Sei sulla pagina 1di 156

1

I fondamenti

Ogni decisione che un’impresa prende ha delle implicazioni finanziarie,


e ogni decisione che coinvolge la dimensione finanziaria di un’impresa
è una decisione di finanza aziendale. In senso lato, tutte le attività svolte
da un’impresa rientrano nell’ambito della finanza aziendale. Il termine
anglosassone corporate finance potrebbe far credere che questa disciplina
riguardi solo le grandi aziende quotate in Borsa (corporation), e non le
imprese di minori dimensioni e quelle non quotate. Al contrario, i prin-
cipi di base della finanza aziendale rimangono gli stessi, sia per le grandi
società quotate in Borsa che per le piccole imprese non quotate. Tutte le
imprese, infatti, devono affrontare il problema di investire con acume le
proprie risorse, determinare la “giusta” composizione delle fonti di fi-
nanziamento e restituire il denaro ai proprietari qualora non vi siano
valide opportunità d’investimento.

Cap1.p65 1 28/03/2001, 18.43


2 Capitolo 1

Cap1.p65 2 28/03/2001, 18.43


I fondamenti 3

Principi guida
Ogni disciplina ha dei principi guida che la governano. La finanza aziendale si
basa su tre principi, che chiameremo il Principio di Investimento, il Principio
di Finanziamento e il Principio dei Dividendi.
■ Il Principio di Investimento Investire in attività e progetti con un rendimen-
to atteso superiore a una soglia minima di rendimento. Tale soglia deve essere
più elevata per i progetti più rischiosi e riflettere la struttura finanziaria utiliz-
zata, ovvero fondi propri (capitale netto) oppure denaro preso in prestito
(capitale di terzi). Il rendimento atteso di un progetto va misurato sulla
base dell’ammontare dei flussi di cassa generati e della loro distribuzione nel
tempo, tenendo in considerazione anche gli effetti collaterali positivi e negati-
vi del progetto.
■ Il Principio di Finanziamento Scegliere una struttura finanziaria che massi-
mizzi il valore degli investimenti effettuati e sia in linea con il tipo di inve-
stimento da finanziare.
■ Il Principio dei Dividendi Restituire il denaro ai proprietari dell’impresa, nel
caso in cui non ci fossero opportunità di investimento in grado di generare
un rendimento superiore alla soglia minima. Per le società quotate in Bor-
sa, la forma di restituzione — dividendi o riacquisto di azioni proprie — di-
penderà dalle caratteristiche degli azionisti.
Nel prendere queste decisioni di investimento e di finanziamento, la finanza
aziendale tiene sempre ben presente l’obiettivo ultimo, ovvero massimizzare
il valore dell’impresa: perciò ogni decisione viene giudicata in base al suo im-
patto sul valore dell’impresa.
Questi principi-guida forniscono le basi sulle quali costruiremo i numerosi
modelli e le teorie che costituiscono la finanza aziendale moderna. In realtà, si
tratta anche di principi basati sul buon senso. Sarebbe infatti presuntuoso da
parte nostra credere che, prima che la finanza aziendale cominciasse a svilup-
parsi come disciplina coerente e autonoma pochi decenni fa, gli imprenditori
gestissero le proprie aziende quasi alla cieca, senza principi che ne governas-
sero l’operato. Gli imprenditori migliori hanno sempre avuto ben presente l’im-
portanza di ottenere un rendimento sul capitale investito superiore al costo di
approvvigionamento del capitale stesso. Uno dei paradossi degli ultimi anni è
proprio che un gran numero di manager di grandi aziende, presumibilmente
sofisticate e con la possibilità di accedere alle più avanzate tecniche di finanza
aziendale, abbiano perso di vista questi principi fondamentali.

La funzione obiettivo dell’impr esa


dell’impresa
Una disciplina non può svilupparsi in modo coerente nel tempo senza una
funzione obiettivo unificatrice. Lo sviluppo della teoria della finanza azienda-
le può essere ricondotto alla scelta di un’unica funzione obiettivo e alla co-

Cap1.p65 3 28/03/2001, 18.43


4 Capitolo 1

struzione di modelli intorno a essa. Tale funzione è la massimizzazione del valo-


re dell’impresa. Di conseguenza ogni decisione (di investimento, di finanzia-
mento o relativa ai dividendi) che aumenti il valore dell’impresa è “giusta”,
mentre una decisione che ne riduca il valore è “sbagliata”. Se è vero che la
scelta di questa funzione obiettivo ha dato alla finanza aziendale un tema uni-
ficatore e una coerenza interna, c’è stato un prezzo da pagare. Infatti, finché si
accetta tale funzione obiettivo, la maggior parte dei precetti teorici di finanza
aziendale hanno senso. Tuttavia, nel momento in cui la funzione obiettivo vie-
ne messa in discussione, l’intera impalcatura teorica su di essa costruita ri-
schia di cedere. Molte controversie tra i teorici della finanza aziendale e gli
“altri” (sia nel mondo accademico che in quello professionale) possono essere
ricondotte a modi fondamentalmente diversi di concepire la funzione obietti-
vo per l’impresa. Per esempio, alcuni sostengono che le imprese dovrebbero
avere molteplici obiettivi, data la molteplicità di interessi da soddisfare (azio-
nisti, lavoratori, clienti), mentre altri ritengono che le imprese dovrebbero fo-
calizzarsi su obiettivi considerati più semplici e diretti, come quota di mercato
o redditività.
Data l’importanza di questa funzione obiettivo per lo sviluppo e l’applica-
bilità della teoria della finanza aziendale, è importante esaminarla più da vici-
no e discutere alcuni problemi che pone e le critiche che le sono state mosse.
In particolare, questa funzione obiettivo parte dal presupposto che le scelte
che gli azionisti compiono nel proprio interesse siano anche nell’interesse
dell’impresa; richiede l’esistenza di mercati efficienti; non tiene in considera-
zione i costi sociali connessi alla massimizzazione del valore. Nel Capitolo 2
prenderemo in considerazione questi e altri problemi e metteremo a confronto
massimizzazione del valore dell’impresa e possibili funzioni obiettivo alternative.

Il Principio di Inv estimento


Investimento
Le risorse che le imprese hanno a disposizione per svolgere la propria attività
sono limitate, e ciò impone delle scelte fra opportunità di utilizzo alternative.
La prima e più importante funzione della finanza aziendale in quanto teoria è
fornire alle imprese dei criteri per prendere queste decisioni in modo ottimale.
Per politiche di investimento intendiamo non solo il tipo di decisioni che gene-
rano ricavi e profitti (come l’introduzione di una nuova linea di prodotti), ma
anche quelle che permettono di ridurre i costi (come l’organizzazione di un
nuovo e più efficiente sistema di distribuzione). Inoltre, riteniamo che anche
le decisioni su quante e quali scorte mantenere in magazzino, o sul credito da
accordare ai clienti — decisioni spesso classificate come attinenti al capitale
circolante – siano, in ultima analisi, decisioni di investimento. All’altro estre-
mo, possono considerarsi decisioni di investimento anche decisioni generali
di carattere strategico, quali l’ingresso in nuovi mercati o l’acquisizione di al-
tre società.
Secondo i principi della finanza aziendale, per decidere se intraprendere o
meno un progetto di investimento, è necessario confrontarne il rendimento

Cap1.p65 4 28/03/2001, 18.43


I fondamenti 5

atteso, opportunamente misurato, con una soglia minima di rendimento.


Questa soglia minima di rendimento deve essere direttamente proporzionale
alla rischiosità del progetto e deve riflettere la struttura finanziaria utilizzata,
vale a dire la combinazione di fondi propri (capitale netto) e denaro preso in
prestito (capitale di terzi). Nel Capitolo 3 cominceremo ad analizzare questo
processo definendo la nozione di rischio e sviluppando un procedimento per
misurarlo. Nel Capitolo 4 descriveremo come convertire la misura del rischio
in una soglia minima di rendimento, sia per un’intera impresa, sia per singoli
progetti.
Una volta stabilita la soglia minima di rendimento, rivolgeremo la nostra
attenzione alla misurazione del rendimento di un progetto di investimento.
Nel Capitolo 5, valuteremo in particolare tre alternative: tradizionali misure
contabili di rendimento, flussi di cassa e flussi di cassa attualizzati (per i quali
consideriamo non solo l’ammontare dei flussi di cassa, ma anche la loro di-
stribuzione temporale). Nel Capitolo 6 prenderemo in esame alcuni potenziali
costi collaterali che sfuggono a queste misurazioni, come ad esempio i “costi
opportunità” che si debbono sostenere qualora nuovi progetti sottraggano ri-
sorse agli investimenti in essere. Allo stesso modo, esamineremo pure i possi-
bili benefici indotti di un nuovo investimento, come l’opzione di entrare in un
nuovo mercato o di espandersi, e le sinergie, importanti soprattutto quando il
nuovo investimento consiste nell’acquisizione di un’altra azienda.

Il Principio di Finanziamento
Nel contesto del Principio di Investimento, abbiamo implicitamente assunto
l’esistenza di una certa struttura finanziaria, e ne abbiamo esaminato le im-
plicazioni per la determinazione della soglia minima di rendimento. Nella se-
zione sul Principio di Finanziamento affronteremo la questione di fondo: è la
struttura finanziaria esistente quella giusta? Anche se aspetti legali o altri fat-
tori esterni talora possono porre dei limiti alla composizione delle fonti di fi-
nanziamento che un’impresa può utilizzare, esiste comunque un ampio spa-
zio di flessibilità e discrezione nelle decisioni di finanziamento. Cominceremo
ad analizzare questo problema nel Capitolo 7, passando in rassegna le alter-
native a disposizione delle imprese quotate e non quotate, in un’ampia gam-
ma che va dal capitale a titolo di proprietà fino al capitale di terzi. Poi passere-
mo a esaminare se la struttura finanziaria utilizzata da un’impresa sia quella
“ottimale” alla luce della nostra funzione obiettivo, ovvero la massimizzazione
del valore dell’impresa. Dopo aver individuato a livello qualitativo benefici e
costi dell’indebitamento, nel Capitolo 8 prenderemo in considerazione due
approcci alla determinazione della struttura finanziaria ottimale. Il primo ci
permetterà di individuare in quali circostanze la struttura finanziaria ottimale
risulta essere quella che minimizza la soglia minima di rendimento. Il secondo
ci consentirà di esaminare gli effetti che si producono sul valore cambiando la
struttura finanziaria. Nel Capitolo 9 descriveremo come passare dalla struttu-
ra finanziaria esistente a quella ottimale, tenendo presenti le opportunità di

Cap1.p65 5 28/03/2001, 18.43


6 Capitolo 1

investimento a disposizione dell’impresa e l’eventuale necessità di agire in


tempi brevi, magari perché l’impresa è il target di un tentativo di scalata oppu-
re perché è in grave dissesto finanziario.
Una volta individuata la struttura finanziaria ottimale, ci soffermeremo a
considerare quale tipo di finanziamento l’impresa dovrebbe utilizzare (a lun-
go o a breve termine? a tasso fisso o variabile? e se variabile, in funzione di
cosa?). Nel Capitolo 9 enunceremo il nostro principio guida: per minimizzare
il rischio finanziario e sfruttare al massimo la propria capacità di indebitamen-
to un’impresa deve bilanciare i flussi di cassa in uscita derivanti dal debito con
i flussi di cassa in entrata generati dalle attività finanziate. Aggiungeremo quindi
alcune considerazioni relative agli aspetti fiscali e al ruolo di controllo (moni-
toring) svolto da soggetti esterni (analisti finanziari e agenzie di rating), per
poi concludere con delle raccomandazioni piuttosto “forti” su quello che rite-
niamo essere il design ottimale degli strumenti di finanziamento.

Il Principio dei Dividendi


Tutte le imprese vorrebbero senza dubbio avere illimitate opportunità di inve-
stimento con un tasso di rendimento superiore alla soglia minima accettabile.
Molte di esse, tuttavia, crescendo raggiungono uno stadio in cui il flusso di
cassa generato dagli investimenti esistenti è maggiore dei fondi richiesti dalle
opportunità d’investimento in grado di creare valore (di ottenere cioè un ren-
dimento superiore alla soglia minima). A questo punto, le imprese devono
trovare il modo di restituire questa eccedenza di flussi di cassa ai proprietari.
Nelle società non quotate, ciò può avvenire tramite il semplice ritiro, da parte
dei proprietari, di una parte dei fondi investiti nell’impresa. Nelle società quo-
tate in Borsa, invece, ciò avverrà tramite il pagamento di dividendi o il riacqui-
sto di azioni proprie. Nei Capitoli 10 e 11 introdurremo i criteri sulla base dei
quali decidere se tale eccedenza debba rimanere in un’impresa o essere resti-
tuita. Per gli azionisti delle società quotate in Borsa, questa decisione dipen-
derà fondamentalmente dalla fiducia riposta nel management dell’impresa; e
tale fiducia, a sua volta, dipenderà in gran parte dal modo in cui il manage-
ment ha investito i fondi affidatigli in passato. Prenderemo anche in conside-
razione le diverse modalità di restituzione del denaro ai proprietari — divi-
dendi, riacquisto di azioni propri e spin-off — e vedremo come scegliere tra
queste opzioni.

Decisioni di finanza aziendale, valor


valoree
dell’impr esa e valor
dell’impresa valoree del capitale netto
Se la funzione obiettivo è la massimizzazione del valore dell’impresa, il valore
dell’impresa deve essere in qualche modo legato alle tre grandi decisioni di
finanza aziendale che abbiamo descritto — investimento, finanziamento e di-

Cap1.p65 6 28/03/2001, 18.43


I fondamenti 7

videndi. Il legame fra queste decisioni e il valore dell’impresa è dato dal fatto
che il valore di un’impresa è il valore attuale dei flussi di cassa attesi, attualizzati a
un tasso che rifletta la rischiosità degli investimenti e la struttura finanziaria utiliz-
zata per finanziarli. Gli investitori formano delle aspettative sui flussi di cassa
futuri in base all’osservazione dei flussi di cassa correnti e alle previsioni di
crescita futura, le quali, a loro volta, dipendono dalla qualità dei progetti del-
l’impresa (le decisioni di investimento) e dal tasso di reinvestimento degli utili
(che dipende dalla politica dei dividendi). Le decisioni di finanziamento influi-
scono sul valore di un’impresa tramite il tasso di attualizzazione e, potenzial-
mente, anche tramite i flussi di cassa attesi.
Questa chiara definizione di valore viene messa alla prova dalle interazioni
fra politica di investimento, politica di finanziamento e politica dei dividendi,
nonché dai conflitti di interesse tra azionisti e obbligazionisti da una parte, e
tra azionisti e management dall’altra.
Introdurremo i modelli base disponibili per la valutazione di un’azienda e
del suo capitale netto nel Capitolo 12, mettendoli ancora una volta in relazio-
ne con le decisioni manageriali in termini di investimenti, struttura finanziaria
e distribuzione dei dividendi. In questo contesto esamineremo i fattori che
determinano il valore di un’impresa e i diversi modi in cui le imprese possono
accrescere il proprio valore.

Esempi applicativi:
obiettivo su aziende r eali
reali
La sempre maggiore facilità di ottenere informazioni sull’operato di aziende
di ogni tipo e dimensione suggerisce che non abbiamo bisogno di utilizzare
imprese ipotetiche per illustrare i principi della finanza aziendale. Per questo
motivo, nel seguito del libro faremo riferimento a quattro imprese per illustra-
re le nostre convinzioni in tema di gestione finanziaria aziendale:
1. Disney Corporation La Disney Corporation è una società quotata in Bor-
sa con numerose partecipazioni nel settore dello spettacolo e della comu-
nicazione. Sebbene molti identifichino la Disney con il logo di Mickey Mou-
se, o con Disney World, o con i classici cartoni animati di Walt Disney, si
tratta di un’impresa ben più diversificata. Le partecipazioni della Disney
includono proprietà immobiliari (sotto forma di multiproprietà e proprietà
da locare in Florida e South Carolina), reti televisive (ABC e ESPN), pubbli-
cazioni, studi cinematografici (Touchstone Pictures) e attività commerciali
al dettaglio (ci sono 610 negozi Disney nel mondo). La Disney ci aiuterà a
illustrare le scelte che società grandi e diversificate devono compiere nel-
l’affrontare le classiche decisioni di finanza aziendale: dove investire? Come
finanziare gli investimenti? Quanto restituire agli azionisti?
2. Bookscape Books Si tratta di un negozio di libri indipendente sito in New
York City, uno dei pochi rimasti dopo l’invasione delle catene di librerie

Cap1.p65 7 28/03/2001, 18.43


8 Capitolo 1

come Barnes and Noble e Borders Books. Utilizzeremo Bookscape Books


per illustrare alcuni problemi che riguardano le imprese non quotate, per le
quali vi è una limitata disponibilità di informazioni.
3. Aracruz Cellulose Aracruz Cellulose è un’azienda brasiliana che produce
pasta di cellulosa di Eucalyptus (utilizzata per la fabbricazione di carta di
alta qualità) e gestisce stabilimenti per la produzione di pasta di legno, im-
pianti elettrochimici e terminal portuali. Noi la utilizzeremo per illustrare
problematiche specifiche ad aziende che operano in una economia in tran-
sizione e in un contesto caratterizzato da inflazione elevata e instabile.
4. Deutsche Bank La Deutsche Bank è la principale banca commerciale te-
desca, e dopo l’acquisizione della banca di investimento inglese Morgan
Grenfell svolge anche un ruolo di primo piano nell’attività di collocamen-
to. Useremo la Deutsche Bank per illustrare alcuni problemi che nascono
quando un’impresa di servizi finanziari deve prendere decisioni relative a
investimenti, finanziamenti e dividendi in un ambiente altamente regola-
mentato.

Guida alle risorse


Per rendere questo libro interattivo e tenerlo aggiornato, utilizzeremo una se-
rie di soluzioni:
■ Questo simbolo precede gli esempi in cui le quattro aziende sopra elencate
verranno utilizzate per applicare i principi della finanza aziendale.
■ Questo simbolo indica una serie di spreadsheet, disponibili sul sito Web di
supporto al libro, che possono essere adoperati per applicare i modelli de-
scritti (ad esempio, vi sono spreadsheet per la stima della struttura finan-
ziaria ottimale e per la valutazione d’azienda).
■ Questo simbolo indica il riferimento a file di dati, sempre disponibili sul
sito Web di supporto al libro, che vengono mantenuti aggiornati e che sono
necessari per effettuare le analisi proposte (ad esempio, nel contesto della
stima dei parametri di rischio di un’azienda richiameremo l’attenzione su
un file di dati contenente valori medi di tali parametri per i diversi settori
industriali).
■ Questo simbolo ricorre con una certa regolarità. Infatti, per sottolineare i
punti chiave del capitolo, spesso ci fermeremo per chiedere al lettore di
rispondere ad alcune domande, ispirate da problemi concreti; le relative
risposte sono disponibili sul sito Web di supporto al libro.
■ Questo simbolo, infine, precede momenti di approfondimento, in cui ana-
lizziamo alcuni problemi di carattere pratico che possono sorgere nella ge-
stione finanziaria delle aziende e discutiamo le possibili soluzioni.

Cap1.p65 8 28/03/2001, 18.43


I fondamenti 9

Alcuni aspetti fondamentali


della finanza aziendale

Nel corso del libro, faremo più volte riferimento ad alcune caratteristiche fon-
damentali della finanza aziendale:
1. La finanza aziendale ha una sua coerenza interna, che le deriva dalla
scelta di un’unica funzione obiettivo (la massimizzazione del valore del-
l’impresa) e da alcune convinzioni forti: il rischio deve essere remunerato; i
flussi di casa sono più importanti delle misure contabili; non è facile ingan-
nare i mercati; ogni decisione aziendale ha un impatto sul valore dell’im-
presa.
2. La finanza aziendale va vista nel suo insieme, piuttosto che come un
aggregato di precetti sparsi. Le decisioni di investimento in genere han-
no un impatto sulle decisioni di finanziamento (e viceversa), che a loro
volta condizionano le politiche dei dividendi (e viceversa). Raramente que-
ste decisioni possono essere considerate indipendenti l’una dall’altra. Per
questo motivo è assai improbabile che aziende che considerino queste de-
cisioni come distinte l’una dall’altra possano mai davvero risolvere il pro-
blema di fondo. Ad esempio, un’impresa che riducesse il livello dei divi-
dendi, ritenendolo la fonte dei propri problemi, potrebbe risentirne nelle
sue politiche di investimento e finanziamento.
3. La finanza aziendale serve a tutti. In ogni decisione presa da un’impresa
vi è un aspetto di finanza aziendale e tutti possono trovare utili almeno
alcune aree della finanza aziendale.
4. La finanza aziendale è divertimento. Questa può sembrare l’affermazio-
ne più sorprendente. Molti associano infatti la finanza aziendale a numeri,
bilanci e fredde analisi quantitative. Sebbene la finanza aziendale abbia
certo una importante dimensione quantitativa, vi è anche una significativa
componente di creatività nell’ideare soluzioni ai problemi finanziari con-
creti che un’attività di impresa si trova ad affrontare.
5. Il modo migliore per apprendere la finanza aziendale è applicarla con-
cretamente. Il test ultimo della validità di un qualunque modello teorico è
la sua applicazione pratica. In questo libro dimostriamo che una gran parte
della teoria della finanza aziendale può essere applicata non solo ad astrat-
ti esempi, ma anche ai problemi pratici di aziende reali.

Cap1.p65 9 28/03/2001, 18.43


10 Capitolo 1

Riepilogo
Questo capitolo descrive i principi guida della finanza aziendale: il Principio
di Investimento, secondo il quale bisogna investire solo in progetti il cui ren-
dimento superi una certa soglia minima; il Principio di Finanziamento, secon-
do il quale la struttura finanziaria ottimale è quella che massimizza il valore
degli investimenti compiuti; il Principio dei Dividendi, secondo il quale i flussi
di cassa “in eccesso” debbono essere restituiti ai proprietari.

Cap1.p65 10 28/03/2001, 18.43


2
L’obiettivo

Se non sai dove andare, non puoi sapere come arrivarci.


Anonimo

La forza della finanza aziendale, ma al tempo stesso anche la sua debo-


lezza, sta nel porsi come obiettivo la massimizzazione del valore dell’im-
presa. Da un lato, infatti, attorno a tale obiettivo essa può costruire un
sistema coerente e integrato di modelli e teorie, capace di guidare le de-
cisioni aziendali di investimento e finanziamento; dall’altro, però, i risul-
tati ottenuti hanno valore soltanto nella misura in cui si mantenga que-
sta funzione obiettivo.
Nel corso di questo capitolo spiegheremo le ragioni che ci inducono a
scegliere la massimizzazione del valore dell’impresa come funzione obiet-
tivo. In particolare, esamineremo sotto quali condizioni essa risulti esse-
re la “giusta” funzione obiettivo, i problemi in cui può incorrere un’azien-
da nella sua applicazione e alcuni possibili rimedi. Tale analisi ci porterà
a concludere che, malgrado tali problemi, la massimizzazione del valore
dell’impresa risulta di gran lunga superiore a funzioni obiettivo alterna-
tive, se non altro perché intrinsecamente dotata di meccanismi autocor-
rettivi.

Cap2.p65 11 26/04/2001, 16.13


12 Capitolo 2

Cap2.p65 12 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 13

La funzione obiettivo tr adizionale


tradizionale
I teorici della finanza aziendale sono in genere concordi nel sostenere che l’obiettivo
di un’impresa è la massimizzazione del valore. Più dibattuto è se questo implichi
la massimizzazione del patrimonio degli azionisti (stockholder wealth) o del-
l’intero patrimonio dell’azienda (firm wealth o firm value), che include, oltre
agli azionisti, anche altre classi di investitori (obbligazionisti, banche, azionisti
di risparmio ecc…). Inoltre, anche coloro che propendono per la massimizza-
zione del patrimonio degli azionisti non sono concordi sulla questione se questo
si traduca o meno nella massimizzazione dei prezzi azionari (stock price).
Queste tre funzioni obiettivo sono caratterizzate dalle diverse ipotesi ne-
cessarie a giustificarle. Da questo punto di vista, la meno restrittiva fra le tre
risulta la massimizzazione del patrimonio aziendale, e la più restrittiva la mas-
simizzazione dei prezzi azionari.

P er ché puntar
erché puntaree alla massimizzazione
dei pr ezzi azionari?
prezzi
Ci sono tre motivi per cui la finanza aziendale tradizionale si concentra sulla
massimizzazione del prezzo azionario. Innanzitutto il prezzo azionario è un
parametro immediatamente e costantemente osservabile per giudicare l’ope-
rato di una società quotata in Borsa. A differenza di altri parametri quali utili o
fatturato, i prezzi azionari vengono infatti continuamente aggiornati, riflet-
tendo così istantaneamente nuove informazioni circa l’operato di un’azienda.
Ciò consente al management di avere un immediato riscontro delle iniziative
intraprese. Si prenda ad esempio la reazione dei mercati all’annuncio di un
progetto di acquisizione. Nella maggior parte dei casi, sebbene il management
decanti le virtù dell’operazione di acquisizione, i prezzi azionari dell’azienda che
tenta la scalata scendono notevolmente, a testimonianza del fatto che i mercati
sottopongono a vaglio critico le affermazioni del management.
Il secondo motivo è che i prezzi azionari, in un mercato razionale, rifletto-
no gli effetti di lungo termine delle politiche aziendali. Diversamente da para-
metri quali il fatturato o la quota di mercato (market share), che riflettono solo
l’effetto immediato dell’operato di un’impresa, il valore di un’azione, per defi-
nizione, riflette anche gli effetti di lungo termine e le prospettive future del-
l’azienda. In un mercato razionale, i prezzi azionari rappresentano il tentativo
da parte degli investitori di misurare questo valore. Anche se tale processo è
soggetto a un margine di errore, una stima approssimativa del valore di lungo
termine di un’azienda va comunque preferita a una stima magari più precisa
ma limitata alla capacità reddituale attuale.
Infine, scegliere la massimizzazione dei prezzi azionari come funzione obiet-
tivo consente di individuare chiaramente il modo migliore per scegliere i pro-
getti di investimento e le modalità di finanziamento.

Cap2.p65 13 26/04/2001, 16.13


14 Capitolo 2

Domanda di verifica 2.1


La funzione obiettivo dell’azienda
Quale ritieni debba essere la funzione obiettivo di un’azienda?
■ Massimizzare il prezzo azionario o il patrimonio degli azionisti, senza vin-
coli di alcun tipo.
■ Massimizzare il prezzo azionario o il patrimonio degli azionisti, ma a patto
di comportarsi da buon cittadino nella società.
■ Massimizzare i profitti o la redditività.
■ Massimizzare la quota di mercato.
■ Massimizzare il fatturato.
■ Massimizzare il bene pubblico.
■ Altro.

La classica teoria dell’impr esa


dell’impresa
Nella tipica società quotata in Borsa, gli azionisti affidano al management il
compito di gestire l’azienda per loro conto; il management a sua volta si rivol-
ge alle banche o al mercato obbligazionario per finanziare le operazioni del-
l’azienda; gli azionisti, tramite l’acquisto e la vendita di azioni, rispondono
alle informazioni fornite loro dal management sull’operato dell’azienda; que-
st’ultima, infine, si muove nel contesto più ampio della società in cui opera.
Concentrandosi sulla massimizzazione del patrimonio degli azionisti, la fi-
nanza aziendale si espone a diversi rischi. Innanzitutto, i manager incaricati
dagli azionisti di gestire l’azienda possono avere interessi personali che diver-
gono dalla massimizzazione del patrimonio degli azionisti. In secondo luogo,
il patrimonio degli azionisti può essere incrementato a spese delle altre cate-
gorie di investitori (obbligazionisti, banche, creditori ecc.). In terzo luogo, le
informazioni che circolano nei mercati finanziari possono essere imprecise o
fuorvianti, e/o la reazione dei mercati può rivelarsi sproporzionata. Infine, le
aziende che puntano alla massimizzazione del valore possono creare elevati
costi sociali di cui non si trova traccia nei bilanci societari.
Questi conflitti di interesse diventano ancor più rilevanti se consideriamo
anche gli altri portatori di interessi in un’azienda, quali dipendenti e clienti.
Infatti i dipendenti possono avere poco o nessun interesse alla massimizza-
zione del patrimonio degli azionisti, puntando piuttosto all’incremento della
propria retribuzione e alla sicurezza del posto di lavoro. In alcuni casi interessi
di questo tipo si rivelano in netto contrasto con la massimizzazione del patri-
monio degli azionisti. Ai clienti, dal canto loro, probabilmente interesserà che
i prodotti e i servizi dell’azienda siano disponibili a un prezzo basso. Anche
questo, tuttavia, potrebbe essere in conflitto con gli interessi degli azionisti.

Cap2.p65 14 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 15

P otenziali costi collater ali


collaterali
della massimizzazione del valor e
valore
L’impresa che sceglie come unico obiettivo la massimizzazione del valore (sia
esso inteso come patrimonio dell’azienda o come patrimonio degli azionisti),
può generare costi sociali talmente elevati da superare i benefici derivanti da
questa funzione obiettivo. In tali casi, la funzione obiettivo può dover essere
modificata, anche se, a dire il vero, funzioni obiettivo alternative non sembra-
no in grado di risolvere completamente questo problema.
Porre come obiettivo la massimizzazione del valore può essere problemati-
co anche quando la proprietà dell’impresa è disgiunta dalla gestione (come
accade nella maggior parte delle grandi aziende quotate in Borsa), per via del
possibile conflitto di interessi fra azionisti/proprietari e management. In nu-
merose situazioni, infatti, l’obiettivo della massimizzazione del valore potreb-
be scontrarsi con gli interessi personali del management.
Un ulteriore conflitto di interessi, questa volta fra azionisti e obbligazioni-
sti, può sorgere se la funzione obiettivo è la massimizzazione del patrimonio
degli azionisti. Dal momento che di solito gli azionisti controllano il processo
decisionale e che gli strumenti di tutela a disposizione degli obbligazionisti
non sono perfetti, un modo per incrementare il patrimonio degli azionisti è
quello di trasferire ricchezza dagli obbligazionisti agli azionisti, anche a costo
di ridurre il patrimonio dell’azienda.
Infine, quando la funzione obiettivo scelta è la massimizzazione dei prezzi
azionari, eventuali inefficienze dei mercati finanziari possono produrre un’er-
rata allocazione delle risorse e indurre decisioni sbagliate. Per esempio, se i
prezzi azionari non riflettono le conseguenze di lungo termine delle decisioni
aziendali ma soltanto, come alcuni sostengono, gli effetti immediati sui profit-
ti, una decisione che in realtà incrementa il patrimonio degli azionisti, ma nel-
l’immediato fa diminuire i profitti, potrebbe portare a una diminuzione del
prezzo dell’azione. Allo stesso modo, una decisione che riduce il patrimonio
degli azionisti, ma al contempo genera un incremento immediato dei profitti,
potrebbe aumentare il prezzo dell’azione.

In pratica
Qual è l’obiettivo per un’impr esa non quotata
un’impresa
o un’organizzazione non-pr ofit?
non-profit?
Massimizzare il prezzo azionario può rappresentare la funzione obiettivo sol-
tanto per le aziende quotate in Borsa. Per le aziende non quotate, l’obiettivo
rimane la massimizzazione del valore dell’impresa. I principi guida per le po-
litiche di investimento, di finanziamento e dei dividendi che analizzeremo nei
capitoli seguenti sono validi sia per le aziende quotate in Borsa che per quelle
non quotate, essendo entrambe orientate alla massimizzazione del valore del-

Cap2.p65 15 26/04/2001, 16.13


16 Capitolo 2

l’impresa. Tuttavia, dal momento che per le aziende non quotate il valore del-
l’impresa non è una misura direttamente osservabile e necessita di una stima,
a esse mancherà quel riscontro immediato – talvolta indesiderato – disponibi-
le invece alle aziende quotate quando si trovano a dover prendere delle deci-
sioni importanti.
Risulta molto più difficile applicare i principi della finanza aziendale alle
organizzazioni non-profit, in quanto in genere il loro obiettivo è quello di for-
nire un servizio nel modo più efficiente possibile, piuttosto che di ottenere
profitti. Nel seguito esamineremo alcuni dei fattori che questo tipo di organiz-
zazioni devono tenere in considerazione nel prendere decisioni di investimento
e di finanziamento.

Un mondo ideale…
È possibile concepire uno scenario in cui la massimizzazione dei prezzi azio-
nari rappresenta la “giusta” funzione obiettivo, senza effetti collaterali negati-
vi né conflitti di interessi. In questo mondo ideale dovrebbero verificarsi, con-
temporaneamente, tutte le seguenti condizioni:
1. Il management mette in secondo piano i propri interessi dando precedenza
a quelli degli azionisti. Questo può verificarsi o perché i manager temono
che gli azionisti provvedano a destituirli, o perché detengono un numero
rilevante di azioni e dunque la massimizzazione del patrimonio degli azio-
nisti diventa anche il loro obiettivo principale.
2. Coloro che prestano fondi all’azienda sono completamente protetti da ten-
tativi di espropriazione da parte degli azionisti. Questa situazione può ve-
rificarsi nel caso in cui gli azionisti vogliano tutelare la propria reputazione
sul mercato dei capitali, vale a dire la capacità di ottenere fondi a prestito in
futuro sul mercato obbligazionario, e quindi non prenderanno mai provve-
dimenti tesi a espropriare ricchezza da obbligazionisti e altri investitori;
oppure nel caso in cui questi ultimi riescano a proteggersi completamente
introducendo nel contratto una serie di clausole che impediscono all’azienda
di intraprendere azioni che risultino in una riduzione del loro patrimonio.
3. Il management non cerca di ingannare i mercati finanziari circa le prospet-
tive future dell’azienda; la quantità e qualità delle informazioni disponibili
è sufficiente perché i mercati possano valutare gli effetti dell’operato del-
l’azienda in termini di valore; i mercati sono razionali e ragionevoli nella
loro valutazione di tale operato e delle prevedibili conseguenze in termini
di valore.
4. Non ci sono costi sociali, nel senso che tutti i costi prodotti dall’azienda nel
tentativo di massimizzare il patrimonio degli azionisti possono essere mi-
surati e imputati all’azienda stessa.
Qualora si verifichino queste condizioni, la massimizzazione del patrimonio
degli azionisti non produce effetti collaterali negativi, e i prezzi azionari riflet-

Cap2.p65 16 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 17

tono correttamente il patrimonio degli azionisti. Il management può così con-


centrarsi su un unico obiettivo: massimizzare i prezzi azionari. Affinché sia
valida come funzione obiettivo la massimizzazione del patrimonio dell’azien-
da non sono necessari come presupposti né l’efficienza del mercato né la pro-
tezione degli obbligazionisti; la massimizzazione del patrimonio degli azioni-
sti presuppone invece quest’ultima condizione.
I requisiti necessari per mantenere la funzione obiettivo tradizionale sono
sintetizzati nella Figura 2.1.

Figura 2.1 La funzione obiettivo tradizionale

I pr oblemi
problemi
Nel paragrafo precedente abbiamo elencato i requisiti necessari perché la mas-
simizzazione dei prezzi azionari rappresenti l’unica funzione obiettivo. È faci-
le tuttavia constatare che nella realtà questi requisiti non sono sempre soddi-
sfatti. Il management non sempre prende decisioni che vanno incontro agli
interessi degli azionisti; gli azionisti a volte prendono iniziative che trasferi-
scono a essi parte del patrimonio degli obbligazionisti o di altri investitori;
l’informazione che circola nei mercati è approssimativa e talora fuorviante; ci
sono costi sociali che non possono essere misurati e imputati all’azienda che li
ha generati. Nei paragrafi seguenti prenderemo in considerazione alcuni dei modi
in cui questi quattro rapporti – azionisti/management, azionisti/obbligazionisti,

Cap2.p65 17 26/04/2001, 16.13


18 Capitolo 2

azionisti/mercato e azionisti/società – possono innescare un corto circuito nella


funzione obiettivo basata sulla massimizzazione del prezzo azionario.

Azionisti e management
In linea teorica, gli azionisti hanno il potere di disciplinare ed eventualmente
destituire i manager che non dimostrino di operare nel loro interesse. I due
meccanismi a disposizione degli azionisti per l’esercizio di questo potere sono
l’assemblea annuale, in seno alla quale è possibile manifestare riserve circa
l’operato del management e sostituirlo se necessario, e il consiglio di ammini-
strazione (Board of Directors), il cui compito fiduciario è assicurare che il ma-
nagement agisca nell’interesse degli azionisti. Ma quanto sono efficaci queste
istituzioni nel consentire agli azionisti di esercitare un reale potere di control-
lo sul management?
Prendiamo in esame l’assemblea annuale. La maggior parte degli azionisti
non partecipano alle assemblee annuali, o perché non ritengono che la loro
presenza e il loro voto possano avere un impatto significativo, o perché parte-
cipare sarebbe eccessivamente costoso. Essi possono tuttavia esercitare il di-
ritto di voto per delega1, ma, salvo che ci sia una cosiddetta battaglia di dele-
ghe (proxy fight), il management in carica parte con un netto vantaggio 2. In-
fatti molti azionisti, soprattutto i piccoli azionisti, non esercitano nemmeno il
loro diritto di voto per delega, e anche quando lo esercitano la soluzione più
semplice è spesso votare per il management in carica. Anche per gli azionisti
con una quota azionaria significativa (investitori istituzionali ecc.), dato che in
genere essi detengono partecipazioni azionarie in molte altre società, l’opzio-
ne più semplice quando non sono soddisfatti del management in carica è quella
di vendere le proprie azioni3. Un atteggiamento meno passivo da parte di questa
categoria di azionisti contribuirebbe significativamente a rendere il manage-
ment più attento e sensibile agli interessi degli azionisti stessi. La recente ten-
denza a un maggiore attivismo da parte dei maggiori azionisti sarà documen-
tata nei paragrafi seguenti.
Anche il potere del consiglio di amministrazione di disciplinare il manage-
ment e di renderlo responsabile di fronte agli azionisti viene in pratica ridotto
da una serie di fattori:

1 La delega autorizza gli azionisti a votare sulla nomina del consiglio di amministrazio-
ne e sulle decisioni che sono oggetto di voto in seno all’assemblea. La delega non consen-
te invece di porre domande direttamente al management.
2 Tale vantaggio è maggiore se lo statuto della società in questione consente al manage-
ment in carica di votare per conto di quegli azionisti che non abbiano inviato le proprie
deleghe di voto. Questo equivale a un’elezione in cui il candidato in carica automatica-
mente riceve i voti di tutti coloro che non si presentano a votare.
3 L’espressione anglosassone in tali casi è “to vote with your feet”; letteralmente “votare
con i propri piedi”, ossia andarsene [N.d.C.].

Cap2.p65 18 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 19

1. In molti casi, i membri del consiglio di amministrazione (director4) non pos-


sono dedicare molto tempo all’espletamento dei loro doveri fiduciari a causa
di altri impegni o perché molti di essi fanno parte del consiglio di ammini-
strazione di diverse società. Questo fenomeno è illustrato in modo chiaro
in uno studio della società di “cacciatori di teste” Korn-Ferry5, secondo il
quale nel 1992, in media, un membro del consiglio di amministrazione de-
dicava alle riunioni del consiglio complessivamente (durata delle riunioni
più preparazione necessaria) 92 ore all’anno, in diminuzione rispetto alle
108 ore del 1988, e veniva pagato6 32.352 dollari, in aumento rispetto ai
19.544 dollari del 1988.
2. Anche gli amministratori che davvero cercano di capire le problematiche
dell’azienda sono spesso ostacolati dalla mancanza di competenze specifi-
che in certe aree, quali ad esempio gli aspetti contabili e alcuni aspetti tec-
nici delle fusioni e acquisizioni, per le quali si affidano a esperti esterni.
3. Anche quando molti membri del consiglio di amministrazione risultino for-
malmente esterni all’azienda (outsider), non li si può considerare del tutto
indipendenti, dal momento che il CEO (Chief Executive Officer)7 ha spesso
l’ultima parola nella loro nomina. Lo studio di Korn-Ferry rivela che, nella
ricerca di nuovi membri del consiglio, il 74% delle 426 società prese in esa-
me si affida al presidente del consiglio di amministrazione (Chairman8),
mentre soltanto il 16% si affida a società indipendenti specializzate in tale
ricerca.

4 In Gran Bretagna, il termine director viene invece riservato al management [N.d.C.].


5 Questo studio, riportato in un articolo del Wall Street Journal, analizza la composizione
e il funzionamento dei consigli di amministrazione di grandi aziende quotate in Borsa,
con particolare attenzione alla retribuzione dei consiglieri e al tempo da essi dedicato
all’esercizio dei loro compiti.
6 Queste cifre rappresentano una sottostima in quanto non comprendono indennità e
gratifiche come assicurazioni e benefici pensionistici. Una società di ricerca, la Hewitt As-
sociates, rileva che il 67% delle 100 aziende prese in esame offre ai consiglieri di ammini-
strazione programmi di pensionamento.
7 La figura italiana corrispondente è quella dell’Amministratore Delegato [N.d.C.].
8 Negli Stati Uniti, il Chairman è di frequente il CEO della società, soprattutto in piccole
aziende. In Italia “i due ruoli di presidente e di amministratore delegato sono separati…”
ma “…spesso i presidenti, invece di vigilare, hanno oscillato tra un ruolo puramente di
rappresentanza — in totale commistione con il management — e un ruolo operativo, che
deresponsabilizza la dirigenza e può creare tremendi disastri” (Corriere della Sera, 31 ago-
sto 1999). La problematica relazione fra le due figure è esemplificata dal conflitto che oc-
corse ai vertici dell’ENI, 1999. La “netta distinzione tra le funzioni del Presidente e quelle
dell’Amministrazione Delegato” è enfatizzata nella nuova struttura di corporate gover-
nance dell’ENI (http://www.eni.it/italiano/azioni/governance/governance.html) [N.d.C.].

Cap2.p65 19 26/04/2001, 16.13


20 Capitolo 2

4. Inoltre, la scelta ricade spesso su individui che ricoprono il ruolo di CEO (o


comunque di membri del consiglio di amministrazione9) in altre società,
con la conseguente possibilità di conflitti di interesse.
5. La maggior parte dei membri del consiglio di amministrazione detengono
soltanto un piccolo numero o un numero simbolico di azioni della società
in cui ricoprono tale ruolo, il che rende loro difficile calarsi nei panni degli
azionisti quando il prezzo dell’azione scende. Uno studio della società di
consulenza ISS (Institutional Shareholder Services), ha rivelato che, fra i
membri del consiglio di amministrazione di 275 grandi società quotate
in Borsa negli Stati Uniti, ben 27 non possedevano alcuna azione nella so-
cietà in cui rivestivano tale carica, e il 5% circa possedeva meno di cinque
azioni.
L’effetto di tutti questi fattori è che spesso il consiglio di amministrazione vie-
ne meno al suo compito principale, ovvero proteggere gli interessi degli azio-
nisti. Il CEO stabilisce l’ordine del giorno, presiede l’assemblea e controlla le
informazioni. In genere, la ricerca del consenso finisce per soffocare ogni ten-
tativo di confronto. Va anche notato che i recenti movimenti di riforma della
corporate governance (documentati in un paragrafo successivo) sono nati grazie
all’azione dei grandi investitori istituzionali, non per iniziativa dei consigli di
amministrazione.
L’incapacità del consiglio di amministrazione nel proteggere efficacemente
gli azionisti può essere illustrata con numerosi esempi tratti dall’esperienza
statunitense. Ma questo non deve farci perdere di vista un fatto ancora più
preoccupante: il potere di controllo sul management da parte degli azionisti è
comunque superiore negli Stati Uniti rispetto a qualsiasi altro mercato finan-
ziario. Se infatti l’assemblea annuale e il consiglio di amministrazione sono
spesso inefficaci negli Stati Uniti, essi hanno ancor meno potere in Europa e
Asia. Alcuni studiosi del modello di corporate governance di Germania e Giap-
pone sostengono che tali sistemi hanno sviluppato altri meccanismi per con-
trollare l’operato del management, ma questa affermazione è difficilmente
comprovabile.

9 È il fenomeno delle interlocking directorship. Ad esempio, come condizione per l’appro-


vazione del takeover dell’INA da parte di Assicurazioni Generali, il Commissario per la
Concorrenza Monti richiese che i membri del consiglio di amministrazione della Generali
non ricoprissero simili cariche in altre società direttamente o indirettamente operanti nel
settore delle assicurazioni. Come riportato dall’Economist (22 gennaio 2000) in quel mo-
mento “Mr. Lucchini” sedeva nel consiglio di sei grandi società (fra cui Mediobanca e Ge-
nerali), in tre casi come presidente (fra cui Compart). Compart, Mediobanca e Gene-
rali erano i maggiori tre azionisti della società di assicurazioni La Fondiaria. Interlock-
ing directorships sono frequenti in strutture industriali caratterizzate da significative par-
tecipazioni azionarie incrociate (cross-stockholding), come Germania, Giappone e Ita-
lia [N.d.C.].

Cap2.p65 20 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 21

Esempio applicativo
Il caso del consiglio di amministr azione
amministrazione
della Disney
L’analisi della composizione del consiglio di amministrazione della Disney ci
permette di fare il punto su molti problemi riguardanti questa istituzione. Nel
1996 il consiglio di amministrazione della Disney era composto dai seguenti
16 membri:

Manager
■ Michael D. Eisner, 54 anni: presidente del consiglio di amministrazione e
CEO.
■ Roy E. Disney, 66 anni: vice presidente del consiglio di amministrazione,
responsabile del business Animazione.
■ Sanford M. Litvack, 60 anni: senior executive vice president (VP) e respon-
sabile delle operazioni aziendali.
■ Richard A. Nunis, 64 anni: presidente del consiglio di amministrazione della
Walt Disney Attractions.

Ex manager
■ Raymond L. Watson, 70 anni: presidente del consiglio di amministrazione
della Disney nel 1983 e 1984.
■ E. Cardon Walker, 80 anni: presidente del consiglio di amministrazione e
CEO della Disney nel periodo 1980-83. Nell’anno fiscale 1996, grazie a un
piano di incentivi, ha ricevuto pagamenti per un totale di 609.826 dollari
per film in cui aveva investito fra il 1963 e il 1979.
■ Gary L. Wilson, 56 anni: chief financial officer (CFO) della Disney fra il
1985 e il 1989.

Outsider (o presunti tali)10


■ Reveta F. Bowers, 48 anni: direttore della scuola Center for Early Educa-
tion, dove studiavano i figli di Eisner.
■ Ignacio E. Lozano Jr., 69 anni: presidente della Lozano Enterprises; editore
del quotidiano La Opinion di Los Angeles.
■ George J. Mitchell, 63 anni: procuratore di Washington D.C.; ex senatore
degli Stati Uniti. Il signor Mitchell ha ricevuto 50.000 dollari dalla Disney

10 Questi outside director con relazioni di tipo finanziario o personale con l’azienda ven-
gono spesso indicati con il termine gray director [N.d.C.].

Cap2.p65 21 26/04/2001, 16.13


22 Capitolo 2

per la sua consulenza su questioni di commercio internazionale nell’anno


fiscale 1996. Inoltre il suo studio legale a Washington D.C. ha ricevuto come
compenso addizionale 122.764 dollari.
■ Stanley P. Gold, 54 anni: presidente e CEO della Shamrock Holdings, Inc.,
che gestisce investimenti pari a circa un miliardo di dollari per conto della
famiglia Disney.
■ Thomas S. Murphy, 71 anni: ex presidente del consiglio di amministrazione
e CEO della Capital Cities/ABC, Inc.
■ Rev. Leo J. O’Donovan, 62 anni: preside della Georgetown University, in
cui ha studiato uno dei figli di Eisner. Eisner, a sua volta ha fatto parte del
consiglio della Georgetown University e ha devoluto più di un milione di
dollari all’università.
■ Irwin E. Russell, 70 anni: procuratore di Beverly Hills; fra i suoi clienti figu-
ra anche Mr. Eisner.
■ Sidney Poitier, 69: attore.
■ Robert A. M. Stern, 57 anni: architetto di New York che ha disegnato nume-
rosi progetti per la Disney. Nell’anno fiscale 1996 il signor Stern ha ricevu-
to 168.278 dollari dalla Disney per le sue prestazioni.

