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Organizzazione Aziendale

Organizzazione aziendale (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)

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ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
LE DIVERSE CONCEZIONI DI SISTEMA
LA DISPUTA
La disputa è una discussione animata e vivace fra i sostenitori di una tesi e quelli della tesi
opposta.
Disputare si intende proporre diverse possibilità (tesi).
In questo caso vengono proposte 3 differenti visioni: queste 3 visioni, e quindi, questi 3 insiemi di
teorie, non sono vere in assoluto, ogni approccio è valido in sé, ciascuno è coerente.
Ma come mostra la disputa, nessun approccio può comprendere gli altri 2. I 3 personaggi hanno
la stessa formazione, hanno vissuto gli stessi avvenimenti, dispongono delle stesse info, ma la
posizione che ciascuna assume lo porta a vivere e a sentire gli stessi avvenimenti in modo
diverso.
La disputa mostra che non si può parlare della teoria della decisione, e che ci sono diverse
concezioni del processo decisionale.
 TESI 1
 TESI 2  DISPUTA
 TESI 3
 ….
DISPUTA= Diverse concezioni in contrasto tra loro. Non esiste una verità assoluta, ma solo
differenti visioni, tutte al pari significative.
Anche se frutto di basi di fondo comune, sono diramate sulla base di differenti reazioni a fattori
interni/esterni.

WILLIAM: SISTEMA PREDETERMINATO RISPETTO AGLI ATTORI


La struttura vincola l’azione
L’impresa deve adattarsi all’ambiente esterno (mercato, tecnologia, società, istituzioni, …).
La decisione organizzativa/strategica deve dipendere dall’analisi della situazione di contesto.
Esiste una configurazione organizzativa (decisione) ‘’ottimale’’.
PAULA: SISTEMA PRODOTTO DALL’INTERAZIONE DEGLI ATTORI
L’azione vincola la struttura
È decisiva la ‘’volontà delle persone’’.
Non è l’ambiente a vincolare la decisione organizzativa.
Occorre tenere conto del lato emotivo, psicologico, della soggettività.
Le decisioni vengono razionalizzate ex-post, gli obiettivi organizzativi vengono ‘’scoperti’’ dopo
che l’azione è stata svolta.
L’incertezza e la complessità vanificano ogni tentativo di pianificazione.
THOMAS: ORGANIZZAZIONE COME PROCESSO
Azione e struttura si influenzano a vicenda
L’impresa crea il suo ambiente.
L’ambiente preserva vincoli ma anche opportunità.
Occorre partire dagli obiettivi, i quali rappresentano una ‘’risultante’’ dell’influenza ‘’politica’’ di
numerosi soggetti, interni ed esterni.
Gli obiettivi e le relazioni mezzi-fini non sono perfettamente chiari, ma evolvono in un percorso
euristico (di approfondimento).
Non esiste una decisione ottimale, ma si può valutare la coerenza tra mezzi e obiettivi.

WILLIAM
1

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Positivista/neopostivista
Punto di vista del sistema
Sistema= qualcosa che esiste in modo preordinato rispetto all’azione dei soggetti
Sistema di regole, di ruoli, procedure, …
Sistema progettabile a priori dall’interazione con i soggetto
SistemaPersoneComportamento
Prospettiva di mainstream (mainstream organizzativoteoria 1, teoria 2, teoria 3,…)

PAULA
Fenomenologia ed integrazionismo simbolico
Punto di vista del soggetto
I soggetti producono l’emergere di un sistema che da vita a tutto
PersoneSistemaComportamento
Prospettiva soggettivistica

THOMAS
Non è un punto di mezzo fra William e Paula, poiché non studio i 2 macrofattori (sistema ed
individuo), ma i processi
A dipende da B, ma B dipende da A
Non c’è variabile dominante/indipendente, ne variabile dipendente

LE CONCEZIONI DI ORGANIZZAZIONE

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I vari indirizzi teorici manifestano diverse concezioni, riflettendo differenti scelte


epistemologiche.
Le concezioni di organizzazione trasmettono nella teoria organizzativa le posizioni di fondo
espresse nel dibattito epistemologico delle scienze sociali.
Le teorie organizzative si propongono di spiegare dei fatti, e in particolare le condizioni di
funzionamento delle organizzazioni, ma partono da interrogativi ed ipotesi che sono influenzate
da giudizi di valore.
Giudizi che fanno parte di diverse concezioni generali non certo verificabili.
Metodo scientificoAffermazioni obiettive
Qualsiasi interpretazione (di realtà fisiche e/o di realtà sociali) parte da valori, da convinzioni
soggettive. Qualsiasi sforzo di conoscere, in qualsiasi campo, è influenzato da valutazioni che
fanno parte del mondo delle opinioni, non certo di quello dei fatti.
Qualcuno parla di paradigmi, altri di visioni del mondo, altri ancora di concezioni. Max Weber
usava una diversa dizione: punti di vista. Si tratta comunque di pre-condizioni, necessarie e
sempre esistenti, del ragionamento razionale.
Ragionamento obiettivo e a-valutativoMetodo scientificoSi arriva a formulare
interpretazioni valide sino a prova contraria
Positivismo vs. Soggettivismo
Paradigmi Diverse visioni del mondo che per un certo periodo vengono condivise, per poi
essere superate da un nuovo paradigma (paradigma fordista e post-fordista).
A partire dai paradigmi nascono i più diffusi problemi, interrogativi di ricerca, le ipotesi
fondamentali, la visione teorica di riferimento, la scelta delle stesse tecniche di analisi.
Programmi o strategie di ricerca Prevedono prospettive comuni a molti anche se non così
ampie come quelle dei paradigmi
Epistemologie Vere e proprie filosofie generali, che si applicano poi sino alle ipotesi di ricerca e
alla stessa strumentazione di analisi
In termini tecnici occorrerebbe, a questo punto, parlare di come il ricercatore si pone quando
interpreta di fronte a 3 questioni:
1) Ontologica Cos’è la realtà;
2) Epistemologica è possibile conoscere scientificamente la realtà?
3) Metodologica Come si può conoscere?

CONCEZIONE MECCANICISTICA
La metafora della macchina
La razionalità oggettiva
Massimizzazione di efficacia ed efficienza
Coordinamento unico e predefinito
Principi universali di organizzazione
Deviazioni non ammesse
Scostamenti dovuti al fattore umano
Visione dell’organizzazione:
- Mansione come unità elementare
- Attribuzione compiti elementari
Struttura come gerarchia di mansioni
Il criterio di valutazione è il rendimento

CONCEZIONE ORGANICISITICA

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La metafora biologica
Le funzioni e requisiti fondamentali:
- Integrazione e adattamento
Morfostasi, equifinalità
Più modi di coordinamento, un modo ottimo
Programma flessibile
Valorizzazione delle devianze funzionali
Analisi della ‘’organizzazione informale’’
RuoliStruttura dei ruoli
Valutazione dei requisiti funzionali

CONCEZIONE SOGGETTIVISTA
Enfasi sulla soggettività, sulle strategie individuali, sugli aspetti emozionali
Organizzazione come tipizzazione di significati condivisi e comportamenti ricorrenti
Istituzionalizzazione
Indeterminatezza degli esiti
Struttura come insieme di ruoli assunti
Razionalità a posteriori:
- Sia a livello individuale, sia a livello collettivo

CONCEZIONE PROCESSUALE
Razionalità intenzionale e limitata (Simon)
Orientamenti allo scopo:
- Gli attori sono socialmente competenti (Giddens)
Conoscenza imperfetta delle premesse decisionali, delle alternative di scelta, dei rapporti
strumentali, degli obiettivi
Non è possibile massimizzare: l’azione organizzativa (e sociale) è orientata verso esiti
soddisfacenti
Rifiuto della reificazione e della separazione tra attori e sistema
Multi finalità e morfogenesi
L’azione organizzativa (e sociale) è intesa come percorso euristico di regolazione
- L’importanza del potere
Il sistema organizzativo (e sociale) come processo di azioni e decisioni
La struttura come ordine del processo (azione di regolazione, ossia di coordinamento e
controllo)
- Vi è ancora l’importanza del potere
La valutazione delle scelte è basata sui rapporti di congruenza (coerenza) tra le componenti
analitiche del processo
- Inclusa la componente istituzionale (obiettivi)
Ricapitolando:
Visioni epistemologiche diverse generano modi diversi di concepire:
- I fenomeni organizzativi;
- Il rapporto azione-struttura;
- Il rapporto attore-sistema;
- I processi decisionali.
E conseguentemente dei differenti modi di agire nella pratica.
Si possono, in sintesi, individuare fondamentalmente 3 concezioni fondamentali:
1) Organizzazione come sistema, inteso meccanicamente od organicamente, in vari modi
predefinibile rispetto allo svolgimento delle attività organizzate e agli attori che vi
partecipano, questa logica da vita alla logica del sistema;

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2) Organizzazione come entità concreta, ma definibile solo post, in base al configurarsi delle
interazioni degli attori. Tale logica è quella dell’attore;
3) Organizzazione in termini di azione organizzativa, che vede nel contempo attore e
sistema, senza che l’uno prevalga sull’altro, perché il sistema è processo di azioni e di
decisioni, senza cesure tra un prima ed un dopo, perché il tempo vi è incorporato e ne
costituisce elemento essenziale, insieme agli altri elementi di variabilità.
Punti in comune dei vari teorici dell’organizzazione:
- Qualsiasi interpretazione utilizza modelli semplificati della realtà (costruisce un
modello); e qualsiasi decisione o azione assume un’interpretazione come punto di
riferimento per decidere o agire. Interpretazione che, se si vuole essere corretti, deve
dichiarare i valori dai quali parte;
- Nell’utilizzo del metodo i valori non devono trovare spazio (se si vuole essere
caratterizzati da a-valutatività od obiettività). Ciò non toglie che dei valori influenzino a
monte l’intero percorso di conoscenza;
- Le influenze e giudizi di valore, le semplificazioni vengono dalla dimensione delle idee, dei
valori, delle convinzioni non scientifiche.
Vi sono tanti tipi di organizzazione e di modi di interpretare tali organizzazioni.
Questo è motivato dalle varie concezioni, sistemi di valori, punti di vista in coerenza con i quali
vengono scelti problemi, interlocutori, ipotesi.
Tutte cose che influenzano sulla teoria che viene elaborata e pertanto sulle caratteristiche della
conoscenza.
In sostanza, la ragione è legata alle questioni generali alle quali gli studiosi si riferiscono.
Ovviamente, anche al metodo che si ritiene di utilizzare nell’analisi dei problemi.
Si fa riferimento a 3 concezioni fondamentali all’interno delle quali emergono diverse
prospettive di analisi organizzativa:
- POSITIVISMO
- SOGGETTIVISMO
- POSIZIONE PROCESSUALE O RELAZIONALE
Queste sono 3 concezioni, opzioni epistemologiche, visioni del mondo, punti di vista, approcci
idealtipici. Sono comunque 3 punti di riferimento generali, ciascuno dei quali cui collegare
una realtà complessa.
Concezioni di organizzazione:
1) Sistema predeterminato rispetto agli attori;
2) Sistema prodotto dall’interazione tra gli attori;
3) Sistema come processo di azioni e di decisioni.
Le 3 condizioni esprimono modalità contrapposte di lettura e di interpretazione della realtà
organizzativa.
1) Possibilità di spiegare rapporti necessari, determinati da principi o prerequisiti del
sistema universalmente validi; oppure presuppongono la possibilità di spiegare rapporti
probabili basati sulla generalizzazione dei casi particolari. Sono proprie di questa
concezione sia le spiegazioni casuali, deduttive o probabilistico-induttive, sia le
spiegazioni funzionali;
2) La realtà organizzata è conoscibile nella fenomenologia dei casi concreti; la loro
individualità può essere compresa attraverso l’esperienza vissuta, e riferita alla totalità
del sistema, ma non ammette alcuna generalizzazione;
3) Il processo organizzativo reale è ugualmente unico e irripetibile, ma può essere
confrontato con processi ipotetici. In tal modo non si ricercano fattori casuali o relazioni
funzionali, ne ci si limita alla comprensione dei vissuti soggettivi; si accerta, invece,
l’adeguatezza delle condizioni per la possibilità oggettiva delle azioni organizzative. Si
adotta il procedimento di spiegazione condizionale, di cauzione adeguata.

