Organizzazione Aziendale
ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
LE DIVERSE CONCEZIONI DI SISTEMA
LA DISPUTA
La disputa è una discussione animata e vivace fra i sostenitori di una tesi e quelli della tesi
opposta.
Disputare si intende proporre diverse possibilità (tesi).
In questo caso vengono proposte 3 differenti visioni: queste 3 visioni, e quindi, questi 3 insiemi di
teorie, non sono vere in assoluto, ogni approccio è valido in sé, ciascuno è coerente.
Ma come mostra la disputa, nessun approccio può comprendere gli altri 2. I 3 personaggi hanno
la stessa formazione, hanno vissuto gli stessi avvenimenti, dispongono delle stesse info, ma la
posizione che ciascuna assume lo porta a vivere e a sentire gli stessi avvenimenti in modo
diverso.
La disputa mostra che non si può parlare della teoria della decisione, e che ci sono diverse
concezioni del processo decisionale.
TESI 1
TESI 2 DISPUTA
TESI 3
….
DISPUTA= Diverse concezioni in contrasto tra loro. Non esiste una verità assoluta, ma solo
differenti visioni, tutte al pari significative.
Anche se frutto di basi di fondo comune, sono diramate sulla base di differenti reazioni a fattori
interni/esterni.
WILLIAM
1
Positivista/neopostivista
Punto di vista del sistema
Sistema= qualcosa che esiste in modo preordinato rispetto all’azione dei soggetti
Sistema di regole, di ruoli, procedure, …
Sistema progettabile a priori dall’interazione con i soggetto
SistemaPersoneComportamento
Prospettiva di mainstream (mainstream organizzativoteoria 1, teoria 2, teoria 3,…)
PAULA
Fenomenologia ed integrazionismo simbolico
Punto di vista del soggetto
I soggetti producono l’emergere di un sistema che da vita a tutto
PersoneSistemaComportamento
Prospettiva soggettivistica
THOMAS
Non è un punto di mezzo fra William e Paula, poiché non studio i 2 macrofattori (sistema ed
individuo), ma i processi
A dipende da B, ma B dipende da A
Non c’è variabile dominante/indipendente, ne variabile dipendente
LE CONCEZIONI DI ORGANIZZAZIONE
CONCEZIONE MECCANICISTICA
La metafora della macchina
La razionalità oggettiva
Massimizzazione di efficacia ed efficienza
Coordinamento unico e predefinito
Principi universali di organizzazione
Deviazioni non ammesse
Scostamenti dovuti al fattore umano
Visione dell’organizzazione:
- Mansione come unità elementare
- Attribuzione compiti elementari
Struttura come gerarchia di mansioni
Il criterio di valutazione è il rendimento
CONCEZIONE ORGANICISITICA
La metafora biologica
Le funzioni e requisiti fondamentali:
- Integrazione e adattamento
Morfostasi, equifinalità
Più modi di coordinamento, un modo ottimo
Programma flessibile
Valorizzazione delle devianze funzionali
Analisi della ‘’organizzazione informale’’
RuoliStruttura dei ruoli
Valutazione dei requisiti funzionali
CONCEZIONE SOGGETTIVISTA
Enfasi sulla soggettività, sulle strategie individuali, sugli aspetti emozionali
Organizzazione come tipizzazione di significati condivisi e comportamenti ricorrenti
Istituzionalizzazione
Indeterminatezza degli esiti
Struttura come insieme di ruoli assunti
Razionalità a posteriori:
- Sia a livello individuale, sia a livello collettivo
CONCEZIONE PROCESSUALE
Razionalità intenzionale e limitata (Simon)
Orientamenti allo scopo:
- Gli attori sono socialmente competenti (Giddens)
Conoscenza imperfetta delle premesse decisionali, delle alternative di scelta, dei rapporti
strumentali, degli obiettivi
Non è possibile massimizzare: l’azione organizzativa (e sociale) è orientata verso esiti
soddisfacenti
Rifiuto della reificazione e della separazione tra attori e sistema
Multi finalità e morfogenesi
L’azione organizzativa (e sociale) è intesa come percorso euristico di regolazione
- L’importanza del potere
Il sistema organizzativo (e sociale) come processo di azioni e decisioni
La struttura come ordine del processo (azione di regolazione, ossia di coordinamento e
controllo)
- Vi è ancora l’importanza del potere
La valutazione delle scelte è basata sui rapporti di congruenza (coerenza) tra le componenti
analitiche del processo
- Inclusa la componente istituzionale (obiettivi)
Ricapitolando:
Visioni epistemologiche diverse generano modi diversi di concepire:
- I fenomeni organizzativi;
- Il rapporto azione-struttura;
- Il rapporto attore-sistema;
- I processi decisionali.
E conseguentemente dei differenti modi di agire nella pratica.
Si possono, in sintesi, individuare fondamentalmente 3 concezioni fondamentali:
1) Organizzazione come sistema, inteso meccanicamente od organicamente, in vari modi
predefinibile rispetto allo svolgimento delle attività organizzate e agli attori che vi
partecipano, questa logica da vita alla logica del sistema;
2) Organizzazione come entità concreta, ma definibile solo post, in base al configurarsi delle
interazioni degli attori. Tale logica è quella dell’attore;
3) Organizzazione in termini di azione organizzativa, che vede nel contempo attore e
sistema, senza che l’uno prevalga sull’altro, perché il sistema è processo di azioni e di
decisioni, senza cesure tra un prima ed un dopo, perché il tempo vi è incorporato e ne
costituisce elemento essenziale, insieme agli altri elementi di variabilità.
Punti in comune dei vari teorici dell’organizzazione:
- Qualsiasi interpretazione utilizza modelli semplificati della realtà (costruisce un
modello); e qualsiasi decisione o azione assume un’interpretazione come punto di
riferimento per decidere o agire. Interpretazione che, se si vuole essere corretti, deve
dichiarare i valori dai quali parte;
- Nell’utilizzo del metodo i valori non devono trovare spazio (se si vuole essere
caratterizzati da a-valutatività od obiettività). Ciò non toglie che dei valori influenzino a
monte l’intero percorso di conoscenza;
- Le influenze e giudizi di valore, le semplificazioni vengono dalla dimensione delle idee, dei
valori, delle convinzioni non scientifiche.
Vi sono tanti tipi di organizzazione e di modi di interpretare tali organizzazioni.
Questo è motivato dalle varie concezioni, sistemi di valori, punti di vista in coerenza con i quali
vengono scelti problemi, interlocutori, ipotesi.
Tutte cose che influenzano sulla teoria che viene elaborata e pertanto sulle caratteristiche della
conoscenza.
In sostanza, la ragione è legata alle questioni generali alle quali gli studiosi si riferiscono.
Ovviamente, anche al metodo che si ritiene di utilizzare nell’analisi dei problemi.
Si fa riferimento a 3 concezioni fondamentali all’interno delle quali emergono diverse
prospettive di analisi organizzativa:
- POSITIVISMO
- SOGGETTIVISMO
- POSIZIONE PROCESSUALE O RELAZIONALE
Queste sono 3 concezioni, opzioni epistemologiche, visioni del mondo, punti di vista, approcci
idealtipici. Sono comunque 3 punti di riferimento generali, ciascuno dei quali cui collegare
una realtà complessa.
Concezioni di organizzazione:
1) Sistema predeterminato rispetto agli attori;
2) Sistema prodotto dall’interazione tra gli attori;
3) Sistema come processo di azioni e di decisioni.
Le 3 condizioni esprimono modalità contrapposte di lettura e di interpretazione della realtà
organizzativa.
1) Possibilità di spiegare rapporti necessari, determinati da principi o prerequisiti del
sistema universalmente validi; oppure presuppongono la possibilità di spiegare rapporti
probabili basati sulla generalizzazione dei casi particolari. Sono proprie di questa
concezione sia le spiegazioni casuali, deduttive o probabilistico-induttive, sia le
spiegazioni funzionali;
2) La realtà organizzata è conoscibile nella fenomenologia dei casi concreti; la loro
individualità può essere compresa attraverso l’esperienza vissuta, e riferita alla totalità
del sistema, ma non ammette alcuna generalizzazione;
3) Il processo organizzativo reale è ugualmente unico e irripetibile, ma può essere
confrontato con processi ipotetici. In tal modo non si ricercano fattori casuali o relazioni
funzionali, ne ci si limita alla comprensione dei vissuti soggettivi; si accerta, invece,
l’adeguatezza delle condizioni per la possibilità oggettiva delle azioni organizzative. Si
adotta il procedimento di spiegazione condizionale, di cauzione adeguata.
Il quadro delle 3 concezioni fondamentali di organizzazione offre una chiave di lettura generale
del pensiero organizzativo. Sono scelte di conoscenza scientifica. Vi sono differenti visioni
all’interno di una stessa disciplina. L’idea generica di sistema non qualifica un particolare modo
di intendere l’organizzazione. È invece determinante come processo di azioni e decisioni, oppure
come prodotto concreto di strategie individuali, oppure ancora come sistema meccanico o
naturale ed organico.
Rapporto tra ambiente ed organizzazione:
AmbienteTutto ciò che circonda l’organizzazione
Tutto ciò che è esterno ai confini dell’organizzazione, ma che è in relazione con esso
Segmentare l’ambiente:
ORGANIZZAZIONE
- Fornitori di materie prime;
- Concorrenza;
- Stakeholders (coloro che hanno interessi verso l’organizzazione) –istituzioni di diverso
tipo-;
- Mercato di sbocco (clienti attuali reali e potenziali);
- Cornice normativa (sistema di regole che caratterizza l’impresa);
- Tecnologie ed infrastrutture;
- Mercato dei finziamenti;
- Ambiente e contesto socio-economico-culturale.
F.W.Taylor (taylorista)
Il taylorismo è il preconcetto della forza lavoro.
Taylor fu un alto borghese del ‘900, che allineò lo studio e la conoscenza manageriale alla
conoscenza tecnica.
H.FordStudia le teorie di Taylor e su un metodo simile fonda l’azienda più grande del mondo
- Introduce la catena di montaggio;
- Standard.
