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LEVA DI COMUNICAZIONE

Leva con cui vengono di fatto trasferite informazioni al nostro mercato di riferimento. I canali di
comunicazione possono essere distinti in due categorie principali: •Canali tradizionali
•Canali non convenzionali
Canali non convenzionali
Le principali tecniche di marketing non convenzionale sono:
1) Guerrilla Marketing: la logica della Guerrilla è quella di non andare allo scontro diretto con
il proprio concorrente, ma fare degli attacchi inaspettati (magari di piccola dimensione, ma
mirati). In marketing questo significa che il nostro potenziale cliente va colpito quando
meno se l’aspetta (es. quando parte una pubblicità mentre guardiamo un film la nostra
attenzione si abbassa perché ce l’aspettiamo (pubblicità che non colpisce più come un
tempo)- anche se ci sono delle tecniche per attirare ulteriormente l’attenzione, come ad es.
pubblicità con volume + alto). Per questo motivo il Guerrilla Marketing cerca di colpirci nei
modi, nei luoghi, e nei tempi in cui meno ce lo aspettiamo.
Il Guerrilla Marketing è stato in particolar modo utilizzato dalle imprese dei videogame (es.
adesivo ubisoft proiettile);
2) Viral Marketing: si basa sul principio di scaricare sui soggetti già colpiti da il mio messaggio
promozionale il compito di divulgarlo. L’idea di fondo è che una volta che quel messaggio è
arrivato ad una persona, quella persona lo girerà ad altri per far in modo che questo
meccanismo si attivi è necessario che il messaggio sia interessante (es. luxottica
(posseditrice di RayBan) fece una pubblicità in cui due ragazzi erano l’uno distante
dell’altro e uno dei due lanciava all’altro un paio di occhiali, i quali cadevano perfettamente
sul naso (da notare che da nessuna parte c’era scritto RayBan, ma aveva la classica forma a
goccia e quindi era facilmente riconoscibile) questo video si è diffuso in maniera virale in
quanto era del tutto differente dalle pubblicità dell’epoca);
3) Marketing tribale: si basa sul tentativo di scaricare coloro che sono già miei clienti l’onere
di trovarne altri (es. campagne di introduce friends). Però per scaricare l’onere sul mio
cliente devo offrirgli un vantaggio, che solitamente riguarda la sfera economica (es.
sconto).
Questi canali di marketing non convenzionale hanno un grossissimo vantaggio che è rappresentato
dal fatto che sono molto più economici dei canali di marketing tradizionali, in quanto è vero che
posso anche non portare un risultato però il costo dell’investimento che si va a realizzzare è molto
inferiore. Il nostro vantaggio è quindi quello di avere un ROI altissimo, ovvero un ritorno sugli
investimenti molto elevato).

Canali tradizionali
Le principali tecniche di marketing tradizionale sono pubblicità(canale ancora oggi più utilizzato,
ma anche il più costoso) e promozione (qualche forma di scontistica). Le differenze tra pubblicità e
promozione sono principalmente 4:
1) La pubblicità produce effetti sulla leva psicologica: la pubblicità ha come fine quello di
comunicare qualcosa (tipicamente il bisogno che il prodotto va a soddisfare) e incentiva il
cliente a comprare quel prodotto. La promozione invece agisce sulla leva economica,
stimolando il cliente all’acquisto tramite la scontistica;
2) La pubblicità produce effetti in un orizzonte temporale più lungo, mentre la promozione
produce effetti in un orizzonte temporale quasi immediato (vedo il prodotto in offerta e lo
compro) una forma ibrida potrebbe essere la pubblicità sulla promozione, come i
volantini).
3) Una terza differenza è rappresentata dal costo: in quanto per quanto riguarda la pubblicità
il costo dell’investimento che l’impresa fa è anticipato rispetto all’effetto che io spero di
ottenere (stimolo all’acquisto); mentre la promozione genera un costo solo se l’effetto
desiderato si manifesta;
4) La pubblicità poi per sua natura ha una capacità di raggiungimento di un pubblico molto
ampio a differenza della promozione che una capacità di raggiungimento di un pubblico
molto più ridotto.
Altre tecniche di marketing tradizionale sono:
•Pubbliche relazioni: hanno sempre il risultato ultimo di stimolare le vendite, ma passando per
messaggi che servono a far crescere il valore percepito del marchio in questa sezione rientrano
soprattutto i testimonial;
•Vendita personale: fa riferimento al talento alle vendite (es. vendita porta a porta). Questa
tecnica avrà sicuramente il vantaggio di produrre un effetto immediato, ma i numeri che posso
raggiungere con questo tipo di vanale sono molto bassi;
•Marketing diretto: (o Marketing One to One) è quel tipo di marketing con cui l’impresa cerca di
raggiungere il singolo cliente senza una vendita personale (es. mail, sponsorizzazioni sui social
mirate, ecc..). Il vantaggio sarà sicuramente rappresentato dal fatto che non richiede un alto
investimento economico, ma richiede un grande investimento in termini di tempo.

