Il modello più usato per effettuare un’analisi strategica, o meglio, una distinzione tra l’ambiente
esterno e quello interno è la SWOT ANALYSIS, che classifica i fattori che potenzialmente potrebbero
influire sulla strategia in 4 categorie: punti di forza, punti di debolezza (che si riferiscono all’ambiente
interno) e opportunità e minacce (che si riferiscono all’ambiente esterno). È un modello usato
nell’applicazione della strategia di business, che ha il compito di determinare come l’impresa dovrà
impiegare le proprie risorse nell’ambiente di riferimento per arrivare ai suoi obiettivi. I LIMITI
dell’analisi SWOT sono rappresentati dalla difficoltà che il modello ha nel distinguere le forze dalle
debolezze e le opportunità dalle minacce in quanto, in alcuni contesti, un fattore interno può essere sia
un punto di forza che di debolezza: ecco perché sarebbe preferibile limitarsi ad una classificazione in
fattori interni ed esterni semplicemente.
Indicando col termine STRATEGIA lo strumento utilizzato per pianificare le modalità attraverso le
quali un’azienda può raggiungere i fini e gli obiettivi prefissati, definendo le linee d’azione e le risorse
necessarie e quelle disponibili, possiamo distinguere diversi approcci, ma due sono particolarmente
importanti e sostenuti da due diverse scuole di pensiero:
STRATEGIA REALIZZATA: è quella strategia che viene effettivamente messa in atto, e solo in
parte è correlata a quella deliberata.
Spiegare come si articola l’analisi dell’ambiente nel processo di definizione della strategia.
L’ambiente può essere inteso come il contesto socio-economico all’interno del quale l’impresa è
chiamata a svolgere le sue funzioni. L’AMBIENTE può essere scomposto in due contesti:
MICRO-AMBIENTE: è definito dai mercati con cui l’impresa attua lo scambio delle risorse (in
entrata e in uscita). Tale ambiente, in funzione delle differenti transazioni attivate, può essere a sua
volta scomposto in:
AMBIENTE TRANSAZIONALE: il tipo di risorse per le quali ricorrerà al mercato, attivando
delle transazioni, dipenderà dalle comparazioni di convenienza tra il produrre all’interno i materiali e
i componenti da utilizzare per la produzione dei beni e il procedere al loro acquisto dall’esterno. È
chiaro che più le strategie si orienteranno verso la prima soluzione, più si dilateranno i confini della
sua organizzazione e crescerà il grado di autonomia dell’impresa dal mercato delle forniture.
Viceversa, più si farà ricorso al mercato, più si amplierà l’ambiente transazionale con il quale dovrà
intessere le sue relazioni di scambio.
AMBIENTE COMPETITIVO: dipenderà dalla scelta delle porzioni di mercato (segmenti e
nicchie) a cui cedere i beni e i servizi prodotti. All’interno di tale ambiente vi saranno stakeholder a
cui l’impresa dovrà rivolgersi per attingere delle risorse o per cedere dei prodotti. Questi soggetti o
istituzioni, a loro volta, si raggrupperanno in categorie, originando dei distinti mercati, con i quali
l’impresa dovrà attivare un sistema di scambi: mercato del lavoro, della produzione, finanziario, di
vendita.
MACRO-AMBIENTE: è regolato da una serie di condizioni politiche, legislative, tecnologiche,
demografiche, istituzionali, sociali, culturali ed economiche che determinano il sistema di vincoli-
opportunità entro cui dovrà trovare sviluppo l’attività aziendale. Un qualsiasi cambiamento del
macroambiente può avere un diverso impatto sull’azienda in base al quale i manager devono
studiare la strategia più adeguata al fine della creazione di valore.
Stima dei FC: ciascuna strategia prevede la valutazione delle entrate/uscite dei FC.
Analisi delle implicazioni di ciascuna strategia sul costo del capitale: se una strategia implica
maggiori spese di capitale aumenta il tasso sul debito e anche il costo delle sue azioni.
