I fondamenti
Principi guida
Ogni disciplina ha dei principi guida che la governano. La finanza aziendale si
basa su tre principi, che chiameremo il Principio di Investimento, il Principio
di Finanziamento e il Principio dei Dividendi.
■ Il Principio di Investimento Investire in attività e progetti con un rendimen-
to atteso superiore a una soglia minima di rendimento. Tale soglia deve essere
più elevata per i progetti più rischiosi e riflettere la struttura finanziaria utiliz-
zata, ovvero fondi propri (capitale netto) oppure denaro preso in prestito
(capitale di terzi). Il rendimento atteso di un progetto va misurato sulla
base dell’ammontare dei flussi di cassa generati e della loro distribuzione nel
tempo, tenendo in considerazione anche gli effetti collaterali positivi e negati-
vi del progetto.
■ Il Principio di Finanziamento Scegliere una struttura finanziaria che massi-
mizzi il valore degli investimenti effettuati e sia in linea con il tipo di inve-
stimento da finanziare.
■ Il Principio dei Dividendi Restituire il denaro ai proprietari dell’impresa, nel
caso in cui non ci fossero opportunità di investimento in grado di generare
un rendimento superiore alla soglia minima. Per le società quotate in Bor-
sa, la forma di restituzione — dividendi o riacquisto di azioni proprie — di-
penderà dalle caratteristiche degli azionisti.
Nel prendere queste decisioni di investimento e di finanziamento, la finanza
aziendale tiene sempre ben presente l’obiettivo ultimo, ovvero massimizzare
il valore dell’impresa: perciò ogni decisione viene giudicata in base al suo im-
patto sul valore dell’impresa.
Questi principi-guida forniscono le basi sulle quali costruiremo i numerosi
modelli e le teorie che costituiscono la finanza aziendale moderna. In realtà, si
tratta anche di principi basati sul buon senso. Sarebbe infatti presuntuoso da
parte nostra credere che, prima che la finanza aziendale cominciasse a svilup-
parsi come disciplina coerente e autonoma pochi decenni fa, gli imprenditori
gestissero le proprie aziende quasi alla cieca, senza principi che ne governas-
sero l’operato. Gli imprenditori migliori hanno sempre avuto ben presente l’im-
portanza di ottenere un rendimento sul capitale investito superiore al costo di
approvvigionamento del capitale stesso. Uno dei paradossi degli ultimi anni è
proprio che un gran numero di manager di grandi aziende, presumibilmente
sofisticate e con la possibilità di accedere alle più avanzate tecniche di finanza
aziendale, abbiano perso di vista questi principi fondamentali.
Il Principio di Finanziamento
Nel contesto del Principio di Investimento, abbiamo implicitamente assunto
l’esistenza di una certa struttura finanziaria, e ne abbiamo esaminato le im-
plicazioni per la determinazione della soglia minima di rendimento. Nella se-
zione sul Principio di Finanziamento affronteremo la questione di fondo: è la
struttura finanziaria esistente quella giusta? Anche se aspetti legali o altri fat-
tori esterni talora possono porre dei limiti alla composizione delle fonti di fi-
nanziamento che un’impresa può utilizzare, esiste comunque un ampio spa-
zio di flessibilità e discrezione nelle decisioni di finanziamento. Cominceremo
ad analizzare questo problema nel Capitolo 7, passando in rassegna le alter-
native a disposizione delle imprese quotate e non quotate, in un’ampia gam-
ma che va dal capitale a titolo di proprietà fino al capitale di terzi. Poi passere-
mo a esaminare se la struttura finanziaria utilizzata da un’impresa sia quella
“ottimale” alla luce della nostra funzione obiettivo, ovvero la massimizzazione
del valore dell’impresa. Dopo aver individuato a livello qualitativo benefici e
costi dell’indebitamento, nel Capitolo 8 prenderemo in considerazione due
approcci alla determinazione della struttura finanziaria ottimale. Il primo ci
permetterà di individuare in quali circostanze la struttura finanziaria ottimale
risulta essere quella che minimizza la soglia minima di rendimento. Il secondo
ci consentirà di esaminare gli effetti che si producono sul valore cambiando la
struttura finanziaria. Nel Capitolo 9 descriveremo come passare dalla struttu-
ra finanziaria esistente a quella ottimale, tenendo presenti le opportunità di
videndi. Il legame fra queste decisioni e il valore dell’impresa è dato dal fatto
che il valore di un’impresa è il valore attuale dei flussi di cassa attesi, attualizzati a
un tasso che rifletta la rischiosità degli investimenti e la struttura finanziaria utiliz-
zata per finanziarli. Gli investitori formano delle aspettative sui flussi di cassa
futuri in base all’osservazione dei flussi di cassa correnti e alle previsioni di
crescita futura, le quali, a loro volta, dipendono dalla qualità dei progetti del-
l’impresa (le decisioni di investimento) e dal tasso di reinvestimento degli utili
(che dipende dalla politica dei dividendi). Le decisioni di finanziamento influi-
scono sul valore di un’impresa tramite il tasso di attualizzazione e, potenzial-
mente, anche tramite i flussi di cassa attesi.
Questa chiara definizione di valore viene messa alla prova dalle interazioni
fra politica di investimento, politica di finanziamento e politica dei dividendi,
nonché dai conflitti di interesse tra azionisti e obbligazionisti da una parte, e
tra azionisti e management dall’altra.
Introdurremo i modelli base disponibili per la valutazione di un’azienda e
del suo capitale netto nel Capitolo 12, mettendoli ancora una volta in relazio-
ne con le decisioni manageriali in termini di investimenti, struttura finanziaria
e distribuzione dei dividendi. In questo contesto esamineremo i fattori che
determinano il valore di un’impresa e i diversi modi in cui le imprese possono
accrescere il proprio valore.
Esempi applicativi:
obiettivo su aziende r eali
reali
La sempre maggiore facilità di ottenere informazioni sull’operato di aziende
di ogni tipo e dimensione suggerisce che non abbiamo bisogno di utilizzare
imprese ipotetiche per illustrare i principi della finanza aziendale. Per questo
motivo, nel seguito del libro faremo riferimento a quattro imprese per illustra-
re le nostre convinzioni in tema di gestione finanziaria aziendale:
1. Disney Corporation La Disney Corporation è una società quotata in Bor-
sa con numerose partecipazioni nel settore dello spettacolo e della comu-
nicazione. Sebbene molti identifichino la Disney con il logo di Mickey Mou-
se, o con Disney World, o con i classici cartoni animati di Walt Disney, si
tratta di un’impresa ben più diversificata. Le partecipazioni della Disney
includono proprietà immobiliari (sotto forma di multiproprietà e proprietà
da locare in Florida e South Carolina), reti televisive (ABC e ESPN), pubbli-
cazioni, studi cinematografici (Touchstone Pictures) e attività commerciali
al dettaglio (ci sono 610 negozi Disney nel mondo). La Disney ci aiuterà a
illustrare le scelte che società grandi e diversificate devono compiere nel-
l’affrontare le classiche decisioni di finanza aziendale: dove investire? Come
finanziare gli investimenti? Quanto restituire agli azionisti?
2. Bookscape Books Si tratta di un negozio di libri indipendente sito in New
York City, uno dei pochi rimasti dopo l’invasione delle catene di librerie
Nel corso del libro, faremo più volte riferimento ad alcune caratteristiche fon-
damentali della finanza aziendale:
1. La finanza aziendale ha una sua coerenza interna, che le deriva dalla
scelta di un’unica funzione obiettivo (la massimizzazione del valore del-
l’impresa) e da alcune convinzioni forti: il rischio deve essere remunerato; i
flussi di casa sono più importanti delle misure contabili; non è facile ingan-
nare i mercati; ogni decisione aziendale ha un impatto sul valore dell’im-
presa.
2. La finanza aziendale va vista nel suo insieme, piuttosto che come un
aggregato di precetti sparsi. Le decisioni di investimento in genere han-
no un impatto sulle decisioni di finanziamento (e viceversa), che a loro
volta condizionano le politiche dei dividendi (e viceversa). Raramente que-
ste decisioni possono essere considerate indipendenti l’una dall’altra. Per
questo motivo è assai improbabile che aziende che considerino queste de-
cisioni come distinte l’una dall’altra possano mai davvero risolvere il pro-
blema di fondo. Ad esempio, un’impresa che riducesse il livello dei divi-
dendi, ritenendolo la fonte dei propri problemi, potrebbe risentirne nelle
sue politiche di investimento e finanziamento.
3. La finanza aziendale serve a tutti. In ogni decisione presa da un’impresa
vi è un aspetto di finanza aziendale e tutti possono trovare utili almeno
alcune aree della finanza aziendale.
4. La finanza aziendale è divertimento. Questa può sembrare l’affermazio-
ne più sorprendente. Molti associano infatti la finanza aziendale a numeri,
bilanci e fredde analisi quantitative. Sebbene la finanza aziendale abbia
certo una importante dimensione quantitativa, vi è anche una significativa
componente di creatività nell’ideare soluzioni ai problemi finanziari con-
creti che un’attività di impresa si trova ad affrontare.
5. Il modo migliore per apprendere la finanza aziendale è applicarla con-
cretamente. Il test ultimo della validità di un qualunque modello teorico è
la sua applicazione pratica. In questo libro dimostriamo che una gran parte
della teoria della finanza aziendale può essere applicata non solo ad astrat-
ti esempi, ma anche ai problemi pratici di aziende reali.
Riepilogo
Questo capitolo descrive i principi guida della finanza aziendale: il Principio
di Investimento, secondo il quale bisogna investire solo in progetti il cui ren-
dimento superi una certa soglia minima; il Principio di Finanziamento, secon-
do il quale la struttura finanziaria ottimale è quella che massimizza il valore
degli investimenti compiuti; il Principio dei Dividendi, secondo il quale i flussi
di cassa “in eccesso” debbono essere restituiti ai proprietari.
P er ché puntar
erché puntaree alla massimizzazione
dei pr ezzi azionari?
prezzi
Ci sono tre motivi per cui la finanza aziendale tradizionale si concentra sulla
massimizzazione del prezzo azionario. Innanzitutto il prezzo azionario è un
parametro immediatamente e costantemente osservabile per giudicare l’ope-
rato di una società quotata in Borsa. A differenza di altri parametri quali utili o
fatturato, i prezzi azionari vengono infatti continuamente aggiornati, riflet-
tendo così istantaneamente nuove informazioni circa l’operato di un’azienda.
Ciò consente al management di avere un immediato riscontro delle iniziative
intraprese. Si prenda ad esempio la reazione dei mercati all’annuncio di un
progetto di acquisizione. Nella maggior parte dei casi, sebbene il management
decanti le virtù dell’operazione di acquisizione, i prezzi azionari dell’azienda che
tenta la scalata scendono notevolmente, a testimonianza del fatto che i mercati
sottopongono a vaglio critico le affermazioni del management.
Il secondo motivo è che i prezzi azionari, in un mercato razionale, rifletto-
no gli effetti di lungo termine delle politiche aziendali. Diversamente da para-
metri quali il fatturato o la quota di mercato (market share), che riflettono solo
l’effetto immediato dell’operato di un’impresa, il valore di un’azione, per defi-
nizione, riflette anche gli effetti di lungo termine e le prospettive future del-
l’azienda. In un mercato razionale, i prezzi azionari rappresentano il tentativo
da parte degli investitori di misurare questo valore. Anche se tale processo è
soggetto a un margine di errore, una stima approssimativa del valore di lungo
termine di un’azienda va comunque preferita a una stima magari più precisa
ma limitata alla capacità reddituale attuale.
Infine, scegliere la massimizzazione dei prezzi azionari come funzione obiet-
tivo consente di individuare chiaramente il modo migliore per scegliere i pro-
getti di investimento e le modalità di finanziamento.
In pratica
Qual è l’obiettivo per un’impr esa non quotata
un’impresa
o un’organizzazione non-pr ofit?
non-profit?
Massimizzare il prezzo azionario può rappresentare la funzione obiettivo sol-
tanto per le aziende quotate in Borsa. Per le aziende non quotate, l’obiettivo
rimane la massimizzazione del valore dell’impresa. I principi guida per le po-
litiche di investimento, di finanziamento e dei dividendi che analizzeremo nei
capitoli seguenti sono validi sia per le aziende quotate in Borsa che per quelle
non quotate, essendo entrambe orientate alla massimizzazione del valore del-
l’impresa. Tuttavia, dal momento che per le aziende non quotate il valore del-
l’impresa non è una misura direttamente osservabile e necessita di una stima,
a esse mancherà quel riscontro immediato – talvolta indesiderato – disponibi-
le invece alle aziende quotate quando si trovano a dover prendere delle deci-
sioni importanti.
Risulta molto più difficile applicare i principi della finanza aziendale alle
organizzazioni non-profit, in quanto in genere il loro obiettivo è quello di for-
nire un servizio nel modo più efficiente possibile, piuttosto che di ottenere
profitti. Nel seguito esamineremo alcuni dei fattori che questo tipo di organiz-
zazioni devono tenere in considerazione nel prendere decisioni di investimento
e di finanziamento.
Un mondo ideale…
È possibile concepire uno scenario in cui la massimizzazione dei prezzi azio-
nari rappresenta la “giusta” funzione obiettivo, senza effetti collaterali negati-
vi né conflitti di interessi. In questo mondo ideale dovrebbero verificarsi, con-
temporaneamente, tutte le seguenti condizioni:
1. Il management mette in secondo piano i propri interessi dando precedenza
a quelli degli azionisti. Questo può verificarsi o perché i manager temono
che gli azionisti provvedano a destituirli, o perché detengono un numero
rilevante di azioni e dunque la massimizzazione del patrimonio degli azio-
nisti diventa anche il loro obiettivo principale.
2. Coloro che prestano fondi all’azienda sono completamente protetti da ten-
tativi di espropriazione da parte degli azionisti. Questa situazione può ve-
rificarsi nel caso in cui gli azionisti vogliano tutelare la propria reputazione
sul mercato dei capitali, vale a dire la capacità di ottenere fondi a prestito in
futuro sul mercato obbligazionario, e quindi non prenderanno mai provve-
dimenti tesi a espropriare ricchezza da obbligazionisti e altri investitori;
oppure nel caso in cui questi ultimi riescano a proteggersi completamente
introducendo nel contratto una serie di clausole che impediscono all’azienda
di intraprendere azioni che risultino in una riduzione del loro patrimonio.
3. Il management non cerca di ingannare i mercati finanziari circa le prospet-
tive future dell’azienda; la quantità e qualità delle informazioni disponibili
è sufficiente perché i mercati possano valutare gli effetti dell’operato del-
l’azienda in termini di valore; i mercati sono razionali e ragionevoli nella
loro valutazione di tale operato e delle prevedibili conseguenze in termini
di valore.
4. Non ci sono costi sociali, nel senso che tutti i costi prodotti dall’azienda nel
tentativo di massimizzare il patrimonio degli azionisti possono essere mi-
surati e imputati all’azienda stessa.
Qualora si verifichino queste condizioni, la massimizzazione del patrimonio
degli azionisti non produce effetti collaterali negativi, e i prezzi azionari riflet-
I pr oblemi
problemi
Nel paragrafo precedente abbiamo elencato i requisiti necessari perché la mas-
simizzazione dei prezzi azionari rappresenti l’unica funzione obiettivo. È faci-
le tuttavia constatare che nella realtà questi requisiti non sono sempre soddi-
sfatti. Il management non sempre prende decisioni che vanno incontro agli
interessi degli azionisti; gli azionisti a volte prendono iniziative che trasferi-
scono a essi parte del patrimonio degli obbligazionisti o di altri investitori;
l’informazione che circola nei mercati è approssimativa e talora fuorviante; ci
sono costi sociali che non possono essere misurati e imputati all’azienda che li
ha generati. Nei paragrafi seguenti prenderemo in considerazione alcuni dei modi
in cui questi quattro rapporti – azionisti/management, azionisti/obbligazionisti,
Azionisti e management
In linea teorica, gli azionisti hanno il potere di disciplinare ed eventualmente
destituire i manager che non dimostrino di operare nel loro interesse. I due
meccanismi a disposizione degli azionisti per l’esercizio di questo potere sono
l’assemblea annuale, in seno alla quale è possibile manifestare riserve circa
l’operato del management e sostituirlo se necessario, e il consiglio di ammini-
strazione (Board of Directors), il cui compito fiduciario è assicurare che il ma-
nagement agisca nell’interesse degli azionisti. Ma quanto sono efficaci queste
istituzioni nel consentire agli azionisti di esercitare un reale potere di control-
lo sul management?
Prendiamo in esame l’assemblea annuale. La maggior parte degli azionisti
non partecipano alle assemblee annuali, o perché non ritengono che la loro
presenza e il loro voto possano avere un impatto significativo, o perché parte-
cipare sarebbe eccessivamente costoso. Essi possono tuttavia esercitare il di-
ritto di voto per delega1, ma, salvo che ci sia una cosiddetta battaglia di dele-
ghe (proxy fight), il management in carica parte con un netto vantaggio 2. In-
fatti molti azionisti, soprattutto i piccoli azionisti, non esercitano nemmeno il
loro diritto di voto per delega, e anche quando lo esercitano la soluzione più
semplice è spesso votare per il management in carica. Anche per gli azionisti
con una quota azionaria significativa (investitori istituzionali ecc.), dato che in
genere essi detengono partecipazioni azionarie in molte altre società, l’opzio-
ne più semplice quando non sono soddisfatti del management in carica è quella
di vendere le proprie azioni3. Un atteggiamento meno passivo da parte di questa
categoria di azionisti contribuirebbe significativamente a rendere il manage-
ment più attento e sensibile agli interessi degli azionisti stessi. La recente ten-
denza a un maggiore attivismo da parte dei maggiori azionisti sarà documen-
tata nei paragrafi seguenti.
Anche il potere del consiglio di amministrazione di disciplinare il manage-
ment e di renderlo responsabile di fronte agli azionisti viene in pratica ridotto
da una serie di fattori:
1 La delega autorizza gli azionisti a votare sulla nomina del consiglio di amministrazio-
ne e sulle decisioni che sono oggetto di voto in seno all’assemblea. La delega non consen-
te invece di porre domande direttamente al management.
2 Tale vantaggio è maggiore se lo statuto della società in questione consente al manage-
ment in carica di votare per conto di quegli azionisti che non abbiano inviato le proprie
deleghe di voto. Questo equivale a un’elezione in cui il candidato in carica automatica-
mente riceve i voti di tutti coloro che non si presentano a votare.
3 L’espressione anglosassone in tali casi è “to vote with your feet”; letteralmente “votare
con i propri piedi”, ossia andarsene [N.d.C.].
Esempio applicativo
Il caso del consiglio di amministr azione
amministrazione
della Disney
L’analisi della composizione del consiglio di amministrazione della Disney ci
permette di fare il punto su molti problemi riguardanti questa istituzione. Nel
1996 il consiglio di amministrazione della Disney era composto dai seguenti
16 membri:
Manager
■ Michael D. Eisner, 54 anni: presidente del consiglio di amministrazione e
CEO.
■ Roy E. Disney, 66 anni: vice presidente del consiglio di amministrazione,
responsabile del business Animazione.
■ Sanford M. Litvack, 60 anni: senior executive vice president (VP) e respon-
sabile delle operazioni aziendali.
■ Richard A. Nunis, 64 anni: presidente del consiglio di amministrazione della
Walt Disney Attractions.
Ex manager
■ Raymond L. Watson, 70 anni: presidente del consiglio di amministrazione
della Disney nel 1983 e 1984.
■ E. Cardon Walker, 80 anni: presidente del consiglio di amministrazione e
CEO della Disney nel periodo 1980-83. Nell’anno fiscale 1996, grazie a un
piano di incentivi, ha ricevuto pagamenti per un totale di 609.826 dollari
per film in cui aveva investito fra il 1963 e il 1979.
■ Gary L. Wilson, 56 anni: chief financial officer (CFO) della Disney fra il
1985 e il 1989.
10 Questi outside director con relazioni di tipo finanziario o personale con l’azienda ven-
gono spesso indicati con il termine gray director [N.d.C.].
11 In un two-tier takeover, l’acquirente offre un prezzo maggiore per il primo 51% di-
sponibile a vendere le proprie azioni e un prezzo inferiore per coloro che offrono le pro-
prie azioni successivamente.
In quali delle seguenti società saresti più propenso a votare a favore di tale
emendamento?
■ Società in cui i manager promettono di utilizzare questo potere per strap-
pare il pagamento di una somma maggiore di denaro per gli azionisti nella
trattativa di vendita
■ Società che hanno operato male (in termini di profitti e prezzo azionario)
negli ultimi anni
■ Società che hanno operato bene (in termini di profitti e prezzo azionario)
negli ultimi anni
■ Non voterei per un tale emendamento
Ci sono molti modi in cui il management può danneggiare gli azionisti – inve-
stendo in cattivi progetti, scegliendo un livello di indebitamento eccessivo o
troppo esiguo, o adottando meccanismi di difesa contro offerte d’acquisto che
potenzialmente potrebbero aumentare il valore dell’azienda. Ma il modo più
veloce e forse più significativo, viste le cifre coinvolte, per impoverire gli azio-
nisti è quello di pagare troppo per l’acquisto di un’altra azienda. Chiaramente
il management dell’azienda acquirente non ammetterà mai di offrire una som-
ma eccessiva12, e anzi la giustificherà con un gran numero di motivi, quali
l’esistenza di sinergie, questioni di carattere strategico, il fatto che l’azienda
target è sottovalutata o mal gestita ecc… Gli azionisti delle aziende acquirenti
non sembrano condividere però l’entusiasmo del management in queste ac-
quisizioni, dal momento che spesso i prezzi azionari delle società acquirenti
scendono in modo significativo all’annuncio dell’offerta d’acquisto13.
Con la nostra trattazione non vogliamo insinuare che il management si
comporti in modo venale o egoistico, ma evidenziare un problema ben più
rilevante: quando si genera un conflitto di interessi fra azionisti e manage-
ment, la massimizzazione del patrimonio degli azionisti scende in secondo
piano rispetto agli interessi del management.
Azionisti e obbligazionisti
In un mondo senza conflitti di interesse fra azionisti e obbligazionisti, questi
ultimi non devono preoccuparsi di proteggersi contro possibili tentativi di
12 Una spiegazione del fenomeno degli eccessivi prezzi pagati in fusioni e acquisizioni si
trova in Roll (1986), il quale sostiene che è lo hubris (orgoglio) manageriale a guidare il processo.
13 Jarrel, Brickley e Netter (1988) in uno studio dei rendimenti delle aziende acquirenti
notano che gli excess return (vale a dire, i rendimenti azionari al netto del rendimento di
mercato) di queste aziende all’annuncio di un’offerta d’acquisto sono diminuiti da una
media del 4,95% negli anni ’60 a una media del 2% negli anni ’70 fino a una media del -
1% negli anni ’80. You, Caves, Smith e Henry (1986) hanno preso in esame 133 fusioni
risalenti al periodo fra il 1976 e il 1984 e hanno rilevato che nel 53% dei casi i prezzi
azionari delle aziende offerenti subirono una diminuzione.
espropriazione. Nella realtà, tuttavia, esistono vari modi in cui gli azionisti
possono avvantaggiarsi della mancanza di meccanismi protettivi da parte de-
gli obbligazionisti. Ad esempio, gli azionisti possono aumentare l’indice di
indebitamento (leverage), o pagare maggiori dividendi.