Senza voler mettere in dubbio l’onestà di questi individui, è certo interessante


notare l’alto numero di insider (vale a dire, manager o ex manager della Disney)
nel consiglio di amministrazione, nonché i rapporti fra i membri “esterni” e Ei-
sner. È difficile pensare che essi si opporrebbero alle scelte di quest’ultimo.
Nel 1997 il California Public Employees’ Retirement System (CalPERS) ha
suggerito una serie di test per valutare l’efficacia di un consiglio di ammini-
strazione di fronte a un potente CEO e li ha quindi applicati alle 500 aziende
che costituiscono l’indice S&P 500. L’unica società a fallire in tutti questi test è
stata proprio la Disney. Nel 1997, nella classifiche dei consigli di amministra-
zione aziendali delle maggiori società statunitensi, pubblicate da riviste quali
Fortune e Business Week, la Disney risultava all’ultimo posto.

Quando il gatto non c’è, i topi ballano…


Se i due meccanismi di corporate governance – l’assemblea annuale e il consi-
glio di amministrazione – non sono efficaci nel mantenere il management re-
sponsabile di fronte agli azionisti, come sostenuto nei paragrafi precedenti,
non possiamo aspettarci che il management massimizzi il patrimonio degli
azionisti, soprattutto quando i suoi interessi divergono da quelli degli azioni-
sti. Ci sono numerosi esempi in tal senso. Negli anni ’80, il management di
molte aziende oggetto di tentativi di scalata ostile (hostile takeover) riuscì a
evitare la scalata rilevando le partecipazioni azionarie del candidato acquiren-
te, in genere ad un prezzo di molto superiore a quello pagato da quest’ultimo.
Questo processo, chiamato greenmail, produce conseguenze negative sui prezzi

Cap2.p65 22 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 23

azionari, ma protegge la posizione del management in carica. Un altro stru-


mento assai diffuso per evitare acquisizioni ostili è il golden parachute (lette-
ralmente paracadute d’oro), una clausola in un contratto di lavoro che assicura
al manager il pagamento di una certa somma (una tantum, oppure frazionata
nel tempo), qualora il manager perda il proprio lavoro a seguito dell’acquisi-
zione. Anche se alcuni economisti hanno giustificato il pagamento di golden
parachute come un modo per ridurre i conflitti fra azionisti e management,
risulta tuttavia sconcertante che i manager debbano aver bisogno di un’ulte-
riore forma di compensazione per fare quello che in realtà è il loro lavoro, cioè
massimizzare il patrimonio degli azionisti. Infine, le aziende talvolta emetto-
no dei titoli chiamati poison pills (letteralmente pillole di veleno), i diritti o i
flussi di cassa sui quali sono attivati in caso di offerte di acquisto ostili. L’obiet-
tivo è di rendere difficile e costosa l’acquisizione del controllo dell’azienda da
parte di terzi. Va notato che i tre meccanismi elencati non richiedono l’appro-
vazione degli azionisti e di solito vengono adottati da consigli di amministra-
zione accondiscendenti.
Gli emendamenti contro le acquisizioni (antitakeover amendment) si prefig-
gono lo stesso obiettivo di greenmail e poison pill (cioè dissuadere dalle offer-
te di acquisto ostili), con l’importante differenza che richiedono però il con-
senso degli azionisti. Vi sono diversi tipi di emendamenti contro le acquisizio-
ni. Citiamo i super-majority requirement (quando l’acquirente deve acquisire
più della semplice maggioranza per acquistare l’azienda), i fairprice amend-
ment (quando il prezzo di offerta deve superare un prezzo specificato relativa-
mente ai profitti), e le staggered election del consiglio di amministrazione (ele-
zioni a scaglione, il cui obiettivo è impedire che gli acquirenti prendano il con-
trollo per molti anni). Si può sostenere che un’azienda beneficia da questi
emendamenti, in quanto essi aumentano il potere negoziale del management
nelle trattative relative all’acquisizione e impediscono le acquisizioni cosid-
dette two-tier takeover11. Tuttavia, queste motivazioni a favore degli antitakeo-
ver amendment sono credibili solo nella misura in cui si assuma che il mana-
gement agisca negli interessi degli azionisti, il che resta da dimostrare.

Domanda di verifica 2.2


Emendamenti contr o le acquisizioni
contro
e fiducia nel management
Supponi di essere chiamato, in qualità di azionista, a votare per un emenda-
mento dello statuto volto a rendere più difficoltosi tentativi di scalata da parte
di terzi e dare al management maggiori poteri.

11 In un two-tier takeover, l’acquirente offre un prezzo maggiore per il primo 51% di-
sponibile a vendere le proprie azioni e un prezzo inferiore per coloro che offrono le pro-
prie azioni successivamente.

Cap2.p65 23 26/04/2001, 16.13


24 Capitolo 2

In quali delle seguenti società saresti più propenso a votare a favore di tale
emendamento?
■ Società in cui i manager promettono di utilizzare questo potere per strap-
pare il pagamento di una somma maggiore di denaro per gli azionisti nella
trattativa di vendita
■ Società che hanno operato male (in termini di profitti e prezzo azionario)
negli ultimi anni
■ Società che hanno operato bene (in termini di profitti e prezzo azionario)
negli ultimi anni
■ Non voterei per un tale emendamento
Ci sono molti modi in cui il management può danneggiare gli azionisti – inve-
stendo in cattivi progetti, scegliendo un livello di indebitamento eccessivo o
troppo esiguo, o adottando meccanismi di difesa contro offerte d’acquisto che
potenzialmente potrebbero aumentare il valore dell’azienda. Ma il modo più
veloce e forse più significativo, viste le cifre coinvolte, per impoverire gli azio-
nisti è quello di pagare troppo per l’acquisto di un’altra azienda. Chiaramente
il management dell’azienda acquirente non ammetterà mai di offrire una som-
ma eccessiva12, e anzi la giustificherà con un gran numero di motivi, quali
l’esistenza di sinergie, questioni di carattere strategico, il fatto che l’azienda
target è sottovalutata o mal gestita ecc… Gli azionisti delle aziende acquirenti
non sembrano condividere però l’entusiasmo del management in queste ac-
quisizioni, dal momento che spesso i prezzi azionari delle società acquirenti
scendono in modo significativo all’annuncio dell’offerta d’acquisto13.
Con la nostra trattazione non vogliamo insinuare che il management si
comporti in modo venale o egoistico, ma evidenziare un problema ben più
rilevante: quando si genera un conflitto di interessi fra azionisti e manage-
ment, la massimizzazione del patrimonio degli azionisti scende in secondo
piano rispetto agli interessi del management.

Azionisti e obbligazionisti
In un mondo senza conflitti di interesse fra azionisti e obbligazionisti, questi
ultimi non devono preoccuparsi di proteggersi contro possibili tentativi di

12 Una spiegazione del fenomeno degli eccessivi prezzi pagati in fusioni e acquisizioni si
trova in Roll (1986), il quale sostiene che è lo hubris (orgoglio) manageriale a guidare il processo.
13 Jarrel, Brickley e Netter (1988) in uno studio dei rendimenti delle aziende acquirenti
notano che gli excess return (vale a dire, i rendimenti azionari al netto del rendimento di
mercato) di queste aziende all’annuncio di un’offerta d’acquisto sono diminuiti da una
media del 4,95% negli anni ’60 a una media del 2% negli anni ’70 fino a una media del -
1% negli anni ’80. You, Caves, Smith e Henry (1986) hanno preso in esame 133 fusioni
risalenti al periodo fra il 1976 e il 1984 e hanno rilevato che nel 53% dei casi i prezzi
azionari delle aziende offerenti subirono una diminuzione.

Cap2.p65 24 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 25

espropriazione. Nella realtà, tuttavia, esistono vari modi in cui gli azionisti
possono avvantaggiarsi della mancanza di meccanismi protettivi da parte de-
gli obbligazionisti. Ad esempio, gli azionisti possono aumentare l’indice di
indebitamento (leverage), o pagare maggiori dividendi.

La r adice del conflitto


radice
La radice del conflitto di interessi fra azionisti e obbligazionisti sta nella diver-
sa natura dei diritti sui flussi di cassa spettanti ai due gruppi. Gli obbligazioni-
sti in genere hanno priorità di pagamento rispetto agli azionisti, ma ricevono
somme fisse, ammesso che l’azienda generi un livello di reddito sufficiente
per adempiere ai suoi obblighi finanziari. Gli azionisti hanno invece diritto al
pagamento dei flussi di cassa residuali, ma hanno l’opportunità di dichiarare
fallimento nel caso in cui l’azienda non abbia i fondi necessari per adempiere
ai suoi obblighi finanziari. Di conseguenza, nella scelta dei progetti di investi-
mento e in altre decisioni dell’azienda, gli obbligazionisti valutano il rischio in
modo molto più negativo rispetto agli azionisti, dal momento che essi ricevo-
no somme fisse anche se l’investimento si rivela un grande successo, mentre
possono sopportare una porzione significativa dei costi nel caso in cui si riveli
un fiasco. Di seguito analizzeremo alcune delle situazioni in cui gli interessi di
azionisti e obbligazionisti divergono.

Alcuni esempi del conflitto


Gli obbligazionisti possono essere danneggiati da un incremento del leverage,
soprattutto se di entità tale da interessare il rischio d’inadempienza dell’azienda
e se gli obbligazionisti non sono protetti. Questo effetto si verifica in modo
drammatico nel caso delle leveraged buy-out (LBO), operazioni di acquisizione
finanziate tramite debito, caratterizzate da un notevole incremento dell’indice
di indebitamento e dal conseguente calo del rating delle obbligazioni. In tal
caso il prezzo delle obbligazioni tende a diminuire, riflettendo il maggior ri-
schio d’inadempienza.
La politica dei dividendi rappresenta un’altra fonte di conflitti di interesse
fra azionisti e obbligazionisti. L’effetto prodotto da un aumento dei dividendi
sui prezzi azionari può essere dibattuto a livello teorico, ma l’evidenza empiri-
ca è chiara. Aumenti dei dividendi, in media, sono seguiti da un rialzo del
prezzo dell’azione, mentre tagli dei dividendi sono seguiti da una diminuzio-
ne del prezzo delle azioni. I prezzi delle obbligazioni, invece, reagiscono in
modo negativo agli aumenti dei dividendi e in modo positivo ai tagli.

Conseguenze dei conflitti fra azionisti e obbligazionisti


fra
Azionisti e obbligazionisti si prefiggono obiettivi diversi e alcune decisioni
possono spostare ricchezza da un gruppo (di solito gli obbligazionisti) all’al-
tro (di solito gli azionisti). Una funzione obiettivo incentrata sulla massimiz-
zazione del patrimonio degli azionisti può indurre gli questi ultimi a prendere

Cap2.p65 25 26/04/2001, 16.13


26 Capitolo 2

decisioni che danneggiano l’azienda nel suo complesso, ma che aumentano il


loro patrimonio a spese degli obbligazionisti.
Forse, però, la nostra enfasi su questa possibilità di espropriazione è esage-
rata, per due motivi. Gli obbligazionisti sono consapevoli del potere degli azio-
nisti di intraprendere azioni che vadano contro i loro interessi, e normalmente
possono proteggersi o inserendo clausole contrattuali volte a limitare il potere
degli azionisti, o prendendo una partecipazione azionaria nell’azienda. Inol-
tre, la consapevolezza di dover ritornare in futuro a finanziarsi sui mercati
obbligazionari spinge molte aziende ad agire in modo onesto, dal momento
che il guadagno ottenibile a spese degli obbligazionisti con una di queste ope-
razioni è probabilmente inferiore al danno derivante dalla cattiva reputazione
che ne conseguirebbe. Problemi di questo tipo saranno analizzati in dettaglio
nel paragrafo seguente.

L’azienda e i mer cati finanziari


mercati
Esiste un vantaggio nel mantenere una funzione obiettivo incentrata sul pa-
trimonio degli azionisti o dell’azienda, piuttosto che sui prezzi azionari, per-
ché in tal caso essa non richiede come presupposto l’efficienza dei mercati
finanziari. Il lato negativo è tuttavia che il patrimonio degli azionisti o del-
l’azienda non può essere misurato facilmente, il che rende difficile stabilire
degli standard per valutare il successo o il fallimento di un investimento. È
vero che esistono modelli (alcuni dei quali saranno esaminati nel corso di questo
manuale) per la misurazione del valore del capitale azionario o del valore del-
l’impresa, ma essi si basano su un gran numero di dati soggettivi e opinabili.
Dal momento che una delle caratteristiche essenziali di una funzione obietti-
vo valida è che essa abbia un meccanismo di misurazione chiaro, è ovvio che
una funzione obiettivo incentrata sui prezzi di mercato è da questo punto di
vista superiore alle altre, poiché successi e insuccessi delle politiche aziendali
sono rivelati dall’andamento dei prezzi azionari e sono perciò sotto gli occhi
di tutti.
Il problema dei prezzi di mercato è che, essendo essi stabiliti dai mercati
finanziari, rifletteranno un valore reale soltanto in presenza di mercati finan-
ziari efficienti, che utilizzano cioè le informazioni disponibili per ottenere sti-
me precise e obiettive dei flussi di cassa futuri e della loro rischiosità. In tali
mercati, sia le aziende che gli investitori accetteranno il prezzo azionario come
corretta misura del successo delle decisioni aziendali.
In questo contesto, due problemi possono sorgere. Il primo è che, qualora
l’informazione risulti incompleta, non aggiornata o fuorviante, i prezzi di mer-
cato devieranno dal valore reale, anche in un mercato altrimenti efficiente. Il
secondo è che vi sono molti, sia fra gli accademici sia fra gli operatori profes-
sionali, che sostengono che i mercati non sono efficienti, anche quando l’in-
formazione è completamente accessibile. In entrambi i casi, politiche volte a
massimizzare i prezzi azionari possono non essere compatibili con la massi-
mizzazione del valore di lungo termine dell’azienda.

Cap2.p65 26 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 27

Domanda di verifica 2.3


La cr edibilità delle aziende
credibilità
nel fornir
fornir e informazione
nire
Credi che l’informazione fornita dalle aziende sul loro operato sia di solito:
■ Onesta e veritiera?
■ Parziale?
■ Disonesta?

Il pr oblema dell’informazione
problema
I prezzi di mercato si basano sull’informazione, sia pubblica che privata14. Se-
condo la teoria tradizionale, l’informazione viene trasmessa in modo veloce e
veritiero ai mercati finanziari. Nel mondo reale, esistono degli impedimenti a
questo processo. Il primo è che l’informazione viene a volte soppressa o ritar-
data dalle aziende, soprattutto quando essa contiene cattive notizie. Oltre a
un’ampia aneddotica su questo fenomeno, la prova più chiara che le aziende
fanno operazioni di questo tipo deriva dagli studi su annunci delle aziende
relativi agli utili di periodo e ai dividendi. In uno studio del 1987 sugli annunci
degli utili di periodo, Penman ha notato che quelli contenenti le notizie peg-
giori vengono spesso diffusi in ritardo rispetto alla data stabilita. Inoltre, il
mio studio su annunci di utili di periodo e dividendi per giorni della settimana
alla New York Stock Exchange fra il 1982 e il 1986 rivela che gli annunci fatti il
venerdì, soprattutto nelle ore successive alla chiusura dei mercati, contengono
notizie più negative rispetto agli altri giorni della settimana. Questo suggeri-
sce che il management, temendo una reazione spropositata dei mercati, cerca
di rinviare le cattive notizie ai giorni in cui i mercati sono meno attivi o addi-
rittura chiusi.
Il secondo e più serio problema è che alcune aziende, preoccupate di ac-
contentare i loro investitori e far salire il prezzo delle azioni, emettono infor-
mazioni volutamente fuorvianti circa la situazione attuale dell’azienda e le sue
prospettive future, generando così una discrepanza fra valore e prezzo del-
l’azione. Prendiamo come esempio la Bre-X, una società canadese attiva nel-
l’industria estrattiva che all’inizio degli anni 90 dichiarò di aver scoperto in
Indonesia una delle più grandi miniere d’oro del mondo. La società fu forte-
mente pubblicizzata da analisti finanziari negli Stati Uniti e in Canada, ma nel
1997, fra la sorpresa di tutti gli analisti, si scoprì che si era trattato di una frode
bella e buona, con conseguente crollo del prezzo delle azioni.

14 Con il termine informazione pubblica si intende l’informazione cui hanno accesso tutti
gli investitori, mentre il termine informazione privata indica l’informazione ristretta agli
insider dell’azienda o a pochi investitori.

Cap2.p65 27 26/04/2001, 16.13


28 Capitolo 2

Le implicazioni di tali comportamenti fraudolenti per la finanza azienda-


le possono essere gravi, dal momento che il management spesso viene valuta-
to e remunerato sulla base dei prezzi azionari. Infatti, grazie a stock option o
piani di incentivi legati al prezzo azionario, probabilmente il management del-
la Bre-X aveva già realizzato guadagni notevoli quando la frode venne alla
luce.

Domanda di verifica 2.4


Reputazione e accesso al mer cato
mercato
Quale dei seguenti tipi di aziende più probabilmente proverà a ingannare i
mercati?
■ Società che di rado si affidano ai mercati per reperire fondi (in quanto si
finanziano internamente).
■ Società che invece reperiscono fondi sul mercato dei capitali frequente-
mente.
Motivare la risposta.

Il pr oblema del mer


problema cato
mercato
Il timore che i mercati, nel formare i prezzi azionari, non riflettano corretta-
mente l’informazione disponibile non è del tutto ingiustificato. Infatti, anche
se l’informazione viene trasmessa ai mercati finanziari in modo completo e
senza distorsioni, non c’è nessuna garanzia che il prezzo azionario risultante
rappresenti una stima oggettiva del valore reale. Infatti, molti sostengono che
il problema è ben più profondo e riguarda l’irrazionalità degli investitori, le cui
stime sarebbero perciò poco attendibili. Alcune delle critiche che sono state
mosse ai mercati finanziari sono legittime, alcune sono esagerate e altre sono
infondate, ma tutte meritano di essere prese in considerazione.
Non sempre i mercati finanziari valutano in modo ragionevole e razionale
gli effetti di nuove informazioni sul prezzo di un’azione. In generale, la volati-
lità dei mercati finanziari è superiore rispetto alla volatilità dei fondamentali
di un’azienda. Ad esempio, talvolta i mercati dimostrano eccessiva volatilità,
reagendo anche di fronte a notizie prive di contenuto reale; oppure reagisco-
no in modo eccessivo, come ben sanno le società che annunciano utili al di
sotto delle aspettative degli analisti (la cosiddetta negative surprise). In altri
casi, essi guardano agli effetti immediati delle iniziative aziendali trascurando
le implicazioni di lungo termine. Infine, vi sono casi in cui è il management
stesso della società a “guidare” i mercati.

Cap2.p65 28 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 29

Domanda di verifica 2.5


I mer cati sono miopi?
mercati
“Puntare sui prezzi di mercato spingerà le società a scegliere politiche a breve
termine a spese del valore di lungo termine”.
■ Concordo con questa affermazione.
■ Non concordo con questa affermazione.
Motivare la risposta.

In pratica
I mer cati sono davv
mercati er
davver
eroo miopi?
Molti sostengono che la massimizzazione dei prezzi azionari induce il mana-
gement ad avere un orientamento di breve periodo (si veda per esempio il
notissimo libro di Michael Porter sulle strategie competitive). Secondo questa
tesi, i prezzi azionari sono determinati da trader, investitori a breve termine e
analisti, vale a dire soggetti che mantengono le azioni per brevi periodi e sono
interessati a prevedere gli utili del prossimo trimestre. Un management orien-
tato alla creazione di valore nel lungo termine, piuttosto che ai risultati di bre-
ve periodo, sarebbe perciò penalizzato dai mercati. Ma l’evidenza empirica
disponibile suggerisce, al contrario, che i mercati valutano le implicazioni di
lungo termine più di quanto si creda.
1. Ci sono centinaia di aziende, specialmente quelle piccole o all’inizio della
propria attività (startup), che non hanno al momento profitti o flussi di cas-
sa, né prevedono di averne nel futuro immediato, ma che comunque rie-
scono a reperire notevoli finanziamenti sui mercati sulla base delle aspet-
tative di successo future. Se i mercati fossero così miopi come suggerito da
alcuni, tali aziende non sarebbero riuscite a finanziarsi e quindi non avreb-
bero potuto svolgere la propria attività.
2. L’evidenza empirica mostra che semmai i mercati sottovalutano profitti e
flussi di cassa attuali e sopravvalutano profitti e flussi di cassa futuri. Ad
esempio, alcuni studi suggeriscono che le azioni con un basso rapporto
prezzo-utili (e quindi elevati profitti attuali) sono state in genere sottovalu-
tate dai mercati rispetto alle azioni con elevati rapporti prezzo-utili.
3. La reazione del mercato agli annunci di nuovi investimenti (in particolare
quelli in ricerca e sviluppo) non è uniformemente negativa, come la tesi dei
mercati miopi vorrebbe farci credere. Al contrario, la reazione è moderata, e
i prezzi azionari in media salgono all’annuncio di nuovi investimenti.

Cap2.p65 29 26/04/2001, 16.13


30 Capitolo 2

Il dilemma: cr eder
creder
ederee nei mer cati, o non cr
mercati, eder
creder
ederee …
L’informazione che arriva ai mercati finanziari è spesso poco aggiornata, im-
precisa e fuorviante, e i prezzi che ne derivano rappresentano stime molto
approssimative del valore reale. Tuttavia questo non può farci dimenticare il
principale contributo dei mercati finanziari, vale a dire la capacità di assimila-
re e aggregare un’enorme quantità di informazioni circa le condizioni attuali e
le prospettive future di un’azienda in un solo parametro, ovvero il prezzo azio-
nario. Non esistono altri parametri in grado di dare una stima così aggiornata
o completa della salute di un’azienda.
L’importanza di avere un prezzo di mercato balza agli occhi quando si lavora
con un’impresa non quotata. Nonostante il management delle aziende quotate si
lamenti del continuo gioco delle parti con analisti e investitori, è di estremo valore
sapere come gli investitori valutano le azioni intraprese dall’azienda.

L’azienda e la società
La maggior parte delle decisioni prese dal management hanno delle implica-
zioni sociali, un problema di non facile soluzione. Una funzione obiettivo che
punta a massimizzare il patrimonio dell’azienda o degli azionisti assume che i
costi sociali collaterali siano talmente limitati da poter essere ignorati, oppure
che essi possano essere misurati e imputati all’azienda. In molti casi questi
assunti non corrispondono alla realtà delle cose.
Vi sono infatti casi in cui i costi sociali sono considerevoli ma non possono
essere imputati all’azienda. In questi casi, il management, pur consapevole dei
costi, può scegliere di ignorarli e di massimizzare il patrimonio dell’azienda. I
dilemmi etici che sorgono nel momento in cui un manager è costretto a sce-
gliere fra la propria sopravvivenza in azienda (che può richiedere la massimiz-
zazione del patrimonio degli azionisti) e gli interessi della società in senso
ampio possono essere dibattuti a lungo, ma non esiste una soluzione semplice
che possa essere offerta in questo libro.
Nei casi in cui esistono costi sociali notevoli, di cui le aziende siano consa-
pevoli, un approccio etico al problema sosterrebbe che la massimizzazione del
patrimonio deve scendere in secondo piano rispetto agli interessi della socie-
tà. Ma cosa fare nei casi in cui le aziende creano importanti costi sociali a loro
insaputa? La Johns Manville Corporation, per esempio, negli anni 50 e 60 pro-
duceva amianto con l’intenzione di ricavarne utili, e non era a conoscenza del
fatto che questo materiale potesse provocare il cancro. Trent’anni dopo, le cause
intentate dalle persone colpite da cancro a causa dell’amianto hanno portato
al fallimento dell’azienda.
A dire il vero, i conflitti fra gli interessi dell’azienda e quelli della società vanno
oltre la funzione obiettivo di massimizzare il patrimonio degli azionisti, e possono
essere considerati endemici ad un sistema basato sulla libera iniziativa economica
privata. Il purista alla ricerca di una perfetta congruenza fra gli interessi della so-
cietà e gli interessi dell’azienda è destinato a non essere mai del tutto soddisfatto.

Cap2.p65 30 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 31

Figura 2.2 Il mondo reale

Domanda di verifica 2.6


Le leggi possono indurr
indurree le aziende
a comportarsi da buoni cittadini?
Si è spesso sostenuto che i costi sociali derivano dal fatto che i governi non
possiedono leggi adeguate per punire le aziende che creano costi sociali e che
l’adozione di tali leggi consentirebbe di eliminare questi costi. Sei d’accordo?
Perché?

Cap2.p65 31 26/04/2001, 16.13


32 Capitolo 2

Il mondo r eale: una r


reale: appr
rappr esentazione
appresentazione
Nelle ultime pagine abbiamo elencato i problemi che sorgono nel rapporto fra
management e azionisti, fra azionisti e obbligazionisti, fra aziende e mercati
finanziari e fra aziende e società. La Figura 2.2 li riassume in forma grafica.

…e allor a?
allora?
Gli azionisti spesso non hanno un potere effettivo di controllo sul manage-
ment, che di conseguenza tende a porre i propri interessi al di sopra di quelli
degli azionisti. Gli obbligazionisti che non sappiano tutelare i propri interessi
finiscono spesso per pagarne il prezzo, allorché le decisioni prese dall’azienda
trasferiscono ricchezza agli azionisti. L’informazione è spesso erronea o non
viene fornita affatto, e vi possono essere quindi differenze sostanziali fra prez-
zo e valore dell’azione. Infine, le aziende che massimizzano il patrimonio pos-
sono farlo a spese della società in cui operano.
Dati questi problemi, possiamo intraprendere due strade. La prima è man-
tenere la funzione obiettivo di massimizzare il patrimonio degli azionisti, cer-
cando di limitare i problemi ad essa associati. La seconda è scegliere una fun-
zione obiettivo alternativa.

Massimizzar
Massimizzare e il patrimonio
degli azionisti: alcuni accorgimenti
Non esiste una soluzione complessiva ai problemi discussi nei paragrafi pre-
cedenti, ma esistono rimedi parziali che consentono di ridurre i conflitti di
interesse fra azionisti, obbligazionisti e management, e dunque di ridurre le
divergenze fra prezzi e valore.

Azionisti e management
Come osservato in precedenza, i meccanismi tradizionali di controllo (assem-
blee annuali e consigli di amministrazione) spesso si rivelano inefficaci per
risolvere i conflitti di interesse fra azionisti e management. Questo non signi-
fica, tuttavia, che il divario fra i due gruppi sia così profondo da non poter
essere sanato, riducendo le divergenze di interessi o aumentando il potere
degli azionisti sul management.

Allinear
Allinearee gli inter essi di azionisti e management
interessi
Finché il management ha interessi diversi da quelli degli azionisti, esiste un
potenziale conflitto. Un modo per ridurre questo conflitto è fornire al mana-
gement una quota di partecipazione azionaria (tramite azioni o warrant sulle
azioni, le stock option). Così facendo, il management beneficia da un aumento

Cap2.p65 32 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 33

del prezzo delle azioni dell’azienda, ed è perciò indotto a massimizzare il prezzo


azionario.
Soluzioni di questo tipo, tuttavia, hanno anche un risvolto negativo. Infatti,
se da un lato riducono il conflitto di interesse fra azionisti e management,
dall’altro possono esacerbare gli altri conflitti di interesse. Allineare gli inte-
ressi del management con quelli degli azionisti può aumentare la possibilità di
trasferimenti di ricchezza agli azionisti a danno degli obbligazionisti, come pure
la possibilità che ai mercati finanziari venga trasmessa informazione fuorviante.

Domanda di verifica 2.7


Conflitto di inter essi fr
interessi fraa azionisti
e management: i management buy out (MBO)
buyout
In un management buyout, il management acquista il controllo del capitale di
un’impresa, che si trasforma così da quotata a non quotata. Discutere se que-
sto tipo di operazione consente di ridurre il conflitto di interessi fra azionisti e
management.

A umentar
umentaree il poter
poteree degli azionisti
Ci sono molti modi in cui aumentare il potere degli azionisti sul management.
Il primo è fornire agli azionisti informazioni migliori e più aggiornate, in modo
che essi possano meglio giudicare l’operato del management. Il secondo è
includere nel management gli azionisti con una partecipazione significativa,
così da assegnare loro un ruolo di primo piano nelle decisioni dell’azienda.
Alcuni esempi sono il ruolo di Warren Buffet nel riportare in vita la Salomon
Brothers e l’impegno di Larry Tisch in qualità di CEO della CBS, Inc. Entrambe
le società, in un periodo di profonda crisi, riflessa nel calo del prezzo aziona-
rio, furono salvate dall’intervento di questi azionisti, i quali ridisegnarono le
strategie aziendali necessarie per conservare e aumentare il patrimonio degli
azionisti15. La terza possibilità è avere un numero maggiore di investitori isti-
tuzionali “attivisti”, i quali cioè intervengano in questioni quali la composi-
zione del consiglio di amministrazione, gli emendamenti contro le offerte d’ac-
quisto ostili ecc. Negli ultimi anni, gli investitori istituzionali hanno utilizzato
il loro ampio potere per spronare i manager a rendere maggiormente conto
delle proprie scelte. Fra gli investitori più intraprendenti citiamo il California
Public Employees Retirement System (CalPERS), uno dei maggiori investitori
istituzionali negli Stati Uniti. La quarta possibilità, anch’essa sollecitata dal-
l’attivismo degli azionisti, è rendere il consiglio di amministrazione più re-
sponsabile di fronte agli azionisti, riducendo il numero di membri interni (in-
side director) e garantendo quindi una maggiore indipendenza dal CEO.

15 A onor del vero, va detto che nessuno dei due riuscì interamente nell’impresa.

Cap2.p65 33 26/04/2001, 16.13


34 Capitolo 2

Esempio applicativo
Gli azionisti della Disney esprimono
le lor
loroo riserv
riservee sul management
In precedenza, abbiamo rilevato la natura “interna” del consiglio di ammini-
strazione della Disney. Nonostante la Disney sia sempre attenta a sottolineare
gli ottimi rendimenti azionari ottenuti, i suoi azionisti rimangono sospettosi
circa la natura così amichevole del rapporto fra consiglio di amministrazione e
CEO. All’inizio del 1997, dopo che la Disney pagò ben 38,8 milioni di dollari
all’ex presidente Michael Ovitz perché lasciasse l’azienda, il consiglio di am-
ministrazione rinnovò il contratto del CEO, Michael Eisner, fino al 2006, of-
frendogli un pacchetto di opzioni estremamente generoso. Nell’assemblea
annuale tenuta il 25 febbraio 1997, il 13% degli azionisti della Disney votò
contro la rielezione dei membri del consiglio di amministrazione in carica, e
l’8,2% votò contro il pacchetto retributivo offerto ad Eisner. Sebbene queste
percentuali possano sembrare basse, esse rappresentano il più alto voto “con-
tro” per una grande società statunitense negli ultimi anni (cioè da quando nel-
l’ottobre 1995 nell’assemblea annuale della Archer-Daniels-Midland Co. circa
il 20% dei voti andarono contro la rielezione del consiglio di amministrazione
in carica16 ).17

16 Dati forniti dall’Investor Responsability Research Center di Washington.


17 Da allora, grazie soprattutto a una performance azionaria assai mediocre rispetto al
passato, la pressione degli investitori istituzionali ha avuto un certo successo nel migliora-
re la corporate governance di Disney. Nel 1998 Eisner nominò due (veri) outsider al posto
di due insider il cui termine era scaduto e chiese ai membri del consiglio di amministra-
zione di aumentare la propria partecipazione azionaria in Disney (fino al 1996, alcuni
membri non detenevano neanche un’azione di Disney). Nel 1999 eliminò un anti-takeo-
ver poison pill dallo statuto, accettò che, a partire dal 2001, i membri del consiglio di ami-
nistrazione venissero eletti annualmente e cambiò la composizione di Audit e Compensa-
tion Committee per includervi soltanto outsider. Tuttavia, nel gennaio 2000, il consiglio di
amministrazione della Disney ancora contava molti “amici” di Eisner fra gli outsider, tanto
che la Disney risultò di nuovo all’ultimo posto nella classifica di Business Week. Da allora,
altri due nuovi membri sono entrati nel consiglio di amministrazione e la Disney ha elimi-
nato una norma statutaria che consentiva al consiglio di amministrazione di ridurre il
prezzo di esercizio delle stock option (il cosiddetto repricing) [N.d.C.].

Cap2.p65 34 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 35

Domanda di verifica 2.8


Azionisti interni contr
interni controo azionisti ester ni
esterni
Ci sono società come la Microsoft in cui un grosso azionista (Bill Gates) funge
anche da CEO. Ritieni che gli interessi di Bill Gates in qualità di azionista-
manager possano essere diversi dagli interessi di un azionista esterno? Se sì,
fornisci un esempio di un’azione che può portare giovamento agli azionisti
che lavorano nell’azienda ma non a quelli esterni.

La minaccia di una scalata


Le numerose operazioni di acquisizione che caratterizzarono il mercato statu-
nitense negli anni ’80, e gli eccessi che secondo molti le caratterizzarono, por-
tarono alla demonizzazione di operazioni di questo tipo. In film e libri, i “pre-
dator” finanziari (raider) che ne erano protagonisti vennero dipinti come “bar-
bari”,18 mentre le aziende target venivano raffigurate come vittime innocenti.
In realtà, salvo alcune eccezioni, le aziende acquistate meritavano di esserlo.
Uno studio di Bhide, per esempio, dimostra che le aziende target di scalate
ostili nel 1985 e 1986 avevano avuto una minore profittabilità e peggiori rendi-
menti azionari rispetto ad aziende concorrenti, e che il management di queste
aziende aveva in media minori partecipazioni azionarie rispetto al manage-
ment di aziende concorrenti. In breve, questo studio rivela che il bersaglio
preferito per tentativi di scalata ostile sono imprese mal gestite.
Una delle implicazioni di questo fatto è che, penalizzando il cattivo mana-
gement, le acquisizioni operano come meccanismo di disciplina e tengono
quindi il management sotto pressione. Spesso, la semplice minaccia di un’ac-
quisizione è sufficiente perché le aziende ristrutturino le loro attività e diven-
tino maggiormente responsabili di fronte agli azionisti. Non sorprende, per-
ciò, che interventi legislativi volti a regolamentare e limitare i takeover abbia-
no conseguenze negative sui prezzi azionari. Un buon esempio fu la legge
antitakeover emanata in Pennsylvania nel 1989 con lo scopo di proteggere da
scalate ostili le società ivi incorporate. Karpoff e Malatesta (1990) esaminaro-
no l’impatto dell’adozione di tale legge sui prezzi azionari delle imprese della
Pennsylvania, scoprendo che il 13 ottobre 1989, primo giorno in cui circolaro-
no notizie relative a tale legge, i prezzi azionari di queste aziende, al netto del
movimento generale del mercato azionario, subirono un declino in media
dell’1,58%. Nel periodo fra tale annuncio e l’introduzione del disegno di legge
nella legislatura della Pennsylvania, le aziende in questione ebbero un rendi-
mento azionario, al netto del rendimento del mercato, pari al – 6,90%.
La vicenda della Pennsylvania è istruttiva anche per la reazione degli azio-
nisti. Gli investitori istituzionali interessati dal provvedimento fecero infatti di

18 Grande successo ebbe il libro Barbarians at the Gate, che racconta la battaglia per
l’acquisizione del controllo della Nabisco nel 1988 [N.d.C.].

Cap2.p65 35 26/04/2001, 16.13


36 Capitolo 2

tutto per opporvisi, esprimendo al management il proprio malcontento e mi-


nacciando di vendere le proprie partecipazioni azionarie. Tali minacce funzio-
narono, come attesta il fatto che la maggior parte delle aziende scelsero di
optare per il mantenimento del regime legale esistente, a dimostrazione del
potere che gli azionisti possono avere quando scelgono di esercitarlo.

Domanda di verifica 2.9


Le acquisizioni ostili: dannose per chi?
Sulla base delle informazioni date nel corso di questo capitolo, quali dei se-
guenti gruppi risulterebbe maggiormente protetto da una legge che bandisca
le acquisizioni ostili?
■ Gli azionisti di società target di un tentativo di scalata
■ Management e dipendenti di aziende target ben gestite
■ Management e dipendenti di aziende target mal gestite
■ La società nel suo insieme

Le conseguenze del poter


poteree degli azionisti
Con gli azionisti che sembrano esercitare più efficacemente il loro potere, il
management sta diventando maggiormente responsabile nei loro confronti.
Questo aiuta a ridurre, se non eliminare, i problemi associati alla separazione
fra proprietà e controllo che abbiamo analizzato nei paragrafi precedenti.

Esempio applicativo
L’alter nativa tedesca e giapponese
’alternativa
al poter
poteree degli azionisti
Nel modello tedesco e giapponese di corporate governance, le aziende deten-
gono partecipazioni in altre aziende, e spesso prendono decisioni nell’interes-
se del gruppo industriale cui appartengono, piuttosto che nel loro interesse
individuale. In tale sistema le aziende si controllerebbero a vicenda, senza perciò
bisogno di cedere potere di controllo agli azionisti. Si tratta di un sistema poco
democratico – dopo tutto i proprietari dell’azienda sono gli azionisti – che,
inoltre, testimonia un profondo scetticismo sul modo in cui gli azionisti po-
trebbero esercitare il loro potere, ammesso che ne avessero, e sembra decisa-
mente diretto a conservare il potere del management in carica.
Forse è vero che tale approccio consente di evitare i costi associati all’attivi-
smo degli azionisti e all’inefficienza dei mercati, ma presenta anche degli svan-

Cap2.p65 36 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 37

taggi. I gruppi industriali sono per natura maggiormente conservatori rispetto


agli investitori nell’allocazione delle risorse, e difficilmente finanziano inve-
stimenti ad alto rischio o nuove iniziative imprenditoriali. Un altro problema è
che interi gruppi possono essere coinvolti nella crisi di singole imprese.
La Deutsche Bank è un esempio di questo modello alternativo di corporate
governance. Il maggiore azionista della Deutsche Bank è la Allianz, una gran-
de compagnia assicurativa tedesca, e la stessa Deutsche Bank è il maggiore
azionista dell’azienda automobilistica tedesca Daimler Benz. Attraverso que-
sto complesso sistema di partecipazioni incrociate, queste aziende dovrebbero
controllarsi a vicenda; ma questo sistema può fallire in due modi. In primo
luogo, dal momento che ciascuna di queste aziende ha interesse a preservare
tale sistema, è improbabile che si attivi per rivederlo quando qualcosa non
funziona. In secondo luogo, nessuna di queste aziende può essere considerata
un puro investitore azionario nell’altra. Per esempio, la Deutsche Bank è an-
che la banca commerciale principale per la Daimler Benz; di conseguenza è al
contempo uno dei principali azionisti e obbligazionisti dell’azienda. Inoltre,
essa agisce spesso come investment bank per la Daimler Benz, e i suoi analisti
finanziari devono giudicare se la Daimler Benz è valutata correttamente o meno.
In breve, non è affatto chiaro che gli interessi della Deutsche Bank coincidano
davvero con quelli degli altri azionisti.

Azionisti e obbligazionisti
Il conflitto di interessi fra obbligazionisti e azionisti può indurre a compiere
azioni che trasferiscono ricchezza dai primi ai secondi – quali l’investimento
in progetti rischiosi, il pagamento di maggiori dividendi, e l’aumento del leve-
rage –, senza compensare gli obbligazionisti per le perdite che ne conseguono.
Esistono però vari modi in cui gli obbligazionisti possono almeno in parte
proteggersi da azioni di questo tipo.

L’impatto delle clausole contr attuali (cov


contrattuali enant)
(covenant)
Il metodo più diretto di proteggersi per gli obbligazionisti è quello di include-
re nei contratti obbligazionari clausole, dette covenant che proibiscono o limi-
tano azioni che possono risultare in un trasferimento di ricchezza a loro spese.
Tali clausole sono volte a:
1. Limitare le politiche di investimento dell’azienda Intraprendere progetti più
rischiosi del previsto può comportare un trasferimento di ricchezza dagli
obbligazionisti agli azionisti. Alcuni contratti obbligazionari impongono
perciò dei limiti in termini di tipologia e rischiosità dei nuovi investimenti,
proprio per dare agli obbligazionisti potere di veto su iniziative che non
sono nel loro interesse.
2. Limitare le politiche dei dividendi In genere, incrementi dei dividendi sono
accompagnati da un aumento del prezzo dell’azione e un calo del prezzo

Cap2.p65 37 26/04/2001, 16.13


38 Capitolo 2

delle obbligazioni, perché trasferiscono ricchezza dagli obbligazionisti agli


azionisti. Perciò molti contratti obbligazionari limitano la politica dei divi-
dendi, vincolando l’ammontare di dividendi pagabili al livello di profitti
realizzati.
3. Limitare le politiche di finanziamento Per tutelare gli interessi degli obbliga-
zionisti forniti di garanzia, alcuni contratti obbligazionari richiedono che le
aziende ricevano il consenso degli attuali obbligazionisti prima di emettere
nuovo debito garantito.
Va infine notato che, se da un lato queste clausole sono efficaci per proteggere
gli obbligazionisti contro certi abusi, c’è un costo da sopportare. Le aziende
possono infatti trovarsi a dover rinunciare a valide opportunità di investimen-
to a causa di tali clausole e a doverne sostenere (direttamente o indirettamen-
te) i relativi costi legali e di monitoraggio.

Assumer
Assumeree una quota di partecipazione azionaria
Dal momento che la radice del conflitto fra azionisti e obbligazionisti è la di-
versa natura dei rispettivi diritti sui flussi di cassa dell’azienda, un altro modo
in cui gli obbligazionisti possono ridurre i conflitti di interesse è acquistare
una quota di partecipazione azionaria nell’azienda. Questo può essere fatto
acquistando azioni dell’azienda contemporaneamente alla sottoscrizione di
obbligazioni, o sottoscrivendo obbligazioni fornite di warrant, oppure tramite
obbligazioni convertibili in azioni. In questo modo, gli obbligazionisti che ri-
tengono che gli azionisti si siano arricchiti a loro spese, possono diventare
azionisti loro stessi e quindi condividerne i guadagni.

Le aziende e i mer cati finanziari


mercati
L’informazione trasmessa ai mercati finanziari è imprecisa e a volte fuorvian-
te.19 Spesso il prezzo che emerge nei mercati finanziari non è corretto, in parte
a causa delle inefficienze dei mercati, e in parte a causa della cattiva qualità
dell’informazione. Non esistono rimedi o soluzioni facili a questo tipo di pro-
blemi. Tuttavia, nel lungo periodo, esistono azioni in grado di migliorare la
qualità dell’informazione, e di ridurre la discrepanza fra prezzo e valore.

Miglior ar
Migliorar
aree la qualità dell’informazione
Nonostante le commissioni regolamentatici, come la statunitense Securities
and Exchange Commission, possano richiedere alle aziende una maggiore
quantità di informazioni e penalizzare quelle che forniscono informazioni fa-
sulle o fuorvianti, la qualità dell’informazione non può essere migliorata sol-
tanto tramite leggi sulla trasparenza. Le aziende continueranno infatti ad ave-

19 Il lettore ricorderà il giallo delle cifre sui conti di Telecom Italia nell’ottobre 1998
[N.d.C.].

Cap2.p65 38 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 39

re un chiaro incentivo a trasmettere informazioni ai mercati soltanto nella quan-


tità, con la qualità e nei tempi desiderati. Per controbilanciare tale incentivo
deve perciò esistere un attivo mercato per l’informazione, in cui analisti esterni
alle aziende possano raccogliere e propagare le informazioni. Nonostante tali
analisti abbiano la stessa probabilità delle aziende di commettere errori di va-
lutazione, essi hanno comunque maggiori incentivi a scoprire informazioni
negative sull’azienda e diffonderle ai loro clienti.

Render
Renderee i mer cati più ef
mercati ficienti
efficienti
Così come una migliore informazione non può essere imposta per legge, an-
che i mercati non possono essere resi più efficienti semplicemente con un in-
tervento normativo, anche perché vi è grande disaccordo su come rendere i
mercati più efficienti. Alcune condizioni necessarie (ma non sufficienti) sono
le seguenti:
1. L’attività di trading dovrebbe essere poco costosa e semplice da eseguire.
Più alti sono i costi delle transazioni, più difficile è eseguirle, e meno effi-
cienti saranno i mercati.
2. Almeno alcuni degli investitori nel mercato dovrebbero avere accesso al-
l’informazione riguardante le azioni oggetto di compravendita, nonché
possedere le risorse necessarie per tradurre questa informazione in opera-
zioni di acquisto o vendita.
Ogni tipo di limite imposto all’attività di compravendita, anche se adottato
con le migliori intenzioni, spesso conduce a maggiori inefficienze nei mercati.
Per esempio, limitare le vendite allo scoperto (short sale) potrebbe sembrare
una buona politica pubblica, ma può creare una situazione in cui informazioni
negative sulle azioni non vengono riflesse in modo adeguato nel prezzo azio-
nario.

Le aziende e la società
Ci saranno sempre dei costi sociali associati alle attività intraprese da aziende
che operano nel proprio interesse. Il problema fondamentale è che i costi so-
ciali non possono essere ignorati nel processo decisionale, ma al tempo stesso
essi sono troppo nebulosi per essere oggetto di analisi precise. Una possibile
soluzione per l’azienda è massimizzare il valore (inteso come patrimonio azien-
dale o degli azionisti) comportandosi però da “buon cittadino”, vale a dire
tentando di ridurre al minimo i costi sociali, anche in assenza di un preciso
obbligo legale in tal senso. Il problema in un approccio di questo tipo, chiara-
mente, è che la definizione di “buon cittadino” varia da azienda ad azienda e
da management a management. Vi sono, tuttavia, esempi di aziende che han-
no saputo costruirsi una reputazione di buon cittadino traendone notevoli
benefici. In definitiva, il modo migliore per rendere le aziende maggiormente
responsabili di fronte alla società è far sì che, da un punto di vista economico,

Cap2.p65 39 26/04/2001, 16.13


40 Capitolo 2

non creare costi sociali sia nell’interesse delle aziende stesse. Ciò può essere
ottenuto in due modi. In primo luogo, le aziende tacciate di comportamenti
socialmente irresponsabili possono perdere clienti e profitti. Questo è stato,
ad esempio, il fattore che ha indotto un gran numero di catene di vendita al
dettaglio, negli Stati Uniti, a prendere le distanze dallo sfruttamento del lavo-
ro minorile che avveniva negli stabilimenti dei Paesi di produzione delle merci
da loro messe in vendita. In secondo luogo, gli investitori possono decidere di
non comprare azioni in tali aziende. Per esempio, molti fondi pensione uni-
versitari e statali negli Stati Uniti hanno cominciato a ridurre o eliminare le
loro partecipazioni azionarie in aziende operanti nell’industria del tabacco per
esprimere la loro preoccupazione per gli effetti nocivi di questo prodotto.
Per riassumere, vi sono chiaramente dei problemi associati all’obiettivo della
massimizzazione del valore, ma alcuni di essi possono esser ridotti apportan-
do dei cambiamenti nel modo in cui i manager vengono assunti, compensati e
licenziati, nei contratti obbligazionari e nei mercati finanziari. Nella Figura 2.3
vengono sintetizzati alcuni di questi cambiamenti.