Selezione della strategia che genera il VAN maggiore: occorre confrontare le strategie con il
metodo del VAN scontando i FC ad un adeguato costo del capitale; tale metodo, tuttavia, comporta
delle difficoltà nella previsione dei FC di una specifica strategia. Comunque, questo è il primo
passo per comprendere i fattori che determinano il profitto di un’impresa in modo da poter
selezionare quella strategia che offre le migliori prospettive di massimizzazione dei profitti anche
se sono difficilmente qualificabili.
Vision: la vision consente di tracciare la rotta dell’impresa e di dare un senso alle azioni di ciascun
collaboratore. La vision deve essere associata a ipotesi concrete e dimostrabili e alla capacità di
essere comunicata in modo trasparente e facile. In questo modo i collaboratori accetteranno i valori
che la vision richiede, potranno identificare e apprezzare il proprio ruolo in azienda, migliorare le
proprie competenze, saranno invogliati ad assumersi responsabilità e parteciperanno alla creazione
dell’intelligenza emotiva aziendale.
Mission: la mission è la ragion d’essere di un’azienda e deve essere pensata dalla leadership in
modo che ciascun collaboratore, pur con diversi gradi di approfondimento, sia in grado di dare
risposte precise relativamente alla ragion d’essere dell’impresa, ai suoi valori, ai suoi clienti, ai
suoi prodotti e alle sue priorità strategiche. La leadership deve assicurarsi che la mission aziendale
soddisfi i seguenti requisiti: sia enunciata in modo chiaro e visibile, contenga le regole
fondamentali della vita aziendale, sia rispettata da tutti e tenga conto della soddisfazione dei
collaboratori.
Tali fattori possono essere determinanti per gli effetti sulle opportunità e le minacce che l’impresa si troverà
ad affrontare in futuro. È importante determinare l’impatto che tali fattori producono sul settore in cui l’impresa
opera.
Discutere l’analisi di attrattività di un settore.
La premessa alla base dell’analisi di settore è che il livello di redditività non è né casuale, né derivante
da connotati specifici del settore, ma è determinato, almeno in parte, dall’influenza sistematica della
struttura del settore.
Dagli studi di economia industriale si evince che la struttura del settore guida il comportamento
competitivo e ne determina la redditività. Tali studi fanno riferimento a due teorie contrapposte:
TEORIA DEL MONOPOLIO: un’unica impresa protetta da barriere all’entrata di nuovi attori
costituisce un MONOPOLIO (dispone dell’intero ammontare del valore creato).
CONCORRENZA PERFETTA: molte imprese fornitrici di un prodotto identico che non hanno
restrizioni all’entrata o all’uscita del settore determinano la CONCORRENZA PERFETTA.
Pertanto, l’impresa è incentivata ad entrare in un settore quando questo presenta un elevato tasso di
sviluppo. Potremmo dire che i fattori che determinano l’attrattività di un settore sono tre:
Il valore del prodotto/servizio percepito dai clienti dev’essere in grado di far ottenere un profitto
all’impresa;
Il potere contrattuale dell’impresa nei diversi stadi della catena del valore dev’essere alto.
Analizzare gli elementi che definiscono i limiti del modello delle cinque forze competitive.
Lo schema di Porter è stato costantemente soggetto a critiche in quanto presenta molta STATICITA’
poiché considera il settore una struttura stabile, quando invece la concorrenza è un processo dinamico
che modifica il settore. Inoltre tale modello è incapace di considerare le interazioni competitive tra le
imprese.
Sostanzialmente i LIMITI di tale modello sono sei:
Ipercompetizione: non si considerano gli ambienti settoriali caratterizzati da manovre competitive
intense e veloci, in cui i concorrenti devono muoversi rapidamente per avere un vantaggio
competitivo rispetto agli altri.
Risorse: non bisogna guardare le imprese come produttrici di beni e servizi, ma come dotate di
risorse (capacità e competenze).
Teoria dei giochi: è importante per capire le condotte competitive e individuare le scelte ottimali.
Aiuta a sviluppare una mentalità strategica e consente di allocare le decisioni strategiche e di
facilitare l’approccio decisionale.