Il pr oblema dell’informazione
problema
I prezzi di mercato si basano sull’informazione, sia pubblica che privata14. Se-
condo la teoria tradizionale, l’informazione viene trasmessa in modo veloce e
veritiero ai mercati finanziari. Nel mondo reale, esistono degli impedimenti a
questo processo. Il primo è che l’informazione viene a volte soppressa o ritar-
data dalle aziende, soprattutto quando essa contiene cattive notizie. Oltre a
un’ampia aneddotica su questo fenomeno, la prova più chiara che le aziende
fanno operazioni di questo tipo deriva dagli studi su annunci delle aziende
relativi agli utili di periodo e ai dividendi. In uno studio del 1987 sugli annunci
degli utili di periodo, Penman ha notato che quelli contenenti le notizie peg-
giori vengono spesso diffusi in ritardo rispetto alla data stabilita. Inoltre, il
mio studio su annunci di utili di periodo e dividendi per giorni della settimana
alla New York Stock Exchange fra il 1982 e il 1986 rivela che gli annunci fatti il
venerdì, soprattutto nelle ore successive alla chiusura dei mercati, contengono
notizie più negative rispetto agli altri giorni della settimana. Questo suggeri-
sce che il management, temendo una reazione spropositata dei mercati, cerca
di rinviare le cattive notizie ai giorni in cui i mercati sono meno attivi o addi-
rittura chiusi.
Il secondo e più serio problema è che alcune aziende, preoccupate di ac-
contentare i loro investitori e far salire il prezzo delle azioni, emettono infor-
mazioni volutamente fuorvianti circa la situazione attuale dell’azienda e le sue
prospettive future, generando così una discrepanza fra valore e prezzo del-
l’azione. Prendiamo come esempio la Bre-X, una società canadese attiva nel-
l’industria estrattiva che all’inizio degli anni 90 dichiarò di aver scoperto in
Indonesia una delle più grandi miniere d’oro del mondo. La società fu forte-
mente pubblicizzata da analisti finanziari negli Stati Uniti e in Canada, ma nel
1997, fra la sorpresa di tutti gli analisti, si scoprì che si era trattato di una frode
bella e buona, con conseguente crollo del prezzo delle azioni.
14 Con il termine informazione pubblica si intende l’informazione cui hanno accesso tutti
gli investitori, mentre il termine informazione privata indica l’informazione ristretta agli
insider dell’azienda o a pochi investitori.
In pratica
I mer cati sono davv
mercati er
davver
eroo miopi?
Molti sostengono che la massimizzazione dei prezzi azionari induce il mana-
gement ad avere un orientamento di breve periodo (si veda per esempio il
notissimo libro di Michael Porter sulle strategie competitive). Secondo questa
tesi, i prezzi azionari sono determinati da trader, investitori a breve termine e
analisti, vale a dire soggetti che mantengono le azioni per brevi periodi e sono
interessati a prevedere gli utili del prossimo trimestre. Un management orien-
tato alla creazione di valore nel lungo termine, piuttosto che ai risultati di bre-
ve periodo, sarebbe perciò penalizzato dai mercati. Ma l’evidenza empirica
disponibile suggerisce, al contrario, che i mercati valutano le implicazioni di
lungo termine più di quanto si creda.
1. Ci sono centinaia di aziende, specialmente quelle piccole o all’inizio della
propria attività (startup), che non hanno al momento profitti o flussi di cas-
sa, né prevedono di averne nel futuro immediato, ma che comunque rie-
scono a reperire notevoli finanziamenti sui mercati sulla base delle aspet-
tative di successo future. Se i mercati fossero così miopi come suggerito da
alcuni, tali aziende non sarebbero riuscite a finanziarsi e quindi non avreb-
bero potuto svolgere la propria attività.
2. L’evidenza empirica mostra che semmai i mercati sottovalutano profitti e
flussi di cassa attuali e sopravvalutano profitti e flussi di cassa futuri. Ad
esempio, alcuni studi suggeriscono che le azioni con un basso rapporto
prezzo-utili (e quindi elevati profitti attuali) sono state in genere sottovalu-
tate dai mercati rispetto alle azioni con elevati rapporti prezzo-utili.
3. La reazione del mercato agli annunci di nuovi investimenti (in particolare
quelli in ricerca e sviluppo) non è uniformemente negativa, come la tesi dei
mercati miopi vorrebbe farci credere. Al contrario, la reazione è moderata, e
i prezzi azionari in media salgono all’annuncio di nuovi investimenti.
Il dilemma: cr eder
creder
ederee nei mer cati, o non cr
mercati, eder
creder
ederee …
L’informazione che arriva ai mercati finanziari è spesso poco aggiornata, im-
precisa e fuorviante, e i prezzi che ne derivano rappresentano stime molto
approssimative del valore reale. Tuttavia questo non può farci dimenticare il
principale contributo dei mercati finanziari, vale a dire la capacità di assimila-
re e aggregare un’enorme quantità di informazioni circa le condizioni attuali e
le prospettive future di un’azienda in un solo parametro, ovvero il prezzo azio-
nario. Non esistono altri parametri in grado di dare una stima così aggiornata
o completa della salute di un’azienda.
L’importanza di avere un prezzo di mercato balza agli occhi quando si lavora
con un’impresa non quotata. Nonostante il management delle aziende quotate si
lamenti del continuo gioco delle parti con analisti e investitori, è di estremo valore
sapere come gli investitori valutano le azioni intraprese dall’azienda.
L’azienda e la società
La maggior parte delle decisioni prese dal management hanno delle implica-
zioni sociali, un problema di non facile soluzione. Una funzione obiettivo che
punta a massimizzare il patrimonio dell’azienda o degli azionisti assume che i
costi sociali collaterali siano talmente limitati da poter essere ignorati, oppure
che essi possano essere misurati e imputati all’azienda. In molti casi questi
assunti non corrispondono alla realtà delle cose.
Vi sono infatti casi in cui i costi sociali sono considerevoli ma non possono
essere imputati all’azienda. In questi casi, il management, pur consapevole dei
costi, può scegliere di ignorarli e di massimizzare il patrimonio dell’azienda. I
dilemmi etici che sorgono nel momento in cui un manager è costretto a sce-
gliere fra la propria sopravvivenza in azienda (che può richiedere la massimiz-
zazione del patrimonio degli azionisti) e gli interessi della società in senso
ampio possono essere dibattuti a lungo, ma non esiste una soluzione semplice
che possa essere offerta in questo libro.
Nei casi in cui esistono costi sociali notevoli, di cui le aziende siano consa-
pevoli, un approccio etico al problema sosterrebbe che la massimizzazione del
patrimonio deve scendere in secondo piano rispetto agli interessi della socie-
tà. Ma cosa fare nei casi in cui le aziende creano importanti costi sociali a loro
insaputa? La Johns Manville Corporation, per esempio, negli anni 50 e 60 pro-
duceva amianto con l’intenzione di ricavarne utili, e non era a conoscenza del
fatto che questo materiale potesse provocare il cancro. Trent’anni dopo, le cause
intentate dalle persone colpite da cancro a causa dell’amianto hanno portato
al fallimento dell’azienda.
A dire il vero, i conflitti fra gli interessi dell’azienda e quelli della società vanno
oltre la funzione obiettivo di massimizzare il patrimonio degli azionisti, e possono
essere considerati endemici ad un sistema basato sulla libera iniziativa economica
privata. Il purista alla ricerca di una perfetta congruenza fra gli interessi della so-
cietà e gli interessi dell’azienda è destinato a non essere mai del tutto soddisfatto.
…e allor a?
allora?
Gli azionisti spesso non hanno un potere effettivo di controllo sul manage-
ment, che di conseguenza tende a porre i propri interessi al di sopra di quelli
degli azionisti. Gli obbligazionisti che non sappiano tutelare i propri interessi
finiscono spesso per pagarne il prezzo, allorché le decisioni prese dall’azienda
trasferiscono ricchezza agli azionisti. L’informazione è spesso erronea o non
viene fornita affatto, e vi possono essere quindi differenze sostanziali fra prez-
zo e valore dell’azione. Infine, le aziende che massimizzano il patrimonio pos-
sono farlo a spese della società in cui operano.
Dati questi problemi, possiamo intraprendere due strade. La prima è man-
tenere la funzione obiettivo di massimizzare il patrimonio degli azionisti, cer-
cando di limitare i problemi ad essa associati. La seconda è scegliere una fun-
zione obiettivo alternativa.
Massimizzar
Massimizzare e il patrimonio
degli azionisti: alcuni accorgimenti
Non esiste una soluzione complessiva ai problemi discussi nei paragrafi pre-
cedenti, ma esistono rimedi parziali che consentono di ridurre i conflitti di
interesse fra azionisti, obbligazionisti e management, e dunque di ridurre le
divergenze fra prezzi e valore.
Azionisti e management
Come osservato in precedenza, i meccanismi tradizionali di controllo (assem-
blee annuali e consigli di amministrazione) spesso si rivelano inefficaci per
risolvere i conflitti di interesse fra azionisti e management. Questo non signi-
fica, tuttavia, che il divario fra i due gruppi sia così profondo da non poter
essere sanato, riducendo le divergenze di interessi o aumentando il potere
degli azionisti sul management.
Allinear
Allinearee gli inter essi di azionisti e management
interessi
Finché il management ha interessi diversi da quelli degli azionisti, esiste un
potenziale conflitto. Un modo per ridurre questo conflitto è fornire al mana-
gement una quota di partecipazione azionaria (tramite azioni o warrant sulle
azioni, le stock option). Così facendo, il management beneficia da un aumento
A umentar
umentaree il poter
poteree degli azionisti
Ci sono molti modi in cui aumentare il potere degli azionisti sul management.
Il primo è fornire agli azionisti informazioni migliori e più aggiornate, in modo
che essi possano meglio giudicare l’operato del management. Il secondo è
includere nel management gli azionisti con una partecipazione significativa,
così da assegnare loro un ruolo di primo piano nelle decisioni dell’azienda.
Alcuni esempi sono il ruolo di Warren Buffet nel riportare in vita la Salomon
Brothers e l’impegno di Larry Tisch in qualità di CEO della CBS, Inc. Entrambe
le società, in un periodo di profonda crisi, riflessa nel calo del prezzo aziona-
rio, furono salvate dall’intervento di questi azionisti, i quali ridisegnarono le
strategie aziendali necessarie per conservare e aumentare il patrimonio degli
azionisti15. La terza possibilità è avere un numero maggiore di investitori isti-
tuzionali “attivisti”, i quali cioè intervengano in questioni quali la composi-
zione del consiglio di amministrazione, gli emendamenti contro le offerte d’ac-
quisto ostili ecc. Negli ultimi anni, gli investitori istituzionali hanno utilizzato
il loro ampio potere per spronare i manager a rendere maggiormente conto
delle proprie scelte. Fra gli investitori più intraprendenti citiamo il California
Public Employees Retirement System (CalPERS), uno dei maggiori investitori
istituzionali negli Stati Uniti. La quarta possibilità, anch’essa sollecitata dal-
l’attivismo degli azionisti, è rendere il consiglio di amministrazione più re-
sponsabile di fronte agli azionisti, riducendo il numero di membri interni (in-
side director) e garantendo quindi una maggiore indipendenza dal CEO.
15 A onor del vero, va detto che nessuno dei due riuscì interamente nell’impresa.
Esempio applicativo
Gli azionisti della Disney esprimono
le lor
loroo riserv
riservee sul management
In precedenza, abbiamo rilevato la natura “interna” del consiglio di ammini-
strazione della Disney. Nonostante la Disney sia sempre attenta a sottolineare
gli ottimi rendimenti azionari ottenuti, i suoi azionisti rimangono sospettosi
circa la natura così amichevole del rapporto fra consiglio di amministrazione e
CEO. All’inizio del 1997, dopo che la Disney pagò ben 38,8 milioni di dollari
all’ex presidente Michael Ovitz perché lasciasse l’azienda, il consiglio di am-
ministrazione rinnovò il contratto del CEO, Michael Eisner, fino al 2006, of-
frendogli un pacchetto di opzioni estremamente generoso. Nell’assemblea
annuale tenuta il 25 febbraio 1997, il 13% degli azionisti della Disney votò
contro la rielezione dei membri del consiglio di amministrazione in carica, e
l’8,2% votò contro il pacchetto retributivo offerto ad Eisner. Sebbene queste
percentuali possano sembrare basse, esse rappresentano il più alto voto “con-
tro” per una grande società statunitense negli ultimi anni (cioè da quando nel-
l’ottobre 1995 nell’assemblea annuale della Archer-Daniels-Midland Co. circa
il 20% dei voti andarono contro la rielezione del consiglio di amministrazione
in carica16 ).17
18 Grande successo ebbe il libro Barbarians at the Gate, che racconta la battaglia per
l’acquisizione del controllo della Nabisco nel 1988 [N.d.C.].
Esempio applicativo
L’alter nativa tedesca e giapponese
’alternativa
al poter
poteree degli azionisti
Nel modello tedesco e giapponese di corporate governance, le aziende deten-
gono partecipazioni in altre aziende, e spesso prendono decisioni nell’interes-
se del gruppo industriale cui appartengono, piuttosto che nel loro interesse
individuale. In tale sistema le aziende si controllerebbero a vicenda, senza perciò
bisogno di cedere potere di controllo agli azionisti. Si tratta di un sistema poco
democratico – dopo tutto i proprietari dell’azienda sono gli azionisti – che,
inoltre, testimonia un profondo scetticismo sul modo in cui gli azionisti po-
trebbero esercitare il loro potere, ammesso che ne avessero, e sembra decisa-
mente diretto a conservare il potere del management in carica.
Forse è vero che tale approccio consente di evitare i costi associati all’attivi-
smo degli azionisti e all’inefficienza dei mercati, ma presenta anche degli svan-
Azionisti e obbligazionisti
Il conflitto di interessi fra obbligazionisti e azionisti può indurre a compiere
azioni che trasferiscono ricchezza dai primi ai secondi – quali l’investimento
in progetti rischiosi, il pagamento di maggiori dividendi, e l’aumento del leve-
rage –, senza compensare gli obbligazionisti per le perdite che ne conseguono.
Esistono però vari modi in cui gli obbligazionisti possono almeno in parte
proteggersi da azioni di questo tipo.
Assumer
Assumeree una quota di partecipazione azionaria
Dal momento che la radice del conflitto fra azionisti e obbligazionisti è la di-
versa natura dei rispettivi diritti sui flussi di cassa dell’azienda, un altro modo
in cui gli obbligazionisti possono ridurre i conflitti di interesse è acquistare
una quota di partecipazione azionaria nell’azienda. Questo può essere fatto
acquistando azioni dell’azienda contemporaneamente alla sottoscrizione di
obbligazioni, o sottoscrivendo obbligazioni fornite di warrant, oppure tramite
obbligazioni convertibili in azioni. In questo modo, gli obbligazionisti che ri-
tengono che gli azionisti si siano arricchiti a loro spese, possono diventare
azionisti loro stessi e quindi condividerne i guadagni.
Miglior ar
Migliorar
aree la qualità dell’informazione
Nonostante le commissioni regolamentatici, come la statunitense Securities
and Exchange Commission, possano richiedere alle aziende una maggiore
quantità di informazioni e penalizzare quelle che forniscono informazioni fa-
sulle o fuorvianti, la qualità dell’informazione non può essere migliorata sol-
tanto tramite leggi sulla trasparenza. Le aziende continueranno infatti ad ave-
19 Il lettore ricorderà il giallo delle cifre sui conti di Telecom Italia nell’ottobre 1998
[N.d.C.].
Render
Renderee i mer cati più ef
mercati ficienti
efficienti
Così come una migliore informazione non può essere imposta per legge, an-
che i mercati non possono essere resi più efficienti semplicemente con un in-
tervento normativo, anche perché vi è grande disaccordo su come rendere i
mercati più efficienti. Alcune condizioni necessarie (ma non sufficienti) sono
le seguenti:
1. L’attività di trading dovrebbe essere poco costosa e semplice da eseguire.
Più alti sono i costi delle transazioni, più difficile è eseguirle, e meno effi-
cienti saranno i mercati.
2. Almeno alcuni degli investitori nel mercato dovrebbero avere accesso al-
l’informazione riguardante le azioni oggetto di compravendita, nonché
possedere le risorse necessarie per tradurre questa informazione in opera-
zioni di acquisto o vendita.
Ogni tipo di limite imposto all’attività di compravendita, anche se adottato
con le migliori intenzioni, spesso conduce a maggiori inefficienze nei mercati.
Per esempio, limitare le vendite allo scoperto (short sale) potrebbe sembrare
una buona politica pubblica, ma può creare una situazione in cui informazioni
negative sulle azioni non vengono riflesse in modo adeguato nel prezzo azio-
nario.
Le aziende e la società
Ci saranno sempre dei costi sociali associati alle attività intraprese da aziende
che operano nel proprio interesse. Il problema fondamentale è che i costi so-
ciali non possono essere ignorati nel processo decisionale, ma al tempo stesso
essi sono troppo nebulosi per essere oggetto di analisi precise. Una possibile
soluzione per l’azienda è massimizzare il valore (inteso come patrimonio azien-
dale o degli azionisti) comportandosi però da “buon cittadino”, vale a dire
tentando di ridurre al minimo i costi sociali, anche in assenza di un preciso
obbligo legale in tal senso. Il problema in un approccio di questo tipo, chiara-
mente, è che la definizione di “buon cittadino” varia da azienda ad azienda e
da management a management. Vi sono, tuttavia, esempi di aziende che han-
no saputo costruirsi una reputazione di buon cittadino traendone notevoli
benefici. In definitiva, il modo migliore per rendere le aziende maggiormente
responsabili di fronte alla società è far sì che, da un punto di vista economico,
non creare costi sociali sia nell’interesse delle aziende stesse. Ciò può essere
ottenuto in due modi. In primo luogo, le aziende tacciate di comportamenti
socialmente irresponsabili possono perdere clienti e profitti. Questo è stato,
ad esempio, il fattore che ha indotto un gran numero di catene di vendita al
dettaglio, negli Stati Uniti, a prendere le distanze dallo sfruttamento del lavo-
ro minorile che avveniva negli stabilimenti dei Paesi di produzione delle merci
da loro messe in vendita. In secondo luogo, gli investitori possono decidere di
non comprare azioni in tali aziende. Per esempio, molti fondi pensione uni-
versitari e statali negli Stati Uniti hanno cominciato a ridurre o eliminare le
loro partecipazioni azionarie in aziende operanti nell’industria del tabacco per
esprimere la loro preoccupazione per gli effetti nocivi di questo prodotto.
Per riassumere, vi sono chiaramente dei problemi associati all’obiettivo della
massimizzazione del valore, ma alcuni di essi possono esser ridotti apportan-
do dei cambiamenti nel modo in cui i manager vengono assunti, compensati e
licenziati, nei contratti obbligazionari e nei mercati finanziari. Nella Figura 2.3
vengono sintetizzati alcuni di questi cambiamenti.
20 Termine siriano che significa ricchezza, possedimenti. È venuto poi a indicare il de-
mone del denaro [N.d.C.].
Riepilogo
La teoria della finanza aziendale è costruita attorno alla funzione obiettivo di
massimizzare il patrimonio degli azionisti o il patrimonio aziendale nel suo
complesso. L’adozione di questa funzione obiettivo può creare significativi costi
collaterali, in termini di conflitti fra azionisti e management, fra azionisti e
obbligazionisti, e fra impresa e società. Questi costi possono essere ridotti adot-
tando strategie che riducano la probabilità di tali conflitti – aumentare il pote-
re degli azionisti sul management, tutelare gli interessi degli obbligazionisti,
promuovere regole di comportamento da “buon cittadino”. Questa potrebbe
essere la strategia ottimale da adottare, dal momento che funzioni obiettivo
alternative hanno anch’esse dei difetti. Infine, abbiamo mostrato che molte
delle critiche mosse alla finanza aziendale sono in realtà critiche alla funzione
obiettivo su cui essa si impernia, e che tali critiche però non conducono a
soluzioni alternative superiori.
Esercizi
Esercizi
1. La funzione obiettivo in finanza aziendale è c. I mercati finanziari siano efficienti.
a. Massimizzare i profitti. d. L’azienda non produca costi che non possa-
b. Massimizzare i flussi di cassa. no essere misurati e ad essa imputati.
Domande chiave
■ Si tratta di una società in cui c’è separazione fra management e proprieta-
ri? Se sì, in che misura il management rende conto del proprio operato agli
azionisti?
■ Esiste un potenziale conflitto fra azionisti e altri investitori (banche, obbli-
gazionisti ecc.)? Se sì, in che modo viene gestito?
■ In che modo l’azienda interagisce con i mercati finanziari? In che modo i
mercati ottengono informazioni dall’azienda?
■ Qual è la filosofia dell’azienda in termini di responsabilità verso la colletti-
vità? Come gestisce la propria immagine “sociale”?
Uno schema per l’analisi
1. Il CEO
■ Chi è? Da quanto tempo è in carica?
■ Se si tratta di un’azienda “familiare”, fa parte della famiglia? In caso nega-
tivo, che tipo di carriera lo ha portato fino all’attuale posizione? (Ha fatto
carriera in azienda o è arrivato dall’esterno?)
■ Quante azioni e stock option possiede?
2. Il consiglio di amministrazione21
■ Chi sono i membri del consiglio di amministrazione? Da quanto tempo
sono in carica?
■ Quanti sono gli inside director (cioè dipendenti o manager della società)?
■ Quanti hanno rapporti di altro tipo con l’azienda (in qualità di fornitori o
clienti)?
■ Quanti rivestono la carica di CEO in altre aziende?
■ Vi sono membri del consiglio di amministrazione con grosse partecipazio-
ni azionarie proprie o che rappresentano altri che ne hanno?
5. Vincoli sociali
■ L’azienda ha una reputazione particolarmente buona o particolarmente
cattiva in qualità di “buon cittadino”?
■ Se sì, in che modo si è fatta questa reputazione?
■ Se l’azienda di recente è stata criticata sotto questo profilo, in che modo si
è difesa?
Informazione online
Corpor ate gov
Corporate er
gover nance
ernance
Per conoscere la composizione del top management e del Consiglio di Ammi-
nistrazione di una società, un primo riferimento è l’Annual Report (rendicon-
to annuale). Il sito www.reportgallery.com contiene gli Annual Report di oltre
21 Nel contesto italiano, va tenuto conto che parte del ruolo degli outsiders nel consiglio
di amministrazione è stato svolto (almeno in teoria) dal collegio sindacale “Riprodurre in
Italia il modello di un consiglio di amministrazione con membri indipendenti incaricati di
controllare il management rende in qualche misura superflua la funzione dei collegi sindacali,
un organo inesistente nel mondo anglosassone” (Il Sole-24 Ore, 8 ottobre 1998) [N.d.C.].
2200 società quotate negli Stati Uniti, nonché una sezione internazionale per
UK, Giappone, Corea e Sudafrica. Altrimenti, si può provare l’home page delle
singole società, che spesso include l’Annual Report. Per le compagnie U.S.,
tenute a presentare documenti alla Securities Exchange Commission (SEC),
maggiori dettagli sui membri del consiglio di amministrazione sono disponi-
bili sul sito www.edgar-online.com/people/. Il sito ufficiale della SEC contiene
inoltre informazioni relative a operazioni di insider trading o in generale tran-
sazioni azionarie compiute dal top management di una società o da membri
del consiglio di amministrazione, www.sec.gov/edgarhp.htm. Un altro sito utile
per questo tipo di informazioni è www.freeedgar.com.
