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EXCELLENT BUSINESS PLAN

INTRODUZIONE

L’imprenditore possiede la visione imprenditoriale, guida la persona nelle azioni, ma con un orizzonte
strategico e non operativo. In un ambiente competitivo, per avere successo, bisogna avere un approccio
razionale di studio delle variabili interne ed esterne, per questo ha un peso rilevante l'attività di pianifica-
zione, intesa in modo strategico. Lo strumento con cui si attua tale pianificazione è il BUSINESS PLAN.

I.1 IL BUSINESS PLAN

Detto anche piano economico-finanziario è lo strumento base per il processo di pianificazione. Va a ri-
spondere alle seguenti domande:
1. Dove siamo: fotografia dello stato attuale dell'azienda o dell'idea imprenditoriale. Devo svolgere
una analisi approfondita dell'impresa (storia, caratteristica dell'offerta, posizione di mercato e ri-
sultati economici recenti). Se è un progetto: lo stato attuale di avanzamento, caratteristiche sa-
lienti del business
2. Dove vorremmo essere: direzione che il management vuole seguire per lo sviluppo. Questo
processo prende forma una volta analizzata la domanda "dove siamo"
3. Come ci si arriva: è lo studio della strategia e delle azioni necessarie per realizzare il piano di
impresa. È importante sia la decisione, ma anche la comunicazione a tutti i membri dell'organiz-
zazione.

Un business plan può efficacemente rispondere a questi tre quesiti attraverso sia una esplicita formula-
zione delle idee e degli obiettivi dell’imprenditore/manager (analisi interna) sia una corretta interpretazio-
ne del contesto (analisi esterna). Questo doppio fronte di indagine consente di determinare, in ultimo, il
grado di attrattività economica e fattibilità finanziaria dell’iniziativa.
Il business plan:
a. per un’azienda in fase di avvio è in grado di fornire una stima delle probabilità di successo e
del conseguente tasso di rischio dell’investimento;
b. per un’azienda già avviata costituisce uno strumento che traduce la visione imprenditoriale di
lungo periodo in una guida per la gestione corrente del business.

I.2. FUNZIONI DI UN PIANO

Va specificato che non esiste una concezione unanime di BP, ci sono dei requisiti minimi obbligatori per
quanto riguarda le informazioni e contenuti, ma la forma è legata alle finalità per cui viene redatto il busi-
ness plan. Generalmente viene redatto come studio base per l'avvio di una nuova impresa, tuttavia è
uno strumento efficace sia nella fase straordinaria (nascita o crescita dell'impresa) sia nella fase ordina-
ria. Le funzioni riguardano:
- Comprensione dell’ambiente circostante all’impresa: definisce il mercato, la concorrenza, le stra-
tegie, il posizionamento competitivo.
- Definizione della visione imprenditoriale e degli obiettivi perseguiti.
- Utilizzo del budgeting nella quantificazione degli obiettivi e dell’analisi degli scostamenti come
procedura di controllo dell’andamento dell’impresa.
- Accesso alle fonti di finanziamento.
- Definizione dell’assetto organizzativo aziendale coerente con gli obiettivi e chiarificazione dei
compiti e delle responsabilità dei personale coinvolto.
- Pianificazione delle strategie e determinazione del piano operativo in tutte le sue aree.
- Analisi della fattibilità finanziaria e dell’attrattività economica di un investimento, che si tratti di
ampliamento di un’attività esistente o di nascita di una nuova iniziativa.

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I.3. FASI DELLA PIANIFICAZIONE

Il business plan verifica inizialmente la bontà economica dell’idea imprenditoriale. Successivamente si


estende alla valutazione più completa del progetto, includendo anche l’analisi della sostenibilità finanzia-
ria, per passare infine alla definizione del piano operativo che guidi le decisioni correnti dell’imprenditore.
Le singole fasi sono:
c. Fase della fattibilità economica: ci si concentra su calcoli economici e vengono comparate nel
tempo le maggiori voci di costo e di ricavo per comprendere se il progetto è economicamente in-
teressante. In sostanza si redige uno studio di fattibilità che vada a determinare punti di forza e
debolezza;
d. Fase della fattibilità economico-finanziaria completa (piano economico-finanziario): i dati ot-
tenuti nella fase precedente consentono di valutare anche i maggiori flussi finanziari per dare
un’idea delle risorse indispensabili all’avvio dell’investimento. Si entra nella fase di determinazio-
ne della fattibilità finanziaria per capire se il progetto è anche finanziariamente sostenibile in rela-
zione alle fonti di credito su cui si pensa di fare affidamento. Anche questa fase richiede un livello
di approfondimento dei calcoli sino alla determinazione delle principali voci di entrata e di uscita.
Una volta pervenuti a un esito positivo si passa ad un’analisi, non limitata ai calcoli, che si esten-
de allo studio del mercato e della concorrenza. Lo studio realizzato assume le vesti di piano eco-
nomico-finanziario; si forniscono informazioni che giustifichino la raccolta di capitali.
e. Fase operativa: avvio dell’azienda (piano operativo): è indispensabile assicurare al progetto le
risorse necessarie per il suo avvio. Ora il business plan possiede tutte le informazioni necessarie
agli eventuali investitori interessati al progetto e, con la nascita dell’impresa, si trasforma gra-
dualmente da strumento di avvio a strumento di guida operativa. Al piano viene affiancata
l’analisi degli scostamenti, e tramite il continuo flusso informativo derivante da procedure di con-
trollo gestionale, l’impresa segue da vicino il mercato e l’evoluzione dell’ambiente esterno. Il bu-
siness plan deve essere periodicamente aggiornato.

I.4. APPROCCIO ALLA PIANIFICAZIONE

Pianificazione: nata come percorso mediante il quale veniva sviluppata una idea attraverso:
• Analisi approfondita dell'ambiente
• Individuazione bisogni della clientela
• Definizione delle risorse necessarie
• Costruzione di scenari economici
Tutti questi passaggi non sono cambiati, ma è cambiato l'approccio in termini di orizzonte temporale e
metodologia di validazione dell'investimento. In questo modo il management ha la possibilità di ridurre al
minimo gli errori iniziali.

I.4.1 Splendido isolamento


Bisogna cercare il più possibile di avere un occhio critico che sia esterno e rimanere distaccati, l'innamo-
ramento al progetto è uno dei punti di forza dell'imprenditore, ma può portare a sottostimare delle critici-
tà.

I.4.2 Avvio ritardato


Analizzare tutti gli aspetti del progetti può essere un processo lungo e in un mercato che cambia molto
velocemente questo può essere un rischio, le ipotesi si parte a non sono più realistiche e ciò può minare
il successo del progetto, oltre ad aver sprecato tempo e risorse. Dalle esperienze delle startup è nato
l'approccio lean, il quale consente di declinare una offerta in modo incrementale e con un rapporto diret-
to con la clientela target. In sostanza non creo immediatamente il prodotto finito, ma una serie di prototipi
che faccio testare ai clienti target in modo da ricevere immediatamente un feedback e riuscire così ad
apportare modifiche all'offerta prima che sia troppo tardi.

Questo approccio ha due pregi:


• Riduce la possibilità di insuccesso
• Riduce le risorse investite in modo errato
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Ci sono 3 metodologie:
- Confronto delle idee: il confronto con i clienti target avviene già dalla definizione dell'idea e si pone
come obiettivo anche la minimizzazione degli investimenti, che si cerca tramite:
1. Impiego delle risorse disponibili
2. Richieste di supporto di conoscenti o di professionisti
- Il prototipo: spesso è difficile far capire il prodotto senza averne realizzato il prototipo. Ha come van-
taggio il materializzare le idee e di poter fornire un riscontro già al primo test
- Test di mercato: è quello che si avvicina di più a all'approccio tradizionale. Creo il prodotto in serie e
lo faccio testare ad una clientela selezionata in funzione anche dell'area geografica. In questo caso
non ho prodotto dei prototipi, ma commercializzo dei prodotto finiti pronti ad una produzione in scala
se si ha un riscontro positivo Insieme alla definizione dell'offerta (che include anche l'analisi dei clienti
target) e l'analisi della convenienza (espressa con il valore generato per l'utenza), chi si occupa di
pianificazione deve concentrarsi anche sui seguenti temi:
- Analisi concorrenti
- Valutazione della produzione e struttura distributiva
- Definizione del team
- Componenti principali del piano di marketing
- Redazione di conti economici prospettici per il calcolo del fabbisogno finanziario.

Ci sono nuove metodologie di indagine che tramite lavagne permettono di indicare le variabili da analiz-
zare per verificare la validità del progetto. Metodi validi per valutare la bontà del business, ma non con-
sentono una analisi approfondita degli elementi base.
La differenza maggiore tra studio di fattibilità e BP è proprio nella metodologia di analisi.
1. Studio di fattibilità: metodo di analisi più simile al pre business plan
2. Modello di business: studio che fa emergere le potenzialità commerciali sulla base dei punti di forza,
di debolezza e disponibilità delle risorse. Consente una analisi veloce, ma non mette in risalto le in-
terconnessioni tra le tematiche di un piano eco-fin.
3. Business planning: l'analisi della concorrenza viene prima della definizione della strategia aziendale
e quindi influisce tutto il processo decisionale.

Il metodo lean fornisce suggerimenti interessanti che rendono più efficace la pianificazione e riducendo
così gli errori. Spunti:
- Meglio anticipare la pianificazione estensiva con una analisi preliminare del business, mi concentro
sulle macro aree in modo da sapere immediatamente la fattibilità dell'iniziativa
- Devo comprendere le finalità e le aree che devo effettivamente approfondire, in questo modo concen-
tro gli sforzi sulle aree più cariche dell'analisi, cioè quelle determinanti alla valutazione del rigetto.
- Devo avere un approccio aperto nello studio di implementazione dell'offerta. Cioè modificare il proprio
prodotto sula base die feedback ricevuti da clienti, rete di vendita, manager o esperti del settore. In
questo modo possiamo i vedere l'utilità dell'approccio lean e di come questo permette di ridurre il ri-
schio imprenditoriale grazie ad un processo di sviluppo dell'offerta modulare.

I.5. SEZIONI DI UN PIANO

L’analisi di pianificazione si svolge in due macro-fasi, una di carattere più qualitativa e la seconda più
quantitativa, che corrispondono alle due sezioni di un business plan.
1. Parte descrittiva, relativa alla valutazione del business, di studio del contesto di mercato e di settore e
di definizione della strategia aziendale.
2. Parte economico-finanziaria, inerente la stesura delle assunzioni alla base dei calcoli e alla redazione
degli schemi economico-finanziari volti a fornire le stime di redditività e sostenibilità finanziaria
dell’investimento.
In realtà non si tratta quasi mai di un percorso lineare bensì vi sono continui rimandi alle varie sezioni e il
cambiamento di alcune considerazioni strategiche implica la rivisitazione del piano.

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I.6. STRUTTURA IN IPOTESI DI ANALISI COMPLESSA

Nell’ambito del percorso descritto nel paragrafo precedente è possibile riscontrare situazioni in cui le ca-
ratteristiche dell’analisi o le peculiarità dell’oggetto di indagine rendono difficilmente percorribile una simi-
le soluzione se non attraverso qualche adattamento. Si tratta soprattutto dei casi dove vi sono:
f. più entità economiche (ipotesi classica nel caso di un gruppo di società collegate);
g. opzioni di crescita differenti in termini di unità di investimento.

Il primo caso ricorre ove l’oggetto di analisi è costituito da più entità economiche. La decisione di come
strutturare il piano dipende anche da fattori quali le finalità di indagine o di presentazione, che possono
indurre a creare un documento master e singoli documenti “appendice” o documenti autonomi.
Nel secondo caso l’impresa ha delle alternative legate a format (è un oggetto d’investimento) diversi,
ciascuno con conti economici e flussi finanziari differenti. La performance attesa di ciascun “format” si
distingue da quella delle altre opzioni, e può accadere che la società non abbia definito con esattezza
come bilanciare i propri investimenti tra i vari format. In questa ipotesi è conveniente realizzare docu-
menti separati in cui si inseriscono le proiezioni economico-finanziarie di ciascun format e successiva-
mente collegare i risultati con quelli della “casa madre” per determinare la posizione finanziaria comples-
siva e pervenire ad un conto economico aggregato.

I.7. A CHI SI RIVOLGE: LA DOPPIA FUNZIONE DEL BUSINESS PLAN

BP ha un compito sia informativo che di guida nei processi decisionali.


In una Iniziativa in fase di avvio serve per:
• Stimare la probabilità di successo
• Calcolo del tasso di rischio dell'investimento
In una attività già avviata è uno strumento che traduce la visione imprenditoriale di lungo periodo in una
guida per la gestione corrente.

Definire piano economico: tramite analisi di mercato, di posizionamento competitivo, di definizione della
strategia e dei piani operativi permette di rispondere in modo adeguato ai cambiamenti esterni e di avere
una gestione efficiente e razionale. Per questo è importante che ci sia un costante aggiornamento. Per
essere completa la educazione di un piano deve coinvolgere il personale dell'azienda nel processo di
definizione dei piani operativi, è sintomo di apertura al confronto. Questo comportamento è fondamenta-
le per la creazione di consenso sociale.
Funzione interna del BP: strumenti di guida e controllo
Funzione esterna del BP: coinvolgimento degli operatori economici esterni all'impresa in merito alla cre-
dibilità del business aziendale.

I.8. TIPOLOGIE DI BUSINESS PLAN

Se viene utilizzato per l'analisi interna è importante che venga aggiornato in maniera costante e precisa,
consente inoltre di riuscire a presentare un piano in maniera tempestiva ad attori esterni senza dover
perdere a strutturarlo nuovamente per adattarlo alla situazione corrente, tutto ciò con una rida aprimi di
tempo e risorse. È sconsigliato interpretare il BP come strumento da costruire ad hoc solo per eventi
straordinari, ma come strumento strategico per la gestione corrente dell'impresa.

I.9. DOCUMENTI INTERMEDI

È buona regola predisporre documentazioni intermedie, rispondono alla doppia esigenza:


• Riservatezza: uno studio completo contiene dei dati sensibili, può essere controproducente fornire in-
formazioni riservate ad un primo incontro. Meglio avere dei documenti con un basso gradi di confidenzia-
lità.

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• Facilità di lettura: sviluppa l'interesse e permette a si approccia per la prima volta di farsi un quadro ge-
nerale
I due documenti sono:
h. L’Executive Summary è il documento di maggior sintesi (2-3 pagine) usato da chi deve valutare
l’investimento e contribuisce a dare da subito un’impressione positiva o negativa al lettore.
L’operazione di sintesi è complessa vista l’importanza dei temi che devono essere introdotti: le ca-
ratteristiche del progetto (l’idea, l’offerta, le aree di business), i suoi ambiti (il contesto di mercato e
di settore), la strategia perseguita (contenuti e posizionamento) e i principali risultati economico-
finanziari attesi;
i. L’ Investment Memorandum è di maggiore estensione (20 pagine) e ha gli stessi contenuti
dell’Executive Summary, esposti in modo più approfondito. Tuttavia, i dati economico-finanziari ven-
gono presentati in modo sintetico e si limitano ad alcuni indicatori di redditività e sostenibilità finan-
ziaria.

Una dibattuta prassi è quella di allegare all’Investment Memorandum e al business plan un documento
che vincoli il lettore a non diffondere il contenuto del piano presentato (non disclosure agreement). Nei
casi di piani presentati ad una controparte interessata alla negoziazione di una società, sottoporre un
disclosure agreement potrebbe essere consigliabile. Viceversa, nei casi di invio di un progetto di start-up
a società di venture capital usare la stessa prassi potrebbe rivelarsi controproducente.

I.10. ALCUNE REGOLE PER LA REDAZIONE DEL PIANO

I punti seguenti forniscono dei suggerimenti da tener presenti prima di iniziare l’elaborazione del piano.

I.10.1. Tecnica di redazione


Una delle parti più difficili è quella iniziale, ossia quella di impostazione dell’intera struttura e di indagine
del mercato. Bisogna redigere una bozza di indice e scrivere i titoli delle sezioni. Passare quindi alla re-
dazione del business plan, avendo cura di posizionare in ciascuna sezione di pertinenza i dati rilevanti,
per poi procedere a un progressivo approfondimento delle varie tematiche.

I.10.2. Formato del testo


Qualora il piano sia destinato a essere divulgato a livello internazionale, bisogna impostare il formato A4
(standard europeo) o la Lettera americana (standard americano).

I.10.3. Forma esteriore ed esposizione dei contenuti


1. Se deve essere esposto all'esterno deve presentarsi in modo professionale (carta di qualità, co-
pertina e rilegatura curate, impaginazione corretta ecc), permette al l'interlocutore di farsi una
buona idea del progetto son da subito
2. Se è strutturato per esposizione interna deve essere facilmente leggibile e interpretabile
3. Molto apprezzata è l'esposizione dei concetti in modo conciso, non bisogna soffermarsi oltre su
parti già spiegate in precedenza, tutto ciò permette una lettura veloce, poco noiosa e agevola l'in-
terlocutore ad arrivare alle sezioni principali con interesse
4. Se il documento è voluminoso è opportuno creare uno schema riassuntivo nella pagina introdut-
tiva
5. Allegare biglietti da visita delle persone con cui si deve prendere contatto nell'ultima pagina
6. Comprensione terminologica importante nei casi di piani con descrizioni tecniche e finanziarie
complesse. Spiegare la terminologia con note a piè di pagina
7. Livelli dei titoli non superiori a 3 (capitolo, paragrafo, sottoparagrafo), può essere accentuata uti-
lizzando caratteri con dimensioni diverse.

I.10.4. Grafici
Sono la naturale integrazione dei prospetti di calcolo ed il loro impiego è molto utile per trasformare
complicate tabelle in immagini facilmente interpretabili al primo sguardo. Non bisogna eccedere nel loro
uso, trascurando così un’esposizione descrittiva degli argomenti trattati: in definitiva, è utile trovare una
giusta combinazione di tutti questi elementi.

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I.10.5. Riferimenti di pagina
E’ importante la numerazione progressiva ed è utile che ogni pagina abbia nell’intestazione un riferimen-
to al titolo del piano.

I.10.6. Allegati
Il più delle volte sono parte essenziale del lavoro. Il lettore può infatti trovare in essi dei documenti che
giustificano, chiariscono o confermano i risultati esposti nel piano. Qualora gli allegati vengano inseriti
nella parte finale del business plan, il loro peso rispetto al testo principale non deve essere eccessivo e,
quindi, sarebbe meglio destinarli a un secondo fascicolo che accompagni il piano economico-finanziario
altri documenti, come i curricula del management e del personale tecnico o come i documenti legali (sta-
tuto speciale) è utile invece unirli al medesimo testo del business plan. Può essere utile accompagnare il
piano a prototipi del prodotto.

I.10.7. Assunti di partenza


Se non sono realistiche e credibili, il piano non ha alcuna validità, in quanto può generare
nell’imprenditore pericoloso entusiasmo o ingiustificato pessimismo per un progetto che ha un valore dif-
ferente da quanto sia in realtà emerso. Bisogna analizzare:
1. Mercato
2. Concorrenza
3. Calcolo dei flussi prospettici
Bisogna avere anche la massima prudenza nella costruzione degli scenari e delle proiezioni per non
creare false aspettative.

I.10.8. Redazione
E’ importante che l’imprenditore o il manager segua personalmente lo sviluppo del business plan in tutte
le sue fasi. Infatti, è la persona che conduce l’impresa o il progetto che deve riepilogare le conclusioni
dei singoli studi per inserirli nel piano generale.

I.10.9. Contenuto
I concetti attorno ai quali si costruisce una valida anali di impresa sono:
j. Fiducia: quando assume le vesti di documento rivolto all’esterno, il business plan deve fornire
una situazione veritiera e completa dell’azienda. L’obiettivo è quello di costruire nel tempo rap-
porti di fiducia e collaborazione con i vari interlocutori esterni all’impresa.
k. Accuratezza: occorre verificare ogni punto dell’analisi, omettendo informazioni troppo generiche,
o, in caso di loro utilizzo, invitare a debite precauzioni nell’interpretazione dei risultati emersi. In
questi casi, infatti, chi legge può rimanere sconcertato dall’inconsapevolezza sull’attendibilità del-
le stime da parte di chi ha effettuato l’analisi.
l. Visione d’insieme: evitare di eccedere in approfondimenti in alcune parte a scapito di altre sezio-
ni. L’analisi del particolare non deve quindi mai far perdere il quadro complessivo dell’indagine e
la preziosa interdipendenza di tutte le sue componenti.
m. Priorità di lettura: a seconda delle finalità perseguite e dalla natura dell’attività esercitata alcune
sezioni del piano rivestono un’importanza maggiore di altre. Tuttavia bisogna essere istruiti an-
che su quali di queste aree si concentrerà in prima istanza l’attenzione del lettore, ossia la priorità
del lettura. Tale informazione è utile al fine di determinare la corretta sequenza del contenuto
dell’Executive summary e dell’Investment Memorandum.