‘’Chiedetemi il modello T come volete, purchè me la chiediate nera’’
Lo standard non riguarda solo il processo produttivo, ma è un’idea totale di organizzazione.
William: Concezione del sistema preordinato rispetto al contributo del (singolo) soggetto
Paula: Sistema emergente dal contributo del soggetto (concezione del soggetto)
Il taylorismo è un sistema che influenza il soggetto, perché è predeterminato rispetto al soggetto,
ma fa parte di un’altra concezione, ossia quella del sistema meccanico. Il sistema non viene
influenzato dall’esterno, e ciò ne riduce l’incertezza.
Il taylorismo/fordismo è una teoria (parte dalle teorie organizzative), non è una concezione.
Concezioni di organizzazione:
1- Sistema predeterminato rispetto agli attori;
2- Sistema prodotto dall’interazione tra attori;
3- Sistema come processo di azioni e decisioni.
1) SISTEMA PREDETERMINATO RISPETTO AGLI ATTORI
È la logica del sistema meccanico.
Si fonda su razionalità oggettiva. Ciò presuppone che il decisore abbia piena conoscenza di tutte
le alternative di comportamento, e delle conseguenze di ogni alternativa, così da trovarsi sempre
in perfette condizioni di scelta.
La razionalità organizzativa comporta che la commisurazione dei mezzi ai fini sia ottimizzata.
Le condizioni di perfetta informazione consentono di massimizzare sia il raggiungimento degli
obiettivi (efficacia) sia l’utilizzazione delle risorse rispetto al risultato (efficienza).
La possibilità di massimizzare indica la possibilità di coordinare ogni elemento
dell’organizzazione in modo ottimo. Il coordinamento valido è dunque unico, per qualsiasi
organizzazione. Da qui ha origine la costruzione di principi organizzativi universali.
In ogni realtà organizzata, in base ai principi di ottimizzazione, si può definire il programma
migliore. Il programma non richiede correzioni in quanto il controllo di tutte le sue componenti
è assicurato a priori. Ne consegue che non sono ammesse variazioni. Il programma rigido
permette di configurare mansioni. La mansione è il risultato dell’attribuzione stabile di compiti
elementari a determinati soggetti, tendenzialmente per l’intero arco della vita lavorativa. I
soggetti sono selezionati, addestrati, e incentivati in relazione specifica ai compiti attribuiti nel
disegno delle mansioni. L’insieme delle mansioni in ordine gerarchico configura la struttura
dell’organizzazione, che corrisponde quindi alla distribuzione formali delle responsabilità
(organigramma).
- Razionalità oggettiva;
- Massimizzazione di efficienza ed efficacia;
- Unico modo ottimo di coordinamento;
- Programma rigido e cambiamenti non ammessi;
- Struttura formale (mansioni).
L’organizzazione è un sistema chiuso nel senso che non ha scambi vitali con l’esterno.
Vi è una forte coerenza interna; vi sono solidi fondamenti, a partire dai presupposti della
razionalità oggettiva, i principi dell’efficienza perfetta, della specializzazione dei compiti, delle
prescrizioni rigide di svolgimento, dell’unità gerarchica, della separazione di direzione ed
esecuzione. Di conseguenza il sistema organizzativo è completamente predeterminato.
La categoria di base di giudizio è il rendimento.
2) SISTEMA PRODOTTO DALL’INTERAZIONE TRA ATTORI
È la logica del sistema organico.
Ogni parte, o sottosistema, contribuisce al soddisfacimento dei requisiti funzionali e la
conservazione all’interno, e l’adattamento e l’espressione delle finalità del sistema verso
l’esterno.
Ogni realtà organizzata è orientata all’evoluzione dello stato vitale. I contributi delle parti e del
tutto si sviluppano naturalmente in ordine ai bisogni funzionali, con equilibrio interno ed
esterno nel rispetto della conservazione della struttura e degli stati del sistema. Ad ogni
elemento del sistema è consentita una gamma di variabilità, perciò, non esiste un unico modo
valido di coordinamento organizzativo, ma più modi. Uno comunque è ottimale: quello che
assicura la miglior corrispondenza ai requisiti funzionali.
La equifinalità comporta che i programmi non siano rigidi. Anzi, la flessibilità accresce la
potenzialità del sistema. Di conseguenza, le deviazioni dal programma non solo sono ammesse,
ma vengono valorizzate, ogni qualvolta manifestano soluzioni più funzionali.
La flessibilità del programma esclude che il punto di incontro tra compiti e persone possa essere
espresso in termini di mansione. Il sistema configura ruoli, cioè prescrizioni e aspettative per le
posizioni sociali. Per ogni ruolo sono ammesse variabilità di aspettative, di percezioni, di
interessi, di comportamenti.
L’integrazione dei soggetti nel sistema, essenziale per il sistema, essenziale per il suo
funzionamento, è data dal grado di corrispondenza tra richieste di ruolo e motivazioni
individuali. La struttura organizzativa è l’insieme sistematico dei ruoli.
Il percorso attivato dal senso intenzionato delle premesse alle decisioni, è continuamente
correggibile e modificabile, sulla base di nuove conoscenze e di nuovi valori: è un percorso
euristico, di ricerca, di apprendimento, e di decisioni.
Il sistema organizzativo è dunque un processo, è un sistema organizzativo che si auto produce e
si auto modifica, nelle sue componenti e anche nei suoi obiettivi: ha proprietà di multi finalità e
di morfogenesi.
In quanto processo d’azione e di decisioni non separa soggetti e sistema. In questo sistema di
azioni sociali esprime i livelli più elevati di complessità sistemica.
La complessità è prodotta dallo steso processo, che cerca di ridurla e governarla tramite
razionalità organizzativa.
Le componenti del processo sono distinguibili sul piano analitico. L’azione organizzativa attiva, e
modifica, continuamente le sue componenti e il suo campo.
La valutazione delle scelte, che si fonda sulla tendenziale razionalità, è valutazione delle
reciproche congruenze tra le componenti del processo.
La struttura è la componente di ordinamento del processo, di coordinamento e controllo,
espressa dall’azione organizzativa sul suo stesso corso.
- Razionalità intenzionale e limitata;
- Percorso euristico (soluzioni soddisfacenti);
- Processo che produce complessità e la governa;
- Congruenza tra le componenti analitiche;
- Azione strutturale.
LE TEORIE CLASSICHE
Le teorie classiche si compongono di tre teorie ben distinte, ma collegate:
1) Teoria dell’organizzazione scientifica del lavoro;
2) Teoria della direzione amministrativa;
3) Teoria burocratica.
Entrambe condividono la metafora della macchina.
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Principi di Taylor:
1- Sviluppo della scienza;
2- Selezione ed addestramento dei lavoratori;
3- Unire scienza e lavoratori;
4- Collaborazione fra direzione e lavoratori.
1)Lo studio scientifico del lavoro (e quindi lo sviluppo della scienza), rappresenta l’essenza
dell’organizzazione scientifica del lavoro, il tratto distintivo rispetto alle altre forme
organizzative. Anche gli altri principi si collegano però all’esigenza di scientificare la
produzione. Lo studio scientifico del lavoro esprime la necessità di individuare nella varietà del
dato empirico (metodi di lavoro, tipo di attrezzature impiegate e modalità di utilizzo) la
modalità ottima, e si realizza:
- Campionando un numero adeguato di modalità empiriche (praticate da persone
eccezionalmente abili nell’esecuzione del particolare lavoro);
- Scomponendo il lavoro studiato nelle sue operazioni e movimenti elementari; la scomposizione
semplifica il problema e consente di individuare operazioni e movimenti comuni a più lavori;
- Studiare e scegliere il procedimento più rapido per compiere ogni singola operazione;
- Eliminando i movimenti errati, lenti o inutili;
- Effettuando lo stesso procedimento per le attrezzature impiegate;
- Ricomponendo le modalità più rapide e razionali individuate per ciascuna operazione e quindi
operandone la standardizzazione;
-Attribuendo le maggiorazioni per fatica, per coprire le interruzioni inevitabili e accidentali e
per tener conto della novità del lavoro;
- Passando, se necessario, dal tempo riferito all’operaio di prima categoria al tempo per l’operaio
medio, ma comunque indicando il tempo minimo.
Lo sviluppo della scienza deve però riguardare anche quelle che Taylor chiama ‘’le cause che
esercitano influenza sugli individui’’.
Taylor indica l’importanza di un obiettivo impegnativo che consenta un rapido feedback (il
compito giornaliero nel sistema a compito), la necessità dell’incentivo monetario, la cui esatta
entità dipende dal tipo di lavoro.
2)La selezione e l’addestramento scientifico dei lavoratori e il loro progressivo sviluppo, afferma
che ogni lavoratore viene ‘’fatto oggetto di un esperimento’’, invece di lasciare al caso la scelta
del lavoro da assegnargli e delle modalità di perfezionamento. L’esperimento consiste nello
studio del carattere, della natura e del rendimento di ogni lavoratore per rendersi conto dei suoi
limiti ma soprattutto delle sue possibilità di sviluppo.
D’altra parte, si deve poi ‘’allenare, aiutare e istruire sistematicamente il lavoratore, dandogli,
ovunque sia possibile, quelle occasioni di miglioramento che lo renderanno capace di compiere
un tipo di lavoro più avanzato, più interessante e più redditizio, per cui le sue doti naturali lo
rendono adatto’’.
La selezione non rappresenta un intervento puntuale ma è un processo che ‘’deve essere oggetto
di continui studi da parte della direzione’’.
La stessa esigenza di sperimentazione e di studio riguarda anche le caratteristiche richieste ai
capi.
3-4) Il mettere insieme (bringing toghther) la scienza e i lavoratori scientificamente selezionati e
addestrati, intima e costante collaborazione tra direzione e lavoratori, consistono:
- Una divisione del lavoro diversa, rispetto al passato, fra direzione e lavoratori: la separazione
fra progettazione e controllo attribuiti alla direzione, da un lato, ed esecuzione, attribuito ai
lavoratori, dall’altro;
- Ricerca continua della collaborazione e del consenso dei lavoratori (fase di studio-consenso del
lavoratore- fase di applicazione- fase di verifica);
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- Uno stile di direzione in grado di garantire fluidità nelle comunicazioni e, più in generale, di
dimostrare l’importanza che la direzione attribuisce ai lavoratori e il suo interesse a conoscerne
anche i pregiudizi.