Alleanze strategiche: in seguito all’economie di varietà, per mantenere il passo con l’innovazione
è necessario collaborare con altri soggetti (joint venture), crearsi intorno una rete di relazioni e
conoscenze.
Knowledge management: gestione delle conoscenze, concerne i processi attraverso i quali le
organizzazioni creano valore a partire dalla conoscenza e si occupa soprattutto dell’apprendimento
dell’organizzazione de della gestione della proprietà intellettuale.
Co-opetition: il modello di Porter considera le relazioni interaziendali come competitive per
natura, mentre invece la co-opetition è il riconoscimento del carattere dualistico, competitivo e
concorrenziale delle relazioni tra imprese. Il desiderio di allearsi e cooperare per le imprese implica
un maggior vantaggio competitivo, nonché l’accesso in nuovi mercati.
Le RISORSE UMANE sono i servizi produttivi che il personale rende all’impresa sottoforma di
competenze, conoscenze, capacità di analisi e di decisione. L’insieme delle risorse umane viene
definito “capitale umano” e rappresenta la maggior parte del vantaggio competitivo dell’impresa. Gli
ambiti di rilevanza delle risorse umane sono quattro:
Lavoro in team: la capacità dei lavoratori di armonizzare il rispettivo impegno e di integrare le
competenze individuali dipende dal contesto organizzativo in cui essi collaborano. Generalmente
si tende a prediligere il lavoro di gruppo.
Raggiungimento degli obiettivi: tutto quello che abbiamo detto è fondamentale al fine di ottenere
il raggiungimento degli obiettivi che l’impresa si era prefissata.
Le risorse sono i beni produttivi posseduti dall’impresa. Possiamo distinguere tre tipologie di risorse:
Tangibili: sono quelle più facili da valutare e identificare e comprendono le risorse finanziarie e/o
quelle fisiche.
Cultura: si intende la cultura aziendale che dev’essere aperta e orientata alle innovazioni.
Umane: comprendono tutti quei servizi produttivi che i dipendenti e i dirigenti manifestano
all’interno dell’impresa, sottoforma di competenza, conoscenza, capacità di analisi, decisione e di
comunicazione.
Le imprese che dimostrano le migliori competenze non sono necessariamente quelle che possiedono
le maggiori dotazioni di risorse. Secondo Hamel e Prahalad la principale determinante delle
competenze di un’impresa non è l’ammontare delle risorse di cui dispone ma la sua capacità di
utilizzarle nel modo più efficiente. Ciò è possibile facendo convergere le risorse su pochi obiettivi
coerenti e chiaramente ben definiti, focalizzando gli sforzi di ogni gruppo su singole priorità e
indirizzando l’impegno sulle attività che hanno l’effetto più incisivo sul valore percepito dai clienti.
Infine, si potrebbero conservare le risorse attraverso il loro reimpiego in differenti prodotti. Ciò è
possibile anche attraverso accordi di partnership con altre imprese (joint venure).
Descrivere le caratteristiche che risorse e competenze devono possedere affinchè sia possibile
mantenere nel tempo il vantaggio competitivo acquisito.
Affinché una risorsa o una competenza possa determinare un vantaggio competitivo deve avere le
seguenti caratteristiche:
Durata:le risorse e le competenze si rigenerano nell’uso anziché consumarsi come gli altri
fattori produttivi. Più le risorse durano nel tempo e maggiore sarà il vantaggio competitivo
perseguibile. I rapidi cambiamenti tecnologici tendono ad accorciare la vita utile degli
investimenti durevoli. Solo la REPUTAZIONE può mostrare una grande resistenza al passare
del tempo, salvo che non venga macchiata da atti di disonestà e incapacità.
Trasferibilità: permette alle imprese di acquisire le competenze e le risorse acquistandole da
altre imprese. Se un’impresa rivale può acquistare le competenze e le risorse che sono fonte
del vantaggio competitivo per un’impresa di successo, allora quest’ultima avrà breve durata.
Alcune risorse sono facilmente trasferibili ed acquistabili senza difficoltà, altre, invece, non
lo sono in quanto specifiche di una determinata impresa oppure perché se trasferite perdono il
loro valore. I fattori che rendono non trasferibili delle risorse sono:
Non mobilità geografica.
