Sei sulla pagina 1di 102

12 La gestione strategica

Figura 1.1
Le fasi della
gestione Mission
strategica
(modello
tradizionale)
Analisi Obiettivi di lungo termine
strategica

Analisi interna Analisi esterna

* La SWOT SWOT analysis*


analysis è Scelte strategiche
l‘analisi dei
punti di forza
(strength) e
debolezza Strategie corporate
(weakness) Scelta
dell’impresa, e delle strategie
delle
opportunità
Strategie business
(opportunities) e
minacce
(threats) Strategie funzionali
presenti nel
contesto in cui
opera.
Strategie globali

Coordinare
Struttura Controllo
strategie,
organizzativa strategico
Realizzazione organizzazione
delle
strategie
Gestione del
cambiamento

L’analisi strategica
Il processo di gestione strategica può iniziare in vari modi, ma ben presto si pongo-
no alcune domande. Quale impresa vogliamo essere? Verso quali obiettivi vogliamo
muovere? Quali capacità vogliamo sviluppare? Le risposte a questi interrogativi
14 La gestione strategica

l’altro scegliere in quale posizione collocare l’impresa rispetto ai concorrenti, quali


segmenti servire, quali relazioni allacciare con i fornitori e con i distributori. Tutto
ciò significa costruire e difendere i vantaggi competitivi.
Generare, valutare e selezionare le migliori opzioni strategiche è al primo posto
nelle responsabilità del management di ogni organizzazione. Tocca al management
guidare l’organizzazione verso un obiettivo o un altro. Senza strategia, il manage-
ment non avrebbe principi per orientare la gestione, non avrebbe un piano per
costruire vantaggi competitivi e per rispondere alle attese del mercato.

La realizzazione delle strategie


Le strategie scelte devono infine essere realizzate, tradotte in azioni. Per farlo
occorrono una struttura organizzativa e un sistema di controllo; occorre creare
motivazioni; assegnare responsabilità e deleghe; pianificare le risorse; gestire
acquisizioni, dismissioni, fusioni. Dunque, la gestione strategica in questa fase
pone vari interrogativi:

1) Chi ha la responsabilità di realizzare le strategie? Quali persone e quali parti del-


l’organizzazione?
2) Per svolgere nuovi compiti occorre modificare la struttura organizzativa?
3) Occorre cambiare la composizione e la formazione delle risorse umane?

La realizzazione delle strategie comprende anche la gestione del cambiamento strate-


gico. Quando cambiano le condizioni interne ed esterne, occorre cambiare non solo il
disegno organizzativo ma anche le procedure della gestione operativa.

1.4 Tre livelli di strategie: corporate, business, funzionale


In un’organizzazione si possono individuare strategie a tre livelli differenti, con
distinte responsabilità e autorità nella gestione strategica: strategie corporate; strate-
gie business (dette anche strategie prodotto/mercato o strategie competitive) e strate-
gie funzionali.

Figura 1.2
Tre livelli di Livello Corporate
strategie corporate

Livello Business Business Business


business unit A unit B unit C

Livello Funzione Funzione Funzione


funzionale A B C
Il concetto di strategia e il processo di gestione strategica 17

Figura 1.3
Modelli di Strategie Modelli/concetti
analisi
dell’ambiente
Strategie corporate Transaction costs
esterno
Portfolio management
secondo i
– Matrice Boston Consulting Group
livelli di
– Matrice McKinsey General Electric
strategia
– Matrice Hamel-Prahalad
– Matrice Hofer-Schendel
PIMS

Strategie business Paradigma SCP (structure-conduct-


performance)
– Modello delle 5 forze
– Gruppi strategici
Ciclo di vita del settore

mission distinta da quella delle altre parti dell’impresa. Il concetto fu introdotto da


General Electric, dove una business unit era (ed è) responsabile delle centrali elettri-
che, un’altra delle apparecchiature militari, un’altra della produzione di motori per
aerei. In totale, GE ha oltre duecento SBU, ciascuna con la propria strategia inqua-
drata nella strategia corporate e con mission, obiettivi e risorse propri.
A questo livello la strategia riguarda le scelte e le decisioni per competere con
successo. I problemi che il management affronta riguardano principalmente:

• come affermarsi in un particolare ambiente competitivo;


• quali vantaggi costruire rispetto ai concorrenti;
• come cogliere le nuove opportunità individuate o create nei mercati;
• quali prodotti e servizi sviluppare e in quali mercati, valutando in quale misura
tali prodotti e servizi rispondano alle esigenze dei consumatori in modo da rag-
giungere gli obiettivi dell’organizzazione.

La strategia competitiva riguarda le azioni che un’organizzazione intende adottare in


un singolo mercato o segmento di mercato:

• come affrontare la concorrenza?


• con quali criteri distribuire le risorse umane e finanziarie tra le varie funzioni
aziendali (finanza, marketing, produzione, ricerca e sviluppo di nuovi prodotti,
gestione delle risorse umane)? La strategia business può essere realizzata attra-
verso una funzione o una combinazione di più funzioni;
• come creare o mantenere un vantaggio competitivo?

A differenza della strategia corporate, che spesso ha di fronte una pluralità di settori
e una pluralità di mercati o segmenti di mercato, la strategia business è dunque foca-
lizzata su un singolo mercato o un singolo segmento di mercato. Mentre la strategia
corporate può comportare la distribuzione delle risorse tra business che operano in
settori diversi, la strategia business deve distribuirle tra una pluralità di funzioni con
l’obiettivo di aumentare la capacità competitiva.
La gestione strategica nella realtà 29

Figura 2.1
Le quattro fasi 4. Gestione strategica
della strategia Creare il futuro
di successo 3. Pianificazione orientata
secondo verso l’ambiente esterno
McKinsey Pensare strategicamente
Analisi dinamica

Analisi statica 2. Pianificazione basata


Fonte: su previsioni
elaborazione da Predire il futuro
P. Ghemawat,
Strategy and the
Business 1. Pianificazione
Landscape, finanziaria
Addison Wesley, Budget annuale
New York, 1998.

Una seconda critica, più penetrante della prima, considerava un errore di principio
basare l’intera valutazione sul presupposto che il capitale fosse una risorsa scarsa e
che l’arena competitiva fosse statica. Per esempio, una ricerca applicò quattro diffe-
renti tecniche di analisi di portafoglio a un gruppo di 15 SBU controllate dalle stesse
imprese della classifica di Fortune, ed emerse che soltanto una su 15 era collocata
nella stessa area di ciascuna delle quattro matrici (Wind, Mahjan, Swire, 1983).
McKinsey corse ai ripari, riconoscendo queste debolezze e proponendo di proce-
dere gradualmente verso una strategia di successo attraverso quattro fasi di crescente
dinamismo e incertezza (Fig. 2.1). In tal modo si attenuava la rigidità della matrice
originaria (Gluck, Kanfmean, 1979).
La critica più profonda alle tecniche di analisi proposte dai consulenti venne da
due professori di gestione della produzione ad Harvard: Hayes e Abernathy (1980).
La critica era concentrata sulla portfolio analysis come strumento che spingeva il
management a rendere minimo il rischio finanziario piuttosto che a investire le risor-
se in nuove opportunità con una prospettiva di lungo termine.
In parte come reazione alle critiche provenienti da varie fonti alla portfolio analy-
sis, e in parte come evoluzione della fase precedente, negli anni Ottanta la gestione
strategica attinse in larga misura ai contributi di altre discipline: all’economia e alla
sociologia dell’organizzazione e, in misura minore, alle scienze politiche e alla psi-
cologia (Rumelt, Schendel, Teece, 1998).
Negli anni Novanta e primi Duemila molti chiedono una radicale innovazione
nelle strategie delle imprese (White, 2004). Se si esce però dalle dichiarazioni di
principio e si passa all’esame delle proposte pratiche, molte di queste si ispirano a
principi noti (Collins, 2001).
È convincimento diffuso che la corporate strategy stile anni Settanta e Ottanta sia
morta. L’ambiente muove troppo rapidamente e in modo non prevedibile, dicono in
molti. Di conseguenza le strategie di lungo termine non hanno un valore pratico. Il
management è più interessato alla gestione corrente che alle strategie. L’obiettivo è
restare lean (snelli), flessibili, vicini al cliente, reagire rapidamente alle mosse dei rivali.
Avendo di fronte mercati con domanda che cresce lentamente o che addirittura
cala, con una perdita di capacità di fissare i prezzi e con una concorrenza brutale,
32 La gestione strategica

Approccio dal basso verso l’alto. Con una serie di ricerche su come vengano
prese nella realtà le decisioni strategiche, Henry Mintzberg ha dimostrato che la pia-
nificazione (e quindi la gestione strategica) raramente è il risultato di un processo
razionale. Nella maggior parte dei casi le strategie emergono dalla «base» dell’orga-
nizzazione. Sono spesso la risposta a eventi imprevisti e in gran parte vanno dal basso
verso l’alto nella gerarchia organizzativa.
Per Mintzberg (1978) la strategia è «un modello in un flusso incessante di decisioni
o di azioni». Egli sostiene che il processo di formulazione di una strategia non segue un
percorso lineare, spesso è irregolare e discontinuo, procede per fits and starts (tra soste
per adattarsi e nuove accelerazioni). Nello sviluppo della strategia vi sono periodi di sta-
bilità, ma anche periodi di alti e bassi, di tentennamenti, a volte miglioramenti per pic-
coli passi, a volte cambiamenti radicali. È bene sottolineare che secondo Mintzberg
entrambi gli approcci sono necessari (anche il cervello umano ha un lato che agisce sulla
sfera razionale, quello sinistro, e un lato che agisce sulla sfera emotiva, quello destro).
Il pensiero di Mintzberg può essere così riassunto: distinguere fra strategie scelte,
strategie pianificate (intended strategy) e strategie realizzate. Una parte delle strate-
gie scelte e pianificate non sono realizzate; la parte realizzata è indicata con l’espres-
sione deliberate strategy (Fig. 2.2).
Gran parte delle strategie realizzate emerge da fatti e da azioni che non facevano
parte delle strategie pianificate. Questa parte, preponderante nella realtà secondo
Mintzberg, è indicata con l’espressione emergent strategy. Le strategie effettiva-
mente realizzate sono la combinazione delle strategie emergenti e delle strategie
deliberate.
Altri prima di Mintzberg avevano detto le stesse cose, usando però parole diverse:
per esempio, il concetto di adattamento costante dei piani alla realtà e il concetto di
miglioramento graduale, per piccoli passi, sono molto simili alle idee di Andrews.
Le conclusioni di Mintzberg sono state confermate anche da altri ricercatori tra i
quali Pascale, che studiando il caso dell’entrata di Honda nel mercato delle motoci-
clette degli Stati Uniti, osservò come il successo dell’impresa giapponese non fu una
strategia deliberata, ma una strategia emergente (vedi Il caso: The Honda Story).

Figura 2.2
Strategie
pianificate ed
S
emergenti c tra
vo he l‘ tegie
rre i
secondo bb mpre Str
ate
ea
Mintzberg do sa gie
tta pia
re nif
ica
te

Strategie
realizzate
Fonte: H. Strategie non
Mintzberg «Five realizzate
Ps for Strategy»,
California
Management Strategie emergenti
Review, Fall
1987.
La gestione strategica nella realtà 33

Mintzberg e i molti sostenitori delle sue tesi concludono che il management deve:

• riconoscere rapidamente le strategie emergenti sprigionate dall’organizzazione,


coltivare le migliori e accantonare le peggiori;
• confrontare le strategie emergenti con gli obiettivi dell’impresa, con le minacce e
le opportunità provenienti dall’ambiente e con le forze e le debolezze interne.

In definitiva, per dare successo a una strategia il management deve pensare in modo
strategico e deve disporre di una cultura organizzativa capace di creare continuamen-
te strategie emergenti (Hill e Jones, 1998). La formulazione della strategia con il
modello tradizionale è dall’alto verso il basso, mentre quella emergente è dal basso
verso l’alto (Fig. 2.3).
Le critiche di Mintzberg non sono le uniche. Si può osservare che se in effetti il
modello tradizionale contribuisce alla formulazione di decisioni strategiche, tuttavia
non è dimostrato che la gestione strategica migliori necessariamente i risultati del-
l’impresa. A questa critica si risponde portando i risultati di ricerche dalle quali
emerge che le imprese capaci di sviluppare e rafforzare costantemente un orienta-
mento strategico – qualunque sia la loro strategia – sembrano distinguersi dai con-
correnti che hanno avuto meno successo, per una serie di modelli di gestione:
a) individuano, meglio di altri, i fattori di successo nell’economia di ciascun busi-
ness;
b) segmentano il mercato riuscendo a sfruttare meglio i propri vantaggi competitivi
e a evitare il confronto con i rivali più forti;
c) conoscono a fondo i vantaggi competitivi propri e dei concorrenti;
d) riescono meglio ad anticipare le risposte dei concorrenti;
e) sono in posizione migliore per cogliere rapidamente le opportunità che si presen-
tano (Thompson, 1997; Morrison, Lee, 1979).

Figura 2.3
Strategie Strategie pianificate Strategie emergenti
pianificate
e strategie Analisi Mission e Analisi
emergenti a esterna obiettivi interna
confronto Mission e obiettivi

Analisi Scelta delle Analisi Scelta delle strategie


esterna strategie interna (rispondono agli obiettivi)

Strategie pianificate Strategie emergenti


Fonte: C. Hill, G.
Jones, Strategic
Realizzazione Cultura dell‘organizzazione
Management,
Houghton
Mifflin, New Dall’alto verso il basso Dal basso verso l’alto
York, 1998.
La mission e gli obiettivi di lungo termine 47

Contenuto definito. Quanto al contenuto, Ashridge Strategic Management Centre


esaminò 200 mission di imprese di vari paesi e la prima conclusione fu l’estrema
varietà delle formulazioni, con una certa confusione riguardo al significato del termi-
ne. Alcune imprese consideravano la mission come uno strumento strategico, altre
come una sorta di disciplina intellettuale (Campbell, Yeung, 1990).

La mission di Mars
L’impresa americana, in una pubblicazione di Quality. The consumer is our boss, quality is
26 pagine, definisce ampiamente la mission. our work and value for money is our goal.
Ecco alcuni stralci: Responsibility. As individuals, we demand
«Noi, in Mars abbiamo precisi convincimenti total responsibility from ourselves; as associa-
– i nostri cinque principi – circa il nostro busi- tes, we support the responsibilities of others.
ness e circa il modo in cui l’impresa debba Mutuality. A mutual benefit is a shared bene-
essere gestita. Questi principi non sono facili fit; a shared benefit will endure. Efficiency.
da realizzare, ma non possono essere ignorati. We use resources to the full, waste nothing and
Siamo convinti che debbano essere alla base do only what we can do best. Freedom. We
del nostro successo e debbano orientare il need freedom to shape our future; we need
nostro futuro». profit to remain free».

La mission afferma sempre principi generali che indicano le posizioni nel lungo ter-
mine alle quali l’impresa mira con le proprie strategie. Questi principi dovrebbero
essere sufficientemente flessibili da consentire all’impresa di rispondere agli even-
tuali cambiamenti nelle condizioni dell’ambiente (ecologia, tecnologie, economia) e
al tempo stesso indicare un cammino alle proprie strategie.
Le varie ricerche giungono a una conclusione, ossia che la mission risulta dalla
definizione di quattro elementi (Fig. 3.1).

Figura 3.1
I quattro Mission
principali
elementi
definitori della Definire Definire i rapporti
Definire le politiche
mission gli obiettivi Definire il business tra «business ethics»
e i «valori»
di lungo termine e risultati economici

• Nell’interesse di • Quale allocazio- • Quali valori? • Quali decisioni


chi è gestita l’im- ne delle risorse? strategiche hanno
presa? In quale(i) busi- una componente
– shareholder ness? etica?
value – un solo busi- • Quali responsabi-
– corporate ness lità verso la
stakeholder – più business società?
• Quale livello di
rischio correre?
La mission e gli obiettivi di lungo termine 63

Il caso Tylenol e la reputazione di J&J


Nei manuali americani di strategic manage- Ventanni più tardi la Food and Drug Admini-
ment si ricorda come Johnson & Johnson stration (FDA) ordinava il ritiro del Tylenol
(J&J) sia riuscita a ribaltare gli effetti della perché era risultato essere un rischio poten-
crisi del Tylenol. Dopo i sette morti a Chicago ziale per i reni di chi lo usava. Cinquantacin-
avvelenati da cianuro iniettato da un ignoto que milioni di americani usavano abitualmen-
criminale, J&J ritirò immediatamente dal mer- te Tylenol. Johnson & Johnson aveva fatto del
cato il prodotto sostenendo un costo di $ 100 Tylenol un grande successo, sostenuto da una
milioni. Trascorso un certo periodo, i consu- campagna pubblicitaria «Nothing’s safer» (nul-
matori premiarono J&J comprando Tylenol la di più sicuro). Ma l’FDA aveva accertato
più di prima. Il caso aveva creato notorietà che l’uso del Tylenol associato all’alcol poteva
(solo inizialmente negativa) al prodotto e forte seriamente danneggiare i reni dei pazienti.
reputazione (di serietà e volontà di proteggere
il consumatore) del produttore.

Le imprese della chimica, del packaging e quelle dell’auto (Fig. 3.2) si impegnano
al rispetto dell’ambiente sia nei processi di produzione sia nei prodotti (per esem-
pio detersivi biodegradabili). Le imprese della cosmetica rinunciano pubblicamen-

Figura 3.2
I valori chiave
e i principi
guida del
Gruppo Fiat Essere
gruppo

Valorizzazione
Soddisfazione e rispetto per
del cliente le persone
Creazione
di valore

Integrità Volontà
e rigore di superarsi

Tempestività
Globalizzazione e determinazione
nelle decisioni

Competenza
Ricerca del professionale
confronto come passione

Propositività
Fonte: Fiat,
Valori e politiche
del Gruppo Fiat,
settembre 1997.
Analisi del macroambiente: minacce e opportunità 75

Figura 4.1
Tre metodi di Macroambiente
analisi del
macroambiente
L’analisi delle grandi L’analisi delle attese
L’analisi degli scenari
variabili degli stakeholder
• politica • clienti
• economia • azionisti
• società/cultura • fornitori
• tecnologia • finanziatori
• collaboratori

Quali legami esistono tra il Quali scenari del futuro? Quali sono le attese dei
nostro business e le grandi Se lo scenario cambia, quali vari stakeholder?
variabili? ripercussioni dobbiamo
attenderci sul nostro busi- Come agiscono tali attese
Quali cambiamenti nelle ness? sulle nostre strategie?
grandi variabili possono
creare minacce e opportu-
nità?

Internet, per esempio, è una nuova tecnologia che ha creato opportunità per raggiun-
gere nuovi potenziali clienti. La sensibilità ambientalista dei consumatori è una ten-
denza inarrestabile: alcune imprese hanno scelto – con scarso successo – di convin-
cere l’opinione pubblica che i danni ecologici causati dai loro prodotti e processi pro-
duttivi erano meno gravi di quanto sembrasse; altre, più avvedute, sono corse ai ripa-
ri cambiando prodotti e processi e dimostrando che la tutela ambientale era parte
integrante delle loro strategie.
Anziché resistere a ciò che la circonda, l’impresa dovrebbe acquisire le tendenze
dominanti e incorporarle facendone un propulsore delle proprie strategie.
Le minacce sorgono quando le tendenze dell’ambiente esterno mettono in perico-
lo la redditività dell’impresa. Internet, per esempio, non è soltanto un’opportunità,
ma è anche una minaccia per certi metodi di vendita tradizionali.
L’ambiente è un campo sterminato di variabili che possono essere esaminate sotto
le angolazioni più diverse. Le capacità del management, i valori personali, le strate-
gie adottate, il grado di successo ottenuto dalle imprese in passato e la sensibilità
all’ambiente esterno e alla sua evoluzione sono diversi da un’impresa all’altra. Di
conseguenza, differiscono sia la scelta delle variabili da osservare sia l’interpretazio-
ne del loro andamento.
Le strategie adottate dall’impresa danno un primo forte orientamento all’analisi
delle variabili. Un’impresa che scelga di competere sulla base dei costi bassi bada ad
alcune grandi variabili:

• le tendenze della domanda (in quanto bassi costi significa necessità di grandi
volumi);
• il costo dei fattori e in particolare del lavoro.

L’impresa che invece adotta una strategia di nicchia scruta nell’ambiente l’emergere
di nuove opportunità, cerca le differenze, cerca di individuare le aree del mercato
dimenticate o trascurate dai rivali più potenti.
Analisi del macroambiente: minacce e opportunità 77

Figura 4.2
Matrice delle
priorità
nell’analisi Alta
Alta
dell’ambiente priorità

Media
Probabilità
Media
priorità

Bassa
Fonte: L. Bassa
priorità
Lederman,
«Foresight
Activities in the
USA: Time for a
Re-Assessment?»,
Alto Medio Basso
Long Range
Planning; vol. 3, Impatto
1984, pp. 41-50.

• In questa analisi, infine, è importante l’approccio mentale. Due sono gli obietti-
vi: anzitutto individuare la natura dell’incertezza. L’ambiente è relativamente
stabile o è intensamente dinamico? Esistono segni di profondi cambiamenti in
corso? In secondo luogo, individuare le tendenze che possono agire sulle scelte
strategiche.

L’analisi PEST
Per individuare quali variabili dell’ambiente esterno abbiano il maggiore impatto sul
futuro di un’impresa si possono usare varie tecniche, tra cui la più nota è l’analisi
PEST, che considera variabili della Politica, dell’Economia, della Società e della
Tecnologia (Fig. 4.3).
Come abbiamo già ricordato, nella scelta delle variabili e nella loro interpretazio-
ne molto dipende dalla natura del settore, dalla struttura della concorrenza, dalle stra-
tegie adottate e dalle capacità del management. È quindi possibile costruire molti
schemi (griglie) diversi, secondo le singole situazioni specifiche.
Commentiamo in breve i quattro grandi gruppi di variabili, con alcune pre-
messe:

a) l’impresa deve capire come le variabili principali dell’ambiente possono agire sul
futuro del business, come cambiano e come interagiscono l’una con l’altra;
b) le variabili non sono entità separate, ma interdipendenti: una nuova ondata di
innovazione tecnologica può mettere in crisi una parte dell’economia, può creare
78 L’analisi strategica

disoccupazione, tensioni sociali e spingere il governo a varare nuove leggi in


materia di mobilità del lavoro da un lato, e nuove discipline della concorrenza
dall’altro;
c) alcuni sostengono che esiste una combinazione ottimale fra le strategie di un’im-
presa e il suo ambiente, una sorta di combinazione unica che offre la migliore
posizione possibile (Chandler, 1962). Altri affermano invece che i manager hanno
un’ampia varietà di scelta e che sono molte le configurazioni strategiche possibi-
li per l’impresa. Ciò che conta è che la configurazione scelta crei valore per i
clienti, fornendo loro prodotti e servizi attraenti e la cui produzione e vendita crei
valore per gli azionisti dell’impresa (Child, 1972).

Figura 4.3
Le principali Politica Economia
variabili di
un’analisi Pest
Stabilità del governo Prodotto interno lordo (PIL)
Pressione fiscale Consumi privati
Disciplina della concorrenza, Distribuzione dei redditi tra la
del mercato del lavoro e dei capitali popolazione
Protezione dell’ambiente Reddito disponibile
Corporate governance Inflazione
Deregulation Salari/costo del lavoro
Atteggiamento verso gli investimenti Intervento dello stato nell’economia
stranieri (imprese pubbliche)
Privatizzazione Investimenti privati e pubblici in
Barriere allo scambio internazionale macchinari e attrezzature, in
costruzioni
Apprezzamento/deprezzamento
della moneta rispetto a quelle dei
concorrenti
Costo del denaro

Società/cultura Tecnologia

Demografia: distribuzione della Investimenti in R&S nei vari settori


popolazione per classi di età; e nell’economia in generale
composizione dei nuclei familiari Protezione della proprietà
Stile di vita intellettuale
Sensibilità ai rapporti dieta/salute e Ritmo di lancio di nuovi prodotti
valore del prodotto/prezzo Qualificazione professionale della
Sensibilità alla difesa dell’ambiente forza lavoro
Movimenti di protezione del
consumatore
Attitudini verso il lavoro
e l’imprenditorialità
Valori della tradizione
80 L’analisi strategica

Figura 4.4
Esempi di Fattori Effetti Settori coinvolti
effetti
generati da Controlli alle frontiere Meno viaggi da e verso Compagnie aeree,
decisioni il paese turismo, hotel, ristoranti
politiche
Minori sussidi ai prezzi Aumento dei prezzi delle Produzioni agricole.
dei prodotti agricoli materie prime agricole. Macchine per la
Perdita di competitività lavorazione di materie
dei paesi in cui l’agricoltura prime alimentari
è meno efficiente

Entrata di un paese Rispetto dei vincoli di Tutti i settori, ma in


nell’Unione Europea Maastricht (tassi di particolare quelli che in
e nell’area euro interesse, inflazione, debito precedenza puntavano
pubblico). sulla svalutazione
Moneta unica competitiva

Fine della Guerra fredda Spostamenti nei flussi Tutti i settori, ma in


import-export. particolare quelli degli
Taglio delle spese militari armamenti e aerospaziali

ne per ottenere una maggiore capacità competitiva nei mercati mondiali. Il piano di
GE mirava a dar vita a un sistema di prodotti combinando i propri motori a reazione
con le attrezzature di avionica di Honeywell. L’agenzia antitrust della Commissione
Europea, preoccupata che la fusione potesse escludere dal mercato i concorrenti che
non disponevano di un’analoga gamma di prodotti, chiese a GE di vendere oltre la
metà della divisione aerospaziale di Honeywell (i motori a reazione e parte dell’avio-
nica). GE fece una controfferta che l’antitrust giudicò tuttavia troppo lontana dalla
richiesta. Per la prima volta nella storia, una fusione negli Stati Uniti fu abbandonata
per effetto di una decisione dell’antitrust europeo. Il divieto della Commissione non
solo bloccò il progetto, ma mise anche in crisi il management di Honeywell, che accu-
sò GE di avere condotto in maniera non adeguata la trattativa con le autorità europee.

Economia
Molte variabili economiche possono incidere sulla strategia. A titolo di esempio con-
sideriamo l’impatto dell’andamento del PIL, dei tassi di interesse e dei cambi.

• L’andamento del PIL. Se il PIL cresce dovrebbero crescere anche le sue compo-
nenti principali: consumi (privati e pubblici), investimenti e il saldo import-
export. L’aumento dei consumi e degli investimenti creano opportunità: l’aumen-
to della domanda apre spazi di mercato e rende meno intensa la competizione;
nascono nuove imprese e alcuni settori hanno forti spinte allo sviluppo (es. i pro-
dotti di lusso, le costruzioni edili, il turismo e il trasporto aereo). Al contrario, se
il PIL scende o rallenta la crescita in genere scendono sia i consumi sia gli inve-
stimenti. La concorrenza diventa più forte, aumentano i fallimenti di imprese e la
disoccupazione; alcuni settori entrano in crisi e pochi si salvano.
• Il costo del denaro. Questo fattore agisce profondamente sulla domanda: se il
costo aumenta, scende la domanda di tutto ciò che fa ricorso al credito. Soffrono
82 L’analisi strategica

Figura 4.5
Esempi di Fattori Effetti Settori coinvolti
effetti
dell’andamento Aumento del costo del Minore propensione a Tutti i settori, ma in
dell’economia denaro investire da parte delle particolare quelli delle
imprese e da parte delle imprese di costruzioni e
singole persone. Minore delle imprese che fanno
propensione a ricorrere al forte ricorso al credito (per
credito per finanziare gli vendere o per comprare)
acquisti

Andamento dei cambi Costo di produzione più Tutti i settori, ma in


(apprezzamento, alto o più basso a causa di particolare quelli che
deprezzamento) variazioni nei prezzi delle hanno quote rilevanti di
materie prime quotate nei acquisti o vendite in altre
mercati internazionali monete

Turismo

Competitività più alta o Prodotti petroliferi,


più bassa delle chimica di base
importazioni e delle
esportazioni

Occorre poi ricordare che l’economia di un’impresa può dipendere da un settore di


fornitori o da un settore di clienti, i quali a loro volta possono subire gli effetti di
trend ambientali che non sarebbero di per sé rilevanti per l’impresa stessa (Fig. 4.5).
Per molte imprese che si trovano nella posizione intermedia della catena di fornitura
(supply chain), la domanda di prodotti è una domanda derivata (è il caso dei produt-
tori di componenti per auto).
L’integrazione economica ha creato una forte interdipendenza soprattutto fra i tre
maggiori sistemi: Stati Uniti, Unione Europea e Giappone. I conflitti sorti sulle cor-
renti di scambio, le politiche di protezione delle industrie nazionali e l’andamento
della competitività in rapporto ai cambi hanno inciso in misura rilevante sulle strate-
gie delle imprese multinazionali.

Società/cultura
Sono molti i fattori sociali che agiscono sull’economia delle imprese, direttamente o
indirettamente. Vediamo alcuni esempi.