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Il quadro delle 3 concezioni fondamentali di organizzazione offre una chiave di lettura generale
del pensiero organizzativo. Sono scelte di conoscenza scientifica. Vi sono differenti visioni
all’interno di una stessa disciplina. L’idea generica di sistema non qualifica un particolare modo
di intendere l’organizzazione. È invece determinante come processo di azioni e decisioni, oppure
come prodotto concreto di strategie individuali, oppure ancora come sistema meccanico o
naturale ed organico.
Rapporto tra ambiente ed organizzazione:
AmbienteTutto ciò che circonda l’organizzazione
Tutto ciò che è esterno ai confini dell’organizzazione, ma che è in relazione con esso

Segmentare l’ambiente:
ORGANIZZAZIONE
- Fornitori di materie prime;
- Concorrenza;
- Stakeholders (coloro che hanno interessi verso l’organizzazione) –istituzioni di diverso
tipo-;
- Mercato di sbocco (clienti attuali reali e potenziali);
- Cornice normativa (sistema di regole che caratterizza l’impresa);
- Tecnologie ed infrastrutture;
- Mercato dei finziamenti;
- Ambiente e contesto socio-economico-culturale.

F.W.Taylor (taylorista)
Il taylorismo è il preconcetto della forza lavoro.
Taylor fu un alto borghese del ‘900, che allineò lo studio e la conoscenza manageriale alla
conoscenza tecnica.

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La scienza entra nei processi di trasformazione, ma non vi è lo stesso processo in termini di


gestione.
Vi sono piccolo reparti produttivi (task/scientific management): consiste nella organizzazione
scientifica del lavoro (management scientifico)
Management scientifico= sistema di compiti di compiti che sta attorno alla gestione dell’impresa
(reparti, che attraverso il metodo scientifico, attribuiscono diversi compiti ai diversi reparti)
Si compiono rilevazioni, utili per schematizzare i processi di lavoro; analizzare tutto il processo e
parcellizzarlo in compiti specifici, tutti finalizzati al raggiungimento dell’efficienza.
Occorre trovare tempi e modi di svolgimento delle varie attività che garantiscono il
raggiungimento dell’efficienza. Il fine è trovare standard che funzionino e diventino l’emblema
della managerialità.
Quindi, occorre spezzettare l’attività in piccoli compiti specifici fino a che possibile sotto l’aspetto
tecnico, in compiti non ulteriormente scomponibili.
Per ciascun compito (task) analizzare e trovare chi fa quel compito in maniera più efficiente 
individuare le caratteristiche individuali che permettono l’efficienza (es. strumentazione,
capacità fisiche/tecniche, …).
Quindi, OCCORRE SCOMPORRE UL PROCESSO LAVORATIVO IN UNA MOLTIPLICITà DI TASK
NON ULTERIORMENTE SCOMPONIBILI
Scomporre il processo lavorativo in più task, aiuta ad individuare le caratteristiche individuali, e
a trovare l’efficienza per ogni task.
L’organizzazione è come una macchina (fatta di vari pezzi che funzionano al meglio).
Non vi è perdita di forza lavoro:
Aumento efficienzaAumento qualitàAumento degli ordiniAumento della produzioneC’è
bisogno di più forza lavoroAumentano i salari (vi è più ricchezza da distribuire)Operai più
motivati, aumenta la sicurezza sul lavoro
- Ideazione analisi multi tasking;
- Esecuzione progetto di analisi e scomposizione.

H.FordStudia le teorie di Taylor e su un metodo simile fonda l’azienda più grande del mondo
- Introduce la catena di montaggio;
- Standard.
‘’Chiedetemi il modello T come volete, purchè me la chiediate nera’’
Lo standard non riguarda solo il processo produttivo, ma è un’idea totale di organizzazione.
 William: Concezione del sistema preordinato rispetto al contributo del (singolo) soggetto
 Paula: Sistema emergente dal contributo del soggetto (concezione del soggetto)
Il taylorismo è un sistema che influenza il soggetto, perché è predeterminato rispetto al soggetto,
ma fa parte di un’altra concezione, ossia quella del sistema meccanico. Il sistema non viene
influenzato dall’esterno, e ciò ne riduce l’incertezza.
Il taylorismo/fordismo è una teoria (parte dalle teorie organizzative), non è una concezione.

Concezioni di organizzazione:
1- Sistema predeterminato rispetto agli attori;
2- Sistema prodotto dall’interazione tra attori;
3- Sistema come processo di azioni e decisioni.
1) SISTEMA PREDETERMINATO RISPETTO AGLI ATTORI
È la logica del sistema meccanico.

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Si fonda su razionalità oggettiva. Ciò presuppone che il decisore abbia piena conoscenza di tutte
le alternative di comportamento, e delle conseguenze di ogni alternativa, così da trovarsi sempre
in perfette condizioni di scelta.
La razionalità organizzativa comporta che la commisurazione dei mezzi ai fini sia ottimizzata.
Le condizioni di perfetta informazione consentono di massimizzare sia il raggiungimento degli
obiettivi (efficacia) sia l’utilizzazione delle risorse rispetto al risultato (efficienza).
La possibilità di massimizzare indica la possibilità di coordinare ogni elemento
dell’organizzazione in modo ottimo. Il coordinamento valido è dunque unico, per qualsiasi
organizzazione. Da qui ha origine la costruzione di principi organizzativi universali.
In ogni realtà organizzata, in base ai principi di ottimizzazione, si può definire il programma
migliore. Il programma non richiede correzioni in quanto il controllo di tutte le sue componenti
è assicurato a priori. Ne consegue che non sono ammesse variazioni. Il programma rigido
permette di configurare mansioni. La mansione è il risultato dell’attribuzione stabile di compiti
elementari a determinati soggetti, tendenzialmente per l’intero arco della vita lavorativa. I
soggetti sono selezionati, addestrati, e incentivati in relazione specifica ai compiti attribuiti nel
disegno delle mansioni. L’insieme delle mansioni in ordine gerarchico configura la struttura
dell’organizzazione, che corrisponde quindi alla distribuzione formali delle responsabilità
(organigramma).
- Razionalità oggettiva;
- Massimizzazione di efficienza ed efficacia;
- Unico modo ottimo di coordinamento;
- Programma rigido e cambiamenti non ammessi;
- Struttura formale (mansioni).
L’organizzazione è un sistema chiuso nel senso che non ha scambi vitali con l’esterno.
Vi è una forte coerenza interna; vi sono solidi fondamenti, a partire dai presupposti della
razionalità oggettiva, i principi dell’efficienza perfetta, della specializzazione dei compiti, delle
prescrizioni rigide di svolgimento, dell’unità gerarchica, della separazione di direzione ed
esecuzione. Di conseguenza il sistema organizzativo è completamente predeterminato.
La categoria di base di giudizio è il rendimento.
2) SISTEMA PRODOTTO DALL’INTERAZIONE TRA ATTORI
È la logica del sistema organico.
Ogni parte, o sottosistema, contribuisce al soddisfacimento dei requisiti funzionali e la
conservazione all’interno, e l’adattamento e l’espressione delle finalità del sistema verso
l’esterno.
Ogni realtà organizzata è orientata all’evoluzione dello stato vitale. I contributi delle parti e del
tutto si sviluppano naturalmente in ordine ai bisogni funzionali, con equilibrio interno ed
esterno nel rispetto della conservazione della struttura e degli stati del sistema. Ad ogni
elemento del sistema è consentita una gamma di variabilità, perciò, non esiste un unico modo
valido di coordinamento organizzativo, ma più modi. Uno comunque è ottimale: quello che
assicura la miglior corrispondenza ai requisiti funzionali.
La equifinalità comporta che i programmi non siano rigidi. Anzi, la flessibilità accresce la
potenzialità del sistema. Di conseguenza, le deviazioni dal programma non solo sono ammesse,
ma vengono valorizzate, ogni qualvolta manifestano soluzioni più funzionali.
La flessibilità del programma esclude che il punto di incontro tra compiti e persone possa essere
espresso in termini di mansione. Il sistema configura ruoli, cioè prescrizioni e aspettative per le
posizioni sociali. Per ogni ruolo sono ammesse variabilità di aspettative, di percezioni, di
interessi, di comportamenti.
L’integrazione dei soggetti nel sistema, essenziale per il sistema, essenziale per il suo
funzionamento, è data dal grado di corrispondenza tra richieste di ruolo e motivazioni
individuali. La struttura organizzativa è l’insieme sistematico dei ruoli.

