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soluzione ad un problema (es. il problema del matrimonio è risolto
offrendo un pacchetto che comprende sia l’abito che l’organizzazione);
b) la distribuzione, ovvero tutto ciò che concerne la scelta del produttore
dei canali adatti in cui distribuire il prodotto; i canali di distribuzione
possono essere divisi in:
canali diretti (=vendita senza l’utilizzo di intermediari fisici – es.
Apple);
canali indiretti (=vendita con l’utilizzo di intermediari fisici), che si
dividono a loro volta in:
- canali indiretti corti, che prevedono la presenza di soli
dettaglianti;
- canali indiretti lunghi, che prevedono, oltre ai dettaglianti,
almeno un altro step di intermediazione: i grossisti;
*solo i dettaglianti ed i grossisti hanno la proprietà del bene che
trasferiscono: mentre i dettaglianti comprendono tutta la sfera di punti di
vendita (fisici e non) che vende i prodotti direttamente ai consumatori
finali, i grossisti vendono solo a persone giuridiche (con partita IVA) e non
possono, per legge, vendere ai consumatori finali;
2. Kohli e Jaworski, Stati Uniti (anni ’90), autori della teoria secondo la quale le
imprese market-driven sviluppano le proprie attività basandosi su:
market intelligence generation (=tutte le funzioni di marketing
devono costantemente monitorare i cambiamenti del mercato);
market intelligence dissemination (=una volta colti i cambiamenti del
mercato, devono diffonderli come informazione all’interno dell’impresa);
responsiveness (=strutturare sistemi produttivi per sviluppare
rapidamente nuove offerte aziendali in grado di rispondere a quel
cambiamento);
5. Best, che “sistema” alcuni indici per misurare le performance delle imprese
market-driven;
7. Brondoni;
In conclusione:
mentre il marketing management è orientato all’azione, il market-
driven management è una cultura che integra la parte di analisi con
quella d’azione;
mentre il marketing management è orientato ai clienti, il market-
driven management è orientato sia ai clienti che agli altri attori del
mercato;
mentre il marketing management è confinato alla funzione
commerciale, il market-driven management si sforza di diffondere la
cultura del mercato a tutti i livelli dell’organizzazione;
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scapito di altre attraverso combinazioni di prodotto o promozioni: in
questo caso però le imprese devono negoziare con i distributori;
I caratteri principali sono:
elevato controllo della diffusione delle innovazioni;
politiche di non-price competition (=le imprese che operano su questo
mercato hanno più o meno prezzi simili);
la produzione è composta dalle vendite più l’invenduto: in questo caso si
sa che per un certo periodo di tempo si hanno prodotti in scorta, i quali si
cercano però di governare con alcune azioni di marketing;
ruolo attivo dei distributori;
la finalità è quella delle vendite;
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l’attività di impresa è sviluppata in settori ibridi (=ragionamento di impresa
non più per settori, ma su più settori differenti dai labili confini);
gestione dei fattori distintivi di concorrenza con un’instabilità continua e
pianificata (=spesso queste imprese, attraverso l’innovazione, si creano
delle posizioni sul mercato che possono portare vantaggi competitivi, ma
spesso sono proprio queste imprese a rompere i propri vantaggi competitivi,
pianificando nuove innovazioni);
*es. Procter Gamble:
1. ha un’organizzazione aziendale strutturata per i mercati globali →
tre miliardi di volte al giorno, i loro prodotti entrano nella vita delle
persone di tutto il mondo);
2. si concentra su 10 categorie di prodotto con circa 65 marche, che
generano un fatturato fino ad un miliardo di dollari;
3. ha una gestione dei fattori distintivi di concorrenza con un’instabilità
continua e pianificata → è una delle imprese più innovative del
mondo, ma quasi metà di essa è prodotta insieme a partner esterni;
I caratteri base di queste imprese sono:
la globalizzazione dei mercati di approvvigionamento e di sbocco
(=imprese che cercano di approvvigionarsi e di vendere attraverso mercati
differenti);
la globalizzazione delle marche (=l’innovazione continua fa sì che i
consumatori riconoscano le marche, attribuendone determinati valori);
il nuovo ruolo degli Stati-Nazione (=esso pone delle barriere che però le
imprese raggirano lavorando su più mercati), che perde sempre più di
sovranità;
la network corporate responsability (=responsabilità d’impresa, che ha
come obiettivo quello di creare valore e fare risultato mantenendo in vita
l’impresa) e la network social responsability (=responsabilità sociale
d’impresa, ovvero fare un bilancio sociale rispettando tutti quegli standard
che la CSM impone e che sono previsti per legge); i pilastri della responsabilità
sociale di impresa sono:
profit;
people;
planet;
la globalizzazione dei consumi (=spesso si crea una sorta di
omogeneizzazione dei consumi rispetto a determinati prodotti,
indipendentemente dai consumi e dalle usanze dei diversi luoghi);
la comunicazione globale ed interconnessa, che, da un lato, diventa più
semplice da gestire grazie alle nuove tecnologie, e, dall’altro, diventa più
complessa; essa si divide in:
comunicazione interna, fatta di tutti quegli strumenti di comunicazione
dedicate a chi lavora per l’organizzazione;
comunicazione esterna, che riguarda la comunicazione ai consumatori;
co-makers, che riguarda la comunicazione con gli alleati;
Grazie alla comunicazione globale, attori del mercato diversi con ruoli
differenti, comunicano facilmente tra loro con feedback immediati.