• La demografia è una delle componenti più importanti. Se la popolazione invec-


chia cambiano i consumi, cresce il mercato dei prodotti per la salute. Se le unità
di consumo (famiglie) sono sempre più piccole, se aumenta il numero dei single,
cambiano i consumi. Se la popolazione è sempre più attenta al rapporto dieta/
salute cresce la spesa alimentare in valore, ma cala quella in volume.
• L’aumento dei redditi individuali ha favorito la motorizzazione e questo fenome-
no ha cambiato il modo di vivere di molte persone e le strategie della grande
distribuzione. Grazie alla maggiore facilità di movimento dei consumatori, la
Analisi del macroambiente: minacce e opportunità 83

grande distribuzione ha aperto punti vendita con ampie superfici, localizzati nelle
periferie dei grandi agglomerati urbani o all’incrocio tra le grandi vie di comuni-
cazione e ha contribuito a diffondere l’abitudine del one-stop-one-shopping. Al
tempo stesso questa tendenza ha contribuito al declino di molti piccoli punti ven-
dita indipendenti situati nel centro delle città. Effetti analoghi ha avuto l’aumento
dei prezzi delle superfici in aree urbane. La distribuzione di mobili per la casa ha
subito le conseguenze più evidenti. Avendo necessità di grandi superfici per
esporre i prodotti al pubblico, è stata spinta verso le periferie e lungo le strade di
avvicinamento alle città.
• L’invecchiamento della popolazione e la maggiore esperienza dei consumatori
negli acquisti, unita all’aumento dei redditi, ha determinato il parziale tramonto
dei mercati di massa. Alla frammentazione dei mercati le imprese hanno risposto
adottando strategie di nicchia e di mass customization.
• Uguali opportunità sulla base del sesso, della religione e della razza è un princi-
pio entrato a far parte di molte legislazioni. Gli effetti si manifestano non solo sul-
l’occupazione ma anche sullo stile di vita e nella disponibilità di reddito per le
minoranze. Il ruolo della donna nella società, per esempio, è cambiato radical-
mente dagli anni Ottanta in poi.

Comunque, mentre per l’analisi dei cambiamenti demografici sono disponibili molti
dati (classi di età e composizione della popolazione; tasso di natalità e mortalità;
gruppi socioeconomici), più difficile è avere dati sul cambiamento del comportamen-
to delle persone.
È relativamente facile conoscere il numero dei maschi o delle femmine che com-
pongono una popolazione e conoscere quanti maschi raggiungeranno (in base alla
speranza di vita) l’età di 55 anni nel 2005; più difficile è valutare i cambiamenti nello
stile di vita, nella propensione al consumo, nelle attitudini verso la difesa dell’am-
biente. Ancora, è abbastanza facile conoscere le tendenze del cambiamento, ma più
complicato misurare la rapidità del cambiamento. È poi semplice decifrare nel com-

Figura 4.6
Esempi di Fattori Effetti Settori coinvolti
effetti dei
cambiamenti Invecchiamento della Maggiore domanda di Farmaceutica, servizi
nella società popolazione prodotti per la difesa finanziari, servizi alla
della salute persona, servizi per il
tempo libero,
assicurazione, fondi
pensione

Stile di vita. Aumento dei Cambia la domanda di Packaging, tempo libero,


single per scelta beni di consumo durevoli elettrodomestici,
e non durevoli; diventa più autoveicoli, mobili
selettiva e articoli per la casa,
costruzioni edili

Cambia la domanda di
alloggi
Analisi del macroambiente: minacce e opportunità 85

mente lungo la stessa linea; vengono scompo- per l’acquisto di MCI, il secondo gestore di
sti in codici digitali di informazioni e riassem- telefonia long-distance degli Stati Uniti. Dal-
blati quando arrivano a destinazione. l’acquisto emerse uno tra i principali gestori di
Per assicurarsi i vantaggi delle nuove tecnolo- servizi Internet e di comunicazioni telefoniche
gie, nel 1997 World.Com pagò $ 37 miliardi internazionali.

L’impatto del cambiamento tecnologico può essere considerato sotto due profili:

• l’ampiezza del cambiamento, in quanto l’innovazione tecnologica varia da incre-


mentale (come i miglioramenti nelle prestazioni di una macchina fotografica) a
radicale (l’arrivo di Internet). L’innovazione radicale è la più importante per l’im-
patto che ha sulle strategie;
• la posizione dell’impresa nel settore, per cui Porter (1980) distingue tra:
– rule makers, che stanno nel settore da lungo tempo e dettano le regole del suc-
cesso, valide fino a quando il settore mantiene stabilità;
– rule takers, che sono soltanto imitatori e non hanno scelta: il potere dei rule
maker è così forte da lasciare loro solo l’alternativa tra imitare o abbandonare;
– rule breakers, in genere piccole imprese che creano nuove regole per la com-
petizione e destabilizzano il settore. Poiché scardinano le vecchie regole, pos-
sono essere considerate dei rivoluzionari, riconducibili a due categorie: a)
rivoluzionari dentro il settore di appartenenza, ossia imprese del settore che
adottano strategie completamente nuove partendo dalle regole esistenti (per
esempio le prime banche ad adottare il trading on line); b) rivoluzionari pro-
venienti dall’esterno del settore, nuovi entrati che introducono nuove strate-
gie, destabilizzano e a volte distruggono il settore (è il caso del cd-rom, che ha
cambiato drasticamente il mercato delle enciclopedie).

La difesa della proprietà intellettuale lega la politica alla tecnologia. Nei settori in
cui la ricerca di nuovi prodotti comporta investimenti rilevanti, la propensione a inve-
stire è in rapporto alla possibilità di proteggere le innovazioni. Se la protezione è alta

Figura 4.7
Esempi di Fattori Effetti Settori coinvolti
effetti dei
cambiamenti Internet Possibilità di nuovi business Tutti, ma in particolare
nelle model quelli in cui il prodotto
tecnologie può essere digitalizzato

Introduzione del Jumbo Jet Sviluppo del trasporto Turismo di massa.


aereo su lunghe distanze Trasporto aereo passeggeri
e a basso costo e merci

Fibre ottiche Spostamento della Produttori di cavi,


domanda di cavi verso industria dell’acciaio
le fibre ottiche e delle comunicazioni
92 L’analisi strategica

Forze trainanti. Ogni scenario individua le forze che cambiano la storia e la spin-
gono in un particolare plot. Tali forze sono numerose, ma possono essere distinte in
due grandi categorie: quelle ambientali sulle quali l’impresa non può agire e quelle
che dipendono dall’azione dell’impresa.

Logica. È il sistema di concetti che sta alla base del plot o della trama di uno sce-
nario. Sono i «perché» che danno origine ai «che cosa» e ai «come» di un «plot».
La logica fornisce la spiegazione del perché specifiche forze o certi attori agisco-
no in un dato modo. Per esempio, perché Juventus, Inter e Milan, potrebbero esse-
re tra i principali sostenitori di un Campionato d’Europa per club da giocare il
mercoledì a fianco del campionato italiano che continuerebbe a essere giocato nei
weekend? Il motivo principale è sfruttare maggiormente il patrimonio giocatori e
l’immagine.

Plot. È la trama che produce un dato stadio finale. Ogni trama contiene una storia
che lega il presente allo stadio finale; illustra cosa deve accadere affinché il futuro
produca una data serie di eventi.

Stadio finale. Affinché lo scenario dia risultati non ambigui, deve descrivere un
particolare stadio finale. Cosa avverrà, in presenza di date condizioni o circostanze,
in un dato periodo futuro? Un modo per costruire le caratteristiche dello stadio finale
consiste nel rispondere alla domanda: «Che cosa accadrebbe se…?».
Tornando all’esempio del Campionato d’Europa, un interrogativo possibile è:
che cosa faranno gli spettatori di fronte a due campionati in contemporanea? A
seconda degli obiettivi dello scenario, gli stadi finali possono essere generici o det-
tagliati. Restando al Campionato d’Europa, la domanda precedente fornisce una

Figura 4.8
Gli elementi
base di uno Forze trainanti Plot o story Stadio finale
scenario
Mondo reale Cosa deve accade- Condizioni e circo-
La situazione re affinché emer- stanze che preval-
attuale ga lo stadio finale gono alla fine del
tracciato dallo sce- periodo abbraccia-
nario to dallo scenario

Logica

Spiegazione o
razionalità di
Fonte: adattato quanto contenuto
da L. Fahey, R.M. nel plot
Randall,
Learning from
the future, cit.
1998.
Analisi dell’ambiente competitivo 99

(Thompson e Formby, 1993, p. 11). Se il modello è in grado di spiegare per quale


motivo avviene un certo fenomeno, esistono le premesse per poter prevedere.
Ammesso che esistano più modelli in grado di semplificare l’analisi della realtà, la
scelta tra l’uno e l’altro dipende dalla prospettiva in cui si pone l’analista. Due tra le
principali prospettive sono quelle delle strategie corporate e delle strategie competitive.
Quando l’analisi strategica ha per oggetto una strategia corporate è disponibile una
minore varietà di modelli a confronto con le strategie competitive. Le strategie corpo-
rate affrontano problemi come la diversificazione e l’integrazione verticale o orizzonta-
le. Il problema principale è stabilire se il profitto possa essere generato combinando
business (in senso verticale, orizzontale, o laterale, o in altri modi), metodi di mercato
(contratti) o forme ibride (come per esempio joint-venture, franchising, alleanze).
I modelli adottati nell’analisi delle strategie competitive possono essere a loro
volta distinti in modelli che mettono in primo piano i vantaggi derivanti dal potere di
mercato (per esempio il «modello delle cinque forze») e modelli che danno risalto
all’efficienza interna (prospettiva resource-based) (Teece, Pisano e Shuen, 1997;
Teece, 1998). Quando l’analisi strategica ha per oggetto una strategia competitiva,
esiste un’ampia varietà di modelli. Molti di questi derivano da un paradigma di ana-
lisi della industrial organization (IO) noto come structure-conduct-performance
(SCP). I due modelli più noti sono il modello delle cinque forze e il modello del ciclo
di vita del settore, di cui esamineremo in dettaglio le caratteristiche.
Quali modelli adottare per un’analisi dell’ambiente competitivo? La prima cosa
da fare è definire che cosa si intende per ambiente competitivo e il modo migliore per
definirlo è porsi dal punto di vista del cliente e chiedersi: «Con quali altri prodotti il
nostro entra in concorrenza, quando una persona o un’organizzazione decide di
acquistare?». Capire quali sono i fattori di successo in un dato contesto competitivo,
individuare i rivali e le strategie, i prodotti e servizi con cui competono, significa
porre le premesse per decidere quali strategie adottare.
L’analisi dell’ambiente competitivo è fatta «a cascata» partendo dall’analisi del
settore, per passare poi all’analisi dei concorrenti, all’analisi della domanda (poten-
ziali compratori) e concludere con la segmentazione del mercato e il posizionamento
dell’impresa rispetto ai concorrenti (Fig. 5.1).

Figura 5.1
Analisi a Analisi del settore
cascata (struttura)
dell’ambiente
competitivo

Analisi dei concorrenti

Analisi della domanda


(potenziali compratori)

Segmentazione del mercato e posizionamento


(dell’impresa rispetto ai concorrenti)
Analisi dell’ambiente competitivo 101

Figura 5.2
Due metodi
Analisi dei fattori
per l’analisi
di successo
dei fattori di
successo

Analisi empiriche Le «tre C»

2) concentrare l’attenzione sulle «tre C» (customer, competition, corporation) come


suggerisce Ohmae (1983).

Le analisi empiriche
Per individuare i fattori chiave si può anzitutto attingere alle ricerche empiriche
disponibili per molti settori economico-produttivi. Tra le più note e attendibili vi è la
già citata analisi PIMS, che parte da un banca dati comprendente oltre 100 indicatori
relativi a un campione di oltre 3000 business unit di circa 450 imprese americane,
europee e asiatiche, e abbraccia un periodo che, secondo i settori, può arrivare anche
a 15 anni (Buzzell, Gale, 1986).
La ricerca mira a stabilire quali strategie, e in presenza di quali condizioni, pro-
ducano determinati risultati in termini di ROI, ossia di redditività, e di cash flow,
indipendentemente dalla natura dei prodotti e dei servizi. Il metodo PIMS ha indivi-
duato nove fattori strategici che rivelano il maggiore impatto (circa l’80 per cento)
sulla redditività, e costruisce i profili di imprese con ROI basso e con ROI elevato
(vedi capitolo 14).

Le «tre C»
Esaminare le risorse e le capacità che l’impresa possiede non è sufficiente: occorre
anche confrontarle con quelle dei concorrenti. Secondo Ohmae (1983) la ricerca dei
fattori di successo deve essere concentrata sulle cosiddette «tre C»:

• customer, i clienti. Che cosa chiedono i clienti? Verso quali segmenti del mercato
l’impresa può orientare le proprie strategie? Sono quelli con il maggiore poten-
ziale?
• competition, la concorrenza. Di quali risorse dispongono i migliori competitor per
ottenere i loro successi? L’impresa come può affrontare la concorrenza? Dal con-
fronto con i concorrenti, che cosa emerge in fatto di prodotti, prezzi, qualità e altri
fattori di successo?
• corporation, le risorse dell’impresa. L’impresa possiede risorse superiori a quelle
dei rivali? E quali? Che cosa emerge dal confronto tra i costi, le tecnologie, le
capacità professionali, l’efficacia dell’organizzazione?
Analisi dell’ambiente competitivo 103

• performance: i risultati (redditività e altre misure) di un’impresa in un settore o in


un mercato dipendono dalla condotta (strategia) delle imprese che comprano per
quanto riguarda la politica dei prezzi, dalle politiche delle imprese che vendono
(fornitrici) per quanto riguarda i costi, dalla cooperazione tacita o esplicita tra
imprese, dalle politiche adottate per gli altri elementi del marketing mix (prodot-
to, distribuzione, promozione) e dalle politiche degli investimenti.

Questo modello della industrial economics non riesce però a rispondere alla
domanda centrale di ogni scelta strategica: perché tra le imprese che operano nella
stessa arena competitiva, alcune hanno successo mentre altre no? Per quale motivo
imprese che affrontano le stesse condizioni di base della domanda e dell’offerta e
operano nella stessa struttura di mercato raggiungono risultati spesso profondamen-
te diversi?

Figura 5.3
Il paradigma
SCP, structure-
conduct- Struttura Strategie
Risultati
performance del settore delle imprese

Structure Conduct Performance

Da Fruhan e Biederman a Porter. Il paradigma SCP ha dato vita a una famiglia


di modelli tra cui due in particolare meritano un cenno, per il tentativo (da pionieri)
di integrare l’analisi di settore con l’analisi strategica dell’impresa.
Sono i paradigmi di Fruhan e Biederman, ripresi poi da Porter e divulgati come
modello delle cinque forze.
Fruhan (1972) si è chiesto con quali strategie le imprese competano nel trasporto
aereo e quali fattori siano rilevanti per garantire il successo a tali strategie. Ha perciò
costruito un modello quantitativo comprendente nove variabili con l’obiettivo di sta-
bilire quali di queste fossero sotto il controllo del management delle compagnie
aeree americane e quali invece fossero sotto il controllo dell’U.S. Civil Aeronautics
Board. Quattro delle nove variabili riguardavano la struttura delle rotte (grado di
competizione sulle rotte, struttura delle rotte in termini di distanze percorse, densità
del traffico e stagionalità); una riguardava la struttura dei prezzi (redditività a con-
fronto con quella media del settore); altre tre variabili riguardavano la gestione della
flotta (utilizzazione della flotta, qualità della flotta, sviluppo della flotta come politi-
ca per allargare le quote di mercato); l’ultima, non per importanza, era la qualità del
management.
Anche Biederman (1982) ha proposto un paradigma studiato sulla struttura del
settore del trasporto aereo, individuando nella rilevanza della disciplina del settore
dettata da organi dello stato la principale differenza rispetto ai paradigmi applicati
allo studio di altri settori industriali (modello Scherer). Il paradigma di Biederman
afferma che le performance del settore sono la risultante di cinque forze:
104 L’analisi strategica

a) grado di concentrazione dell’offerta;


b) andamento della domanda di trasporto aereo;
c) struttura dei costi;
d) barriere all’entrata;
e) mercati degli input (materiali, componenti, servizi).

Queste cinque forze determinano due strategie principali dell’impresa:

• competizione basata sul prezzo;


• competizione basata sulla differenziazione del servizio.

Scrive acutamente Kay (1996, p. 38): «Porter ha riscritto il modello SCP rendendolo
più accessibile al management dell’impresa. Ha così trasformato la industrial econo-
mics in business strategy». Anche il modello Porter non risolve, e non potrebbe risol-
vere, le debolezze del modello SCP. La domanda senza risposta è analoga a quella
fatta in precedenza a proposito del modello SCP: per quale motivo alcune imprese
riescono a gestire meglio di altre le forze che agiscono sulla redditività di un settore?
Per avere successo l’impresa deve capire quali forze guidano la competizione nel
settore in cui opera. Senza tale comprensione non può costruire strategie che rispon-
dano alla struttura esistente del settore o strategie che possano cambiare (in genere
soltanto marginalmente) l’ambiente esterno a proprio vantaggio.
I due modelli più diffusi per l’analisi dell’ambiente competitivo al fine di indivi-
duare opportunità e minacce sono dunque:

• il modello delle «cinque forze» (modello Porter);


• il modello del ciclo di vita del settore.

Figura 5.4
I due modelli
più usati Analisi di settore
nell’analisi di
settore

Modello Modello del ciclo


delle «cinque forze» di vita del settore

5.4 Il modello delle «cinque forze»


Varie ricerche hanno dimostrato un rapporto tra la struttura del settore (o del merca-
to, secondo il grado di approfondimento), le strategie delle imprese che operano in
tale settore e i risultati che ottengono. La struttura del settore farmaceutico (un oli-
gopolio rappresentano da circa una decina di grandi imprese multinazionali) è
diversa da quella delle costruzioni aeronautiche (un oligopolio con due contendenti
che dominano il mercato: Boeing e Airbus). Le strategie delle imprese farmaceuti-
che sono così molto diverse da quelle delle imprese di costruzioni aeronautiche.
106 L’analisi strategica

Figura 5.5
Il modello Potenziali nuovi
delle «cinque concorrenti
forze»
Potere Minacce da parte
di negoziazione di nuovi entranti
dei fornitori

Rivalità tra
Fornitori Compratori
concorrenti
Fonte: Minacce da parte Potere
elaborazione da di prodotti sostitutivi di negoziazione
M.E. Porter, dei compratori
Competitive
Advantage, Free
Press, Boston, Prodotti sostitutivi
1985.

Potere di negoziazione dei compratori


Quanto più è forte il potere di negoziazione dei compratori, tanto più debole è la
posizione dell’impresa. I compratori hanno un potere di negoziazione alto in presen-
za delle seguenti condizioni:

1) pochi di loro acquistano una parte rilevante della produzione dell’impresa (per esem-
pio, le imprese farmaceutiche che vendono ai sistemi sanitari nazionali, le imprese
che vendono agli eserciti o alle ferrovie dello stato hanno poche alternative);
2) il prodotto o il servizio offerto dall’impresa non è diverso da quello dei concor-
renti, perciò il compratore può facilmente passare da un produttore a un altro;
3) i costi sostenuti per passare da un fornitore all’altro (swiching costs) sono bassi;
4) è possibile l’integrazione verticale a monte: il potere di negoziazione del compra-
tore aumenta se può acquistare imprese fornitrici;
5) il valore di quanto il compratore acquista è una quota modesta dei costi totali del
compratore stesso.

Potere di negoziazione dei fornitori


I fornitori di materie prime, componenti, servizi e anche coloro che prestano lavoro
con una particolare specializzazione possono agire sulla competizione in un settore
alzando i loro prezzi o abbassando la qualità o dando la preferenza all’uno o all’altro
compratore. Il potere dei fornitori è basso o nullo quando il loro prodotto è una com-
modity facilmente disponibile nel mercato, offerta da un vasto numero di imprese
con ampie capacità di evasione degli ordini. In questa situazione il compratore può
scegliere la fonte che offre il prezzo e le condizioni migliori. I fornitori sono in una
posizione debole anche quando il loro prodotto ha sostituti e per il compratore non
esistono costi per passare da un fornitore a un altro (switching cost).
I fornitori sono in posizione di forza quando esistono le seguenti condizioni:

1) i compratori di un settore sono molti ma i fornitori sono pochi, perciò è difficile


passare da un fornitore a un altro;
2) i prodotti offerti dai fornitori non hanno sostituti;
Analisi dell’ambiente competitivo 111

L’analisi della storia recente è utile per valutare opportunità e minacce derivanti
dall’entrata in un mercato: un settore con una quota elevata di imprese entrate di
recente ha verosimilmente barriere basse. Ma l’analisi storica può essere fuorviante:
le nuove tecnologie, per esempio, possono abbassare le barriere in un settore che per
tradizione limitava le nuove entrate.
Sull’anticipazione della risposta dei concorrenti torneremo nel capitolo 6, trattan-
do i metodi per prevedere le strategie di risposta dei rivali.

Implicazioni strategiche
Fare l’analisi del settore non è tuttavia sufficiente: ciò che conta è valutare le impli-
cazioni, derivanti dall’analisi, sulle strategie future dell’impresa. Tra gli interrogativi
più importanti, i seguenti hanno la priorità:

1) esistono le condizioni per cambiare le relazioni con i fornitori? Può essere consi-
gliabile stringere relazioni di partnership con alcuni fornitori piuttosto che affron-
tarli attraverso negoziazioni;
2) esistono le condizioni per stringere nuove relazioni con i compratori? Produrre
con la marca del distributore (private label) porta in genere a margini più bassi
rispetto alla vendita di prodotti di marca, ma per alcune imprese è stata una stra-
tegia vincente (in quanto ha consentito tra l’altro di dare stabilità alla capacità
produttiva utilizzata);
3) quali sono i fattori di successo nel settore e come si possono creare? Occorre
individuarli e delineare una strategia adeguata;
4) le strategie dei rivali minacciano di cambiare la natura della competizione? È
necessario definire quali reazioni è opportuno adottare.

Figura 5.6
Soft drink: la Produttori di derivati
minaccia di Produttori di liquori Imprese farmaceutiche del latte
nuovi Bevande a basso Integratori per sportivi Latte
concorrenti contenuto di alcool Bevande nutritive Yogurt
provenienti da Spirit coolers
altri settori

Settore soft drink


Produttori di vini
Fonte: Vini a basso contenuto Produttori di tè e caffè
elaborazione da di alcool Tè freddo
D. Hussey, P. Wine coolers Caffè freddo
Jenster,
Produttori di birre
Competitor
Birre a basso contenuto
Intelligence,
Wiley, New York, di alcool
1999.
116 L’analisi strategica

Figura 5.7
Il ciclo di vita
del settore

Fonte:
elaborazione da
G. Johnson, K.
Scholes,
Exploring
Corporate
Strategy,
Prentice Hall,
London 1997.

dei prodotti e dei servizi tendono a divenire molto simili, pertanto la fedeltà alla
marca diminuisce. L’attrattività nel settore è bassa in quanto i prezzi scendono e la
competizione è intensa.
Per evitare la crisi le imprese mirano ad abbassare i costi e a creare fedeltà alla
marca (un esempio è dato dalle compagnie aeree, che hanno ristrutturato le rotte,
negoziato remunerazioni più basse con il personale e introdotto programmi frequent-
flyer). In queste condizioni può sempre esplodere una rovinosa guerra dei prezzi e le
imprese che adottano con successo queste strategie non solo sopravvivono alla con-
correnza, ma alzano anche barriere all’entrata di potenziali concorrenti. Bassi costi e
fedeltà dei clienti rendono infatti assai onerosa l’iniziativa di nuovi entranti nel mer-
cato, tuttavia le minacce non mancano. Le imprese che decidono di entrare si affida-
no in genere alla concorrenza basata sulla pubblicità, sulla qualità, sulla bassa diffe-
renziazione e su modesti cambiamenti nei prodotti.
I profitti risentono dei forti mutamenti dettati dalle necessità di fare nuovi investi-
menti nella produzione, del maggior potere di negoziazione acquisito dai distributori
e della minaccia di nuovi entranti (minaccia più contenuta rispetto alle fasi preceden-
ti, ma sempre esistente).
Se il numero dei concorrenti diminuisce, le imprese rimanenti possono nuova-
mente avere l’opportunità di aumentare i prezzi e la redditività (l’esperienza del tra-
sporto aereo, degli elettrodomestici e dei componenti auto dimostra che lo shakeout
fa aumentare il grado di concentrazione delle imprese, le quali – una volta rimaste in
poche – formano nuovamente un oligopolio che dà loro l’opportunità di stringere
accordi miranti a ridurre la competizione). Anche eventi esterni al settore possono
creare di nuovo turbolenza: la deregulation o una recessione economica, per esem-
pio, possono nuovamente aprire la rivalità tra le imprese.
Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 125

Figura 6.1
Analisi dei
concorrenti L’arena competitiva
Chi sono i nostri concorrenti?

Il profilo dei concorrenti


Quali sono i loro punti di forza e debolezza?

Quali sono le strategie dei concorrenti?


I gruppi strategici

Quali potrebbero essere le loro risposte


alle nostre strategie?

essere ampia quanto un intero settore oppure limitata quanto un singolo prodotto o
mercato.
La definizione dipende da quattro criteri:

1) l’ampiezza della gamma di prodotti e servizi considerati (un solo prodotto o una
classe di prodotti);
2) i segmenti di clienti (un solo segmento a confronto con più segmenti);
3) l’orizzonte geografico (una singola regione o paese oppure il mercato mondiale);
4) il numero delle attività che compongono la catena del valore (poche o molte).

Il peso che si vuole dare a ciascuno dei quattro criteri dipende dagli obiettivi che
l’impresa vuole raggiungere con la definizione dell’arena competitiva: per una deci-
sione di breve periodo e di tipo tattico, l’arena sarà limitata ai clienti e ai concorrenti
attuali. Se l’obiettivo della definizione è invece porre le basi per decisioni di tipo stra-
tegico, la definizione del mercato deve essere più ampia per considerare:

• le opportunità di mercato attualmente non servite da alcuna impresa;


• i cambiamenti nella tecnologia, nei livelli dei prezzi e nelle condizioni dell’offer-
ta che potrebbero allargare la cerchia dei prodotti sostitutivi;
• i rischi di entrata di imprese provenienti da altri mercati/settori.

Una definizione troppo ristretta potrebbe rendere vulnerabile l’impresa, una troppo
ampia potrebbe nascondere i veri pericoli.
Day propone di individuare l’arena competitiva ragionando in termini di sostitu-
zione in due prospettive diverse:
126 L’analisi strategica

• sostituzione dal lato della domanda, al fine di comprendere tutti i modi in cui i
clienti possono soddisfare le proprie esigenze;
• sostituzione dal lato dell’offerta, al fine di individuare tutti i concorrenti che
hanno le capacità di servire gli stessi clienti.

Le due prospettive sono strettamente legate. Dal lato della domanda, un mercato è
composto da un insieme di esigenze dei clienti che possono essere servite da più
offerte tra loro in competizione. Nella prospettiva del cliente, per esempio, l’esigen-
za di trasporto può essere soddisfatta da imprese appartenenti a settori diversi: com-
pagnie aeree, treni, costruttori di auto, autonoleggio. La sostituzione è nell’uso; i vari
mezzi di trasporto servono alla stessa funzione, ma operano in un modo molto diver-
so e hanno prestazioni pure molto diverse. Tornando al caso Rhône-Poulenc: chi
compra da Pasteur Merieux?
Dal lato dell’offerta, un mercato è l’insieme dei prodotti e servizi tra loro sostitui-
bili che il cliente percepisce in grado di offrire prestazioni simili o molto simili tra
loro. L’analisi comprende dunque tutti i concorrenti che potrebbero rispondere alle
esigenze di un dato gruppo di clienti (Fig. 6.2). Dunque, con quali rivali entra in com-
petizione Pasteur Merieux?

Figura 6.2
Dal settore al
prodotto, alla
Articoli per la casa Settore
marca

Categoria
Articoli per la preparazione di alimenti di prodotti

Articoli per la preparazione del caffè Tipo


di prodotto

Caratteristiche Idem Idem Idem


del prodotto
prezzi
Fonte: adattato
da G. Day,
Market Driven Varianti di
Strategy, Free prodotto
Press, Boston, Marche Marche Marche Marche
1990, p. 97.
128 L’analisi strategica

Figura 6.3
Analisi dei Fattori chiave
Della nostra impresa Del concorrente 1 Del concorrente 2
fattori chiave
di successo
Innovazione

Capacità
finanziaria

Assistenza
post-vendita

Qualità dei
prodotti

Forza lavoro
Fonte: qualificata
elaborazione da
D. Jobber, Accesso ai
Principles and canali di
Practice of distribuzione
Marketing, internazionali
McGraw-Hill,
New York, 1998.

L’arena competitiva mette a confronto tutte le imprese presenti, ma sarebbe bene evi-
tare i rivali più agguerriti perché attaccare un leader di settore sul suo terreno è sem-
pre rischioso. In campo militare gli strateghi consigliano di attaccare soltanto se il
rapporto di forza è almeno di 3 a 1. Per questo le imprese scelgono spesso avversari
di forza pari o inferiore.

6.2 Il profilo dei concorrenti


Per capire qual è la posizione competitiva dell’impresa è necessario fare anche un’a-
nalisi delle caratteristiche dei concorrenti:

• Che cosa fanno?


• Quali sono i loro punti di forza e di debolezza e i loro vantaggi competitivi?
• Con quali vantaggi dei rivali l’impresa è in concorrenza?