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- Funzioni del sistema e dei sottosistemi;


- Sviluppo naturale (morfostasi);
- Equifinalitàuna soluzione ottimale;
- Devianze ammesse e valorizzate (se più funzionali);
- Struttura come insieme di ruoli.
L’idea di organizzazione come sistema naturale è ancora compresa nella concezione di sistema
predeterminato rispetto ai soggetti. Questi, se entrano a far parte del sistema, devono rispondere
ai suoi bisogni funzionali. Sono quindi coerenti con la logica del sistema aperto-organico.
La categoria di giudizio è la rispondente ai requisiti funzionali.
3)LA LOGICA DELL’ATTORE E DEL SISTEMA CONCRETO
La realtà è una costruzione sociale, definita dai significati soggettivi.
Per interpretare l’azione sociale e collettiva occorre guardare ai comportamenti individuali in
base al senso inteso dall’attore. Questa prospettiva è mutata in campo organizzativo
dall’interazionismo.
Regolarità di comportamenti manifestano le strategie degli attori. Nell’interazione sociale si
producono modelli di relazione, modi tipici, che si istituzionalizzano.
Essa è dunque un costrutto sociale, culturale, un artefatto umano, che si presenta come un
sistema di azione concreto.
Manifestandosi all’esperienza in quanto dotata di oggettività, l’organizzazione si separa dai
soggetti che la producono, si pone come un fatto esterno e coercitivo. Il sistema tuttavia non
vincola mai interamente l’attore. Rimangono zone di incertezza e spazi di libertà, quindi di
esercizio di potere da parte dell’attore nei rapporti con gli altri attori, e di opposizione ai vincoli
del sistema.
Reciprocità di posizioni e tipizzazione delle azioni costituiscono i ruoli. Il ruolo non è pertanto
dato dal sistema ma assunto nella interazione sociale. E la somma di tali tipizzazioni costituisce
la struttura, manifesta oggettivamente l’organizzazione. Le soluzioni concrete possono essere
conferite ex post. In quanto oggettivamente tramite la produzione umana di segni, in particolare
tramite la produzione umana di segni, in particolare tramite il linguaggio, sono conoscibili
anche oltre l’esperienza immediata, nelle espressioni della cultura dell’organizzazione,
nell’insieme dei valori e dei simboli.
- Significati soggettivi dell’azione sociale;
- Istituzione (costrutto sociale);
- Effetti contro-intuitivi;
- Zone di incertezza (opposizione al sistema);
- Ruoli assunti (cultura, valori, simboli).
Il sistema non esiste in quanto prodotto dagli attori, e a partire dal significato soggettivo delle
azioni. Gli indirizzi organizzativi che seguono questa logica si applicano dunque coerentemente
all’analisi delle relazioni interattive, del potere visto come carattere relazionale, delle
comunicazioni e dei contesti dialogo-discorsivi. Così come coerente in questi indirizzi è
l’approccio alle realtà organizzate attraverso la ricostruzione del vissuto degli attori, degli
atteggiamenti, dei valori: la cultura.
L’unica razionalità possibile è a posteriori.
Categorie di giudizio sono i valori e le strategie soggettive.
4) LA LOGICA DELL’AZIONE ORGANIZZATIV E DEL SISTEMA COME PROCESSO (quarta possibile
concezione)
Si basa sull’idea di razionalità intenzionale e limitata. Limitata perché la conoscenza delle
alternative di scelta è sempre incompleta, non è possibile prevedere con esattezza conseguenze e
valori, non è possibile calcolare la scelta ottimale.

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Il percorso attivato dal senso intenzionato delle premesse alle decisioni, è continuamente
correggibile e modificabile, sulla base di nuove conoscenze e di nuovi valori: è un percorso
euristico, di ricerca, di apprendimento, e di decisioni.
Il sistema organizzativo è dunque un processo, è un sistema organizzativo che si auto produce e
si auto modifica, nelle sue componenti e anche nei suoi obiettivi: ha proprietà di multi finalità e
di morfogenesi.
In quanto processo d’azione e di decisioni non separa soggetti e sistema. In questo sistema di
azioni sociali esprime i livelli più elevati di complessità sistemica.
La complessità è prodotta dallo steso processo, che cerca di ridurla e governarla tramite
razionalità organizzativa.
Le componenti del processo sono distinguibili sul piano analitico. L’azione organizzativa attiva, e
modifica, continuamente le sue componenti e il suo campo.
La valutazione delle scelte, che si fonda sulla tendenziale razionalità, è valutazione delle
reciproche congruenze tra le componenti del processo.
La struttura è la componente di ordinamento del processo, di coordinamento e controllo,
espressa dall’azione organizzativa sul suo stesso corso.
- Razionalità intenzionale e limitata;
- Percorso euristico (soluzioni soddisfacenti);
- Processo che produce complessità e la governa;
- Congruenza tra le componenti analitiche;
- Azione strutturale.

LE TEORIE CLASSICHE
Le teorie classiche si compongono di tre teorie ben distinte, ma collegate:
1) Teoria dell’organizzazione scientifica del lavoro;
2) Teoria della direzione amministrativa;
3) Teoria burocratica.
Entrambe condividono la metafora della macchina.

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Caratteristiche comuni alle tre teorie:


- Le organizzazioni sono strumenti intenzionalmente creati per raggiungere un obiettivo
specifico;
- Le organizzazioni operano in modo razionale ed efficiente;
- L’organizzazione può essere sistematicamente progettata ed implementata;
- Gli aspetti formali sono assolutamente prioritari;
- È possibile ricercare soluzioni universali;
- La scienza è la base per migliorare il management.

1) TEORIA DELL’ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO


Il padre fondatore dio tale teoria fu F.W.Taylor.
Esistono almeno due accezioni di organizzazione scientifica del lavoro: una è riconducibile alle
idee di Taylor e dei suoi allievi; l’altra, invece, corrisponde alle applicazioni o, più correttamente,
al tipo di organizzazione che si è storicamente affermato.
Le idee di Taylor:
1- Organizzazione scientifica del lavoro come completa rivoluzione mentale;
2- I principi dell’organizzazione scientifica del lavoro;
3- Organizzazione scientifica del lavoro e del sindacato;
4- Una prima valutazione delle idee di Taylor.
1)Con una sostanziale continuità di impostazione e di argomentazioni, Taylor afferma che nella
sua essenza l’organizzazione scientifica del lavoro comporta una completa rivoluzione mentale
da parte sia dei dipendenti che dei dirigenti verso il loro lavoro, i colleghi e i rapporti reciproci.
Caratteristiche di questa rivoluzione mentale sono:
- Cessare di preoccuparsi della divisione del surplus e concentrarsi invece sul suo aumento
‘’finchè esso (il surplus) diventa così grande che non sarà più necessario litigare sul come debba
essere diviso’’, scoprendo e realizzando con questo la coincidenza di interessi fra direzione e
lavoratori;
- Applicazione della conoscenza scientifica (metodo empirico).
Presupposto e conseguenza di questa rivoluzione mentale è l’eliminazione di tutte le cause che
impediscono una elevata produttività del lavoro e delle macchine. Tali cause comprendono:
- L’errata opinione che l’aumento della produttività porterebbe ad una riduzione dei posti di
lavoro.
Ciò è errato poiché non tiene conto del circolo virtuoso:
ALTA PRODUTTIVITàDIMINUZIONE DEI COSTI DI PRODUZIONE E DEI PREZZIAUMENTO
DELLE RETRIBUZIONIMAGGIORE DOMANDAOCCUPAZIONEdi nuovo ALTA
PRODUTTIVITà
- L’abitudine a far finta di lavorare o a rallentare la produzione (soldiering) dovuta ad una
componente caratteriale-motivazionale (l’abitudine innata)e ad una componente legata al
calcolo e alla valutazione consapevole del dipendente (abitudine sistematica); l’abitudine innata
viene accentuata e generalizzata dal gruppo che svolga uno stesso lavoro e dove vi sia una paga
giornaliera eguale per tutti; l’abitudine sistematica rappresenta anche una risposta ai
comportamenti della direzione;
- Il tipo di organizzazione adottato, fondato sull’empirismo non esclude la possibilità che nel
corso del tempo vi sia stata una selezione a favore di metodi più efficienti, ma certamente,
impedisce l’adozione del metodo ottimo, individuabile solo attraverso l’analisi scientifica.
2)I principi dell’organizzazione scientifica del lavoro
I principi, per un verso, corrispondono alla trasformazione dell’organizzazione in scienza e, per
un altro, descrivono le nuove responsabilità della direzione. In ogni caso i principi non vanno
confusi con i meccanismi che rappresentano invece la dimensione più tecnica od operativa
dell’organizzazione scientifica del lavoro.

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Principi di Taylor:
1- Sviluppo della scienza;
2- Selezione ed addestramento dei lavoratori;
3- Unire scienza e lavoratori;
4- Collaborazione fra direzione e lavoratori.
1)Lo studio scientifico del lavoro (e quindi lo sviluppo della scienza), rappresenta l’essenza
dell’organizzazione scientifica del lavoro, il tratto distintivo rispetto alle altre forme
organizzative. Anche gli altri principi si collegano però all’esigenza di scientificare la
produzione. Lo studio scientifico del lavoro esprime la necessità di individuare nella varietà del
dato empirico (metodi di lavoro, tipo di attrezzature impiegate e modalità di utilizzo) la
modalità ottima, e si realizza:
- Campionando un numero adeguato di modalità empiriche (praticate da persone
eccezionalmente abili nell’esecuzione del particolare lavoro);
- Scomponendo il lavoro studiato nelle sue operazioni e movimenti elementari; la scomposizione
semplifica il problema e consente di individuare operazioni e movimenti comuni a più lavori;
- Studiare e scegliere il procedimento più rapido per compiere ogni singola operazione;
- Eliminando i movimenti errati, lenti o inutili;
- Effettuando lo stesso procedimento per le attrezzature impiegate;
- Ricomponendo le modalità più rapide e razionali individuate per ciascuna operazione e quindi
operandone la standardizzazione;
-Attribuendo le maggiorazioni per fatica, per coprire le interruzioni inevitabili e accidentali e
per tener conto della novità del lavoro;
- Passando, se necessario, dal tempo riferito all’operaio di prima categoria al tempo per l’operaio
medio, ma comunque indicando il tempo minimo.
Lo sviluppo della scienza deve però riguardare anche quelle che Taylor chiama ‘’le cause che
esercitano influenza sugli individui’’.
Taylor indica l’importanza di un obiettivo impegnativo che consenta un rapido feedback (il
compito giornaliero nel sistema a compito), la necessità dell’incentivo monetario, la cui esatta
entità dipende dal tipo di lavoro.
2)La selezione e l’addestramento scientifico dei lavoratori e il loro progressivo sviluppo, afferma
che ogni lavoratore viene ‘’fatto oggetto di un esperimento’’, invece di lasciare al caso la scelta
del lavoro da assegnargli e delle modalità di perfezionamento. L’esperimento consiste nello
studio del carattere, della natura e del rendimento di ogni lavoratore per rendersi conto dei suoi
limiti ma soprattutto delle sue possibilità di sviluppo.
D’altra parte, si deve poi ‘’allenare, aiutare e istruire sistematicamente il lavoratore, dandogli,
ovunque sia possibile, quelle occasioni di miglioramento che lo renderanno capace di compiere
un tipo di lavoro più avanzato, più interessante e più redditizio, per cui le sue doti naturali lo
rendono adatto’’.
La selezione non rappresenta un intervento puntuale ma è un processo che ‘’deve essere oggetto
di continui studi da parte della direzione’’.
La stessa esigenza di sperimentazione e di studio riguarda anche le caratteristiche richieste ai
capi.
3-4) Il mettere insieme (bringing toghther) la scienza e i lavoratori scientificamente selezionati e
addestrati, intima e costante collaborazione tra direzione e lavoratori, consistono:
- Una divisione del lavoro diversa, rispetto al passato, fra direzione e lavoratori: la separazione
fra progettazione e controllo attribuiti alla direzione, da un lato, ed esecuzione, attribuito ai
lavoratori, dall’altro;
- Ricerca continua della collaborazione e del consenso dei lavoratori (fase di studio-consenso del
lavoratore- fase di applicazione- fase di verifica);