I.11. COSA CAMBIA CON LO SVILUPPO DELLA COMPETIZIONE DIGITALE

La struttura e l'attività di BP non è differente per le imprese che operano su internet. Bisogna fare le se-
guenti valutazioni:
• Ci sono nuovi modi di fare imprese e nuove sfide competitive. Necessario che l'imprenditore conosca le
differenze tra canale internet e canale tradizionale

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• La struttura del BP rimane uguale, ma ci possono essere delle aree con importanza differente per i
mercati su internet. Mi devo concentrare meno sulla localizzazione produttiva, mentre il marketing risulta
ovviamente più importante.

P 1 – IL BUSINESS PLAN

Dopo una parte introduttiva, arriviamo ai contenuti del business plan che, per sua natura, è il documento
che si caratterizza per l’ampiezza delle materie trattate. I contenuti saranno esposti nelle due sezioni del
piano, quella descrittiva e quella economico-finanziaria.
- La parte descrittiva: è finalizzata a descrivere con precisione l’investimento e il suo contesto, attra-
verso i seguenti contenuti:
n. introduzione al progetto e alla sua offerta;
o. analisi dei competitor e del bacino di clientela;
p. definizione del piano strategico e del posizionamento dell’iniziativa;
q. stesura del piano operativo (organizzazione, produzione, logistica, marketing);
r. individuazione delle risorse di finanziamento.
- La parte economico-finanziaria: si approfondiscono gli aspetti economico-finanziari con la reda-
zione dei prospetti previsionali dell’investimento.

P1.1. Prima pagina


La prima pagina rappresenta la copertina del documento realizzato, deve essere molto chiara ed essen-
ziale e può dare subito un’impressione (almeno estetica) positiva all’interlocutore che lo esamina.

P1.2. Introduzione al piano


In questa introduzione il redattore del piano presenta la finalità del lavoro svolto. Se il piano è finalizzato
alla raccolta di capitali per un progetto, l’obiettivo sarà quello di illustrare la sostenibilità economica e fi-
nanziaria dell’investimento oggetto di studio, al fine di attrarre l’interesse di eventuali finanziatori.

P1.3. Definizione dell’obiettivo


In un progetto di pianificazione è utile partire con il messaggio che definisce la mission dell’iniziativa sul
mercato, la quale si intrinseca nell’idea del progetto imprenditoriale che si vuole realizzare. Il mission
statement deve contenere i benefici dell’offerta, il target di clientela e il pricing; questi elementi aiutano la
comprensione delle caratteristiche e della natura del progetto imprenditoriale.

P1.4. Riferimenti
E’ buona norma trascrivere tutti i riferimenti (nome, cognome, posizione, indirizzo, telefono, ecc.) di chi
ha redatto il piano o di ne sarà il referente. Tali informazioni possono essere posizionate o in questa se-
zione (prima o dopo l’introduzione) o nelle ultime pagine del documento. L’importante è che siano facil-
mente visibili.

CAPITOLO 1: DESCRIZIONE DEL BUSINESS E DEL CONTESTO

Questo capitolo ha l’obiettivo di scoprire le fasi di un processo di apprendimento cognitivo dell’ambiente


esterno in cui l’azienda opera. Quest’indagine rappresenta l’inizio dell’attività di pianificazione, che af-
fronta questi punti:
a. descrizione dell’attività e della storia dell’azienda;
b. presentazione dei prodotti/servizi;
c. identificazione e segmentazione del mercato target;
d. scomposizione del business dell’azienda in omogenee aree di affari;
e. analisi del settore e dei competitor;
f. comprensione del trend di sviluppo del mercato o del settore.
Tutto ruota attorno al progetto d’impresa, sia se si tratti di un’azienda già avviata, sia se si tratti di una
start-up.

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La difficoltà maggiore risiede nella ricerca delle informazioni, in particolar modo quelle esterne
all’impresa. le principali fonti di reperimento dei dati sono le camere di commercio, le associazioni di ca-
tegoria, le banche dati di riviste o quotidiani economici. Sarà poi compito dell’imprenditore interpretare
questi dati secondo le proprie esigenze di analisi.

1.1. PRESENTAZIONE DEL PROGETTO O DELL’AZIENDA

Chi redige questa sezione del piano deve fornire un quadro esaustivo dei contenuti del progetto
d’impresa , dei suoi prodotti, del target di clientela e degli obiettivi di medio-lungo periodo perseguiti dai
promotori dell’investimento.
Qualora si tratti di un nuovo investimento o dell’avvio di una nuova attività, è sufficiente introdurre:
s. il quadro completo del progetto;
t. il profilo dei suoi promotori;
u. gli stadi di sviluppo dell’iniziativa in corso;
v. le fasi che sono state completate, da completare o ancora da avviare.
Qualora invece l’impresa sia una realtà già presente sul mercato occorre partire dalla sua storia e da
come si è sviluppata, citando alcuni degli eventi più significativi (cambio di assetto societario, acquisizio-
ni, ecc.). Dovrà inoltre essere esplicitata l’attuale situazione economica e finanziaria e le prospettive di
sviluppo, al fine di fornire un quadro completo dell’azienda.

1.2. ANALISI DEL PRODOTTO/MERCATO

In questa sezione si entra in una descrizione analitica dell’offerta dell’impresa. Il compito di chi redige il
piano sarà quello di presentare, in modo organizzato, i prodotti/servizi offerti (seguendo una divisione
per aree di business, per linee di articoli o per canali serviti).
Affrontare l’analisi dei prodotti dell’impresa in rapporto al mercato a cui si riferiscono è un passaggio cru-
ciale nella definizione della strategia e del posizionamento dell’impresa. Infatti la combinazione della di-
mensione dell’offerta con quella della domanda consente all’imprenditore di raggiungere un duplice sco-
po:
 Pervenire ad una reale comprensione dei prodotti/servizi, seguendo il concetto che ciò che si vende è
la risposta a un bisogno;
 Abituare l’impresa a pensare in termini di combinazioni di prodotto/mercato e introdurla alla dimensione
strategica della pianificazione.

1.2.1. Prodotto/servizio
Devo esporre la mia offerta attraverso le funzioni che assolvono nei confronti del mercato, abbandonan-
do la elencazione fisica. È importante rilevare le caratteristiche sulla base delle qualità percepite dal
consumatore non attraverso le loro caratteristiche fisiche. Bisogna spostare l'attenzione da cosa offre il
prodotto a quale bisogno soddisfa, permette di individuare lo specifico target a cui è rivolto.

1.2.2. Mercato e segmentazione della domanda


La validità di un progetto, in termini di potenzialità e prospettive, può essere compresa solo dopo
un’attenta analisi del mercato di riferimento. All’interno di un mercato, l’impresa si rivolge ad un gruppo di
potenziali consumatori che possiedono le stesse caratteristiche, definito mercato di riferimento o target
market. A questo obiettivo si perviene attraverso il processo di segmentazione della domanda (basata
sull’utilizzo di tecniche di valutazione delle caratteristiche del mercato di riferimento) dividendo le tecni-
che di segmentazione tra mercati dei beni di consumo e mercati dei beni industriali:

 Mercati dei beni di consumo


a) Segmentazione socio-demografica: utilizza variabili sociali e demografiche per cercare di iden-
tificare comportamenti comuni nell’acquisizione dei beni. Il sesso, l’età e il reddito sono fattori ri-
levanti nelle attitudini di consumo.
b) Segmentazione psico-grafica: classifica i consumatori sulla base dei valori, delle attività, degli inte-
ressi, delle opinioni e degli stili di vita. Questa tecnica parte dalla constatazione che gruppi di consu-

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matori omogenei dal punto di vista socio-economico possano in realtà manifestare comportamenti di
acquisto e consumo differenti.
c) Segmentazione sulla base dei vantaggi perseguiti dal prodotto da parte del consumatore: il
mercato dei clienti potenziali viene segmentato seguendo questo percorso metodologico:
- si stima l’elenco dei vantaggi associati alla categoria di prodotti in esame (lista degli attributi);
- si effettua una valutazione dell’importanza relativa assegnata dagli acquirenti a ogni attributo;
- si raggruppano i clienti in funzione delle priorità manifestate ai vari attributi;
- viene espressa una sintesi del profilo dei diversi gruppi omogenei nei bisogni di acquisto e stimata la
dimensione di ogni segmento.
d) Segmentazione comportamentale: si basa sul comportamento di acquisto manifestato dai diversi
gruppi di consumatori. Variabili di classificazione:
a. tipologia di utilizzatore: suddivisione degli acquirenti in utilizzatori al primo acquisto, utilizzatori occa-
sionali o regolari e utilizzatori potenziali;
b. tasso di utilizzo del prodotto: si considera che a un utilizzo frequente, rispetto a quello sporadico, è
associato un bisogno differente;
c. fedeltà del cliente: si stima il grado di lealtà del consumatore ad un determinato prodotto;
d. sensibilità agli elementi di marketing: si suddividono i gruppi di acquisto sulla base della loro attesa
reazione di consumo all’impiego delle leve di marketing-mix.

 Mercati dei beni industriali


a) Segmentazione demografica: nel caso delle imprese, tale segmentazione fa riferimento al tipo di at-
tività, alla dimensione, alla composizione societaria o alla localizzazione geografica.
b) Segmentazione sulla base dei vantaggi perseguiti: questo tipo d’indagine è spesso unita a quella
demografica: infatti, uno stesso bene può avere valenze di utilizzo differenti da industria a industria, e
l’analisi congiunta consente di segmentare i prodotti combinando gli attributi ricercati con funzione e
caratteristiche del loro utilizzo.
c) Segmentazione comportamentale: la variabile comportamentale fa riferimento ai seguenti elementi:
- struttura decisionale delle aziende target;
- caratteristiche della fornitura, in termini di frequenza d’acquisto, dimensione dell’ordine, urgenza
di consegna;
- caratteristiche personali dell’acquirente, che definisce il rapporto acquirente-venditore.
Nell’analizzare il mercato dei beni industriali, le imprese possono decidere di utilizzare la seg-
mentazione sulla base del rischio commerciale, mediante la quale vengono ponderate le poten-
zialità di sviluppo commerciale nei vari segmenti individuati con il grado di rischio associato a
queste scelte. Le variabili prese in considerazione sono il grado di affidabilità creditizia, le prati-
che di pagamento e la dimensione del conto.

A livello metodologico ci sono passi da compiere per un’efficace segmentazione della clientela dei beni
di consumo:
• Individuare il mercato nelle sue linee essenziali: analizzare la linea di prodotti offerti e individuare le ca-
ratteristiche demografiche del mercato
• Analisi delle variabili psico-grafiche: distinguo quindi i consumatori sulla base di parametri come età,
tenero di vita ecc. Molto utile per le decisioni di aprire un'altra sede perché ci permette di selezionare l'a-
rea cono una elevata concentrazione della clientela target.
Nel caso della clientela dei beni industriali il processo è molto simile a quella dei beni di consumo: anche
in questa situazione l’individuazione del mercato di riferimento inizia generalmente con l’utilizzo di varia-
bili demografiche e geografiche mentre la segmentazione avviene in base alle variabili di categoria
esposte sopra.

La duplice considerazione del mercato di consumo e industriale impone una definizione dell’accezione di
consumatore rispetto a quella di cliente: il consumatore è chi usufruisce del prodotto, il cliente è chi ac-
quista il bene.

1.2.3. Aree di affari


L’azione competitiva dell’impresa viene scomposta e definita operativamente dalle singole azioni diret-
tamente riferite alle diverse unità di affari individuate. Questo approccio consente di affrontare le sfide
della concorrenza in un’ottica strategica, evitando di operare azioni generali verso target di consumatore
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che hanno in realtà esigenze e priorità differenti. Se l’azienda decidesse di operare in una determinata
nicchia, il segmento di mercato preso in esame dovrebbe rispondere a due requisiti:
1. significativo: la dimensione del segmento deve essere tale da giustificare economicamente l’attività
dell’azienda rivolta alla categoria di consumatori in esame;
2. accessibile: il segmento che si intende servire deve essere efficacemente raggiungibile dall’impresa.
I risultati che l’azienda ottiene gestendo le diverse aree di affari si riflettono sul grado di successo com-
petitivo dell’azienda nel suo complesso. Distinguere il posizionamento delle singole unità di affari prima
di pervenire al dato aggregato consente di monitorare le aree di business di maggior successo e di as-
sociare il risultato concorrenziale a quello reddituale.

1.3. ANALISI DEL SETTORE

Il settore è costituito da quel gruppo di imprese che svolgono la stessa attività economica in un certo
ambito geografico. I confini che identificano un settore sono determinati dalla classificazione economica
riportata dalle camere di commercio o dai registri delle imprese. L’analisi settoriale è utile sotto due punti
di vista.
In primo luogo, per dare la possibilità di comprendere pienamente il ruolo e il posizionamento
dell’impresa nel settore.
In secondo luogo, per cogliere le insidie o le opportunità di business legate ai cambiamenti del settore in
chiave prospettica.

1.3.1. Ciclo di vita


Al pari dei prodotti, anche i settori conoscono fasi di nascita, crescita, maturità e declino.
a) NASCITA: Vi sono poche aziende nel settore (pioneristiche) che si muovono in un’area caratterizzata
da una combinazione prodotto/mercato nuova. Il grado di novità può essere riferito al mercato, al pro-
dotto o ad entrambi.
1. Sviluppo offerta (prodotto nuovo/mercato esistente): in questa fase le risorse finanziarie sono consi-
derevoli, il mercato della domanda si apre alla nuova offerta e le aziende investono molto in R&S e
promozione. È una strategia di penetrazione del mercato, volta ad aumentare il presidio del mercato
in cui l’impresa opera. Il vantaggio risiede nella conoscenza del mercato e nell’introduzione in conso-
lidati canali distributivi.
2. Sviluppo mercato: gli investimenti sono destinati ad attività di promozione, consentendo alle aziende
di sviluppare in tempi brevi la propria offerta su nuovi segmenti di mercato.
3. Sviluppi business: (prodotto nuovo/mercato nuovo): l’impresa si muove nella più alta incertezza di ri-
sultato: la scarsa conoscenza della domanda è un elemento che aumenta il rischio dell’iniziativa.
b) SVILUPPO: Il mercato cresce e si allarga a un numero di consumatori sempre più ampio. Il peso
dell’investimento pubblicitario è elevato e diverse nuove aziende entrano nel settore. Crescono le
vendite, ma buona parte dei profitti viene assorbita dalle politiche di marketing in atto. L’investimento
in capitale circolante porta le aziende alla necessità di immettere nuovi capitali.
c) MATURITA’ Il mercato è stabile, la tecnologia è matura e consolidata e si può assistere a fenomeni di
concentrazione tra aziende. Gli utili sono considerevoli e le aziende iniziano a recuperare il capitale
investito.
d) DECLINO: Obsolescenza del prodotto offerto dovuta ad una nuova tecnologia, a prodotti sostituti
nuovi e al cambiamento del mercato di consumo. La competizione fa leva sulle economie di scala e la
capacità di mantenere bassi costi di produzione, in quanto la domanda è sensibile alla componente di
prezzo dell’offerta. Il mercato si contrae e tende a scomparire o a stabilizzarsi in una dimensione ri-
dotta.

1.3.2. Caratteristiche dell’offerta


Il ruolo della tecnologia, l’importanza dei canali distributivi, il grado d’integrazione verticale e il peso della
marca commerciale sono solo alcuni degli aspetti che devono essere studiati. L’imprenditore/manager,
sviluppando correttamente sia questa parte del business plan che quella relativa al mercato, perviene a
livelli di conoscenza dell’ambiente che diminuiscono il rischio dell’investimento. Le variabili da tenere in
considerazione per analizzare un settore in termini di posizionamento delle imprese che vi operano so-
no:
- la specializzazione, riferita all’ampiezza della gamma;
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- la marca commerciale: peso della marca nelle motivazioni d’acquisto;
- l’integrazione verticale: grado di integrazione produttiva delle aziende del settore;
- il livello di servizio: qualità e ampiezza dei servizi forniti alla clientela;
- la qualità del prodotto/servizio: qualità dell’offerta;
- i canali distributivi: canali utilizzati pe raggiungere il consumatore finale;
- la localizzazione: posizionamento delle unità produttive nell’area geografica che delimita il
settore;
- le fonti di approvvigionamento: la loro qualità, natura e localizzazione.

Definire il settore significa definire il comportamento delle imprese che vi operano in relazione alle sud-
dette variabili. È solo con la conoscenza delle caratteristiche degli operatori che si può:
 comprendere la natura del settore nel suo complesso;
 individuare l’esistenza di barriere all’entrata  fattori che impediscono o rendono difficoltoso
l’ingresso di nuove iniziative. Esempi: le risorse per accedere al mercato sono ingenti, il know-
how è difficilmente riproducibile, le licenze necessarie per operare sono difficilmente ottenibili.

1.3.3. Competitori
Sono aziende che offrono prodotti/servizi atti a soddisfare gli stessi bisogni del consumatore. Tali prodot-
ti possono dunque essere del tutto diversi. Inoltre, prodotti di aziende differenti non soddisfano sempre
identici bisogni. Questo significa che il mercato di riferimento può essere lievemente diverso. E tale gra-
do di diversità determinata la distinzione tra concorrenti diretti e indiretti.
I concorrenti diretti offrono prodotti che soddisfano bisogni identici o molto simili e la somiglianza può
essere misurata dal loro grado di sostituzione. I concorrenti diretti possono ulteriormente essere scom-
posti in primari e secondari (terziari, ecc.) e tale distinzione attiene al bacino di utenza in termini geogra-
fici. I concorrenti indiretti sono quelle aziende che si rivolgono, magari parzialmente, allo stesso merca-
to di riferimento, ma il cui grado di sostituzione dell’offerta non è elevato.

In termini operativi l’analisi dei concorrenti avviene attraverso le seguenti fasi:


A. si parte con l’analisi della domanda e ci si chiede d’individuare quali sono i bisogni che l’offerta soddi-
sfa e chi, sul mercato, è in grado di soddisfarla. In questo modo s’individuano le aziende concorrenti;
B. si traccia un profilo di ciascun concorrente, redigendo una scheda di descrizione del suo profilo, in
modo che sia agevole la comparazione trasversale delle attività e dell’offerta tra competitors;
C. si effettua, dove possibile, una sintesi dei tratti salienti dei concorrenti, attraverso la creazione di ta-
belle comparative e raggruppando i player sulla base di una loro classificazione.

1.3.4. Fornitori e canali distributivi


A livello di descrizione del business è molto importante cogliere la tipologia e la qualità dei rapporti con i
fornitori e con i distributori. Per esempio, occorre citare eventuali canali privilegiati che un concorrente
detiene con un fornitore molto importante, oppure contratti di esclusiva siglati da un’azienda del settore
con una particolare marca di distribuzione commerciale.
Oltre a una fotografia della situazione corrente, eventuali fattori innovativi che possono modificare lo
scenario in questo campo devono essere portati all’attenzione dei consumatori. Per esempio, il progres-
sivo ingresso sul mercato di una nuova materia prima destinata a soppiantare l’offerta tradizionale di un
altro materiale.

1.3.5. Trend e previsioni


Questa sezione del piano è dedicata all’esposizione di scenari di evoluzione del settore e/o del mercato.
Tale analisi non riguarda solo i dati del contesto marco-economico, ma anche la situazione evolutiva del-
la domanda di quel bacino di clienti che rappresenta il target dell’azione imprenditoriale. L’imprenditore
deve cercare di leggere, anticipando, i cambiamenti che sono in atto a fronte di numerosi fattori interni o
esterni al mercato, quali l’introduzione di nuove leggi, l’evoluzione demografica ed etnica della popola-
zione, il cambiamento nelle abitudini di consumo, ecc.
Anche se nella maggior parte dei casi è la domanda a generare un cambiamento e l’offerta si adegua a
tali mutamenti, anche l’offerta potrebbe essere fonte di dinamiche evolutive del mercato. È spesso il ca-
so dell’effetto delle tecnologie, che sono in grado di creare nuovi mercati e modificare le abitudini di con-
sumo.

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Questa analisi consente una maggior comprensione dei meccanismi che regolano il comportamento del-
le aziende, e conduce così a una migliore capacità previsionale dell’evoluzione delle strategie competiti-
ve sia di contesto che specifiche dei concorrenti diretti dell’azienda.