Incompletezza delle informazioni, soprattutto per quanto concerne le risorse umane.
Complementarietà delle risorse che fa si che la separazione della risorsa dal suo contesto ne
determini una perdita di valore.
Capacità organizzative in quanto basate su risorse che lavorano in team che risultano essere
meno mobili rispetto alle risorse prese singolarmente.
Replicabilità: sono replicabili perché sono generate e rigenerabili con sempre maggiore
efficacia ed efficienza al crescere del loro impiego.
C’G= G+C’T*N
N
N’ N’’
Dove:
N= numero applicazioni locali
Ci= costo iniziale per lo sviluppo
F= costo di replicazione per ciascuna tecnologia
Cu= sviluppo innovazioni locali
Cg= costo totale della conoscenza generale
Ct= costo totale della conoscenza locale
La varietà conviene se: costo (n’+n’’)< [costo (n’)+costo (n’’)]
Tale diagramma viene utilizzato dalle imprese per valutare la propria posizione nel settore rispetto alle
risorse e competenze centrali e valutare, quindi, la strategia da attuare. Le due dimensioni sulle quali
il diagramma viene costruito sono:
Forze relative: cioè i punti di forza e di debolezza nel confronto con i concorrenti.
Importanza strategica: risorse e competenze più importanti per avere un vantaggio competitivo
duraturo.
Combinando tali variabili avremo una matrice 2x2 così strutturata:
FORZA RELATIVA
Vantaggi superflui Punti di forza
Zona di non rilevanza svantaggi
IMPORTANZA
STRATEGICA
In base a tali 2 dimensioni si individuano 4 aree critiche in cui l’impresa può posizionarsi:
Vantaggi superflui: si trovano in esso i punti di forza superflui, cioè quelle competenze nelle quali
l’impresa è forte, ma non sembrano essere fonte di vantaggio competitivo, poiché hanno bassa
importanza strategica in quel settore.
Punti di forza: sono i punti di forza essenziali. Il compito fondamentale dell’impresa è quello volto
ad impiegare questi punti di forza in modo più efficiente.
Svantaggi: sono i punti di debolezza critici, relativamente a questi punti l’impresa dovrebbe
colmare il divario di risorse investendo in risorse e competenze nelle quali è in posizione di
svantaggio nei confronti dei principali concorrenti.
Analizzare il ruolo delle fonti di cambiamento, interne ed esterne, nella creazione di un vantaggio
competitivo.
Il vantaggio competitivo è la capacità delle imprese di superare gli avversari nel raggiungimento del
suo obiettivo primario che è la redditività. È possibile che il vantaggio competitivo non si manifesti
sottoforma di redditività superiore, in quanto l’impresa può rinunciare ai suoi profitti annuali per
investire in quota di mercato, tecnologia o per la valorizzazione dei suoi dipendenti. La differenza tra
imprese in termini di competitività si crea in virtù di fattori di cambiamento che possono essere
INTERNI ed ESTERNI.
Cambiamenti esterni: i fattori esterni hanno effetti diversi da impresa ad impresa a causa del loro
posizionamento strategico. Questi fattori sono:
Quanto più l’ambiente settoriale è turbolento e quanto maggiori sono le differenze nelle risorse e
nelle competenze delle imprese, tanto maggiore è la dispersione di redditività nel settore. Il
vantaggio competitivo che deriva da fattori esterni di cambiamento dipende anche dalla capacità
dell’impresa stessa di rispondere al cambiamento (prima mossa). Quando un settore si evolve
lungo il ciclo di vita cambiano i bisogni dei consumatori e le imprese devono adeguare le loro
strategie (flessibilità di risposta: richiede che un’impresa sia capace di orientare rapidamente le
risorse per adeguarsi ai cambiamenti delle condizioni esterne).