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- Uno stile di direzione in grado di garantire fluidità nelle comunicazioni e, più in generale, di
dimostrare l’importanza che la direzione attribuisce ai lavoratori e il suo interesse a conoscerne
anche i pregiudizi.
I principi vanno tenuti ben distinti dai meccanismi o dalle tecnicalità; quando si ha l’utilizzo dei
soli meccanismi senza rispettare i principi, a quel punto l’organizzazione scientifica del lavoro
cessa di esistere.
3)Organizzazione scientifica del lavoro e sindacato
Il sindacato ha grandi meriti storici, ma ha anche una grande responsabilità; è necessario
quando non viene applicata lì organizzazione scientifica del lavoro, ma diventa superfluo con la
sua adozione.
I suoi meriti riguardano il miglioramento delle condizioni di lavoro (orari, retribuzioni) mentre
la sua grave responsabilità riguarda l’opinione tradotta poi in comportamento che l’aumento
della produttività abbia conseguenze negative sui livelli di occupazione e quindi sia contrario
agli interessi dei lavoratori.
Il sindacato porta ad un clima di sfiducia e di antagonismo nel quale la direzione ‘’paga poco’’ ed
‘’interviene in modo arbitrario’’. Il non riconoscimento o il solo riconoscimento parziale delle
differenze individuali, mentre aumenta l’insoddisfazione individuale, è da attribuirsi anche alle
responsabilità del sindacato.
Sul piano retributivo la direzione ‘’paga molto’’ e ‘’paga in modo differenziato’’, alla base dello
scambio vi è la scienza, e nel nuovo clima di armonia le lamentele possono essere manifestate
direttamente e verranno esaminate tempestivamente in modo scientifico. In queste condizioni il
sindacato diventa inutile.
4)Una prima valutazione delle idee di Taylor
Lo stesso Taylor riconosce che l’organizzazione scientifica del lavoro non implica la necessità di
inventarsi qualcosa, ma bensì, di combinare diversi e particolari elementi che già esistevano in
passato.
Su un piano generale, il discorso di Taylor si inserisce nella tendenza verso un management
sistematico e su un piano più specifico.
Il vero elemento distintivo del contributo di Taylor, risiedono nell’uso sistematico della scienza
per affrontare tutti i problemi, sostituendo al controllo dell’uomo il controllo dei fatti ed
eliminando alla radice i motivi di contrasto di conflitto.
In breve, tutto gira attorno alla scienza, unico tratto caratteristico del taylorismo.
Il progetto di Taylor, passa poi dal mondo industriale ponendosi come riferimento anche per la
pubblica amministrazione e per la società nel suo complesso.
Le principali caratteristiche del metodo scientifico corrispondono al positivismo o empirismo, e
comprendono:
- DeterminismoConvinzione che ogni fenomeno reale sia funzione esprimibile in termini
matematici;
- ScomponibilitàPossibilità di dividere ogni problema nelle sue parti elementari, potendo
poi arrivare alla soluzione del problema complessivo per successive aggregazioni delle
soluzioni parziali;
- SperimentazioneIndividuazione delle funzioni e dei relativi punti di ottimo attraverso
prove e osservazioni controllate.
Vi sono 3 questioni che giudichiamo interessanti per chiarire il pensiero di Taylor:
1- Organizzazione scientifica del lavoro e divisione del lavoro;
2- Organizzazione scientifica del lavoro e produttività;
3- Organizzazione scientifica del lavoro e asimmetrie di potere.
1) La divisione del lavoro come analisi viene distinta dalla divisione del lavoro come
assegnazione dei vari elementi a lavoratori diversi, con la creazione dell’operaio parziale.
Taylor sostiene che a caratterizzare la sua posizione sia soprattutto la prima concezione.

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Su un piano generale, mentre dimostra di conoscere i vantaggi economici e politici della


divisione del lavoro intesa come ‘’creazione dell’operaio parziale’’ o come ‘’frantumazione’’,
Taylor afferma esplicitamente che il tratto distintivo dell’organizzazione scientifica del lavoro
non consiste certamente in questa divisione del lavoro, ma è costituito dalla rivoluzione mentale
e dai principi che essa ispira e quindi della divisione del lavoro come analisi.
D’altra parte i principi dell’organizzazione esprimono l’esigenza di dividere il lavoro,
direttamente attraverso la separazione fra progettazione ed esecuzione e indirettamente
richiamando l’idea di struttura funzionale per la direzione. Sul piano formale la struttura
funzionale è un meccanismo e sul piano sostanziale la divisione del lavoro avviene con
riferimento ad un insieme di compiti che disegnano una funzione direzionale profondamente
diversa da quella svolta dal capo tradizionale.
Resta invece la separazione fra progettazione ed esecuzione.
2) Nel rapporto fra organizzazione scientifica del lavoro e produttività, una possibile ambiguità
deriva dai 2 ostacoli:
il soldiering e l’organizzazione fondata sull’esperienza e sull’empirismo, eliminati
dall’organizzazione scientifica del lavoro. La scientificazione di Taylor si applica più a tale
opposizione, piuttosto che alla prima, che si rifà piuttosto alla rivoluzione mentale, nella quale la
scienza ha uno spazio minore. Ad essere in gioco, infatti, non sono tanto le modalità quanto
piuttosto l’intensità di erogazione della forza-lavoro. Non a caso Taylor afferma che mentre le
richieste di lavoro sono ‘’oggetto di uno studio scientifico accurato, attento’’, tali richieste
derivano sempre o quasi da uomini che sono stati essi stessi operai, che molto spesso ‘’erano
adibiti ancora poco tempo prima alle stesse attività che ora dirigono’’.
3) L’ultimo rapporto salda il piano delle idee con quello dell’applicazione, ponendo il problema
delle garanzie che la parte più debole (il lavoratore) ha qualora la parte più forte (la direzione)
non aderisca alla rivoluzione mentale utilizzando invece soltanto i meccanismi
Taylor riconosce che le resistenze maggiori provengono soprattutto dalla direzione.
Taylor arriva a definire, invertendo la sua proposizione, riducendo l’importanza della scienza
come base su cui fondare il consenso; non è la scienza che crea il consenso, ma è il consenso che
definisce la scienza.
Riguardo allo studio dei tempi, ciò che speriamo di ottenere è soltanto un’approssimazione di
gran lunga migliore di quella che non si avesse prima. Questo è un altro tassello dello sviluppo
cumulativo delle conoscenze. Sul piano più specifico delle garanzie o delle possibilità di difesa del
lavoratore, esse risultano particolarmente deboli. Per un verso, Taylor afferma la possibilità da
parte di rinunciare al premio ritornando al vecchio sistema ma, per un altro, afferma che per i
pigri incorreggibili non vi è posto nell’organizzazione scientifica del lavoro e che vanno
licenziati.
D’altra parte, in caso di licenziamento Taylor evoca quella solidarietà fra lavoratori che solo
l’assenza dell’organizzazione scientifica del lavoro giustifica, dicendo che un altro lavoratore si
comporterebbe nello stesso modo di quello licenziato. Come nella democrazia, richiamata dallo
stesso Taylor, attraverso il voto si esprime l’opzione di ‘’uscita’’, sul lavoro la punizione del capo
che viola i principi dell’organizzazione scientifica del lavoro è la perdita dei lavoratori. Senza
contare che, comunque, a questo punto l’organizzazione scientifica del lavoro cessa di esistere.
- Gli allievi di Taylor
In termini generali, all’interno di una sostanziale adesione al metodo scientifico e quindi anche
al valore della sperimentazione razionale, le linee essenziali dell’evoluzione dell’organizzazione
scientifica del lavoro possono essere individuate in:
- Un approfondimento della problematica attinente allo studio del lavoro, con
un’accentuazione degli aspetti legati alle modalità di erogazione dello sforzo lavorativo,
al fine di conseguire miglioramenti nei movimenti e nello sforzo anche attraverso un
livello di analisi più spinto;