APPROF.: INGREDIENTI PER IL SUCCESSO DI UN PROGETTO DI IMPRESA: Tre Fattori:


1. OPPORTUNITÀ: devo individuare un prodotto o servizio richiesto dalla domanda. Valutazione in base ai seguenti para-
metri: • Domanda: fatturato potenziale, quote di prodotto assorbito • Ampiezza e struttura di mercato • Margini economici e
performance finanziaria
2. RISORSE: devo determinare l'esatta necessita di risorse critiche per il successo (monetarie, materiali o immateriali). È
una operazione complicata perché devo conoscere le leve che permetteranno all'impresa di distinguersi
3. TEAM: il successo è dato anche dalle persone e quindi le loro capacità, il loro coinvolgimento, la motivazione sono aspet-
ti che gli investitori valutano attentamente
4. CONTESTO: se i primi tre sono parametri dipendenti dal management, il contesto non lo è. Sono tutti quegli accadimenti
che possono far cambiare la domanda, modificare lo scenario e costringerci a cambiare il piano Identificazione e valutazione
delle opportunità di business Tra i fattori elencati quello a cui gli imprenditori sono più interessati è l'identificazione delle
opportunità. Tale processo creativo può nascere in due modi: • Osservazione del contesto: rispondo alla domanda "cosa
manca" e trovo una soluzione ad un bisogno. • Leva di risorse: risponde al quesito "cosa posso fare per far fruttare le mie
risorse". Le risorse disponibili possono essere svariate: capacità personali, asset materiali o immateriali ecc. Solo dopo l'ana-
lisi delle risorse disponibili si passa ad analizzare il contesto che possa permettermi di metterle a frutto.

APPROF.: I CLIENTI COME FONTE DI INNOVAZIONE È importante coinvolgere clienti e attori esterni nel processo
di pianificazione e sviluppo dell'offerta. Bisogna attuare questo approccio con le seguenti cautele:
•Filtrare le richieste e giudizi dell'utenza: spesso i consumatori non hanno una idea ben precisa, quindi le info raccolto devo-
no essere correttamente analizzate e filtrate
•Valutare la rappresentatività del campione preso in analisi: i primi utilizzatori possono essere dei pionieri che influenzano la
massa, ma anche rivelarsi delle nicchie con esigenze diverse
•Ponderare i benefici delle personalizzazioni proposte
•Comprendere il grado di innovazione ricercata: spesso il suggerimento riguarda qualcosa che viene svolto da un prodotto
già presente sul mercato e non qualcosa di completamente nuovo

APPROF.: SEGMENTAZIONE DEI CLIENTI SULLA RETE Suddivido i clienti sulla base degli stessi pararti che sono
stati elencati prima, mantenendo le differenze tra beni di consumo e beni industriali. Si dovranno cambiare i pesi relativi as-
sociati alle variabili, ma il rodessi sedi segmentazione non cambia per i seguenti motivi:
•Il consumatore su internet ha le stesse caratteristiche di quello fisico
•Si deve sempre procedere alla distinzione anche geografica, perché le caratteristiche cambiano anche se internet ha permes-
so di superare molti confini Il consumo su internet ha come conseguenza anche la perdita di implicazioni socio-
comportamentali, infatti le qualità sensoriali del prodotto su internet vengono perse.

APPROF.: IL CONCETTO DI AREA DI AFFARI Le aziende strutturano la loro strategia non solo in base all'attività di
produzione, ma anche contento il marketing. Le campagne di marketing spesso non tengono in considerazione le attitudini di
acquisto del bacino di utenza, un esame poco approfondito di tale bacino può non massimizzare l'efficacia commerciale
dell'offerta. Caso della creazione di pacchetti di prodotto/servizio. Deve avere alla sua base: •Attenta analisi della clientela
target e dei suoi bisogni •Sistema che vada a rispondere in maniera adeguata ai bisogni e non per arrivare ad un mero allar-
gamento della gamma Devo scomporre l'azienda in aree di offerta sulla base della natura dei prodotti offerti e/o dei canali di
vendita. Devo ragionare in base di omogeneità della domanda e non in base alla natura del prodotto. In questo modo è possi-
bile creare strategie di mercato efficaci per un medesimo gruppo di consumatori accumunati dalla stessa domanda. A questo
punto ho aree strategiche di affari composte da offerte differenti, ma i cui prodotti seppur diversi sono dedicati allo stesso tar-
get. Per le imprese la divisione in strutture organizzative divisionali per prodotti non è sempre corretta. Non vuol dire che in
fase di studio della fase operativa non serva, ma che a livello commerciale è più utile ragionare in funzione della domanda.

APPROF.: L'EVOLUZIONE DEL CONTESTO COMPETITIVO SULLA RETE Attività promosse dalla rete hanno una
veloce trasformazione del contesto competitivo, ma che non stravolgono l'analisi di vita del settore. Chi lancia prodotti su
internet deve stare attento alle previsioni di vendita perché le evoluzioni possono essere rapite e molto pericolose. Bisogna
avere attività basate su rapida evoluzione e un efficiente studio delle dinamiche del settore.
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APPROF.: COMPETIZIONE INTER-CHANNEL E INTRA-CHANNEL La matrice descritta sopra permette di indivi-
duare la distinzione tra i diversi canali: •Intra-channel: riguarda la competizione tra società che si basano solamente sulla re-
te o solo su attività tradizionali •Inter-channel: due categorie di imprese che operano sul medesimo mercato Definiamo le
componenti della matrice: • Internet company: concorrenza diretta delle imprese tradizionali (in particolare nel quadrante 2)
• Società tradizionali: - Quadrante 3: non saranno minacciate dalle internet company - Quadrante 4: attenzione all'impiego
delle nove tecnologie, anche se non ci dovrebbe essere grande concorrenza da parte del internet company - Quadrante 1 e 2:
obbligo di concentrare almeno alcune operazioni online per contrastare la concorrenza

APPROF.: L'AVVENTO DELL'ERA DIGITALE E L'EVOLUZIONE DEI CONFINI SETTORIALI Internet può inci-
dere molto sulle risorse competitive dell'impresa e quindi anche sui confini settoriali. Importante analizzare la pervasività cioè
il grado di sostituzione tra operazioni svolte offline con quelle che possono essere svolte online. La rete ha impatti su aree im-
portanti come: acquisti, logistica, produzione, marketing e vendite. Nel BP devo valutare come l'obsolescenza di alcune opera-
zioni offline nei confronti di quelle online può cambiare l'ambiente competitivo. Devo valutare la pervasività oltre che i van-
taggi che può portare nella sostituzione delle operazioni offline interne
Alla pervasività devo affiancare una seconda variabile: la valenza commerciale (= minore o maggiore attitudine della rete a
soddisfare la domanda sulla base della natura dell'offerta e delle attitudini di acquisto). Posso quindi costruire una matrice che
mi permetta di ottenere 4 combinazioni: •Quadrante 1: internet è un ottimo canale di vendita e l'alta pervasività dimostra un
grande potenziale delle nuove tecnologie. Contesto molto adatte ad aziende con attività immateriali (internet company pure)
•Quadrante 2: scarsa opportunità di sostituire i processi aziendali offline con quelli online a fronte di una buona propensione
alla rete dal lato commerciale.adatto a tutte le attività di produzione che utilizzano la rete come mezzo canale di promozione e
vendita, oppure internet company che delegano all'esterno le attività di produzione o immagazzinamento ecc. •Quadrante 3:
basso potenziale delle attività via internet e poco idonee anche nel canale di vendita. Situazione che blocca lo sviluppo di que-
sto genere di attività •Quadrante 4: basso vantaggio nella vendita, ma benefici nella sostituzione delle procedure offline con
quelle online. Adatto a tutte le imprese tradizionali. I risultati che sono ottenuti permettono di: • Prevedere i cambiamenti dovu-
ti alle nuove tecnologie e quindi anche variazioni dal lato dell'offerta • Definire i confini dall'area competitiva • Supportare il
processo di selezione delle alternative strategiche

1. Come strutturare una nuova opportunità di business? Quali sono gli ingredienti necessari alla valuta-
zione delle sue potenzialità?
2. Perché occorre associare all’offerta dell’azienda anche il relativo mercato target?
3. Elencate alcuni dei fattori che consentono di segmentare la domanda dei beni di consumo e alcuni
per la domanda dei beni industriali.
4. Cosa sono le aree d’affari? Qual è la loro funzione nella pianificazione di un progetto imprenditoria-
le?
5. Come si sviluppa un’analisi di settore?
6. Esplicitate la differenza tra competitori primari o secondari, e tra quelli intra-channel e inter-channel.

CAPITOLO 2: STRATEGIE E POSIZIONAMENTO

Una volta definito il progetto imprenditoriale, in termini di offerta, ed effettuata una profonda analisi del
contesto sia dal lato della domanda che dell’offerta, si hanno tutti gli elementi utili alla definizione della
strategia di sviluppo, in funzione della sua fattibilità, redditività, rischiosità e verosimile efficacia. Si tratta
a evidenza
di stime e valutazioni che poi devono trovare riscontro nell’azione e negli effetti prodotto sulla gestione
aziendale.

2.1. STRATEGIE

Un’impresa opera sul mercato grazie a un insieme di strategie esplicite o implicite alla base delle sue
azioni. Tuttavia tali strategie sono guidate e inserite in un disegno strategico sottostante.

2.1.1 Profilo strategico invisibile


Nell’azienda è sempre presente un comportamento imprenditoriale di fondo, alla base di tutte le decisio-
ni intraprese. Questa cultura di impresa ha assunto la definizione di profilo strategico di fondo, ossia le

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idee, i valori e gli atteggiamenti che costituiscono il disegno strategico dell’impresa, sottostante al porta-
foglio “operativo “ e visibile.

Si compone di tre aree interagenti:


1. Impostazione organizzativa: il peso assegnato alle risorse umane, la definizione di funzioni e ruoli or-
ganizzativi, i meccanismi organizzativi di riconoscimento e valorizzazione dei contributi dei singoli.
2. Filosofia gestionale: ide, atteggiamenti e motivazioni che guidano gli uomini d’impresa nelle relazioni
aziendali interne e esterne.
3. Obiettivi di fondo: ambizioni e aspirazioni in termini di performance perseguite per portare a termine
l’attività d’impresa e il conseguimento dei due obiettivi aziendali di successo sociale e reddituale.
Se tra le tre aree c’è un’integrazione armonica, nasce una coerente e solida visione imprenditoriale.

2.1.2 Strategie Aziendali


Si passa al piano visibile delle strategie imprenditoriali, qui esistono due tipologie di strategie, quelle so-
ciali e quelle competitive, strettamente connesse al successo dell’azienda, che deve essere interpretato
sia in senso sociale sia reddituale.

2.1.3 Obiettivi Strategici


- Strategie di primo livello: indicano gli obiettivi a cui deve tendere l'organizzazione aziendale. Costitui-
sce la base del successo sia reddituale che sociale.
- Creazione del consenso sociale: difficile gestire le relazioni (interne ed esterne) interpersonali in modo
corretto e sulla base di una filosofia che crei motivazione e consenso. Vale anche il contrario, cioè
creare un eccessivo consenso senza tenere da conto l'aspetto reddituale. Successo sociale legato ad
una valida strategia sociale, successo competitivo NON SI TRAMUTA NECESSARIAMENTE in suc-
cesso reddituale.
- Successo reddituale: è duraturo solo se la strategia aziendale è vincente sia sotto il profilo competitivo
sia da quello sociale. Inoltre Non mi devo concentrare solo sul successo corrente dell'impresa.

Sono molte le imprese che sbilanciano la loro strategia verso solo uno dei due obiettivi, tuttavia solo
con una rinnovata visione imprenditoriale posso avere uno sviluppo sostenibile e duraturo. Non devo
cercare di massimizzare la componente reddituale è quella sociale in maniera parallela, ma trovare
un modo per poter massimizzare entrambi gli obiettivi con una unica strategia.
Misurare il successo reddituale è molto semplice e le modalità sono identiche per ogni tipologia di
impresa. Molto più complesso è misurare gli obiettivi sociali e competitivi, dipendono dalle strategie
adottate e variano da impresa ad impresa.
Come emerge dalla tabella dalla definizione dei sotto-obiettivi si ha l'unione tra la dimensione strategica
e quella operativa. Tali sotto-obiettivi sono:
• Misurabili
• Riferirsi ad orizzonti temporali precisi
• Realistici
• Ordinati per priorità
• Coerenti col piano strategico

2.1.4 Strategie Competitive


Le strategie competitive sono piani d’azione che determinano il modo di operare nel mercato, sfruttando
i punti di forza dell’impresa nei confronti della concorrenza. Un’azienda al fine di migliorare la sua posi-
zione e soddisfare i bisogni della clientela, implementa strategie competitive che possono distinguersi in:

1. Strategie Competitive di Azienda:


a. Strategie Organizzative: struttura aziendale adeguata alle esigenze del mercato; riguardano 3
ambiti
 RISORSE UMANE: inserimenti di personale qualificato, formazione, politiche di ricompensa, alli-
neamento tra aspirazioni individuali e aspettative societarie
 PROCEDURE: analisi dei flussi verso un processo continuo di razionalizzazione operativa
 ATTIVITÀ E FUNZIONI: chiarezza dei ruoli, equilibrio tra gerarchia e autonomia organizzativa,
ottimizzazione dei carichi di lavoro

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b. Strategie Produttive: decisioni attinenti le modalità di svolgimento delle operazioni di produzione di
beni e servizi rientranti nell’attività principali dell’azienda. insieme di decisioni attinenti le modalità di
svolgimento delle operazioni di produzione:
- INTERNALIZZAZIONE: produzione interna oppure su appalto
- TECNOLOGIA: sviluppo della tecnologia corrente e innovazione per imitazione o ricerca
- PROCESSI: interventi di revisione e miglioramento, definizione dei lotti produttivi ottimali
- LOGISTICA: gestione interna o esterna, pianificazione dei livelli di stoccaggio

c. Strategie economico-finanziarie: azioni imprenditoriali che mirano a valorizzare i beni patrimoniali e


l'ottimizzazione dei flussi finanziari:
 RAZIONALIZZAZIONE PATRIMONIALE: costante miglioramento dell'efficienza aziendale attraverso
razionalizzazione delle risorse e massimizzazione di impiego degli asset
 OTTIMIZZAZIONE DELLA STRUTTURA DEL CAPITALE: decisioni in merito all'indebitamento otti-
male, mix delle fonti di finanziamento, accantonamento e impiego delle risorse eccedenti
 BILANCIAMENTO FINANZIARIO: ottimizzazione dei flussi di liquidità nel tempo in modo da massi-
mizzare le fonti e razionalizzare gli impieghi

d. Strategie di Comunicazione: sono le strategie di comunicazione all'esterno e indirizzate ai clienti e


agli interlocutori esterni in generale (tutto ciò che riguarda l'interno rientra nella sfera organizzativa):
1. COMUNICAZIONE AZIENDALE: affermazione dell'immagine dell'impresa e dei marchi consona al
mercato di riferimento
2. COMUNICAZIONE DI OFFERTA: effettuata a livello competitivo, devo fare percepire la mia offerta in
modo da ottenere un differenziale positivo per il consumatore. L'importanza di fattori come comunica-
zione e l'immagine sono diventati così importante da poter essere considerati allo stesso piano della
dimensione offerta. Partendo da questi passo dalla dimensione del prodotto fisico a quello percepito
individuandone le caratteristiche tangibili e intangibili. Utilizzando le scelte di comunicazione riesco a
posizionare i prodotti nel contesto presente sul mercato

2. Strategie Competitive di Area d’Affari: a questo livello le strategie che possono essere adottate per
conseguire vantaggi sono:
A. Copertura del mercato; attraverso:
- Segmentazione: definizione del raggio di azione commerciale.
Fasi:
1. Individuazione e valutazione dei bisogni di consumo esistenti sul mercato;
2. Suddivisone e classificazione dei clienti con caratteristiche omogenee;
3. Definizione della clientela obiettivo.
- Presidio territoriale: selezione dei canali di distribuzione e vendita, definizione e individuazione
delle risorse interne ed esterne dedicate alla vendita e attività accessorie, attuazione di politiche
di presidio territoriale.
B. Strategia d’offerta: definiscono contenuti e caratteristiche dell’offerta per rispondere ai bisogni
della clientela. Si fa leva su due dimensioni dell’offerta:
1. Funzioni di prodotto (scelta e definizione caratteristiche fisiche e funzionali dei prodotti;
2. Livello di servizio (servizi accessori che integrano l’offerta, ossia attributi +o- rilevanti).

I risultati ottenuti dall’azienda a livello competitivo possono essere scomposti nei singoli risultati conse-
guiti nei vari segmenti, cosi che è possibile interpretare l’andamento nelle varie aree competitive
dell’impresa intervenendo in quelle a basso rendimento.

2.1.5 Strategie Sociali


Le Strategie Sociali hanno l’obiettivo di conseguire un beneficio per la collettività, in termini di integrità
commerciale, di salute pubblica, protezione dell’ambiente, tutela di patrimoni artistici e culturali, difesa di
diritti civili, impegno e valorizzazione delle risorse umane. La socialità dell’impresa ha una doppia valen-
za, quella interna nei rapporti con i dipendenti e gli azionisti/soci, cercando di implementare un sistema
interno di confronto e di dialogo efficace e efficiente e quella esterna, con la comunità e con tutti gli inter-

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locutori con cui l’impresa viene a contatto nelle sue relazioni commerciali (comunità sociale ed economi-
ca).
Bisogna fare una distinzione sulla motivazione sottostante di tale atteggiamento. E’ possibile individuare
una strategia sociale integrata dalla presenza o meno dei seguenti elementi:
• Volontarietà: obiettivi di performance sociale superiori rispetto a quelli di riferimento del settore • Siste-
maticità: miglioramento continuo verso l'eccellenza
• Organicità: deve essere integrato con la dimensione strategica interna
• Globalità: attenzione a tutte le tematiche
• Pervasività: implementazione dell'idea sociale a tutta la cultura interna dell'impresa Creare una strate-
gia integrata significa quindi credere profondamente nel ruolo sociale di un'impresa e nelle sue capita di
impattare sulla comunità e sull'ambiente.
Una strategia sociale opportunistica viene invece individuata quando gli obiettivi sociali sono posti solo
per motivazioni competitive e opportunistiche.

La differenza tra i due tipi di strategie si ottiene valutando se il beneficio sociale perseguito è una conse-
guenza di un determinato atteggiamento o ne è la causa.

La strategia sociale si rivolge sia ad attori interni che esterni e mira ad ottenere un duplice consenso.

a. Consenso interno
è il primo punto su cui si deve confrontare l'impresa è riguarda tutte le azioni che per creare partecipa-
zione e condivisione attorno alla vita aziendale. Un'organizzazione aperta consente la circolazione delle
idee e rende disponibili a tutti i livelli gli effetti delle azioni intraprese, consente una migliore integrazione
e di conseguenza una migliore performance. Non posso ricercare un livello ottimale accentramento-
decentramento decisionale, tuttavia per ottenere consenso interno posso citare le seguente azioni:
• Rispetto dei valori sociali: rispetto della persona, della privacy ecc. In pratica tutte quelle azioni che
rendono l'organizzazione rispettata sia dalle persone che ne fanno parte, sia dagli attori esterni
• Condivisione dei valori di fondo: l'impresa deve appoggiare la sua azione su una solida condivisione
dei valori sociali con tutto il personale
• Delega e compartecipazione: creare un ambiente lavorativo partecipativo e dove il personale sente
di poter contribuire attivamente alla causa comune.

Anche la dimensione esterna è elemento determinante nello sviluppo di un solido consenso interno, tutto
questo perché il modo con cui l'impresa affronta le relazioni esterne influenza il modo di vedere l'impresa
stessa da parte degli attori interni. In sintesi si deve avere una impostazioni imprenditoriale votata alla
trasparenza, correttezza professionale, rispetto della persona, condivisione die valori di fondo, compren-
sione e riconoscimento dei diversi ruoli.

b. Consenso esterno
consenso basato sui valori condivisi dalle comunità con cui opero. Il processo prevede la tutela delle
istanze sociali, instaurazione di corretti rapporti commerciali che mirano ad ottenere fiducia nel lungo pe-
riodo. Gli attori esterni possono essere:
• Attori di vario tipo collegati all'impresa: fornitori, clienti, enti di credito, autorità pubbliche
• Collettività nel suo insieme: in questo caso è richiesto all'impresa di superare il suo ruolo di attore eco-
nomico.

2.2. POSIZIONAMENTO COMPETITIVO

A questo punto l'imprenditore dovrebbe aver definito offerta, analisi di mercato. Molto importante ora è la
sintesi del proprio piano di azione alla luce della analisi completa, la quale deve mirare ad evidenziare i
tratti distintivi della propria azione imprenditoriale rispetto a quella dei concorrenti. Studiare i concorrenti
ha un preciso obiettivo strategico perché permette di conoscere la domanda è le sue esigenze, capire se
la propria offerta è adeguata ed efficace.
Molto efficace ai fini dell'analisi è il metodo che prevede la costruzione di grafici e tabelle a due variabili
(fare attenzione alle variabili prescelte). Impiegare una mappa permette di individuare i raggruppamenti
di imprese con le stesse combinazioni strategiche. Strutturare le tabelle in questo modo permette non
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solo di avere una "fotografia" della situazione attuale, ma vedere anche di capire quelle che possono es-
sere le situazioni evolutive e i cambiamenti che potranno essere messi in atto nei comportamenti strate-
gici dei concorrenti. Alleanza tra aziende: fenomeno molto in voga negli ultimi anni. È una strategia
aziendale finalizzata allo scambio di competenze e la ricerca di sinergie. Tutto questo può portare a im-
portanti vantaggi competitivi.