Figura 2.3 Una soluzione parziale

Cap2.p65 40 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 41

La scelta di una funzione


obiettivo alternativa
alternativa
Dati i suoi limiti, la soluzione più semplice sembrerebbe quella di mettere da
parte la massimizzazione del valore come funzione obiettivo. Il difficile viene
però quando si cerca di rimpiazzarla con un’altra funzione obiettivo. Non che
non esistano delle alternative, ma tali alternative hanno anch’esse i loro pro-
blemi, e non sembrano affatto superiori, soprattutto se valutate in base ai quat-
tro criteri utilizzati finora per valutare una funzione obiettivo: la soluzione
obiettivo è chiara? Può essere utilizzata come misura per valutare prontamen-
te e con facilità la performance di un’azienda? Rischia di creare costi collatera-
li superiori ai benefici derivanti dalla sua adozione? È compatibile con la mas-
simizzazione del valore dell’azienda nel lungo termine?
La maggior parte delle aziende che scelgono di non massimizzare il patri-
monio degli azionisti scelgono un obiettivo intermedio quale l’aumento della
quota di mercato (market share), degli utili o del tasso di crescita. Questi obiet-
tivi intermedi sono validi nella misura in cui rimane stretto il legame con la
creazione di valore dell’azienda, ma possono rivelarsi assai pericolosi nel mo-
mento in cui questo legame viene meno. Ad esempio, l’obiettivo di massimiz-
zare la quota di mercato, promosso dagli esperti di strategia aziendale negli
anni ’80, sull’onda del successo delle aziende giapponesi, si è poi rivelato un’ar-
ma a doppio taglio. Anche aziende che sono riuscite ad aumentare la propria
quota di mercato hanno scoperto a loro spese che maggiori quote di mercato
non si traducono automaticamente in maggiore potere di prezzo (pricing power)
e maggiori profitti nei mercati in cui esse operano.
Altre aziende, soprattutto quelle di proprietà pubblica, si pongono come
funzione obiettivo il benessere sociale. Per esempio, un’azienda orientata verso
l’aumento del livello di occupazione nel territorio in cui opera, prenderà deci-
sioni di un certo tipo, che però possono comprometterne la sopravvivenza nel
lungo termine. Un caso meno estremo potrebbe essere un’impresa non-profit,
come un ospedale, la cui missione sia quella di fornire un’assistenza sanitaria
ragionevole a un costo abbordabile. Ma non è chiaro che cosa si intenda per
“ragionevole” e “abbordabile” in questo contesto, soprattutto quando si tratta
di allocare risorse limitate fra possibilità di utilizzo alternative.

Una nota: i limiti della finanza aziendale


Nell’ultimo decennio la finanza aziendale ha subito molte critiche. Alcuni so-
stengono che i problemi delle aziende americane sono legati alla loro eccessi-
va dipendenza dalla finanza aziendale. Alcune critiche sono fondate, e fanno
leva sui problemi impliciti nel perseguimento di un unico obiettivo, quale la
massimizzazione del patrimonio degli azionisti; ma altre critiche sono dovute
al fraintendimento di ciò che la finanza aziendale davvero rappresenta. Più in

Cap2.p65 41 26/04/2001, 16.13


42 Capitolo 1

generale, la maggior parte di queste critiche sopravvalutano il ruolo che la


finanza aziendale gioca nelle più importanti decisioni delle aziende.
L’economia una volta fu definita “il vangelo di Mammon”20 per via dell’en-
fasi che poneva sul denaro. Allo stesso modo, oggi si accusa la finanza azien-
dale di violare i principi etici, per via dell’enfasi che essa pone su utili e prezzi
azionari, talvolta a spese dei dipendenti, che possono perdere il posto di lavo-
ro o vedere i propri salari ridotti. È senz’altro vero che, in caso di ristruttura-
zioni e liquidazioni aziendali, l’obiettivo della massimizzazione del patrimo-
nio degli azionisti può comportare che a rimetterci siano altri portatori di inte-
ressi in azienda, quali clienti e dipendenti. Nella maggior parte dei casi, tutta-
via, le scelte che conducono a un aumento del valore di mercato migliorano
anche le condizioni di clienti e dipendenti. Inoltre, se l’azienda si trova vera-
mente in crisi, perché i concorrenti riescono a vendere lo stesso prodotto a
prezzi inferiori o a vendere prodotti tecnicamente superiori, la scelta non è fra
liquidazione e sopravvivenza, ma fra una soluzione ferma e rapida, che è ciò
che la finanza aziendale raccomanda, o una morte lenta, che spesso finisce per
costare alla collettività molto di più.
Il conflitto fra la massimizzazione del valore dell’azienda e il benessere so-
ciale rappresenta la ragione storica per la crescente attenzione data nelle busi-
ness school ai problemi di etica negli affari. Non ci saranno mai una funzione
obiettivo o delle regole decisionali che tengano conto correttamente e com-
pletamente di questi aspetti, per il semplice fatto che la quantificazione di
questi problemi è difficile e soggettiva. Perciò si può dire che la teoria della
finanza aziendale, in un certo senso, assume implicitamente che le aziende,
anche di fronte a prospettive di guadagno notevoli, non prenderanno mai de-
cisioni che possono generare enormi costi sociali. Alla base della teoria della
finanza aziendale vi è dunque un’implicita ipotesi di buon comportamento
sociale da parte delle aziende. Quando tale ipotesi viene violata, la teoria della
finanza aziendale si espone certamente a critiche di tipo etico, anche se le
critiche andrebbero più opportunamente mosse ai responsabili dei comporta-
menti sotto accusa.

Domanda di verifica 2.10


Quale ritieni che debba esser e
essere
la funzione obiettivo per un’azienda?
Ora che conosci i pro e i contro delle diverse funzioni obiettivo, quale ritieni
che sia la migliore?
■ Massimizzare il prezzo azionario o il patrimonio degli azionisti, senza limi-
ti di nessun tipo.

20 Termine siriano che significa ricchezza, possedimenti. È venuto poi a indicare il de-
mone del denaro [N.d.C.].

Cap2.p65 42 26/04/2001, 16.13


Introduzione all’Internet marketing 43

■ Massimizzare il prezzo azionario o il patrimonio degli azionisti, ma a patto


di comportarsi da buon cittadino nella società.
■ Massimizzare i profitti o la redditività.
■ Massimizzare la quota di mercato.
■ Massimizzare il fatturato.
■ Massimizzare il bene pubblico.
■ Altro.

Riepilogo
La teoria della finanza aziendale è costruita attorno alla funzione obiettivo di
massimizzare il patrimonio degli azionisti o il patrimonio aziendale nel suo
complesso. L’adozione di questa funzione obiettivo può creare significativi costi
collaterali, in termini di conflitti fra azionisti e management, fra azionisti e
obbligazionisti, e fra impresa e società. Questi costi possono essere ridotti adot-
tando strategie che riducano la probabilità di tali conflitti – aumentare il pote-
re degli azionisti sul management, tutelare gli interessi degli obbligazionisti,
promuovere regole di comportamento da “buon cittadino”. Questa potrebbe
essere la strategia ottimale da adottare, dal momento che funzioni obiettivo
alternative hanno anch’esse dei difetti. Infine, abbiamo mostrato che molte
delle critiche mosse alla finanza aziendale sono in realtà critiche alla funzione
obiettivo su cui essa si impernia, e che tali critiche però non conducono a
soluzioni alternative superiori.

Esercizi
Esercizi
1. La funzione obiettivo in finanza aziendale è c. I mercati finanziari siano efficienti.
a. Massimizzare i profitti. d. L’azienda non produca costi che non possa-
b. Massimizzare i flussi di cassa. no essere misurati e ad essa imputati.

c. Massimizzare la dimensione dell’azienda. e. Tutte le condizioni di cui sopra si verifichino.

d. Massimizzare la quota di mercato. 3. Esiste un conflitto di interessi fra azionisti e


management. In teoria gli azionisti esercitano
e. Massimizzare il valore dell’impresa/prezzo potere di controllo sul management per mezzo
azionario. dell’assemblea annuale o del consiglio di am-
2. Perché la massimizzazione dei prezzi azionari ministrazione. Perché in pratica questi mecca-
sia l’unica funzione obiettivo e sia desiderabile nismi possono non funzionare?
da un punto di vista sociale è necessario che :
4. Gli azionisti possono appropriarsi di parte del
a. Il management agisca nell’interesse degli patrimonio degli obbligazionisti con vari mec-
azionisti. canismi. In che modo le seguenti azioni con-
b. Non ci siano conflitti di interesse fra azionisti sentono tale appropriazione?
e obbligazionisti.

Cap2.p65 43 26/04/2001, 16.13


44 Capitolo 1

a. Un aumento dei dividendi risultati immediati e trascurano le implicazioni


b. Un LBO nel lungo termine”. Commentare.
c. Acquistare un business ad alta rischiosità 7. Alcuni propongono strategie che puntano alla
In che modo gli obbligazionisti possono pro- massimizzazione della quota di mercato piut-
teggersi contro azioni di questo tipo? tosto che dei prezzi di mercato. Sotto quali con-
dizioni una strategia di questo tipo potrebbe
5. “La volatilità dei prezzi nei mercati finanziari è funzionare, e sotto quali fallirebbe?
troppo elevata perché si possa credere all’effi-
cienza dei mercati finanziari”. Commentare 8. “L’adozione di emendamenti contro i takeover
questa affermazione. può beneficiare gli azionisti”. Sotto quali con-
dizioni quest’affermazione può essere veritie-
6. “L’obiettivo di massimizzare i prezzi azionari ra?
non ha senso perché gli investitori puntano a

Live case study


Analizzar
Analizzaree la corpor ate gov
corporate er
gover nance
ernance
Obiettivo
Questa sezione è dedicata all’analisi delle divergenze fra i diversi portatori di
interessi in un’azienda, e alle conseguenze in termini della funzione obiettivo
dell’impresa.

Domande chiave
■ Si tratta di una società in cui c’è separazione fra management e proprieta-
ri? Se sì, in che misura il management rende conto del proprio operato agli
azionisti?
■ Esiste un potenziale conflitto fra azionisti e altri investitori (banche, obbli-
gazionisti ecc.)? Se sì, in che modo viene gestito?
■ In che modo l’azienda interagisce con i mercati finanziari? In che modo i
mercati ottengono informazioni dall’azienda?
■ Qual è la filosofia dell’azienda in termini di responsabilità verso la colletti-
vità? Come gestisce la propria immagine “sociale”?
Uno schema per l’analisi
1. Il CEO
■ Chi è? Da quanto tempo è in carica?
■ Se si tratta di un’azienda “familiare”, fa parte della famiglia? In caso nega-
tivo, che tipo di carriera lo ha portato fino all’attuale posizione? (Ha fatto
carriera in azienda o è arrivato dall’esterno?)
■ Quante azioni e stock option possiede?

Cap2.p65 44 26/04/2001, 16.13


Introduzione all’Internet marketing 45

2. Il consiglio di amministrazione21
■ Chi sono i membri del consiglio di amministrazione? Da quanto tempo
sono in carica?
■ Quanti sono gli inside director (cioè dipendenti o manager della società)?
■ Quanti hanno rapporti di altro tipo con l’azienda (in qualità di fornitori o
clienti)?
■ Quanti rivestono la carica di CEO in altre aziende?
■ Vi sono membri del consiglio di amministrazione con grosse partecipazio-
ni azionarie proprie o che rappresentano altri che ne hanno?

3. Gli interessi degli obbligazionisti


■ L’azienda ha emesso obbligazioni quotate in Borsa?
■ Che tipo di clausole contrattuali sono contenute in queste obbligazioni?
Quali sono i limiti all’attività aziendale che ne derivano?
■ Vi sono speciali protezioni a tutela degli obbligazionisti?

4. Gli interessi dei mercati finanziari


■ Quanti analisti seguono l’azienda?
■ Qual è il volume di scambi sul titolo azionario?

5. Vincoli sociali
■ L’azienda ha una reputazione particolarmente buona o particolarmente
cattiva in qualità di “buon cittadino”?
■ Se sì, in che modo si è fatta questa reputazione?
■ Se l’azienda di recente è stata criticata sotto questo profilo, in che modo si
è difesa?

Informazione online
Corpor ate gov
Corporate er
gover nance
ernance
Per conoscere la composizione del top management e del Consiglio di Ammi-
nistrazione di una società, un primo riferimento è l’Annual Report (rendicon-
to annuale). Il sito www.reportgallery.com contiene gli Annual Report di oltre

21 Nel contesto italiano, va tenuto conto che parte del ruolo degli outsiders nel consiglio
di amministrazione è stato svolto (almeno in teoria) dal collegio sindacale “Riprodurre in
Italia il modello di un consiglio di amministrazione con membri indipendenti incaricati di
controllare il management rende in qualche misura superflua la funzione dei collegi sindacali,
un organo inesistente nel mondo anglosassone” (Il Sole-24 Ore, 8 ottobre 1998) [N.d.C.].

Cap2.p65 45 26/04/2001, 16.13


46 Capitolo 2

2200 società quotate negli Stati Uniti, nonché una sezione internazionale per
UK, Giappone, Corea e Sudafrica. Altrimenti, si può provare l’home page delle
singole società, che spesso include l’Annual Report. Per le compagnie U.S.,
tenute a presentare documenti alla Securities Exchange Commission (SEC),
maggiori dettagli sui membri del consiglio di amministrazione sono disponi-
bili sul sito www.edgar-online.com/people/. Il sito ufficiale della SEC contiene
inoltre informazioni relative a operazioni di insider trading o in generale tran-
sazioni azionarie compiute dal top management di una società o da membri
del consiglio di amministrazione, www.sec.gov/edgarhp.htm. Un altro sito utile
per questo tipo di informazioni è www.freeedgar.com.
Per avere un’opinione indipendente sulla capacità del consiglio di ammini-
strazione di esercitare monitoring sull’operato del management, si può sentire
cosa ne pensa CalPERs, uno dei maggiori e più attivi investitori istituzionali
(azionista in oltre 1600 compagnie statunitensi), www.calpers.org. Ad esem-
pio, ogni anno CalPERS identifica una lista di 10 aziende (Focus List) la cui
performance è stata ben al di sotto di quella di altre aziende nello stesso setto-
re (www.calpers.org/about/factglan/corpgov/corpgov.htm). Una simile Focus
List è stilata dal Council of Institutional Investors (www.cii.org/focus.htm).
Inoltre, come accennato nel testo, ogni anno Business Week presenta una
classifica dei peggiori consigli di amministrazione di grandi aziende statuni-
tensi; la più recente è del 24 gennaio 2000, www.businessweek.com.
Per un’idea di quanto e come viene pagato il Chief Executive Officer (CEO),
possono essere utili le classifiche stilate annualmente per 800 CEO negli Stati
Uniti dalla rivista Forbes, www.forbes.com/ceos/. Per le aziende statunitensi,
tenute a presentare documenti alla Security Exchange Commission (SEC),
maggiori dettagli sono disponibili sul sito www.sec.gov , come pure sul sito
www.edgar-online.com/compexpress/ (inserire il ticker).
Per conoscere le previsioni degli analisti finanziari sulla performance di
azioni quotate negli Stati Uniti, e avere un’idea di quanti analisti seguano una
certa azione, potete provare il sito della Zacks Investment Research,
www.zacks.com, immettendo il ticker symbol dell’azione e scegliendo Esti-
mates Go! Stime e raccomandazioni degli analisti sono anche disponibili sul
sito della Morningstar, www.morningstar.com, immettendo il ticker symbol nel-
la casella Quicktake Reports e cliccando poi su Earnings Estimates.
Infine, per avere un’idea delle forme di investimento “socialmente respon-
sabile”, date un’occhiata al sito http://socialinvest.org/areas/sriguide/
index.html . Oppure, visitate il sito di Calvert, uno dei maggiori fondi “social-
mente responsabili”, www.calvertgroup.com.
Infine, per conoscere il punto di vista delle organizzazioni dei lavoratori, in
particolare con riferimento alla compensazione dei CEO, visitate il sito della
AFL-CIO, www.aflcio.org, la federazione delle organizzazioni sindacali.

WWW Italia
Per gli Annual Report di società italiane quotate si può provare la home page
delle singole società (reperibile tramite il sito della Borsa italiana, www.

Cap2.p65 46 26/04/2001, 16.13


L’obiettivo 47

borsaitalia.it e quello dell’AIAF, www.aiaf.it – fate clic su Incontri Società e


poi Links). Per ogni azienda quotata si possono ottenere i nomi dei principali
manager e le relative cariche sul sito www.corporateinformation.com, sceglien-
do Italy nella Country List. Notizie utili su riunioni dei consigli di amministra-
zione, nuove nomine, nonché cambiamenti nella compagine azionaria sono
disponibili sul sito www.ilsole24ore.com (nell’area Finanza, sotto le rubriche
C.d.a. e Assemblee, Nomine, Partecipazioni ed Azionariato).
Per conoscere le previsioni degli analisti finanziari sulla performance di
azioni quotate in Italia, e avere un’idea di quanti analisti seguano una certa
azione, andate sul sito http://it.finance.yahoo.com/ e scegliete la sezione Ana-
lisi relativa all’azione cui siete interessati.
Per conoscere i recenti cambiamenti della normativa sulla corporate gover-
nance per l’Italia, consultare lo European Corporate Governance Network
www.ecgn.ulb.ac.be/ecgn/ , che nella sezione Codes, per l’Italia contiene il te-
sto della riforma Draghi ed il cosiddetto codice Preda (Codice di Condotta
delle Società Quotate). Sullo stesso sito, nella sezione EU Reports, leggete il
report “Ownership, Pyramidal Groups and the Separation between Owner-
ship and Control in Italy”. Per uno studio di un fenomeno peculiare dell’Italia,
il premio di valutazione delle azioni ordinarie rispetto alle azioni di risparmio,
si veda lo studio di Luigi Zingales: “The value of the voting right: a study of
the Milan Stock Exchange experience” (Review of Financial Studies, primavera
1994 http://www3.oup.co.uk/revfin/contents/).

Cap2.p65 47 26/04/2001, 16.13


3
La nozione di rischio

Nella nostra cultura la parola “rischio” evoca un concetto negativo: infat-


ti nei dizionari la definizione più comune del verbo rischiare è “esporsi a
un pericolo”. Tuttavia l’ideogramma cinese corrispondente ci aiuta a me-
glio comprendere l’uso che la finanza fa di questo termine:

Il primo simbolo sta per “pericolo” e il secondo per “opportunità”. Il con-


cetto cinese di rischio, dunque, (risulta dall’unione di pericolo e oppor-
tunità. Tradotto nel linguaggio della finanza, ciò significa che, per ogni
investitore e ogni impresa, esiste un trade-off fra maggiori rendimenti
(l’aspetto “opportunità”) e maggiori rischi (l’aspetto “pericolo”). Obiet-
tivo fondamentale in finanza è fare in modo che, quando un investitore
sia esposto a un rischio, venga remunerato in modo “appropriato”.
In questo capitolo forniremo le basi per l’analisi del rischio, e presen-
teremo modelli alternativi per misurarlo e convertirlo in una soglia mi-
nima di rendimento “accettabile”.

Cap3.p65 49 07/05/2001, 20.16


50 Capitolo 3

Cap3.p65 50 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 51

Requisiti di un modello
di rischio e r endimento
rendimento
Nel corso di questo capitolo presenteremo una serie di modelli per la valuta-
zione del rischio e del rendimento di un investimento. Nel far ciò, è importan-
te ricordare che un buon modello dovrebbe soddisfare i seguenti requisiti:
1. Fornire una misura del rischio che si possa applicare a qualunque tipo di
investimento .
2. Indicare chiaramente quali tipi di rischio sono remunerati e quali no, e spie-
garne il motivo.
3. Fornire una misura di rischio standardizzata, tale cioè da consentire a un
investitore di capire se la rischiosità di un certo investimento è superiore o
inferiore alla media.
4. Tradurre la misura del rischio in un “tasso atteso di rendimento”, ovvero la
remunerazione che l’investitore richiederà per assumersi tale rischio.
5. Riuscire non solo a spiegare i rendimenti realizzati in passato, ma anche a
predire i rendimenti attesi in futuro.

Modelli gener ali di rischio e r


generali endimento
rendimento
La nostra analisi del rischio si svolgerà in tre tappe successive. Innanzi tutto
definiremo il rischio in termini di distribuzione dei rendimenti effettivamente
realizzati intorno a un certo rendimento atteso. Poi procederemo a una distin-
zione fra un primo tipo di rischio di rischio, specifico di un investimento (o di
un gruppo ristretto di investimenti), e un secondo tipo di rischio, che riguarda
invece una ben più ampia classe di investimenti. Noteremo che in un mercato
in cui l’investitore marginale detiene un portafoglio diversificato, soltanto il
secondo tipo di rischio, detto rischio-mercato, viene remunerato. Infine pre-
senteremo modelli alternativi per misurare il rischio-mercato e il rendimento
atteso a esso associato.

La misur azione del rischio


misurazione
Ogni investimento viene effettuato con l’obiettivo di ricavarne un certo rendi-
mento lungo un determinato orizzonte temporale. Tuttavia il rendimento ef-
fettivamente realizzato può risultare ben diverso dal rendimento atteso, ed è
qui che entra in gioco la nozione di rischio.
Supponiamo che un investitore con un orizzonte temporale di un anno
acquisti un Buono del Tesoro con scadenza a un anno e con un rendimento
atteso del 5%. Alla fine dell’anno, il rendimento effettivamente realizzato sarà
del 5%, pari cioè al rendimento atteso. La Figura 3.1 rappresenta la distribu-

Cap3.p65 51 07/05/2001, 20.16


52 Capitolo 3

Figura 3.1 Distribuzione dei rendimenti di un investimento privo di rischio

zione del rendimento per tale investimento: si tratta in questo caso di un inve-
stimento privo di rischio, almeno in termini nominali.
Supponiamo ora che il nostro investitore decida invece di acquistare le
azioni della Disney, dalle quali ritiene di poter ottenere un rendimento pari al
30% (sempre in un anno). Quasi certamente il rendimento effettivo non sarà
del 30%, e anzi potrebbe risultare molto maggiore o molto minore. La distri-
buzione del rendimento di tale investimento è illustrata nella Figura 3.2.
Questo esempio indica che un investitore, oltre alla media (rendimento at-
teso), deve considerare altre caratteristiche della distribuzione:
■ In primo luogo, la dispersione dei rendimenti effettivi attorno al rendimento
atteso, misurata dalla varianza (o dallo scarto quadratico medio) della distri-
buzione; maggiore è la differenza fra rendimenti effettivi e rendimento at-
teso, maggiore è la varianza.

Figura 3.2 Distribuzione di probabilità per investimenti rischiosi

Cap3.p65 52 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 53

■ In secondo luogo, il tipo di asimmetria della distribuzione, vale a dire se la


distribuzione “tende” di più verso rendimenti positivi (superiori a quello atte-
so) (come in Figura 3.2) o verso rendimenti negativi (inferiori a quello atteso) .
■ In terzo luogo, la forma delle “code” della distribuzione, misurata dalla cur-
tosi; più “grasse” sono le code, maggiore è la curtosi. In termini di investi-
mento, una maggiore curtosi indica una maggiore probabilità di rendimen-
ti estremamente alti o estremamente bassi.
Nel caso particolare in cui le distribuzioni fossero simmetriche e normali (e
quindi con curtosi pari a zero), gli investitori non dovrebbero preoccuparsi
dell’asimmetria e della curtosi, e ogni investimento potrebbe essere valutato
sulla base del rendimento atteso (la remunerazione) e della varianza nei ren-
dimenti attesi (il rischio). Ad esempio (Figura 3.3), di fronte a due investimenti
con lo stesso rendimento atteso ma diversa varianza, un investitore sceglierà
sempre quello con varianza minore.
Nel caso più generale in cui le distribuzioni non siano simmetriche né nor-
mali, teoricamente è ancora possibile che gli investitori scelgano fra diversi
investimenti soltanto sulla base del rendimento atteso e della varianza, ma ciò
richiede una poco verosimile ipotesi sulla forma della funzione di utilità1 de-

Figura 3.3 Confronto fra distribuzioni di rendimenti

1 La funzione di utilità è un modo per rappresentare e sintetizzare le preferenze di un


investitore in una generica misura di utilità o “soddisfazion”. Nel nostro caso, ad esempio,
la “soddisfazion” dell’investitore è espressa in funzione della sua ricchezza patrimoniale.
Tale rappresentazione consente di rispondere a domande del tipo: quando il patrimonio di
un investitore raddoppia, raddoppia anche la soddisfazione che egli ne deriva? Oppure a
ogni incremento marginale nel patrimonio corrisponde un incremento di soddisfazione
via via minore? La funzione di utilità quadratica è un tipo particolare di funzione di utilità,
con la quale la soddisfazione di un investitore può essere interamente espressa in termini
di ricchezza attesa e della relativa varianza.

Cap3.p65 53 07/05/2001, 20.16


54 Capitolo 3

gli investitori. È molto più probabile che essi preferiscano invece distribuzioni
asimmetriche nella direzione di rendimenti positivi e distribuzioni con una mino-
re probabilità di forti oscillazioni (minore curtosi). Vale a dire che ogni scelta fra
diversi investimenti comporterà un trade-off fra maggiore rendimento atteso ed
un’asimmetria più “positiva”, da un lato, e maggiore varianza e curtosi, dall’altro.
Vedremo in seguito che uno dei modelli di rischio e rendimento, il capital
asset pricing model (CAPM), ipotizza che ogni investimento sia valutato solo
in termini di rendimento atteso e varianza, ignorando così l’esistenza di asim-
metria e curtosi. D’altro lato va però detto che l’effettiva importanza di questi
due fattori nella determinazione del rendimento atteso non è ancora chiara.
Va notato che nella pratica la varianza (come pure gli altri parametri della
distribuzione) viene quasi sempre stimata utilizzando la distribuzione dei ren-
dimenti storici piuttosto che quella dei rendimenti futuri attesi, nel presuppo-
sto che la prima rappresenti un buon indicatore della seconda. Nel momento
in cui questo presupposto viene meno, come nel caso in cui le caratteristiche
dell’investimento siano cambiate sostanzialmente nel corso del tempo, una
stima storica della varianza non rappresenta più una buona misura della ri-
schiosità di un investimento.

Domanda di verifica 3.1


Un mondo dominato da media e varianza?
Supponi di dover scegliere fra due investimenti A e B con lo stesso rendimen-
to atteso, pari al 15%, e lo stesso scarto quadratico medio, pari al 25%. Tutta-
via, A offre una piccola probabilità di quadruplicare il patrimonio investito,
mentre con l’investimento B il massimo rendimento possibile è del 60%. Come
ti comporteresti?
■ Saresti indifferente fra i due investimenti, dal momento che essi hanno lo
stesso rendimento atteso e lo stesso scarto quadratico medio?
■ Preferiresti l’investimento A, per via della (pur piccola) probabilità di un
rendimento molto alto?
■ Preferiresti l’investimento B, perché meno rischioso?

Esempio applicativo 3.1


Calcolo dello scarto quadr atico medio
quadratico
sulla base dei r endimenti storici: la Disney
rendimenti
Abbiamo raccolto i dati relativi ai rendimenti mensili delle azioni della Disney
per ciascun mese del periodo da gennaio 1992 a dicembre 1996.

Cap3.p65 54 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 55

Abbiamo poi calcolato scarto quadratico medio e varianza nei rendimenti


mensili:

Scarto quadratico medio = 6,14%

Varianza = 37,66%

Le misure possono essere annualizzate2 in questo modo:

Scarto quadratico medio annualizzato = 6,14% × √12 = 21,26%

Varianza annualizzata = 37,66% × 12 = 452%

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete lo scarto qua-
dratico medio dei rendimenti di titoli azionari in vari settori industriali del mercato statuni-
tense.

2 Questo procedimento per ottenere il rendimento annualizzato parte dal presupposto


che i rendimenti mensili non siano correlati, cioè che non esista una relazione fra il rendi-
mento di un mese e quello del mese successivo.

Cap3.p65 55 07/05/2001, 20.16


56 Capitolo 3

Domanda di verifica 3.2


Upside risk e downside risk:
ovv er
ovver
eroo rischio “buono” e rischio “cattivo”
Immagina di avere a disposizione gli scarti quadratici medi storici relativi a
due investimenti negli ultimi cinque anni. Entrambi gli investimenti risultano
avere uno scarto quadratico medio pari al 35%, ma uno ha avuto un rendi-
mento complessivo nei cinque anni del –10% e l’altro del +40%. Considerere-
sti i due investimenti di pari rischiosità? Perché in finanza non distinguiamo
fra conseguenze positive e conseguenze negative del rischio?

Rischio r emuner
remuner ato e non r
emunerato emuner
remuner ato
emunerato
Il rischio, secondo la definizione che ne abbiamo dato nel paragrafo prece-
dente, deriva dal fatto che il rendimento effettivo di un investimento può es-
sere diverso dal rendimento atteso; tale differenza può risultare da diverse
cause, alcune specifiche di un certo investimento (rischio specifico di un pro-
getto o rischio specifico d’impresa), altre comuni a tutti gli investimenti (ri-
schio-mercato).

Le componenti del rischio


Il rischio che un’impresa si trova a dover fronteggiare nell’investire in un nuo-
vo progetto deriva da un gran numero di fattori, fra i quali le caratteristiche del
progetto stesso, la concorrenza, i cambiamenti nel settore industriale, que-
stioni di carattere internazionale e variabili macroeconomiche. Tuttavia, quan-
do un’impresa investe in una molteplicità di progetti tale rischio si riduce.
Inoltre, chi investe nell’impresa può ulteriormente ridurre il rischio cui è esposto
costruendosi un portafoglio diversificato.
La prima fonte di rischio è il rischio specifico di un progetto; ogni singo-
lo progetto può produrre maggiori o minori flussi di cassa rispetto alle previ-
sioni, magari perché tali previsioni erano inesatte, oppure a causa di fattori
specifici legati al progetto. Gran parte di tale rischio specifico di un progetto
viene però ad essere eliminato nel momento in cui le aziende intraprendono
un gran numero di progetti simili. Ad esempio quando la Disney progetta di
produrre un nuovo film, si espone a una serie di possibili errori di sotto o
sopravvalutazione dei costi e tempi di produzione, degli incassi al botteghino
e delle vendite di gadget. Dal momento, però, che la Disney produce diversi
film all’anno, tali errori tendono a compensarsi e gran parte del rischio speci-
fico viene così eliminato.
La seconda fonte di rischio è il rischio-concorrenza: i flussi di cassa gene-
rati da un progetto possono essere condizionati, in senso positivo o negativo,

Cap3.p65 56 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 57

dalle azioni dei concorrenti. Invero, una buona analisi di capital budgeting
dovrebbe già tenere conto delle possibili reazioni dei concorrenti.Tuttavia, le
azioni effettivamente intraprese dai concorrenti risultano spesso imprevedibi-
li. In molti casi questa componente del rischio interessa più di un singolo pro-
getto, e risulta più difficile per l’azienda diversificarla nella sua attività ordina-
ria. La Disney, per esempio, in un’analisi previsionale della profittabilità della
Disney Store division può sbagliare nel valutare la forza e le strategie dei suoi
concorrenti, come Warner Bros Stores e Toys‘ß’Us. Ma mentre la Disney, pur
diversificando, non può far molto per ridurre il rischio-concorrenza,3 i suoi
azionisti possono sostanzialmente ridurlo se sono disposti a investire anche
nelle aziende concorrenti.
La terza fonte di rischio è il rischio-settore, che deriva cioè da fattori che
incidono su profitti e flussi di cassa di uno specifico settore industriale. Questa
categoria comprende a sua volta tre fonti di rischio: la prima è il rischio-tecno-
logia, vale a dire la possibilità di significativi cambiamenti tecnologici nel cor-
so del tempo, rispetto al momento in cui il progetto è stato concepito. La se-
conda fonte è il rischio-leggi, vale a dire la possibilità di cambiamenti in leggi e
regolamentazioni. La terza fonte è il rischio-materie prime, vale a dire la possi-
bilità di variazioni nei prezzi delle materie prime e dei servizi prodotti o utiliz-
zati intensamente in quel settore. La Disney, per esempio, nello stimare la
profittabilità futura della sua broadcasting division (ABC), si espone a tutti e
tre i tipi di rischio: al rischio-tecnologia, dal momento che i confini fra intrat-
tenimento televisivo e Internet vengono continuamente ridefiniti dall’attività
di società come la Microsoft; al rischio legale, dal momento che le leggi che
regolano le reti televisive possono essere modificate; e al rischio-materie pri-
me, dal momento che i costi di produzione di nuovi programmi televisivi va-
riano nel tempo. Un’impresa non può diversificare il rischio-settore se non
diversificando le proprie attività in altri settori industriali (tramite investimen-
ti diretti o acquistando aziende giàoperanti). Gli azionisti di tale impresa, però
possono diversificare il rischio-settore includendo nel proprio portafoglio an-
che titoli azionari di aziende operanti in altri settori industriali.
La quarta fonte di rischio è il rischio internazionale. Un’impresa si trova a
dover fronteggiare questo tipo di rischio quando la valuta nella quale sono
misurati gli utili ed è espresso il prezzo del titolo azionario è diversa dalla
valuta dei flussi di cassa del progetto, come accade nel caso di progetti intra-
presi al di fuori del mercato nazionale. In tal caso i risultati posso differire
dalle previsioni a causa di fluttuazioni nel tasso di cambio o per il cosiddetto
rischio politico. Ad esempio, la Disney si è chiaramente esposta a questo tipo di
rischio con la sua partecipazione del 33% in EuroDisney, il parco divertimenti
da essa creato nei pressi di Parigi. In parte questo tipo di rischio può essere

3 Teoricamente, un’azienda può ridurre il rischio-concorrenza acquistando i propri con-


correnti. Azioni di questo tipo tuttavia possono esporla allo scrutinio dell’autorità anti-
trust, e non eliminerebbero comunque il rischio dell’ingresso di nuovi concorrenti sul
mercato.

Cap3.p65 57 07/05/2001, 20.16


58 Capitolo 3

diversificato dall’azienda intraprendendo progetti in Paesi diversi, le cui valu-


te non abbiano un andamento correlato. Il rischio derivante dal cambio valu-
tario può essere inoltre ridotto scegliendo una struttura finanziaria in linea
con la valuta dei flussi di cassa; ad esempio finanziando in yen giapponesi
iniziative d’investimento da realizzare in Giappone. Gli azionisti di un’azien-
da esposta al rischio internazionale saranno anch’essi esposti al rischio-valuta
e/o al rischio politico se, a causa dei costi di transazione o di altri fattori, inclu-
dono nel proprio portafoglio solo titoli di aziende operanti nel mercato nazio-
nale; ma una politica di diversificazione dei propri investimenti a livello inter-
nazionale, può ridurre significativamente il rischio internazionale.
L’ultima fonte di rischio è il rischio-mercato, vale a dire l’insieme di varia-
bili macroeconomiche che hanno un impatto su tutte le imprese e tutti i pro-
getti, sebbene in diversa misura. Per esempio i movimenti dei tassi di interesse
incidono sul valore dei progetti già intrapresi e su quelli da intraprendere, sia
direttamente, attraverso il tasso di attualizzazione, sia indirettamente, attra-
verso i flussi di cassa. Altre variabili che interessano tutti gli investimenti sono
la struttura per scadenza dei tassi di interesse (term structure, la differenza fra
tassi di interesse a breve e a lungo termine), la propensione al rischio degli
investitori (maggiore è l’avversione al rischio, minore è il valore di investi-
menti rischiosi), l’inflazione e la crescita economica. Dal momento che i valori
attesi di tutte queste variabili sono implicitamente parte di un’analisi di capi-
tal budgeting, ogni deviazione da tali valori attesi si ripercuoterà sul valore
degli investimenti. Anche diversificando la propria attività, le aziende non sono
in grado di ridurre questo tipo di rischio, sebbene in linea teorica alcuni pro-
dotti finanziari derivati potrebbero essere adoperati a tale scopo. Nè possono
ridurlo gli investitori diversificando il proprio portafoglio di investimenti ri-
schiosi (quali, ad esempio, i titoli azionari), dal momento che ogni investi-
mento rischioso è esposto almeno in parte al rischio-mercato.

Domanda di verifica 3.3


Il rischio dipende da chi se l’assume
“Nel valutare lo stesso progetto, un’impresa non quotata utilizzerà un tasso di
attualizzazione maggiore rispetto a un’impresa quotata”. Vero o falso? Perché?

P er ché la div
erché ersificazione riduce
diversificazione
o elimina il rischio specifico d’impr esa?
d’impresa?
Diversificare consente di ridurre o eliminare il rischio specifico d’impresa per
due motivi. Il primo è che ciascun investimento in un portafoglio ben diversi-
ficato costituirà solo una piccola percentuale dell’intero portafoglio. In tal modo
ogni attività che incrementa o riduce il valore del singolo investimento (o di

Cap3.p65 58 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 59

un piccolo gruppo di investimenti) avrà un impatto minimo sull’intero porta-


foglio. Il secondo motivo è che, in ciascun periodo, le specifiche politiche azien-
dali avranno effetti talora di segno positivo, talaltra di segno negativo sui prezzi
di ciascun titolo. In un portafoglio di una certa dimensione questi effetti ten-
deranno a cancellarsi a vicenda e il rischio specifico d’impresa non influirà
significativamente sul valore complessivo del portafoglio.
Invece, gli effetti di oscillazioni in variabili di mercato avranno probabil-
mente lo stesso segno per la gran parte degli investimenti in un portafoglio,
anche se alcuni possono essere più colpiti di altri. Per esempio, a parità di
condizioni, un incremento dei tassi di interesse riduce il valore della maggior
parte degli investimenti in un portafoglio. Una maggiore diversificazione non
elimina il rischio, anche se detenere titoli in diverse classi (titoli azionari, titoli
obbligazionari ecc.) può ridurre l’impatto del rischio-mercato. La Tabella 3.1
sintetizza le diverse componenti del rischio e le azioni che aziende e investito-
ri possono intraprendere per ridurlo o eliminarlo.

P er ché si pr
erché esume che l’inv
presume estitor
l’investitor
estitoree
“marginale” sia div ersificato?
diversificato?
L’idea che un investitore possa ridurre la propria esposizione al rischio non
viene in genere contestata, ma i modelli di rischio e rendimento in finanza
vanno oltre. In tali modelli, infatti, si sostiene che l’investitore marginale (cioè
colui che determina i prezzi dei titoli) sia ampiamente diversificato. Di conse-
guenza, l’unico rischio riflesso nel prezzo di un titolo (o, in generale, nella
valutazione di un investimento) è il rischio percepito da tale investitore. In
realtà il ragionamento sottostante è molto semplice. Supponiamo che vi siano
due investitori, uno diversificato e uno non diversificato, i quali concordino
sul rendimento atteso di un certo titolo (o sui flussi di cassa attesi da un certo
progetto d’investimento). La percezione della rischiosità di tale titolo sarà però
maggiore per l’investitore non diversificato rispetto a quello diversificato, dal
momento che il secondo, a differenza del primo, non deve preoccuparsi del
rischio specifico d’impresa. Perciò l’investitore diversificato sarà disposto a
pagare una somma maggiore per quel titolo. Il risultato di questo processo è che,
nel tempo, tutti i titoli vengono ad essere detenuti da investitori diversificati.
Si potrebbe replicare che questo ragionamento funziona perfettamente per
titoli azionari e altri valori mobiliari negoziati in piccole unità ed estremamen-
te liquidi, ma si adatta meno bene ad investimenti illiquidi e con una elevata
dimensione minima.
In molti Paesi, ad esempio, i beni immobiliari sono posseduti da investitori
non diversificati, con gran parte del patrimonio investita in tali beni. Cionon-
dimeno, i benefici derivanti dalla diversificazione sono tali che una serie di
titoli, quali i Real Estate Investment Trust (REIT, una sorta di fondi comuni di
investimento immobiliare) e le obbligazioni ipotecarie, sono stati creati pro-
prio per permettere ai risparmiatori che investono in beni immobiliari di otte-
nere comunque un certo livello di diversificazione.

Cap3.p65 59 07/05/2001, 20.16


Cap3.p65
60
Tabella 3.1 Un’analisi del rischio
Effetti sull’analisi

60
Capitolo 3

Tipo Esempi L’azienda L’investitore Azienda Azienda quotata Azienda quotata


di rischio può mitigarlo può mitigarlo non quotata con investitori con investitori
interni internazionali

Specifico - Errori di stima - Intraprendendo - Detenendo più - Possono esservi, - No - No


del progetto - Errori riguar- un ampio nume- di un’azione nel se l’azienda intra-
danti il prodotto ro di progetti portafoglio prende pochi pro-
o la localizza- getti
zione
Concorrenza - Risposte inattese - Acquisendo i - Investendo in - Sì, dal momento - No - No
o nuovi prodotti/ concorrenti azioni dei con- che i proprietari
servizi da parte correnti non sono in ge-
dei concorrenti nere ben diversi-
ficati
Settore - Cambiamenti - Diversificandosi - Detenendo un - Sì, dal momento - No - No
riguardanti in altri settori portafoglio diver- che i proprietari
tutte le società attraverso sificato fra vari non sono in gene-
in un settore acquisizioni/in- settori industriali re ben diversificati
vestimenti
Internazionale - Oscillazioni dei - Investendo in - Detenendo un - Sì, dal momento - Sì, dal momento - No
tassi di cambio diversi Paesi/ portafoglio diver- che i proprietari che gli investitori
- Cambiamenti valute sificato a livello non sono in gene- non sono diversi-

07/05/2001, 20.16
politici internazionale re ben diversificati ficati internazio-
nalmente
Mercato - Oscillazioni dei - Sì - Sì - Sì
tassi di interesse
- Oscillazioni
dell’inflazione
- Shock economici
La nozione di rischio 61

Domanda di verifica 3.4


Qualità del management e rischio
“Un’azienda ben gestita è meno rischiosa di un’azienda gestita male”. Vero o
falso?

La misur azione del rischio di mer


misurazione cato
mercato
La maggior parte dei modelli di rischio e rendimento in finanza concordano
sul fatto che il rischio deriva dalla distribuzione dei rendimenti effettivamente
realizzati attorno al rendimento atteso e che deve essere misurato dal punto di
vista di un investitore marginale ampiamente diversificato. Ciò che distingue
tali modelli è la misurazione del rischio non diversificabile, ovvero il rischio-
mercato. Nel paragrafo seguente analizzeremo la soluzione proposta da cia-
scuno dei quattro modelli di base: – il capital asset pricing model (CAPM),
l’arbitrage pricing model (APM), il modello multifattoriale e i modelli basati
sulla regressione.

Il capital asset pricing model


Si tratta del modello di rischio e rendimento di gran lunga più utilizzato in
passato e costituisce tuttora il modello standard in molte applicazioni di fi-
nanza aziendale.

Ipotesi
Nonostante la diversificazione consenta di ridurre l’esposizione degli investi-
tori al rischio specifico d’impresa, la maggior parte degli investitori possiede
un numero limitato di titoli. Anche i maggiori mutual funds (fondi comuni aperti)
sono riluttanti a possedere più di qualche centinaio di azioni, e anzi molti non
ne hanno più di una ventina. La ragione di questa riluttanza è che i benefici
marginali della diversificazione di un portafoglio diminuiscono all’aumentare
della diversificazione: ad esempio, la riduzione del rischio specifico d’impresa
ottenuta aggiungendo il ventunesimo titolo è minore rispetto a quella ottenu-
ta precedemente con l’aggiunta di un quinto o un decimo titolo, e potrebbe
non essere sufficiente a coprire i costi marginali associati alla diversificazione,
quali i costi di transazione d il costo di seguire un titolo in più (monitoring
cost). Inoltre, molti investitori (e fondi di investimento) ritengono di saper in-
dividuare i titoli sottovalutati e quindi decidono di non detenere quelli (rite-
nuti) sopravvalutati o correttamente valutati.
Il capital asset pricing model ipotizza che non esistano costi di transazione,
che tutte le attività (finanziarie e non) siano trattate sul mercato e che gli inve-
stimenti siano divisibili all’infinito (cioè che si possa comprare una qualsiasi
frazione di un’unità di investimento). Ipotizza inoltre che, non essendoci in-

Cap3.p65 61 07/05/2001, 20.16


62 Capitolo 3

formazione privata, gli investitori non possano trovare attività sottovalutate o


sopravvalutate sul mercato. L’effetto di tali ipotesi è quello di eliminare quei
fattori che spingono gli investitori a limitare il proprio grado di diversificazio-
ne. Portando agli estremi la logica della diversificazione, quindi, l’investitore
deterrà in portafoglio tutte le attività trattate sul mercato (azioni, obbligazioni
e titoli immobiliari inclusi), ciascuna in proporzione al suo valore di mercato4.
Il portafoglio composto da ogni attività trattata sul mercato viene chiamato
portafoglio di mercato.

Le implicazioni per gli investitori


Ma se ciascun investitore sceglierà lo stesso identico portafoglio, cioè il porta-
foglio di mercato, che ruolo gioca la diversa propensione al rischio di ciascun
investore nelle scelte di investimento? La diversa propensione al rischio emerge
nella decisione di allocazione, vale a dire nella decisione di quanto investire
nel titolo privo di rischio e quanto nel portafoglio di mercato. Investitori più
avversi al rischio sceglieranno di investire gran parte o la totalità del proprio
patrimonio nel titolo privo di rischio, mentre investitori meno avversi al ri-
schio investiranno principalmente o esclusivamente nel portafoglio di merca-
to. Anzi, potranno investire nel portafoglio di mercato non solo tutto il loro
patrimonio, ma anche fondi presi a prestito al tasso del titolo privo di rischio.
Questi risultati si basano su due ulteriori ipotesi. La prima è che esista un
titolo privo di rischio, ovvero un titolo il cui rendimento atteso sia certo. La
seconda è che gli investitori, per ottenere la combinazione ottimale fra titolo
privo di rischio e portafoglio di mercato (data la propria propensione al ri-
schio), possano dare e prendere in prestito fondi al tasso privo di rischio. Esi-
stono comunque varianti del CAPM che ottengono risultati fondamentalmen-
te simili senza queste ipotesi addizionali.

Domanda di verifica 3.5


Corr er
Correr
eree un rischio in modo ef ficiente
efficiente
Nel CAPM, il modo più efficiente di assumere molto rischio è:
■ Comprare un portafoglio ben bilanciato dei titoli più rischiosi sul mercato.
■ Comprare titoli rischiosi che siano anche sottovalutati.
■ Prendere in prestito fondi e comprare un portafoglio ben diversificato.

4 Se il “peso” di ciascuna attività nel portafoglio di investimenti non fosse proporzionale


al valore di mercato dell’attività stessa, gli investitori perderebbero parte dei benefici della
diversificazione. Ma data l’ipotesi di assenza di informazione privata (e quindi l’impossi-
bilità di identificare sistematicamente attività sottovalutate o sopravvalutate), non c’è motivo
di rinunciare ai benefici della diversificazione; quindi il peso di ciascuna attività verrà de-
terminato in proporzione al valore di mercato.

Cap3.p65 62 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 63

La misurazione del rischio-mercato di una singola attività


Il rischio di ciascuna attività per un investitore corrisponde al rischio aggiunto
da quell’attività al suo portafoglio. Nel contesto del CAPM, dove tutti gli inve-
stitori scelgono di detenere il portafoglio di mercato, il rischio di una singola
attività per un investitore corrisponde al rischio che quest’attività aggiunge al
portafoglio di mercato. Statisticamente, questo rischio addizionale è misurato
dalla covarianza dell’attività con il portafoglio di mercato. Maggiore è la corre-
lazione fra l’andamento di un’attività e l’andamento del portafoglio di merca-
to, maggiore è il rischio aggiunto da tale attività (dal momento che i movi-
menti non correlati all’andamento del portafoglio di mercato vengono elimi-
nati quando si aggiunge un’attività al portafoglio).
La covarianza, però, è una misura non standardizzata del rischio-mercato;
ad esempio, sapere che le azioni Disney hanno una covarianza con il portafo-
glio di mercato pari al 55% non ci fa capire se hanno una rischiosità superiore
o inferiore alla media. Possiamo tuttavia standardizzare la misura del rischio
dividendo la covarianza di ciascuna attività con il portafoglio di mercato per la
varianza del portafoglio di mercato. Otteniamo in questo modo il cosiddetto
beta di un’attività:

Covarianza dell’attività E con il portafoglio di mercato


Beta di un’attività E =
Varianza del portafoglio di mercato

Dato che la covarianza del portafoglio di mercato con se stesso non è altro che
la varianza del portafoglio di mercato, il beta del portafoglio di mercato (e
quindi il beta di una ipotetica attività media) è 1. Quindi le attività più (meno)
rischiose della media saranno quelle con un beta superiore (inferiore) ad 1. Il
titolo privo di rischio avrà ovviamente un beta pari a zero.