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- Uno sviluppo di quelle che possiamo chiamare le dimensioni del taylorismo come
progetto sociale, sia attraverso il riconoscimento di un ruolo positivo al sindacato, sia con
l’attenzione verso la compatibilità fra organizzazioni scientifiche del lavoro e categorie
particolari del ruolo, ma anche con gli altri agenti economici (la distribuzione) e con i
consumatori;
- Un allargamento del campo di applicazione dell’organizzazione scientifica del lavoro;
- Uno sviluppo di quelli che Taylor ha chiamato i meccanismi sia di tipo retributivo (con
l’elaborazione di formule di cottimo diverse attente anche a stimolare un comportamento
di guida da parte dei capi), sia di programmazione, sia di gestione del personale (es.
piano di promozione).
- Applicazioni
In generale, la valutazione formulata da Taylor ad inizio ‘900, è divenuta valida universalmente,
divenendo una sorta di prototipo o ideal-tipo.
Il passaggio e la differenza fra le 2 accezioni (quella teorica di Taylor, e quella applicativa di
Taylor) sono distinte da 2 elementi:
1) Duplice riduzionismo, cioè l’abbandono o l’accantonamento delle componenti più
propriamente ideologiche (il consenso fra direzione e lavoratori fondato sull’aumento del
surplus e garantito dal ricorso alla scienza), da un lato, e anche di conseguenza un
utilizzo dei meccanismi (ad es. lo studio dei tempi, la formula retributiva, …) nel quale si
attenuano per i lavoratori sia le garanzie sia i benefici;
2) La diffusione della divisione del lavoro non solo nella dimensione verticale (la
separazione fra progettazione ed esecuzione), ma anche nella dimensione orizzontale
(mansioni caratterizzate da tempi di ciclo molto brevi), senza il correttivo
dell’attivazione di processi di up-grading, da un lato, e della valorizzazione dei
suggerimenti dei lavoratori, dall’altro. Ne deriva, nel complesso, un’accezione di
organizzazione scientifica del lavoro come assetto organizzativo caratterizzato da:
- Forte parcellizzazione del lavoro, metodi di lavoro predeterminati, ripetizione di
movimenti semplici, richiesta di capacità ed esperienza minime, esigenze minime di
addestramento, ricorso esclusivo all’incentivo monetario. Anche questo assetto specifico
di organizzazione assume il grado di one best way che nella concezione taylorista
caratterizzava i risultati dall’applicazione del metodo scientifico.
- Una valutazione di sintesi
Numerose critiche sono state mosse nei confronti di Taylor, come le carenze motivazionali
(l’utilizzo del solo incentivo monetario), la mancata considerazione della dimensione sociale del
lavoro, l’autoritarismo e quindi l’orientamento pro manageriale, la parcellizzazione del lavoro e
quindi il trattamento dell’uomo come macchina, lo sfruttamento dei lavoratori (misurato dallo
scarto fra aumento di produttività e aumento retributivo, ma anche dall’intensificazione dei
ritmi di lavoro), la posizione antisindacale.
1- Distinzione fra idee e applicazioni;
2- Contestualizzando le applicazioni;
3- Le critiche mancano di cogliere l’aspetto centrale del taylorismo.
1) Le critiche riguardano le applicazioni ma non le idee;
2) Le applicazioni del taylorismo sembrano rappresentare una risposta coerente con le
caratteristiche economiche, tecnologicamente e sociali del tempo.
I limiti dell’organizzazione scientifica del lavoro come specifica soluzione organizzativa vanno
collegati alla sua rigidità;
3) L’aspetto centrale del taylorismo consiste nell’utilizzo del metodo scientifico anche come base
per la collaborazione e la coincidenza di interessi fra lavoratori e direzione.

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2 gruppi principali di critiche: critica verso le teorie tayloriste, sostanzialmente legate


all’applicazione del metodo scientifico, e verso le applicazioni del metodo scientifico, verso
soprattutto l’impossibilità di applicarlo a tutti i tipi di problemi.

LE TEORIE CONTINGENTI
Teorie anni ’70, in cui si ricerca l’ottimalità universale del disegno e del comportamento
organizzativo, al tentativo di spiegare la diversità organizzativa: Perché imprese dotate di forme
organizzative molto diverse riuscivano ugualmente ad essere efficaci ed efficienti? Quali
dimensioni della situazione possono spiegare questa diversità? CONTINGENCY THEORY
(scuola/paradigma contingente)
La scuola contingente è nata dall’incontro tra l’esigenza sempre più sentita di relativizzazione
dei modelli classici di organizzazione e un orientamento degli studiosi verso i metodi di ricerca
di tipo statistico-quantitativo.
Spiegazione casuale + Teoria funzionalistica dei sistemi aperti  Spiegazione casuale
naturalistica
Attraverso l’individuazione di variabili dipendenti e indipendenti e la verifica della loro
relazione, le scienze naturali si prefiggono di individuare leggi universali di relazione tra
fenomeni: sono scienze costruite su preposizioni ‘’se…allora…’’ valevoli come leggi del mondo
fisico e naturale e di conseguenza senza limiti di spazio e tempo.
Gli studiosi contingenti individuarono nella ‘’situazione’’ dell’impresa la variabile indipendente e
nella struttura organizzativa la variabile dipendente.
Modello base dell’approccio contingente:
Situazione  ?  Struttura organizzativa
Il rapporto tra situazione e struttura venne per lo più indagato sulla base della misurazione di
variabili operazionalizzate dalle due dimensioni nell’ambito di ampie ricerche quantitative su
questionario. In queste ricerche i dati ottenuti dai questionari venivano trattati statisticamente
al fine di trovare correlazioni tra le variabili della situazione e dell’organizzazione.
In presenza di alta correlazione veniva supposta un’influenza diretta della situazione sulle
variabili rappresentanti la struttura organizzativa, mentre le modalità attraverso le quali
influenza si realizzavano non venivano considerate.
Questa difficoltà è spesso superata in sede di indagine tralasciando la comprensione di tutte le
relazioni, e limitandosi a costruire modelli semplificati che considerino il sistema come una
‘’scatola chiusa’’, così da focalizzare soltanto alcune variabili del tipo input od output.
Attraverso questa impostazione della ricerca, l’approccio contingente si prefiggeva
l’individuazione delle leggi che regolano il fenomeno organizzativo. Le correlazioni individuate
tra configurazioni diverse della situazione e configurazioni diverse delle variabili organizzative
consentivano così di superare il concetto monolitico di organizzazione per passare all’idea ed
alla dimostrazione dell’esistenza di diverse specie di organizzazione, ciascuna adattata al meglio
alla propria situazione: si ebbe quindi il passaggio dallo one best way (unica via ottima) allo one
best fit (unico adattamento ottimo), secondo il quale ad ogni configurazione ambientale doveva
corrispondere un’unica configurazione organizzativa.
- Metafora biologica e aspetto sistemico
L’identificazione di specie organizzative diverse, la concentrazione sull’adattamento di queste
alle diverse situazioni contestuali, il connesso spostamento dell’attenzione dall’organizzare come
processo di ottimizzazione dei mezzi rispetto ai fini, all’organizzare come processo finalizzato
alla sopravvenienza dell’impresa; tutti questi aspetti propri dell’approccio contingente
trovarono unitarietà in una visione dell’impresa guidata da una metafora biologica come
opposta alla metafora meccanicistica.
La metafora biologica dell’organismo come sistema aperto, supportata dalla teoria dei sistemi, è
la linea guida degli studi contingenti.

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La metafora biologica spinse a considerare l’ambiente come determinante le possibilità di


sopravvenienza dell’impresa, a proporre lo studio dei nessi di funzionalità e disfunzionalità tra
sotto insiemi costituenti l’impresa, a indagare il grado di apertura dei sistemi e a specificarne le
relazioni tra variabili di input di trasformazione e di output.
Il matrimonio concettuale realizzato dalla scuola contingente tra teoria sistemica e idea
situazionale ha una stringente logica interna. Il concetto di ‘’sopravvenienza’’ fu essenziale per
poter fondare la metodologia causalistica finalizzata alla scoperta di leggi regolanti il
comportamento organizzativo. La possibilità di individuare leggi scientifiche sulla base dello
schema concettuale contingente, presuppone che le soluzioni organizzative inefficienti, in
quanto meno adatte all’ambiente, vengano estromesse dal mercato, non ‘’sopravvivano’’: le
correlazioni riscontrate nella realtà possono assurgere a leggi se si suppone che i
comportamenti inefficienti vengano selezionati dall’ambiente e non siano quindi presenti nel
campione indagato, se non con indicatori di efficienza inferiori. Questa esigenza condusse
all’ampliamento dell’approccio contingente (modello della scuola di Aston).

Se, logicamente, alla base dell’approccio contingente vi è sempre l’idea del funzionalismo
sistemico, concretamente poi alcuni autori hanno cercato di enfatizzare l’aspetto sistemico,
mentre altri si sono accontentati di applicare schemi di causalità multivariata lasciando
implicito l’aspetto funzionalista (-Lawrence e Lorsch- prima, -Scuola di Aston- poi).
La metafora biologica ha permesso all’approccio contingente di sviluppare una serie di concetti
innovativi riguardanti l’organizzazione.
L’equifinalità non trova applicazione nella scuola contingente, preoccupata di individuare leggi
universali e quindi correlate ad ogni configurazione della situazione una sola configurazione
organizzativa (one best fit).

LE 4 SCUOLE
Alla nascita dell’approccio contingente si trovano degli studi che identificano la situazione in
modo molto diverso l’uno dall’altro, tanto che si può parlare di diverse scuole di pensiero. Fattori
determinanti per lo sviluppo delle teorie contingenti sono AMBIENTE-TECNOLOGIA-STRATEGIA-
DIMENSIONE.
1) AMBIENTE
Lo studio di Burns e Stalker può essere considerato alla base della scuola contingente. Essi per
primi, applicando la metafora biologica, cercarono di trovare una correlazione tra stati
ambientali e configurazioni organizzative. Scoprirono infatti che in presenza di ambienti stabili
era più efficiente strutturare l’organizzazione secondo un modello meccanico; in ambienti invece
dinamici la scelta migliore era per un modello organico.
Il modello meccanico corrisponde essenzialmente ai dettami della scuola tradizionale del
management scientifico, mentre il modello organico, soprattutto per quanto riguarda