L’obiettivo di queste analisi è mettere l’impresa nelle condizioni migliori per svilup-
pare vantaggi competitivi superiori a quelli dei rivali, come ha argomentato Best
(1997).
Sempre per concentrare le risorse sui problemi di maggior rilievo, occorre anzi-
tutto stabilire quali concorrenti meritano un’analisi. È vero che una definizione stra-
tegica del mercato comporta una visione ampia che comprenda sia i concorrenti
attuali sia quelli futuri, sia i prodotti/servizi dell’impresa sia i prodotti sostitutivi, ma
è anche vero che l’impresa non può destinare risorse a un’analisi dettagliata di tutti i
concorrenti (Kotler, Sing, 1981).
Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 129

Il metodo migliore – come già abbiamo visto – è partire dal lato della domanda,
chiedendo ai clienti quali concorrenti prendono in esame nelle loro scelte. Quanto
più il cliente considera due concorrenti vicini tra di loro nell’offerta, tanto più è pro-
babile che possa decidere di passare dall’uno all’altro. Al contrario, quanto più li per-
cepisce lontani, tanto più basse sono le probabilità che abbandoni l’uno per preferire
l’altro.
Il punto di arrivo di questa analisi è la costruzione di una o più mappe di perce-
zione della competizione, con le quali l’impresa può rispondere a due domande:

1) Quale rivale dobbiamo affrontare in un certo mercato/segmento/nicchia?


2) Qual è la nostra posizione competitiva (a confronto con questo rivale) nell’attrar-
re clienti e nel rispondere alle loro attese?

Occorre poi conoscere su quali basi il target di clienti percepisce l’offerta dell’impre-
sa come diversa da quella dei rivali.
Disponendo di sufficienti informazioni è possibile costruire una mappa simile a
quella del grafico in Figura 6.4, un esempio che mette in evidenza come i potenziali
compratori americani percepiscano le differenze tra i prodotti concorrenti nel seg-
mento delle vetture di lusso. I benefici di tipo psicologico sono rappresentati dalla
dimensione orizzontale e sono correlati con stile, sicurezza, status, prestazioni sulla
strada, comfort. I benefici di tipo razionale sono rappresentati dalla dimensione ver-
ticale e correlati con il consumo di carburante, i costi di manutenzione, l’affidabilità,
la qualità, il prezzo dell’usato. In base alla mappa, Toyota offre una vettura di lusso a
un target di potenziali compratori che hanno un livello alto di attesa sia di benefici
psicologici sia razionali.

Figura 6.4
Mappa di
percezione: il • Volvo 700
Target di Lexus
posizionamento • Honda Accord
strategico di
Lexus, tra • Honda Prelude

razionalità ed
• Nissan Maxima • BMW 525
emozioni
• Saab 9000
Benefici razionali

• Mercedes 500
• Buick Park Avenue • Cadillac Seville

• Buick Regal • Chrysler New Yorker

• Lincoln Towncar

• Buick Riviera
Fonte: R. Best,
• Oldmobile 98 • Jaguar
Market Based
Management,
Prentice Hall, Benefici psicologici
London, 1997,
cap. 6.
Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 133

riconversione (ossia la trasformazione per un uso alternativo) è alto; da costi fissi che
l’impresa continuerebbe comunque a sostenere; da economie di scala realizzate con
altre business unit del gruppo. Possono essere barriere poste dallo stato, da soggetti
sociali come i sindacati e l’opinione pubblica o i consumatori (che potrebbero pena-
lizzare altri prodotti), nonché dalla volontà della stessa impresa di non lasciare un
settore.

6.3 I gruppi strategici


Dalla definizione dei confini dell’arena competitiva e dall’esame del profilo dei con-
correnti può emergere un’ampia varietà di strategie. Quanto più è ampia l’arena com-
petitiva, tanto più forti possono essere le differenze; che sono spesso rilevanti rispet-
to a fattori come tecnologia, qualità dei prodotti, segmenti di mercato scelti come tar-
get, canali della distribuzione, politica dei prezzi, politica di promozione e servizi ai
clienti.
In vari settori è possibile distinguere più gruppi di imprese che adottano strategie
relativamente omogenee all’interno dello stesso gruppo, ma diverse da quelle degli
altri gruppi. Coprono gli stessi mercati, sono in concorrenza le une con le altre. Pren-
dono il nome di gruppi strategici.
Per esempio, nel settore automobilistico è possibile individuare due principali
gruppi di costruttori. Un gruppo include le imprese più note come Fiat, Renault,
Wolkswagen, General Motors, Ford, Toyota, che offrono un’ampia gamma di pro-
dotti al fine di essere presenti in una pluralità di segmenti, investono nelle migliori
tecnologie e puntano alle maggiori economie di scala possibili. Dato il loro peso eco-
nomico, spesso nei mercati di origine godono di forme di protezione da parte dello
stato. Le economie di scala rappresentano una barriera difficile da superare per i
nuovi concorrenti.

Figura 6.5
Conoscere i
Immagine
concorrenti: e posizionamento
Struttura
indicatori di
dei costi Obiettivi
analisi
Portafoglio prodotti
e servizi

Strategie e fonti
Concorrenti: loro di vantaggi
azioni e reazioni competitivi
Risultati ottenuti

Dimensioni
Barriere all’uscita
e sviluppo

Risorse
Organizzazione
e cultura
Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 135

Figura 6.6
Esempi di Gruppi strategici nelle costruzioni aeronautiche
mappe
strategiche
Mondiale Learjet BOEING
Astra AIRBUS

Copertura delle DASA


British
aree geografiche
Aereospace
(vendita)

Cessna
Piper
Nazionale
(Usa)
Piccole Grandi
Dimensioni dell’aereo (numero di posti)

Gruppi strategici nel settore dei gelati di marca in Europa


Super premium
Premium
Alta

Fonte: il grafico Qualità Regular


in alto è
un’elaborazione
Economy
da M. Cook, C.
Farquharson,
Business Bassa
Economics,
Pitman
Publishing, Nazionale Regionale Paneuropea
London, 1998. Il Copertura geografica in Europa
grafico in basso
è tratto da R. Legenda: Super premium = fascia superiore
Lynch, Corporate Premium = fascia alta
Strategy, Pitman Regular = fascia media
Publishing, Economy = fascia bassa
London, 1997.

Le barriere alla mobilità

Alcuni gruppi strategici riescono meglio di altri a proteggere le loro posizioni e con-
seguono così redditività elevata. Altri gruppi adottano invece strategie aggressive che
rendono la competizione molto accesa e tendono ad abbassare la redditività.
Il fattore principale è l’esistenza di barriere alla mobilità, che ostacolano il passag-
gio da un gruppo strategico a un altro.
Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 137

6.4 Le strategie di risposta dei rivali


«Il successo o il fallimento della strategia non è soltanto il risultato delle azioni. Sono
le risposte dei rivali a determinare se una riduzione dei prezzi diventa una guerra dei
prezzi, se un nuovo vantaggio competitivo si trasforma in un costo per restare nel
business, se l’attuale posizione di forza diventa una posizione di debolezza» (Day e
Reibstein, 1997, p. 78). Capire e anticipare le mosse dei rivali determina la struttura
della competizione, quindi può determinare i risultati. Day e Reibstein propongono
tre modi per anticipare le risposte dei concorrenti: teoria dei giochi, behavioral
theory e coevolution. Infine, anche le esperienze del passato sono utili per anticipare
il futuro.

La teoria dei giochi


I principi della teoria dei giochi sono stati applicati dai condottieri cinesi 2500 anni fa
e sono stati sviluppati e costruiti dagli economisti moderni in un sistema formalizza-
to. Nel 1994, il Premio Nobel per l’economia consacrò definitivamente la teoria dei
giochi come disciplina autonoma, tuttavia la sua utilità nella gestione strategica è
stata riconosciuta soltanto di recente (Dixit e Skeath, 1999, è una delle opere più
complete). Day e Reibstein (1997) individuano in quattro principi la forza della teo-
ria dei giochi.

Visione strategica. Capacità di analizzare una situazione strategica, anticipare la


sua futura evoluzione e prendere una decisione oggi che avrà (per l’impresa) un effet-
to favorevole in futuro sono tre elementi insostituibili per acquisire una posizione di
vantaggio. La teoria dei giochi, essendo un processo iterativo, offre strumenti per
acquisire conoscenze del quadro strategico, quindi per controllare la dinamica delle
situazioni strategiche, quindi per individuare quali variabili strategiche se «manipola-
te» possono modellare il futuro.

Conoscere se stessi e gli altri. Il successo di una decisione strategica dipende


anche dalla capacità di capire come gli avversari interpretano la competizione e come
valutano la nostra posizione. Dobbiamo essere certi di giocare la partita giusta. La
teoria dei giochi costringe a vedere la situazione dal punto di vista degli altri.
Day e Reibstein fanno un esempio a questo proposito: i manager delle grandi
imprese hanno risorse, organizzazione e sistemi di procedure particolari e quando

Figura 6.7
Come
prevedere la Modi per prevedere
risposta dei
rivali

Teoria dei giochi «Behavioral theory» «Coevolution» Esplorare il passato


142 L’analisi strategica

Figura 6.8
Analisi delle
Benefici percepiti
attese del dal prodotto/
cliente, servizio
creazione di
valore e Esigenze
del cliente
customer
satisfaction
Creazione Customer
Benefici attesi di valore satisfaction
per il cliente

Condizioni
di uso da parte
del cliente

Costo
di acquisto

Il cliente darà la preferenza all’impresa che crea il maggior valore.


Le fonti di creazione del valore dal punto di vista economico sono principalmen-
te cinque:

1) il costo di acquisto, che può creare valore per il cliente perché riduce per esempio
il peso di altri costi. L’acquisto di un software per il controllo delle scorte è fatto
per ridurre i costi di conservazione di queste;
2) l’uso del prodotto o di un servizio, che può comportare un minore costo per il
cliente (un costo monetario, ma anche un costo psicologico legato per esempio
alla maggiore o minore complessità dell’uso). L’acquisto di un certo tipo di mac-
china per lavorare il legno può ridurre i costi di certe fasi di lavorazione, quindi
può creare valore;
3) i costi di manutenzione e riparazione, che possono avere una forte incidenza sui
costi di esercizio. Ma se l’impresa che vende prende l’impegno di sostenere i
costi di eventuali riparazioni, il compratore ha un potenziale beneficio. Se il
costruttore di un trattore ha progettato il vano motore in modo da rendere facil-
mente accessibili le parti che hanno necessità di manutenzioni o che possono
comportare riparazioni, il compratore ha un vantaggio economico in quanto
sostiene minori costi;
4) i costi sostenuti per passare a un altro prodotto, poiché abbandonare un prodotto
obsoleto o un suo componente può comportare un costo e anche questo è un ele-
mento di possibile creazione di valore per il cliente: infatti, se il costo di sostitu-
zione è basso il compratore ha un beneficio;
5) l’offerta di prezzi inferiori a quelli dei concorrenti e condizioni di pagamento più
favorevoli: proporre macchine più semplici a prezzi più contenuti o acquistare dal
cliente macchine obsolete da sostituire con quelle nuove e offrire gamme di pro-
dotti diversi per qualità, graduando i prezzi in base al potere di acquisto dei poten-
ziali compratori, sono politiche utili a creare valore economico per il cliente.
144 L’analisi strategica

caso le variabili che intervengono sono tre: caratteristiche delle imprese (dimen-
sioni, localizzazione, settore, situazione finanziaria); cultura organizzativa (base
tecnologica, propensione a innovare, accentramento o decentramento delle deci-
sioni); uso del prodotto (applicazioni, quantità, tempo di acquisto, frequenza di
acquisto, esperienza).

Elida Fabergé e lo Youth Board


«Conoscere a fondo i nostri consumatori, la Elida Fabergé ha costituito uno Youth Board
loro età e la loro estrazione, è un fattore criti- (letteralmente un Comitato Giovani) per mante-
co per il nostro continuo successo», dicono nere uno stretto contatto con i potenziali com-
alla consociata britannica di Unilever, Elida pratori. Guidato dai due brand manager, il Board
Fabergé, principale produttore mondiale di riunisce ogni mese i responsabili del marketing,
shampo, deodoranti e altri articoli per la perso- della pubblicità, e delle pubbliche relazioni per
na (i bestseller sono il deodorante Lynx – Axe studiare il comportamento dei giovani e per
fuori della Gran Bretagna – e lo spray Impulse). capire che cosa può attirare la loro attenzione.

Figura 6.9
Alcuni criteri Fattori Mercati di consumo Mercati
per (business-to-consumer) delle organizzazioni
segmentare (business-to-business)
i mercati
Caratteristiche delle Età, sesso, razza Settore
persone/organizzazioni Reddito Localizzazione
Dimensioni delle famiglie Dimensione
Stadio del ciclo di vita Tecnologia
Localizzazione Redditività
Stile di vita Management

Situazione di acquisto Dimensione dell’acquisto Applicazioni


Fedeltà alla marca Importanza dell’acquisto
Motivo dell’uso Volumi
Importanza dell’acquisto Frequenza di acquisto
Criteri di acquisto Criteri di scelta
Canali della distribuzione

Esigenze dell’utilizzatore Preferenze di prezzo Performance richieste


circa le caratteristiche del Preferenze di marca Assistenza dai fornitori
prodotto Caratteristiche desiderate Preferenze di marca
Qualità Caratteristiche richieste
Qualità
Servizi richiesti
156 I vantaggi competitivi

Figura 7.1
Risorse, Relazioni con i vantaggi competitivi
competenze e
vantaggi Le stesse dei concorrenti Superiori a quelle dei concor-
competitivi o facili da imitare renti o difficili da imitare

Risorse Risorse necessarie Risorse uniche

Fonte: G.
Johnson, K.
Scholes,
Exploring Competenze Soglia delle competenze Core competencies
Corporate
Strategy,
Prentice Hall,
London, 1997.

Hamel e Prahalad suggeriscono che l’organizzazione dovrebbe raccogliere sfide in


grado di motivare fortemente i collaboratori. In particolare sostengono che il vero
obiettivo delle strategie di un’impresa non dovrebbe essere il combinare le risorse
con le opportunità, come (secondo i due autori) molti manager pensano, ma piuttosto
fissare obiettivi che spingano l’impresa oltre il traguardo che i suoi manager credono
sia raggiungibile.
Il processo di analisi delle risorse di cui un’impresa dispone o dovrebbe disporre per
intraprendere una certa strategia è indicato in genere con l’espressione resource audit e
può essere condotto in vari modi. Nelle pagine che seguono vedremo tre metodi:

• analisi del valore aggiunto;


• individuazione delle competenze distintive che creano vantaggi;
• analisi delle funzioni e dei processi.

Il tutto si riassume nell’analisi dei punti di forza e di debolezza e nell’analisi


SWOT.

7.2 L’analisi del valore aggiunto


Le diversità tra i risultati ottenuti da imprese dello stesso settore raramente possono
essere spiegate da differenze nelle risorse disponibili. Spesso la superiorità ha origi-
ne nel modo differente di organizzare le risorse per creare competenze distintive e
coordinarle. Lo strumento per esplorare l’origine e la sostenibilità nel tempo di van-
taggi competitivi sui rivali è l’analisi del valore aggiunto.
Il valore aggiunto è la differenza tra il valore di mercato dei prodotti e dei servizi
(output) e il costo dei fattori (input). È un concetto essenzialmente economico, indi-
scusso nella sua logica, ma difficile da esprimere in quantità.
In genere non vi sono difficoltà per calcolare il valore delle vendite (fatturato) ed
è relativamente facile anche il calcolo di due categorie di costi: lavoro e materie
158 I vantaggi competitivi

Figura 7.2
Schema di
Analisi del valore aggiunto
analisi del
valore
aggiunto
Value chain Value system

La value chain o catena del valore


Ogni organizzazione è composta di parti corrispondenti ad altrettante attività, che
chiamiamo funzioni, le quali insieme, costruite in sistema, producono valore. Sono le
funzioni acquisti, marketing, finanza, gestione delle risorse umane, logistica, ricerca
& sviluppo (R&S).
Queste attività e i loro reciproci legami possono essere rappresentati con la value
chain, o catena del valore, che scompone l’attività dell’organizzazione nelle sue parti
principali. Lo scopo è individuare in che modo ciascuna parte contribuisca al valore
aggiunto complessivo e determinare come le varie parti possano contribuire ai van-
taggi competitivi dell’intera organizzazione.
Questo strumento era da tempo usato nelle analisi finanziarie e contabili, prima
che Porter proponesse di applicarlo all’analisi strategica. McKinsey, negli anni Ses-
santa aveva proposto un proprio modello, noto come business system (Fig. 7.3).
La catena del valore (Fig. 7.4) ha tre caratteristiche:

1) esprime il valore di un dato prodotto o servizio in termini di attività necessarie per


produrlo, distinguendo tra attività primarie e attività di supporto;
2) rappresenta i legami tra le varie attività, intendendo con «legame» il rapporto esi-
stente tra una data attività e il costo (di svolgimento) di un’altra attività. Nella
ricerca di vantaggi competitivi un’impresa può svolgere le varie attività in modi
differenti con differenti risultati;
3) esprime le potenziali sinergie tra prodotti e servizi e tra business unit (se l’impre-
sa ne ha più di una). Ogni attività ha al proprio interno non solo economie di scala
– per esempio economie nella distribuzione e nella logistica – ma anche econo-
mie di scopo, ossia economie derivanti dal fatto che la stessa attività può contri-
buire a più prodotti e servizi.

Figura 7.3
Il business
system di
McKinsey
Tecnologia Produzione Distribuzione Marketing Servizi

Progettazione Acquisti Trasporti Vendite Manutenzioni


Sviluppo Assemblaggio Scorte Pubblicità Lavoro
Analisi delle risorse: forze e debolezze 159

Figura 7.4
La catena del

Attività di supporto e costi


valore Gestione degli approvvigionamenti

ni
gi
Gestione della tecnologia

ar
M
Gestione delle risorse umane
Infrastrutture dell’impresa

Distribuzione e logistica
Attività primarie e costi

Marketing e vendite
Gestione operativa
Acquisti e logistica
in entrata

in uscita

Servizi

ni
gi
ar
M
La catena del valore comprende cinque attività primarie, che nel diagramma muovono da sini-
stra verso destra e rappresentano le attività che portano alla creazione dei prodotti e dei servi-
zi, in parte sono trasferite al compratore attraverso i servizi post-vendita.
Le attività primarie sono legate a quattro attività di supporto, raffigurate con un flusso trasver-
sale in quanto possono agire su una o più attività primarie.

Attività primarie
• Logistica in entrata (inbound logistics): l’approvvigionamento e il ricevimento di materie
prime e componenti, la gestione delle loro scorte e della loro distribuzione interna. Sono gli
input necessari per ottenere prodotti e servizi e comprendono le attività riguardanti la
gestione dei magazzini, il controllo delle scorte e i trasporti interni.
• Gestione operativa, ossia la trasformazione degli input in prodotti finiti e servizi. Riguarda
in particolare la gestione dei macchinari, l’assemblaggio e il packaging.
• Logistica in uscita (outbound logistics), tutto ciò che riguarda la distribuzione ai clienti dei
prodotti finiti e dei servizi.
• Marketing e vendite, attività che stimolano e facilitano l’acquisto di prodotti (pubblicità,
gestione della forza vendita, selezione dei canali di vendita, relazioni con gli intermediari,
prezzi).
• Servizi, relativi alla gestione delle operazioni post-vendita (installazioni, riparazioni, forma-
zione del personale dei distributori e dei compratori, forniture di parti, prestazioni di
garanzie).

Attività di supporto
• Gestione degli approvvigionamenti, che riguarda le funzioni e i processi di acquisto degli
input immessi nella catena del valore e ha stretti rapporti con le varie aree funzionali (per
esempio, i responsabili della produzione hanno un ruolo importante nel definire le specifi-
che e la qualità dei componenti del prodotto e del servizio).
• Gestione della tecnologia, intesa in senso ampio, che comprende know-how, ricerca e svi-
luppo, progettazione, acquisti di tecnologie dall’esterno.
• Gestione delle risorse umane, ossia le attività riguardanti la selezione, il reclutamento, la
formazione e lo sviluppo di carriera del personale. Riguarda anche le forme di remunera-
Fonte: adattato zione e l’insieme degli altri rapporti tra l’organizzazione e i collaboratori.
da M. Porter, • Infrastrutture dell’impresa, i cosiddetti linking processes o processi trasversali: organizza-
Competitive zione, pianificazione e controllo. Sotto un altro profilo sono rappresentate dalle attività di
Advantage: general management.
Creating and
Le infrastrutture generali dell’impresa sostengono l’intera catena del valore.
Sustaining Ogni attività primaria e di supporto comporta costi e dovrebbe aggiungere valore al prodotto e
Superior al servizio. Se l’impresa ha più di un prodotto, secondo Porter l’analisi dovrebbe essere fatta a
Performance, livello di singolo prodotto e non a livello corporate. Con il termine «margini», Porter indica ciò
Free Press, che altri definiscono «valore aggiunto».
Boston, 1985.
Analisi delle risorse: forze e debolezze 161

Figura 7.5
Il value system Singola business unit

Catena del Catena del Catena del Catena del


valore dei valore del- valore dei valore dei
fornitori l’impresa distributori compratori

Impresa diversificata (più SBU, ciascuna con la propria value chain)

Catena del
valore della
business
unit

Catena del
Catena del valore della Catena del Catena del
valore dei business valore dei valore dei
fornitori unit distributori compratori

Fonte:
elaborazione da Catena del
M. Porter, valore della
Competitive business
Advantage, Free unit
Press, Boston,
1985.

mente prodotti e servizi al consumatore finale e quasi mai produce tutto al proprio
interno. Posto che le catene del valore dei fornitori e quelle dei distributori sono
tra loro differenti – alcuni offrono prezzi più bassi, altri servizi e prodotti più affi-
dabili – il vantaggio competitivo di un’impresa può avere origine anche dalla scel-
ta del miglior fornitore o distributore. Se per esempio un fornitore di packaging
innova e propone un sistema che crea maggior valore aggiunto, avendo con lui un
rapporto esclusivo l’impresa può acquisire un vantaggio competitivo rispetto ai
concorrenti. Lo stesso risultato si può ottenere con un nuovo sistema di distribu-
zione.
Ulteriori vantaggi possono emergere dall’acquisire una parte della catena del
valore dei clienti, sostituendosi a essi e fornendo loro un servizio. Alcuni di questi
legami possono essere unici, non imitabili, quindi possono dare un vantaggio rispet-
to ai concorrenti. Per fare un esempio, alcuni costruttori di elettrodomestici hanno
introdotto nel mercato frigoriferi che, grazie al collegamento con una centrale ope-
rativa gestita dagli stessi produttori, possono trasmettere un ordine di fornitura con
consegna a domicilio a una catena di supermercati. È un modo per acquisire una
parte della catena del valore del cliente, così come fanno i costruttori di auto che
acquistano assicurazioni, finanziamenti, riparazioni, manutenzioni, vendita dell’u-
sato.
L’analisi congiunta della value chain e del value system può fornire informazioni
sulle fonti del valore aggiunto delle imprese e sulle possibilità di costruire vantaggi
competitivi rispetto ai rivali. Se l’impresa offre un gruppo di prodotti, possono esi-
stere tra questi dei legami costituiti da materie prime o canali della distribuzione
comuni, e tali legami possono essere sviluppati al fine di costruire vantaggi competi-
162 I vantaggi competitivi

tivi nei confronti dei rivali. Per esempio, se la stessa materia prima (cacao) è utilizza-
ta in una pluralità di prodotti, l’impresa può acquisire un vantaggio competitivo
rispetto a un concorrente che abbia una gamma più limitata o addirittura un solo pro-
dotto. Altrettanto vale per i canali di distribuzione: se un costruttore di macchine
agricole utilizza lo stesso canale per una pluralità di prodotti, può ottenere vantaggi
competitivi rispetto ai rivali che hanno una minore varietà di macchine. Un altro
esempio ancora è dato dalle compagnie aeree che dispongono di Computer Reserva-
tion System (CRS) per collegarsi con gli agenti di viaggio, e detengono così un van-
taggio sui rivali che non ne dispongono.
In sostanza il fattore critico di successo è la capacità di costruire legami che i
rivali non possono imitare.

7.3 Individuare le competenze distintive che creano vantaggi


Nella seconda metà degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta un interrogativo è
stato posto insistentemente all’analisi strategica. Com’è possibile che imprese di pic-
cole dimensioni siano in grado di conquistare rapidamente quote di mercato signifi-
cative? Telecomunicazioni, biotecnologie, e-commerce sono alcuni tra i settori in cui
molte piccole imprese sono entrate rapidamente e con successo.
Sono state condotte varie ricerche e le conclusioni sono quasi unanimi: la risposta
è nella capacità di queste imprese di creare competenze uniche che le distinguono dai
concorrenti. Hanno accesso alle stesse risorse dei rivali, ma riescono meglio di altre
a coordinare la posizione nel mercato, l’innovazione e le strategie.
Sulle competenze distintive sono emersi due diversi filoni di ricerca:

• core resources (Kay);


• core skills and competencies (Hamel e Prahalad).

Le conclusioni cui giungono in parte si sovrappongono e per tutti esiste il limite della
difficoltà di quantificare le risorse in termini di valore aggiunto, ma è interessante
esaminare sia il metodo di analisi adottato sia le conclusioni.

Figura 7.6
Metodi di
Competenze distintive
analisi delle
competenze
distintive

Core skills
Core
and compe-
resources
tencies
164 I vantaggi competitivi

Figura 7.7
Come le core
competencies Prodotto 1
possono Strategic
essere legate Core competency A Prodotto 2 business
alle strategie unit X
di business
unit Prodotto 3

Core competency B
Prodotto 4

Strategic
Fonte: G. Hamel, Prodotto 5 business
C.K. Prahalad,
Core competency C unit Y
«The Core
Competencies Prodotto 6
of the
Corporation»,
Harvard Business Prodotto 7
Review, maggio-
giugno 1990.

L’impresa deve costruire le core competency prima di affrontare i concorrenti, non


quando è già in campo. Deve inoltre individuarle con un certo grado di dettaglio:
non può limitarsi a tre o quattro soltanto, perché significherebbe fermarsi a un livel-
lo sarebbe troppo generale e dunque superficiale; quaranta o cinquanta sarebbe otti-
male.
La prima critica a queste tesi è che un dettaglio delle core competency può essere
relativamente facile nelle grandi imprese e in certi settori (come quello dell’elettroni-
ca), ma è molto difficile in altri contesti e va adattato secondo i settori. La seconda
critica è che Hamel e Prahalad restano comunque nel vago e non definiscono con
precisione quali siano le core competency (Lynch, 1997).

7.4 L’analisi delle funzioni e dei processi


Dall’analisi dell’ambiente sono dunque emerse le minacce e le opportunità potenzia-
li. L’impresa deve poi stabilire se ha le risorse necessarie per trarre vantaggio da tali
opportunità e se, nel quadro generale della strategia, sia conveniente mettere in
campo le risorse di cui dispone, quali e in che misura.
Oltre all’analisi del valore aggiunto e delle competenze distintive che creano van-
taggi, un terzo gruppo di metodi di analisi interna è noto con l’espressione generica
di analisi delle principali funzioni e processi. Non si tratta del semplice elenco delle
attività svolte, ma di una valutazione delle capacità che il management responsabile
di ciascuna area ha di formulare e realizzare politiche e di utilizzare le risorse di cui
dispone.
È bene ripetere che si tratta di modi diversi di valutare una stessa realtà. Quando
questa è complessa, difficilmente un solo metodo di analisi consente di capire a fondo
il sistema di relazioni tra variabili. Per fare un’analogia, pensiamo a un medico che si
affida a più tecniche diagnostiche per appurare lo stato di salute di un paziente.
Analisi delle risorse: forze e debolezze 173

Figura 7.8
Matrice per
l’analisi SWOT Fattori interni
Forze (S) Debolezze (W)
……………………………….. ………………………………..
Indicare da 5 a 10 Indicare da 5 a 10
punti di forza debolezze
Fattori esterni

Opportunità (O) Strategie (SO) Strategie (WO)


……………………………….. ……………………………….. ………………………………..
Indicare da 5 a 10 Strategie che usano i punti Strategie che traggono
opportunità esterne di forza per trarre vantaggio vantaggio dalle opportunità
dalle opportunità superando le debolezze

Minacce (T) Strategie (ST) Strategie (WT)


……………………………….. ……………………………….. ………………………………..
Indicare da 5 a 10 Strategie che usano i punti Strategie che rendono mini-
minacce esterne di forza per evitare me le debolezze ed evitano
le minacce le minacce

7.6 L’analisi comparativa


Dopo aver valutato le risorse disponibili e aver individuato le competenze distintive e
le core competency, occorre un’analisi comparativa. Ecco alcuni metodi di confronto
frequentemente adottati.