Per avere un’opinione indipendente sulla capacità del consiglio di ammini-
strazione di esercitare monitoring sull’operato del management, si può sentire
cosa ne pensa CalPERs, uno dei maggiori e più attivi investitori istituzionali
(azionista in oltre 1600 compagnie statunitensi), www.calpers.org. Ad esem-
pio, ogni anno CalPERS identifica una lista di 10 aziende (Focus List) la cui
performance è stata ben al di sotto di quella di altre aziende nello stesso setto-
re (www.calpers.org/about/factglan/corpgov/corpgov.htm). Una simile Focus
List è stilata dal Council of Institutional Investors (www.cii.org/focus.htm).
Inoltre, come accennato nel testo, ogni anno Business Week presenta una
classifica dei peggiori consigli di amministrazione di grandi aziende statuni-
tensi; la più recente è del 24 gennaio 2000, www.businessweek.com.
Per un’idea di quanto e come viene pagato il Chief Executive Officer (CEO),
possono essere utili le classifiche stilate annualmente per 800 CEO negli Stati
Uniti dalla rivista Forbes, www.forbes.com/ceos/. Per le aziende statunitensi,
tenute a presentare documenti alla Security Exchange Commission (SEC),
maggiori dettagli sono disponibili sul sito www.sec.gov , come pure sul sito
www.edgar-online.com/compexpress/ (inserire il ticker).
Per conoscere le previsioni degli analisti finanziari sulla performance di
azioni quotate negli Stati Uniti, e avere un’idea di quanti analisti seguano una
certa azione, potete provare il sito della Zacks Investment Research,
www.zacks.com, immettendo il ticker symbol dell’azione e scegliendo Esti-
mates Go! Stime e raccomandazioni degli analisti sono anche disponibili sul
sito della Morningstar, www.morningstar.com, immettendo il ticker symbol nel-
la casella Quicktake Reports e cliccando poi su Earnings Estimates.
Infine, per avere un’idea delle forme di investimento “socialmente respon-
sabile”, date un’occhiata al sito http://socialinvest.org/areas/sriguide/
index.html . Oppure, visitate il sito di Calvert, uno dei maggiori fondi “social-
mente responsabili”, www.calvertgroup.com.
Infine, per conoscere il punto di vista delle organizzazioni dei lavoratori, in
particolare con riferimento alla compensazione dei CEO, visitate il sito della
AFL-CIO, www.aflcio.org, la federazione delle organizzazioni sindacali.
WWW Italia
Per gli Annual Report di società italiane quotate si può provare la home page
delle singole società (reperibile tramite il sito della Borsa italiana, www.
Requisiti di un modello
di rischio e r endimento
rendimento
Nel corso di questo capitolo presenteremo una serie di modelli per la valuta-
zione del rischio e del rendimento di un investimento. Nel far ciò, è importan-
te ricordare che un buon modello dovrebbe soddisfare i seguenti requisiti:
1. Fornire una misura del rischio che si possa applicare a qualunque tipo di
investimento .
2. Indicare chiaramente quali tipi di rischio sono remunerati e quali no, e spie-
garne il motivo.
3. Fornire una misura di rischio standardizzata, tale cioè da consentire a un
investitore di capire se la rischiosità di un certo investimento è superiore o
inferiore alla media.
4. Tradurre la misura del rischio in un “tasso atteso di rendimento”, ovvero la
remunerazione che l’investitore richiederà per assumersi tale rischio.
5. Riuscire non solo a spiegare i rendimenti realizzati in passato, ma anche a
predire i rendimenti attesi in futuro.
zione del rendimento per tale investimento: si tratta in questo caso di un inve-
stimento privo di rischio, almeno in termini nominali.
Supponiamo ora che il nostro investitore decida invece di acquistare le
azioni della Disney, dalle quali ritiene di poter ottenere un rendimento pari al
30% (sempre in un anno). Quasi certamente il rendimento effettivo non sarà
del 30%, e anzi potrebbe risultare molto maggiore o molto minore. La distri-
buzione del rendimento di tale investimento è illustrata nella Figura 3.2.
Questo esempio indica che un investitore, oltre alla media (rendimento at-
teso), deve considerare altre caratteristiche della distribuzione:
■ In primo luogo, la dispersione dei rendimenti effettivi attorno al rendimento
atteso, misurata dalla varianza (o dallo scarto quadratico medio) della distri-
buzione; maggiore è la differenza fra rendimenti effettivi e rendimento at-
teso, maggiore è la varianza.
gli investitori. È molto più probabile che essi preferiscano invece distribuzioni
asimmetriche nella direzione di rendimenti positivi e distribuzioni con una mino-
re probabilità di forti oscillazioni (minore curtosi). Vale a dire che ogni scelta fra
diversi investimenti comporterà un trade-off fra maggiore rendimento atteso ed
un’asimmetria più “positiva”, da un lato, e maggiore varianza e curtosi, dall’altro.
Vedremo in seguito che uno dei modelli di rischio e rendimento, il capital
asset pricing model (CAPM), ipotizza che ogni investimento sia valutato solo
in termini di rendimento atteso e varianza, ignorando così l’esistenza di asim-
metria e curtosi. D’altro lato va però detto che l’effettiva importanza di questi
due fattori nella determinazione del rendimento atteso non è ancora chiara.
Va notato che nella pratica la varianza (come pure gli altri parametri della
distribuzione) viene quasi sempre stimata utilizzando la distribuzione dei ren-
dimenti storici piuttosto che quella dei rendimenti futuri attesi, nel presuppo-
sto che la prima rappresenti un buon indicatore della seconda. Nel momento
in cui questo presupposto viene meno, come nel caso in cui le caratteristiche
dell’investimento siano cambiate sostanzialmente nel corso del tempo, una
stima storica della varianza non rappresenta più una buona misura della ri-
schiosità di un investimento.
Varianza = 37,66%
Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete lo scarto qua-
dratico medio dei rendimenti di titoli azionari in vari settori industriali del mercato statuni-
tense.
Rischio r emuner
remuner ato e non r
emunerato emuner
remuner ato
emunerato
Il rischio, secondo la definizione che ne abbiamo dato nel paragrafo prece-
dente, deriva dal fatto che il rendimento effettivo di un investimento può es-
sere diverso dal rendimento atteso; tale differenza può risultare da diverse
cause, alcune specifiche di un certo investimento (rischio specifico di un pro-
getto o rischio specifico d’impresa), altre comuni a tutti gli investimenti (ri-
schio-mercato).
dalle azioni dei concorrenti. Invero, una buona analisi di capital budgeting
dovrebbe già tenere conto delle possibili reazioni dei concorrenti.Tuttavia, le
azioni effettivamente intraprese dai concorrenti risultano spesso imprevedibi-
li. In molti casi questa componente del rischio interessa più di un singolo pro-
getto, e risulta più difficile per l’azienda diversificarla nella sua attività ordina-
ria. La Disney, per esempio, in un’analisi previsionale della profittabilità della
Disney Store division può sbagliare nel valutare la forza e le strategie dei suoi
concorrenti, come Warner Bros Stores e Toys‘ß’Us. Ma mentre la Disney, pur
diversificando, non può far molto per ridurre il rischio-concorrenza,3 i suoi
azionisti possono sostanzialmente ridurlo se sono disposti a investire anche
nelle aziende concorrenti.
La terza fonte di rischio è il rischio-settore, che deriva cioè da fattori che
incidono su profitti e flussi di cassa di uno specifico settore industriale. Questa
categoria comprende a sua volta tre fonti di rischio: la prima è il rischio-tecno-
logia, vale a dire la possibilità di significativi cambiamenti tecnologici nel cor-
so del tempo, rispetto al momento in cui il progetto è stato concepito. La se-
conda fonte è il rischio-leggi, vale a dire la possibilità di cambiamenti in leggi e
regolamentazioni. La terza fonte è il rischio-materie prime, vale a dire la possi-
bilità di variazioni nei prezzi delle materie prime e dei servizi prodotti o utiliz-
zati intensamente in quel settore. La Disney, per esempio, nello stimare la
profittabilità futura della sua broadcasting division (ABC), si espone a tutti e
tre i tipi di rischio: al rischio-tecnologia, dal momento che i confini fra intrat-
tenimento televisivo e Internet vengono continuamente ridefiniti dall’attività
di società come la Microsoft; al rischio legale, dal momento che le leggi che
regolano le reti televisive possono essere modificate; e al rischio-materie pri-
me, dal momento che i costi di produzione di nuovi programmi televisivi va-
riano nel tempo. Un’impresa non può diversificare il rischio-settore se non
diversificando le proprie attività in altri settori industriali (tramite investimen-
ti diretti o acquistando aziende giàoperanti). Gli azionisti di tale impresa, però
possono diversificare il rischio-settore includendo nel proprio portafoglio an-
che titoli azionari di aziende operanti in altri settori industriali.
La quarta fonte di rischio è il rischio internazionale. Un’impresa si trova a
dover fronteggiare questo tipo di rischio quando la valuta nella quale sono
misurati gli utili ed è espresso il prezzo del titolo azionario è diversa dalla
valuta dei flussi di cassa del progetto, come accade nel caso di progetti intra-
presi al di fuori del mercato nazionale. In tal caso i risultati posso differire
dalle previsioni a causa di fluttuazioni nel tasso di cambio o per il cosiddetto
rischio politico. Ad esempio, la Disney si è chiaramente esposta a questo tipo di
rischio con la sua partecipazione del 33% in EuroDisney, il parco divertimenti
da essa creato nei pressi di Parigi. In parte questo tipo di rischio può essere
P er ché la div
erché ersificazione riduce
diversificazione
o elimina il rischio specifico d’impr esa?
d’impresa?
Diversificare consente di ridurre o eliminare il rischio specifico d’impresa per
due motivi. Il primo è che ciascun investimento in un portafoglio ben diversi-
ficato costituirà solo una piccola percentuale dell’intero portafoglio. In tal modo
ogni attività che incrementa o riduce il valore del singolo investimento (o di
P er ché si pr
erché esume che l’inv
presume estitor
l’investitor
estitoree
“marginale” sia div ersificato?
diversificato?
L’idea che un investitore possa ridurre la propria esposizione al rischio non
viene in genere contestata, ma i modelli di rischio e rendimento in finanza
vanno oltre. In tali modelli, infatti, si sostiene che l’investitore marginale (cioè
colui che determina i prezzi dei titoli) sia ampiamente diversificato. Di conse-
guenza, l’unico rischio riflesso nel prezzo di un titolo (o, in generale, nella
valutazione di un investimento) è il rischio percepito da tale investitore. In
realtà il ragionamento sottostante è molto semplice. Supponiamo che vi siano
due investitori, uno diversificato e uno non diversificato, i quali concordino
sul rendimento atteso di un certo titolo (o sui flussi di cassa attesi da un certo
progetto d’investimento). La percezione della rischiosità di tale titolo sarà però
maggiore per l’investitore non diversificato rispetto a quello diversificato, dal
momento che il secondo, a differenza del primo, non deve preoccuparsi del
rischio specifico d’impresa. Perciò l’investitore diversificato sarà disposto a
pagare una somma maggiore per quel titolo. Il risultato di questo processo è che,
nel tempo, tutti i titoli vengono ad essere detenuti da investitori diversificati.
Si potrebbe replicare che questo ragionamento funziona perfettamente per
titoli azionari e altri valori mobiliari negoziati in piccole unità ed estremamen-
te liquidi, ma si adatta meno bene ad investimenti illiquidi e con una elevata
dimensione minima.
In molti Paesi, ad esempio, i beni immobiliari sono posseduti da investitori
non diversificati, con gran parte del patrimonio investita in tali beni. Cionon-
dimeno, i benefici derivanti dalla diversificazione sono tali che una serie di
titoli, quali i Real Estate Investment Trust (REIT, una sorta di fondi comuni di
investimento immobiliare) e le obbligazioni ipotecarie, sono stati creati pro-
prio per permettere ai risparmiatori che investono in beni immobiliari di otte-
nere comunque un certo livello di diversificazione.
60
Capitolo 3
07/05/2001, 20.16
politici internazionale re ben diversificati ficati internazio-
nalmente
Mercato - Oscillazioni dei - Sì - Sì - Sì
tassi di interesse
- Oscillazioni
dell’inflazione
- Shock economici
La nozione di rischio 61
Ipotesi
Nonostante la diversificazione consenta di ridurre l’esposizione degli investi-
tori al rischio specifico d’impresa, la maggior parte degli investitori possiede
un numero limitato di titoli. Anche i maggiori mutual funds (fondi comuni aperti)
sono riluttanti a possedere più di qualche centinaio di azioni, e anzi molti non
ne hanno più di una ventina. La ragione di questa riluttanza è che i benefici
marginali della diversificazione di un portafoglio diminuiscono all’aumentare
della diversificazione: ad esempio, la riduzione del rischio specifico d’impresa
ottenuta aggiungendo il ventunesimo titolo è minore rispetto a quella ottenu-
ta precedemente con l’aggiunta di un quinto o un decimo titolo, e potrebbe
non essere sufficiente a coprire i costi marginali associati alla diversificazione,
quali i costi di transazione d il costo di seguire un titolo in più (monitoring
cost). Inoltre, molti investitori (e fondi di investimento) ritengono di saper in-
dividuare i titoli sottovalutati e quindi decidono di non detenere quelli (rite-
nuti) sopravvalutati o correttamente valutati.
Il capital asset pricing model ipotizza che non esistano costi di transazione,
che tutte le attività (finanziarie e non) siano trattate sul mercato e che gli inve-
stimenti siano divisibili all’infinito (cioè che si possa comprare una qualsiasi
frazione di un’unità di investimento). Ipotizza inoltre che, non essendoci in-
Dato che la covarianza del portafoglio di mercato con se stesso non è altro che
la varianza del portafoglio di mercato, il beta del portafoglio di mercato (e
quindi il beta di una ipotetica attività media) è 1. Quindi le attività più (meno)
rischiose della media saranno quelle con un beta superiore (inferiore) ad 1. Il
titolo privo di rischio avrà ovviamente un beta pari a zero.
dove:
E(Ri) = Rendimento atteso dell’attività i
Rf = Tasso di rendimento del titolo privo di rischio
βi = Beta dell’attività i
E(Rm) = Rendimento atteso del portafoglio di mercato
E(Rm) – Rf = Premio di rischio (risk premium)
Il CAPM in pratica
È chiaro quindi che per usare il CAPM sono necessari tre input:
■ Tasso di rendimento del titolo privo di rischio. Per titolo privo di rischio si
intende un titolo il cui rendimento atteso nel periodo di riferimento sia
noto all’investitore con certezza. Di conseguenza, il tasso di rendimento di
un titolo privo di rischio da utilizzare nel CAPM varierà a seconda che il
periodo di riferimento sia 1, 5 o 10 anni.
■ Premio di rischio. Il premio di rischio indica la remunerazione richiesta dai
risparmiatori per investire nel portafoglio di mercato (che comprende tutte
le attività rischiose) piuttosto che nel titolo privo di rischio. In pratica, vie-
ne spesso stimato sulla base dei rendimenti storici di attività rischiose (di
solito titoli azionari) e di titoli privi di rischio.
■ Il beta può essere ottenuto direttamente come coefficiente della regressio-
ne dei rendimenti passati dell’attività contro i rendimenti passati del por-
tafoglio di mercato (di solito approssimato da un indice azionario).
In definitiva, nel CAPM l’intero rischio-mercato è sintetizzato dal beta, misu-
rato in relazione al portafoglio di mercato (che, almeno in teoria, include tutte
le attività trattate sul mercato, ciascuna detenuta in proporzione al proprio
valore di mercato).
operatori professionali. Alla fine degli anni ’70, Ross (1976) ha proposto un
modello alternativo per la misurazione del rischio: l’arbitrage pricing model.
Ipotesi
L’arbitrage pricing model (APM) si basa sul semplice presupposto che gli in-
vestitori traggono vantaggio dalle opportunità di arbitraggio. In altri termini,
se due portafogli hanno la stessa esposizione al rischio ma offrono diversi
rendimenti attesi, gli investitori acquisteranno il portafoglio con maggiore ren-
dimento atteso e, così facendo, ne faranno salire il prezzo e quindi diminuire il
rendimento atteso, riportandolo perciò in equilibrio con l’altro portafoglio.
Come il CAPM, anche l’arbitrage pricing model scompone il rischio in ri-
schio specifico d’impresa e rischio-mercato. Il primo è il rischio che influenza
principalmente una singola azienda. Il secondo è il rischio che influenza tutti
gli investimenti, e deriva da variazioni impreviste nei tassi di interesse, nell’in-
flazione, o in altre variabili macroeconomiche. Inseriamo questo concetto nel
modello di rendimento:
R = E(R) + m + ∈
dove
βj = sensibilità dell’investimento a variazioni inattese nel fattore j (il cosid
detto beta-fattore)
Fj = variazioni inattese nel fattore j
dove
wj = peso relativo dell’attività j nel portafoglio
Rj = rendimento atteso dell’attività j
βi,j = beta dell’attività j rispetto al fattore i
dove
Rf = rendimento atteso di un portafoglio con beta uguale a zero
E(Rj) = rendimento atteso di un portafoglio con un beta pari a 1 rispetto al
fattore j, e pari a zero rispetto a tutti gli altri fattori
[E(Rj) – Rf] = premio di rischio associato al fattore j.
L’APM in pratica
Oltre al tasso di rendimento di un investimento privo di rischio, l’APM richie-
de la stima del beta e del premio di rischio per ciascun fattore. In pratica, essi
vengono di solito misurati applicando la cosiddetta “analisi fattoriale” ai dati
storici relativi ai rendimenti degli investimenti. In sostanza, un’analisi fatto-
riale esamina i dati storici alla ricerca, appunto, di “fattori” comuni a grandi
gruppi di attività (piuttosto che a singole attività o a gruppi di attività concen-
trati in un settore. L’analisi fattoriale ottiene due risultati:
1. Specifica il numero di fattori comuni che hanno inciso sui dati storici esa-
minati.
2. Misura il Beta di ciascuna attività rispetto a ciascun fattore comune e forni-
sce una stima dell’effettivo premio di rischio ottenuto da ciascun fattore.
L’analisi fattoriale, tuttavia, non identifica i fattori in termini economici.
dove
βPIL = Beta relativo alle variazioni nel fattore “produzione industriale”
E(RPIL) = Rendimento atteso su un portafoglio con beta pari a 1 sul fattore
produzione industriale, e pari a zero su tutti gli altri fattori
βI = Beta relativo alle variazioni nel tasso di inflazione
E(RI) = Rendimento atteso su un portafoglio con beta pari a 1 sul fattore
inflazione, e pari a zero su tutti gli altri fattori
Modelli di r egr
regr essione
egressione
I vari modelli fin qui descritti partono dalla intuizione alla base del concetto di
rischio-mercato e tentano poi di caratterizzarlo con maggiore precisione at-
traverso un modello economico i cui parametri sono ottenuti analizzando dati
storici. Esiste invece una classe di modelli che parte dai dati storici dei rendi-
menti per risalire a un modello di rischio e rendimento. In particolare, tali
modelli cercano di “spiegare” le differenze nei rendimenti nel corso di lunghi
periodi di tempo utilizzando caratteristiche specifiche dell’azienda, quali la
dimensione e i multipli del prezzo azionario. Si tratta sostanzialmente di mo-
delli di regressione, dove le caratteristiche aziendali che meglio spiegano le
differenze nei rendimenti storici possono essere interpretate come un’appros-
simazione del rischio-mercato.
dove
MV = Valore di mercato del capitale netto (in milioni di dollari)
BV/MV = book-to-market-ratio = valore contabile del capitale netto/valo-
re di mercato del capitale netto
Analisi compar
comparataata dei modelli
di rischio e r endimento
rendimento
I modelli sviluppati nel corso di questo capitolo hanno alcuni aspetti in comu-
ne. Tutti partono infatti dall’assunto che soltanto il rischio-mercato viene re-
munerato, ed esprimono il rendimento atteso in funzione della misura di tale
rischio. Il CAPM ha bisogno di un maggior numero di ipotesi ma risulta essere
il modello più semplice, dove è un unico fattore a determinare il rischio e quindi
a dover essere stimato. L’APM si basa su un minor numero di ipotesi per giun-
gere però a un modello più complicato, almeno in termini dei parametri che
devono essere stimati. Il CAPM può essere considerato un caso speciale del-
l’APM con un unico fattore perfettamente misurato dall’indice di mercato. In
generale, il CAPM ha il vantaggio di essere un modello più semplice da utiliz-
zare; ma l’APM si rivela superiore nel caso in cui l’azienda sia sensibile a fat-
tori economici non adeguatamente rappresentati dall’indice di mercato. Per
esempio, il CAPM tende a sottostimare il beta delle compagnie petrolifere, la
to le azioni delle grandi aziende che compongono l’indice Standard & Poor
500, caratterizzate da un beta abbastanza basso, ad avere rendimenti superiori
alle azioni delle aziende più piccole, tipicamente caratterizzate da un beta più
elevato. Un altro risultato interessante in Chan e Lakonishok è che i beta sem-
brano essere un’ottima misura di rischio in condizioni di mercato estreme:
infatti, nei 10 mesi “neri” del mercato azionario fra il 1926 e il 1991, le aziende
più rischiose (il decile con il beta più elevato) hanno avuto una performance di
gran lunga inferiore a quella del mercato (Figura 3.4)
I primi test dell’APM e dei modelli multifattoriali hanno avuto risultati molto
promettenti. Ma per valutarli correttamente è importante operare una distin-
zione fra la capacità di questi modelli di spiegare le differenze nei rendimenti
effettivamente realizzati in passato e la loro capacità di predire i rendimenti
attesi in futuro. È infatti ovvio che questi modelli alternativi siano superiori al
CAPM in termini della capacità di spiegare le differenze nei rendimenti storici,
dal momento che essi, a differenza del CAPM, non si limitano a considerare
un solo fattore. L’utilizzo di più fattori diventa però un problema quando si
tratta di stimare i rendimenti attesi in futuro, perché bisogna calcolare il beta e
il premio di rischio per ciascuno di questi fattori. Data la volatilità nel premio
di rischio e nel beta associati a ciascun fattore, l’errore di stima può eccedere i
benefici ottenibili passando dal CAPM a modelli più complessi. I modelli di
regressione proposti come alternativa sono ancora più esposti a questo pro-
blema, dal momento che le variabili che sembrano essere una valida approssi-
mazione del rischio-mercato in un determinato periodo (come la dimensione
dell’azienda) possono non non esserlo più in un altro.
In conclusione, possiamo affermare che il CAPM è sopravvissuto come
modello base per la stima del rischio e del rendimento atteso, sia per la sua
semplicità ed immediatezza, sia perché modelli alternativi non hanno dimo-
strato di poter fornire misure più precise del rendimento atteso. Riteniamo
quindi che un uso oculato del CAPM, che non dia cioè eccessivo rilievo ai dati
Figura 3.4 Rendimenti e beta: i dieci mesi peggiori fra il 1926 e il 1991
storici e tenga invece conto delle indicazioni emerse nel contesto di modelli
alternativi al CAPM,7 rappresenti ancora oggi il modo migliore per misurare il
rischio in finanza aziendale.
