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STRATEGIA D’IMPRESA

I° PARZIALE

CAPITOLO 1

- CONCETTI BASE DI STRATEGIA

In maniera molto semplice iniziamo col definire la strategia come una “componente” che si occupa del
successo delle aziende. Importante è tenere separato il concetto di strategia da quello di pianificazione
poiché la strategia “non è un programma dettagliato pensi è un tema unificatore che conferisce
COERENZA e UNICITÀ di direzione alle azioni e alle decisioni di un individuo o di un’organizzazione”.

La necessità di una strategia non è altro che una conseguenza del fatto che le decisioni non vengono prese
tutte in una volta a priori, bensì abbiamo DECISIONI DISTRIBUITE:

- Sia nel tempo (decisioni successive prese in momenti diversi e riferite alla stessa questione);

- Sia tra persone diverse (scomposizione di una questione in più decisioni particolari attribuite a persone
diverse, anche se nello stesso momento)

Vi sono poi 2 componenti fondamentali per l’analisi strategica, ovvero:

- Analisi dell’ambiente esterno all’impresa (Analisi settoriale);

- Analisi dell’ambiente interno (Analisi delle risorse e competenze delle imprese).

É importante però distinguere il ruolo della strategia e le decisioni secondo due approcci teorici:

(a) Teoria classica delle decisioni:

ALTERNATIVE  CONSEGUENZE  OBIETTIVI (VALORE DELLE CONSEGUENZE)

La scelta fra le alternative avviene in base al calcolo della loro relazione con delle conseguenze, e dalla
relazione delle conseguenze con i valori (o, obiettivi) del decisore;

(b) Teoria comportamentista: Essa non viene presa a priori una volta per tutte ma si concretizza in più
decisioni (adattamenti, integrazioni, correzioni, precisazioni ecc.). Tale decisone plurime possono essere
intraprese in un arco di tempo più o meno lungo, oppure tra più decisori.

- LO SCHEMA DI BASE PER L’ANALISI STRATEGICA

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Questo è il quadro analitico fondamentale dell’analisi strategica che tratteremo e nel quale la strategia funge
da collegamento tra fattori interni ed esterni.
L’impresa incorpora 3 elementi: Obiettivi e valori; Risorse e competenze; Struttura e sistemi organizzativi.
L’ambiente settoriale invece è definito dalle relazioni dell’impresa con clienti, fornitori e concorrenti.

Quindi osservando tale schema osserviamo come il compito della strategia di business (come competere?)
è quello di determinare come l’impresa dovrà impiegare le risorse all’interno del proprio ambiente di
riferimento per soddisfare gli obiettivi di lungo termine ed inoltre come dovrà organizzarsi per
realizzare tale strategia.

Nel nostro approccio appena menzionato, ovvero quello in cui la strategia funge da collegamento, è
fondamentale la nozione di coerenza strategica poiché le decisioni strategiche, per avere successo,
devono essere appunto coerenti sia con le caratteristiche dell’ambiente esterno, sia con quelle interne
all’impresa. Inoltre, tali decisioni strategiche devono essere anche in grado di influenzare entrambi gli
ambienti.

Tale concetto di principio di coerenza strategica è centrale nella concettualizzazione dell’impresa come
sistema d’attività e quindi STRATEGIA significa “creare una posizione unica e distintiva in grado di
coinvolgere un insieme di attività”.

Questo concetto di coerenza strategica appartiene ad un insieme di idee conosciuto come teoria delle
contingenze, la quale ribadisce che non esiste un modo unico e migliore, ma che il modo migliore per
progettare, gestire e dirigere un’organizzazione dipende dalle circostanze (contingenze), in particolare dalle
caratteristiche dell’ambiente in cui essa opera.

Quindi possiamo definire le decisioni strategiche come decisioni di carattere generale necessarie per
conseguire una posizione di vantaggio. Le decisioni strategiche hanno 3 caratteristiche comuni:

1) Sono importanti, poiché influenzano tutte le altre decisioni;

2) Implicano un significativo impiego di risorse (umane, finanziarie e di materiali);

3) Non sono facilmente reversibili.

- EVOLUZIONE DEL MANAGEMENT STRATEGICO

L’evoluzione della strategia aziendale è stata guidata più dalle esigenze pratiche delle imprese che dallo
sviluppo di una teoria.
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Come possiamo osservare dall’immagine si nota come nel 1950 vi era un concetto di pianificazione del
budget il quale aveva un enorme problema.

Tale problematica si riferiva al fatto che attraverso la pianificazione del budget non si era in grado di guidare
lo sviluppo nel lungo periodo e per tale motivo verso la fine degli anni ’50 si sviluppo il concetto di
pianificazione aziendale, nota anche come pianificazione di lungo periodo.
In questo contesto si subirono le problematiche di una diversificazione non efficace a generare le sinergie
previste ed inoltre, a causa delle crisi petrolifere, si instaurò instabilità ambientale esterna.

Il risultato di tale problematica fu un minor interesse per la pianificazione a vantaggio della formulazione di
strategie (1980) finalizzate al posizionamento dell’impresa nei mercati. Si cercò di sfruttare le fonti di profitto
dell’ambiente settoriale in termini di quote di mercato, le quali influenzavano la distribuzione dei profitti tra le
imprese.

Negli anni ’90 invece l’analisi strategica si focalizzò sulle fonti di profitto interne all’impresa e quindi ora
l’obiettivo era quello di differenziarsi per ottenere un vantaggio competitivo. Fonti principali del vantaggio
competitivo venivano considerate le risorse e le competenze dell’impresa, le quali erano anche alla base
delle decisioni per la formulazione di strategie.

Infine, nel corso del 21° secolo la strategia è sempre più orientata alla creazione di opzioni per il futuro
favorendo l’innovazione strategica. La complessità di queste sfide evidenzia che la maggior parte delle
imprese non può più essere autosufficiente ed infatti alleanze e altre forme di collaborazione stanno
diventando sempre di più un tratto comune nelle decisioni strategiche.
Inoltre, la crisi finanziaria del 2008-2009 ha rinnovato l’interesse verso nuove tematiche come la
responsabilità sociale ed ambientale, l’etica e la sostenibilità. Si parla di adattamento alle turbolenze.

- IL MANAGEMENT STRATEGICO OGGI

Nel senso più generale la strategia è lo strumento usato da individui e organizzazioni per raggiungere i
propri obiettivi. Vi sono plurime definizioni di strategia ma il tratto comune è che essa:

1) Deve concentrarsi sul raggiungimento di alcuni obiettivi;

2) Le azioni fondamentali che costituiscono una strategia devono comportare l’allocazione di risorse;

3) Strategia deve implicare un certo grado di coerenza, coesione e integrazione.

Come abbiamo osservato nella sua evoluzione, al crescere dell’instabilità e imprevedibilità del contesto
economico, la strategia ha smesso di concentrarsi sulla formulazione di piani di sviluppo dettagliati, per
focalizzarsi invece sulla ricerca del successo.

Vi è uno spostamento dell’enfasi da una strategia come piano ad una strategia come direzione.
Questa transizione alla strategia come direzione è importantissima per le imprese poiché essa favorisce una
gestione efficace dell’organizzazione in tre modi:

a) Migliora la qualità delle decisioni: in quanto essa è un modello o linea guida che conferisce coerenza
alle decisioni:

b) Facilita la coordinazione: poiché in primo luogo è uno strumento di comunicazione e l’esplicitazione


della strategia comunica l’identità, gli obiettivi e il posizionamento dell’impresa in grado di assicurare
all’organizzazione una direzione univoca.

c) Pone la strategia come obiettivo di lungo periodo: poiché la strategia è un processo prospettico che
non si occupa solo di come l’impresa può competere oggi, ma anche di ciò che l’impresa diventerà in
futuro. Lo scopo fondamentale di una strategia implementata al futuro non è solo imprimere una
direzione allo sviluppo dell’impresa, ma anche definire aspirazioni che possano motivare e ispirare
l’organizzazione.

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La strategia di una compagnia si trova in tre posti:

1) Nella testa dei direttori generali;


2) Nell’articolazione che ne danno i direttori;
3) Nelle decisioni attraverso le quali la strategia viene implementata.

Collis e Ruckstad identificano 4 tipologie di esplicitazione attraverso le quali le imprese comunicano la loro
strategia:

(a) Attraverso la dichiarazione della missione, la quale definisce lo scopo dell’organizzazione;

(b) Attraverso dichiarazioni di principi e valori, le quali delineano i comportamenti e le idee di fondo;

(c) Attraverso la dichiarazione della visione, ovvero esprimendo ciò che vogliono essere;

(d) Attraverso l’esposizione della strategia, descrivendo obiettivi, ambito e vantaggio.

In definitiva, però la strategia di un’organizzazione esiste nelle decisioni e nelle azioni che essa intraprende
attraverso i propri membri.

- STRATEGIA DI GRUPPO E STRATEGIA DI BUSINESS

Le scelte strategiche possono quindi essere ricondotte a due questioni fondamentali:

- Dove competere? —> Strategia di gruppo

- Come competere? —> Strategia di business

La strategia di gruppo (corporate strategy) definisce il campo di azione attraverso la scelta dei settori e dei
mercati nei quale l’impresa deciderà di competere. Tali decisioni possono comprendere:

- Investimenti per la diversificazione;


- Integrazione verticale;
- Allocazione risorse;
- Acquisizioni

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La strategia di business è volta a definire il modo di competere all’interno di un determinato settore o
mercato e, se un’impresa vuole avere successo all’interno di tale settore/mercato, essa deve conseguire un
vantaggio competitivo rispetto ai suoi rivali.

Possiamo dire che la struttura organizzativa delle imprese riflette la distinzione fra strategia di gruppo e di
business poiché i top management (manager in posizioni d’alto livello) si occupano della strategia di gruppo,
mentre i senior manager (manager di divisioni singole) sono responsabili di strategie di business.
Come abbiamo già osservato le strategie sono utili per far ottenere all’impresa rendimenti di capitali maggiori
del loro costo, e per riuscirci esistono due strade diverse:

1) Impresa può scegliere di operare in un settore caratterizzato da tassi di remunerazione superiori alla
media —> STRATEGIA DI GRUPPO;

2) Oppure può scegliere di conseguire un vantaggio competitivo rispetto ai suoi concorrenti all’interno del
settore, ottenendo così, una remunerazione superiore al livello medio del settore —> STRATEGIA DI
BUSINESS.

La chiave del successo delle imprese è quella di ottenere un vantaggio competitivo, per cui possiamo
definire la strategia di business come antecedente a quella di gruppo, nella scelta.
Tuttavia, entrambe le tipologie sono fortemente connesse poiché il campo di attività ha implicazioni sulle
fonti del vantaggio competitivo, mentre la natura del vantaggio competitivo influisce sulla determinazione
della gamma di attività nelle quali l’impresa può avere successo.

- LA DESCRIZIONE DELLA STRATEGIA DI UN IMPRESA

Le due questioni riportate prima (dove e come competere) forniscono anche un punto di partenza utile per
descrivere la strategia adottata da un’impresa ma è fondamentale sottolineare che la strategia non riguarda
solo il “competere per l’oggi” ma è rivolta anche al “competere per il domani”.
Tale dinamicità della strategia richiede di poter stabilire obiettivi per il futuro (mission, vision e performance)
e di determinare come sarà possibile raggiungerli (strategy).

DESCRIZIONE STRATEGICA: competere nel presente, prepararsi al futuro!

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- IL PROCESSO DI FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA

Henry Mintzberg è uno dei principali critici degli approcci razionali all’individuazione della strategia ed esso
distingue tra:

a) Strategia Deliberata: essa è la strategia che viene concepita dal gruppo dei dirigenti di vertice. Inoltre, è
il risultato di un processo di negoziazione, contrattazione e compromesso fra i molti individui coinvolti nel
processo decisionale. In poche parole, sono le decisioni prese in anticipo e separate dall’esecuzione;

b) Strategia Emergente: è quell’insieme di decisioni contestuali a quella deliberata e all’esecuzione,


attraverso la quale i manager adottano le decisioni in base ai cambiamenti delle circostanze esterne;

c) Strategia Realizzata: è la strategia che viene definitivamente implementata, in parte relativa a quella
deliberata e in parte a quella emergente.

Questi approcci emergenti consentono l’adattamento e l’apprendimento attraverso continue interazioni tra la
formulazione di strategie e la loro implementazione.
In tutte le imprese che Mintzberg ha studiato dice di avere visto nella pianificazione strategica una
combinazione tra progettazione ed emergenza  “emergenza pianificata”.
L’equilibrio tra progettazione ed emergenza dipende dalla stabilità del contesto ove l’impresa opera e quindi
all’aumentare della imprevedibilità e della turbolenza del contesto economico, l’individuazione della strategia
si è concentrata più su linee guida generali, ovvero su regole semplici in modo che esse possano essere
adattabili rapidamente e facilmente.

- ANALISI PER LA FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA

A prescindere dal fatto che la definizione di una strategia possa avvenire in modo formale o meno, l’analisi
sistematica è una componente vitale del processo di formulazione della strategia.
Quindi possiamo definire i concetti, le teorie e gli strumenti analitici complementari all’esperienza, alla
creatività e all’impegno.

L’analisi strategica non fornisce soluzioni ai diversi problemi, non produce regole, algoritmi o formule in
grado di fornire la giusta strategia ma il suo scopo è quello di aiutare a comprendere i problemi. Essa è in
grado di identificare, classificare e comprendere i principali fattori che influenzano le decisioni strategiche e
ci fornisce uno schema per organizzare le informazioni.

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Applicazione dell’analisi strategica avviene in 7 fasi:

1) Identificazione della strategia corrente —> questo riguarda il primo passo da compiere, ovvero
identificare la strategia di business corrente e verificare se si tratti di una strategia come posizionamento
(competere nel presente) oppure ad una strategia come direzione (prepari al futuro);

2) Valutazione del risultato —> valutare se i risultati aziendali prodotti dalla strategia corrente sono
positivi o negativi;

3) Analisi del risultato —> ovvero effettuare una diagnosi della valutazione del risultato e quindi osservare
i fattori che hanno contribuito alla strategia di essere positiva o negativa;

4) Analisi del settore —> ovvero l’analisi della congruenza tra strategia e ambiente settoriale in cui opera
l’impresa. Ciò è importante perché permette di esaminare i risultati correnti e permette inoltre di
formulare opzioni strategiche per il futuro.

5) Analisi delle risorse e competenze —> ovvero l’analisi della congruenza tra la strategia e le risorse e
competenze all’interno dell’impresa;

6) Formulazione della strategia —> Le precedenti tre analisi costituiscono la base per formulare opzioni
strategiche future, le più promettenti delle quali possono essere sviluppate definitivamente;

7) Implementazione della strategia —> ovvero l’esecuzione della strategia scelta. Essa richiede che la
strategia sia connessa agli obiettivi di performance, all’allocazione delle risorse e che siano predisposte
strutture organizzative appropriate.

Infine, per quanto riguarda le organizzazioni non profit, il processo di pianificazione strategica deve essere
disegnato in modo che missione, obiettivi, allocazione di risorse e risultati siano strettamente allineati.

CAPITOLO 2: OBBIETTIVI, VALORI E RISULTATI

Pur tenendo conto che le imprese perseguitano diversi obiettivi e al contempo hanno un unico scopo
specifico, ovvero quello di ottenere una remunerazione sul capitale, ci concentreremo su un obiettivo in
specifico e comune in tutte le aziende: LA CREAZIONE DI VALORE.
S’intende tale concetto come il perseguimento del profitto nel corso dell’esistenza dell’impresa.
Concentrandoci quindi su redditività e creazione del valore, utilizzeremo l’analisi finanziaria come
strumento per valutare e analizzare i risultati ottenuti e fissare obiettivi di indirizzo.

1. STRATEGIA E CREAZIONE DI VALORE

L’attività di impresa è molto più che fare soldi e per la maggior parte degli imprenditori il desiderio di
autonomia e realizzazione personale è molto più importante della ricchezza personale. Quindi possiamo
generalizzare dicendo che lo scopo dell’attività d’impresa è, in primo luogo, la creazione di valore per i

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clienti e, in secondo luogo, la cattura di parte di quel valore sotto forma di profitto - creando così
valore per l’impresa.
Si può creare valore in due modi:

- Con la produzione, la quale crea valore trasformando


fisicamente prodotti che hanno meno valore per il
cliente in prodotti che hanno più valore;

- Con il commercio, il quale crea valore spostando i


prodotti sia nel tempo (speculazione ad un tempo
successivo ove vale di più) sia nello spazio
(trasferimento in altri luoghi ove valore è superiore).

Una misura utilizzabile per misurare la creazione del


valore da parte di un’impresa è il VALORE AGGIUNTO,
ovvero la differenza tra il valore della produzione di un
‘impresa (output) e il costo dei fattori di produzione.
Quindi il valore aggiunto è la somma di tutti i redditi
pagati ai fornitori dei fattori di produzione (salari e
stipendi + interessi + affitti + imposte + utili non distribuiti
+ costi delle licenze).

IL valore aggiunto è basato sui ricavi, ossia sul prezzo


che effettivamente pagato dagli acquirenti;

Il valore creato dall’impresa, invece, si fonda sul prezzo


massimo che gli acquirenti sarebbero disposti a pagare,
equivalente all’utilità che ne traggono dall’acquisto.

Il valore aggiunto tuttavia sottostima il valore creato


dall’impresa poiché i consumatori normalmente pagano i beni e i servizi che comprano meno rispetto al
valore che essi ne traggono dai beni e servizi acquisti. Tale differenza viene definita surplus del
consumatore.

1.1 APPROCCIO STAKEHOLDER O SHAREHOLDER?

Dobbiamo distinguere tra due approcci:

• STAKEHOLDERS (portatore di interessi)

In questo contesto il valore creato dalle imprese è distribuito fra più attori: dipendenti (salari e stipendi),
finanziatori (interessi), Governo (imposte) proprietari dell’impresa (profitti) …
Conseguentemente l’impresa si regge su un equilibrio di compromesso di interessi diversi poiché vi sono
diverse categorie di soggetti che essi stessi hanno diversi interessi.
La realtà è che non vi è un unico obiettivo da imputare all’impresa ma essa è un incrocio di interessi.
L’obiettivo è che l’impresa continui a funzionare per soddisfare i diversi interessi dei diversi soggetti
coinvolti.
Seppure affascinante l’idea che l’impresa operi nell’interesse di tutti gli stakeholder, tale approccio
evidenzia due difficoltà di ordine pratico:

(a) Innanzitutto riguardo la misurazione dei risultati, poiché sarebbe impossibile stimare tale valore.
Inoltre, tale approccio richiede di specificare gli obiettivi di ogni gruppo di soggetti portatori d’interesse e
poi considerare i trade-off tra questi;

(b) Il governo dell’azienda.

• SHAREHOLDERS (azionisti)

Secondo tale approccio la gestione dell’impresa deve essere orientata principalmente alla creazione di
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valore per gli azionisti. Qui si privilegia una categoria su tutte, mentre per le altre categorie di soggetti
rimane il vincolo minimo di soddisfazione.
Il nostro approccio alla formulazione della strategia assume che l’obiettivo principale delle imprese sia
la massimizzazione del valore di essa attraverso la massimizzazione del profitto nel lungo termine.

Prima abbiamo sottolineato che obiettivo principale dell’impresa non è il “fare soldi”, ma vi sono ragioni a
sostegno di tale visione, o meglio tre giustificazioni:

1) LA CONCORRENZA —> Essa erode il profitto e con l’aumentare di essa gli interessi di tutti gli
stakeholders convergono sull’obiettivo della sopravvivenza. Quindi affinché l’impresa sopravviva è
necessario che nel lungo termine ottenga un tasso di profitto maggiore, o almeno in grado di coprire, il
costo del suo capitale. Quindi riassumendo quando vi è domanda bassa e intensità di concorrenza per la
maggior parte delle imprese l’unico obiettivo è la massimizzazione del profitto;

2) IL MERCATO PER IL CONTROLLO DELLE IMPRESE —> per effetto di esso, i manager che non
massimizzano i profitti delle aziende sono assoggettati al rischio di scalata e sostituzione;

3) CONVERGENZA DI INTERESSI DEGLI STAKEHOLDER —> È molto probabile che ci sia comunanza
di interessi piuttosto che un conflitto tra i diversi stakeholder.

1.2 CHE COS’È IL PROFITTO?

Il profitto potremmo definirlo come eccedenza dei ricavi sui costi, ossia un’eccedenza che possa essere
distribuita tra i proprietari dell’impresa. Però questo profitto comporta differenze a seconda della misura
adottata dall’impresa nella sua individuazione. Possiamo definirlo profitto contabile, flusso di cassa o profitto
economico.

1.3 REDDITO CONTABILE E REDDITO ECONOMICO

Un problema principale relativo al profitto contabile è che incorpora due tipologie di rendimento:

(a) Il normale rendimento del capitale, il quale costituisce la remunerazione degli investitori per l’uso del
loro capitale;

(b) Il reddito (rendita) economica, ovvero il surplus disponibile dopo che tutti gli input (incluso il capitale)
sono stati remunerati.

Il reddito economico rappresenta uno strumento più chiaro e più affidabile ed inoltre costituisce una misura
più affidabile delle performance dell’azienda. Un metodo molto diffuso per misurarlo è l’EVA (economic value
added).

EVA = Reddito operativo netto dopo imposte (NOPAT) - Costo del capitale

Come misura di performance il reddito economico presenta due grandi vantaggi rispetto al reddito contabile
poiché, in primo luogo, impone ai manager una più rigorosa disciplina finalizzata ai risultati e, in secondo
luogo, migliora l’allocazione del capitale fra le diverse attività dell’impresa.

1.4 LEGAME TRA PROFITTO E VALORE DELL’IMPRESA

Un ulteriore problema è rappresentato dal fattore tempo, ovvero l’orizzonte temporale poiché se
consideriamo più di un periodo allora massimizzare il profitto significa massimizzare il valore netto di
tutti i profitti generati durante l’intera vita dell’impresa. Di conseguenza la massimizzazione del profitto
equivale alla massimizzazione del valore dell’impresa.
Il valore dell’impresa quindi si calcolerà attraverso il valore attuale netto (VAN) dei proventi da essa generati,
ovvero dei flussi di cassa generati dall’impresa.
Quindi il valore dell’impresa sarà pari alla somma dei suoi flussi di cassa in ciascun anno, scontati a
un tasso pari a quello del costo del capitale per l’impresa stessa (WACC).

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Allora l’impresa, per massimizzare il proprio valore, dovrà cercare di massimizzare i suoi futuri flussi di cassa
netti cercando nel contempo di gestire la finanza in modo da minimizzare il costo del capitale.

Nonostante il metodo dei DCF sia l’approccio più corretto per la valutazione delle imprese, esso richiede di
disporre previsioni sui flussi di cassa relativi a diversi anni a venire e quando le previsioni finanziarie a
disposizione sono relative a pochi anni a venire, allora il PROFITTO ( al netto degli ammortamenti ) può
offrire una base di valutazione migliore rispetto al flusso di cassa.

QUINDI affinché il valore di un’azienda cresca è necessario:

(1) Aumentare il ritorno sul capitale impiegato;


(2) Ridurre il costo medio ponderato del capitale;
(3) Aumentare il tasso di crescita del risultato.

1.5 VALORE D’IMPRESA E VALORE PER GLI AZIONISTI

Valore dell’impresa = capitalizzazione di mercato del PN + valore di mercato del debito

Perciò, per l’impresa che si finanzia attraverso il patrimonio netto, la massimizzazione del valore attuale
dei profitti implica anche la massimizzazione della capitalizzazione di mercato dell’impresa. Vi sono
critiche che si riferiscono alla massimizzazione del valore per gli azionisti poiché esso implica influenze
orientate agli obiettivi di breve termine piuttosto che lungo termine e questo crea le condizioni per cui l’alta
dirigenza potrebbe aumentare il valore di mercato delle azioni con mezzi diversi dalla massimizzazione del
profitto. Per evitare queste critiche noi ci concentreremo sulla massimizzazione del valore dell’impresa.

2. IMPLEMENTAZIONE DELL’ANALISI DELLA PERFORMANCE

Ogni impresa, come abbiamo osservato fino ad ora, può avere un proprio scopo, tuttavia per tutte sono i
profitti generati lungo l’intera vita dell’impresa stessa. In altre parole, il valore dell’impresa è l’indicatore
migliore in termini di creazione del valore.
L’analisi di performance si riferisce all’applicazione di criteri e misure fini alla valutazione e alla selezione di
strategie per un’impresa. Essa si attua nelle seguenti fasi:

(a) Valutazione delle performance (situazione) attuale —> identificare la strategia attuale e giudicare la
sua efficacia nei termini della performance finanziaria dell’impresa. In questa fase vi possono essere due
misure di performance:

(1) Misure “Forward looking”, ovvero il mercato azionario: per un’impresa quotata la migliore
informazione riferente alla creazione del valore consiste nel confrontare la variazione del valore di
mercato dell’azienda rispetto a quella dei suoi concorrenti in un determinato periodo.

(2) Misure “backward looking”, ovvero i quozienti contabili poiché dal momento in cui le misure di
performance basate sulle quotazioni azionarie sono altamente volatili per valutare la strategia corrente si
tende a concentrarsi su misure di performance basate su dati contabili. Vi sono tre indicatori validi ai fini
di tale valutazione e sono:

- Il tasso di rendimento sul capitale impiegato (Roce);


- Return on Equity (Roe);
- Return on assets (Roa) .

Per interpretare correttamente tali indicatori di redditività è necessario disporre di un benchmark (termine
di paragone) temporale in modo da osservare effettivamente se i risultati sono migliorati o peggiorati.

(b) La diagnosi della performance —> se la performance in termini di profitto non è soddisfacente è
necessario diagnosticarne le cause affinché il management possa adottare azioni correttive. Il principale
strumento di diagnosi è la disaggregazione del rendimento del capitale ai fini di individuare i
fondamentali fattori che creano valore.
Un primo passo verso la disaggregazione consiste nel disaggregare il Roce (rendimento sul capitale
impiegato) in margine sulle vendite e rotazione del capitale.
Si può anche disaggregare ulteriormente il margine sulle vendite e la rotazione del capitale nei loro
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elementi costitutivi.
Ciò consente quindi di individuare le specifiche attività che causano performance
insoddisfacenti.

(c) Selezione delle strategie —> Se riusciamo a comprendere le ragioni di una cattiva performance,
attraverso la diagnosi, disponiamo di un punto di partenza dal quale è possibile individuare le azioni
correttive da intraprendere.
Le azioni correttive saranno sia di natura strategica (medio-lungo termine), sia di natura operativa
(breve termine).
Quanto peggiori saranno i risultati dell’impresa, quanto di più ci si dovrà concentrare nel breve termine.
La diagnosi delle performance attuali (passate) da informazioni sulle azioni correttive da intraprendere
ma non dobbiamo dimenticarci che l’analisi deve essere rivolta al futuro e quindi l’analisi strategica
permette di guardare al futuro e permette di identificare i fattori che minacciano la performance. Inoltre,
permette anche di creare, osservare, nuove opportunità di profitto.

(d) Determinazione degli obiettivi di risultato —> Per essere efficaci gli obiettivi di risultato devono
essere coerenti con i target di lungo periodo, collegati alla strategia e rilevanti per i singoli membri
dell’organizzazione.
Vi sono 3 principali approcci per fissare gli obiettivi di risultato:

(1) La disaggregazione finanziaria: esso è un approccio quantitativo il quale non è sufficiente poiché,
in prima battuta, molti aspetti rilevanti dell’attività d’impresa non si prestano ad essere quantificati e, in
seconda battuta, gli obiettivi finanziari sono di breve termine e questo può compromettere la
massimizzazione del profitto nel lungo termine.

(2) La balanced scorecard: tale metodologia è una soluzione al problema degli obiettivi finanziari che
possono compromettere i risultati di lungo periodo.
Essa fornisce uno schema integrato per bilanciare gli obiettivi finanziari e strategici ed inoltre estende tali
indici bilanciati di performance ai diversi livelli dell’organizzazione fino alle singole unità di business e ai
singoli dipartimenti. Tali indici bilanciati di performance consentono di rispondere a quattro interrogativi:

- Come ci vedono gli azionisti? —> Prospettiva finanziaria


( cash flow, rendimento del capitale netto, crescita vendite e utile)

- Come ci vedono i consumatori? (Obiettivi per i nuovi prodotti, tempi di consegna, difettosità)

- In cosa dobbiamo eccellere? Prospettiva interna aziendale


(produttività, capacità dipendenti, tassi rendimento, qualità e costo)

- Siamo in grado di continuare a migliorare e creare valore? Prospettiva di innovazione e


apprendimento (tempi di ciclo di sviluppo, leadership tecnologica, indici di miglioramento)

(3) I fattori di profitto strategico (metodo che utilizzeremo): esso consiste nel porre attenzione ai fattori
strategici che determinano la redditività nel lungo periodo.
Si articola in un processo di 3 fasi:

(I) Si identificano le principali fonti di profitto a disposizione dell’impresa;

(II) Si formulano strategie che sfruttino tali fonti di profitto a disposizione;

(III) Implementazione della strategia formulata attraverso linee guida e obiettivi basati sulle principali
variabili strategiche

3. OLTRE I PROFITTI: VALORI E RESPONSABILITÀ SOCIALE

Secondo Friedman esiste una ed una sola responsabilità sociale nel business:

- Usare le proprie risorse e intraprendere attività progettate per aumentare i profitti finchè si sta alle regole
del gioco, ovvero competere apertamente e liberamente senza inganno e frode.
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Quindi secondo tale disciplina è compito del Governo intervenire in ambito economico quando il
perseguimento del profitto è in conflitto con gli interessi della società, attraverso l’implementazione di tasse e
regolamenti per allineare ricerca del profitto e obiettivi sociale.