Ottenere il rendimento atteso


Il fatto che ciascun investitore possieda una combinazione del titolo privo di
rischio e del portafoglio di mercato ha un’importante implicazione: il rendi-
mento atteso di un’attività è strettamente correlato al suo beta. In particolare,
il rendimento atteso di un’attività sarà una funzione del tasso di rendimento
del titolo privo di rischio e del beta dell’attività.

Rendimento atteso di un’attività i: E(Ri) = Rf + bi [E(Rm) – Rf]

dove:
E(Ri) = Rendimento atteso dell’attività i
Rf = Tasso di rendimento del titolo privo di rischio
βi = Beta dell’attività i
E(Rm) = Rendimento atteso del portafoglio di mercato
E(Rm) – Rf = Premio di rischio (risk premium)

Cap3.p65 63 07/05/2001, 20.16


64 Capitolo 3

Il rendimento atteso di un’attività rischiosa è dato dal rendimento di un titolo


privo di rischio maggiorato di un premio di rischio, che sarà più o meno eleva-
to a seconda del rischio aggiunto dall’attività al portafoglio di mercato.

Il CAPM in pratica
È chiaro quindi che per usare il CAPM sono necessari tre input:
■ Tasso di rendimento del titolo privo di rischio. Per titolo privo di rischio si
intende un titolo il cui rendimento atteso nel periodo di riferimento sia
noto all’investitore con certezza. Di conseguenza, il tasso di rendimento di
un titolo privo di rischio da utilizzare nel CAPM varierà a seconda che il
periodo di riferimento sia 1, 5 o 10 anni.
■ Premio di rischio. Il premio di rischio indica la remunerazione richiesta dai
risparmiatori per investire nel portafoglio di mercato (che comprende tutte
le attività rischiose) piuttosto che nel titolo privo di rischio. In pratica, vie-
ne spesso stimato sulla base dei rendimenti storici di attività rischiose (di
solito titoli azionari) e di titoli privi di rischio.
■ Il beta può essere ottenuto direttamente come coefficiente della regressio-
ne dei rendimenti passati dell’attività contro i rendimenti passati del por-
tafoglio di mercato (di solito approssimato da un indice azionario).
In definitiva, nel CAPM l’intero rischio-mercato è sintetizzato dal beta, misu-
rato in relazione al portafoglio di mercato (che, almeno in teoria, include tutte
le attività trattate sul mercato, ciascuna detenuta in proporzione al proprio
valore di mercato).

Domanda di verifica 3.6


Cosa significa un beta negativo?
Nel CAPM è possibile che alcune attività abbiano un beta inferiore a zero. In
tal caso, quale affermazione descrive meglio l’investimento in queste attività?
■ “L’ investimento renderà meno di un titolo privo di rischio.”
■ “L’ investimento serve ad assicurare il mio portafoglio diversificatocontro
una parte del rischio di mercato.”
■ “Mantenere quest’investimento ha senso solo se il mio portafoglio è am-
piamente diversificato”.
■ Tutte e tre le affermazioni precedenti.

L’arbitr age pricing model


’arbitrage
Le ipotesi piuttosto limitative del CAPM e la sua stretta dipendenza dal porta-
foglio di mercato hanno creato un certo scetticismo da parte di accademici e

Cap3.p65 64 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 65

operatori professionali. Alla fine degli anni ’70, Ross (1976) ha proposto un
modello alternativo per la misurazione del rischio: l’arbitrage pricing model.

Ipotesi
L’arbitrage pricing model (APM) si basa sul semplice presupposto che gli in-
vestitori traggono vantaggio dalle opportunità di arbitraggio. In altri termini,
se due portafogli hanno la stessa esposizione al rischio ma offrono diversi
rendimenti attesi, gli investitori acquisteranno il portafoglio con maggiore ren-
dimento atteso e, così facendo, ne faranno salire il prezzo e quindi diminuire il
rendimento atteso, riportandolo perciò in equilibrio con l’altro portafoglio.
Come il CAPM, anche l’arbitrage pricing model scompone il rischio in ri-
schio specifico d’impresa e rischio-mercato. Il primo è il rischio che influenza
principalmente una singola azienda. Il secondo è il rischio che influenza tutti
gli investimenti, e deriva da variazioni impreviste nei tassi di interesse, nell’in-
flazione, o in altre variabili macroeconomiche. Inseriamo questo concetto nel
modello di rendimento:

R = E(R) + m + ∈

dove m rappresenta il rischio-mercato (o rischio sistematico), ed ∈ rappresen-


ta il rischio specifico d’impresa. Si noti che questa distinzione è molto simile a
quella fra rischio specifico d’impresa e rischio-mercato nell’ambito del CAPM.

Le fonti del rischio-mercato


Nonostante il CAPM e l’APM facciano entrambi una distinzione fra rischio
specifico d’impresa e rischio-mercato, essi si differenziano poi nell’approccio
alla misurazione del rischio-mercato. Il CAPM ipotizza che il rischio-mercato
sia sintetizzato dal portafoglio di mercato, mentre l’APM ammette molteplici
fonti del rischio-mercato, rappresentate da variazioni inattese in variabili ma-
croeconomiche fondamentali dette “fattori” (prodotto interno lordo, tassi di
interesse, inflazione ecc.), e misura la sensibilità degli investimenti a ciascuna
di tali variazioni con un diverso beta. La componente mercato m del rendi-
mento “imprevisto” (differenza fra rendimento effettivo R e rendimento atte-
so E(R)) può quindi essere scomposta in una serie di fattori economici:

R = E(R) + m + ∈ = E(R) + (β1F1 + β2F2 + … + βnFn) + ∈

dove
βj = sensibilità dell’investimento a variazioni inattese nel fattore j (il cosid
detto beta-fattore)
Fj = variazioni inattese nel fattore j

Gli effetti della diversificazione


Nel presentare il CAPM, abbiamo elencato i vari benefici della diversificazio-
ne. La conclusione fondamentale è stata che la diversificazione degli investi-

Cap3.p65 65 07/05/2001, 20.16


66 Capitolo 3

menti in portafoglio elimina il rischio specifico d’impresa. L’arbitrage pricing


model parte dalla stessa idea per concludere che il rendimento inatteso di un
portafoglio non avrà una componente specifica d’impresa (da noi indicata con ∈).
Il rendimento di un portafoglio Rp può essere rappresentato come la somma
di due medie ponderate – la media ponderata dei rendimenti attesi delle atti-
vità nel portafoglio e la media ponderata dei beta associati a ciascun fattore:

Rp = (w1R1 + w2R2 + … +wnRn) + (w1β1,1 +w2+β1,2 + … +wnβ1,n) F1


+ (w1β2,1 +w2+β2,2 + … +wnβ2,n) F2 +…

dove
wj = peso relativo dell’attività j nel portafoglio
Rj = rendimento atteso dell’attività j
βi,j = beta dell’attività j rispetto al fattore i

Rendimenti attesi, beta e fattori


Il fatto che il beta di un portafoglio rispetto a ciascun fattore è la media pon-
derata dei beta di ciascuna attività nel portafoglio rispetto a quel fattore, uni-
tamente alla condizione di assenza di arbitraggio, ha un’importante implica-
zione: esiste una relazione diretta fra rendimento atteso e beta associati a cia-
scun fattore. Per capire il motivo, supponiamo che ci sia un solo fattore e che ci
siano tre portafogli, con le seguenti caratteristiche. Il portafoglio A ha un beta
(rispetto a questo unico fattore) di 2,0 e un rendimento atteso del 20%; il por-
tafoglio B ha un beta di 1,0 e un rendimento atteso del 12%; il portafoglio C ha
un beta di 1,5 e un rendimento atteso del 14%. Si noti che investendo la metà
del proprio patrimonio nel portafoglio A e la metà nel portafoglio B, si potreb-
be ottenere un portafoglio con un beta (sempre rispetto all’unico fattore) pari
a 1,5 e un rendimento atteso del 16%. Di conseguenza nessun investitore vor-
rà investire nel portafoglio C finché non scenderanno i prezzi delle attività in
tale portafoglio, portandone così il rendimento atteso al 16%. Questo sempli-
ce esempio indica che il rendimento atteso di ciascun portafoglio deve essere
una funzione lineare del beta, altrimenti si creeranno opportunità di arbitrag-
gio. Lo stesso ragionamento può essere esteso al caso in cui vi sia più di un
fattore, con gli stessi risultati. Perciò il rendimento atteso su un investimento
può essere così rappresentato

E(R) = Rf + β1 [E(R1) – Rf] + β2 [E(R2) – Rf] … + βn [E(Rn) – Rf]

dove
Rf = rendimento atteso di un portafoglio con beta uguale a zero
E(Rj) = rendimento atteso di un portafoglio con un beta pari a 1 rispetto al
fattore j, e pari a zero rispetto a tutti gli altri fattori
[E(Rj) – Rf] = premio di rischio associato al fattore j.

Cap3.p65 66 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 67

Si noti che il CAPM può essere considerato un caso particolare dell’APM in


cui il rendimento di mercato sia determinato da un unico fattore economico,
rappresentato dal portafoglio di mercato:

E(R) = Rf + βm [E(Rm ) – Rf]

L’APM in pratica
Oltre al tasso di rendimento di un investimento privo di rischio, l’APM richie-
de la stima del beta e del premio di rischio per ciascun fattore. In pratica, essi
vengono di solito misurati applicando la cosiddetta “analisi fattoriale” ai dati
storici relativi ai rendimenti degli investimenti. In sostanza, un’analisi fatto-
riale esamina i dati storici alla ricerca, appunto, di “fattori” comuni a grandi
gruppi di attività (piuttosto che a singole attività o a gruppi di attività concen-
trati in un settore. L’analisi fattoriale ottiene due risultati:
1. Specifica il numero di fattori comuni che hanno inciso sui dati storici esa-
minati.
2. Misura il Beta di ciascuna attività rispetto a ciascun fattore comune e forni-
sce una stima dell’effettivo premio di rischio ottenuto da ciascun fattore.
L’analisi fattoriale, tuttavia, non identifica i fattori in termini economici.

Ricapitolando, nell’arbitrage pricing model il rischio-mercato viene misurato


rispetto a una serie di fattori macroeconomici, non identificati; la sensibilità di
ciascun attivitàa ciascun fattore viene misurata dal cosiddetto beta-fattore. Il
numero dei fattori, i vari beta-fattore e il premio di rischio associato a ciascun
fattore possono essere stimati tramite l’analisi fattoriale.

Modelli multifattoriali di rischio e r endimento


rendimento
Il fatto che l’APM non identifichi i fattori in modo specifico può rappresentare
un vantaggio da un punto di vista statistico, ma è certo una forte limitazione
dal punto di vista dell’intuizione economica. La soluzione al problema sembra
semplice: sostituire i non meglio identificati fattori statistici con specifici fat-
tori macroeconomici.

Costruire un modello multifattoriale


In genere, i modelli multifattoriali vengono sostanzialmente costruiti a partire
dall’evidenza empirica, piuttosto che sulla base di un modello economico teo-
rico.
Infatti, una volta identificato il numero dei fattori nell’APM, l‘analisi dei
dati consente di estrapolarne il comportamento nel tempo. Le serie temporali
così ricavate vengono poi confrontate con le serie temporali di diverse variabi-
li macroeconomiche al fine di vedere se tali variabili sono correlate, nel tempo,
con i fattori identificati.
Per esempio, Chen, Roll e Ross (1986) sostengono che le seguenti variabili
macroeconomiche sono strettamente correlate con i fattori identificati tramite

Cap3.p65 67 07/05/2001, 20.16


68 Capitolo 3

l’analisi fattoriale: produzione industriale, variazioni nel premio d’insolvenza


(default premium), cambiamenti nella struttura temporale dei tassi di interesse,
l’inflazione non prevista e variazioni nel tasso di rendimento reale. Queste
variabili possono poi essere messe in relazione al rendimento per ottenere un
modello dei rendimenti attesi, dove, per ogni impresa, un beta viene calcolato
rispetto a ciascuna variabile (o fattore):

E(R) = Rf + βPIL [E(RPIL) – Rf] + βI [E(RI) – Rf] … +βδ [E(Rδ) –Rf]

dove
βPIL = Beta relativo alle variazioni nel fattore “produzione industriale”
E(RPIL) = Rendimento atteso su un portafoglio con beta pari a 1 sul fattore
produzione industriale, e pari a zero su tutti gli altri fattori
βI = Beta relativo alle variazioni nel tasso di inflazione
E(RI) = Rendimento atteso su un portafoglio con beta pari a 1 sul fattore
inflazione, e pari a zero su tutti gli altri fattori

Passare dall’arbitrage pricing model a un modello multifattoriale macroeco-


nomico ha un costo: la possibilità di errore nell’identificare i fattori economici
rilevanti. Tali fattori, come pure i premi di rischio associati a ciascuno di essi,
possono infatti cambiare nel corso del tempo. Per esempio, le oscillazioni del
prezzo del petrolio sono state un fattore economico rilevante nel determinare
i rendimenti attesi nel corso degli anni ’70, ma non in altri periodi. In un mo-
dello multifattoriale, includere fattori irrilevanti o non includere un fattore ri-
levante può risultare in una stima dei rendimenti attesi poco affidabile.

Ricapitolando, il modello multifattoriale, come l’arbitrage pricing model, ipo-


tizza che il rischio-mercato possa essere meglio misurato utilizzando una
molteplicità di fattori economici e i beta a essi relativi. A differenza dell’arbi-
trage pricing model, i modelli multifattoriali cercano di identificare i fattori
macroeconomici che generano il rischio-mercato.

Modelli di r egr
regr essione
egressione
I vari modelli fin qui descritti partono dalla intuizione alla base del concetto di
rischio-mercato e tentano poi di caratterizzarlo con maggiore precisione at-
traverso un modello economico i cui parametri sono ottenuti analizzando dati
storici. Esiste invece una classe di modelli che parte dai dati storici dei rendi-
menti per risalire a un modello di rischio e rendimento. In particolare, tali
modelli cercano di “spiegare” le differenze nei rendimenti nel corso di lunghi
periodi di tempo utilizzando caratteristiche specifiche dell’azienda, quali la
dimensione e i multipli del prezzo azionario. Si tratta sostanzialmente di mo-
delli di regressione, dove le caratteristiche aziendali che meglio spiegano le
differenze nei rendimenti storici possono essere interpretate come un’appros-
simazione del rischio-mercato.

Cap3.p65 68 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 69

Fama e French, in un importante studio pubblicato all’inizio degli anni ’90,


notarono che i rendimenti effettivi di un’azienda nel corso di lunghi periodi di
tempo sono altamente correlati al rapporto fra valore di mercato e valore con-
tabile del capitale netto (P/BV = Price/Book Value of Equity per share) e alla capi-
talizzazione di mercato (MV = Market Value of Equity). Secondo gli autori, tali
variabili possono essere utilizzate come approssimazioni per il rischio-merca-
to, e quindi i coefficienti ottenuti dalla regressione possono essere utilizzati
per stimare il rendimento atteso di un investimento. Per esempio, Fama e French
riportano il seguente risultato per la regressione di rendimenti mensili di titoli
azionari della Borsa di New York lungo il periodo dal 1963 al 1990:

Rt = 1,77% – 0,11 ln (MV) + 0,35 ln (BV/MV)

dove
MV = Valore di mercato del capitale netto (in milioni di dollari)
BV/MV = book-to-market-ratio = valore contabile del capitale netto/valo-
re di mercato del capitale netto

Per ogni azienda, è sufficiente inserire nella regressione il valore di mercato


del capitale netto e l’inverso del rapporto P/BV (ossia il book-to-market-ratio)
per ottenere una stima del rendimento atteso mensile.

Ricapitolando, i modelli di regressione utilizzano alcune caratteristiche delle


aziende come approssimazioni per il rischio-mercato. Le caratteristiche azien-
dali rilevanti vengono identificate osservando la correlazione fra differenze
nei rendimenti di determinati investimenti su lunghi periodi di tempo e carat-
teristiche di tali investimenti che possano essere osservate.

Analisi compar
comparataata dei modelli
di rischio e r endimento
rendimento
I modelli sviluppati nel corso di questo capitolo hanno alcuni aspetti in comu-
ne. Tutti partono infatti dall’assunto che soltanto il rischio-mercato viene re-
munerato, ed esprimono il rendimento atteso in funzione della misura di tale
rischio. Il CAPM ha bisogno di un maggior numero di ipotesi ma risulta essere
il modello più semplice, dove è un unico fattore a determinare il rischio e quindi
a dover essere stimato. L’APM si basa su un minor numero di ipotesi per giun-
gere però a un modello più complicato, almeno in termini dei parametri che
devono essere stimati. Il CAPM può essere considerato un caso speciale del-
l’APM con un unico fattore perfettamente misurato dall’indice di mercato. In
generale, il CAPM ha il vantaggio di essere un modello più semplice da utiliz-
zare; ma l’APM si rivela superiore nel caso in cui l’azienda sia sensibile a fat-
tori economici non adeguatamente rappresentati dall’indice di mercato. Per
esempio, il CAPM tende a sottostimare il beta delle compagnie petrolifere, la

Cap3.p65 69 07/05/2001, 20.16


70 Capitolo 3

cui rischiosità è principalmente determinata dalle oscillazioni dei prezzi del


petrolio. In tali casi, utilizzare l’APM, con uno dei fattori che catturi le oscilla-
zioni dei prezzi del petrolio e di altre materie prime, porterà a una stima più
precisa ed affidabile del rischio e del rendimento atteso.5
Il problema fondamentale dell’APM è la sua incapacità di identificare esatta-
mente i fattori economici che determinano il rendimento atteso. Se da una parte
ciò conferisce al modello flessibilità e riduce i problemi di carattere statistico nei
test empirici, dall’altra rende difficile capire cosa significhino i coefficienti beta per
un’azienda e in che modo essi varino via via che l’azienda si trasforma.
È il beta una buona approssimazione per il rischio? È effettivamente corre-
lato ai rendimenti attesi? Negli ultimi vent’anni si è lavorato molto per trovare
delle risposte a queste domande. I primi test empirici del CAPM indicarono
una correlazione positiva fra beta e rendimenti realizzati, sebbene altre misure
di rischio (come la varianza) sembrassero comunque continuare a giocare un
ruolo significativo. Ciò fu attribuito a problemi di carattere econometrico. Nel
1977, Roll, in una celebre critica sulla testabilità del modello, sostenne che
non essendo possibile osservare il “vero” portafoglio di mercato, non è possi-
bile testare il CAPM, nel senso che tutti i test del CAPM sono in realtà un test
congiunto di una duplice ipotesi: 1) il CAPM funziona; 2) il portafoglio di
mercato utilizzato nel test è una valida approssimazione del “vero” portafo-
glio di mercato. In altre parole, secondo Roll, un test empirico del CAPM può
solo dimostrare se il modello funziona dato l’indice di mercato scelto come
approssimazione per il “vero”portafoglio di mercato. Con la stessa logica, quan-
do il test del CAPM fallisce, rimane aperta la possibilità che il problema non
sia nel modello ma nel portafoglio scelto come approssimazione del “vero”
portafoglio di mercato. Essendo impossibile testare il CAPM, Roll concluse
che non esistono basi empiriche per giustificarne l’utilizzo.
Un altro durissimo attacco al CAPM venne da Fama e French (1992), i qua-
li, dopo aver esaminato la relazione fra beta e rendimenti azionari fra il 1963 e
il 1990, conclusero che la correlazione ipotizzata dal CAPM non è supportata
dall’evidenza empirica. Questi risultati sono stati successivamente contestati
su due fronti. Amihud, Christensen e Mendelson, utilizzando gli stessi dati di
Fama e French, ma diverse tecniche econometriche, hanno concluso che inve-
ce esiste una correlazione positiva fra beta e rendimenti azionari. Tale relazio-
ne è sostanzialmente riscontrata anche da Chan e Lakonishok (che esamina-
no il periodo 1926-1991), eccetto per il periodo successivo al 1982, forse a
causa della diffusione dell’indexing (indicizzazione),6 che potrebbe aver spin-

5 Weston e Coperland hanno utilizzato entrambi i modelli per misurare il rendimento


atteso per le compagnie petrolifere nel 1989; i valori da essi trovati sono stati 14,4% con il
CAPM e 19,1% con l’APM.
6 Negli ultimi venti anni è cresciuto notevolmente il numero di fondi che sostanzialmen-
te replicano un indice di mercato (quale appunto l’S&P 500). Di qui il termine indexing
[N.d.C.].

Cap3.p65 70 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 71

to le azioni delle grandi aziende che compongono l’indice Standard & Poor
500, caratterizzate da un beta abbastanza basso, ad avere rendimenti superiori
alle azioni delle aziende più piccole, tipicamente caratterizzate da un beta più
elevato. Un altro risultato interessante in Chan e Lakonishok è che i beta sem-
brano essere un’ottima misura di rischio in condizioni di mercato estreme:
infatti, nei 10 mesi “neri” del mercato azionario fra il 1926 e il 1991, le aziende
più rischiose (il decile con il beta più elevato) hanno avuto una performance di
gran lunga inferiore a quella del mercato (Figura 3.4)
I primi test dell’APM e dei modelli multifattoriali hanno avuto risultati molto
promettenti. Ma per valutarli correttamente è importante operare una distin-
zione fra la capacità di questi modelli di spiegare le differenze nei rendimenti
effettivamente realizzati in passato e la loro capacità di predire i rendimenti
attesi in futuro. È infatti ovvio che questi modelli alternativi siano superiori al
CAPM in termini della capacità di spiegare le differenze nei rendimenti storici,
dal momento che essi, a differenza del CAPM, non si limitano a considerare
un solo fattore. L’utilizzo di più fattori diventa però un problema quando si
tratta di stimare i rendimenti attesi in futuro, perché bisogna calcolare il beta e
il premio di rischio per ciascuno di questi fattori. Data la volatilità nel premio
di rischio e nel beta associati a ciascun fattore, l’errore di stima può eccedere i
benefici ottenibili passando dal CAPM a modelli più complessi. I modelli di
regressione proposti come alternativa sono ancora più esposti a questo pro-
blema, dal momento che le variabili che sembrano essere una valida approssi-
mazione del rischio-mercato in un determinato periodo (come la dimensione
dell’azienda) possono non non esserlo più in un altro.
In conclusione, possiamo affermare che il CAPM è sopravvissuto come
modello base per la stima del rischio e del rendimento atteso, sia per la sua
semplicità ed immediatezza, sia perché modelli alternativi non hanno dimo-
strato di poter fornire misure più precise del rendimento atteso. Riteniamo
quindi che un uso oculato del CAPM, che non dia cioè eccessivo rilievo ai dati

Figura 3.4 Rendimenti e beta: i dieci mesi peggiori fra il 1926 e il 1991

Cap3.p65 71 07/05/2001, 20.16


72 Capitolo 3

storici e tenga invece conto delle indicazioni emerse nel contesto di modelli
alternativi al CAPM,7 rappresenti ancora oggi il modo migliore per misurare il
rischio in finanza aziendale.

Modelli per il rischio di insolv enza


insolvenza
Quando un investitore presta dei fondi a un individuo o a un’azienda, corre il
rischio di non ricevere il rimborso del prestito o il pagamento degli interessi
maturati. Questa possibilità di inadempienza è chiamata “rischio di insolven-
za” (default risk). In generale, i soggetti con maggiore (minore) rischio di insol-
venza debbono fronteggiare maggiori (minori) tassi di interesse quando ri-
chiedono un prestito. In questo paragrafo esamineremo come misurare il ri-
schio di insolvenza e la sua relazione con i tassi di interesse sul debito.
Nei modelli di rischio e rendimento precedentemente analizzati il rendi-
mento atteso era funzione del rischio-mercato, ma non del rischio specifico d’im-
presa, eliminato dalla possibilità di diversificazione. I modelli di stima del ri-
schio d’insolvenza esaminano invece proprio gli effetti del rischio specifico d’im-
presa (quale il rischio di insolvenza) sui rendimenti attesi. Infatti, la diversifica-
zione non elimina il rischio specifico d’impresa quando si tratta di titoli (quali
i titoli di debito) la cui opportunità di apprezzamento a seguito di eventi azien-
dali positivi è assai limitata rispetto alla potenziale perdita di valore a seguito
di eventi negativi. Per esempio, i titoli obbligazionari societari traggono limi-
tati benefici da eventi aziendali che aumentano il valore dell’azienda e la ren-
dono meno soggetta al rischio di insolvenza, mentre sono pesantemente esposti
al rischio di eventi aziendali che diminuiscono il valore dell’azienda e aumen-
tano la probabilità di insolvenza. Di conseguenza, il rendimento atteso di un
titolo obbligazionario societario tende a riflettere il rischio d’insolvenza speci-
fico della società emittente.

Un modello generale per il rischio d’insolv


generale enza
d’insolvenza
Il rischio d’insolvenza di un’azienda è funzione di due variabili: la capacità
dell’azienda di generare flussi di cassa tramite l’attività operativa, e i suoi im-
pegni finanziari, fra cui il pagamento di interessi e quota capitale sui debiti.8

7 Ad esempio, Barra, un’importante agenzia che fornisce stime dei coefficienti beta, mo-
difica i coefficienti beta ottenuti dalle regressioni di dati storici in modo tale da riflettere
alcune caratteristiche fondamentali delle aziende (come la dimensione o il tasso di divi-
dendo). Si tratta proprio di quelle caratteristiche che i modelli di regressione precedente-
mente descritti hanno identificato come buone approssimazioni per il rischio-mercato.
8 Per impegni finanziari intendiamo ogni pagamento che l’azienda si è contrattualmente
impegnata a effettuare, come appunto il pagamento di interessi e quota capitale sui debiti
contratti. Tale definizione esclude invece flussi di cassa discrezionali, come il pagamento
di dividendi o gli esborsi richiesti da nuovi investimenti, che possono essere rinviati senza
conseguenze legali, anche se con possibili conseguenze economiche.

Cap3.p65 72 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 73

A parità di condizioni, infatti:


■ Aziende che generano flussi di cassa elevati rispetto ai loro impegni finan-
ziari hanno un rischio d’inadempienza minore. Perciò, aziende con un am-
montare significativo di investimenti in essere, e quindi già in grado di ge-
nerare elevati flussi di cassa, avranno un minore rischio d’inadempienza.
■ Maggiore è la stabilità dei flussi di cassa, minore è il rischio d’inadempien-
za dell’azienda. Le aziende che operano in settori dall’andamento più pre-
vedibile e stabile avranno minore rischio di inadempienza rispetto a quelle
che operano in settori più volatili e/o soggetti a fluttuazioni cicliche.
La maggior parte dei modelli di stima del rischio d’insolvenza misura la di-
mensione dei flussi di cassa rispetto agli impegni finanziari attraverso una
serie di rapporti finanziari e cerca di tenere conto della variabilità dei flussi di
cassa inserendo una variabile che rifletta il settore industriale di appartenenza.

Rating del debito e tassi di inter esse


interesse
La più utilizzata misura del rischio d’insolvenza di un’azienda è il rating del
debito, vale a dire un giudizio complessivo di qualità sulle obbligazioni della
società emittente generalmente espresso da un’agenzia di rating indipenden-
te, che utilizza informazione sia pubblica che privata.

Il pr ocesso di r
processo ating
rating
Il processo di rating di un’obbligazione comincia quando la società emittente
si rivolge a un’agenzia di rating. L’agenzia raccoglie informazioni da fonti pub-
blicamente disponibili (bilanci ecc.) e dalla stessa società emittente, e giunge a
determinare un certo rating. Se la società non accetta tale valutazione, ha la
possibilità di presentare ulteriori informazioni. Questo processo viene rappre-
sentato in modo schematico per un’agenzia di rating, la Standard & Poor’s
(S&P), nella Figura 3.5.

Descrizione del r ating del debito


rating
Le due maggiori agenzie di rating delle obbligazioni societarie sono la Stan-
dard & Poor’s (S&P) e la Moody’s. La Tabella 3.2 descrive le sigle con cui le
due agenzie sintetizzano il rating assegnato a titoli obbligazionari di diversa
qualità. Nei mercati finanziari, obbligazioni con un rating di BBB o superiore
(nella classificazione della Standard & Poor’s) sono considerate di “grado in-
vestimento” (investment grade).

Determinanti del r ating delle obbligazioni


rating
Il rating assegnato dalle agenzie specializzate si basa principalmente su infor-
mazione pubblicamente disponibile, sebbene anche l’informazione privatata-
mente fornita dalle àsocietà può avere una certa influenza. In particolare, il

Cap3.p65 73 07/05/2001, 20.16


74 Capitolo 3

Figura 3.5 Il processo di rating della Standard & Poor’s

rating delle obbligazioni di una società dipende in gran parte dagli indici fi-
nanziari, che misurano la capacità della società di far fronte ai debiti e di gene-
rare flussi di cassa stabili e prevedibili. Esiste una moltitudine di indici finan-
ziari. La Tabella 3.3 sintetizza alcuni degli indici principali per la misurazione
del rischio d’insolvenza.
Esiste una stretta correlazione fra il rating che una società riceve e la sua
performance in termini di questi indici finanziari. La Tabella 3.4 fornisce un
riassunto della mediana di tali indici dal 1993 al 1995 per diverse classi di
rating della S&P per imprese industriali. Si noti che l’indice lordo di copertura
degli interessi e l’indice di copertura degli interessi EBITDA sono espressi come
multipli degli interessi passivi, mentre gli altri indici sono espressi in percentuale.

Cap3.p65 74 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 75

Tabella 3.2 Indici del rating delle obbligazioni


Standard & Poor’s Moody’s
AAA È il rating più elevato che possa essere assegnato. Aaa Rating assegnato al debito di qualità mag-
Indica una elevata capacità di ripagare il debito giore e con un livello minimo di rischio
da parte dell’emittente
AA La capacità di pagare è alta e solo leggermente Aa Rating assegnato a debito di alta qualità, ma
inferiore rispetto ai titoli classificati con AAA considerato inferiore rispetto ad Aaa perché
ha un minore margine di protezione, o per
via di altri elementi di rischio di lungo ter-
mine
A Indica solida capacità di pagare gli interessi e A Rating assegnato a obbligazioni che hanno
rimborsare il capitale. Viene assegnato a società le caratteristiche di un buon investimento ma
emittenti la cui solvibilità potrebbe risentire di possono essere soggette a rischio in futuro.
particolari circostanze avverse o di una congiun-
tura sfavorevole
BBB Indica adeguata capacità di pagare gli interessi Baa Rating assegnato a obbligazioni con un gra-
e rimborsare il capitale. Viene assegnato a socie- do di protezione medio ed una adeguata ca-
tà emittenti la cui solvibilità potrebbe peggiorare pacità di pagamento degli interessi e rimbor-
rapidamente di fronte a particolari circostanze so del capitale
avverse o a una congiuntura sfavorevole.
BB,B Debito considerato prevalentemente speculativo; Ba Rating assegnato a debito con un certo ri-
CCC, BB è il debito meno speculativo, e CC il più B schio speculativo.
CC speculativo In genere assegnato a investimenti non allet-
tanti e con bassa probabilità di pagamento
D Debito in stato di insolvenza; i pagamenti Caa Bassa collocazione, forse in stato di insol-
per interessi e/o il rimborso del capitale sono venza
in arretrato Ca Molto speculativo; spesso in stato di insol-
venza
C Altamente speculativo; in stato di insolvenza

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i principali
indici finanziari per classi di rating negli Stati Uniti per il periodo più recente per il quale i
dati sono disponibili.

Non sorprende che ad avere i rating migliori siano aziende con capacità di
generare redditi e flussi di cassa superiori agli impegni finanziari, con maggio-
re redditività e con bassi indici di indebitamento. Cionondimeno vi saranno
casi di aziende il cui rating non sembra coerente con gli indici finanziari: que-
sto accade perché nella valutazione complessiva data dalle agenzie di rating
giocano un ruolo anche elementi soggettivi. Perciò, un’azienda la cui perfor-
mance in termini di indici finanziari è stata negativa ma per la quale si preve-
de un significativo miglioramento nell’immediato futuro, riceverà un rating
superiore a quello che deriverebbe da una meccanica applicazione degli indici
finanziari. Per la maggior parte delle aziende, tuttavia, gli indici finanziari do-
vrebbero fornire una base ragionevole per stimare il rating.

Cap3.p65 75 07/05/2001, 20.16


76 Capitolo 3

Tabella 3.3 Indici finanziari utilizzati per misurare il rischio di insolvenza


Ratio Descrizione

Indice di copertura degli oneri finanziari al lordo delle (Reddito dalle operazioni permanenti al lordo delle
imposte basato sul reddito operativo imposte + Interessi passivi)/interessi passivi lordi
Indice di copertura degli oneri finanziari al lordo delle EBITDA/Interessi passivi lordi
imposte basato sull’EBITDA
Rapporto fondi generati dalle operazioni/Debito Totale (Utile netto dalle operazioni permanenti + Ammor-
tamento)/Debito Totale
Flussi di cassa operativi disponibili/Debito Totale (Flussi di cassa operativi – Spese in conto capitale –
Variazioni nel capitale circolante)/Debito Totale
Rendimento sul capitale permanente al lordo delle (Reddito dalle operazioni permanenti al lordo delle
imposte imposte + Interessi passivi )/(Livello medio nel cor-
so dell’anno di debito a breve termine, debito a me-
dio termine, capitale netto e partecipazioni di mi-
noranza)
Reddito Operativo/Fatturato (Fatturato – Costo del Venduto – Spese di vendita –
Spese Amministrative – Spese di Ricera & Svilup-
po)/Fatturato
Rapporto Debito a Lungo Termine/Capitale Debito a Lungo Termine/(Debito a Lungo Termine +
Capitale Netto)
Debito Totale/Capitalizzazione Debito Totale/(Debito Totale + Capitale Netto)

Tabella 3.4 Indici finanziari per classi di rating obbligazionario (1993-1995)


AAA AA A BBB BR B CCC

Indice di copertura degli oneri 13,50 9,.67 5,76 3,94 2,14 1,51 0,96
finanziari al lordo delle imposte
basato sul reddito operativo
Indice di copertura degli oneri 17,08 12,80 8,18 6,00 3,.49 2,45 1,51
finanziari al lordo delle imposte
basato sull’EBITDA
Rapporto fondi generati dalle 98,2% 69,1% 45,5% 33,3% 17,.7% 11,.2% 6,7%
operazioni/Debito Totale
Flussi di cassa operativi 60,0% 26,8% 20,9% 7,2% 1,4% 1,2% 0,96%
disponibili/Debito Totale
Rendimento sul capitale 29,3% 21,4% 19,1% 13,9% 12,0% 7,6% 5,2%
permanente al lordo
delle imposte
Reddito Operativo/Fatturato 22,6% 17,8% 15,7% 13,5% 13,5% 12,5% 12,2%
Rapporto Debito a Lungo 13,3% 21,1% 31,6% 42,7% 55,6% 62,2% 69,5%
Termine/Capitale
Debito Totale/Capitalizzazione 25,9% 33,6% 39,7% 47,8% 59,4% 67,4% 61,1%

Cap3.p65 76 07/05/2001, 20.16


La nozione di rischio 77

Rating e tassi di inter esse


interesse
Il rendimento di un’obbligazione societaria (vale a dire il tasso di interesse
richiesto dall’investitore che sottoscrive l’obbligazione) dovrebbe essere una
funzione del rischio d’inadempienza della società, misurato tramite il rating.
Se il rating rappresenta una valida stima del rischio d’insolvenza, alle obbliga-
zioni con un rating più elevato dovrebbero essere associati minori tassi di in-
teresse rispetto alle obbligazioni con un rating più scadente. In altri termini, il
diverso rischio di insolvenza delle società emittenti si rifletterà in diversi tassi
di interesse sulle obbligazioni.
Questo differenziale per il diverso rischio d’insolvenza (default spread) va-
rierà a seconda della scadenza dell’obbligazione, e può anche cambiare da
periodo a periodo, in base alle condizioni economiche.

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i default spread per
classi di rating nel periodo più recente.

In pratica
Quando il r ating non è disponibile
rating
Dal punto di vista di un analista, avere il rating di un’azienda costituisce sicu-
ramente una informazione preziosa, poichè il rating rappresenta una stima
imparziale e pubblicamente disponibile del rischio d’insolvenza dell’azienda.
Per di più, come vedremo successivamente, il default spread può essere utiliz-
zato per stimare il costo del debito per un’azienda, anche quando essa non
abbia obbligazioni in circolazione.
Tuttavia, molte società, prevalentemente piccole aziende ed imprese non
quotate, scelgono di non richiedere un rating. Inoltre, malgrado l’espansione
delle agenzie di rating, vi sono ancora alcuni mercati in cui le società non
vengono classificate in base al rischio dell’insolvenza. Quando il rating non è
disponibile, alcune soluzioni alternative per ottenere una stima del costo del
debito sono le seguenti:
1. Stimare un rating “sintetico”. In mercati come gli Stati Uniti, dove a migliaia
di aziende viene assegnato un rating e l’informazione finanziaria su tali
aziende è pienamente disponibile (come dimostra la Tabella 3.4), l’infor-
mazione finanziaria disponibile per un’azienda può essere utilizzata per
stimare un “rating” dell’azienda. Per esempio, supponiamo di avere
un’azienda non quotata con un indice lordo di copertura degli interessi del
6,15. In base ai dati presentati nella Tabella 3.4, tale azienda dovrebbe avere
un rating contrassegnato dalla sigla A. Questo approccio può essere esteso
per tenere conto di numerosi indici e delle differenze in termini di capita-
lizzazione di mercato e volatilità dei profitti.

Cap3.p65 77 07/05/2001, 20.16


78 Capitolo 3

2. Dati storici. Molte aziende senza rating prendono in prestito fondi dalle
banche e dalle altre istituzioni finanziarie. Analizzando i prestiti più recenti
ottenuti dall’azienda, ci si può fare un’idea del default spread implicito in
tali prestiti e utilizzarlo poi per giungere a una stima del costo del debito.
In sostanza, è importante tenere a mente che il rating è soltanto un mezzo
volto a un fine, e il fine è la stima del costo del debito.

Riepilogo
La nozione che il rischio viene assunto in vista di un rendimento appropriato
è chiaramente condivisibile. Tuttavia i modelli per la stima del rischio e del
rendimento atteso sono ancora oggetto di dibattito. Per gli investimenti in ti-
toli azionari, i modelli per la valutazione di rischio e rendimento misurano il
rischio in termini di rischio non diversificabile: il capital asset pricing model lo
misura tramite un unico fattore, “il mercato”, mentre l’arbitrage pricing mo-
del e i modelli multifattoriali utilizzano diversi fattori. Per gli investimenti in
titoli obbligazionari, per i quali la possibilità di perdite di valore è ben superio-
re alle opportunità di apprezzamento, per ottenere appropriate stime dei ren-
dimenti attesi si utilizzano modelli di stima del rischio d’insolvenza.
Questo capitolo ha posto le fondamenta per comprendere l’intuizione e le ipo-
tesi alla base dei modelli di rischio e rendimento. Nel prossimo capitolo affronte-
remo questioni di carattere pratico relative a come stimare e utilizzare questi mo-
delli, e a come le decisioni prese dalle aziende si riflettono sui parametri di rischio.

Esercizi
Esercizi
1. Supponiamo di avere tre titoli (A, B, e C) con i
seguenti parametri: Anno Rendimento annuale

1992 12,5%
Parametri A B C 1991 10,3%
1990 45,8%
Rendimento atteso 12% 10% 8%
1989 –30,5%
Scarto quadratico medio 30% 40% 35%
198 11,4%
1987 10,2%
Quale preferiresti, e perché? 1986 –2,2%
2. Considera i seguenti dati storici sul rendimen-
to dell’azione X negli ultimi dieci anni : a. Calcola il rendimento annuale medio e la scar-
to quadratico medio.
Anno Rendimento annuale b. Se la società non ha pagato dividendi negli
ultimi dieci anni, e il prezzo azionario era $
1995 42,1%
1994 –10,9% 25,6 alla fine del 1985, quale sarà il prezzo
1993 20,4% azionario alla fine del 1995?

Cap3.p65 78 07/05/2001, 20.16


La nozione del rischio 79

c. Quale sarà il tasso di crescita annuale com- b. Per costruire un portafoglio con uno scarto
posto del prezzo azionario in questi 10 anni? quadratico medio pari al 20%, quali dovreb-
È uguale al rendimento medio annuale cal- bero essere i pesi di A e B nel portafoglio?
colato nel punto (a)? c. Quale sarebbe il rendimento atteso di tale
3. Supponi di voler formare un portafoglio usan- portafoglio?
do due titoli con le seguenti caratteristiche: 6. Tre titoli hanno i seguenti parametri:

Parametri A B Parametri A B C
Rendimento atteso 12% 18% Rendimento atteso 15% 20% 35%
Scarto quadratico medio 25% 40% Scarto quadratico medio 20% 40% 70%
Coefficiente di correlazione Coefficiente di correlazione
tra A e B 0,8 tra A e B 0,5

a. Calcola il rendimento atteso e la scarto Parametri A B C


quadratico medio di un portafoglio formato
investendo un uguale amontare in A e in B. Coefficiente di correlazione
tra A e C 0,7
b. Sceglieresti di investire in tale portafoglio Coefficiente di correlazione
oppure in un titolo singolo (A o B)? Perché? tra B e C 0,9
4. Supponiamo di avere due titoli con i seguenti
parametri: Se investi il 30% del capitale in A, il 40% in B e
il 30% in C, quali saranno il rendimento atteso
Parametri A B e lo scarto quadratico medio di tale portafoglio?

Rendimento atteso 12% 15% 7. Quale sarà il premio atteso per il rischio di un
Scarto quadratico medio 25% 45% titolo azionario con un beta di 1,5 se il premio
Coefficiente di correlazione atteso per il rischio-mercato è del 10%?
tra A e B –1,0 8. Quale sarà il rendimento atteso di un titolo
azionario con un beta pari a 0,9, se storicamente
a. In che modo puoi costruire un portafoglio che il rendimento medio del mercato azionario è
sia privo di rischio? stato del 12,5%, e i Buoni del Tesoro hanno avu-
b. Quale sarà il rendimento atteso di tale porta- to un rendimento medio del 5%?
foglio? 9. Gli analisti stimano un rendimento atteso del
c. Se la tua banca ti permettesse di prendere a mercato azionario per l’anno prossimo supe-
prestito all’8% e concedere prestiti allo stes- riore del 2,5% al rendimento medio storico. Di
so tasso, in che modo potresti disegnare una quanto aumenterebbe il rendimento atteso del
strategia di investimento che garantisca pro- titolo azionario di cui alla domanda prece-
fitti sicuri (meccanismo di arbitraggio)? dente?
5. Supponiamo di avere due titoli con i seguenti 10. Un titolo azionario ha un rendimento atteso del
parametri: 15%, e il mercato azionario ha un rendimento
atteso del 12%. Qual è il beta di questo titolo
Parametri A B se il rendimento di un titolo privo di rischio è
del 5%?
Rendimento atteso 15% 5%
Scarto quadratico medio 40% 0% 11. Il CAPM viene spesso utilizzato per valutare la
performance dei gestori di fondi di investimen-
a. Quale sarà il coefficiente di correlazione tra to. Supponiamo che uno di questi fondi abbia
A e B? un rendimento annuale medio del 14% per die-

Cap3.p65 79 07/05/2001, 20.16


80 Capitolo 3

ci anni e un beta pari a 1,4. Nello stesso perio- c. Ti sorprenderebbe scoprire che quando il ren-
do, l’indice S&P 500 ha reso in media il 12% dimento annuale medio è calcolato al netto
all’anno, e il rendimento dei Buoni del Tesoro è di spese e commissioni (che vanno in genere
stato del 5%. Il gestore di questo fondo proba- dall’1% al 3% del patrimonio gestito), risulta
bilmente si vanterebbe di aver battuto l’indice che circa l’80% dei gestori di portafoglio ha
di mercato del 2% all’anno. Ammesso che il avuto una performance inferiore a quella del-
CAPM rappresenti correttamente la relazione l’indice S&P 500?
tra rischio e rendimento, è vero che la perfor- 15. Supponiamo di essere in presenza di un mo-
mance del fondo è stata superiore a quella del dello APT con quattro fattori, e di averne sti-
mercato? mato i parametri per una particolare società:
12. Supponiamo che il rendimento atteso del mer-
cato sia il 12%, e il rendimento di un titolo pri- Rf 5%
vo di rischio sia il 5%. Costruiamo un portafo- b1 1,2 E(R1) 6,5%
glio con le seguenti caratteristiche: b2 0,5 E(R2) 4,3%
b3 0,8 E(R3) 8,0%
A B C b4 1,6 E(R4) 7,5%

Coefficiente beta 1,2 0,9 1,8 a. Quale sarà il rendimento atteso di questo ti-
Peso nel portafoglio 0,4 0,3 0,3 tolo azionario?
b. Se i parametri effettivamente realizzati risul-
Qual è il beta di tale portafoglio? E il rendi- teranno invece essere
mento atteso? (R1) = 7,2%
13. Una delle più semplici strategie di allocazione (R2) = 5,2%
del proprio capitale è investire solamente in ti- (R3) = 6,3%
toli privi di rischio come i Buoni del Tesoro e in (R4) = 10%
un fondo legato all’indice S&P 500 (e che per- quale sarà la “sorpresa” in termini di rendi-
ciò dovrebbe avere un beta di 1,0). Supponia- mento azionario?
mo che il rendimento atteso dell’indice S&P 500
16. Supponi di voler utilizzare l’equazione stimata
sia del 12%, e che il rendimento atteso dei Buo-
da Fama e French:
ni del Tesoro sia del 5%.
R t = 1,77% – 0,11 ln(MV) + 0,35 ln(BV/MV)
a. Per avere un rendimento atteso del 10% al-
nelle tue decisioni di portafoglio. A tal fine, di-
l’anno sul tuo investimento, in percentuale
vidi tutti i titoli in due gruppi sulla base del rap-
quanto dovresti investire nell’indice S&P 500
porto BV/MV. Il primo gruppo ha un BV/MV di
e quanto nei Buoni del Tesoro?
0,3, il secondo un BV/MV di 1,2. Che differen-
b. Quale sarà il beta del portafoglio così costruito? za ti aspetti nel rendimento medio mensile di
14. Tipicamente un fondo comune di investimento questi due gruppi di titoli?
azionario ben diversificato investe in centinaia 17. Supponiamo che le assunzioni alla base del
di azioni perché per legge esso non può inve- CAPM siano valide. Valuta se le seguenti affer-
stire più del 5% del suo patrimonio complessi- mazioni sono vere o false:
vo in un solo titolo.
a. Imprese con varianza più alta avranno un beta
a. Quale pensi che sarà il beta di un tale fondo? maggiore.
b. Quale pensi che sarà il rendimento annuale b. Un portafoglio è efficiente se non ha rischio
medio, al lordo di spese e commissioni, per non sistematico.
un fondo comune di investimento, se l’indice
c. Un’impresa il cui andamento è strettamente
S&P 500 ha registrato storicamente un ren-
correlato a quello del mercato avrà un beta
dimento annuale medio del 12%?