I principi vanno tenuti ben distinti dai meccanismi o dalle tecnicalità; quando si ha l’utilizzo dei
soli meccanismi senza rispettare i principi, a quel punto l’organizzazione scientifica del lavoro
cessa di esistere.
3)Organizzazione scientifica del lavoro e sindacato
Il sindacato ha grandi meriti storici, ma ha anche una grande responsabilità; è necessario
quando non viene applicata lì organizzazione scientifica del lavoro, ma diventa superfluo con la
sua adozione.
I suoi meriti riguardano il miglioramento delle condizioni di lavoro (orari, retribuzioni) mentre
la sua grave responsabilità riguarda l’opinione tradotta poi in comportamento che l’aumento
della produttività abbia conseguenze negative sui livelli di occupazione e quindi sia contrario
agli interessi dei lavoratori.
Il sindacato porta ad un clima di sfiducia e di antagonismo nel quale la direzione ‘’paga poco’’ ed
‘’interviene in modo arbitrario’’. Il non riconoscimento o il solo riconoscimento parziale delle
differenze individuali, mentre aumenta l’insoddisfazione individuale, è da attribuirsi anche alle
responsabilità del sindacato.
Sul piano retributivo la direzione ‘’paga molto’’ e ‘’paga in modo differenziato’’, alla base dello
scambio vi è la scienza, e nel nuovo clima di armonia le lamentele possono essere manifestate
direttamente e verranno esaminate tempestivamente in modo scientifico. In queste condizioni il
sindacato diventa inutile.
4)Una prima valutazione delle idee di Taylor
Lo stesso Taylor riconosce che l’organizzazione scientifica del lavoro non implica la necessità di
inventarsi qualcosa, ma bensì, di combinare diversi e particolari elementi che già esistevano in
passato.
Su un piano generale, il discorso di Taylor si inserisce nella tendenza verso un management
sistematico e su un piano più specifico.
Il vero elemento distintivo del contributo di Taylor, risiedono nell’uso sistematico della scienza
per affrontare tutti i problemi, sostituendo al controllo dell’uomo il controllo dei fatti ed
eliminando alla radice i motivi di contrasto di conflitto.
In breve, tutto gira attorno alla scienza, unico tratto caratteristico del taylorismo.
Il progetto di Taylor, passa poi dal mondo industriale ponendosi come riferimento anche per la
pubblica amministrazione e per la società nel suo complesso.
Le principali caratteristiche del metodo scientifico corrispondono al positivismo o empirismo, e
comprendono:
- DeterminismoConvinzione che ogni fenomeno reale sia funzione esprimibile in termini
matematici;
- ScomponibilitàPossibilità di dividere ogni problema nelle sue parti elementari, potendo
poi arrivare alla soluzione del problema complessivo per successive aggregazioni delle
soluzioni parziali;
- SperimentazioneIndividuazione delle funzioni e dei relativi punti di ottimo attraverso
prove e osservazioni controllate.
Vi sono 3 questioni che giudichiamo interessanti per chiarire il pensiero di Taylor:
1- Organizzazione scientifica del lavoro e divisione del lavoro;
2- Organizzazione scientifica del lavoro e produttività;
3- Organizzazione scientifica del lavoro e asimmetrie di potere.
1) La divisione del lavoro come analisi viene distinta dalla divisione del lavoro come
assegnazione dei vari elementi a lavoratori diversi, con la creazione dell’operaio parziale.
Taylor sostiene che a caratterizzare la sua posizione sia soprattutto la prima concezione.
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- Uno sviluppo di quelle che possiamo chiamare le dimensioni del taylorismo come
progetto sociale, sia attraverso il riconoscimento di un ruolo positivo al sindacato, sia con
l’attenzione verso la compatibilità fra organizzazioni scientifiche del lavoro e categorie
particolari del ruolo, ma anche con gli altri agenti economici (la distribuzione) e con i
consumatori;
- Un allargamento del campo di applicazione dell’organizzazione scientifica del lavoro;
- Uno sviluppo di quelli che Taylor ha chiamato i meccanismi sia di tipo retributivo (con
l’elaborazione di formule di cottimo diverse attente anche a stimolare un comportamento
di guida da parte dei capi), sia di programmazione, sia di gestione del personale (es.
piano di promozione).
- Applicazioni
In generale, la valutazione formulata da Taylor ad inizio ‘900, è divenuta valida universalmente,
divenendo una sorta di prototipo o ideal-tipo.
Il passaggio e la differenza fra le 2 accezioni (quella teorica di Taylor, e quella applicativa di
Taylor) sono distinte da 2 elementi:
1) Duplice riduzionismo, cioè l’abbandono o l’accantonamento delle componenti più
propriamente ideologiche (il consenso fra direzione e lavoratori fondato sull’aumento del
surplus e garantito dal ricorso alla scienza), da un lato, e anche di conseguenza un
utilizzo dei meccanismi (ad es. lo studio dei tempi, la formula retributiva, …) nel quale si
attenuano per i lavoratori sia le garanzie sia i benefici;
2) La diffusione della divisione del lavoro non solo nella dimensione verticale (la
separazione fra progettazione ed esecuzione), ma anche nella dimensione orizzontale
(mansioni caratterizzate da tempi di ciclo molto brevi), senza il correttivo
dell’attivazione di processi di up-grading, da un lato, e della valorizzazione dei
suggerimenti dei lavoratori, dall’altro. Ne deriva, nel complesso, un’accezione di
organizzazione scientifica del lavoro come assetto organizzativo caratterizzato da:
- Forte parcellizzazione del lavoro, metodi di lavoro predeterminati, ripetizione di
movimenti semplici, richiesta di capacità ed esperienza minime, esigenze minime di
addestramento, ricorso esclusivo all’incentivo monetario. Anche questo assetto specifico
di organizzazione assume il grado di one best way che nella concezione taylorista
caratterizzava i risultati dall’applicazione del metodo scientifico.
- Una valutazione di sintesi
Numerose critiche sono state mosse nei confronti di Taylor, come le carenze motivazionali
(l’utilizzo del solo incentivo monetario), la mancata considerazione della dimensione sociale del
lavoro, l’autoritarismo e quindi l’orientamento pro manageriale, la parcellizzazione del lavoro e
quindi il trattamento dell’uomo come macchina, lo sfruttamento dei lavoratori (misurato dallo
scarto fra aumento di produttività e aumento retributivo, ma anche dall’intensificazione dei
ritmi di lavoro), la posizione antisindacale.
1- Distinzione fra idee e applicazioni;
2- Contestualizzando le applicazioni;
3- Le critiche mancano di cogliere l’aspetto centrale del taylorismo.
1) Le critiche riguardano le applicazioni ma non le idee;
2) Le applicazioni del taylorismo sembrano rappresentare una risposta coerente con le
caratteristiche economiche, tecnologicamente e sociali del tempo.
I limiti dell’organizzazione scientifica del lavoro come specifica soluzione organizzativa vanno
collegati alla sua rigidità;
3) L’aspetto centrale del taylorismo consiste nell’utilizzo del metodo scientifico anche come base
per la collaborazione e la coincidenza di interessi fra lavoratori e direzione.
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LE TEORIE CONTINGENTI
Teorie anni ’70, in cui si ricerca l’ottimalità universale del disegno e del comportamento
organizzativo, al tentativo di spiegare la diversità organizzativa: Perché imprese dotate di forme
organizzative molto diverse riuscivano ugualmente ad essere efficaci ed efficienti? Quali
dimensioni della situazione possono spiegare questa diversità? CONTINGENCY THEORY
(scuola/paradigma contingente)
La scuola contingente è nata dall’incontro tra l’esigenza sempre più sentita di relativizzazione
dei modelli classici di organizzazione e un orientamento degli studiosi verso i metodi di ricerca
di tipo statistico-quantitativo.
Spiegazione casuale + Teoria funzionalistica dei sistemi aperti Spiegazione casuale
naturalistica
Attraverso l’individuazione di variabili dipendenti e indipendenti e la verifica della loro
relazione, le scienze naturali si prefiggono di individuare leggi universali di relazione tra
fenomeni: sono scienze costruite su preposizioni ‘’se…allora…’’ valevoli come leggi del mondo
fisico e naturale e di conseguenza senza limiti di spazio e tempo.
Gli studiosi contingenti individuarono nella ‘’situazione’’ dell’impresa la variabile indipendente e
nella struttura organizzativa la variabile dipendente.
Modello base dell’approccio contingente:
Situazione ? Struttura organizzativa
Il rapporto tra situazione e struttura venne per lo più indagato sulla base della misurazione di
variabili operazionalizzate dalle due dimensioni nell’ambito di ampie ricerche quantitative su
questionario. In queste ricerche i dati ottenuti dai questionari venivano trattati statisticamente
al fine di trovare correlazioni tra le variabili della situazione e dell’organizzazione.
In presenza di alta correlazione veniva supposta un’influenza diretta della situazione sulle
variabili rappresentanti la struttura organizzativa, mentre le modalità attraverso le quali
influenza si realizzavano non venivano considerate.
Questa difficoltà è spesso superata in sede di indagine tralasciando la comprensione di tutte le
relazioni, e limitandosi a costruire modelli semplificati che considerino il sistema come una
‘’scatola chiusa’’, così da focalizzare soltanto alcune variabili del tipo input od output.
Attraverso questa impostazione della ricerca, l’approccio contingente si prefiggeva
l’individuazione delle leggi che regolano il fenomeno organizzativo. Le correlazioni individuate
tra configurazioni diverse della situazione e configurazioni diverse delle variabili organizzative
consentivano così di superare il concetto monolitico di organizzazione per passare all’idea ed
alla dimostrazione dell’esistenza di diverse specie di organizzazione, ciascuna adattata al meglio
alla propria situazione: si ebbe quindi il passaggio dallo one best way (unica via ottima) allo one
best fit (unico adattamento ottimo), secondo il quale ad ogni configurazione ambientale doveva
corrispondere un’unica configurazione organizzativa.