• Storia dell’impresa. Il criterio basato sulla storia dell’impresa consiste nell’esa-


minare quanto è avvenuto in passato. Se oggi la situazione è migliorata, possiamo
concludere di aver un punto di forza; se invece è peggiorata possiamo giungere
alla conclusione opposta. Se, per esempio, il grado di indebitamento è aumentato
peggiorando il grado di esposizione di fronte ai creditori, si può concludere che
l’impresa abbia in quest’area un punto di debolezza.
• Standard di settore. Il termine di paragone o benchmark può essere una norma o
uno standard elaborato in base alla esperienza del settore, al parere di consulenti
o ai risultati di ricerche scientifiche. Per esempio, sono state fatte molte ricerche
sul rapporto tra le spese destinate a R&S (di prodotti e processi) e il fatturato: se
un’impresa supera il livello considerato utile per aprire le porte del successo, si
può concludere di essere in presenza di un potenziale punto di forza; se invece si
trova al di sotto di tale livello, si può parlare di un punto di debolezza.
• Strategie della concorrenza. Questo criterio parte dal presupposto che un’impre-
sa, per avere successo, debba almeno «neutralizzare» i concorrenti mettendo in
campo politiche e strutture organizzative come minimo equivalenti. Se per esem-
pio i concorrenti si presentano sui mercati con una gamma di prodotti molto
ampia, un modo per fronteggiarli potrebbe essere quello di presentare una gamma
altrettanto ampia di prodotti equivalenti. Se questa fosse la scelta e la gamma non
fosse sufficientemente ampia si potrebbe concludere che l’impresa ha un punto di
Le fonti dei vantaggi competitivi 179

Tabella 8.1
Attrattività/ Settori ROS 2004 ROA 2004 ROE 2004 Valore per gli
redditività tra azionisti.
settori a Ritmo di
confronto crescita
annuale
1994/2004
(%)

Compagnie aeree
United Airlines (10,5) (8,3) – (24,3)
Southwest Airlines 4,8 2,8 5,7 17,4
Mediana 2 1 7 1

Bevande
Coca-Cola 22,1 15,5 30,4 6,4
PepsiCo 14,4 15,0 31,0 13,7
Mediana 5 4 22 15

Computer, office equipment


International Business Machines 8,8 7,7 28,3 19,2
(IBM)
Hewlett-Packard 4,4 4,6 9,3 8,8
Dell Computer 6,2 13,1 46,9 52,0
Mediana 3 2 7 10

Autoveicoli e componenti
General Motors 1,4 0,6 10,1 5,6
Ford Motors 2,0 1,2 21,7 7,3
Mediana 2 1 11 6

Farmaceutici
Merck 25,3 13,7 33,6 8,3
Pfizer 21,5 9,2 16,6 17,0
Johnson & Johnson 18,0 16,0 26,7 18,3
Mediana 13 7 14 14

Computer software
Microsoft 22,2 8,8 10,9 22,9
Oracle 26,4 21,0 33,5 20,2
Mediana 14 6 11 22

Semiconduttori
Intel 22,0 15,6 19,5 19,7
Solectron (1,3) (2,9) (7,1) 4,5
Texas Instruments 14,8 11,4 14,2 18,7
Mediana (2) (1) (2) 15

Fonte: Fortune, Indici:


«America’s • ROS: return on sales. Rapporto tra utili e vendite.
Largest • ROA: return on assets. Rapporto tra utili e attività di bilancio (capitale investito).
Corporations», • ROE: return on equity. Rapporto tra utili e capitale proprio.
9 maggio 2005. • Valore per gli investitori (azionisti). Comprende sia l’aumento del valore di mercato
delle azioni sia i dividendi distribuiti nel periodo. Parte dal presupposto che dividendi,
vendita di diritti di warrant e azioni ricevute in occasione di spin-off (smembramento
di un’impresa) siano stati reinvestiti nel momento in cui sono stati pagati.
182 I vantaggi competitivi

8.2 Le fonti dei vantaggi competitivi


Come creano vantaggi competitivi le imprese? A questa domanda management e
ricercatori hanno dato varie risposte, riconducibili a due approcci principali (Fig. 8.1):

1) l’approccio della posizione nel settore rispetto ai concorrenti, detto anche struttu-
rale, secondo cui i vantaggi dell’impresa derivano dalla conquista e dalla difesa di
una posizione rispetto ai rivali e la posizione può essere o di bassi costi o di diffe-
renziazione nei migliori segmenti di un settore;
2) l’approccio della resource-based theory (RBT), secondo cui risultano determi-
nanti le risorse e le capacità dell’impresa. I vantaggi derivano da prestazioni
superiori a quelle dei rivali, originate da risorse e capacità distintive non possedu-
te dai rivali e non imitabili, sviluppate nel tempo e che agiscono sulle prestazioni
dell’impresa nei vari campi di attività.

Nessuno dei due approcci è in grado di spiegare come si crea e si sostiene un vantag-
gio in un ambiente competitivo dinamico. Tuttavia, combinando le due prospettive è
possibile tracciare un quadro dei vantaggi di cui l’impresa dispone, capire come sono
stati costruiti e quindi come possono essere mantenuti. Non bisogna dimenticare che
la creazione, il sostegno e la difesa dei vantaggi competitivi è un’attività costante a
ciclo continuo, che non può avere soste.
Creare più valore dei rivali non significa però avere la redditività più alta in asso-
luto. La struttura del settore è un fattore critico nel determinare quale quota di valore
creato l’impresa riesca a trattenere come profitto. Essendo parte integrante dell’ana-
lisi strategica, l’analisi di settore – i cui metodi abbiamo già esaminato – resta dun-
que insostituibile, per vari motivi (Ghemawat, 1999):

• il peso della struttura del settore sulla redditività è alto, anche se non è l’elemento
più importante;
• le caratteristiche di settore che agiscono sulla redditività hanno un effetto più du-
raturo rispetto a quello derivante dalle diversità tra strategie di imprese dello stes-
so settore;
• alcuni settori hanno strutture tali da rendere possibili forti scostamenti dei risulta-
ti di un’impresa rispetto alla redditività media (di settore). In altri gli scostamenti
sono minori;
• le imprese che hanno redditività superiore alla media devono il loro successo
anche alla capacità di affrontare i lati (per loro) negativi del settore;

Figura 8.1
Due approcci
Le fonti dei vantaggi competitivi
alla
individuazione
delle fonti dei
vantaggi
competitivi La posizione nel settore Le risorse, le capacità,
(Porter) le competenze distintive
(Barney, Grant, Hamel e Prahalad)
Le fonti dei vantaggi competitivi 183

• infine, se è vero che la struttura del settore agisce sulle strategie delle imprese, è
anche vero che le strategie contribuiscono alla struttura. È dunque utile esamina-
re entrambe.

8.3 La posizione nel settore: i vantaggi generici


Un’impresa ha un vantaggio competitivo soltanto se è in grado di creare valore in
misura superiore a quello dei suoi concorrenti.
Negli anni Settanta, sulla scia delle ricerche di Bain, ad Harvard, e dell’attività di
consulenza della McKinsey, è stato accettato il principio che la creazione di valore (più
in generale l’attrattività di un’impresa) dipende o dalla cost position o dalla differentia-
tion position dell’impresa rispetto ai suoi concorrenti. Le prime analisi rigorose dei con-
cetti di costo e di differenziazione apparvero all’inizio degli anni Ottanta, in un’opera
di M. Porter (1980) e in un articolo di W. Hall (1980) dell’Harvard Business Review.
Secondo Porter, per costruire un vantaggio competitivo un’impresa deve: o avere
costi più bassi rispetto a quelli dei concorrenti; o essere in grado di differenziare i pro-
dotti in modo da applicare prezzi superiori a quelli dei concorrenti; oppure riuscire a fare
entrambe le cose. Sulla base di questi due elementari principi, Porter ha ampiamente svi-
luppato ciò che definisce strategie generiche: bassi costi e differenziazione (Fig. 8.2).
Una strategia di bassi costi mira a ridurre al minimo i costi unitari, mentre una stra-
tegia di differenziazione mira a rendere i prodotti e i servizi il più possibile diversi da
quelli dei concorrenti al fine di poter praticare un prezzo superiore. Entrambe le stra-
tegie possono essere applicate all’intero settore o a una parte (uno o più segmenti).

Figura 8.2
Le strategie
generiche di Vantaggi competitivi
Porter I clienti percepiscono Posizione
unicità di bassi costi
Target

Intero settore Differenziazione Cost leadership


Fonte: M. Porter,
Competitive Soltanto un particolare
Strategy, Free Focus
segmento
Press, Boston,
1980.

Prima di adottare una delle due strategie competitive generiche, l’intera impresa o la
business unit deve decidere a quale target mirare: quali prodotti o quali linee di pro-
dotti offrire, quali canali della distribuzione utilizzare, quali potenziali compratori
servire, in quali aree geografiche vendere, con quali imprese rivali entrare in concor-
renza. Questa scelta dipende dalla disponibilità delle risorse e dagli obiettivi che
l’impresa si è data. Il target può essere ampio, e includere l’intero settore, o limitato
a una nicchia del mercato: combinando questi due target con le due strategie compe-
titive otteniamo quattro tipi di strategie generiche (le cui caratteristiche saranno esa-
minate in dettaglio nel capitolo 15):
Le fonti dei vantaggi competitivi 185

Peraltro, oltre a offrire un quadro soltanto parziale della realtà questo approccio
ha in particolare due punti deboli.

Playing the spread. Il primo punto debole è nel fatto che cost leadership e diffe-
renziazione non si escludono a vicenda. Spesso le strategie delle imprese mirano a
sviluppare entrambi questi vantaggi competitivi: i costruttori di auto giapponesi
Toyota e Honda, per esempio, hanno raggiunto simultaneamente sia posizioni com-
petitive di bassi costi sia posizioni di elevata qualità e quindi di differenziazione.
Day (1997) indica questa posizione con l’espressione playing the spread e cita il
caso di Kellogg, impresa che ha ottenuto buoni risultati sia con una strategia di bassi
costi sia con una strategia basata sulla differenziazione (maggior valore per il cliente
e quindi possibilità di applicare un prezzo più alto).
È dimostrato che la qualità elevata può creare vantaggi competitivi e può quindi
aumentare le quote di mercato. Con l’aumento delle quote si abbassano i costi totali
per effetto delle curve di esperienza e delle economie di scala. I costi unitari scendo-
no sia per effetto dei maggiori volumi sia dei minori costi rispetto alla «non qualità»
(se la qualità migliora, i costi totali diminuiscono perché si riducono gli sprechi e gli
scarti di produzione, i costi di riparazione e di assistenza post-vendita). È dunque
possibile che l’impresa sia leader di costo e, nel contempo, offra prodotti e servizi
differenziati rispetto a quelli dei concorrenti.
Porter non condivide questa posizione e sostiene che un’impresa (o una business
unit) deve adottare una sola strategia competitiva generica, altrimenti verrebbe a tro-
varsi «in mezzo al guado» (l’arena competitiva) senza un vantaggio competitivo e
risulterebbe condannata a una redditività inferiore alla media. Su questo argomento
tornerà il cap. 15.

Figura 8.3
L’origine del
vantaggio Sistema economico
competitivo e struttura
secondo del settore
l’approccio
della posizione Differenziazione Redditività
nel settore rispetto ai rivali dell’impresa

Creazione di valore
superiore a quella
dei rivali

Costi più bassi


rispetto ai rivali

La redditività/attrattività di un’impresa dipende dalle caratteristiche del sistema paese,


dalla struttura caratteristica del settore e dalla capacità (dell’impresa stessa) di creare più
valore rispetto ai concorrenti. Secondo «la posizione nel settore», il valore che l’impresa
crea a confronto con i concorrenti dipende dalla capacità di abbassare i costi e dalla capa-
cità di differenziare i prodotti rispetto a quanto fanno i concorrenti.
Le fonti dei vantaggi competitivi 189

8.5 Le risorse, le capacità e le competenze distintive


Le tesi della RBT sono molto articolate, ma possono essere ricondotte alle seguenti
enunciazioni:

• le competenze distintive sono i punti di forza che l’impresa non divide con i riva-
li. Se creano valore danno all’impresa una redditività superiore alla media del set-
tore;
• le competenze distintive di un’organizzazione emergono dalle sue risorse e capa-
cità;
• per costruire vantaggi competitivi, le imprese devono formulare strategie sia
basate sulle risorse e sulle capacità esistenti nell’organizzazione (le competenze)
sia tese ad acquisire nuove risorse e capacità.

Figura 8.4
La
determinazione Analisi Analisi Analisi
dei vantaggi interna della concorrenza esterna
competitivi
secondo la
resource-based
theory
Forze e debolezze Minacce
dell’impresa e opportunità

Competenze
Fattori di successo
distintive
nel settore
dell’impresa
Fonte:
elaborazione da
L. Dahringer, H.
Muhlbacher,
International Vantaggi competitivi
Marketing, dell’impresa
Addison Wesley,
New York, 1991.

Le risorse
I fattori produttivi, gli input, le risorse umane, finanziarie, tecnologiche e organizza-
tive di un’impresa possono essere distinte in:

• risorse tangibili, ossia edifici, attrezzature, impianti. Sono le più facili da imitare
e attirano l’attenzione dei rivali perché si prestano più facilmente ai confronti.
Includono la capacità operativa, le economie di scopo e di scala, la copertura geo-
grafica della distribuzione, le spese in pubblicità e promozione, la capacità finan-
ziaria e il costo del capitale, il costo delle materie prime;
192 I vantaggi competitivi

Il concetto di routine organizzative è dunque essenziale per comprendere le fonti


delle competenze di un’impresa e per valutarle. Implica inoltre che le capacità resti-
no anche quando una persona o un gruppo di persone lasciano l’impresa. Le persone
cambiano, ma le routine restano.
Partendo dal presupposto che i vantaggi competitivi sono determinati principal-
mente dalle risorse e dalle competenze, Grant propone un approccio articolato in cin-
que stadi (Fig. 8.5):

1) individuare e classificare le risorse dell’impresa in termini di forze e debolezze


nei confronti dei concorrenti;
2) identificare le capacità distintive: che cosa sappiamo fare meglio dei rivali?
3) valutare la capacità delle risorse e delle competenze di generare profitti attraverso
la creazione e lo sfruttamento di vantaggi competitivi;
4) selezionare le strategie che meglio di altre sfruttano le risorse e le capacità delle
imprese in rapporto alle opportunità offerte dall’ambiente esterno;
5) individuare gli scostamenti (gap) tra risorse necessarie e risorse disponibili; inve-
stire per acquisire, integrare e migliorare la base di risorse delle imprese.

Nel terzo stadio, in particolare, Grant individua due fattori chiave per costruire van-
taggi competitivi attraverso le risorse e le capacità dell’impresa:

Figura 8.5
Analisi 4. Selezionare la strategia
strategica che meglio di ogni altra Strategia
secondo la sfrutta le risorse e le capacità
dell’impresa in rapporto alle
resource-based opportunità dell’ambiente
theory esterno.
3. Valutare la capacità delle
risorse e delle competenze di
generare «rendita» (profitti)
5. Individuare il gap
in termini di:
di risorse che occorre
(a) loro potenziale per van- Vantaggi colmare. Investire per
taggi competitivi sosteni- competitivi acquisire, integrare e
bili;
migliorare la base di
(b) capacità di conseguire
risorse dell’impresa.
profitti attraverso l’uso di
tali risorse e competenze.

2. Identificare le capacità
Fonte: R.M. distintive dell’impresa. Cosa
Grant, «The può fare l’impresa meglio
Capacità
dei suoi rivali? Per ciascuna
Resource-based
capacità individuare l’input
Theory of
di risorse e la complessità.
Competitive
Advantage: 1. Identificare e classificare le
Implications for risorse dell’impresa. Valutare
Strategy forze e debolezze in rappor-
Formulation», to a quelle dei concorrenti.
California Individuare le opportunità Risorse
Management per una migliore utilizzazio-
Review, vol. 33, ne delle risorse.
n. 3, 1991.
Le fonti dei vantaggi competitivi 193

• la sostenibilità (nel tempo) dei vantaggi competitivi;


• la capacità dell’impresa di «appropriarsi», dei vantaggi (profitti/creazione di
valore) generati dalle risorse e dalle capacità di cui dispone.

La RBT individua quattro caratteristiche delle risorse e delle competenze per la loro
particolare importanza nel sostenere vantaggi competitivi: durabilità, trasparenza,
trasferibilità e riproducibilità (Fig. 8.6).

Durabilità. Se la competizione manca, i vantaggi competitivi dipendono dal ritmo


con cui le risorse e le capacità diventano obsolete. La durabilità delle risorse varia
considerevolmente nel tempo: il ritmo crescente del cambiamento tecnologico abbre-
via la vita utile di molte attrezzature tecniche e quella di molte risorse tecnologiche;
l’immagine (sia del prodotto sia dell’impresa) tende invece a deprezzarsi più lenta-
mente. In genere, come sostiene Grant, le capacità hanno maggiore durabilità rispet-
to alle risorse sulle quali sono basate perché l’impresa è in grado di mantenere le
capacità sostituendo le risorse esaurite o in via di esaurimento. Qualche esempio: i
grandi stilisti italiani riescono a mantenere a lungo le loro capacità di fare moda e
creare valore attraverso più generazioni di collaboratori; Manchester United e Juven-
tus restano grandi pur cambiando i giocatori.

Trasparenza. La capacità dell’impresa di sostenere i propri vantaggi competitivi


dipende dalla velocità con cui i rivali possono imitarne le strategie. Per farlo, i con-
correnti devono risolvere due problemi: anzitutto individuare i vantaggi competitivi
che danno il successo all’impresa e, secondariamente, riuscire a imitare la strategia
vincente. I rivali sono in grado di acquisire le risorse e le capacità necessarie per imi-
tare una strategia di successo?
Il tempo di imitazione dipende dalla capacità dei concorrenti di capire in che
modo le risorse e le capacità danno il successo all’impresa. Se le capacità comporta-
no un sistema vario e complesso di risorse, anziché una risorsa unica e «visibile», per
i rivali sarà più difficile definire le loro strategie di attacco. The Body Shop, per
esempio, è stata vittima di una strategia imitativa quando i suoi vantaggi competitivi
divennero facili da individuare e riprodurre.

Trasferibilità. L’imitazione comporta il reperimento delle risorse e lo sviluppo delle


capacità necessarie per sostenere la sfida competitiva. La prima fonte di risorse e di
capacità è verosimilmente il mercato di questi input: se l’impresa può acquisire le
risorse necessarie per imitare il vantaggio competitivo di un rivale che ha avuto suc-
cesso, tale vantaggio avrà breve durata. Molte risorse e capacità, tuttavia, non sono
facilmente trasferibili.

Figura 8.6
Quattro
requisiti per Vantaggi competitivi
sostenere i
vantaggi
competitivi Durabilità Trasparenza Trasferibilità Riproducibilità
Le fonti dei vantaggi competitivi 197

Figura 8.7
Gli elementi
che agiscono Efficienza superiore
sul vantaggio
competitivo

Vantaggio competitivo

Capacità superiore • Bassi costi


di innovare Qualità superiore
• Differenziazione

Fonte:
elaborazione da
C. Hill, G. Jones,
Capacità superiore
Strategic
di rispondere
Management,
al cliente
Hughton Mifflin,
New York, 1998.

Come può un’impresa raggiungere efficienza superiore a quella dei rivali? Le solu-
zioni sono numerose:

• realizzando economie di scala e sfruttando curve di esperienza;


• adottando tecnologie flessibili di produzione;
• riducendo il tasso di prodotti difettosi per realizzare zero defect;
• introducendo il just-in-time;
• innovando e progettando prodotti e servizi che siano facili da produrre (R&S);
• aumentando la produttività delle risorse umane attraverso la formazione;
• dando maggior potere a chi affronta i problemi pratici (empowerment);
• legando le remunerazioni alle prestazioni;
• dando efficienza all’intera organizzazione attraverso una leadership forte;
• costruendo una struttura organizzativa che faciliti il coordinamento delle varie
funzioni verso il conseguimento degli obiettivi di efficienza.

Figura 8.8
L’impatto
Aumenta Prezzi
della qualità l’affidabilità più alti
sui profitti

La qualità Profitti
migliora più alti

Aumenta Costi
la produttività più bassi
Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 207

Figura 9.1
I fattori che
sostengono Sostenibilità nel tempo
nel tempo dei vantaggi competitivi
i vantaggi
competitivi

Barriere Capacità dei Dinamismo


all’imitazione concorrenti del settore

• il cambiamento verso un nuovo modello del business;


• il pericolo rappresentato da concorrenti che (dotati di riserve e capaci di cogliere
l’innovazione) provengono da altri settori;
• l’errore di continuare a fare le cose che sono state fatte in passato ignorando il
cambiamento e senza considerare le reazioni dei rivali.

Alcuni vantaggi sono transitori perché possono essere facilmente e rapidamente imi-
tati: è il caso, per esempio, delle politiche di comunicazione e dei prezzi e anche dei
vantaggi derivanti dall’innovazione in certi prodotti e processi produttivi, difficili da
proteggere a lungo.
La persistenza, la durata di un vantaggio competitivo dipende almeno da tre fatto-
ri: le barriere all’imitazione, le capacità dei concorrenti e la dinamica del settore.

Alzare barriere all’imitazione


Le barriere all’imitazione sono rappresentate da ciò che rende difficile per un con-
corrente imitare le risorse e le capacità dell’impresa. Poiché il vantaggio competitivo
si traduce nella capacità di applicare prezzi più alti o sostenere costi più bassi e quin-
di conseguire profitti maggiori, i concorrenti tendono a imitarlo.
L’imitazione è ostacolata dall’esistenza di barriere, ma è difficile evitare che un
vantaggio competitivo venga imitato. Il problema principale è il tempo di imitazione:
quanto più è lungo, tanto maggiori sono le possibilità per l’impresa innovatrice di
costruire solide posizioni di mercato, consolidare i rapporti con i distributori, costrui-
re immagine di marca; in sostanza, alzare barriere alla risposta dei concorrenti. I pro-
fitti accumulati possono essere investiti in ulteriori innovazioni e consolidare ulte-
riormente la posizione.

Imitare le risorse. I vantaggi basati su risorse tangibili sono i più facili da imitare.
Per esempio, la localizzazione geografica è raramente esclusiva e si possono perdere
rapidamente anche i vantaggi rappresentati da impianti più efficienti, perché macchi-
nari, attrezzature e impianti possono essere acquistati nel mercato anche dai rivali.
Più difficile è imitare le risorse intangibili; prima fra tutte l’immagine di
marca. Nei fast food, per esempio, McDonald’s è sinonimo di buon rapporto prez-
zo/valore; Nestlé, Coca-Cola e altre marche con reputazione internazionale signi-
212 I vantaggi competitivi

Figura 9.2
I vari fattori
che possono Erosione dei vantaggi competitivi
indebolire
i vantaggi
competitivi
Cambiano le Nuovi Inerzia Ignorare il Non
regole concorrenti da (paradosso di cambiamento considerare la
un mercato Icaro) reazione dei
vicino rivali

Cambiano le regole
La deregulation o la strategia aggressiva di un’impresa possono cambiare le regole
della concorrenza alle quali i manager sono abituati e possono creare nuovi vantaggi
competitivi per le imprese che sanno individuarli e sfruttarli. È un fenomeno noto
con il termine sostituzione, intendendo con ciò il rimpiazzo di un vecchio modello di
business con un modello nuovo. Si tratta di una teoria nota anche come value migra-
tion, o migrazione di valore da un modello a un altro; o come disruptive technolo-
gies, tecnologie che distruggono o stravolgono le strutture della competizione preesi-
stenti; e cambiamenti della struttura competitiva (Slywovsky, 1996).
In genere, la minaccia della sostituzione nasce in una nicchia piccola, con redditi-
vità bassa o negativa (Christensen, 1997). In una prima fase la nuova impresa non
rappresenta una minaccia per le imprese già presenti nel mercato, poiché offre pre-
stazioni inferiori. Ma per rispondere al nuovo entrato le imprese dovrebbero disporre
di capacità che non hanno e che non possono acquisire nel breve periodo, anche per-
ché non è chiaro verso quale modello stia evolvendo il settore.

Delta, American e United: strategie vulnerabili


Le tre grandi compagnie aeree americane han- con le agenzie di viaggio e gli altri intermedia-
no protetto per molto tempo le loro quote di ri, nonché con i passeggeri che prenotano diret-
mercato attraverso il controllo degli hub-and- tamente. Con i programmi frequent flyers (pre-
spokes e gli investimenti nei sistemi di prenota- mi legati alla frequenza e alla lunghezza dei
zione CRS (Computer Reservation Systems). voli con la stessa compagnia o compagnie col-
I voli in partenza da varie località degli Stati legate) è inoltre aumentata la fedeltà dei clienti.
Uniti vengono fatti confluire su un unico aero- Tutto questo ha però costi elevati, dovuti alla
porto (hub) dal quale si irradiano voli per altre gestione degli hub e alla struttura rigida delle
località (spoke = raggio). rotte.
Il vantaggio per il passeggero è di poter rag- La strategia si è dimostrata vulnerabile all’offer-
giungere molte località con un unico scalo, ta di rivali come Southwest Airlines: prezzi bassi,
mentre la compagnia aumenta la capacità ope- servizi no-frills (di base, senza opzioni particola-
rativa utilizzata (rispetto a tanti singoli colle- ri) e collegamenti point-to-point con voli diretti
gamenti diretti da aeroporto ad aeroporto). non stop tra città di piccole e medie dimensioni,
Il controllo dei sistemi di prenotazione ha dato buona qualità del servizio. Una formula che ha
poi alle compagnie un vantaggio nei rapporti strappato quote rilevanti del mercato.
Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 217

di profitto. Le minacce maggiori provengono da cambiamenti nell’ambiente econo-


mico e sociale (calo della domanda), dalla deregulation e da nuove tecnologie.
• Risorse con ciclo standard (Standard cycle). Le imprese che fanno parte di questo
gruppo debbono affrontare una forte concorrenza da parte di pochi rivali che
adottano le stesse strategie, basate sull’intensità del capitale investito o sul marke-
ting di massa. Poiché fondano le loro strategie sui grandi volumi, queste aziende
hanno processi standardizzati e devono coordinare attività distribuite in più orga-
nizzazioni (stabilimenti di produzione, punti vendita), operano in aree di mercato
circoscritte.
• Risorse con ciclo rapido (Fast cycle). Un terzo gruppo di imprese opera in merca-
ti in cui il ciclo di vita del prodotto è breve, i margini di profitto sono rapidamen-
te ridotti dalla concorrenza ed esiste una sorta di moto perpetuo dell’innovazione
e quindi dell’obsolescenza, causato dall’introduzione di nuovi prodotti. I vantag-
gi derivano da innovazioni idea-driven, quindi basate su un concetto o su una tec-
nologia che molti possono adottare, o su un’idea nuova di prodotto o di servizio
facile da imitare.

Le risorse e le capacità di un’organizzazione possono essere imitate da un’impresa


rivale in varia misura. Volendo rappresentare questa ipotesi graficamente (Fig. 9.3),
su un asse possiamo graduare la sostenibilità di un dato livello di risorse fissando i
due estremi: livello alto (risorse difficili da imitare) e livello basso (risorse facili da
imitare).
A un estremo stanno le risorse con ciclo lento, da cui derivano vantaggi competi-
tivi difendibili a lungo in quanto le risorse sono protette da brevetti, particolari loca-
lizzazioni geografiche, forti immagini di marca. Williams porta come esempio il
rasoio Sensor, di Gillette, la cui immagine è stata costruita con rilevanti investimenti,
difficili da imitare in un arco di tempo breve.
All’estremo opposto si trovano le risorse con ciclo rapido, assai vulnerabili alle
imitazioni in quanto basate su concetti, idee o tecnologie che possono essere facil-

Figura 9.3
Vulnerabilità Erosione lenta Erosione forte
dei vantaggi
competitivi Livello alto di sostenibilità Livello basso di sostenibilità
Fonte: adattato da (difficile da imitare) (facile da imitare)
J.R. Williams «How
Sustainable is Your
Competitive Risorse con ciclo lento Risorse con ciclo standard Risorse con ciclo rapido
Advantage?»
California • Posizioni fortemente • Standard di produ- • Basate su un concet-
Management protette da brevetti, zione di massa to, un’idea (idea-dri-
Review, primavera forte immagine di • Economie di scala ven)
1992, p. 33; e da marca • Processi produttivi
G. Day, D.
complessi
Reibstein,
Wharton on
Dynamic Es.: Gillette, con il rasoio Es.: Chrysler, con il Mini- Es.: Sony, con il Walkman
Competitive Sensor Van
Strategy, Wiley,
New York, 1977.
Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 219

Persino Southwest, che veniva da 32 trimestri consecutivi di utili, era immune da


questa tendenza. I costi del lavoro in percentuale dei ricavi erano al 37, contro il 25
per cento di United Airlines, Northwest e UsAirways. La reputazione di Southwest di
tenere bassi i costi medi era però intatta (si veda il caso Southwest cap. 15).

9.3 Come sostenere a lungo un vantaggio competitivo


Per ridurre il rischio di cadere nelle «trappole» che possono indebolire il proprio van-
taggio competitivo, un’impresa deve intraprendere alcune azioni:

1) prestare costante attenzione agli elementi fondamentali di ogni vantaggio (effi-


cienza, qualità, innovazione e capacità di risposta alle esigenze del cliente);
2) individuare e adottare rapidamente i migliori metodi di gestione del settore;
3) rimuovere l’inerzia;
4) creare barriere all’imitazione;
5) minacciare rappresaglie;
6) difendere i modelli di business dalla sostituzione.

Costante attenzione
Il primo requisito per sostenere a lungo un vantaggio competitivo è migliorare
costantemente gli elementi fondamentali: efficienza, qualità, innovazione e capacità
di risposta alle esigenze del cliente. Sebbene sia difficile scrutare il futuro e indivi-
duare tendenze latenti, prestare attenzione costante all’ambiente generale e a quello
competitivo in particolare aumenta la capacità e la tempestività di risposta. Confida-
re sulle scelte del passato prese in un contesto che molto probabilmente è cambiato
può essere rischioso, perché possono essere sorte nuove minacce, ma anche perché si
rischia di perdere opportunità.