3.1 VALORI E PRINCIPI

Alla tensione verso uno scopo (missione e visione) si accompagnano convinzioni su come questo scopo
dovrebbe essere raggiunto.
Tali convinzioni, di solito, includono un insieme di valori (nella forma di impegni verso precetti di natura
etica e vergo gli interessi degli stakeholder) e un insieme di principi in grado di guidare le decisioni e le
azioni dei membri dell’organizzazione. Diversi punti di vista:

- Le dichiarazioni su valori e principi potrebbero essere interpretate, da un certo punto di vista, come
strumento di gestione dell’immagine esterna delle imprese;

- Se invece le imprese si mostrano coerenti e sincere nella propria adesione a tali valori e principi, questi
ideali possono esercitare un’influenza significativa ed importante sull’impegno e sul comportamento dei
dipendenti. Questa ideologia centrale può comportare a risultati positivi nel lungo periodo.

3.2 LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELL’IMPRESA

Al centro del dibattito sulla responsabilità sociale per le imprese vi sono diverse concezioni dell’azienda:

- La concezione proprietaria, secondo cui l’azienda è un insieme di attività in mano agli azionisti. Essa
implica che la sola responsabilità del management sia rivolta alla soddisfazione degli stakeholder;

- La concezione dell’entità sociale, secondo la quale l’impresa è una comunità di individui sostenuta e
supportata dalle proprie relazioni con l’ambiente sociale, politico, economico e naturale. Essa implica la
responsabilità di mantenere l’impresa all’interno dell’insieme di relazioni e dipendenze in cui si trova.

Queste sono posizioni molto polarizzate e difendibili con difficolta ma esiste una regione di sostenibilità dove
le aziende sono allineate alla ricchezza di società e ambiente, ma allo stesso tempo in stretto contatto con il
loro scopo e la loro capacità di produrre redditività nel lungo periodo. Ora la considerazione chiave riguarda
la capacità dell’impresa di reagire ai cambiamenti dell’ambiente di riferimento.

Tale prospettiva secondo cui mentre l’impresa persegue i propri interessi persegue simultaneamente quelli
dell’ecosistema di riferimento in cui è inserita è stata sviluppata da M.Potter e M.Kramer in una serie di linee
guida per un approccio pragmatico e delimitato alla Csr ( responsabilità sociale ). Essi sostengono tre
ragioni per le quali la Csr potrebbe rientrare negli obiettivi di interesse di un’azienda, in particolare essa
contribuisce a:

(a) Sostenibilità dell’ecosistema;

(b) Reputazione poiché la Csr rafforza quest’ultima di fronte ai consumatori e a terze parti;

(c) Supporto istituzionale attraverso il sostegno delle istituzioni da cui dipendono.

Questa zona di sovrapposizione tra interessi dell’azienda e interessi sociali viene definita da Potter e Kramer
come valore condiviso, ovvero l’espansione del valore economico e sociale aggregato.
Creare valore condiviso implica una riconcettualizzazione dei confini dell’impresa in quanto essa è
dipendente e allo stesso tempo profondamente coinvolta con il proprio ambiente, con le organizzazioni e con
gli individui che ne fanno parte.

4. OLTRE IL PROFITTO: STRATEGIA E OPZIONI REALI

Il genere di ragionamento che facciamo con l’attualizzazione dei FDC sono decisioni iniziali che prendiamo
oggi oppure una scelta di decisione definitiva. Esso presuppone una decisione tutta iniziale con le
conseguenze solo alla fine.

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Mentre la teoria delle opzioni reali rappresenta la decisione iniziale come una decisione che da la
possibilità in futuro di effettuare scelte e decisioni future.

Quindi in un mondo pieno di incertezze, dove gli investimenti una volta fatti divengono irreversibile, la
flessibilità ha un valore. Anziché impegnarsi su un intero progetto, conviene suddividere il progetto stesso
in un certo numero di fasi, e decidere se e come impegnarsi nella fase successiva sulla base della
situazione del momento e dell’esperienza acquisita nella fase precedente del progetto. Questo approccio per
fasi (approccio stage-gate) crea quindi ogni volta più opzioni: proseguire, abbandonare, modificare o
attendere.

4.1 LA STRATEGIA COME GESTIONE DELLE OPZIONI

Per quanto riguarda la formulazione della strategia, il nostro principale oggetto di interesse consiste nel
comprendere come sia possibile utilizzare i principi della valutazione delle opzioni per creare valore
per l’azionista. Iniziamo col distinguere due tipologie di opzioni:

- Le opzioni di crescita, le quali consentono ad un’impresa di effettuare piccoli investimenti iniziali in


diverse opportunità future di business, senza vincolarsi a nessuna di esse;

- Le opzioni di flessibilità, le quali sono collegate allo sviluppo di progetti e impianti in grado di adattarsi a
diverse circostanze future. Parliamo di sistemi produttivi flessibili che consentono di confezionare su
un’unica linea produttiva diversi modelli di prodotto.

I singoli progetti possono contenere sia opzioni di crescita, sia opzioni di flessibilità cosicché da evitare di
vincolarsi all’intero progetto e introdurre, in corrispondenza di diversi stadi, punti decisionali nei quali le
opzioni principali sono: ritardare, modificare, aumentare o abbandonare.

Nello sviluppo della strategia, il nostro interesse si concentra sulle opzioni di crescita. Fra queste è possibile
includere:

(a) Investimenti in piattaforme, ovvero investimenti in prodotti o tecnologie di base che creano un flusso di
opportunità di business supplementari;

(b) Alleanze strategiche e join ventures (associazione temporanea di imprese), ovvero investimenti
contenuti iniziali che offrono opzioni di creazione di strategie interamente nuove;

(c) Competenze organizzative, in quanto anch’esse possono essere viste come opziono Ion grado di
offrire il potenziale per creare un vantaggio competitivo attraverso prodotti e attività diversi. (es:
competenza di apple nel combinare hardware, software, estetica e facilità d’uso per espandersi dai
personal computer a molte nuove aree come smartphone, mp3, tablet).

CAPITOLO 3: L’ANALISI DI SETTORE

In tale capitolo l’attenzione è posta all’analisi dell’ambiente esterno all’impresa.


Il nostro obiettivo sarà identificare le fonti di redditività nell’ambiente esterno, il quale punto focale si riferisce
all’analisi di settore, in quanto il settore è l’ambiente più vicino all’impresa.
Tale analisi è rilevante sia a livello di strategia di gruppo (corporale) sia a livello di strategia di business
poiché:

- La prima, si occupa di decidere in quali settori un’impresa dovrebbe operare e quindi come la struttura
competitiva di un determinato settore determini la sua redditività;

- La seconda, invece, è orientata alla ricerca del vantaggio competitivo in quanto, attraverso l’analisi dei
bisogni e delle preferenze dei clienti, si perviene all’individuazione dei cosiddetti Fattori Critici di
Successo (fonti generali di vantaggio competitivo).

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1. DALL’ANALISI DELL’AMBIENTE ALL’ANALISI DI SETTORE

Le influenze ambientali, definite anche variabili macro-ambientali possono essere classificate in base alla
loro fonte di provenienza e quindi: politiche, sociali, tecnologiche, istituzionali ed economiche (analisi Pest).
Esse sono utili per tenere un’impresa in allerta rispetto a ciò che succede nel mondo.

Il prerequisito per un’analisi ambientale efficace è distinguere conio che è vitale da ciò che è semplicemente
importante. Perché un’impresa crei valore essa deve:

- comprendere i suoi clienti;


- comprendere i suoi fornitori e capire come creare con loro relazioni di lavoro;
- Comprendere la concorrenza e quindi il gioco competitivo.

Quindi il nucleo centrale dell’ambiente di riferimento dell’impresa è costituito dalle sue relazioni con tre
gruppi di attori: clienti, fornitori e concorrenti.

Se i compiti della strategia sono l’individuazione e lo sfruttamento delle fonti di profitto, allora il punto di
partenza di un’analisi di settore è una semplice domanda: cosa determina il livello di redditività di un
settore?

I profitti realizzati dalle imprese di un settore sono dunque determinati da 3 fattori principali:

(a) Dal valore del prodotto per i clienti: esso si crea nel momento in cui il prezzo che il consumatore è
disposto a pagare per un prodotto è superiore ai costi sostenuti per l’impresa;

(b) Dall’intensità della concorrenza: più è intensa più crea surplus per il consumatore e meno valore
ricevono i produttori (surplus produttore)

(c) Dal potere contrattuale relativo nei diversi livelli della catena produttiva (con i fornitori per
esempio).

2. L’ANALISI DELL’ATTRATTIVITÀ DEI SETTORI

La premessa di base dell’analisi di settore è che il livello di redditività è determinato dall’influenza sistematica
della struttura del settore.

Lo schema più diffuso per l’analisi della concorrenza all’interno di un settore è quello che viene definito come
le “5 forze di Porter”. Esso evidenzia che la redditività di un settore è determinata da cinque forze
competitive, tra cui tre fonti di competizione orizzontale (concorrenza prodotti sostitutivi, dei nuovi entranti e
delle imprese già presenti) e due di competizione verticale (il potere contrattuale dei fornitori e il potere
contrattuale dei clienti).
Quindi riassumendo le 5 forze sono:

(a) La concorrenza dei prodotti sostitutivi;


(b) La concorrenza dei nuovi entranti;
(c) La concorrenza delle imprese già presenti (rivalità);
(d) Il potere contrattuale degli acquirenti;
(e) Il potere contrattuale dei fornitori.

( I ) LA CONCORRENZA DEI PRODOTTI SOSTITUTIVI

Il prezzo che i consumatori sono disposti a pagare per un prodotto dipende, in parte, dalla disponibilità di
prodotti sostitutivi: l’assenza di essi porta ad una insensibilità al prezzo e quindi ad una domanda anelatici
mentre la loro presenza comporta uno spostamento delle preferenze e maggiore sensibilità al prezzo
(domanda elastica). Per esempio, internet ha comportato ad una nuova forma di concorrenza devastante in
alcuni settori (agenzie di viaggio).

La concorrenza dei prodotti sostitutivi quindi dipende (1) dalla propensione degli acquirenti alla
sostituzione e (2) dai prezzi e dalle prestazioni dei prodotti sostitutivi, i quali determinano le variazioni
di prezzo e dei profitti.
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Quanto più sono complessi i bisogni che soddisfa un prodotto e quanto più è difficile percepire le differenze
nelle prestazioni, tanto più basso sarà il ricorso degli acquirenti a prodotti sostitutivi sulla base di differenze
nei prezzi.

(II) LA MINACCIA ( CONCORRENZA ) DI NUOVE ENTRATE

Quando un settore ottiene un rendimento del capitale maggiore del suo costo esercita un effetto attrazione
su imprese esterne al settore e , qualora non vi siano barriere all’ingresso, il tasso di profitto tenera a
diminuire verso il livello competitivo ogni qualvolta esse decideranno di entrare.
Quindi la minaccia, piuttosto che l’effettivo ingresso di nuove imprese, può essere sufficiente per
garantire che le imprese consolidate fissino i loro prezzi a livello competitivo.

I settori in cui non vi sono barriere all’ingresso vengono definiti come settori contendibili.
Una barriera all’entrata invece è un qualunque elemento di vantaggio competitivo per le imprese già
affermate, o presenti, nel settore. Le principali fonti di barriera all’entrata sono:

1) I FABBISOGNI DI CAPITALE. Esso, per far modo ad un nuovo entrante di affermarsi, può essere così
elevato da scoraggiare tutti gli operatori escluse le maggiori imprese. Nel settore dei servizi essi tendono
ad essere bassi;

2) ECONOMIE. I settori che richiedo alta disponibilità di capitale per i nuovi entranti sono i settori soggetti
a diverse tipologie di economie, tra le quali:

Economie di volume, ovvero una riduzione dei costi unitari che deriva dalla ripartizione su un maggiore
volume di produzione del costo fisso della capacità produttiva. Qui la capacità produttiva installata è data
e varia la misura in cui quella capacità è effettivamente utilizzata;
( MIGLIOR IMPIEGO DELLA CAPACITÀ PRODUTTIVA)

Economie di scala sono riduzioni di costo unitario derivanti dall’aumento della capacità produttiva
installata per effetto di un efficiente impiego delle risorse per capacità installate maggiori. Qui invece
varia la capacità produttiva installata, ovvero minori costi unitari che conseguono da aumenti meno che
proporzionali dei costi fissi della capacità all’aumentare della stessa, e da minori costi variabili per unità;
(AUMENTO CAPACITÀ)

Economia di esperienza sono minori costi unitari conseguiti all’aumentare della produzione cumulata
per effetto del progressivo perfezionamento delle attività di produzione. Si considerano effetti di
esperienza gli effetti di apprendimento; (APPRENDIMENTO)

Economie di ampiezza sono minori costi unitari che conseguono all’ampliarsi della gamma di prodotti
per effetto del migliore sfruttamento di risorse dell’impresa. Si parla di ampiezza della gamma di prodotti
poiché possono esserci costi condivisi che insieme sfruttano al meglio le risorse aziendali.
(AMPLIAMENTO DELLA GAMMA, COSTI CONDIVISI)

3) VANTAGGI ASSOLUTI DI COSTO. Oltre alle economie varie, le imprese consolidate possono avere un
vantaggio di costo sui nuovi entranti semplicemente perché sono entrate prima. Questi vantaggi
assoluti di costo spesso dipendono dall’acquisizioni di fonti di materie prime a basso costo oppure
vantaggi di costo rappresentati da economie di esperienza;

4) LA DIFFERENZIAZIONE DEL PRODOTTO. In un settore in cui i prodotti sono differenziati le imprese


consolidate hanno, rispetto alle nuove entranti, i vantaggi della riconoscibilità del marchio e della
lealtà dei consumatori. In tali settori i nuovi entranti devono investire molto i più in pubblicità e
promozione per ottener livelli di conoscenza ed avviamento della marca;

5) L’ACCESSO AI CANALI DI DISTRIBUZIONE. Questa rappresenta la principale barriera all’entrata per i


nuovi fornitori di beni di consumo soprattutto data la limitata capacità di assorbimento dei canali di
distribuzione. Un importante effetto concorrenziale di Internet è stato permettere alle nuove imprese di
aggirare le barriere alla distribuzione;

6) BARRIERE ISTITUZIONALI. Esse sono rappresentate da vincoli posti per legge a protezione di piccoli
monopoli che si pensa che abbiano valore sociale. L’ingresso richiede, solitamente, la concessione di
una licenza da parte dell’autorità pubblica (Governo).
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7) LA REAZIONE DELLE IMPRESE GIA PRESENTI. Le barriere all’entrate dipendono inoltre dalle
aspettative dei nuovi entranti circa una possibile ritorsione da parte delle imprese affermate. Tale
ritorsione può assumere le forme di: riduzione dei prezzi, incremento della pubblicità, promozione delle
vendite o conflitto legale. Per evitare tali ritorsioni i nuovi entranti potrebbero cercare di inserirsi
inizialmente su piccola scala in segmenti di mercato meno visibili (esempio Honda e Hyundai nel
mercato delle automobili).

I settori protetti da elevate barriere all’ingresso evidenziano tassi di profitto superiori alla media, ciò
nonostante l’efficacia di tali barriere dipende dalle risorse e dalle competenze dei potenziali entranti.

(III) LA CONCORRENZA (RIVALITÀ) DELLE IMPRESE AFFERMATE (GIA PRESENTI)

Nella maggior parte dei settori, la situazione competitiva e il livello generale di redditività sono
influenzati principalmente dalla concorrenza tra le imprese presenti nel settore.

Quindi all’interno del settore, tra le imprese che vi operano, la natura della competizione (sui prezzi,
pubblicità ecc.) e la sua intensità dipendono dall’interazione fra sei fattori:

• LA CONCENTRAZIONE: Essa si riferisce al numero e alla dimensione delle imprese concorrenti


all’interno di un mercato ed è più comunemente misurata dall’indice di concentrazione industriale (Cr4),
ovvero la quota di mercato complessiva delle 4 maggiori imprese.
In mercati dominati da un’impresa, essa può esercitare una considerevole discrezionalità sui prezzi che
applica mentre, nei mercati dominati da più di un’impresa (due, tre) i prezzi tendono ad essere simili e la
concorrenza si concentra sulla pubblicità, sulla promozione e sullo sviluppo del prodotto. Quindi per
limitare tale concorrenza e migliorare i margini, gli operatori tendono ad effettuare fusioni e ridurre il
numero di concorrenti a 3 in ciascun mercato;

• IL TASSO DI CRESCITA: ossia il tasso di crescita della domanda. È importante perchè considera la
tentazione delle imprese di prendersi l’una all’altra i clienti. Se questo è alto significa che le imprese
possono crescere senza farsi concorrenza tra loro (PIU CLIENTI);

• LA DIVERSITÀ DEI CONCORRENTI: più i concorrenti sono simili in termini di strutture di costo, strategie
e interpretazione della situazione, vi sarà meno concorrenza nei prezzi i quali non tenderanno a livello
competitivo;

• LA DIFFERENZIAZIONE DEL PRODOTTO: quanto più simili sono le offerte di imprese rivali, tanto più i
consumatori sono inclini a passare da una all’altra e, così facendo, le imprese tenderanno ad
abbassare i prezzi per incrementare le vendite (prodotti commodity dove il prezzo è l’unica base per la
concorrenza). Al contrario, nei settori in cui i prodotti sono fortemente differenziati, la concorrenza tende
a concentrarsi sulla qualità, sulla promozione del marchio e sul servizio al cliente e quindi non sul prezzo

• CAPACITÀ IN ECCESSO E BARRIERE ALL’USCITA: la redditività di un settore tende a diminuire


poiché vi è una relazione tra domanda e capacità produttiva negativa.
La capacità in eccesso incoraggia le imprese ad abbassare i prezzi per attirare maggiori vendite e quindi
alimenta la concorrenza nel prezzo fino alla situazione estrema in cui vi è una precipitazione dei prezzi.
Le barriere all’uscita sono costi legati all’uscita dal settore. Esse sono consistenti quando le risorse sono
durevoli e specializzate;

• CONDIZIONI DI COSTO (ECONOMIE DI SCALA E RAPPORTO CF/CV): quando la capacita produttiva


è in eccesso e i costi fissi sono elevati i prezzi tenderanno a diminuire affinché le imprese accettino prezzi
che coprano i costi variabili. Inoltre, le economie di scala possono incoraggiare le imprese ad effettuare
una guerra di prezzo per ottenere benefici derivanti da maggiori volumi di produzione.

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(IV) IL POTERE CONTRATTUALE DEGLI ACQUIRENTI

Le imprese di un settore operano in due tipologie di mercati: nei mercati degli input (materie prime,
componenti, servizi finanziari) e nei mercati degli output (beni e servizi venduti ai clienti che possono essere
consumatori, fornitori o altri produttori).

L’abilità degli acquirenti nell’abbassare il prezzo che pagano dipende da due fattori principali, ovvero la
sensibilità al prezzo e il loro potere contrattuale rispetto alle imprese del settore.

La sensibilità al prezzo dipende ulteriormente dai seguenti fattori:

- L’importanza del componente rispetto al costo totale: tanto è maggiora l’importanza tanto più gli
acquirenti saranno sensibili al prezzo; (+)

- La differenziazione dei prodotti dei fornitori: poiché quanto minore è tanto pio l’acquirente è disposto a
cambiare fornitore sulla base del prezzo; (-)

- La pressione competitiva tra gli acquirenti: poiché maggiore è l’intensità della concorrenza tra
acquirenti, maggiori saranno le pressioni sui fornitori per una riduzione dei prezzi; (+)

- L’importanza del prodotto in ottica di qualità o servizio: poiché maggiore sarà l’importanza, meno gli
acquirenti saranno sensibili ai prezzi. (-)

Il potere contrattuale si basa sul potenziale rifiuto a concludere una transazione con la controparte e qui il
punto chiave è il costo relativo che ciascuna delle parti sosterrebbe se la controparte si ritirasse appunto
dalla transazione. Diversi fattori influenzano il potere contrattuale degli acquirenti rispetto a quello dei
venditori:

- Dimensione e concentrazione degli acquirenti: quanto più basso è il numero di acquirenti ed elevati
sono i loro acquisti, tanto maggiore sarà il costo connesso alla perdita di uno di essi;

- Le informazioni che dispongono gli acquirenti: quindi tanto più gli acquirenti sono informati riguardo ai
fornitori, ai loro prezzi e ai loro costi, tanto meglio saranno in grado di contrattare. Infatti, temere i clienti
all’oscuro dei prezzi praticati è un’efficace limitazione al loro potere contrattuale;

- La capacità di integrazione verticale, in quanto l’alternativa sarebbe fare da soli.

(V) IL POTERE CONTRATTUALE DEI FORNITORI

L’analisi delle determinanti del potere contrattuale di un fornitore è la stessa relativa agli acquirenti con
l’unica differenza che ora gli acquirenti sono le imprese del settore e i fornitori sono i produttori di input.

Anche qui i fattori rilevanti sono la facilità con cui le imprese del settore possono cambiare fornitori di
input e il potere contrattuale relativo di ciascuna parte.
Ad esempio, i fornitori di materie prime tendono ad avere un potere contrattuale relativo basso rispetto ai
propri clienti in quanto sono commodity e quindi è importante per i fornitori:

- La capacità di organizzarsi in cartelli;


- La capacità di differenziare la propria offerta;
- La capacità di integrazione a valle nei settori dei clienti.

Invece i fornitori di componenti complessi e tecnicamente sofisticati avranno un maggiore potere


contrattuale.

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3-4. APPLICAZIONE DELL’ANALISI DI SETTORE ALLA PREVISIONE DELLA REDDITIVITÀ E PER LA
FORMULAZIONE STRATEGICA

Una volta compreso in che modo la struttura influenza la concorrenza, la quale a sua volta determina la
redditività del settore, possiamo applicare l’analisi per prevedere la redditività futura del settore. Per
prevederla, si applica di conseguenza l’analisi del settore attraverso 3 fasi:

1) Prima passo fondamentale è l’identificazione della struttura del settore: essa consiste quindi
nell’identificare gli elementi chiave della sua struttura attraverso:

a) L’individuazione degli attori principali (produttori, clienti, fornitori e produttori di merce sostitutiva) e
quindi successivamente

b) Esaminare le caratteristiche strutturali di ciascuno dei seguenti. Tali caratteristiche saranno quelle che
determineranno la concorrenza e il potere contrattuale. Tale procedura può risultare complicata e in tal
caso è opportuno delineare due tipologie di confini:

- Verticali, ovvero quale attività della catena del valore includere nel settore;
- Orizzontali, ovvero quali prodotti e aree geografiche includere;

2) La seconda fase coincide con la previsione della redditività del settore: l’analisi di settore può essere
utilizzata per comprendere perché la redditività in un settore è più alta (o bassa) rispetto ad un altro ma
fondamentalmente la redditività attuale è un indice poco attendibile della redditività futura. A tal
proposito, possiamo utilizzare la conoscenza della situazione attuale per individuare le tendenze
strutturali emergenti. Per prevedere quindi alla redditività futura, l’analisi si scompone in 3 fasi:

(a) Esaminare in quale misura l’attuale struttura del settore influenza la concorrenza e la
redditività nel settore stesso;

(b) Individuare le tendenze che stanno modificando la struttura del settore

( I prodotti del settore si stanno differenziando o standardizzando? Un aumento della capacità produttiva
del settore comporterebbe ad un aumento della domanda del settore? L’innovazione tecnologica sta
determinando l’arrivo di prodotti sostituti?)

(c) Individuare come questi cambiamenti strutturali influenzeranno le cinque forze della concorrenza e la
conseguente redditività del settore.

(i cambiamenti della struttura del settore determineranno un’intensificazione o un indebolimento della


concorrenza?)

Dopo aver compreso come la struttura del settore influenza la concorrenza, la quale determina la redditività,
possiamo utilizzare tale conoscenza per sviluppare strategie.

3) Ultima fase consiste nello sviluppo di strategie per mutare la struttura del settore:

Quindi dopo aver capito come le caratteristiche della struttura determinano l’intensità della concorrenza
ed il livello di redditività, disponiamo di una base per identificare le opportunità della struttura del settore
e ridurre così la pressione competitiva.

Il primo problema è capire quali caratteristiche del settore sono determinanti nella redditività dello
stesso e successivamente individuare quali tra queste possono essere modificate attraverso
iniziative strategiche appropriate.
Infine, comprendere se sia importane intraprendere accordi collettivi tra imprese o effettuare fusioni /
alleanze.

Vi sono diversi pensieri sulla strategia migliore per mutare la struttura del settore a proprio favore, ed
una molto concernente riguarda quella di cercare il vantaggio architetturale attraverso l’individuazione
dei “colli di bottiglia” (prodotti e servizi complementari). Identificare quest’ultimi consiste nell’identificare
attività dove scarsità e potenziale di controllo offrono opportunità di profitto superiori.

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L’analisi settoriale, la quale è utile per riconoscere e comprendere le pressioni competitive che un’impresa
deve fronteggiare all’interno del proprio settore, permette ai manager di collocare l’azienda nella posizione in
cui queste pressioni sono più deboli. In altre parole, consente ai manager di decidere il suo
posizionamento.

5. LA DEFINIZIONE DEI CONFINI: DOVE TRACCIARE I CONFINI

Parlando della struttura dei settori e l’analisi settoriale, abbiamo visto come uno dei principali problemi sia
legato alla definizione dei confini, per cui un primo è chiarire cosa si intende per settore e per mercato.
Gli economisti definiscono il settore come un’insieme di imprese che riforniscono un mercato, per cui vi
è una stretta corrispondenza tra mercati e settori.

La principale differenza tra analisi della struttura del settore e quella relativa ai mercati è che la prima (analisi
delle 5 forze) ha per oggetto la redditività del settore come risultante del gioco della concorrenza in due
mercati: quello degli input e quello degli output.

Quindi il settore viene individuato come un’area di attività relativamente ampia, mentre i mercati sono riferiti
a prodotti specifici. Il settore allora è un insieme di imprese (lato dell’offerta) mentre i mercati sono un
insieme di prodotti merceologicamente simili (lato della domanda).
Per definire un settore, allora un buon punto di partenza è identificare le imprese che competono per
offrire qualcosa su un determinato mercato.

Il problema per la definizione dei confini di settore e mercato è quindi capire chi compete con chi.
Per farlo è necessario delineare i confini attraverso il principio di sostituibilità nelle due dimensioni:

• Dal lato della domanda;


• Dal lato dell’offerta.

In questa analisi è importante osservare le interdipendenze, sia tra settori e quindi individuare quali attori
possono influenzare la redditività del settore, sia tra aree geografiche.
Il test chiave per stabilire i confini geografici di un mercato è il prezzo, poiché se le differenze di prezzo per
lo stesso prodotto tendono ad essere erose dalla sostituzione del lato della domanda e dell’offerta, tali
localizzazioni si collocano all’interno di uno stesso mercato.

Tuttavia, per l’analisi delle 5 forze la definizione del settore ha poca rilevanza poiché possiamo definire
settore come una scatola al cui interno competono imprese del settore ma, poiché prendiamo in
considerazione le forza competitive fuori dalla scatola del settore, possiamo considerare i concorrenti più
vicini come produttori di sostitutivi e potenziali entranti.

6. DALL’ATTRATTIVITÀ DEL SETTORE AL VANTAGGIO COMPETITIVO: COME INDIVIDUARE


FATTORI CRITICI DI SUCCESSO (FCS)

Come abbiamo osservato l’analisi del settore ci porta ad individuare la redditività potenziale dello stesso, ma
un ulteriore passo importante consiste nell’individuazione delle fonti di vantaggio competitive all’interno
del settore.
Devono quindi essere individuati i fattori critici di successo, ovvero quei fattori che influenzano la capacità
di un’impresa di ottenere risultati migliori dei propri rivali.
Per sopravvivere e prosperare in un settore un’impresa deve soddisfare due condizioni principali:

(a) Deve fornire ciò che i clienti desiderano;


(b) Deve sopravvivere alla concorrenza.

Quindi è opportuno eseguire una doppia analisi:

- Analisi della domanda (chi sono e cosa vogliono i clienti?): in tale analisi dobbiamo analizzare più da
vicino i clienti del settore considerandoli come ragione d’essere del settore stesso, ovvero come fonte di
profitto;

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- Analisi della concorrenza (Quanto intensa e grande è la concorrenza? Come le imprese sopravvivono
ad essa? Come affrontarla?): essa richiede un esame della natura della concorrenza, ovvero quali fattori
la determinano, la sua intensità, la sua dimensione.

CAPITOLO 4: DALL’ANALISI DI SETTORE ALL’ANALISI DEI CONCORRENTI

Nel precedente capitolo abbiamo visto come lo schema delle 5 forze di Porter sia applicabile per l’analisi
della concorrenza, per la pressione della redditività e per lo sviluppo della strategia. In questo capitolo
estenderemo la nostra analisi del settore e della concorrenza oltre i limiti dello schema di Porter.

1. ESTENSIONE DEL MODELLO DELLE CINQUE FORZE DI PORTER

Lo schema di Porter, delle cinque forze competitive, è stato oggetto a due tipi di critiche:

a) Alcuni sostengono che l’approccio struttura-comportamenti-risultati all’analisi settoriale non è rigoroso;

b) Altri invece sottolineano una debolezza empirica poiché sembra che l’ambiente settoriale rappresenti
una determinante poco importante della redditività dell’impresa.

L’analisi del settore non è importante solo per la scelta dei settori in cui operare, ma risulta importante anche
per l’identificazione dei segmenti più allettanti e per le fonti del vantaggio competitivo del settore.
Perché la nostra analisi del settore possa soddisfare questo potenziale appena descritto dobbiamo andare
oltre i confini dello schema delle 5 forze di Porter.
In particolare, è necessario approfondire l’analisi del settore per:

- Comprendere meglio le determinanti del comportamento competitivo delle imprese;

- Comprendere meglio come questi comportamenti influenzano la performance a livello settoriale;

- Disaggregare il settore in sottosistemi e analizzare la concorrenza a livello di segmenti e di


raggruppamenti strategici di imprese.
Fino ad ora abbiamo visto come lo schema di Porter identifica i fornitori di beni/servizi sostitutivi come una
delle forze competitive che riducono i profitti disponibili per le imprese di un settore. Tuttavia, è necessario
aggiungere una sesta forza allo schema di Porter, la quale è rappresentata dai prodotti complementari.