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meccanismi operativi e stile di direzione, rappresenta l’altro opposto del continuum di possibili
configurazioni organizzative.
All’interno della scuola ambientale può essere considerato anche l’altrettanto famoso approccio
di Lawrence e Lorsch. Questi autori applicano l’idea di Burns e Stalker non più solamente
all’impresa nel suo complesso, ma alle funzioni (R&S, produzione e vendita) costituenti la
struttura organizzativa, coniugando quindi 2 livelli di analisi: il sistema organizzativo e i suoi
sotto insiemi riprendendo così i concetti biologici di struttura, funzione, differenziazione e
integrazione, essi verificano empiricamente che mentre la differenziazione organizzativa dei
sotto insiemi dipende dalle caratteristiche dei loro sotto ambienti di riferimento, il grado di
integrazione necessario fra sotto insiemi dipende, oltre che dal loro grado di differenziazione
reciproca, dal grado di stabilità/instabilità dell’ambiente globalmente inteso.
2) TECNOLOGIA
WoodwordScuola tecnologica: Mentre non c’era nessun rapporto tra organizzazione e
successo aziendale, riaggregando i dati del campione per tenere conto della tecnologia
impiegata emergevano chiare correlazioni con caratteristiche della struttura organizzativa
verticale. La tecnologia venne concepita come sistemi di produzione raggruppabili in 3 classi:
1- Produzione di singoli prodotti o a piccola serie;
2- Produzione di grande serie e di massa;
3- Produzione di processo, intermittente o a flusso continuo.
Altra scoperta di Woodword: La corrispondenza tra le teorie della direzione scientifica e il
successo economico valeva solo per i sistemi di produzione di grande serie e di massa, e che qui il
sistema meccanico sembrava essere il più efficiente.
Negli altri tipi di tecnologia prevalevano forme organizzative di tipo organico.
Nella visione di Woodword il sistema di produzione a processo continuo rappresenta il modello
più avanzato di tecnologia e ad esso si collegano quindi conseguenze rilevanti per il futuro delle
organizzazioni.
Dal momento che nella produzione a processo continuo (produzioni chimiche e impianti
automatizzati) gran parte del controllo tecnico è incorporato nel processo, l’organizzazione del
lavoro può essere configurata adattandola ai bisogni individuali e sociali degli individui, i quali
diventano i controllori delle eccezioni generate dal processo.
Questa interpretazione colloca Woodword all’interno del filone dell’industrialismo sviluppato da
Harbison e Myers, per cui ‘’vi sono cose che ogni società deve fare, per sperare di poter condurre
una marcia di successo verso l’industrializzazione’’. Il passaggio da una forma di tecnologia
meno evoluta ad una più evoluta comporta drastici riorientamenti nella configurazione delle
variabili organizzative.
I risultati di Woodword e le visioni di Harbison e Myers tendono a coincidere: la necessità di
aumentare la decentralizzazione del potere decisionale per far fronte alla maggiore complessità,
il passaggio da stili di direzione autoritari a stili costituzionali o partecipativi, la legittimazione
del management basta sulla competenza e la professionalità. L’ipotesi dell’industrialismo è
quindi, riassumendo, quella di una contingenza dell’organizzazione alla tecnologia, nel breve
periodo, e di una contingenza dell’organizzazione alla storia, nel lungo periodo.
A tale oggettivizzazione del processo non è invece soggetto il lavoro di Perrow.
Perrow fornì uno schema analitico per poter classificare le tecnologie e a partire da tale schema
individuò diverse configurazioni organizzative.
Le variabili analitiche prese in considerazione riguardano:
1) Le caratteristiche del ‘’materiale grezzo’’ sottoposto a trasformazione;
2) La natura del processo cognitivo implicato dalle tecniche impiegate.
Le dimensioni analitiche proposte da Perrow consentono, a differenza della classificazione di
Woodword, di tenere conto del progresso tecnologico.

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Le nuove tecnologie microelettriche applicate anche a produzioni di piccoli lotti e di massa


hanno consentito una notevole varietà di applicazioni organizzative a seconda delle diverse
strutture nazionali di qualificazione della manodopera, ovvero delle preferenze delle persone
(lavoratori ed imprenditori) nelle singole aziende, riducendo o annullando la relazione causale
tra tecnologie e forme organizzative.
3) LA STRATEGIA
Alcuni autori hanno introdotto e verificato empiricamente l’ipotesi che l’assetto organizzativo
dipende più dalla strategia adottata da un’azienda che non da determinismi ambientali o
tecnologici.
Questo approccio apparentemente in opposizione ai precedenti è in verità ad essi strettamente
complementare: le aziende scelgono una strategia che corrisponde ad una determinata
configurazione delle variabili ambientali e tecnologiche, che a loro volta determinano il tipo di
organizzazione più efficace ed efficiente in quel determinato contesto. Inoltre tali modelli sono
permeati da una concezione di tipo deterministico dallo sviluppo aziendale attraverso stadi di
crescita.
A titolo esemplificativo si consideri il modello di decisione strategica/struttura proposto da
Newman e Logan:
Come primo passo, l’alta direzione deve analizzare l’ambiente in cui è stata inserita l’azienda.
Questo può essere fatto prendendo a riferimento il settore di appartenenza e analizzandone le
caratteristiche tecnologiche e di mercato soprattutto con riguardo al ciclo di vita del prodotto
tenendo conto dei punti di forza e di debolezza dell’azienda se ne individua quindi il
posizionamento competitivo all’interno del settore. Fatto questo deve essere definita una
strategia che incorpori decisioni sul posizionamento competitivo futuro.
Tale strategia deve essere tradotta attraverso la pianificazione in obiettivi per i dirigenti delle
unità aziendali.
Qui entra in gioco l’organizzazione, che è considerata come lo strumento per realizzare
strategia e obiettivi pianificati. L’esecuzione della strategia attraverso l’organizzazione richiede
la programmazione, l’attivazione e il controllo dei compiti.
Posizionamento competitivo dell’azienda nel
settoreStrategiaPianificazioneOrganizzazioneEsecuzione
4) LA DIMENSIONE
Max Weber La configurazione della struttura organizzativa dipende dalle dimensioni
dell’impresa, poiché la dimensione favorisce la burocratizzazioneSociologi dell’Università di
Chicago: Sottoposero ad elaborazioni statistiche i dati raccolti su ampi campioni di
organizzazioni appartenenti alla pubblica amministrazione, al fine di verificare l’universalità
del modello weberiano. Essi scoprirono in verità una forte varianza spiegabile soprattutto con la
dimensione.
Successivamente fu la Scuola di Aston ad approfondire tale visione, integrandola con quella della
tecnologia e di altri fattori.
I risultati più rilevanti possono essere riassunti:
Se in indagini empiriche si confrontano organizzazioni grandi al pari di organizzazioni piccole,
allora le prime presentano una specializzazione ed una personalizzazione (utilizzo di specialisti
con elevata qualificazione come giuristi, scienziati, …) significativamente più elevata, un più
ampio utilizzo di programmazione e una maggiore decentralizzazione.
Il dibattito sulle relazioni tra dimensione e organizzazione aveva trovato spazio anche nel filone
dell’industrialismo sviluppato da Harbison e Myers. Questa linea di pensiero fu affidata e
sviluppata nella Scuola di Aston da Hickson e colleghi, che svilupparono la culture-free-theory of
organizational structure, ossia un paradigma per cui le contingenze dimensionali, tecnologiche e
ambientali prevalgono su qualsiasi tipo di influenza della cultura nazionale sulle concrete forme
di organizzazione.

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L’intento di trovare le leggi del comportamento organizzativo è mutuato dalle scienze naturali,
che non sono variabili a seconda della nazione in cui si misura il fenomeno.
Hickson: sia la cultura asiatica, europea o nordUSA, una grande organizzazione con molti
impiegati aumenta l’efficienza specializzando le proprie attività e aumentando gli strumenti di
controllo e coordinamento.
- La scuola contingente: l’integrazione dei contenuti
Le diverse scuole contingenti nate sulla scia dei primi studi pioneristici, trovarono la loro
integrazione negli anni ’70 grazie al contributo di diversi autori, tutti esponenti della
contingency theory.
- I modelli analitici: Galbraith
L’efficacia del metodo contingente e il fascino scaturito dall’idea situazionale avevano
conquistato ormai il mondo accademico e la pratica aziendale. L’assenza però di una teoria
fondante questo approccio aveva fatto fiorire nella scia del suo successo una serie di ricerche che
volevano trarre conclusioni universali.
J.B.Galbraith propose un’integrazione basandola sul concetto unificante di ‘’predicibilità dei
compiti’’e riconducendosi alle teorizzazioni di March e Simon, i quali avevano fondato
idealmente la disciplina organizzativa contemporanea sulla teoria cognitiva delle
organizzazioni come sistema di trattamento di informazioni. La struttura organizzativa viene
intesa come un sistema che consente di svolgere compiti con diverso grado di predicibilità.
PI=f (i,n,c)
P= Predicibilità dei compiti che determina I =Ampiezza delle info richieste per l’efficace
funzionamento del sistema organizzativo
I è funzione di (i), che rappresenta il grado di incertezza relativo allo svolgimento dei compiti,
(n), che rappresenta la dimensione quantitativa dei compiti legata al numero di elementi da
tenere in considerazione e (c), che rappresenta il grado di connessione o interdipendenza nello
svolgimento dei processi decisionali degli elementi del sistema.
Dato un livello di I, ad esso si può far fronte grazie a strumenti gestionali e organizzativi
adeguati e a costo crescente: la variabilità organizzativa è quindi spiegata come risposta
all’ammontare di info che la situazione richiede.
Analizzando i concetti di Galbraith, si riscontra come essi esprimano una sintesi di alcune
dimensioni interne ed esterne della situazione.
Il grado di incertezza comprende sia la variabilità ambientale sia quella generata dalle scelte
strategiche d’impresa sulla combinazione prodotto/mercato e sulla tecnologia: in ciò quindi il
modello sintetizza gli argomenti della scuola della tecnologia e di quella dell’ambiente.
La dimensione quantitativa dei compiti è correlabile ai risultati della scuola della dimensione. Il
grado di connessione invece è una variabile analitica riconducibile al concetto di
interdipendenza di Thompson, che rappresenta una concettualizzazione dell’idea funzionalista
dell’interazione tra sottoinsiemi organizzativi.
- I modelli multivariati: la Scuola di Aston
La Scuola di Aston rappresenta il tentativo più ambizioso di fare dell’organizzazione una scienza
esatta, costruita intorno a leggi naturali di comportamento organizzativo, scoperte attraverso
statistiche su dati provenienti da ricerche empiriche su grandi campioni d’impresa.
Il gruppo di Aston concentrò la propria attenzione sul misurare combinazioni molteplici delle
dimensioni organizzative rilevanti: specializzazione delle funzioni, standardizzazione delle
procedure e regole di lavoro, formalizzazione scritta delle stesse, centralizzazione decisionale
dell’autorità e configurazione dettagliata delle posizioni organizzative.
- Le persone: l’integrazione di Tosi
Il lavoro di Henry Tosi è finalizzato ad integrare le teorie contingenti riferite alla struttura
organizzativa.