PUBBLICITÀ
La pubblicità è lo strumento di marketing più importante che viene utilizzato soprattutto a
supporto del posizionamento. Quando io voglio fare una pubblicità a supporto del posizonamento
ho varie alternative:
1) Pubblicità a supporto del posizionamento competitivo: cioè mettere in cattiva luce un mio
diretto concorrente oppure esaltare le caratteristiche positive del mio prodotto;
2) Posizionamento comunicato attraverso le caratteristiche positive: (es. riso Scotti che è
stato il primo riso che si è collocato sul mercato come riso che non scuoce);
3) Pubblicità a supporto del posizionamento in funzione della soluzione e vantaggio
apportata (bisogno che vado a soddisfare es. activia che fa bene all’organismo);
4) Pubblicità a supporto del posizionamento in funzione delle occasioni d’uso (es. pocket
coffee).

Copy Strategy è il contenuto del messaggio che io vado a comunicare al mio target di
riferimento, cioè il messaggio pubblicitario, che si compone da 3 parti:
1) Core Promise: promessa principale, il fine di questa parte è attrarre
l’attenzionepromessa principale che non deve esplicitare nulla, ma deve solo attirare
l’attenzione del cliente (quindi il fine è far cadere lo sguardo del cliente su quello slogane
fargli capire la reason why);
2) Reason Why: ovvero la ragione attraverso la quale quella promessa principale può essere
mantenuta, quindi la reason why descrive in cosa si sostanzia quella promessa fatta.
Quando c’è questa descrizione gli approcci che si possono seguire sono 2:
•approccio razionale: dove descrivo con una spiegazione scientifica il “perché”;
•approccio emotivo: dove non capisco col razionale vado sull’emotività.
3) Pay-off: o claim, che è lo slogan che accompagna il brand, il quale fine è favorire la
memorizzazione del brand.

Come per il prodotto anche nella comunicazione c’è un problema di adattamento per le imprese
internazionali. L’adattamento della comunicazione risponde a quelle differenze di natura religiosa,
politica, culturale.. (es. una pubblicità di profumo in Italia o nei Paesi Arabi, oppure la pubblicità di
Sony per i 10 anni di Playstation che non è stata potuta essere lanciata in Italia).