2.3. ANALISI DEL RISCHIO IMPRENDITORIALE

A questo punto dell’analisi bisogna mettere in atto alcune verifiche, mediante l’analisi del rischio di inve-
stimento  rischio di successo o di insuccesso? raggiungimento adeguato ritorno del capitale???
Emergono le seguenti tipologie di rischio:

2.3.1 Rischio di Contesto:


È legato ai fattori macro-economici, ossia sono tutte le componenti esogene che sono fuori dal controllo
del management dell’impresa, che possono cmq rappresentare opportunità o minacce. Quest’ultime so-
no componenti che determinano situazioni di pericolo/crescita del business che l’azienda deve fronteg-
giare a difesa o miglioramento della sua posizione competitiva.
Riguarda quelle variabili non dipendenti dall'impresa, quindi tutti quei fattori macro (mercati finanziari,
eventi politici all'interno dal paese in cui si opera) e cambiamenti all'interno sia della domanda che del
settore. Proprio perché non dipendenti dall'impresa sono definite minacce e opportunità perché possono
avere sia impatti positivi che negativi.

 SWOT analysis (strengths, weaknesses, opportunities, threats): permette di individuare i punti di


forza e debolezza della propria attività partendo dai cambiamenti esterni. In questo genere di analisi
mi rivolgo sempre allo scostamento imprevisto rispetto a quanto è stato pianificato in sede di analisi
e stesura del progetto imprenditoriale.

Lo studio del settore e della domanda sono basilare per poter identificare i fattori che possono influenza-
re il contesto operativo, le minacce o le opportunità che dipendono da fattori esterni sono situazioni che
permettono all'impresa di migliorare la propria posizione oppure di difendersi al meglio, a patto che tali
situazioni vengano riconosciute in anticipo e che vengano posti i correttivi necessari per affrontarle. È
una analisi dinamica che dimostra quanto impresa ha la capacità di adattarsi al contesto.

Minacce: leggi restrittive l’attività; caduta di barriere di entrata del settore; scoperta di prodotti sostitutivi;
invenzione e brevetti di terzi di tecnologie innovative; ecc.
Opportunità: leggi che allargano l’attività a nuovi mercati; crisi concorrente primario; introduzione della
caratteristica di detraibilità fiscale sugli acquisti dei proprio prodotti; ecc.

2.3.2 Rischio di Business:


La verifica del modello passa dall’analisi dei punti di forza/debolezza della propria azione rispetto a com-
petitors:
a. I punti di forza: caratteristiche tangibili e intangibili dell'azione imprenditoriale che consentono ad
una azienda di differenziarsi in maniera positiva rispetto ai propri concorrenti. Tutto ciò riguarda la
capacità dell'impresa di sfruttare in maniera da ottenere un vantaggio competitivo:
• Beni: si basa su risorse che possono essere poco difendibili o che forniscono un vantaggio limitato
nel tempo
• Brevetti
• Competenze: sono i punti di forza su cui deve puntare l'impresa
b. I punti di debolezza: l'imprenditore deve essere conscio dei limiti del proprio progetto e dei punti di
forza dei concorrenti. In base a questo si deve studiare un percorso di miglioramento e tutte una se-
rie di attività che punteranno a minimizzare i rischi che questi vantaggi possono portare

Quest’analisi viene affiancata ad un’altra analisi finalizzata alla verifica della validità del merito del pro-
getto: l’analisi dei risultati di operazioni di test (vedi paragrafo I.4)
.
17
2.3.3 Rischio Economico
Non è legato al successo commerciale del prodotto, ma alla possibilità che tale successo si traduca in
successo reddituale. Questo rischio è insito nella determinazione delle fonti di ricavo e della struttura dei
costi. Indicatore per rilevare questo rischio: Break-Even Operativo (o delle vendite), che rappresenta il
punto di pareggio tra costi e ricavi totali, espresso in termini di volume di vendita.
Questo valore interpreta il grado di rigidità dell’azienda (o iniziativa) in quanto misura il peso dei costi fis-
si sul volume delle vendite: maggiore sarà il break-even, maggiori saranno le quantità di prodotto che
l’azienda dovrà vendere per coprire le spesa della struttura. Il punto di pareggio diventa uno dei fattori in
grado di contribuire alla valutazione complessiva del grado di rischio  Beo + è alto, + aumenta la pos-
sibilità di non raggiungere il pareggio economico della gestione e si alza rischio imprenditoriale.

Q = Cf /(Pr - CvT)

Dove Q = unità minima di prodotto da produrre x ottenere il punto di pareggio;


pr = prezzo unitario di prodotto;
Cf = costi fissi totali;
CvT = costi variabili totali (industriale + commerciale).

Per ottenere il punto di pareggio espresso in fatturato anziché in volume di produzione, basta moltiplica-
re entrambi i membri per il prezzo unitario di prodotto.

2.3.4 Rischio Finanziario


È il rischio di esaurire le fonti di liquidità a disposizione per la gestione e lo sviluppo degli investimenti.
Posso valutare il profilo finanziario di un nuovo progetto tramite:
• Indicatori della liquidità: forniscono info sulla capacità di autofinanziamento e sulla posizione del ciclo
commerciale
• Valutazione del credito del progetto
Tuttavia sono metodi imprecisi perché forniscono una fotografia statica senza dare info sull'andamento
temporale dei flussi Per misurare il rischio finanziario sicuramente gli strumenti migliori sono:
• Budget di tesoreria
• Break-even finanziario

2.4.IL BUSINESS PLAN COME DOCUMENTO STRATEGICO

L'imprenditore deve valutare l'offerta analizzando i concorrenti, i fornitori, la struttura, lo sviluppo del set-
tore i canali di distribuzione, inoltre bisogna fornire un quadro del trend evolutivo del settore con fonti at-
tendibili.
Ogni azienda ha un profilo strategico visibile (esplicitato nei piani di azione) possiede un piano di azione
invisibile ( = orientamento strategico), cioè quell'insieme di valori e convinzioni che determina la filosofia
e la cultura aziendale.

Strategie visibili: hanno l'obiettivo di ottenere vantaggi competitivi, per questo occorre far leva sulle co-
mete se distintive, le quali devono essere continuamente confrontate te con quelle della concorrenza. Ne
riconosco di due tipi:
• Sociali: definite a livello aziendale
• Competitive: decise dalle singole aree d'affari Il confronto delle competenze con la concorrenza per-
mette di definire mappe di posizionamento competitivo, le quali permettono di esplicitare similitudini e
differenze rispetto all'azione imprenditoriale degli altri attori di mercato. È molto importante attuare azioni
di valutazione del rischio e sostenibilità degli investimenti e una analisi sulla qualità dei risultati attesi.
Per questo motivo attuo una analisi SWOT che riguarda il contesto. In pratica determinò come l'impresa
reagisce agli stimoli dall'ambiente esterno con l'implementazione delle strategie. In questo modo riesco a
capire se la valorizzazione dei PDF e la minimizzazione dei PDD da parte delle strategie è efficace o
meno. In sintesi, il BP contiene tutte le aree di analisi e di definizione strategica, ciò permette al mana-
gement tutte le info necessarie per una analisi approfondita del percorso imprenditoriale.

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APPROF: LA FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA DI UNA IMPRESA Ogni impresa quando opera lo fa con una
strategia solo che spesso non è visibile perché creata e perseguita dalle persone in modo inconscio sulla base dei propri valori,
motivazioni e rapporti sociali. Questa visioni rimane nascosta da chi guarda l'azienda dall'esterno. Il classico approccio dell'e-
conomia in tema di strategia aziendale presuppone lo studio del contesto è la determinazione esplicita di un piano. La differenza
quindi è nell'esplicitare il piano per permettere all'organizzazione tutta di seguirlo. Il BP prevede la stesura di una strategia de-
liberata perché sulla base dello studio sull'andamento della domanda, dei cambiamenti del mercato. Le due strategie possono
tranquillamente convivere purché vi sia una pianificazione continua, infatti l'imprenditore imposta un piano da seguire , ma che
può essere corretto in base ai feedback che riceve durante lo svolgimento dell'attività.

APPROF.: LIVELLI DI INDAGINE DELLA MATRICE VALENZA/PERVASIVITÀ La scelta di posizionamento all'in-


terno della matrice può essere definito sulla base delle attività legate alla produzione ed erogazione dei prodotti. Posso misurare
i benefici attesi dal l'impiego delle nuove tecnologie in fase di produzione (pervasività) e di commercializzazione (valenza) a
livello di singola combinazione prodotto mercato. La costruzione della matrice per ASA ha fini più interni che esterni, perché
serve al management capire il grado di esposizione dell'attività online e offline a sostegno della competitività.

APPROF.: IL PUNTO DI PAREGGIO DELLE ATTIVITÀ BASATE SUL WEB A seconda della tipologia di business e
delle fonti di ricavo, posso costruire grafici che rapportano il fatturato sull'andamento di altre variabili rispetto ai costi aziendali,
sempre collegandoli però al break-even stabilito. La scelta delle variabili ha senso però solo se queste forniscono delle infor-
mazioni aggiuntive

APPROF.: I MARGINI ECONOMICI NEL CALCOLO DEL PUNTO DI PAREGGIO Il grado di leva operativa: l'analisi
attraverso il BEP evidenzia anche la struttura dei costi variabili e fissi dell'impresa. Il grado di leva operativa è un indicatore di
questa informazione:
GLO=Mdc/Reddito Operativo
Determino in maniera semplice la variazione percentuale di del reddito operativo collegata ad una variazione percentuale del
volume delle vendite. Posso in questo modo calcolare il margine di sicurezza, cioè la capacità di resistenza reddituale dell'im-
presa nella sua attività caratteristica: margine di sicurezza <1 capacità di reddito molto debole e potrebbe non riuscire a compe-
tere nel lungo periodo.
Il margine di sicurezza sul volume delle vendite previsto:
(Ricavi di vendita previsti - Fatturato di pareggio)/Ricavi di vendita previsti
Esprimo in percentuale di quanto il fatturato atteso supera il volume delle vendite che determina il pareggio economico. Valori
bassi indicano una alta rischiosità perché assottiglio notevolmente il margine di errore nella stima delle vendite attese che man-
tiene positiva la redditività del progetto .

APPROF.: UNA TECNICA DI INDAGINE TRASVERSALE DEL RISCHIO: L'ANALISI DI SENSITIVITÀ Strumento
per la valutazione del rischio del progetto. Permette di verificare tutte le ipotesi alla base dei degli scenari presi in considerazio-
ne. Durante le stime l'imprenditore deve modificare le variabili e interpretare l'impatto delle variazioni sia sul piano economico
che finanziario. Variabili: •Interne: prezzo, budget ecc •Esterne: esogene all'impresa come inflazione, cambiamenti nei rapporti
di fornitura ecc Analisi importante per due motivi: • Permette costruzione di scenari: generalmente tre (ottimistico, pessimisti e
attendibile). • Comprensione delle variabili critiche alla performance aziendale: anche un piccolo errore di stima può portare a
stime molto errate Attraverso questa analisi ed effettuando delle proiezioni economico-finanziarie posso capire la rischiosità del
progetto. Se i valori di redditività e di liquidità si modificano in maniera elevata allora il grado di rischio è elevato. In sostanza
questa tecnica consente una valutazione trasversale delle tipologie di rischio.

- Definite i livelli della dimensione strategica di un’azienda.


- In cosa consiste il profilo strategico di invisibile?
- Com’è possibile classificare gli obiettivi strategici di un’azienda?
- Quali sono i livelli di strategia competitiva di un’azienda? Da che cosa sono composti?
- Che cosa vuole rappresentare la matrice valenza/pervasività?
- Esplicitate la differenza tra socialità integrata e opportunistica.
- Come si effettua l’analisi di posizionamento competitivo?
- Descrivete le componenti dell’analisi del rischio imprenditoriale.
- Riportate la formula di base del break-even economico e chiarite i casi in cui è applicabile e in cui non è
applicabile nell’analisi di aziende multi-prodotto.
- Che cos’è il grado di leva operativa?
- Esplicitate la natura e la funzione nella pianificazione dell’analisi di sensitività.
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CAPITOLO 3: IL PIANO OPERATIVO

Per stendere un corretto piano operativo vengono analizzati i seguenti punti:


1. Localizzazione (commerciale e produttiva)
2. Produzione
3. Logistica
4. Piano di marketing

Relativo al piano marketing vengono esplicitate le seguenti azioni:


 Marketing mix, vale a dire azioni di prezzo tramite la redazione di listini e condizioni commerciali;
azioni di prodotto tramite formule di offerta multiprodotto; azioni di comunicazione, dando cioè vi-
sibilità il proprio prodotto e azioni di distribuzione quando cioè si utilizzano canali per raggiungere
il consumatore finale;
 Piano delle vendite, o piano commerciale, dove vengono indicati i canali target e gli obiettivi di
fatturato per i prodotti dell’azienda;
 Budget di marketing, definisce l’ammontare e la distribuzione delle risorse destinate ad attività
promozionali e pubblicitarie

3.1 LOCALIZZAZIONE

In questa parte vi è la descrizione dei locali in cui l’azienda commercializza o intende commercializzare i
propri prodotti. Per quel che riguarda la commercializzazione, se l’impresa opera nel mercato dei beni di
consumo la localizzazione di vendita è critica; se invece riguarda il mercato di beni industriali il fatto criti-
co è la logistica di distribuzione. Mentre per ciò che riguarda la produzione, in entrambi i mercati, il fatto-
re critico è la disponibilità di manodopera.

3.1.1 Locali commerciali


I locali commerciali devono essere situati in aree che minimizzino i costi distributivi. Nel caso di beni di
consumo è importante considerare l’accesso a beni e servizi da parte dei consumatori (Ad esempio un
locale di vendita verrà aperto in zone di alta affluenza, anche se all’inizio ovviamente, è più conveniente
per un’impresa neocostituita, utilizzare un locale economico in zona di poca affluenza purché strategi-
camente valida)

Vengono delineati dei punti da considerare:


 Prestare attenzione all’impressione di minore rischiosità dell’iniziativa di optare per un locale a
prezzo basso: è vero che nel breve periodo può risultare vantaggioso, ma così non è nel lungo
periodo in quanto potrebbe risultare disastrosa a causa di un afflusso basso di clientela da ag-
giungere alle spese di pubblicità;
 La validità della scelta del locale è confermata dalla funzione assolta dal servizio in questione;
 La previsione dell’evoluzione della situazione, in quanto la valutazione di un investimento deve
esse valutata anche in relazione al fattore tempo;
 Il costo di un locale va rapportato al flusso di consumatori previsto, alla pubblicità indiretta che un
locale consente di potare all’iniziativa, ai fattori interni di budget e ai fattori esterni.

3.1.2 Locali produttivi


In questo caso sia per i beni di consumo sia per i beni industriali, i locali devono collocarsi in aree che
rispettino requisiti di un efficiente approvvigionamento e di accessibilità della manodopera adeguata al
tipo di lavorazione effettuata.
L’area di produzione deve tener conto della vicinanza a fonti di materie prime o ad infrastrutture efficien-
ti. Se un’azienda opera in un settore molto competitivo, é probabile che iniziare l’attività con costi di per-
sonale superiore ai concorrenti (considerando anche la localizzazione) sia finanziariamente ed economi-
camente sconveniente. Per ultimo occorre considerare anche che, così come per i locali commerciali, la
scelta del luogo va fatta considerando anche il contesto legislativo e socio economico.

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3.2 PRODUZIONE

Lo studio di produzione prevede le seguenti tematiche:

MACCHINARI: è necessario un elenco delle attività materiali che vengono acquisite nel nuovo progetto.
È utile inserire una nota in cui si evidenzi lo stato fisico, il controvalore, il mezzo di pagamento e il valore
di realizzo in ipotesi di liquidazione dell’investimento.

PROCESSI: l’analisi dei processi è molto utile per arrivare a diverse informazioni in termini di layout pro-
duttivo e determinazione di forza lavoro. La rappresentazione del processo e dei macchinari impiegati
per la produzione ha la stessa funzione dei grafici che accompagnano la descrizione dei processi. Oc-
corre sottolineare che non bisogna dimenticare che l’interlocutore non andrà oltre la semplice compren-
sione della natura dell’attività svolta.

CAPACITÀ: l’analisi e pianificazione del flusso di lavoro e la capacità di produzione di un’impresa sono
fondamentali per supportare io piano delle vendite previsto. Una corretta pianificazione consente di de-
terminare la capacità giudicata ottimale nella fase di avvio e/o di sviluppo dell’impresa, bilanciando gli
aspetti e dimostrando come si pensa di ovviare ad eventuali picchi della domanda nel breve periodo. La
forza lavoro, le capacità tecniche, la trasformazione, il bilanciamento tra le fasi del processo sono fattori
determinanti la capacità di un’impresa.

MAGAZZINO: si fa riferimento alle scorte e giacenze, ovvero alla pianificazione delle politiche di scorta
che possono essere orientate alla creazione di livelli alti nelle giacenze.

QUALITÀ: occorre dare spazio al processo di produzione: il controllo qualità. La qualità di prodotto è
Costituita da 2 elementi:
 Una interna, legata alla qualità dei materiali e alla tecnologia di fabbricazione
 Una esterna, relativa al servizio alla clientela

La parte esterna, ovvero il servizio alla clientela, è uno strumento di marketing definito come accessorio
di prodotto. L’impresa deve prevedere un sistema efficace di controllo qualità che assicuri la conformità
dell’output agli standard richiesti.

KONW-HOW: le fonti possono essere sia di tipo tecnico sia intellettuale. L’eventuale presenza di diritti
intellettuali può essere riportata a fronte di vantaggi di tipo produttivo; oppure la descrizione di questi as-
set può essere citata nella sezione legata alle strategie o all’area legale.

3.3 LOGISTICA

L’imprenditore in questo paragrafo esporrà i risultati dello studio della movimentazione in entrata/uscita
delle merci, del loro stoccaggio e della distribuzione sul mercato dei beni prodotti, non entrando in detta-
glio, a meno che particolari processi o tecniche possano costituire uno dei caratteri distintivi della sua
azione imprenditoriale.
 La movimentazione, si riferisce ai mezzi impiegati nel trasporto, gestione diretta della
spedizione, velocità di consegna, problematiche e costi di confezionamento;
 ll magazzino è utilizzato invece a descrivere i locali destinati allo stoccaggio dei mate-
riali e dei prodotti, personale assegnato, funzionalità di magazzino etc.
 La distribuzione, importante nella pianificazione di attività sia per motivi di mercato, di
prodotto e finanziari.

3.4 PIANO DI MARKETING

Dopo la pianificazione della produzione e lo studio dell’organizzazione aziendale, l’imprenditore deve af-
fiancare alle strategie/obiettivi di lungo termine dell’azienda le strategie/obiettivi di mercato correnti che
guideranno la società negli anni successivi, esplicitando il piano delle vendite.

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Per sviluppare un valido Piano di Marketing occorre prima aver acquisito informazioni di mercato dal lato
della domanda e dal lato dell’offerta, poiché deve essere definito e continuamente adattato alla realtà
esterna.

3.4.1 Obiettivi
 collegare obiettivi di lungo periodo con un piano operativo di vendite concreto ed efficace;
 mostrare la coerenza delle leve di marketing rispetto agli obiettivi;
 definire per il personale un sistema di incentivazione che sia basato sui risultati;
 fornire standard che servano da parametro dell’andamento dell’attività (l’analisi degli scostamenti
fornirà indicazioni sulla necessità di ridefinire le strategie/obiettivi di mercato).

Gli obiettivi di mercato, determinati a livello di aree strategiche di affari, possono essere di natura:
- quantitativa (volume delle vendite/quota di mercato desiderati);
- qualitativa (miglioramento della percezione generica di prodotto/servizio o di alcune sue componenti,
creazione/riposizionamento dell’immagine di un marchio commerciale).

3.4.2 Strategie
Fissati gli obiettivi, bisogna definire le strategie volte a conseguirli.
Se l’imprenditore decide di realizzare un prodotto di alta gamma, molto costoso (strategia aziendale),
destinato a un particolare segmento di mercato (strategia di area di affari), si dovrà implementare una
politica commerciale di nicchia (strategia di mercato a livello di area di affari) e perseguire un duplice
obiettivo di mercato, qualitativo (creazione di un’immagine di status) e quantitativo (un determinato vo-
lume di vendita). D’altra parte una simile strategia si scontrerebbe con un target di clientela identificato
nel mercato di massa, con volumi attesi di vendita molto elevati.