7 Ad esempio, Barra, un’importante agenzia che fornisce stime dei coefficienti beta, mo-
difica i coefficienti beta ottenuti dalle regressioni di dati storici in modo tale da riflettere
alcune caratteristiche fondamentali delle aziende (come la dimensione o il tasso di divi-
dendo). Si tratta proprio di quelle caratteristiche che i modelli di regressione precedente-
mente descritti hanno identificato come buone approssimazioni per il rischio-mercato.
8 Per impegni finanziari intendiamo ogni pagamento che l’azienda si è contrattualmente
impegnata a effettuare, come appunto il pagamento di interessi e quota capitale sui debiti
contratti. Tale definizione esclude invece flussi di cassa discrezionali, come il pagamento
di dividendi o gli esborsi richiesti da nuovi investimenti, che possono essere rinviati senza
conseguenze legali, anche se con possibili conseguenze economiche.
Il pr ocesso di r
processo ating
rating
Il processo di rating di un’obbligazione comincia quando la società emittente
si rivolge a un’agenzia di rating. L’agenzia raccoglie informazioni da fonti pub-
blicamente disponibili (bilanci ecc.) e dalla stessa società emittente, e giunge a
determinare un certo rating. Se la società non accetta tale valutazione, ha la
possibilità di presentare ulteriori informazioni. Questo processo viene rappre-
sentato in modo schematico per un’agenzia di rating, la Standard & Poor’s
(S&P), nella Figura 3.5.
rating delle obbligazioni di una società dipende in gran parte dagli indici fi-
nanziari, che misurano la capacità della società di far fronte ai debiti e di gene-
rare flussi di cassa stabili e prevedibili. Esiste una moltitudine di indici finan-
ziari. La Tabella 3.3 sintetizza alcuni degli indici principali per la misurazione
del rischio d’insolvenza.
Esiste una stretta correlazione fra il rating che una società riceve e la sua
performance in termini di questi indici finanziari. La Tabella 3.4 fornisce un
riassunto della mediana di tali indici dal 1993 al 1995 per diverse classi di
rating della S&P per imprese industriali. Si noti che l’indice lordo di copertura
degli interessi e l’indice di copertura degli interessi EBITDA sono espressi come
multipli degli interessi passivi, mentre gli altri indici sono espressi in percentuale.
Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i principali
indici finanziari per classi di rating negli Stati Uniti per il periodo più recente per il quale i
dati sono disponibili.
Non sorprende che ad avere i rating migliori siano aziende con capacità di
generare redditi e flussi di cassa superiori agli impegni finanziari, con maggio-
re redditività e con bassi indici di indebitamento. Cionondimeno vi saranno
casi di aziende il cui rating non sembra coerente con gli indici finanziari: que-
sto accade perché nella valutazione complessiva data dalle agenzie di rating
giocano un ruolo anche elementi soggettivi. Perciò, un’azienda la cui perfor-
mance in termini di indici finanziari è stata negativa ma per la quale si preve-
de un significativo miglioramento nell’immediato futuro, riceverà un rating
superiore a quello che deriverebbe da una meccanica applicazione degli indici
finanziari. Per la maggior parte delle aziende, tuttavia, gli indici finanziari do-
vrebbero fornire una base ragionevole per stimare il rating.
Indice di copertura degli oneri finanziari al lordo delle (Reddito dalle operazioni permanenti al lordo delle
imposte basato sul reddito operativo imposte + Interessi passivi)/interessi passivi lordi
Indice di copertura degli oneri finanziari al lordo delle EBITDA/Interessi passivi lordi
imposte basato sull’EBITDA
Rapporto fondi generati dalle operazioni/Debito Totale (Utile netto dalle operazioni permanenti + Ammor-
tamento)/Debito Totale
Flussi di cassa operativi disponibili/Debito Totale (Flussi di cassa operativi – Spese in conto capitale –
Variazioni nel capitale circolante)/Debito Totale
Rendimento sul capitale permanente al lordo delle (Reddito dalle operazioni permanenti al lordo delle
imposte imposte + Interessi passivi )/(Livello medio nel cor-
so dell’anno di debito a breve termine, debito a me-
dio termine, capitale netto e partecipazioni di mi-
noranza)
Reddito Operativo/Fatturato (Fatturato – Costo del Venduto – Spese di vendita –
Spese Amministrative – Spese di Ricera & Svilup-
po)/Fatturato
Rapporto Debito a Lungo Termine/Capitale Debito a Lungo Termine/(Debito a Lungo Termine +
Capitale Netto)
Debito Totale/Capitalizzazione Debito Totale/(Debito Totale + Capitale Netto)
Indice di copertura degli oneri 13,50 9,.67 5,76 3,94 2,14 1,51 0,96
finanziari al lordo delle imposte
basato sul reddito operativo
Indice di copertura degli oneri 17,08 12,80 8,18 6,00 3,.49 2,45 1,51
finanziari al lordo delle imposte
basato sull’EBITDA
Rapporto fondi generati dalle 98,2% 69,1% 45,5% 33,3% 17,.7% 11,.2% 6,7%
operazioni/Debito Totale
Flussi di cassa operativi 60,0% 26,8% 20,9% 7,2% 1,4% 1,2% 0,96%
disponibili/Debito Totale
Rendimento sul capitale 29,3% 21,4% 19,1% 13,9% 12,0% 7,6% 5,2%
permanente al lordo
delle imposte
Reddito Operativo/Fatturato 22,6% 17,8% 15,7% 13,5% 13,5% 12,5% 12,2%
Rapporto Debito a Lungo 13,3% 21,1% 31,6% 42,7% 55,6% 62,2% 69,5%
Termine/Capitale
Debito Totale/Capitalizzazione 25,9% 33,6% 39,7% 47,8% 59,4% 67,4% 61,1%
Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i default spread per
classi di rating nel periodo più recente.
In pratica
Quando il r ating non è disponibile
rating
Dal punto di vista di un analista, avere il rating di un’azienda costituisce sicu-
ramente una informazione preziosa, poichè il rating rappresenta una stima
imparziale e pubblicamente disponibile del rischio d’insolvenza dell’azienda.
Per di più, come vedremo successivamente, il default spread può essere utiliz-
zato per stimare il costo del debito per un’azienda, anche quando essa non
abbia obbligazioni in circolazione.
Tuttavia, molte società, prevalentemente piccole aziende ed imprese non
quotate, scelgono di non richiedere un rating. Inoltre, malgrado l’espansione
delle agenzie di rating, vi sono ancora alcuni mercati in cui le società non
vengono classificate in base al rischio dell’insolvenza. Quando il rating non è
disponibile, alcune soluzioni alternative per ottenere una stima del costo del
debito sono le seguenti:
1. Stimare un rating “sintetico”. In mercati come gli Stati Uniti, dove a migliaia
di aziende viene assegnato un rating e l’informazione finanziaria su tali
aziende è pienamente disponibile (come dimostra la Tabella 3.4), l’infor-
mazione finanziaria disponibile per un’azienda può essere utilizzata per
stimare un “rating” dell’azienda. Per esempio, supponiamo di avere
un’azienda non quotata con un indice lordo di copertura degli interessi del
6,15. In base ai dati presentati nella Tabella 3.4, tale azienda dovrebbe avere
un rating contrassegnato dalla sigla A. Questo approccio può essere esteso
per tenere conto di numerosi indici e delle differenze in termini di capita-
lizzazione di mercato e volatilità dei profitti.
2. Dati storici. Molte aziende senza rating prendono in prestito fondi dalle
banche e dalle altre istituzioni finanziarie. Analizzando i prestiti più recenti
ottenuti dall’azienda, ci si può fare un’idea del default spread implicito in
tali prestiti e utilizzarlo poi per giungere a una stima del costo del debito.
In sostanza, è importante tenere a mente che il rating è soltanto un mezzo
volto a un fine, e il fine è la stima del costo del debito.
Riepilogo
La nozione che il rischio viene assunto in vista di un rendimento appropriato
è chiaramente condivisibile. Tuttavia i modelli per la stima del rischio e del
rendimento atteso sono ancora oggetto di dibattito. Per gli investimenti in ti-
toli azionari, i modelli per la valutazione di rischio e rendimento misurano il
rischio in termini di rischio non diversificabile: il capital asset pricing model lo
misura tramite un unico fattore, “il mercato”, mentre l’arbitrage pricing mo-
del e i modelli multifattoriali utilizzano diversi fattori. Per gli investimenti in
titoli obbligazionari, per i quali la possibilità di perdite di valore è ben superio-
re alle opportunità di apprezzamento, per ottenere appropriate stime dei ren-
dimenti attesi si utilizzano modelli di stima del rischio d’insolvenza.
Questo capitolo ha posto le fondamenta per comprendere l’intuizione e le ipo-
tesi alla base dei modelli di rischio e rendimento. Nel prossimo capitolo affronte-
remo questioni di carattere pratico relative a come stimare e utilizzare questi mo-
delli, e a come le decisioni prese dalle aziende si riflettono sui parametri di rischio.
Esercizi
Esercizi
1. Supponiamo di avere tre titoli (A, B, e C) con i
seguenti parametri: Anno Rendimento annuale
1992 12,5%
Parametri A B C 1991 10,3%
1990 45,8%
Rendimento atteso 12% 10% 8%
1989 –30,5%
Scarto quadratico medio 30% 40% 35%
198 11,4%
1987 10,2%
Quale preferiresti, e perché? 1986 –2,2%
2. Considera i seguenti dati storici sul rendimen-
to dell’azione X negli ultimi dieci anni : a. Calcola il rendimento annuale medio e la scar-
to quadratico medio.
Anno Rendimento annuale b. Se la società non ha pagato dividendi negli
ultimi dieci anni, e il prezzo azionario era $
1995 42,1%
1994 –10,9% 25,6 alla fine del 1985, quale sarà il prezzo
1993 20,4% azionario alla fine del 1995?
c. Quale sarà il tasso di crescita annuale com- b. Per costruire un portafoglio con uno scarto
posto del prezzo azionario in questi 10 anni? quadratico medio pari al 20%, quali dovreb-
È uguale al rendimento medio annuale cal- bero essere i pesi di A e B nel portafoglio?
colato nel punto (a)? c. Quale sarebbe il rendimento atteso di tale
3. Supponi di voler formare un portafoglio usan- portafoglio?
do due titoli con le seguenti caratteristiche: 6. Tre titoli hanno i seguenti parametri:
Parametri A B Parametri A B C
Rendimento atteso 12% 18% Rendimento atteso 15% 20% 35%
Scarto quadratico medio 25% 40% Scarto quadratico medio 20% 40% 70%
Coefficiente di correlazione Coefficiente di correlazione
tra A e B 0,8 tra A e B 0,5
Rendimento atteso 12% 15% 7. Quale sarà il premio atteso per il rischio di un
Scarto quadratico medio 25% 45% titolo azionario con un beta di 1,5 se il premio
Coefficiente di correlazione atteso per il rischio-mercato è del 10%?
tra A e B –1,0 8. Quale sarà il rendimento atteso di un titolo
azionario con un beta pari a 0,9, se storicamente
a. In che modo puoi costruire un portafoglio che il rendimento medio del mercato azionario è
sia privo di rischio? stato del 12,5%, e i Buoni del Tesoro hanno avu-
b. Quale sarà il rendimento atteso di tale porta- to un rendimento medio del 5%?
foglio? 9. Gli analisti stimano un rendimento atteso del
c. Se la tua banca ti permettesse di prendere a mercato azionario per l’anno prossimo supe-
prestito all’8% e concedere prestiti allo stes- riore del 2,5% al rendimento medio storico. Di
so tasso, in che modo potresti disegnare una quanto aumenterebbe il rendimento atteso del
strategia di investimento che garantisca pro- titolo azionario di cui alla domanda prece-
fitti sicuri (meccanismo di arbitraggio)? dente?
5. Supponiamo di avere due titoli con i seguenti 10. Un titolo azionario ha un rendimento atteso del
parametri: 15%, e il mercato azionario ha un rendimento
atteso del 12%. Qual è il beta di questo titolo
Parametri A B se il rendimento di un titolo privo di rischio è
del 5%?
Rendimento atteso 15% 5%
Scarto quadratico medio 40% 0% 11. Il CAPM viene spesso utilizzato per valutare la
performance dei gestori di fondi di investimen-
a. Quale sarà il coefficiente di correlazione tra to. Supponiamo che uno di questi fondi abbia
A e B? un rendimento annuale medio del 14% per die-
ci anni e un beta pari a 1,4. Nello stesso perio- c. Ti sorprenderebbe scoprire che quando il ren-
do, l’indice S&P 500 ha reso in media il 12% dimento annuale medio è calcolato al netto
all’anno, e il rendimento dei Buoni del Tesoro è di spese e commissioni (che vanno in genere
stato del 5%. Il gestore di questo fondo proba- dall’1% al 3% del patrimonio gestito), risulta
bilmente si vanterebbe di aver battuto l’indice che circa l’80% dei gestori di portafoglio ha
di mercato del 2% all’anno. Ammesso che il avuto una performance inferiore a quella del-
CAPM rappresenti correttamente la relazione l’indice S&P 500?
tra rischio e rendimento, è vero che la perfor- 15. Supponiamo di essere in presenza di un mo-
mance del fondo è stata superiore a quella del dello APT con quattro fattori, e di averne sti-
mercato? mato i parametri per una particolare società:
12. Supponiamo che il rendimento atteso del mer-
cato sia il 12%, e il rendimento di un titolo pri- Rf 5%
vo di rischio sia il 5%. Costruiamo un portafo- b1 1,2 E(R1) 6,5%
glio con le seguenti caratteristiche: b2 0,5 E(R2) 4,3%
b3 0,8 E(R3) 8,0%
A B C b4 1,6 E(R4) 7,5%
Coefficiente beta 1,2 0,9 1,8 a. Quale sarà il rendimento atteso di questo ti-
Peso nel portafoglio 0,4 0,3 0,3 tolo azionario?
b. Se i parametri effettivamente realizzati risul-
Qual è il beta di tale portafoglio? E il rendi- teranno invece essere
mento atteso? (R1) = 7,2%
13. Una delle più semplici strategie di allocazione (R2) = 5,2%
del proprio capitale è investire solamente in ti- (R3) = 6,3%
toli privi di rischio come i Buoni del Tesoro e in (R4) = 10%
un fondo legato all’indice S&P 500 (e che per- quale sarà la “sorpresa” in termini di rendi-
ciò dovrebbe avere un beta di 1,0). Supponia- mento azionario?
mo che il rendimento atteso dell’indice S&P 500
16. Supponi di voler utilizzare l’equazione stimata
sia del 12%, e che il rendimento atteso dei Buo-
da Fama e French:
ni del Tesoro sia del 5%.
R t = 1,77% – 0,11 ln(MV) + 0,35 ln(BV/MV)
a. Per avere un rendimento atteso del 10% al-
nelle tue decisioni di portafoglio. A tal fine, di-
l’anno sul tuo investimento, in percentuale
vidi tutti i titoli in due gruppi sulla base del rap-
quanto dovresti investire nell’indice S&P 500
porto BV/MV. Il primo gruppo ha un BV/MV di
e quanto nei Buoni del Tesoro?
0,3, il secondo un BV/MV di 1,2. Che differen-
b. Quale sarà il beta del portafoglio così costruito? za ti aspetti nel rendimento medio mensile di
14. Tipicamente un fondo comune di investimento questi due gruppi di titoli?
azionario ben diversificato investe in centinaia 17. Supponiamo che le assunzioni alla base del
di azioni perché per legge esso non può inve- CAPM siano valide. Valuta se le seguenti affer-
stire più del 5% del suo patrimonio complessi- mazioni sono vere o false:
vo in un solo titolo.
a. Imprese con varianza più alta avranno un beta
a. Quale pensi che sarà il beta di un tale fondo? maggiore.
b. Quale pensi che sarà il rendimento annuale b. Un portafoglio è efficiente se non ha rischio
medio, al lordo di spese e commissioni, per non sistematico.
un fondo comune di investimento, se l’indice
c. Un’impresa il cui andamento è strettamente
S&P 500 ha registrato storicamente un ren-
correlato a quello del mercato avrà un beta
dimento annuale medio del 12%?
maggiore di una il cui andamento è meno c. Quali sarebbero rendimento atteso e varianza
correlato. di un portafoglio composto in pari proporzioni
d. Se aumenta la varianza dell’intero mercato, i da oro e titoli azionari?
beta di tutte le imprese diminuiscono. d. Hai appena appreso che la GPEC (un cartello
e. Un’impresa ben gestita avrà un beta più bas- di paesi produttori di oro) ha intenzione di
so rispetto a una gestita male. legare la quantità di oro prodotta all’anda-
mento dei prezzi azionari negli Stati Uniti (più
f. Il portafoglio di mercato è efficiente e perciò
esattamente, meno oro verrà prodotto quan-
contiene soltanto i titoli migliori sul mercato.
do i prezzi azionari sono elevati, e viceversa).
c. Un investitore propenso al rischio deterrà le Quali effetti avrà una tale politica sul tuo por-
azioni più rischiose sul mercato, mentre un tafoglio? Perché?
investitore avverso al rischio deterrà quelle più
19. Supponiamo che la varianza media del rendi-
sicure.
mento dei singoli titoli sia 50 e la covarianza
18. Assumi che esistano soltanto due beni, l’oro e i media sia 10. Quale sarà la varianza attesa di
titoli azionari. Stai considerando di investire il un portafoglio di 5, 10, 20, 50 e 100 titoli? Quan-
tuo patrimonio in una sola delle due attività, ti titoli è necessario tenere affinché il rischio di
oppura in una combinazione di entrambe. Così un portafoglio sia soltanto 10% più del mi-
raccogli i seguenti dati sui rendimenti delle due nimo?
attività negli ultimi sei anni:
20. Il CAPM è stato criticato per diverse ragioni.
Elenca le critiche che sono state mosse e valuta
Oro Mercato azionario se esse sono più o meno fondate.
Rendimento medio 8% 20% 21. Confronta l’arbitrage pricing model ed il capi-
Deviazione standard 25% 22% tal asset pricing model.
Correlazione –0,4
a. Quali sono i punti di contatto fra i due mo-
delli? Quali sono le differenze?
a. Se fossi costretto a scegliere solo uno dei due
investimenti, quale sceglieresti? b. Se ti trovassi a dover calcolare il rendimento
atteso di un’azione usando il CAPM e l’APM,
b. Secondo un tuo amico, la tua scelta è sbaglia-
sotto quali condizioni otterresti lo stesso ri-
ta perché non tiene nella dovuta considera-
sultato? Nel caso in cui la tua stima risultasse
zione la possibilità di enormi rendimenti che
in due diversi rendimenti attesi, come spie-
l’investimento in oro offre. In che modo ri-
gheresti la differenza?
sponderesti alle sue critiche?
Domande chiave
■ Chi è l’investitore medio nell’azione presa in esame? (È un individuo o o
un fondo pensioni? È soggetto a tasse o è esentasse? È un investore estero
o nazionale? Di che dimensione?)
■ Chi è l’investitore marginale?
2. Insider
■ Chi sono gli insider nella società in questione? (Oltre al management e ai
membri del consiglio di amministrazione, vengono considerati insider co-
loro che hanno partecipazioni superiori al 5% nella società.)
■ Che ruolo svolgono nella gestione societaria?
■ Che percentuale delle azioni detengono?
■ Che percentuale delle azioni è complessivamente detenuta dai lavoratori
dipendenti della società (comprese le azioni detenute dai fondi pensione
dei lavoratori dipendenti)?
■ Nel corso dell’ultimo anno, gli insider hanno acquistato o venduto azioni
della società?
Informazione online
La composizione degli azionisti
Per ottenere informazioni sulla percentuale di azioni detenute da insider e
investitori istituzionali, esaminate il report Value Line sulla società; vi trovere-
te una tabella nella quale sono elencate le percentuali detenute da ciascun
gruppo. Informazioni più aggiornate e dettagliate sono disponibili sul sito della
Securities and Exchange Commission (SEC) (www.sec.gov/edgarhp.htm). Dati
riassuntivi sulle partecipazioni azionarie di investitori istituzionali e insider,
nonché dati sull’attività di compravendita degli insider, sono disponibili su
vari siti, fra cui www.dailystocks.com (inserite il ticker e scegliete “Gigablast
research”, poi andate alle sezioni institutional ownership, insider ownership e
insider trades), www.marketguide.com (inserite il ticker e poi andate alle sezioni
insider trading e instit.ownership), http://finance.yahoo.com (inserite il ticker e
poi andate alle sezioni Insider, Profile – Top Institutional holders e Profile – Ow-
nership) e www.morningstar.com (inserite il ticker e poi visitate la sezione Ow-
nership). Ulteriori dettagli su attività e identità di insider e investitori istituzio-
nali negli ultimi due anni sono disponibili sul sito www.insidertrader.com, che,
inoltre, nella rubrica Insider Weekly Review evidenzia le azioni che hanno re-
gistrato di recente una significativa attività degli insider. Nel nostro booksite,
abbiamo raccolto dati sulla partecipazione azionaria media di insider ed inve-
stitori istituzionali per ciascun settore industriale negli Stati Uniti. Infine, per
farvi un’idea di come l’azienda è classificata dal punto di vista della tipologia
di investimento (Value o Growth, Large Cap o Small Cap) andate sul sito della
Morningstar ( www.morningstar.net - quicktake reports). Una volta ottenuta
l’istantanea della società, fate clic su Investment Style.
WWW Italia
Nel nostro booksite, abbiamo raccolto dati sulla partecipazione azionaria me-
dia di investitori istituzionali per le società italiane quotate, che possono così
essere comparati con le medie di settore per gli Stati Uniti. Per maggiori detta-
gli, si può tentare la pagina Web della società cui si è interessati (buona fortu-
na!). Per le società italiane quotate negli Stati Uniti, infine, si possono utilizza-
re le fonti menzionate nel paragrafo precedente.
1 Il ruolo cruciale del costo del capitale è evidente nel celebre articolo del 1958 di Modi-
giliani e Miller, inizio dello studio sistematico della finanza aziendale, che si apriva con la
domanda: “What is the cost of capital?” [N.d.C]
2 Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete un articolo,
scritto dall’autore di questo libro, La stima del tasso privo di rischio (Estimating Risk Free
Rates), nel quale vengono approfonditi i temi discussi in questo paragrafo.
3 Un titolo zero coupon è un titolo che non paga interessi periodici ed è venduto a un
prezzo molto inferiore al suo valore nominale (face value). L’investitore che lo acquista
viene remunerato tramite il graduale apprezzamento del titolo, ricevendo poi il valore
nominale alla scadenza. [N.d.C.]
4 Per gli Stati Uniti, il titolo di Stato a breve termine è il Treasury Bill (3 mesi, 6 mesi o un
anno), il titolo a medio termine è il Treasury Note (da 1 a 10 anni), mentre il titolo a lungo
termine è il Treasury Bond (da 10 anni in su, fino a 30 anni) [N.d.C.].
In pratica
Che far
faree in mancanza di un titolo
privo di rischio di insolv enza?
insolvenza?