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Modello contingente di comportamento organizzativo + l’ambiente e i tipi di organizzazione:


Dallo schema risulta evidente l’approccio sistemico, che divide il sistema impresa nei suoi sotto
sistemi costitutivi e lo inserisce in un ambiente che ne determina il tipo di organizzazione. La
figura evidenzia come i sistemi operativi e lo stile di direzione debbano essere progettati in modo
contingente rispetto al tipo di struttura organizzativa e come a loro volta gli individui debbano
essere selezionati per poter essere funzionali al tipo di assetto organizzativo risultante dalla
relazione ambientaleorganizzazione
Tosi, successivamente, approfondì il modello a partire dal livello del rapporto ambiente-
organizzazione. Propose così di scindere l’ambiente negli aspetti del contesto tecnologico e dei
mercati, entrambi potendo essere stabili o volatili.
L’aspetto contro intuitivo, anche rispetto ai simili risultati di Lawrence e Lorsch, è rappresentato
dalle organizzazioni miste, in cui diversi sotto sistemi organizzativi sono funzionali al presidio
delle opposte dimensioni ambientali e in particolare dalla forma ‘’dominata dalla tecnologia’’, in
cui è la produzione ad essere organizzata organicamente e non il marketing che ha invece
un’organizzazione meccanica.
Per il rapporto organizzazione-persone, Tosi si riferisce ai 3 tipi di personalità individuale:
1) L’orientato all’organizzazione, fortemente motivato a corrispondere alle aspettative del
ruolo lavorativo e ad ottenere incentivi e avanzamenti, dotato di elevata avversione al
rischio e desideroso di conoscere i propri diritti e responsabilità, la sua identità personale
è strettamente connessa all’appartenenza all’organizzazione;
2) L’orientato all’esterno, non è motivato dal proprio lavoro e cerca fuori
dall’organizzazione la ragione della propria esistenza, lavora quanto è pagato, non
desidera fare carriera se questo comporta stravolgere la propria vita privata;
3) L’orientato alla professione, è motivato da quello che fa e non da dove lo fa (come il
primo),vuole sempre realizzare lavori professionalmente eccellenti, perché da ciò deriva
il proprio auto rispetto, di conseguenza è restio a sopportare pressioni organizzative.
I 3 tipi di personalità vengono correlati ai tipi di organizzazione distinguendo tra alta direzione,
quadri intermedi e impiegati/lavoratori.
Tipo di organizzazione e tipo di personalitàSono presentate le strutture per tipo di personalità
rispettivamente dell’organizzazione meccanica e di quella organica.
Tosi Contingency theory (il suo più recente contributo)
- Critiche e sviluppi
-- Determinismo e scelta strategica;
-- La variabile culturale Mentre alcuni sostenitori dell’approccio culturale si pongono in
antitesi nette con la teoria contingente, proponendo un nuovo paradigma analitico, altri
cerarono di arricchire l’approccio contingente di nuove dimensioni di analisi, concentrandosi
sull’aspetto comportamentale del rapporto tra ambiente e struttura organizzativa, mediato
appunto dal comportamento organizzativo e dalla cultura aziendale che lo determina;
-- Incertezza, frequenza, specificità Riprendendo anch’essa alcuni concetti comportamentisti
come quello di opportunismo o quello di razionalità limitata, la teoria dei costi di transazione
spiega le modalità di governo delle transazioni all’interno o all’esterno dell’impresa, al fine di
identificarne il giusto grado di internalizzazione.
Questo approccio si innesta direttamente sulla teoria situazionale riprendendone il concetto di
incertezza e aggiungendo ulteriori fattori di contingenza. L’idea contingente qui è centrale;
-- Organizzazione e ambienti Anche in questo caso il concetto di adattamento rispetto ad un
ambiente dato è centrale, anche se gli autori negano l’esistenza di una relazione causale diretta
tra ambiente e struttura;
-- Contingenze e processo decisionale Spiegazione contingente dei processi decisionali. Non
esiste un solo modo di strutturare i processi decisionali, ma questi dipendono dal livello di
incertezza e dall’intensità dei conflitti di interesse implicati dalle decisioni da prendere;

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-- Istituzionalizzazione La sopravvivenza di un’impresa non dipende solo dall’adattamento al


task environment, cioè l’ambiente economico-tecnico immediatamente rilevante per il
conseguimento delle finalità istituzionali dell’impresa, ma anche dalla capacità di adattarsi ai
miti istituzionali propri della società in cui essa stessa opera.
Adeguarsi ai miti istituzionali dominanti in una società attribuisce legittimità all’impresa che
può di conseguenza ottenere maggiori risorse dal sistema economico per perseguire i propri fini;
-- Effetto societale Approccio che considera anche l’influenza della cultura e delle istituzioni
nazionali nello spiegare la varietà organizzativa tra le nazioni.
Si nega l’idea di determinismo istituzionale sulle forme di organizzazione, ma si presuppone che
il contesto istituzionale sia da considerare un bacino di risorse che l’impresa può sfruttare a
proprio vantaggio.
- Conclusioni: L’idea che siano specificabili una o più forme organizzative d’impresa più efficienti
ed efficaci di altre in modo ‘’contingente’’ ad alcune caratteristiche dei settori e delle strategie
d’impresa è un ipotesi fondante di primaria importanza nella teoria dell’organizzazione.
L’individuazione dei limiti della scuola contingente ha favorito la nascita di approcci allo studio
delle organizzazioni, che oltre a negare l’impianto della scuola, mette in dubbio la validità
dell’idea contingente. Questo è un duro attacco a tutta la disciplina organizzativa negando la
centralità dell’idea situazionale, si negherebbe la possibilità di mantenere un orientamento
prescrittivo alla teoria organizzativa.
LE TEORIE FENOMENOLOGICHE E COGNITIVISTE
Cognitivismo e fenomenologia concernono nello studiare come gli individui si pongono nei
confronti di un’organizzazione, come la percepiscono, la interpretano e la trasformano in
funzione del loro punto di vista soggettivo.
Rispetto alla maggior parte delle altre tradizioni di ricerca organizzativa, infatti, gli studiosi
cognitivisti e fenomenologici tendono a prendere in considerazione con maggiore attenzione il
punto di vista soggettivo e a contestare la possibilità di interpretare l’organizzazione come un
costrutto oggettivo, definibile a priori, tangibile e misurabile secondo metodi ereditati dalle
scienze naturali.
L’organizzazione, in sintesi, è una realtà umana e sociale, non biologica: essa esiste soltanto
nella misura in cui delle persone la percepiscono in quanto tale e le danno un significato; come
conseguenza, è importante portare l’analisi scientifica a livello soggettivo in modo da capire
attraverso quali meccanismi gli individui percepiscono l’organizzazione e le danno un senso.
Cognitivismo e fenomenologia pur essendo 2 tradizioni di ricerca distinte, possono essere
accumunati da 2 aspetti:
1) Entrambi sono rappresentati dalla ‘’rivoluzione cognitiva’’;
2) Sempre più le 2 teorie si sono riavvicinate nel corso degli anni.
Le 2 tradizioni di ricerca possono essere considerate come 2 modi diversi di interpretare la
struttura organizzativa.
 Il filone‘’cognitivista’’ concepisce la struttura come modalità di coordinamento e di
controllo; essa si basa sull’idea di razionalità intenzionale e limitata e sull’idea di
organizzazione come processo di azioni e di decisioni. L’idea di fondo del filone
‘’cognitivista’’ è che l’uomo, avendo una razionalità limitata, ha bisogno di unirsi con altri
individui per svolgere compiti complessi; da qui deriva la concezione che l’organizzazione
serve per coordinare e controllare razionalità differenti verso il raggiungimento di
obiettivi (non necessariamente convergenti).
Diverse capacità di analisi Diverse razionalità a confronto Organizzazione come
meccanismo per coordinare e controllare razionalità separata.
Ad es., ai cognitivisti interessa capire come una decisione si generi dall’interazione di persone
diverse all’interno di un’organizzazione: l’analisi è quindi sia di tipo individuale (come la

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persona pensa e reagisce) sia organizzativo (come le persone interagiscono e funzionano come
sistema).
 Il filone ‘’fenomenologico’’ interpreta invece la struttura come un sistema di ruoli assunti
e pone l’accento sulla capacità di costruzione di ‘’giochi organizzativi’’. In esso è
fondamentale il processo con cui gli individui interagendo giungono a costruire un
sistema di simboli condiviso.
In ambito organizzativo, l’attenzione di questo approccio è rivolta alla dinamica con cui
gli attori danno un senso soggettivo a concetti come struttura, mansione, rapporti
interpersonali, negoziazione.
Ad es., uno degli obiettivi di questo filone è di capire come gli individui interpretano il proprio
ruolo all’interno dell’organizzazione, attraverso quali meccanismi avviene tale interpretazione e
come questa interpretazione si lega a quelle degli altri membri organizzativi. Un altro frequente
obiettivo di ricerca è quello di capire le regole che regolano il funzionamento di
un’organizzazione.
In altre parole, gli studiosi di questo filone si riallacciano a quegli studi di psicologia e sociologia
che affermano che la maggior parte dei comportamenti umani è in realtà frutto di processo che
porta ciascun individuo a dotarsi di un sistema di norme e regole dato per scontato.
Tale processo si realizza tramite ripetuti meccanismi di socializzazione: gli individui vengono a
contatto con altre persone, apprendendo il loro modo di pensare e agire rispetto a determinate
situazioni (la loro ‘’cultura’’) e interiorizzano tali schemi fino a farli divenire inconsci.
L’organizzazione, sostengono i fenomenologici, è costruita per la maggior parte da questi
meccanismi: le persone hanno ‘’imparato’’ a dare un certo significato ad una certa situazione o
ad un certo oggetto. Ad es., abbiamo imparato a definire qualcuno un ‘’capo’’ e abbiamo altresì
imparato a riconoscere come ‘’razionali’’ le ragioni di questo status (ad es., anzianità, carisma,
…); una volta accettata questa norma, diventa difficile rimettersela in discussione ogni volta e
piano piano essa si sedimenta e diventa sempre più inconscia, sempre più normale. Obiettivo
dello studioso di organizzazione è allora la riscoperta di questi meccanismi inconsci e la
comprensione della dinamica con cui essi si formano, in modo da svelare la natura del
comportamento organizzativo.
Inoltre, i fenomenologici studiano il modo con cui individui diversi lottano per imporre agli altri
la propria interpretazione della realtà e non subire quella degli altri, ad es., come gruppi con
interessi diversi subiscono, sfruttano o cambiano le regole fissate dall’organizzazione al fine di
trarne un vantaggio.
 Filone fenomenologico: Weber, Durkheim, filosofi idealisti
L’attenzione viene rivolta all’attore individuale piuttosto che sul sistema organizzativo.
Lo studioso cerca di capire non solo il comportamento dell’individuo, ma il significato che
egli attribuisce alle proprie azioni. Ciò implica il tentativo di dare un significato alla
concezione del mondo della persona in termini di percezioni, credenze e valori.
L’unica razionalità possibile è costituita dai valori e dalle strategie soggettive.
La realtà può essere intesa dall’uomo soltanto attraverso un processo di percezione,
elaborazione e attribuzione di significato; essa è, in altri termini, sempre interpretata. La
mente umana non è un raccoglitore di info esterne, ma ha invece una facoltà
organizzatrice, tale per cui ogni stimolo viene classificato e interpretato secondo certi
schemi.
La realtà esterna non è quindi oggettivamente, indipendente dagli individui, acquista
invece un significato soltanto attraverso un processo di interpretazione da parte dei
soggetti che la percepiscono.
Tali schemi interpretativi spesso non sono individuali ma collettivi e vengono appresi
attraverso processi di socializzazione. In questo caso, tali schemi collettivi sono