3.4.3 Leve
Il marketing-mix è quell’insieme di variabili su cui l’imprenditore fa leva per adattare il prodotto alle esi-
genze/caratteristiche del target customer. Esse sono quattro:

a. Prodotto (servizio)
Definito nell’insieme delle funzioni che assolve e dei bisogni che soddisfa.
Il livello strategico riguarda l’individuazione delle componenti del prodotto che ne determinano la vendita;
la conoscenza del mercato è infatti il requisito che consente di definire un prodotto di successo (che ri-
sponde alle esigenze dei consumatori).
Il livello operativo ha le seguenti fasi: produzione fisica del prodotto, creazione degli accessori (ex: servi-
zio post-vendita di garanzia/assistenza al consumatore) e commercializzazione del prodotto.

b. Prezzo
Esso riveste un ruolo di assoluto rilievo nelle politiche commerciali delle aziende. L’imprenditore deve
tenere preliminarmente in considerazione alcuni elementi:
1. A livello di prodotto: elasticità/rigidità della domanda e percezione della componente del
prezzo. La prima è una caratteristica del mercato che dipende da vari fattori, tra cui il
prezzo, tant’e vero che oscillazioni di prezzo se non determinano conseguenti oscillazioni
della domanda, il prodotto si definisce rigido alla componente prezzo. Dunque 3 sono gli
elementi che determinano l’elasticita o rigidità della domanda:
- Fattore tempo (nel breve periodo la curva della domanda é più rigida)
- Presenza sul mercato di prodotti concorrenti: prodotti non per forza simili ma comparabili nel-
le funzioni che assolvono
- Differenziazione: intesa come immagine di azienda o prodotto, reale o sostanziale di prezzo;
sono le caratteristiche che implicano il posizionamento di un prodotto rispetto a quelli della
concorrenza.
2. A livello di azienda: struttura dei costi e piano delle vendite con relativo livello di profitto
atteso.

 I tre fattori hanno comunque diverso peso in relazione al prodotto, inoltre va introdotto un altro elemen-
to importante per analizzare la trattazione sull’elasticità e rigidità della domanda: viene infatti conside-
rato il comportamento disomogeneo del consumatori al variare delle variabili di marketing.
22
Nell’analisi di elasticità o rigidità quindi occorre prender in considerazione anche il livello corrente di
prezzo del prodotto, ciò vuol dire che l’imprenditore deve essere consapevole della posizione del prodot-
to sul mercato in modo da riuscire a stabilirne il valore.

Un’altra importante variabile in qualità di leva di marketing è la percezione del prezzo da parte dei con-
sumatori, ed è lo stesso prezzo ad essere componente della differenziazione. Inoltre l’azienda deve
esaminare la struttura dei costi: senza un’accurata contabilità gestionale di controllo dei costi un’impresa
non può operare correttamente.

La maggior parte delle imprese adotta un sistema di mark up nella definizione dei prezzi, ovvero partono
dal costo di produzione di un singolo prodotto, per poi aggiungere un margine per coprire le spese gene-
rali, e infine definiscono il mark up (ovvero il margine) di profitto desiderato definendo così il prezzo di
mercato.

Supponiamo che un’azienda operi con un efficace controllo gestionale, il manager dopo aver studiato il
mercato a livello di area di affari, proietta il risultato atteso della politica commerciale nel piano delle
vendite. Inoltre variando la componente prezzo, può vedere l’effetto sulle stime di vendita e determinare
le variazioni attese di profitto. Va osservato il limite di prezzo sotto il quale l’impresa non deve mai opera-
re, ed è quello che viene definito costo variabile (di prezzo). I costi fissi sono quelli che l’impresa sostie-
ne sia che produca o che non produca. Il costo variabile è il costo incrementale che l’impresa avvia nel
momento di fabbricazione del prodotto. Se poi questo viene venduto ad un prezzo superiore al costo in-
crementale sostenuto per la realizzazione, l’impresa consegue un margine che copre parte dei costi fissi.

Si possono poi verificare 3 ipotesi:


 Prezzo inferiore: l’impresa può decidere di operar in perdita su determinati segmenti di mercato.
 Prezzo uguale
 Prezzo superiore: quando l’impresa decide di operare a margini industriali, ovvero applica un
mark up sul costo industriale del prodotto e non sul costo comprensivo della quota di spese ge-
nerali. In questo caso si può verificare, se la domanda è reattiva (cioè elastica), un elevato profit-
to; al contrario in caso di elasticità inferiore alle previsioni, la tenue crescita delle vendite non
compensa l’erosione del margine e l’impresa realizza le perdite.
Tutti e tre rispettivamente relativi al costo variabile unitario.

c. Comunicazione
Individua le azioni di comunicazione finalizzate a creare visibilità e promuovere sia l’immagine sia la
vendita del prodotto dell’impresa. Questo per diverse finalità:
 Commerciale, cioè dirette esplicitamente alla vendita del prodotto o servizio
 Promozionale, finalizzate allo sviluppo o rafforzamento del brand
 Informativa, intesa ad esplicitare il contenuto della proposta commerciale
 Divulgativa, che mira a trasmettere ad un pubblico temi imprenditoriali o di carattere
scientifico accademico
 Sociale, ove l’azione persegue un intendo di condivisione, socializzazione o beneficio per
la collettività.

Ogni azione di comunicazione ha obiettivi e sfumature diverse, esistono vari strumenti di comunicazione
con sottostanti caratteristiche:
 PAID MEDIA: ovvero media a pagamento, attività di comunicazione che l’impresa avvia soste-
nendo un costo ai relativi media per la pubblicazione, trasmissione o presentazione del suo mes-
saggio
 OWN MEDIA: media dell’impresa, media gestiti direttamente dall’impresa, i cui relativi strumenti
sono realizzati internamente e veicolati direttamente dall’impresa
 EARNED MEDIA: media organici, che diffondono i brand e portano visibilità all’offerta
dell’azienda in modo gratuito. Una simile copertura mediatica può esser attivata volontariamente
dall’impresa (a seguito di eventi organizzativi o di azioni che portano i media a parlar
dell’impresa) p involontariamente (per azioni non ricercate ma avvenute e riportate dai mezzi di
informazione).
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Spesso un’impresa deve per forza investire risorse nella creazione di propri strumenti e mezzi promo-
zionali o comunque deve effettuare campagne di comunicazione a pagamento. Dopodiché l’azienda di-
venta conosciuta a diffondersi tramite i consumatori o internet o servizi giornalistici. In altri casi i mezzi di
comunicazione si spostano o si localizzano in posizioni intermedie in quanto agiscono in più di una dire-
zione. La “mappa” dei media fornisce un quadro delle opzioni in termini di mezzi di comunicazione che
possono essere impiegati per acquistar visibilità e promuovere l’azienda.
Alle 3 aree di comunicazione possiamo dar la seguente spiegazione:
o Paid media = impressione : ovvero la visione che ogni consumatore ha durante la sua vita
quotidiana del marchio. L’obiettivo dell’azione è l’attrazione dell’attenzione del cliente
o Own media = influenza : in questo caso la finalità è esplicare i vantaggi della propria offerta e
persuadere la clientela verso l’acquisto dei propri prodotti
o Earned media = coinvolgimento: area più ambita dalle imprese, i clienti mediante le loro azio-
ni propagano il messaggio e qualità dell’offerta dell’impresa

Ai media vanno associati poi i diversi canali utilizzati, i maggiori sono:


 Field: rappresenta il mondo fisico, ovvero contatto e incontri diretti tra proponente e potenziale
cliente, (fiere, commerciali, eventi ecc)
 Phone: azioni commerciali svolte con il telefono (telemarketing)
 Broadcast: comunicazione di massa, (televisione, radio, giornali)
 Web: internet prevede la diffusione della comunicazione sul network digitale
 Mobile e app: per veicolare i messaggi di promoIone e pubblicitario agli utenti

d. Canali di distribuzione – vendita


Operazione suggestiva all’individuazione della clientela di riferimento. È interesse dell’impresa focalizza-
re la strategia commerciale verso canali frequentati dai consumatori target al fine di massimizza
l’efficacia della sua azione.
I fattori qui considerati sono:
 Costo/benefici: l’imprenditore deve comparare gli svantaggi di ogni canale distributivo e di
vendita, con l’obiettivo di massimizzare l’efficacia delle risorse impiegate nella vendita valu-
tando sia costi sia benefici. Si analizzano 3 punti:
1. Canali di vendita: determinati in base al tipo di risorse umane impiegate. Sono quindi il
mezzo mediante il quale il prodotto e servizio vengono venduti.
2. Canali di distribuzione: individuati in base ai clienti a cui il prodotto viene venduto.
3. Intensità necessaria dell’azione commerciale: una crescita nel numero di venditori interni
alla società aumenta le vendite
 Caratteristiche del prodotto: Influenzano la scelta del canale distributivo e di vendita.
 Caratteristiche del mercato: non è detto che il canale per il prodotto sia per forza il merca-
to.
 Strategia di marketing mix: la scelta del canale distributivo è importante come leva di
marketing mix. Per scempio l’adozione di un canale potrebbe essere in contrasto con
l’immagine che si vuole costruire attorno al prodotto. Tra ì canali distributivi predominanti
c'è il web, ovvero la rete è particolarmente vincente. È vero che la vendita e l’erogazione
dei servizi accessori possono avvenire online, ma i prodotti dovranno essere consegnati
attraverso un canale logistico fisico, aumentando così il peso dell’attivita offline.

3.4.4. Piano delle vendite


Per sviluppare un corretto piano di vendita occorre scegliere: tecnica di indagine e livello di analisi.

Per quanto riguarda la tecnica di indagine


Le tre più utilizzate sono:
 Tecniche di analisi storica dei trend di vendita (stime quantitative)
 Tecniche di proiezioni nel futuro (stime quali – quantitative)
 Combinazione delle due tecniche

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Tecniche di analisi storica dei trend sono:
- Estrapolazione storica: si fa riferimento alle tecniche matematico statistico che proiettano nel fu-
turo scenari basati sul comportamento della domanda nel tempo. L’andamento delle vendite de-
ve essere ponderato in base ai seguenti elementi:
 Trend di base: indica la crescita del fatturato misurabile nel lungo periodo, ovvero il
comportamento del mercato in assenza di fattori di disturbo di breve periodo
 Ciclicità: indica l’oscillazione che influenza l’andamento dell’economia
 Stagionalità: ovvero influenza della stagione sulle vendite. (Influenza il comportamento delle vendite
nel breve periodo)
- trend settoriale: applica all’impresa la proiezione di crescita riferita al settore di appartenenza. Si
presuppone che l’azienda registri un tasso di crescita in linea con le altre imprese; si applica tale
percentuale sulle stime di crescita delle vendite del settore stesso. In base ad una formula matema-
tica il tasso di crescita costante g è dato da:

g = (Ft+x / Ft)1/x -1
dove:
F = flusso
t = periodo della prima proiezione considerata
t + x = periodo dell’ultima proiezione considerata
x = numero di periodi trascorsi

e a questo punto si determinano le stime dei flussi futuri:

Fy = Ft + x (1 + g)

dove:
y = periodo successivo a t + x (primo periodo di proiezione attesa)
e per il secondo periodo successivo a y, ossia y + 1:

F(y + 1) = Fy (1 + g)

Le tecniche di proiezioni nel futuro usano invece:


 Fattori di mercato: l’obiettivo è quello di legare l’andamento delle vendite a uno o più fattori di mercato
correlati al fatturato.
 Ritorno di marketing: basata sulla stima della correlazione tra investimenti pubblicitari e andamento
delle vendite. Per le imprese esistenti si fa riferimento al trend storico costi di marketing/fatturato,
mentre per le nuove imprese queste stime devono essere fornite da indagini statistiche su campagne
pubblicitarie utilizzate.
 Indagini di mercato: differentemente dai fattori di mercato offrono informazioni dirette sul mercato di
impresa
 Stime e pareri di manager, dipendenti ed esperti: si fa riferimento a previsioni soggettivi di esperti del
settore e dei mercati di riferimento o di chi lavora ai vari livelli di impresa. Le tecniche di intervista
possono essere di due tipologie:
1. Di gruppo: in questo caso le opinioni sono raccolte in tavole di discussione tra più soggetti
e il vantaggio di questo metodo è quello di avere stime mediate o condivise.
2. Individuali: il cui vantaggio è quello di evitar pressioni dal gruppo a uniformarsi su determi-
nate opinioni.
Risulta utile chiedere agli intervistati un intervallo di valori entro i quali il risultato ricadrà nel tempo futuro
prefissato, ovvero una stima pessimistica, probabile e ottimistica; questa tecnica è chiamata PERT ed
utilizza la seguente formula:
Valore atteso = (a + 4m + b) / 6
dove: a = valore pessimistico
m = valore normale o probabile
b = valore ottimistico
con un valore di deviazione standard s pari a: σ = (b – a) / 6

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Per quel che riguarda il livello di analisi, il piano delle vendite si sviluppa in due fasi:
 Stima, in cui si determinano i numeri delle proiezioni: per esempio all’interno delle linee di prodotto, esi-
stono singoli prodotti che mostrano una proporzionalità diretta nelle vendite e quindi è possibile conside-
rarne le vendite in modo congiunto. Diversamente è nel caso di lotti minimi di vendita, ovvero quando il
prodotto è venduto al pubblico in una determinata quantità.
 Schematizzazione dei risultati: la fase successiva della redazione del piano di vendite consiste
nella presentazione dei risultati degli scenari di vendita.

Un’altra variabile importante, trasversale a quella appena esposte, è il tempo e in questo caso i da-
ti possono essere rappresentati in due modi:
- Con orizzonti temporali diversi (solitamente piani triennali)
- Con differente grado di periodicità (annuale, mensile, stagionale ecc). La scomposizione dl da-
to di vendita è efficace perché evidenzia un fattore importante come ad esempio la stagionalità
delle vendite, o comunque fornisce informazioni aggiuntive rispetto ad un dato aggregato.

3.5 IL BUDGET DI MARKETING

Nella cultura imprenditoriali si parte dal budget a disposizione e quindi si cerca di capire se l’azienda ha
a disposizione le risorse necessarie per implementare i suoi piani e come essa debba promuovere effi-
cacemente le vendite dei suoi prodotti. Ecco alcuni possibili approcci nella determinazione del budget:
 Percentuale sulle vendite: ovvero correlare l’ammontare delle risorse monetarie da destinare alle
politiche di marketing a una percentuale sulle vendite. La percentuale può essere terminata in
seguito ad autonoma ed indipendente decisione manageriale interna all’azienda. Esso presenta
alcuni difetti tra cui il fatto di essere slegato dalle reali esigenze di un piano di marketing e di es-
sere invece legato all’andamento delle vendite, e infine di non considerare il fatto che le vendite
sono il risultato delle politiche di marketing e non il contrario.
 Disponibilità di risorse: occorre considerare il marketing come area residuale, di marginale inte-
resse. Consiste quindi nel distribuire le risorse aziendali complessive a disposizione tra le attività
considerate strategiche e primarie da parte del management.
 Perseguimento degli obiettivi: questo è l’approccio più corretto. Adottandolo, l’imprenditore desti-
na le risorse in base agli obiettivi di marketing da perseguire. Tale metodo per essere efficace
deve coniugare il realismo sottostante la definizione di un budget in base alla realtà economico-
finanziaria dell’impresa con le esigenze del piano di marketing.

Complessivamente risulta quindi che il budget di marketing è definito su due livelli:


1. Impresa
2. Aree di affari

E che è relativo all’impresa in due casi:


e. Gli obiettivi di marketing sono generali e i benefici dell’azione commerciale ricadono
sull’insieme dei prodotti
f. Vi sono costi comuni che non possono essere attribuiti direttamente a singoli articoli.
Le spese connesse ad azioni di marketing vanno considerate a livello di costi generali dell’impresa: le
singole aree di affari vengono valutate in base al fatturato al netto dei costi diretti e indiretti a esse impu-
tati e quindi in base ai margini di contribuzione che riusciranno a produrre a copertura dei costi generali
dell’azienda.

APPROF.: IL CONCETTO DI BUDGET Durante lo sviluppo di un business plan, l’imprenditore redige schemi previsionali.
Innanzitutto con il termine budget si fa riferimento ad un insieme di obiettivi di ricavo (budget vendite) e di costo (budget di spe-
sa). Il budget di un’impresa viene utilizzato per fissare gli obiettivi all’organizzazione e per circoscrivere le risorse assegnate allo
sviluppo. Il budget delle vendite e il piano delle vendite coincidono se vengono assegnati obiettivi in linea con le previsioni. Il
budget è strumento di breve periodo, mentre le previsioni si spingono al di là del futuro.
Piano e budget sono previsioni, vengono usati per monitorare gli strumenti tra performance ottenuta è attesa, ma si differenziano
per orizzonte temporale (uno lungo e uno breve) e per finalità (raggiungimento obiettivi commerciali e assegnazione di vincoli di
spesa per il budget, mente per quel che riguarda il piano gli obiettivi sono determinazione dei fabbisogni di liquidità e ottimizza-
zione delle risorse investite). 26
APPROF.: MODELLO È FONTI DI RICAVO DELLE WEB COMPANIES: il mercato dei capitali valuta i parametri di traf-
fico, di utenti e sottoscrittori, ovvero la quota di mercato che il sito è riuscito ad attrarre. In molte iniziative si prevede
l’erogazione di una molteplicità di servizi con lo scopo di attrarre una crescente base di clientela. Le iniziative internet fondano la
loro attività sulle categorie di ricavo:
Advertising: prevede la vendita di pubblicità con ricavi legati alla concessione di spazi
Freemium: si basa sull’erogazione di un prodotto gratuito ma che genera business mediante versioni a pagamento che offrono
maggiori funzionalità
Licesing: prevede l’erogazione di un prodotto tramite un contratto di concessione d’uso
Subscription: business basato su un accesso a pagamento a servizi o contenuti
Data e info: per le realtà che hanno costruito il modello di business basato su acquisizione, riorganizzazione ed elaborazione dati
Trade: prevede la pubblicazione e vendita di prodotti e servizi online, che rientra nella sottocategoria di ecommerce
Sponsor: ovvero laddove i promotori chiedono contributi in termini di sponsorizzazioni o donatori

APPROF.: ECONOMIE DI SCALA NELLE ATTIVITA DIGITALI Le economie di scala nella rete si riferiscono sia al lato
della domanda (la natura di internet come mezzo di comunicazione ramificato) e al lato dell’offerta (progressivo beneficio degli
utenti). Uno dei punti gestionali maggiormente critici è il tema dell’acquisizione della clientela: nelle fasi di start-up infatti la
maggior parte delle impostazioni di business della rete richiede, per l’ottenimento di risultati economici soddisfacenti, il raggiun-
gimento di determinate soglie di mercato , e i budget di marketing costituiscono una delle principali voci di spesa. Se il costo del-
la campagna di marketing per contatto è sensibile nella fase di avvio, il successo dell’intera iniziativa dipenderà dalla capacità del
sistema di svilupparsi fino ad autoalimentarsi, riducendo così la spesa legata all’acquisizione di nuova clientela. Un secondo
obiettivo da tenere presente è l’importanza della fidelizzazione della clientela: quest’ultima non aumenterà se accanto all’accesso
di nuovi utenti si verificherà una simultanea perdita di quelli già acquisiti.

APPROF.: LA RELAZIONE CON LA CLIENTELA COME LEVA DI MARKETING MIX


La customer relationship diventa un fattore rilevante nel marketing mix poiché diviene fonte di informazioni che possono essere
utilizzate per il miglioramento dell’offerta , per la fidelizzazione dei clienti e per il processo di innovazione nella produzione di
prodotti o servizi. La fidelizzazione si ottiene sia garantendo un’ottima prestazione dei prodotti venduti sia mediante un’efficace
politica di assistenza pre e post vendita. La formazione del personale delegato al contatto con i clienti risulta così fondamentale:
l’imprenditore si dovrà occupare di questo aspetto magari attraverso l’acquisizione di adeguati processi o l’organizzazione dei
corsi.

