicitario finchè non
ha il consenso definitivo di tutta la catena di comando, ovviamente, non viene mostrato). Questi sono i
vantaggi. Il limite più grosso è proprio l’impersonalità.

C'è poi lo strumento della promozione delle vendite che è molto efficace nel caso di prodotti nuovi spero
appunto far provare il prodotto e quindi catturare nuovi clienti ed è uno strumento molto utilizzato dalle
imprese di piccola dimensione.

Pubbliche relazioni e propaganda se usate bene possono conferire credibilità e legittimità ad un brand
(perché quanto più un brand, per una via o per l'altra, appare nei media ritenuti prestigiosi o
particolarmente affidabili o credibili, questo aumenta di riflesso la credibilità del brand).

Gli eventi e le esperienze possono essere un qualcosa che l'impresa può decidere di creare in maniera
estemporanea e occasionale (creando un evento particolare) oppure in maniera routinaria attraverso i suoi
punti vendita. Chiaramente gli eventi e le esperienze hanno dalla loro la grande capacità di coinvolgimento
emotivo e polisensoriale, oltre alla comunicazione implicita.
Strumenti di marketing diretto e interattivo ovviamente hanno dalla loro il grande vantaggio di poter
essere personalizzati e di poter creare un’interazione (quindi il consumatore può interagire, rispondere,
reagire, essere coinvolto).

Il passaparola è estremamente tempestivo, cioè si può diffondere quasi istantaneamente oggi grazie a
internet, ed ha questo carattere di confidenzialità, funziona bene ed è il tipico vicolo informale con cui si
influenzano i pareri.

La vendita personale ha dalla sua, un po’ come il marketing diretto, la possibilità di interagire, quindi, non
solo la possibilità di avere un’interazione o uno scambio ma proprio di creare un rapporto che può essere
duraturo.

Come decidere il mix più appropriato? Ci sono diversi fattori da tenere in considerazione.
Uno è il tipo di mercato: facciamo la distinzione tra B2B e B2C per rimarcare la differenza tra questi due tipi
di mercati per quanto riguarda moltissimi aspetti, inclusa la comunicazione. Nel marketing B2B, per
esempio, il canale pubblicitario è molto meno importante e utilizzato e, in generale, i canali impersonali
sono molto meno utilizzati di quelli personali (quindi nel B2B la relazione diretta e di tipo interattivo è
estremamente più importante e usata).

Poi bisogna considerare lo stadio del processo d'acquisto. Si è visto che, per esempio, convincere nuovi
consumatori a provare un prodotto e acquistarlo per la prima volta è efficace per esempio un combinato di
pubblicità e promozioni, mentre per creare una sorta di ricordo, e quindi per fidelizzare clienti che già
acquistano il nostro prodotto, possono essere più efficaci altri canali di comunicazione. Quindi, ci sono vari
stadi che poi portano all'acquisto finale e bisogna capire a quale di questi stadi noi vogliamo influenzare con
una specifica campagna di comunicazione.