Cap3.p65 80 07/05/2001, 20.16


La nozione del rischio 81

maggiore di una il cui andamento è meno c. Quali sarebbero rendimento atteso e varianza
correlato. di un portafoglio composto in pari proporzioni
d. Se aumenta la varianza dell’intero mercato, i da oro e titoli azionari?
beta di tutte le imprese diminuiscono. d. Hai appena appreso che la GPEC (un cartello
e. Un’impresa ben gestita avrà un beta più bas- di paesi produttori di oro) ha intenzione di
so rispetto a una gestita male. legare la quantità di oro prodotta all’anda-
mento dei prezzi azionari negli Stati Uniti (più
f. Il portafoglio di mercato è efficiente e perciò
esattamente, meno oro verrà prodotto quan-
contiene soltanto i titoli migliori sul mercato.
do i prezzi azionari sono elevati, e viceversa).
c. Un investitore propenso al rischio deterrà le Quali effetti avrà una tale politica sul tuo por-
azioni più rischiose sul mercato, mentre un tafoglio? Perché?
investitore avverso al rischio deterrà quelle più
19. Supponiamo che la varianza media del rendi-
sicure.
mento dei singoli titoli sia 50 e la covarianza
18. Assumi che esistano soltanto due beni, l’oro e i media sia 10. Quale sarà la varianza attesa di
titoli azionari. Stai considerando di investire il un portafoglio di 5, 10, 20, 50 e 100 titoli? Quan-
tuo patrimonio in una sola delle due attività, ti titoli è necessario tenere affinché il rischio di
oppura in una combinazione di entrambe. Così un portafoglio sia soltanto 10% più del mi-
raccogli i seguenti dati sui rendimenti delle due nimo?
attività negli ultimi sei anni:
20. Il CAPM è stato criticato per diverse ragioni.
Elenca le critiche che sono state mosse e valuta
Oro Mercato azionario se esse sono più o meno fondate.
Rendimento medio 8% 20% 21. Confronta l’arbitrage pricing model ed il capi-
Deviazione standard 25% 22% tal asset pricing model.
Correlazione –0,4
a. Quali sono i punti di contatto fra i due mo-
delli? Quali sono le differenze?
a. Se fossi costretto a scegliere solo uno dei due
investimenti, quale sceglieresti? b. Se ti trovassi a dover calcolare il rendimento
atteso di un’azione usando il CAPM e l’APM,
b. Secondo un tuo amico, la tua scelta è sbaglia-
sotto quali condizioni otterresti lo stesso ri-
ta perché non tiene nella dovuta considera-
sultato? Nel caso in cui la tua stima risultasse
zione la possibilità di enormi rendimenti che
in due diversi rendimenti attesi, come spie-
l’investimento in oro offre. In che modo ri-
gheresti la differenza?
sponderesti alle sue critiche?

Live Case Study


Analisi degli azionisti
Obiettivo
Capire chi sono gli investitori medi e marginali nell’azienda. Si tratta di una
questione importante, dal momento che i modelli di rischio e rendimento in
finanza partono dal presupposto che l’investitore marginale sia ben diversi-
ficato.

Cap3.p65 81 07/05/2001, 20.16


82 Capitolo 3

Domande chiave
■ Chi è l’investitore medio nell’azione presa in esame? (È un individuo o o
un fondo pensioni? È soggetto a tasse o è esentasse? È un investore estero
o nazionale? Di che dimensione?)
■ Chi è l’investitore marginale?

Uno schema per l’analisi


1. Chi possiede le azioni di questa società?
■ Quanti sono gli azionisti?
■ Quale percentuale delle azioni è detenuta da investitori istituzionali?
■ È una società quotata anche su mercati esteri? (Se possibile, cerca di otte-
nere la percentuale delle azioni posseduta da investitori esteri)

2. Insider
■ Chi sono gli insider nella società in questione? (Oltre al management e ai
membri del consiglio di amministrazione, vengono considerati insider co-
loro che hanno partecipazioni superiori al 5% nella società.)
■ Che ruolo svolgono nella gestione societaria?
■ Che percentuale delle azioni detengono?
■ Che percentuale delle azioni è complessivamente detenuta dai lavoratori
dipendenti della società (comprese le azioni detenute dai fondi pensione
dei lavoratori dipendenti)?
■ Nel corso dell’ultimo anno, gli insider hanno acquistato o venduto azioni
della società?

Informazione online
La composizione degli azionisti
Per ottenere informazioni sulla percentuale di azioni detenute da insider e
investitori istituzionali, esaminate il report Value Line sulla società; vi trovere-
te una tabella nella quale sono elencate le percentuali detenute da ciascun
gruppo. Informazioni più aggiornate e dettagliate sono disponibili sul sito della
Securities and Exchange Commission (SEC) (www.sec.gov/edgarhp.htm). Dati
riassuntivi sulle partecipazioni azionarie di investitori istituzionali e insider,
nonché dati sull’attività di compravendita degli insider, sono disponibili su
vari siti, fra cui www.dailystocks.com (inserite il ticker e scegliete “Gigablast
research”, poi andate alle sezioni institutional ownership, insider ownership e
insider trades), www.marketguide.com (inserite il ticker e poi andate alle sezioni
insider trading e instit.ownership), http://finance.yahoo.com (inserite il ticker e

Cap3.p65 82 07/05/2001, 20.16


La nozione del rischio 83

poi andate alle sezioni Insider, Profile – Top Institutional holders e Profile – Ow-
nership) e www.morningstar.com (inserite il ticker e poi visitate la sezione Ow-
nership). Ulteriori dettagli su attività e identità di insider e investitori istituzio-
nali negli ultimi due anni sono disponibili sul sito www.insidertrader.com, che,
inoltre, nella rubrica Insider Weekly Review evidenzia le azioni che hanno re-
gistrato di recente una significativa attività degli insider. Nel nostro booksite,
abbiamo raccolto dati sulla partecipazione azionaria media di insider ed inve-
stitori istituzionali per ciascun settore industriale negli Stati Uniti. Infine, per
farvi un’idea di come l’azienda è classificata dal punto di vista della tipologia
di investimento (Value o Growth, Large Cap o Small Cap) andate sul sito della
Morningstar ( www.morningstar.net - quicktake reports). Una volta ottenuta
l’istantanea della società, fate clic su Investment Style.

WWW Italia
Nel nostro booksite, abbiamo raccolto dati sulla partecipazione azionaria me-
dia di investitori istituzionali per le società italiane quotate, che possono così
essere comparati con le medie di settore per gli Stati Uniti. Per maggiori detta-
gli, si può tentare la pagina Web della società cui si è interessati (buona fortu-
na!). Per le società italiane quotate negli Stati Uniti, infine, si possono utilizza-
re le fonti menzionate nel paragrafo precedente.

Cap3.p65 83 07/05/2001, 20.16


4
Misura del rischio
e soglia minima di rendimento:
in pratica
Nel corso del capitolo precedente abbiamo sostenuto che il rendimento
atteso di un investimento deve essere una funzione del “rischio-merca-
to” connesso all’investimento. Nel presente capitolo vedremo come sti-
mare i parametri del rischio-mercato di un progetto di investimento nel-
l’ambito di ciascuno dei modelli presentati nel Capitolo 3 – il capital as-
set pricing model (CAPM), l’arbitrage pricing model (APM) e il modello
multifattoriale. Presenteremo tre approcci alternativi. Il primo consiste
nell’utilizzare dati storici sui prezzi di mercato relativi al progetto in esa-
me o all’impresa che lo sta esaminando. Il secondo consiste nell’utilizza-
re i parametri individuati per altre aziende che svolgono la stessa attività
del progetto preso in esame. Il terzo consiste nell’utilizzare misure con-
tabili (utili o fatturato).
Oltre al rischio di mercato, considereremo anche la stima del tasso
“privo di rischio” (risk-free rate) e del “premio di rischio” (risk premium)
(nel CAPM) o dei diversi “premi di rischio” (nell’APM e nei modelli mul-
tifattoriali), che ci consentiranno di convertire la misura di rischio in un
rendimento atteso (il cosiddetto costo del capitale netto). Presenteremo
poi un metodo per convertire il rischio di insolvenza in una stima del
costo del debito. A questo punto, saremo in grado di mostrare come il
costo del capitale netto e il costo del debito vanno a comporre il costo del
capitale1 , che verrà a rappresentare ciò che abbiamo in precedenza defi-
nito la “soglia minima di rendimento accettabile” di un progetto.

1 Il ruolo cruciale del costo del capitale è evidente nel celebre articolo del 1958 di Modi-
giliani e Miller, inizio dello studio sistematico della finanza aziendale, che si apriva con la
domanda: “What is the cost of capital?” [N.d.C]

Cap4.p65 85 10/05/2001, 10.56


86 Capitolo 4

Cap4.p65 86 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 87

Il costo del capitale netto


Il costo del capitale netto (cost of equity) è il tasso di rendimento richiesto da
coloro che investono nelle azioni di una società. Poiché tutti i modelli di ri-
schio e rendimento descritti nel Capitolo 3 richiedono un tasso privo di ri-
schio e un premio di rischio (nel CAPM) o diversi premi di rischio (nell’APM e
nei modelli multifattoriali), cominceremo col discutere questi input, prima di
dedicarci alla stima dei parametri di rischio.

Tasso privo di rischio2


Abbiamo definito “investimento privo di rischio” un’attività della quale l’in-
vestitore conosce con certezza il rendimenti atteso. Di conseguenza, perché
un investimento sia esente da rischio (abbia cioè un rendimento effettivo pari
al rendimento atteso), devono verificarsi due condizioni:
■ Non deve esserci rischio di insolvenza (default risk), il che in genere implica
che si tratti di un titolo emesso da uno Stato.
■ Non deve esserci incertezza sui tassi di reinvestimento, il che implica che non
ci siano flussi di cassa intermedi.
Il tasso privo di rischio è quindi il tasso di un titolo zero-coupon3 emesso dallo
Stato con lo stesso orizzonte temporale del flusso di cassa analizzato. In teoria
questo implica l’utilizzo di diversi tassi privi di rischio per ciascun flusso di
cassa di un investimento: il tasso di uno zero coupon a un anno per il flusso di
cassa del primo anno, il tasso di uno zero coupon a due anni per il flusso di
cassa del secondo anno, e così via. Tuttavia, in pratica se i flussi di cassa attesi
sono molto incerti, utilizzare tassi privi di rischio che variano nel tempo piut-
tosto che un unico tasso medio ha in genere un impatto minimo in termini di
valore attuale. L’utilizzo del tasso di un titolo di Stato a lungo termine (anche se
non zero-coupon) come tasso privo di rischio per tutti i flussi di cassa di un
investimento di lungo termine rappresenterà una buona approssimazione del
valore reale. Per un investimento di breve termine, sarà invece più appropriato
utilizzare il tasso di un titolo di Stato a breve termine.4

2 Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete un articolo,
scritto dall’autore di questo libro, La stima del tasso privo di rischio (Estimating Risk Free
Rates), nel quale vengono approfonditi i temi discussi in questo paragrafo.
3 Un titolo zero coupon è un titolo che non paga interessi periodici ed è venduto a un

prezzo molto inferiore al suo valore nominale (face value). L’investitore che lo acquista
viene remunerato tramite il graduale apprezzamento del titolo, ricevendo poi il valore
nominale alla scadenza. [N.d.C.]
4 Per gli Stati Uniti, il titolo di Stato a breve termine è il Treasury Bill (3 mesi, 6 mesi o un

anno), il titolo a medio termine è il Treasury Note (da 1 a 10 anni), mentre il titolo a lungo
termine è il Treasury Bond (da 10 anni in su, fino a 30 anni) [N.d.C.].

Cap4.p65 87 10/05/2001, 10.56


88 Capitolo 4

In pratica
Che far
faree in mancanza di un titolo
privo di rischio di insolv enza?
insolvenza?
Nella nostra trattazione sui tassi privi di rischio abbiamo ipotizzato implicita-
mente che lo Stato sia un’entità priva di rischio di insolvenza e che esso emet-
ta obbligazioni a lungo termine. Esistono tuttavia alcune economie nelle quali
una o entrambe queste condizioni possono non verificarsi. In alcuni Paesi
emergenti, lo Stato in passato non è riuscito ad adempiere ai propri obblighi
finanziari e perciò non viene considerato privo di rischio di insolvenza. Esisto-
no inoltre Paesi nei quali lo Stato non emette obbligazioni a lungo termine.
Ci sono tre soluzioni a quest’ultimo problema. La prima è ignorarlo completa-
mente, conducendo l’analisi in una valuta diversa (quale il dollaro statunitense)
nella quale sia possibile ottenere un tasso privo di rischio. La seconda è indivi-
duare il tasso a cui le maggiori e più solide imprese del Paese possono ottenere
prestiti a lungo termine nella valuta locale, e sottrarre da tale tasso un piccolo
premio per il rischio d’insolvenza (0,2-0,3%), ottenendo così una stima indiretta
del tasso privo di rischio a lungo termine. La terza soluzione è possibile soltanto
in presenza di un contratto per consegna differita (forward contract) a lungo termi-
ne nella valuta locale. Dal momento che i prezzi di tali contratti sono governati
dal principio della parità dei tassi di interesse, il tasso di interesse a lungo termine
nella valuta locale può essere derivato dal prezzo del contratto per consegna dif-
ferita e dal tasso di interesse a lungo termine nella valuta estera.

Nel processo di stima di un tasso privo di rischio, vi sono anche altre questioni
che debbono essere risolte. Ad esempio, il tasso privo di rischio deve sempre
essere un tasso su un titolo emesso dal Paese in cui opera l’azienda in esame? Il
tasso privo di rischio deve essere nominale o reale? La risposta più semplice a
questo tipo di domande è che il tasso privo di rischio deve essere definito negli
stessi termini dei flussi di cassa analizzati. In particolare, se l’analisi viene condot-
ta in termini reali, il tasso privo di rischio deve essere un tasso privo di rischio
reale. Se invece l’analisi viene condotta in dollari statunitensi e in termini nominali,
il tasso privo di rischio deve sempre essere un tasso sui titoli di Stato statunitensi,
qualunque sia la locazione geografica dell’azienda che sta valutando l’investi-
mento. A nostro avviso, ciò è vero anche nel caso in cui il Paese in cui opera
l’azienda emetta obbligazioni denominate in dollari statunitensi5, che quindi ri-
flettono un premio per il rischio d’insolvenza. Riteniamo infatti più corretto tene-
re conto del premio per il rischio di insolvenza di un Paese nell’ambito della stima
del premio di rischio piuttosto che del tasso privo di rischio.

5 A titolo esempificativo, il Brasile ha delle obbligazioni a lungo termine denominate in dol-


lari chiamate C-bond e che fruttano tassi maggiori rispetto agli analoghi titoli di stato statuni-
tensi.

Cap4.p65 88 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 89

In pratica
Stima e utilizzo di tassi r eali privi di rischio
reali
I tassi reali privi di rischio non includono un premio per l’inflazione attesa e
devono essere utilizzati se anche i flussi di cassa sono stimati in base a tale
premessa. Come regola pratica, è bene non utilizzare flussi di cassa e tassi di
attualizzazione espressi in termini nominali quando l’inflazione è a due cifre.
Una soluzione è utilizzare un’altra valuta più stabile; ad esempio, in economie
a elevata inflazione, molto spesso le analisi e le valutazioni degli investimenti
vengono compiute in dollari statunitensi. L’altra soluzione è condurre l’intera
analisi (sia i flussi di cassa sia i tassi di attualizzazione) in termini reali.
Ottenere tassi privi di rischio in termini reali è estremamente semplice se
nel mercato vengono negoziati titoli di Stato con una protezione contro l’in-
flazione. Per esempio per gli Stati Uniti si può utilizzare come tasso reale privo
di rischio il tasso sui titoli indicizzati all’andamento dell’inflazione che furono
introdotti nel 1997. Sfortunatamente titoli di questo tipo di solito non esisto-
no laddove sarebbero più utili, cioè in economie a elevata inflazione. In questo
tipo di mercati, il tasso reale privo di rischio deve essere stimato in modo indi-
retto: l’approccio che noi suggeriamo è quello di adoperare come approssima-
zione il tasso atteso di crescita reale a lungo termine dell’economia in questio-
ne. Per gli Stati Uniti questo tasso sarà più o meno del 3%, mentre sarà mag-
giore per altri Paesi come Brasile e Cina.

Domanda di verifica 4.1


Qual è il “giusto” tasso privo di rischio?
Il giusto tasso privo di rischio da utilizzare nel CAPM è:
■ Il tasso sui titoli di Stato a breve termine
■ Il tasso sui titoli di Stato a lungo termine
■ Dipende se l’investimento in esame è a breve o a lungo termine.

Il pr emio di rischio (risk pr


premio emium) 6
premium
Il premio di rischio è un elemento essenziale nel contesto dei modelli di ri-
schio e rendimento (definiti nel loro insieme asset pricing model). Nel para-
grafo seguente esamineremo le determinanti fondamentali del premio di ri-
schio e come stimarlo in pratica.
6 Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete un articolo, (Esti-
mating Risk Premiums), nel quale vengono approfonditi i temi discussi in questo paragrafo.

Cap4.p65 89 10/05/2001, 10.56


90 Capitolo 4

Che cosa dovr ebbe misur


dovrebbe ar
misurar
aree il pr emio di rischio?
premio
Nel CAPM il premio di rischio misura il rendimento addizionale richiesto da-
gli investitori per spostarsi da un investimento privo di rischio a un investi-
mento di media rischiosità. Ne segue che il premio di rischio dovrebbe essere
una funzione di due variabili:
1. L’avversione degli investitori al rischio Maggiore l’avversione al rischio,
maggiore il premio richiesto dagli investitori. Tale avversione al rischio è in
parte congenita, ma dipende anche dalla situazione economica (in un’eco-
nomia in crescita, gli investitori saranno più propensi ad assumere rischi) e
dalla recente performance del mercato (il premio di rischio tende a salire in
seguito a un significativo calo del mercato).
2. La rischiosità dell’investimento rischioso medio Maggiore la rischio-
sità dell’investimento rischioso medio, maggiore il premio richiesto dagli
investitori. Questo dipende dalle caratteristiche delle imprese quotate e dalla
loro capacità di gestire il rischio. Per esempio, il premio dovrebbe essere
inferiore in mercati dove sono quotate solo le aziende più grandi e stabili.
Dal momento che ciascun investitore nel mercato avrà probabilmente una sua
valutazione di un premio accettabile, il premio risulterà essere una media pon-
derata di tali singoli premi, con i pesi proporzionali al patrimonio investito da
ciascun individuo. In parole povere, la valutazione del premio di rischio data
da Warren Buffett, con il suo patrimonio, avrà un peso ben maggiore di quella
data da voi o da me.
Allo stesso modo, nell’APM e nei modelli multifattoriali, i premi per il ri-
schio utilizzati per ciascuno dei fattori saranno pari alla media ponderata dei
premi richiesti dai singoli investitori per ciascuno dei fattori.

Domanda di verifica 4.2


Qual è il tuo pr emio di rischio?
premio
Supponiamo che le azioni siano l’unico investimento rischioso, e che ti ven-
gano offerte due possibilità di investimento:
1. Un titolo privo di rischio (ad esempio un titolo di Stato), dal quale puoi
ricavare un rendimento del 6,7%.
2. Un fondo comune d’investimento sull’intero mercato azionario il cui ren-
dimento è incerto.
Che rendimento atteso richiederesti per investire nel fondo comune piuttosto
che nel titolo privo di rischio?
■ Meno del 6,7%
■ Fra il 6,7% e l’8,7%

Cap4.p65 90 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 91

■ Fra l’8,7 % e il 10,7%


■ Fra il 10,7% e il 12,7%
■ Fra il 12,7% e il 14,7%
■ Più del 14,7%
La risposta a questa domanda dovrebbe fornirti una misura del tuo premio di
rischio. Per esempio se la risposta è l’8,7%, il tuo premio di rischio sarà del 2%.

La stima dei pr emi per il rischio


premi
Nel contesto del CAPM ci sono tre modi per misurare il premio di rischio:
condurre un sondaggio fra i maggiori investitori per capire quali sono le loro
aspettative per il futuro; misurare i premi effettivamente ottenuti in passato
analizzando dati storici; misurare il premio implicito nei dati correnti di mer-
cato. Nell’APM e nei modelli multifattoriali il premio può essere stimato sol-
tanto sulla base di dati storici.

Sondaggi (survey premium)


Dal momento che il premio non è altro che la media ponderata dei premi
richiesti da singoli investitori, può essere stimato a partire dai rendimenti at-
tesi dagli investitori, attraverso un sondaggio degli investitori di maggiore peso,
vale a dire i gestori di fondi. Va però detto che pochissimi nella pratica profes-
sionale utilizzano la stima del premio ottenuta tramite questo meccanismo
(survey premium), per tre motivi:
1. È un metodo che non impone limiti di buon senso; in teoria, ne potrebbe
anche risultare che il rendimento atteso dai gestori di fondi sia inferiore al
tasso privo di rischio.
2. Le stime ottenute sono estremamente volatili; i survey premium possono
variare in modo significativo, in funzione dei recenti movimenti del mercato.
3. Infine, tendono a essere a breve termine, in quanto tali sondaggi indagano
le aspettative di rendimenti nel breve periodo (un anno o meno).

Domanda di verifica 4.3


I pr emi per il rischio variano?
premi
Nella Domanda 4.2 ti è stato chiesto quale premio richiederesti per investire
in un portafoglio azionario, piuttosto che in un’attività non rischiosa. Suppo-
niamo che la stessa domanda ti venga riproposta dopo una settimana in cui il
mercato è sceso del 20%. Il tuo premio sarebbe maggiore, minore o lo stesso?

Cap4.p65 91 10/05/2001, 10.56


92 Capitolo 4

Premi storici
Il metodo più comune per stimare il premio(o i premi) di rischio nei modelli di
rischio e rendimento è l’estrapolazione da dati storici. Nell’APM e nei modelli
multifattoriali, i dati su cui i premi sono basati sono serie temporali di prezzi
su lunghissimi archi temporali. Nel CAPM il premio viene di solito definito
come la differenza fra rendimenti medi azionari e rendimenti medi su titoli
privi di rischio lungo un certo periodo di tempo.
Nella maggior parte dei casi, questo tipo di approccio consta di tre tappe
successive: 1) definire un arco temporale per la stima; 2) calcolare il rendi-
menti medio di un indice azionario e il rendimenti medio di un titolo privo di
rischio nel periodo in questione; 3) calcolare la differenza fra tali rendimenti e
utilizzarla come stima del premio di rischio atteso per il futuro. Così facendo,
ipotizziamo implicitamente che:
1. L’avversione al rischio degli investitori non sia cambiata in modo sistematico
nel tempo (l’avversione al rischio può variare di anno in anno, ma si muove
intorno alla sua media storica).
2. La rischiosità media del portafoglio “rischioso” (l’indice azionario nel no-
stro caso) non sia cambiata in modo sistematico nel tempo.
Nel calcolare la media dei rendimenti storici, si pone un’ulteriore domanda:
utilizzare medie aritmetiche o geometriche? La media aritmetica è semplice-
mente la media dei rendimenti annui per il periodo in questione. La media
geometrica è il rendimento annuo composto relativo allo stesso periodo. La
differenza fra le due misure può essere illustrata con un esempio su due anni:

Anno Prezzo Rendimento


0 50
1 100 100%
2 60 –40%

In questo caso, il rendimento medio basato sulla media aritmetica nei due
anni è 30%, mentre quello basato sulla media geometrica è soltanto 9,54%7.
Coloro che utilizzano la media aritmetica sostengono che essa è molto più
coerente con i presupposti del CAPM (media-varianza) e fornisce una miglio-
re stima del premio atteso per il periodo immediatamente successivo. In favo-
re della media geometrica viene osservato che essa tiene in considerazione la
capitalizzazione dei rendimenti e che fornisce una migliore stima del premio
medio atteso nel lungo termine. L’effetto pratico di questa scelta è estrema-
mente significativo, come illustrato nella Tabella 4.1, basata su dati storici di
rendimenti azionari e obbligazionari.

7 (60/50)½ – 1 = 0,0954).

Cap4.p65 92 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 93

Tabella 4.1 Premi di rischio storici del mercato statunitense


Azioni -Treasury Bill Azioni -Treasury Bond

Periodo storico Media Media Media Media


aritmetica geometrica aritmetica geometrica
1926-1996 8,76% 6,95% 7,57% 5,91%
1962-1996 5,74% 4,63% 5,16% 4,46%
1981-1996 10,34% 9,72% 9,22% 8,02%

Come si può vedere, i premi storici possono variare di molto a seconda del
periodo di riferimento, del tipo di media utilizzata (aritmetica o geoemtrica) e
a seconda che si scelga come tasso privo di rischio il tasso sui titoli di Stato a
breve o lungo termine. Anche se non c’è un premio “giusto” e uno “sbaglia-
to”, i nostri suggerimenti sono i seguenti:
1. Privilegiare periodi di tempo più lunghi (per gli Stati Uniti dati sono dispo-
nibili a partire dal 1926), dal momento che i rendimenti azionari sono estre-
mamente imprecisi8 e periodi di tempo più brevi possono fornire premi ec-
cessivamente alti o bassi.
2. Utilizzare come tassi privi di rischio i tassi sui titoli di Stato a lungo termine,
dal momento che l’orizzonte temporale nell’analisi di finanza aziendale è
tipicamente di lungo termine.
3. Calcolare i premi sulla base della media geometrica, dal momento che le
medie aritmetiche tendono a fornire stime più elevate del premio, special-
mente in mercati che, come quello statunitense, sono riusciti a sopravvive-
re a periodi di crisi9. La media geometrica di solito porta a stime inferiori
del premio rispetto alla media aritmetica.
Queste tre scelte ci porterebbe a scegliere per gli Stati Uniti un premio del 5,91%,
pari alla media geometrica della differenza fra rendimenti azionari e rendimenti
dei Treasury Bond nel periodo fra 1926 e 1996. Di seguito, nella maggior parte
degli esempi riguardanti società statunitensi, utilizzeremo un premio di 5,50%.

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i rendimenti
storici di azioni, Treasury Bill e Treasury Bond dal 1926 in poi.10

8 In base allo scarto quadratico medio dei prezzi azionari, è stato stimato che per ottene-
re una buona stima dei premi per il rischio sarebbero necessari dati precisi per almeno 150
anni.
9 Bisogna considerare i mercati come quello statunitense – sopravvissuto per 70 anni

sostanzialmente senza subire collassi – delle eccezioni. Per fare un paragone, consideria-
mo gli altri mercati azionari in cui si poteva investire nel 1926; molti di essi non sono
sopravvissuti e chi ha investito in essi ha subito gravi perdite. Un’analisi che non tiene
conto di questo aspetto è affetta dalla cosiddetta survivorship bias.
10 I dati sono aggiornati al 2000 [N.d.C].

Cap4.p65 93 10/05/2001, 10.56


94 Capitolo 4

I dati storici dei rendimenti azionari per gli Stati Uniti sono facilmente acces-
sibili; i premi per gli altri Paesi sono aggiornati in Ibbotsom e Brinson (1991).
Tuttavia i dati storici non sono disponibili per periodi così lunghi come per gli
Stati Uniti, come dimostra la Tabella 4.2.
Il premio ottenuto dagli investimenti azionari rispetto ai titoli di Stato è
stato in genere più basso nei mercati europei (eccetto quello britannico) che
negli Stati Uniti o in Giappone. Riteniamo che i recenti cambiamenti in molti
di questi mercati e nelle economie alla loro base siano stati così significativi
che i premi storici hanno poco valore. Questa considerazione acquista ancora
maggiore rilevanza prendendo in considerazione i cosiddetti mercati emer-
genti (emerging markets). Conoscere il premio che un investitore avrebbe otte-
nuto nel mercato brasiliano dal 1987 al 1996 non sarebbe di grande aiuto per
stimare il premio atteso in futuro, viste le oscillazioni significative dell’econo-
mia brasiliana, soprattutto dopo il Real Plan11 del 1994.

Tabella 4.2 Premi di rischio nel mondo: 1969-1995


Azioni Obbligazioni
Paese Inizio Fine Rendimento Rendimento Premio
annuale annuale di rischio
Australia 100 898,36 8,47% 6,99% 1,48%
Canada 100 1020,7 8,98% 8,30% 0,68%
Francia 100 1894,26 11,51% 9,17% 2,34%
Germania 100 1800,74 11,30% 12,10% -0,80%
Giappone 100 5169,43 15,73% 12,69% 3,04%
Hong Kong 100 14993,06 20,39% 12,66% 7,73%
Italia 100 423,64 5,49% 7,84% –2,35%
Messico 100 2073,65 11,88% 10,71% 1,17%
Paesi Bassi 100 4870,32 15,48% 10,83% 4,65%
Regno Unito 100 2361,53 12,42% 7,81% 4,61%
Singapore 100 4875,91 15,48% 6,45% 9,03%
Spagna 100 844,8 8,22% 7,91% 0,31%
Stati Uniti 100 1633,36 10,90% 7,90% 3,00%
Svizzera 100 3046,09 13,49% 10,11% 3,38%

Se per gli altri Paesi non è possibile utilizzare i premi storici, come possiamo
ottenere un premio da utilizzare nel CAPM? Ricordiamo che il premio di ri-
schio è funzione della volatilità di un’economia e del rischio politico a essa
associato. A parità di condizioni, ci aspetteremmo, soprattutto in prospettiva
futura, che mercati più rischiosi rispetto agli Stati Uniti abbiano premi di ri-

11 Il Real Plan ha ridotto l’inflazione portandola da tre cifre a due cifre, cambiando le
carattereristiche sostanziali dell’economia brasiliana.

Cap4.p65 94 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 95

schio più elevati. Nonostante non esista una misura diretta di tale rischio, la
maggior parte dei Paesi vengono classificati dalle agenzie di rating sulla base,
almeno in parte, di questi criteri. Il vantaggio di questo approccio è che con-
sente di associare a ciascun rating un premio per il rischio di insolvenza (de-
fault premium) e ottenere così indirettamente una stima del premio di rischio.
Per esempio, la tabella seguente raccoglie i premi per il rischio di mercati emer-
genti in Asia, America Latina e Europa orientale:

Paese Rating Premio di rischio


Argentina BBB 5,5% + 1,75% = 7,25%
Brasile BB 5,5% + 2% = 7,50%
Cile AA 5,5% + 0,75% = 6,25%
Cina BBB+ 5,5% + 1,5% = 7,00%
Colombia A+ 5,5% + 1,25% = 6,75%
Corea AA– 5,5% + 1,00% = 6,50%
Filippine BB+ 5,5% + 2,00% = 7,50%
India B+ 5,5% + 2,00% = 7,50%
Indonesia BBB 5,5% + 1,75% = 7,25%
Lituania BB+ 5,5% + 2% = 7,50%
Malesia A+ 5,5% + 1,25% = 6,75%
Messico BBB+ 5,5% + 1,5% = 7,00%
Pakistan B+ 5,5% + 2,75% = 8,25%
Paraguay BBB– 5,5% + 1,75% = 7,25%
Perù B 5,5% + 2,5% = 8,00%
Polonia AA 5,5% + 0,75% = 6,25%
Repubblica Ceca A 5,5% + 1% =6,50%
Romania BB– 5,5% + 2,5% = 8,00%
Russia BB– 5,5% + 2,5% = 8,00%
Slovacchia BBB– 5,5% + 1,75% = 7,25%
Slovenia A 5,5% + 1% = 6,50%
Tailandia A 5,5% + 1% = 6,50%
Taiwan AA+ 5,5% + 0,50% = 6,00%
Turchia B+ 5,5% + 2,75% = 8,25%
Uruguay BBB 5,5% + 1,75% = 7,25%

Il procedimento è il seguente: 1) si prende il rating assegnato (nella valuta


locale) dall’agenzia di rating ai titoli di Stato emessi dal Paese (il cosiddetto
country bond rating); 2) si calcola la differenza (country bond premium) fra il
tasso di interesse su obbligazioni industriali statunitensi con quello stesso ra-
ting e il tasso sui Treasury Bond; 3) si aggiunge tale differenza al premio per il
rischio degli Stati Uniti.

Cap4.p65 95 10/05/2001, 10.56


96 Capitolo 4

In sostanza, questo approccio consiste nell’esprimere il rischio dei titoli di


Stato emessi da questi Paesi in termini di una “equivalente” obbligazione so-
cietaria negli Stati Uniti.12

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i rating aggior-
nati per i vari Paesi e i premi per il rischio associati a ciascuno di essi.

In pratica
Stimar
Stimaree i pr emi per il rischio dei P
premi aesi
Paesi
Alcuni non sono d’accordo sull’idea di utilizzare il rating assegnato a titoli
obbligazionari di un Paese (country bond rating) per stimare il premio per il
rischio sull’investimento azionario nello stesso (equity risk premium). Bisogna
tuttavia rilevare che esiste una stretta correlazione fra country bond premium e
rendimento del mercato azionario di un Paese. Inoltre, molti dei fattori esami-
nati dalle agenzie di rating nell’analisi del rischio obbligazionario di un Paese
sono gli stessi fattori rilevanti per la valutazione del rischio azionario di quel
Paese. Nel caso in cui non si voglia utilizzare un rating obbligazionario per
stimare il premio di rischio sull’investimento azionario, si possono utilizzare
altre misure che riflettono il rischio di un Paese nel suo insieme. The Economist,
per esempio, assegna un punteggio numerico a ogni Paese, da 0 (meno ri-
schioso) a 100 (più rischioso). Si potrebbe partire da questi rating e assegnare
a ciascuno un differenziale di rischio (risk spread). Un approccio alternativo è
quello di utilizzare strumenti derivati che consentono di eliminare l’esposi-
zione al rischio-Paese (contratti a premio, contratti a termine e contratti per
consegna differita). Il costo percentuale annuo di tali strumenti, aggiunto al
premio di base del proprio Paese (Tabella 4.2), rappresenta una stima del pre-
mio di rischio del Paese in esame. Per esempio, supponiamo che di essere un
investitore americano, con un premio di base del 5,5% per investimenti nel
mercato nazionale, e che possiamo comprare un’assicurazione contro il rischio
specifico di un certo Paese pagando il 2% all’anno. Il premio totale utilizzato
per quel Paese sarà il 7,5%.

Premi azionari impliciti


Il terzo approccio per la stima dei premi per il rischio parte dal presupposto
che la valutazione del mercato nel suo insieme sia corretta. Consideriamo, per
esempio, un semplice modello di valutazione dei titoli azionari, basato sulla
formula della rendita perpetua a rendimento crescente (si veda l’Appendice 3
sul valore attuale):

12 In alternativa, si potrebbero utilizzare direttamente i tassi delle obbligazioni emesse dal


Paese come premi per il rischio di insolvenza, ma tendono ad essere estremamente volatili.

Cap4.p65 96 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 97

Dividendi attesi nel prossimo periodo


Valore =
(Tasso di rendimento atteso sul capitale netto − Tasso di crescita atteso)

Tre dei quattro elementi di questo modello possono essere facilmenti ottenuti:
il livello corrente del mercato (valore), i dividendi attesi nel prossimo periodo
e il tasso di crescita atteso di utili e dividendi nel lungo termine. Con questi tre
input, il modello consente di calcolare il rendimento atteso sul capitale netto,
che verrà a rappresentare il rendimento atteso implicito sul mercato azionario.
Sottraendo da esso il tasso privo di rischio, otterremo un premio implicito per
il rischio azionario.
Al fine di illustrare questo metodo, supponiamo che il livello attuale del-
l’indice S&P 500 sia 900, che il tasso di dividendo atteso sull’indice sia del 2%
e che il tasso di crescita atteso degli utili e dei dividendi nel lungo termine sia
del 7%; risolvendo per il rendimento atteso sul capitale netto otteniamo:

900 = (0,02 × 900)/(r – 0,07)

r = (18 + 63)/900 = 9%

Con un tasso privo di rischio del 6%, il premio implicito sarà pari al 3%.
Il vantaggio di questo approccio è che si basa solo su valori di mercato
correnti e non richiede dati storici. È valido tuttavia soltanto nella misura in
cui è valido il modello di valutazione scelto, e il suo utilizzo richiede la dispo-
nibilità e l’esattezza degli input necessari. Nell’esempio precedente, alcuni
potrebbero essere in disaccordo con l’utilizzo di dividendi e con l’assunto di
un tasso di crescita costante. Infine, tale approccio è basato sull’ipotesi che il
mercato nel suo insieme sia valutato in modo corretto.
Per illustrare la differenza fra premi impliciti e premi storici, si consideri
l’evoluzione del premio implicito nei valori dell’indice S&P 500, a partire dal
1960 (Figura 4.1).13
Bisogna infine sottolineare che tale approccio non può essere adottato nel conte-
sto dei modelli con molteplici fattori, poiché esso fornisce soltanto una misura aggre-
gata del premio di rischio, e non singoli premi per ciascuno dei fattori.

Domanda di verifica 4.4


Pr emi impliciti e pr
Premi emi storici
premi
Supponiamo che il premio implicito nel mercato sia in questo momento il 3%,
mentre il premio storico è del 7,5%.

13 Il modello di valutazione utilizzato è un modello di attualizzazione dei dividendi a

due fasi di crescita (Capitolo 12). Come tassi di crescita attesa, abbiamo utilizzato tassi di
crescita passati di utili e dividendi.

Cap4.p65 97 10/05/2001, 10.56


98 Capitolo 4

Figura 4.1 Premio di rischio implicito: mercato azionario statunitense

Utilizzare il premio storico per valutare azioni ti condurrà probabilmente a:


■ Trovare più azioni sottovalutate che sopravvalutate.
■ Trovare più azioni sopravvalutate che sottovalutate.
■ Trovare più o meno lo stesso numero di azioni sottovalutate e sopravvalutate.

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete:


• i dati utilizzati per calcolare il premio azionario in ciascun anno per il mercato statuni-
tense
• uno spreadsheet che permette di stimare il premio azionario implicito in un determina-
to mercato.

Par ametri di rischio14


arametri
Gli ultimi dati di cui abbiamo bisogno per mettere in pratica i nostri modelli di
rischio e rendimento sono i parametri di rischio per una specifica attività. Nel
CAPM il beta di un’attività deve essere stimato rispetto al portafoglio di mer-

14 Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete un articolo
dell’autore di questo libro, (Risk Parameter Estimation), nel quale vengono approfonditi i
temi discussi in questo paragrafo.

Cap4.p65 98 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 99

cato. Nell’APM e nel modello multifattoriale, bisogna misurare i beta di un’at-


tività rispetto a ciascuno dei fattori. Esistono tre approcci per stimare questi
parametri: è possibile utilizzare dati storici sui prezzi di mercato di singole
attività, stimare il beta a partire dall’analisi fondamentale, oppure utilizzare
dati contabili. Di seguito mostreremo tutti e tre gli approcci.

Derivar
Derivaree il beta da dati storici di mer cato
mercato
Si tratta del metodo adottato dalla maggior parte di agenzie e analisti. Anzi-
tutto bisogna calcolare i rendimenti che un investitore avrebbe potuto ottene-
re dalle azioni di un’azienda per ogni intervallo di tempo (settimana o mese)
lungo un certo periodo. Nel contesto del CAPM, il beta viene poi ottenuto
esaminando la relazione fra questi rendimenti e i corrispondenti rendimenti
di un indice scelto come approssimazione del “vero” portafoglio di mercato.
Nel contesto dei modelli multifattoriali, si esamina invece la relazione fra i
rendimenti azionari e l’andamento di vari fattori macroeconomici. Infine, nel-
l’APM è l’analisi fattoriale dei rendimenti azionari a fornire i vari beta.

Procedure standard per la stima dei parametri del CAPM – Beta e Alfa
Il beta di un’attività può essere stimato come coefficiente di una regressione15
dei rendimenti azionari (Rj) sui rendimenti di mercato (Rm).

Rj = a + b Rm
in cui
a = intercetta della retta di regressione
b = inclinazione della retta di regressione = covarianza (Rj, Rm) /σ2m

L’inclinazione della retta di regressione corrisponde al beta dell’azione e ne


misura la rischiosità. L’intercetta della regressione fornisce una semplice misu-
ra della performance effettivamente ottenuta nell’arco temporale analizzato
rispetto alle previsioni del CAPM.

R j = Rf + β (Rm – Rf ) Relazione fra rendimento


= Rf (1 – β) + β Rm dell’azione e rendimento
del mercato prevista dal CAPM

R j = a + b Rm Relazione identificata attraverso


l’equazione di regressione

Perciò un confronto fra l’intercetta (a) e Rf (1 – β) dovrebbe fornire una misura


della performance effettiva dell’azione rispetto alle previsioni del CAPM.16

15 Vedi Appendice 1.
16 Talvolta la regressione viene calcolata utilizzando come variabili i rendimenti al netto
del tasso privo di rischio (sia per l’azione che per il mercato). La relazione prevista dal

Cap4.p65 99 10/05/2001, 10.56


100 Capitolo 4

In particolare:
■ Se a > Rf (1 – β) la performance nel periodo analizzato è stata migliore del
previsto
■ Se a = Rf (1 – β) la performance nel periodo analizzato è stata secondo le
previsioni
■ Se a < Rf (1 – β) la performance nel periodo analizzato è stata peggiore del
previsto
In sostanza, la differenza fra a e Rf (1 – β), nota come alfa di Jensen, indica se
la performance dell’azione, tenuto conto del suo profilo di rischio, è stata su-
periore o inferiore alla performance del mercato azionario nell’arco temporale
analizzato.
L’altro dato statistico che emerge dalla regressione è l’R quadrato (R2) del-
la regressione. Dal punto di vista statistico l’R quadrato fornisce una misura
della capacità della retta di regressione di interpolare i dati. Dal punto di vista
finanziario va interpretato come proporzione del rischio complessivo di un’azio-
ne (varianza) attribuibile al rischio di mercato; ne segue che la differenza (1 – R2)
indica invece la proporzione del rischio complessivo di un’azione attribuibile
al rischio specifico d’impresa.
Un ultimo dato statistico di interesse è l’errore standard della stima del
beta. L’inclinazione della regressione è stimata con un margine di errore, di
cui l’errore standard fornisce una misura. L’errore standard può inoltre essere
utilizzato per costruire intervalli di confidenza per il “vero” valore del beta
attorno al valore stimato attraverso la regressione.

Esempio applicativo 4.1


La stima dei parametri del CAPM per la Disney
parametri
Per stimare i parametri di rischio per la Disney, abbiamo anzitutto calcolato i
rendimenti dell’azione Disney e di un indice di mercato. In particolare:
1. I rendimenti per un azionista della Disney sono calcolati mensilmente da
gennaio 1992 a dicembre 1996. Tali rendimenti comprendono sia i dividen-
di che il cambiamento nei prezzi e sono definiti come segue:
Rendimento azionarioDisney,j =
= (Prezzo Disney,j – Prezzo Disney,j-1 + Dividendij )/Prezzo Disney,j-1

CAPM diviene Rj – Rf = β (Rm – Rf) mentre l’equazione di regressione diviene (Rj – Rf) = a
+ b (Rm – Rf). In tal caso, l’intercetta della regressione sarà zero se il rendimento effettivo
pareggia il rendimento previsto dal CAPM, maggiore di zero se la performance dell’azione
è stata migliore del previsto e minore in caso contrario.

Cap4.p65 100 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 101

in cui
Rendimento azionario Disney,j = Rendimento per un azionista Disney
nel mese j
Prezzo Disney,j = Prezzo delle azioni Disney alla fine del
mese j
Dividendij = Dividendi sulle azioni Disney nel mese j

I dividendi vanno quindi sommati ai rendimenti del mese che comprende il


giorno dell’incasso del dividendo (ex dividend day)17. Nel caso in cui nel
corso del mese si sia verificato un frazionamento azionario (stock split), i
rendimenti devono tenere conto del fattore di frazionamento (split factor),
dal quale dipenderà il prezzo azionario.18 Per esempio in un frazionamento
due-per-uno, il prezzo azionario scenderà di circa il 50%,19 e, se non se ne
tenesse conto, il rendimento di quel mese sembrerebbe quasi certamente
negativo. Per neutralizzare l’effetto dei frazionamenti azionari i rendimenti
vanno calcolati così:
Rendimento Disney,j = (Fattore j ×Prezzo Disney,j – Prezzo Disney,j-1 +
+ Fattore × Dividendij)/Prezzo Disney,j-1

in cui, a titolo esemplificativo, il fattore sarebbe 2 per un frazionamento


due-per-uno e 1,5 per un frazionamento tre-per-due.
2. I rendimenti dell’indice di mercato S&P 500 sono calcolati per ciascun mese
dello stesso periodo, utilizzando il livello dell’indice alla fine di ciascun mese,
e il tasso di dividendo mensile delle azioni nell’indice:

Rendimento di mercatoS&P,j = [(Indice S&P,j – Indice S&P,j-1)/Indice S&P,j-1 ] +


+ Tasso di dividendoj

in cui Indicej è il livello dell’indice alla fine del mese j e Tasso di dividendoj è il
tasso di dividendo sull’indice nel mese j. Va ricordato che per quanto l’S&P
500 e l’indice composito NYSE siano gli indici più utilizzati per stimare il beta
di azioni statunitensi, essi sono solo approssimazioni del “vero” portafoglio di
mercato che, nel CAPM, dovrebbe includere tutti i titoli negoziati.

17 Il giorno dell’incasso del dividendo (ex dividend day) è il giorno entro il quale l’azione
deve essere comprata da un investitore perché egli abbia diritto al dividendo. Di solito
esso cade qualche settimana dopo la data dell’annuncio.
18 Un frazionamento azionario cambia il numero di azioni in circolazione di una società

senza tuttavia cambiare i fondamentali. Ad esempio, supponiamo che vi siano 10 azioni in


circolazione, con un prezzo unitario di 90, per un valore del capitale netto pari a 900. Dopo
un frazionamento tre-per-due ci saranno il 50% di azioni in più in circolazione (10 × 3/2 =
15), ma dal momento che il valore totale del capitale netto non è cambiato, il prezzo azio-
nario scenderà di un ammontare equivalente (90 × 2/3 = 60).
19 1 – inverso del fattore di frazionamento = 1 – ½ = 50%.

Cap4.p65 101 10/05/2001, 10.56


102 Capitolo 4

La Figura 4.2 rappresenta graficamente i rendimenti mensili delle azioni Di-


sney e dell’indice S&P 500 nel periodo gennaio 1992-dicembre 1996.
I risultati della regressione per la Disney sono i seguenti20:
a. Inclinazione della regressione = 1,40. Questo è il beta della Disney in
base ai rendimenti dal 1992 al 1996. L’utilizzo di un periodo diverso o di un
diverso intervallo di rendimento (settimanale o giornaliero piuttosto che
mensile) per lo stesso periodo può risultare in una stima diversa del beta.
b. Intercetta della regressione = – 0,01%. Questo dato, confrontato con
Rf (1 – β), fornisce una misura della performance della Disney rispetto alle
attese implicite nel CAPM.. Poichè il tasso mensile21 privo di rischio fra il
1992 e il 1996 è stato in media 0,4%, l’alfa di Jensen risulta essere:

Rf (1 – β) = 0,4% (1 – 1,40) = – 0,16%


Intercetta – Rf(1 – β) = – 0,01% – (– 0,16%) = 0,15%

Quest’analisi indica che la Disney ha avuto una performance mensile su-

Figura 4.2 Disney e S&P 500: gennaio 1992-dicembre 1996

20 Per dettagli sulla tecnica di regressione vedi Appendice 1.


21 Facciamo riferimento al tasso mensile poiché i rendimenti utilizzati nella regressione
sono mensili.

Cap4.p65 102 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 103

periore dello 0,15% rispetto ai rendimenti attesi secondo il CAPM fra gen-
naio 1992 e dicembre 1996, corrispondente a un valore annualizzato di cir-
ca 1,81%.