APPROF.:LA LOCALIZZAZIONE VIRTUALE DELLE INIZIATIVE BASATE SULLA RETE


La definizione dell’obiettivo deve esse integrata dalla descrizione del modello di business adottato, chiarendo quale è
l’impostazione di business da adottare. I locali fisici lasciano spazio ai locali virtuali e all’impianto di produzione
all’infrastruttura tecnologica del sito.
FRONT-END si intende l’interfaccia grafica e di contenuto visibile agli utenti sulla rete, e anche le caratteristiche salienti di na-
vigazione nel sito. 3 sono i punti fondamentali:
 Contenuto: suddiviso in aree omogenee con descrizione dei benefici che con gli stessi non si ottengono
 Stile: influisce molto sull’aspetto estetico d sul messaggio di posizionamento dell’offerta.
 Funzionalità: definisce nell’insieme l’accessibilità del sito, l’aggregazione e visibilità dei contenuti.
BACK-END è il cuore della struttura aziendale che supporta i locali commerciali del front end dal punto di vista:
 Tecnologico: ovvero tutto ciò che ospita il sito
 Produttivo: relativi ai processi di erogazione prodotti e servizi
 Informativo: su temi quali archiviazione dei dati, flusso informativo ecc.

1. Quali sono i punti che occorre toccare nell’analisi del piano operativo?
2. Esplicitate i punti di cui si compone un’analisi della funzione produzione di un’azienda.
3. Cosa si intende per localizzazione virtuale?
4. Definite le componenti e le caratteristiche di un piano di marketing.
5. Cosa sono le leve di marketing-mix?
6. Quali sono le tre tipologie di media da consid nella redaz di un piano di com d’impresa?
7. Esistono vincoli nella determinazione del prezzo dei prodotti e dei servizi?
8. Descrivete le tecniche e i livelli di indagine di un piano delle vendite.
9. Quali sono le metodologie di determinazione di un budget di marketing.
27
CAPITOLO 4: STRUTTURA E MANAGEMENT

In questa fase del piano di business occorre definire:


 Organizzazione: definizione dell’organico, ossia selezione del management, individuazione dei
ruoli e delle funzioni aziendali e stesura di un organigramma che illustri le relazioni di cooperazio-
ne, dipendenza o delega fra i vari attori;
 Struttura: definizione della forma giuridica, dei soci e di collegamenti con altre realtà societarie ed
elenco delle attività svolte da tutti i fornitori di servizi professionali esterni all’impresa
 Licenze: illustrazione delle autorizzazioni necessarie a operare e di come queste siano tutelate le-
galmente.
La comprensione del modus operandi, la solidità della struttura organizzativa e le qualità del personale
coinvolte sono elementi chiave della pianificazione
Si dice, e non erroneamente, che i progetti vengono valutati e finanziati in base alla qualità delle persone
che li propongono e non in base alla caratteristiche del business in oggetto; pertanto la qualità del per-
sonale coinvolto è un elemento di primo piano nella pianificazione.

4.1. ORGANIZZAZIONE

Il piano organizzativo e del personale contiene la schematizzazione dell’organizzazione aziendale e dei


relativi costi. Consiste nella descrizione del management attuale della società: i progetti vengono spesso
valutati non in base al business in sé ma alle qualità delle persone che li propongono. Solo in un secon-
do momento si passa all’organigramma aziendale, che permetterà di individuare i ruoli chiave
dell’organizzazione.

4.1.1 Management
In questa sezione l’imprenditore/manager indica il personale coinvolto in posizioni decisionali, eviden-
ziando le competenze e le qualità apportate da ognuno, includendo anche collaboratori esterni e consu-
lenti che conferiscano valore aggiunto all’impresa. Se dal profilo di un manager risultano carenze nella
preparazione o esperienza si evidenzia come queste carenze saranno compensate con altre sue exper-
tise o come vi si porrà rimedio.
La descrizione delle persone deve essere concisa ma contenente sufficienti informazioni per inquadrare
preparazione ed esperienza dei manager, senza dover consultare il curriculum di ognuno (che comun-
que va allegato).
In caso di startup va allegato un profilo dei fondatori, se non coincidono con il management, precisando
il loro grado di coinvolgimento attuale e futuro oltre alle motivazioni che hanno guidato il lancio
dell’iniziativa (spesso le idee nascono da un progetto condiviso tra amici senza una chiara definizione
dei ruoli e delle risorse il che può portare poi a dissapori tra i soci).

4.1.2 Organigramma
Per una razionale suddivisione del lavoro e per una chiara gestione manageriale occorre una precisa re-
golamentazione dei compiti. Per regolamento si intende l’insieme delle regole scritte e non all’interno
dell’impresa. L’obiettivo dell’organigramma è sia interno, perché evidenzia eventuali incoerenze organiz-
zative, che esterno, perché permette all’osservatore esterno di comprendere la struttura dell’impresa.
La stesura dell’organigramma, e quindi la suddivisione dei ruoli e delle competenze, è fondamentale a
prescindere dalle dimensioni dell’impresa (nelle piccole aziende le organizzazioni sono scarne) per vari
motivi:
 CHIAREZZA: trascrivere il ruolo e le attribuzioni di ognuno permette di evitare equivoci presenti e
futuri
 COMPRENSIONE del sistema-azienda: le funzioni vanno esplicitate e tenute distinte, anche se i
vari ruoli sono ricoperti dal medesimo soggetto; ciò permetterà, in caso di crescita dell’azienda, di
individuare quali funzioni decentrare a personale qualificato.

La struttura dell’impresa può essere espressa in un organigramma in base a una delle seguenti classifi-
cazioni:
1. prodotto/servizio
2. funzione (produzione, vendita, marketing, R&S,...)
28
3. processo
4. clienti
5. area geografica specifica
6. aree di affari
Una volta tracciato l’organigramma aziendale e chiarite le aree di lavoro necessarie all’attività si indivi-
duano numero e profilo delle persone che devono essere impiegate nell’impresa, definendo un piano di
assunzioni nei tempi e nei modi coerenti con lo sviluppo della società.

4.1.3 Motivazione
Per creare coesione e condivisione della mission aziendale, nella gestione del personale occorre tenere
in considerazione la motivazione delle risorse umane, intesa sia come gratificazione professionale sia
dal punto di vista sociale (stima e adeguato ruolo organizzativo), sia economico (adeguati incentivi).
Il piano riporterà però solo il programma di incentivi concordato con chi occupa posizioni chiave
nell’organizzazione. Il programma garantisce infatti, agli occhi degli investitori esterni, che si troveranno
a valutare il progetto, una garanzia della presenza di personale qualificato e dell’esistenza di incentivi af-
finché il personale rimanga all’interno dell’organizzazione.

Gli incentivi interni all’impresa dovrebbero avere le seguenti caratteristiche:


- flessibili: devono tenere conto delle risorse umane e delle attese dei lavoratori; devono essere
dunque definiti in base alle caratteristiche dell’organizzazione e modificabili nel tempo
- chiari: devono essere visibili e riconosciuti a tutti i livelli dell’organizzazione
- condivisi: gli incentivi devono essere “parziali” e estesi a tutti
- realistici: gli obiettivi legati al sistema di incentivi devono essere perseguibili
- esaustivi: gli incentivi devono essere sia monetari che sociali (ad es. promozioni)

Anche in caso di startup è fondamentale sin da subito tracciare un organigramma della nuova società,
specificando ruoli e funzioni, anche se si tratta di funzioni non ancora coperte nelle start up; tutto ciò per
comunicare chiarezza organizzativa. E’ sempre importante che già dai primi passi vi sia massima chia-
rezza di intendimenti tra i fondatori e chi lavora da subito al progetto e anche chi collabora successiva-
mente con un obiettivo di ingresso successivo nel team.

4.2. STRUTTURA

È una parte in cui si indicano:


a. la forma giuridica prescelta per l’azienda
b. tutto ciò che viene dato in outsourcing (collaboratori esterni)
Ed eventualmente tutto ciò che ha a che fare con le licenze.

4.2.1.Forma giuridica
L’imprenditore dovrà decidere la forma giuridica in base ad una serie di considerazione, in particolare al-
le esigenze aziendali che rendano possibile la realizzazione degli obiettivi che l’imprenditore si è dato.
Soprattutto per le nuove attività, la scelta della forma giuridica e un punto molto delicato perché:
a) i rapporti tra i soci vengono messi per iscritto e “sigillati” in un regolamento che il più delle volte
rimarrà inalterato nel tempo → più il regolamento è preciso e chiaro nella definizione delle posi-
zioni ricoperte dai soci, maggiori sono i vincoli e minori sono i rischi di conflitti sociali;
b) gli aspetti fiscali, gli adempimenti amministrativi e la tutela legale variano da una forma sociale
all’altra → occorre esaminare tutti gli aspetti positivi e negativi delle varie opzioni di forma legale,
rivolgendosi a commercialisti e avvocati (costi di sicuro investimento).

4.2.2 Servizi esterni


Si tratta di solito di specificare quali servizi professionali- assistenza legale e fiscale, servizio mensa, pu-
lizie, paghe/contributi, consulenze, ecc- si decide di dare in outsourcing e quanto mi costa darlo
all’esterno.
Gli apporti professionali in merito ad assistenza legale e fiscale sono fondamentali durante la vita
dell’impresa, perché possono aiutare a evitare il dispendio di energie all’interno dell’impresa e a ridurre i

29
rischi legati a errori o omissioni negli adempimenti. Consentono inoltre di adottare politiche gestionali
volte a ridurre il peso delle tasse.
Occorre indicare anche il costo delle assicurazioni- richieste per legge o facoltative- che l’azienda ha
deciso di sottoscrivere a tutela dei beni aziendali.

4.2.3 Licenze
Si trovano nel piano commerciale, mentre nel piano di struttura viene approfondito il discorso: esistenza
e accessibilità di eventuali licenze dell’azienda. In particolare questo paragrafo è volto a chiarire:
- Natura e caratteristiche delle autorizzazioni, elencando le varie licenze che regolano l’attività
prescelta
- Accessibilità delle licenze, esplicitando i requisiti da soddisfare per ottenerle
- Iter di rilascio, ossia tempi medi per l’ottenimento e l’esistenza di altri vincoli (ad es. numero
chiuso di licenze)

Dagli ultimi due punti dipende il grado di accessibilità alle licenze: requisiti molto stringenti e vincoli di ri-
lascio costituiscono barriere all’entrate nel settore, oltre a determinare il valore economico. Il costo di
una licenza dipende infatti dalla somma di due componenti:
◊ una componente intrinseca, data dal valore di mercato (se si tratta di licenze “cedibili”,
◊ una componente esogena, data dal grado di difficoltà per il rilascio della concessione (tempo
speso per l’espletamento delle pratiche, per la ricerca delle informazioni, ecc). Nel bilancio vie-
ne iscritto il valore intrinseco (con l’eventuale aggiunta delle spese esogene dirette, qualora ca-
pitalizzabili).

APPROF.: REGOLAMENTAZIONI A LIVELLO INTERNAZIONALE Nel caso di società che adottano internet
. come canale commerciale, la natura delle loro attività “senza confini” impone problematiche fiscali e legislative che
vanno da subito considerate. Inoltre, la costante evoluzione delle leggi che regolano l’attività in rete richiede il conti-
nuo aggiornamento di questa sezione del piano, oltre che la segnalazione agli utenti di limitazioni od oneri accessori
dell’offerta legati alla disomogeneità di trattamento di beni nel territorio sovranazionale. Questa tematica è stata resa
una problematica dalla costante evoluzione delle leggi che regolano le attività che si sviluppano sulla rete, il che deve
richiedere uno sforzo continuo di monitoraggio da parte dell’imprenditore/manager dei regolamenti naziona-
li/internazionali sulla materia con il conseguente aggiornamento di questa sezione del piano

APPROF.: SOCI E FONDATORI Molte start-up nascono dalla comune visione, unione di capacità e condivisione di
conoscenze di più fondatori: è il percorso naturale di un nuovo progetto che, spesso, nasce dalle idee di una persona
che poi le condivide con amici e conoscenti. Tuttavia questa evoluzione non nasconde dei punti deboli: le capacità
delle persone coinvolte sono spesso sopravvalutate e le risorse non ben distribuite, cosa che può essere fonte di dissa-
pori tra soci. Da qui la necessità di stabilire patti chiari din dall’inizio, ovvero fin dal momento in cui nessuno dei soci
abbia profuso troppe energie nel progetto.

 Quale importanza riveste in genere la sezione dedicata al management e all’organizzazione in un


processo di pianificazione?
 L’organigramma deve essere costruito attorno alle persone o attorno alle funzioni organizzative?
 Perché è importante il tema della motivazione del personale?
 Citate esempi di servizio che sono classificabili come esterne all’impresa.
 Esplicitate il tema delle licenze e delle autorizzazioni nella valutazione di un progetto d’impresa an-
che a livello internazionale.

30
CAPITOLO 5: RISORSE DI FINANZIAMENTO

Determino il piano delle fonti di finanziamento, ossia determino quelle che saranno le risorse finanzia-
rie totali di cui avrò bisogno e la suddivisione di tale fabbisogno finanziario fra capitale proprio (netto) e di
terzi. Per “finanziamento” si intende il totale del capitale investito. Rappresenta il fabbisogno finanzia-
rio (di capitali) che sarà necessario per implementare i piani:
- commerciale
- produttivo
- organizzativo
- di struttura
Tutto ciò che mi occorre per far partire l’attività e farla funzionareQuanto mi costa?
Occorre scegliere il giusto mix di capitale netto e di terzi; la scelta della struttura finanziaria più consona
passa attraverso l’analisi dei seguenti punti:
a. mix delle fonti finanziarie
b. capitale investito
c. fonti interne ed esterne
d. piano di ammortamento e remunerazione del capitale
e. valutazione del credito

5.1. MIX DELLE FONTI FINANZIARIE

La scelta delle fonti di finanziamento (sia di debito sia di rischio) è perseguibile in modo efficace solo a
seguito di un’attenta analisi del business e delle esigenze finanziarie dell’impresa o del progetto
d’investimento. L’imprenditore/manager deve illustrare le forme di finanziamento con cui prevede di so-
stenere la sua attività, sulla base del fabbisogno giudicato necessario. La completa analisi della situa-
zione finanziaria corrente dell’impresa e la definizione della natura dell’attività esercitata consentono di
indirizzare l’imprenditore verso la scelta del canale e della tipologia di finanziamento più appropriati in re-
lazione alla destinazione che assegnerà alle risorse affluite.

5.2. IL CAPITALE INVESTITO

Rappresenta l’ammontare delle risorse necessarie per l’avvio e la gestione corrente dell’impresa: in bi-
lancio esso è espresso dal totale delle attività (o delle passività).
Le macro aree di bilancio sono:
1. attività correnti: liquidità di cassa e depositi attivi di C/C; crediti commerciali di BP; magazzino. Le
prime 2 voci costituiscono la liquidità, il magazzino le disponibilità
2. attività fisse: immobilizzazione; attività immateriali
3. passività correnti: debiti commerciali; finanziamenti di BP
4. passività consolidate: finanziamenti di LP
5. capitale netto: capitale sociale; riserve obbligatorie e non; utile(perdita) d’esercizio

Tale suddivisione permette di comprendere la relazione tra impieghi e fonti. In particolare la natura del
fabbisogno finanziario di un’impresa varia in funzione di:
 ammontare e composizione di: attivo, capitale netto e capitale di debito esistente: occorre di-
stinguere fra
- fabbisogno corrente, dato dall’ammontare delle attività correnti composte da liquidità (tutto ciò
momentaneamente disponibile per far fronte agli impegni di spesa nell’immediato o nel breve pe-
riodo) e disponibilità (si intende l’investimento per costituire il magazzino, ossia il valore dei pro-
dotti finiti, delle materie prime e dei semilavorati).
- fabbisogno strutturale, sono gli investimenti che costituiscono il sistema azienda e la sua struttura,
o meglio attività fisse che comportano un assorbimento di risorse iniziali solitamente molto consi-
stenti; acquisiti tali beni l’impresa è pronta a partire innescando l’avvio della produzione.
 tipologia di attività svolta
 situazione di mercato

31
La situazione finanziaria migliore è quando:
- attività correnti> attività immobilizzate
- Capitale netto> passività consolidate > passività correnti
La differenza fra attività e passività correnti è detta CCN; se questo ha valore negativo l’impresa rischia
l’insolvenza.

La rappresentazione per macro aree è fondamentale perché permette di comprendere la situazione con-
tabile attuale dell’impresa e stabilire le soluzioni ottimali di copertura finanziaria. Un CCN negativo do-
vrebbe essere fronteggiato con un aumento dell’attivo corrente (dismissione di un macchinario o aumen-
to di capitale sociale) o una diminuzione del passivo a breve (ad es. trasformando parte del passivo a
breve in finanziamento di LP). L’acquisto di un macchinario dovrebbe poi essere fatto con capitale di de-
bito di LP perché l’indebitamento a breve determina incertezza nella gestione ed è maggiormente onero-
so. Tuttavia il debito a breve è fondamentale per la sua flessibilità nel fronteggiare il capitale circolante.
Al debito di LP è infine preferibile il capitale netto, perché sintomo di maggiore solidità finanziaria
dell’impresa il manager deve cercare di capitalizzare il più possibile l’impresa. nella composizione del
bilancio occorre però tenere conto dei di 2 fattori esogeni, quali la natura dell’attività esercitata e la situa-
zione del mercato: se ad es. l’impresa opera in un settore “capital intensive” la struttura finanziaria sarà
sbilanciata verso le attività fisse; se inoltre la situazione di mercato è caratterizzata da incertezza finan-
ziaria, gli istituti bancari rilasceranno quasi esclusivamente finanziamenti a breve.
Per un’azienda di nuova costituzione è dunque fondamentale l’analisi delle strutture di bilancio dei propri
concorrenti, per capire le caratteristiche del settore di appartenenza, e l’esistenza di vincoli esogeni
all’autodeterminazione della propria struttura di capitale.

5.3. FONTI DI FINANZIAMENTO

Determinati i fabbisogni di capitale, il manager deve stabilire la struttura di finanziamento distinguendo


tra
5.3.1. Fonti interne
- Capitale Sociale, Utili e Prestito Soci
La più classica forma di finanziamento interno, volta l’incremento della liquidità, è il versamento di quo-
te di capitale da parte dei soci a fronte della costituzione (nuova società) o aumento (società esistente)
di capitale sociale. Anche l’apporto di un bene può contribuire al miglioramento della liquidità
dell’azienda nel caso in cui il bene stesso fosse necessario all’attività ed eventualmente oggetto di
nuovo acquisto. Così l’accantonamento di utili conseguiti nei vari esercizi in una riserva costituisce un
fondo di capitale da cui si può attingere nei momenti di difficoltà finanziaria.
Tuttavia un aumento di capitale effettuato con l’ingresso di nuovi soci comporta una diluzione del capi-
tale sociale con una rinuncia della proprietà esistente al valore di una parte del patrimonio aziendale.
Anche il prestito soci è ancora capitale apportato dai soci, ma rispetto ai versamenti di quote di capitale
non richiede delibera assembleare, non deve per forza essere sottoscritto da tutti i soci; è capitale di
debito e NON di rischio, può essere a tempo indeterminato o avere un piano di ammortamento e può
essere infruttifero o fruttifero.
- L’ingresso delle società di investimento
Nell’ipotesi di ingresso di nuovi soci, c’è la possibilità che l’aumento del capitale sociale sia sottoscritto
da società di investimento (venture capitalist, banche di affari, ecc.). Non mirano ad entrare nella com-
pagine sociale con obiettivi imprenditoriali di lp ma il loro apporto avviene su base speculativa: dopo un
periodo in cui si prevede una significativa crescita del business tali investitori vendono la loro quota
realizzando talvolta profitti consistenti. L’imprenditore deve così cercare di pianificare lo sviluppo
aziendale nelle diverse fasi affinchè non perda eccessive quote sociali in progressive fasi di finanzia-
mento e cercare di raccogliere fondi nei momenti di massimo valore aziendale.
- Modifiche della struttura di bilancio esistente
Serie di azioni che l’imprenditore/manager può attuare con il proposito di creare risorse per la gestione.
che non determinano variazione nell’ammontare del capitale investito (es. da magazzino a cassa).