Mentre la presenza di prodotti sostitutivi riduce il valore di un prodotto, quella di prodotti complementari lo
aumenta. In effetti quando diversi prodotti sono strettamente complementari, essi hanno poco valore come
prodotti separati poiché i clienti attribuiscono valore solo al sistema nel suo complesso.

Il valore del sistema di prodotti complementari si ripartisce tra i produttori dei diversi complementi in base al
loro potere contrattuale e da come esso viene esercitato.
Quindi quando due prodotti sono complementari i profitti affluiscono al produttore che riesce a conseguire la
posizione di mercato più forte, riducendo così il valore apportato dall’altro produttore. Vi sono due metodi per
conseguire la posizione di mercato più forte:

1) Cercando di creare un monopolio, ovvero rendendo indispensabile e senza alternative il proprio


prodotto. In poche parole, cercandolo di differenziarlo e di generare una scarsità di offerta;

2) Incoraggiando la concorrenza e la riduzione allo stato di commodity, ovvero rendendo sostituibile il


prodotto e creando così, un eccesso di capacità produttiva.

I prodotti basati su tecnologie digitali ne sono un esempio. In questi mercati la concorrenza tende verso
piattaforme rivali e, sia gli utilizzatori che i fornitori di applicazioni, tendono a riunirsi attorno alla piattaforma
leader di mercato. Tale fenomeno viene chiamato esternalità di rete, il quale comporta la creazione di
mercati “winners-takes-all”, dove la quota di mercato del leader copre la maggior parte delle vendite
dell’intero settore.

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2. LA CONCORRENZA DINAMICA: IPERCOMPETIZIONE, TEORIA DEI GIOCHI E ANALISI DEI
CONCORRENTI

- IPERCOMOPETIZIONE

Lo schema delle cinque forze di Porter si basa sul presupposto che la STRUTTURA del settore determini il
COMPORTAMENTO delle imprese che vi competono, il che a sua volta determinala REDDITIVITÀ del
settore.

Al contrario Joseph Schumpeter considerava la concorrenza come un “continuo forte vento di distruzione
creatrice” in cui le imprese dominanti sono sfidate, e spesso battute da innovazioni dei rivali. Questo
approccio considera, al contrario dell’approccio struttura-comportamento-risultati, la concorrenza come
un processo dinamico e solleva la seguente questione:

Il comportamento competitivo (concorrenza) deve essere considerato come un risultato della struttura o
come un suo fattore determinante?

Per rispondere a tale domanda assume importanza fondamentale la velocità del cambiamento strutturale nel
settore poiché se essa è veloce, allora lo schema delle 5 forze di Porter non offre una buona base di
partenza per prevedere concorrenza e redditività.

Una caratteristica generale dei settori attuali è l’ipercompetizione: azioni decise e rapide che consentono
alle imprese in competizione di evolvere velocemente per raggiungere nuove posizioni di vantaggio ed
erodere quelle dei rivali.

- TEORIA DEI GIOCHI

Le principali critiche rivolte verso lo schema delle 5 forze di Porter sono la sua staticità e l’incapacità di
prendere pienamente in considerazione le interazioni competitive tra le imprese.

La teoria dei giochi ci consente di descrivere questa interazione competitiva poiché:

1) Consente di collocare le decisioni strategiche in una cornice di riferimento, definita da:


identificazione dei giocatori, descrizione delle opzioni di ciascun giocatore, determinazione degli esiti
(payoff) risultanti da ogni combinazione delle opzioni e definizione delle sequenze decisionali;

2) Consente di prevedere l’esito delle situazioni competitive e di individuare le scelte strategiche


ottimali, poiché permette di comprendere le situazioni di concorrenza e negoziazione.

In particolare, la teoria dei giochi può indicare le strategie per migliorare la struttura e l’esito del gioco
attraverso la manipolazione dei risultati relativi ai diversi giocatori. Essa indica 5 aspetti di comportamento
strategico attraverso i quali influenzare i risultati competitivi:

a) COOPERAZIONE e COMPETIZIONE.

In generale le relazioni tra imprese sono caratterizzate simultaneamente sia da contenuti di


competizione e sia da contenuti di cooperazione.
Il fatto che imprese diverse siano favorevoli a raggrupparsi mette in luce l’interesse comune a far
crescere la dimensione del mercato e nello sviluppare le sue infrastrutture. D’altra parte, la competizione
determina un esito meno favorevole per i partecipanti rispetto alla cooperazione. Per sviluppare relazioni
di cooperazione è necessaria la presenza di giochi ripetuti trasformando la relazione occasionale in una
relazione di medio/lungo periodo.

b) DISSUASIONE.

Essa consiste nell’imporre agli altri attori dei costi nel caso in cui essi adottino comportamenti non
desiderabili. Per essere efficace deve essere credibile, poiché se essa è costosa o spiacevole per la
parte che l’ha formulata, la dissuasione non lo sarà.

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Un esempio di dissuasione può essere un investimento in capacità produttiva in eccesso , il quale può
scoraggiare l’ingresso di nuove imprese.

c) IL COMMITMENT.

Affinché la dissuasione sia efficace deve essere supportata da una qualche forma di impegno esplicito. Il
commitment implica l’eliminazione di opzioni strategiche e quindi è una strategia apparentemente
irrazionale.

Se i propositi manifestati fanno emergere una disponibilità ad impegnarsi in una concorrenza aggressiva
si parla di hard commitment, viceversa se i propositi sono volti ad evitare una concorrenza aggressiva
parleremo di soft commitment (impegno di un’azienda a raggiungere determinati livelli di profitto
nell’anno).

Gli effetti sulla redditività dell’impresa conseguenti all’esplicitazione dei propri propositi dipendono
dall’ambito di applicazione:

Quando le imprese competono sul prezzo la teoria dei giochi dimostra che esse tendono ad adeguarsi
reciprocamente ai cambiamenti di prezzo effettuati dai concorrenti, per cui l’hard commitment (impegno
ridurre i prezzi) tende ad avere un impatto negativo sui profitti mentre il soft commitment (impegno ad
aumentare i prezzi ha un impatto positivo.

Per converso, quando le imprese competono sulla produzione la teoria dei giochi dimostra che gli
aumenti di produzione di un’impresa comportano una riduzione della produzione dell’altra, per cui l’hard
commitment (impegno a realizzare nuovi impianti) tenera ad avere un effetto positivo sulla redditività
dell’impresa che lo ha manifestato.

d) CAMBIARE LA STRUTTURA DEL GIOCO.

Strategie creative possono cambiare la struttura del gioco competitivo, in quanto un’impresa può cercare
di modificare la struttura del settore in cui opera per aumentarne la redditività potenziale o per
incamerare una quota maggiore dei profitti disponibili.

Possibili opzioni per cambiare la struttura del gioco competitivo sono:

Stringere alleanze o accordi con i concorrenti in modo da aumentare le dimensioni del mercato e
realizzare barriere comuni contro i potenziali nuovi entranti;

Oppure cercando di aiutare i propri concorrenti, o addirittura creando la concorrenza, attraverso la


diffusione di standard tecnici.

e) I SEGNALI.
Le reazioni competitive dipendono come un concorrente percepisce l’iniziativa del proprio rivale.
Vengono definiti segnali le comunicazioni selettive (di informazioni ai concorrenti) mirate all’ottenimento di
una particolare reazione. I segnali possono anche essere usati per comunicare il desiderio di cooperazione.
La credibilità delle minacce dipende in modo decisivo dalla reputazione dell’azienda.

La teoria dei giochi evidenzia particolari punti di forza ma anche molti punti di debolezza.
Per quanto riguarda i suoi pregi, osserviamo come essa sia un’analisi rigorosa e formalizzata e ottima per
studiare le contromosse dei concorrenti.
Per quanto riguarda i suoi punti di debolezza, essa ha una limitata applicabilità a situazioni reali ed una
migliore applicabilità nella spiegazione di eventi passati e non alla previsione di eventi futuri. Un altro limite è
che tratta principalmente situazioni con giocatori simili con opzioni strategiche analoghe.

- ANALISI DEI CONCORRENTI

In settori con grado di concentrazione elevato, la caratteristica fondamentale dell’ambiente competitivo di


un’impresa è probabilmente il comportamento dei suoi concorrenti più prossimi. Può essere utile, allora,
prevedere il comportamento dei concorrenti usando un approccio meno formalizzato e più basato sulla
realtà. Tale approccio si basa sull’acquisizione di informazioni sui concorrenti e come possono essere
utilizzate per prevederne il comportamento.

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Innanzitutto, si attua la raccolta e l’analisi sistematica delle informazioni disponibili sulle aziende
rivali. Tale procedimento (raccolta) è finalizzato a tre scopi:

A. Prevedere le strategie e le decisioni future dei concorrenti;


B. Prevedere le loro reazioni a iniziative di altre imprese;
C. Determinare come può essere influenzato il loro comportamento per renderlo a noi più favorevole.

Per tali scopi obiettivo principale è prevedere le reazioni e i cambiamenti dei concorrenti alle nostre mosse
competitive.

La conoscenza dei concorrenti non è soltanto un problema di raccolta di informazioni ma occorre attuare un
approccio sistematico che renda chiaro quali informazioni siano necessarie per capire il nostro
concorrente. Porter propone uno schema in 4 parti per prevedere il comportamento dei concorrenti:

1) Identificare l’attuale strategia dei concorrenti, in quanto essa è fondamentale per capire come poi
l’impresa si comporterà in futuro. In caso di assenza di forze che spingano al cambiamento, la strategia
attuale rimarrà la stessa.
Per identificare la strategia di un’impresa è necessario esaminare ciò che l’impresa dichiara e il modo in
cui si comporta;

2) Identificare gli obiettivi dei concorrenti, in quanto essi sono di fondamentale importanza per
prevedere in che modo un concorrente potrebbe cambiare la sua strategia. Molto importante è stabilire
se un’impresa è orientata a obiettivi di redditività oppure di mercato. Un’impresa il cui principale obiettivo
è il conseguimento di una quota di mercato sarà probabilmente un concorrente molto più aggressivo
rispetto ad un’impresa che persegue principalmente un obiettivo di redditività.
Il livello delle performance attuali rispetto agli obiettivi del concorrente è un importante segnale per
determinare le probabilità di un cambiamento di strategia;

3) Identificare le ipotesi del concorrente sul settore, poiché esse condizionano le sue decisioni
strategiche. Queste visioni possono essere causa di miopia e limitare la capacità di un’impresa, ma
anche di un intero settore, di rispondere ad una minaccia esterna;

4) Identificare le risorse e competenze dei concorrenti, ovvero le loro risorse finanziarie, forza del
marchio, le capacità operative e manageriali. In altre parole, consiste di analizzare i punti di forza e di
debolezza dei concorrenti, agente sui loro punti di debolezza ovviamente. Una buona strategia consiste
sull’adozione di nuove forme innovative di differenziazione.

3. LA SEGMENTAZIONE E I GRUPPI STRATEGICI

- SEGMENTAZIONE

Nella fase iniziale dell’analisi strategica il settore viene solitamente definito in modo ampio (configurazione
dei fattori ambientali), ma per un’analisi dettagliata della concorrenza è necessario focalizzarsi su mercati più
circoscritti in termini sia di prodotti sia geografici per cui è opportuno effettuare un processo di
disaggregazione dei settori in specifici mercati. Tale processo viene definito segmentazione ed è
relativamente importante se le situazioni competitive sono diverse nei singoli mercati all’interno di un settore.
Queste differenze nella configurazione dei fattori ambientali all’interno dello stesso settore vengono
ricondotte a varianti dei prodotti o di tipo dei clienti.

Quindi lo scopo dell’analisi di segmentazione è individuare i segmenti più attraenti, scegliere strategie per i
differenti segmenti e stabilire infine in quali operare. L’analisi di segmentazione si sviluppa in 5 fasi:

1) La prima fase coincide con l’identificazione delle variabili chiave di segmentazione.

Le variabili di segmentazione si riferiranno alle caratteristiche dei clienti e del prodotto. Le variabili di
segmentazione più appropriate sono quelle che suddividono il mercato più nettamente, in termini di
limitata sostituibilità sia tra i clienti sia tra i produttori.
Normalmente l’analisi di segmentazione genera troppe variabili e troppe categorie per ciascuna variabili
e quindi per poter condurre l’analisi e necessario ridurre il loro numero a due / tre.
Per permettere di ridurre il loro numero dobbiamo: (a) identificare le variabili di segmentazione
strategicamente significative e (b) combinare le variabili di segmentazione che sono fortemente correlate.
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2) La seconda fase consiste nel costruire una matrice di segmentazione, la quale sarà utilizzata per
identificare i singoli segmenti;

3) La terza fase si riferisce ad analizzare l’attrattività di ciascun segmento selezionato, sviluppando il


modello delle 5 forze di Porter per identificare le dimensioni, la profittabilità potenziale e la situazione
concorrenziale del segmento. Tale analisi può essere anche utile per identificare le opportunità non
sfruttate in un settore, e l’identificazione di segmenti non occupati è una dimensione della strategia
dell’oceano azzurro.
4) Identificare i fattori critici di successo del segmento.

Questa quarta fase consiste nell’analizzare i diversi modi di creare valore per i clienti e i metodi per
affrontare la concorrenza.

5) Infine, la quinta ed ultima fase consiste nel selezionare il segmento obiettivo.

Un’impresa, per ultima cosa, deve decidere se specializzarsi in un segmento oppure competere in più
segmenti. I vantaggi derivanti da una presenza in più segmenti rispetto alla specializzazione in un unico
dipendono principalmente dalla somiglianza dei fattori critici di successo e dalla presenza di costi
comuni.

- GRUPPI STRATEGICI

Mentre l’analisi di segmentazione utilizza le caratteristiche dei mercati come base per disaggregare i settori,
l’analisi dei gruppi strategici segmenta il settore sulla base delle strategie delle aziende che ne fanno
parte.

Un gruppo strategico è “un gruppo di imprese”, situate all’interno di un settore, che perseguono scelte
strategiche uguali o simili con riferimento a date dimensioni, usate come base di classificazione. Le
dimensioni strategiche possono includere:

- La gamma dei prodotti;


- L’area geografica di operatività;
- La scelta dei canali distributivi,
- Il livello di qualità;
- La scelta della tecnologia.

Selezionando le dimensioni più importanti e posizionando le imprese del settore rispetto a tali dimensioni è
possibile identificare gruppi di imprese che hanno adottato approcci più o meno simili nella competizione
all’interno del settore.

La principale utilità di questa analisi per gruppi strategici è da trovarsi nella comprensione del
posizionamento strategico, nell’identificazione dei movimenti della concorrenza e infine nell’identificazione
delle nicchie strategiche.
Risulta meno utile come strumento di analisi delle differenze di redditività tra imprese.

CAPITOLO 5: LE RISORSE E COMPETENZE COME BASE DELLA STRATEGIA


Come abbiamo già visto il nucleo del pensiero strategico si è spostato dall’ambiente esterno all’ambiente
interno dell’impresa e, guardano all’interno della impresa, ci concentreremo fondamentalmente sulle sue
risorse e competenze. Concentrandoci su di esse porremo le basi per l’analisi del vantaggio competitivo.

1. IL RUOLO DELLE RISORSE E COMPETENZE NELLA FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA

La strategia ha il compito di allineare le risorse e competenze dell’impresa con le opportunità che si


sviluppano nell’ambiente esterno. Vi è stata una crescente enfasi posta sul ruolo fondamentale delle risorse
e competenze per la formulazione delle strategie, e ciò è dovuto a due fattori:

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- Un primo luogo, al crescere dell’instabilità degli ambienti settoriali, le risorse e competenze sono state
giudicate una base più sicura per delineare strategie;

- In secondo luogo, è diventato sempre più chiaro che la fonte principale di una redditività superiore non
è il grado di attrazione del settore ma bensì il vantaggio competitivo.

L’idea della strategia secondo l’approccio “Resource-based view of the firm” (RBV), considera l’impresa
come un insieme di risorse e competenze e che tali risorse e competenze sono le determinanti principali
della strategia di un’impresa e delle sue performance.

Quindi in un contesto ove vi sono continue variazioni ambientali (bisogni e preferenze dei clienti mutevoli e
anche le tecnologie disponibili) le risorse e competenze assumono un ruolo principale e fondamentale di
delineamento delle strategie.
Come abbiamo già visto le principali cause determinanti una redditività superiore sono il grado di attrazione
e il vantaggio competitivo. Dal momento in cui il contesto ambientale è in continuo mutamento, il vantaggio
competitivo è diventato il fattore più importante. Quindi obiettivo della strategia è la ricerca del vantaggio
competitivo attraverso lo sviluppo e lo sfruttamento delle risorse e competenze interne all’azienda.

I profitti derivanti da posizioni di supremazia nel mercato sono chiamate rendite monopolistiche, mentre i
profitti derivanti dalla superiorità delle risorse possedute sono definiti rendite ricardiane. Quest’ultima non è
altro che il surplus di remunerazione di una risorsa scarsa rispetto al suo costo di utilizzo.

La strategia secondo l’approccio resource-based sottolinea la diversità di ciascuna azienda e suggerisce che
la chiave della redditività non è l’imitazione del comportamento dei concorrenti, ma piuttosto lo
sfruttamento delle differenze. Pe raggiungere il vantaggio competitivo, quindi dobbiamo formulare una
strategia che sfrutti le solo forze dell’azienda stessa e continuare a sviluppare le risorse e competenze che
creano valore all’impresa.
2. IDENTIFICAZIONE DELLE RISORSE E COMPETENZE

É importante distinguere le risorse dalle competenze di un’impresa.

Le risorse sono i beni produttivi (o capacità delle persone) posseduti dall’impresa, mentre le competenze
sono cose che l’impresa è in grado di fare, di attuare.

Da sole le risorse non costituiscono un vantaggio competitivo poiché esse devono essere integrate tra loro
per creare competenze organizzative. Quest’ultime, quando messe in azione attraverso una strategia
appropriata, forniscono la base per il vantaggio competitivo.

Solitamente in un’azienda troviamo 3 principali tipi di risorse:

a) LE RISORSE TANGIBILI: esse sono le più facili da identificare e valutare. Ci riferiamo alle risorse
finanziarie e ai beni materiali, le quali sono iscritte e valutate nel bilancio dell’impresa. Nel bilancio
vengono iscritte al loro costo storico e tale dato tendenzialmente sottostima il loro valore.
L’obiettivo per un’impresa consiste nel comprendere il loro potenziale per creare un vantaggio
competitivo. Per farlo oltre alla valutazione dobbiamo acquisire informazioni sulla loro composizione e
sulle loro caratteristiche. Con tali informazioni possiamo esplorare due strade principali per creare valore
aggiunto: (-) identificare la possibilità di economizzare il loro impiego; (-) Valutare se impiegarle in
maniera più redditizia;

b) LE RISORSE INTANGIBILI: per la maggior parte delle imprese esse costituiscono una quota più elevata
del patrimonio dell’impresa stessa. Esse inoltre risultano poco visibili o del tutto assenti nei bilanci. Tra le
risorse intangibili più importanti troviamo i marchi, brevetti, diritti d’autore e i segreti commerciali, ovvero
le conoscenze tecnologiche.
Possono essere considerate risorse intangibili anche le reazioni di un’impresa e infine anche la cultura
organizzativa (credenze, valori, miti, simboli) dell’impresa stessa. Cultura organizzativa una delle più
importanti;

c) LE RISORSE UMANE: esse comprendono l’esperienza e lo sforzo fornito dai dipendenti dell’azienda.
Possiamo anche considerare i servizi produttivi offerti dal personale, le loro capacità di analisi e di
decisione ecc. Le organizzazioni dedicano sforzi considerevoli alla selezione e valutazione delle proprie
risorse umane, per esempio molte imprese hanno creato centri di valutazione come il modello delle

25
competenze che consiste nella - Identificazione dell’insieme delle abilità, conoscenze, atteggiamenti e
valori in ciascun tipo di mansione; - Valutazione di ogni dipendente rispetto a quello profilo.

Una competenza organizzativa è la capacità di un’impresa di impiegare (o destinare) le risorse per


conseguire un obiettivo finale desiderato.

Si parla di competenze distintive e di base: le prime si riferiscono a quelle cose che un’organizzazione sa
fare particolarmente bene rispetto ai suoi concorrenti, mentre le seconde si riferiscono a quelle capacità
(competenze) essenziali per la strategia e risultati di un’impresa.

Prima di decidere quali competenze organizzative siano di base o distintive è necessario che l’impresa
osservi in modo sistematico le proprie competenze, e per far ciò generalmente vengono impiegati due
approcci:

A) ANALISI FUNZIONALE: attraverso la quale vengono identificate le competenze organizzative in


relazione alle principali aree funzionali dell’impresa (R&S, produzione, ufficio acquisti, logistica,
marketing, ufficio vendite …);

B) ANALISI DELLA CATENA DEL VALORE: attraverso la quale viene identificata una catena sequenziale
delle principali attività dell’impresa. La rappresentazione di Porter della catena del valore distingue tra:

(-) Attività primarie, ovvero quelle che riguardano i processi di trasformazione degli input ed i contatti
con i clienti. Tali attività sono direttamente coinvolte nella creazione del valore (Logistica, Produzione,
marketing e vendite ed infine il servizio);

(-) Attività di supporto, le quali erano valore indirettamente (Infrastrutture, gestione delle risorse umane,
sviluppo tecnologia ed approvvigionamenti).

Alla base di ogni competenza organizzativa c’è la capacità dei membri dell’organizzazione di comportarsi in
modo coordinato, ovvero vi deve essere sempre un coordinamento delle risorse. Le routine e i processi
giocano un ruolo fondamentale nell’integrare le azioni individuali per creare competenze organizzative.
Quindi un processo organizzativo è una sequenza coordinata di attività attraverso la quale viene svolto un
certo compito specifico.

Un loro carattere frequente è la loro natura routinizzata, infatti vengono denominati routine organizzative, le
quali:
- Sono attività di gruppo regolari e prevedibili, ovvero schemi ripetitivi di azione coordinate tra più persone;
- Si sviluppano attraverso il learning by doing;

Vi è quindi trade off tra efficienza e flessibilità.

3. RISORSE, COMPETENZE E RISULTATI ECONOMICI

Per applicare una corretta e funzionale analisi delle risorse e competenze che porti allo sviluppo di
implicazioni strategiche dobbiamo seguire un iter composto dalle seguenti fasi:

1) Identificazione delle risorse e competenze;

2) Valutazione dell’importanza strategica e della forza relativa rispetto ai concorrenti (valutazione della loro
capacità di creare valore) delle risorse e competenze identificate precedentemente;

3) Sviluppo di implicazioni strategiche.

La fase relativa all’identificazione delle risorse e competenze l’abbiamo già osservata, adesso come
valutiamo la loro capacità di creare valore?

A) Per prima cosa dobbiamo valutare quanto sono strategicamente importanti le specifiche risorse e
competenze dell’impresa;

B) Successivamente valutarne la loro forza rispetto a quelle di cui dispongono i concorrenti.

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A —> Le risorse e competenze strategicamente importanti sono quelle che presentano il potenziale per
generare flussi consistenti di profitto per l’impresa che le possiede. I profitti che un’impresa ottiene dalle sue
risorse e competenze dipendono da tre fattori:

• Capacità di conseguire un vantaggio competitivo.


Affinché una risorsa o una competenza possa determinare un vantaggio competitivo, devono essere
presenti due condizioni : (1) Rilevanza —> in base ai fattori critici di successo del mercato , ovvero deve
essere capace di creare valore per i clienti ; (2) Scarsità —> poiché se una risorsa o competenza è
largamente disponibile all’interno di un settore, può darsi che sia necessaria per poter competere, ma che
non costituisca una base sufficiente Peer conseguire un vantaggio competitivo ;

• Capacità di mantenere il vantaggio competitivo.


Una volta stabilito il vantaggio competitivo tende ad erodersi ma vi sono 3 caratteristiche fondamentali
delle risorse e competenze che determinano la sostenibilità del vantaggio competitivo nel tempo:

- La durata, poiché più una risorsa o competenza è durevole, maggiore sarà la sua capacità di supportare
un vantaggio competitivo nel tempo. Per la maggior parte delle risorse il ritmo rapido di innovazione
tecnologica ne ha accorciato la vita, mentre il marchio può mostrare grande resistenza;
- La trasferibilità, poiché il vantaggio competitivo viene sminuito dalla possibilità di essere imitato dai
concorrenti, maggiore sarà la trasferibilità di una risorsa o competenza, maggiora sarà il grado di erosione
del vantaggio competitivo. Le competenze sono difficili da muovere da un’azienda ad un’altra ed un
ulteriore barriera è rappresentata dall’incompletezza delle informazioni sulla qualità di una risorsa;
- La replicabilità, poiché meno possono essere replicate o costruite dai concorrenti (routine
organizzativa) maggiore sarà il loro apporto al vantaggio competitivo.

• Capacità dell’impresa di sfruttare il vantaggio competitivo.


Generalmente chi detiene la risorsa o competenza è il beneficiario dei ritorni generati da essa ma non è
sempre chiaro chi sia il detentore.
Una notevole importanza è raffigurata nei diritti di proprietà, nel potere contrattuale della parte e del
sistema aziendale.
Quanto meno chiaramente sono definiti i diritti di proprietà delle risorse e competenze, tanto più è
importante la forza del potere contrattuale.

B —> dopo aver stabilito quali risorse e competenze sono strategicamente più importanti è opportuno fare
una valutazione della forza dell’impresa rispetto ai sui concorrenti.
È difficile valutare in modo obiettivo i punti di forza e di debolezza di risorse e competenze di un’impresa
rispetto ai concorrenti pertanto è necessario integrare il benchmarking (comparazione dei processi e
performance proprie con quelle dei concorrenti) con approcci più riflessivi e capaci di riconoscere forze e
debolezze.
Finora la nostra analisi (identificazione e valutazione) ci ha portato ad una semplice configurazione che vede
una matrice costituita da:

Forze superflue, punti di forza chiave, punti di debolezza chiave e zona irrilevante.

Ora per completare la nostra applicazione dell’analisi delle risorse e competenze dobbiamo sviluppare
implicazioni strategiche:
- Sfruttando i principali punti di forza.
Assicurarsi che quest’ultimi siano i piegati nel miglio modo efficiente;
- Gestendo i punti di debolezza chiave.
Nella realtà la trasformazione dei punti di debolezza in punti di forza tende a costituire un obiettivo di lungo
periodo e quindi nel breve e medio periodo una soluzione ottimale è relativa all’esternalizzazione di tali
punti di debolezza. Un ulteriore soluzione (vedi Harley-Davidson) è trasformare le proprie caratteristiche in
virtù.
- Gestendo i punti di forza superflui.

Attraverso un disinvestimento selettivo oppure attraverso lo sviluppo di strategie innovative che

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trasformino tali punti di forza superflui in risorse e competenze di grande valore.

Riassumendo abbiamo visto in tale capitolo l’importanza dell’analisi delle risorse e competenze, la quale si
effettua nelle fasi di identificazione, valutazione e sviluppo di implicazioni strategiche.

Un uso importante di tale analisi consiste nell’identificazione del settore e dei segmenti di mercato
che si allineano di più con le forze e le debolezze dell’impresa.

CAPITOLO 7: LE FONTI E LE DIMENSIONI DEL VANTAGGIO COMPETITIVO

Tale capitolo sviluppa ulteriormente l’analisi del vantaggio competitivo, nel quale ci concentreremo in primo
luogo sulle sue dinamiche (esaminando i processi attraverso i quali tale vantaggio è creato o distrutto) e in
secondo luogo osserveremo le due principali tipologie di vantaggio competitivo (di costo e di
differenziazione) e gli approcci per analizzarli.

1. COME IL VANTAGGIO COMPETITIVO È CREATO E MANTENUTO

Il vantaggio competitivo, a livello base, si ha quando un’impresa consegue (o ha il potenziale per


conseguirlo) in maniera continuativa una redditività superiore rispetto alle altre imprese del settore. Una
puntualizzazione sul vantaggio competitivo è che esso non sempre può manifestarsi sotto forma di maggiore
redditività poiché un’impresa potrebbe conseguire obiettivi diversi quali quello di rinunciare ai profitti attuali
per investire in quote di mercato, in tecnologia o nella soddisfazione dei clienti.
Considerarlo come il risultato di una perfetta combinazione tra punti di forza interni e fattori di successo
esterni significa intendere tale fenomeno come statico e stabile invece il vantaggio competitivo è un
fenomeno caratterizzato da disequilibrio, il quale viene creato dal cambiamento. Una volta stabilito,
esso mette in movimento un processo competitivo che porta alla sua stessa distruzione.

- LA CREAZIONE DEL VANTAGGIO COMPETITIVO

I cambiamenti che generano un vantaggio competitivo possono essere sia interni che esterni:

- La misura in cui un cambiamento esterno può determinare un vantaggio (o svantaggio) competitivo


dipende dall’entità delle differenze strategiche (dal punto di vista delle risorse e competenze dal
posizionamento) tra le imprese. Infatti, quanto maggiore è la portata del cambiamento esterno e la
differenza nel posizionamento strategico delle imprese, maggiore sarà la possibilità che il cambiamento
generi un vantaggio competitivo (per esempio nel settore del tabacco l’ambiente esterno è stabile e ciò
non provoca forti differenze di redditività). Quindi come possiamo osservare qualsiasi cambiamento
esterno è in grado di generare opportunità di profitto ed infatti il suo impatto sul vantaggio competitivo
dipende anche dalla capacità delle imprese di reagire al cambiamento stesso.
In tal caso la capacità di identificazione e risposta alle opportunità viene definita imprenditorialità e tale
reattività imprenditoriale richiede la presenza di almeno una delle seguenti competenze:

(-) La capacità di prevedere / anticipare i mutamenti dell’ambiente esterno;

(-) La rapidità, intesa come la velocità nell’adattarsi ai cambiamenti esterni. Essa diviene sempre più
importante ogni qualvolta che i mercati diventano più turbolenti. A sua volta la velocità richiede due
requisiti fondamentali: (a) L’informazione, la quale si base sempre maggiormente su sistemi di preallarme
consistenti in relazioni dirette con clienti, fornitori e talvolta anche concorrenti; (b) Flessibilità di risposta,
ovvero la possibilità di disporre di cicli produttivi di breve durata in modo da adeguarsi velocemente alle
informazioni.
Tale enfasi sulla rapidità vien anche definita competizione sul tempo e oggi, grazie ai progressi
dell’internet, è migliorata enormemente la capacità di risposta nel mondo del business.