“Extra” Rendimento annualizzato = (1 + “Extra” Rendimento mensile)12 – 1


= 1,001512 – 1 = 1,0181 – 1 = 0,0181 =
= 1,81%

Stando a questa misura, la performance della Disney è stata dunque leg-


germente migliore del previsto nel periodo analizzato. Bisogna tuttavia
notare che questo non implica necessariamente che la Disney rappresenti
un buon investimento per il futuro. Inoltre questa misura non rivela quale
porzione di questo “extra” rendimento sia attribuibile all’andamento del-
l’intero settore industriale piuttosto che all’attività specifica della Disney.
Per avere questa informazione, bisognerebbe calcolare gli “extra”rendimenti
nello stesso periodo per altre aziende operanti nello stesso settore, e poi
confrontarli con il rendimento “extra” della Disney. Per esempio, l’extra ren-
dimento medio annualizzato delle altre imprese nel settore dello spettaco-
lo fra il 1992 e il 1996 è stato del 3,5%, il che suggerisce che la porzione di
“extra” rendimento attribuibile alla performance specifica della Disney è di
fatto del –1,7%. (Alfa di Jensen specifico dell’azienda = 1,8% – 3,5%)
c. R quadrato della regressione = 32,41%. Questo dato suggerisce che il
32,41% del rischio complessivo (varianza) nella Disney è riconducibile a
componenti di rischio-mercato (rischio dei tassi di interesse, rischio infla-
zione ecc.), mentre il restante 67,59% del rischio è riconducibile al rischio
specifico d’impresa.22 Quest’ultimo tipo di rischio dovrebbe essere diversi-
ficabile, e dunque non viene remunerato nel contesto del CAPM.
L’R quadrato della Disney è leggermente maggiore della mediana dell’R
quadrato di tutte le società quotate alla New York Stock Exchange, che nel
1997 era circa del 25%.
d. Errore standard della stima del beta = 0,27. Questo dato implica che il “vero”
beta della Disney è compreso fra 1,13 e 1,6723 con una confidenza del 67%,
e da 0,86 a 1,9424 con una confidenza del 95%. Anche se questi intervalli
sembrano molto ampi, non sono affatto infrequenti per società statuniten-
si. Questo suggerisce che dobbiamo avere una certa cautela nell’utilizzare
le stime del beta ottenute tramite la regressione.

22 Più esattamente, al rischio specifico d’impresa e al rischio-settore [N.d.C.].


23 I due estremi sono ottenuti sottraendo e aggiungendo un errore standard al beta sti-
mato con la regressione (1,40).
24 I due estremi sono ottenuti sottraendo e aggiungendo due errori standard al beta sti-

mato con la regressione (1,40).

Cap4.p65 103 10/05/2001, 10.56


104 Capitolo 4

Domanda di verifica 4.5


L’importanza dell’R quadr ato
quadrato
per un inv estitor
investitor
estitoree
Supponiamo che, sulla base della regressione, sia la Disney che la Amgen, una
società di biotecnologia, risultino avere un coefficiente beta pari a 1,40. Tutta-
via la Disney ha un R quadrato pari al 32% mentre quello della Amgen è il
15%. Quale dei due investimenti sceglieresti?
■ La Disney, perché un R quadrato più elevato indica minore rischiosità.
■ La Amgen, perché un R quadrato inferiore implica una maggiore possibili-
tà di alti rendimenti.
■ Uno qualsiasi, dal momento che hanno lo stesso beta.
Risponderesti diversamente se fossi il gestore di un fondo ampiamente diver-
sificato?

In pratica
Utilizzar
Utilizzaree gli alfa
Nella pratica professionale, si tende a identificare l’alfa con l’intercetta della
regressione e interpretare perciò un’intercetta positiva (negativa) come segno
di una performance dell’azione superiore (inferiore) al previsto. Ma questa
interpretazione è legittima soltanto se i rendimenti utilizzati nella regressione
sono espressi al netto del tasso privo di rischio del mese corrispondente25 (sia
per l’azione che per l’indice di mercato).
Tale interpretazione è accettabile anche nel caso in cui Rf(1 – β) sia vicino
allo zero, ciò che può accadere in due circostanze:
■ il beta è vicino a 1;
■ l’intervallo considerato è molto breve (rendimenti giornalieri o settimana-
li), poichè il tasso privo di rischio su base giornaliera o settimanale è vicino
allo zero.

La stima del beta fornita dalle agenzie


Nella maggior parte dei casi gli analisti che utilizzano i beta li ottengono tra-
mite un’agenzia specializzata nella stima del beta, quali Merrill Lynch, Barra,
Value Line, Standard & Poor’s, Morningstar e Bloomberg. Tutte queste agenzie

25 Il motivo è chiaro dalla nota 16 [N.d.C.].

Cap4.p65 104 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 105

partono dal beta stimato attraverso la regressione e lo correggono con l’obiet-


tivo di renderlo una migliore stima del beta per il futuro. I dettagli delle meto-
dologie adottate a tale scopo, in genere, non sono rivelati al pubblico; un’ec-
cezione in tal senso è Bloomberg. Riportiamo qui di seguito la pagina Bloom-
berg con il calcolo del beta per la Disney, per lo stesso periodo da noi analiz-
zato:

Nonostante il periodo di tempo sia identico, vi sono alcune sottili differenze.


In primo luogo Bloomberg calcola i rendimenti (sia per l’azione che per l’indi-
ce di mercato) solo sulla base dei prezzi, ignorando i dividendi. Nel caso della
Disney non fa una grossa differenza, ma per una società che non paga divi-
dendi o paga dividendi di gran lunga superiori al mercato l’impatto sul beta
può essere notevole. In secondo luogo Bloomberg calcola un beta “corretto”
(adjusted beta), così ottenuto come media ponderata fra il beta della regression
(raw beta) e il beta dell’intero mercato (1):

Beta corretto = [(0,67) × Beta da regressione + (0,33) × 1]

I pesi adottati (due terzi e un terzo) sono gli stessi per tutte le azioni e hanno
l’effetto di avvicinare a 1 tutti i beta ottenuti con la regressione. Gran parte
delle agenzie utilizzano procedimenti simili per avvicinare i beta a 1. Ciò viene
fatto in quanto vari studi empirici documentano che per la maggior parte delle

Cap4.p65 105 10/05/2001, 10.56


106 Capitolo 4

società i beta, nel corso del tempo tendono ad avvicinarsi al beta medio del
mercato, che è 1. Questo fenomeno potrebbe essere spiegato dal fatto che le
aziende crescendo tendono a diversificare la loro gamma di prodotti e di clienti
(e quindi “assomigliano” di più al mercato).

Domanda di verifica 4.6


Tendenza dei beta v erso 1
verso
Abbiamo osservato che i beta delle azioni tendono ad avvicinarsi a 1 nel corso
del tempo. Consideriamo due società, la Coca Cola, da sempre attiva esclusi-
vamente nella produzione di bibite, e la Pepsico, che ha invece fatto ripetute
incursioni in altri settori (per esempio negli anni ’80 acquistò catene di risto-
ranti). Supponiamo che attualmente entrambe abbiano beta molto lontani da
1, e che ci si aspetta che esse continuino nella loro diversa politica. Per quale
di esse il beta si avvicinerà più rapidamente a 1?
■ La Coca Cola, perché si concentra sulla sua attività principale.
■ La Pepsico, perché nel corso del tempo si espanderà in altre attività.
■ Entrambe le società vedranno i loro beta avvicinarsi a 1 alla stessa velocità,
perché entrambe cresceranno nel corso del tempo.

Problemi di stima
L’analista intenzionato a stimare il beta tramite la regressione deve prendere
tre decisioni. La prima riguarda la durata del periodo di stima. La maggior parte
delle agenzie di stima utilizzano dati relativi agli ultimi cinque anni, mentre
Bloomberg si basa invece su due anni. Il trade-off è semplice: un periodo di
stima più lungo ha il vantaggio di utilizzare più dati, ma l’azienda potrebbe
aver cambiato il proprio profilo di rischio nel corso di quel periodo. Ad esem-
pio, nel periodo da noi analizzato, la Disney si indebitò notevolmente per ac-
quistare la Capital Cities/ABC, modificando così il proprio profilo di rischio,
dal punto di vista sia finanziario che operativo.
Il secondo problema di stima riguarda l’intervallo di rendimento. I rendi-
menti azionari sono disponibili su base annuale, mensile, settimanale, giorna-
liera o anche infragiornaliera. La scelta di rendimenti giornalieri o infragior-
nalieri consente di aumentare il numero di osservazioni incluse nella regres-
sione, ma la stima del beta che ne risulta sarà seriamente condizionata dalla
cosiddetta nontrading bias26. Per esempio, i beta delle società più piccole, per

26 Con il termine nontrading bias si fa riferimento al fatto che il rendimento di un titolo


in un periodo in cui il titolo non è scambiato (nontrading period) è zero, mentre magari
nello stesso periodo il mercato subisce grosse oscillazioni. L’inclusione dei rendimenti di
periodi nontrading nella regressione riduce la correlazione fra rendimento azionario e
rendimento di mercato e quindi anche la stima del beta.

Cap4.p65 106 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 107

loro natura più esposte alla nontrading bias, vengono sistematicamente sotto-
stimati se si utilizzano rendimenti giornalieri. L’utilizzo di rendimenti setti-
manali o mensili può ridurre di molto il problema.27 Nel nostro caso, il beta
della Disney stimato utilizzando rendimenti settimanali per 2 anni sarebbe
0,98.
Il terzo problema di stima riguarda la scelta dell’indice di mercato da utiliz-
zare nella regressione. Il metodo standard utilizzato da molte agenzie è calco-
lare il beta rispetto a un indice del mercato in cui il titolo viene negoziato. Così
i beta per le azioni tedesche sono stimati in relazione al Frankfurt DAX, per
quelle inglesi in relazione al FTSE, per quelle giapponesi in relazione al Nikkei
e per quelle statunitensi in relazione all’S&P 500. Tale metodo però fornisce
una stima ragionevole del rischio solo dal punto di vista di chi investe esclusi-
vamente in quel mercato, mentre dal punto di vista di un investitore diversifi-
cato internazionalmente sarà più appropriato un beta calcolato rispetto a un
indice internazionale. Per esempio il beta della Disney fra il 1992 e il 1996
stimato rispetto al Morgan Stanley Capital Index, un indice composto di titoli
azionari di diversi mercati, è pari a 1,19.

In pratica
P er ché le stime dei beta variano
erché
da agenzia ad agenzia
Capita spesso che, in uno stesso momento, diverse agenzie forniscano stime
anche molto lontane fra loro del beta della stessa azienda. Ci sono vari motivi
per queste differenze:
1. Diversa durata del periodo di stima. Per esempio, il beta stimato da Value Line
e Standard & Poor si basa su cinque anni di dati, quello di Bloomberg su due.
2. Diversi intervalli di rendimento. Bloomberg e Value Line usano rendimenti
settimanali, mentre Standard & Poor’s utilizza rendimenti mensili; alcune
agenzie utilizzano addirittura rendimenti giornalieri.
3. Diversa tecnica di correzione del beta ottenuto dalla regressione. Mentre
Bloomberg avvicina a 1 tutti i beta con lo stesso metodo (descritto in prece-
denza), Barra corregge i beta utilizzando una grande varietà di informazio-
ni sui fondamentali di ciascuna singola azienda.
L’esistenza di tanti diversi beta può far storcere il naso, ma va ricordato che al
beta fornito da ciascuna agenzia è associato un errore standard, e probabil-
mente i beta riportati dalle altre agenzie per la stessa azienda sono compresi
nell’intervallo di confidenza.

27 Il problema può anche essere ridotto utilizzando le tecniche statistiche suggerite da

Dimson e Scholes-Williams.

Cap4.p65 107 10/05/2001, 10.56


108 Capitolo 4

Esempio applicativo 4.2


Altri esempi di stima del beta
sulla base della r egr
regr essione
egressione
Ora vedremo come calcolare il beta delle altre tre imprese presentate all’inizio
di questo libro: Bookscape Books, Aracruz Cellulose e Deutsche Bank.

1. La stima del beta della Bookscape Books Stimare il beta sulla base di dati
storici funziona soltanto con attività quotate e che hanno prezzi di mercato.
La Bookscape Books, essendo un’impresa non quotata, non ha un prezzo di
mercato. Nella prossima sezione presenteremo un metodo alternativo per sti-
marne il beta. Va notato che lo stesso problema si pone nella stima del beta di
imprese quotate solo recentemente, come pure nella stima del beta di divisio-
ni di imprese quotate che vogliano calcolare il proprio costo del capitale netto.

2. La stima dei beta della Aracruz Cellulose Un analista alle prese col calcolo
del beta di società statunitensi ha il privilegio di poter scegliere fra diversi
indici di mercato, in cui in genere nessun singolo titolo predomina sugli altri.
Lo stesso non può dirsi per l’analista che voglia stimare i beta di società non
statunitensi. A pagina seguente presentiamo la stima del beta di Aracruz Cel-
lulose, l’azienda brasiliana che produce carta e pasta di cellulosa, utilizzando
come indice il Bovespa, un indice di titoli azionari negoziati alla Borsa di San
Paolo, in cui il peso di ciascun titolo nell’indice dipende dal suo volume di
negoziazione.
Questa regressione presenta due problemi. Il primo è che i dati sono di-
sponibili soltanto per 36 mesi, il che riduce il potere della regressione. L’altro –
e più grave – problema è che Bovespa è un indice dominato da un titolo, Tele-
bras, che rappresenta quasi la metà dell’indice. Perciò il beta della Aracruz
calcolato rispetto al Bovespa è di fatto il beta di Aracruz rispetto a Telebras. È
come se il beta della Disney fosse stato calcolato rispetto alla società AT&T
invece che rispetto all’indice di mercato.
La conseguenza è che il beta ottenuto in questo modo non può essere uti-
lizzato nel CAPM. Possibili soluzioni, rimanendo nell’ambito del metodo della
regressione, sarebbero le seguenti:
1. Sostituire il Bovespa con un altro indice di titoli brasiliani, dove ciascun
titolo abbia lo stesso peso, o un peso proporzionale al valore di mercato
(come nell’indice Senn, che comprende le 50 maggiori società brasiliane).
2. Considerare un indice che includa non solo i titoli brasiliani ma anche titoli
di altri mercati (ad esempio, un indice di titoli dei Paesi latino-americani, o
il Morgan Stanley Capital Index).

Cap4.p65 108 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 109

3. Calcolare il beta dell’ADR della Aracruz Cellulose,28 quotato alla NYSE, uti-
lizzando come indice l’S&P 500 o l’indice composito NYSE.
I beta derivanti da queste regressioni sono indicati nella tabella seguente:

Indice Beta
Brazil I-Senn 0,69
S&P 500 (con ADR) 0,46
Morgan Stanley Capital Index (con ADR) 0,35

A nostro avviso, nessuno di questi beta è davvero attendibile. Nel prossimo


paragrafo presenteremo un altro approccio alla stima del beta più adatto per
Aracruz. Nel frattempo, è importante rilevare che non è il profilo del portafo-
glio di un qualunque investitore a guidare la scelta di un indice, ma il profilo
del portafoglio dell’investitore marginale.

28 L’American Depositary Receipt (ADR) è un certificato di deposito azionario (relativo alle


azioni di una società estera) trattato sul mercato americano e denominato in dollari statu-
nitensi.

Cap4.p65 109 10/05/2001, 10.56


110 Capitolo 4

3. La stima del beta della Deutsche Bank Riportiamo qui di seguito la stima del
beta della Deutsche Bank fornita da Bloomberg utilizzando un indice locale, il
DAX (un indice di grandi società quotate alla Borsa di Francoforte).

Questa regressione risente del fatto che la Deutsche Bank rappresenta una
parte significativa del DAX. Nonostante il beta sembri “ragionevole”, presentere-
mo in seguito altri metodi utili che ci consentiranno di verificare se lo è davvero.

In pratica
Quale indice utilizzar
utilizzaree per la stima del beta?
Nella maggior parte dei casi, nel calcolare il beta, gli analisti finanziari si tro-
vano a dover scegliere fra una vasta gamma di indici. Alcuni utilizzano soltan-
to l’indice locale, altri scelgono l’indice più “adatto” all’investitore per il quale
stanno valutando il titolo. Ad esempio, se l’analisi viene fatta per un investito-
re statunitense, verrà utilizzato l’indice S&P. Ma ciò implica che se l’investito-
re detiene soltanto due titoli, si dovrebbe utilizzare un indice composto sol-
tanto da quei titoli – un approccio chiaramente non corretto.
La scelta dell’indice da utilizzare dipende da chi è l’investitore marginale,
nel nostro esempio, nella Aracruz: indicazioni in tal senso possono essere tratte

Cap4.p65 110 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 111

esaminando quali sono i maggiori azionisti nella società e in quali mercati il


volume di negoziazioni del titolo è maggiore. Infatti, se l’investitore marginale
è un investitore brasiliano, risulta ragionevole utilizzare un indice brasiliano
ben costruito. Se l’investitore marginale è un investitore globale, una misura
migliore di rischio sarà ottenuta utilizzando un indice globale. Nel tempo, è
plausibile che investitori globali sostituiranno quelli locali come investitori
marginali, in quanto meno esposti al rischio e quindi disposti a pagare un
prezzo più elevato per uno stesso titolo (Capitolo 3). Di conseguenza, Aracruz
risulterà meno rischiosa per un investitore d’oltreoceano che detiene un por-
tafoglio globale, che per un investitore brasiliano che ha investito tutto il suo
patrimonio in titoli brasiliani!

Procedimenti standard per stimare i parametri di rischio nell’APM


e nel modello multifattoriale
Come il CAPM, anche l’APM considera solo il rischio non diversificabile; tut-
tavia, nella misurazione del rischio, a differenza del CAPM, l’APM tiene conto
di una molteplicità di fattori economici. Sebbene il processo di stima dei para-
metri di rischio sia diverso, molti problemi legati alle determinanti del rischio
nel CAPM si presentano anche per l’APM.
I parametri dell’APM sono stimati tramite un’analisi fattoriale dei rendi-
menti azionari storici, la quale consente di individuare il numero di fattori
economici comuni che determinano tali rendimenti, il premio di rischio per
ciascun fattore e il beta relativo a ciascun fattore per ciascuna azienda.
Armati dei beta relativi a ogni fattore per ciascuna azienda, e dei premi di
rischio per ciascun fattore, si può utilizzare l’APM per stimare il rendimento
atteso di un’azione.

i= k
Costo del capitale netto = R f +

j 1
β j[E(R j ) − R f ]
=

in cui:
Rf = tasso privo di rischio
βj = beta specifico al fattore j
E(Rj) – Rf = premio di rischio per il fattore j
k = numero di fattori

In un modello multifattoriale, infine, i beta sono stimati rispetto ai fattori spe-


cificati, utilizzando dati storici per ciascuna azienda.

Derivar
Derivaree il beta dai fondamentali
Se è vero che il beta di un’impresa può essere stimato tramite una regressione,
non va dimenticato che esso riflette le politiche aziendali in termini di scelta

Cap4.p65 111 10/05/2001, 10.56


112 Capitolo 4

dei settori in cui investire, leva operativa e leva finanziaria. In questo paragrafo
prenderemo in esame un approccio alternativo alla stima del beta, in cui si dà
minore rilievo alla stima basata su dati storici e maggiore rilievo all’intuizione
economica.

Determinanti dei beta


Il beta di un’impresa dipende da tre variabili: (1) il tipo di attività dell’impresa,
(2) il grado di leva operativa (3) il grado di leva finanziaria. Anche se nel para-
grafo seguente faremo riferimento soprattutto al CAPM, la stessa analisi può
essere applicata ai beta stimati nel contesto dell’APM o dei modelli multifat-
toriali.

1. Tipo di attività Dal momento che i beta misurano il rischio di un’azienda


rispetto a un indice di mercato, più l’attività svolta dall’azienda risente del-
l’andamento generale del mercato, maggiore sarà il beta. A parità di condizio-
ni, perciò, le cosiddette aziende cicliche, imprese operanti in settori dall’an-
damento fortemente prociclico, dovrebbero avere un beta più elevato. Per esem-
pio, azende operanti nel settore edilizio e automobilistico, settori tradizional-
mente molto sensibili alle oscillazioni dell’economia, dovrebbero avere beta
maggiori rispetto a quelle operanti nel settore alimentare o del tabacco, meno
condizionati dal ciclo economico.
Sviluppando ulteriormente questa idea, è concepibile che il beta dipenda
anche da quanto sia “discrezionale” l’acquisto dei prodotti dell’azienda. Ad
esempio, il beta di aziende alimentari come la General Foods e la Kellogg’s
dovrebbe essere inferiore al beta di rivenditori specializzati, dal momento che
i consumatori possono differire l’acquisto dei prodotti del secondo tipo du-
rante periodi economici poco favorevoli.

Domanda di verifica 4.7


Beta e rischio dell’impr esa
dell’impresa
Polo Ralph Lauren, nota azienda designer di moda, è stata quotata in Borsa
nel 1997. Supponiamo di doverne calcolare il beta. In base alle tue conoscenze
sui prodotti dell’azienda, pensi che il beta sarà:
■ Maggiore di uno?
■ Circa uno?
■ Minore di uno?
Perché?

Cap4.p65 112 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 113

In pratica
Str ategia aziendale, mark
Strategia eting
marketing
e rischio finanziario aziendale
Le aziende hanno un controllo limitato su quanto sia discrezionale per i loro
clienti il prodotto o il servizio che esse forniscono. Ci sono aziende, tuttavia,
che hanno utilizzato questo potere, pur limitato, per rendere i propri prodotti
meno discrezionali per l’acquirente, diminuendo così la propria rischiosità.
Un modo per raggiungere tale obiettivo è rendere il prodotto o servizio parte
integrante e necessaria della vita quotidiana del consumatore. Un esempio in
tal senso è offerto dai servizi online, come America Online, che hanno spinto
la gente a utilizzare la posta elettronica e fare shopping su Internet. Un altro
modo consiste nel creare una fedeltà alla marca (brand loyalty) tramite pubbli-
cità e marketing. L’obiettivo della pubblicità – a mio parere – dovrebbe essere
proprio quello di far sembrare necessari agli occhi del consumatore prodotti o
servizi che necessari non sono. In tal modo, scelte di strategia aziendale, cam-
pagne pubblicitarie e politiche di marketing possono avere nel tempo un im-
patto sul rischio dell’impresa, e quindi sul beta.

2. Intensità della leva operativa L’intensità della leva operativa (operating leve-
rage) è una funzione della struttura dei costi dell’azienda, e di solito viene
definita in termini del rapporto fra costi fissi e costi complessivi (fissi e varia-
bili). Un’impresa con un’elevata leva operativa (in cui i costi fissi rappresenta-
no cioè una frazione elevata dei costi complessivi) avrà anche un’elevata va-
riabilità negli utili al lordo di interessi e imposte (Earnings Before Interest and
Taxes, EBIT29) rispetto a un’impresa che produce lo stesso tipo di prodotti ma
con una leva operativa inferiore.
Questo fatto ha delle implicazioni sulle decisioni strategiche che l’impresa
prenderà in futuro. Ad esempio, se da un lato l’ammodernamento degli im-
pianti e l’aggiornamento della tecnologia portano indubbiamente benefici a
un’impresa, dall’altro possono ridurne la flessibilità durante una fase di con-
trazione economica, rendendola così più rischiosa.
Dunque la leva operativa ha certamente un impatto sul beta; risulta tutta-
via difficile, almeno per un osservatore esterno, misurare la leva operativa di
un’azienda, in quanto costi fissi e variabili non sono presentati separatamente
nei bilanci aziendali. Una misura approssimativa si può ottenere calcolando il
rapporto fra variazioni nel reddito operativo e variazioni nel fatturato:

Variazione percentuale Reddito Operativo


Intensità della leva operativa =
Variazione percentuale Fatturato

29 Si veda l’Appendice 2 per una descrizione del bilancio secondo i principi contabili

americani.

Cap4.p65 113 10/05/2001, 10.56


114 Capitolo 4

Per imprese con un’elevata leva operativa, il reddito operativo dovrebbe varia-
re in modo più che proporzionale al variare del fatturato.

Esempio applicativo 4.3


Calcolar
Calcolaree la le va oper
leva ativa per la Disney
operativa
Nella tabella seguente stimiamo l’intensità della leva operativa della Disney
dal 1987 al 1996:

Anno Vendite Variazione % EBIT Variazione %


nette delle vendite dell’EBIT
1987 2877 756
1988 3438 19,50% 848 12,17%
1989 4594 33,62% 1177 38,80%
1990 5844 27,21% 1368 16,23%
1991 6182 5,78% 1124 –17,84%
1992 7504 21,38% 1429 27,14%
1993 8529 13,66% 1232 –13,79%
1994 10055 17,89% 1933 56,90%
1995 12112 20,46% 2295 18,73%
1996 18739 54,71% 2540 10,68%
Media 23,80% 16,56%

L’intensità della leva operativa cambia significativamente di anno in anno a


causa delle oscillazioni del reddito operativo. Possiamo perciò calcolarla uti-
lizzando le variazioni percentuali medie del fatturato e del reddito operativo
nel periodo in questione:

Variazione % Reddito Operativo (EBIT)


Intensità della leva operativa =
Variazione % Fatturato
16,56%
= = 0,70
23,80%

Possiamo fare due considerazioni a riguardo. In primo luogo, la leva operativa


della Disney è minore rispetto ad altre imprese che operano nel settore dello
spettacolo, la cui leva operativa, in media, secondo le nostre stime è di 1,15:
questo dato suggerisce che la Disney ha minori costi fissi rispetto alle sue con-
correnti. In secondo luogo, è possibile che la bassa intensità della leva opera-
tiva sia in parte dovuta all’acquisizione della Capital Cities nel 1996.

Cap4.p65 114 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 115

Infatti, se ricalcoliamo la leva operativa limitatamente al periodo 1987-1995:

17,29%
Intensità della leva operativa1987-95 = = 0,87
19,94%

Domanda di verifica 4.8


P olitica sociale e le va oper
leva ativa
operativa
Supponiamo di comparare un’impresa automobilistica europea con una sta-
tunitense. Le imprese europee hanno in genere maggiori vincoli nel licenziare
i dipendenti in caso di dissesti finanziari. Quali implicazioni avrà questo fatto
sui beta, ammesso che essi siano stimati rispetto a uno stesso indice?
■ Le imprese europee avranno beta di molto superiori a quelle statunitensi.
■ Le imprese europee avranno beta simili a quelle statunitensi.
■ Le imprese europee avranno beta di molto inferiori a quelle statunitensi.

In pratica
Modificar
Modificaree la le va oper
leva ativa
operativa
Le imprese possono modificare la propria leva operativa? Nonostante una parte
della struttura dei costi sia determinata dal tipo di attività nella quale l’azien-
da è impegnata (un’impresa che produce energia deve costruire stabilimenti
costosi, le compagnie aeree devono prendere in affitto aerei, e così via), negli
Stati Uniti le imprese hanno sviluppato nel tempo diverse strategie per ridurre
la componente dei costi complessivi rappresentata da costi fissi. Alcuni esem-
pi sono contratti di lavoro più flessibili, sistemi di remunerazione che consen-
tono di legare il costo del lavoro alla performance aziendale, contratti di joint
venture, in cui i costi fissi sono sostenuti da terzi, e subappalti di fasi di lavora-
zione, che riducono il bisogno di stabilimenti e attrezzature costose. Tali azio-
ni vengono intraprese con l’obiettivo di ottenere vantaggi competitivi e mag-
giore flessibilità, ma di fatto contribuiscono anche a ridurre la leva operativa
dell’azienda e la sua esposizione al rischio-mercato.

3. Intensità della leva finanziaria (financial leverage) Il beta delle attività del-
l’impresa è la media ponderata del beta del capitale netto (rischio a carico
degli azionisti) e del beta del debito (rischio a carico degli obbligazionisti).30

30 βAttività = βCapitale Netto (Capitale Netto/Passività totali) + βDebito (Debito/Passività totali)

Cap4.p65 115 10/05/2001, 10.56


116 Capitolo 4

A parità di condizioni, a un aumento della leva finanziaria (cioè del rappor-


to d’indebitamento) seguirà un aumento del rischio a carico degli azionisti (e
quindi del beta del capitale netto). Infatti i maggiori oneri finanziari, rappre-
sentando un costo fisso, porteranno a un aumento della varianza dell’utile di
esercizio (più alto in periodi favorevoli e più basso in periodi di recessione). Se
l’intero rischio d’impresa è a carico degli azionisti (nel qual caso il beta del
debito è pari a zero)31 e gli oneri finanziari sono fiscalmente deducibili, la rela-
zione fra beta del capitale netto (il cosiddetto equity beta) e rapporto di inde-
bitamento può essere così rappresentata:

βL = βu [1+ (1 – t) (D/E)]

in cui
βL = Beta “levered” del capitale netto dell’impresa (ossia beta dell’impre-
sa in presenza di debito)
β u = Beta “unlevered” dell’impresa (ossia, beta dell’impresa in assenza di
debito)
t = Aliquota d’imposta per le società
D/E = Debt/Equity Ratio = Rapporto debito/capitale netto

Il beta unlevered di un’impresa dipende dal suo business risk, cioè dal rischio
inerente all’attività da essa svolta (a sua volta funzione del tipo di attività e
della leva operativa). Perciò, il beta levered del capitale netto dipende sia dal
rischio operativo (business risk) che dal rischio finanziario (financial risk).

Esempio applicativo 4.4


Ef fetti della le
Effetti va finanziaria sui beta:
leva
la Disney
In precedenza abbiamo stimato un beta di 1,40 per la Disney nel periodo 1992-
1996. Per stimare gli effetti della leva finanziaria sulla Disney, anzitutto abbia-
mo calcolato il rapporto medio debito/capitale netto fra il 1992 e il 1996 (uti-
lizzando valori di mercato sia per il debito che per il capitale netto:

Rapporto medio debito/capitale netto fra il 1992 e il 1996 = 14%

Utilizzando un’aliquota marginale di imposta per le società del 36%, abbiamo


ottenuto la seguente stima per il beta unlevered (il beta della Disney se non
avesse debiti):

31 Se il debito ha un rischio di mercato (ossia il suo beta è superiore a zero) questa formula deve
essere modificata. Indicando il beta del debito con βD , il beta del capitale netto sarà:
βL = βu (1+(1 – t)(D/E)) – βD (1– t)(D/E)

Cap4.p65 116 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 117

Tabella 4.3 Leva finanziaria e beta della Disney


Rapporto Debito/ Rapporto Debito/ Beta Effetto
Passività Totali Capitale Netto della leva
0,00% 0,00% 1,28 0,00
10,00% 11,11% 1,38 0,09
20,00% 25,00% 1,49 0,21
30,00% 42,86% 1,64 0,35
40,00% 66,67% 1,83 0,55
50,00% 100,00% 2,11 0,82
60,00% 150,00% 2,52 1,23
70,00% 233,33% 3,20 1,92
80,00% 400,00% 4,57 3,29
90,00% 900,00% 8,69 7,40

Beta unlevered = Beta attuale/[(1 + (1 – aliquota d’imposta) (Rapporto medio


debito/capitale netto)] =1,40/[1 + (1 – 0,36) (0,14)] = 1,2849
A questo punto possiamo stimare l’impatto che diversi livelli di debito avreb-
bero sul beta levered:

Beta levered = Beta unlevered × [1 + (1 – aliquota d’imposta)


(Debito/capitale netto)]

Per esempio, se il rapporto debito/capitale netto passasse dallo 0% al 10%, il


beta del capitale netto diverrebbe

Beta levered(10% D/E) = 1,2849 × (1 + (1 – 0,36) (0,10)) = 1,37

Se il rapporto debito/capitale netto salisse al 25%, il beta del capitale netto


sarebbe
Beta levered (25% D/E) = 1,2849 × (1 + (1 – 0,36) (0,25)) = 1,49

La Tabella 4.3 mostra come il beta della Disney aumenterebbe al crescere della
leva finanziaria, da un debito zero a uno pari al 90%.

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete uno sprea-
dsheet che consente di stimare il beta unlevered di un’impresa e calcolare poi il beta
levered corrispondente a diversi livelli della leva finanziaria dell’azienda.

Una nota su rischio operativo e leva finanziaria


Come abbiamo visto, la leva finanziaria ha l’effetto di moltiplicare il rischio
operativo. Ci aspetteremmo perciò che imprese con un alto rischio operativo
siano più prudenti nell’indebitarsi, mentre imprese operanti in settori relati-

Cap4.p65 117 10/05/2001, 10.56


118 Capitolo 4

vamente stabili siano più propense a utilizzare la leva finanziaria. Un esempio


in tal senso sono le imprese di pubblici servizi (utilities), che storicamente hanno
avuto elevati rapporti di indebitamento, ma il cui beta è in genere abbastanza
basso, per via della stabilità del settore in cui esse operano.
La distinzione fra componente operativa e finanziaria del rischio ci aiuta a
capire che vi sono due possibili spiegazioni per un beta elevato: 1) l’impresa
opera in un settore ad alta rischiosità; 2) l’impresa opera in un settore relativa-
mente stabile ma utilizza un’elevata leva finanziaria.

In pratica
Le va finanziaria e beta
Leva
Per aziende altamente indebitate, il beta del capitale netto stimato attraverso
la regressione tende a essere di molto inferiore al beta calcolato inserendo
l’attuale rapporto debito/capitale netto nell’equazione per il beta levered ri-
portata nel paragrafo precedente. Questa differenza è attribuibile a uno o più
dei seguenti fattori:
1. Se il rapporto di indebitamento è stato modificato di recente, il beta stima-
to da una regressione dei rendimenti storici di un’azione sui rendimenti di
mercato sarà in “ritardo” rispetto al vero beta. Vale a dire che i rendimenti
utilizzati nella regressione riflettono la leva finanziaria media nel periodo
in questione, piuttosto che la leva finanziaria attuale. La soluzione a questo
problema è abbastanza semplice: ottenere il beta unlevered tramite il rap-
porto medio debito/capitale netto nel periodo della regressione, e poi rical-
colare il beta levered utilizzando il rapporto debito/capitale netto corrente.
2. L’ipotesi che il debito non sia soggetto al rischio di mercato porta a una
stima eccessiva del beta del capitale netto rispetto al vero beta. In realtà il
debito è soggetto al rischio di mercato, soprattutto nel caso di alti indici di
indebitamento. Questo problema può essere risolto stimando il beta del
debito e calcolando il beta del capitale netto utilizzando l’equazione così
modificata:

βL = βu(1+ (1 – t)(D/E)) – βD(1 – t)(D/E)

3. Il CAPM potrebbe non essere il “giusto” modello di rischio e rendimento,


nel qual caso il beta stimato potrebbe non riflettere la vera esposizione di
un titolo azionario al rischio-mercato.

Beta bottom-up
La scomposizione del beta nelle tre determinanti (settore di attività, leva ope-
rativa e leva finanziaria) suggerisce un metodo di stima alternativo che non

Cap4.p65 118 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 119

richiede la disponibilità di prezzi storici relativi all’impresa o all’investimento


di cui si vuole stimare il beta.
Per spiegare questo approccio alternativo dobbiamo prima introdurre un’al-
tra preziosa caratteristica del beta. Il beta dell’insieme di due attività è la me-
dia ponderata del beta di ciascuna attività, con i pesi proporzionali al loro va-
lore di mercato. Di conseguenza, il beta di un’impresa non è altro che la media
ponderata dei beta di ciascuna attività da essa svolta. Il beta bottom-up di un’im-
presa può quindi essere calcolato con questo procedimento:
1. Individuare le varie attività svolte dall’impresa.
2. Stimare il beta unlevered per ciascuna attività.
3. Calcolare il beta unlevered dell’azienda come media ponderata dei beta
unlevered delle varie attività, usando come pesi la percentuale del valore di
mercato dell’impresa rappresentata da ciascuna attività. Nel caso in cui i
valori di mercato non fossero disponibili, si può ricorrere al reddito opera-
tivo o al fatturato.
4. Calcolare l’indice di indebitamento dell’azienda, utilizzando i valori di mer-
cato di debito e capitale netto. In mancanza di valori di mercato, si può
ricorrere al livello target di indebitamento specificato dal management del-
l’azienda o all’indice medio di indebitamento del settore industriale in cui
opera l’azienda.
5. Stimare il beta levered dell’azienda a partire dal beta unlevered (calcolato
al punto 3) e dal livello di indebitamento (punto 4).
Chiaramente in questo processo è cruciale la capacità di stimare i beta unleve-
red delle singole attività. La Tabella 4.4 sintetizza la media di beta, indici di
indebitamento e beta unlevered per ciascun settore industriale negli Stati Uniti
(dati raccolti nel marzo 1997).

Tabella 4.4 Beta, rapporti debito/mezzi propri e beta unlevered per settori
industriali negli Stati Uniti: marzo 1997
Settore Beta Rapporto debito/mezzi propri Beta unlevered
Abbigliamento 0,89 25,33% 0,76
Acciaio (generico) 0,83 27,09% 0,70
Acciaio (integrato) 0,98 544,91% 0,73
Aerospazio/difesa 0,93 18,68% 0,83
Alluminio 0,99 38,16% 0,80
Ambiente 0,89 37,92% 0,72
Arredamento ufficio/casa 0,88 25,83% 0,75
Articoli per la casa 0,97 13,90% 0,89
Attività ricreative 0,89 22,59% 0,78
Autoveicoli 0,96 133,99 % 0,52
Banche (Canada) 0,77 27,62% 0,66
(continua)

Cap4.p65 119 10/05/2001, 10.56


120 Capitolo 4

Tabella 4.4 Beta, rapporti debito/mezzi propri e beta unlevered per settori
industriali negli Stati Uniti: marzo 1997 (seguito)
Settore Beta Rapporto debito/mezzi propri Beta unlevered
Banche (Estero) 0,78 48,02% 0,59
Banche (USA, Midwest) 0,73 29,26% 0,62
Banche 0,72 31,59% 0,60
Bevande (alcolici) 0,71 21,46% 0,62
Bevande (analcolici) 0,88 12,13% 0,82
Calzature 1,01 10,93 % 0,94
Carbone/energia alternativa 0,87 59,10% 0,63
Cementi e aggregati 0,83 18,54% 0,74
Chimico (di base) 0,89 23,85% 0,78
Chimico (diversificato) 0,85 25,76% 0,73
Chimico (specializzato) 0,89 16,83% 0,80
Computer e unità periferiche 1,33 14,20% 1,22
Computer software 1,30 3,96% 1,27
Contenitori 0,77 42,57% 0,61
Cosmetici 1,00 7,50% 0,95
Drogheria 0,78 37,97% 0,63
Editoria (quotidiani) 0,86 26,38% 0,73
Editoria 0,89 25,08% 0,77
Elettrodomestici 0,90 61,05% 0,65
Elettronica 1,07 14,67% 0,98
Elettronica/spettacolo (estero) 0,78 48,56% 0,59
Empori 0,84 18,46% 0,75
Energia (Canada) 0,75 43,80% 0,58
Energia elettrica (Costa
Occidentale) 0,73 90,90% 0,46
Energia elettrica (Costa
Orientale) 0,73 80,07% 0,48
Energia elettrica (Regione
Centrale) 0,70 91,49% 0,44
Fabbricazione di metalli 0,81 16,08% 0,73
Farmaceutico 1,28 8,48% 1,21
Forniture mediche 1,11 8,92% 1,05
Forniture per la vendita
al dettaglio 0,98 12,33% 0,90
Forniture per ufficio 1,04 34,10% 0,85
Gas naturale (distribuzione) 0,58 57,47% 0,,42
Gas naturale (diversificato) 0,82 47,99% 0,62
Giocattoli 0,84 10,52 % 0,79
Gomma e pneumatici 1,03 18,61 % 0,92

Cap4.p65 120 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 121

Hotel/gioco d’azzardo 1,07 33,14% 0,89


Impianti di semiconduttori 1,43 3,95% 1,39
Impianti di telecomunicazioni 1,28 6,27% 1,23
Impianti elettrici 0,98 9,39% 0,92
Imprese ferroviarie 1,01 35,06 % 0,83
Imprese marittime 0,86 103,19% 0,52
Industria edilizia 0,87 104,04% 0,52
Industria estrattiva oro/argento 0,62 10,33 % 0,59
Informazione sanitaria 1,22 1,38% 1,21
Ingrosso alimentare 0,77 46,13% 0,60
Intermediari finanziari 1,19 502,16% 0,28
Istituzioni di risparmio 0,86 194,62 0,38
Lavorazione dei cibi 0,74 23,05% 0,65
Leasing mezzi di trasporto 0,77 71,16% 0,53
Macchinari 0,85 30,25% 0,71
Materiali edilizi 0,89 26,07% 0,77
Metalli ed attività estrattiva
(diversificato) 0,80 28,59% 0,68
Petrolio (integrati) 0,72 19,73 % 0,64
Petrolio (produzione) 0,71 35,91% 0,58
Prodotti cartacei 0,84 61,73% 0,60
Pubblicità 0,85 10,74% 0,76
R.E.I.T. 0,69 109,42 % 0,40
Rame 0,90 48,18% 0,69
Ricambi di autoveicoli
(originali) 1,02 37,22% 0,82
Ricambi di autoveicoli
(sostitutivi) 0,80 37,88% 0,65
Ristorazione 1,06 18,85 % 0,95
Semiconduttori 1,45 4,41 % 1,41
Servizi di telecomunicazioni 1,08 341,12% 0,89
Servizi e impianti petroliferi 0,86 11,43% 0,80
Servizi finanziari 1,00 76,02% 0,68
Servizi industriali 0,86 26,79% 0,73
Servizi medici 1,06 23,61% 0,92
Servizi pubblici (estero) 1,00 37,16% 0,81
Società d’assicurazioni
(diversificate) 0,82 17,16% 0,74
Società d’assicurazioni
(ramo vita) 0,86 15,86% 0,78
Società d’investimento (estero) 0,64 8,70% 0,61
Società d’investimento (USA) 0,55 39,67% 0,44

(continua)

Cap4.p65 121 10/05/2001, 10.56


122 Capitolo 4

Tabella 4.4 Beta, rapporti debito/mezzi propri e beta unlevered per settori
industriali negli Stati Uniti: marzo 1997 (seguito)
Settore Beta Rapporto debito/mezzi propri Beta unlevered
Società diversificate 0,82 23,77% 0,71
Societaàd’assicurazioni
(ramo infortuni e patrimonio) 0,80 8,62% 0,76
Spettacolo 0,88 43,35 % 0,69
Strumenti di precisione 0,97 11,07% 0,91
Tabacco 0,99 27,75% 0,,84
Telecomunicazioni (estero) 0,94 26,35% 0,80
Tessile 0,79 70,29% 0,54
Trasporto aereo 1,20 93,17% 0,75
Trasporto e distribuzione acqua 0,56 109,80% 0,33
TV via cavo 1,03 125,37% 0,57
Vendita al dettaglio (prodotti
specializzati) 1,07 19,13% 0,95
Vendita al dettaglio 1,00 47,93 % 0,77

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, continuiamo ad aggior-
nare i dati della Tabella 4.4 per settore industriale negli Stati Uniti.

Esempio applicativo 4.5


La stima dei beta bottom-up di Disney
Disney,,
Bookscape, Ar acr
Aracr uz e Deutsche Bank
acruz
I beta delle nostre quattro aziende possono essere stimati con l’approccio
bottom-up utilizzando i beta medi dei settori in cui esse operano.

1. Beta bottom-up della Disney La Disney ha operato un cambiamento signifi-


cativo sia nella struttura finanziaria che in quella operativa nel periodo 1992-
1996. L’acquisizione di Capital Cities/ABC non solo ne ha rafforzato la pre-
senza nel settore televisivo, ma ne ha anche aumentato significativamente la
leva finanziaria, essendo stata finanziata prendendo in prestito circa 10 miliar-
di di dollari. Dal momento che questo è avvenuto tra il 1995 e il 1996, il beta
della regressione non riflette completamente gli effetti di questi cambiamenti.
Per stimare il beta attuale della Disney, ne suddividiamo l’attività in cinque
componenti principali32:

32 Nei propri bilanci la Disney presenta dati dettagliati per tre settori di attività: pro-
grammi di intrattenimento (che include la vendita al dettaglio), broadcasting e parchi di-
vertimenti (che include i beni immobili).

Cap4.p65 122 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 123

1. Programmi di intrattenimento, ovvero la produzione e acquisizione di pel-


licole per la distribuzione nei cinema, in televisione e nelle videoteche, e di
programmi per il mercato televisivo.
2. Vendita al dettaglio, che include circa 610 Disney Store dove vengono ven-
duti i prodotti Disney.
3. Broadcasting, che comprende le reti radiofoniche e televisive ABC, frutto
dell’acquisizione effettuata nel 1995. Inoltre, la Disney gioca un importante
ruolo nel settore della TV via cavo attraverso il Disney Channel, A & E e
ESPN (le ultime due ottenute con l’acquisizione della ABC).
4. Parchi di divertimento, come Disney World (a Orlando in Florida) e Disney
Land (ad Anaheim in California), e le royalties derivanti dalle partecipazio-
ni in Tokio Disneyland e Euro Disney. Gli hotel e ville che si trovano in tali
parchi divertimenti ne vengono considerati parte integrante, dal momento
che i loro incassi derivano quasi esclusivamente dai turisti che visitano i
parchi.
5. Beni immobili, sotto forma di club vacanze Disney (175 unità a Vero Beach
in Florida e 102 unità a Hilton Head nel South Carolina).
Ciascuna di queste attività ha un profilo di rischio diverso; come stima del
beta unlevered di ciascuna abbiamo utilizzato il beta unlevered medio di im-
prese operanti nello stesso settore. La Tabella 4.5 raccoglie i dati utilizzati a tal
fine e il calcolo del beta bottom-up. Il valore delle singole divisioni è stato sti-
mato utilizzando, per ciascuna, un diverso multiplo del reddito operativo, a
seconda del tipo di attività.33 A questo punto, abbiamo potuto calcolare il beta
unlevered della società Disney nel 1996 come media ponderata dei beta unle-
vered di ciascuna delle diverse aree di attività, usando come pesi la percentua-
le del valore complessivo di mercato rappresentata da ciascuna divisione.34 Il
beta unlevered della Disney risulta essere 1,0929 (ultima colonna della Tabel-
la 4.5).
Il beta del capitale netto può infine essere stimato utilizzando la leva finan-
ziaria attuale della Disney. Dato un valore di mercato del capitale netto pari a
circa 50 miliardi di dollari e un valore del debito pari a 11,18 miliardi di dollari,
arriviamo al beta attuale della Disney:

Beta del capitale netto della Disney = 1,09 [1+(1 – 0,36)(11,18/50)] = 1,25

33 Per ciascun settore industriale corrispondente alle attività svolte dalla Disney abbia-

mo calcolato il rapporto medio fra valore dell’azienda e reddito operativo (rapporto Valo-
re/EBIT). Tale rapporto è stato poi moltiplicato per il reddito operativo di ciascuna divisio-
ne per ottenere una stima del suo valore di mercato.
34 In alternativa all’approccio descritto nella nota precedente, avremmo pouto invece

utilizzare come pesi per la media ponderata la percentuale del reddito operativo comples-
sivo rappresentata da ciascuna divisione.

Cap4.p65 123 10/05/2001, 10.56


124 Capitolo 4

Tabella 4.5 La stima dei beta unlevered della Disney per area d’attività
Attività Valore stimato Aziende Beta Peso del valore Peso × Beta
(miliardi di $) simili unlevered della divisione
Programmi 22,167 Produttrici di film 1,25 35,71% 0,4446
di intrattenimento e programmi televisivi
Vendita al dettaglio 2,217 Rivenditori specializzati 1,5 3,57% 0,0536
di prodotti di fascia alta
Broadcasting 18,842 Società televisive 0,9 30,36% 0,2732
Parchi divertimenti 16,625 Parchi divertimenti 1,1 26,79% 0,2946
Beni immobili 2,217 Fondi comuni d’investi- 0,7 3,57% 0,0250
mento immobiliare spe-
cializzati in hotel e va-
canze
Azienda 62,068 100,00% 1,0929

Il valore ottenuto col metodo bottom-up è inferiore al beta di 1,40 ottenuto dalla
regressione e, a nostro parere, riflette in modo più preciso il rischio della Disney.