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5.3.2. Fonti esterne
 Finanziamento commerciale
È il saldo tra crediti concessi ai clienti e crediti ottenuti dai propri fornitori. Tanto maggiore è il credito di
fornitura rispetto al credito concesso ai clienti, tanto più parlo di finanziamento. Il vantaggio di tale fi-
nanziamento sta nel fattore tempo: la dilazione nel pagamento dei fornitori costituisce un risparmio
monetario mentre la dilazione concessa ai clienti un costo. Alcuni strumenti consentono all’impresa di
anticipare le entrate collegate ai crediti commerciali in essere: sconto, anticipazione bancaria, factoring,
accomunate dal fatto di concedere pro-solvendo o pro-soluto (con mantenimento o meno della corre-
sponsabilità dell’azienda in merito alla solvenza del cliente debitore) l’anticipo dei crediti commerciali
scontato di un certo margine di interesse.
 Debiti verso banche e istituti finanziari
Fidi su scoperti di c/c, mutui, finanziamenti su operazioni commerciali (sconto, anticipazione, factoring).
Queste forme di capitale aumentano il rischio imprenditoriale e l’onerosità dell’attività. Una componente
del credito, presente nelle istruttorie di fido è il “collaterale”, ossia una garanzia “esterna” che
l’impresa/imprenditore deve fornire per ottenere i fondi, che viene spesso fatta per avere un maggior
coinvolgimento da parte dei manager/proprietari dell’azienda.
 Collocamenti azionari, obbligazionari e altri titoli
Reperimento di capitali sul mercato finanziario, tramite collocamento di azioni ordinarie o altri strumenti
come le obbligazioni; la differenza sta nelk fatto che le azioni determinano un aumento del capitale so-
ciale, mentre le obbligazioni e gli altri strumenti un aumento delle passività
 Leasing e pagamenti rateali
Tramite il leasing l’azienda ha il vantaggio di poter utilizzare attività fisse- di solito molto costose- pa-
gando un canone iniziale e delle rate periodiche. Vi sono vari tipi di leasing: operativo e finanziario, di
sale and lease back e agevolato: il sale and lease back si ha quando l’azienda vende il bene oggetto
di leasing ad una società finanziaria che a sua volta lo ricede con contratto di locazione; nel leasing
agevolato invece una parte dei canoni periodici è a carico dello Stato che interviene in aree depresse
del territorio. Il vantaggio di questi strumenti è che spesso godono di agevolazioni fiscali
 Fondi pubblici e agevolazioni finanziarie e/o fiscali da leggi speciali
Si tratta di contributi a fondo perduto o comunque a tasso agevolato per lo sviluppo delle imprese
(agevolazioni dirette) o incentivi fiscali (agevolazioni indirette) previste dalla legislazione di ogni paese.
il problema è la scarsa trasparenza sull’esistenza e le caratteristiche di tali agevolazioni.

5.4. PIANO DI AMMORTAMENTO E REMUNERAZIONE DEL CAPITALE

5.4.1. Ammortamento
Questa sezione è dedicata alla presentazione del piano di rientro di eventuali finanziamenti esterni, che
deve essere il più vicino possibile alle possibili richieste dell’erogante. Per determinare il piano di rientro
esistono due metodi alternativi:
 ammortamento a rate costanti (“alla francese”): per ogni rata, quota capitale cresce e quota inte-
ressi decresce nel tempo
 ammortamento a rate decrescenti: le rate sono costituite da una quota capitale costante e inte-
ressi decrescenti, perché applicati su un capitale sempre minore.

5.4.2 Remunerazione del capitale


Sempre nella seconda parte del piano economico-finanziario sono esposti sono esposti gli schemi di
previsione delle vendite e dei costi dell’attività, sia sotto forma di flussi di cassa sia sotto forma di pro-
spetti di conto economico. Si può così determinare il tasso di crescita del valore del capitale (per le
banche d’affari) e di remunerazione dell’azionariato (per investitori di capitale di rischio). Se per le azien-
de di credito è utile allegare un piano di ammortamento dello stimato capitale di debito per chi apporta
capitale di rischio è sufficiente richiamare brevemente in questa sezione del business plan i risultati delle
proiezioni economico-finanziarie, ricordando che il risultato degli investitori comprende due componenti,
una esplicita, determinata dalla distribuzione degli utili, e una implicita, legata alla crescita di valore del
sistema azienda.

33
5.5. VALUTAZIONE DEL CREDITO

Occorre considerare come il piano economico- finanziario sarà accolto dall’istituto erogante; per fare ciò
vi sono diversi strumenti:

a) indicatori di copertura finanziaria: indicatori di bilancio che illustrano l’equilibrio economico- finan-
ziario dell’attività, in termini di capacitò dei cash flow di far fronte all’indebitamento sia per le quote
capitale che per gli interessi.
 autofinanziamento sul debito: rapporto tra debiti finanziari e margine operativo lordo (da interessi e
ammortamenti). Confronta quindi esposizione finanziaria e risorse di autofinanziamento dell’impresa.
 copertura degli interessi: indicatore tra l’utile operativo della gestione e oneri finanziari. Misura la ca-
pacità di far fronte al piano di remunerazione dei capitali presi a prestito da parte
dell’autofinanziamento netto.

b) Modello zeta-scoring:
Somma una serie di indicatori per ottenere un punteggio sulla solidità finanziaria del progetto:
capitale circolante netto/totale attivo: moltiplicato per 1,2
riserve di utile/ totale attivo: moltiplicato per 1,4
utile lordo (ante tasse)/totale attivo: moltiplicato per 3,3
vendite/totale attivo
capitale netto/ totale indebitamento: moltiplicato per 0,6
1. Se la somma > 3, l’azienda gode di una buona performance finanziaria;
2. Se fra 1,8 e 3, esistono dei problemi
3. Se <1,8 l’azienda è a rischio.

c) Modello DRL (Degree of Realative Liquidity)


Nasce nella considerazione che la capacità finanziaria di un’azienda dovrebbe essere misurata conside-
rando neutri i fattori estranei alla gestione corrente, che dovrebbe provvedere unicamente alla genera-
zione delle risorse necessarie a sostenere gli impieghi monetari sottoscritti. In pratica, viene enfatizzata
la disponibilità di fondi generati dalla gestione ordinaria, nel rapporto

DRL = PC/UC

dove PC = CCNi + TO x VVM


PC = potenziale di cassa
CCNi = capitale circolante netto iniziale
TO = Turn-over Operativo = fatturato/[crediti + magazzino x (fatturato/costo del venduto)]
VVM = valore vendita magazzino = magazzino x (fatturato/costo del venduto)
UC = uscite correnti per operazioni normali = FN – (UN + DA + DCCN)
FN = fatturato netto
DA = uscite non liquide (ammortamenti e deprezzamenti)
DCCN = variazioni del CCN

- Se rapporto DRL è >1: il progetto o l’azineda può far fronte ai suoi impegni correnti e di-
sporrà di CCN alla fine del periodo.
- Se <1: l’imprenditore dovrà adoperarsi per attivare nuovi canali di finanziamento.

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APPROF.: GLI INVESTITORI DI CAPITALE E I PARTNER PER LO SVILUPPO
Gli investitori di rischio, ognuno con obiettivi e peculiarità di investimento diversi sono:
a. business angel: investitore con un consistente patrimonio personale, molti contatti e una discreta propensione al rischio,
disposto a investire nelle imprese in fase di avvio con l’obiettivo di ricavare un ingente ritorno sull’investimento. In questa
categoria rientra il c.d. “crowdfunding”, ossia la raccolta di fondi (di solito tramite piattaforme online) da un numero mol-
to alto di soggetti che sottoscrivono lotti predefiniti o meno di capitale
b. venture capitalist: investitori interessati ad aziende che si trovano nelle fasi iniziali del proprio sviluppo, che esprimono
alte potenzialità di reddito e elevato fabbisogno finanziario
c. merchant bank: banche che finanziano imprese di medie e grandi dimensioni, che si trovano in una fase di sviluppo
avanzata; questi istituti erogano ingenti somme di capitale al fine di quotare l’impresa nel BP o vendere le quote ad altre
società
d. incubatori (SEED): società che erogano non un sostegno monetario ma materiale, ad es. ospitando la nuova attività nella
propria struttura o offrendo servizi professionali gratuiti.
Salvo gli incubatori che sono di estrazione pubblica e hanno finalità istituzionale, gli altri investitori entrano nel capitale con finali-
tà di guadagno; ciò che cambia è la fase in cui investono:
SEED (seme): business angel e incubatori subentrano nella fase di avvio, quando si è ancora ad uno stato embrionale, a livello di
idea.
EARLY STAGE: i venture capitalist subentrano nella fase iniziale in cui l’impresa ha già prodotto alcuni risultati (ad es. una dopo
una fase test di alcuni prodotti)
START UP: in questa fase, in cui il progetto/ azienda sono partiti (prime vendite), gli attori sono ancora i venture capitalist
IMPRESA: le merchant bank subentrano quando l’azienda è già a regime.

1. Come si determina un mix di fonti di finanziamento appropriato per un progetto d’impresa?


2. Esplicitate il concetto di capitale investito.
3. Definizione e caratteristiche delle fonti interne ed esterne.
4. Quali sono le tipologie di investitori di capitale e quali ruoli hanno nello sviluppo dei progetti di investimen-
to?
5. Quali sono le varianti di piano di ammortamento dei finanziamenti d’impresa?
6. Com’è possibile quantificare la remunerazione di un capitale investito?
7. Quali sono le tecniche di valutazione dell’affidabilità creditizia di un progetto?

CAPITOLO 6: PIANO ECONOMICO- FINANZIARIO

6.1. IPOTESI ALLA BASE DELL’ESPOSIZIONE DEI DATI

L’imprenditore/manager deve effettuare una serie di stime e di ipotesi al fine di fornire l’analisi quantitati-
va precisa dell’idea imprenditoriale: verificare se sta in piedi dal punto di vista economico- finanziario. Si
tratta di assunzioni alla base delle proiezioni che rappresentano i dati input da cui poi derivano dati in-
termedi e finali. I dati input sono modificabili in ogni momento dall’imprenditori. Questa parte è importan-
te perché consente di fare tutte le proiezioni in termini di cash flow,ecc.
Le assumptions sono valori alla base dei calcoli e si riferiscono di solito a stime relative alle vendite e ai
costi attesi nell’orizzonte temporale considerato. Si tratta di stime, valutazioni effettuate dal management
dell’impresa e quindi non si tratta di variabili predeterminate oggettivamente. Possono essere riferite alle
seguenti categorie di dato:
a. Quantità: quantità prodotte/vendite; stock di prodotto; numero di dipendenti;
b. Valori economici: prezzi di acquisto/vendita;costi industriali;stipendi; spese generali..
c. Dati riferiti al modello di business; fonti di ricavo, voci di costo;
d. Dati di contesto e di trend: inflazione; stagionalità nelle vendite; aliquote di imposta e tasse; tassi
di crescita dei valori;
e. Dati finanziari: capitale versato dai soci; fidi, mutui e oneri finanziari; altre forme di finanziamento;
f. Condizioni commerciali: termini di incasso/pagamento; sconti medi applicati;
Le assumptions si riferiscono sia a parametri endogeni che esogeni (es. inflazione prevista) all’impresa.
Nella sezione del business plan, andranno solo alcune di queste variabili (stimate) di input, in base alla

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loro significatività nella determinazione dei risultati economico- finanziari, ossia all’impatto che cambia-
menti della variabile stessa hanno sul risultato finale della performance.
Spesso i valori assegnati alle assumptions non riflettono i valori attesi dall’imprenditore ma quelli ritenuti
verosimili, per evitare di sovrastimare i ricavi; il rischio è però quello di sottovalutare la redditività del
progetto. La soluzione è quella di esplicitare il grado di prudenza adottato nelle stime e quindi mostrare
la performance in uno scenario maggiormente realistico.

6.2. LOGICA NELLA REDAZIONE DEGLI SCHEMI

Gli schemi economico- finanziari si distinguono per natura economica (determinazione dei costi, dei ri-
cavi e dell’utile atteso), o per natura finanziaria (determinazione dei flussi finanziari).
Il business plan di solito di chiude con la redazione del conto economico, spesso accompagnato dalle
proiezioni di alcuni indicatori di bilancio; in alcuni casi è necessario proseguire l’analisi finanziaria, ossia
quando il business plan è finalizzato a:
 Un’analisi di performance strategica, per comprendere meglio la qualità, oltre che la
quantità dei risultati ottenuti dall’impresa, la fonte della sua redditività e la revisione delle
sue linee di offerta per ottimizzare le risorse investite.
 Una valutazione dell’investimento: occorre esprimere un valore di sintesi all’impresa o al
progetto sulla base dei dati economico- finanziari

Si devono effettuare ipotesi di calcolo, rispondenti a un principio di prudenza nella stima del fabbisogno
di liquidità e di ritorno dell’investimento (assumptions di calcolo).
Per semplificare gli schemi in modo da concentrare i calcoli in un numero di fogli di lavoro il più ridotto
possibile, si accorpano il più possibile gli schemi di calcolo evitando duplicazioni e la creazione di singoli
fogli di lavoro dedicati per ogni singola fonte di ricavo o di costo.

La costruzione degli schemi segue un percorso metodologico che viene qui tradotto in fogli di lavoro se-
quenziali mostrando altresì le interdipendenze tra gli schemi che si registreranno durante la fase concre-
ta dell’elaborazione delle proiezioni economiche.
Per semplificare, evitando un numero eccessivo di fogli di lavoro per i calcoli, si è proceduto ad accorpa-
re il più possibile gli schemi di calcolo evitando duplicazioni.
1. Proiezione delle vendite: si costruiscono le proiezioni delle vendite suddividendo le aree di busi-
ness e le unità di misura dei ricavi (es. quantità x unità vendute). Dopo aver formulato le principali
assumptions alla base dei calcoli si procede con il piano delle vendite, ossia gli schemi dei ricavi (un
foglio di lavoro per ogni schema).
2. Stima analitica dei costi variabili: il piano vendite conduce alla determinazione dei costi diretti ne-
cessari alla produzione degli articoli e/o erogazione dei servizi. Si costruiscono gli schemi che evi-
denziano la variazione dei costi diretti al variare delle quantità prodotte (costo del personale è qui o
più spesso nella fase 4). Si può costruire lo schema di breakeven economico, ossia la soglia dei ri-
cavi che assicurano il pareggio economico della gestione; Determinazione del magazzino: la de-
terminazione dei costi diretti e dell’andamento atteso delle vendite permette di stimare i livelli previsti
di giacenze e programmare così la produzione- in funzione della politica di scorte adottata-.
3. Previsione dei costi di struttura: considerazione dei costi generali come assicurazioni, consulenze
professionali, spese legate al personale,ecc. In caso di “leasing” occorre predisporre un foglio di la-
voro a parte per la determinazione dei canoni di leasing; questo poi, a seconda dell’importanza del
bene in leasing, verrà inserito alternativamente nei “costi di struttura” (in caso di beni di piccola entità
come automobili o attrezzatura d’ufficio) o nella voce “investimenti”( in caso di terreni, capannoni,
ecc).
4. Stesura piano di investimenti: in questa parte si riportano tutti i costi “capitalizzabili” (suscettibili di
ammortamento), ossia le uscite legate agli acquisti di beni materiali e immateriali, spese per avvia-
mento o per il lancio di un prodotto.
5. Costruzione dei cash flow: si costruiscono i flussi di cassa nei periodi in cui si stimano incassi e
pagamenti. Un metodo prudenziale consiste nel considerare le uscite anticipate e gli incassi postici-
pati rispetto a quanto previsto, nell’eventualità di ritardi nelle entrate stimate. La costruzione dei cash
flow permette di evidenziare gli sbilanci di cassi dei vari periodi e di determinare il vero fabbisogno

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del progetto. Per i flussi di cassa si adotta di solito uno schema che contrappone semplicemente i
flussi di cassa in entrata e i flussi in uscita attesi. Fondamentale a questo punto è la “mensilizzazio-
ne” dei flussi di cassa(scomposizione di incassi- pagamenti per mese) perché permette di vedere
l’andamento della liquidità durante tutto il periodo di gestione dell’impresa, evidenziando e preve-
nendo- con le giuste coperture- eventuali picchi negativi di liquidità. Lo schema di contrapposizione
dei flussi segue una medesima struttura generale, nell’ambito della quale, in base alla natura
dell’attività, della sua organizzazione divisionale e della sua complessità, si possono adottare versio-
ni di schema più o - elaborate. La versione generale del prospetto dei flussi di cassa è la seguente

= posizione di cassa iniziale (mese)


+ incassi da ricavi + afflussi di capitale (di rischio/debito) – costi di gestione – investimenti – altre usci-
te (rimborso mutui, distribuzione utili, imposte,...)
= posizione di cassa finale (mese)

A partire da questo schema generale, si possono poi costruire schemi maggiormente analitici; questo
può essere fatto in due modi:
 disaggregando le voci di spesa per natura e raggruppandole per sezioni:
- uscite correnti: costi di produzione di struttura e oneri finanziari
- uscite di capitale: costi ammortizzabili su più esercizi, quali investimenti in immobilizzazioni,
costi di avvio,ecc
- altre uscite: rimborso finanziamenti, imposte, distribuzione utili,ecc
 scomponendo lo schema in sotto-sezioni legate ad aree di business distinte: si evidenzia il
contributo di ogni unità di business alla performance finanziaria totale. Questo percorso ha lo
svantaggio di non considerare le interdipendenze tra le varie aree.
Queste due possibilità non sono alternative, ma possono essere perseguite entrambe a seconda del
grado di approfondimento desiderato.
6. Determinazione del fabbisogno di capitale: si inseriscono gli afflussi di capitale di rischio (e
l’eventuale cassa iniziale in caso di imprese esistenti) per determinare il fabbisogno netto che dovrà
essere coperto con altri apporti sociali o con finanziamenti esterni. Si inseriscono poi le uscite legate
ad ammortamento di capitali di prestito e relativi interessi. E’ possibile determinare il fabbisogno di li-
quidità dell’iniziativa; questo avviene in 2 momenti separati:
- fino al momento in cui inizia l’operatività, ossia l’attività di vendita del prodotto/servizio
dell’impresa. si determinano cioè i costi di liquidità che sono stati resi necessari per avviare il pro-
getto. Il picco negativo del periodo è dato dai Costi di Startup, ossia dai costi che una neo-
impresa sostiene prima di avviare l’attività. Tutte queste voci possono essere procrastinate così
da cercare di avviare l’azienda prima di affrontare esborsi onerosi in fase di avvio; ma ciò dipende
dall’abilità dell’imprenditore. I costi di startup sono fondamentali nella valutazione dei progetti im-
prenditoriale, in quanto assorbono un ingente livello di liquidità. Il loro calcolo viene effettuato uti-
lizzando lo schema di cash-flow, ossia sommando le voci di costo sostenute nei mesi antecedenti
all’avvio delle vendite.
- nel momento di picco negativo più alto- solitamente qualche mese dopo l’avvio dell’operatività,
ossia fino a quando il ciclo positivo del circolante inizia a fare effetto e a produrre liquidità positiva.
Si tratta del valore finanziario più importante perché rappresenta il capitale complessivo necessa-
rio a sostenere l’iniziativa.
Solitamente quindi si procede con l’inserimento delle previsioni di iniezione di capitale di rischio da
parte del management dell’iniziativa. Si parte sempre dal capitale investito dei soci per determinare il
fabbisogno residuale da coprire con altre fonti, tipicamente di debito. Nell’elaborazione del piano di
copertura finanziario con le fonti esterne, si considera che il capitale debba essere superiore di quel-
lo strettamente necessario per coprire la mancanza di liquidità, creando un cuscino di sicurezza nelle
disponibilità di liquidità legate a eventi imprevisti o errati calcoli di previsione economica. Occorre te-
ner presente che i finanziatori spesso negano un secondo finanziamento richiesto in tempi molto
ravvicinati dal primo, in quanto la domanda di nuovi capitali presuppone un errore di valutazione ini-
ziale che può far presupporre a una scarsa professionalità e capacità revisionale dell’imprenditore.
Bisogna anche considerare l’effetto degli interessi e dell’ammortamento.
7. Redazione degli schemi di conto economico: schema dei flussi di cassa si costruisce il conto
economico previsionale, semplicemente correggendo il timing dei ricavi, che nei cash-flow sono tra-

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slati in avanti per tenere conto di eventuali dilazioni di incasso. Una volta stabiliti gli utili (perdite) di
gestione è possibile calcolare le tasse e inserire l’uscita finanziaria del pagamento di tali imposte nel
cash-flow.
8. Costruzione degli Stati patrimoniali: composizione dello SP mettendo in evidenza eventuali indi-
catori di sintesi (ad es. ROI) per monitorare la situazione gestionale.
9. Analisi della perfomance strategica: la performance aziendale potrebbe essere a questo punto
scomposta per aree di affari in modo da mettere in evidenza il contributo il contributo di ogni area di
affari alla perfomance complessiva
10. Il controllo gestionale: completato il business plan e avviato il progetto, l’imprenditore deve verifica-
re l’efficacia della strategia di sviluppo perseguita ed eventuali azioni correttive. Tali analisi passa at-
traverso una valutazione della qualità del piano marketing e del piano commerciale e da una verifica
della performance gestionale in ottica di ottimizzazione delle risorse investite. Tutto ciò viene poi sin-
tetizzato in indicatori gestionali complessivi
11. Valutazione degli investimenti: l’attenzione si sposta sul “valore di ritorno atteso” (o sul “valore di
mercato” degli investimenti), il quale viene determinato tramite una rielaborazione degli schemi eco-
nomico finanziari.
12. Quadro di raccordo: è utile elaborare uno schema di lavoro per la verifica dei calcoli in quanto è
composto da uno schema di conto economico e da prospetti finanziari che ci forniscono una chiave
di lettura differente della variazione della liquidità nei singoli esercizi rispetto ai flussi di cassa previ-
sionali esposti. Il prospetto del cash-flow ripercorre la logica dei flussi di cassa, e ricostruisce la mo-
vimentazione delle poste monetarie attraverso la formazione dell’utile, l’annullamento della variabile
ammortamento (che non comporta variazioni di liquidità), il contributo netto legato al circolante (cre-
diti, debiti e magazzino) e le variazioni di cassa a fronte dell’accensione o rimborso di prestiti e alle
uscite legate a investimenti. Il conto economico invece viene riportato nei suoi valori di sintesi.
L’elemento di raccordo tra i due schemi è rappresentato dall’utile netto.