- Il vantaggio competitivo può anche essere generato internamente attraverso l’innovazione, la quale crea
un vantaggio competitivo per l’innovatore ed erode le basi del vantaggio competitivo dei precedenti leader
di mercato. Sebbene l’innovazione venga di solito immaginata nella forma di nuovi prodotti o tecnologie,
una fonte cruciale di vantaggio competitivo è rappresentata dall’innovazione strategica, ovvero da nuovi
approcci nel soddisfare i clienti e competere con i concorrenti. Essa quindi richiede la creazione di valore
per i clienti derivante da nuovi prodotti, esperienze o strumenti di consegna alternativi.
Le innovazioni strategiche (specialmente nell’e-commerce) prendono spesso la forma di innovazioni del
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modello di business, ovvero attraverso la capacità di rivoluzionare settori consolidati.
Un approccio alternativo per identificare il potenziale per l’innovazione consiste nell’attuare la strategia
dell’oceano azzurro, la quale consiste nella ricerca dello spazio di mercato non contestato e cioè la
creazione di nuovi spazi di mercato all’in terno di settori già esistenti.

- LA DIFESA DEL VANTAGGIO COMPETITIVO

Come sappiamo una volta acquisito il vantaggio competitivo dobbiamo difenderci da un eventuale erosione
provocata dalla concorrenza. La velocità con la quale tale vantaggio viene eroso dipende dalla capacità dei
concorrenti di lanciare una sfida attraverso l’imitazione o innovazione.
L’imitazione è la forma più diretta di concorrenza ed è quindi necessario, per difenderci, la presenza di
barriere all’imitazione.
Quindi per limitare il riequilibrio delle rendite tra le singole imprese dopo l’innovazione è utile creare
meccanismi di isolamento. Per individuare le fonti dei meccanismi di isolamento, in modo da difenderci dal
nostro vantaggio, dobbiamo prima esaminare il processo di imitazione competitiva. Come sappiamo per
imitare con successo la strategia di una rivale dobbiamo soddisfare 4 condizioni:

1) Innanzitutto, dobbiamo identificare, o meglio riconoscere, il vantaggio competitivo che possiede il


concorrente. A questo punto un ottimo meccanismo di solamente che permetta una semplice barriera
all’imitazione consiste nell’occultare la nostra redditività superiore (vantaggio) ;

2) Una seconda condizione per imitare con successo la strategia del rivale consiste nell’incentivo
all’imitazione stessa. Un meccanismo di isolamento utile consiste nell’indebolire tale incentivo
attraverso due azioni: la prima consistente in una strategia di dissuasione, ovvero manifestare minacce
le quali devono essere credibili. Una seconda azione utile a difendere il nostro vantaggio competitivo
consiste nello sfruttare tutte le opportunità con azioni preventive come per esempio la proliferazione
di varietà di prodotto, forti investimenti anticipati nella capacità produttiva oppure disporre di una
molteplicità di brevetti per la tecnologia.

3) Inoltre, per imitare con successo dobbiamo essere capaci di diagnosticare nella strategia del rivale
quelle caratteristiche che conferiscono il vantaggio competitivo che possiede. Di contro, una buona
base per la difesa consiste nel basare il nostro vantaggio su fonti complesse e multidimensionali creando
così, una certa ambiguità causale. Quando c’è ambiguità ogni tentativo di imitazione è un soggetto ad
un successo incerto.

4) Infine, l’ultima condizione per imitare con successo la strategia del rivale consiste nell’acquisire le
risorse e competenze necessarie. In tal caso, per difenderci dal nostro vantaggio, è opportuno basarlo
su risorse e capacità non trasferibili e difficili da replicare.

- TIPI DI VANTAGGIO COMPETITIVO: COSTO E DIFFERENZA

Due sono i modi in cui un’impresa può realizzare maggiori profitti dei concorrenti:

- In primo luogo, fornendo prodotti o servizi identici ma ad un prezzo inferiore. In tal caso l’impresa ha un
vantaggio di costo. Nel perseguire tale tipologia l’obiettivo dell’impresa deve essere quello di diventare
leader di costo nel suo settore o segmento;

- Differentemente fornendo un prodotto o servizio differenziato, tale che il cliente sia disposto a pagare un
differenziale di prezzo maggiore confronto i prodotti dei concorrenti. In tal caso si parla di vantaggio di
differenziazione e l’impresa per perseguire tale tipologia deve porsi l’obiettivo di creare prodotti
differenziati, con più qualità e che apportino maggiore valore per il cliente, in modo da indurre quest’ultimo
a pagare il differenziale di prezzo.

Combinando tali due tipologie di vantaggio competitivo Porter ha definito 3 strategie generiche:

Leadership di costo - Differenzazione - Focalizzazione ( per segmenti )

IL VANTAGGIO DI COSTO

L’analisi strategica dell’attività aziendale indica nel vantaggio di costo la principale fonte di vantaggio
competitivo in un settore. Tale enfasi sui costi discende dall’importanza attribuita dagli economisti al prezzo,
29
quale principale strumento di concorrenza tra imprese.
Infatti, la concorrenza di prezzo dipende dall’efficienza dei costi ed inoltre riflette la ricerca di sfruttare
economie di scala. Un utile strumento dell’analisi strategica è la curva di esperienza, la quale legge di
esperienza esplica che il costo unitario del valore aggiunto di un prodotto standardizzato diminuisce (20-30
%) quando la produzione cumulata raddoppia. Nuovi approcci per la riduzione dei costi possono riguardare
l’esternalizzazione, la delocalizzazione, la produzione snella o lo snellimento organizzativo.

I fattori principali dei costi unitari di un’impresa rispetto ai suoi concorrenti sono sette (fonti del vantaggio di
costo). Esse vengono definite determinati di costo e sono le seguenti:

- ECONOMIE DI SCALA: queste si manifestano quando un aumento degli input impiegati nel processo
produttivo determina una riduzione del costo unitario di produzione. Esse derivano da 3 fonti principali :

(a) Relazioni tecniche input-output -> In molte attività un incremento nel livello degli input genera un
aumento più che proporzionale dell’output e, di conseguenza, strutture produttive più grandi sono più
efficienti e richiedono minori input per unità di prodotto ;

(b) Indivisibilità -> molte risorse e attività non possono essere utilizzate in piccole quantità e, di
conseguenza generano economie di scala nelle imprese che sono in grado di distribuire i costi di queste
risorse su volumi di output più elevati ;

(c) Specializzazione -> una maggior scala di produzione permette una specializzazione delle mansione
più spinta attraverso una maggiore divisione del lavoro. La specializzazione infatti promuove
l’apprendimento, evita le perdite di tempo e favorisce la meccanizzazione e l’automazione;

- ECONOMIE DI APPRENDIMENTO: la ripetizione delle mansioni sviluppa competenze, abilita individuali e


le routine organizzative e tutto ciò comporta ad una riduzione dei costi.

- LA TECNOLOGIA E LA PROGETTAZIONE DI PROCESSO: processi superiori possono essere fonte di


economie di costo;

- LA RICONFIGURAZIONE DEI PROCESSI AZIENDALI: riprogettazione e miglioramento dei processi


organizzativi comportano minori costi;

- PROGETTAZIONE DEL PRODOTTO: la progettazione del prodotto e della produzione tesa a facilitare il
processo produttivo offre un sostanziale risparmio di costo.

- UTILIZZAZIONE DELLA CAPACITA’ PRODUTTIVA: essere in grado di adattarla rapidamente a fronte di


cali di domanda costituisce un enorme vantaggio di costo;

- COSTI DI APPROVVIGIONAMENTO: dobbiamo cercare di procurarci gli input ad un costo inferiore,


andandoli a prendere in regioni dove il costo è basso, avere un lavoro non sindacalizzato e forte potere
contrattuale;

- EFFICIENZA RESIDUALE: avere la capacità di eliminare le risorse in eccesso ed un’efficacia di gestione


delle risorse.

Per analizzare i costi di un’organizzazione e cercare opportunità per ridurli è necessario considerare le
attività individuali poiché ognuna di esse tende ad essere soggetta a diverse configurazioni di determinanti di
costo e di conseguenza ogni attività avrà una sua struttura di costo. L’analisi della catena del valore dei
costi di un’impresa cerca di identificare:

- L’importanza relativa di ciascuna attività in rapporto al costo totale;


- Le determinanti di costo di ciascuna attività e l’efficienza relativa con cui l’impresa la esegue;
- L’influenza dei costi di un’attività sui costi di un’altra attività;
- Le attività da svolgere internamente e quelle da svolgere esternamente all’impresa.
Quindi l’analisi della struttura di costo di un’impresa attraverso la catena del valore è composta dalle
seguenti fasi:

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1. Disaggregare l’impresa in attività separate;
2. Stabilire l’importanza relativa delle diverse attività in termini di costo totale del prodotto;
3. Identificare le determinanti di costo;
4. Identificare i legami tra attività
5. Identificare le opportunità di riduzione dei costi.

VANTAGGIO DI DIFFERENZIAZIONE

In tale tipologia di vantaggio competitivo un’impresa si differenzia dai propri concorrenti quando offre
qualcosa di unico e apprezzato agli acquirenti, che va ben oltre la semplice offerta a basso prezzo.
Tale vantaggio si realizza quando un’impresa riesce a conseguire un premio sul prezzo che eccede il costo
sostenuto per realizzarlo.
La differenziazione non consiste solamente nell’offrire prodotti con caratteristiche differenti ma
nell’identificare e comprendere ogni possibile forma di interazione tra impresa e i suoi clienti per cercare di
migliorare e modificarle in modo da fornire un valore aggiunto al cliente stesso. Pertanto, la differenziazione
non richiede appunto l’unicità della differenza del prodotto ma una profonda comprensione dei clienti e di
come il prodotto dell’impresa possa soddisfare i loro bisogni. Ciò richiede quindi di osservare
attentamente sia il lato dell’offerta (impresa) sia il lato della domanda (clienti). Come abbiamo già visto due
sono gli elementi necessari per creare una differenziazione vantaggiosa:

- Dal lato dell’offerta l’impresa deve essere consapevole delle risorse e competenze con cui può creare
unicità;

- Dal lato della domanda l’elemento cruciale è la comprensione dei clienti, dei loro bisogni e delle loro
preferenze.

Essa ha una dimensione tangibile ed intangibile. Quella tangibile riguarda le caratteristiche visibili e
oggettive del prodotto o servizio quali la dimensione, le performance, la confezione e i servizi
complementari.
Quella intangibile è basata su criteri non osservabili e soggettivi del prodotto o servizio, come gli aspetti
sociali e psicologici, emotivi, estetici. Riguarda prevalentemente l’immagine generale dell’impresa e della
sua offerta (il brand).
La differenziazione dell’immagine è fondamentale per gli experience goods.

È importante precisare che il termine differenziazione è differente dal termine segmentazione, in quanto il
primo si riferisce alle scelte strategiche, ovvero al modo in cui l’impresa compete e al modo in cui può offrire
qualcosa di unico ai propri clienti.
Differentemente la segmentazione riguarda dove l’impresa compete, in base alle caratteristiche del mercato.

A differenza del vantaggio di costo, il quale rappresenta la principale fonte di vantaggio competitivo, la
differenziazione offre una base del vantaggio più sicura poiché il vantaggio di costo può essere vulnerabile
mentre quello di differenziazione è più sostenibile. Infine, la differenziazione può essere generalizzata, e
quindi far leva su preferenze comuni a diversi tipi di clienti, oppure focalizzata, ovvero far leva su ciò che
distingue diversi gruppi di clienti.

- ANALISI DELLA DIFFERENZIAZIONE: Lato della domanda

L’analisi della domanda ci permette di determinare quali caratteristiche di prodotto hanno le potenzialità per
creare valore per il cliente. Ciò consiste nel comprendere il cliente e le sue motivazioni d’acquisto.
L’elemento fondamentale per una differenziazione ottimale è capire, o meglio comprendere il cliente.
Un’indagine tesa e diretta può spesso essere più informativa di una ricerca di mercato. A tal proposito la
comprensione dei bisogni del cliente richiede l’analisi delle preferenze del consumatore rispetto alle
caratteristiche del prodotto. Le tecniche per effettuare tale analisi richiedono 3 elementi:

- Il multidimensional scaling (Mds): esso rappresenta graficamente le percezioni dei consumatori circa le
somiglianze e le differenze esistenti tra prodotti concorrenti. Si distinguono dimensioni dentro le quali vi
troveremo gruppi di attributi che rappresentano la loro posizione relativa al pensiero dei clienti;

31
- La conjoint analysis: ogni prodotto è considerato come un insieme di attribuito e tale tecnica è utile per
analizzare le preferenze del consumatore per i diversi attributi del prodotto. La tecnica comporta, in primis,
l’identificazione degli attributi che caratterizzano il prodotto e, in secondo luogo, la classificazione di
prodotti ipotetici che possiedono diverse combinazioni degli attributi stessi. I risultati ottenuti sono utili a
verificare la % di clienti che preferirebbe un nuovo ipotetico prodotto;

- L’analisi dei prezzi edonistici: si utilizza tale analisi per collegare differenze di prezzo tra prodotti
concorrenti alle differenze di attributi.

Occorre precisare però che l’analisi della differenziazione del prodotto attraverso le caratteristiche di
performance misurabili, tende a ignorare le motivazioni d’acquisto dei clienti poiché la maggior parte degli
acquisti è motivata da bisogni sociali e psicologici. In molti casi infatti il valore del marchio dipende di più
dallo status e dell’identità che conferisce al cliente che dalla performance tangibile del prodotto.
Quindi per comprendere la domanda dei consumatori e individuare le opportunità di differenziazione
redditizia è necessario analizzare non solo il prodotto e le sue caratteristiche, ma anche i clienti, i loro stili di
vita e le loro aspirazioni e cercare di capire che relazioni potrà avere il prodotto con tutto questo. Oltre che
misurare gli attributi del prodotto, le ricerche di mercato devono considerare caratteri demografici,
socioeconomici e psicografici.

- ANALISI DELLA DIFFERENZIAZIONE: lato dell’offerta

Prima abbiamo osservato l’analisi della domanda la quale ci permette di identificare le richieste di
differenziazione da parte dei consumatori e la loro disponibilità a pagare ma per ottenere un vantaggio di
differenziazione l’impresa deve anche possedere la capacità di offrire prodotti differenziati. Quindi per
individuare le potenzialità di differenziazione di un’impresa è opportuno considerare il lato dell’offerta,
ovvero esaminare le sue attività e le risorse di cui dispone.
La differenziazione consiste nell’offrire unicità e tali opportunità di offrire un prodotto unico ai clienti non sono
necessariamente legate ad una particolare funzione o attività, bensì possono manifestarsi in ciascuna
operazione effettuata dall’impresa.
In tal caso Porter individua una serie di fattori di unicità che costituiscono le variabili decisionali dell’impresa.
Tali variabili sono:

- Le caratteristiche e le prestazioni del prodotto;


- I servizi complementari connessi ad esso;
- L’intensità delle attività di marketing (entità delle spese pubblicitarie);
- La tecnologia impiegata;
- La qualità degli input;
- Le procedure che influenzano la condotta di ciascuna attività;
- Le competenze e l’esperienza dei dipendenti;
- La localizzazione geografica (per esempio dei punti di vendita);
- Il grado di integrazione verticale (che influenza la possibilità da parte di un imprese di controllare gli input
e i processi intermedi).

Fondamentale nel perseguire un vantaggio di differenziazione è la capacità dell’impresa di mantenere


coerente tutte queste scelte di differenziazione. Si parla in tal caso di integrità del prodotto, la quale riesce a
mantenere in equilibrio le diverse caratteristiche.
Inoltre, la differenziazione è efficace solo quando viene comunicata ai clienti. In tal caso è necessario
distinguere due tipologie di prodotti, gli experience goods e i search goods. Per quanto concerne i primi,
ovvero quei prodotti in cui la qualità e le caratteristiche del prodotto sono riconosciute solamente dopo il loro
utilizzo, i produttori devono trovare mezzi credibili per segnalare la qualità al cliente. I segnali più efficaci
possono riguardare una garanzia estesa nel tempo, i marchi, l’imballaggio, le promesse di rimborso, la
sponsorizzazione ed eventi culturali. La loro efficacia deriva dal fatto che rappresentano profondi
investimenti da parte del produttore.
Un importante ruolo è giocato dal marchio il quale, in primis, rappresenta una garanzia della qualità ed
inoltre rappresenta un’ulteriore garanzia per il consumatore poiché permette a quest’ultimo di ridurre
l’incertezza e i costi di ricerca.

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- LA CATENA DEL VALORE NELL’ANALISI DI DIFFERENZIAZIONE

L’elemento fondamentale dei una differenziazione di successo consiste nel trovare una corrispondenza tra la
capacità di differenziazione dell’impresa e le caratteristiche maggiormente gradite dai clienti. A tal proposito
la catena del valore rappresenta uno schema particolarmente utile, la quale è composta da 4 fasi principali
che consentono di individuare le opportunità di un vantaggio di differenziazione:

1. La prima fase consiste nel costruire una catena del valore per l’impresa e per il cliente;

2. Individuare i potenziali fattori di unicità in ogni attività dell’impresa;

3. Selezionare poi le variabili di differenziazione più promettenti, le quali possono conferire:


(a) Maggiore potenziale di differenziazione rispetto ai concorrenti;
(b) Possibilità di sfruttare collegamenti tra diverse attività;
(c) Possibilità di mantenere l’unicità nel tempo;

4. Infine, individuare i punti di collegamento tra la catena del valore dell’impresa e quella del cliente.

- IMPLEMENTAZIONE DELLE STRATEGIE DI COSTO E DIFFERENZIAZIONE

Un’impresa che compete con bassi costi si distingue da un’impresa che compete attraverso la
differenziazione sia in termini di posizionamento strategico sul mercato, sia per quanto riguarda la
composizione delle risorse e delle competenze ed infine sia per quanto riguarda le caratteristiche
organizzative. Per Porter il vantaggio di costo e la differenziazione costituiscono strategie tra loro alternative
e mutualmente escludibili. Infatti, un’impresa che tenta di perseguire entrambe le tipologie di vantaggio
competitivo rischia di trovarsi bloccata a metà strada.
Normalmente una strategia di leadership di costo comporta caratteristiche essenziali e offerta standardizzata
ma ciò non implica necessariamente che il prodotto o servizio siano indifferenziati. Infatti, possiamo
osservare come nella maggior parte dei settori il leader di mercato è un’impresa che massimizza l’attrattiva
del consumatore conciliando una differenziazione efficace con il basso costo. Ciò è stato possibile con
l’evoluzione di nuove tecniche di management.

33
SECONDO PARZIALE

CAPITOLO 8: EVOLUZIONE DEL SETTORE E CAMBIAMENTO TECNOLOGICO

Ogni cosa si trova in uno stato di costante cambiamento, specialmente nel mondo degli affari, quindi la sfida
più grande del management consiste nel fare in modo che l’azienda sia in grado di adattarsi ai mutamenti
che si verificano nel suo ambiente. Come abbiamo studiato precedentemente, la competizione è un
processo dinamico nel quale le imprese lottano per raggiungere un vantaggio competitivo, il quale viene
successivamente eroso da parte dei concorrenti attraverso l’imitazione e l’innovazione. Il risultato di tale
processo è un ambiente settoriale che viene continuamente rigenerato dalla concorrenza.

1. IL CICLO DI VITA DI UN SETTORE

Il ciclo di vita di un settore è l’equivalente del ciclo di vita di un prodotto dal lato dell’offerta con l’unica
differenza che esso ha una durata maggiore rispetto a quello del prodotto. Esso viene convenzionalmente
diviso in quattro fasi: Introduzione, Sviluppo, Maturità e Declino.

Prima di iniziare ad esaminare le caratteristiche di ciascuna fase è opportuno analizzare le forze che
determinano l’evoluzione del settore e, a tal proposito si possono individuare due fattori fondamentali:

A. LO SVILUPPO DELLA DOMANDA

Il ciclo di vita e i vari stadi al suo interno sono influenzati dal tasso di crescita del settore nel tempo, il
quale può essere stabile, in crescita o in diminuzione in riferimento alla fase in cui si trova il settore
stesso ed in base alla velocità di cambiamento.

(-) Nella fase di introduzione, le vendite4 sono ridotte e il tasso di penetrazione del mercato è basso,
per he i prodotti del settore sono poco noti ed il numero di clienti è limitato ( prezzi elevati e qualità bassa
);

(-) La fase dello sviluppo è caratterizzata da una sempre più rapida penetrazione del mercato grazie ai
miglioramenti tecnologici e all’aumento dell’efficienza, i quali consentono di accedere al mercato di
massa ;

(-) Nella fase di maturità, nella quale avviene la saturazione del mercato, tutta la domanda è domanda di
sostituzione ;

(-) Il settore entra nella fase di declino quando fanno ingresso nel mercato i prodotti sostitutivi e
tecnologicamente superiori, i quali sono offerti da nuovi settori.

B. LA CREAZIONE E DIFFUSIONE DELLA CONOSCENZA


Intendiamo la creazione della conoscenza relativa sia ai prodotti (innovazione di prodotto), sia ai processi
(innovazione di processo). Analogamente per la diffusione, essa avviene sia sul lato dell’offerta
(produttori) sia sul lato della domanda (clienti).
La nuova conoscenza, sotto forma di innovazione di prodotto, è all’origine della nascita di un nuovo
settore mentre il duplice processo di creazione e diffusione della conoscenza esercita una notevole
influenza sull’evoluzione del settore.
Inizialmente, nella fase di introduzione la concorrenza si svolge principalmente fra tecnologie e modelli
alternativi. Questa concorrenza porta poi a convergere verso un modello dominante o standard
tecnico.

Per modello dominante intendiamo la configurazione complessiva di un prodotto, ovvero un’architettura


di prodotto che definisce l’aspetto, la funzionalità e il metodo di produzione di un bene, la quale viene
accettata dal settore nel suo complesso. I modelli dominanti esistono anche nei processi e nei modelli di
business.

Per standard tecnico, invece, s’intende una tecnologia (o una specificazione importante) per la
compatibilità. Essi emergono ove son presenti economie di rete, cioè in cui sorge la necessità che gli
utenti si connettano in qualche misura gli uni con gli altri.

Entrambi concetti sono strettamente collegati fra loro poiché all’interno dei un modello dominante

34
potrebbe esserci uno standard tecnico. A differenza di uno standard tecnico proprietario (sistema di
brevetti) un’impresa che stabilisce un modello dominante non guadagna nulla dal fatto di averlo attuato.

L’affermarsi di un modello dominante, all’interno di un settore, segna un punto di svolta nel processo di
evoluzione del settore in quanto avviene un passaggio dall’innovazione radicale all’innovazione
incrementale del prodotto. Inoltre, questo affermarsi comporta:

- Un aumento della standardizzazione, il quale riduce i rischi per i clienti e incoraggia le imprese ad
effettuare investimenti nella capacità produttiva;

- Aumento della produzione su larga scala con il conseguente ottenimento di economie (- costi +
disponibilità);

- Penetrazione del mercato.

Quanto è generalizzabile il modello del ciclo di vita?

Una prima osservazione ci mostra come la durata del ciclo di vita varia da settore in settore ma nel tempo si
è osservato una tendenza alla velocizzazione delle singole fasi e quindi alla riduzione del ciclo di vita.
Anche i percorsi evolutivi variano di settore in settore:

• Alcuni settori sembrano mantenere i caratteri delle prime fasi, come la centralità dell’innovazione di
prodotto;
• I settori dei beni di prima necessità (edilizia, alimentari) rimangono in fase di maturità senza mai
raggiungere il declino;
• Altri settori potrebbero sperimentare un rinnovamento, ovvero una rivitalizzazione;
• Altri settori potrebbero trovarsi in diverse fasi del ciclo di vita a seconda dei Paesi.
IMPLICAZIONI STRATEGICHE E CONCORRENZIALI DEL CICLO DI VITA

I cambiamenti nello sviluppo della domanda e della tecnologia nel corso del ciclo di vita del settore hanno
implicazioni per la struttura del settore, per la popolazione delle imprese e per la competizione.

I. DIFFERENZIAZIONE DEL PRODOTTO

La fase di introduzione è caratterizzata da un’ampia varietà di categorie di prodotti che riflettono la


diversità di tecnologie e modelli e quindi l’assenza di un consenso sui fabbisogni della clientela;

Durante la fase di maturità invece vi è una convergenza attorno ad un modello dominante, spesso
seguito dalla standardizzazione del prodotto. I consumatori ora scelgono in primo luogo sulla base di
considerazioni di prezzo ma la tendenza verso la standardizzazione del prodotto può creare alle imprese
incentivi per costituire nuovi approcci alla differenziazione.

II. DEMOGRAFIA DELLE IMPRESE E STRUTTURA DEL SETTORE

Durante il ciclo di vita di un settore il numero di imprese cambia in maniera significativa e la disciplina
dell’ecologia delle organizzazione evidenzia :

- Inizialmente un settore può essere costituito da poche imprese pioniere ;

- Man mano che queste acquistano credibilità e diminuiscono i tassi di fallimento si manifesta un
aumento rapido del numero di imprese ;
- Con l’inizio della maturità il numero di imprese tende a diminuire poiché molto spesso i settori sono
soggetti a scossoni. La fase degli scossoni è caratterizzata da fusioni, acquisizioni e uscite e il tasso di
fallimento aumenta drasticamente. Al termine di tale fase quindi il tasso di ingresso ed uscita si riducono
mentre aumenta il tasso di sopravvivenza delle imprese esistenti ;

- Via via che la concentrazione del settore aumenta ( poche imprese ), le imprese leader focalizzano la
loro attenzione sul mercato di massa e conseguentemente può avere luogo una nuova fase di entrate, in
cui un piccolo numero di imprese trae vantaggio dalle opportunità presenti nelle regioni periferiche del
mercato.

35
Tuttavia, occorre sottolineare come in differenti settori il cambiamento strutturale segue percorsi evolutivi
profondamente diversi, infatti in molti settori la fase di maturità coincide con ’’aumento della
concentrazione ma nei settori in cui le economie di scala sono scarsamente importanti e le barriere
all’ingresso basse la maturità e la standardizzazione del prodotto possono determinare un
rallentamento della concentrazione (aumento del numero di imprese).

III. LOCALIZZAZIONE E COMMERCIO INTERNAZIONALE

Durante il ciclo di vita i settori migrano da un Paese all’altro.

(1) I nuovi settori emergono nei Paesi più avanzati dal punto di vista dello sviluppo industriale, grazie
alla presenza di consumatori con reddito più elevato e la disponibilità di risorse tecniche e scientifiche;

(2) La domanda cresce progressivamente anche in altri Paesi (meno sviluppati) ed inizialmente viene
soddisfatta attraverso l’esportazione. Ora la riduzione del fabbisogno di forza lavoro dotata di
competenze sofisticate comporta ad uno spostamento della produzione verso Paesi di nuova
industrializzazione e, analogamente, le economie più avanzate iniziano ad importare.

(3) Con la maturità, la standardizzazione e l’ulteriore riduzione del fabbisogno di competenze


tecnologiche nei processi produttivi, la produzione si trasferisce nei Paesi in via di sviluppo dove i costi
del lavoro sono altamente inferiori.

IV. NATURA E INTENSITÀ DELLA CONCORRENZA

I cambiamenti della struttura del settore lungo il suo ciclo di vita (standardizzazione, nuovi ingressi e
diffusione della produzione a livello internazionale) causano alcune implicazioni importanti per la
competizione. In primo luogo la concorrenza si spinge verso una competizione sui prezzi ed , in
secondo luogo, aumenta l’intensità della concorrenza e si riducono i margini di profitto. Queste
sono le tende generali.

(-) Nella fase di introduzione, la battaglia per la leadership tecnologica implica una bassa concorrenza di
prezzo ma, nello stesso tempo, i forti investimenti nell’innovazione e nello sviluppo del mercato tendono
a deprimere i rendimenti del capitale;

(-) La fase di sviluppo, solitamente, permette di realizzare maggiori profitti poiché la domanda di mercato
cresce più rapidamente dell’offerta di mercato. La domanda quindi è superiore alla capacità produttiva
del settore (specialmente se imprese protette da barriere);

(-) Con l’inizio della maturità, la standardizzazione crescente del prodotto aumenta l’importanza della
concorrenza di prezzo. Tale tendenza dipende dall’equilibrio fra la domanda e la capacità produttiva del
settore e dal grado di concorrenza internazionale;

(-) La fase di declino è quasi sempre associata ad una forte concorrenza sui prezzi e a bassi profitti.

V. FCR ED EVOLUZIONE DEL SETTORE

Analogamente, i cambiamenti della struttura del settore affiancati ai cambiamenti della domanda e della
tecnologia nel corso del ciclo di vita di un settore determina importanti implicazioni per le principali fonti di
vantaggio competitivo in ciascuna fase:

(1) Nella fase di introduzione, l’innovazione di prodotto è essenziale sia per l’entrata nel settore, sia
per la successiva affermazione dell’impresa. Nel passaggio fra la prima generazione di prodotti e quelle
successivi, fattori critici di successo sono rappresentati dalle risorse finanziarie e tecnologiche poiché
cresce il fabbisogno di investimento;

(2) Nella fase di sviluppo la sfida fondamentale è riuscire a crescere, ampliarsi. Importante è la
capacità delle imprese nell’adeguare le caratteristiche del prodotto e le competenze produttive
(processi) alle esigenze della produzione di massa. Un altro fattore importante per sfruttare al meglio
la capacità produttiva si riferisce all’accesso alla distribuzione;
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(3) Nella fase di maturità, il vantaggio competitivo si traduce nella continua ricerca dell’efficienza di
costo. Fattori di successo sono: le economie di scala, bassi salari e bassi costi generali ;

(4) Nella fase di declino diventano sempre pio forti le pressioni per un contenimento dei costi. I fattori di
successo si riferiscono a: (a) riduzione ordinata della capacità produttiva (b) conquista della
domanda di mercato residua attraverso innovazioni strategiche oppure attraverso nuove fonti di
differenziazione del prodotto.