Nella nostra trattazione sui tassi privi di rischio abbiamo ipotizzato implicita-
mente che lo Stato sia un’entità priva di rischio di insolvenza e che esso emet-
ta obbligazioni a lungo termine. Esistono tuttavia alcune economie nelle quali
una o entrambe queste condizioni possono non verificarsi. In alcuni Paesi
emergenti, lo Stato in passato non è riuscito ad adempiere ai propri obblighi
finanziari e perciò non viene considerato privo di rischio di insolvenza. Esisto-
no inoltre Paesi nei quali lo Stato non emette obbligazioni a lungo termine.
Ci sono tre soluzioni a quest’ultimo problema. La prima è ignorarlo completa-
mente, conducendo l’analisi in una valuta diversa (quale il dollaro statunitense)
nella quale sia possibile ottenere un tasso privo di rischio. La seconda è indivi-
duare il tasso a cui le maggiori e più solide imprese del Paese possono ottenere
prestiti a lungo termine nella valuta locale, e sottrarre da tale tasso un piccolo
premio per il rischio d’insolvenza (0,2-0,3%), ottenendo così una stima indiretta
del tasso privo di rischio a lungo termine. La terza soluzione è possibile soltanto
in presenza di un contratto per consegna differita (forward contract) a lungo termi-
ne nella valuta locale. Dal momento che i prezzi di tali contratti sono governati
dal principio della parità dei tassi di interesse, il tasso di interesse a lungo termine
nella valuta locale può essere derivato dal prezzo del contratto per consegna dif-
ferita e dal tasso di interesse a lungo termine nella valuta estera.
Nel processo di stima di un tasso privo di rischio, vi sono anche altre questioni
che debbono essere risolte. Ad esempio, il tasso privo di rischio deve sempre
essere un tasso su un titolo emesso dal Paese in cui opera l’azienda in esame? Il
tasso privo di rischio deve essere nominale o reale? La risposta più semplice a
questo tipo di domande è che il tasso privo di rischio deve essere definito negli
stessi termini dei flussi di cassa analizzati. In particolare, se l’analisi viene condot-
ta in termini reali, il tasso privo di rischio deve essere un tasso privo di rischio
reale. Se invece l’analisi viene condotta in dollari statunitensi e in termini nominali,
il tasso privo di rischio deve sempre essere un tasso sui titoli di Stato statunitensi,
qualunque sia la locazione geografica dell’azienda che sta valutando l’investi-
mento. A nostro avviso, ciò è vero anche nel caso in cui il Paese in cui opera
l’azienda emetta obbligazioni denominate in dollari statunitensi5, che quindi ri-
flettono un premio per il rischio d’insolvenza. Riteniamo infatti più corretto tene-
re conto del premio per il rischio di insolvenza di un Paese nell’ambito della stima
del premio di rischio piuttosto che del tasso privo di rischio.
In pratica
Stima e utilizzo di tassi r eali privi di rischio
reali
I tassi reali privi di rischio non includono un premio per l’inflazione attesa e
devono essere utilizzati se anche i flussi di cassa sono stimati in base a tale
premessa. Come regola pratica, è bene non utilizzare flussi di cassa e tassi di
attualizzazione espressi in termini nominali quando l’inflazione è a due cifre.
Una soluzione è utilizzare un’altra valuta più stabile; ad esempio, in economie
a elevata inflazione, molto spesso le analisi e le valutazioni degli investimenti
vengono compiute in dollari statunitensi. L’altra soluzione è condurre l’intera
analisi (sia i flussi di cassa sia i tassi di attualizzazione) in termini reali.
Ottenere tassi privi di rischio in termini reali è estremamente semplice se
nel mercato vengono negoziati titoli di Stato con una protezione contro l’in-
flazione. Per esempio per gli Stati Uniti si può utilizzare come tasso reale privo
di rischio il tasso sui titoli indicizzati all’andamento dell’inflazione che furono
introdotti nel 1997. Sfortunatamente titoli di questo tipo di solito non esisto-
no laddove sarebbero più utili, cioè in economie a elevata inflazione. In questo
tipo di mercati, il tasso reale privo di rischio deve essere stimato in modo indi-
retto: l’approccio che noi suggeriamo è quello di adoperare come approssima-
zione il tasso atteso di crescita reale a lungo termine dell’economia in questio-
ne. Per gli Stati Uniti questo tasso sarà più o meno del 3%, mentre sarà mag-
giore per altri Paesi come Brasile e Cina.
Premi storici
Il metodo più comune per stimare il premio(o i premi) di rischio nei modelli di
rischio e rendimento è l’estrapolazione da dati storici. Nell’APM e nei modelli
multifattoriali, i dati su cui i premi sono basati sono serie temporali di prezzi
su lunghissimi archi temporali. Nel CAPM il premio viene di solito definito
come la differenza fra rendimenti medi azionari e rendimenti medi su titoli
privi di rischio lungo un certo periodo di tempo.
Nella maggior parte dei casi, questo tipo di approccio consta di tre tappe
successive: 1) definire un arco temporale per la stima; 2) calcolare il rendi-
menti medio di un indice azionario e il rendimenti medio di un titolo privo di
rischio nel periodo in questione; 3) calcolare la differenza fra tali rendimenti e
utilizzarla come stima del premio di rischio atteso per il futuro. Così facendo,
ipotizziamo implicitamente che:
1. L’avversione al rischio degli investitori non sia cambiata in modo sistematico
nel tempo (l’avversione al rischio può variare di anno in anno, ma si muove
intorno alla sua media storica).
2. La rischiosità media del portafoglio “rischioso” (l’indice azionario nel no-
stro caso) non sia cambiata in modo sistematico nel tempo.
Nel calcolare la media dei rendimenti storici, si pone un’ulteriore domanda:
utilizzare medie aritmetiche o geometriche? La media aritmetica è semplice-
mente la media dei rendimenti annui per il periodo in questione. La media
geometrica è il rendimento annuo composto relativo allo stesso periodo. La
differenza fra le due misure può essere illustrata con un esempio su due anni:
In questo caso, il rendimento medio basato sulla media aritmetica nei due
anni è 30%, mentre quello basato sulla media geometrica è soltanto 9,54%7.
Coloro che utilizzano la media aritmetica sostengono che essa è molto più
coerente con i presupposti del CAPM (media-varianza) e fornisce una miglio-
re stima del premio atteso per il periodo immediatamente successivo. In favo-
re della media geometrica viene osservato che essa tiene in considerazione la
capitalizzazione dei rendimenti e che fornisce una migliore stima del premio
medio atteso nel lungo termine. L’effetto pratico di questa scelta è estrema-
mente significativo, come illustrato nella Tabella 4.1, basata su dati storici di
rendimenti azionari e obbligazionari.
7 (60/50)½ – 1 = 0,0954).
Come si può vedere, i premi storici possono variare di molto a seconda del
periodo di riferimento, del tipo di media utilizzata (aritmetica o geoemtrica) e
a seconda che si scelga come tasso privo di rischio il tasso sui titoli di Stato a
breve o lungo termine. Anche se non c’è un premio “giusto” e uno “sbaglia-
to”, i nostri suggerimenti sono i seguenti:
1. Privilegiare periodi di tempo più lunghi (per gli Stati Uniti dati sono dispo-
nibili a partire dal 1926), dal momento che i rendimenti azionari sono estre-
mamente imprecisi8 e periodi di tempo più brevi possono fornire premi ec-
cessivamente alti o bassi.
2. Utilizzare come tassi privi di rischio i tassi sui titoli di Stato a lungo termine,
dal momento che l’orizzonte temporale nell’analisi di finanza aziendale è
tipicamente di lungo termine.
3. Calcolare i premi sulla base della media geometrica, dal momento che le
medie aritmetiche tendono a fornire stime più elevate del premio, special-
mente in mercati che, come quello statunitense, sono riusciti a sopravvive-
re a periodi di crisi9. La media geometrica di solito porta a stime inferiori
del premio rispetto alla media aritmetica.
Queste tre scelte ci porterebbe a scegliere per gli Stati Uniti un premio del 5,91%,
pari alla media geometrica della differenza fra rendimenti azionari e rendimenti
dei Treasury Bond nel periodo fra 1926 e 1996. Di seguito, nella maggior parte
degli esempi riguardanti società statunitensi, utilizzeremo un premio di 5,50%.
Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i rendimenti
storici di azioni, Treasury Bill e Treasury Bond dal 1926 in poi.10
8 In base allo scarto quadratico medio dei prezzi azionari, è stato stimato che per ottene-
re una buona stima dei premi per il rischio sarebbero necessari dati precisi per almeno 150
anni.
9 Bisogna considerare i mercati come quello statunitense – sopravvissuto per 70 anni
sostanzialmente senza subire collassi – delle eccezioni. Per fare un paragone, consideria-
mo gli altri mercati azionari in cui si poteva investire nel 1926; molti di essi non sono
sopravvissuti e chi ha investito in essi ha subito gravi perdite. Un’analisi che non tiene
conto di questo aspetto è affetta dalla cosiddetta survivorship bias.
10 I dati sono aggiornati al 2000 [N.d.C].
I dati storici dei rendimenti azionari per gli Stati Uniti sono facilmente acces-
sibili; i premi per gli altri Paesi sono aggiornati in Ibbotsom e Brinson (1991).
Tuttavia i dati storici non sono disponibili per periodi così lunghi come per gli
Stati Uniti, come dimostra la Tabella 4.2.
Il premio ottenuto dagli investimenti azionari rispetto ai titoli di Stato è
stato in genere più basso nei mercati europei (eccetto quello britannico) che
negli Stati Uniti o in Giappone. Riteniamo che i recenti cambiamenti in molti
di questi mercati e nelle economie alla loro base siano stati così significativi
che i premi storici hanno poco valore. Questa considerazione acquista ancora
maggiore rilevanza prendendo in considerazione i cosiddetti mercati emer-
genti (emerging markets). Conoscere il premio che un investitore avrebbe otte-
nuto nel mercato brasiliano dal 1987 al 1996 non sarebbe di grande aiuto per
stimare il premio atteso in futuro, viste le oscillazioni significative dell’econo-
mia brasiliana, soprattutto dopo il Real Plan11 del 1994.
Se per gli altri Paesi non è possibile utilizzare i premi storici, come possiamo
ottenere un premio da utilizzare nel CAPM? Ricordiamo che il premio di ri-
schio è funzione della volatilità di un’economia e del rischio politico a essa
associato. A parità di condizioni, ci aspetteremmo, soprattutto in prospettiva
futura, che mercati più rischiosi rispetto agli Stati Uniti abbiano premi di ri-
11 Il Real Plan ha ridotto l’inflazione portandola da tre cifre a due cifre, cambiando le
carattereristiche sostanziali dell’economia brasiliana.
schio più elevati. Nonostante non esista una misura diretta di tale rischio, la
maggior parte dei Paesi vengono classificati dalle agenzie di rating sulla base,
almeno in parte, di questi criteri. Il vantaggio di questo approccio è che con-
sente di associare a ciascun rating un premio per il rischio di insolvenza (de-
fault premium) e ottenere così indirettamente una stima del premio di rischio.
Per esempio, la tabella seguente raccoglie i premi per il rischio di mercati emer-
genti in Asia, America Latina e Europa orientale:
Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i rating aggior-
nati per i vari Paesi e i premi per il rischio associati a ciascuno di essi.
In pratica
Stimar
Stimaree i pr emi per il rischio dei P
premi aesi
Paesi
Alcuni non sono d’accordo sull’idea di utilizzare il rating assegnato a titoli
obbligazionari di un Paese (country bond rating) per stimare il premio per il
rischio sull’investimento azionario nello stesso (equity risk premium). Bisogna
tuttavia rilevare che esiste una stretta correlazione fra country bond premium e
rendimento del mercato azionario di un Paese. Inoltre, molti dei fattori esami-
nati dalle agenzie di rating nell’analisi del rischio obbligazionario di un Paese
sono gli stessi fattori rilevanti per la valutazione del rischio azionario di quel
Paese. Nel caso in cui non si voglia utilizzare un rating obbligazionario per
stimare il premio di rischio sull’investimento azionario, si possono utilizzare
altre misure che riflettono il rischio di un Paese nel suo insieme. The Economist,
per esempio, assegna un punteggio numerico a ogni Paese, da 0 (meno ri-
schioso) a 100 (più rischioso). Si potrebbe partire da questi rating e assegnare
a ciascuno un differenziale di rischio (risk spread). Un approccio alternativo è
quello di utilizzare strumenti derivati che consentono di eliminare l’esposi-
zione al rischio-Paese (contratti a premio, contratti a termine e contratti per
consegna differita). Il costo percentuale annuo di tali strumenti, aggiunto al
premio di base del proprio Paese (Tabella 4.2), rappresenta una stima del pre-
mio di rischio del Paese in esame. Per esempio, supponiamo che di essere un
investitore americano, con un premio di base del 5,5% per investimenti nel
mercato nazionale, e che possiamo comprare un’assicurazione contro il rischio
specifico di un certo Paese pagando il 2% all’anno. Il premio totale utilizzato
per quel Paese sarà il 7,5%.
Tre dei quattro elementi di questo modello possono essere facilmenti ottenuti:
il livello corrente del mercato (valore), i dividendi attesi nel prossimo periodo
e il tasso di crescita atteso di utili e dividendi nel lungo termine. Con questi tre
input, il modello consente di calcolare il rendimento atteso sul capitale netto,
che verrà a rappresentare il rendimento atteso implicito sul mercato azionario.
Sottraendo da esso il tasso privo di rischio, otterremo un premio implicito per
il rischio azionario.
Al fine di illustrare questo metodo, supponiamo che il livello attuale del-
l’indice S&P 500 sia 900, che il tasso di dividendo atteso sull’indice sia del 2%
e che il tasso di crescita atteso degli utili e dei dividendi nel lungo termine sia
del 7%; risolvendo per il rendimento atteso sul capitale netto otteniamo:
r = (18 + 63)/900 = 9%
Con un tasso privo di rischio del 6%, il premio implicito sarà pari al 3%.
Il vantaggio di questo approccio è che si basa solo su valori di mercato
correnti e non richiede dati storici. È valido tuttavia soltanto nella misura in
cui è valido il modello di valutazione scelto, e il suo utilizzo richiede la dispo-
nibilità e l’esattezza degli input necessari. Nell’esempio precedente, alcuni
potrebbero essere in disaccordo con l’utilizzo di dividendi e con l’assunto di
un tasso di crescita costante. Infine, tale approccio è basato sull’ipotesi che il
mercato nel suo insieme sia valutato in modo corretto.
Per illustrare la differenza fra premi impliciti e premi storici, si consideri
l’evoluzione del premio implicito nei valori dell’indice S&P 500, a partire dal
1960 (Figura 4.1).13
Bisogna infine sottolineare che tale approccio non può essere adottato nel conte-
sto dei modelli con molteplici fattori, poiché esso fornisce soltanto una misura aggre-
gata del premio di rischio, e non singoli premi per ciascuno dei fattori.
due fasi di crescita (Capitolo 12). Come tassi di crescita attesa, abbiamo utilizzato tassi di
crescita passati di utili e dividendi.
14 Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete un articolo
dell’autore di questo libro, (Risk Parameter Estimation), nel quale vengono approfonditi i
temi discussi in questo paragrafo.
Derivar
Derivaree il beta da dati storici di mer cato
mercato
Si tratta del metodo adottato dalla maggior parte di agenzie e analisti. Anzi-
tutto bisogna calcolare i rendimenti che un investitore avrebbe potuto ottene-
re dalle azioni di un’azienda per ogni intervallo di tempo (settimana o mese)
lungo un certo periodo. Nel contesto del CAPM, il beta viene poi ottenuto
esaminando la relazione fra questi rendimenti e i corrispondenti rendimenti
di un indice scelto come approssimazione del “vero” portafoglio di mercato.
Nel contesto dei modelli multifattoriali, si esamina invece la relazione fra i
rendimenti azionari e l’andamento di vari fattori macroeconomici. Infine, nel-
l’APM è l’analisi fattoriale dei rendimenti azionari a fornire i vari beta.
Procedure standard per la stima dei parametri del CAPM – Beta e Alfa
Il beta di un’attività può essere stimato come coefficiente di una regressione15
dei rendimenti azionari (Rj) sui rendimenti di mercato (Rm).
Rj = a + b Rm
in cui
a = intercetta della retta di regressione
b = inclinazione della retta di regressione = covarianza (Rj, Rm) /σ2m
15 Vedi Appendice 1.
16 Talvolta la regressione viene calcolata utilizzando come variabili i rendimenti al netto
del tasso privo di rischio (sia per l’azione che per il mercato). La relazione prevista dal
In particolare:
■ Se a > Rf (1 – β) la performance nel periodo analizzato è stata migliore del
previsto
■ Se a = Rf (1 – β) la performance nel periodo analizzato è stata secondo le
previsioni
■ Se a < Rf (1 – β) la performance nel periodo analizzato è stata peggiore del
previsto
In sostanza, la differenza fra a e Rf (1 – β), nota come alfa di Jensen, indica se
la performance dell’azione, tenuto conto del suo profilo di rischio, è stata su-
periore o inferiore alla performance del mercato azionario nell’arco temporale
analizzato.
L’altro dato statistico che emerge dalla regressione è l’R quadrato (R2) del-
la regressione. Dal punto di vista statistico l’R quadrato fornisce una misura
della capacità della retta di regressione di interpolare i dati. Dal punto di vista
finanziario va interpretato come proporzione del rischio complessivo di un’azio-
ne (varianza) attribuibile al rischio di mercato; ne segue che la differenza (1 – R2)
indica invece la proporzione del rischio complessivo di un’azione attribuibile
al rischio specifico d’impresa.
Un ultimo dato statistico di interesse è l’errore standard della stima del
beta. L’inclinazione della regressione è stimata con un margine di errore, di
cui l’errore standard fornisce una misura. L’errore standard può inoltre essere
utilizzato per costruire intervalli di confidenza per il “vero” valore del beta
attorno al valore stimato attraverso la regressione.
CAPM diviene Rj – Rf = β (Rm – Rf) mentre l’equazione di regressione diviene (Rj – Rf) = a
+ b (Rm – Rf). In tal caso, l’intercetta della regressione sarà zero se il rendimento effettivo
pareggia il rendimento previsto dal CAPM, maggiore di zero se la performance dell’azione
è stata migliore del previsto e minore in caso contrario.
in cui
Rendimento azionario Disney,j = Rendimento per un azionista Disney
nel mese j
Prezzo Disney,j = Prezzo delle azioni Disney alla fine del
mese j
Dividendij = Dividendi sulle azioni Disney nel mese j
in cui Indicej è il livello dell’indice alla fine del mese j e Tasso di dividendoj è il
tasso di dividendo sull’indice nel mese j. Va ricordato che per quanto l’S&P
500 e l’indice composito NYSE siano gli indici più utilizzati per stimare il beta
di azioni statunitensi, essi sono solo approssimazioni del “vero” portafoglio di
mercato che, nel CAPM, dovrebbe includere tutti i titoli negoziati.
17 Il giorno dell’incasso del dividendo (ex dividend day) è il giorno entro il quale l’azione
deve essere comprata da un investitore perché egli abbia diritto al dividendo. Di solito
esso cade qualche settimana dopo la data dell’annuncio.
18 Un frazionamento azionario cambia il numero di azioni in circolazione di una società
periore dello 0,15% rispetto ai rendimenti attesi secondo il CAPM fra gen-
naio 1992 e dicembre 1996, corrispondente a un valore annualizzato di cir-
ca 1,81%.
In pratica
Utilizzar
Utilizzaree gli alfa
Nella pratica professionale, si tende a identificare l’alfa con l’intercetta della
regressione e interpretare perciò un’intercetta positiva (negativa) come segno
di una performance dell’azione superiore (inferiore) al previsto. Ma questa
interpretazione è legittima soltanto se i rendimenti utilizzati nella regressione
sono espressi al netto del tasso privo di rischio del mese corrispondente25 (sia
per l’azione che per l’indice di mercato).
Tale interpretazione è accettabile anche nel caso in cui Rf(1 – β) sia vicino
allo zero, ciò che può accadere in due circostanze:
■ il beta è vicino a 1;
■ l’intervallo considerato è molto breve (rendimenti giornalieri o settimana-
li), poichè il tasso privo di rischio su base giornaliera o settimanale è vicino
allo zero.
I pesi adottati (due terzi e un terzo) sono gli stessi per tutte le azioni e hanno
l’effetto di avvicinare a 1 tutti i beta ottenuti con la regressione. Gran parte
delle agenzie utilizzano procedimenti simili per avvicinare i beta a 1. Ciò viene
fatto in quanto vari studi empirici documentano che per la maggior parte delle
società i beta, nel corso del tempo tendono ad avvicinarsi al beta medio del
mercato, che è 1. Questo fenomeno potrebbe essere spiegato dal fatto che le
aziende crescendo tendono a diversificare la loro gamma di prodotti e di clienti
(e quindi “assomigliano” di più al mercato).
Problemi di stima
L’analista intenzionato a stimare il beta tramite la regressione deve prendere
tre decisioni. La prima riguarda la durata del periodo di stima. La maggior parte
delle agenzie di stima utilizzano dati relativi agli ultimi cinque anni, mentre
Bloomberg si basa invece su due anni. Il trade-off è semplice: un periodo di
stima più lungo ha il vantaggio di utilizzare più dati, ma l’azienda potrebbe
aver cambiato il proprio profilo di rischio nel corso di quel periodo. Ad esem-
pio, nel periodo da noi analizzato, la Disney si indebitò notevolmente per ac-
quistare la Capital Cities/ABC, modificando così il proprio profilo di rischio,
dal punto di vista sia finanziario che operativo.
Il secondo problema di stima riguarda l’intervallo di rendimento. I rendi-
menti azionari sono disponibili su base annuale, mensile, settimanale, giorna-
liera o anche infragiornaliera. La scelta di rendimenti giornalieri o infragior-
nalieri consente di aumentare il numero di osservazioni incluse nella regres-
sione, ma la stima del beta che ne risulta sarà seriamente condizionata dalla
cosiddetta nontrading bias26. Per esempio, i beta delle società più piccole, per
loro natura più esposte alla nontrading bias, vengono sistematicamente sotto-
stimati se si utilizzano rendimenti giornalieri. L’utilizzo di rendimenti setti-
manali o mensili può ridurre di molto il problema.27 Nel nostro caso, il beta
della Disney stimato utilizzando rendimenti settimanali per 2 anni sarebbe
0,98.
Il terzo problema di stima riguarda la scelta dell’indice di mercato da utiliz-
zare nella regressione. Il metodo standard utilizzato da molte agenzie è calco-
lare il beta rispetto a un indice del mercato in cui il titolo viene negoziato. Così
i beta per le azioni tedesche sono stimati in relazione al Frankfurt DAX, per
quelle inglesi in relazione al FTSE, per quelle giapponesi in relazione al Nikkei
e per quelle statunitensi in relazione all’S&P 500. Tale metodo però fornisce
una stima ragionevole del rischio solo dal punto di vista di chi investe esclusi-
vamente in quel mercato, mentre dal punto di vista di un investitore diversifi-
cato internazionalmente sarà più appropriato un beta calcolato rispetto a un
indice internazionale. Per esempio il beta della Disney fra il 1992 e il 1996
stimato rispetto al Morgan Stanley Capital Index, un indice composto di titoli
azionari di diversi mercati, è pari a 1,19.