Uso parallelo di più canali


In passato per economizzare gli investimenti si cercava di selezionare singoli canali (sia per la
distribuzione sia per la comunicazione). Ultimamente però quest’approccio è venuto meno, le
imprese quindi cercano di utilizzare più canali, come:
1) Multicanalità: offrire al cliente più canali, cioè dare la possibilità al mio cliente di interagire
con me (es. distribuzione, posso comprare lo stesso prodotto sia online che al negozio,
oppure comunicazione, posso ricercare info su quel prodotto sia sul sito dell’impresa
oppure sui portali collegati all’impresa oppure chiamando al centralino) dare più
alternative al cliente;
2) Crosscanalità: trovare un modo per integrare tra di loro i canali, quindi magari posso fare
un pezzo della mia esperienza di acquisto su un canale e un pezzo su un altro (es. politiche
di pick and collect, pago online e ritiro al negozio). Bisogna capire quale pezzo far fare su un
canale e quale su un altro, questo dipenderà molto dall’obiettivo che si vuole raggiungere
(es. nella fase di introduzione del prodotto utilizzo canali di comunicazione più ampi
possibili, mentre nella seconda fase di espansione devo utilizzare una pubblicità persuasiva
per convincere a comprare il mio prodotto (quindi integro la comunicazione con la prova);
nella fase di maturità la pubblicità può puntare sull’esaltazione dei fattori di successo del
mio prodotto rispetto alla concorrenza);
3) Omnicanalità: è una forma più evoluta di integrazione tra i canali, che si basa sul principio
di dare continuità all’esperienza del nostro cliente (es. netflix permette di poter iniziare la
visione di un film su un dispositivo per poi finirla con un altro-quindi interrompe
l’esperienza di visione).
FUNZIONE ORGANIZZATIVA
Il fine ultimo della pianificazione a livello di funzione organizzativa è la definizione
dell’organigramma, ovvero quella che è la struttura organizzativa. In un’azienda si distinguono 2
tipi di strutture: •macrostruttura: ovvero l’organigramma, che ci dice a livello complessivo di
impresa il “chi fa cosa”; •microstruttura: disegno delle singole posizioni (cosa c’è in ogni casella).
Il processo con cui si delineano macro e micro struttura si compone:
1) Si parte dalle operazioni di base, cioè le semplici unità di azione che poi i dipendenti della
mia impresa devono andare a fare (es. emettere una fattura o registrare un incasso). Le
singole operazioni sono raggruppate in compiti, e definiamo il compiti come un insieme
delle singole operazioni con un comun denominatore (es. registrazione attività, cioè la
registrazione delle fatture che io emetto ed il controllo del pagamento);
2) Successivamente bisogna unire questi compiti a seconda di un comun denominatore (es.
registrazione attività e passività creo la casellina amministrazione) così da creare
un’unica casellina che prenderà il nome di posizione. La posizione non è altro che una
casella dell’organigramma creata attraverso l’aggregazione di compiti (che a loro volta
nascevano dalle singole operazioni);
3) Infine mi devo preoccupare di capire come le singole posizioni si interfacciano tra di loro,
quindi che tipo di gerarchia c’è (chi dipende da chi). Nel momento in cui parlo di gerarchie
e di posizioni sto di fatto organizzando l’organigramma dell’impresacreando così la
macrostruttura.
Quando si decide la struttura organizzativa ci sono alcune variabili che bisogna prendere in
considerazione e alcuni requisiti che bisogna rispettare una volta che la macrostruttura è stata
delineata, queste variabili sono:
•Dimensione d’impresa (dimensione delle attività): maggiore è la dimensione dell’impresa
maggiori saranno le posizioni che verranno create (es. se un’impresa è di piccole dimensioni una
singola persona potrà gestire sia la fatturazioni positive che quelle negative);
•Portafoglio prodotti-mercati dell’impresa: all’aumentare di questo portafoglio aumenterà anche
il numero delle posizioni e quindi l’articolazione della struttura organizzativa;
•Tecnologia: questa variabile la si può analizzare sia con una prospettiva interna che con una
prospettiva esterna. Nel primo caso si intende la tecnologia che si utilizza (ci sono alcune
tecnologie che automatizzano i processi permettendo di semplificare la struttura organizzativa, per
es. il processo controllo qualità prodotti); nel secondo caso si vuole vedere come e con quale
rapidità la tecnologia muta (perché se io ad es. sono in un settore dove la tecnologia ha un grosso
valore e questa tecnologia cambia rapidamente nel tempo, la mi struttura organizzativa deve
essere il più flessibile possibile, perché solo una struttura flessibile permette di recepire in tempi
rapidi i cambiamenticostosa; oppure se la tecnologia è stabile struttura potrà essere più
rigidaeconomica);
•Settore: più il settore in cui opera è dinamico nel tempo più la mia struttura deve essere flessibile
(anche se questo richiederà maggiori costi);
•Strategia: esiste un rapporto strategie e struttura (una influenza l’altra). Determinate strategie
richiedono di fatto il cambiamento della struttura (es. se decido di andare a produrre all’estero
dovrò implementare un’unità organizzativa in più sul mercato straniero). Determinate strutture
organizzative possono favorire/ostacolare l’implementazione di alcune strategie sia a livello
corporate che a livello business (es. se ho una struttura organizzativa flessibile, e che quindi
richiede costi alti, è inutile cercare di implementare una strategia di leadership di costo).
Considerando queste variabili l’impresa progetta il suo organigramma. Nel progettarlo però
l’impresa si deve porre degli obiettivi in termini di funzionalità, obiettivi che sono sicuramente
l’efficienza (controllo dei costi) e l’elasticità che ha 3 configurazioni:
1) Elasticità di natura operativa: analisi del break even, ovvero la capacità di una struttura
organizzativa di rispondere in tempi rapidi a mutamenti della quantità di prodotto da
realizzare senza che questo si traduca in un forte rialzo dei costi;
2) Elasticità strategica: ovvero la capacità di una struttura organizzativa di modificare la
qualità dei propri prodotti senza che questa decisione abbia riflessi significativi sulla
struttura di costo (es. se per aumentare la qualità devo cambiare un solo macchinario
l’elasticità sarà alta, mentre se per aumentare la qualità devo cambiare più macchinari
l’elasticità sarà più bassa);
3) Elasticità strutturale: ovvero la capacità dell’impresa di modificare la propria struttura la
propria struttura in tempi rapidi in risposta a stimoli esterni provenienti dal settore in cui
l’azienda opera, senza che questa decisione comporti un rialzo significativo dei costi (es. se
io nel pianificare la struttura tengo conto già di quello che potrebbe essere il domani,
ottengo la massima elasticità possibile).
Sommando le variabili di progettazione con i requisiti (obiettivi) posso arrivare a delineare i
modelli organizzativi.