Tra i fattori da considerare che influenzano la definizione del mix c’è anche lo stadio del ciclo di vita del
prodotto. Lo stadio del ciclo di vita del prodotto non è altro che una funzione logistica (funzione che
all'inizio parte piano, ha un andamento esponenziale e poi si appiattisce) che descrive fenomeni biologici,
sociali economici incluso il tipico ciclo di vita del prodotto. Il prodotto viene inizialmente introdotta in un
nuovo mercato, all'inizio lo acquistano solo i cosiddetti pionieri e, dopo una certa soglia, c'è un
accelerazione (fase di grande sviluppo e crescita), poi la curva inizia ad appiattirsi e si arriva alla fase di
maturità (nei modelli classici la fase di maturità è seguita dalla fase di declino, ma in realtà molti brand
cercano di evitare il declino attraverso quelle operazioni che chiamiamo di rivitalizzazione). Quindi, il tipo
ottimale di canale di comunicazione da utilizzare può variare a seconda dello stadio del suo ciclo di vita in
cui si trova il prodotto. Per esempio, nello stadio di introduzione, di solito, il miglior rapporto in termini di
costo/efficacia è garantito da un mix di pubblicità, eventi, esperienze, propaganda, ma anche vendita
personale quando si vuole ottenere una copertura distributiva di partenza buona, oltre che la promozione
delle vendite che può essere molto utile soprattutto per alcuni servizi per catturare i primi consumatori
(pionieri) per incoraggiarli a provare il prodotto. Far provare il prodotto nuovo a questa categoria di
consumatori (pionieri) è importante perché, di solito, questi consumatori sono anche molto bravi nel
diffondere certe abitudini di consumo ed acquisto (cioè sono consumatori che in genere hanno un largo
seguito, cioè che vengono imitati da molti altri consumatori più tradizionali).
Quindi, a seconda dello stadio del ciclo di vita in cui prodotto si trova, il mix ottimale di canali di
comunicazione può cambiare.
Come si misurano i risultati della comunicazione?
Ci sono due indicatori superficiali che non danno subito un'idea di quanto effettivamente il messaggio sia
stato efficace:
- indice di copertura. Che mi dice semplicemente quanta percentuale del mio mercato obiettivo ho
raggiunto con la mia campagna di comunicazione. Mi dice sostanzialmente il numero di persone (o di
famiglie) che hanno ricevuto il mio messaggio di comunicazione almeno una volta. Se pensiamo all’esempio
più semplice che è la pubblicità, la copertura mi dice quante famiglie, all'interno del mio mercato target,
sono state esposte al mio spot pubblicitario almeno una volta.
- frequenza. Mi dice quanto ogni singolo potenziale acquirente (o ogni famiglia) quante volte ha visto il mio
messaggio.
Copertura e frequenza sono due indicatori utili ma abbastanza grossolani, perché alla fine quello che mi
interessa è l'atteggiamento del consumatore rispetto al mio brand. Quindi la misurazione dei risultati della
comunicazione deve dotarsi anche di indicatori più specifici, e quindi bisogna andare a vedere dei parametri
di tipo cognitivo (per esempio il livello di brand awareness) ed emotivo-attitudinale e comportamentale.
Questi sono alcuni esempi di indicatori di misurazione dei risultati della comunicazione che vanno a
misurare quello che è l'obiettivo ultimo della comunicazione, cioè modificare il comportamento del
consumatore.

Guardando questi due schemi (slide 21), supponiamo di avere due marche: marca A e marca B. Per la marca
A noi riscontriamo che del 100% dei nostri consumatori, l’80% è consapevole del nostro brand e il 20% non
ci conosce; di questo 80%, il 60% ha provato il brand e il 40% non l'ha provato; di questo 60% che ha
provato il brand, l’80% è insoddisfatto mentre il 20% è soddisfatto. Il problema principale è chiaramente
identificato, il problema prioritario è l’80% insoddisfatto quindi qui c'è naturalmente da agire non tanto a
livello di comunicazione quanto a livello di prodotto per far sì che questo 80% scenda. A livello di
comunicazione infatti va abbastanza bene perché del mio 100% teorico, l’80% mi conosce e quindi
l'obiettivo informativo di brand awareness della mia comunicazione è ampiamente raggiunto. C’è da
migliorare la spinta alla prova e qui magari si potrebbe utilizzare maggiormente lo strumento delle
promozioni, ma il grosso va fatto a livello di prodotto perché se l’80% è insoddisfatto c'è un evidente
problema.
Mentre se guardiamo il caso della marca B, abbiamo che il 60% non è consapevole e quindi qui c'è proprio
da investire in una campagna di comunicazione volte ad aumentare la brand awareness; di questo 40%
consapevole, il 70% non l'ha provata e qui c'è da investire molto nello strumento di promozione di vendita
per incentivare. Questo perché investendo in aumento della consapevolezza e aumento dei consumatori
che provano la marca, poi sappiamo che ci andrà bene perché di questo 30% che l'ha provata, l’80% si è
detto soddisfatto.
Quindi, se si va ad indagare in questi indicatori di atteggiamento e consapevolezza, e quindi in indicatori di
tipo cognitivo o comportamentale, non limitandosi a frequenza e copertura, poi si capisce molto meglio
dove e cosa bisogna andare a correggere, cioè dove bisogna andare ad investire di più e dove invece le cose
vanno già bene.