- Metafora biologica e aspetto sistemico
L’identificazione di specie organizzative diverse, la concentrazione sull’adattamento di queste
alle diverse situazioni contestuali, il connesso spostamento dell’attenzione dall’organizzare come
processo di ottimizzazione dei mezzi rispetto ai fini, all’organizzare come processo finalizzato
alla sopravvenienza dell’impresa; tutti questi aspetti propri dell’approccio contingente
trovarono unitarietà in una visione dell’impresa guidata da una metafora biologica come
opposta alla metafora meccanicistica.
La metafora biologica dell’organismo come sistema aperto, supportata dalla teoria dei sistemi, è
la linea guida degli studi contingenti.
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Se, logicamente, alla base dell’approccio contingente vi è sempre l’idea del funzionalismo
sistemico, concretamente poi alcuni autori hanno cercato di enfatizzare l’aspetto sistemico,
mentre altri si sono accontentati di applicare schemi di causalità multivariata lasciando
implicito l’aspetto funzionalista (-Lawrence e Lorsch- prima, -Scuola di Aston- poi).
La metafora biologica ha permesso all’approccio contingente di sviluppare una serie di concetti
innovativi riguardanti l’organizzazione.
L’equifinalità non trova applicazione nella scuola contingente, preoccupata di individuare leggi
universali e quindi correlate ad ogni configurazione della situazione una sola configurazione
organizzativa (one best fit).
LE 4 SCUOLE
Alla nascita dell’approccio contingente si trovano degli studi che identificano la situazione in
modo molto diverso l’uno dall’altro, tanto che si può parlare di diverse scuole di pensiero. Fattori
determinanti per lo sviluppo delle teorie contingenti sono AMBIENTE-TECNOLOGIA-STRATEGIA-
DIMENSIONE.
1) AMBIENTE
Lo studio di Burns e Stalker può essere considerato alla base della scuola contingente. Essi per
primi, applicando la metafora biologica, cercarono di trovare una correlazione tra stati
ambientali e configurazioni organizzative. Scoprirono infatti che in presenza di ambienti stabili
era più efficiente strutturare l’organizzazione secondo un modello meccanico; in ambienti invece
dinamici la scelta migliore era per un modello organico.
Il modello meccanico corrisponde essenzialmente ai dettami della scuola tradizionale del
management scientifico, mentre il modello organico, soprattutto per quanto riguarda
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meccanismi operativi e stile di direzione, rappresenta l’altro opposto del continuum di possibili
configurazioni organizzative.
All’interno della scuola ambientale può essere considerato anche l’altrettanto famoso approccio
di Lawrence e Lorsch. Questi autori applicano l’idea di Burns e Stalker non più solamente
all’impresa nel suo complesso, ma alle funzioni (R&S, produzione e vendita) costituenti la
struttura organizzativa, coniugando quindi 2 livelli di analisi: il sistema organizzativo e i suoi
sotto insiemi riprendendo così i concetti biologici di struttura, funzione, differenziazione e
integrazione, essi verificano empiricamente che mentre la differenziazione organizzativa dei
sotto insiemi dipende dalle caratteristiche dei loro sotto ambienti di riferimento, il grado di
integrazione necessario fra sotto insiemi dipende, oltre che dal loro grado di differenziazione
reciproca, dal grado di stabilità/instabilità dell’ambiente globalmente inteso.
2) TECNOLOGIA
WoodwordScuola tecnologica: Mentre non c’era nessun rapporto tra organizzazione e
successo aziendale, riaggregando i dati del campione per tenere conto della tecnologia
impiegata emergevano chiare correlazioni con caratteristiche della struttura organizzativa
verticale. La tecnologia venne concepita come sistemi di produzione raggruppabili in 3 classi:
1- Produzione di singoli prodotti o a piccola serie;
2- Produzione di grande serie e di massa;
3- Produzione di processo, intermittente o a flusso continuo.
Altra scoperta di Woodword: La corrispondenza tra le teorie della direzione scientifica e il
successo economico valeva solo per i sistemi di produzione di grande serie e di massa, e che qui il
sistema meccanico sembrava essere il più efficiente.
Negli altri tipi di tecnologia prevalevano forme organizzative di tipo organico.
Nella visione di Woodword il sistema di produzione a processo continuo rappresenta il modello
più avanzato di tecnologia e ad esso si collegano quindi conseguenze rilevanti per il futuro delle
organizzazioni.
Dal momento che nella produzione a processo continuo (produzioni chimiche e impianti
automatizzati) gran parte del controllo tecnico è incorporato nel processo, l’organizzazione del
lavoro può essere configurata adattandola ai bisogni individuali e sociali degli individui, i quali
diventano i controllori delle eccezioni generate dal processo.
Questa interpretazione colloca Woodword all’interno del filone dell’industrialismo sviluppato da
Harbison e Myers, per cui ‘’vi sono cose che ogni società deve fare, per sperare di poter condurre
una marcia di successo verso l’industrializzazione’’. Il passaggio da una forma di tecnologia
meno evoluta ad una più evoluta comporta drastici riorientamenti nella configurazione delle
variabili organizzative.
I risultati di Woodword e le visioni di Harbison e Myers tendono a coincidere: la necessità di
aumentare la decentralizzazione del potere decisionale per far fronte alla maggiore complessità,
il passaggio da stili di direzione autoritari a stili costituzionali o partecipativi, la legittimazione
del management basta sulla competenza e la professionalità. L’ipotesi dell’industrialismo è
quindi, riassumendo, quella di una contingenza dell’organizzazione alla tecnologia, nel breve
periodo, e di una contingenza dell’organizzazione alla storia, nel lungo periodo.
A tale oggettivizzazione del processo non è invece soggetto il lavoro di Perrow.
Perrow fornì uno schema analitico per poter classificare le tecnologie e a partire da tale schema
individuò diverse configurazioni organizzative.
Le variabili analitiche prese in considerazione riguardano:
1) Le caratteristiche del ‘’materiale grezzo’’ sottoposto a trasformazione;
2) La natura del processo cognitivo implicato dalle tecniche impiegate.
Le dimensioni analitiche proposte da Perrow consentono, a differenza della classificazione di
Woodword, di tenere conto del progresso tecnologico.
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L’intento di trovare le leggi del comportamento organizzativo è mutuato dalle scienze naturali,
che non sono variabili a seconda della nazione in cui si misura il fenomeno.
Hickson: sia la cultura asiatica, europea o nordUSA, una grande organizzazione con molti
impiegati aumenta l’efficienza specializzando le proprie attività e aumentando gli strumenti di
controllo e coordinamento.
- La scuola contingente: l’integrazione dei contenuti
Le diverse scuole contingenti nate sulla scia dei primi studi pioneristici, trovarono la loro
integrazione negli anni ’70 grazie al contributo di diversi autori, tutti esponenti della
contingency theory.
- I modelli analitici: Galbraith
L’efficacia del metodo contingente e il fascino scaturito dall’idea situazionale avevano
conquistato ormai il mondo accademico e la pratica aziendale. L’assenza però di una teoria
fondante questo approccio aveva fatto fiorire nella scia del suo successo una serie di ricerche che
volevano trarre conclusioni universali.
J.B.Galbraith propose un’integrazione basandola sul concetto unificante di ‘’predicibilità dei
compiti’’e riconducendosi alle teorizzazioni di March e Simon, i quali avevano fondato
idealmente la disciplina organizzativa contemporanea sulla teoria cognitiva delle
organizzazioni come sistema di trattamento di informazioni. La struttura organizzativa viene
intesa come un sistema che consente di svolgere compiti con diverso grado di predicibilità.
PI=f (i,n,c)
P= Predicibilità dei compiti che determina I =Ampiezza delle info richieste per l’efficace
funzionamento del sistema organizzativo
I è funzione di (i), che rappresenta il grado di incertezza relativo allo svolgimento dei compiti,
(n), che rappresenta la dimensione quantitativa dei compiti legata al numero di elementi da
tenere in considerazione e (c), che rappresenta il grado di connessione o interdipendenza nello
svolgimento dei processi decisionali degli elementi del sistema.
Dato un livello di I, ad esso si può far fronte grazie a strumenti gestionali e organizzativi
adeguati e a costo crescente: la variabilità organizzativa è quindi spiegata come risposta
all’ammontare di info che la situazione richiede.
Analizzando i concetti di Galbraith, si riscontra come essi esprimano una sintesi di alcune
dimensioni interne ed esterne della situazione.
Il grado di incertezza comprende sia la variabilità ambientale sia quella generata dalle scelte
strategiche d’impresa sulla combinazione prodotto/mercato e sulla tecnologia: in ciò quindi il
modello sintetizza gli argomenti della scuola della tecnologia e di quella dell’ambiente.
La dimensione quantitativa dei compiti è correlabile ai risultati della scuola della dimensione. Il
grado di connessione invece è una variabile analitica riconducibile al concetto di
interdipendenza di Thompson, che rappresenta una concettualizzazione dell’idea funzionalista
dell’interazione tra sottoinsiemi organizzativi.
- I modelli multivariati: la Scuola di Aston
La Scuola di Aston rappresenta il tentativo più ambizioso di fare dell’organizzazione una scienza
esatta, costruita intorno a leggi naturali di comportamento organizzativo, scoperte attraverso
statistiche su dati provenienti da ricerche empiriche su grandi campioni d’impresa.
Il gruppo di Aston concentrò la propria attenzione sul misurare combinazioni molteplici delle
dimensioni organizzative rilevanti: specializzazione delle funzioni, standardizzazione delle
procedure e regole di lavoro, formalizzazione scritta delle stesse, centralizzazione decisionale
dell’autorità e configurazione dettagliata delle posizioni organizzative.
- Le persone: l’integrazione di Tosi
Il lavoro di Henry Tosi è finalizzato ad integrare le teorie contingenti riferite alla struttura
organizzativa.