2. LA SFIDA DELL’ADATTAMENTO ORGANIZZATIVO E DEL CAMBIAMENTO STRATEGICO

Come osservato i settori cambiano ma cosa succede alle imprese che si trovano all’interno di questi settori?
Faremo ora riferimento alle difficoltà del cambiamento e alle modalità con cui questo avviene.

- DIFFICOLTÀ DEL CAMBIAMENTO, FONTI DI INERZIA ORGANIZZATIVA

Tutti gli approcci alla gestione del cambiamento riconoscono questo fenomeno come difficile e complesso.
Teorie diverse del cambiamento organizzativo e industriale metto in luce diversi tipi di ostacoli al
cambiamento, quali:

(A) ROUTINE ORGANIZZATIVE

Gli economisti sottolineano il fatto che le competenze sono basate su routine organizzative ( modelli di
interazione coordinata che si sviluppano mediante continua ripetizione ) . Quindi quanto più sono
sviluppate tali routine organizzative, tanto più è difficile svilupparne di nuove. Di conseguenza le
organizzazioni sono vittime di trappole organizzative.

(B) STRUTTURE POLITICHE (DI POTERE) E SOCIALI

Ogni struttura organizzativa implica una certa allocazione del potere nell’organizzazione. Il
cambiamento, il quale implica sempre una redistribuzione di potere, di conseguenza trova sempre
opposizione. Quindi il cambiamento rappresenta una minaccia al potere di chi si trova in posizione di
autorità, per questo le organizzazioni tendono a resistere al cambiamento.

(C) CONFORMISMO

Il potere è distribuito sia all’interno che all’esterno delle organizzazioni. Il cambiamento organizzativo
implica una riconfigurazione dei rapporti di potere anche all’esterno dell’organizzazione ed infatti
questa riconfigurazione al cambiamento è ostacolata da pressioni esterne (enti governativi, sindacati,
intermediari) le quali attraverso il processo di isomorfismo istituzionale tendono a bloccare le imprese
nella esistente configurazione di strutture e strategie.

(D) RICERCA LIMITATA

La capacità delle organizzazioni di implementare cambiamenti significativi è limitata poiché esse tendono
a limitare la propria ricerca ad aree prossime alle attività che già stanno intraprendendo. Quindi le
organizzazioni preferiscono lo sfruttamento di conoscenza già disponibile all’esplorazione di nuove
opportunità.

(E) COMPLEMENTARIETÀ TRA STRATEGIA, STRUTTURA ORGANIZZATIVA E SISTEMI

Come abbiamo studiato la nozione di coerenza è un principio di base per il management. Il risultato è
che tutti gli elementi di organizzazione sono complementari (strategie, strutture, sistemi, obiettivi) e
quindi, una volta istituita tale configurazione complessa diventa un ostacolo al cambiamento poiché il
esso deve essere sistemico.

- ADATTAMENTO ORGANIZZATIVO (MODALITÀ) ED EVOLUZIONE DEL SETTORE

Il cambiamento evolutivo del settore è visto come un processo adattivo che prevede la variazione
(comparsa di nuove forme di routine o organizzazione), la selezione (diverse forme competono per

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l’accesso alle risorse scarse) e l’assimilazione (le forme più adatte sopravvivono e sono riprodotte, le altre
scompaiono). La questione chiave è a quale livello avvengono tali processi.

• Secondo l’ecologia delle organizzazioni il cambiamento avviene a livello di settore, cioè sostituzione di
nuove organizzazioni alle vecchie.
Il meccanismo di selezione è la competizione per risorse scarse: le organizzazioni le cui caratteristiche
corrispondono alle esigenze dell’ambiente in cui operano possono attirare risorse, mentre quelle che non
lo fanno vengono eliminate. LE ORGANIZZAZIONI NON CAMBIANO;

• Secondo l’economia evoluzionistica il cambiamento avviene a livello della singola organizzazione, cioè
sostituzione di nuove routine alle vecchie. Ciò provoca quindi l’abbandono delle routine non efficaci,
mentre quelle efficaci vengono sviluppate e replicate all’interno dell’organizzazione. LE
ORGANIZZAZIONI CAMBIANO.

L’evidenza empirica ha indicato l’importanza di entrambi i processi. I meccanismi di cambiamento dipendono


quindi da due fattori:

- Capacità delle imprese di sviluppare nuove risorse e competenze;


- Diversità delle risorse e competenze richieste dal cambiamento.

Stadi diversi del ciclo di vita richiedono risorse e competenze diverse, esempi possono essere:

- Le start-up piovere acquistate da imprese già consolidate, le quali apportano risorse necessarie alla crea
cita per le start-up;
- Start-up che sfruttano competenze delle imprese già consolidate.

- GESTIONE DEL CAMBIAMENTO TECNOLOGICO

La minaccia più grande che i nuovi entranti pongono alle imprese già consolidate avviene durante i momenti
di cambiamento tecnologico. Una nuova tecnologia può rappresentare una sfida quando essa è distruttiva
per le competenze, architetturale e dirompente.

• INFLUENZA DEL CAMBIAMENTO TECNOLOGICO SULLE COMPETENZE

Alcuno cambiamenti tecnologici possono essere distruttivi e quindi minacciare le risorse e competenze
delle aziende consolidate. Altri possono invece essere stimolanti per le competenze delle aziende
consolidate.
La questione chiave è come la nuova tecnologia influenzi l’importanza strategica delle risorse e
competenze possedute dalle imprese consolidate.

• L’INNOVAZIONE ARCHITETTURALE

La facilità o meno con cui le imprese già consolidate si adattino all’innovazione tecnologica dipende
dall’impatto della tecnologia che si può verificare a livello delle componenti o dell’architettura.
Di conseguenza un’innovazione architetturale richiede una riconfigurazione generale del prodotto, quindi
della catena del valore e della struttura organizzativa e quindi è molto più difficile da gestire.

• TECNOLOGIE DI ROTTURA

Esse incorporano caratteristiche di performance diverse dalla tecnologia disponibile al momento rendendo
obsolete competenze e routine organizzative. Ciò richiede alle imprese già consolidate la sostituzione
piuttosto che il solo adattamento o integrazione.

3. LA GESTIONE DEL CAMBIAMENTO STRATEGICO

Vi sono 4 approcci per la gestione del cambiamento strategico:

1. STRATEGIE DUALI E AMBIDESTRISMO ORGANIZZATIVO

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Le strategie duali richiedono alle imprese di gestire il presente ( expliotation ) e prepararsi al futuro (
exploration ) e quindi devono adottare una duplice pianificazione :

- Una pianificazione di breve termine (1/2 anni), la quale deve porre l’enfasi sullo sfruttamento delle
capacità esistenti e sul principio di coerenza strategica;

- Una pianificazione di lungo termine (5 o + anni) la quale si deve focalizzare sullo sviluppo di nuove
capacità, ovvero sviluppare una visione, sviluppare nuove competenze, riorganizzazione interna della
struttura e ridefinire e riposizionare i singoli business.

Vi è un trade-off tra sfruttamento ed esplorazione secondo cui le organizzazioni sono propense a preferire lo
sfruttamento all’esplorazione e, di conseguenze, la competizione nel presente tende ad avere la precedenza
rispetto alla preparazione per il futuro.
Tale capacità di conciliare i due orientamenti (sfruttare il presente ed esplorare il futuro) viene definito
ambidestrismo organizzativo, nel quale sono stati identificati due tipologie:

(a) Ambidestrismo strutturale: esso avviene quando esplorazione e sfruttamento sono intrapresi in unità
organizzative separate. Il problema è che le competenze sviluppate dall’unita di exploration possono
essere difficili da assimilare per il resto dell’organizzazione;

(b) Ambidestrismo contestuale: esso prevede che l’esplorazione e lo sfruttamento siano svolte dalle
stesse unità e persone. Il problema è che i sistemi organizzativi e i comportamenti individuali diretti
all’exploitation sono incompatibili con exploration. CONTRASTARE L’INERZIA ORGANIZZATIVA
Le strategie duali richiedono alle imprese di gestire il presente (expliotation) e prepararsi al futuro
(exploration) e quindi devono adottare una duplice pianificazione:

- Una pianificazione di breve termine (1/2 anni), la quale deve porre l’enfasi sullo sfruttamento delle
capacità esistenti e sul principio di coerenza strategica;

- Una pianificazione di lungo termine (5 o + anni) la quale si deve focalizzare sullo sviluppo di nuove
capacità, ovvero sviluppare una visione, sviluppare nuove competenze, riorganizzazione interna della
struttura e ridefinire e riposizionare i singoli business.

Vi è un trade-off tra sfruttamento ed esplorazione secondo cui le organizzazioni sono propense a preferire lo
sfruttamento all’esplorazione e, di conseguenze, la competizione nel presente tende ad avere la precedenza
rispetto alla preparazione per il futuro.
Tale capacità di conciliare i due orientamenti (sfruttare il presente ed esplorare il futuro) viene definito
ambidestrismo organizzativo, nel quale sono stati identificati due tipologie:

(a) Ambidestrismo strutturale: esso avviene quando esplorazione e sfruttamento sono intrapresi in unità
organizzative separate. Il problema è che le competenze sviluppate dall’unita di exploration possono
essere difficili da assimilare per il resto dell’organizzazione;

(b) Ambidestrismo contestuale: esso prevede che l’esplorazione e lo sfruttamento siano svolte dalle
stesse unità e persone. Il problema è che i sistemi organizzativi e i comportamenti individuali diretti
all’exploitation sono incompatibili con exploration.

2. CONTRASTARE L’INERZIA ORGANIZZATIVA

In molte imprese il cambiamento (se avviene) non è continuo, può subire brusche accelerazioni in periodi di
crisi ed ha carattere centralizzato (top-down). Desiderabile sarebbe stimolare un cambiamento senza strappi
favorendo meccanismi decentralizzati (bottom-up).
Gli strumenti adibiti a contrastare l’inerzia organizzativa sono i seguenti:

I. Creare percezioni di crisi

Esse possono creare le condizioni per favorire il cambiamento strategico. Nel momento in cui l’azienda si
ritrova in una crisi potrebbe essere già troppo tardi e per questo, uno strumento utile per iniziare il
cambiamento strategico è la creazione della percezione di una crisi imminente.

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II. Stabilire obiettivi ambiziosi e superiori

Un approccio alternativo per indebolire l’inerzia organizzativa è mettere pressione continua


all’organizzazione attraverso obiettivi di performance ambiziosi, cosicché da incoraggiare la creatività
e lo spirito d’iniziativa dei dipendenti.

III. Proporre iniziative quali catalizzatori di cambiamento

Si tratta di programmi di comunicazione provenienti dall’alta direzione per dirigere l’attenzione verso
la necessità di miglioramento dell’impresa.

IV. Ridefinire la struttura aziendale

Attraverso la ridefinizione della struttura organizzativa l’alta direzione può redistribuire il potere, i ruoli
direzionali e introdurre cosi nuova linfa nell’organizzazione.

V. Nuova leadership

A volte se il management attuale soffoca il cambiamento strategico sarebbe opportuno un outsider


(manager nuovo esterno) per guidare il cambiamento in modo più efficace. Qui però l’evidenza empirica
è contraddittoria.

VI. Analisi degli scenari

Essa consiste in processi periodici di costruzione ed esplorazione di ipotesi di cambiamenti futuri. Quindi
attraverso l’analisi degli scenari si riflette sulle possibili evoluzioni future della situazione corrente
ed è importante ricordare come l’analisi degli scenari non sia una tecnica previsionale bensì un processo
di pensiero e comunicazione sul futuro basato sulle informazioni e sulla competenza maturata.
Essa è utilizzata anche per esaminare gli sviluppi dei mercati e per gli impatti delle nuove tecnologie ed il
valore di tale analisi sta nel processo stesso, il quale:

- Stimola la connessione di informazioni provenienti da fonti eterogenee (esterne ed interne);

3. LO SVILUPPO DI NUOVE COMPETENZE

In ultima analisi, l’adattamento a un mondo in continua mutazione richiede lo sviluppo di competenze


necessarie per rinnovare il fabbisogno competitivo:

(-) ORIGINI.

In primis dobbiamo chiederci da dove provengono le competenze, e nel farlo abbiamo osservato che esse
sono soggette alla dipendenza dal percorso, ovvero le competenze attuali di un’impresa sono determinate
dalla sua storia e dalle sue origini.

(-) INTEGRAZIONE DELLE RISORSE.

Per capire come sviluppare nuove competenze si esamina la struttura della competenza organizzativa, la
quale è il risultato della combinazione ed integrazione di risorse diverse. Per creare quindi nuove
competenze sono necessarie tali fondamenta:

- Processi idonei per assicurarci che i risultati delle attività siano efficienti, ripetibili e affidabili;
- Una struttura appropriata, la quale richiede che i processi e le persone che contribuiscono alla creazione
di nuove competenze siano collocati all’interno elle stesse unità organizzative;
- Motivazione dei dipendenti;
- Un allineamento organizzativo coerente con gli obiettivi strategici aziendali.

(-) SVILUPPO SEQUENZIALE DI COMPETENZE.

Quindi lo sviluppo di nuove competenze richiede un processo sequenziale e a lungo termine, il quale
integri le 4 componenti (processi, struttura, motivazione e allenamento organizzativo) descritte
precedentemente.
Per farlo un’organizzazione deve limitare il numero e lo spettro di competenze che tenta di creare in un certo
momento e ciò implica uno sviluppo di competenze in modo sequenziale anziché tutte insieme.
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La chiave del successo per un approccio sequenziale è che ciascuno stadio di sviluppo deve essere
collegato, non solo allo specifico prodotto, ma anche ad un chiaro e ben definito insieme di
competenze. Si tratta quindi di sviluppare in sequenza prodotti che richiedono e favoriscono lo sviluppo di
competenze di una certa natura.

(-) LE COMPETENZE DINAMICHE.

La capacità di cambiare è essa stessa una competenza organizzativa.


Per competenze dinamiche si fa riferimento alla capacità dell’impresa di integrare, costruire e riconfigurare
le competenze interne ed esterne per rispondere ai cambiamenti dell’ambiente esterno. In altre parole, si fa
riferimento alla capacità dell’impresa nel sapersi adattare ripetutamente a nuove circostanze.

(-) SVILUPPO DI COMPETENZE E GESTIONE DELLA CONOSCENZA.

La conoscenza è la risorsa produttiva più importante, è scarsa, difficilmente trasferibile e replicabile.


Si assumono quindi le competenze come conoscenze organizzative, le quali si distinguono in:

(a) Know-how: essa è una con coscienza tacita che coinvolge abilità che si esprimono solo tramite il loro
svolgimento / utilizzo. Non può essere direttamente codificata o articolata ma può essere solamente
osservata attraverso la sua applicazione ed acquisita con la pratica.

(b) Conoscenza in genere (knowing about): essa è una conoscenza esplicita, la quale può essere
espressa tra individui mediante una descrizione (come teorie e programmi di istruzioni). É una forma di
bene pubblico poiché una volta creata può essere replicata tra innumerevoli fruitori ad un basso costo.

Come abbiamo visto, se la conoscenza esplicita si può trasferire così facilmente, essa raramente potrà
costituire un vantaggio competitivo duraturo. Contrariamente essa può essere resa inaccessibile solo se
protetta da diritti intellettuali. La replicazione della conoscenza tacita in un nuovo luogo richiede che essa
sia resa esplicita. Un’altra differenza fondamentale vi è tra conoscenza individuale e conoscenza
organizzativa (routine organizzative).
Quindi la “gestione della conoscenza” può essere rappresentata come una serie di attività che
contribuiscono allo sviluppo delle competenze attraverso la: creazione, ritenzione, accesso, trasferimento e
integrazione della conoscenza.

(-) CONVERSIONE E REPLICAZIONE DELLA CONOSCENZA.

La teoria della creazione di conoscenza di Ikurjiro Nonaka sostiene che la conversione tra la forma tacita ed
esplicita e tra il livello individuale e organizzativo produce una “spirale di conoscenza”, in cui la conoscenza
a disposizione dell’impresa diventa sempre più ampia e profonda. Conversioni:

1. Conversione di conoscenza tacita da individuale a organizzativa —> SOCIALIZZAZIONE

È la situazione in cui singole persone partecipano ad un’attività collettiva apportando conoscenze tacite
individuali. Quindi ponendo le proprie capacità al servizio del gruppo (socializzazione), gli individui
mettono in moto l’apprendimento di conoscenze tacite ulteriori.

2. Conversione di conoscenza esplicita da individuale a organizzativa —> COMBINAZIONE

Ciò avviene attraverso la combinazione delle conoscenze di più individui, la quale rappresenta l’essenza
stessa dell’organizzazione. Ognuno dei membri dell’organizzazione apporta alla decisione finale il
contributo della propria conoscenza specialistica.

3. Conversione di conoscenza individuale da esplicita a tacita —> INTERNALIZZAZIONE

la conoscenza esplicita viene internalizzata in conoscenza tacita sottoforma di esperienza, di intuito e


capacità di gestire i problemi.

4. Conversione di conoscenza individuale da tacita ad esplicita —> ESTERNALIZZAZIONE

La conversione tacita viene esternalizzata in esplicita attraverso l’articolazione e la codifica

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5. Conversione di conoscenza organizzativa da esplicita a tacita —> ROUTINIZZAZIONE

Consiste nello sviluppo di prassi tacite riferite alla divisione e al coordinamento del lavoro, le quali non
sono previste ufficialmente nella versione dell’organizzazione.

6. Conversione di conoscenza organizzativa da tacita ad esplicita —> ESTERNALIZZAZIONE

Attraverso la creazione di procedure standardizzate.

7. Conversione di conoscenza da tacita-individuale ad esplicita-organizzativa —> SISTEMATIZZAZIONE

Consiste nel passaggio dall’impiego di conoscenze tacite di artigiani che lavorano in proprio all’impiego
in grandi imprese di conoscenze codificate da parte di lavoratori generici. Tale sistematizzazione ha un
potenziale enorme di creazione di valore, grazie alla replicazione e la riduzione della manodopera
specializzata.

CAPITOLO 9 : TECNOLOGIA E GESTIONE DELL’INNOVAZIONE

Come abbiamo studiato precedentemente, la tecnologia è la forza principale in grado di creare nuovi settori
e trasformare quelli già esistenti. Quindi una tecnologia può rappresentare uno fonte di opportunità ma, allo
stesso tempo, un problema per le aziende già affermate. I settori ad alta intensità tecnologica includono sia
settori emergenti, sia settori affermati e ora ci concentreremo principalmente sull’uso della tecnologia
come strumento di strategia competitiva.

1. IL VANTAGGIO COMPETITIVO NEI SETTORI AD ALTA TECNOLOGIA

Presupposto fondamentale è che il collegamento tra tecnologia e vantaggio competitivo è rappresentato


dall’innovazione. Infatti la ricerca del vantaggio competitivo stimola l’innovazione e , quelle di successo,
permettono alle imprese di dominare i propri settori.

- IL PROCESSO INNOVATIVO

L’invenzione è la creazione di nuovi prodotti e nuovi processi, attraverso lo sviluppo di nuova conoscenza o
nuove combinazioni della conoscenza esistente.

L’innovazione, invece, è la commercializzazione di un’invenzione attraverso la produzione e la vendita di un


nuovo bene o servizio, o attraverso l’utilizzo di un nuovo metodo di produzione. Una volta introdotta
l’innovazione si diffonde:

• Dal lato della domanda, con l’acquisto dei beni e dei servizi da parte dei clienti;
• Dal lato dell’offerta, con l’imitazione da parte dei concorrenti.

Un’innovazione può essere il frutto di una singola invenzione o della combinazione di più invenzioni ed infine
molte innovazioni possono incorporare poca o nessuna tecnologia.

- LA CATTURA DEL VALORE DELL’INNOVAZIONE

L’innovazione non è garanzia di fama e di successo, né per gli individui, né per le imprese.

La redditività di un’innovazione per il suo autore dipende dal valore creato dall’innovazione e dalla
percentuale di quel valore di cui l’innovatore riesce ad appropriarsi. Il valore creato si ripartisce a
beneficio di diversi attori tra i quali i fornitori, i clienti, l’innovatore stesso e gli imitatori.
A tale scopo viene utilizzata l’espressione “regime di appropriabilità” per descrivere le condizioni che
influenzano la distribuzione della redditività derivante dall’innovazione:

- In un regime di appropriabilità forte —> l’innovatore è in grado di catturare una quota sostanziale del
valore creato;

- In un regime di appropriabilità debole —> le altre parti in causa ottengono gran parte del valore.

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Il regime di appropriabilità comprende 4 fattori fondamentali che determinano la misura in cui gli innovatori
sono in grado di appropriarsi del valore delle innovazioni:

(A) PROTEZIONI LEGALI DELLA PROPRIETÀ

Catturare i rendimenti derivanti dall’innovazione dipende in gran parte dalla capacità di affermare diritti
di proprietà sull’innovazione stessa. Vi sono diverse aree di proprietà intellettuali, tra le quali :

- I brevetti : essi attribuiscono diritti esclusivi di commercializzazione su un nuovo prodotto, processo,


sostanza o progetto ;

- I diritti d’autore : essi assegnano diritti esclusivi di produzione, pubblicazione e vendita ai creatori di
lavori artistici, letterari, drammatici o musicali ;

- I marchi registrati : essi attribuiscono diritti esclusivi su parole, simboli o altri segni utilizzati per
contraddistinguere i prodotti o servizi di una determinata impresa ;

- I segreti industriali : essi offrono una modesta tutela legale per ricette, formule, processi industriali,
elenchi di clienti e altre informazioni inerenti l’attività di business .

(B) LA CODIFICABILITÀ E LA COMPLESSITÀ DELLA TECNOLOGIA

In assenza di una efficace tutela legale, la misura in cui un’innovazione può essere imitata da un
concorrente dipende dalla facilità con cui essa può essere compresa e replicata, ovvero in primo
luogo alla misura in cui la tecnologia può essere codificata. Per codificata si intende la facilita con cui
essa può essere scritta e, in mancanza di un’efficace protezione è probabile che la diffusione sia rapida
e la ricerca del vantaggio competitivo difficile da sostenere. Una seconda caratteristica che può limitare
la replicabilità o imitazione della tecnologia è legata alla sua complessità poiché più lo è, maggiori
saranno le possibilità di non imitazione.

(C) IL VANTAGGIO TEMPORALE (LEAD TIME)

La conoscenza tacita e la complessità non conferiscono una barriera permanente all’imitazione ma


confluiscono un vantaggio competitivo temporaneo, definito lead time, ovvero quel periodo di tempo
affinché non avvenga la replica da parte degli imitatori. Quindi la sfida per l’innovatore consiste nello
sfruttare questo vantaggio temporaneo iniziale per costruire le competenze e la posizione di mercato
necessarie per consolidare la leadership del settore. Inoltre, questo vantaggio temporaneo (lead time)
permette all’innovatore di percorrere la propria curva di apprendimento prima dei concorrenti.

(D) LE RISORSE COMPLEMENTARI

La diffusione nel mercato di nuovi prodotti e processi non richiede solamente l’innovazione ma anche le
diverse risorse e capacità necessarie per finanziare, produrre, commercializzare l’innovazione. Facciamo
riferimento alle cosiddette risorse complementari. A quest’ultime è possibile accedere attraverso alleanze
con altre imprese e, quando questo avviene, il potere contrattuale dei proprietari di risorse
complementari dipende dalla natura delle risorse complementari :

- Se la natura di tali risorse complementari è generica , essendo facile la loco procura, vi sarà un basso
potere contrattuale dei proprietari ed una bassa dipendenza dell’innovatore ad essi ;

- Se, invece, la natura delle risorse è specializzata , essendo difficile la loro procura, i pochi proprietari di
esse dispongono di un alto potere contrattuale e la dipendenza da parte dell’innovatore è forte.

Dopo diverse analisi, abbiamo evidenziato come i brevetti offrono una tutela limitata rispetto al lead time, alla
segretezza e alle competenze complementari nel campo della produzione, delle vendite e dell’assistenza.

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2. STRATEGIA DI SFRUTTAMENTO DELL’INNOVAZIONE: COME E QUANDO ENTRARE?

Dopo aver definito i fattori principali che determinano i rendimenti dell’innovazione, ora consideriamo alcune
questione fondamentali alla formulazione delle strategie per gestire la tecnologia e sfruttare l’innovazione.

- STRATEGIE ALTERNATIVE PER LO SFRUTTAMENTO DELL’INNOVAZIONE

Cosa dovrebbe fare un’impresa per massimizzare il rendimento delle innovazioni?

Vi possono essere svariate strategie, nelle quali gli estremi sono rappresentati dalla concessione della
licenza alla commercializzazione interna. All’interno di questi due estremi altre strategie che si evidenziano
sono relative alle collaborazioni appor altre imprese, come l’esternalizzazione di determinate funzioni, join
venture oppure alleanze strategiche.
La scelta dell’impresa sulle strategie alternative da adottare dipende da due principali insiemi di fattori:

• Le caratteristiche dell’innovazione: la concessione di licenze è attuabile solo se l’innovazione è soggetta


a diritti di proprietà efficaci e chiaramente ben definiti.
Le licenze presentano due importanti vantaggi:

1) Sollevano l’impresa dalla necessita di sviluppare la gamma completa di risorse e competenze


complementari necessarie per la commercializzazione;

2) Favoriscono una rapida commercializzazione (sfruttamento) dell’innovazione.

• Le risorse e competenze dell’impresa: la scelta di come sfruttare un’innovazione dipende, in maniera


critica, dalle risorse e competenze di cui l’innovatore già dispone. Per esempio, le start-up possiedono
limitate risorse e competenze complementari necessarie per la commercializzazione delle loro innovazioni
e per questo sono sorgete, nella maggior parte dei casi, a concedere le loro innovazioni in licenza o
accedere alle risorse di imprese maggiori mediante l’esternalizzazione, alleanze o join venture.
Alcune grandi imprese, invece, essendo dotate di abbondanti risorse possiedono una lunga tradizione
nella ricerca e nello sviluppo interno delle innovazioni.

- INNOVATORI O IMITATORI: LA SCELTA DEL TEMPO

Un’impresa, con riguardo alla scelta dei tempi con cui entrare in un settore emergente ed introdurre una
tecnologia nuova, si pone l’alternativa tra:

• Investire precocemente nell’innovazione (innovare);

• Attendere che chi investe per primo risolva le principali incertezze tecnologiche e di mercato, che sviluppi
le risorse complementari, per poi recuperare terreno rispetto a chi ha investito per primo (imitare).

Il vantaggio di essere pioniere, ovvero nell’entrare per primo in un nuovo settore, dipende dai seguenti
fattori:

I. La possibilità di tutelare l’innovazione attraverso diritti di proprietà o il lead time:

Se è possibile difendere un’innovazione attraverso la tutela del brevetto, del diritto d’autore o il vantaggio
temporale dell’apprendimento, essere pionieri è probabilmente vantaggioso.

II. L’importanza delle risorse complementari:

Quanto maggiore è l’importanza delle risorse complementari per lo sfruttamento dell’innovazione, tanto
maggiori sono i costi e rischi assunti dall’impresa innovatrice. Quindi dove è cruciale l’importanza delle
risorse complementari, gli imitatori sono i favoriti anche perché, via via che un settore si sviluppa,
emergono imprese specializzate nella fornitura delle risorse complementari.

III. Il potenziale per la creazione di standard tecnici:

Quanto maggiore è l’importanza degli standard tecnici, tanto più grandi sono i vantaggi legati all’essere
pionieri e al poter influenzare questi standard, acquisendo cosi il controllo del mercato necessario per

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raggiungere una posizione di leadership. Questo perché, una volta fissato lo standard tecnico,
difficilmente esso sarà sostituito.

L’implicazione, comunque, è che la scelta ottimale del momento dipende dalle risorse e competenze a
disposizione dell’impresa: imprese diverse hanno diverse finestre strategiche, ovvero periodi di tempo in
cui le loro risorse e competenze sono allineate con le opportunità disponibili nel mercato.

Per una piccola impresa ad alta tecnologia la sua opportunità consiste nel cogliere il vantaggio della prima
mossa e sviluppare solo successivamente le risorse complementari, prima dell’apparizione di rivali più
potenti.
Per le grandi imprese consolidate, le quali dispongono di ingenti risorse finanziarie e forti capacità
produttive, la finestra strategica potrebbe essere più lunga e manifestarsi in un momento successivo
all’innovazione stessa.

- LA GESTIONE DEL RISCHIO

I settori emergenti sono rischiosi; Due sono le principali fonti di incertezza:

• INCERTEZZA TECNOLOGICA: essa consiste nella imprevedibilità dell’evoluzione tecnologica e degli


standard tecnici e modelli dominanti che finiranno per affermarsi;

• INCERTEZZA DI MERCATO: essa è invece legata alle dimensioni e ai tassi di crescita della domanda dei
nuovi prodotti.

Alcune strategie utili alla limitazione del rischio sono le seguenti:

I. Collaborare con gli acquirenti principali (lead user): poiché durante le fasi iniziali dello sviluppo del
settore è essenziale valutare le tendenze del mercato e le richieste dei consumatori per dare una
risposta adeguata ed evitare errori, gli acquirenti principali possono agire da indicatori in grado di :

- Anticipare il mercato;
- Aiutare lo sviluppo di nuovi prodotti/processi
- Contribuire con risorse finanziarie al sostenimento delle spese di sviluppo ;

II. Limitare l’esposizione al rischio, attraverso l’adozione delle seguenti strategie:

- Evitare di ricorrere all’indebitamento (contenerlo);


- Mantenendo bassi i costi fissi;
- Esternalizzare le attività e ricorrere ad alleanze strategiche.