In pratica
P er ché le stime dei beta variano
erché
da agenzia ad agenzia
Capita spesso che, in uno stesso momento, diverse agenzie forniscano stime
anche molto lontane fra loro del beta della stessa azienda. Ci sono vari motivi
per queste differenze:
1. Diversa durata del periodo di stima. Per esempio, il beta stimato da Value Line
e Standard & Poor si basa su cinque anni di dati, quello di Bloomberg su due.
2. Diversi intervalli di rendimento. Bloomberg e Value Line usano rendimenti
settimanali, mentre Standard & Poor’s utilizza rendimenti mensili; alcune
agenzie utilizzano addirittura rendimenti giornalieri.
3. Diversa tecnica di correzione del beta ottenuto dalla regressione. Mentre
Bloomberg avvicina a 1 tutti i beta con lo stesso metodo (descritto in prece-
denza), Barra corregge i beta utilizzando una grande varietà di informazio-
ni sui fondamentali di ciascuna singola azienda.
L’esistenza di tanti diversi beta può far storcere il naso, ma va ricordato che al
beta fornito da ciascuna agenzia è associato un errore standard, e probabil-
mente i beta riportati dalle altre agenzie per la stessa azienda sono compresi
nell’intervallo di confidenza.
Dimson e Scholes-Williams.
1. La stima del beta della Bookscape Books Stimare il beta sulla base di dati
storici funziona soltanto con attività quotate e che hanno prezzi di mercato.
La Bookscape Books, essendo un’impresa non quotata, non ha un prezzo di
mercato. Nella prossima sezione presenteremo un metodo alternativo per sti-
marne il beta. Va notato che lo stesso problema si pone nella stima del beta di
imprese quotate solo recentemente, come pure nella stima del beta di divisio-
ni di imprese quotate che vogliano calcolare il proprio costo del capitale netto.
2. La stima dei beta della Aracruz Cellulose Un analista alle prese col calcolo
del beta di società statunitensi ha il privilegio di poter scegliere fra diversi
indici di mercato, in cui in genere nessun singolo titolo predomina sugli altri.
Lo stesso non può dirsi per l’analista che voglia stimare i beta di società non
statunitensi. A pagina seguente presentiamo la stima del beta di Aracruz Cel-
lulose, l’azienda brasiliana che produce carta e pasta di cellulosa, utilizzando
come indice il Bovespa, un indice di titoli azionari negoziati alla Borsa di San
Paolo, in cui il peso di ciascun titolo nell’indice dipende dal suo volume di
negoziazione.
Questa regressione presenta due problemi. Il primo è che i dati sono di-
sponibili soltanto per 36 mesi, il che riduce il potere della regressione. L’altro –
e più grave – problema è che Bovespa è un indice dominato da un titolo, Tele-
bras, che rappresenta quasi la metà dell’indice. Perciò il beta della Aracruz
calcolato rispetto al Bovespa è di fatto il beta di Aracruz rispetto a Telebras. È
come se il beta della Disney fosse stato calcolato rispetto alla società AT&T
invece che rispetto all’indice di mercato.
La conseguenza è che il beta ottenuto in questo modo non può essere uti-
lizzato nel CAPM. Possibili soluzioni, rimanendo nell’ambito del metodo della
regressione, sarebbero le seguenti:
1. Sostituire il Bovespa con un altro indice di titoli brasiliani, dove ciascun
titolo abbia lo stesso peso, o un peso proporzionale al valore di mercato
(come nell’indice Senn, che comprende le 50 maggiori società brasiliane).
2. Considerare un indice che includa non solo i titoli brasiliani ma anche titoli
di altri mercati (ad esempio, un indice di titoli dei Paesi latino-americani, o
il Morgan Stanley Capital Index).
3. Calcolare il beta dell’ADR della Aracruz Cellulose,28 quotato alla NYSE, uti-
lizzando come indice l’S&P 500 o l’indice composito NYSE.
I beta derivanti da queste regressioni sono indicati nella tabella seguente:
Indice Beta
Brazil I-Senn 0,69
S&P 500 (con ADR) 0,46
Morgan Stanley Capital Index (con ADR) 0,35
3. La stima del beta della Deutsche Bank Riportiamo qui di seguito la stima del
beta della Deutsche Bank fornita da Bloomberg utilizzando un indice locale, il
DAX (un indice di grandi società quotate alla Borsa di Francoforte).
Questa regressione risente del fatto che la Deutsche Bank rappresenta una
parte significativa del DAX. Nonostante il beta sembri “ragionevole”, presentere-
mo in seguito altri metodi utili che ci consentiranno di verificare se lo è davvero.
In pratica
Quale indice utilizzar
utilizzaree per la stima del beta?
Nella maggior parte dei casi, nel calcolare il beta, gli analisti finanziari si tro-
vano a dover scegliere fra una vasta gamma di indici. Alcuni utilizzano soltan-
to l’indice locale, altri scelgono l’indice più “adatto” all’investitore per il quale
stanno valutando il titolo. Ad esempio, se l’analisi viene fatta per un investito-
re statunitense, verrà utilizzato l’indice S&P. Ma ciò implica che se l’investito-
re detiene soltanto due titoli, si dovrebbe utilizzare un indice composto sol-
tanto da quei titoli – un approccio chiaramente non corretto.
La scelta dell’indice da utilizzare dipende da chi è l’investitore marginale,
nel nostro esempio, nella Aracruz: indicazioni in tal senso possono essere tratte
i= k
Costo del capitale netto = R f +
∑
j 1
β j[E(R j ) − R f ]
=
in cui:
Rf = tasso privo di rischio
βj = beta specifico al fattore j
E(Rj) – Rf = premio di rischio per il fattore j
k = numero di fattori
Derivar
Derivaree il beta dai fondamentali
Se è vero che il beta di un’impresa può essere stimato tramite una regressione,
non va dimenticato che esso riflette le politiche aziendali in termini di scelta
dei settori in cui investire, leva operativa e leva finanziaria. In questo paragrafo
prenderemo in esame un approccio alternativo alla stima del beta, in cui si dà
minore rilievo alla stima basata su dati storici e maggiore rilievo all’intuizione
economica.
In pratica
Str ategia aziendale, mark
Strategia eting
marketing
e rischio finanziario aziendale
Le aziende hanno un controllo limitato su quanto sia discrezionale per i loro
clienti il prodotto o il servizio che esse forniscono. Ci sono aziende, tuttavia,
che hanno utilizzato questo potere, pur limitato, per rendere i propri prodotti
meno discrezionali per l’acquirente, diminuendo così la propria rischiosità.
Un modo per raggiungere tale obiettivo è rendere il prodotto o servizio parte
integrante e necessaria della vita quotidiana del consumatore. Un esempio in
tal senso è offerto dai servizi online, come America Online, che hanno spinto
la gente a utilizzare la posta elettronica e fare shopping su Internet. Un altro
modo consiste nel creare una fedeltà alla marca (brand loyalty) tramite pubbli-
cità e marketing. L’obiettivo della pubblicità – a mio parere – dovrebbe essere
proprio quello di far sembrare necessari agli occhi del consumatore prodotti o
servizi che necessari non sono. In tal modo, scelte di strategia aziendale, cam-
pagne pubblicitarie e politiche di marketing possono avere nel tempo un im-
patto sul rischio dell’impresa, e quindi sul beta.
2. Intensità della leva operativa L’intensità della leva operativa (operating leve-
rage) è una funzione della struttura dei costi dell’azienda, e di solito viene
definita in termini del rapporto fra costi fissi e costi complessivi (fissi e varia-
bili). Un’impresa con un’elevata leva operativa (in cui i costi fissi rappresenta-
no cioè una frazione elevata dei costi complessivi) avrà anche un’elevata va-
riabilità negli utili al lordo di interessi e imposte (Earnings Before Interest and
Taxes, EBIT29) rispetto a un’impresa che produce lo stesso tipo di prodotti ma
con una leva operativa inferiore.
Questo fatto ha delle implicazioni sulle decisioni strategiche che l’impresa
prenderà in futuro. Ad esempio, se da un lato l’ammodernamento degli im-
pianti e l’aggiornamento della tecnologia portano indubbiamente benefici a
un’impresa, dall’altro possono ridurne la flessibilità durante una fase di con-
trazione economica, rendendola così più rischiosa.
Dunque la leva operativa ha certamente un impatto sul beta; risulta tutta-
via difficile, almeno per un osservatore esterno, misurare la leva operativa di
un’azienda, in quanto costi fissi e variabili non sono presentati separatamente
nei bilanci aziendali. Una misura approssimativa si può ottenere calcolando il
rapporto fra variazioni nel reddito operativo e variazioni nel fatturato:
29 Si veda l’Appendice 2 per una descrizione del bilancio secondo i principi contabili
americani.
Per imprese con un’elevata leva operativa, il reddito operativo dovrebbe varia-
re in modo più che proporzionale al variare del fatturato.
17,29%
Intensità della leva operativa1987-95 = = 0,87
19,94%
In pratica
Modificar
Modificaree la le va oper
leva ativa
operativa
Le imprese possono modificare la propria leva operativa? Nonostante una parte
della struttura dei costi sia determinata dal tipo di attività nella quale l’azien-
da è impegnata (un’impresa che produce energia deve costruire stabilimenti
costosi, le compagnie aeree devono prendere in affitto aerei, e così via), negli
Stati Uniti le imprese hanno sviluppato nel tempo diverse strategie per ridurre
la componente dei costi complessivi rappresentata da costi fissi. Alcuni esem-
pi sono contratti di lavoro più flessibili, sistemi di remunerazione che consen-
tono di legare il costo del lavoro alla performance aziendale, contratti di joint
venture, in cui i costi fissi sono sostenuti da terzi, e subappalti di fasi di lavora-
zione, che riducono il bisogno di stabilimenti e attrezzature costose. Tali azio-
ni vengono intraprese con l’obiettivo di ottenere vantaggi competitivi e mag-
giore flessibilità, ma di fatto contribuiscono anche a ridurre la leva operativa
dell’azienda e la sua esposizione al rischio-mercato.
3. Intensità della leva finanziaria (financial leverage) Il beta delle attività del-
l’impresa è la media ponderata del beta del capitale netto (rischio a carico
degli azionisti) e del beta del debito (rischio a carico degli obbligazionisti).30
βL = βu [1+ (1 – t) (D/E)]
in cui
βL = Beta “levered” del capitale netto dell’impresa (ossia beta dell’impre-
sa in presenza di debito)
β u = Beta “unlevered” dell’impresa (ossia, beta dell’impresa in assenza di
debito)
t = Aliquota d’imposta per le società
D/E = Debt/Equity Ratio = Rapporto debito/capitale netto
Il beta unlevered di un’impresa dipende dal suo business risk, cioè dal rischio
inerente all’attività da essa svolta (a sua volta funzione del tipo di attività e
della leva operativa). Perciò, il beta levered del capitale netto dipende sia dal
rischio operativo (business risk) che dal rischio finanziario (financial risk).
31 Se il debito ha un rischio di mercato (ossia il suo beta è superiore a zero) questa formula deve
essere modificata. Indicando il beta del debito con βD , il beta del capitale netto sarà:
βL = βu (1+(1 – t)(D/E)) – βD (1– t)(D/E)
La Tabella 4.3 mostra come il beta della Disney aumenterebbe al crescere della
leva finanziaria, da un debito zero a uno pari al 90%.
Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete uno sprea-
dsheet che consente di stimare il beta unlevered di un’impresa e calcolare poi il beta
levered corrispondente a diversi livelli della leva finanziaria dell’azienda.
In pratica
Le va finanziaria e beta
Leva
Per aziende altamente indebitate, il beta del capitale netto stimato attraverso
la regressione tende a essere di molto inferiore al beta calcolato inserendo
l’attuale rapporto debito/capitale netto nell’equazione per il beta levered ri-
portata nel paragrafo precedente. Questa differenza è attribuibile a uno o più
dei seguenti fattori:
1. Se il rapporto di indebitamento è stato modificato di recente, il beta stima-
to da una regressione dei rendimenti storici di un’azione sui rendimenti di
mercato sarà in “ritardo” rispetto al vero beta. Vale a dire che i rendimenti
utilizzati nella regressione riflettono la leva finanziaria media nel periodo
in questione, piuttosto che la leva finanziaria attuale. La soluzione a questo
problema è abbastanza semplice: ottenere il beta unlevered tramite il rap-
porto medio debito/capitale netto nel periodo della regressione, e poi rical-
colare il beta levered utilizzando il rapporto debito/capitale netto corrente.
2. L’ipotesi che il debito non sia soggetto al rischio di mercato porta a una
stima eccessiva del beta del capitale netto rispetto al vero beta. In realtà il
debito è soggetto al rischio di mercato, soprattutto nel caso di alti indici di
indebitamento. Questo problema può essere risolto stimando il beta del
debito e calcolando il beta del capitale netto utilizzando l’equazione così
modificata:
Beta bottom-up
La scomposizione del beta nelle tre determinanti (settore di attività, leva ope-
rativa e leva finanziaria) suggerisce un metodo di stima alternativo che non
Tabella 4.4 Beta, rapporti debito/mezzi propri e beta unlevered per settori
industriali negli Stati Uniti: marzo 1997
Settore Beta Rapporto debito/mezzi propri Beta unlevered
Abbigliamento 0,89 25,33% 0,76
Acciaio (generico) 0,83 27,09% 0,70
Acciaio (integrato) 0,98 544,91% 0,73
Aerospazio/difesa 0,93 18,68% 0,83
Alluminio 0,99 38,16% 0,80
Ambiente 0,89 37,92% 0,72
Arredamento ufficio/casa 0,88 25,83% 0,75
Articoli per la casa 0,97 13,90% 0,89
Attività ricreative 0,89 22,59% 0,78
Autoveicoli 0,96 133,99 % 0,52
Banche (Canada) 0,77 27,62% 0,66
(continua)
Tabella 4.4 Beta, rapporti debito/mezzi propri e beta unlevered per settori
industriali negli Stati Uniti: marzo 1997 (seguito)
Settore Beta Rapporto debito/mezzi propri Beta unlevered
Banche (Estero) 0,78 48,02% 0,59
Banche (USA, Midwest) 0,73 29,26% 0,62
Banche 0,72 31,59% 0,60
Bevande (alcolici) 0,71 21,46% 0,62
Bevande (analcolici) 0,88 12,13% 0,82
Calzature 1,01 10,93 % 0,94
Carbone/energia alternativa 0,87 59,10% 0,63
Cementi e aggregati 0,83 18,54% 0,74
Chimico (di base) 0,89 23,85% 0,78
Chimico (diversificato) 0,85 25,76% 0,73
Chimico (specializzato) 0,89 16,83% 0,80
Computer e unità periferiche 1,33 14,20% 1,22
Computer software 1,30 3,96% 1,27
Contenitori 0,77 42,57% 0,61
Cosmetici 1,00 7,50% 0,95
Drogheria 0,78 37,97% 0,63
Editoria (quotidiani) 0,86 26,38% 0,73
Editoria 0,89 25,08% 0,77
Elettrodomestici 0,90 61,05% 0,65
Elettronica 1,07 14,67% 0,98
Elettronica/spettacolo (estero) 0,78 48,56% 0,59
Empori 0,84 18,46% 0,75
Energia (Canada) 0,75 43,80% 0,58
Energia elettrica (Costa
Occidentale) 0,73 90,90% 0,46
Energia elettrica (Costa
Orientale) 0,73 80,07% 0,48
Energia elettrica (Regione
Centrale) 0,70 91,49% 0,44
Fabbricazione di metalli 0,81 16,08% 0,73
Farmaceutico 1,28 8,48% 1,21
Forniture mediche 1,11 8,92% 1,05
Forniture per la vendita
al dettaglio 0,98 12,33% 0,90
Forniture per ufficio 1,04 34,10% 0,85
Gas naturale (distribuzione) 0,58 57,47% 0,,42
Gas naturale (diversificato) 0,82 47,99% 0,62
Giocattoli 0,84 10,52 % 0,79
Gomma e pneumatici 1,03 18,61 % 0,92
(continua)
Tabella 4.4 Beta, rapporti debito/mezzi propri e beta unlevered per settori
industriali negli Stati Uniti: marzo 1997 (seguito)
Settore Beta Rapporto debito/mezzi propri Beta unlevered
Società diversificate 0,82 23,77% 0,71
Societaàd’assicurazioni
(ramo infortuni e patrimonio) 0,80 8,62% 0,76
Spettacolo 0,88 43,35 % 0,69
Strumenti di precisione 0,97 11,07% 0,91
Tabacco 0,99 27,75% 0,,84
Telecomunicazioni (estero) 0,94 26,35% 0,80
Tessile 0,79 70,29% 0,54
Trasporto aereo 1,20 93,17% 0,75
Trasporto e distribuzione acqua 0,56 109,80% 0,33
TV via cavo 1,03 125,37% 0,57
Vendita al dettaglio (prodotti
specializzati) 1,07 19,13% 0,95
Vendita al dettaglio 1,00 47,93 % 0,77
Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, continuiamo ad aggior-
nare i dati della Tabella 4.4 per settore industriale negli Stati Uniti.
32 Nei propri bilanci la Disney presenta dati dettagliati per tre settori di attività: pro-
grammi di intrattenimento (che include la vendita al dettaglio), broadcasting e parchi di-
vertimenti (che include i beni immobili).
Beta del capitale netto della Disney = 1,09 [1+(1 – 0,36)(11,18/50)] = 1,25
33 Per ciascun settore industriale corrispondente alle attività svolte dalla Disney abbia-
mo calcolato il rapporto medio fra valore dell’azienda e reddito operativo (rapporto Valo-
re/EBIT). Tale rapporto è stato poi moltiplicato per il reddito operativo di ciascuna divisio-
ne per ottenere una stima del suo valore di mercato.
34 In alternativa all’approccio descritto nella nota precedente, avremmo pouto invece
utilizzare come pesi per la media ponderata la percentuale del reddito operativo comples-
sivo rappresentata da ciascuna divisione.
Tabella 4.5 La stima dei beta unlevered della Disney per area d’attività
Attività Valore stimato Aziende Beta Peso del valore Peso × Beta
(miliardi di $) simili unlevered della divisione
Programmi 22,167 Produttrici di film 1,25 35,71% 0,4446
di intrattenimento e programmi televisivi
Vendita al dettaglio 2,217 Rivenditori specializzati 1,5 3,57% 0,0536
di prodotti di fascia alta
Broadcasting 18,842 Società televisive 0,9 30,36% 0,2732
Parchi divertimenti 16,625 Parchi divertimenti 1,1 26,79% 0,2946
Beni immobili 2,217 Fondi comuni d’investi- 0,7 3,57% 0,0250
mento immobiliare spe-
cializzati in hotel e va-
canze
Azienda 62,068 100,00% 1,0929
Il valore ottenuto col metodo bottom-up è inferiore al beta di 1,40 ottenuto dalla
regressione e, a nostro parere, riflette in modo più preciso il rischio della Disney.
Notate che i rapporti debito/capitale netto sono basati sui valori di mercato e
che le imprese in questione sono molto più grandi di Bookscape Books. La
diversa dimensione delle imprese non dovrebbe di per sé avere delle implica-
zioni dirette sul beta; tuttavia può influenzarli indirettamente, dal momento
che le imprese di minori dimensioni tendono in genere ad avere una più ele-
vata leva operativa. Supponendo un’aliquota di imposta marginale del 36%, il
beta unlevered di Bookscape Books può essere calcolato come segue:
A qusto punto possiamo calcoalre il beta levered. La Aracruz nel 1997 aveva
un debito di 1,6 miliardi BR e un valore di mercato del capitale netto di 2,4
miliardi di real, per un rapporto debito/capitale netto del 66,67%. Consideran-
do un’aliquota d’imposta del 32%, il beta levered della Aracruz risulta essere:
In pratica
Debito “lor do” o debito “netto”?
“lordo”
Molti analisti sottraggono dal debito (lordo) le disponibilità liquide dell’azienda
ottenendo così un debito “netto”. Concettualmente non vi è nulla di sbaglia-
to, purchè venga poi utilizzato come beta unlevered per l’azienda il beta unle-
vered delle aziende comparabili, senza tenere conto delle disponibilità liqui-
de. Se usiamo il debito netto, perciò, il beta unlevered per Aracruz sarà il beta
unlevered del settore della carta (0,61) e il beta levered sarà stimato a partire
dal rapporto debito netto/capitale netto:
(1,6 − 0,8)
= = 33,33%
2,4
La differenza rispetto al beta levered ottenuto col debito “lordo” (0,71) dipen-
de dal fatto che, nell’utilizzare il debito netto, si ipotizza implicitamente che il
beneficio fiscale associato al debito sia interamente neutralizzato dalle impo-
ste da pagare sugli interessi generati dalle disponibilità liquide. Come regola
pratica, sconsigliamo l’uso del debito netto se il tasso di interesse ottenuto
sulle disponibilità liquide è significativamente diverso da quello pagato sul
debito, oppure se il debito è molto rischioso (visto che il processo si basa sul-
l’assunto che tanto il debito quanto le disponibilità liquide siano esenti da
rischio).
4. Beta bottom-up della Deutsche Bank In Germania ci sono alcune banche che
possono essere considerate concorrenti della Deutsche Bank, sebbene nessu-
na di esse abbia pari dimensioni e svolga così intensamente attività di invest-
ment banking. Anche in questo caso, per stimare i beta, guarderemo a vari
mercati. Dal momento che le leggi che regolano l’attività bancaria statuniten-
se sono diverse da quelle di molti paesi dell’Europa occidentale, per stimare il
beta della divisione di commercial banking della Deutsche Bank faremo riferi-
mento ai beta di banche dell’Europa occidentale, mentre per stimare il beta
della divisione di investment banking (Morgan Grenfell) utilizzeremo i beta di
investment bank di Stati Uniti e Regno Unito. I risultati sono presentati di
seguito:
Notate che non teniamo conto delle differenze nella leva finanziaria, dal mo-
mento che vincoli normativi e tipo di attività impongono una leva finanziaria
elevata e simile per la maggior parte delle banche commerciali. Il beta della
Deutsche Bank può essere calcolato come media ponderata di questi due beta.
Assegnando un peso del 90% alla divisione di commercial banking e un peso
del 10% alla divisione di investment banking (in base al reddito ottenuto da
ciascuna divisione negli ultimi anni), otteniamo un beta del capitale netto del-
la Deutsche Bank pari a:
Tale beta cambierà nel tempo in base ai cambiamenti nel peso relativo delle
due attività svolte.
Il beta unlevered dell’azienda risultante dalla fusione può essere calcolato come
media ponderata dei due beta unlevered, con pesi basati sui valori di mercato
delle due aziende (valore di mercato dell’azienda = valore di mercato del capi-
tale netto + debito):
Esaminiamo poi gli effetti del finanziamento dell’acquisizione sul beta, calco-
lando il rapporto debito/capitale netto per l’azienda risultante dalla fusione,
includendo nel debito i 10 miliardi di dollari presi in prestito:
Capitale netto = Capitale netto Disney + Nuovo capitale netto usato per
l’acquisizione = 31.100 + 8500 = 39.600 milioni di dollari
in cui
Per pura coincidenza questo beta è esattamente uguale al beta bottom-up sti-
mato in precedenza.