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persona pensa e reagisce) sia organizzativo (come le persone interagiscono e funzionano come
sistema).
Il filone ‘’fenomenologico’’ interpreta invece la struttura come un sistema di ruoli assunti
e pone l’accento sulla capacità di costruzione di ‘’giochi organizzativi’’. In esso è
fondamentale il processo con cui gli individui interagendo giungono a costruire un
sistema di simboli condiviso.
In ambito organizzativo, l’attenzione di questo approccio è rivolta alla dinamica con cui
gli attori danno un senso soggettivo a concetti come struttura, mansione, rapporti
interpersonali, negoziazione.
Ad es., uno degli obiettivi di questo filone è di capire come gli individui interpretano il proprio
ruolo all’interno dell’organizzazione, attraverso quali meccanismi avviene tale interpretazione e
come questa interpretazione si lega a quelle degli altri membri organizzativi. Un altro frequente
obiettivo di ricerca è quello di capire le regole che regolano il funzionamento di
un’organizzazione.
In altre parole, gli studiosi di questo filone si riallacciano a quegli studi di psicologia e sociologia
che affermano che la maggior parte dei comportamenti umani è in realtà frutto di processo che
porta ciascun individuo a dotarsi di un sistema di norme e regole dato per scontato.
Tale processo si realizza tramite ripetuti meccanismi di socializzazione: gli individui vengono a
contatto con altre persone, apprendendo il loro modo di pensare e agire rispetto a determinate
situazioni (la loro ‘’cultura’’) e interiorizzano tali schemi fino a farli divenire inconsci.
L’organizzazione, sostengono i fenomenologici, è costruita per la maggior parte da questi
meccanismi: le persone hanno ‘’imparato’’ a dare un certo significato ad una certa situazione o
ad un certo oggetto. Ad es., abbiamo imparato a definire qualcuno un ‘’capo’’ e abbiamo altresì
imparato a riconoscere come ‘’razionali’’ le ragioni di questo status (ad es., anzianità, carisma,
…); una volta accettata questa norma, diventa difficile rimettersela in discussione ogni volta e
piano piano essa si sedimenta e diventa sempre più inconscia, sempre più normale. Obiettivo
dello studioso di organizzazione è allora la riscoperta di questi meccanismi inconsci e la
comprensione della dinamica con cui essi si formano, in modo da svelare la natura del
comportamento organizzativo.
Inoltre, i fenomenologici studiano il modo con cui individui diversi lottano per imporre agli altri
la propria interpretazione della realtà e non subire quella degli altri, ad es., come gruppi con
interessi diversi subiscono, sfruttano o cambiano le regole fissate dall’organizzazione al fine di
trarne un vantaggio.
Filone fenomenologico: Weber, Durkheim, filosofi idealisti
L’attenzione viene rivolta all’attore individuale piuttosto che sul sistema organizzativo.
Lo studioso cerca di capire non solo il comportamento dell’individuo, ma il significato che
egli attribuisce alle proprie azioni. Ciò implica il tentativo di dare un significato alla
concezione del mondo della persona in termini di percezioni, credenze e valori.
L’unica razionalità possibile è costituita dai valori e dalle strategie soggettive.
La realtà può essere intesa dall’uomo soltanto attraverso un processo di percezione,
elaborazione e attribuzione di significato; essa è, in altri termini, sempre interpretata. La
mente umana non è un raccoglitore di info esterne, ma ha invece una facoltà
organizzatrice, tale per cui ogni stimolo viene classificato e interpretato secondo certi
schemi.
La realtà esterna non è quindi oggettivamente, indipendente dagli individui, acquista
invece un significato soltanto attraverso un processo di interpretazione da parte dei
soggetti che la percepiscono.
Tali schemi interpretativi spesso non sono individuali ma collettivi e vengono appresi
attraverso processi di socializzazione. In questo caso, tali schemi collettivi sono
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equivalenti a ciò che viene definita ‘’cultura’’, vale a dire una ‘’programmazione mentale
collettiva’’.
La cultura si forma attraverso un processo di apprendimento che porta un individuo o un gruppo
a sperimentare e selezionare dei comportamenti che si sono dimostrati ‘’di successo’’ rispetto ad
un determinato problema. Questi comportamenti poi si diffondono, diventano routine, divengono
istituzioni e assumono il ruolo di ‘’modo giusto di pensare le cose rispetto al problema’’.
Attribuzione significato
Individui--------------------Realtà
-------------------
Schemi appresi
Concetto di interazione:
Rituale dell’interazioneSimboli e credenze moraliRiassemblaggio della struttura sociale
Rituale dell’interazione (base di molte interpretazioni classifiche della sociologia, da Marx a
Weber, e soprattutto Durkheim)
Il fondamento dell’ordine sociale deriva dal ‘’rituale dell’interazione’’
Durkheim sottolinea come le forme di interazione tra individui determinano i simboli e le
credenze morali, i quali, a loro volta, riassemblano la struttura sociale.
La catena forma quindi un circolo secondo il quale la struttura sociale a sua volta condiziona le
forme e le modalità con cui le interazioni si svolgono.
Accanto alla ritualizzazione dell’interazione di Durkheim, vi è un altro concetto di interazione
derivante da un filone sociologico estremamente influente, l’interazionismo simbolico, che si
sofferma maggiormente sulla natura simbolica, interpretata e convenzionale delle attività
umane.
Un’altra importante applicazione dei concetti interazionisti fa riferimento ai meccanismi di
formazione della cultura di un’organizzazione, in particolare attraverso processi di controllo
sociale.
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2) Questo tipo di sociologia si occupa di capire l’azione piuttosto che osservare comportamenti.
L’azione sorge da significati attribuiti alla realtà sociale;
3) Gli uomini traggono tali significati dalla società in cui vivono. Orientamenti condivisi
diventano istituzionali e sono vissuti dalle generazioni successive come fatti sociali;
4) Laddove la società definisce l’uomo, l’uomo a sua volta definisce la società;
5) Attraverso le loro interazioni, inoltre, gli uomini modificano, cambiano e trasformano i
significati sociali;
6) Ne consegue che le spiegazioni delle azioni umane devono prendere in considerazione i
significati soggettivi degli individui delle loro azioni; il modo con cui il mondo di tutti i giorni è
socialmente costruito e percepito come reale e routinario diventa un problema cruciale
dell’analisi;
7) Spiegazioni positivistiche, che affermano che l’azione è determinata da forze esterne e
deterministiche, sociali o meno, sono inammissibili.
APPROCCIO POSITIVISTA
È il sistema pre-determinato rispetto ai soggetti.
Il sistema è una entità concreta ed esterna rispetto gli attori.
Il sistema impone dei vincoli ai quali occorre adeguarsi.
Esistono due varianti di approccio positivista:
- Meccanico:
La razionalità è assoluta e vi è un’impostazione ingegneristica.
Vi è la soluzione one best way, ossia un unico possibile metodo per ottimizzare decisioni e
azioni e rendere efficienti i comportamenti.
Le strutture sono formali (mansioni, regolate tra loro dalla gerarchia): la divisione del
lavoro, progettata in modo scientifico, prevede lo svolgimento delle mansioni che non
implicano dosi di discrezionalità. Vengono attribuiti dalla progettazione dei compiti
elementari da svolgere in modo stabile.
- Organico:
La razionalità è funzionale, e vi è un’impostazione biologica.
Vi è la soluzione one best fit, ossia un percorso migliore per adattarsi alle esigenze delle
variabili ambientali.
La struttura è un insieme di ruoli, i progettisti prevedono ruoli che implicano una
significativa dose di discrezionalità.
Sulla dimensione strutturale dominano comunque la logica e le esigenze di tipo
funzionale.
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-Visione positivista:
Il focus dell’interpretazione è diretto al sistema, generale e organizzativo: l’ambiente nel quale
operano le organizzazioni determina la strategia dell’organizzazione, che a sua volta determina
la scelta della struttura.
Ambiente, strategia, struttura si collocano in un rapporto di influenza, di determinazione che
muove dall’ambiente e termina con le scelte di struttura delle organizzazioni.
- Approccio positivista: Si muove più verso una prospettiva normativa che in una prospettiva di
interpretazione, il che tende a deformare la prospettiva di conoscenza, in quanto il ‘’capire’’
diventa strumentale all’agire.
APPROCCIO SOGGETTIVISTA
È il sistema prodotto dall’interazione tra gli attori.
Il sistema è comprensibile solo come prodotto dell’interazione tra gli attori; sono gli attori che
creano e trasformano continuamente il sistema.
L’interprete della realtà organizzativa deve essere interno all’oggetto dell’osservazione.
Il sistema può produrre vincoli all’azione.
Le zone di incertezza esistono sempre e comunque.
Le strutture sono conoscibili solo ex post.
Considera, senza poterlo dimostrare perché privi di analisi, ma ipotesi, valori, convinzioni:
- La realtà come una costruzione sociale che cambia continuamente;
- La libertà è piena e totale;
- La razionalità è sempre ex post, ossia è quella dell’attore, conoscibile;
- L’incertezza è strutturale, ineliminabile.
La logica dell’attore:
- La realtà è una costruzione sociale definita da significati soggettivi;
- Per interpretare occorre analizzare i comportamenti individuali;
- Dal confronto-scontro di comportamenti individuali si producono relazioni che poi si
istituzionalizzano (organizzazione);
- L’organizzazione perciò tende a separarsi dai soggetti che la producono e diventa un
fatto esterno e coercitivo;
- Gli attori possono perciò subire degli effetti non voluti;
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- Il sistema, fino a che non diventa istituzionale, non vincola e lascia spazi di incertezza e
libertà;
- Il potere è uno strumento di azione per opporsi ai vincoli del sistema e per gestire
relazioni;
- Il ruolo non è attribuito dal sistema ma è conquistato dall’attore nell’interazione con gli
altri;
- Struttura definita ex post.
In sostanza il punto di vista soggettivista, opponendosi alla determinazione positivista, rifiuta
che possano esistere fattori causali e leggi universali che spieghino le decisioni e i
comportamenti sociali. Decisioni e comportamenti sociali sono irripetibili e possono essere, al
massimo, compresi.