III. La flessibilità: dal momento in cui l’incertezza richiede risposte rapide ad eventi imprevisti è necessario
tenere aperte più opzioni e ritardare l’adozione di un impegno vincolante verso una specifica tecnologia
fino a quando il suo potenziale non è diventato chiaro;

IV. Le strategie multiple: poiché di fronte alla grande incertezza tecnologica, investendo simultaneamente
in più opzioni strategiche comporta ad una maggiore possibilità di successo e ad un più elevato grado di
adattamento alle condizioni mutevoli.

3. STANDARD, PIATTAFORME ED ESTERNALITÀ DI RETE

L’affermazione di uno standard è un evento fondamentale nello sviluppo e nella crescita di un settore e, le
imprese che possiedono gli standard di un settore dispongono di un’importante fonte di vantaggio
competitivo dalla quale possono ottenere rendimenti che nessun altro tipo di vantaggio è in grado di offrire.

Uno standard è un formato, un’interfaccio o un sistema che permette l’interoperabilità. Essi si distinguono in:

• STANDARD PUBBLICI: sono quelli disponibili a tutti gratuitamente o ad un costo irrisorio. Gli standard
pubblici possono essere standard obbligatori stabiliti dal governo e validi in termini di legge, oppure
standard volontari fissati da associazioni di settore non governative.

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• STANDARD PRIVATI: sono quelli nei quali le tecnologie e i modelli sono di proprietà di imprese o
individui. Se possiedo una tecnologica che diventa standard posso deciderla di incorporarla in un prodotto
in vendita o cederla in licenza ad altre aziende.
Nella maggior parte dei casi gli standard sono de facto poiché si impongono attraverso l’adozione
volontaria di produttori e consumatori. Un problema relativo a tale tipologia di standard è che possono
impiegare più tempo ad emergere, generando così duplici investimenti e ritardando lo sviluppo del
mercato. (es. iOS, Android)
Una tipologia poco diffusa ma caratteristica di Android è lo standard open source il quale è disponibile
gratuitamente e può essere usato, adattato e sviluppato da chiunque.

• PIATTAFORME: esse comprendono standard tecnici, sistemi di interfaccia, infrastrutture comuni che
rendono possibili l’esternalità di rete. Le piattaforme possono essere tra utenti (esternalità dirette) e tra
produttori (esternalità indirette). (es. centri commerciali)

Gli standard emergono nei mercati caratterizzati dalla presenza di esternalità di rete. Essa sussiste quando
il valore di un servizio o prodotto per l’utente dipende dal numero di altri utenti che lo utilizzano (positiva). Vi
possono essere anche alcuni prodotti che incorporano esternalità di rete negative, cioè quando il valore
del prodotto è tanto minore quanto maggiore è il numero di persone che acquistano lo stesso prodotto.

Le fonti che scaturiscono le esternalità di rete sono le seguenti:

(1) Prodotti in cui gli utenti sono collegati ad una rete: per esempio i telefoni, le reti ferroviarie e i gruppi
di Instant messging sono reti in cui gli utenti sono collegati fra di loro;

(2) Disponibilità di risorse e servizi complementari;

(3) Risparmio dei costi legati al cambiamento (switching cost): poiché acquistando il prodotto o servizio
più usato c’è una minor possibilità che debba sopportare il costo di dover cambiare.

Le esternalità di rete creano circoli virtuosi e quando la diffusione di uno standard o piattaforma va oltre una
certa soglia critica (tipping Point) può indurre un effetto cumulativo inarrestabile, per cui si diffonde ancora
più velocemente fino a monopolizzare tutti gli spazi disponibili creando un mercato winners-takes-all, i quali
sono dominati da un singolo produttore (Ebay, Microsoft).

Una volta fissati gli standard, essi tendono ad essere difficili da sostituire a causa degli effetti di
apprendimento e di rete.
I primi provocano una continua affinazione e miglioramento della tecnologia e del design mentre i secondi
rendono estremamente costoso il cambiamento.

4. I MERCATI BASATI SULLE PIATTAFORME

La concomitanza tra tecnologie digitali e la connettività ad Internet senza fili ha creato mercati basati sulle
piattaforme, ovvero in cui le esternalità di rete emergono sia in virtù delle connessioni tra utenti, sia
attraverso la disponibilità di prodotti complementari.
Tali mercati basati sulle piattaforme vengono definiti mercati a due lati (o a più lati) perché
costituiscono un’interfaccia tra due gruppi di utenti:

1) Clienti;
2) Fornitori di prodotti complementari.

I sistemi operativi (Android, iOS, windows) sono la quintessenza del concetto di piattaforma. Tuttavia, le
piattaforme non sono presenti solo nei mercati digitali, ad esempio un centro commerciale è una piattaforma
poiché crea un mercato a due lati che comprende sia i rivenditori che affittano i negozi, sia i clienti.

- COMPETERE PER GLI STANDARD

Nei mercati soggetti a esternalità di rete, il controllo degli standard è alla base del vantaggio competitivo
poiché possedere uno standard proprietario può costituire la base per dominare il mercato.

Allora come dobbiamo comportarci per competere? Per individuare o formalizzare una strategia vincente
dobbiamo porci inizialmente due problemi:

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I. Il primo problema consiste nel capire se il mercato in cui si compete convergere verso un unico standard
tecnico —> a tal proposito è richiesta un’attenta analisi della presenza e delle fonti di esternata di
rete;

II. Il secondo problema strategico degli standard è rappresentato dal riconoscere il ruolo del circolo virtuoso
—> Per costruire un “carro del vincitore più grande” è utile a tal fine :

1) Creare anticipatamente alleanze poiché l’impresa avrà bisogno del sostegno dei consumatori, dei
fornitori e persino dei concorrenti ;

2) Prevenire il mercato attraverso un entrata precoce, un rapido sviluppo del prodotto, stringendo
accordi con i clienti fondamentali e attuando una strategia di penetrazione del mercato ( p di
penetrazione ) ;

3) Gestire le aspettative convincendo clienti, fornitori e produttori di beni complementari che voi sarete i
vincitori .

Nelle battaglie sugli standard è estremamente importante garantire la compatibilità con i prodotti già
esistenti. Il vantaggio va in genere al concorrente che adotta una strategia evolutiva (offre cioè
compatibilità a ritrovo, come ad esempio Playstation 2 che garantiva la compatibilità dei giochi con la 1)
anziché una strategia rivoluzionaria.

Infine, secondo Shapiro e Varian le risorse necessarie per vincere una battaglia sugli standard sono le
seguenti:

• Il controllo su un bacino di utenza consolidato;


• La titolarità della proprietà intellettuale della nuova tecnologia;
• La capacità di innovare;
• Il vantaggio delle prime mosse;
• La reputazione ed il marchio;
• Una posizione di vantaggio negli standard complementari.

5. IMPLEMENTAZIONE STRATEGICA DELLA TECNOLOGIA: LA VALORIZZAZIONE


DELL’INNOVAZIONE

L’analisi svolta fino ad ora ha evidenziato come sia possibile generare un vantaggio competitivo attraverso
l’innovazione e le manovre strategiche fondate sulla tecnologia.
Ma, prima di poter generare un vantaggio competitivo attraverso l’innovazione, dobbiamo predisporre di
condizioni che ci consentano poi di realizzare l’innovazione stessa. Quindi la sfida cruciale di
un’impresa che opera in settori emergenti e ad alta tecnologia consiste nel creare queste condizioni.

Mentre l’invenzione dipende solamente dalla creatività, l’innovazione richiede la collaborazione e


l’integrazione fra più funzioni.

Siccome l’innovazione è un atto creativo che richiede conoscenze ed immaginazione, essa ha bisogno di
strutture organizzative differenti rispetto a quelle operative le quali tendono verso l’efficienza. È
necessario quindi collegare le unita di R&S con altre funzioni e competenze dell’impresa.

Un’organizzazione innovativa richiede:

I. Una struttura composta da organizzazione lineare senza controllo gerarchico, gruppi di progetto
orientati verso obiettivi specifici e pochi confini organizzativi;
II. Per quanto concerne i processi, essa richiede enfasi sulla promozione della variazione, pochi controlli
ed una pianificazione strategica e finanziaria flessibile;
III. Un sistema di incentivi basato su autonomia, riconoscimenti, partecipazione in nuove attività rischiose;
IV. L’organizzazione necessita di individui che generino idee e che siano in grado di associare le
conoscenze tecniche richieste con la creatività personale.

6. L’ACCESSO A FONTI ESTERNE D’INNOVAZIONE

La creatività interna non è l’unica fonte di innovazione ma si può avere accesso all’innovazione anche oltre i
confini dell’organizzazione, in particolare modo attraverso:

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• CLIENTI COME FONTE D’INNOVAZIONE:

I clienti possono costituire un’importante fonte di innovazione poiché, come dice il proverbio, la necessità è
la madre di tutte le invenzioni. Quindi la chiave consiste nel creare l’innovazione esplorando le fonti di
insoddisfazione del cliente cosicché da apportare maggiore valore.

• L’OPEN INNOVATION:

Coinvolgendo clienti e fornitori nel processo di innovazione si va verso l’innovazione aperta e cioè un
approccio all’innovazione che cerca, sfrutta e applica la conoscenza all’interno e all’esterno
dell’organizzazione.

• L’ACQUISTO DI INNOVAZIONE:

La fonte principale d’innovazione per molte grandi imprese avviene attraverso l’acquisto in licenza,
l’acquisto di diritti brevettuali o l’acquisizione di aziende giovani e orientate alla tecnologia.

- ORGANIZZARE PER L’INNOVAZIONE

Come abbiamo già detto, affinché la creatività possa creare valore è necessario guidarla ed indirizzarla.
L’obiettivo quindi consiste nel conciliare libertà d’azione con disciplina ed integrazione.

Infatti, il successo di una nuova tecnologia esige di integrare creatività e competenze tecnologiche con le
competenze associate alla fase di produzione, commercializzazione, finanziamento, distribuzione e
assistenza alla clientela.
Fra le iniziative creative che mirano allo sviluppo di nuovi prodotti ed allo sfruttamento di nuove tecnologie
troviamo:

I. I GRUPPI INTER-FUNZIONALI DI SVILUPPO DEL PRODOTTO

Si sono rilevati molti efficaci nell’integrare la creatività con l’efficacia funzionale. Essi presentano
un’organizzazione strutturata in gruppi composti da specialisti provenienti da diversi dipartimenti e guidati
da un responsabile di gruppo.

II. I PRODUCT CHAMPION

Essi forniscono uno strumento per, in primo luogo, integrare la creatività individuale all’interno dei
processi organizzativi e, in secondo luogo, per collegare l’invenzione alla sua successiva
commercializzazione. Il punto cruciale di tali prodotti è che essi permettono agli individui che sono
all’origine di idee creative di guidare i gruppi che sviluppano queste idee ed estendere tale guida anche
alla fase di commercializzazione. Individui cosi coinvolti possono superare la resistenza al cambiamento.

III. GLI INCUBATORI AZIENDALI

Si tratta di programmi di sviluppo di nuove attività, istituiti per finanziare e far crescere nuovi business
basati su tecnologie sviluppate internamente per poi venderle.

CAPITOLO 10: IL VANATGGIO COMPETITIVO NEI SETTORI MATURI

I settori maturi presentano ambienti stimolanti per la formulazione e implementazione delle strategie di
business. La concorrenza, specialmente quella di prezzo, è molto intensa e il vantaggio competitivo è difficile
da raggiungere e sostenere: il vantaggio di costo è vulnerabile mentre le opportunità di differenziazione sono
limitate dalla tendenza alla standardizzazione.

1. I FATTORI CRITICI DI SUCCESSO NEI SETTORI MATURI

L’analisi del ciclo di vita dei settori suggerisce che la maturità di un settore compromette la redditività
poiché, in primo luogo la capacità produttiva in eccesso e la standardizzazione del prodotto aumentano la
pressione concorrenziale ed in secondo luogo è più difficile raggiungere un vantaggio competitivo duraturo
perché:

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(a) La maggiore conoscenza degli acquirenti, la standardizzazione del prodotto e l’assenza di cambiamento
tecnologico comportano maggiori difficolta nel tentativo di perseguire un vantaggio di differenziazione;

(b) Il vantaggio di costo è difficile da raggiungere r soprattutto da sostenere poiché è più vulnerabile data la
concorrenza internazionale;

(c) Entrate facili grazie ad una sviluppata infrastruttura del settore.

Ciò nonostante nei settori maturi è comunque possibile raggiungere tale vantaggio competitivo attraverso
l’individuazione dei seguenti FCS:

• IL VANTAGGIO DI COSTO

La standardizzazione del prodotto implica che l’efficienza di costo sia la base principale del vantaggio
competitivo in molti settori maturi. 3 sono le principali determinati dei costi :

(a) Economie di scala : la crescente standardizzazione, accompagnata alla maturità del settore, da
notevole contributo nello sfruttamento di tali economie ;

(b) Accesso agli input a basso costo : la ricerca di tali input a basso costo spiega la migrazione dei settori
maturi da paesi con economie avanzate a paesi in fase di industrializzazione ;

(c) Bassi costi generali : coloro che riescono a contenere maggiormente i costi generali sono le imprese
più redditizie dei settori maturi.

Tali riduzioni di costo richiedono interventi drastici —> Le ristrutturazioni aziendali impongono una
riduzione dei costi attraverso l’esternalizzazione, la riduzione del personale e il ridimensionamento ma
nello stesso tempo devono aumentare la produttività e sfoltire le attività.

• POLITICHE DI POSIZIONAMENTO

Nei settori maturi la scelta del segmento in cui posizionarsi è di fondamentale importanza. Per esempio, la
propensione dei leader di mercato a posizionarsi nel mercato di massa crea opportunità per le imprese di
modeste dimensioni di soddisfare i bisogni della clientela ignorati.

Quindi, al deteriorarsi dell’ambiente generale del settore, diventa sempre più importante individuare
segmenti attraenti e selezionare successivamente i clienti più vantaggiosi. Una pratica molto diffusa
consiste nell’analizzare le caratteristiche e le preferenze individuali per poi organizzare campagne di
marketing dirette al singolo consumatore.

• LA RICERCA DELLA DIFFERENZIAZIONE

Quando la presenza di una forte concorrenza internazionale implica un difficile vantaggio di costo allora la
differenziazione diventa uno strumento particolarmente appetibile per i settori maturi. La tendenza verso la
standardizzazione del prodotto però provoca una limitazione delle opportunità e allo stesso tempo
dissuade il consumatore dal pagare un prezzo superiore per un prodotto differenziato.
Di conseguenza l’enfasi si sposta sulla differenziazione estrinseca (d’immagine) e sulla differenziazione
basata sui servizi supplementari.

• L’INNOVAZIONE

Abbiamo descritto i settori maturi come settori nei quali vi è bassa innovazione di prodotto e di processo e
quindi la maggior parte delle opportunità di raggiungere un vantaggio competitivo tende a derivare
dall’innovazione strategica. Diversi sono gli approcci per l’innovazione strategica :

(-) Riconfigurazione della catena del valore :

Consistente nel ristrutturare le attività dell’impresa cambiando la gamma e il peso delle attività, i
collegamenti tra le attività ed infine i collegamenti tra impresa e ambiente ;

(-) Acquisizione di nuovi gruppi di clienti :

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Individuando i segmenti più vantaggiosi nel settore in via di maturazione ;

(-) Ampliamento, raggruppamento e associazione di temi :

Uno degli approcci di maggiore successo alla differenziazione in settori maturi consiste nel completare la
proposta commerciale principale con prodotti e servizi aggiuntivi. L’ampliamento ed il raggruppamento del
prodotto possono essere estesi fino a coinvolgere il cliente in un’esperienza globale.

(-) Soluzioni per il cliente

Un approccio alternativo per la differenziazione attraverso il raggruppamento di prodotti e servizi è l’offerta


di soluzioni per il cliente, ovvero un gruppo integrato di prodotti e servizi di supporto offerti in un pacchetto
personalizzato.

(-) Emancipazione della mentalità della maturità:

Si tratta di svincolarsi dai limiti cognitivi associati alla nozione di maturità, ovvero della capaciterei dirigenti
di impedire che le convenzioni del settore imprigionino le loro imprese dentro un mondo convenzionale di
pensare alla strategia. Ciò significa creare un’organizzazione in cui i dirigenti siano incoraggiati a
sperimentare e apprendere.

Il problema è che rompere con le convenzioni del settore implica la necessità di confrontarsi con i sistemi
di opinione prevalenti al suo interno ed è un motivo per cui l’innovazione strategica nei settori maturi è
spesso associata ad aziende provenienti dall’esterno (da settori adiacenti o aziende periferiche) e dai
nuovi entranti. Al contrario le imprese già consolidate non riesco ad innovare poiché sono vincolate da
fattori rimasti incorporati nelle strutture organizzative come le ricette di settore, le relazioni con clienti e
fornitori e le routine organizzative.

2. L’IMPLEMENTAZIONE STRATEGICA NEI SETTORI MATURI

Nella maggior parte dei settori maturi il fattore fondamentale di vantaggio competitivo è l’efficienza
operativa, anche se, come abbiamo visto, l’efficienza di costo deve essere resa compatibile con
l’innovazione e la reattività alle richieste della clientela.

La ricetta tradizionale suggerita per gli ambienti stabili consisteva in organizzazioni meccanicistiche,
ovvero caratterizzati da una struttura accentrata, ruoli ben definiti e comunicazione orientata
prevalentemente in senso verticale:

(1) L’efficienza, quindi, è ottenuta attraverso routine standardizzate, la parcellizzazione del lavoro e uno
stretto controllo manageriale su principi burocratici;
(2) Inoltre, la divisione del lavoro riguarda sia i dirigenti sia i ruoli operativi.

Questa qui descritta da Mintzberg è una visione estrema ma, nella maggior parte dei settori maturi, le
caratteristiche delle organizzazioni meccanicistiche sono evidenti in operazioni fortemente routinarie,
controllate da regole e procedure dettagliate.

Le tendenze però stanno mutando poiché mentre prima il vantaggio competitivo nei settori maturi si limitava
a richiede un vantaggio di costo da conseguire mediante la scala operativa, la divisone del lavoro, le regole,
il controllo gerarchico e obiettivi di performance, oggi i requisiti e le strategie necessarie sono diventata
molto più complessi : In termini di efficienza di costo, i vantaggi di scala hanno perso molta importanza
rispetto alla flessibilità nello sfruttamento di input poco costosi e all’esternalizzazione verso specialisti
sempre a basso costo. Tuttavia, per perseguire l’obiettivo di efficienza sono necessari sistemi gestionali
che consentano la disaggregazione degli obiettivi a livello dell’intera azienda in obiettivi di
performance specifici per dipartimenti e individui.

Quindi il modello convenzionale utilizzato per rendere compatibili efficienza e innovazione in aziende mature
è la differenziazione interna.

3. LE STRATEGIE NEI SETTORI IN DECLINO

Generalmente la transizione dalla fase di maturità a quella di declino può essere il risultato di:
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• Un avvicendamento tecnologico;
• Di mutamenti nelle preferenze dei consumatori;
• Di fenomeni demografici;
• Concorrenza straniera

Le caratteristiche fondamentali dei settori in declino sono:

- Eccesso di capacità;
- Assenza di innovazione tecnologica;
- Numero di concorrenti in diminuzione;
- Nuovi entranti che rilevano a basso prezzo gli impianti e macchinari delle imprese che abbandonano;
- Elevata età media delle risorse (sia fisiche che umane);
- Concorrenza di prezzo aggressiva.

Vi sono però due fattori fondamentali che possono trasformare un settore in declino in un’arena di
competitività caratterizzata da una feroce concorrenza, e questi sono:

(A) L’EQUILIBRIO TRA CAPACITÀ PRODUTTIVA ED IL LIVELLO DI PRODUZIONE;


(B) LE CARATTERISTICHE DELLA DOMANDA DEL PRODOTTO O SERVIZIO.

Il costante riallineamento della capacità produttiva di settore alla diminuzione della domanda è la chiave per
la stabilità e la redditività durante la fase di declino.
La facilità con cui l’eccesso di capacità si adegua al declino della domanda dipende dai seguenti fattori:

I. La prevedibilità del declino della domanda: se il declino può essere previsto aumenta la possibilità
che lue imprese riescano a pianificarlo e quindi adeguarsi tempestivamente;

II. Le barriere all’uscita : esse rappresentano un ostacolo all’adeguamento della capacità produttiva e le
principali sono :

(-) Gli investimenti durevoli e di difficile riconversione in impianti e macchinari specializzati con vita utile
lunga ;

(-) I costi connessi alla chiusura degli impianti come le liquidazioni per i dipendenti, pagamento penali e
costi di demolizione ;

(-) La riluttanza del manager poiché potrebbe avere incapacità nell’accettare il fallimento o un sentimento
di lealtà nei confronti dei dipendenti che può rendere difficile la cessazione dell’impresa.

III. Le strategie delle imprese superstiti: Quanto più rapidamente le imprese si rendono conto del
problema, tanto più è probabile che un’azione coordinata possa eliminare l’eccesso di capacità. Le
imorese più forti di un settore possono facilitare l’uscita dei concorrenti più deboli offrendosi di acquistare
i loro impianti (Roll-ups) e di farsi carico dei loro impegni contrattuali.

- LE OPZIONI STRATEGICHE NEI SETTORI IN DECLINO

Le raccomandazioni strategiche convenzionali per i settori in declino sono la dismissione e la mietitura,


ovvero generando il massimo flusso di cassa degli investimenti esistenti senza investire ulteriormente.
Queste strategie si sfruttano quando il settore non è redditizio mentre se vi è potenziale di profitto allora vi
sono 4 strategie (opzioni strategiche) perseguibili:

• LEADERSHIP: acquisendo la leadership in un settore, un’impresa può porsi in una situazione di assoluto
vantaggio rispetto ai concorrenti e ricoprire un ruolo dominante nella fase finale del ciclo di vita del settore.
Una volta ottenuta la leadership l’impresa può passare ad una strategia di mietitura e garantirsi cosi un
notevole flusso di profitti. Per ottenere una posizione di leadership l’impresa può:

- Acquisire i suoi concorrenti aumentando la quota di mercato ;


- Incoraggiando l’uscita dei concorrenti e acquisendo poi i loro impianti ;
- Aiutando i concorrenti ad abbattere i costi di uscita ;

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- Diffondendo previsioni pessimistiche circa il futuro del settore ;
- Intraprendendo iniziative che sollevano il costo di rimanere nel settore.

• NICCHIA: cioè identificare un segmento di mercato, la cui domanda è probabile che si manterrà stabile e
che difficilmente sarà occupato da altre imprese, perseguendo poi una strategia di leadership al suo
interno. Le nicchie più attraenti sono quelle in cui la domanda è particolarmente anelastica rispetto al
prezzo.

• MIETITURA: consiste nel massimizzare il flusso di cassa sulla base delle attività esistenti, cercando di
evitare nuovi investimenti. Tale strategia cerca di incrementare i margini aumentando, dove è possibile, i
prezzi e tagliando i costi attraverso la riduzione del numero di modelli, di canali serviti e di tipologia di
clienti.

• DISINVESTIMENTO: se il futuro appare particolarmente tetro, la strategia migliore può essere una
dismissione quando il declino è ancora nelle fasi iniziali e ile previsioni degli altri attori non sono ancora del
tutto negative.

La scelta della strategia appropriata richiede l’analisi delle opportunità residuali del settore e il loro confronto
con la posizione competitiva dell’impresa.

CAPITOLO 11: L’ANALISI DELLE INTEGRAZIONE VERTICALE

- L’APPROCCIO DEI COSTI DI TRANSIZIONE

Distinguiamo, inizialmente tra:

(a) Strategia di business: essa si occupa su come un’impresa deve competere in una specifica area di
business

(b) Strategia di gruppo: essa si concentra su dove un’impresa deve competere, i mercati in cui opera ed il
suo campo d’azione

In riferimento a quest’ultima, essa riguarda essenzialmente le decisioni relative alla diversificazione delle
attività di un’impresa, le quali sono: la diversificazione verticale (integrazione verticale), la
diversificazione geografica (multinazionalità) e la diversificazione del prodotto.

All’interno del sistema capitalistico vi sono due forme di organizzazione delle attività economiche:

1. Il meccanismo di mercato: le decisioni sono guidate unicamente dalla conoscenza di prezzi di vendita,
in base ai quali individui ed imprese prendono decisioni economiche indipendenti (acquisto, vendita,
produzione e consumo, allocazione risorse). Viene definita “mano invisibile” poiché il coordinamento non
richiede pianificazione e controlli;

2. Il meccanismo organizzativo (o amministrativo): nel quale le decisioni relative a produzione e


allocazione delle risorse sono prese dai manager e imposte tramite l’autorità, ovvero sono soggette a
meccanismi di controllo accentrato; Viene definita “mano visibile” poiché il coordinamento implica
pianificazione e controllo.

Quale meccanismo di coordinamento di governo è più efficiente, e quindi cosa determina quali attività
saranno svolte all’interno di un’impresa e quali esternalizzate?

Tutto ciò dipende dai relativi costi:

• I costi di transizione sono i costi d’uso del mercato, ovvero i costi di negoziazione e di stipulazione del
contratto, di monitoraggio e di risoluzione di eventuali dispute;

• I costi amministrativi sono i costi d’uso del meccanismo amministrativo, ovvero i costi di squilibrio e
impiego inefficiente delle capacità, i costi legati alla perdita dei vantaggi di apprendimento, i costi legati alla
difficolta di gestione;

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Quindi se i costi di transizione associati al coordinamento del mercato sono maggiori dei costi
amministrativi del coordinamento interno dell’impresa, allora l’integrazione è preferibile alla
specializzazione, l’impresa è meglio del mercato ed infine il meccanismo amministrativo è preferibile
a quello del mercato.

La tendenza di oggi è verso i mercati poiché l’ambiente turbolento e le nuove tecnologie dell’informazione e
della comunicazione hanno favorito tale coordinamento.

2. BENEFICI E COSTI DELL’INTEGRAZIONE VERTICALE

Concentrandoci sull’integrazione verticale ci dobbiamo porre tale domanda:

- È meglio essere verticalmente integrati o verticalmente specializzati? In relazione ad un’attività è meglio


svolgerla o comprarla?

Con l’espressione integrazione verticale ci si riferisce all’internalizzazione da parte di un’impresa di più fasi
del processo verticale di produzione di un prodotto. L’estensione dell’integrazione verticale è indicata dal
numero di fasi produttive della catena del valore.

L’integrazione verticale può essere:

I. A monte: quando l’azienda assume il controllo e la proprietà della produzione delle proprie componenti o
di altri input;

II. A valle: quando l’azienda assume il controllo e la proprietà di attività precedentemente svolte dai propri
clienti;

III. Completa;

IV. Parziale.

Per la maggior parte del ventunesimo secolo l’opinione prevalente era che l’integrazione verticale fosse
vantaggiosa in generale poiché consentita un maggior coordinamento ed un mino rischio ma negli ultimi 30
anni vi è stata una radicale trasformazione di questo punto di vista. Oggi si pensa che esternalizzare rafforzi
la flessibilità consentendo alle imprese di concentrarsi sulle attività per le quali dispongono di maggiori
competenze.

- I VANTAGGI ( BENEFICI ) DELL’INTEGRAZIONE FISICA DEI PROCESSI

I sostenitori dell’integrazione verticale hanno spesso enfatizzato le economie tecniche, le quali offrono i
risparmi di costo generati grazie alla integrazione fisica dei processi.
§Esse emergono dall’integrazione di attività tecnologicamente separabili ma non bastano per spiegare la
necessità di riunire la produzione sotto la medesima proprietà.

I vantaggi legati all’integrazione sono evidenti poiché il coordinamento di imprese indipendenti richiederebbe
investimenti altamente specifici, dai quali deriverebbero incertezze e problemi. Questa specificità è la fonte
dei costi di transizione, quindi è preferibile adottare un sistema di integrazione verticale per:

- Evitare i corti di transizione;


- Evitare comportamenti opportunistici e costi legali;
- Beneficiare di un migliore coordinamento.

- I COSTI DELL’INTEGRAZIONE VERTICALE

L’adozione di un sistema di integrazione verticale permette di evitare i costi di transizione connessi all’uso
del mercato ma, nello stesso tempo, comporta costi amministrativi, la quale identità dipende dai seguenti
fattori:

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I. Notevoli differenze di scala tra fasi differenti di produzione —> tali differenze possono impedire
un’integrazione verticale poiché i costi degli squilibri potrebbero superare i vantaggi dell’integrazione,
specialmente per le piccole imprese le quali non dispongono delle risorse necessarie.

II. Necessita di sviluppare competenze distintive —> Un vantaggio di un’impresa specializzata è la sua
capacità di sviluppare competenze distintive in queste attività. Quindi l’integrazione di attività
specializzate in senso verticale può ostacolare lo sviluppo di competenze;

III. Difficolta nel gestire differenti attività stop il profilo strategico e manageriale —> attività
specializzate verticalmente collegate possono richiedere diverse capacità manageriali poiché operano
in tipologie differenti di ambiente economico o si basano sullo sfruttamento di tipi diversi di risorse e
competenze;

IV. I problemi legati agli incentivi —> L’integrazione verticale altera gli incentivi tra attività collegate
verticalmente. Quando acquirente e venditore interagiscono tramite il mercato l’incentivo del profitto
garantisce che l’acquirente sia motivato ad ottenere le migliori condizioni possibili mentre il venditore è
motivato a garantire l’efficienza. Questo viene definito incentivo forte (high powered). Con l’integrazione
verticale le relazioni interne tra fornitore e clienti sono soggette a incentivi deboli (Low powered). Un
approccio alla creazione di incentivi più potenti all’interno delle imprese verticalmente integrate è
l’apertura delle divisioni interne alla concorrenza proveniente dall’estero;

V. Gli effetti competitivi —> Per un monopolista uno dei benefici dell’integrazione verticale può essere
estendere una posizione di monopolio da uno stadio della catena del valore a uno stadio contiguo.
Invece, per un’azienda non monopolista, l’integrazione verticale rischia di diventare dannosa per la
propria posizione competitiva poiché, se integra a valle diventa concorrente dei propri clienti, mentre
se integra a monte diventa concorrente dei propri fornitori.