la produzione globale (=delocalizzare, ovvero avere diversi siti produttivi
specializzati in produzioni differenti);
il global trade (=gli accordi con i grandi distributori globali sono
fondamentali, perché fanno da ponte per accedere alle innovazioni ed alle
vendite);
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i mercati finanziari globali (=spesso le grandi organizzazioni condizionano i
circuiti economici di diverse aree del mondo);
Dal punto di vista interno, invece, l’organizzazione delle imprese globali è
caratterizzata dai seguenti caratteri base:
la lean production;
il just in time;
il time to market (=intervallo di tempo intercorrente tra la progettazione
dell’offerta ed il lancio del prodotto);
la gestione delle relazioni di network (=capacità di ricercare e mantenere
alleati stipulando contratti di alleanza, che possono essere di tantissimi tipi);
la comunicazione push (=spingere il prodotto sul mercato) e la
comunicazione pull (=lascio che sia il cliente a trovare i miei prodotti);
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tramite la diffusione delle informazioni sui concorrenti nell’organizzazione; il
concorrente non è solo un’impresa che fa prodotti analoghi, ma ci sono diverse
categorie di concorrenti; tutte le organizzazioni hanno al loro interno sistemi di
intelligence per individuare i concorrenti più pericolosi; i concorrenti si dividono
in:
i concorrenti diretti, ovvero quei concorrenti che hanno una stessa
tecnologia e che soddisfano gli stessi bisogni;
i concorrenti da minaccia bassa, che producono prodotti molto diversi e
soddisfano bisogni molto diversi pur trovandosi nello stesso mercato;
i concorrenti sostituti, che soddisfano gli stessi bisogni ma con diverse
tecnologie (es. treno-aereo);
i concorrenti potenziali, che soddisfano bisogni differenti con le stesse
tecnologie: essi possono essere i più pericolosi perché al momento non
stanno lavorano nel nostro stesso mercato, quindi l’impresa non è a
conoscenza delle loro strategie (es. Toyota che entra nel settore delle
macchine da cucire); questi tipi di concorrenti sono oggetto di grande
studio da parte dell’intelligence aziendale;
6. i prescrittori e gli influenzatori, ovvero quei soggetti che consigliano,
raccomandano o prescrivono marche, imprese, prodotti o servizi a clienti ed a
distributori; essi possono condizionare in maniera più o meno rilevante i risultati
delle imprese industriali; ci sono moltissime forme possibili di prescrizione; le tre
principali sono:
selection → forma di prescrizione “morbida” nella quale il prescrittore non
consiglia uno specifico prodotto, servizio, marca o impresa, ma una lista
di prodotti (che spesso appartengono ad imprese differenti) tra cui il
cliente può scegliere per soddisfare un proprio bisogno;
evaluation → la prescrizione è una lista ordinata gradualmente (con
descrizioni qualitative e/o indicatori quantitativi), quindi è più dettagliata
rispetto alla precedente; in questo caso il prescrittore tende ad indirizzare
il consumatore verso una scelta;
injuction → viene indicato lo specifico prodotto/servizio, e quindi,
indirettamente, l’impresa; se un’impresa è in un mercato dove è presente
questo tipo di prescrizione, è importante lavorare per riuscire a
convincere alcuni prescrittori a prescrivere il suo prodotto (con il limite
delle leggi nazionali);
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competere con il ruolo competitivo che ha nei mercati in eccesso di
offerta, nel quale ha anche un proprio marketing, le cui leve sono:
assortimento → il distributore deve fornirsi di prodotti che gli
vengono richiesti (es. farmaci richiesti con la ricetta medica);
private label → vietate in questo mercato;
comunicazione → vietata in questo mercato (es. i farmaci
soggetti a prescrizione non possono essere comunicati);
merchandising → il bene non può essere esposto in vetrina (es. i
farmaci devono essere tenuti in un cassetto dietro il banco);
prezzo → il distributore non può fare sconti (es. il prezzo dei