2. Beta botto-up di Bookscape Books Per la Bookscape Books, la nostra impresa


non quotata, non avevamo potuto stimare un beta tramite la regressione dal
momento che per essa non sono disponibili prezzi storici. Adesso, possiamo
però stimarne il beta utilizzando il procedimento bottom-up. Cominciamo
calcolando i beta e i rapporti debito/capitale netto di imprese quotate in Borsa
operanti nello stesso settore (Tabella 4.6):

Tabella 4.6 Beta e leva finanziaria di catene di librerie quotate


Nome Beta Rapporto Debito/ Capitalizzazione di mercato
Capitale Netto (milioni di $)
Barnes & Noble 1,10 23,31% 1416
Books-A-Million 1,30 44,35% 85
Borders group 1,20 2,15% 1706
Crown Books 0,80 3,03% 55
Media 1,10 18,21% 816

Notate che i rapporti debito/capitale netto sono basati sui valori di mercato e
che le imprese in questione sono molto più grandi di Bookscape Books. La
diversa dimensione delle imprese non dovrebbe di per sé avere delle implica-
zioni dirette sul beta; tuttavia può influenzarli indirettamente, dal momento
che le imprese di minori dimensioni tendono in genere ad avere una più ele-
vata leva operativa. Supponendo un’aliquota di imposta marginale del 36%, il
beta unlevered di Bookscape Books può essere calcolato come segue:

Beta unlevered = 1,10/(1+ (1 – 0,36) (0,1821)) = 0,99

Cap4.p65 124 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 125

Notate anche che i rapporti debito/capitale netto delle imprese comparabili


individuate sono basati su valori di mercato, mentre l’unico rapporto debito/
capitale netto che possiamo calcolare per la Bookscape è basato sui valori con-
tabili. Per il momento ipotizziamo che la Bookscape rientri nella media del set-
tore industriale in termini di indebitamento e che quindi il suo beta sia pari a
1,10. Torneremo su questo punto successivamente.

3. Beta bottom-up di Aracruz Cellulose Risulta difficile stimare il beta di Ara-


cruz se si rimane entro i confini del mercato brasiliano, per due motivi. In
primo luogo esistono relativamente poche aziende all’interno di questo mer-
cato che operano nello stesso settore della Aracruz (cioè la produzione di car-
ta e di pasta di cellulosa). In secondo luogo, sappiamo che i beta di tutte le
imprese brasiliane sono comunque inattendibili perché l’indice utilizzato per
calcolarli, il Bovespa, è dominato da Telebras.
Possiamo tuttavia rimediare in tre modi. Il primo è espandere la lista di
aziende comparabili includendo tutte le aziende che operano nel settore della
produzione di carta o di prodotti cartacei nell’intera America Latina, e stimare
i loro beta medi e il rapporto debito/capitale proprio. Il problema è che così
facendo otteniamo si’ un numero più elevato di aziende comparabili, ma i beta
stimati per ciascuna di esse rimangono poco attendibili (gli indici di mercato
in questi Paesi hanno lo stesso problema del Bovespa). La seconda possibilità
è utilizzare società statunitensi che operano nel settore della produzione e
lavorazione della carta. In questo modo, oltre ad aumentare il numero di aziende
comparabili, otterremo anche beta più affidabili. L’ultima possibilità è prende-
re in considerazione tutte le aziende produttrici di carta del mondo. Dal mo-
mento che i beta sono misure di rischio relativo, a nostro avviso, a parte alcu-
ne differenze sostanziali fra i diversi mercati in termini di struttura monopoli-
stica e grado di regolamentazione, risulta ragionevole confrontare i beta fra
diversi mercati. Nonostante tale gruppo risulti il più ampio, resta sempre il
problema che alcuni beta saranno stimati rispetto a indici locali poco rappre-
sentativi dell’intero mercato nazionale.

Aziende comparabili Beta medio Rapporto Debito/ Beta unlevered


Capitale Netto
America Latina (5) 0,70 65,00% 0,49
Stati Uniti (45) 0,85 35,00% 0,69
Mondo (187) 0,80 50,00% 0,61

Le aliquote d’imposta utilizzate sono state il 35% per le società dell’America


Latina, il 36% per quelle statunitensi e il 40% per quelle globali; il numero fra
parentesi si riferisce al numero di aziende. Per Aracruz utilizzeremo come beta
unlevered 0,61, vale a dire il beta unlevered medio di aziende produttrici di
carta e pasta di cellulosa nel mondo intero.

Cap4.p65 125 10/05/2001, 10.56


126 Capitolo 4

Prima di stimare il beta levered di Aracruz, un esame delle attività della


Aracruaz rivela che, oltre a operare nel settore della produzione della carta, la
Aracruz ha avuto nel 1995 un saldo di cassa di 800 milioni di real nel 1995, pari
a circa il 20% del valore dell’impresa. Dal momento che questo saldo di cassa
è di gran lunga superiore a quello delle aziende comparabili da noi individua-
te, e dal momento che il beta a esso relativo è zero, il beta unlevered di Ara-
cruz può essere così stimato:

Beta unlevered di Aracruz = (0,8) (0,61) + 0,2 (0) = 0,488

A qusto punto possiamo calcoalre il beta levered. La Aracruz nel 1997 aveva
un debito di 1,6 miliardi BR e un valore di mercato del capitale netto di 2,4
miliardi di real, per un rapporto debito/capitale netto del 66,67%. Consideran-
do un’aliquota d’imposta del 32%, il beta levered della Aracruz risulta essere:

Beta levered di Aracruz = 0,49 (1 + (1 – 0,32) (0,6667)) = 0,71

Calcolare il beta in seguito a ristrutturazioni


Il processo bottom-up per la stima del beta è un’ottima soluzione anche nel
caso in cui le aziende siano soggette a significative ristrutturazioni, che ne
modificano sia la struttura finanziaria che quella operativa. In questi casi il
beta ottenuto tramite la regressione, non riflettendo appieno gli effetti di tali
cambiamenti, sarebbe fuorviante. Il beta bottom-up della Disney, ad esempio,
sarà molto probabilmente più preciso rispetto a quello calcolato tramite la re-
gressione, a causa dell’acquisizione da parte della Disney di Capital Cities e
del concomitante incremento della leva finanziaria. Inoltre, utilizzando tale
approccio, il beta può essere calcolato anche prima che la ristrutturazione di-
venti effettiva, per stimarne l’impatto sul rischio. A titolo esemplificativo, nel
seguente Esempio applicativo, abbiamo stimato il beta della Disney prima e
dopo l’acquisizione di Capital Cities/ABC, tenendo conto così delle variazioni
nella leva finanziaria e nella struttura operativa.

In pratica
Debito “lor do” o debito “netto”?
“lordo”
Molti analisti sottraggono dal debito (lordo) le disponibilità liquide dell’azienda
ottenendo così un debito “netto”. Concettualmente non vi è nulla di sbaglia-
to, purchè venga poi utilizzato come beta unlevered per l’azienda il beta unle-
vered delle aziende comparabili, senza tenere conto delle disponibilità liqui-
de. Se usiamo il debito netto, perciò, il beta unlevered per Aracruz sarà il beta
unlevered del settore della carta (0,61) e il beta levered sarà stimato a partire
dal rapporto debito netto/capitale netto:

Cap4.p65 126 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 127

Rapporto debito netto (Debito lordo − disponibilità liquide)


= =
Capitale netto Valore di mercato del capitale netto

(1,6 − 0,8)
= = 33,33%
2,4

Beta levered di Aracruz = 0,61 (1+ (1 – 0,32) (0,3333)) = 0,75

La differenza rispetto al beta levered ottenuto col debito “lordo” (0,71) dipen-
de dal fatto che, nell’utilizzare il debito netto, si ipotizza implicitamente che il
beneficio fiscale associato al debito sia interamente neutralizzato dalle impo-
ste da pagare sugli interessi generati dalle disponibilità liquide. Come regola
pratica, sconsigliamo l’uso del debito netto se il tasso di interesse ottenuto
sulle disponibilità liquide è significativamente diverso da quello pagato sul
debito, oppure se il debito è molto rischioso (visto che il processo si basa sul-
l’assunto che tanto il debito quanto le disponibilità liquide siano esenti da
rischio).

4. Beta bottom-up della Deutsche Bank In Germania ci sono alcune banche che
possono essere considerate concorrenti della Deutsche Bank, sebbene nessu-
na di esse abbia pari dimensioni e svolga così intensamente attività di invest-
ment banking. Anche in questo caso, per stimare i beta, guarderemo a vari
mercati. Dal momento che le leggi che regolano l’attività bancaria statuniten-
se sono diverse da quelle di molti paesi dell’Europa occidentale, per stimare il
beta della divisione di commercial banking della Deutsche Bank faremo riferi-
mento ai beta di banche dell’Europa occidentale, mentre per stimare il beta
della divisione di investment banking (Morgan Grenfell) utilizzeremo i beta di
investment bank di Stati Uniti e Regno Unito. I risultati sono presentati di
seguito:

Aziende comparabili Beta medio


Banche commerciali tedesche 0,90
Banche di investimento inglesi e statunitensi 1,30

Notate che non teniamo conto delle differenze nella leva finanziaria, dal mo-
mento che vincoli normativi e tipo di attività impongono una leva finanziaria
elevata e simile per la maggior parte delle banche commerciali. Il beta della
Deutsche Bank può essere calcolato come media ponderata di questi due beta.
Assegnando un peso del 90% alla divisione di commercial banking e un peso
del 10% alla divisione di investment banking (in base al reddito ottenuto da
ciascuna divisione negli ultimi anni), otteniamo un beta del capitale netto del-
la Deutsche Bank pari a:

Cap4.p65 127 10/05/2001, 10.56


128 Capitolo 4

Beta della Deutsche Bank = 0,9 (0,9) + (0,1)(1,30) = 0,94

Tale beta cambierà nel tempo in base ai cambiamenti nel peso relativo delle
due attività svolte.

Esempio applicativo 4.6


Beta di un’azienda in seguito
a un’acquisizione: Disney/Capital Cities
Nel 1995 la Disney annunciò l’acquisizione di Capital Cities, proprietaria delle
reti televisive e radiofoniche ABC, a un prezzo di circa $ 120 per azione, finan-
ziando l’acquisizione in parte tramite l’emissione di obbligazioni per 10 mi-
liardi di dollari. All’epoca dell’acquisizione, la Disney aveva un valore di mer-
cato del capitale netto di 31,1 miliardi di dollari, un debito di 3,186 miliardi di
dollari e un beta di 1,15. La Capital Cities, in base al prezzo di $ 120 per azione
offerto da Disney, aveva un valore di mercato del capitale netto di 18,5 miliardi
di dollari, un debito di 615 milioni di dollari e un beta di 0,95.
Per valutare l’impatto dell’acquisizione sul beta della Disney, divideremo
l’analisi in due parti. Esamineremo dapprima gli effetti sul rischio operativo
(business risk) dell’azienda risultante dalla fusione, stimando i beta unlevered
delle due società e calcolando il beta unlevered della nuova società.

Beta unlevered della Disney = 1,15/(1 + 0,64 × 0,10) = 1,08


Beta unlevered di Capital Cities = 0,95/(1 + 0,64 × 0,03) = 0,93

Il beta unlevered dell’azienda risultante dalla fusione può essere calcolato come
media ponderata dei due beta unlevered, con pesi basati sui valori di mercato
delle due aziende (valore di mercato dell’azienda = valore di mercato del capi-
tale netto + debito):

Beta unlevered di Disney/Capital Cities = 1,08 (34286/53401) +


+ 0,93 (19115/53401) = 1,026

Esaminiamo poi gli effetti del finanziamento dell’acquisizione sul beta, calco-
lando il rapporto debito/capitale netto per l’azienda risultante dalla fusione,
includendo nel debito i 10 miliardi di dollari presi in prestito:

Debito = Debito di Capital Cities + Debito della Disney + Nuovo debito =


= 615 + 3186 + 10.000 = 13.801 milioni di dollari

Cap4.p65 128 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 129

Capitale netto = Capitale netto Disney + Nuovo capitale netto usato per
l’acquisizione = 31.100 + 8500 = 39.600 milioni di dollari

in cui

Nuovo capitale netto = Costo totale dell’acquisizione – Nuovo debito emesso


= 18.500 - 10.000 = 8.500 milioni di dollari

Il nuovo rapporto debito/capitale netto può essere quindi calcolato come


segue:

Debt/Equity Ratio = 13.801/39.600 = 34,85%

Tale rapporto debito/capitale netto, insieme al nuovo beta unlevered, fornisce


un nuovo beta per la Disney post-acquisizione:

Nuovo beta = 1,026(1 + (1 – 0,36) (0,3485)) = 1,25

Per pura coincidenza questo beta è esattamente uguale al beta bottom-up sti-
mato in precedenza.

Derivar
Derivaree il beta dai dati contabili
Un terzo approccio alla stima dei parametri di rischio consiste nell’utilizzare
gli utili contabili piuttosto che i prezzi di mercato. In particolare, si può effet-
tuare una regressione delle variazioni negli utili dell’azienda (o di una divisio-
ne aziendale), su base annuale o trimestrale, rispetto alle variazioni degli utili
del mercato nello stesso arco di tempo, per giungere a una stima del beta da
inserire nel CAPM.
Tale approccio può essere fuorviante per tre motivi. Innanzitutto i valori
contabili tendono a “smorzare” la vera volatilità dei fondamentali dell’azien-
da, spingendo verso il basso il beta di aziende a elevata rischiosità e verso
l’alto quello di aziende a bassa rischiosità. In altri termini, se si utilizza questo
approcio, i beta di tutte le aziende vengono spinti verso 1.
In secondo luogo, gli utili contabili possono essere influenzati da fattori
non operativi, quali variazioni nei metodi contabili relativi ad ammortamento
o magazzino e l’allocazione delle spese generali fra le varie divisioni. Infine,
dati sugli utili contabili sono disponibili con scadenza trimestrale (o spesso
solo annuale). Il basso numero di osservazioni che ne consegue riduce l’atten-
dibilità dei risultati della regressione.

Cap4.p65 129 10/05/2001, 10.56


130 Capitolo 4

Esempio applicativo 4.7


La stima dei beta a partir
partiree da dati contabili:
la Bookscape Books
Nonostante si tratti di un’impresa non quotata, la Bookscape Books esiste dal
1980 e dati relativi agli utili contabili sono disponibili a partire da quella data.
Nella Tabella 4.7 sono elencati le variazioni percentuali degli utili contabili
della Bookscape Books e per la S&P 500 anno per anno a partire dal 1980. Il
risultato della regressione delle variazioni dei profitti della Bookscape rispetto
a quelli delle aziende S&P 500 è il seguente:

Variazione degli utili di Bookscape = 0,09 + 0,8 (Variazione degli utili S&P 500)

Secondo questa regressione, il beta (del capitale netto) della Bookscape è 0,8.
Per calcolarlo, abbiamo utilizzato gli utili netti di esercizio. Per stimare l’equi-
valente di un beta unlevered, si dovrebbe invece utilizzare il reddito operativo,
sia per Bookscape che per l’S&P 500.

Tabella 4.7 Profitti di Bookscape e di S&P 500


Anno S&P 500 Bookscape
1980 –2,10% 3,55%
1981 –6,70% 4,05%
1982 –45,50% –14,33%
1983 37,00% 47,55%
1984 41,80% 65,00%
1985 –11,80% 5,05%
1986 7,00% 8,50%
1987 41,50% 37,00%
1988 41,80% 45,17%
1989 2,60% 3,50%
1990 –18,00% –10,50%
1991 –47,40% –32,00%
1992 64,50% 55,00%
1993 20,00% 31,00%
1994 25,30% 21,06%
1995 15,50% 11,55%
1996 24,00% 19,88%

Cap4.p65 130 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 131

Perché non calcolare il beta a partire dai dati contabili anche per le altre aziende?
Dal punto di vista tecnico, non ci sono motivi per cui non potremmo stima-
re i beta “contabili” (accounting beta) della Disney, della Aracruz Cellulose e
della Deutsche Bank. Invero, per la Disney abbiamo dati trimestrali, il che au-
menta il numero delle osservazioni nella regressione. Possiamo anche stimare
i beta contabili per ciascuna divisione, dal momento che la Disney riporta l’utile
conseguito da ciascuna di esse. Ma preferiamo non farlo per i seguenti motivi:
1. Per ottenere un numero sufficiente di osservazioni da inserire nella regres-
sione, dovremmo andare indietro nel tempo di almeno 10 anni. Ma il pro-
cesso di trasformazione di un’azienda in 10 anni è tale che il risultato avrebbe
scarso significato.
2. Le imprese quotate in Borsa tendono a smorzare gli utili contabili rispetto
ai “veri” utili ancor più di quanto non facciano quelle non quotate, spin-
gendo così il beta che ne risulterebbe verso 1.

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, trovate le variazioni per-
centuali degli utili dell’S&P 500 su base annuale a partire dal 1960.

In pratica
La stima dei beta di settor
settoree utilizzando dati
non di mer cato
mercato
I beta unlevered di settore utilizzati in precedenza erano stati stimati pren-
dendo la media dei beta storici delle aziende in ciascun settore, e rendendola
“unlevered” (tramite il rapporto medio debito/capitale netto del settore in que-
stione). Poichè tale approccio utilizza prezzi di mercato, esso non fornisce sti-
me attendibili nei mercati in cui l’informazione è insufficiente o molto impre-
cisa. Un approccio alternativo è quello di stimare il fatturato totale di ciascun
settore in ciascun periodo ed effettuare una regressione di questo fatturato di
settore rispetto al prodotto interno lordo totale dell’economia nello stesso arco
temporale. L’inclinazione della regressione misurerà la sensibilità di ciascun
settore alle oscillazioni dell’intera economia. Questo business risk beta potrà
poi essere utilizzato per ciascuna società che opera nel settore in questione,
insieme ai dati sulla leva finanziaria e operativa, per ottenere una stima del
beta del capitale netto della società.

Quale beta utilizzar e?


utilizzare?
Per la maggior parte delle imprese quotate i beta possono essere stimati utiliz-
zando i dati contabili (accounting beta), i dati di mercato (regression beta) o i
fondamentali (bottom-up beta), ottenendo risultati diversi. Come scegliere? Per

Cap4.p65 131 10/05/2001, 10.56


132 Capitolo 4

i motivi già descritti, a nostro avviso non si dovrebbero utilizzare mai i beta
derivati da dati contabili. Sconsigliamo inoltre di utilizzare il beta della regres-
sione (per una singola azienda) a causa dell’imprecisione della stima, della
inadeguatezza di molti indici locali (come nel caso della Aracruz e della Deu-
tsche Bank) e dell’incapacità delle regressioni di riflettere cambiamenti so-
stanziali nel rischio finanziario e operativo dell’azienda (come nel caso della
Disney). Dal nostro punto di vista, i beta bottom-up, stimati a partire dai fon-
damentali, forniscono la misura più precisa del beta perché:
1. Ci consentono di valutare gli effetti di variazioni nella struttura finanziaria
e operativa, anche in via preventiva.
2. Utilizzano beta medi di settore, che tendono a essere più precisi rispetto al
beta della regressione per una singola azienda.
3. Ci permettono di individuare i beta per ciascuna area di attività di un’azien-
da: questo risulta utile sia nell’analisi di un progetto d’investimento in sede
di valutazione di aziende o rami d’azienda.
Utilizzeremo dunque le seguenti stime fondamentali dei beta del capitale netto:
■ 1,25 per la Disney;
■ 1,10 per la Bookscape Books;
■ 0,71 per la Aracruz Cellulose;
■ 0,94 per la Deutsche Bank.

La stima del costo del capitale netto


Una volta stimati il tasso di rendimento di un investimento privo di rischio, il
premio o i premi di rischio e il o i beta, possiamo stimare il rendimento atteso di
un investimento azionario. Nel contesto del CAPM, il rendimento atteso sarà:

Rendimento atteso = Tasso privo di rischio + Beta × Premio di rischio atteso

in cui il tasso di rendimento di un investimento privo di rischio è rappresenta-


to da un titolo di Stato a lungo termine, il beta è quello stimato nella sezione
precedente e il premio di rischio è il premio storico o quello implicito.
Nel contesto dell’APM o del modello multifattoriale, il rendimento atteso sarà:

j=n
Rendimento atteso = Tasso privo di rischio + ∑β × Premio di rischio
j=1
j j

in cui il tasso di rendimento di un investimento privo di rischio è il tasso di un


titolo di Stato a lungo termine, βj è il beta dell’investimento relativo al fattore
j (stimato utilizzando dati storici o i fondamentali) e Premio di rischioj è il
premio di rischio relativo al fattore j (stimato sulla base di dati storici).

Cap4.p65 132 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 133

Il rendimento atteso di un investimento nelle azioni di una società, inteso


come remunerazione per il rischio, ha delle importanti implicazioni sia per gli
azionisti che per il management. Per gli azionisti il rendimento atteso rappre-
senta il compenso minimo che essi richiedono per assumersi il rischio di merca-
to (o rischio non diversificabile) investendo nella società. Se analizzando l’in-
vestimento essi giungono alla conclusione che esso non produrrà tale rendi-
mento, sceglieranno di non acquistare le azioni della società; se invece pense-
ranno di ricavarne un rendimento più alto, procederanno con l’acquisto.
Per il management dell’azienda, il rendimento richiesto dagli investitori
come remunerazione per il rischio diventa il rendimento che essi devono cer-
care di ottenere per soddisfare gli investitori stessi. Perciò, il rendimento atte-
so diventa per loro il rendimento minimo da ottenere con ciascun progetto
d’investimento intrapreso dall’azienda. In altri termini, tale rendimento atteso
va a rappresentare il costo del capitale netto (cost of equity) dell’azienda.

Esempio applicativo 4.8


La stima del costo del capitale netto
della Disney
Disney,, di Bookscape, di Ar acr
Aracr uz
acruz
e della Deutsche Bank.
Nell’analisi seguente stimeremo il costo del capitale netto di Disney, Booksca-
pe Books, Aracruz Cellulose e Deutsche Bank utilizzando il CAPM. Per fare
questo, useremo i beta bottom-up, dal momento che essi riflettono meglio la
vera rischiosità di tali aziende. Per le due aziende impegnate in vari settori
(Disney e Deutsche Bank), stimeremo inoltre il costo del capitale netto per
ciascuna divisione.

Attività Beta D/E Ratio Beta Tasso privo Premio Costo del
unlevered levered di rischio di rischio capitale netto
Programmi 1,25 20,92% 1,42 7,00% 5,50% 14,80%
di intrattenimento
Vendita al dettaglio 1,50 20,92% 1,70 7,00% 5,50% 16,35%
Broadcasting 0,90 20,92% 1,02 7,00% 5,50% 12,61%
Parchi divertimenti 1,10 20,92% 1,26 7,00% 5,50% 13,91%
Beni immobili 0,70 50,00% 0,92 7,00% 5,50% 12,08%
Disney 1,09 21,97% 1,25 7,00% 5,50% 13,85%
Bookscape 0,99 18% 1,10 7,00% 5,50% 13,05%
Aracruz 0,488 67% 0,71 5,00% 7,50% 10,33%
Banche commerciali 0,90 7,50% 5,50% 12,45%
Banche di investimento 1,30 7,50% 5,50% 14,65%
Deutsche Bank 0,94 7,50% 5,50% 12,67%

Cap4.p65 133 10/05/2001, 10.56


134 Capitolo 4

Notate che ciascuna divisione della Disney ha un diverso costo del capitale
netto, per via dei diversi beta unlevered. Per stimare il beta levered di ciascuna
divisione, dal momento che nessuna di esse si accolla direttamente debiti, uti-
lizziamo il rapporto debito/capitale netto (D/E ratio) complessivo della Di-
sney. Unica eccezione la divisione Beni immobili, che invece ha debiti sulle
varie proprietà immobiliari, per la quale utilizziamo un rapporto debito/capi-
tale netto a valore di mercato tratto da aziende comparabili.
Per stimare il costo del capitale netto, utilizziamo il tasso di un titolo a
lungo termine emesso dal governo statunitense per la Disney e per Bookscape
(ottenendo un costo del capitale netto in dollari nominali), il tasso di un titolo
a lungo termine emesso dal governo tedesco per la Deutsche Bank (ottenendo
un costo del capitale netto in marchi tedeschi nominali) e una stima del tasso
reale di rendimento di un investimento privo di rischio per la Aracruz (otte-
nendo un costo del capitale netto in real brasiliani).

I n pratica
Rischio, costo del capitale netto
e impr ese non quotate
imprese
Nell’utilizzare il beta come misura di rischio siamo partiti dall’ipotesi che l’in-
vestitore marginale detenga un portafoglio ampiamente diversificato. Tale ipo-
tesi è legittima per le imprese quotate, ma non per quelle non quotate. In
genere il proprietario di un’impresa non quotata investe in essa la maggioran-
za o la totalità del proprio patrimonio; di conseguenza, si preoccupa del ri-
schio totale dell’attività, piuttosto che del rischio di mercato. Perciò, per un’im-
presa come la Bookscape, il beta di 1,10 (e il conseguente costo del capitale
netto di 13,05%) sottostimerà il rischio a cui è esposto il proprietario dell’im-
presa. Tale problema può essere superato in tre modi:
1. Si può supporre che nei piani di breve termine dell’azienda vi sia un’offerta
pubblica di acquisto o la possibilità di essere venduta a una grande impresa
quotata in Borsa. In tal caso risulta ragionevole utilizzare il beta stimato e il
costo del capitale netto a esso relativo.
2. Si può aggiungere un premio al costo del capitale netto per riflettere il
maggior rischio dovuto all’impossibilità, da parte del proprietario, di rag-
giungere una piena diversificazione di portafoglio (questa chiave di lettura
aiuta a capire la ragione degli alti rendimenti che i fornitori di venture capi-
tal richiedono sul loro investimenti azionario).
3. Si può correggere il beta in modo che esso rifletta il rischio totale piuttosto
che solo il rischio di mercato. Tale correzione è abbastanza semplice, dal
momento che l’R quadrato della regressione misura la proporzione del ri-
schio rappresentata dal rischio-mercato.

Cap4.p65 134 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 135

Beta “totale” = Beta/R quadrato

Nell’esempio della Bookscape, in cui il beta è 1,10 e l’R quadrato medio per
aziende comparabili quotate in Borsa è 33%, questo porterà a una stima del
beta totale di 3,30 e dunque a un costo del capitale netto di 25,05%.

Dal costo del capitale netto


al costo del capitale
Nonostante il capitale netto rappresenti un ingrediente importante e indispen-
sabile della struttura finanziaria (capital structure), non è l’unico. Infatti molte
imprese finanziano la propria attività ricorrendo anche ad altre fonti di finan-
ziamento (quali debito e forme ibride di capitale netto e debito, come le obbli-
gazioni convertibili in azioni). Il costo di tali fonti di finanziamento, in genere
molto diverso rispetto al costo del capitale netto, verrà anch’esso riflesso nella
soglia di rendimento minimo. Così, il costo del capitale verrà a essere rappre-
sentato dalla media ponderata dei costi delle diverse fonti di finanziamento -
debito, capitale netto e titoli ibridi - utilizzate dall’azienda per finanziare la
propria attività.

Domanda di verifica 4.9


Tassi d’inter esse e costo r
d’interesse elativo di debito
relativo
e capitale netto
C’è chi sostiene che il debito risulti una fonte di finanziamento preferibile al
capitale netto nel momento in cui i tassi di interesse scendono, e viceversa. È
vero? Motivare la risposta.

Il calcolo del costo del debito


Il costo del debito (cost of debt) misura il costo che l’azienda deve sostenere al
momento per prendere in prestito fondi necessari a finanziare l’attività opera-
tiva. In generale, esso dipende dalle seguenti variabili:
1. Il livello attuale dei tassi di interesse: all’aumentare dei tassi di interesse
corrisponderà anche un incremento del costo del debito per le aziende.
2. Il rischio di insolvenza della società: all’aumentare del rischio di insol-
venza (default risk) dell’azienda corrisponderà anche un incremento dei
costi per prendere in prestito fondi. Un metodo per misurare il rischio di
insolvenza è quello di ricorrere al rating obbligazionario dell’azienda: un

Cap4.p65 135 10/05/2001, 10.56


136 Capitolo 4

rating migliore implica un tasso di interesse minore, mentre un rating peg-


giore implica un tasso di interesse maggiore. Se non è disponibile il rating
obbligazionario, come nel caso di molti mercati diversi da quello statuni-
tense, una buona approssimazione del rischio di insolvenza dell’azienda è
il tasso recentemente pagato dall’azienda per ottenere fondi in prestito.
3. Il beneficio fiscale associato al debito: dal momento che gli interessi sono
deducibili a fini fiscali, il costo del debito al netto delle imposte (after-tax
cost of debt) sarà una funzione dell’aliquota d’imposta. Il beneficio fiscale
ovviamente rende il costo del debito al netto delle imposte inferiore al co-
sto del debito al lordo delle imposte.

Costo del debito al netto di imposte = Costo del debito al lordo di imposte ×
(1 – aliquota d’imposta)

Domanda di verifica 4.10


Costo del debito e del capitale netto
Esiste un momento nel ciclo di vita di un’azienda in cui è concepibile che il
costo del capitale netto sia inferiore al costo del debito?

Esempio applicativo 4.9


La stima del costo del debito di Disney
Disney,,
Bookscape, Ar acr
Aracr uz
acruz e Deutsche Bank
Per stimare il costo del debito delle nostre aziende utilizzeremo diversi meto-
di: per la Disney e per la Deutsche Bank partiremo dal rating obbligazionario
attuale per arrivare a definire un “tasso di interesse di mercato” al quale cia-
scuna impresa può prendere in prestito fondi; per la Bookscape stimeremo il
costo del debito in base al tasso al quale essa può prendere in prestito fondi da
una banca locale; infine per la Aracruz utilizzeremo un indice di copertura
degli oneri finanziari (interest coverage ratio) per stimare un “rating sintetico”
attraverso il quale giungeremo poi a stimare il costo del debito.
Il rating attuale della Disney è AA, cui è associato uno scarto di interesse di
50 punti base sul tasso dei Treasury Bond; il rating della Deutsche Bank è AAA,
cui è associato uno scarto di interesse di 20 punti base sul tasso dei titoli di
Stato emessi dal governo tedesco. La Bookscape deve far fronte a un tasso
superiore dell’1% al tasso dei Treasury Bonds (dato ottenuto sulla base dei
tassi richiesti dalle banche ad aziende simili a Bookscape in termini di solidità
finanziaria). Il rating stimato per la Aracruz in base al suo indice di copertura

Cap4.p65 136 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 137

degli oneri finanziari all’inizio del 1996 è AA, corrsipondente a uno scarto di
interesse di 50 punti base sul tasso reale privo di rischio.

Attività Metodo Tasso Aliquota Costo del debito


di interese d’imposta al netto
delle imposte
Programmi Rating obbligazionario 7,50% 36% 4,80%
di intrattenimneto
Vendita al dettaglio Rating obbligazionario 7,50% 36% 4,80%
Broadcasting Rating obbligazionario 7,50% 36% 4,80%
Parchi divertimenti Rating obbligazionario 7,50% 36% 4,80%
Beni immobili Rating obbligazionario 7,50% 36% 4,80%
Disney Rating obbligazionario 7,50% 36% 4,80%
Bookscape Prestito recente 8,00% 42% 4,64%
Aracruz Rating sintetico 5,50% 32% 3,74%
Banche commerciali Rating obbligazionario 7,70% 45% 4,24%
Banche Rating obbligazionario 7,70% 45% 4,24%
d’investimento
Deutsche Bank Rating obbligazionario 7,70% 45% 4,24%

Notate che il costo del debito al netto d’imposta è molto più basso rispetto al
costo del capitale netto per ciascuna delle società.

Che cosa il costo del debito non compr ende


comprende
Quando le aziende prendono in prestito denaro, spesso lo fanno a tassi fissi.
In particolare, nel caso in cui l’azienda emetta obbligazioni, questo tasso fis-
sato al momento dell’emissione viene chiamato coupon (tasso di interesse
nominale). Il costo del debito non corrisponde al tasso di interesse nominale
sulle obbligazioni che l’azienda ha in circolazione, nè al tasso cui l’azienda
poteva prendere fondi in prestito nel passato. Nonostante questi elementi si-
ano utili se uno vuole stimare gli interessi da pagare nel corso dell’anno, essi
non determinano il costo del debito. Perciò una società che riporti nei propri
bilanci debiti contratti quando i tassi di interesse erano bassi non può soste-
nere che essa possiede un basso costo del debito se il livello generale dei tassi
di interesse o il suo rischio di insolvenza è nel frattempo aumentato.

Il calcolo del costo delle azioni privilegiate


Le azioni privilegiate (preferred stock) condividono alcune caratteristiche del
debito (il dividendo pagato sulle azioni privilegiate viene fissato prima del-
l’emissione e ha precedenza sul dividendo ordinario) e alcune caratteristiche
del capitale netto (i pagamenti del dividendo privilegiato non sono deducibili

Cap4.p65 137 10/05/2001, 10.56


138 Capitolo 4

a fini fiscali). Assimilando l’azione privilegiata a una rendita perpetua, il costo


delle azioni privilegiate può essere così calcolato:

Dividendo sull’azione privilegiata


k ps =
Prezzo di mercato dell’azione privilegiata

Questo approccio ipotizza che il dividendo sia costante in termini nominali


per sempre e che l’azione privilegiata non abbia caratteristiche particolari (con-
vertibilità, riscattabilità ecc.). Se ve ne fossero, dovranno essere valutate sepa-
ratamente al fine di ottenere una valida stima del costo dell’azione privilegia-
ta. In termini di rischio, l’azione privilegiata è meno rischiosa rispetto all’azio-
ne ordinaria, ma più rischiosa rispetto alle obbligazioni. Di conseguenza, al
lordo d’imposta, essa dovrebbe avere un costo maggiore rispetto al debito e
minore rispetto al capitale netto.

Domanda di verifica 4.11


Perchè le società emettono azioni privilegiate?
erchè
Quali delle seguenti sono ragioni valide per emettere azioni privilegiate?
■ Le azioni privilegiate costano meno del capitale netto.
■ Le azioni privilegiate sono trattate alla stregua del capitale netto dalle agen-
zie di rating
■ Le azioni privilegiate costano meno del debito
■ Altro
Motivare la risposta.

Esempio applicativo 4.10


Il calcolo del costo delle azioni privilegiate:
Gener
Generalal Motors Co.
A marzo del 1995 la società General Motors aveva azioni privilegiate che di-
stribuivano un dividendo di $ 2,28 all’anno e avevano un prezzo di mercato di
$ 26,38. Il costo delle azioni privilegiate può essere stimato in questo modo:

Costo azioni privilegiate = Dividendo privilegiato/Prezzo azione privilegiata


= $ 2,28/$ 26,38 = 8,64%

Cap4.p65 138 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 139

Allo stesso tempo, il costo del capitale netto della General Motors, utilizzando
il CAPM, era del 13%, il costo del debito al lordo d’imposta dell’8,25% e il
costo del debito al netto d’imposta del 5,28%. Non sorprende che le azioni
privilegiate fossero meno costose del capitale netto, ma più costose del debito.

Calcolo del costo di altri titoli ibridi


In generale, i cosiddetti titoli ibridi (hybrid securities) condividono alcune ca-
ratteristiche sia del debito che del capitale netto. Un buon esempio sono le
obbligazioni convertibili, una sorta di combinazione di un’obbligazione ordi-
naria (debito) e di una opzione di conversione (capitale netto). Invece di cal-
colare direttamente il costo di tali titoli ibridi, conviene suddividerli nelle ri-
spettive componenti di debito e capitale netto e trattarle separatamente.

Esempio applicativo 4.11


Scomposizione di un’obbligazione conv ertibile
convertibile
nelle componenti di debito e capitale netto:
la Unisys Corp.
Alla fine del 1992, la società Unisys aveva un’obbligazione convertibile con
tasso dell’8,25%, scadenza nel 2000 e un valore di mercato di $ 1400. A quel
tempo la Unisys aveva in circolazione anche obbligazioni ordinarie, con iden-
tica scadenza, il cui prezzo di mercato nel dicembre 1992 implicava un rendi-
mento (yield) dell’8,4%. L’obbligazione convertibile può essere dunque de-
composta nelle componenti di debito (obbligazione ordinaria) e di capitale
netto (opzione di conversione):

Componente obbligazione
ordinaria = Valore di un’obbligazione ordinaria a 8 anni
(scadenza 2000), coupon dell’8,25%
e rendimento dell’8,40%
= $ 991,50
Opzione di conversione = $ 1400 – $ 991,50
= $ 408,50

La componente simile a un’obbligazione ordinaria, pari a 991,50 dollari, può


essere trattata come debito, mentre l’opzione di conversione di 408,50 dollari
può essere trattata come capitale netto.

Cap4.p65 139 10/05/2001, 10.56


140 Capitolo 4

Domanda di verifica 4.12


Incr ementi dei pr
Incrementi ezzi azionari
prezzi
e obbligazioni conv ertibili
convertibili
All’aumentare dei prezzi azionari, che cosa succede alle obbligazioni converti-
bili? (puoi scegliere più di una risposta)
■ Il valore dell’obbligazione convertibile aumenterà.
■ Diminuirà il valore della componente obbligazione ordinaria dell’obbliga-
zione convertibile.
■ Aumenterà la percentuale del valore totale dell’obbligazione convertibile
rappresentata dalla componente di capitale netto.
■ Aumenterà la percentuale del valore totale dell’obbligazione convertibile
rappresentata dalla componente obbligazione ordinaria.
Motivare la scelta.

Calcolo dei pesi delle componenti debito


e capitale netto
I pesi assegnati a capitale netto e debito nel calcolo della media ponderata del
costo del capitale devono essere basati sul valore di mercato e non su quello
contabile. Il motivo è che il costo del capitale misura il costo di emettere titoli
(sia azioni che obbligazioni) per finanziare progetti, e che tali titoli vengono
emessi al valore di mercato e non a quello contabile.
Sono state avanzate tre critiche all’utilizzo del valore di mercato, ma nes-
suna di esse risulta convincente. La prima afferma che il valore contabile è più
affidabile rispetto al valore di mercato perché molto meno volatile. Ma il fatto
che il valore di mercato sia più volatile rappresenta semmai un punto a suo
favore, dal momento che anche il “vero” valore dell’azienda cambia continua-
mente nel tempo via via che arrivano nuove informazioni relative all’azienda
e al mercato35. In secondo luogo, è stato detto che l’utilizzo del valore contabi-
le rispetto al valore di mercato rappresenta un approccio più conservatore per
la stima degli indici di indebitamento. Tale affermazione si basa sull’assunto
che gli indici di indebitamento basati sul valore di mercato siano sempre infe-
riori agli indici di indebitamento basati sul valore contabile, un’ipotesi priva di

35 Alcuni sostengono che i prezzi azionari siano molto più volatili del “vero” valore che
dovrebbero riflettere. Anche nel caso in cui tale affermazione fosse vera (il che non è an-
cora stato provato), il valore di mercato rappresenterà comunque una migliore approssi-
mazione del vero valore di un’azienda rispetto al suo valore contabile.

Cap4.p65 140 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 141

riscontro empirico. Inoltre, anche se così fosse, il costo del capitale calcolato
utilizzando indici di indebitamento basati sul valore contabile sarà minore del
costo del capitale calcolato utilizzando rapporti basati sul valore di mercato;
questo implica delle stime meno – e non più – prudenti36. La terza affermazio-
ne è che le istituzioni che prestano fondi non lo fanno sulla base del valore di
mercato; tuttavia, anche questa affermazione non trova riscontro nei fatti37.

In pratica
La stima dei valori di mer cato di debito
mercato
e capitale netto
Il valore di mercato del capitale netto è ottenuto moltiplicando il numero di
azioni in circolazione per il prezzo azionario corrente. Se in circolazione ci
sono azioni di più di una classe, il capitale netto è dato dalla somma del valore
di mercato di tutti questi titoli. Infine, se ci sono titoli azionari di altro tipo,
come warrant e opzioni di conversione, essi devono pure essere valutati e in-
clusi nel valore del capitale netto dell’impresa.
Di solito è molto più difficile ottenere direttamente il valore del debito,
visto che pochissime aziende hanno tutto il loro debito sotto forma di obbli-
gazioni in circolazione nel mercato. Molte di esse hanno invece debito non
negoziato sul mercato, come il debito verso le banche, specificato in termini di
valore contabile e non di mercato. Un modo semplice per convertire il debito
basato sul valore contabile in debito basato sul valore di mercato consiste nel
trattare il debito totale dei libri contabili alla stregua di un’obbligazione con
coupon, utilizzando come coupon gli interessi passivi complessivamente pa-
gati sull’intero debito e come scadenza la media ponderata della scadenza dei
vari debiti (utilizzando come pesi il valore nominale di ciascuno); a questo
punto, si può valutare questa “pseudo” obbligazione al costo attuale del debi-
to per la società. Ad esempio, se il costo del debito attuale è 7,5%, il valore di

36 Per capire questo punto, supponiamo che l’indice di indebitamento basato sul valore
di mercato sia 10%, mentre l’indice di indebitamento basato sul valore contabile sia 30%,
per un’azienda con costo del capitale netto del 15% e costo del debito al netto d’imposta
del 5%. Il costo del capitale sarà calcolato così:
Con indici di indebitamento basati sul valore di mercato: 15% (0,9) + 5% (0,1) = 14%
Con indici di indebitamneto basati sul valore contabile: 15% (0,7) + 5% (0,3) = 12%
37 Qualsiasi proprietario di un’abitazione che ha messo una seconda ipoteca su una casa

il cui valore è aumentato sa bene che coloro che prestano fondi tengono conto del valore
di mercato. È vero tuttavia che più il valore di mercato di un’attività è percepito come
volatile, minore sarà la sua capacità di fungere da garanzia.

Cap4.p65 141 10/05/2001, 10.56


142 Capitolo 4

mercato di un debito di 1 miliardo di dollari, con interessi passivi che ammon-


tano a 60 milioni di dollari e con scadenza di sei anni, sarà:

 (1 1 
 − (1,075)6  1000
Valore di mercato del debito = 60  + = $ 930 milioni
 0,75  (1,075)6

Esempio applicativo 4.12


Dif fer
Differ enza fr
ferenza a gli indici di indebitamento
fra
basati sul valor
valoree di mer cato
mercato
e sul valor
valoree contabile: Disney
Disney,, Bookscape,
Ar acr
Aracr
acruzuz e Deutsche Bank
In questo esempio applicativo compariamo i valori contabili di debito e capi-
tale netto delle nostre quattro aziende con i rispettivi valori di mercato. Per
tutte le aziende, tranne che per Bookscape, il valore di mercato del capitale
netto è stato stimato utilizzando il prezzo di mercato corrente e il numero di
azioni in circolazione. Per ciascuna azienda, il valore di mercato del debito è
stato stimato come nell’esempio sopra, a partire dal suo valore contabile, dal
suo costo al lordo delle imposte, dalla sua scadenza media e dagli interessi
passivi a esso associati. Per la Disney, il valore contabile del debito ammonta a
12.342 milioni di dollari, gli interessi passivi a 479 milioni di dollari, la scaden-
za media del debito è tre anni e il costo del debito al lordo d’imposta è 7,50%.
Il valore di mercato è dunque:

 1 
 (1 − (1,075)3  12.342
Stima del valore di mercato del debito Disney = 479  + =
 0,75  (1,075)3
= $ 11.180 milioni

Il valore di mercato del debito di Aracruz e della Deutsche Bank può essere
stimato in modo simile. Nonostante nei libri contabili della Bookscape non
figurino debiti, essa ha un impegno finanziario di 500.000 dollari all’anno per
i dieci anni a venire in connessione a un leasing operativo. Questo impegno
finanziario può essere convertito in un ammontare di debito equivalente attualiz-
zando 500.000 dollari a un tasso pari al costo del debito della Bookscape (8%):

 1 
 (1 − (1,08)10 
Stima del valore di mercato del debito Bookscape = 500.000   = $ 3,36 milioni
 0,8 

Cap4.p65 142 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 143

Nella tabella seguente sono raccolti gli indici di indebitamento basati sul valo-
re contabile e di mercato per le nostre quattro imprese:

Valore contabile Valore di mercato

Debito Capitale Debt/ Debito Capitale Debt/


netto (Debt+Equity) netto (Debt+Equity)
Disney 12.342 16.086 43,41% 11.180 $50.297 18,19%
Bookscape – 6 0,00% 3,36 Nd Nd
Aracruz 1581 2284 40,90% 1528 2001 43,17%
Deutsche Bank 110.111 30.295 78,42% 110.111 62.695 63,72%

Per la Disney e la Deutsche Bank, i cui valori di mercato eccedono di molto i


valori contabili, l’indice di indebitamento basato sul valore di mercato è di
molto inferiore a quello basato sul valore contabile. Per Aracruz succede esat-
tamente il contrario, dal momento che il valore di mercato del capitale netto è
inferiore al valore contabile del capitale netto. Per Bookscape, non essendoci
un valore di mercato del capitale netto, utilizzeremo un indice medio di inde-
bitamento basato su altre aziende nello stesso settore, pari al 15,40%.

La stima del costo del capitale


Il costo del capitale (cost of capital) è definito come la media ponderata del
costo di ciascuna delle tre fonti di finanziamento: il costo del capitale netto
(ke), che riflette la rischiosità dell’investimento azionario nell’impresa, il costo
del debito al netto d’imposta (kd), che riflette il rischio di insolvenza dell’im-
presa e i benefici fiscali associati alla deducibilità degli interessi passivi, e il
costo delle azioni privilegiate (kps), che ne riflette la rischiosità intermedia fra
debito e capitale netto. I pesi di ciascuna componente dovrebbero essere in
proporzione al loro valore di mercato, dal momento che queste proporzioni
riflettono il modo in cui l’impresa finanzia la propria attività. Perciò se E, D e
PS stanno rispettivamente per il valore di mercato del capitale netto, del debi-
to e delle azioni privilegiate, il costo del capitale sarà:

Costo del capitale = ke [E/(D + E + PS)] + kd [D/(D + E + PS)] + kps [PS/(D + E +PS)]

L’importanza del costo del capitale


Il costo del capitale è una misura composita del costo che l’impresa deve sop-
portare per raccogliere fondi. Nel valutare un progetto, il costo del capitale
rappresenta la soglia minima di rendimento accettabile sull’intero capitale in-
vestito nel progetto. In precedenza abbiamo osservato che anche il costo del
capitale netto (cost of equity) può essere utilizzato come soglia minima di rendi-

Cap4.p65 143 10/05/2001, 10.56


144 Capitolo 4

mento. In tal caso, però, esso andrà confrontato con il rendimento atteso sul
capitale netto investito nel progetto.
Va notato che finora abbiamo calcolato il costo del capitale sulla base della
struttura finanziaria in essere. È possibile però che, modificando la struttura
finanziaria, un’azienda riesca a far scendere il proprio costo del capitale, con
immediati benefici: infatti, non solo verrebbe abbassata la soglia minima di
rendimento per i progetti da intraprendere in futuro, ma aumenterebbe anche
il valore dei progetti già intrapresi, visto che la differenza fra il loro rendimen-
to attuale e il costo del capitale sarebbe più elevata. Torneremo su questo ar-
gomento ampiamente nel corso del Capitolo 8.