VI. Limitata flessibilità —> L’integrazione verticale è soggetta a limiti di flessibilità quando (1) deve
rispondere alle fluttuazioni della domanda in maniera rapida; (2) deve rispondere rapidamente a
cambiamenti tecnologici o alle preferenze dei clienti.
Per contro, quando è richiesta una flessibilità diffusa a livello di sistema, l’integrazione verticale può
garantire velocità e coordinamento nell’effettuare adattamenti simultanei su tutti i livelli.

VII. Aggregazione dei rischi —> Dal momento in cui l’integrazione verticale lega saldamente un’impresa ai
suoi fornitori, genera anche una serie di rischi, dal momento che un qualsiasi problema a monte si
ripercuote su tutti gli stadi successivi della produzione. Tali problemi diventano particolarmente gravi
quando la tecnologia o le preferenze dei consumatori cambiano rapidamente.

VIII. Integrazione e attrattivi di un settore —> Uno dei più grandi svantaggi legati all’integrazione
verticale è la possibilità che l’investimento venga fatto in un settore fondamentalmente poco attraente.

Come abbiamo visto l’integrazione verticale non né buona, né cattiva ma dipende dal contesto specifico.
L’utilità della nostra analisi sta nel fatto che ora siamo in grado di identificare i fattori che determinano le
decisioni di make or buy, ovvero i fattori che posso determinare un vantaggio di transizione di mercato
oppure di internalizzazione.

3. LA NATURA E LA FORMA DELLE RELAZIONI VERTICALI

Fino ad ora abbiamo messo confronto l’integrazione verticale con i contratti di mercato diretti ma, nella
realtà, vi sono altre tipologie intermedie di relazioni verticali che combinano i vantaggi della transizione e
dell’integrazione. I diversi tipi di relazioni tra acquirenti e venditori possono essere classificati sulla base di 2
caratteristiche:

(1) La misura in cui acquirente e venditore impegnano risorse nella relazione: per esempio il carattere di
mercato dei contratti occasionali non comporta investimenti specifici, al contrario dell’integrazione
verticale in senso proprio che comporta specifici investimenti di risorse;

(2) Le caratteristiche fondamentali della relazione: per esempio i contratti a lungo termine e il franchising
comportano accordi scritti, i contratti occasionali non richiedono alcuna documentazione, gli accordi di
collaborazione si basano solamente sulla fiducia.

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Quindi l’integrazione verticale può essere più o meno formale a discrezione del management. Ora seguono i
diversi tipi di relazione verticale:

• I CONTRATTI A LUNGO TERMINE. Le transizioni di mercato possono consistere in contratti spot e


contratti a lungo termine (serie di transizioni durante un arco di tempo determinato, dove sia specificano le
condizioni di vendita e le responsabilità).
Le transizioni spot funzionano a meraviglia in mercati in condizione di libera concorrenza, ovvero quando
a nessuna delle pareti è richiesto di compiere investimenti specifici.
Occorre stipulare invece contratti a lungo termine quando sorge la necessita di uno stretto legame tra
acquirente e fornitore, in particolare se una delle due parti è costretta ad effettuare investimenti specifici.

• LE PARTNERSHIP CON I FORNITORI. Si tratta di relazioni verticali basate sulla fiducia e sulla
comprensione reciproca. Queste relazioni forniscono la sicurezza necessaria per investimenti specifici,
inoltre forniscono flessibilità ottimale e incentivi attui ad evitare comportamenti opportunistici. Queste intese
potrebbero consistere in contratti relazionali, senza alcun accordo scritto.
• IL FRANCHISING. Esso consiste in un accordo contrattuale fra il proprietario di un’impresa e un marchio
registrato (franchiser) , il quale permette al concessionario (franchisee) di produrre e commercializzare il
prodotto o servizio del franchiser in una determinata area.
Tale tipologia di relazione verticale combina i vantaggi dell’integrazione - in termini di coordinamento e
investimento - con i vantaggi dei contratti di mercato - in termini di incentivi forti e flessibilità.

4. LA SCELTA TRA FORME ALTERNATIVE DI RELAZIONE VERTICALE

L’individuazione delle relazioni verticali ottimali deve tenere conto di questioni fondamentali quali:

I. RISORSE, COMPETENZE E STRATEGIA

All’interno dello stesso fattore aziende diverse sceglieranno organizzazioni verticali diverse a seconda
delle proprie risorse di reazione, competenze di punta e strategie seguite.

II. ALLOCAZIONE DEL RISCHIO

Eccezione fatta per i contratti spot, qualunque accordo deve cercare di prevenire tutti gli imprevisti che si
possono manifestare durante l’esecuzione del contratto.
Le condizioni contrattuali implicano, come sappiamo, una ripartizione del rischio tra le parti e, tale
suddivisone, dipende in parte dal potere contrattuale delle parti e in parte da considerazioni
sull’efficienza. (per esempio negli accordi di franchising, il franchisee essendo il più debole è lui che
deve sopportare la maggior parte del rischio).

III. STRUTTURA DEGLI INCENTIVI


Essi, come sappiamo, sono un elemento fondamentale della definizione delle relazioni verticali.
L’incentivazione di comportamenti opportunistici è un problema dei contratti di mercato mentre gli
incentivi di performance deboli costituiscono il problema centrale dell’integrazione verticale.
Allora sistemi di gestione ibridi e intermedi possono offrire alcune delle soluzioni migliori ai vari problemi
legati agli incentivi.

CAPITOLO 12: STRATEGIE GLOBALI E IMPRESE MULTINAZIONALI

1. CONCORRENZA INTERNAZIONALE E ANALISI DI SETTORE

Vi sono state due grandi forze che hanno determinato il cambiamento dell’attività economica mondiale nel
corso degli ultimi cinquant’anni: una forza è rappresentata dalla tecnologia e l’altra
dall’internazionalizzazione. Quest’ultima, l’internazionalizzazione, è una fonte di enormi opportunità ma,
allo stesso tempo, può anche essere un potente fattore distruttivo.

Essa avviene attraverso due meccanismi:

A. Il commercio, ovvero l’acquisto e la vendita di beni e servizi da un Paese all’altro;

B. L’investimento diretto, ovvero la creazione o l’acquisizione di attività produttive in un altro paese.


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Su tale base è possibile identificare diversi tipi di settore:

I. I SETTORI PROTETTI
Essi sono caratterizzati da un basso livello di commercio internazionale ed un basso livello di
investimento estero diretto.
Sono serviti solo da imprese nazionali e sono al riparo dalle importazioni e sia dall’investimento diretto
grazie a regolamentazioni, barriere all’entrata e dalla natura localizzata dei beni e servizi.

II. I SETTORI INTERNAZIONALI


Essi sono caratterizzati da un alto commercio internazionale e basso investimento estero diretto.
Qui l’internazionalizzazione si manifesta attraverso le importazioni e le esportazioni. Se un prodotto è
trasportabile, non è differenziato a livello nazionale e soggetto a sostanziali economie di scala, allora
esportare da una località è il modo più efficiente di accedere ai mercati stranieri.

III. I SETTORI MULTIDOMESTICI


Essi sono caratterizzati da un basso livello di commercio internazionale ma da un alto livello di
investimenti esteri diretti.
Qui l’internazionalizzazione avviene prevalentemente attraverso l’investimento diretto poiché il
commercio non è praticabile (servizi finanziari, di consulenza, alberghieri) oppure perché i prodotti sono
differenziati a livello nazionale (pasti surgelati, case editrici).

IV. I SETTORI GLOBALI


Essi sono caratterizzati sia da un alto livello di commercio internazionale sia due alto livello di
investimenti diretti.

Il processo di internazionalizzazione delle imprese avviene sequenzialmente, iniziando con l’esportazione ai


paesi con differenze psicologiche minime rispetto alla nazione di residenza per poi estendere e approfondire
il proprio coinvolgimento ed eventualmente stabilire nel Paese straniero una sede di produzione distaccata.
Nel settore dei servizi l’esportazione non è solitamente fattibile, quindi l’internazionalizzazione prevede
l’investimento diretto o l’accordo di licenza.

L’internazionalizzazione implica di norma una maggiore competizione e una minore redditività settoriale.
Essa influenza in maniera diretta tre delle cinque forze della concorrenza di Porter:

• La concorrenza dei potenziali entranti: l’internazionalizzazione rappresenta sia la causa, sia la


conseguenza dell’erosione delle barriere all’entrata nella maggior parte dei mercati nazionali. Ciò avviene
poiché essa contribuisce ad abbassare le tariffe e i costi di trasporto, internazionalizza e omologa gli
standard, converge le preferenze dei consumatori e rimuovi i controlli sui consumi.

• La rivalità tra imprese inesistenti: il processo di internazionalizzazione accresce la rivalità interna


soprattutto perché aumenta il numero di aziende che competono all’interno di ciascun mercato nazionale.
Viceversa, riduce la concentrazione dal lato dell’offerta. In aggiunta, oltre ad intensificare la rivalità, essa
incrementa gli investimenti in capacità produttiva e la diversità di concorrenza in ciascun mercato
nazionale.

• L’aumento del potere contrattuale degli acquirenti: poiché l’internazionalizzazione comporta una più
ampia scelta di fornitori a disposizione degli acquirenti (distributori o consumatori).

2. IL VANTAGGIO COMPETITIVO NEL CONTESTO INTERNAZIONALE

L’aumento della concorrenza internazionale è associato ad alcune sorprendenti variazioni nelle posizioni
competitive. Per un’impresa che vuole conseguire un vantaggio competitivo, in un contesto internazionale,
deve esserci corrispondenza tra:

• Le risorse e competenze interne che ha a disposizione l’impresa;

• I fattori critici di successo del settore, ovvero dalle condizioni dell’ambiente nazionale, in particolare
dalla disponibilità di risorse nei paesi in cui operano.

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- INFLUENZE NAZIONALI SULLA POSIZIONE COMPETITIVA: IL VANTAGGIO COMPARATO

La teoria del vantaggio comparato sostiene che un Paese gode di un vantaggio comparato in qui beni la
cui produzione richiede un uso intensivo delle risorse che il paese ha in abbondanza. Per vantaggio
comparato ci si riferisce all’efficienza nella produzione di beni diversi e quindi, fintanto che i tassi di
cambio sono stabili, il vantaggio comparato si traduce in vantaggio competitivo.
La teoria ha posto l’accento sul ruolo svolto dalle risorse naturali, dalla manodopera e dalla disponibilità di
capitali, tuttavia hanno rilevanza anche le risorse sviluppate internamente, ovvero la conoscenza e le
risorse necessarie a commercializzare tale conoscenza.

- IL VANTAGGIO COMPETITIVO DEI PAESI SECONDO PORTER

Porter ha esteso la teoria del vantaggio comparato proponendo che il ruolo chiave dell’ambiente nazionale,
sulle capacità dell’impresa di ottenere un vantaggio competitivo internazionale, consista negli effetti che
(l’influenza dell’ambiente) ha sulle dinamiche attraverso le quali si sviluppano risorse e competenze.

Non vi quindi più la dotazione statica di risorse naturali ma un elemento dinamico: processi di
apprendimento di competenze specializzate specifiche al contesto che ne favorisce lo sviluppo.
Quindi sviluppo di competenze specifiche piuttosto che stock di risorse generiche.

Il modello del diamante nazionale di Porter identifica 4 fattori chiave alla base del vantaggio competitivo di
un paese all’interno di uno specifico settore:

• LE CONDIZIONI DEI FATTORI. Mentre il vantaggio comportato enfatizza la dotazione di rosse generiche,
Porter enfatizza risorse specializzate, molte delle quali sviluppate internamente piuttosto che disponibili
come dotazione preesistente (staticità) .

• SETTORI CORRELATI E DI SOSTEGNO. I punti di forza competitivi nazionali tendono a essere associati
a raggruppamenti di settori, cosicché per ciascun settore le imprese più strettamente collegate
rappresentano fonti di risorse e competenze critiche.

• LE CONDIZIONI DLLA DOMANDA. Tali condizioni di domanda nel mercato interno dell’impresa possono
favorire stimoli all’innovazione e miglioramento della qualità.

• STRATEGIA, STRUTTURA E CONCORRENZA. Il vantaggio competitivo internazionale dipende dalle


interazioni di un’impresa operante all’interno di un particolare settore con i propri mercati nazionali.
Il ruolo della concorrenza specifica nel mercato interno ( tra imprese nazionali ) può favorire stimoli per
l’innovazione, migliore qualità ed efficienza.

- COERENZA FRA STRATEGIA E CONDIZIONI NAZIONALI

Per stabilire un vantaggio competitivo nei settori globali occorre che vi sia congruenza tra la strategia di
business e le caratteristiche del vantaggio comparato del Paese di riferimento dell’impresa.
Per realizzare la congruenza tra strategia dell’azienda e le condizioni nazionali è necessario inoltre
incorporare la cultura nazionale all’interno della strategia e dei sistemi gestionali.

3. LA LOCALIZZAZIONE INTERNAZIONALE DELLA PRODUZIONE

Per comprendere come le condizioni nazionali delle risorse influiscano sulle strategie di
internazionalizzazione, dobbiamo esaminare due tipologie di decisone strategica:

- Dove localizzare la produzione (localizzazione geografica) —> scelta del Paese in cui svolgere
un’attività dell’impresa, allo scopo di beneficiare di vantaggi specifici del Paese, tramite l’investimento
diretto;

- Come entrare in un mercato estero (strategia di entrata) —> Scelta dei Paesi in cui vendere i prodotti
e delle modalità di ingresso nei mercati nazionali (esportazione o investimento diretto).

- LE DETERMINANTI DELLA LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA

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Per prendere una decisione relativa alla localizzazione geografica, vi sono 3 considerazioni:

1. Risorse del Paese (disponibilità a livello nazionale): le imprese dovrebbero produrre dove possono
trarre beneficio da condizioni di disponibilità di risorse favorevoli. Le condizioni fanno riferimento ai costi
delle risorse e alla loro disponibilità;

2. Risorse e competenze delle imprese: per le imprese il cui vantaggio competitivo è generato dalle
risorse e competenze interne, la localizzazione ottimale dipende da dove sia possibile reperirle e dal loro
grado di mobilita (ovvero se sia possibile spostarle o meno);

3. Trasferibilità dei beni : quanto più difficile è trasportare il prodotto, e quanto maggiori sono le barriere al
commercio, tanto più la produzione deve avvenire nel luogo del Paese che ne è i mercato di
destinazione.

La produzione della maggior parte dei beni e servizi è composta da una catena verticale di attività, le cui
caratteristiche variano molto da una fase all’altra. Di conseguenza Paesi diversi offrono diversi vantaggi in
corrispondenza di diversi stadi della catena del valore.

Una caratteristica fondamentale del recente processo di internazionalizzazione è stata la frammentazione


su scala internazionale delle catene del valore. Tale frammentazione è stata determinata dal tentativo da
parte delle imprese di localizzarsi nei paesi in cui la disponibilità di risorse e i livelli di costo meglio si
adattano a ciascuno stadio della stessa catena del valore.

I benefici associati alla frammentazione della catena del valore hanno come controparte i costi
supplementari generati dalla necessita di coordinare le varie attività disperse su scala mondiale. Oltre i costi
legati al trasporto e alle scorte, si aggiunge il costo cruciale del tempo.

4. L’ENTRATA IN UN MERCATO ESTERO

Le imprese decidono di entrare in mercati esteri alla ricerca di ricavi e di redditività. Il successo di un’impresa
nella realizzazione di ricavi e profitti in un mercato estero dipende dalla sua abilità nella creazione di un
vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti e alle altre multinazionali rivali.
Vi sono due modalità per cui un’impresa può creare questo vantaggio competitivo, e tali fanno riferimento
alla modalità con cui decidono di entrare:

a) Attraverso rapporti commerciali (esportazione, cessione in licenza cioè franchising);


b) Attraverso investimenti diretti (Joint ventures, costruzione azienda sussidiaria interamente posseduta).
Nella scelta sono fondamentali 5 fattori:

1) Vantaggio competitivo è specifico dell’impresa o legato alle risorse del Paese d’origine? - Se il vantaggio
competitivo dell’impresa è legato al Paese d’origine, il miglior modo di sfruttare le possibilità di
internazionalizzazione è l’esportazione di beni;

2) Il prodotto è trasferibile? - Se il prodotto non è trasferibile a causa di barriere al commercio, allora


l’entrata nel mercato richiede un investimento diretto nella realizzazione di stabilimenti di
produzione, oppure la cessione di licenze ad aziende locali;

3) L’azienda possiede la gamma necessaria di R&C per stabilirne un vantaggio competitivo nel mercato
estero? - Per competere in un mercato estero è probabile che l’azienda debba acquisire nuove risorse e
competenze. Allora per avere accesso a tali risorse specifiche è opportuno stabilire relazioni con le
aziende locali. La forma della collaborazione dipende in parte dal tipo di risorse e competenze richieste:
se i punti deboli sono rappresentati dal marketing o la distribuzione posso nominare un agente o
distributore con diritti di esclusiva, mentre se è necessaria un’ampia gamma di competenze produttive e
di marketing allora è necessaria la concessione in licenza del prodotto o della tecnologia.

4) L’azienda può appropriarsi facilmente dei rendimenti delle proprie risorse? - La decisone tra la
concessione in licenza delle risorse e lo sfruttamento diretto delle stesse dipende, anche se non
esclusivamente, da considerazioni di appropriabilità, ovvero il grado di protezione garantito da brevetti
o copyright. Se si decide, quindi, di concedere in licenza la considerazione principale riguarda
l’affidabilità e le competenze del licenziatario.

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5) Qual è la natura dei costi di transizione? - Infine, i costi di transizione sono fondamentali nella scelta
della modalità di entrata, tra le diverse forme. Per esempio, barriere all’esportazione come i costi di
trasporto e le tariffe costituiscono costi di transizione che potrebbero incoraggiare l’investimento diretto.
Quindi per le imprese multinazionali, l’analisi dei costi di transizione assume un ruolo centrale.
Contrariamente, in assenza di costi di transizione, le imprese sfrutterebbero i mercati esteri esportando i
propri beni e servizi oppure concedendo in licenza l’uso delle proprie risorse.

Le imprese multinazionali tendono. Prevalere nei settori in cui:

- Esportazioni soggette a costi di transizione;


- Sono importanti le risorse intangibili e specifiche dell’impresa, e vi sono costi di transizione relativi alla
concessione in licenza;
- Le preferenze di consumatori di Paesi diversi sono simili.

5. LE STRATEGIE MULTINAZIONALI TRA GLOBALIZZAZIONE E MERCATI LOCALI

Fino a questo punto abbiamo considerato l’espansione internazionale (attraverso esportazione o


investimenti diretti) come un mezzo mediante il quale un’impresa può estendere il proprio vantaggio
competitivo dal mercato nazionale ai mercati esteri. Tuttavia, anche la diversificazione territoriale puo
rappresentare una fonte di vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti che operano nei soli confini
nazionali. Ora cercheremo di capire se, e a quali condizioni, sia possibile per le imprese che agiscono su
scala internazionale ottenere un vantaggio competitivo sulle imprese che sono attive nel territorio nazionale.

- I VANTAGGI DELLA STRATEGIA GLOBALE

Una strategia globale considera il mondo come un unico, seppure segmentato, mercato. Essa è una
strategia che conosce e sfrutta i legami tra paesi diversi per costruire un vantaggio competitivo.
Ci sono 5 principali fonti di vantaggio che derivano da operazioni internazionali:

1. ECONOMIE DI SCALA, REIMPIEGO RISORSE E COMPETENZE: un principale vantaggio delle


aziende che competono a livello globale rispetto ai propri rivali nazionali consiste nell’accesso a
economie di scala in acquisto, produzione, marketing e sviluppo di nuovi prodotti. Inoltre, vi è un miglior
sfruttamento delle risorse, attraverso il loro reimpiego multiplo. Soprattutto per quanto riguarda le risorse
basate sulla conoscenza e le competenze organizzative.

2. POSSIBILITÀ DI SERVIRE CLIENTI GLOBALI: e quindi avere una maggiore clientela a cui servire;

3. SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE NAZIONALI E BENEFICI DI ARBITRAGGIO: Le imprese che


operano su scala interazionale hanno accesso a risorse e manodopera, diverse da quelle dei propri
ambienti nazionali, e a basso costo. Benefici dell’arbitraggio poiché vengono sfruttate le differenze tra
paesi diversi. Infatti, esso tende sempre di più a sfruttare le conoscenze distintive disponibili nei vari
luoghi;

4. I BENEFICI DELL’APPRENDIMENTO: Essi non si riferiscono solamente alla possibilità di accedere a


conoscenze diverse ma bensi all’integrazione di tali conoscenze e alla creazione di nuove conoscenze
grazie all’interazione con ambienti nazionali diversi;

5. COMPETERE STRATEGICAMENTE: Le aziende multinazionali possono impegnarsi in battaglie


competitive di conquista nei singoli mercati nazionali utilizzando/sfruttando le risorse generate (in
particolare la liquidità finanziaria) in altri mercati nazionali. Ciò avviene attraverso politiche di prezzo
predatorie le quali consistono nel tagliare i pezzi in modo da spingere i concorrenti fuori dal mercato.

- LA NECESSITÀ DELLA DIVERSIFICAZIONE LOCALE

Nonostante tutti i vantaggi legati alla strategia globale, i prodotti studiati per venire incontro alle esigenze del
consumatore globale spesso finiscono per essere poco interessanti per la maggior parte dei consumatori.

I. Infatti le differenze nazionali nelle preferenze dei consumatori continuano ad esercitare una forte
influenza nella maggior parte dei mercati;

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II. Inoltre per le imprese che producono beni per il consumo, la struttura dei canali distributivi costituisce
un ostacolo alla commercializzazione e alla distribuzione su scala internazionale;

III. Infine quanto più un settore è prossimo (vicino) al consumatore finale, tanto più importanti sono le
differenze culturali tra paesi diversi.

In sintesi, ogni nazione rappresenta una combinazione unica di caratteristiche specifiche, e per valutarne il
grado di somiglianza fra paesi Ghemawat propone 4 componenti chiave:

1. LA DISTANZA CULTURALE (lingue, religioni, norme sociali);

2. LA DISTANZA AMMINISTRATIVA E POLITICA (debolezza istituzioni, assenza di associazione politica);

3. LA DISTANZA GEOGRAFICA (mancanza confini comuni, mancanza di adeguati collegamenti di


traporto o comunicazione, lontananza fisica);

4. LA DISTANZA ECONOMICA (differenze nel reddito dei consumatori, nelle risorse e nell’informazione).

- L’EQUILIBRIO TRA INTEGRAZIONE GLOBALE E DIVERSIFICAZIONE LOCALE

Le scelte relative alla strategia di internazionalizzazione possono essere considerate come tentativi di
raggiungere un giusto compromesso tra i benefici dell’integrazione globale e quelli dell’adattamento locale.
Generalmente:

- I settori caratterizzati da enormi economie di scala e omogeneità nelle preferenze dei consumatori
richiedono una strategia globale;

- Viceversa, i settori con rilevanti preferenze nazionali e in cui la personalizzazione non è troppo costosa
privilegiano una strategia multidomestica (servizi bancari);
- Alcuni settori tuttavia possono avere caratteristiche ibride e riconciliare le forze in conflitto dell’efficienza
globale e della differenziazione nazionale è una delle sfide strategiche più grandi che una multinazionale
deve affrontare. Tale sfida consiste nel realizzare una localizzazione globale —> ovvero standardizzare
le caratteristiche del prodotto e le attività dell’azienda quando le economie di scala sono rilevanti e,
differenziarle quando le differenze nazionali sono più forti e soddisfare non è troppo costoso. Per fare ciò
è necessario disaggregare l’azienda per singoli prodotti e funzioni.

6. ORGANIZZAZIONE NELLE IMPRESE MULTINAZIONALI

Gli stessi fattori che influenzano la scelta delle strategie internazionali (i benefici dell’integrazione globale e
la necessita di differenziazione nazionale) hanno grande importanza anche nella definizione delle strutture
organizzative.
Negli ultimi cent’anni le forze che spingono le aziende verso l’internazionalizzazione sono cambiate
profondamente. Individuiamo 3 epoche nello sviluppo di imprese multinazionali che corrispondo alle diverse
caratteristiche:

1. Inizio del 21esimo secolo —> Epoca delle MULTINAZIONALI EUROPEE:

Il modello europeo corrisponde alle multinazionali europee come federazioni decentrate, in cui:

(-) Avevano sussidiarie nazionali autosufficienti e autonome, le quali si occupavano dell’intera gamma
di funzioni (sviluppo prodotto, produzione e commercializzazione). Ciò perché le condizioni presenti in
quegli anni erano scarse possibilità di trasporto e di comunicazione e infine i mercati nazionali erano
molto differenziati;

La loro forza sta nella capacità di adattarsi alle condizioni e alle esigenze dei singoli mercati nazionali.

2. Il secondo dopoguerra —> Epoca delle MULTINAZIONALI AMERICANE:

Il modello americano corrisponde a multinazionali come federazioni coordinate, le quali:

(-) Disponevano di sussidiarie abbastanza autonome ma in termini di capitale, nuove tecnologie di


60
prodotto e di processo e competenze restavano nell’ambito della controllante statunitense. Tali risorse e
competenze localizzate appunto negli Stati Uniti costituivano la base dei loro vantaggi competitivi
internazionali;

(-) Ruolo dominante della capogruppo, soprattutto nello sviluppo del prodotto e delle tecnologie;

(-) Le relazioni capogruppo-sussidiarie comprendevano trasferimenti tecnologici e finanziari.

La loro forza sta nella loro abilita nel trasferire tecnologia e nuovi prodotti già sperimentati dal proprio
mercato domestico alle sussidiarie nazionali.

3. Gli anni ‘70 e ’80 —> Epoca delle MULTINAZIONALI GIAPPONESI:

Il modello giapponese corrisponde a multinazionale come hub centralizzati, ovvero:

(-) La strategia globale partiva da basi nazionali centralizzate;

(-) Formulazione strategica, R&S e produzione erano concentrate in Giappone;

(-) Sussidiarie nazionali principalmente con funzioni di vendita e distribuzione, e quindi con limitata
autonomia.

4. L’IMPRESA TRANSNAZIONALE più come una direzione di sviluppo che una precisa forma
organizzativa :

(-) Lo sviluppo di prodotti e la ricerca sono distribuiti per avvantaggiarsi della specializzazione locale ;

(-) Ogni unità nazionale è fonte di competenze, risorse, idee a beneficio dell’intera impresa ;

(-) Le unità nazionali realizzano economie di scala / specializzazione a livello globale ;

(-) Il centro ( livello di corporate ) è il responsabile della collaborazione poiché crea il contesto
organizzativo .

Tale approccio transnazionale è il modello organizzativo dominante per innovare all’interno delle
multinazionali.

CAPITOLO 13: LA STRATEGIA DI DIVERSIFICAZIONE

1. I MOTIVI DELLA DIVERSIFICAZIONE

Il cambiamento degli obiettivi aziendali è stato il principale fattore che ha determinato il ricorso alla
diversificazione. La diversificazione attuata dalla maggior parte delle aziende nel 21esimo secolo era guidata
principalmente da due obiettivi: crescita e riduzione del rischio.
Negli ultimi due decenni del 21esimo secolo, lo spostamento dalla diversificazione alla rifocalizzazione è
stato un effetto del crescente impegno dei manager al perseguimento dell’obiettivo di creazione del valore
per gli azionisti.

• CRESCITA

In assenza di diversificazione le imprese sono prigioniere del proprio settore, quindi il desiderio di sottrarsi
da settori stagnanti o in declino è un potente motivo di diversificazione. Tuttavia, la crescita soddisfa i
manager ma non gli azionisti poiché la diversificazione, nella misura in cui è orientata alla crescita, tende
a distruggere valore per gli azionisti.

• RIDUZIONE DEL RISCHIO

Se i cash flows che due diverse attività generano sono solo parzialmente correlati (e quindi non
perfettamente correlati), riunire due attività diverse sotto un’unica struttura proprietaria riduce la variabilità
dei flussi di profitto. Questo quindi non crea valore per gli azionisti poiché essi possono possedere
portafogli diversificati di azioni e quindi non c’è vantaggio dal fatto che sia l’impresa a diversificare al posto
61
loro. Anzi secondo il CAPM (Capital Asset Pricing Model) la diversificazione riduce il rischio complessivo
ma non quello sistematico, il quale rappresenta il rischio rilevante.

• CREAZIONE DI VALORE PER AZIONISTI

Nell’individuazione delle condizioni per una diversificazione redditizia in modo da creare valore per gli
azionisti, Porter propone 3 test essenziali da eseguire per valutare se la diversificazione possa creare
valore per gli azionisti. Tali test sono :

(1) Test di Attrattività —> i settori scelti per la diversificazione devono essere strutturalmente attrattivi ;

(2) Test del costo di entrata —> il costo di entrata non deve essere così elevato da capitalizzare
(uguagliare il valore attuale) dei profitti possibili in futuro ;

(3) Better-off test —> Occorre che la nuova unità accresca il suo vantaggio competitivo grazie al forte
legame con l’impresa, ovvero deve sussistere una forte sinergia.

Uno degli aspetti fondamentali dei test di Porter è che l’attrattività del settore non è di per sé condizione
sufficiente a giustificare l’entrata. La diversificazione rappresenta uno strumento attraverso il quale le
imprese possono accedere ad opportunità di investimento ma che comporta tutte le difficoltà connesse
all’entrata in un nuovo settore. Il secondo test, il costo di entrata, riconosce che per gli outsider il costo di
ingresso può controbilanciare l’attrattività del settore. Infine, per quanto riguarda il terzo criterio, ovvero il
better-off test, esso pone la questione sulla sinergia e riveste un ruolo centrale nelle decisioni che
riguardano la diversificazione.