Figura 9.4
Azioni tese Come sostenere a lungo
a mantenere un vantaggio competitivo
un vantaggio
competitivo

Costante I metodi Vincere Difese Minaccia di Difesa


attenzione migliori l’inerzia contro rappresaglie contro la
l’imitazione sostituzione

I metodi migliori
Misurarsi rispetto alle imprese migliori e acquisire i loro metodi è un passaggio inso-
stituibile per mantenere a lungo un vantaggio competitivo. Poche imprese possono
vantare la leadership costante nei metodi di gestione e il modo più efficace per rinno-
224 I vantaggi competitivi

Figura 9.5
La teoria della Tendenze della politica Mercati/settori Effetti sulla competizione
contendibilità
e gli effetti L’autorità fissa prezzi,
Regulation Intero settore
sulla entrata, servizi minimi
competizione obbligatori

Prezzi, qualità e servizi


Mercati/attività sono fissati dalla
contendibili competizione
Deregulation

Prezzi, qualità, servizi


minimi obbligatori
Fonte: Tratto da sono stabiliti da
G. Day, D. Mercati/attività
in monopolio contratti. L’autorità
Reibstein,
Wharton on
fissa le norme e le
Dynamic condizioni di accesso
Competitive al mercato
Strategy, Wiley,
New York, 1997.

9.5 Ipercompetizione e vantaggi competitivi


Dalla recessione dei primi anni Novanta sono emerse imprese molto aggressive,
capaci di affrontare i rivali con vantaggi competitivi assai diversi (dai costi bassi al
time-to-market, dal lean management al Total Quality Management) e le loro strate-
gie hanno causato in molti settori una rapida erosione dei vantaggi competitivi tradi-
zionali. Questa «nuova febbre» della competizione ha dato un nuovo impulso agli
studi sulla formazione delle strategie.
Secondo D’Aveni (1995) il management e i ricercatori stanno scoprendo che i
modelli esistenti di strategia sono ormai quasi obsoleti sotto la pressione della con-
correnza sempre più intensa e la sua tesi può essere così riassunta:

• le fonti tradizionali dei vantaggi competitivi non resistono a lungo nell’economia


contemporanea. I vantaggi tramontano molto rapidamente e vengono spesso di-
strutti dalle stesse imprese che per prime li hanno costruiti, per sostituirli con altri
totalmente nuovi;
• la competizione è sempre esistita e le differenze rispetto al passato sono l’aggres-
sività e la rapidità di erosione dei vantaggi competitivi da parte degli attaccanti. In
passato il ciclo di vita dei prodotti e dei settori era più lungo;
• pochi settori sono esenti da questa nuova febbre dell’ipercompetizione. Anche
marche prestigiose protette a lungo dalla notorietà sono state scosse dalla nuova
concorrenza sul prezzo e sulla qualità; così come poste e telecomunicazioni, un
tempo monopolio incontrastato di organizzazioni pubbliche, sono ora sotto gli
attacchi concentrici di imprese di vari settori;
• l’ipercompetizione non è limitata all’high-tech: è ormai diffusa in molti settori,
dall’alimentare ai servizi finanziari.
Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 229

Tre principi
L’ipercompetizione è in sostanza la negazione dei modelli statici. Con quest’ultima
espressione D’Aveni bolla le strategie di molte aziende negli anni Novanta. In un
ambiente che cambia lentamente, il vantaggio competitivo sostenibile a lungo è il
principale obiettivo. Nell’ipercompetizione, invece, il cambiamento è rapido: l’obiet-
tivo è distruggere i vantaggi competitivi esistenti e crearne continuamente di nuovi
battendo sul tempo i concorrenti.
Questa visione dinamica è basata su tre principi:

1) ogni strategia deve incorporare le risposte dei concorrenti a un’azione dell’impre-


sa che attacca. L’analogia è con i giochi di squadra, nei quali i giocatori devono
reagire alle mosse degli avversari in una rapida serie di mosse e contromosse;

Figura 9.6
Iper- Redditività economica
competizione e
vantaggi
competitivi

Tempo
Sviluppo del vantaggio Difesa del vantaggio Erosione del vantaggio

Redditività economica

Vantaggio Vantaggio Vantaggio Vantaggio


n. 1 n. 2 n. 3 n. 4
Fonte: R.A.
D’Aveni,
Hypercompetition:
Managing the Tempo
Dynamics of
Strategy
Maneuvering, Il grafico in alto illustra la dinamica del vantaggio competitivo: la redditività aumenta con
Free Press, lo sviluppo del vantaggio e smette di crescere quando il vantaggio è sostenibile; successi-
Boston, 1994 vamente crolla quando il vantaggio soccombe all’erosione.
(trad. it. D’Aveni sostiene che in molti mercati il periodo di tempo in cui il vantaggio è sostenibile
Ipercompetizione, stia riducendosi drasticamente. In simili condizioni l’impresa può mantenere la redditività
Il Sole 24 Ore, soltanto se sviluppa continuamente nuovi vantaggi competitivi (grafico in basso).
Milano, 1995).
Le strategie corporate in un‘impresa single-business 239

Figura 10.2
Strategia
corporate in
un’impresa Responsabilità a
multibusiness livello di corporate Corporate
Strategy

Azioni a due vie

Responsabilità di
management a livello Business Strategy
di business unit

Azioni a due vie

Responsabili delle Strategie funzionali


principali funzioni (R&S, produzione, marketing, finanza,
all’interno della risorse umane ecc.)
singola business unit

Azioni a due vie

Responsabilità
di gestione Strategie operative
di singole (aree geografiche, impianti, department
unità all‘interno di aree funzionali)
operative

di un’impresa diversificata – e strategia di una single-business unit (SBU) o strategia


competitiva.
Dunque, la distinzione tra organizzazione single-business e organizzazione multi-
business è importante perché agisce sulla scelta delle strategie, su come vengono rea-
lizzate e gestite. Se l’impresa si identifica in una sola business unit, adotta strategie
competitive, con cui la business unit stessa affronta il proprio ambiente concorrenziale
(Fig. 10.2); se invece è composta da più business unit si parla di strategia corporate in
un’impresa multibusiness (Fig. 10.3), strategia che riguarda l’insieme di più SBU, che
possono anche non coincidere con imprese giuridicamente distinte, ma sono legate da
vincoli di capitale e sotto un governo unitario. La strategia corporate consiste quindi
nel decidere in quali business il gruppo debba essere presente, e come l’intera attività
debba essere organizzata e gestita. Iveco, per esempio, è articolata in quattro business
unit: veicoli leggeri, veicoli medi, veicoli pesanti e motori, e ciascuna SBU ha una pro-
pria strategia competitiva, propri concorrenti, tecnologie e risorse. La strategia corpo-
rate di Iveco consiste nelle scelte che riguardano l’insieme delle quattro SBU.
La strategia a livello corporate – sia in un’impresa single-business sia in un’im-
presa multibusiness – risponde ai seguenti interrogativi.

• Dobbiamo allargare il raggio d’azione ed entrare in nuovi business, oppure dob-


biamo ridurlo, o mantenerlo allo stato attuale?
• Se decidiamo di allargare il raggio d’azione, dobbiamo concentrare le nostre atti-
vità nei settori in cui siamo già presenti o dobbiamo entrare in altri settori (diver-
sificare)?
240 Le strategie corporate

Figura 10.3
Strategia
corporate di
Responsabilità di
un’impresa management a livello
single- Corporate
di business unit
Strategy
business
Azioni a due vie

Responsabili delle Strategie funzionali


principali funzioni (R&S, produzione,
all’interno della marketing, finanza,
singola business unit risorse umane ecc.)

Azioni a due vie

Responsabili di Strategie operative


impianti e altre (aree geografiche, impianti,
unità operative department all‘interno di aree funzionali)

• Se la scelta è per lo sviluppo e per l’espansione in nuovi settori, dobbiamo farlo


per linee interne oppure attraverso acquisizioni, fusioni, joint venture, alleanze o
altre forme?
• In quali business dobbiamo entrare per rendere massima la redditività nel lungo
periodo?
• Quali strategie dobbiamo adottare per entrare in un nuovo business o per uscire da
un business che non ci interessa più?

Le risposte possibili configurano diverse opzioni strategiche. Nel nostro percorso


d’analisi, cominciamo con l’esame delle alternative a disposizione di un’impresa sin-
gle-business.

10.2 Un ventaglio di opzioni strategiche


La maggior parte delle imprese comincia la propria attività in un solo settore e in un
solo business, ma se raggiungono grandi dimensioni è raro che non abbiano in qual-
che misura diversificato, verso valle nella distribuzione e/o verso monte nelle forni-
ture. Tuttavia, esistono grandi imprese che continuano a operare principalmente in un
solo settore (pensiamo a Ferrero o a McDonald’s).
La presenza in un solo settore comporta il vantaggio della specializzazione, che
può tradursi in una migliore offerta di prodotti e servizi e in maggiore efficienza ope-
rativa. Esiste però il rovescio della medaglia: concentrare le risorse in un unico setto-
re può aumentare la vulnerabilità dell’impresa all’andamento del ciclo economico.
Se per esempio l’attrattività del settore declina, perché la domanda cala o la concor-
renza diventa più intensa, le performance peggiorano rapidamente.
Questi svantaggi possono essere superati attraverso la diversificazione, entrando cioè
in più settori, ma il successo non è garantito: l’esperienza di Daimler-Benz (che vedre-
mo nel capitolo 12) insegna che così facendo si può distruggere valore anziché crearlo.
Le strategie corporate in un‘impresa single-business 241

Per poter sfruttare le opportunità che si presentano in altri settori, l’impresa può
adottare una diversificazione correlata, entrando in business complementari o simili
a quelli in cui opera, o una diversificazione non correlata, spingendosi in settori che
non hanno analogie o complementarietà.
In definitiva l’impresa può competere in uno o più business e, in questo secondo
caso, in business correlati o non correlati.
Supponiamo che operi unicamente in un settore. Attraverso l’analisi SWOT indi-
vidua da un lato i fattori esterni – opportunità e minacce – che definiscono l’attratti-
vità del settore, dall’altro i fattori interni – forze e debolezze – che definiscono la pro-
pria posizione competitiva. Dalla combinazione di questi due elementi emergono
varie opzioni per le strategie corporate (Fig. 10.4).
Hunger, Flynn e Wheelen (1990) hanno proposto una matrice che può essere
usata come modello per individuare le varie opzioni. Non sono evidentemente le
sole, ma sono le principali. Occorre ancora una volta ricordare che i confini tra setto-
ri sono spesso incerti, labili, mentre l’analisi di attrattività parte dal presupposto che
i confini siano chiari e stabili. La «porosità» dei confini tra settori tradizionali è infat-
ti ampiamente dimostrata e un’interpretazione tratta dai principi della biologia e
dalla loro applicabilità all’economia d’impresa è discussa in Moore (1996).
Come mostra lo schema in Figura 10.4, la dimensione orizzontale della matrice
indica la posizione competitiva del business nei confronti dei rivali (posizione che
può essere forte, media e debole), mentre l’attrattività del settore (alta, media o
bassa) è la dimensione verticale. Le 9 celle individuano altrettante strategie, ricondu-
cibili a tre categorie.

Figura 10.4
Strategie Posizione competitiva dei business
corporate: il Forte Media Debole
modello
attrattività del
settore/ 1 2 3
Sviluppo Sviluppo Contrazione
posizione
Forte Concentrazione attra- Concentrazione attra- Turnaround
competitiva
verso l’integrazione verso l’integrazione
verticale orizzontale
Fonte: J.D.
Hunger, E.J. Flynn,
Attrattività del settore

T.L. Wheelen 4 5 6
(1990), Stabilità Stabilità Contrazione
«Contingency Attesa da buona posi- Attesa da posizione Impresa in posizione
Corporate zone debole captive o
Strategy: A Media disinvestimento
Proposed Sviluppo
Typology with Concentrazione attra-
Research verso l’integrazione
Propositions», orizzontale
Academy
Management, 7 8 9
aprile; T. Wheelen, Sviluppo Sviluppo Contrazione
D. Hunger (1995), Diversificazione con- Diversificazione con- Fallimento o liquida-
Debole
Strategic centrica glomerata zione
Management and
Business Policy,
Addison Wesley,
New York.
242 Le strategie corporate

– strategie di sviluppo, che comprendono sia la concentrazione all’interno del set-


tore in cui l’impresa opera (celle 1, 2 e 5) sia la diversificazione attraverso la
quale lo sviluppo è generato al di fuori del settore (celle 7 e 8);
– strategie di stabilità (celle 4 e 5), che indicano come l’impresa possa perseguire la
mission e gli obiettivi attuali senza un significativo cambiamento nelle strategie;
– strategie di contrazione (celle 3, 6 e 9), a indicare le vie che l’impresa può adotta-
re per ridurre il campo di azione.

In linea di principio queste strategie possono essere adottate da un’impresa single-


business così come da una multibusiness, in quanto le differenze riguardano il modo
in cui vengono realizzate.
Occorre dunque distinguere le modalità di attuazione. La concentrazione delle
risorse in un settore può per esempio essere realizzata investendo parte delle risorse
aziendali nella nascita e nello sviluppo di una nuova impresa in un nuovo mercato del
settore (sviluppo per linee interne) oppure acquistando un’impresa che già opera nel
settore o stringendo un’alleanza o ricorrendo al licensing. Analogamente, se un’im-
presa di produzione intende diversificare nel settore della distribuzione può acquista-
re un’altra impresa, oppure può stringere un’alleanza o ricorrere al franchising.
È evidente che queste distinzioni semplificano la realtà, al fine di studiarla. Di
fatto, se l’impresa è multibusiness può adottare più strategie simultaneamente: svi-
luppo per alcune business unit e contrazione per altre. Inoltre, i confini tra settori non
sono sempre netti ed è spesso difficile separare la concentrazione in un settore dalla
diversificazione in più settori.
In ogni caso, un modello teorico è un utile strumento di analisi e di sintesi descrit-
tiva. Ipotizziamo dunque le strategie corporate di un’impresa che operi in un solo set-
tore e debba scegliere tra sviluppo, stabilità o contrazione. Esaminiamo le caratteri-
stiche generali delle tre opzioni per individuare le principali strategie.

Figura 10.5
Le strategie di
Strategia di sviluppo
sviluppo: le
grandi scelte e
i modi per
Concentrazione Diversificazione
realizzarle

Integrazione Integrazione
Concentrica Conglomerata
verticale orizzontale

Come realizzare lo sviluppo


• Acquisizioni (takeover) • Franchising
• Fusioni e incorporazioni • Licensing
• Alleanze • Contratti
• Joint venture • Relazioni di lungo termine
Le strategie corporate in un‘impresa single-business 249

Si possono individuare due principali strategie generiche:

1) rinunciare allo sviluppo nel breve termine e restare in attesa, avendo una buona
posizione competitiva, evitando di correre rischi con nuovi investimenti;
2) non cambiare le strategie, in attesa che sia la domanda sia il contesto competitivo
assumano una configurazione più chiara (propensi all’abbandono).

Sono strategie in genere adottate da imprese che hanno una buona posizione in setto-
ri con attrattività media, che può dipendere da un modesto sviluppo o dal declino
della domanda oppure da fattori dell’ambiente che minacciano di cambiare il quadro
della competizione.
Possono essere efficaci nel breve periodo, ma disastrose se protratte a lungo.

Figura 10.6
Due strategie
Strategie di stabilità
generiche di
stabilità

Attesa da buona posizione Attesa da posizione debole

Attesa da buona posizione


Se l’impresa ha una buona posizione competitiva, ma il settore è entrato in una fase
di stagnazione e la sua attrattività è modesta anche perché l’ambiente è molto turbo-
lento, secondo Wheelen e Hunger l’impresa ha due possibilità:

– pausa: l’impresa non rinuncia allo sviluppo, ma preferisce attendere e investire al


proprio interno, migliorando l’organizzazione, riducendo i costi fissi e aumentan-
do l’efficienza dei processi di gestione. Questa strategia è periodicamente la rego-
la nei settori in cui la domanda segue lunghe onde cicliche: edilizia, veicoli indu-
striali, macchine per costruzioni, chimica di base;
– procedere con cautela: indica una situazione in cui l’ambiente competitivo e la
domanda possono rapidamente cambiare. Se si presume che possano in breve
tempo emergere o buone opportunità o forti minacce, l’impresa non prende rischi
e attende che l’incertezza diradi.

L’espressione «procedere con cautela» indica una strategia in risposta a un ambiente


fortemente competitivo e intensamente dinamico. L’ambiente potrebbe in breve
tempo muovere verso lo sviluppo o verso la contrazione. Nel corso del 2000, in pochi
mesi l’indice dei titoli tecnologici Nasdaq perse un terzo del proprio valore. Gli inve-
stitori valutavano negativamente la prolungata mancanza o la modestia dei profitti di
molte imprese del settore. Di fronte a questo crollo, molti piani di sviluppo delle
imprese che fornivano attrezzature e impianti alla new economy furono temporanea-
mente accantonati.
Le strategie corporate in un‘impresa single-business 251

La contrazione può essere una strategia di breve termine, destinata a essere rapi-
damente abbandonata, oppure anche una scelta di lungo periodo. Questo avviene
soprattutto quando l’impresa in difficoltà, dopo aver constatato la perdita di competi-
tività, decide di concentrarsi su pochi clienti o su aree geografiche limitate. In pratica
il corporate rinuncia a fare nuovi investimenti, ma non intende nemmeno abbandona-
re completamente il settore o il segmento prodotto/mercato. Riduce la presenza del
gruppo o della business unit per concentrarla nei segmenti (o nei settori) che danno i
margini di utile più alti o che presentano le migliori possibilità di sviluppo futuro.

Figura 10.7
Tre strategie
Strategie di contrazione
generiche di
contrazione

Abbandonare
Captive o
Turnaround (fallimento o
cessione
liquidazione)

Turnaround
È la strategia indicata per una situazione in cui il settore ha buona o forte attrattività e
l’impresa ha perso capacità competitiva, ma valuta di poterla recuperare. Con Robbins e
Pearce (1992) possiamo distinguere due stadi del turnaround che in parte si sovrappon-
gono: ritirata (retrenchment) e recupero. Questa distinzione sarà ripresa al capitolo 18.

Ritirata (retrenchment). È la fase iniziale del turnaround e mira a fermare il decli-


no, a stabilizzare la situazione. Consiste principalmente nel ridurre i costi e le attività
(di bilancio), quindi gli investimenti, in rapporto ai ricavi. Ha in genere un orizzonte di
breve termine e agisce per lo più sulle strategie funzionali. Le strategie competitive non
cambiano. È una sorta di versione ridotta di quanto avveniva prima, ma con maggiore
attenzione all’efficienza.

La ritirata di Levi Strauss


Per diversi anni l’azienda americana ha cerca- label), lo spostamento del potere d’acquisto
to di frenare il calo della domanda dei jeans dall’abbigliamento ad altri consumi e il calo
Levi’s. L’immagine tra i baby-boomer (i nati della popolazione giovane in Europa (meno 5
tra il 1945 e il 1965) restava alta, ma l’impresa per cento entro il 2005).
non era riuscita a rispondere alle nuove mode Nel 1997 Levi Strauss chiuse 11 stabilimenti
amate dai giovani. Inoltre, alcune tendenze negli Stati Uniti (6400 dipendenti persero il
avevano penalizzato Levi Strauss: aumento lavoro) e altri 4 l’anno successivo in Europa
della domanda di prodotti non-denim, il suc- (2500 posti di lavoro).
cesso delle marche dei dettaglianti (private-
260 Le strategie corporate

Figura 11.1
Esempi di
integrazione Materie prime Materie prime
verticale

Componenti meccanici Produzione


ed elettronici di microchip

Assemblaggio di
Elettrodomestici
personal computer

Catene di negozi
Catene di vendita
di vendita
di personal computer
elettrodomestici

Nota: Integrazione a monte e integrazione a valle sono relative allo stadio preso in esame.
Se un’impresa di elettrodomestici acquista un’impresa fornitrice di componenti meccanici
(utilizzati nel montaggio degli elettrodomestici) fa un’integrazione a monte. Se acquista
invece un’impresa che distribuisce elettrodomestici fa una integrazione a valle.

imprese. Questo problema è noto come «make-or-buy». La soluzione è nello stabili-


re quali benefici e quali costi comporti il ricorso al mercato. Le imprese esterne sono
spesso in grado di realizzare economie di scala nella produzione di un componente o
di un servizio che sono fuori dalla portata di un’impresa che decida di produrli al pro-
prio interno.
Ricorrere a imprese esterne presenta anche altri vantaggi. Mentre la catena verti-
cale all’interno di un’impresa può nascondere inefficienze di alcune attività in quan-
to la valutazione è fatta nel complesso di tutte le produzioni, le attività svolte dalle
imprese esterne sono sottoposte alla competizione. Ciò incoraggia l’innovazione e
l’efficienza. Il ricorso a imprese esterne presenta però problemi di coordinamento
che danno luogo a costi elevati quando la compatibilità tra componenti e servizi
acquistati è un fattore critico (occorre la massima precisione nei tempi, nelle qualità
e nelle specifiche). L’argomento ha avuto di recente un nuovo sviluppo con la diffu-
sione dell’outsourcing (trattato oltre par. 11.2).

Catena verticale. In alternativa al make-or-buy, l’impresa può valutare la conve-


nienza a svolgere direttamente una data attività situata a monte o a valle oppure
acquistare un’impresa che già le realizza. I vantaggi o gli svantaggi dell’una o del-
l’altra soluzione possono essere ricondotti a un confronto tra l’efficienza tecnica e il
costo del coordinamento.
L’efficienza tecnica ha varie interpretazioni e, secondo la più ampia, emerge
quando l’impresa realizza attraverso l’integrazione verticale un processo produttivo a
costi più bassi. Il costo del coordinamento riguarda invece i maggiori costi di produ-
Integrazione verticale e integrazione orizzontale 265

Figura 11.2
Vantaggi e Vantaggi Svantaggi
svantaggi
della Vantaggi interni Costi
integrazione
verticale • L’integrazione abbassa i costi eliminan- • Il coordinamento dell’integrazione ver-
do i passaggi intermedi, riduce le ticale comporta maggiori costi fissi.
sovrapposizioni di costi fissi e riduce i • Aumenta la capacità produttiva in
costi di accesso alla tecnologia. eccesso (somma tra le varie fasi).
• La maggiore efficacia del coordinamen- • Se l’integrazione verticale non è orga-
to tra attività di produzione riduce le nizzata in modo efficace, non emergo-
scorte e altri costi. no sinergie che compensino i costi di
• Si riducono i tempi di molte attività, coordinamento.
come la contrattazione dei prezzi, la
comunicazione delle specifiche (ai for-
nitori) e la negoziazione dei contratti.

Vantaggi competitivi Vulnerabilità dei vantaggi competitivi

• L’integrazione evita che le politiche dei • Si perpetuano i processi obsoleti.


fornitori (circa i volumi, i tempi, le pre- • Si creano barriere alla mobilità (in usci-
stazioni) possano condizionare la politi- ta da un business).
ca generale dell’impresa. • L’impresa è legata a più business, alcuni
• Migliora la ricerca delle opportunità dei quali potrebbero entrare in crisi
offerte dal mercato e dalle tecnologie. (lungo la catena verticale).
• Aumentano le opportunità di differen- • Si perde l’accesso alle informazioni
Fonte: K.R. ziare i prodotti (aumenta il valore ottenibili dai fornitori e dai distributori.
Harrigan, aggiunto). • I manager possono sopravvalutare i
«Formulating • Vi è maggiore capacità di controllo del- vantaggi dell’integrazione, in particola-
Vertical l’ambiente competitivo (potere di mer- re le sinergie attese.
Integration cato).
Strategies» • Si crea maggiore credibilità per i nuovi
Academy of prodotti.
Management • Coordinando verticalmente le attività si
Review, ottobre possono creare sinergie.
1984, p. 639.

Tramonto di una strategia


Fino agli anni Settanta nelle economie europee chiuse allo scambio internazionale
era la regola che una grande impresa mirasse a controllare sia le fonti di approvvi-
gionamento di materie prime e di componenti sia in tutto o in parte i canali della
distribuzione. L’integrazione verticale dava i vantaggi della stabilità nella program-
mazione dei volumi di attività nei vari stadi e aumentava il potere di negoziazione
verso l’esterno. In Italia dava anche vantaggi fiscali. Ma dalla metà degli anni Settan-
ta in poi, poche imprese realizzano l’integrazione verticale e molte l’abbandonano
precipitosamente durante le fasi più acute della recessione economica di quegli anni
e dei decenni successivi. La scena è cambiata: l’apertura delle frontiere spezza molte
posizioni dominanti e lo sviluppo di imprese specializzate mette sul mercato compo-
nenti che hanno qualità migliori e prezzi più bassi rispetto a quelli prodotti lungo la
catena verticale. L’integrazione verticale mantiene intatti i suoi principi, ma è appli-
cata soltanto a parti della catena. È in costante competizione con l’outsourcing e con
La diversificazione 281

Figura 12.1
La sequenza Diversificare o non diversificare?
di decisioni
che porta a Con quali vantaggi e svantaggi?
diversificare

Diversificazione correlata o non correlata?

Come entrare in un nuovo settore/mercato?


1) Acquisizioni
2) Fusioni
3) Alleanze strategiche

Come allocare le risorse tra settori.


Siamo nel settore giusto?
Strategie corporate in un’impresa multibusiness

Le lezioni della storia


Goodyear Superò la crisi innescata dall’aumento del
prezzo del petrolio (1973-75) e dalla conse-
Negli anni Settanta Goodyear aveva scelto la guente caduta della domanda di veicoli da tra-
diversificazione nel settore petrolifero. L’ha sporto, concentrando l’attività sui segmenti
poi abbandonata e, dopo aver superato un più remunerativi dei pneumatici e dei cavi e
periodo di crisi, negli anni Novanta attraverso cedendo le altre attività diversificate. Il tentati-
una profonda ristrutturazione ha scelto l’inte- vo di acquisire il concorrente Continental fallì
grazione orizzontale (con l’acquisto di Sumi- per la resistenza opposta dalla business com-
tomo). munity tedesca e la strategia di sviluppo basa-
ta sull’integrazione orizzontale si dimostrò
impraticabile. L’operazione lasciò Pirelli in
Pirelli uno stato di debolezza.
Alla fine degli anni Novanta l’impresa mante-
Diversa è la storia recente di Pirelli. Negli anni neva una buona posizione nel settore pneumati-
Settanta era presente in vari settori: pneumati- ci grazie all’uso di nuove tecnologie ed era tra i
ci, cavi, calzature (Superga), tabelloni elettro- leader della tecnologia di supporto a Internet.
nici degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie Nel 2005 ha ceduto i cavi per energia. Di fatto
(Solari), abbigliamento (K-Way). è diventata una holding.
La diversificazione 289

Interessi del management


Con la diversificazione il management può mirare allo sviluppo più per i vantaggi
derivanti dal gestire un’impresa in crescita – più potere, remunerazioni più alte – che
per l’interesse degli azionisti. La diversificazione può essere anche perseguita per
obiettivi propri (personali) del management, e in tal caso non è orientata all’efficien-
za o alla creazione di valore per gli azionisti, ma a mantenere o a rafforzare la posi-
zione dei dirigenti che decidono di adottare tale strategia. Questi aspetti sono più evi-
denti quando la diversificazione interessa settori non correlati.
Amihud e Lev (1981) propongono un’altra ipotesi per spiegare perché i manager
possano perseguire acquisizioni non correlate: la ragione è evitare di essere cacciati.
Osservano che gli azionisti cominciano a pensare di sostituire il top management in
particolare quando l’impresa consegue risultati inferiori a quelli generali dell’econo-
mia. Pertanto, i manager tendono a ridurre il rischio di risultati modesti e possono
farlo attraverso acquisizioni non correlate. I dati statistici mostrano che i risultati di
imprese molto diversificate in genere riflettono l’andamento dell’intera economia, e
di conseguenza, in caso di risultati negativi, è meno probabile che gli azionisti siano
portati a sostituire il management.
Altri autori offrono invece conclusioni opposte: non è detto che la diversificazio-
ne non correlata risponda a obiettivi del management a svantaggio degli azionisti.
Aron (1988) osserva che tale strategia può rappresentare un incentivo per il manage-
ment e ridurre nel contempo il costo necessario per motivare il management stesso
con schemi «pay-for-performance». Anche Donaldson e Lorsch (1983) vedono nella
diversificazione un modo per alzare la remunerazione, ma sono convinti che senza
una previsione di successo (creazione di valore per gli azionisti) il management non
avvierebbe una tale politica.

12.3 I limiti: la diversificazione che distrugge valore


Se l’obiettivo principale dell’impresa è creare valore per gli azionisti, questo diventa
anche il fine ultimo della diversificazione. Ma esistono molti casi di insuccesso.
Se avviene attraverso un’acquisizione, la diversificazione crea valore soltanto se
le risorse investite danno risultati superiori a quelli che si otterrebbero lasciando
l’impresa target indipendente. Se così non fosse, gli azionisti dell’impresa che diver-
sifica avrebbero convenienza ad acquistare le azioni dell’impresa target (per espri-
mere questo concetto è comunemente usata un’espressione di Ansoff: la diversifica-
zione crea valore soltanto se crea l’effetto 2 + 2 = 5).