Derivar
Derivaree il beta dai dati contabili
Un terzo approccio alla stima dei parametri di rischio consiste nell’utilizzare
gli utili contabili piuttosto che i prezzi di mercato. In particolare, si può effet-
tuare una regressione delle variazioni negli utili dell’azienda (o di una divisio-
ne aziendale), su base annuale o trimestrale, rispetto alle variazioni degli utili
del mercato nello stesso arco di tempo, per giungere a una stima del beta da
inserire nel CAPM.
Tale approccio può essere fuorviante per tre motivi. Innanzitutto i valori
contabili tendono a “smorzare” la vera volatilità dei fondamentali dell’azien-
da, spingendo verso il basso il beta di aziende a elevata rischiosità e verso
l’alto quello di aziende a bassa rischiosità. In altri termini, se si utilizza questo
approcio, i beta di tutte le aziende vengono spinti verso 1.
In secondo luogo, gli utili contabili possono essere influenzati da fattori
non operativi, quali variazioni nei metodi contabili relativi ad ammortamento
o magazzino e l’allocazione delle spese generali fra le varie divisioni. Infine,
dati sugli utili contabili sono disponibili con scadenza trimestrale (o spesso
solo annuale). Il basso numero di osservazioni che ne consegue riduce l’atten-
dibilità dei risultati della regressione.
Variazione degli utili di Bookscape = 0,09 + 0,8 (Variazione degli utili S&P 500)
Secondo questa regressione, il beta (del capitale netto) della Bookscape è 0,8.
Per calcolarlo, abbiamo utilizzato gli utili netti di esercizio. Per stimare l’equi-
valente di un beta unlevered, si dovrebbe invece utilizzare il reddito operativo,
sia per Bookscape che per l’S&P 500.
Perché non calcolare il beta a partire dai dati contabili anche per le altre aziende?
Dal punto di vista tecnico, non ci sono motivi per cui non potremmo stima-
re i beta “contabili” (accounting beta) della Disney, della Aracruz Cellulose e
della Deutsche Bank. Invero, per la Disney abbiamo dati trimestrali, il che au-
menta il numero delle osservazioni nella regressione. Possiamo anche stimare
i beta contabili per ciascuna divisione, dal momento che la Disney riporta l’utile
conseguito da ciascuna di esse. Ma preferiamo non farlo per i seguenti motivi:
1. Per ottenere un numero sufficiente di osservazioni da inserire nella regres-
sione, dovremmo andare indietro nel tempo di almeno 10 anni. Ma il pro-
cesso di trasformazione di un’azienda in 10 anni è tale che il risultato avrebbe
scarso significato.
2. Le imprese quotate in Borsa tendono a smorzare gli utili contabili rispetto
ai “veri” utili ancor più di quanto non facciano quelle non quotate, spin-
gendo così il beta che ne risulterebbe verso 1.
Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, trovate le variazioni per-
centuali degli utili dell’S&P 500 su base annuale a partire dal 1960.
In pratica
La stima dei beta di settor
settoree utilizzando dati
non di mer cato
mercato
I beta unlevered di settore utilizzati in precedenza erano stati stimati pren-
dendo la media dei beta storici delle aziende in ciascun settore, e rendendola
“unlevered” (tramite il rapporto medio debito/capitale netto del settore in que-
stione). Poichè tale approccio utilizza prezzi di mercato, esso non fornisce sti-
me attendibili nei mercati in cui l’informazione è insufficiente o molto impre-
cisa. Un approccio alternativo è quello di stimare il fatturato totale di ciascun
settore in ciascun periodo ed effettuare una regressione di questo fatturato di
settore rispetto al prodotto interno lordo totale dell’economia nello stesso arco
temporale. L’inclinazione della regressione misurerà la sensibilità di ciascun
settore alle oscillazioni dell’intera economia. Questo business risk beta potrà
poi essere utilizzato per ciascuna società che opera nel settore in questione,
insieme ai dati sulla leva finanziaria e operativa, per ottenere una stima del
beta del capitale netto della società.
i motivi già descritti, a nostro avviso non si dovrebbero utilizzare mai i beta
derivati da dati contabili. Sconsigliamo inoltre di utilizzare il beta della regres-
sione (per una singola azienda) a causa dell’imprecisione della stima, della
inadeguatezza di molti indici locali (come nel caso della Aracruz e della Deu-
tsche Bank) e dell’incapacità delle regressioni di riflettere cambiamenti so-
stanziali nel rischio finanziario e operativo dell’azienda (come nel caso della
Disney). Dal nostro punto di vista, i beta bottom-up, stimati a partire dai fon-
damentali, forniscono la misura più precisa del beta perché:
1. Ci consentono di valutare gli effetti di variazioni nella struttura finanziaria
e operativa, anche in via preventiva.
2. Utilizzano beta medi di settore, che tendono a essere più precisi rispetto al
beta della regressione per una singola azienda.
3. Ci permettono di individuare i beta per ciascuna area di attività di un’azien-
da: questo risulta utile sia nell’analisi di un progetto d’investimento in sede
di valutazione di aziende o rami d’azienda.
Utilizzeremo dunque le seguenti stime fondamentali dei beta del capitale netto:
■ 1,25 per la Disney;
■ 1,10 per la Bookscape Books;
■ 0,71 per la Aracruz Cellulose;
■ 0,94 per la Deutsche Bank.
j=n
Rendimento atteso = Tasso privo di rischio + ∑β × Premio di rischio
j=1
j j
Attività Beta D/E Ratio Beta Tasso privo Premio Costo del
unlevered levered di rischio di rischio capitale netto
Programmi 1,25 20,92% 1,42 7,00% 5,50% 14,80%
di intrattenimento
Vendita al dettaglio 1,50 20,92% 1,70 7,00% 5,50% 16,35%
Broadcasting 0,90 20,92% 1,02 7,00% 5,50% 12,61%
Parchi divertimenti 1,10 20,92% 1,26 7,00% 5,50% 13,91%
Beni immobili 0,70 50,00% 0,92 7,00% 5,50% 12,08%
Disney 1,09 21,97% 1,25 7,00% 5,50% 13,85%
Bookscape 0,99 18% 1,10 7,00% 5,50% 13,05%
Aracruz 0,488 67% 0,71 5,00% 7,50% 10,33%
Banche commerciali 0,90 7,50% 5,50% 12,45%
Banche di investimento 1,30 7,50% 5,50% 14,65%
Deutsche Bank 0,94 7,50% 5,50% 12,67%
Notate che ciascuna divisione della Disney ha un diverso costo del capitale
netto, per via dei diversi beta unlevered. Per stimare il beta levered di ciascuna
divisione, dal momento che nessuna di esse si accolla direttamente debiti, uti-
lizziamo il rapporto debito/capitale netto (D/E ratio) complessivo della Di-
sney. Unica eccezione la divisione Beni immobili, che invece ha debiti sulle
varie proprietà immobiliari, per la quale utilizziamo un rapporto debito/capi-
tale netto a valore di mercato tratto da aziende comparabili.
Per stimare il costo del capitale netto, utilizziamo il tasso di un titolo a
lungo termine emesso dal governo statunitense per la Disney e per Bookscape
(ottenendo un costo del capitale netto in dollari nominali), il tasso di un titolo
a lungo termine emesso dal governo tedesco per la Deutsche Bank (ottenendo
un costo del capitale netto in marchi tedeschi nominali) e una stima del tasso
reale di rendimento di un investimento privo di rischio per la Aracruz (otte-
nendo un costo del capitale netto in real brasiliani).
I n pratica
Rischio, costo del capitale netto
e impr ese non quotate
imprese
Nell’utilizzare il beta come misura di rischio siamo partiti dall’ipotesi che l’in-
vestitore marginale detenga un portafoglio ampiamente diversificato. Tale ipo-
tesi è legittima per le imprese quotate, ma non per quelle non quotate. In
genere il proprietario di un’impresa non quotata investe in essa la maggioran-
za o la totalità del proprio patrimonio; di conseguenza, si preoccupa del ri-
schio totale dell’attività, piuttosto che del rischio di mercato. Perciò, per un’im-
presa come la Bookscape, il beta di 1,10 (e il conseguente costo del capitale
netto di 13,05%) sottostimerà il rischio a cui è esposto il proprietario dell’im-
presa. Tale problema può essere superato in tre modi:
1. Si può supporre che nei piani di breve termine dell’azienda vi sia un’offerta
pubblica di acquisto o la possibilità di essere venduta a una grande impresa
quotata in Borsa. In tal caso risulta ragionevole utilizzare il beta stimato e il
costo del capitale netto a esso relativo.
2. Si può aggiungere un premio al costo del capitale netto per riflettere il
maggior rischio dovuto all’impossibilità, da parte del proprietario, di rag-
giungere una piena diversificazione di portafoglio (questa chiave di lettura
aiuta a capire la ragione degli alti rendimenti che i fornitori di venture capi-
tal richiedono sul loro investimenti azionario).
3. Si può correggere il beta in modo che esso rifletta il rischio totale piuttosto
che solo il rischio di mercato. Tale correzione è abbastanza semplice, dal
momento che l’R quadrato della regressione misura la proporzione del ri-
schio rappresentata dal rischio-mercato.
Nell’esempio della Bookscape, in cui il beta è 1,10 e l’R quadrato medio per
aziende comparabili quotate in Borsa è 33%, questo porterà a una stima del
beta totale di 3,30 e dunque a un costo del capitale netto di 25,05%.
Costo del debito al netto di imposte = Costo del debito al lordo di imposte ×
(1 – aliquota d’imposta)
degli oneri finanziari all’inizio del 1996 è AA, corrsipondente a uno scarto di
interesse di 50 punti base sul tasso reale privo di rischio.
Notate che il costo del debito al netto d’imposta è molto più basso rispetto al
costo del capitale netto per ciascuna delle società.
Allo stesso tempo, il costo del capitale netto della General Motors, utilizzando
il CAPM, era del 13%, il costo del debito al lordo d’imposta dell’8,25% e il
costo del debito al netto d’imposta del 5,28%. Non sorprende che le azioni
privilegiate fossero meno costose del capitale netto, ma più costose del debito.
Componente obbligazione
ordinaria = Valore di un’obbligazione ordinaria a 8 anni
(scadenza 2000), coupon dell’8,25%
e rendimento dell’8,40%
= $ 991,50
Opzione di conversione = $ 1400 – $ 991,50
= $ 408,50
35 Alcuni sostengono che i prezzi azionari siano molto più volatili del “vero” valore che
dovrebbero riflettere. Anche nel caso in cui tale affermazione fosse vera (il che non è an-
cora stato provato), il valore di mercato rappresenterà comunque una migliore approssi-
mazione del vero valore di un’azienda rispetto al suo valore contabile.
riscontro empirico. Inoltre, anche se così fosse, il costo del capitale calcolato
utilizzando indici di indebitamento basati sul valore contabile sarà minore del
costo del capitale calcolato utilizzando rapporti basati sul valore di mercato;
questo implica delle stime meno – e non più – prudenti36. La terza affermazio-
ne è che le istituzioni che prestano fondi non lo fanno sulla base del valore di
mercato; tuttavia, anche questa affermazione non trova riscontro nei fatti37.
In pratica
La stima dei valori di mer cato di debito
mercato
e capitale netto
Il valore di mercato del capitale netto è ottenuto moltiplicando il numero di
azioni in circolazione per il prezzo azionario corrente. Se in circolazione ci
sono azioni di più di una classe, il capitale netto è dato dalla somma del valore
di mercato di tutti questi titoli. Infine, se ci sono titoli azionari di altro tipo,
come warrant e opzioni di conversione, essi devono pure essere valutati e in-
clusi nel valore del capitale netto dell’impresa.
Di solito è molto più difficile ottenere direttamente il valore del debito,
visto che pochissime aziende hanno tutto il loro debito sotto forma di obbli-
gazioni in circolazione nel mercato. Molte di esse hanno invece debito non
negoziato sul mercato, come il debito verso le banche, specificato in termini di
valore contabile e non di mercato. Un modo semplice per convertire il debito
basato sul valore contabile in debito basato sul valore di mercato consiste nel
trattare il debito totale dei libri contabili alla stregua di un’obbligazione con
coupon, utilizzando come coupon gli interessi passivi complessivamente pa-
gati sull’intero debito e come scadenza la media ponderata della scadenza dei
vari debiti (utilizzando come pesi il valore nominale di ciascuno); a questo
punto, si può valutare questa “pseudo” obbligazione al costo attuale del debi-
to per la società. Ad esempio, se il costo del debito attuale è 7,5%, il valore di
36 Per capire questo punto, supponiamo che l’indice di indebitamento basato sul valore
di mercato sia 10%, mentre l’indice di indebitamento basato sul valore contabile sia 30%,
per un’azienda con costo del capitale netto del 15% e costo del debito al netto d’imposta
del 5%. Il costo del capitale sarà calcolato così:
Con indici di indebitamento basati sul valore di mercato: 15% (0,9) + 5% (0,1) = 14%
Con indici di indebitamneto basati sul valore contabile: 15% (0,7) + 5% (0,3) = 12%
37 Qualsiasi proprietario di un’abitazione che ha messo una seconda ipoteca su una casa
il cui valore è aumentato sa bene che coloro che prestano fondi tengono conto del valore
di mercato. È vero tuttavia che più il valore di mercato di un’attività è percepito come
volatile, minore sarà la sua capacità di fungere da garanzia.
(1 1
− (1,075)6 1000
Valore di mercato del debito = 60 + = $ 930 milioni
0,75 (1,075)6
1
(1 − (1,075)3 12.342
Stima del valore di mercato del debito Disney = 479 + =
0,75 (1,075)3
= $ 11.180 milioni
Il valore di mercato del debito di Aracruz e della Deutsche Bank può essere
stimato in modo simile. Nonostante nei libri contabili della Bookscape non
figurino debiti, essa ha un impegno finanziario di 500.000 dollari all’anno per
i dieci anni a venire in connessione a un leasing operativo. Questo impegno
finanziario può essere convertito in un ammontare di debito equivalente attualiz-
zando 500.000 dollari a un tasso pari al costo del debito della Bookscape (8%):
1
(1 − (1,08)10
Stima del valore di mercato del debito Bookscape = 500.000 = $ 3,36 milioni
0,8
Nella tabella seguente sono raccolti gli indici di indebitamento basati sul valo-
re contabile e di mercato per le nostre quattro imprese:
Costo del capitale = ke [E/(D + E + PS)] + kd [D/(D + E + PS)] + kps [PS/(D + E +PS)]
mento. In tal caso, però, esso andrà confrontato con il rendimento atteso sul
capitale netto investito nel progetto.
Va notato che finora abbiamo calcolato il costo del capitale sulla base della
struttura finanziaria in essere. È possibile però che, modificando la struttura
finanziaria, un’azienda riesca a far scendere il proprio costo del capitale, con
immediati benefici: infatti, non solo verrebbe abbassata la soglia minima di
rendimento per i progetti da intraprendere in futuro, ma aumenterebbe anche
il valore dei progetti già intrapresi, visto che la differenza fra il loro rendimen-
to attuale e il costo del capitale sarebbe più elevata. Torneremo su questo ar-
gomento ampiamente nel corso del Capitolo 8.
Riepilogo
In questo capitolo viene descritto il processo di stima dei tassi di attualizza-
zione nell’ambito dei modelli di rischio e rendimento descritti nei capitoli pre-
cedenti:
■ Il costo del capitale netto può essere stimato utilizzando i modelli di ri-
schio e rendimento: il CAPM, in cui il rischio viene calcolato rispetto a un
unico fattore di mercato; l’APM, in cui il costo del capitale netto riflette la
sensibilità a molteplici fattori economici non specificati; il modello multi-
fattoriale, in cui come misura del rischio viene utilizzata la sensibilità a va-
riabili macroeconomiche.
■ Sia nel CAPM che nell’APM gli input necessari sono il tasso di rendimento
di un investimento privo di rischio, il premio di rischio e il beta (nel CAPM)
o i beta (nell’APM). Il beta viene di solito stimato utilizzando i dati storici
relativi ai prezzi; nel caso di imprese non quotate, esso può essere stimato
a partire da imprese quotate operanti nello stesso settore.
■ Anche se i beta possono essere calcolati a partire da dati storici non va
dimenticato che essi sono determinati dalle politiche intraprese dall’azien-
da in termini di struttura finanziaria e operativa.
■ Il costo del capitale è la media ponderata dei costi delle diverse fonti di
finanziamento; i pesi si basano sui valori di mercato di ciascuna compo-
nente. Il costo del debito è il tasso di mercato a cui l’impresa può prendere
in prestito fondi, corretto per eventuali benefici fiscali.
■ Il costo del capitale è la soglia minima di rendimento accettabile (hurdle
rate) da utilizzare per decidere se investire o meno in un progetto.
Esercizi
Esercizi
1. Hai il compito di stimare il tasso nominale di d. Il tasso di crescita reale a lungo termine del-
rendimento di un investimento privo di rischio l’economia cilena.
da inserire nel CAPM per una socieà cilena. e. Il tasso al quale le società cilene più grandi e
Quale dei seguenti tassi è quello più appro- solide possono prendere in prestito fondi in
priato? pesos a lungo termine.
a. Il tasso dei titoli di Stato a breve termine 2. Le seguenti domande mirano a illustrare quan-
emessi dal governo cileno e denominati in to sia importante nella stima del rischio da qua-
dollari statunitensi. le punto di vista lo si consideri:
b. Il tasso dei titoli di Stato a lungo termine A. Ipotizza di possedere e voler vendere
emessi dal governo cileno e denominati in un’azienda non quotata, per la quale vi sono
dollari statunitensi. due potenziali acquirenti: un imprenditore
c. Il tasso dei titoli di Stato a breve termine privato e una società quotata in Borsa. Chi
emessi dal governo cileno e denominati in pensi che finirà per offrirti un prezzo più alto?
pesos cileni. a) L’imprenditore privato
utilizzando i rendimenti mensili relativi agli ulti- L’aliquota d’imposta media per queste aziende
mi 5 anni, conduca al seguente risultato: è il 40%).
RendimentoNike = 0,22% + 1,20 RendimentoS&P 500 Negli ultimi tempi la società che stai analizzan-
R quadrato = 15% (0,38) do ha ricavato il 70% del proprio reddito ope-
rativo dal settore siderurgico e il 30% dal set-
L’errore standard del beta si trova fra parentesi tore dei servizi finanziari. Inoltre, ha avuto un
sotto il beta. rapporto debito/capitale netto del 150%, e
a. Calcola un intervallo di confidenza per il beta, un’aliquota d’imposta del 30%.
con una confidenza del 67%. a. Stima il beta della società.
b. Stima il rendimento atteso della Nike se il tas- b. Se il tasso nominale sui titoli di Stato a lungo
so dei titoli di Stato a lungo termine è oggi termine in Won (la valuta coreana) è 12% e il
del 6%. rating della Corea è BBB (obbligazioni indu-
c. Immagina ora di essere un investitore inte- striali con tale rating rendono il 2% in più dei
ressato a comprare azioni della Nike. Suppo- titoli di Stato statunitensi a lungo termine),
ni che l’azione Nike non paghi dividendi. Il stima il costo del capitale netto della società
prezzo dell’azione è oggi $ 45 e pensi che po- in Won nominali.
trà arrivare a $ 75 in cinque anni. Sarebbe un c. Se il tasso sui titoli di Stato statunitensi a lun-
buon investimento? go termine è 6%, stima il costo del capitale
d. Immagina ora che la Nike stia valutando se azionario della società in dollari statunitensi.
investire o meno in un progetto (nel suo 5. Hai inserito in una regressione i rendimenti
business principale, cioè le scarpe da gin- della Devonex, un’azienda costruttrice di mac-
nastica) il cui rendimento atteso è del 14,5%. chine utensili, e dell’indice S&P 500 utilizzan-
Secondo te, dovrebbe investire in tale pro- do i rendimenti mensili degli ultimi 5 anni e
getto? hai ottenuto la seguente relazione:
e. Se il tasso annualizzato privo di rischio negli RendimentoDevonex = –0,20% + 1,50 RendimentoS&P 500
ultimi 5 anni è stato del 4,8%, valuta se nello
stesso periodo la performance della Nike è Se l’azione aveva un alfa di Jensen di +0,10%
stata migliore o peggiore delle aspettative e (su base mensile) relativo al periodo in que-
di quanto. stione, stima il tasso mensile privo di rischio
relativo agli ultimi 5 anni.
f. Se tu fossi un investitore con un portafoglio
non diversificato che acquista azioni Nike, 6. Hai il compito di analizzare la società GenCorp,
quale percentuale del rischio che ti assumi non attiva nel settore alimentare e del tabacco. La
sarà remunerata? divisione tabacco è valutata 15 miliardi di dol-
4. Hai il compito di stimare il beta di una grande lari, quella alimentare 10 miliardi di dollari.
società sudcoreana, con grosse partecipazioni L’azienda ha un rapporto debito/capitale netto
nel settore siderurgico e dei servizi finanziari. di 1,00. Hai inoltre le seguenti informazioni su
La regressione dei rendimenti azionari rispetto aziende comparabili:
all’indice di mercato locale fornisce un beta di
1,10, ma l’azienda rappresenta il 15% dell’indi- Attività Beta medio D/E medio
ce. Per ciascuno dei due settori in cui opera la
Alimentari 0,92 25%
società sudcoreana hai raccolto i beta e i rap-
porti medi debito/capitale netto di compagnie Tabacco 1,17 50%
internazionali:
Supponendo che tutte le aziende abbiano
un’aliquota d’imposta del 40%, se il tasso sui
Settore Beta medio D/E ratio medio titoli di Stato a lungo termine è attualmente del
Siderurgico 1,18 30% 6%, qual è il costo del capitale netto per Gen-
Corp?
Servizi finanziari 1,14 70%
7. Supponi adesso che GenCorp ceda (in contan- ce è quotato a 1050 con un tasso di dividendo
ti) la divisione alimentare al suo valore stimato del 3%. Attualmente, il tasso dei titoli di Stato
di 10 miliardi di dollari. a lungo termine è del 6,5%, mentre il tasso no-
a. Stima il beta di GenCorp se il ricavato della minale atteso di crescita a lungo termine del-
vendita viene impiegato per estinguere parte l’economia è del 6%. Stima il premio di rischio
del debito. implicito per le azioni.
b. Stima il beta di GenCorp se invece il ricavato 11. A dicembre 1995 le azioni di Boise Cascade ave-
della vendita viene investito in titoli di Stato. vano un beta di 0,95. Il tasso dei titoli di Stato
a breve all’epoca era 5,8% mentre il tasso dei
c. Infine, stima il beta di GenCorp se il ricavato
titoli di Stato a lungo era 6,4%.
della vendita viene impiegato per riacquista-
re azioni proprie (buy back). a. Stima il rendimento azionario atteso per un
8. Sulla base di una regressione di dati mensili investitore a breve termine nella società.
relativi agli ultimi 5 anni, hai ottenuto un beta b. Stima il rendimento azionario atteso per un
per la Multi-Brand Corporation di 0,90. Nello investitore a lungo termine nella società.
stesso periodo, il rapporto medio debito/capi- c. Stima il costo del capitale netto della società.
tale netto è stato 11,11%, ma l’azienda ha ap- 12. La Boise Cascade aveva inoltre un debito di 1,7
pena preso in prestito 100 milioni di dollari con miliardi di dollari e un valore di mercato del
i quali ha riacquistato azioni proprie. Prima di capitale netto di 1,5 miliardi; l’aliquota d’im-
effettuare questa transazione, il valore di mer- posta marginale della società era del 36%.
cato del capitale netto era di 225 milioni di dol-
lari e la società aveva debiti pari a 25 milioni di a. Supponendo che il beta attuale di 0,95 sia ra-
dollari. Stima il beta che utilizzeresti per que- gionevole, stima il beta unlevered della so-
sta società per il futuro. La società è soggetta a cietà.
un’aliquota d’imposta del 40% b. Quale percentuale del rischio della società è
9. La SunCoast Inc. è una importante società pro- attribuibile al rischio operativo e quale al ri-
duttrice di elettrodomestici che sta pensando schio finanziario?
di acquistare la MF Capital, un’azienda che for- 13. Una società di biotecnologia, la Biogen Inc, nel
nisce finanziamenti a coloro che comprano 1995 aveva un beta di 1,70 ed era priva di debiti.
elettrodomestici. All’epoca dell’acquisizione a. Stima il costo del capitale netto della Biogen,
• La SunCoast Inc. aveva un debito di 100 mi- se il tasso dei titoli di Stato a lungo è del 6,4%.
lioni di dollari e 10 milioni di azioni in circo- b. Quale effetto produrrà un incremento del tas-
lazione quotate a 50 dollari l’una. Il beta so dei titoli di Stato a lungo fino al 7,5% sul
azionario è 1,2. costo del capitale netto della Biogen?