6.3 PERFORMANCE STRATEGICA

Con la costruzione degli schemi di cash flow, del conto economico previsionale e facoltativamente degli
stati patrimoniali e indici di sintesi, si è concluso il piano economico-finanziario di un business plan. Gli
stessi possono essere periodicamente aggiornati e utilizzati per monitorare l’andamento della gestione.
Ciò sia in termini di azienda nel suo complesso sia nelle sue aree di attività (linee di prodotto, divisione,
zone geografiche servite). Questa scomposizione è utile per avere informazioni più analitiche sulla ge-
stione ma ha il limite di non rilevare le sinergie o le interdipendenze commerciali tra le stesse aree.
Il procedimento corretto sarebbe quello di disaggregare il contributo economico e finanziario delle aree
di business e dunque di ricostruire il cash flow e i conti economici intorno a loro. Rilevare la performance
di un impresa per prodotto o divisione può portare a non prendere in considerazione le sinergie com-
merciali o industriali in quanto un prodotto può risultare in perdita, ma al contempo generare un beneficio
sulla complessiva redditività aziendale.
Per procedere operativamente nella costruzione di questo diverso sistema di valutazione della perfor-
mance, il management farà riferimento alle assumptions contenuto negli schemi di calcolo già redatti,
anche se, occorrerà effettuare delle stime e ipotesi supplementari.
È possibile pervenire alla performance finanziaria oltre che economica delle aree di affari, ossia misurar-
ne il contributo alla liquidità aziendale oltre che alla redditività dell’impresa.

APPROF.: TRATTAMENTO CONTABILE DEL LEASING


Alcune legislazioni civilistiche e fiscali considerano i beni in leasing come beni di terzi “in affitto” e le rate del finanziamen-
to come un impegno al pagamento di canoni periodici, per cui, a livello di bilancio, il leasing viene considerato attraverso
l’esposizione monetaria dell’impegno tra i conti d’ordine (= somma delle rate residue da pagare). In altri Paesi il leasing è
valutato come debito societario e il bene oggetto di leasing andrà quindi iscritto tra l’attivo del bilancio per il medesimo va-
lore del debito; in questo caso le rate del finanziamento onorato nel corso dell’esercizio vanno a diminuire il valore iscritto
1nell’attivo (come un ammortamento).

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APPROF.: L’APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DI PRUDENZA NEI PROSPETTI DI FLUSSO DI CASSA Nel
processo di pianificazione dei cash flow è utile applicare un principio di prudenza, anticipando le uscite e posticipando le
entrate, per evitare periodi di scarsa liquidità. Il rischio è tuttavia quello di redigere un piano troppo “conservativo” e far
accumulare risorse finanziarie in grado di deprimere la redditività del capitale investito. Alcune linee guide potrebbero
essere le seguenti:1. supporre i costi della gestione corrente pagati in via anticipata 2. anticipare le uscite di imposte o altri
pagamenti saldando il relativo ammontare in un’unica tranche 3. considerare gli effetti di ritardo fisiologico negli incassi

APPROF.: L’OBIETTIVO DELLA SEMPLIFICAZIONE DEGLI SCHEMI DI CALCOLO


Se non sono necessari calcoli approfonditi per una determinata area di costo o di investimento è consigliabile passare su-
bito a determinarli nel foglio di lavoro dedicato ai prospetti dei flussi di cassa. Questo permette di semplificare
l’elaborazione dei dati evitando un numero eccessivo di fogli di lavoro.

APPROF.: I SOFTWARE PER LA COSTRUZIONE DELLE PROIEZIONI ECONOMICO-FINANZIARIE Esi-


stono moltissimi software per la costruzione di schemi di proiezione economico- finanziaria, il problema è che non vi so-
no alcune sezioni di calcolo la cui struttura è difficilmente ipotizzabile. I software pronti all’uso rischiano di essere dun-
que troppo flessibili, e quindi troppo generici, non fornendo dettagli di calcolo utili all’imprenditore, oppure troppo ap-
profonditi e specifici e quindi difficilmente adattabili al caso sotto esame.

APPROF.: ORIZZONTE E PERIODICITÀ DELLE PROIEZIONI


L’orizzonte temporale di riferimento per le proiezioni dipende dalla natura del business considerato; tuttavia, salvo al-
cune attività (che richiedono ingenti investimenti in infrastruttura, come le telecomunicazioni) richiedono BP per oriz-
zonti molto lunghi, di solito il business plan ricopre un periodo inferiore- circa 2 o 3 anni- a causa della crescente insta-
bilità di settori e mercati. Per quanto riguarda invece la periodicità delle previsioni è consigliabile la redazione di schemi
mensili per tutto l’orizzonte di analisi in termini di cash flow, e annuali in termini di C.E. e S.P. Le previsioni mensili
per i cash flow permettono di verificare costantemente la disponibilità di risorse per far fronte agli impegni correnti. Per
quanto riguarda i riferimenti temporali le soluzioni sono due:
1. soluzione a numeri (mese 1, 2... anno 1,2...): adottata in caso di analisi di fattibilità di un’iniziativa espressa in
termini generici senza che l’avvio del progetto sia vincolato a scadenze.
2. riferimento esatto a mesi e anni: adottata in caso di progetto già avviato o vi siano scadenze precise per il lancio;
oppure in caso di business con andamento stagionale

1. Qual è la funzione delle ipotesi dalla base dei calcoli? Quale scenario occorre prevedere in ipotesi di reda-
zione delle stime?
2. Descrivete la sequenza suggerita dal capitolo nella redazione degli schemi previsionali.
3. Quale è l’estensione temporale ideale delle proiezioni nella pianificazione di un progetto imprenditoriale?
4. Cosa sono i dati di input e per cosa di contraddistinguono.
5. Elencate le aree di cui si compone uno schema di cash-flow.
6. Come si applica il principio della prudenza nella costruzione delle previsioni finanziarie.
7. Da cosa sono dati i costi di start-up?
8. Come si determina il fabbisogno ultimo di liquidità dell’iniziativa?
9. Quali sono le metodologie contabili di trattamento del leasing?
10. Cosa è e in cosa si differenzia un’analisi di performance strategica da un’analisi di performance aziendale
per prodotto o divisione?

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CAPITOLO 7: DAL PIANO ALL’AZIONE

7.1 ATTIVITA’ PER L’IMPLEMENTAZIONE DEL PIANO

Comunicare il piano
Per partire con l’implementazione del piano il primo passo è quello relativo alla estensiva comunicazione
del progetto, delle fasi e degli obiettivi che sono stati determinati dal management. La spiegazione deve
essere chiara diretta e consente un allineamento dei membri dell’organizzazione verso medesimi obiet-
tivi, non solo durante la presentazione, ma anche come guida da consultare durante tutto il periodo inte-
ressato.

Strutturare l’organizzazione
Per strutturare coerentemente l’organizzazione l’imprenditore deve:
- redigere un organigramma, ossia uno strumento di lavoro che consente di avere una visione or-
ganica delle persone e delle loro funzioni;
- descrivere i ruoli e i compiti di ciascun membro (job description), suddividendo in genere le attivi-
tà per natura e/o per area di business. È un passo molto delicato in quanto bisogna tenere in
considerazione una moltitudine di fattori tra cui le caratteristiche e attitudini delle persone, le loro
aspirazioni, le esigenze dell’azienda e il suo piano di sviluppo. Nelle start-up talvolta si ricorre a
società o professionisti esterni che, magari per periodi temporanei, si incaricano di gestire una
parte delle attività aziendali.
- redigere le procedure operative che consentono il coordinamento delle attività da svolgere su ba-
se ricorrente. Consente di massimizzare il coordinamento interno e la chiara suddivisione delle
attività da svolgere tra le persone dell’organizzazione.
L’imprenditore ha quindi verificato l’eventuale insufficienza di organico, con la presenza di vuoti organiz-
zativi che l’impresa o la nuova iniziativa deve coprire avviando così, nei modi e nei tempi stabiliti dal pia-
no, l’eventuale selezione di nuovo personale per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Assegnare obiettivi
Occorre specificare alle persone dell’organizzazione gli obiettivi che, singolarmente o in team, devono
raggiungere. Si tratta oltre a obiettivi di performance anche di programmi e compiti operativi. Bisogna
prestare attenzione che le attese individuali siano coerenti con quelle dell’impresa: è fondamentale il si-
stema di ricompense individuali e di team (non solo economiche ma anche di gratificazione immateriale
come riconoscimenti personali) quale leva motivazionale alla base dei comportamenti organizzativi pro-
pedeutici al successo del percorso imprenditoriale.

Funding
A questo punto l’imprenditore deve assicurarsi i fondi, attraverso l’apporto di capitale proprio o di debito,
o anche solo mediante l’apertura di linee di credito. In genere gli esborsi sono sempre superiori alle atte-
se, tuttavia, dovrebbero sussistere sufficienti margini di liquidità (principio prudenza) da poter essere
confidenti nella sostenibilità dei flussi finanziari del progetto. È meglio rallentare il progetto e non partire
con gli investimenti se non si ha la certezza assoluta dell’intera disponibilità di capitale necessario.

Avviare gli investimenti


La società, qualora non esistente, viene costituita e l’imprenditore può avviare gli ordini (macchinari) e
affrontare anche i necessari investimenti in comunicazione, dal materiale interno alla promozione ester-
na.

Entrare sul mercato


L’azienda è considerabile in fase di attività preliminari sino a quando non ha avviato le vendite (punto di
soglia) ed emesso la prima fattura; solo dopo diviene operativa e l’organizzazione si trova nello stadio di
start-up.

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Monitorare la performance
L’impresa deve assicurarsi strumenti di rilevazione della performance (sia contabile che industriale) e di
indicatori in grado di esprimere una sintesi dell’andamento imprenditoriale. Si raccolgono periodicamente
i feedback e si passa alla loro sistematizzazione in un unico sistema di reporting.
Grazie a conferme o meno di determinati risultati e del loro trend, il management può iniziare a com-
prendere il contributo delle linee di azione intraprese alla performance imprenditoriale ed effettuare le
prime valutazioni dell’adeguatezza del piano in atto, al fine di comprendere se siano necessarie eventua-
li correzioni al piano redatto. Ovviamente, il processo di adeguamento non deve essere prematuro a
meno che il contesto non imponga correzioni di rotta non procrastinabili (sistema dinamico).

1. Da dove partite per lasciare un piano finora sulla carta e avviare le attività?
2. Elencate le fasi più o meno sequenziali delle attività da compiere per concretizzare un piano programmati-
co di investimento.
3. Come coinvolgere il personale e individuare le persone chiave?
4. Descrivete la relazione tra obiettivi aziendali e obiettivi personali, e l’importanza della condivisione
dell’organizzazione su obiettivi comuni.
5. Una volta partiti, come monitorare la performance ottenuta?

CAPITOLO 8: CONTROLLO GESTIONALE

Il piano è stato redatto, è stato presentato, si sono avuti i fondi necessari allo sviluppo del progetto e si è
partiti con la fase operativi. L’imprenditore/manager deve assicurarsi un sistema di controllo della per-
formance; l’ordinaria gestione fornisce di risultati in grado di segnalare l’andamento, ma non forniscono
un quadro esauriente di indagine. È cosi necessario passare ad un’analisi in grado di rilevare i vari tipi di
risultato (liquidità, ciclo commerciale, indebitamento, redditività) e di fornire indicazioni sul diverso contri-
buto apportato dalle varie attività di gestione dell’impresa.

8.1 COSTITUZIONE DI UN SISTEMA DI CONTROLLO

L’imprenditore/manager si deve dotare di un sistema di controllo che verifichi la validità delle azioni in-
traprese, consentendo una riformulazione del piano strategico o operativo in caso si rilevino insoddisfa-
centi livelli di performance. Questo tipo di indagine manageriale si compone di strumenti disomogenei, di
natura qualitativa e quantitativa, che utilizzano tecniche di osservazione differenti:
- Criterio di indagine: il controllo dovrebbe essere implementato seguendo i livelli di pianificazione
strategica e le aree della pianificazione operativa.
- Natura del controllo: qualitativi o quantitativi, a seconda che la performance sia quantificabile
numericamente (fatturato, costi amministrativi) o meno (soddisfazione del personale, qualità dei
prodotti)
- Livello di indagine: l’impresa; le aree di affari; il prodotto/servizio
- Tipologie: il sistema di compone del controllo operativo (legato ai risultati delle azioni gestionali
correnti) e del controllo economico-finanziario (valuta la performance reddituale e di equilibrio fi-
nanziario).
- Controllo operativo:
a) Controllo costi (verifica efficienza gestione e validità struttura di business adottata);
b) Controllo qualità (indaga su coerenza processi esistenti alla erogazione ottimale di prodot-
ti/servizi);
c) Controllo commerciale (misura l’andamento delle vendite e le qualità dell’output aziendale).

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8.2 CONTROLLO COMMERCIALE

L’imprenditore segnalerà gli strumenti di indagine commerciale disponibili, descrivendo le aree e le tec-
niche di analisi, la frequenza di rilevazione, le fonti e la qualità dei dati, e infine le risorse dedicate. Tutta-
via almeno ai fini interni, sarà utile schematizzare i collegamenti tra natura di informazioni acquisite e lo-
ro utilizzo ai fini correttivi/migliorativi della politica commerciale. L’indagine può essere:
1. Qualitativa  il ritorno informativo: flusso di informazioni di natura essenzialmente qualitativa che
vengono dai distributori, dalla rete vendita, dal centro di assistenza o dagli stessi clienti (es.
commenti sul prodotto, lamentele sul servizio, ecc.). l’imprenditore deve pianificare attività di mo-
nitoraggio qualitative oltre che quantitative e indicare eventuali strumenti di raccolta e classifica-
zione delle informazioni.
2. Quantitativa  il controllo del budget: consente di tradurre le stime contenute nelle proiezioni in
piani operativi di conto, quindi di assistere l’attività corrente d’impresa, ma anche di disporre di
una base di confronto con i risultati ottenuti. Il controllo si attua si tre livelli di analisi consequen-
ziali: il costo dell’iniziativa commerciale, la crescita di fatturato imputabile alla stessa, e infine la
determinazione del profitto dell’investimento di marketing; più che di profitto si dovrebbe parlare
di margine, detraendo dal valore dell’incremento delle vendite conseguito in un’area di affari le
spese sostenute per realizzare l’incremento stesso.In relazione a questo, i costi di marketing si
distinguono in specifici (imputabili all’area di affari) e comuni (riferiti a due o più aree)

8.3 CONTROLLO ECONOMICO-FINANZIARIO

Si basa sui valori contenuti nei bilanci di esercizio e negli schemi di riclassificazione economico-
finanziaria predisposti dal management. Proprio attraverso il rapporto fra valori contabili si costruiscono
gli indici di bilancio.

8.3.1 Indicatori di Liquidità


a) Liquidità primaria (o quick ratio): segnala la capacità dell’azienda di onorare nel brevissimo pe-
riodo le scadenze nei pagamenti. Isola l’effetto del peso delle scorte nel rapporto tra attivo e pas-
sivo correnti : (Attività Correnti – Magazzino)/Passività Correnti

b) Liquidità Secondaria (o current ratio): se negativo indica uno squilibrio nella struttura di bilancio:
azienda rischio di trovarsi in una situazione di illiquidità (minata capacità di far fronte ai pagamen-
ti): Attività Correnti/Passività Correnti

 VELOCITÀ DI EROSIONE DEL CAPITALE: chiamato anche “cash burn rate”, esprime l’assorbimento
della liquidità da parte della gestione dell’impresa in termini di tempo. È espresso in numero di mesi:
N. Mesi = disponibilità liquide/flusso di cassa medio mensile

Per disponibilità liquide si fa riferimento alle risorse monetarie a disposizione, mentre per flusso di cassa
medio mensile si intende il saldo tra entrate e uscite mensile registrato negli ultimi mesi è previsto nei
mesi a venire. In genere il flusso di cassa medio mensile tiene conto sia degli assorbimenti per la gestio-
ne corrente che dei flussi negativi previsti per investimenti.
Sono escluse le uscite effettive e ricorrenti che un’impresa stima di dover sostenere nel futuro e valgono
le seguenti cautele:
 Qualora queste voci impreviste siano statisticamente frequenti, meglio accantonare una quota
mensile della loro media per evitare una stima errata del tempo realmente a disposizione
 Qualora simili costi straordinari, siano effettivamente una tantum, ma allo stesso tempo di impor-
to rilevante.

8.3.2 Indicatori del ciclo commerciale


Rileva il livello di efficienza dell’azienda nella gestione delle attività tipiche (vendite, acquisti e scorte).
a) Indice di Rotazione dei crediti: è un indicatore delle politiche di vendita aziendali con riferimento
al periodo medio di incasso dei crediti:
(Crediti Netti/Vendite) x 360
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b) Indice di Rotazione del magazzino: è un indicatore del periodo medio di giacenza delle scorte:
(Magazzino/Vendite) x 360
c) Indice di rotazione dei debiti commerciali: è un indicatore del periodo medio di pagamento dei
fornitori, dato dal seguente rapporto:
(Debito vs fornitori/Acquisti di beni e servizi) x 360

8.3.3 Indicatori di indebitamento


a) Indice di indebitamento (debit ratio): indica il peso del capitale di prestito sul totale
dell’investimento
Totale indebitamento*/Capitale investito**
*totale passivo di bilancio detratto il capitale netto
** totale attività

b) Rapporto debiti/Capitale netto (debt equità ratio): ci dice la fragilità o solidità del capitale di
un’azienda
Totale indebitamento/Capitale netto

c) Indice di indebitamento di lungo periodo (long term debt ratio): è un utile indicatore della corretta
composizione del capitale di debito in relazione all’investimento effettuato.
Passività Consolidate/Totale attivo

8.3.4 Indicatori di redditività


a) ROI (redditività del capitale investito): misura la capacità dell’impresa di remunerare il capitale
complessivo, di debito e di rischio. Inoltre evidenzia il ritorno “operativo” dell’investimento del ca-
pitale, a prescindere della provenienza delle risorse investite e dunque, dal loro costo.
Reddito Operativo/Capitale Investito

b) ROE (redditività del capitale proprio): è quoziente che esprime il tasso di redditività conseguito in
un determinato esercizio dai possessori di capitale di rischio.
Risultato Netto/Capitale netto

Rileva la performance di tutte le aree gestionali:


- Gestione Operativa: suddivisa a sua volta in
 caratteristica e/o tipica: relativa alle attività cui istituzionalmente l’azienda si dedi-
ca, nel ripetitivo processo di acquisizione-trasformazione-vendita;
 accessoria: include tutte le attività di investimento di carattere finanziario e patri-
moniale non necessarie al processo produttivo.
- Gestione Finanziaria: anche questa è considerata accessoria, ma a differenza di quella
operativa, è relativa ad attività di finanziamento (no investimento).
- Gestione Straordinaria: sono incluse le voci di costo e di ricavo attinenti a operazioni non
ripetitive nel tempo.
- Gestione Fiscale: rappresentata dal carico fiscale relativo alle imposte dirette sul reddito.
APPROFONDIMENTO: INDICATORI DI PERFORMANCE DELLE ATTIVITA BASATE SUL WEB Grazie alla natura in-
formatizzata dei business, è la stessa infrastruttura tecnologica a gestire la raccolta dei dati di mercato in modo automatico e in
tempo reale. L’importanza delle informazioni di ritorno da parte degli utenti consiste proprio nella loro utilità spesso trasversale
alle varie aree del marketing mix: l’imprenditore che sappia fare sapiente uso dei feedback migliorerà, oltre alle azioni correnti
del mercato, anche lo stesso processo di pianificazione, promuovendo le azioni necessarie a creare una costante aderenza tra of-
ferta e consumo.
Il problema è che, dal punto di vista statistico, i mezzi tecnologici sono in grado di estrapolare un numero illimitato di dati, ma
non sempre l’imprenditore/manager è in grado di sfruttarne pienamente il valore informativo: egli deve quindi sempre chiarire
non le fonti quali/quantitative ma quelle che saranno effettivamente utilizzate e con quale scopo di indagine.
a)
1.Quali sono gli elementi da considerare nella costruzione di un sistema di controllo?
2.In che cosa consiste il controllo commerciale?
3.Attraverso quali strumenti è possibile rilevare il controllo economico-finanziario?
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