Cambiamenti interni: sono generati dall’innovazione. Questa non solo determina il vantaggio
competitivo, ma fornisce una base per rovesciare il vantaggio competitivo delle altre imprese. Le
strategie innovative comportano nuovi approcci per concorrere in un settore. L’innovazione
richiede immaginazione, intuito e creatività piuttosto che un’analisi in senso deduttivo. L’elemento
fondamentale nella formulazione di strategie innovative è l’identificazione di un punto di forza
dell’impresa e di una manovra che sfrutti al massimo le risorse e le competenze relative.
Quanto più questi meccanismi di isolamento sono efficaci, tanto più a lungo può essere difeso il
vantaggio competitivo dell’impresa innovativa, dall’attacco dei rivali. Per individuare le fonti dei
meccanismi di isolamento, occorre esaminare il processo di imitazione competitiva:
Dissuasione: l’impresa può eludere la concorrenza indebolendo gli incentivi all’imitazione. Cioè,
se un’impresa riesce a convincere i rivali che imitandola non avranno nessun ritorno economico,
si potranno evitare sfide competitive. Un elemento dissuasivo è la REPUTAZIONE. Un’impresa
può scoraggiare i rivali anche ponendo in essere azioni PREVENTIVE le quali avranno un esito
positivo se il mercato è piccolo e se chi fa la prima mossa ha un accesso privilegiato
all’informazione, ponendo i rivali in una situazione di svantaggio.
Diagnosi: l’impresa deve comprendere le basi del vantaggio competitivo registrato da un’altra
impresa, anche se molto spesso riuscire a capire la reale fonte di vantaggio competitivo risulta
difficile anche per l’impresa stessa.
La matrice analizza tre strategie relativamente a due dimensioni: fonte del vantaggio competitivo e
l’ambito competitivo.
Leadership di Differenziazione
costo
Focalizzazione Focalizzazione sulla
sui costi differenziazione
Ambito SETTORE
competitivo
SEGMENTO
LEADERSHIP DI COSTO: prevede che l’impresa possa offrire un prodotto simile a quello dei
concorrenti ad un prezzo inferiore pur rimanendo al di sopra del suo costo medio. Il vantaggio di
questa strategia non è solo quello di offrire un prezzo più basso, ma quello di avere un margine di
redditività più alto rendendo possibile una maggiore remunerazione del capitale e un maggiore
autofinanziamento.
DIFFERENZIAZIONE: prevede che l’impresa riesca a creare valore per il cliente e ad ottenere un
vantaggio competitivo mediante l’attribuzione al prodotto o al servizio offerto di fattori che ne
aumentano il valore rispetto a quello che il mercato riconosce ai prodotti concorrenti. Questa
strategia può essere intesa anche come estensione della linea di prodotti o di servizi offerti o
ampliamento della gamma. Se il cliente percepisce il valore aggiunto che questa strategia mira a
dare, allora sarà disposto a pagare anche un prezzo più alto per averlo.
È ovvio che i due tipi di analisi, quantitativa e qualitativa, devono intendersi come
COMPLEMENTARI, nel senso che si integrano a vicenda.
L’analisi della domanda inizia con la comprensione dei motivi che spingono i consumatori all’acquisto
e permette di capire il posizionamento delle percezioni nella mente dei consumatori.
Le tecniche usate per analizzare le preferenze dei consumatori sono:
Multidimensional scaling: permette di rappresentare graficamente le percezioni dei
consumatori e di interpretare le dimensioni dell’analisi in termini di caratteristiche
fondamentali del prodotto.
Conjoint analysis: analizza le preferenze del consumatore relativamente a determinati
attributi del prodotto.
Analisi edonistica: studia le differenze di prezzo tra prodotti concorrenti mettendole in
relazione con le diverse combinazioni di attributi offerte da ciascun prodotto e calcola il prezzo
di mercato di ogni caratteristica.
La soluzione a questo dilemma per i produttori consiste nel trovare qualche mezzo credibile per
segnalare la qualità al cliente. I mezzi da utilizzare sono:
Garanzia estesa nel tempo: è segnale efficace che incrementa la reputazione dell’impresa;
Marchi e pubblicità: sono segnali di qualità e solidità perché la marca è un bene prezioso che
agisce da disincentivo all’acquisto di un bene di bassa qualità.