• La MF Capital aveva un debito di 100 milioni c. Quale percentuale del beta della Biogen è
di dollari e 5 milioni di azioni in circolazione attribuibile al rischio operativo?
quotate a 10 dollari l’una. Il beta azionario è
14. Genting Berhad è un conglomerato di aziende
0,9.
della Malaysia con partecipazioni in piantagioni
La SunCoast intende acquistare la MFC capital e località turistiche. Il beta stimato per l’azien-
attraverso uno stock swap, vale a dire offrendo da rispetto alla Borsa della Malaysia è 1,15, e il
1 milione delle sue azioni in cambio di tutte le tasso sui titoli di Stato a lungo termine emessi
azioni in circolazione di MF Capital. Stima qua- dalla Malaysia è 11,5%.
le sarebbe il beta della SunCoast Inc. dopo l’ac-
a. Stima il rendimento azionario atteso.
quisizione. La società è soggetta a un’aliquota
d’imposta del 40%. b. Se fossi un investitore internazionale, saresti
d’accordo nell’utilizzare il beta stimato rispet-
10. Hai il compito di misurare il premio di rischio
to all’indice di Borsa malaysiano o preferire-
implicito sulla Borsa di Timbuktu (TSE). L’indi-
sti un approccio diverso? Quale?
15. Hai inserito in una regressione i rendimenti miliardo di dollari e un beta di 1,30. All’epoca
azionari mensili della Heavy Tech Inc., dell’acquisizione nessuna delle due aziende
un’azienda produttrice di macchinari pesanti, aveva debiti. L’aliquota d’imposta per entram-
e i rendimenti di mercato mensili relativi agli be era del 40%.
ultimi cinque anni ottenendo: a. Stima il beta della Novell dopo l’acquisizione,
RHeavyTech = 0,5% + 1,2RM assumendo che l’intera acquisizione sia stata
La varianza delle azioni è 50% mentre la va- finanziata con capitale netto.
rianza del mercato è 20%. Il tasso attuale sui b. Supponi che la Novell abbia dovuto prende-
titoli di Stato a breve è il 3% (un anno fa era il re in prestito 1 miliardo di dollari per finan-
5%). Le azioni vengono attualmente scambia- ziare l’acquisizione di WordPerfect. Stima il
te a 50 dollari, 4 dollari sotto il prezzo dello scor- beta dopo l’acquisizione.
so anno; inoltre, nel corso dell’anno hanno pa- 18. Stai analizzando il beta della Hewlett-Packard
gato un dividendo di 2 dollari e l’anno prossi- e hai suddiviso la società nei quattro settori
mo dovrebbero pagarne uno di 2,50 dollari. principali in cui opera, stimano un valore di
L’indice composito NYSE è sceso dell’8% l’an- mercato e un beta per ciascuna divisione (l’ali-
no scorso e ha un tasso di dividendo del 3%. quota d’imposta è del 36%).
La Heavy Tech Inc. ha un’aliquota d’imposta del
40%. Divisione Valore di mercato Beta
a. Qual è il rendimento atteso della Heavy Tech del capitale netto
per il prossimo anno? (miliardi di dollari)
b. Quale pensi che sarà il prezzo della Heavy Mainframe 2 1,10
Tech da oggi a un anno? Personal Computer 2 1,50
c. Che rendimento ti saresti aspettato per le Software 1 2,00
azioni della Heavy durante lo scorso anno?
Stampanti 3 1,00
d. Qual è stato il rendimento effettivamente re-
alizzato dalla Heavy Tech l’anno scorso? a. Stima il beta della Hewlett-Packard usando il
e. La Heavy Tech ha un capitale netto di 100 metodo bottom-up. Tale beta sarà uguale a
milioni di dollari e un debito di 50 milioni. quello stimato con una regressione dei ren-
L’azienda progetta di raccogliere sul mercato dimenti storici delle azioni della Hewlett-
ulteriori 50 milioni di dollari di capitale netto Packard contro un indice di mercato? Motiva
e, con tali fondi, estinguere completamente il la tua risposta.
debito. Stima il nuovo beta. b. Se il tasso dei titoli di Stato a lungo termine è
16. La Safecorp, che possiede e gestisce una cate- il 7,5%, stima il costo del capitale netto della
na di negozi di drogheria negli Stati Uniti, at- Hewlett-Packard. Stima il costo del capitale
tualmente ha un debito di 50 milioni di dollari netto per ciascuna divisione. Quale costo del
e un capitale netto di 100 milioni. Le sue azio- capitale netto utilizzeresti per valutare la di-
ni hanno un beta di 1,2. Sta progettando un visione stampanti?
leveraged buyout (LBO) attraverso il quale por- c. Supponi che la Hewlett-Packard ceda la divi-
terà a 8 il rapporto debito/capitale netto. Se sione mainframe e con il ricavato paghi un
l’aliquota d’imposta è il 40%, quale sarà il beta dividendo. Stima il beta della società dopo la
del capitale netto dell’azienda dopo il levera- cessione (la Hewlett-Packard aveva un debi-
ged buyout? to di un miliardo di dollari).
17. La Novell, con un valore di mercato del capita- 19. Nella seguente tabella sono riportati le varia-
le netto di 2 miliardi di dollari e un beta di 1,50, zioni percentuali del reddito operativo e del
ha annunciato l’acquisizione di WordPerfect, fatturato e i beta di quattro aziende farmaceu-
con un valore di mercato del capitale netto di 1 tiche:
mentre la divisione che intende acquisire è in schio utilizzato dall’analista per ottenere quel
un settore con un beta unlevered medio di risultato.
0,80. Quale sarà il beta della Mapco dopo d. La società ha un rapporto debito/capitale net-
l’acquisizione? to del 3% ed è soggetta a un’aliquota d’im-
24. Hai effettuato una regressione dei rendimenti posta del 40%. Ha intenzione di emettere un
mensili dell’American Airlines (AMR) rispetto nuovo debito di 2 miliardi di dollari per ac-
all’S&P 500 per gli ultimi cinque anni. Hai per- quisire un’altra azienda, con il suo stesso li-
so alcuni risultati e stai cercando di ricostruirli vello di rischio. Quale sarà il beta dopo
sulla base della informazione seguente: l’acquisizione?
a. Sai che l’R quadrato della regressione è 0,36 26. Hai effettuato una regressione dei rendimenti
e che le tue azioni hanno una varianza di 67%. mensili della MAD Inc., un’impresa editrice di
La varianza del mercato è il 12%. Qual è il quotidiani e riviste, rispetto ai rendimenti del-
beta della AMR? l’S&P 500:
b. Ti ricordi che la AMR non è stato un buon RMAD = 0,05% + 1,20 RS&P
investimento nel periodo della regressione e La regressione ha un R quadrato pari al 22%.
che la performance è stata inferiore alle aspet- Attualmente, il tasso dei Treausry Bill è del 5,5%
tative (tenuto conto del rischio) dello 0,39% e il tasso dei Treasury Bond è del 6,5%. Il tasso
al mese per i cinque anni della regressione. privo di rischio nel periodo della regressione è
Durante questo periodo il tasso medio di ren- 6%. Rispondi alle seguenti domande sulla re-
dimento di un investimento privo di rischio gressione:
era stato del 4,84%. Qual era l’intercetta del-
la regressione? a. In base all’intercetta puoi concludere che la
performance delle azioni è stata:
c. Stai confrontando la AMR Inc. con un’altra
società che ha lo stesso R quadrato di 0,36. Le • dello 0,05% peggiore delle aspettative su
due società avranno lo stesso beta? Se no, base mensile durante il periodo della
perché? regressione.
25. Hai effettuato una regressione dei rendimenti • dello 0,05% migliore delle aspettative su
mensili della Amgen, una grande società di bio- base mensile durante il periodo della
tecnologia, rispetto ai rendimenti mensili del- regressione.
l’indice S&P 500, ottenendo: • dell’ 1,25% peggiore delle aspettative su
Razionario = 3,28% + 1,65 Rdi mercato R2 = 0,20 base mensile durante il periodo della
regressione.
Attualmente, il tasso di un titolo di Stato con
• dell’ 1,25% migliore delle aspettative su
scadenza a un anno è 4,8%, mentre il tasso di
base mensile durante il periodo della
un titolo di Stato con scadenza a 30 anni è 6,4%.
regressione
La società ha 265 milioni di azioni in circola-
zione, quotate a 30 dollari. • Altro.
a. Qual è il rendimento azionario atteso per l’an- b. Ti accorgi che la MAD Inc. ha subito una
no prossimo? ristrutturazione alla fine del mese scorso (l’ul-
timo mese della regressione), con i seguenti
b. Questa tua stima cambierebbe se l’obiettivo cambiamenti:
fosse quello di ottenere un tasso di
attualizzazione per analizzare un progetto di • La società ha venduto la divisione riviste,
capital budgeting della durata di 30 anni? che aveva un beta unlevered di 0,6, per 20
milioni di dollari.
c. Un analista ha stimato, correttamente, che nel
periodo della regressione le azioni hanno avu- • Ha preso in prestito altri 20 milioni di dol-
to una performance migliore del 51,10%, su lari e ha ricomprato azioni per un valore
base annuale, rispetto alle aspettative. Cerca di 40 milioni di dollari.
di ricavare il tasso annualizzato privo di ri-
Dopo la cessione della divisione e il riacquisto L’azienda non quotata ha un rapporto debito/
delle azioni, la MAD Inc. aveva un debito di 40 capitale netto del 25% ed è soggetta a un’ali-
milioni di dollari e un capitale netto di 120 mi- quota d’imposta del 40%. Anche le società quo-
lioni di dollari. Se l’aliquota d’imposta del- tate sono tutte soggette a un’aliquota d’impo-
l’azienda è 40%, stima di nuovo il beta alla luce sta del 40%.
di questi cambiamenti. a. Stima il beta dell’azienda non quotata.
27. La Time Warner Inc., un conglomerato di azien- b. Avresti qualche remora nell’utilizzare i beta
de che operano nel settore dello spettacolo, ha di aziende comparabili?
un beta di 1,61. Un beta così elevato è dovuto
30. In seguito alle pressioni degli azionisti, la RJR
in parte al debito insoluto connesso al levere-
Nabisco sta valutando l’idea di effettuare uno
ged buyout a opera della Time sulla Warner nel
spin off della divisione alimentare. Il tuo com-
1989, che nel 1995 ammontava a 10 miliardi. Il
pito è di stimare il beta della divisione; per far-
valore di mercato del capitale netto della Time
lo, decidi di utilizzare i beta di società simili
Warner nel 1995 era di 10 miliardi di dollari.
quotate. Il beta medio di queste aziende com-
L’aliquota d’imposta marginale era il 40%.
parabili quotate risulta essere 0,95 e il rappor-
a. Stima l’unlevered beta della Time Warner. to medio debito/capitale netto risulta essere del
b. Stima l’effetto che avrebbe sul beta la ridu- 35%. Si prevede che il rapporto debito/capitale
zione di 10% all’anno dell’indice di indebi- netto della divisione dopo lo spin off sarà del
tamento per i prossimi due anni. 25%. L’aliquota d’imposta marginale per le so-
28. La Chrysler, l’azienda automobilistica, nel 1995 cietà è il 36%.
aveva un beta di 1,05. Aveva inoltre un debito a. Qual è il beta della divisione?
di 13 miliardi di dollari e 355 milioni di azioni b. Le cose cambierebbero se venissi a sapere che
in circolazione quotate a 50 dollari. L’azienda la RJR Nabisco ha una leva operativa molto
aveva un saldo attivo di cassa di 8 miliardi di più elevata rispetto alle aziende scelte come
dollari a fine 1995. L’aliquota d’imposta margi- comparabili?
nale era il 36%.
31. La Southwestern Bell, una compagnia telefo-
a. Stima il beta unlevered dell’azienda. nica, decide di espandersi nel settore dei mass
b. Stima l’impatto sul beta unlevered del paga- media. Il beta della società alla fine del 1995
mento di un dividendo speciale di 5 miliardi era 0,90 e il rapporto debito/capitale netto era
di dollari . 1. Si prevede che la nuova divisione mass me-
c. Stima il beta della Crysler dopo il pagamento dia rappresenterà il 30% del valore totale della
di questo speciale dividendo. società nel 1999. Considera che il beta medio
di aziende nel settore mass media è 1,20 men-
29. Stai stimando il beta di un’impresa non quota- tre il rapporto medio debito/capitale netto è
ta produttrice di elettrodomestici. Sei riuscito 50%. L’aliquota d’imposta marginale è del 35%.
a ottenere i beta di aziende quotate produttrici
di elettrodomestici. a. Stima il beta della Southwestern Bell nel 1999
supponendo che essa mantenga lo stesso rap-
porto debito/capitale netto.
Azienda Beta Debito Valore di
(milioni mercato del b. Stima il beta della Southwesten Bell nel 1999
di $) capitale netto supponendo che essa voglia finanziare
(milioni di $) l’espansione nel settore dei mass media con
un rapporto debito/capitale netto del 50%.
Black & Decker 1,40 2500 3000
32. Il CFO (Chief Financial Officer) di Adobe Sy-
Fedders Corp. 1,20 5 200
stems, un’azienda di software in espansione, ti
Maytag Corp. 1,20 540 2250 ha chiesto un parere sul beta della sua società.
National Presto 0,70 8 300 Ogni anno un’agenzia di stima gli fornisce i
Whirlpool 1,50 2900 4000 beta di Abobe Systems ed egli ha notato che il
beta è sceso da 2,35 nel 1991 a 1,40 nel 1995. 36. Considera ora di utilizzare l’approccio dei pre-
Vorrebbe che tu rispondessi alle seguenti do- mi di rischio storici per ottenere il premio di
mande su questo calo del beta: rischio relativo al mercato azionario della Tai-
a. È inusuale per un’azienda in espansione? landia. Quali sono i problemi in cui incorrerai
utilizzando tale approccio?
b. A che cosa può essere dovuto?
37. Per stimare il costo del capitale netto in termi-
c. Continuerà in futuro?
ni reali dobbiamo ricorrere a un tasso privo di
33. Analizzando Tiffany, un rivenditore esclusivo, rischio espresso in termini reali. Rispondi alle
hai ottenuto un beta di 0,75 (metodo della re- seguenti domande relative al tasso reale privo
gressione); l’errore standard della stima del beta di rischio:
è 0,50. Il beta unlevered medio di aziende com-
parabili è 1,15. a. Perché i tassi reali privi di rischio sono diversi
dai tassi nominali privi di rischio?
a. Se Tiffany ha un rapporto debito/capitale netto
b. Supponendo un tasso nominale privo di ri-
del 20%, stima il beta della società sulla base
schio del 7% e un’inflazione attesa del 3%,
del risultato per le aziende comparabili (l’ali-
stima il tasso reale privo di rischio.
quota d’imposta è 40%).
c. In quali circostanze preferiresti fare un’anali-
b. Stima un intervallo di confidenza attorno al
si in termini reali piuttosto che nominali?
beta ottenuto dalla regressione.
38. Hai il compito di stimare il costo del capitale
c. Come concilieresti le due stime? Quale uti-
netto di un’impresa di software non quotata.
lizzeresti per l’analisi?
Hai raccolto dati di società di software quotate,
34. Nell’analizzare la valutazione di un’azienda ottenendo un beta medio di 1,40; il rapporto
indonesiana, ti accorgi che la valutazione è stata medio debito/capitale netto a valori di mercato
fatta in termini nominali in dollari statunitensi per queste società è il 15%. L’R quadrato me-
e che il tasso di attualizzazione è stato stimato dio è 25%. L’aliquota d’imposta per tutte le so-
utilizzando obbligazioni denominate in dollari cietà è fissata al 40%.
emesse dal governo indonesiano (ad un tasso
del 9% a un tempo in cui il tasso sui Treasury a. Stima il beta dell’impresa di software non quo-
Bonds era del 6%) e un premio di rischio mag- tata, supponendo che essa non abbia debito.
giorato per riflettere il rischio addizionale del b. Come cambierebbe la tua stima se l’impresa
mercato indonesiano (8,5% invece che il pre- decidesse di muovere verso un rapporto de-
mio del 5,5% calcolato per gli Stati Uniti). bito/capitale netto simile a quello medio nel
settore?
a. Pensi che il tasso di attualizzazione sia stato
stimato correttamente? Se no, cosa avresti c. Avendo a disposizione il valore contabile del
fatto di diverso? debito e del capitale netto di questa impresa,
utilizzeresti il rapporto contabile debito/capi-
b. Dato il modo in cui è stato stimato il tasso di
tale netto per stimare il beta? Perché?
attualizzazione, in quale valuta dovrebbero
essere stimati i flussi di cassa attesi? Dovreb- d. Se il proprietario dell’impresa non quotata
bero essere espressi in termini nominali (te- avesse investito tutto il proprio patrimonio in
nendo cioè conto dell’inflazione attesa) o in quest’attività e non avesse intenzione di ven-
termini reali? dere l’impresa o di quotarla in Borsa, la tua
analisi del rischio sarebbe diversa?
35. Per stimare i premi di rischio relativi agli Stati
Uniti spesso si utilizzano i premi di rischio sto- e. E come cambierebbe se invece il proprietario
rici (i.e. il rendimento addizionale ottenuto in- dell’impresa ti dicesse che ha intenzione di
vestendo in azioni piuttosto che in Treasury Bills quotare l’impresa l’anno prossimo?
o Treasury Bonds). Quali sono le ipotesi impli- 39. Hai il compito di stimare il costo del capitale
cite in termini di avversione degli investitori al della società Allstate Insurance, sulla quale sai
rischio e investimento di media rischiosità? quanto segue:
L’azienda ha 532 milioni di azioni in circola- a. Stima il costo del capitale utilizzando il rap-
zione a un prezzo di mercato di 22 dollari; il porto debito/capitale netto in base al valore
patrimonio netto nei libri contabili è 6,05 mi- contabile.
liardi di dollari. L’azienda ha un rating AA e le b. Stima il costo del capitale utilizzando il rap-
obbligazioni con rating AA sono negoziate con porto debito/capitale netto in base al valore
un differenziale di 0,70% rispetto al tasso dei di mercato.
titoli di Stato a lungo termine. Oggi il tasso dei
c. In quali circostanze il primo approccio ti for-
titoli di Stato a lungo termine è del 6%.
nirà un costo del capitale più alto?
Domande chiave
■ Qual è il profilo di rischio della società? Quanto è la sua rischiosità com-
plessiva? Quali sono le fonti di rischio (mercato, impresa, settore industria-
le, valuta)? Come sta cambiando il profilo di rischio della società?
■ Quali caratteristiche ha la performance di un investimento nella società in
questione? Quale rendimento avresti ottenuto investendovi in passato? Sa-
rebbe stato migliore o peggiore rispetto al mercato? Quale percentuale della
performance è attribuibile al management?
■ Quanto è rischioso il capitale netto della società? Perché? Qual è il costo
del capitale netto?
■ Quanto è rischioso il debito della società? Qual è il suo costo del debito?
■ Qual è l’attuale costo del capitale della società?
38 La pagina Bloomberg relativa al calcolo del beta fornisce il beta stimato con rendi-
menti mensili su due anni rispetto a un indice locale; è possibile però cambiare l’intervallo
di rendimento (giornaliero, settimanale, annuale) e scegliere un qualunque periodo e in-
dice di riferimento [N.d.C.].
Informazione online
Rischio e r endimento
rendimento
Se siete in possesso di dati mensili (fino a un massimo di 5 anni) relativi ai
prezzi e ai dividendi della società di cui volete stimare il beta con il metodo
della regressione, lo spreadsheet disponibile nel nostro booksite, nella sezio-
ne a supporto di questo capitolo, vi consentirà di calcolare beta, alfa e R qua-
drato (rispetto all’indice S&P 500).
In alternativa, potete ottenere il beta delle azioni quotate sui mercati statu-
nitensi sul sito www.dailystocks.com – il beta è calcolato sulla base di una
regressione di 3 anni di rendimenti mensili rispetto all’indice S&P 500 (inseri-
te il ticker e poi, nella sezione Beta, fate clic su Stocksheet).
Per stimare il beta bottom-up, potete utilizzare i beta unlevered medi per
settore industriale negli Stati Uniti raccolti nel booksite. Per ottenere dettagli
sul reddito operativo e l’utile generato da un’azienda in ciascun settore in cui
è attiva, potete consultare l’Annual Report (www.reportgallery.com) e il 10-K
(www.sec.gov/edgarhp.htm) della società. In tali documenti troverete anche il
valore di mercato del capitale netto e gli input necessari per stimare il valore di
mercato del debito (la scadenza del debito dovrebbe essere fra le note dello
stato patrimoniale, nel 10-K).
Per trovare il rating della vostra società potete consultare le graduatorie
stilate dalla Standard & Poor’s, se puoi accedervi. Puoi anche inviare una ri-
chiesta di rating via e-mail alla Standard & Poor’s sul sito www.standardpoor.com/
RatingsActions/ (facendo clic su Ratings Inquiries). Per ottenere il differenzia-
le per rischio di insolvenza (default spread) associato a ciascun rating, potete
ricorrere al dataset disponibile sul nostro booksite, nel quale sono riportati i
default spread (rispetto ai Treasury Bond) per classi di rating. Sempre nel book-
site, se volete stimare un rating “sintetico”, potete consultare la tabella nella
quale sono riportati i rating corrispondenti a ciascun livello dell’indice di co-
pertura degli oneri finanziari (interest coverage ratio).
WWW Italia
Per le società italiane, nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo
capitolo, trovate i beta calcolati sulla base di rendimenti mensili (per 5 anni)
rispetto all’indice Mibtel.
Il rating è disponibile sul sito www.borsaitalia.it (fate clic su Ratings nella
sezione Intermediari e Investitori), dove troverete anche una descrizione dei
criteri adottati dalle diverse agenzie.