Esempio applicativo 4.13


La stima del costo del capitale di Disney
Disney,,
Bookscape, Ar acr
Aracr uz e Deutsche Bank
acruz
Per terminare l’analisi effettuata in questo capitolo, presentiamo la stima dei
costi del capitale per ciascuna divisione della Disney, per Bookscape, per Ara-
cruz Cellulose (in termini reali) e per la Deutsche Bank:

Attività E/(D + E) Costo del D/(D + E) Costo del debito Costo


capitale netto al netto d’imposta del capitale
Programmi 82,7% 14,80% 17,30% 4,80% 13,07%
di intrattenimento
Vendita al dettaglio 82,7% 16,35% 17,30% 4,80% 14,36%
Broadcasting 82,7% 12,61% 17,30% 4,80% 11,26%
Parchi divertimenti 82,7% 13,91% 17,30% 4,80% 12,32%
Beni immobili 66.67% 12,08% 33,33% 4,80% 9,65%
Disney 81,99% 13,85% 18,01% 4,80% 12,22%
Bookscape 84,60% 13,05% 15,40% 4,64% 11,75%
Aracruz 56,83% 10,33% 43,17% 3,74% 7,48%
Banche commerciali 36,28% 12,45% 63,72% 4,24% 7,22%
Banche d’investimento 36,28% 14,65% 63,72% 4,24% 8,01%
Deutsche Bank 36,28% 12,67% 63,72% 4,24% 7,30%

I dati riportati in questa tabella rappresentano le soglie minime di rendimento


da utilizzare nell’analisi dei progetti d’investimento. Ad esempio, perché vi sia
creazione di valore per la Disney, un progetto cinematografico (che rientra
nell’ambito della divisione Programmi di intrattenimento) richiederà un ren-
dimento dell’intero capitale in esso investito pari almeno al 13,07% o, in alter-
nativa, un rendimento del capitale netto in esso investito pari almeno al 14,80%.

Cap4.p65 144 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 145

Riepilogo
In questo capitolo viene descritto il processo di stima dei tassi di attualizza-
zione nell’ambito dei modelli di rischio e rendimento descritti nei capitoli pre-
cedenti:
■ Il costo del capitale netto può essere stimato utilizzando i modelli di ri-
schio e rendimento: il CAPM, in cui il rischio viene calcolato rispetto a un
unico fattore di mercato; l’APM, in cui il costo del capitale netto riflette la
sensibilità a molteplici fattori economici non specificati; il modello multi-
fattoriale, in cui come misura del rischio viene utilizzata la sensibilità a va-
riabili macroeconomiche.
■ Sia nel CAPM che nell’APM gli input necessari sono il tasso di rendimento
di un investimento privo di rischio, il premio di rischio e il beta (nel CAPM)
o i beta (nell’APM). Il beta viene di solito stimato utilizzando i dati storici
relativi ai prezzi; nel caso di imprese non quotate, esso può essere stimato
a partire da imprese quotate operanti nello stesso settore.
■ Anche se i beta possono essere calcolati a partire da dati storici non va
dimenticato che essi sono determinati dalle politiche intraprese dall’azien-
da in termini di struttura finanziaria e operativa.
■ Il costo del capitale è la media ponderata dei costi delle diverse fonti di
finanziamento; i pesi si basano sui valori di mercato di ciascuna compo-
nente. Il costo del debito è il tasso di mercato a cui l’impresa può prendere
in prestito fondi, corretto per eventuali benefici fiscali.
■ Il costo del capitale è la soglia minima di rendimento accettabile (hurdle
rate) da utilizzare per decidere se investire o meno in un progetto.

Esercizi
Esercizi
1. Hai il compito di stimare il tasso nominale di d. Il tasso di crescita reale a lungo termine del-
rendimento di un investimento privo di rischio l’economia cilena.
da inserire nel CAPM per una socieà cilena. e. Il tasso al quale le società cilene più grandi e
Quale dei seguenti tassi è quello più appro- solide possono prendere in prestito fondi in
priato? pesos a lungo termine.
a. Il tasso dei titoli di Stato a breve termine 2. Le seguenti domande mirano a illustrare quan-
emessi dal governo cileno e denominati in to sia importante nella stima del rischio da qua-
dollari statunitensi. le punto di vista lo si consideri:
b. Il tasso dei titoli di Stato a lungo termine A. Ipotizza di possedere e voler vendere
emessi dal governo cileno e denominati in un’azienda non quotata, per la quale vi sono
dollari statunitensi. due potenziali acquirenti: un imprenditore
c. Il tasso dei titoli di Stato a breve termine privato e una società quotata in Borsa. Chi
emessi dal governo cileno e denominati in pensi che finirà per offrirti un prezzo più alto?
pesos cileni. a) L’imprenditore privato

Cap4.p65 145 10/05/2001, 10.56


146 Capitolo 4

b) La società quotata in Borsa c. Aziende gestite da un valido management


c) L’informazione non è sufficiente team e per le quali l’informazione rilevan-
te è facilmente accessibile e può essere
B. Dato che un singolo (quale l’imprenditore
compresa senza conoscenze specializzate.
privato nella domanda A) è di solito meno di-
versificato degli investitori in società quotate, E. Supponiamo che tu sia titolare di un’impresa
in quali circostanze egli potrebbe offrire un non quotata. Punteresti a massimizzare il va-
prezzo più alto per comprare la tua azienda? lore dell’attività per te come investitore indi-
viduale o per il potenziale miglior acquirente
a. Sotto la sua gestione, l’azienda potrà ge-
(che potrebbe essere una società quotata)?
nerare flussi di cassa maggiori che se ve-
nisse a far parte di una società quotata. a. Per me come investitore individuale.
b. In quanto investitore specializzato, pos- b. Per il potenziale miglior acquirente.
siede un insieme di conoscenze in grado c. Dipende se e quando progetto di vender-
di incrementare i flussi di cassa e ridurre la; se ho intenzione di venderla presto,
il rischio dell’azienda non disponibile in- cercherò di massimizzare il valore per il
vece a società quotate. potenziale miglior acquirente; altrimenti
c. Vi sono significativi benefici fiscali con- cercherò di massimizzarne il valore per
nessi al fatto di essere un’impresa non me.
quotata. F. La proprietà immobiliare rappresenta una
d. Tutte o alcune delle risposte. classe d’investimento storicamente caratteriz-
zata da investitori specializzati piuttosto che
C. I fornitori di venture capital di solito si con-
diversificati. In base a quanto detto finora,
centrano su alcuni settori industriali e non
come spiegheresti tale atteggiamento?
sono diversificati. Alla luce delle tue risposte
alle domande A e B, come spiegheresti un si- a. Gli investitori in beni immobiliari sono più
mile atteggiamento? furbi degli altri.
a. Non hanno i mezzi per diversificare. b. Gli investitori in beni immobiliari sono più
egoisti degli altri.
b. Poichè per valutare le diverse aziende han-
no bisogno di informazione specifica al c. Gli investimenti in beni immobiliari ri-
particolare settore in cui esse operano, una chiedono una maggiore informazione
maggiore diversificazione sarebbe diffici- specialistica nella fase di valutazione e una
le e costosa da ottenere, perciò in genere presenza più attiva da parte degli investi-
non operano in più di un settore. tori nella gestione.
c. Amano il rischio. G. Come spiegheresti la recente diffusione e cre-
scita dei REIT (fondi comuni di investimento im-
d. Essendo coinvolti direttamente e
mobiliare)?
ativamente nella gestione delle imprese in
cui investono, non possono farlo con trop- a. Gli investitori vogliono diversificare il pro-
pe imprese. prio portafoglio investendo nel settore
immobiliare.
e. Tutte le risposte precedenti.
b. Investire nel settore immobiliare è un
D. Di recente i fondi comuni di investimento
buon affare.
(mutual funds) e le banche hanno cominciato
a creare fondi per svolgere l’attività di ventu- c. Benefici fiscali.
re capital. In quali tipi di aziende pensi che d. Il valore della proprietà immobiliare di-
tali fondi avranno i maggiori vantaggi rispet- pende sempre meno da conoscenze spe-
to ai fornitori tradizionali di venture capital? cialistiche e sempre più da informazione
a. Aziende che hanno bisogno di molti fondi. di tipo generale.
b. Aziende con rendimenti molto elevati. 3. Assumi che una regressione dei rendimenti
della Nike rispetto a quelli dell’indice S&P 500,

Cap4.p65 146 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 147

utilizzando i rendimenti mensili relativi agli ulti- L’aliquota d’imposta media per queste aziende
mi 5 anni, conduca al seguente risultato: è il 40%).
RendimentoNike = 0,22% + 1,20 RendimentoS&P 500 Negli ultimi tempi la società che stai analizzan-
R quadrato = 15% (0,38) do ha ricavato il 70% del proprio reddito ope-
rativo dal settore siderurgico e il 30% dal set-
L’errore standard del beta si trova fra parentesi tore dei servizi finanziari. Inoltre, ha avuto un
sotto il beta. rapporto debito/capitale netto del 150%, e
a. Calcola un intervallo di confidenza per il beta, un’aliquota d’imposta del 30%.
con una confidenza del 67%. a. Stima il beta della società.
b. Stima il rendimento atteso della Nike se il tas- b. Se il tasso nominale sui titoli di Stato a lungo
so dei titoli di Stato a lungo termine è oggi termine in Won (la valuta coreana) è 12% e il
del 6%. rating della Corea è BBB (obbligazioni indu-
c. Immagina ora di essere un investitore inte- striali con tale rating rendono il 2% in più dei
ressato a comprare azioni della Nike. Suppo- titoli di Stato statunitensi a lungo termine),
ni che l’azione Nike non paghi dividendi. Il stima il costo del capitale netto della società
prezzo dell’azione è oggi $ 45 e pensi che po- in Won nominali.
trà arrivare a $ 75 in cinque anni. Sarebbe un c. Se il tasso sui titoli di Stato statunitensi a lun-
buon investimento? go termine è 6%, stima il costo del capitale
d. Immagina ora che la Nike stia valutando se azionario della società in dollari statunitensi.
investire o meno in un progetto (nel suo 5. Hai inserito in una regressione i rendimenti
business principale, cioè le scarpe da gin- della Devonex, un’azienda costruttrice di mac-
nastica) il cui rendimento atteso è del 14,5%. chine utensili, e dell’indice S&P 500 utilizzan-
Secondo te, dovrebbe investire in tale pro- do i rendimenti mensili degli ultimi 5 anni e
getto? hai ottenuto la seguente relazione:
e. Se il tasso annualizzato privo di rischio negli RendimentoDevonex = –0,20% + 1,50 RendimentoS&P 500
ultimi 5 anni è stato del 4,8%, valuta se nello
stesso periodo la performance della Nike è Se l’azione aveva un alfa di Jensen di +0,10%
stata migliore o peggiore delle aspettative e (su base mensile) relativo al periodo in que-
di quanto. stione, stima il tasso mensile privo di rischio
relativo agli ultimi 5 anni.
f. Se tu fossi un investitore con un portafoglio
non diversificato che acquista azioni Nike, 6. Hai il compito di analizzare la società GenCorp,
quale percentuale del rischio che ti assumi non attiva nel settore alimentare e del tabacco. La
sarà remunerata? divisione tabacco è valutata 15 miliardi di dol-
4. Hai il compito di stimare il beta di una grande lari, quella alimentare 10 miliardi di dollari.
società sudcoreana, con grosse partecipazioni L’azienda ha un rapporto debito/capitale netto
nel settore siderurgico e dei servizi finanziari. di 1,00. Hai inoltre le seguenti informazioni su
La regressione dei rendimenti azionari rispetto aziende comparabili:
all’indice di mercato locale fornisce un beta di
1,10, ma l’azienda rappresenta il 15% dell’indi- Attività Beta medio D/E medio
ce. Per ciascuno dei due settori in cui opera la
Alimentari 0,92 25%
società sudcoreana hai raccolto i beta e i rap-
porti medi debito/capitale netto di compagnie Tabacco 1,17 50%
internazionali:
Supponendo che tutte le aziende abbiano
un’aliquota d’imposta del 40%, se il tasso sui
Settore Beta medio D/E ratio medio titoli di Stato a lungo termine è attualmente del
Siderurgico 1,18 30% 6%, qual è il costo del capitale netto per Gen-
Corp?
Servizi finanziari 1,14 70%

Cap4.p65 147 10/05/2001, 10.56


148 Capitolo 4

7. Supponi adesso che GenCorp ceda (in contan- ce è quotato a 1050 con un tasso di dividendo
ti) la divisione alimentare al suo valore stimato del 3%. Attualmente, il tasso dei titoli di Stato
di 10 miliardi di dollari. a lungo termine è del 6,5%, mentre il tasso no-
a. Stima il beta di GenCorp se il ricavato della minale atteso di crescita a lungo termine del-
vendita viene impiegato per estinguere parte l’economia è del 6%. Stima il premio di rischio
del debito. implicito per le azioni.

b. Stima il beta di GenCorp se invece il ricavato 11. A dicembre 1995 le azioni di Boise Cascade ave-
della vendita viene investito in titoli di Stato. vano un beta di 0,95. Il tasso dei titoli di Stato
a breve all’epoca era 5,8% mentre il tasso dei
c. Infine, stima il beta di GenCorp se il ricavato
titoli di Stato a lungo era 6,4%.
della vendita viene impiegato per riacquista-
re azioni proprie (buy back). a. Stima il rendimento azionario atteso per un
8. Sulla base di una regressione di dati mensili investitore a breve termine nella società.
relativi agli ultimi 5 anni, hai ottenuto un beta b. Stima il rendimento azionario atteso per un
per la Multi-Brand Corporation di 0,90. Nello investitore a lungo termine nella società.
stesso periodo, il rapporto medio debito/capi- c. Stima il costo del capitale netto della società.
tale netto è stato 11,11%, ma l’azienda ha ap- 12. La Boise Cascade aveva inoltre un debito di 1,7
pena preso in prestito 100 milioni di dollari con miliardi di dollari e un valore di mercato del
i quali ha riacquistato azioni proprie. Prima di capitale netto di 1,5 miliardi; l’aliquota d’im-
effettuare questa transazione, il valore di mer- posta marginale della società era del 36%.
cato del capitale netto era di 225 milioni di dol-
lari e la società aveva debiti pari a 25 milioni di a. Supponendo che il beta attuale di 0,95 sia ra-
dollari. Stima il beta che utilizzeresti per que- gionevole, stima il beta unlevered della so-
sta società per il futuro. La società è soggetta a cietà.
un’aliquota d’imposta del 40% b. Quale percentuale del rischio della società è
9. La SunCoast Inc. è una importante società pro- attribuibile al rischio operativo e quale al ri-
duttrice di elettrodomestici che sta pensando schio finanziario?
di acquistare la MF Capital, un’azienda che for- 13. Una società di biotecnologia, la Biogen Inc, nel
nisce finanziamenti a coloro che comprano 1995 aveva un beta di 1,70 ed era priva di debiti.
elettrodomestici. All’epoca dell’acquisizione a. Stima il costo del capitale netto della Biogen,
• La SunCoast Inc. aveva un debito di 100 mi- se il tasso dei titoli di Stato a lungo è del 6,4%.
lioni di dollari e 10 milioni di azioni in circo- b. Quale effetto produrrà un incremento del tas-
lazione quotate a 50 dollari l’una. Il beta so dei titoli di Stato a lungo fino al 7,5% sul
azionario è 1,2. costo del capitale netto della Biogen?
• La MF Capital aveva un debito di 100 milioni c. Quale percentuale del beta della Biogen è
di dollari e 5 milioni di azioni in circolazione attribuibile al rischio operativo?
quotate a 10 dollari l’una. Il beta azionario è
14. Genting Berhad è un conglomerato di aziende
0,9.
della Malaysia con partecipazioni in piantagioni
La SunCoast intende acquistare la MFC capital e località turistiche. Il beta stimato per l’azien-
attraverso uno stock swap, vale a dire offrendo da rispetto alla Borsa della Malaysia è 1,15, e il
1 milione delle sue azioni in cambio di tutte le tasso sui titoli di Stato a lungo termine emessi
azioni in circolazione di MF Capital. Stima qua- dalla Malaysia è 11,5%.
le sarebbe il beta della SunCoast Inc. dopo l’ac-
a. Stima il rendimento azionario atteso.
quisizione. La società è soggetta a un’aliquota
d’imposta del 40%. b. Se fossi un investitore internazionale, saresti
d’accordo nell’utilizzare il beta stimato rispet-
10. Hai il compito di misurare il premio di rischio
to all’indice di Borsa malaysiano o preferire-
implicito sulla Borsa di Timbuktu (TSE). L’indi-
sti un approccio diverso? Quale?

Cap4.p65 148 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 149

15. Hai inserito in una regressione i rendimenti miliardo di dollari e un beta di 1,30. All’epoca
azionari mensili della Heavy Tech Inc., dell’acquisizione nessuna delle due aziende
un’azienda produttrice di macchinari pesanti, aveva debiti. L’aliquota d’imposta per entram-
e i rendimenti di mercato mensili relativi agli be era del 40%.
ultimi cinque anni ottenendo: a. Stima il beta della Novell dopo l’acquisizione,
RHeavyTech = 0,5% + 1,2RM assumendo che l’intera acquisizione sia stata
La varianza delle azioni è 50% mentre la va- finanziata con capitale netto.
rianza del mercato è 20%. Il tasso attuale sui b. Supponi che la Novell abbia dovuto prende-
titoli di Stato a breve è il 3% (un anno fa era il re in prestito 1 miliardo di dollari per finan-
5%). Le azioni vengono attualmente scambia- ziare l’acquisizione di WordPerfect. Stima il
te a 50 dollari, 4 dollari sotto il prezzo dello scor- beta dopo l’acquisizione.
so anno; inoltre, nel corso dell’anno hanno pa- 18. Stai analizzando il beta della Hewlett-Packard
gato un dividendo di 2 dollari e l’anno prossi- e hai suddiviso la società nei quattro settori
mo dovrebbero pagarne uno di 2,50 dollari. principali in cui opera, stimano un valore di
L’indice composito NYSE è sceso dell’8% l’an- mercato e un beta per ciascuna divisione (l’ali-
no scorso e ha un tasso di dividendo del 3%. quota d’imposta è del 36%).
La Heavy Tech Inc. ha un’aliquota d’imposta del
40%. Divisione Valore di mercato Beta
a. Qual è il rendimento atteso della Heavy Tech del capitale netto
per il prossimo anno? (miliardi di dollari)
b. Quale pensi che sarà il prezzo della Heavy Mainframe 2 1,10
Tech da oggi a un anno? Personal Computer 2 1,50
c. Che rendimento ti saresti aspettato per le Software 1 2,00
azioni della Heavy durante lo scorso anno?
Stampanti 3 1,00
d. Qual è stato il rendimento effettivamente re-
alizzato dalla Heavy Tech l’anno scorso? a. Stima il beta della Hewlett-Packard usando il
e. La Heavy Tech ha un capitale netto di 100 metodo bottom-up. Tale beta sarà uguale a
milioni di dollari e un debito di 50 milioni. quello stimato con una regressione dei ren-
L’azienda progetta di raccogliere sul mercato dimenti storici delle azioni della Hewlett-
ulteriori 50 milioni di dollari di capitale netto Packard contro un indice di mercato? Motiva
e, con tali fondi, estinguere completamente il la tua risposta.
debito. Stima il nuovo beta. b. Se il tasso dei titoli di Stato a lungo termine è
16. La Safecorp, che possiede e gestisce una cate- il 7,5%, stima il costo del capitale netto della
na di negozi di drogheria negli Stati Uniti, at- Hewlett-Packard. Stima il costo del capitale
tualmente ha un debito di 50 milioni di dollari netto per ciascuna divisione. Quale costo del
e un capitale netto di 100 milioni. Le sue azio- capitale netto utilizzeresti per valutare la di-
ni hanno un beta di 1,2. Sta progettando un visione stampanti?
leveraged buyout (LBO) attraverso il quale por- c. Supponi che la Hewlett-Packard ceda la divi-
terà a 8 il rapporto debito/capitale netto. Se sione mainframe e con il ricavato paghi un
l’aliquota d’imposta è il 40%, quale sarà il beta dividendo. Stima il beta della società dopo la
del capitale netto dell’azienda dopo il levera- cessione (la Hewlett-Packard aveva un debi-
ged buyout? to di un miliardo di dollari).
17. La Novell, con un valore di mercato del capita- 19. Nella seguente tabella sono riportati le varia-
le netto di 2 miliardi di dollari e un beta di 1,50, zioni percentuali del reddito operativo e del
ha annunciato l’acquisizione di WordPerfect, fatturato e i beta di quattro aziende farmaceu-
con un valore di mercato del capitale netto di 1 tiche:

Cap4.p65 149 10/05/2001, 10.56


150 Capitolo 4

c. Tornando agli ultimi cinque anni, come giu-


Azienda variazione % variazione % dicheresti la performance dell’AD Corp. ri-
utile reddito
spetto al mercato? (Il tasso medio di rendi-
operativo Beta
mento di un investimento privo di rischio re-
PharmaCorp 27 25 1,00 lativo al periodo in questione è stato del 5%)
SynerCorp 25 32 1,15 d. Supponi ora di essere un investitore non di-
BioMed 23 36 1,30 versificato e che tutto il tuo patrimonio sia
Safemed 21 40 1,40 investito nella AD Corporation. Quale pensi
che sia una misura significativa del rischio che
ti sei assunto? Quale percentuale del rischio
a. Calcola l’intensità della leva operativa per cia-
riusciresti a eliminare diversificando?
scuna azienda.
e. La AD sta valutando di cedere una delle sue
b. Spiega la differenza nei beta alla luce della
divisioni. La divisione in questione ha attivi-
leva operativa.
tà che rappresentano metà del valore conta-
20. Una famosa agenzia di stima dei beta fissa il bile della AD Corporation e il 20% del suo
beta della Comcast Corporation, una società valore di mercato. Inoltre, il beta di tale divi-
operante nel settore della TV via cavo, a 1,45. sione è il doppio del beta medio della AD
L’agenzia utilizza rendimenti azionari settima- Corp. (prima della cessione). Quale sarà il beta
nali relativi agli ultimi cinque anni e l’indice della AD Corporation dopo la cessione di que-
composito NYSE come indice di mercato. At- sta divisione?
traverso una regressione dei rendimenti setti-
23. Hai effettuato una regressione dei rendimenti
manali relativi allo stesso periodo, tu stimi in-
mensili della Mapco Inc., una società produt-
vece un beta di 1,60. Come riconcilieresti le due
trice di petrolio e gas, riseptto all’indice S&P
stime?
500 ottenendo i seguenti risultati (per il perio-
21. La Battle Mountain è una società mineraria che do 1991 - 1995):
estrae oro, argento e rame in Sud America, Afri-
Intercetta della regressione = 0,06%
ca e Australia. Il beta azionario stimato è 0,30.
Data la volatilità dei prezzi delle materie pri- Coefficiente della regressione = 0,46
me, come si spiega un beta così basso? Errore standard del coefficiente = 0,20
22. Hai raccolto i rendimenti azionari della Ana- R quadrato = 5%
Done Corporation (AD Corp), una società ma-
nifatturiera diversificata, e i rendimenti sull’in- La società ha in circolazione 20 milioni di azioni
dice NYSE, per un periodo di cinque anni: al prezzo attuale di mercato di 2 dollari l’una.
La società ha un debito di 20 milioni di dollari
(e un’aliquota d’imposta del 36%).
Anno AD Corporation NYSE
a. Quale rendimento dovrebbe attendersi un
1981 10% 5% investitore nelle azioni della Mapco, se il tas-
1982 5% 15% so dei titoli di Stato a lungo termine è il 6%?
1983 -5% 8% b. Quale porzione del rischio di questa impresa
1984 20% 12% è diversificabile?
1985 –5% –5% c. Immagina ora che la Mapco abbia tre divisio-
ni equivalenti in termini di valore di mercato.
a. Stima l’intercetta (alfa) e l’inclinazione (beta) La società progetta di cedere una delle divi-
della regressione. sioni per 20 milioni di dollari, da utilizzare per
acquisirne un’altra per 50 milioni (i restanti
b. Se oggi comprassi azioni della AD Corp., quale
30 milioni di dollari saranno presi in presti-
rendimento pensi che ti frutterebbero per
to). La divisione che intende cedere è in un
l’anno prossimo? [Il tasso dei Buoni del Teso-
settore con un beta unlevered medio di 0,20,
ro semestrali è 6%]

Cap4.p65 150 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 151

mentre la divisione che intende acquisire è in schio utilizzato dall’analista per ottenere quel
un settore con un beta unlevered medio di risultato.
0,80. Quale sarà il beta della Mapco dopo d. La società ha un rapporto debito/capitale net-
l’acquisizione? to del 3% ed è soggetta a un’aliquota d’im-
24. Hai effettuato una regressione dei rendimenti posta del 40%. Ha intenzione di emettere un
mensili dell’American Airlines (AMR) rispetto nuovo debito di 2 miliardi di dollari per ac-
all’S&P 500 per gli ultimi cinque anni. Hai per- quisire un’altra azienda, con il suo stesso li-
so alcuni risultati e stai cercando di ricostruirli vello di rischio. Quale sarà il beta dopo
sulla base della informazione seguente: l’acquisizione?
a. Sai che l’R quadrato della regressione è 0,36 26. Hai effettuato una regressione dei rendimenti
e che le tue azioni hanno una varianza di 67%. mensili della MAD Inc., un’impresa editrice di
La varianza del mercato è il 12%. Qual è il quotidiani e riviste, rispetto ai rendimenti del-
beta della AMR? l’S&P 500:
b. Ti ricordi che la AMR non è stato un buon RMAD = 0,05% + 1,20 RS&P
investimento nel periodo della regressione e La regressione ha un R quadrato pari al 22%.
che la performance è stata inferiore alle aspet- Attualmente, il tasso dei Treausry Bill è del 5,5%
tative (tenuto conto del rischio) dello 0,39% e il tasso dei Treasury Bond è del 6,5%. Il tasso
al mese per i cinque anni della regressione. privo di rischio nel periodo della regressione è
Durante questo periodo il tasso medio di ren- 6%. Rispondi alle seguenti domande sulla re-
dimento di un investimento privo di rischio gressione:
era stato del 4,84%. Qual era l’intercetta del-
la regressione? a. In base all’intercetta puoi concludere che la
performance delle azioni è stata:
c. Stai confrontando la AMR Inc. con un’altra
società che ha lo stesso R quadrato di 0,36. Le • dello 0,05% peggiore delle aspettative su
due società avranno lo stesso beta? Se no, base mensile durante il periodo della
perché? regressione.
25. Hai effettuato una regressione dei rendimenti • dello 0,05% migliore delle aspettative su
mensili della Amgen, una grande società di bio- base mensile durante il periodo della
tecnologia, rispetto ai rendimenti mensili del- regressione.
l’indice S&P 500, ottenendo: • dell’ 1,25% peggiore delle aspettative su
Razionario = 3,28% + 1,65 Rdi mercato R2 = 0,20 base mensile durante il periodo della
regressione.
Attualmente, il tasso di un titolo di Stato con
• dell’ 1,25% migliore delle aspettative su
scadenza a un anno è 4,8%, mentre il tasso di
base mensile durante il periodo della
un titolo di Stato con scadenza a 30 anni è 6,4%.
regressione
La società ha 265 milioni di azioni in circola-
zione, quotate a 30 dollari. • Altro.
a. Qual è il rendimento azionario atteso per l’an- b. Ti accorgi che la MAD Inc. ha subito una
no prossimo? ristrutturazione alla fine del mese scorso (l’ul-
timo mese della regressione), con i seguenti
b. Questa tua stima cambierebbe se l’obiettivo cambiamenti:
fosse quello di ottenere un tasso di
attualizzazione per analizzare un progetto di • La società ha venduto la divisione riviste,
capital budgeting della durata di 30 anni? che aveva un beta unlevered di 0,6, per 20
milioni di dollari.
c. Un analista ha stimato, correttamente, che nel
periodo della regressione le azioni hanno avu- • Ha preso in prestito altri 20 milioni di dol-
to una performance migliore del 51,10%, su lari e ha ricomprato azioni per un valore
base annuale, rispetto alle aspettative. Cerca di 40 milioni di dollari.
di ricavare il tasso annualizzato privo di ri-

Cap4.p65 151 10/05/2001, 10.56


152 Capitolo 4

Dopo la cessione della divisione e il riacquisto L’azienda non quotata ha un rapporto debito/
delle azioni, la MAD Inc. aveva un debito di 40 capitale netto del 25% ed è soggetta a un’ali-
milioni di dollari e un capitale netto di 120 mi- quota d’imposta del 40%. Anche le società quo-
lioni di dollari. Se l’aliquota d’imposta del- tate sono tutte soggette a un’aliquota d’impo-
l’azienda è 40%, stima di nuovo il beta alla luce sta del 40%.
di questi cambiamenti. a. Stima il beta dell’azienda non quotata.
27. La Time Warner Inc., un conglomerato di azien- b. Avresti qualche remora nell’utilizzare i beta
de che operano nel settore dello spettacolo, ha di aziende comparabili?
un beta di 1,61. Un beta così elevato è dovuto
30. In seguito alle pressioni degli azionisti, la RJR
in parte al debito insoluto connesso al levere-
Nabisco sta valutando l’idea di effettuare uno
ged buyout a opera della Time sulla Warner nel
spin off della divisione alimentare. Il tuo com-
1989, che nel 1995 ammontava a 10 miliardi. Il
pito è di stimare il beta della divisione; per far-
valore di mercato del capitale netto della Time
lo, decidi di utilizzare i beta di società simili
Warner nel 1995 era di 10 miliardi di dollari.
quotate. Il beta medio di queste aziende com-
L’aliquota d’imposta marginale era il 40%.
parabili quotate risulta essere 0,95 e il rappor-
a. Stima l’unlevered beta della Time Warner. to medio debito/capitale netto risulta essere del
b. Stima l’effetto che avrebbe sul beta la ridu- 35%. Si prevede che il rapporto debito/capitale
zione di 10% all’anno dell’indice di indebi- netto della divisione dopo lo spin off sarà del
tamento per i prossimi due anni. 25%. L’aliquota d’imposta marginale per le so-
28. La Chrysler, l’azienda automobilistica, nel 1995 cietà è il 36%.
aveva un beta di 1,05. Aveva inoltre un debito a. Qual è il beta della divisione?
di 13 miliardi di dollari e 355 milioni di azioni b. Le cose cambierebbero se venissi a sapere che
in circolazione quotate a 50 dollari. L’azienda la RJR Nabisco ha una leva operativa molto
aveva un saldo attivo di cassa di 8 miliardi di più elevata rispetto alle aziende scelte come
dollari a fine 1995. L’aliquota d’imposta margi- comparabili?
nale era il 36%.
31. La Southwestern Bell, una compagnia telefo-
a. Stima il beta unlevered dell’azienda. nica, decide di espandersi nel settore dei mass
b. Stima l’impatto sul beta unlevered del paga- media. Il beta della società alla fine del 1995
mento di un dividendo speciale di 5 miliardi era 0,90 e il rapporto debito/capitale netto era
di dollari . 1. Si prevede che la nuova divisione mass me-
c. Stima il beta della Crysler dopo il pagamento dia rappresenterà il 30% del valore totale della
di questo speciale dividendo. società nel 1999. Considera che il beta medio
di aziende nel settore mass media è 1,20 men-
29. Stai stimando il beta di un’impresa non quota- tre il rapporto medio debito/capitale netto è
ta produttrice di elettrodomestici. Sei riuscito 50%. L’aliquota d’imposta marginale è del 35%.
a ottenere i beta di aziende quotate produttrici
di elettrodomestici. a. Stima il beta della Southwestern Bell nel 1999
supponendo che essa mantenga lo stesso rap-
porto debito/capitale netto.
Azienda Beta Debito Valore di
(milioni mercato del b. Stima il beta della Southwesten Bell nel 1999
di $) capitale netto supponendo che essa voglia finanziare
(milioni di $) l’espansione nel settore dei mass media con
un rapporto debito/capitale netto del 50%.
Black & Decker 1,40 2500 3000
32. Il CFO (Chief Financial Officer) di Adobe Sy-
Fedders Corp. 1,20 5 200
stems, un’azienda di software in espansione, ti
Maytag Corp. 1,20 540 2250 ha chiesto un parere sul beta della sua società.
National Presto 0,70 8 300 Ogni anno un’agenzia di stima gli fornisce i
Whirlpool 1,50 2900 4000 beta di Abobe Systems ed egli ha notato che il

Cap4.p65 152 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 153

beta è sceso da 2,35 nel 1991 a 1,40 nel 1995. 36. Considera ora di utilizzare l’approccio dei pre-
Vorrebbe che tu rispondessi alle seguenti do- mi di rischio storici per ottenere il premio di
mande su questo calo del beta: rischio relativo al mercato azionario della Tai-
a. È inusuale per un’azienda in espansione? landia. Quali sono i problemi in cui incorrerai
utilizzando tale approccio?
b. A che cosa può essere dovuto?
37. Per stimare il costo del capitale netto in termi-
c. Continuerà in futuro?
ni reali dobbiamo ricorrere a un tasso privo di
33. Analizzando Tiffany, un rivenditore esclusivo, rischio espresso in termini reali. Rispondi alle
hai ottenuto un beta di 0,75 (metodo della re- seguenti domande relative al tasso reale privo
gressione); l’errore standard della stima del beta di rischio:
è 0,50. Il beta unlevered medio di aziende com-
parabili è 1,15. a. Perché i tassi reali privi di rischio sono diversi
dai tassi nominali privi di rischio?
a. Se Tiffany ha un rapporto debito/capitale netto
b. Supponendo un tasso nominale privo di ri-
del 20%, stima il beta della società sulla base
schio del 7% e un’inflazione attesa del 3%,
del risultato per le aziende comparabili (l’ali-
stima il tasso reale privo di rischio.
quota d’imposta è 40%).
c. In quali circostanze preferiresti fare un’anali-
b. Stima un intervallo di confidenza attorno al
si in termini reali piuttosto che nominali?
beta ottenuto dalla regressione.
38. Hai il compito di stimare il costo del capitale
c. Come concilieresti le due stime? Quale uti-
netto di un’impresa di software non quotata.
lizzeresti per l’analisi?
Hai raccolto dati di società di software quotate,
34. Nell’analizzare la valutazione di un’azienda ottenendo un beta medio di 1,40; il rapporto
indonesiana, ti accorgi che la valutazione è stata medio debito/capitale netto a valori di mercato
fatta in termini nominali in dollari statunitensi per queste società è il 15%. L’R quadrato me-
e che il tasso di attualizzazione è stato stimato dio è 25%. L’aliquota d’imposta per tutte le so-
utilizzando obbligazioni denominate in dollari cietà è fissata al 40%.
emesse dal governo indonesiano (ad un tasso
del 9% a un tempo in cui il tasso sui Treasury a. Stima il beta dell’impresa di software non quo-
Bonds era del 6%) e un premio di rischio mag- tata, supponendo che essa non abbia debito.
giorato per riflettere il rischio addizionale del b. Come cambierebbe la tua stima se l’impresa
mercato indonesiano (8,5% invece che il pre- decidesse di muovere verso un rapporto de-
mio del 5,5% calcolato per gli Stati Uniti). bito/capitale netto simile a quello medio nel
settore?
a. Pensi che il tasso di attualizzazione sia stato
stimato correttamente? Se no, cosa avresti c. Avendo a disposizione il valore contabile del
fatto di diverso? debito e del capitale netto di questa impresa,
utilizzeresti il rapporto contabile debito/capi-
b. Dato il modo in cui è stato stimato il tasso di
tale netto per stimare il beta? Perché?
attualizzazione, in quale valuta dovrebbero
essere stimati i flussi di cassa attesi? Dovreb- d. Se il proprietario dell’impresa non quotata
bero essere espressi in termini nominali (te- avesse investito tutto il proprio patrimonio in
nendo cioè conto dell’inflazione attesa) o in quest’attività e non avesse intenzione di ven-
termini reali? dere l’impresa o di quotarla in Borsa, la tua
analisi del rischio sarebbe diversa?
35. Per stimare i premi di rischio relativi agli Stati
Uniti spesso si utilizzano i premi di rischio sto- e. E come cambierebbe se invece il proprietario
rici (i.e. il rendimento addizionale ottenuto in- dell’impresa ti dicesse che ha intenzione di
vestendo in azioni piuttosto che in Treasury Bills quotare l’impresa l’anno prossimo?
o Treasury Bonds). Quali sono le ipotesi impli- 39. Hai il compito di stimare il costo del capitale
cite in termini di avversione degli investitori al della società Allstate Insurance, sulla quale sai
rischio e investimento di media rischiosità? quanto segue:

Cap4.p65 153 10/05/2001, 10.56


154 Capitolo 4

• Il beta è 1,20, in base alla regressione dei ren-


dimenti azionari della Allstate rispetto all’in- Indice di copertura Rating Spread sui titoli
degli oneri di Stato a
dice S&P 500.
finanziari lungo termine
• Il prezzo della singola azione è 93 dollari e ci
sono 430 milioni di azioni in circolazione. La >12,5 AAA 0,20%
società ha inoltre 2,5 miliardi di dollari di de- 9,50-12,50 AA 0,50%
bito (valore contabile e di mercato). 7,5 -9,5 A+ 0,80%
• La società ha un rating AAA assegnato dalle 6,0-7,5 A 1,00%
agenzie di rating; il differenziale per rischio 4,5-6,0 A– 1,25%
di insolvenza (default spread) per le obbliga- 3,5-4,5 BBB 1,50%
zioni AAA rispetto al tasso dei titoli di Stato a
3,0 - 3,5 BB 2,00%
lungo termine è 0,20%.
2,5- 3,0 B+ 2,50%
• Il tasso dei titoli di Stato a lungo termine è
6%. 2,0-2,5 B 3,25%
1,5-2,0 B– 4,25%
a. Stima il costo del capitale netto della
Allstate. 1,25-1,5 CCC 5,00%
b. Stima il costo del capitale della Allstate. 0,8-1,25 CC 6,00%
0,5- 0,8 C 7,50%
c. Le tue risposte sarebbero diverse se ve-
nissi a sapere che la Allstate non ha avuto < 0,5 D 10,00%
debito nell’intero arco temporale della
regressione? c. Sotto quali condizioni useresti il tasso
40. Stai cercando di stimare il costo del debito di d’interesse sul debito che figura nei libri
FoodWorld, un negozio di drogheria non quo- contabili come costo del debito?
tato. Il negozio non ha rating; hai tuttavia le 41. Hai effettuato una regressione dei rendimenti
seguenti informazioni: di Sybase rispetto all’indice S&P 500 ottenen-
do un beta di 1,10 con errore standard di 0,5.
• Il debito che figura nei suoi libri contabili è
Prendendo in considerazione altre 25 aziende
stato contratto tre anni fa a un tasso del 10%
simili sei arrivato a un beta medio di 1,50 e un
e ammonta a 5 milioni di dollari
rapporto medio debito/capitale netto del 10%.
• L’anno scorso il negozio ha avuto un utile al La Sybase non ha debito.
lordo di imposte e interessi (EBIT) pari a 3,5
milioni di dollari. a. Quale beta utilizzeresti per Sybase e perché?
• Nella tabella riportata in questa pagina viene b. Se il tasso dei titoli di Stato a lungo termine è
riportata la relazione fra indice di copertura il 6%, qual è la stima del costo del capitale
degli oneri finanziari, rating e default spread netto?
sul tasso dei titoli di Stato a lungo termine c. Un analista che utilizza il CAPM per arrivare
per gli ultimi anni. a una stima del costo del capitale netto della
• L’impresa è soggetta a un’aliquota d’imposta Sybase sostiene che il premio di rischio uti-
sul reddito del 42%. lizzato nel modello (moltiplicato per il beta)
dovrebbe essere maggiore perché la Sybase è
• Oggi il tasso sui titoli di Stato a lungo termi- rischiosa. Come replicheresti?
ne è del 6% (tre anni fa era l’8%).
42. In un’analisi di Archer Daniels Midland hai
a. Utilizza la tabella del rating per ottenere notato che la stima del beta per l’azienda è 0,85
il costo del debito dell’impresa. e che l’azienda ha un debito di 3,4 miliardi di
b. Perché il costo del debito è diverso dal tas- dollari nei libri contabili. Gli interessi passivi
so d’interesse pagato sul debito che figu- l’anno scorso ammontavano a 225 milioni di
ra nei libri contabili? dollari e la scadenza media del debito è 4 anni.

Cap4.p65 154 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 155

L’azienda ha 532 milioni di azioni in circola- a. Stima il costo del capitale utilizzando il rap-
zione a un prezzo di mercato di 22 dollari; il porto debito/capitale netto in base al valore
patrimonio netto nei libri contabili è 6,05 mi- contabile.
liardi di dollari. L’azienda ha un rating AA e le b. Stima il costo del capitale utilizzando il rap-
obbligazioni con rating AA sono negoziate con porto debito/capitale netto in base al valore
un differenziale di 0,70% rispetto al tasso dei di mercato.
titoli di Stato a lungo termine. Oggi il tasso dei
c. In quali circostanze il primo approccio ti for-
titoli di Stato a lungo termine è del 6%.
nirà un costo del capitale più alto?

Live case study


Rischio e r endimento
rendimento
Obiettivo
Sviluppare un profilo di rischio per la società; stimare i parametri di rischio e
utilizzarli per ottenere il costo del capitale netto e il costo del capitale.

Domande chiave
■ Qual è il profilo di rischio della società? Quanto è la sua rischiosità com-
plessiva? Quali sono le fonti di rischio (mercato, impresa, settore industria-
le, valuta)? Come sta cambiando il profilo di rischio della società?
■ Quali caratteristiche ha la performance di un investimento nella società in
questione? Quale rendimento avresti ottenuto investendovi in passato? Sa-
rebbe stato migliore o peggiore rispetto al mercato? Quale percentuale della
performance è attribuibile al management?
■ Quanto è rischioso il capitale netto della società? Perché? Qual è il costo
del capitale netto?
■ Quanto è rischioso il debito della società? Qual è il suo costo del debito?
■ Qual è l’attuale costo del capitale della società?

Uno schema per l’analisi


1. La stima dei parametri di rischio sulla base di dati storici
Effettua una regressione dei rendimenti delle azioni della società rispetto ai
rendimenti sull’indice di mercato, preferibilmente utilizzando dati mensili e
osservazioni relative a 5 anni; oppure, se hai accesso a Bloomberg, cerca la
pagina dedicata al calcolo del beta e stampala (dopo aver scelto intervalli di
rendimento mensili e un periodo di 5 anni)38.

38 La pagina Bloomberg relativa al calcolo del beta fornisce il beta stimato con rendi-
menti mensili su due anni rispetto a un indice locale; è possibile però cambiare l’intervallo
di rendimento (giornaliero, settimanale, annuale) e scegliere un qualunque periodo e in-
dice di riferimento [N.d.C.].

Cap4.p65 155 10/05/2001, 10.56


156 Capitolo 4

■ Qual è l’intercetta della regressione? Cosa ne deduci in termini della per-


formance delle azioni della società nel periodo esaminato?
■ Qual è l’inclinazione della regressione?
■ Come la interpreti in termini di rischiosità delle azioni?
■ Quanto precisa è questa stima del rischio? Costruisci un intervallo di con-
fidenza
■ Quale porzione del rischio dell’azienda è attribuibile a fattori di mercato?
Quale a fattori specifici dell’impresa? Perché è importante saperlo?
■ Quanto del rischio della società rappresenta rischio operativo (business risk)?
Quanto è dovuto invece alla leva finanziaria?

2. Confronto con i beta di settore (beta bottom-up)


■ Suddividi la società nei vari settori in cui opera e stima un beta per ciascu-
na divisione.
■ Assegna un peso appropriato a ciascuna componente e stima il beta unle-
vered della società.
■ Utilizzando la struttura finanziaria attuale, stima il beta levered della società.

3. La scelta fra i beta


■ Quale dei beta che hai stimato per la società è più attendibile? Perché?
■ Utilizzando il beta che hai scelto, misura il rendimento atteso di un investi-
mento in azioni della società per un
• investitore a breve termine
• investitore a lungo termine
• Se facessi parte del management della società, come utilizzeresti questa
misura del rendimento atteso?

4. La stima del rischio di insolvenza e del costo del debito


■ Se la società ha un rating
• Qual è il rating più aggiornato?
• Qual è il differenziale per il rischio di insolvenza (default spread) e quindi il
tasso di interesse a esso associato?
• Se la società ha obbligazioni in circolazione, stima il rendimento a scaden-
za (yield to maturity) di una suaobbligazione a lungo termine. Perché po-
trebbe risultare diverso dal tasso stimato nel passaggio precedente?
• Qual è l’aliquota marginale d’imposta della società?
• Se la società non ha un rating

Cap4.p65 156 10/05/2001, 10.56


Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica 157

• Ha di recente preso in prestito fondi? Se sì, quale tasso di interesse ha pa-


gato su di essi?
• Riesci a stimare un rating “sintetico”? Se sì, qual’è il tasso di interesse cor-
rispondente?

5. La stima del costo del capitale


■ Pesi per debito e capitale netto
• Qual è il valore di mercato del capitale netto?
• Stima un valore di mercato del debito. (Per farlo avrai bisogno di raccogliere
informazioni sulla scadenza media del debito, gli interessi passivi pagati di
recente e il valore contabile del debito)
• Quali sono i pesi di debito e capitale netto?
• Qual è il costo del capitale della società?

Informazione online
Rischio e r endimento
rendimento
Se siete in possesso di dati mensili (fino a un massimo di 5 anni) relativi ai
prezzi e ai dividendi della società di cui volete stimare il beta con il metodo
della regressione, lo spreadsheet disponibile nel nostro booksite, nella sezio-
ne a supporto di questo capitolo, vi consentirà di calcolare beta, alfa e R qua-
drato (rispetto all’indice S&P 500).
In alternativa, potete ottenere il beta delle azioni quotate sui mercati statu-
nitensi sul sito www.dailystocks.com – il beta è calcolato sulla base di una
regressione di 3 anni di rendimenti mensili rispetto all’indice S&P 500 (inseri-
te il ticker e poi, nella sezione Beta, fate clic su Stocksheet).
Per stimare il beta bottom-up, potete utilizzare i beta unlevered medi per
settore industriale negli Stati Uniti raccolti nel booksite. Per ottenere dettagli
sul reddito operativo e l’utile generato da un’azienda in ciascun settore in cui
è attiva, potete consultare l’Annual Report (www.reportgallery.com) e il 10-K
(www.sec.gov/edgarhp.htm) della società. In tali documenti troverete anche il
valore di mercato del capitale netto e gli input necessari per stimare il valore di
mercato del debito (la scadenza del debito dovrebbe essere fra le note dello
stato patrimoniale, nel 10-K).
Per trovare il rating della vostra società potete consultare le graduatorie
stilate dalla Standard & Poor’s, se puoi accedervi. Puoi anche inviare una ri-
chiesta di rating via e-mail alla Standard & Poor’s sul sito www.standardpoor.com/
RatingsActions/ (facendo clic su Ratings Inquiries). Per ottenere il differenzia-
le per rischio di insolvenza (default spread) associato a ciascun rating, potete
ricorrere al dataset disponibile sul nostro booksite, nel quale sono riportati i

Cap4.p65 157 10/05/2001, 10.56


158 Capitolo 4

default spread (rispetto ai Treasury Bond) per classi di rating. Sempre nel book-
site, se volete stimare un rating “sintetico”, potete consultare la tabella nella
quale sono riportati i rating corrispondenti a ciascun livello dell’indice di co-
pertura degli oneri finanziari (interest coverage ratio).

WWW Italia
Per le società italiane, nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo
capitolo, trovate i beta calcolati sulla base di rendimenti mensili (per 5 anni)
rispetto all’indice Mibtel.
Il rating è disponibile sul sito www.borsaitalia.it (fate clic su Ratings nella
sezione Intermediari e Investitori), dove troverete anche una descrizione dei
criteri adottati dalle diverse agenzie.

Cap4.p65 158 10/05/2001, 10.56

Potrebbero piacerti anche