farmaci è deciso dal produttore e dal Ministero della Salute);
i consumatori → anche il ruolo del consumatore in questo caso diventa
passivo (es. i farmaci da prescrizione non vengono pagati dal
consumatore, ma, in Italia, dal SSN, quindi è una “lotta” tra le case
farmaceutiche e il Ministero);
7. gli altri stakeholders, ovvero quel gruppo di individui che possono influire o
sono influenzati dagli obiettivi e/o dall’agire dell’impresa (es. opinione pubblica);
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il modello di parcellizzazione del ciclo di produzione, sistema attualissimo
ma molto difficile da gestire secondo il quale le diverse fasi di produzione
sono diffuse in stabilimenti di produzione differenti: spesso, con un
elevato contenimento di costo, questi stabilimenti sono molto distanti
geograficamente tra di loro;
il modello di specializzazione delle produzioni, sistema anch’esso molto
attuale secondo il quale le imprese possiedono sempre più impianti che
però producono output differenti (imprese multiplant);
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Il prodotto di un’impresa distributiva è il punto di vendita; essendo i distributori
imprese di market-driven, essi hanno un vasto portafoglio di punti di vendita, i
quali sono rappresentati da format distributivi: ogni format ha caratteristiche
comuni in diversi Paesi, mentre la differenza di portafoglio ha differenza di
formato e di marca, che dal consumatore è visto come se appartenesse ad una
catena differente.
I principali format distributivi sono:
il supermercato, che in Italia non può superare i 2.500mq e che vende
principalmente prodotti alimentari e prodotti ad uso domestico corrente;
esso ha un’ubicazione di quartiere, e, di norma, all’entrata si trovano i
prodotti freschi;
l’ipermercato, che in Italia va dai 2.500 ai 10.000mq e che, accanto al
food, vende anche il non-food (es. farmaci, giardinaggio, elettronica…) che
di solito si trova all’inizio dello store; esso è solitamente ubicato fuori
quartiere ed ha obbligatoriamente dei parcheggi grandi; inoltre, all’interno
di esso, c’è sempre una “corsia centrale” ed una “di fondo”;
il superstore, che nasce in Inghilterra ed è una via di mezzo tra
supermercato ed ipermercato: esso ha un percorso a spirale, entrando
trovi i freschi, mentre ogni curva ha un salto di categoria (dopo i freschi si
può trovare per esempio il giardinaggio);
il discount, che va dai 1.000 ai 3.000mq ed è formato da poche corsie
molto larghe allestite in modo spartano (spesso i prodotti rimangono
all’interno delle scatole); il punto di forza è il tasso di rotazione, mentre i
servizi offerti all’interno di esso sono molto scarsi;
il negozio specializzato, che vende una o poche categorie di prodotto
proposto in profondità;
il grande magazzino (es. Coin, Rinascente), che si trova solitamente in
centro e che è quasi sempre sviluppato su più piani: di solito sono presenti
solo due categorie di prodotto (prodotti per la casa e prodotti per la
persona), mentre la ristorazione è stata inserita negli ultimi anni; in Italia
è presente un multi-format poiché essa è in ritardo con lo sviluppo del
trade (sviluppandosi quindi con diversi format);
Per quanto riguarda l’evoluzione del ruolo del trade, in Italia, fino agli anni ’80,
era presente un trade passivo (trasferimento alle condizioni dei produttori); negli
anni ’80 c’è stata la rivoluzione del trade, grazie alla quale nasce e si sviluppa il
trade attivo (grande distribuzione); negli anni ’90 invece si sviluppa, grazie alla
nascita della private label, il trade competitivo.
Al giorno d’oggi, i principali distributori in Italia sono Coop (14.5%), Conad
(11.9%), Selex (9.7%), Esselunga (8.9%), Auchan (6.7%) e Carrefour (6.1%): più
si va avanti con gli anni, più i distributori dominanti diventano stranieri; in Italia
sono molto presenti gruppi che hanno diversi format, ovvero molte imprese che
“fanno strategia” insieme.
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