MODELLI ORGANIZZATIVI
I modelli organizzativi sono quei concetti teorici ai quali ci si può rifare nel definire la nostra
struttura organizzativa. Ogni impresa poi adatta il modello alle proprie esigenze (è difficile, se non
impossibile che l’impresa adotti un modello puro). Un elemento di differenziazione tra i vari
modelli è il criterio di ripartizione delle attività. Tra i vari modelli troviamo:

Modello Funzionale
prevede come criterio di divisione dei compiti e delle responsabilità secondo le funzioni
fondamentali dell’impresa. Quindi a partire dalle caselle di vertice si avranno le singole funzioni in
cui è articolata l’impresa.
Si tratta di quel modello orientato all’efficienza, ma che presenta un certo grado di rigidità. È
efficiente perché tutte le attività sono raggruppate per funzione (quindi all’interno di ogni singola
casella si fanno solo ed esclusivamente le attività connesse a quella funzione) c’è una sorta di
standardizzazione procedurale. È un modello rigido perché non presenta collegamenti tra le varie
funzioni, quindi i tempi di comunicazione si trasformano in maggiore rigidità.
-Proprio per la sua rigidità questo modello si adatta ad imprese di piccola o media dimensione,
inoltre va bene per prodotti standardizzati (non si modificano nel tempo) e a lungo ciclo di vita.
È un modello che si adatta perfettamente ad ambienti stabili, sia dal punto di vista della
tecnologia, sia dal punto di vista delle caratteristiche del settore in cui operiamo.
È un modello che va bene per strategie di sviluppo di mercati esistenti o anche per l’ingresso in
nuovi mercati che sono molto simili a quello di origine.
La forte rigidità del modello può essere attenuata con delle tecniche come:
1) Applicare un criterio diverso da quello funzionale per ripartire i compiti al secondo livello
organizzativo (es. nel secondo livello organizzativo potrei dividere la casella marketing in
marketing strategico e marketing operativo, oppure potrei utilizzare il criterio di prodotto
dal secondo livello organizzativo-es. potrei crear una casella prodotto A e un’altra prodotto
B). Quindi applicare un diverso criterio al secondo livello organizzativo mi serve a dare
maggiore visione a un determinato aspetto. Ma anche se applico un diverso criterio al
modello, questo rimane pur sempre un modello funzionale in quanto per classificare i vari
modelli bisogna guardare solo il primo di livello organizzativo;
2) Aggiungere i ruoli integratori, ovvero delle figure organizzative (nuove caselle) che
vengono inserite normalmente alla diretta dipendenza della direzione generale, con
l’obiettivo di riportare ad una comune visione le singole funzioni.

Questo soggetto è il ruolo integratore, che può essere rappresentato dal:


•product manager (ovvero colui che riporta la visione delle singole funzioni a livello di prodotto);
•brand manager (ovvero colui che riporta la visione delle singole funzioni a livello di marchio);
•area manager (ovvero colui che guarda una specifica area geografica in cui la mia impresa
opera).
Il compito di questo soggetto è quindi quello di attuare questo tipo di schema relazionale. Nel caso
di product manager esso richiama coloro che operano negli acquisti, coloro che operano nella
produzione oppure coloro che operano nelle vendite alla visione di prodotto.
Quindi i ruoli integratori diminuiscono notevolmente la rigidità del sistema riportando la visione a
un comun denominatore che può essere quello di prodotto, di marchio o di area geografica da
seguire.
In questo modo però andiamo a creare un modello reticolare, il cui problema è che si andrà a
creare una duplicità di comando, ovvero il fatto di avere due capi che daranno input diversi al
lavoratore (mandandolo in confusione)

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