La realtà viene costruita dagli attori, che diventa oggettiva solo dopo esser stata costruita, salvo
poi essere cambiata dalla percezione di altri attori, ex post.
- Visione soggettivista:
Il focus è sull’attore e le organizzazioni sono concepite come fermi al cambiamento. Resistenze
che possono vivere nei ruoli che gli attori devono svolgere o che la struttura organizzativa li
costringe a svolgere. Il percorso del cambiamento non è ne prevedibile me progettabile; è solo
interpretabile dopo essersi verniciato (ex post).
APPROCCIO PROCESSUALE
Weber (scienze sociali)
Terza alternativa che si pone in una posizione intermedia, ma che innova il modo di interpretare
il fenomeno organizzativo.
Partendo dall’impostazione metodologica di Weber, ritiene che l’organizzazione sia sulla
dinamica, un processo che ‘’struttura’’ la realtà sociale (organizzativa).
L’interpretazione della realtà sociale deve inanzitutto proporsi di comprendere l’agire e poi
preoccuparsi di spiegarlo causalmente. Un comprendere che deve assumere una ‘’razionalità
limitata’’ dell’agire umano. Uno ‘’spiegare le cause’’ che non può essere esaustivo, trattandosi di
umani, con la conseguenza che si tratta piuttosto di spiegarne le condizioni, le influenze, gli
insiemi di fattori.
Sulla falsa riga di Weber, si delineano due dimensioni:
- Struttura che costituisce le regole e le premesse per le decisioni e le azioni;
- I soggetti che danno intenzionalità e un orientamento al processo delle decisioni-azioni.
La concezione processuale considera il sistema organizzativo come processo di azioni e di
decisioni.
Esistono contemporaneamente il soggetto e il sistema con due punti di osservazione che non si
escludono a vicenda ma sono co-esistenziali.
Il sistema è un processo (dinamico nel tempo) di decisioni e azioni. Il sistema non è pertanto
‘’reitificato’’ , non viene considerato una cosa esterna rispetto agi attori.
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Congruenza tra mezzi e fini: è questo l’obiettivo della progettazione (no massimizzazione ed
ottimizzazione).
Non si concepiscono o traguardano ‘’leggi universali’’.
La struttura è ‘’azione strutturante’’ di coordinamento e controllo.
Considera, senza poterlo dimostrare per mancanza di analisi, ipotesi, convinzioni:
- La realtà non è ‘’oggettiva’’ e non modificabile dagli attori ma è prodotta dal ‘’processo di
strutturazione’’. Tra strutture (regole) e processi (azione)si manifesta un rapporto
bi’univoco (i processi creano le strutture che influenzano i processi, …);
- La libertà non è mai totale, ma nemmeno inesistente;
- La razionalità è limitata e intenzionale e di vari tipi;
- L’incertezza è prodotta dalla tecnologia e dall’ambiente. L’organizzazione tenta di
governarla attraverso le azioni strutturali. Oltre all’incertezza opera anche la
complessità, entrambe ampliate dalle dinamiche ambientali (l’ambiente è costituito da
altre organizzazioni).
La logica processuale:
- Razionalità intenzionale e limitata: Dotata di un orientamento di senso verso scopi e
valori. Vi è incompleta conoscenza delle alternative di scelta. Le conseguenze non sono
prevedibili con esattezza. Non si può calcolare la scelta ottimale;
- Percorso euristico, soluzioni soddisfacenti: Obiettivi di non massimizzazione, ma
soddisfacenti. I percorsi-processi di decisioni e azioni sono modificabili sulla base di
nuove conoscenze;
- Il sistema produce complessità, che poi governa: L’organizzazione è un processo
dinamico, i soggetti non sono separati dal sistema, il processo produce complessità che la
‘’razionalità organizzativa’’ cerca di governare;
- Struttura=azione strutturante: La struttura è la componente di ordinamento del
processo, coordianemtno e controllo, che viene espressa nel corso dell’azione
organizzativa;
- Il sistema presuppone incertezza e indeterminatezza ma necessita di certezza e
determinatezza che vengono perseguite con razionalità limitata.
- Visione processuale:
Il focus si pone invece sui processi di decisione ed azione e la variabile essenziale è il tempo.
Perché l’azione organizzativa viene considerata in costante cambiamento e in modo interrelato
ai diversi processi decisionali.
Si apre tale prospettiva per il cambiamento organizzativo se si parte dalle logiche della visione
processuale.
Sia per impostare l’analisi che per valutare le diverse strategie di azione. Le imprese non sono
macchine o organismi nei quali esiste anche uno spazio per l’azione (cambiamento,
adattamento, strategie) quanto azioni (e decisioni) che si sviluppano ed evolvendo si
strutturano.
Le organizzazioni si danno forme stabili, strutturali, non le ricevono da soggetti esterni.
POSITIVISMONECESSITà
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SOGGETTIVISMOCAUSALITà
VISIONE PROCESSUALEPOSSIBILITà
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LE FORME ORGANIZZATIVE
Esistono una molteplicità di forme organizzative, di combinazioni tipiche di scelte di
specializzazione e di coordinamento. Il fatto che fra tutte le combinazioni se ne siano solo
affermate alcune dipende dal fatto che tali combinazioni sono caratterizzate da coerenza:
- Interna: All’interno di una forma organizzativa tutte le scelte sono coerenti fra loro;
- Esterna: Ogni forma organizzativa è coerente con un set di determinate situazioni.
Il soddisfacimento della doppia condizione di coerenza rende queste combinazioni
efficaci ed efficienti.
Riguardo alle forme organizzative:
- La progettazione della meso-struttura è importante ma:
Esistono le combinazioni;
Vi sono la progettazione della macrostruttura (attività elementariunità
organizzativeorganizzazione) e top-down (si fa il contrario)
Vi sono due livelli della progettazione organizzativa:
- Livello intraorganizzativo: Focalizzarsi solo su ciò che avviene all’interno di un’impresa:
Livello micro: Organizzare il lavoro dei lavoratori;
Livello meso: Stabilimenti, unità organizzative come funzioni/divisioni, gruppi
formali che vengono costituiti al’interno di un’organizzazione;
Livello macro: L’impresa nel suo insieme.
- Livello interorganizzativo: Coordinamento tra diverse aziende che operano insieme.
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Oltre la coerenza vi è il concetto di complementarietà: Fra gli elementi (in questo caso della
forma organizzativa) esiste complementarietà quando, aumentando il livello di un elemento,
aumento il rendimento marginale che deriva dall’aumenta di tutti gli altri elementi. I diversi
elementi tendono quindi ad essere utilizzati insieme e ciascuno rende più attraente o più
conveniente il ricorso agli altri. Ovvero, la complementarietà presuppone la presenza di sinergie.
Se applicate insieme le scelte organizzative non devono solo essere allineate fra loro, ma se
applicate al meglio, si rafforzano.
Insuccessi legati a cambiamenti parzialiCambiare tutte le scelte costa troppo, perciò si prova
a cambiare solo alcune andando incontro a coerenza + complementarietà, sfidando ostacoli,
interruzioni, problemi, … .
La progettazione della macrostruttura intende i livelli e gli approcci di progettazione
organizzativa. La progettazione organizzativa a livello macro e secondo un approccio top-down,
e si procede dall’alto verso il basso, secondo una logica di progressiva disaggregazione. Essa
comporta la valutazione e la scelta di una forma organizzativa, e cioè dell’assetto organizzativo
complessivo dell’azienda. Scegliere una forma organizzativa significa stabilire dove l’azienda
indirizza le proprie risorse, privilegiare alcune direzioni di specializzazione e di coordinamento
a scapito di altre, contribuire a definire gli schemi di interazione formale ed informale e le
relazioni che si sviluppano nel tempo (dove si indirizzano le risorse, specializzazione e
coordinamento, relazioni tra attori).
Per individuare la tipologia di forme organizzative, impieghiamo come criteri la base di
specializzazione (vantaggi di costo e di tempo –efficienza-//maggior qualità e bravura nella
realizzazione del prodotto) utilizzata per le unità organizzative dipendenti direttamente dal
vertice (organi di primo livello) e le modalità di attribuzione dell’autorità gerarchica; si possono
individuare così tali forme:
- Forme semplici;
- Forme funzionali;
- Forme divisionali;
- Forme a matrice.
Forme a progetto.
FORME SEMPLICIOrganizzazione poco articolata in livelli e organi, e impiega meccanismi
relativamente semplici e poco numerosi di integrazione
Caratteristica di aziende di piccola dimensione con poca variabilità (operano in un solo
business).
Vengono altresì definite elementari o non organizzazioni (poiché non è una vera e propria
organizzazione).
Vi è bassa differenziazione orizzontale, ovvero pochi organi (unità organizzative/reparti).
Vi è bassa differenziazione verticale, ovvero non vi è gerarchia sviluppata.
È un’organizzazione poco articolata e che usa meccanismi di coordinamento semplici e poco
numerosi.
Nelle organizzazioni semplici vi è scarso ricorso alla formalizzazione (poche regole scritte),
ovvero scarsa standardizzazione nei processi.
Vi è scarsa progettazione del sistema programmazione-pianificazione-controllo, ovvero una
scarsa progettazione degli obiettivi qualitativi e quantitativi, ed una correlata scarsa
standardizzazione (inputoutput).
Non vi sono organi di staff (1-che erogano servizipossono essere acquisiti sul mercato//2-
tecnico-strutturaregolano le attività, creano standard).
Riassumendo:
- Specializzazione assente;
- Dimensione anche elevata delle unità organizzative;
- Accentramento variabile;
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Il product manager è un ruolo di confine tra impresa ed esterno. Gestisce le relazioni con
l’esterno e favorisce il coordinamento tra le diverse funzioni di impresa.