Figura 12.2
La
Costi Obiettivi Sinergie
diversificazione
eccessivi errati fantasma
può
distruggere
valore
Distruzione di valore
306 Le strategie corporate

Figura 13.2
Due
Sviluppo per linee interne
alternative per
lo sviluppo
interno

Le opzioni Internal venture


prodotto/mercato
(matrice di Ansoff)

Le opzioni prodotto/mercato (matrice di Ansoff)


Secondo Ansoff, lo sviluppo può essere raggiunto con una maggiore penetrazione nei
mercati in cui l’impresa è già presente, cercando nuovi mercati per i prodotti attuali,
ideando nuovi prodotti per i mercati attuali oppure cercando sia prodotti nuovi che
mercati nuovi (Fig. 13.3).

Figura 13.3
La matrice di
Ansoff Prodotti
Attuali Nuovi
Attuali

Penetrazione Sviluppo
di mercato di prodotto
Mercati

Nuovi prodotti
Nuovi

Sviluppo
per nuovi mercati
del mercato
(diversificazione)

Strategie di sviluppo di primo livello

Strategie di sviluppo di secondo livello

Penetrazione di mercato
È molto simile alla strategia di stabilità, ma ha il vantaggio di concentrare le strategie
sui prodotti, sulle tecnologie e sui mercati che già l’impresa conosce, riducendo in tal
modo i rischi e rendendo l’impresa più «visibile» ai clienti. Inoltre, dato che le capa-
cità di produzione, di marketing e di innovazione sono concentrate su prodotti spe-
cializzati e su segmenti ben definiti di potenziali compratori (e non diversificati),
310 Le strategie corporate

• non sempre l’innovazione si traduce in successo di vendite;


• si commettono errori nella gestione dell’iniziativa.

Per ridurre i rischi di queste debolezze, i suggerimenti sono vari. Il successo dipende
anzitutto dalla scelta del progetto e poiché è difficile prevedere la redditività futura di
un’iniziativa, le imprese preferiscono avere più opzioni e decidere quando l’incertez-
za circa il futuro si sia diradata. I primi suggerimenti sono di carattere organizzativo:
cominciare a definire quali obiettivi strategici la R&S possa contribuire a raggiunge-
re, e fare in modo che la new venture coordini strettamente le funzioni R&S, marke-
ting e produzione. Intel ha dato vari esempi di questa strategia: iniziò come produtto-
re di memorie DRAM (dynamic random access memory), ma poi usò le competenze
acquisite per entrare nei business dei semiconduttori e dei microprocessori.

Sviluppo esterno
Con queste strategie l’impresa mira a espandere la propria attività non con l’impiego
di maggiori risorse in attività che già fanno parte del suo portafoglio, bensì mediante
la fusione, o l’acquisizione o varie forme di alleanze con altre imprese (Fig. 13.4).
I modi per diversificare, integrare in senso verticale o orizzontale, creare svilup-
po, ridurre il campo di attività non possono essere valutati come se fossero isolati dal
contesto. Come abbiamo già ricordato, spesso fusioni e incorporazioni e alleanze
sono un modo per riscrivere la struttura di interi settori. Se due grandi imprese come
per esempio Exxon e Mobil decidono la fusione, è assai probabile che ciò avvii un
processo a catena destinato a cambiare la struttura della concorrenza nel settore.

Figura 13.4
Sviluppo per
linee esterne Sviluppo esterno

Fusioni e Alleanze Venture – Licensing


acquisizioni strategiche capital – Franchising

13.2 Fusioni e incorporazioni


Raramente la diversificazione è fatta per linee interne, quasi sempre si ricorre a fusio-
ni e acquisizioni o ad alleanze strategiche.
Per fusione (merger) si intende l’integrazione tra due o più imprese in una sola,
che potrà portare il nome di entrambe oppure un nome diverso (Fig. 13.6). In genere
le fusioni avvengono tra imprese che hanno dimensioni simili e sono «amichevoli»,
cioè concordate tra le parti coinvolte.
Con l’acquisizione (acquisition) – o incorporazione, come più spesso si definisce
in Italia – un’impresa ne acquista un’altra e la integra nella propria struttura. Dopo
l’acquisizione esiste soltanto un’impresa: quella che ha acquistato. Se chi compra è
un gruppo, l’impresa acquistata può essere collocata al suo interno come un’entità
Come entrare in nuovi settori 311

Figura 13.5
Confronto tra Sviluppo per linee interne Sviluppo per linee esterne
sviluppo per Fusioni e acquisizioni
linee interne
e sviluppo Finanza
mediante • Sia il fabbisogno finanziario sia i rica- • Dà luogo a un fabbisogno finanziario
fusioni e vi sono distribuiti in un lungo periodo elevato in breve tempo per realizzare
acquisizioni di tempo. l’acquisizione.

Management
• Rischio di non raggiungere la redditi- • Occorre raggiungere rapidamente le
vità programmata nei tempi previsti. sinergie programmate.
• Si stima siano necessari almeno otto • Il rischio di insuccesso è elevato come
anni per raggiungere un ROI positivo dimostrano le molte acquisizioni che
seguendo lo sviluppo per linee inter- non solo non hanno raggiunto gli
ne. Un amministratore delegato o un obiettivi, ma hanno messo in crisi le
direttore generale può non restare imprese acquirenti.
tanto a lungo.

Alternative
• Le vie alternative per realizzare la • Le imprese che rispondono esatta-
diversificazione per linee interne mente ai requisiti richiesti per la
sono molte. diversificazione sono poche.

Legislazione
• In genere non pone limiti allo svilup- • La disciplina della concorrenza può
po per linee interne. porre limiti.
• La legislazione fiscale può rendere
onerosa o conveniente l’acquisizione.

Barriere
• Possono essere difficili da superare. • L’acquisizione di un’impresa già ope-
rante consente di superare facilmente
diverse barriere: brevetti, tecnologie,
complessità della distribuzione, fe-
deltà alle marche esistenti.

autonoma, assieme alle altre imprese che già ne fanno parte, oppure può essere inte-
grata in un’impresa esistente. Le acquisizioni avvengono in genere tra imprese di di-
mensioni diverse e possono essere «ostili» o «amichevoli».
In un’acquisizione ostile l’impresa target non accetta l’operazione e spesso adot-
ta manovre per evitarla, per esempio:

1) acquista proprie azioni;


2) cerca un partner disposto a un’acquisizione amichevole (white knight);
3) contrae forti debiti a lungo termine che andranno rimborsati in caso di acquisizio-
ne (cosiddette «pillole al cianuro»);
4) invoca un intervento delle autorità antitrust;
5) prolunga il mandato del Consiglio di amministrazione;
6) attribuisce agli attuali azionisti il diritto di acquistare azioni a un prezzo sensibil-
mente più basso rispetto alla quotazione di borsa (cosiddette «pillole avvelenate»).
312 Le strategie corporate

Figura 13.6
Nomi vecchi Fusioni tra grandi imprese danno vita a nuove imprese, il cui nome a volte
e nuovi dopo incorpora quelli di entrambi i partner, a volte abbandona uno dei due, altre
le fusioni volte crea un nome nuovo.

Entrambi i partner

America Online + Time Warner = AOL Time Warner


Exxon + Mobil = Exxon-Mobil
Chrysler + Daimler-Benz = Daimler-Chrysler
BP + Amoco = BP Amoco
WorldCom + MCI Communications = MCI WorldCom

Un partner solo

America Online + Netscape Communications = America Online


Viacom + CBS = Viacom
AT&T + TeleCommunications Inc. = AT&T
Bell Atlantic + Nynex = Bell Atlantic
Chase Manhattan + Chemical Banking = Chase Manhattan
Walt Disney + Capital Cities/ABC = Walt Disney
Time Warner + Turner Broadcasting = Time Warner

Qualcosa di nuovo

Citicorp + Travelers Group = Citigroup

Perché decidere una fusione o un’acquisizione?


Sono vari i motivi che spingono le imprese verso una fusione o verso l’incorpora-
zione di un’altra impresa. I più frequenti sono: il superamento di barriere all’entrata
in un settore; l’acquisizione di una quota di mercato; l’azione sulla concorrenza per
il controllo del mercato; l’acquisizione di capacità di management in settori poco
conosciuti; la necessità di unire le forze per sostenere aumenti di costo in attività
strategiche.

• Superare barriere. L’entrata in un nuovo mercato può essere ostacolata da barrie-


re come il controllo su un fattore strategico, la disponibilità di brevetti o licenze di
fabbricazione e la fedeltà dei consumatori alle marche già esistenti. L’acquisizio-
ne di un’impresa può consentire di superarle.
• Acquisire quote di mercato. Comprare un’impresa significa acquisire un por-
tafoglio di clienti, quindi una quota del mercato. Ciò accelera i tempi di entra-
ta e significa anche escludere un concorrente. Renault, per esempio, è stato il
primo costruttore straniero a entrare mercato della Corea del Sud – fino ad
allora protetto – avendo acquistato Samsung Motors, la divisione autoveicoli
del conglomerato Samsung Group. Con la giapponese Nissan, sempre control-
lata da Renault, ha rappresentato una testa di ponte per entrare nel mercato
asiatico.
Come entrare in nuovi settori 315

La fase preparatoria riveste molta importanza, ma raramente viene sviluppata in


modo appropriato perché i tempi sono in genere molto stretti. Una ricerca di KPMG
Consulting (1997) rivela che i CEO intervistati su cosa avrebbero dovuto fare meglio
per dare successo alla fusione o all’incorporazione, hanno risposto «dedicare più
tempo alla preparazione». La raccolta di informazioni nella forma di due diligence è
indispensabile per evitare «scheletri nell’armadio». Per quanto riguarda le fasi suc-
cessive dell’acquisizione, le sequenze variano da caso a caso, ma convergono tutte
su due punti culminanti: la negoziazione e il piano di integrazione nel gruppo.
2) Negoziazione. Un elemento determinante riguarda il livello al quale sono condot-
te le trattative. Gruppi operativi specializzati, spesso con l’assistenza di consulen-
ti esterni, valutano e preparano le fusioni e le acquisizioni nei minimi dettagli, ma
perché esse possano riuscire è necessario che i passi e le trattative fondamentali
siano fatti personalmente dai capi delle due imprese o comunque dai livelli più
alti del management.
3) Integrazione. Un terzo elemento determinante riguarda la definizione del modo in
cui l’impresa incorporata si colloca nella struttura organizzativa della incorporan-
te e quindi nella futura configurazione. Le possibilità sono diverse poiché si va
dallo smembramento totale e dalla completa integrazione nelle varie business unit
della incorporante, a una struttura che lascia larga autonomia alla incorporata. In
ogni caso, l’esperienza insegna che non si deve commettere l’errore di considera-
re i rapporti tra le due imprese come se potessero essere regolati trattando le
nuove relazioni unicamente dal punto di vista della ridistribuzione dei compiti tra
le vecchie e le nuove unità componenti, oppure sanciti in modo puramente forma-
le tra le due gerarchie organizzative. Il problema principale di questa fase è stabi-
lire quali piani di sviluppo e quali politiche organizzative debbano essere mante-

Figura 13.7
Fasi di Fase 1 Fase 2
un’acquisizione:
le strategie di
integrazione Struttura iniziale Integrazione di
tutte le funzioni
Quale tipo
Come
di impresa Agire sulle persone
integrarla?
comprare?
Valutazione e
Nuovi orientamenti aggiornamenti

Preparazione Preparazione Azioni


Correzioni
strategica tattica immediate

Fonte: The
Economist
Intelligence Unit, Disinvestimento
Making
acquisitions
work, 1990.
Come entrare in nuovi settori 325

Figura 13.8
Le alleanze
strategiche

Permanente
Ad esempio, Acquisizione
Ad esempio,
Keiretsu in ad esempio
Caitex
Giappone Ford-Jaguar

A L L E A N Z E S T R AT E G I C H E

Lungo termine
Relazioni del
Grado di coinvolgimento
Ad esempio,
tipo
Anheuser-Busch
outsourcing

5
Accordi annuali
Programmi di
o pluriennali di Accordi di
Licensing partnership
acquisto e distribuzione
nella R&S
forniture
Transazioni

Accordi di
Ordini di Cooperazione
Cooperazione acquisto con
acquisto di nella
nel marketing finanziamento
commodity pubblicità
up-front
Fonte:
elaborazione da
Nessun legame Scambio di Ripartizione Ripartizione Partecipazioni Capitale Proprietà
V. Harbison, P. informazioni delle risorse incrociate distribuito tra dell’intero
dei
Pekar, Smart finanziamenti i soci capitale
Alliances, Jossey
Proprietà
Bass, New York,
1998.

Figura 13.9
Evoluzione Anni Settanta Anni Ottanta Anni Novanta
dei fattori
Le prestazioni La posizione Le capacità
che spingono
di prodotto nel settore e le competenze
verso le
alleanze
Produrre con le tecno- Costruire la posizione Accesso alle nuove
logie più recenti nel settore opportunità attraverso
un flusso costante di
innovazione

Marketing oltre i confi- Consolidare la posizio- Anticipare i rivali per


ni nazionali ne nel settore massimizzare la crea-
zione di valore

Vendite basate sulle Economie di scala e di Ridurre i costi totali per


prestazioni del pro- scopo prodotto o per seg-
dotto menti di clienti

Fonte: adattato
Acquisire vantaggi nel
da V. Harbison,
P. Pekar, Smart
rispondere a condizioni
Alliances, Jossey che cambiano e all’e-
Bass, New York, mergere di opportunità
1998.
340 Le strategie corporate

Figura 14.1
La matrice Alto Possibili strategie del cor-
sviluppo/ porate
quota di Cash cow. Investe le risorse
mercato per proteggere le posizioni
Star Question mark di mercato e le fonti di cash

Ritmo di sviluppo
flow.
Dog. Riduce gli investimen-
ti al minimo; massimizza il
cash flow; «miete»; abban-
dona.
Question mark. Investe per
conquistare posizioni di
Cash cow Dog mercato oppure decide di
«mietere» o disinvestire
per rendere minimo il dre-
naggio di risorse.
Basso Star. Investe per difendere
le posizioni di mercato e/o
Alta Bassa
investe per conquistare
Quota di mercato quote di mercato.

fronta sulla base della quota di mercato relativa, che si considera come sintesi della
capacità di competere e quindi della capacità di generare profitti. Si ricavano così
quattro profili, cui corrispondono altrettante specifiche strategie.

Star. Nel quadrante a sinistra in alto della matrice sono collocate le «stelle», le busi-
ness unit con elevata quota di mercato operanti in un settore in forte sviluppo, le più
ambite in un portafoglio di business unit. Hanno prospettive di elevati profitti nel
lungo termine e opportunità di sviluppo per mantenere la posizione. Queste business
unit devono fare rilevanti investimenti. Dato che hanno elevate quote di mercato, è
verosimile che le economie di scala possano generare forte liquidità.

Cash cow. Nel quadrante in basso a sinistra sono le «mucche da mungere», ossia le
business unit che hanno una elevata quota di mercato in un settore con un basso ritmo
di sviluppo. Proprio perché lo sviluppo è basso il fabbisogno di nuovi investimenti è
modesto. La forza di queste business unit è nell’essere nella fascia bassa delle curve
di esperienza (dove i costi sono più bassi). Sono leader di costo nel loro settore. Sono
quindi in grado di generare liquidità e profitti (i costi di ammortamento sono bassi
essendo modesto il fabbisogno di investimenti). Se lo sviluppo è basso (dato che il
settore è maturo), è probabile che le posizioni tra concorrenti siano stabili. Queste
business unit hanno quindi buone prospettive di mantenere elevati profitti. La stabi-
lità delle posizioni allontana però la possibilità di sfruttare nuove opportunità, perciò
liquidità e profitti possono essere destinati a sostenere le star.

Question mark. Nel quadrante in alto a destra sono le business unit con bassa
quota di mercato in un settore in forte sviluppo. Hanno dunque una debole posizione
competitiva, ma essendo in un settore ad alto potenziale hanno opportunità di conse-
guire profitti nel lungo termine e partecipare alla fase espansiva. Proprio a causa del-
344 Le strategie corporate

Figura 14.2
Matrice GE- • Quota relativa di mercato
McKinsey: • Controllo delle competenze
attrattività del e delle capacità necessarie
settore/ • Buoni margini di profitti
posizione a confronto con quelli dei
competitiva concorrenti
dell’impresa • Capacità di fronteggiare
i rivali per caratteristiche
dei prodotti e dei servizi,
qualità e altre prestazioni
• Posizione relativa di costo
(rispetto ai concorrenti)
• Disponibilità di risorse
per alimentare i fattori di
successo del settore
• Immagine/reputazione
• Capacità di negoziazione
con i fornitori e/o i
compratori
• Elevato know-how del
• Quote di mercato e ritmo management
di sviluppo
• Margini di profitto del
settore
• Intensità della
concorrenza
• Fattori stagionali e ciclici
• Compatibilità tra la
catena del valore
del settore e le catene
del valore dei business
dell’impresa
• Compatibilità tra le
risorse necessarie per
competere nel settore
e le disponibilità di
risorse dell’impresa
• Condizioni dell’ambiente
esterno (sociale, naturale,
economico)
• Opportunità emergenti
nel settore
Fonte:
A. Thompson, • Minacce alla stabilità del
A. Strickland, settore
Strategic • Grado di rischio e di
Management, incertezza
McGraw-Hill,
New York, 1998.
Le strategie corporate in un’impresa multibusiness 347

Figura 14.3
La matrice Lancio
stadi di
evoluzione/
posizione
competitiva

Sviluppo

del prodotto/mercato
Stadi di evoluzione
Shakeout

Maturità/
Saturazione

Declino

Fonte: C. Hofer,
D. Schendel
(1978), Strategy
Formulation:
Analytical Forte Media Debole
Concepts, West
Publishing Posizione competitiva
Company.

Figura 14.4
Esempio di Risorse/capacità Nella produzione Nella Nella
matrice di massa distribuzione tecnologia
risorse/mercati
Mercati
Fonte: adattato
da B. Wernerfelt, Semiconduttori X X
(1984), «A
Resource-Based Elettronica di con- X X
View of the
sumo
Firm», Strategic
Management
Journal, pp. 171- Computer X
180.

L’esempio in Figura 14.4 illustra come il settore dell’elettronica in Giappone


abbia dapprima recuperato il ritardo nei confronti degli Stati Uniti e come abbia
poi conquistato la leadership. Il Ministry of International Trade & Industry (MITI)
individuò nel settore dei semiconduttori il ruolo chiave per questa strategia. Il
MITI concentrò le risorse nazionali in questo settore e in quello dell’elettronica di
consumo. I successi ottenuti alimentarono sia il cash flow sia le tecnologie che
diedero il primato nel settore computer a NEC, Hitachi, Toshiba e Fujitsu (Itami,
Roehl, 1987).
Le strategie corporate in un’impresa multibusiness 349

Core competencies: l’impresa come portafoglio di risorse


Un approccio simile al precedente è stato proposto da Hamel e Prahalad (1994). I due
autori suggeriscono anzitutto di considerare un’impresa che sia presente in più setto-
ri non come un portafoglio di business unit, ma come un portafoglio di risorse.
Propongono poi un approccio strutturato in sei fasi operative:

1) individuare le attuali core competencies dell’impresa;


2) costruire una matrice analoga a quella illustrata in Figura 14.5;
3) stabilire un piano di acquisizione delle core competencies di cui l’impresa attual-
mente non dispone;
4) acquisire e consolidare tali competenze;
5) dispiegare le competenze all’interno dell’impresa;
6) proteggere e rafforzare rispetto ai rivali la leadership di tali competenze.

La matrice di Hamel e Prahalad distingue tra competenze esistenti nell’impresa e


nuove competenze da acquisire da un lato, e prodotti o mercati esistenti e prodotti o
mercati nuovi dall’altro. Ciascuna delle quattro celle sintetizza in un titolo le relative
strategie.

Figura 14.5
Un piano di Nuove
acquisizione Premier Plus 10 Mega opportunità
Quali nuove core competencies Quali nuove core competencies
delle core
dobbiamo acquisire per costrui- dovremmo costruire per essere
Core competencies

competencies re, proteggere ed estendere la protagonisti nei migliori merca-


nostra posizione competitiva ti del futuro?
nei mercati attuali?

Riempire gli spazi vuoti Spazi bianchi


Quali sono le opportunità per Quali nuovi prodotti o servizi
migliorare la nostra posizione potremmo offrire configurando
nei mercati esistenti usando le in modo nuovo e creativo le
core competencies esistenti? core competencies di cui già
disponiamo?
Esistenti
Esistenti Nuovi
Mercati

Riempire gli spazi vuoti. Il quadrante in basso a sinistra indica il portafoglio


attuale di competenze e di prodotti e servizi. L’espressione «riempire gli spazi vuoti»
riguarda le opportunità di migliorare la posizione competitiva dell’impresa nei mer-
cati in cui è già presente, attingendo alle core competencies di cui già dispone. Hamel
e Prahalad portano l’esempio di Canon, che riuscì a rafforzare la sua posizione nel
mercato delle macchine fotografiche usando la tecnologia microelettronica che la
stessa Canon aveva sviluppato nel business delle fotocopiatrici.

Premier Plus 10. Il quadrante in alto a sinistra suggerisce un’altra domanda impor-
tante. Quali nuove core competencies dobbiamo costruire oggi per essere considera-
Le strategie corporate in un’impresa multibusiness 351

• in che misura esiste accordo tra le strategie della SBU e le strategie e gli obiettivi
del corporate (parent)? Per esempio, il corporate può avere come obiettivo prima-
rio lo sviluppo nei mercati internazionali. Fino a che punto le strategie attuali e
future delle singole SBU incorporano questo obiettivo?
• in che misura esiste accordo tra le esigenze e le opportunità per lo sviluppo di una
SBU, e le capacità e le competenze del corporate (parent)? Per esempio, la SBU
può avere come obiettivo lo sviluppo nei mercati internazionali, ma non avere
tutte le capacità e competenze necessarie. Il corporate dovrebbe essere in grado di
fornirle.

La matrice in Figura 14.6 riassume le varie situazioni:

• heartland indica una situazione in cui la parent company aggiunge valore; è il ful-
cro di future strategie (è la «patria»);
• ballast è la collocazione delle SBU per le quali il centro può far poco: potrebbero
avere successo se fossero indipendenti (è la «zavorra»);
• value trap indica posizioni pericolose: al centro viene chiesto di contribuire, ma
non ha le risorse; le SBU dovrebbero spostarsi in heartland;
• alien identifica i casi per i quali la prospettiva è l’abbandono (è l’alieno).

Il concetto di parenting ha alcuni pregi (De Kare-Silver, 1997). Anzitutto spinge a


coordinare l’azione del corporate nei confronti delle varie SBU e inoltre:

a) mette in primo piano il ruolo del «centro» (la parent company) nella creazione di
valore e suggerisce che una strategia multibusiness non è semplicemente la
somma di tante strategie di SBU;
b) spinge a individuare i business o i mercati in cui l’impresa ha accumulato le mag-
giori competenze (la «patria»);
c) le ricerche degli autori hanno confermato che poche imprese esercitano un ruolo
centrale nella formulazione delle strategie; molte delegano il loro ruolo e le loro
responsabilità ai manager della business unit.

Figura 14.6
Il parenting Alto
di successo e risorse
Rapporto tra fattori

mix
Ballast Heartland
del corporate

Alien Value trap


Fonte: M. Goold,
A. Cambell, M.
Basso
Alexander, Basso Alto
(1994),
Corporate Level Esigenze della SBU nei confronti del corporate
Strategy, Wiley, e competenze del corporate
New York.
354 Le strategie corporate

Figura 14.7
PIMS: i
principali Forza competitiva Attrattività del mercato
• Quota di mercato • Ritmo di sviluppo
fattori • Quota relativa (ai primi tre • Concentrazione
per valutare del mercato) • Innovazione
• Qualità relativa • Potere di negoziazione
il potenziale • Brevetti • Complessità della logistica
strategico • Assistenza ai clienti

Produzione snella
• Intensità degli investimenti Eccellenza delle risorse umane
• Rapporto tra attività fisse e • Organizzazione snella
circolanti • Cultura partecipativa
• Utilizzazione della capacità • Incentivi
Fonte: R. operativa • Formazione
• Risorse interne
Buzzell, B. Gale, • Produttività
(1987), The PIMS • Make-or-buy
Principles, Free
Press, Boston.

Nuovi criteri di scelta


Negli ultimi tempi molte imprese hanno dimostrato che è possibile aumentare il valore per
gli azionisti attraverso la gestione di un portafoglio di business unit o di linee di prodotto.
Nonostante questi successi, sembra che le imprese multibusiness non convincano
del tutto, soprattutto negli Stati Uniti. Alla notizia che un gruppo diversificato inten-
de acquistare una nuova impresa, spesso le azioni scendono, mentre quando la noti-
zia è che vende, altrettanto spesso le azioni salgono. Analisti e investitori preferisco-
no la trasparenza. È difficile valutare un gruppo che opera in più settori con strategie
diverse e che affronta concorrenti di varia forza.
In parte agisce anche il ricordo (negativo) della storia dei conglomerati degli anni
Sessanta e Settanta negli USA, quando tutti gli investitori avevano azioni di ITT, Tex-
tron, Gulf & Western. Piaceva il loro sviluppo aggressivo basato sull’acquisto di altre
imprese, gli investitori arrivavano a pagare 20 o 30 volte i dividendi per azione e gli
azionisti vedevano crescere il loro valore vertiginosamente. I conglomerati acquista-
vano pagando poco per cassa e molto con le proprie azioni, grazie alle quali riusciva-
no ad acquistare altre imprese con relativa facilità e rapidità (in un solo anno, il 1968,
ITT acquistò nei soli Stati Uniti ben 20 imprese). Attirate da questi successi, molte
imprese trascurarono l’efficienza interna per abbracciare la diversificazione e comin-
ciarono ad acquistare fuori del proprio settore tutto quanto prometteva sviluppo.
Ma nei primi anni Settanta l’interesse di Wall Street per i conglomerati svanì. L’i-
dea che il management potesse gestire con successo qualunque attività fu sostituita
da un’idea opposta e le nuove teorie avevano come slogan stick to their knitting, ossia
«resta nei settori che conosci e smetti di comprare imprese di settori non correlati».
Ma il dilemma non era risolto. I conglomerati non avevano (e non hanno) dato
risultati interamente negativi. La gestione di ITT, per esempio, resta un modello.
366 Le strategie di business unit

Figura 15.1
Tre tipi di
strategie Le strategie competitive
competitive

Generiche Ciclo di vita del settore Dinamiche


• Costo • Frammentazione • Attacco ai leader
• Differenziazione • Embrionale • Difesa dei leader
• Costo + Differenziazione • Forte sviluppo • Ristrutturazione/
• Focus • Maturità Turnaround
• Declino

Le situazioni che si presentano nella realtà sono numerose. Un modo per semplifica-
re l’analisi consiste nel distinguere tre categorie (Fig. 15.1)1:

1) strategie generiche, adatte per tutti i business indipendentemente dal settore e dal
fatto che le imprese siano industriali o di servizi;
2) strategie in rapporto alla fase del ciclo di vita del settore;
3) strategie in situazioni particolari, o strategie dinamiche.

Mentre le prime sono oggetto di questo capitolo, le altre verranno trattate nei capito-
li 16, 17, 18.

15.2 Le strategie generiche


Ghemawat (1999) colloca negli anni Settanta la ripresa dei concetti che sono all’ori-
gine di queste strategie. Il forte aumento delle materie prime e la crisi di molte impre-
se avevano aperto le porte alle società di consulenza e ridato slancio alla ricerca acca-
demica in materia di analisi strategica. Costo e differenziazione erano impliciti nel
concetto di barriere all’entrata introdotto da Bain, mentre McKinsey adottava il busi-
ness system (precursore della catena del valore) come strumento di analisi strategica.
Porter (1980) e Hall (1980) furono i primi a sostenere che le imprese per avere
successo devono scegliere tra competere sulla base dei costi o sulla base della diffe-
renziazione (vi abbiamo già accennato nel capitolo 8). Porter sviluppò questa distin-
zione e rese popolare l’espressione «generiche», sviluppando anche l’idea di «focus»,
una strategia che abbraccia entrambe le precedenti. Secondo questo autore, per
costruire vantaggi competitivi che diano la possibilità di superare i rivali e consegui-
re risultati superiori alla media del business o del settore, le imprese possono sceglie-
re fra quattro strategie competitive (che non si escludono l’una con l’altra):

• leadership di costo;
• differenziazione;
• focus sui costi e focus sulla differenziazione.
368 Le strategie di business unit

Figura 15.2
I vantaggi Profitto per unità = prezzi – costi per unità
della cost
leadership A A Prezzo
medio
rispetto ai
profitti medi

Y Y Costi dei
concorrenti

X X Costi del
leader di
Profitti del bassi costi
leader di bassi Profitti dei
costi: rispetto concorrenti
alla media

Vantaggi
I vantaggi di questa strategia (Fig. 15.2) possono essere illustrati ricorrendo al modello
delle cinque forze di Porter. Praticare costi bassi è una scelta che difende meglio dai pro-
dotti sostitutivi e dal potere di negoziazione dei fornitori e dei clienti ed è una barriera
potente all’entrata di nuovi concorrenti. Se i costi sono più bassi, il leader può pratica-
re prezzi più bassi rispetto ai concorrenti mantenendo il loro stesso livello di profitti.
In secondo luogo, se la competizione nel settore aumenta e le imprese comincia-
no ad affrontarsi sul prezzo, il leader sarà in grado di sostenere la competizione
meglio delle altre imprese grazie ai suoi bassi costi. Avrà quindi maggiori possibilità
di conquistare e difendere le quote di mercato.
Disponendo di un’elevata quota di mercato, l’impresa ha un forte potere di nego-
ziazione nei confronti dei fornitori. La strategia di bassi costi è anche una barriera nei
confronti delle imprese che vorrebbero entrare, in quanto poche possono imitare que-
sto vantaggio competitivo. Il ciclo si autoalimenta. L’aumento dei volumi di produ-
zione fa diminuire i costi e di conseguenza, a parità di condizioni, fa aumentare i pro-
fitti dando all’impresa la capacità di fare ulteriori investimenti per lo sviluppo.