Investimento pubblicitario: è un mezzo efficace per segnalare una qualità superiore, dato che i
fornitori di prodotti di bassa qualità non prevedono che gli acquisti siano ripetuti e, dunque, non
ritengono vantaggioso investire in pubblicità. Per segnalare la qualità è probabile che sia più
efficace una politica combinata di prezzo alto e comunicazione.
Spiegare l’importanza dei costi di transazione e dei costi amministrativi nelle politiche
d’integrazione.
Partendo dal presupposto che i mercati non sono privi di costi è opportuno evidenziare che effettuare
un acquisto o una vendita comporta costi in termini di ricerca dei fornitori, di definizione e stipulazione
del contratto, monitoraggio dell’adempimento del contratto stesso di outsourcing e risoluzione di
eventuali dispute. Tutti questi sono esempi di COSTI DI TRANSAZIONE. La presenza di costi di
transazione nei mercati non è condizione sufficiente per giustificare l’adozione di un’organizzazione
di tipo integrazione verticale. L’integrazione permette di evitare i costi connessi al mercato, ma
comporta un aumento dei costi amministrativi.
Pertanto, nelle politiche di integrazione i costi di transazione e i costi amministrativi rivestono un ruolo
molto importante in quanto è in relazione alla loro correlazione che un’impresa sceglie se conviene
internalizzare o meno. Infatti, se i costi di transazione associati al coordinamento operato dal mercato
sono maggiori dei costi amministrativi del coordinamento interno all’impresa, possiamo aspettarci un
processo di integrazione di queste attività all’interno dell’impresa stessa.
Discutere i fattori che nelle politiche di integrazione verticale definiscono l’efficienza del processo
di gestione interna.
L’efficienza dei processi di integrazione dipende da numerosi fattori:
Differenza nella scala minima di efficienza nelle diverse fasi della produzione: il rischio è
rappresentato dalla possibilità che un’integrazione verticale si traduca in alti costi per le
attività la cui dimensione attuale minima è particolarmente elevata.
Gestione strategica di attività diverse: gestire internamente processi diversi tra loro è
inefficiente, perché se non si possiedono le capacità di gestirle efficacemente tutte si può
arrivare addirittura a processi di deverticalizzazione.
Sviluppo di competenze distintive: l’integrazione verticale unisce differenti attività che
richiedono differenti competenze. La mancanza di specializzazione potrebbe tradursi in un
ostacolo allo sviluppo delle competenze individuali. Al contrario, focalizzarsi su una ristretta
gamma di attività favorisce apprendimento e innovazione, ma solo se c’è relazione tra le
attività.
Posizione competitiva: integrandosi verticalmente alcune imprese hanno spostato la loro
posizione competitiva su un altro stadio della filiera.
Flessibilità: non esiste alcun vantaggio in questi termini. Quando si vuole chiedere flessibilità
le transazioni di mercato sono più efficienti: infatti, l’integrazione verticale può comportare
svantaggi nella rapidità di risposta alle opportunità di sviluppo dei nuovi prodotti che
richiedono nuove combinazioni di competenze tecniche.
Quali sono le dinamiche da tenere sotto controllo nel caso di investimenti “transaction-specific”?
Le dinamiche riguardano i possibili rischi e problemi che possono derivare dall’attuazione di questi
investimenti specifici per una particolare transazione. Uno dei problemi principali legato alla presenza
di investimenti specifici in un mercato è il sorgere di un monopolio bilaterale: ciò accade quando i due
stadi di una produzione integrata sono di proprietà di due imprese diverse. Ciò può causare
comportamenti opportunistici derivanti dal fatto che uno dei due produttori è strettamente dipendente
dall’altro. Ad esempio, un produttore che si trova in una posizione dominante potrebbe essere tentato
di ottenere condizioni migliori addebitando costi aggiuntivi o diminuendo la qualità del prodotto. Un
altro rischio dipende dal fatto che un produttore potrebbe essere disincentivato dal migliorare o
espandere il suo impianto per timore che l’altro produttore non investa a sua volta.