23/11
La pubblicità, anche se ha perso un po' di importanza con l’era digitale ma è comunque fondamentale. Si
può definire come qualsiasi forma di presentazione impersonale di beni e servizi da parte di un
comunicatore ben identificato, che in genere è l’impresa, che viene effettuato dietro compenso ad una
agenzia di pubblicità. Molto fondamentale è al creatività. E’ uno strumento impersonale, comunicazione di
massa, rende possibile il passaggio del messaggio attraverso vari canali in modo che il messaggio si fissi
bene nella mente del pubblico target. Quando si parla di pubblicità, in genere si parla di campagna
pubblicitaria e quindi non si fa riferimento tanto al singolo spot ma o ad una serie di spot o una serie più
articolato d attività pubblicitarie che possono includere lo spot ma anche manifesti pubblicitari (ad.
Esempio sull’autobus o sui cartelli ma anche spot che passano per la radio). La campagna pubblicitaria è
una serie di spot ben progettata che possono essere diversi a in genere hanno un filo conduttore molto
chiaro.

Le 5 M:

1. Identificazione del pubblico obiettivo se sono riferiti ai potenziali acquirenti, agli utilizzatori attuali
oppure ai decisori o influenzatori
2. Missione: bisogna spiegare gli obiettivi quali sono, ad esempio gli obiettivi di vendita o gli obiettivi di
posizionamento e da questi discendono gli obiettivi della campagna pubblicitaria.
3. Definizione del messaggio: che cosa vogliamo dire, come vogliamo dirlo. Quindi abbiamo la
strategia del messaggio (cosa dire): Il management cerca temi e idee che si leghino al positioning
del brand e aiutino a far emergere i punti di differenziazione rispetto la concorrenza , strategia
creativa (come dirlo): che si dividono in richiama informativi : focus su attributi e funzionalità del
prodotto ; richiami trasformativi : focus sull esperienza associata con il prodotto (messaggio che
induce emozioni ).
Infine Abbiamo fonte del messaggio (chi deve dirlo ): il testimonial dovrebbe essere competente,
credibile, divertente e coerente con il prodotto.
4. Scelta dei Canali di comunicazione: la valutazione e la selezione dei media attraverso i quali è più
opportuno veicolare la campagna.
5. Definizione budget (misurazione dei risultati): indagare come una determinata pubblicitaria ha
modificato il cuore, la mente e le azione dei consumatori. Che poi dovrebbe tradursi in un impatto
sulle vendite.

Come si realizza una campagna pubblicitaria?

Si parte dalla definizione degli obiettivi strategici, da qui discendono gli obiettivi della campagna
pubblicitaria a questa fase, segue il briefing che è il primo incontro tra i marketing manager e i responsabili
dell’agenzia pubblicitaria e c’è uno scambio di idee e di input informativi da parte dei marketing manager.
C'è poi la fase di preparazione della strategia prettamente creativa, la pianificazione dei mezzi, valutazione
dei budget, la campagna viene lanciata e subito comincia la valutazione, raccolta dei dati. Riassunto

 Definizione degli obiettivi generali


 Obiettivi che riguardano la comunicazione
 Obiettivi specifici della campagna pubblicitaria ( a chi ci vogliamo rivolgere)
 Briefing: serie di incontri in cui i M.M incontrano i responsabili dell’agenzia pubblicitaria e spiegano
quelli che sono gli obiettivi in termini di posizionamento. Essi recepiscono e iniziano ad elaborare
una strategia e si decide anche il budget da spendere e quali e quanti media utilizzare.
 Formulazione media strategy e media planning.
 Realizzazione della campagna
 Valutazione.

DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI

L’obiettivo deve portare a termine il compito ovvero deve ottenere un output in un determinato arco di
tempo e questo output deve essere riferito ad un pubblico target. L’obiettivo deve essere quantificabile ad
esempio deve aumentare dal 10% al 40%, in un anno ( arco temporale preciso), il numero delle casalinghe
che hanno una determinata marca di lavatrice….. Come si fa a trovare il risultato? Andando ad intervistare
un campione di casalinghe.

Ci possono essere obiettivi più di tipo informativo cioè voglio realizzare una campagna pubblicitaria per
informare le persone dell’esistenza di questo mio prodotto/servizio… C’è poi l’ambito, che è circa l’80%,
della pubblicità persuasiva che ha il compito di convincermi, persuadermi ad acquistare quel prodotto, a
sviluppare associazione di marca, a sviluppare emozioni verso il brand. C’è poi la pubblicità di rinforzo che
si utilizza in quei casi in cui c’è un consumatore in cui il suo livello di coinvolgimento nella scelta è alto ( si
tratta di una scelta importante) e quando è molto difficile valutare le differenze tra le alternative, in questi
casi c’è un forte rischio di dissonanza cognitiva ovvero un forte rischio che il consumatore provi sentimenti
e pensieri a volte in contraddizione tra di loro e inoltre c’è una grande paura da parte sempre del
consumatore di fare una scelta sbagliata. Questa pubblicità va a rassicurare il consumatore che ha già
acquistato il mio prodotto, che ha fatto la scelta giusta. C’è una pubblicità di ricordo, quando un brand già
noto, conosciuto, deve ricordarci di acquistare quel prodotto (es. pubblicità di coca cola).

Advertising o copy
Una volta che i marketing manager hanno fornito gli imput, essi devono venire tradotti in qualcosa
di concreto, la campagna pubblicitaria. Essa deve rispondere a 3 domande: come comunicare? .
A chi comunicare? . Che cosa comunicare? 
Elementi principali di una copy startegy, ovviamente il pubblico (target audience), che deve
essere identificato nella maniera più precisa possibile. Ad esempio in termini socio-demografico,
comportamentale e degli attributi e benefici cercati nel prodotto. poi abbiamo gli obbiettivi, che
sono in gran parte obbiettivi che vengono in qualche modo recepiti dall’agenzia di pubblicità e che
provengono dai marketing manager. E poi un elemento di fondamentale centralità nella copy
strategy è il cosiddetto “main consumer benefit”, è quello che esemplifica il principale vantaggio
per i consumatori, su cui fare leva per ottenere un posizionamento. Es. un diamante è per sempre.
Di solito il main consumer benefit è anche tradotto in quello che conosciamo come pay off, cioè lo
slogan di una campagna. Un altro elemento della copy strategy è la reason why, è quella breve
descrizione che sostanzialmente contiene la spiegazione del perché esiste il main consumer
benefit.
Molto importane è il main consumer benefit è il beneficio principale che vogliamo comunicare con la nostra
campagna (es. Un diamante è per sempre) che spesso viene tradotto nel Pay-off cioè lo SLOGAN. Un altro
fondamentale gergo nella pubblicità è la reason why è quella breve spiegazione che in molti casi contiene
la spiegazione del perché esiste il main consumer benefit ad ex. acqua claudia, eterna come Roma ( questo
è lo slogan), e sotto quasi non si legge c’è il perché si dice che è eterna come Roma.

Poi abbiamo anche la realizzazione creativa quindi il come realizzare la campagna. Poi abbiamo il desire
consumer reaction cioè le reazione che si vogliono suscitare nel consumatore una specifica reazione.C’è poi
la parte di implementazione creativa e riguarda tutto ciò che non rientra nei testi e quindi le immagini,
video, scelte di sceneggiatura, ambientazione, stile di comunicazione, uso di musica, scelta dei colori.