2. DIVERSIFICAZIONE E VANTAGGIO COMPETITIVO

Il better-off test può essere applicato analizzando la relazione tra diversificazione e vantaggio
competitivo.
Poichè la principale fonte del vantaggio competitivo derivante dalla diversificazione è lo sfruttamento dei
legami (sinergie) tra attività differenti, i collegamenti fondamentali sono quelli che permettono la
condivisione di risorse e competenze fra attività diverse.
- ECONOMIE DI SCOPO

Un primo argomento generale a favore della diversificazione si concentra sulla presenza di economie di
scopo nelle risorse comuni. “Esistono economie di scopo quando vi sono vantaggi di costo derivanti
dall’utilizzo di una risorsa in molteplici attività condotte congiuntamente anziché indipendentemente”. Quindi
si parla di condivisione delle risorse e competenze.

A differenza delle economie di scala le quali si riferiscono ai risparmi di costo generati dall’aumentare della
scala di produzione, le economie di scopo sono risparmi di costo generati da un aumento dell’output di più
prodotti. La natura delle economie di scala varia a seconda del particolare tipo di risorsa o competenza,
infatti:

• Per quanto riguarda le risorse tangibili (reti di distribuzione, sistemi informativi, forza vendita), esse
permettono di raggiungere le economie di scopo tramite la loro condivisione nell’ambito di unità di
business differenti. Quanto maggiori sono i CF legati a queste risorse, tanto maggiori saranno le economie
realizzabili;

• Per quanto riguarda le risorse intangibili (marchi, reputazione impresa e tecnologia), esse sono soggette
a economie di scopo nella misura in cui possono essere trasferite da un’area di affari ad un’altra a un
basso costo marginale. Un esempio è rappresentato dall’estensione del marchio;

• Anche le competenze organizzative (capacità di marketing, sviluppo nuovi prodotti) e le capacità


manageriali possono essere trasferite all’interno di un’impresa diversificata;

• Fin ora abbiamo preso in considerazione solo le economie di scopo scaturite per l’offerta, ovvero i risparmi
di costo ottenuti dal produttore dalla condivisione di risorse e competenze, ma esse sorgono anche dal
lato della domanda (per i clienti) e consistono in un valore per i clienti derivante dall’ampiezza della
gamma di prodotti dell’impresa.

62
- ECONOMIE GENERATE DALL’INTERNALIZZAZIONE DELLE TRANSAZIONI

Le economie di scopo consentono di realizzare risparmi di costo attraverso il trasferimento e la condivisione


di risorse e competenze ma non è necessario diversificare per poter sfruttare tali opportunità poiché le
economie di scopo possono essere sfruttate anche attraverso la vendita o la cessione in licenza delle risorse
e delle competenze a un’altra impresa.

Per analizzare se lo sfruttamento di economie di scopo è più efficace se attuato all’interno dell’impresa
(mediante diversificazione) oppure al suo esterno (mediante contratti di mercato) sono necessarie due
questioni fondamentali:

1. L’accordo di licenza può permettere lo sfruttamento pieno del valore della risorsa o competenza ma ciò
dipende dai costi di transizione associati. Tali costi sono quelle generati da stesura, negoziazione,
supervisione e dal far rispettare un’accordo e, quindi, se i diritti di proprietà sono definiti in modo chiaro
(es: marchi registrati) allora l’accordo di licenza può essere efficace;

2. L’azienda deve possedere le altre risorse e competenze necessarie per diversificare con successo.

- IL VANTAGGIO DELLA CAPOGRUPPO

Micheal Gold, Cambell e colleghi propongono un test ancora più efficace per valutare le opportunità di
diversificazione rispetto al test del better-off proposto da Porter.
Secondo Cambell e Goold la ragione della diversificazione per creare valore era una giustificazione
insufficiente poiché “se una capogruppo è in possesso di una particolare attività, non deve essere
solo capace di creare valore per quell’attività, ma anche essere in grado di creare più valore di
qualunque altra capogruppo”. Altrimenti farebbe meglio a vendere l’attività all’azienda che può creare
maggiore valore.

Quindi il concetto di valore della capogruppo offre una prospettiva alternativa del test di Porter: mentre
quest’ultimo si focalizzava sulla capacità di condivisione delle risorse, Goold e Cambell si focalizzano sul
ruolo del centro aziendale nella creazione del valore aggiunto, ovvero per loro il successo della
diversificazione dipende più dalla relazione tra la gestione del gruppo e la nuova area di attività (
applicazione ottimale delle competenze ) piuttosto che dalla condivisione di risorse e del trasferimento delle
competenze .

- L’IMPRESA DIVERSIFICATA COME SISTEMA INTERNO DI MERCATO

Abbiamo notato che le economie di scopo non rappresentano di per sé un valido motivo per la
diversificazione, infatti è anche necessario verificare che la presenza di costi di transizione renda la
diversificazione preferibile agli accordi di licenza.
Inoltre, i potenziali minori costi di transizione associati alla gestione interna delle risorse comuni
costituiscono comunque un valido motivo per la diversificazione, anche in assenza di economie di scopo.

L’impresa diversificata rappresenta un mercato interno dei capitali e gode di due vantaggi fondamentali:

(a) Mantenendo un portafoglio di attività bilanciato possono evitare i costi relativi al ricorso al mercato
esterno di capitali;
(b) Inoltre, hanno un migliore accesso all’informazione sulle prospettive finanziarie delle proprie diverse
attività.

Inoltre, l’impresa diversificata rappresenta anche un mercato interno del lavoro, nel quali i vantaggi di
costo sono generati dalla possibilità da parte dell’impresa diversificata di trasferire dipendenti tra le
divisioni, affidandosi cosi in misura minore al mercato del lavoro. I vantaggi più importanti delle imprese
diversificate con riferimento ai mercati interni del lavoro sono quelli legati all’informazione poiché esse
dispongono di info dettagliate sulle competenze e sulle caratteristiche dei propri occupati.

3. DIVERSIFICAZIONE E RISULTATI ECONOMICI

La ricerca empirica sulla correlazione ha evidenziato due aspetti importanti:

(a) Qual è la performance relativa delle imprese diversificate rispetto a quelle specializzate?

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Nonostante centinaia di studi empirici non è emersa alcuna relazione sistematica e coerente tra
performance economica e gradi di diversificazione. L’interpretazione dei collegamenti tra diversificazione
e redditività implica il problema della distinzione tra correlazione e causalità, in quanto la diversificazione
influenza la redditività e quest’ultima influenza le decisioni di diversificazione.
Sui risultati, in termini di performance, ottenuti dalle imprese nordamericane e europee si è evidenziato il
fatto che quando le imprese dismettono attività diversificate e si concentrano sui propri business
fondamentali, esse aumentano la redditività.

(b) La diversificazione correlata garantisce una performance migliore di quella non correlata?

data l’importanza delle economie di scopo sembra che la diversificazione in settori correlati sia più
redditizia di quella in settori non correlati. La ricerca empirica prima sembrava avvalorare tale ipotesi
secondo cui le imprese che diversificano in attività strettamente correlate al proprio core business
ottengono risultati superiori. Successivamente però altri studi hanno reso meno chiaro tale quadro
complessivo. Due tipologie di correlazione:

(-) Operativa: sinergie derivanti dalla condivisione di risorse tra aree d’affari come la produzione,
marketing o distribuzione;

(-) Strategica: sinergie a livello manageriale derivanti da comuni capacità manageriali.

Secondo l’evidenza quest’ultime sono la principale fonte di creazione del valore all’interno dell’impresa
diversificata mentre per le prime sorge il problema che spesso i benefici potenziali in termini di economie
di scopo possono essere vanificati dai costi amministrativi impliciti nel loro sfruttamento.

CAPITOLO 14: APPLICARE LA STRATEGIA DI GRUPPO  LA GESTIONE DELLE


IMPRESE DIVERSIFICATE
Caratteristica principale di uni impresa diversificata è che, comunque sia organizzata, ricomprende in sé
molte attività separate, coordinate e controllate da una sede centrale. Tali attività possono essere poi
organizzate per prodotto, per mercato geografico o per fase verticale.

Mentre le varie singole attività sono responsabili per la maggior parte delle decisioni a livello di business, sia
strategiche che operative, la sede centrale è responsabile per la STRATEGIA DI GRUPPO e le questioni
che riguardano l’azienda nel suo complesso.
La questione centrale è se l’azienda diversificata riesce a creare valore operando in più attività.
- IL RUOLO DEI VERTICI DI GRUPPO

Comune alle decisioni riguardanti alle 3 dimensioni chiave di un’impresa (diversificazione, estensione e
integrazione) è il criterio secondo il quale i benefici derivanti da una di queste scelte devono essere superiori
ai costi amministrativi che comporterebbe riunire queste attività in un’unica entità aziendale più grande e
complessa.
Il criterio di base per le decisioni sulla strategia di gruppo, secondo la quale i benefici derivanti da un attivista
devono superare i costi amministrativi legati alla sua gestione, è stato messo in discussione da Goold e
Cambell poiché, secondo essi, un azienda dovrebbe possedere un’attività solo se dispone di una vantaggio
di capogruppo. Secondo tale criterio non è sufficiente che il profitto sia positivo ma deve essere superiore
di qualsiasi altra capogruppo.

Vi sono 4 attività attraverso le quali la gestione del gruppo aggiunge valore alle attività:

1. LA GESTIONE (DECISIONI) DEL PORTAFOGLIO COMPLESSIVO


Per amministrare in modo efficiente tante attività differenti, l’impresa diversificata deve sviluppare sistemi
gestionali comuni a tutte le aree d’attività.
Per quanto concerne le decisioni relative al portafoglio, esse sono la fonte principale di creazione del
valore e costituiscono la base della loro strategia.
Le matrici di pianificazione del portafoglio sono lo strumento principale per facilitare le decisioni relative al
portafoglio nell’impresa diversificata. Diversi modelli:

64
I. MATRICE GE/McKINSEY

In tale matrice
L’asse dell’attrattività del settore combina : dimensione del mercato , tasso di crescita del mercato , la
profittabilità del mercato , fenomeni ciclici , possibilità di recupero dell’inflazione e potenziale di
internazionalizzazione .
L’asse della vantaggio competitivo delle aree d’affari invece combina : quota di mercato , margine del
fatturato rispetto i concorrenti , posizionamento relativo per qualità, tecnologia, produzione, marketing, costi
e distribuzione .

II. MATRICE CRESCITA/QUOTA DI MERCATO


DELLA BCG
In tale matrice l’attrattività del settore è misurata attraverso il
tasso di crescita del mercato mentre la posizione competitiva
è funzione della quota di mercato.
In base a tale combinazioni si rilevano attività : STARS,
QUESTION MARK, CASH COW E DOG

Per quanto rigaurda le prime due matrici analizzate esse


rappresentano 3 principali problemi :

a) Forniscono indicazioni semplicistiche ;


b) Vi sono problemi legati alla definizione del mercato ;
c) Non tengono in considerazione i collegamenti tra attività .

III. PORTAFOGLIO DI ASHRIDGE

Tale rappresentazione è invece basata sul concetto del vantaggio di capogruppo, e quindi tiene conto del
fatto che il potenziale di creazione di valore di un’area di affari all’interno del portafoglio di un’azienda non
dipende solo dalle sue caratteristiche (come ipotizzato da matrici precedenti) ma anche dalle caratteristiche
della capogruppo. Di conseguenza, oggetto dell’analisi è il grado di adattamento tra le aree d’affari e la sua
capogruppo.
Il posizionamento di un’area di attività sull’asse orizzontale dipende dal potenziale della capogruppo in
termini di creazione di profitti addizionali per la singola area grazie a competenze manageriali di gruppo,
condivisione di competenze e riduzione dei costi di transizione.
L’asse verticale misura invece il potenziale di distruzione di valore da parte della capogruppo per
incompatibilità manageriali, rigidità burocratica o alti costi amministrativi.

Tale modello introduce questioni di sinergia centrali ma ha un grande problema di complessità in quanto
richiede difficili valutazioni soggettive.

2. LA GESTIONE DELLE SINGOLE ATTIVITÀ

Nella gestione delle interdipendenze tra le aree d’affari il ruolo della direzione (sede) di gruppo è quello di
coordinare le diverse unità di business. Tuttavia, la direzione (sede) di gruppo può essere coinvolta più
direttamente nella creazione di valore nelle singole aree d’affari che si ottiene attraverso una influenza
65
stand-alone, ovvero indipendente dallo sfruttamento delle sinergie o interdipendenze tra le aree di attività.
Gli interventi con cui la direzione di gruppo può migliorare i risultati possono sono:

- Assumere o rimuovere manager di unità di business;


- Approvare o rifiutare budget, piani strategici o proposte d’intervento;
- Fissare obiettivi di risultato e criteri di valutazione …

Ci concentreremo ora su 3 meccanismi con i quali la direzione può influenzare la performance della singola
area d’attività:

(A) COINVOLGIMENTO DIRETTO DI GRUPPO NELLA GESTIONE DELL’AREA D’AFFARI

Creazione di valore tramite ristrutturazione.


Alla fine degli anni ’80 Porter delfini il coinvolgimento diretto di gruppo nella gestione dell’area d’affari come
ristrutturazione, la quale strategia consiste:

- nell’acquisire aziende gestite poco o in maniera insoddisfacente e poi intervenire collocando nuovi
manager, cambiando strategia, vendendo attività in eccesso e facendo altre acquisizioni per guadagnare
dimensione e presenza sul mercato. Successivamente riconoscere quando il lavoro è concluso e quindi
liberarsi dell’area d’affari ristrutturata.

McKinsey invece propone un approccio sistemico, ovvero l’analisi a pentagono per la determinazione delle
opportunità di ristrutturazione, la quale consiste in 5 passaggi:

1. Il punto di partenza consiste nell’analisi del valore di mercato corrente dell’impresa (valore del
capitale proprio e del debito);

2. Il secondo passaggio consiste nel rilevare il valore dell’impresa così com’è, semplicemente
modificando le percezioni sulle prospettive future dell’impresa stessa, senza alcun cambiamento
strategico o operativo. Ciò si può attuare aumentando la quantità e la qualità del flusso di info diretto agli
azionisti e agli analisti di mercato;

3. Il terzo passaggio consiste nel rilevare il valore potenziale dell’impresa in seguito a miglioramenti
interni. La direzione di un’impresa può aumentare il valore complessivo attraverso miglioramenti
strategici e operativi e tali miglioramenti possono includere lo sfruttamento delle opportunità di crescita
su scala globale, l’esternalizzazione di alcune attività e le opportunità di riduzione dei costi;

4. Dopo aver quantificato il valore dei singoli business ora il quarto passaggio consiste nel rilevare il
valore potenziale dell’impresa in seguito a miglioramenti esterni e quindi la direzione qui deve
determinare se le variazioni del portafoglio attività portino ad un incremento del valore complessivo
dell’azienda. La questione fondamentale consiste nell’applicare il principio del vantaggio di capogruppo.

5. I quattro passaggi precedenti definiscono il possibile massimo valore raggiungibile dell’impresa.

La differenza tra massimo valore possibile e l’attuale valore di mercato rappresenta il potenziale di
profitto di un raider esterno solo se questi interventi possono essere effettuati anche da un altro
proprietario.

Il coinvolgimento diretto del gruppo nelle decisioni a livello di singola area d’attività ha un grave svantaggio
insito nel compromettere l’autonomia e la motivazione dei responsabili. Allora per cercare di mantenere
autonomia e motivazione vi sono due sistemi di gestione che possono essere d’aiuto e sono i seguenti:

(B) PIANIFICAZIONE STRATEGICA

Nella maggior parte delle imprese diversificate il processo di formulazione strategica è avviato dai manager
di divisione, mentre l top management spetta il compito di valutare, rettificare, approvare e poi integrare le
proposte. Qui l’obiettivo è quello di creare un processo di formulazione della strategia che permetta di
conciliare:

- Un processo decisionale decentrato (per garantire flessibilità);


- La capacità di reazione;
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- Senso di appartenenza a livello di unità di business.

Due sono gli aspetti dei sistemi di pianificazione strategica maggiormente criticati:

(a) I sistemi di pianificazione strategica non costituiscono una strategia poiché sono troppo rigidi;
(b) L’esecuzione della strategia è fiacca poiché i sistemi di pianificazione strategica non danno sufficiente
importanza all’esecuzione delle strategie dopo la loro approvazione.

(C) GESTIONE DEL RISUTLATO E CONTROLLO FINANZIARIO

La maggior parte delle imprese che opera in più business adottano un duplice sistema di pianificazione:

- La pianificazione strategica che si preoccupa dei risultati di medio e lungi periodo;


- La pianificazione ed il controllo finanziario che si concentrano invece entro un orizzonte temporale di
due anni.

Il primo anno del piano strategico include la pianificazione finanziaria per l’anno entrate attraverso la
formulazione dei budget e gli obiettivi performance sei concentrano sugli indicatori finanziari.

- PIANIFICAZIONE STARTEGICA E CONTROLLO FINANZIARIO: APPROCCI ALTERNATIVI

Gli approcci quali pianificazione strategica e gestione dei risultati e controllo finanziario sono meccanismi
alternativi di controllo a livello di gruppo. La pianificazione strategica esercito un controllo sulle decisioni
strategiche mentre la gestione delle performance per singole attività prevede la fissazione di obiettivi di
performance.

La differenza tra i due approcci riguarda la distinzione tra controllo di input (decisioni) e di output
(performance):

- Per quanto riguarda le aziende a pianificazione strategica, esse si concentravano sullo sviluppo delle
proprie attività nel lungo periodo e vi era una centralizzazione delle decisioni a livello di gruppo;

- Per quanto riguarda le aziende a controllo finanziario esse erano focalizzate sul controllo finanziario di
breve periodo ma vi era un decentramento delle decisioni che veniva lasciato ai manager divisionali o di
unità d’affari.

3. LA GESTIONE DELLE INTERDIPENDENZE TRA LE DIVERSE ATTIVITÀ

Le maggiori opportunità per la creazione di valore nella strategia di gruppo nascono dalla possibilità di
sfruttare le interdipendenze fra le diverse aree d’affari, e cioè:

- I benefici derivanti dall’accesso, condivisone e trasferimento di risorse e competenze;


- La capacità di evitare i costi di transizione connessi con l’uso del mercato.

A tal proposito vi sono due modalità in grado di sfruttare tali interdipendenze, e sono in primo luogo
l’accentramento dei servizi comuni a livello di impresa ed in secondo luogo la gestione delle
interdipendenze dirette tra le unità di business.

- LA CONDIVISIONE DEI SERVIZI

La forma più semplice di condivisione di risorse in un’impresa multidivisionale è l’accentramento delle


strutture preposte all’erogazione di funzioni e servizi di interesse generale per tutto il gruppo.

La fornitura centralizzata evita la duplicazione dei costi ma la direzione di gruppo e le unità specializzata
possono essere scarsamente incentivate a venire incontro alle esigenze specifiche delle aree d’affari e
quindi una tendenza crescente delle aziende è stata separare le proprie sedi direzionali in :

(-) Unità di gestione a livello di gruppo, con mansioni di supporto alle attività distintive della direzione
come la pianificazione strategica, finanziaria e comunicativa ;

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(-) Un’organizzazione di servizi, la quale è preposta all’erogazione di servizi di utilità generale come la
R&S, la progettazione, la formazione del personale e i sistemi informativi.

- TRASFERIMENTO DI COMPETENZE E CONDIVISIONE DI ATTIVITÀ

Sfruttare le economie di scopo non significa necessariamente accentrare le risorse e le competenze a livello
di gruppo ma si possono sfruttare anche condividendo risorse e trasferendo competenze tra le aree di
attività. Per poter identificare le reali sinergie, Porter propone un’attenta analisi della catena del valore delle
diverse attività in modo da individuare aree di condivisione.
Esso distingue 2 tipologie di sinergie:

- Il trasferimento di competenze —> la creazione di valore, tramite la condivisione di competenze,


richiede una certa somiglianza tra le competenze richieste dalle diverse unità ed inoltre richiede la
creazione di appositi meccanismi di trasferimento delle competenze tramite lo scambio di personale e
la condivisione delle metodologie di lavoro;

- La condivisione di risorse e attività —> le risorse condivise includono le risorse intangibili (marchio e
tecnologia) ma possono anche comprendere risorse fisiche come impianti ed edifici. Le attività, invece,
spesso condivise sono la R&S, gli acquisti, la distribuzione e le vendite.
Trasferire risorse e condividere attività tic chiede da parte del gruppo un coinvolgimento attento e al
tempo stesso sostenuto.

- IMPLICAZIONI PER LA SEDE CENTRALE DI GRUPPO

Quanto più strettamente sono collegate le attività, tanto maggiori sono i potenziali guadagni derivanti dalla
gestione delle interdipendenze tra queste attività e tanto più sarà necessario che il centro del gruppo abbia
un ruolo attivo, ovvero un coinvolgimento diretto.
Lo sviluppo e la condivisione di risorse e competenze implicano che la gestione della conoscenza abbia un
ruolo centrale.

4. LA GESTIONE DEL CAMBIAMENTO NELL’IMPRESA CON PIU AREE D’ATTIVITÀ

Le priorità dei manager di gruppo nelle grandi imprese sono cambiate nel corso del tempo:

- Fino all’inizio degli anni ’80 il tema dominante era la crescita;

- Dalla metà degli anni ’80 fino alla fine del ventesimo secolo il tema dominante è stata la ristrutturazione
attraverso l’esternalizzazione e la rifocalizzazione per creare valore agli azionisti;

- Nel secolo presenye il tema dominante è quello di ottenere una maggiore reattività al cambiamento e
accelerare il ritmo dell’evoluzione organizzativa.

Diversi sono i possibili approcci per stimolare l’adattamento di gruppo per promuovere il cambiamento:

• CONTRASTARE L’INERZIA ORGANIZZATIVA: Tale fenomeno si manifesta nelle difficoltà delle imprese
a riallocare le risorse tra diverse attività in risposta a cambiamenti esterni. Opportuno è quindi riallocare le
risorse in modo efficiente;

• TENSIONE ADATTIVA: attraverso la delega del potere decisionale ai manager delle aree d’attività e ad un
alto livello di attenzione interno il quale stimolava la reattività al cambiamento e un miglioramento costante
die risultati;

• ISTITUZIONALIZZARE IL CAMBIAMENTO STRATEGICO: attraverso lacerazione di competenze


dinamiche a livello di gruppo in grado di adattarsi ai mutamenti esterni;

• SVILUPPO DI NUOVE ATTIVITÀ: attraverso nuovi prodotti, nuove tecnologie e nuove iniziative
imprenditoriali;

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• INIZIATIVE DI SVILUPPO DI GRANDI DIMENSIONI DECISE DALL’ALTA DIREZIONE: importante è il
ruolo degli alti dirigenti nell’identificare e reagire ai punti di flesso strategici assicurando le persone e dando
a loro la sicurezza necessaria per lanciarsi in territori inesplorati.

5. LA GOVERNANCE DELL’IMPRESA DIVERSIFICATA

La governance di gruppo fa riferimento ai sistemi con cui le aziende sono dirette e controllate.
La ragione per cui la governance di gruppo è importante deriva dalla separazione nelle grandi aziende della
proprietà dal controllo, da cui nasce il problema dell’agenzia, ovvero la propensione dei manager a gestire
le aziende in modo da anteporre i propri interessi a quelli dei proprietari.

Tre sono le questioni cruciali delle governance di gruppo rispetto alle grandi imprese diversificate:

I. I DIRITTI DEGLI AZIONISTI

La tendenza a gestire le imprese nell’interesse del senior management (il quale obiettivo coincide con
l’accrescimento del proprio benessere) è principalmente un problema delle aziende quotate in borsa
dove la proprietà è dispersa tra miglia di azionisti. Per questo il Diritto Societario cerca di proteggere
l’interesse degli azionisti riconoscendo a loro:

(-) Il diritto di eleggere e rimuovere i membri del CdA;


(-) Il diritto di condividere i profitti dell’azienda;
(-) Il diritto di ricevere informazioni su di essa;
(-) Il diritto di vendere le proprie azioni.

II. LA RESPONSABILITÀ DEL CDA

Esso, il Cda; ha la responsabilità di:

(-) Assicurare la guida strategica dell’azienda;


(-) Assicurare un controllo efficace del gruppo dirigente;
(-) Agire nell’interesse degli azionisti;

I problemi comuni sono l’inefficacia del Cda nell’impedire che i manager persegua i propri interessi a
danno degli azionisti e l’inefficacia del Cda nel considerare interessi di carattere sociale.

III. IMPLICAZIONI DI GOVERNANCE NELLE STRUTTURE DIVERSIFICATE

nelle imprese diversificate le responsabilità decisionali sono distribuite tra le direzioni del gruppo e le
singole attività attraverso una struttura multidivisionale (M-form).

L’ampia diffusione della struttura multidivisionale risultava dai maggiori vantaggi che offriva:

- nella combinazione di direzione centralizzata e adattamento locale;


- nel superamento dei problemi di governance di gruppo che affliggono le grandi aziende quotate.

I vantaggi di efficienza dell’impresa multidivisionale sono:

(1) Adattamento alla razionalità limitata tramite il decentramento dei processi decisionali;

(2) Allocazione efficiente delle risorse (decisioni operative a frequenza elevata e decisioni strategiche
a bassa frequenza;

(3) Riduzione dei costi di coordinamento

(4) Limita il conflitto tra obiettivi

Inoltre, la forma multidivisionale risolve due problemi centrali della corporate governance:

• Per quanto riguarda l’allocazione delle risorse, essa avviene tramite mercati interni dei capitali che
allocano le risorse secondo criteri finanziari e strategici e non secondo processi politici;

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• Risolve i problemi di agenzia in quanto la direzione di corporate può agire in modo efficace come
rappresentante degli azionisti.

CAPITOLO 15 —> LE STRATEGIE DI CRESCITA ESTERNA: FUSIONI, ACQUISIZIONI E ALLEANZE

Fusioni acquisizioni e alleanze sono importanti strumenti della strategia di gruppo poiché costituiscono i
mezzi principali con cui le imprese estendono la dimensione e la gamma delle proprie attività. Perché essi
possano contribuire agli obiettivi strategici dell’impresa bisogna riconoscere che essi rappresentano non la
strategia ma strumenti, ovvero mezzi con cui un’impresa implementa la propria strategia.

1. FUSIONI E ACQUISIZIONI

Un’acquisizione (o scalata) consiste nell’acquisto di un’azienda da parte di un’altra.


L’acquisizione può essere:

- “Amichevole”  quando è appoggiata dal CdS dell’azienda acquisita;

- “Ostile”  se osteggiate dal CdA dell’acquisita.

Una fusione consiste in due aziende che si uniscono dando vita ad una nuova impresa. Essa presuppone
l’accordo tra gli azionisti delle due imprese, i quali devono scambiare le quote in porto possesso con quelle
della nuova impresa. Il termine fusione può essere usato per entrambi i tipi.

- QUANTO SUCCESSO HANNO LE FUSIONI?

Il principale fattore d’attrazione di fusioni e acquisizioni è la velocità con cui possono permettere grandi
trasformazioni strategiche. Gli studi empirici rilevano due principali misure di performance:

(1) Rendimenti per l’azionista

(-) L’effetto aggregato degli annunci di fusioni e acquisizioni è un piccolo guadagno in termini di valore di
mercato dell’azione;

(-) I guadagni riguardano solamente gli azionisti delle imprese acquisite;

(-I Azionisti delle imprese acquirenti solitamente ci rimettono (premio di controllo).

(2) I profitti contabili

Per osservare le conseguenze effettive di fusioni e acquisizioni dobbiamo prendere in considerazione i


risultati post-fusione nel corso di parecchi anni e paragonarli ai risultati conseguiti dalle aziende
precedentemente alla fusione. Le indicazioni però sono poco coerenti e imprecise poiché il problema è
separare gli effetti della fusione da altri fattori che influenzano il risultato aziendale nel tempo.

LE MOTIVAZIONI DI FUSIONI E ACQUISIZIONI:

I. MOTIVAZIONI DEL MANAGEMENT

(-) La retribuzione manageriale è legata alla dimensione dell’impresa e l’acquisizione rappresenta una
modalità più rapida di crescita;

(-) Incentivi psicologici non legati direttamente alla retribuzione quali lo status di celebrità e l’aumento del
potere;

(-) La ciclicità del mercato azionario che tende a sopravvalutare l’impresa acquirente e ciclicità delle
imitazioni la quale incoraggia le fusioni. Acquisizioni per non rimanere a margine del mercato;

II. FUSIONI MOTIVATE DAL PUNTO DI VISTA FINANZIARIO

Fusioni e acquisizioni possono generare valore per l’azionista semplicemente come risultato delle
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inefficienze del marcato azionario o attraverso benefici fiscali o mediante operazioni di ingegneria
finanziaria:

(-) Per quanto riguarda le inefficienze del marcato azionario, un migliore accesso alle informazioni può
fornire i presupposti per identificare e acquisire aziende sottovalutate;

(-) Le acquisizioni possono permettere ad un’azienda di ridurre il carico fiscale, per esempio acquisire un
azienda in perdita può donare crediti fiscali, oppure l’acquisizione può permettere di spostarsi in paesi
con tassazione più favorevole.

(-) Infine l’acquisizione mediante debito può permettere di abbassare il costo del capitale dell’impresa
acquisita.

III. FUSIONI MOTIVATE DAL PUNTO DI VISTA STRATEGICO

Nella maggior parte dei casi la creazione di valore mediante fusione o acquisizione risulta dal potenziale
che presentano per aumentare i profitti delle imprese coinvolte nell’operazione. A tal proposito, sulla
base delle fonti di creazione di valore possiamo identificare diverse categorie di fusione e acquisizioni:

(-) Le fusioni orizzontali possono aumentare la redditività attraverso economie di costo e un maggiore
potere di mercato dovuto all0’azione aggregata di aziende operanti nello stesso mercato;

(-) Le fusioni d’estensione geografica sono i mezzi principali con cui le aziende entrano in mercati
stranieri così da evitare la mancanza di riconoscibilità del marchio e le barriere alla distribuzione;

(-) Le fusioni verticali consistono nell’acquisizione di un fornitore o di un cliente;

(-) Le fusioni di diversificazione la quale consente di stabilire velocemente la propria presenza in un


settore diverso.

Obiettivo di tali acquisizioni consiste nell’acquisizione di risorse e competenze dell’azienda acquisita poiché
le risorse e competenze migliori sono quelle non trasferibili o facilmente replicabili.

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