Per prevenire questi rischi di opportunismo sarebbe opportuno prevedere dei contratti a lungo termine
o programmare ispezioni periodiche e procedure di controllo della qualità che dissuadano da qualsiasi
comportamento opportunistico.
Queste soluzioni, però, implicano dei costi ulteriori e i contratti a lungo termine devono tener conto
del mutare delle condizioni macroeconomiche.
Spiegare i fattori che devono essere considerati nella scelta del tipo di relazione verticale.
I fattori che devono essere considerati nella scelta del tipo di relazione verticale sono 2 e riguardano
principalmente la forma contrattuale più idonea alle proprie esigenze:
Allocazione del rischio: deve essere adeguatamente ripartito tra le parti. La ripartizione dipende
sia dal rispettivo potere contrattuale sia dall’efficienza. Nella formulazione del contratto è
importante prevedere e prevenire tutti gli imprevisti che si possono manifestare nel corso del
rapporto.
Sistema degli incentivi: il contratto deve garantire una serie di incentivi alle parti coinvolte, in
modo da minimizzare i cosi di transazione. Molto spesso l’incentivo più efficace è la prospettiva
di un rapporto di lunga durata.
Le relazioni verticali di maggior successo sono gli accordi nei quali non esiste alcuna formalizzazione
contrattuale, ma si basano semplicemente sulla reciproca soddisfazione, fiducia e sulla rapidità di
risposta che favoriscono lo sviluppo d relazioni di lunga durata. Questi incentivi devono essere
accompagnati da forme di tutela da comportamenti opportunistici che garantiscono l’integrità di questi
contratti relazionali.
redditività
Come si sviluppa un’analisi strategica del portafoglio prodotti attraverso la matrice BCG?
TASSO DI SVILUPPO DEL MERCATO: dato dal rapporto tra le vendite dell’impresa e le
vendite del mercato;
QUOTA DI MERCATO RELATIVA: data dal rapporto tra la quota di mercato dell’impresa e
la quota di mercato del principale concorrente.
DOG: quadrante in basso a sinistra, caratterizzato da basso tasso di crescita della domanda e piccola quota di
mercato. Non generano liquidità e la strategia da applicare è quella di disinvestire.
CASH-COW: è in basso a destra, con basso tasso di crescita della domanda e alta quota di
mercato. Generano la maggior parte dlla liquidità dell’azienda. La strategia è quella di sfruttare
al massimo questa maturità.
STAR: è il quadrante in alto a destra, caratterizzato da un alto tasso di crescita della domanda
e alta quota di mercato. La liquidità che generano pareggiano gli investimenti necessari. La
strategia è quella di investire nella crescita.
Per determinare la posizione competitiva del prodotto di un’azienda è necessario valutare diversi
fattori e ponderarli in relazione alla loro importanza. Tra essi ricordiamo la quota di mercato
(necessaria per analizzare il rapporto con la concorrenza), la qualità del prodotto, la reputazione della
marca (fondata sulla fedeltà del cliente e sulla capacità dell’impresa di affermarsi nel tempo con
successo), l’efficienza produttiva (intesa come abilità dell’impresa ad utilizzare al meglio le risorse),
gli investimenti in R&S (indispensabili per garantire lo sviluppo e la sopravvivenza dell’azienda), il
management (poiché le risorse umane rappresentano una delle principali fonti del vantaggio
competitivo).
Insieme alla matrice BCG, la matrice Mc Kinsey è un modello di pianificazione del portafoglio di
attività. L’idea base è quella di rappresentare tutte le attività diversificate dell’impresa in un semplice
modello grafico che possa essere utilizzato a supporto dell’analisi strategica in quattro campi di
applicazione:
Formulazione di una strategia di business: circa le attività da invadere e quelle su cui posizionarsi.
Posizione competitiva: viene calcolata sulla posizione di mercato, sulla posizione competitiva,
redditività delle vendite, ecc.
Le implicazioni strategiche sono rappresentate da 3 aree: MIETERE, MANTENERE, CRESCERE.
Questa matrice ha il pregio di visualizzare le posizioni strategiche di tutte le attività dell’impresa e di
comprimere una gran quantità di dati in sole due dimensioni.