DECISIONI RELATIVE AL BUDGET PUBBLICITARIO

Quante risorse allocare? Ci sono una serie di fattori da considerare, alcuni agiscono con il segno +, alcuni
agiscono con il segno -. Molto importante da analizzare è lo stadio di vita del ciclo del prodotto, a seconda
di ciò, può essere più importante utilizzare l’uno o l’altro strumento di comunicazione. Per esempio in fase
di introduzione di un prodotto nuovo è fondamentale investire in maniera importante quindi deve
superare la barriera della inconsapevolezza e della diffidenza ed è molto opportuno investire in pubblicità e
nella promozione delle vendite. Poi viene utilizzata anche la matrice BCG: più è forte la sua posizione di
leadership meno l’impresa avrà bisogno di investire in quel mercato. Se il mercato è grande ed ha un alto
tasso di sviluppo, più è necessario che l’impresa investa. Poi abbiamo il fattore concorrenziale , più è
intensa la concorrenza maggiore è l’investimento necessario. Maggiore è la frequenza pubblicitaria,
maggiore sarà l’investimento. Poi c’è anche da considerare la sostituibilità del prodotto, (ovvero che il
consumatore non fa difficoltà a passare da un brand all’altro), maggiore sarà l’investimento.

Noi esseri umani reagiamo agli stimoli abbastanza prevedibile. Più stimoli riceviamo, più reazione abbiamo
ma sempre fino ad una certa soglia dove c’è la saturazione.

Misura dell’efficacia dei media


Copertura: è il numero di persone o di famiglie raggiunte da un messaggio almeno una volta in un
certo arco di temo;
Frequenza: è il numero id volte in cui una singola persona è stata esposta al mio messaggio;
Impatto (valore qualitativo dell’esposizione): mi dice il valore qualitativo di una singola
esposizione in termini del mio segmento target (es. se sto pubblicizzando un prodotto food e tale
prodotto viene pubblicizzato in una rivista di ristorazione, il mio prodotto avrà sicuramente un
impatto maggiore che se quell’annuncio compare su una rivista di moda.). altro indicatore è il
costo per 1000 e in fine abbiamo un altro indicatore il gross rating point.
Gli effetti dell’advertising: le valutazioni devono essere misurate in maniera più precisa possibile
(costo elevato). Devo sondare l’effetto comunicazione, ovvero quanto la mia campagna
pubblicitaria ha agito sulla conoscenza del pubblico target e la notorietà del brand. Inoltre bisogna
fare una valutazione sulle vendite, sia in termini di volumi di vendita, sia in termini di valore
(fatturato) e anche in termini di quota di mercato (se aumentata o diminuita e di quanto).
Gli effetti della campagna pubblicitaria: bisogna agire sul cuore, sulla testa e sulle azioni delle
persone. Quindi bisogna vedere gli effetti cognitivi, dove troviamo il livello di awareness o di
ricordo top of mind. Poi analizziamo gli effetti attitudinali che sono quelli che vanno ad analizzare
il cuore, cioè vanno a vedere in che modo la campagna pubblicitaria ha cambiato la nostra
immagine del brand. Poi abbiamo gli effetti comportamentali che non vanno ad analizzare solo gli
acquisti ma anche i riacquisti, se la campagna genera passaparola o altre forme di engagement.

Scelta fra i principali tipi di media:


Misurare gli effetti sulle vendite e pubblicità:
quota della spesa pubblicitaria, ovvero quante risorse della mia impresa sono spese in pubblicità, e
quindi la quota di spesa che è destinata alla pubblicità . essa concorre a determinare quella che
chiamiamo la share of voice (quota di visibilità del nostro prodotto nel mercato)  la possiamo
immaginare come una grande stanza piena di persone che gridano, dove ogni persona rappresenta
un brand e più un brand spende in pubblicità e più la voce di questa persona ha un volume
elevato. Più alta è la mia share of voice e maggiore sarà la mia share of mind / of hearth, cioè la
quota di notorietà e la quota di affezione o di sentimenti positivi. Tutto ciò alla fine si tradne in
quella che è la quota di mercato.

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