Svantaggi
Il principale rischio è che altri concorrenti siano in grado di produrre a costi altret-
tanto bassi o addirittura inferiori. Più volte il progresso ha reso obsolete tecnologie
basate sui grandi volumi e ha dato gli stessi vantaggi (curve di esperienza) a imprese
con volumi di produzione più bassi. Le tendenze dell’ambiente possono cambiare e
le imprese che affidano la leadership di costo a localizzazioni in paesi a basso costo
del lavoro corrono il rischio di fluttuazioni nei cambi, di misure protezionistiche da
parte degli stati in cui vendono e che i concorrenti producano in paesi a costo del
lavoro ancora più basso. È inevitabile che nei paesi in via di industrializzazione i
costi del lavoro crescano. Le imprese dell’Europa Occidentale che negli ultimi anni
Ottanta hanno localizzato le produzioni in Polonia e in altri paesi dell’Europa Cen-
tro-Orientale, dopo pochi anni sono state costrette a rivedere la loro politica a causa
dell’inevitabile aumento del costo del lavoro. Un altro rischio è che il leader di costo
concentrando risorse, capacità e attenzione su come tenere i costi bassi, perda di vista
gli eventuali cambiamenti nelle attese dei potenziali compratori.
Le strategie competitive generiche 371

Figura 15.3
Differenziazione Basso Elevata
delle principali prezzo qualità
catene Private
alimentari label Aldi Migros Marks & Spencer
dell’Europa
Occidentale
nella Sainsbury’s
percezione del
cliente Lidl Tesco
Albert Heijn
Netto Carrefour
Auchan
Marche del
produttore Galeries Lafayette

Note: 1) i prezzi tengono conto degli sconti; 2) la qualità tiene conto in particolare dei
prodotti freschi.

Le ricerche dimostrano che la strategia di differenziazione genera profitti più alti


rispetto alla strategia di bassi costi in quanto rappresenta una barriera più difficile da
superare. La strategia di cost leadership dal canto suo genera frequentemente una più
ampia quota di mercato.
Mentre la cost leadership è orientata principalmente alla produzione (product-dri-
ven), la strategia basata sulla differenziazione è orientata principalmente alle esigen-
ze del compratore (market-driven). Comporta dunque una costante attenzione ai
cambiamenti nelle esigenze e nelle attese dei clienti e nella capacità di rispondere in
modo innovativo a tali esigenze.
La differenziazione è tipica dei settori in cui i costi di marketing sono una parte
significativa della catena del valore e nei quali sono rilevanti le opportunità per dare
ai consumatori la percezione di diversità dei prodotti.

Figura 15.4
I vantaggi Profitto per unità = prezzi – costi per unità
della
differenziazione B Prezzo
rispetto ai dell’impresa che
profitti medi differenzia
A Prezzo medio
Costi della
impresa che
differenzia Z

Y Costi dei
concorrenti
Profitti della
impresa che Profitti dei
differenzia: concorrenti
sopra la media
380 Le strategie di business unit

Figura 15.5
Rischi delle Rischi della cost leadership Rischi della differenziazione Rischi del focus
strategie
La cost leadership non è La differenziazione non è Il segmento scelto come tar-
competitive
sostenibile quando: sostenibile quando: get diventa meno attraente
generiche • i concorrenti imitano; • i concorrenti imitano; quando:
• le tecnologie cambiano; • le basi della differenzia- • la strategia focus viene
• altre basi della cost leader- zione diventano meno imitata;
ship svaniscono. importanti per il compra- • la struttura e i confini tra
tore. segmenti si sfaldano;
• la domanda cala.

Per il compratore i vantaggi Per il compratore i vantaggi I concorrenti che hanno scel-
dati dalla differenziazione dati dai bassi costi superano to target più ampi entrano
superano largamente quelli largamente quelli della diffe- nel segmento:
dei bassi costi*. renziazione. • le differenze del segmento
rispetto ad altri segmenti
svaniscono;
• aumentano i vantaggi di
offrire un’ampia gamma
di prodotti.

Le imprese che hanno adot- Le imprese che hanno adot- Nuove imprese entrano con
tato una strategia focus rie- tato una strategia focus rie- strategie focus e frazionano
scono ad abbassare ulterior- scono a differenziare ulte- ulteriormente i segmenti nel
mente i costi nei loro seg- riormente nei loro segmenti. settore.
menti.

* È il concetto di proximity. In una strategia basata sulla differenziazione, l’impresa deve


accertarsi che i prezzi più alti da essa praticati (per la qualità più alta dei servizi) non siano
Fonte: adattato troppo superiori a quelli dei concorrenti. Detto in altre parole, i clienti devono percepire
da M. Porter, che le differenze nella qualità valgono i maggiori costi (per loro). Una strategia di cost
Competitive leadership non può ignorare le caratteristiche dei prodotti offerti dalle imprese che adot-
Advantage, tano una strategia basata sulla differenziazione e, inversamente, una strategia di diffe-
The Free Press, renziazione non può ignorare (prossimità) i prezzi praticati dalle imprese che adottano
Boston, 1985. una strategia di cost leadership.

In mezzo al guado
Porter sostiene che, per avere successo, una business unit deve perseguire una soltan-
to delle strategia competitive generiche. In caso contrario corre il rischio di trovarsi
«in mezzo al guado» senza vantaggi competitivi e con risultati inferiori alla media.
Questa tesi è ampiamente contestata.
Secondo Porter, dopo aver scelto la strategia l’impresa deve realizzarla in modo
coerente. Per esempio, se la scelta è per la differenziazione ed è basata sulla capacità
di innovare, è un errore cercare di ridurre le spese di R&S, perché in tal modo si per-
derebbe il vantaggio competitivo e le competenze distintive svanirebbero. Analoga-
mente, se la scelta è per una strategia di bassi costi può essere un errore entrare in
troppi segmenti, come fanno le imprese che scelgono la differenziazione, poiché
aumentando la varietà dei prodotti aumentano i costi di produzione e quindi l’impre-
sa perde il vantaggio dei bassi costi.
Molte imprese dopo aver scelto una delle tre strategie generiche, a causa di cam-
biamenti nell’ambiente esterno, perdono il controllo della situazione e non fanno
quanto dovrebbero fare con la strategia scelta. Ben presto si trovano a competere con
altri rivali che hanno applicato strategie più attente. Sono «in mezzo al guado». Non
Le strategie competitive generiche 381

hanno vantaggi competitivi in alcuna strategia. Per esempio, un’impresa che abbia
scelto una strategia di nicchia, trascinata dal successo iniziale può differenziare oltre
misura e disperdere le risorse in troppi campi. People Express è portata come esem-
pio classico di un’impresa che sceglie una delle tre strategie, ma poi non alloca le
risorse nel modo giusto e nella misura giusta.

People Express
Scelse un mercato di nicchia. Serviva il seg- re la flotta entrò in una crisi finanziaria che la
mento del trasporto aereo a costo basso, no- portò al fallimento. Fu acquistata da Texas Air
frills, sulle rotte Londra-New York. Ebbe un e poi incorporata in Continental Airlines. Era
grande successo iniziale, ma quando cercò di entrata in un mercato per il quale non aveva
servire altri segmenti geografici e di potenzia- vantaggi competitivi sostenibili.

Anche le imprese che adottano strategie basate sulla differenziazione possono trovar-
si in mezzo al guado a opera di altre imprese più specializzate o che hanno i vantag-
gi competitivi nei bassi costi.
Varie ricerche confermano le tesi di Porter (Dess, Davis, 1984; Porter, 1980). Tut-
tavia, è dimostrato che il successo è andato anche a imprese che hanno adottato sia la
strategia di bassi costi sia quella di differenziazione: i costruttori giapponesi Toyota,
Nissan e Honda, per esempio, così come le europee BMW e Benetton. Day (1989)
definisce la loro strategia playing the spread e cita il caso di Kellogg, che ha percorso
la strada dei bassi costi e della vendita premium price, offrendo ai clienti i prodotti di
qualità superiore. Day sostiene che elevando la qualità dei prodotti sia possibile
abbassare indirettamente i costi, e in questo si ispira alle tesi di Deming (1986), secon-
do il quale qualità e produttività (che comporta costi più bassi) sono compatibili.
White (1986) propone invece di integrare le due strategie dei bassi costi e della
differenziazione: nella matrice in Figura 15.6 la posizione in mezzo al guado è quel-

Figura 15.6
Integrare le
strategie
Differenziazione
competitive
generiche del Bassa Alta
modello Porter Alto
Fonte: R.E. White,
«Generic Business Costo puro Costo e differenziazione
Strategies,
Costi

Organizational
Context and
Performance: an Nessun vantaggio
Empirical Differenziazione pura
competitivo
Investigation»,
Strategic Basso
Management
Journal, maggio-
giugno, p. 226.
Le strategie competitive e il ciclo di vita di settore 389

16.1 Le strategie nei settori frammentati


Un settore si dice frammentato quando è composto da molte imprese di piccole e
medie dimensioni, nessuna delle quali riesce a conquistare quote rilevanti. Ristora-
zione, riparazioni auto, distribuzione alimentare attraverso il piccolo dettaglio, tra-
sporti su strada, professione di dottore commercialista sono alcuni tra i tanti esempi
che si possono fare. La frammentazione ha varie origini e, come sappiamo, non è
esclusiva di un dato stadio del ciclo di vita di settore. È una situazione che dipende da
fattori di struttura (modeste economie di scala, barriere all’entrata basse) e quindi
può essere permanente o quasi permanente.
Nei settori frammentati la posta in gioco non è soltanto attrarre la domanda, ma come
sopravvivere, da un lato, e come acquisire posizioni di forza dall’altro.
Mentre molte imprese cercano di fronteggiare la frammentazione, altre (in genere
poche) cercano di consolidare il settore riducendola (Fig. 16.1).

Figura 16.1
Due strategie Mentre alcune imprese cercano Altre cercano di consolidare
contrapposte di resistere alla frammentazione il settore (ridurre il numero
di imprese)
• Prodotto standardizzato di
• Nuovi segmenti di mercato
basso costo
• Specializzazione
• Marketing aggressivo
• Segmenti ad alto sviluppo
• Entrata di sorpresa
• Segmenti a basso sviluppo
• Acquisto di imprese concor-
• Ritirata
renti

Fronteggiare la frammentazione
È evidente che in una situazione fluida è difficile distinguere l’attacco dalla difesa.
Possiamo tuttavia individuare alcune strategie che ricorrono frequentemente.
Per fronteggiare la frammentazione in genere le imprese già presenti nel mercato
hanno di fronte quattro alternative:

a) cercano segmenti trascurati o creano nuovi segmenti nel mercato;


b) specializzazione;
c) concentrano le loro risorse sui segmenti ad alto sviluppo che persistono anche in
un mercato frammentato;
d) destinano le loro risorse a settori a basso sviluppo dove la competizione è meno
intensa;
e) battono in ritirata.

Nuovi segmenti di mercato


L’obiettivo è individuare segmenti di mercato che abbiano un ritmo di sviluppo e un
potenziale di redditività superiore alla media. Non si tratta di una ricerca facile e non
sempre questa strategia può dare buoni risultati nel breve termine. Per poterla adotta-
Le strategie competitive e il ciclo di vita di settore 407

Le strategie per ridurre la minaccia di entrata di nuove imprese


Si dice che l’impresa A è entrata nel mercato M se introduce un nuovo prodotto o un
servizio e:

a) in precedenza non esisteva; oppure


b) esisteva ma non operava in M.

La prima situazione rappresenta l’entrata di una nuova impresa, mentre la seconda


situazione è l’entrata di un’impresa diversificata. L’uscita dal mercato è il contrario del-
l’entrata. È il ritiro dal mercato, sia da parte di un’impresa che cessa completamente di
operare sia da parte di un’impresa che continua a operare, ma lo fa in un altro mercato.
Per ridurre la minaccia di entrata di nuovi concorrenti, e al tempo stesso mante-
nere la redditività del settore, le imprese possono adottare quattro strategie:

a) allargare la gamma di prodotti;


b) ridurre i prezzi;
c) predatory pricing (prezzi predatori);
d) mantenere un eccesso di capacità operativa.

Ampliamento della gamma


Per ridurre la minaccia di nuove entrate, le imprese possono ampliare la gamma
offerta al fine di occupare il maggior numero di nicchie possibili, togliendo così spa-
zio ai concorrenti. In tal modo si crea una barriera ai potenziali entranti. La lentezza
dei costruttori europei di auto a occupare le nicchie sport-utility, per esempio, ha
favorito l’entrata nel mercato dei costruttori giapponesi.
È una strategia che presenta molti rischi. Come vedremo trattando delle strategie
miranti ad aumentare l’efficienza, introdurre nel mercato un’ampia varietà di prodot-
ti può dissuadere nuovi rivali, ma comporta forti costi che la stagnazione della
domanda può coprire solo in parte.

Figura 16.2
Quattro
strategie per
Le strategie per dissuadere
ridurre le
l’entrata di nuovi concorrenti
minacce di
entrata

Allargare la Ridurre i Predatory Mantenere


gamma dei prezzi pricing eccesso di
prodotti capacità
operativa
410 Le strategie di business unit

Figura 16.3
Le strategie Le strategie per ridurre
per ridurre l‘intensità della
competizione
l’intensità
della
Controllo
competizione Il prezzo Price Non price
della capacità
Azioni dal lato Azioni dal lato
come segnale leadership competition dei fornitori dei distributori
operativa

rivali, oppure intendevano così dissuadere i concorrenti potenziali dall’entrare nel


settore e i rivali attuali dall’aumentare la capacità operativa.
A differenza della riduzione dei prezzi e del predatory pricing, un eccesso di
capacità operativa può dissuadere un’impresa dall’entrare nel mercato, anche quando
abbia una completa informazione circa i costi e le strategie delle imprese già presen-
ti. Quando il potenziale entrante prefigura la natura della concorrenza dopo la sua
entrata, deve stimare le quantità che sarà in grado di vendere e i prezzi che potrà otte-
nere. Pertanto, mantenendo la capacità operativa in eccesso, le imprese già presenti
possono influenzare la previsione del potenziale entrante circa il futuro della redditi-
vità del settore e quindi anche della propria. È evidente che l’eccesso di capacità ope-
rativa del settore può anche non essere il risultato voluto.

Guerra di logoramento. In una guerra di logoramento i contendenti bruciano


risorse in un confronto estenuante, senza vincitori. Alla fine chi sopravvive ha un
«premio» mentre chi perde non ha nulla e vorrebbe non aver mai partecipato alla
contesa. Se la guerra di attrito dura a lungo, anche il vincitore può trovarsi in condi-
zioni peggiori rispetto a quando la guerra era iniziata in quanto le risorse che ha bru-
ciato possono essere superiori al «premio» ottenuto. Nella realtà gli esempi sono
molti. L’arsenale nucleare degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica accumulato tra il
1945 e gli anni Ottanta è un classico esempio di guerra d’attrito.

Le strategie per ridurre l’intensità della competizione


Dal momento che la concorrenza comporta una pressione sui prezzi e sulla redditi-
vità e che nei settori maturi esiste forte interdipendenza tra strategie, le imprese mira-
no a ridurre l’intensità della competizione. Attuano a tale fine varie strategie, tra cui
le più importanti sono:

• uso del prezzo come segnale;


• leadership di prezzo;
• competizione non basata sul prezzo (non-price competition);
• controllo della capacità operativa;
• azioni dal lato dei fornitori;
• azioni dal lato dei distributori.

Il prezzo come segnale


Con questa strategia le imprese comunicano le loro intenzioni alle altre imprese circa
la strategia di prezzo che hanno in programma di adottare e i modi con cui intendono
414 Le strategie di business unit

Figura 16.4
Le strategie Settori
nei settori in declino
in declino
Costringere
«Tenere il Disinvestire
Creare sviluppo i rivali «Mietere»
campo» o liquidare
all‘abbandono

L’esperienza insegna che anche nei settori in declino esistono imprese in grado di
ottenere buoni risultati. Nessuno dubita per esempio che la domanda di sigarette e di
bevande alcoliche sia in calo, eppure Philip Morris compra imprese e marchi e altret-
tanto fa Bacardi. Quali strategie adottano? Quali sono i fattori del loro successo?
Cominciamo con il domandarci perché un settore entra in una fase discendente.
Il declino può essere causato da un cambiamento nello stile di vita dei consumato-
ri, da una nuova tecnologia, da tendenze demografiche o da politiche dello stato. Le
conseguenze principali sono due: eccesso di capacità operativa e pressione sui prezzi.
Negli anni Novanta vari settori sono entrati in una fase di questo genere: trasporto
aereo, semiconduttori, abbigliamento di fascia medio-alta soggetto a moda, autovei-
coli; nei primi anni Duemila è stata la volta del personal computer. Quando la doman-
da in un mercato non cresce o comincia a declinare si verificano in breve profondi
cambiamenti nella struttura della concorrenza (il che comporta anche un diverso
modo di fare l’analisi competitiva) e anche nella struttura interna delle imprese.
Per quanto riguarda la concorrenza l’effetto più evidente è che per mantenere una
quota di mercato – e quindi per saturare la capacità produttiva – in presenza di una
domanda stagnante è necessario strappare quote a uno o più concorrenti. La compe-
tizione si fa così sempre più intensa. Le imprese più deboli vengono spinte fuori dal
mercato, mentre le imprese che rimangono sono costantemente poste di fronte a tre
opzioni: «mietere», ossia trarre il maggiore vantaggio possibile nel breve termine e
poi abbandonare, disinvestire e in qualche caso anche liquidare, oppure cercare una
posizione di forza con una strategia opposta.
Come dimostra l’esame della realtà, se è vero che la capacità produttiva totale
deve essere ridotta, che l’occupazione diminuisce e che diminuisce anche il numero
delle imprese, è anche vero che esistono alternative diverse al disinvestimento e alla
liquidazione. Con una frase a effetto si potrebbe dire non esistono settori in declino,
ma soltanto dirigenti che non sanno o non possono reagire a causa di vincoli esterni
all’impresa.
Premesso che se la domanda rallenta il ritmo di crescita oppure ha una contrazio-
ne, è necessario rivedere gli obiettivi della business unit in modo da renderli compa-
tibili con le tendenze e le effettive opportunità del mercato, le strategie suggerite per
le imprese che operano in settori con domanda in declino sono assai varie.
Aaker (1998) individua cinque strategie di risposta delle imprese a un mercato in
declino:

• creare sviluppo dando nuovi impulsi al settore o concentrando l’attività su seg-


menti che mantengono sviluppo;
• conquistare una posizione dominante e costringere i rivali all’abbandono riuscen-
do a conseguire profitti;
• «mietere» (ridurre i costi e gli investimenti) per destinare risorse all’entrata in
altri settori;
418 Le strategie di business unit

Le tecniche sono varie:

• outsourcing, quando all’esterno le produzioni hanno un costo inferiore;


• nuova configurazione di prodotto o di servizio;
• cessione degli impianti non utilizzati;
• abbandono dei punti vendita che chiudono in perdita;
• nuovi canali della distribuzione, per assicurare gli sbocchi alle produzioni di
basso costo.

Disinvestire o liquidare
All’avvicinarsi del declino, l’impresa può valutare che l’uscita anticipata dal settore
(vendita ad altri) possa rappresentare la strategia migliore. È una strategia adottata in
particolare quando l’impresa prevede che la concorrenza sarà forte e non dispone, o
non vuole mettere in campo, le risorse necessarie per mantenere le nicchie di merca-
to ancora esistenti. L’opzione migliore è vendere a un’impresa del settore che con-
temporaneamente stia perseguendo una strategia di leadership. Pagherà un prezzo
più alto di un’impresa di un altro settore.
La liquidazione è la soluzione più drastica: il patrimonio è smembrato, le attività
sono cedute e le passività estinte.

Figura 16.5
Intensità della
competizione
Alta

e forze
dell’impresa
Nicchia
Disinvestire
Intensità della competizione

o mietere
in settori in declino

Mietere Leadership
o disinvestire o nicchia
Bassa

Bassa Alta

Forza dell’impresa nelle nicchie rimanenti


I leader tra attacco e difesa 425

Prodotti sostitutivi
Per attaccare i leader del mercato molte imprese lanciano un prodotto sostitutivo che
presenta vantaggi rispetto ai prodotti concorrenti: un prezzo più basso, minori costi
di esercizio, minor peso, minori dimensioni o altro.
È evidente che di per sé questo non garantisce il successo nel lungo periodo, poi-
ché le imprese leader possono imitare chi attacca offrendo un prodotto simile e pos-
sono difendersi agevolmente riducendo i prezzi, aumentando le spese in pubblicità,
promozione, distribuzione o accelerando il lancio di nuovi prodotti. In tal modo, chi
è in posizione dominante nel mercato aumenta gli investimenti necessari per compe-
tere e quindi aumenta i rischi per il nuovo entrante. Essendo difficile riuscire nell’at-
tacco frontale, alcune imprese preferiscono dunque la strategia dell’angolo cieco.
Tetra Pack, per esempio, deve il proprio successo a una strategia di questo tipo. I suoi
contenitori di alimenti liquidi hanno costituito un’eccellente alternativa all’utilizzo di
bottiglie di vetro o lattine. Per competere in questi ultimi due settori è necessario
disporre di forti economie di scala e avere il controllo delle tecnologie e TetraPack
non aveva possibilità di competere su questo terreno. Ha quindi evitato lo scontro
frontale e aggirato i leader presentando un prodotto con una tecnologia completa-
mente diversa, meno costosa, più flessibile e innovativa.

Figura 17.1
Strategia Il leader di mercato ha la forza per respingere gli attacchi che vengono da imprese con
dell’angolo piccole quote di mercato (A, B, C). Queste ultime devono pertanto attaccare aggirandolo
cieco e individuando un punto debole.
o blind side

Market

Product Lines

M
ar
ke
tl
A

ea
de
r

C
Fonte: Business
International
Research Report,
1983.
426 Le strategie di business unit

Bic contro Gillette


Bic ha scelto la strategia del prodotto sostituti- rasoi Gillette con le stesse caratteristiche Bic.
vo per attaccare il leader di mercato Gillette. Dopo una contesa giudiziaria che ha visto
L’impresa francese è stata la prima a introdur- respingere, da un tribunale americano, l’accu-
re rasoi «usa e getta» sfruttando una tecnolo- sa mossa da Bic a Gillette di aver carpito l’i-
gia che Gillette aveva fino ad allora trascurato. dea, il produttore americano ha preso il so-
La reazione non si è fatta attendere: nel giro di pravvento e ha confinato il rivale in una picco-
pochi mesi sono stati messi in commercio la quota di mercato.

Figura 17.2
Tre strategie di
attacco blind Blind side
side (angolo strategy
cieco)

Nuove forme
Prodotto sostitutivo Nicchie trascurate
di distribuzione

• Bic contro Gillette • Avon • Canon


• TetraPak • Benetton • Makita

Nuove forme di distribuzione


Le imprese che hanno modeste quote di mercato si trovano spesso a fronteggiare
canali di distribuzione controllati saldamente dalle imprese leader. Per farsi strada
quindi, partendo da posizioni più deboli, devono proporre forme alternative di distri-
buzione poiché quelle tradizionali sono spesso precluse. Questa barriera può essere
frutto di un accordo in esclusiva oppure la conseguenza di forti investimenti in pub-
blicità. Per esempio, quando San Pellegrino decise di entrare nel segmento delle soft
drink con un nuovo prodotto, One-o-One, trovò la strada sbarrata nella grande distri-
buzione poiché il leader di mercato, Coca-Cola, aveva vincolato i propri clienti alla
vendita esclusiva, ed essendo Coca-Cola un prodotto di richiamo, la grande distribu-
zione non poteva farne a meno (questa politica venne poi condannata dall’antitrust).
Alcune imprese hanno adottato il porta-a-porta, altre hanno optato per vendite per
corrispondenza, altre ancora hanno utilizzato la grande distribuzione quando i leader
adottavano canali specializzati. Internet ha aperto altri spazi per competere con forme
nuove di distribuzione.

Avon e il porta-a-porta
Non riuscendo a convincere i distributori a Mise in difficoltà i leader, che non potevano
mettere i suoi prodotti accanto a quelli dei lea- imitarla adottando la stessa formula di vendita
der, Avon decise di adottare un nuovo modo di poiché i distributori, che avevano dato loro la
vendere: il porta-a-porta, ed ebbe successo. preferenza, sarebbero insorti.
442 Le strategie di business unit

18.1 Le cause del declino e le responsabilità del management


Per turnaround si intende l’insieme delle azioni con le quali l’impresa, sotto la pres-
sione del peggioramento prolungato dei risultati, cerca di superare il periodo di diffi-
coltà e tornare alle prestazioni del periodo precedente ed eventualmente migliorarle.
Il processo è avviato nel convincimento che il settore non sia condannato a un
declino inesorabile, oppure che anche nella fase di declino l’impresa possa conqui-
stare posizioni e mantenere comunque una buona redditività. Il management muo-
verà quindi dall’analisi delle cause del declino, esterne e interne, per stabilire gli
effetti della crisi e le condizioni per un recupero della situazione.
Così come per altre strategie competitive, non esistono regole valide per tutte le
situazioni, ma l’esperienza indica alcuni elementi fondamentali. Dall’esame dei suc-
cessi e degli insuccessi nei turnaround emerge infatti che per superare la crisi di risul-
tati occorrono: impegno, creatività e volontà di rovesciare la situazione; capacità di
guardare oltre gli ostacoli di breve termine; capacità di individuare e trarre vantaggio
dal potenziale dell’impresa; capacità di creare consenso.
Il primo passo è dunque la diagnosi: quali sono le cause della crisi di risultati? È
un calo delle vendite originato da una recessione dell’economia? Oppure sono i costi
operativi troppo alti? Oppure è l’eccessivo indebitamento?
Capire l’origine e valutare l’intensità della crisi è essenziale, perché proprio dalla
diagnosi dipenderanno le scelte tra le varie opzioni di una strategia di turnaround.
Quando sopraggiunge una crisi, sul banco degli imputati va inevitabilmente il
management. Alcune cause dipendono, come sappiamo, dall’ambiente esterno e al
management può essere imputato di non averle tempestivamente individuate e argi-
nate: sono per esempio le tendenze del settore, come innovazione tecnologica e
aumento della produttività che rendono obsoleti gli impianti e creano eccesso di
capacità operativa; sono strategie dei concorrenti; calo della domanda; aumento dei
costi degli input; calo della redditività a causa del calo dell’efficienza operativa e
nuove esigenze dei clienti. Due tendenze meritano un cenno più ampio: le azioni dei
concorrenti e i cambiamenti nelle attese dei potenziali clienti quindi nella domanda.
Pochi settori negli ultimi decenni sono stati risparmiati da nuovi concorrenti.
Quando nuovi entrati o vecchi rivali con nuove strategie cambiano il contesto com-
petitivo, le altre imprese devono rispondere rapidamente. Se non lo fanno, prima o
poi entrano in crisi (vedi le strategie di attacco ai leader, nel capitolo 17). Ignorare i
cambiamenti della domanda porta alle stesse conseguenze. Cambiamenti nella tecno-
logia, nella legislazione, nell’economia possono cambiare le esigenze dei clienti

Figura 18.1
Le principali
cause della
Cambiamenti Responsabilità
crisi Recessione
nella tecnologia del management

Crisi
444 Le strategie di business unit

Figura 18.2
La gestione Condizione dell’impresa Strategia del turnaround Azioni avviate
strategica in nel turnaround
una fase di
Condizione forte Attacco • Investire in vista della
recessione
ripresa del ciclo
• Acquisire quote di mer-
cato: acquistare imprese
concorrenti; concorren-
za aggressiva; migliora-
re le attività chiave
• Strategie di espansione
nei mercati mondiali

Condizione mediamente Essere pronti nella fase di • Razionalizzare il por-


forte ripresa del ciclo tafoglio prodotti/servizi
Management all’altezza • Razionalizzare/adattare
della situazione la struttura organizzati-
va per aumentare la
flessibilità e l’efficacia
del controllo
• Ridurre gli effetti di
future onde cicliche:
cambiare il mix dei pro-
dotti/servizi e il mix dei
mercati geografici

Condizione debole Sopravvivenza • Ridurre i costi operativi:


lavoro, capacità produt-
tiva, scorte, marketing.
• Ridurre gli oneri finan-
Fonte: PA ziari
Consulting • Disinvestire
Group.