Il ruolo del product manager si divide in: Stila un piano di budget
- Competenze operative: Livello operativoControllo vendite, …
- Competenze strategiche: Livello strategicoPreparazione piano di mktg
Riassumendo le caratteristiche della forma a product manager:
- Criterio di specializzazione per input (funzioni) e output (prodotto);
- Decentramento variabile rispetto all’influenza del product manager;
- Il product manager dipende dalla direzione generale o dalla direzione
commerciale/marketing;
- Formalizzazione (standardizzazione dei processi lavorativi) elevata;
- Sistema di pianificazione e controllo relativo alle funzioni e ai prodotti;
- Gli incentivi per il product manager sono rinforzi sui risultati globali;
- Meccanismi laterali sviluppati.
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e, dall’altro, l’allocazione delle risorse finanziarie ai diversi business rispetto al mercato esterno
dei capitali.
Quindi:
- La forma divisionale nasce come risposta ai problemi di diversificazione della forma
funzionale;
- Coordinamento inter e intra funzione;
- Perdita di controllo da parte del top;
- Difficoltà di individuare il profitto nei singoli business;
- Difficoltà di allocare in modo efficiente le risorse.
La forma divisionale si è diffusa per motivi economici (ricerca di efficienza ed efficacia), motivi
politici (relazioni di potere intra-organizzative e inter-organizzative), motivi istituzionali
(isomorfismo coercitivo, mimetico, normativo).
Le caratteristiche essenziali e comuni ai diversi tipi di forme divisionali, che individuano anche le
più importanti decisioni di progettazione organizzativa di queste forme, sono le seguenti:
- La specializzazione degli organi di primo livello (alle dipendenze del vertice)-le divisioni-
in base all’output;
- L’indipendenza delle divisioni;
- L’attribuzione alle divisioni della responsabilità di profitto.
Le caratteristiche delle forme divisionali:
- Criterio di specializzazione per output (prodotto, area geo, mercato)*;
- Dimensione delle unità organizzative elevata al vertice (per la scarsa interdipendenza e
l’elevata autonomia);
- Decisioni strategiche al vertice, e decisioni strategiche, direzionali e operative relative al
business alle divisioni;
- Gerarchia molto limitata;
- Organi di staff: Tecnostrutturasviluppata presso la direzione centrale per gestire la
standardizzazione degli output; Staff di supportosviluppo variabile;
- Relazioni di dipendenza gerarchiche (prevalentemente) e funzionali (tra staff centrali e
staff divisionali);
- Formalizzazione molto sviluppata all’interno delle divisioni;
- Sistema di pianificazione e controllo molto sviluppato per il coordinamento delle
divisioni; obiettivi globali (profitto);
- Incentivi: Rinforzo sui risultati globali;
- Meccanismi laterali: Sviluppo variabile.
Il meccanismo tipico di coordinamento è la standardizzazione degli output.
Le forme divisionali si specializzano in base all’output:
Prodotto (linea di prodotto);
Area geografica;
Mercato.
Criterio che esprime la diversità più critica
Si hanno divisioni in base:
1) Specializzazione in base all’output;
2) Indipendenza delle divisioni;
3) Responsabilità di profitto.
1) Specializzazione in base all’output: La divisione è responsabile di un output parziale;
2) Indipendenza delle divisioni: Riguarda la differenza che intercorre fra una concezione di
impresa come semplice somma delle parti che la compongono e una concezione di impresa come
sistema, e cioè come qualche cosa di più della semplice somma delle parti, in particolare
attraverso lo sfruttamento delle sinergie e delle economie di scala. La regolazione
dell’indipendenza delle divisioni riguarda due aspetti:
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- L’autonomia decisionale, e cioè la discrezionalità delle divisioni rispetto alla direzione centrale
(o il livello corporate), in altri termini il grado di decentramento;
- L’autosufficienza delle risorse nelle singole divisioni, nei confronti sia della direzione centrale
che delle altre divisioni.
Fra questi due aspetti intercorrono relazioni di vario tipo, nel senso che la discrezionalità
nell’uso delle risorse assegnate alle divisioni non è mai completa, mentre le divisioni possono
godere di discrezionalità anche elevata rispetto a risorse gestite a livello corporate o da altre
divisioni a beneficio di tutta l’impresa. Ad essere in gioco sono alcuni fondamentali TRADE-OFF
che esprimono anche le tensioni cui è soggetta la forma divisionale:
Decentramento vs. controllo;
Flessibilità vs. efficienza;
Capacità di adattamento vs. coordinamento;
Chiarezza delle responsabilità vs. sinergie.
Lo sviluppo degli staff centrali si collega con la scelta che viene compiuta.
L’autonomia delle divisioni: Per quanto riguarda l’autonomia delle divisioni se, in termini
generali, alle divisioni è attribuita l’autorità di gestire la linea di prodotti (l’area geografica, il
tipo di cliente) assegnata assumendo le conseguenti decisioni di natura strategica, direzionale e
operativa, in modo più specifico alla direzione centrale competono solitamente le decisioni che
attengono a:
- La formulazione della strategia;
- L’allocazione delle risorse finanziarie;
- L’assetto organizzativo;
- Soppressione/creazione divisioni;
- Sistema di controllo;
- Politiche funzionali;
- I responsabili divisionali;
- Interventi e controllo personali.
L’autosufficienza delle divisioni: L’autosufficienza delle divisioni riguarda il grado di
completezza delle risorse (funzioni) assegnate alle divisioni stesse. Si tratta di una decisione di
progettazione organizzativa molto importante perché incide sulla soluzione che viene data ai
trade-off descritti precedentemente. La diminuzione dell’autosufficienza compromette la
flessibilità, da un lato, ha effetti positivi sull’efficienza o sull’efficacia con cui vengono svolte le
funzioni e sullo sfruttamento delle economie di scala e di raggio d’azione.
Il problema dell’autosufficienza si pone tanto per le funzioni di carattere operativo o di line
quanto per le soluzioni di staff.
La soluzione, dati i termini del trade-off, può essere diversa per le varie funzioni. In termini
generali, a livello di direzione centrale dovrebbero essere gestite quelle funzioni (risorse) che:
- Sono comuni a più divisioni;
- Presentano elevati vantaggi di efficienza e di specializzazione se gestite su base
multidivisionale;
- Non assumono rilievo critico rispetto al funzionamento della divisione e ai suoi risultati.
Un’alternativa alla gestione di queste risorse da parte della direzione centrale è la loro
assegnazione a una divisione: si possono raggiungere gli stessi risultati in termini di efficacia ed
efficienza, ma si limita il ruolo della direzione centrale.
3) La responsabilità di profitto: di profitto delle divisioni e dei responsabili divisionali
rappresenta la terza caratteristica fondamentale delle forme divisionali. Le forme divisionali
comportano infatti una diffusione della responsabilità per una combinazione di ricavi e di costi.
Essendo le divisioni quasi sempre delle quasi-imprese, la responsabilità di profitto non è
‘’naturale’’ nella sua definizione e nei suoi contenuti come per le imprese che operano sul
mercato, ma è il risultato di decisioni di progettazione organizzativa. Anche i suoi effetti e la sua
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La forma a matrice si caratterizza per l’adozione simultanea (e non su livelli gerarchici diversi)
di due (o più) criteri di specializzazione e per il collegamento a ciascuno di tali criteri di una
linea di autorità gerarchica, con la conseguente rinuncia esplicita al tradizionale principio
dell’unità di comando.
Il vertice, a livello di impresa, corrisponde al direttore generale.
I manager sono preposti alle dimensioni o assi della matrice.
I manager sottoposti a due (o più capi) sono figure che, pur appartenendo e dipendendo, per
esempio, da una funzione, dipendono anche da un manager responsabile del conseguimento di
un risultato interfunzionale.
Esigenza della forma a matrice è garantire il bilanciamento fra le dimensioni della matrice.
Per realizzare tale bilanciamento, è necessaria la duplicazione di tutti i meccanismi di
coordinamento, oltre all’autorità gerarchica: in particolare il sistema di pianificazione e
controllo (nel senso che accanto agli obiettivi legati alle funzioni vi deve essere l’elaborazione di
obiettivi legati alla dimensione dell’output) e il sistema di ricompensa (gli incentivi debbono
essere basati sia sui risultati o sui comportamenti relativi alle funzioni che su quelli relativi alla
dimensione dell’output). In assenza di questa duplicazione si avrebbe uno sbilanciamento della
matrice, nel senso di una maggiore influenza della dimensione che ‘’dispone’’ di più meccanismi
di coordinamento.
Nella forma a matrice vengono duplicati tutti i meccanismi di coordinamento. Questo significa
che, la forma a matrice ha due o più dimensioni, o meglio le unità organizzative corrispondenti,
sono collocate tutte su uno stesso livello, tutte dispongono di autorità gerarchica (quindi non vi è
unità di comando) e di una eguale influenza.
Questa caratterizzazione qualifica anche le condizioni nelle quali la forma a matrice è efficace
ed efficiente: ciò si verifica quando le dimensioni o le variabili critiche espresse dai criteri di
specializzazione hanno una eguale criticità.
Quando si è in presenza, da un lato, di tecniche indivisibili (che comportano elevate economie di
scala) e complesse (che implicano tempi di apprendimento lunghi) e, dall’altro, di un’elevata
differenziazione ed interdipendenza, in condizioni di elevata incertezza, fra le funzioni o
specializzazioni rispetto all’output; oppure quando l’esigenza di un orientamento multiplo
deriva dalla necessità di rispondere simultaneamente con una eguale attenzione alla
concorrenza sulle linee di prodotto, da un lato, e alle differenze dei diversi mercati o aree
geografiche, dall’altro.
Riassumendo le caratteristiche della forma a matrice:
- Criterio di specializzazione input-output ed output-output;
- Dimensione delle unità organizzative piccole;
- Decentramento elevato;
- Gerarchia poco sviluppata;
- Doppie dipendenze gerarchiche (sdoppiamento meccanismi di coordinamento);
- Organi di staff: Tecnostrutturasviluppata per gestire il sistema di pianificazione e
controllo. Staff di supportovariabile;
- Formalizzazione significativa per quanto attiene al funzionamento della matrice;
- Sistema di pianificazione e controllo duplice;
- Indottrinamento importante per allineare gli obiettivi;
- Incentivi duplici;
- Meccanismi laterali molto sviluppati.
Le variabili critiche esplicitate dalla forma a matrice possono essere diverse per:
- Tipo: Sono possibili matrici input-output o matrici output-output;
- Numero: Nel senso che le dimensioni possono essere in numero superiore a due.
Vantaggi matrice input-output:
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collegamento fra organizzazione e creazione del valore nel senso che l’organizzazione è
diventata una nuova variabile strategica, la fonte di un vantaggio competitivo sostenibile.
Vi sono due modalità di trattamento della molteplicità di nuove soluzioni organizzative:
- Quella che porta all’individuazione di una o più nuove forme di organizzazione;
- Quella che si fonda sull’utilizzo del concetto di complementarietà.
Un esempio interessante di nuova forma organizzativa è costituito dalla forma a N (da Network)
di Perrone. Altra forma nuova è quella ambidestra.
Rappresentazione della forma a N:
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Quindi, invece che tentare di identificare poche alternative, si tratta di sfruttare le differenti
possibilità di combinazione, valorizzando la capacità di progettare nuove soluzioni, ed evitando
di valutare comparativamente un numero limitato di soluzioni consolidate.
Un importante contributo in questo senso è dato da Grandori e Funari che identificano le
pratiche organizzative che stanno alla base della generazione delle soluzioni organizzative e le
raggruppano in quattro tipi di elementi: mercato, burocrazia, comunità e democrazia.
La soluzione organizzativa è una ‘’formula’’ caratterizzata dalla presenza di elementi e delle
pratiche ad essi associate; questa combinazione di elementi e di pratiche deve rispondere alle
seguenti regole:
- Varietà degli elementi: Affinché una combinazione organizzativa raggiunga elevati livelli
di performance è necessaria la presenza di almeno una pratica appartenente a ciascun
tipo di elemento;
- Rendimenti marginali decrescenti all’aumentare della omogeneità e anche della varietà
degli elementi: L’aumento dell’intensità di uno stesso elemento ma anche l’aumento
dell’intensità di tutti gli elementi danno rendimenti marginali decrescenti e, oltre un
certo punto, negativi. Dall’altro lato una eccessiva varietà può generare
complementarietà negative in quanto le persone hanno limiti cognitivi e
comportamentali nel rispondere a richieste molto forti e diverse. Inoltre
l’implementazione di un numero elevato di pratiche comporta costi elevati;
- Eterogeneità strutturale: Il livello ottimo di presenza di ciascun elemento, nel rispetto dei
limiti minimi e massimi indicati, è contingente al tipo di performance attesa. Garantita la
presenza di tutti gli elementi, elevati livelli di efficienza richiedono una maggiore
intensità della ‘’burocrazia’’, mentre elevate performance di innovazione richiedono una
maggiore intensità degli altri elementi. Una prima verifica empirica ha indicato che
l’aumento di intensità deve interessare il ‘’mercato’’ o la ‘’comunità’’, oppure entrambi;
inoltre se vengono perseguiti sia obiettivi di efficienza che di innovazione è necessario
unire queste due indicazioni.
I preliminari riscontri empirici dell’approccio combinativo arricchiscono gli studi sulla
complementarietà ponendo le basi per un ulteriore sviluppo sul piano teorico dell’analisi delle
nuove soluzioni organizzative.
Sintesi:
Le forme organizzative rappresentano dei cluster ‘’ricorrenti’’ e ‘’tipici’’ di scelte di
specializzazione e di coordinamento, efficaci ed efficienti in determinate situazioni. Si tratta
quindi di un insieme coerente di variabili organizzative (coerenza interna), coerente anche
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rispetto ad una specifica situazione in termini di ambiente, strategia e tecnica, variabili chiave
(coerenza esterna).
Come ideal tipi divenuti nel tempo, le forme delimitano lo ‘’spazio’’ delle soluzioni organizzative
possibili, potendo le soluzioni effettive avvicinarsi, senza coincidere, ad uno dei punti che
delimitano questo spazio.
Le nuove forme organizzative possono comportare un approccio diverso da quello fondato sulla
ricerca di forme o configurazioni.
LA PROGETTAZIONE ORGANIZZATIVA
Nel progettare l’organizzazione vi sono due tipologie di logiche di progettazione:
1) Metodo sintetico;
2) Metodo analitico.
Sono due metodologie di progettazione alternative tra loro, ma entrambe condividono la
prospettiva di fondo, di tipo epistemologica organicistica (concezione di organizzazione come
organismo).
Caratteristiche comuni di queste due logiche sono (processo):
1) La realtà si presenta come un dato oggettivo: Si può spiegare attraverso un’osservazione
sistemica;
2) L’osservazione sistematica viene trasformata in ipotesi e sottoposta a test empirici
(metodo scientifico);
3) Se le ipotesi sopportano i test empirici consentono di formulare generalizzazioni e leggi e
di fornire indicazioni di progettazione.
- Il metodo sintetico può, pur rifacendosi ad una prospettiva oggettivista e ad una logica
organicista, essere ricondotta alla teoria delle contingenze, secondo cui, la progettazione
è identificazione di relazioni causali tra fattori contingenti e dimensioni strutturali.
Inoltre, la progettazione obbedisce ad un imperativo di adattamento e affonda le radici in
un paradigma teorico funzionalista. Per funzionalista si intende che la progettazione, per
perseguire obiettivi di efficienza ed efficacia, deve adattarsi all’ambiente. Galbraith,
padre di questa linea di progettazione, definita metodo sintetico, afferma che
‘’l’organizzazione è l’insieme di persone e di gruppi che hanno il fine di raggiungere
obiettivi condivisi attraverso divisione del lavoro e processi decisionali’’.
- Il metodo analitico, invece, non affonda le sue origini nella teoria della contingenza come
il metodo sintetico, ma bensì nella teoria dei costi di transazione. Quest’ultima condivide
con la teoria delle contingenze una logica deterministica ed una concezione reificata del
sistema (una contrapposizione tra soggetto ed oggetto).
-
1- LA LOGICA DI PROGETTAZIONE DEL METODO SINTETICO
Su un piano teorico individuiamo due fasi di progettazione distinte e sequenziali, ossia
l’individuazione dei criteri di raggruppamento delle attività e la valutazione di pregi e difetti
delle forme organizzative che ne derivano.
I 6 CRITERI DI RAGGRUPPAMENTO DELLE ATTIVITA' (non sono da seguire
complementariamente ma da scegliere distintamente):
1. La suddivisione in base al numero degli esecutori delle attività;
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2. La suddivisione in base alla specializzazione tecnica necessaria allo svolgimento delle attività;
3. La suddivisione in base alla attrezzatura utilizzata nello svolgimento delle attività;
4. La suddivisione in base al prodotto;
5. La suddivisione in base all'area geografica;
6. La suddivisione in base alla tipologia di cliente.
I criteri di raggruppamento sono raggruppabili in due insiemi:
1) Input: Criteri di specializzazione tecnica necessaria allo svolgimento della attività o alla
tecnologia usata per svolgere specifiche attività. Questi sono criteri efficaci ed efficienti
per la gestione delle risorse interne. Quando prevalgono le scelte di raggruppamento in
base agli input abbiamo una specifica FORMA FUNZIONALE;
2) Output: Facciamo riferimento ai prodotti, all’area geografica, alla tipologia di cliente.
Questi sono particolarmente efficaci ed efficienti per la gestione delle relazioni esterne.
Qui avremo, invece, una organizzazione a FORMA DIVISIONALE.
LA FORMA FUNZIONALE
All’apice c’è una figura apicale, e poi l’organizzazione è rappresentata come un insieme di
funzioni legate al vertice, relazionate verticalmente e gerarchicamente con un’unità superiore.
La forma funzionale è preferibile quando:
1) La specializzazione tecnica sarà alta e quindi genererà alti costi nel caso in cui la si voglia
duplicare → la formula funzionale, in questo caso, garantisce economie di specializzazione ed
economie dimensionale;
2) è preferibile adottare una forma funzionale anche nel caso in cui le interrelazioni tra attività
sono riferite a prodotti diversi ma allo stesso tempo tali interrelazioni sono molto forti (es.:
quando si producono prodotti diversi come libri, giornali, riviste e poster ma la progettazione di
tutti questi prodotti e' comune e si ha la possibilità di sfruttare gli stessi canali di vendita. In
questo caso la forma funzionale gestisce meglio le correlazioni tra prodotti).
LA FORMA DIVISIONALE
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Simile alla forma funzionale ma la divisione non avviene per funzioni, ma per area geografica,
clienti o prodotti.
Il raggruppamento delle attività della nostra impresa non è basata su input, ma su output.
La forma divisionale è preferibile quando:
La diversificazione dei nostri prodotti e' talmente alta e il tasso di innovazione dei prodotti e'
talmente differente che e' necessario presidiare attraverso la forma organizzativa la diversità di
ciascun prodotto.
La forma divisionale diventa preferibile perchè la duplicazione delle strutture dedicate e quindi
l'aumento dei costi di specializzazione sono compensati dalla diminuzione dei costi di
coordinamento interno alle unità organizzative.
La stessa cosa potremmo dire per quanto riguarda area geografica e tipologia di cliente.
La Scelta se adottare una forma piuttosto che un'altra si dovrà basare su una serie di variabili
quali linee di prodotti, interdipendenza tra unità organizzative, livello tecnologico, economie di
scala e dimensione d'impresa.
Ciò significa che non esiste una forma migliore di un'altra in assoluto ma, coerentemente con la
concezione di organizzazione organicista, si dovrebbe individuare l'organizzazione più adeguata
rispetto all'ambiente in cui l'organizzazione si colloca.
Concludendo, i vantaggi del metodo sintetico sono: metodo semplice e intuitivo e alto potenziale
di applicabilità.
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F) La dimensione delle unità deve essere tale che l'incremento del costo marginale di controllo
eguagli la riduzione dei costi marginali di coordinamento. Una volta fatta l'analisi delle attività
devono essere valutate le possibili soluzioni, e i vantaggi e gli svantaggi che ne derivano.
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