Cambiamenti nella tecnologia


Le innovazioni radicali possono sconvolgere la struttura della competizione e spinge-
re rapidamente imprese leader verso il declino.
Negli ultimi anni Novanta, per esempio, la rivoluzione digitale ha scosso anche il
settore della fotografia minacciando una tecnologia le cui tradizioni risalivano alla
fine dell’Ottocento. Gli operatori online offrivano di sviluppare, stampare e inviare le
fotografie sul web a costo zero. Eastman Kodak, che aveva solo Fuji Photo e pochi
altri come concorrenti, si è trovata improvvisamente di fronte imprese high-tech e
dell’elettronica di consumo come Hewlett-Packard e Sony.

Responsabilità del management


Le cause di una crisi che possono risalire a responsabilità del management sono le
più frequenti: incapacità, dimensioni eccessive dell’impresa, controlli finanziari non
adeguati, costi elevati, inerzia.
Le strategie di turnaround 445

Figura 18.3
Il management Dimensioni Controlli Costi
Incapacità Inerzia
è spesso il eccessive non adeguati troppo alti
principale
responsabile Responsabilità
del declino del
management

Incapacità del management. Può assumere vari aspetti. Hoffman (1984) ha indi-
viduato una serie di punti deboli nel management delle imprese in declino, tra cui i
più frequenti sono: mancanza di un adeguato equilibrio di competenze al vertice
(modeste competenze tecnologiche, o finanziarie, o di marketing); errori nel pro-
grammare la successione ai vertici (aprendo conflitti interni).
Un’altra ricerca ha fornito particolari su una causa che viene spesso citata come
determinante senza che però esistano prove concrete. Bibeault (1982) ha rilevato che
nei casi di imprese entrate in crisi è frequente la presenza di un leader accentratore
convinto assertore dello sviluppo a ogni costo.

Dimensioni eccessive dell’impresa. Le spinte verso lo sviluppo – con ricadute in


termini di status del management, remunerazioni, progressi di carriera – sono forti,
ma uno sviluppo eccessivo comporta in genere due conseguenze: difficoltà di con-
trollo e indebitamento.

Cisco e la crisi dell’high-tech


Dopo un boom senza precedenti, il settore re per le parti customized che avevano i tempi
high-tech nel 2001 è entrato in una crisi rovi- di consegna più lunghi.
nosa. Le cause sono state non solo il calo della Quando nel dicembre del 2000 la domanda di
domanda, ma anche l’eccessivo ottimismo cir- attrezzature di rete crollò, Cisco si rivelò parti-
ca la continuità dello sviluppo. colarmente vulnerabile: con scorte ingenti,
Cisco, una delle «stelle» della new economy, gran parte delle quali costituite sulle esigenze
aveva avuto nell’anno precedente ordini co- specifiche dei clienti e quindi difficili da ven-
stantemente superiori alle previsioni con la dere, e con scorte di certi componenti sufficien-
conseguenza di allungare i tempi di consegna, ti per oltre un anno. Fu costretta a svalutare le
che per alcuni prodotti erano arrivati a 15 setti- scorte per $ 2,5 miliardi (mantenendone 1,6
mane. Per invertire questa tendenza, Cisco ha miliardi di componenti). Per ripristinare la red-
accumulato scorte di componenti in particola- ditività fu costretta a licenziare 8500 persone.

Se la domanda rallenta e il costo del denaro cresce, l’impresa diventa vulnerabile a


crisi finanziarie. Gli esempi non mancano: Solectron, fornitore di laptop per IBM e
router per Cisco, fu travolta dalla flessione del settore high-tech dei primi anni
Duemila. Aveva affidato il proprio sviluppo alla tendenza delle imprese high-tech
di ricorrere all’outsourcing, con investimenti rilevanti e acquisto di impianti dai
propri clienti, ma in pochi mesi la domanda crollò trascinandola in una crisi inarre-
stabile.
452 Le strategie di business unit

per finanziare lo sviluppo di nuove idee, per dare la flessibilità necessaria nel
rispondere a nuove tendenze del mercato e, soprattutto, per sfruttare le nuove
opportunità.

Mostrare progressi misurabili. Per dare credibilità al piano di turnaround occor-


re anche dimostrare che il peggio è passato. Per il successo di questa strategia occor-
re fare progressi presto e occorre che siano misurabili in modo oggettivo. È impor-
tante quindi fissare in anticipo quali criteri saranno adottati per misurare i risultati.

18.4 I fattori di successo


Quali sono i fattori di successo di un turnaround? Ogni società di consulenza, ogni ricer-
catore ha la propria formula, ma alcuni fattori sono comuni a tutti. Zimmerman (1989)
ha ricostruito quindici casi di turnaround tra i più famosi e dalla ricerca sono emerse
alcune conclusioni che successivamente hanno avuto varie conferme (Fig. 18.4):

Figura 18.4
I fattori di un 1) Efficienza nella produzione
turnaround di 2) Efficienza nella gestione delle
successo scorte
3) Bassi costi fissi Produzione a costi bassi
4) Semplificazione del processo
produttivo

1) Caratteristiche distinte da quelle


dei concorrenti
2) Affidabilità e prestazioni supe-
Differenziazione di prodotto Turnaround
riori
3) Qualità dei prodotti
di successo
4) Miglioramento continuo dei pro-
dotti e non miglioramenti spora-
dici

1) Attenzione concentrata sulla


gestione operativa
2) Stabilità del management e
ampio consenso dei collaboratori Organizzazione adeguata
sulla politica del turnaround al turnaround
3) Leadership con esperienza nel (leadership)
settore o in settori collegati
4) Leadership con esperienza di tipo
Fonte: F.M. tecnico (l’esperienza di tipo esclu-
Zimmerman, sivamente finanziario è stata pre-
«Managing a valente nei casi di insuccesso)
Successful 5) Innovazione nei metodi di
Turnaround», gestione
Long Range 6) Cambiamenti incrementali
Planning, vol. 7) Chiarezza nei rapporti con i col-
22, 1989, pp. laboratori
105-124.
Le strategie nei mercati mondiali 473

Figura 19.1
Le strategie Strategie Forze Debolezze
generiche
in un nuovo Cost leadership • Alza barriere alla nuova Vulnerabile a:
mercato concorrenza. • innovazione tecnologica;
geografico • Estende le economie di • entrata di imprese di
scala e le economie di paesi con basso costo del
scopo. lavoro;
• fluttuazione dei cambi.

Differenziazione • Risponde a esigenze e • Cambiano i mercati (con-


attese dei clienti che correnza).
sono diverse. • Cambiano le attese.
• Sensibilità alle condizio- • I concorrenti lanciano
ni locali. frequentemente prodot-
ti e servizi migliori.

Playing the spread • Secondo le caratteristi- • Le stesse della cost lea-


che dei mercati. dership e della differen-
• Gestione più difficile e ziazione.
più complessa.

La strategia di differenziazione. È più difficile da realizzare rispetto alla cost


leadership. Comporta qualità dei prodotti e dei servizi superiori a quelle dei rivali,
innovazione, risposta rapida alle esigenze dei compratori e adattamento al mercato
locale. Se ha successo, però, ha il vantaggio di essere sostenibile più a lungo in quan-
to sviluppa una maggiore fedeltà nel cliente. Per questi è infatti più difficile confron-
tare qualità, servizi accessori e immagine di quanto sia confrontare i prezzi.

Playing the spread. Nei mercati mondiali significa combinare i costi bassi con la
differenziazione. Qualità migliore, più servizi e immagine determinano a breve un
aumento di costi, ma nel lungo termine l’aumento dei volumi può ridurre i costi attra-
verso economie di scala e di scopo.

Vantaggi specifici
Oltre ai vantaggi generici di costo, differenziazione e playing the spread, per decide-
re se entrare o non entrare l’impresa deve chiedersi quali siano i vantaggi specifici
ottenibili (Fig. 19.2). Anche questi sono molteplici e diversi secondo i settori, i mer-
cati e le strategie delle imprese, ma possono ricondursi a tre azioni principali:

• trasferire in altri mercati (creando superiorità sui rivali) le competenze distintive


sulle quali si basa il successo nei mercati attuali;
• distribuire le componenti della catena del valore nelle aree geografiche in cui pos-
sono essere realizzate con la maggiore efficienza;
• aumentare i volumi di attività e quindi, sfruttando le economie di scala e di scopo,
abbassare i costi di produzione.
474 Le strategie di business unit

Figura 19.2
Tre vantaggi
specifici I vantaggi di essere
presenti in più mercati

Economie
Trasferire competenze Economie di scala
di localizzazione

Trasferire competenze. Le imprese che hanno competenze distintive forti posso-


no acquisire vantaggi rilevanti trasferendo tali competenze in altri mercati in cui la
competizione manca o non è in grado di rivaleggiare. I vantaggi possono tradursi in
costi più bassi e nella capacità di differenziare i prodotti o i servizi.
Nei settori dei beni di consumo sono molti gli esempi di imprese americane che
negli anni Sessanta e Settanta hanno fatto rilevanti profitti in Europa grazie alle capa-
cità di marketing superiori a quelle dei concorrenti locali. Questi vantaggi però non
durano all’infinito poiché vengono presto imitati, soprattutto nei paesi occidentali.
Una ricerca del National Institute of Economic and Social Research dimostra che
circa un terzo dell’aumento ottenuto nella produttività del settore manifatturiero in
Gran Bretagna nel corso degli anni Novanta è da attribuire a idee e metodi introdotti
da imprese straniere. Un docente della London Business School ha osservato che que-
ste imprese, per effetto del loro interesse nell’espansione in più mercati, hanno mag-
giori capacità di innovazione, quindi hanno idee migliori per aumentare l’efficienza.
Alcuni dei maggiori progressi nel recupero dell’efficienza sono stati realizzati per
esempio nel settore automobilistico, principalmente attraverso le nuove idee introdot-
te da Nissan, Toyota e Honda (tutte hanno impianti di produzione in Gran Bretagna).
Anche nel settore dei componenti per autoveicoli si sono avuti effetti positivi. Ne
è un esempio l’acquisto di Marston, un costruttore di radiatori e condizionatori d’a-
ria, da parte di Denso (Giappone), uno dei principali gruppi produttori di componen-
ti del mondo: nell’arco di pochi anni Denso ha introdotto varie tecniche per miglio-
rare la qualità e Marston ha ridotto del 90 per cento il volume dei pezzi difettosi e
raddoppiato la velocità di produzione.
Le competenze distintive nella gestione della produzione e nello sviluppo di
nuovi prodotti furono i vantaggi competitivi sui quali i costruttori giapponesi fonda-
rono, negli anni Ottanta, la loro espansione nei mercati mondiali. La loro superiorità
durò per oltre un decennio, poi nei mercati degli Stati Uniti e dell’Europa i rivali col-
marono gran parte dello svantaggio.

Economie di localizzazione. I costi di produzione, delle materie prime, dei com-


ponenti e dei servizi sono diversi da una nazione all’altra. Tenendo conto di tali costi,
dei costi della logistica, delle barriere tariffarie e non tariffarie allo scambio, e delle
tendenze dei cambi, un’impresa può scomporre la catena del valore, collocare le
varie attività nei luoghi più convenienti e realizzare così vantaggi significativi soprat-
tutto rispetto ai rivali che producono esclusivamente nei paesi industrializzati. Negli
anni Ottanta la ricerca di vantaggi di questo tipo è stata molto diffusa. Nella seconda
metà degli anni Novanta la tendenza è cambiata: nei paesi di nuova industrializzazio-
Le strategie nei mercati mondiali 477

Neppure la valuta messicana, che nelle precedenti recessioni si era deprezzata


consentendo al Messico di rimanere competitivo, è venuta in aiuto. Durante la reces-
sione negli USA nei primi anni Duemila, infatti, il peso ha mantenuto una certa forza,
costringendo le maquiladoras a operare con margini di guadagno sempre più ridotti.
Un’inattesa conseguenza del Nafta per il Messico è stato anche il continuo
aumento della popolazione nelle zone al confine con gli Stati Uniti, attirata dalla cre-
scita industriale della regione. La crescita della popolazione superiore a quella eco-
nomica della regione ha creato grossi problemi di controllo dello sviluppo.

Condizioni della domanda. Le caratteristiche della domanda locale (di una spe-
cifica nazione) per un dato prodotto o servizio agiscono sui vantaggi competitivi. Se
i compratori hanno esigenze complesse e sofisticate (come le imprese petrolifere
americane nei confronti dei fornitori di attrezzature e impianti), le imprese che ope-
rano in una tale nazione sono spinte a produrre con qualità elevate e a innovare fre-
quentemente. La concorrenza interna tende ad abbassare i costi, quindi i prezzi. Le
imprese che in un certo mercato sono in grado di rispondere in modo efficiente a una
domanda esigente hanno un significativo vantaggio competitivo anche in altre parti
del mondo.

Competitività nei settori complementari. La presenza, in una nazione, di set-


tori complementari che siano competitivi nei mercati internazionali crea vantaggi
anche per i settori finali. In Francia il settore della grande distribuzione è molto
competitivo anche perché può avvalersi di fornitori di prodotti e servizi a loro volta
molto competitivi. L’entrata in mercati di altre nazioni, per esempio in Spagna, ha
avuto successo anche grazie a questi vantaggi. Analogamente, l’abbigliamento ita-
liano dei segmenti di qualità è competitivo anche per il fatto che lo sono i settori
complementari: dai tessuti alle macchine per l’industria tessile, dagli accessori alle
imprese di produzione.

Figura 19.3
I fattori che
creano Strategia delle imprese,
vantaggi strutture organizzative
competitivi e rivalità

Natura
Fattori di produzione
della domanda

Fonte: M. Porter,
The Competitive
Imprese di settori
Advantage of
Nations,
complementari
Macmillan, New
York, 1990.
Le strategie nei mercati mondiali 479

inesorabilmente al declino. I governi possono intervenire, sostenendo l’innovazione,


l’acquisizione di nuove tecnologie, stimolando la capacità imprenditoriale, dando
forza ai valori del lavoro e della competizione.

Concorrenti locali, concorrenti multinazionali e globali


Le imprese che competono nei mercati mondiali affrontano due tipi di rivali: concor-
renti locali e concorrenti multinazionali e globali. Sono rivali molto diversi non sol-
tanto perché hanno differenti vantaggi competitivi e risorse, ma anche per la loro
capacità di sfruttare tali vantaggi e tali risorse attraverso la presenza nei mercati inter-
nazionali. Sono spesso diversi anche nel modo in cui affrontano segmenti specifici, e
per le competenze che mettono in campo in un determinato mercato. La natura della
competizione non è dunque la stessa.

Concorrenti locali
Le imprese che hanno strategie mirate unicamente al mercato locale rappresentano
un tipo di concorrente che spesso ha molti vantaggi rispetto alle grandi multinaziona-
li. Anzitutto, a differenza delle imprese straniere, non sono guardate con sospetto dai
governi e dall’opinione pubblica e spesso godono di barriere protezionistiche. Ciò è
particolarmente vero nei settori che sono fonti di occupazione (abbigliamento e tessi-
le, per esempio) o che hanno importanza strategica (computer e costruzioni aeronau-

Figura 19.4
Tre fasi e tre
strategie di Le forze che spingono
risposta verso nuovi mercati
geografici

• Rapidità del cambiamento


• Complessità
Le sfide • Forte concorrenza
• Responsabilità sociali

Le risposte

Fase 1 Fase 2 Fase 3

Strategie di Strategie di Strategie


entrata in un consolidamento competitive
nuovo mercato nei nuovi mercati globali
Le strategie nei mercati mondiali 481

Figura 19.5
Esempio di Alto Stars Question marks
matrice BCG
sviluppo/quote
di mercato

Ritmo di sviluppo del mercato


Gran Spagna
Bretagna

Cina

Cows Dogs

Germania

Russia
Francia

Basso
Alto Basso
Quota di mercato relativa
In questo esempio, Francia e Germania sono due mercati nei quali l’impresa è ben conso-
lidata e con il cash flow ottenuto da questi due mercati l’impresa può finanziare la pene-
trazione in Cina e in Spagna, mercati in forte sviluppo nei quali ha una quota modesta,
oppure l’entrata in Gran Bretagna, in cui ha una quota di mercato elevata per mantenere
la quale, a causa della forte crescita della domanda, ha un elevato fabbisogno finanziario.
La Russia dovrebbe essere abbandonata.

La matrice BCG aiuta a stabilire il ruolo di una business unit o di un prodotto sulla
base del ritmo di sviluppo del mercato e della quota di mercato in rapporto a quella
dei concorrenti. Aiuta anche a individuare il ruolo del cash flow. Tuttavia, la matrice
deve essere interpretata e usata con cautela, tenendo presente che è solo una prima
approssimazione al problema. Il grafico in Figura 19.5 offre un esempio di visualiz-
zazione semplificata della matrice BCG.
La portfolio analysis può anche ricorrere alla matrice attrattività del mercato/
posizione competitiva, che può suggerire a quali mercati o paesi destinare investi-
menti e quali abbandonare. La Figura 19.6 illustra un esempio di come un’impre-
sa che vende abbigliamento di prezzo elevato valuti alcuni mercati in cui è già
presente: quelli collocati nella parte in alto a sinistra sono in una buona posizione
per ulteriori investimenti, mentre quelli in basso a destra sono nella posizione
opposta.
482 Le strategie di business unit

Figura 19.6
Esempio di Elevata
matrice
attrattività/
posizione • Francia • Stati Uniti
competitiva • Germania • Canada
per paesi

Attrattività mercato/paese

• Giappone • Svezia

• Messico • Danimarca
Fonte: adattato
da G.D. Harrell,
R.O. Kiefer,
Multinational Bassa
Strategic Market Elevata Bassa
Portfolios, MSU
Business Topics, Posizione competitiva
1981.

19.4 Nuovi mercati: le strategie di entrata


La scelta: in quali mercati entrare?
Scegliere in quali mercati (area geografica) entrare significa scegliere quale arena
competitiva affrontare, con chi competere e quali risorse mettere in campo. La logica
dell’analisi che precede la scelta è riconducibile all’analisi SWOT: l’attrattività di un
nuovo mercato dipende non solo dalle sue caratteristiche quindi dalle opportunità
(dimensioni, ritmo di crescita, potenziale futuro) e dalle minacce (concorrenza in
primo luogo), ma anche dalle forze e dalle debolezze che l’impresa ha nei confronti
dei concorrenti.
A seconda della propria posizione – forze e debolezze – e della forza relativa dei
concorrenti, l’impresa può adottare varie strategie:

• anticipare i concorrenti, se un mercato ha un forte potenziale di sviluppo; entrare


prima dei rivali multinazionali e globali può essere un vantaggio;
• attaccare i rivali, se le posizioni alle quali si mira sono già occupate da altre
imprese: l’attacco può avere successo soltanto se l’impresa muove da posizioni di
relativa forza e mira là dove i rivali sono vulnerabili;
• build-up, quando l’impresa entra in mercati nei quali la concorrenza è modesta o
che sono troppo piccoli per attrarre i concorrenti più forti. Può così facilmente
conquistare quote, accumula esperienza e costruisce economie di scala, quindi
Le strategie nei mercati mondiali 483

Figura 19.7
Gli elementi
che orientano Scelta dei mercati
la scelta dei
mercati

Struttura
Orientamento Caratteristiche Strategie
della concorrenza
dell’impresa dei mercati dei concorrenti
nel settore
• Attitudini verso il • Domanda poten-
rischio ziale
• Risorse disponibili • Grado di integra-
zione regionale

abbassa i costi unitari. I costruttori giapponesi di auto, per esempio, entrarono in


Europa evitando i grandi mercati in cui esistevano concorrenti nazionali (Peugeot
e Renault in Francia, VW, Daimler-Benz e BMW in Germania, Fiat in Italia). Pre-
ferirono attaccare mercati piccoli e senza costruttori locali (Svizzera, Danimarca,
Belgio) e penetrarono in Gran Bretagna incoraggiati dal governo che intendeva
ridare slancio all’industria automobilistica in crisi.

In quali mercati entrare – e con quale sequenza – è una scelta che può essere affron-
tata con una pluralità di criteri: le dimensioni (i mercati più grandi?), la distanza (i
mercati più vicini sia in senso geografico sia per cultura e tradizioni?), le potenzialità
(i più ricchi?).
Nuovi elementi hanno aumentato la complessità della scelta negli ultimi decenni.
Anzitutto l’integrazione economica e politica nelle aree geografiche più avanzate, di
cui Unione Europea, NAFTA (Canada, Messico e Stati Uniti), ASEAN (Sud-Est
asiatico), Mercosour (America Latina) sono le forme più note. Inoltre, come conse-
guenza, la caduta di alcune barriere economiche tra gli stati, quindi l’inadeguatezza
della tradizionale identificazione dei mercati con i confini politici.
La scelta dei mercati è guidata principalmente da quattro elementi: orientamento
strategico dell’impresa, caratteristiche dei mercati, struttura del settore e strategie dei
concorrenti (Fig. 19.7).

Orientamento dell’impresa. L’atteggiamento del management nei riguardi di una


strategia di sviluppo nei nuovi mercati agisce sulla scelta dei mercati stessi. Un manage-
ment prudente, riluttante a correre rischi, evita mercati in cui si presentano opportunità
ma anche instabilità politica, inflazione alta, incertezza economica. Anche la disponibi-
lità di risorse agisce sulla scelta dei mercati. Occorrono risorse per fare ricerche prelimi-
nari, finanziare campagne promozionali, scorte e reti di assistenza post-vendita.

Caratteristiche dei mercati. Sulla scelta dei mercati agiscono le caratteristiche


dei mercati stessi. Quale potenziale di domanda? Dimensione del PIL, popolazione,
reddito procapite, propensione a importare sono primi indicatori. Quale grado di
integrazione con altri mercati? Mercati geograficamente vicini o lontani, piccoli o
grandi, in cui affrontare concorrenti deboli o agguerriti. Disponibilità di lavoro spe-
cializzato e di industrie accessorie ha un peso sulla scelta.
Le strategie nei mercati mondiali 485

Figura 19.8
Strategie di
entrata in un Strategie di entrata: varie opzioni
mercato estero

Esportazione Vendita Integrazione


indiretta diretta nel mercato

• Imprese export • Agenti • Assemblaggio


• Trading company • Distributori • Contract
• Rete di vendita manufacturing
• Produzione locale
• Licensing
• Franchising
• Joint venture
• Partecipazione al
capitale di controllo

Si tratta di una serie di trade-off difficili da sciogliere. Se la scelta è di vendere esclu-


sivamente attraverso intermediari il costo è basso, dunque è basso il rischio, ma è
scarso anche il controllo che si può avere sull’iniziativa. Se la scelta è di produrre in
loco e distribuire con una propria rete di punti vendita, i costi sono alti, come il
rischio, ma si avrà anche un maggior controllo.
Il grafico in Figura 19.9 mostra la risultante del trade-off tra grado di controllo
sull’iniziativa e grado di rischio.
Esaminiamo in breve vantaggi e svantaggi delle opzioni principali: esportazione
indiretta, vendita diretta, integrazione con il mercato.

Esportazione indiretta
L’impresa vende a intermediari (imprese import-export) che hanno la sede operativa
nel suo stesso mercato, i quali a loro volta vendono all’estero. Oppure vende diretta-
mente a intermediari esteri (importatore o trading company).
Vendendo attraverso intermediari si ottiene una serie di vantaggi:

• si possono sfruttare le conoscenze del mercato dell’intermediario e le relazioni


che questi ha allacciato con i clienti;
• non occorre dar vita a un’organizzazione di vendita;
• l’intermediario in genere paga quando entra in possesso della merce;
• alcuni intermediari sono particolarmente specializzati in certi campi.

Non mancano gli svantaggi, perché affidando ad altri la vendita, l’impresa:

• non ha un contatto diretto con l’utilizzatore finale;


• non ha alcun controllo su come l’intermediario vende il prodotto (prezzo, ser-
vizi);
486 Le strategie di business unit

Figura 19.9
Trade-off tra Alto
grado di
rischio e grado
di controllo Produzione in loco

Grado di rischio Joint venture

Franchising

Vendita diretta

Esportazione indiretta
Basso
Basso Alto
Grado di controllo

• produce senza sapere cosa vogliono i compratori, quali sono le loro esigenze e
attese. L’intermediario in genere vuole disporre di più prodotti di più fornitori per
diversificare il proprio sistema di relazioni. Parte di questi prodotti possono esse-
re in competizione tra loro ed egli/ella spingerà più sull’uno o sull’altro a secon-
da dei margini di utile.

Per l’impresa che vende all’estero è difficile fare una politica a medio-lungo termine
con queste incognite.
L’esportazione indiretta è un modo di vendere all’estero adatto in particolare per i
beni di consumo, per i mercati di piccole dimensioni, per le piccole imprese e per le
imprese che intendono verificare la capacità di penetrazione di un prodotto in un
nuovo mercato senza correre rischi.

Vendita diretta
Mentre nella forma precedente l’impresa lascia l’iniziativa ad altri, con la vendita
diretta entra in un mercato estero con l’obiettivo di allacciare direttamente i rapporti
con i clienti. Cerca di conoscere cosa vuole il mercato; è pronta ad adattare l’offerta
alle esigenze specifiche della domanda; risolve direttamente i problemi che possono
sorgere.
È una forma usata soprattutto per i beni strumentali (macchinari, attrezzature) e
per i beni di consumo nei mercati che in prospettiva hanno un elevato potenziale.

Quali prodotti? La politica migliore è pensare al mercato mondiale quando si pro-


spetta e si sviluppa un prodotto. Ciò è però raramente possibile. Nella maggior parte
Le strategie nei mercati mondiali 491

Figura 19.10
Due tipi di Alta
pressioni sulle
imprese: costi
e adattamento Impresa C

Pressione per abbassare i costi


Impresa A

Impresa B

Bassa
Bassa Alta
Pressione per adattare l’offerta al mercato locale

Si tratta di due pressioni alle quali le imprese che operano nei mercati mondiali non
possono sottrarsi. Per rispondere alla pressione sui costi l’impresa deve abbassare i
costi unitari, e ciò significa situare le produzioni dove i costi sono più bassi e offrire
prodotti il più possibile standardizzati al fine di realizzare economie di scala.
D’altra parte, però, rispondere alle esigenze dei singoli mercati significa adattare
le strategie di marketing e di produzione al fine di tener conto delle differenze (spes-
so notevoli) tra un mercato e l’altro, legate a tradizioni, preferenze dei compratori,
strutture della distribuzione e strutture della concorrenza. Questo tipo di risposta
comporta un aumento dei costi. Il grafico in Figura 19.10 esprime i diversi gradi di
difficoltà che un’impresa deve affrontare.
La maggior parte delle imprese che vendono nei mercati mondiali sono nella
posizione dell’impresa C dello schema, sottoposte a forti pressioni sia per ridurre i
costi sia per rispondere alle esigenze locali.
Entrando in competizione nei mercati globali è inevitabile affrontare concorrenti
che vendono con qualità paragonabili ma con costi più bassi. Per rispondere a questa
pressione, le imprese devono abbassare i costi introducendo tecnologie avanzate di
produzione di massa e cercando economie di scala e di scopo in ogni attività. Le
pressioni per abbassare i costi sono tanto più forti quanto minore è la differenziazio-
ne di prodotti e servizi. In tali condizioni il prezzo è l’arma principale (prodotti chi-
mici di base, acciaio, zucchero sono esempi di commodity per le quali la differenzia-
zione non basata sul prezzo è difficile).
La pressione è forte anche quando uno o più produttori hanno la base produttiva
in un paese con costi del lavoro o delle materie prime più bassi di quelli dei rivali,
quando esiste eccesso di capacità produttiva e quando i costi per passare da un pro-
dotto all’altro sono bassi.
492 Le strategie di business unit

Le pressioni per rispondere alle esigenze locali nascono da differenze nei gusti e
nelle preferenze dei consumatori; nelle infrastrutture e nelle tradizioni locali; nei
canali della distribuzione; nelle norme e nelle leggi degli stati ospitanti.

19.6 La scelta delle strategie competitive globali


A un certo punto dell’espansione nei mercati mondiali l’impresa deve coordinare e
orientare con una sola strategia le varie forme di presenza nei vari mercati. Ha di
fronte quattro opzioni, ciascuna con vantaggi e svantaggi (Bartlett e Ghoshal, 1989).
Tutte configurano in modo diverso due fattori: 1) la necessità di rispondere alle esi-
genze del mercato locale; 2) la necessità di integrare su scala globale le varie attività
e raggiungere il massimo di standardizzazione (Fig. 19.11).

Strategia internazionale
L’impresa mantiene dal centro il controllo sulle principali attività svolte nei mercati
mondiali. Trasferisce oltre confine prodotti e capacità (di marketing, di produzione)
che non sono presenti nei mercati in cui intende entrare. Si affida principalmente alle
esportazioni. L’adattamento alle esigenze della domanda locale è modesto. Se il
nuovo mercato ha dimensioni cospicue può trasferire le produzioni, anche in questo
caso con modesti adattamenti.
Una strategia internazionale è efficace se l’impresa ha un vantaggio competitivo
sui concorrenti locali e se la domanda non richiede adattamenti o costi più bassi. Se
la pressione per adattare i prodotti è forte la strategia è perdente.

Figura 19.11
Due tipi di Alta
pressioni per
rispondere alle
Pressione per integrare le varie attività

esigenze del Strategia


globale Strategia
mercato locale
transnazionale

Strategia Strategia
internazionale multinazionale

Bassa
Bassa
Pressione per rispondere alle esigenze del mercato locale

Potrebbero piacerti anche