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equivalenti a ciò che viene definita ‘’cultura’’, vale a dire una ‘’programmazione mentale
collettiva’’.
La cultura si forma attraverso un processo di apprendimento che porta un individuo o un gruppo
a sperimentare e selezionare dei comportamenti che si sono dimostrati ‘’di successo’’ rispetto ad
un determinato problema. Questi comportamenti poi si diffondono, diventano routine, divengono
istituzioni e assumono il ruolo di ‘’modo giusto di pensare le cose rispetto al problema’’.
Attribuzione significato
Individui--------------------Realtà
-------------------
Schemi appresi
Concetto di interazione:
Rituale dell’interazioneSimboli e credenze moraliRiassemblaggio della struttura sociale
Rituale dell’interazione (base di molte interpretazioni classifiche della sociologia, da Marx a
Weber, e soprattutto Durkheim)
Il fondamento dell’ordine sociale deriva dal ‘’rituale dell’interazione’’
Durkheim sottolinea come le forme di interazione tra individui determinano i simboli e le
credenze morali, i quali, a loro volta, riassemblano la struttura sociale.
La catena forma quindi un circolo secondo il quale la struttura sociale a sua volta condiziona le
forme e le modalità con cui le interazioni si svolgono.
Accanto alla ritualizzazione dell’interazione di Durkheim, vi è un altro concetto di interazione
derivante da un filone sociologico estremamente influente, l’interazionismo simbolico, che si
sofferma maggiormente sulla natura simbolica, interpretata e convenzionale delle attività
umane.
Un’altra importante applicazione dei concetti interazionisti fa riferimento ai meccanismi di
formazione della cultura di un’organizzazione, in particolare attraverso processi di controllo
sociale.

Ciclo di creazione di una cultura organizzativa:


Comportamento di un gruppo di successoInterazione tra i membriRinforzo della norma di
comportamento tramite il controllo socialeIstituzionalizzazione, routinizzazione ed ulteriore
controllo sociale
- Profezia auto verificanti: La dinamica sociale (e quindi anche organizzativa) non può essere
considerata soltanto l’effetto di fattori esterni, ma è anche la conseguenza di un’attività di
interpretazione simbolica individuale e collettiva che agisce sulla realtà e le attribuisce un
significato.
- Etnometodologia:
Garfinkelè un approccio all’analisi sociale che si basa sullo studio dettagliato della vita di ogni
giorno; tratta le circostanze di ogni giorno come soggetti di analisi empirica, ed esamina i modi
in cui le persone ordinano e trovano un significato nelle attività sociali, in particolare come le
rendono significative per gli altri.
In altri termini, studia il modo in cui le situazioni vengono interpretate e vissute attraverso
l’utilizzo di significati dati per scontati, dei quali, peraltro, i soggetti stessi sono spesso del tutto
incoscienti.
In sintesi, Garfinkel chiedeva ai suoi interlocutori di spiegare nel minimo dettagliato il senso di
ciò che dicevano, oppure si comportava in modo in se logico, ma al di fuori delle consuetudini
previste in un certo contesto.
- Metodi qualitativi di ricerca:
1) Le scienze sociali e le scienze naturali affrontano problematiche completamente diverse;

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2) Questo tipo di sociologia si occupa di capire l’azione piuttosto che osservare comportamenti.
L’azione sorge da significati attribuiti alla realtà sociale;
3) Gli uomini traggono tali significati dalla società in cui vivono. Orientamenti condivisi
diventano istituzionali e sono vissuti dalle generazioni successive come fatti sociali;
4) Laddove la società definisce l’uomo, l’uomo a sua volta definisce la società;
5) Attraverso le loro interazioni, inoltre, gli uomini modificano, cambiano e trasformano i
significati sociali;
6) Ne consegue che le spiegazioni delle azioni umane devono prendere in considerazione i
significati soggettivi degli individui delle loro azioni; il modo con cui il mondo di tutti i giorni è
socialmente costruito e percepito come reale e routinario diventa un problema cruciale
dell’analisi;
7) Spiegazioni positivistiche, che affermano che l’azione è determinata da forze esterne e
deterministiche, sociali o meno, sono inammissibili.

APPROCCIO POSITIVISTA
È il sistema pre-determinato rispetto ai soggetti.
Il sistema è una entità concreta ed esterna rispetto gli attori.
Il sistema impone dei vincoli ai quali occorre adeguarsi.
Esistono due varianti di approccio positivista:
- Meccanico:
La razionalità è assoluta e vi è un’impostazione ingegneristica.
Vi è la soluzione one best way, ossia un unico possibile metodo per ottimizzare decisioni e
azioni e rendere efficienti i comportamenti.
Le strutture sono formali (mansioni, regolate tra loro dalla gerarchia): la divisione del
lavoro, progettata in modo scientifico, prevede lo svolgimento delle mansioni che non
implicano dosi di discrezionalità. Vengono attribuiti dalla progettazione dei compiti
elementari da svolgere in modo stabile.
- Organico:
La razionalità è funzionale, e vi è un’impostazione biologica.
Vi è la soluzione one best fit, ossia un percorso migliore per adattarsi alle esigenze delle
variabili ambientali.
La struttura è un insieme di ruoli, i progettisti prevedono ruoli che implicano una
significativa dose di discrezionalità.
Sulla dimensione strutturale dominano comunque la logica e le esigenze di tipo
funzionale.

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Il sistema è aperto, ossia vi sono addestramento e flessibilità.


L’organizzazione è formale ed informale (dipende dal grado di motivazione).
L’approccio positivista considera la realtà senza poterlo dimostrare perché non vi è un’analisi
precisa, ma ipotesi, valori, convinzioni:
- La realtà è un dato di fatto non modificabile;
- La libertà è condizionata, determinata, limitata;
- La razionalità è assoluta, oggettiva, a priori;
- L’incertezza è governabile attraverso leggi universali.
In sostanza il positivismo concepisce come traguardo dell’interpretazione la scoperta di leggi
universali oggettive.

-Visione positivista:
Il focus dell’interpretazione è diretto al sistema, generale e organizzativo: l’ambiente nel quale
operano le organizzazioni determina la strategia dell’organizzazione, che a sua volta determina
la scelta della struttura.
Ambiente, strategia, struttura si collocano in un rapporto di influenza, di determinazione che
muove dall’ambiente e termina con le scelte di struttura delle organizzazioni.

- Approccio positivista: Si muove più verso una prospettiva normativa che in una prospettiva di
interpretazione, il che tende a deformare la prospettiva di conoscenza, in quanto il ‘’capire’’
diventa strumentale all’agire.

APPROCCIO SOGGETTIVISTA
È il sistema prodotto dall’interazione tra gli attori.
Il sistema è comprensibile solo come prodotto dell’interazione tra gli attori; sono gli attori che
creano e trasformano continuamente il sistema.
L’interprete della realtà organizzativa deve essere interno all’oggetto dell’osservazione.
Il sistema può produrre vincoli all’azione.
Le zone di incertezza esistono sempre e comunque.
Le strutture sono conoscibili solo ex post.
Considera, senza poterlo dimostrare perché privi di analisi, ma ipotesi, valori, convinzioni:
- La realtà come una costruzione sociale che cambia continuamente;
- La libertà è piena e totale;
- La razionalità è sempre ex post, ossia è quella dell’attore, conoscibile;
- L’incertezza è strutturale, ineliminabile.
La logica dell’attore:
- La realtà è una costruzione sociale definita da significati soggettivi;
- Per interpretare occorre analizzare i comportamenti individuali;
- Dal confronto-scontro di comportamenti individuali si producono relazioni che poi si
istituzionalizzano (organizzazione);
- L’organizzazione perciò tende a separarsi dai soggetti che la producono e diventa un
fatto esterno e coercitivo;
- Gli attori possono perciò subire degli effetti non voluti;

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- Il sistema, fino a che non diventa istituzionale, non vincola e lascia spazi di incertezza e
libertà;
- Il potere è uno strumento di azione per opporsi ai vincoli del sistema e per gestire
relazioni;
- Il ruolo non è attribuito dal sistema ma è conquistato dall’attore nell’interazione con gli
altri;
- Struttura definita ex post.
In sostanza il punto di vista soggettivista, opponendosi alla determinazione positivista, rifiuta
che possano esistere fattori causali e leggi universali che spieghino le decisioni e i
comportamenti sociali. Decisioni e comportamenti sociali sono irripetibili e possono essere, al
massimo, compresi.
La realtà viene costruita dagli attori, che diventa oggettiva solo dopo esser stata costruita, salvo
poi essere cambiata dalla percezione di altri attori, ex post.

- Visione soggettivista:
Il focus è sull’attore e le organizzazioni sono concepite come fermi al cambiamento. Resistenze
che possono vivere nei ruoli che gli attori devono svolgere o che la struttura organizzativa li
costringe a svolgere. Il percorso del cambiamento non è ne prevedibile me progettabile; è solo
interpretabile dopo essersi verniciato (ex post).

- Approccio soggettivista: Assume un’ottica spesso interpretabile ma sostanzialmente non


accetta l’esistenza di un comportamento razionale dei partecipanti alle organizzazioni.

APPROCCIO PROCESSUALE
Weber (scienze sociali)
Terza alternativa che si pone in una posizione intermedia, ma che innova il modo di interpretare
il fenomeno organizzativo.
Partendo dall’impostazione metodologica di Weber, ritiene che l’organizzazione sia sulla
dinamica, un processo che ‘’struttura’’ la realtà sociale (organizzativa).
L’interpretazione della realtà sociale deve inanzitutto proporsi di comprendere l’agire e poi
preoccuparsi di spiegarlo causalmente. Un comprendere che deve assumere una ‘’razionalità
limitata’’ dell’agire umano. Uno ‘’spiegare le cause’’ che non può essere esaustivo, trattandosi di
umani, con la conseguenza che si tratta piuttosto di spiegarne le condizioni, le influenze, gli
insiemi di fattori.
Sulla falsa riga di Weber, si delineano due dimensioni:
- Struttura che costituisce le regole e le premesse per le decisioni e le azioni;
- I soggetti che danno intenzionalità e un orientamento al processo delle decisioni-azioni.
La concezione processuale considera il sistema organizzativo come processo di azioni e di
decisioni.
Esistono contemporaneamente il soggetto e il sistema con due punti di osservazione che non si
escludono a vicenda ma sono co-esistenziali.
Il sistema è un processo (dinamico nel tempo) di decisioni e azioni. Il sistema non è pertanto
‘’reitificato’’ , non viene considerato una cosa esterna rispetto agi attori.

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Congruenza tra mezzi e fini: è questo l’obiettivo della progettazione (no massimizzazione ed
ottimizzazione).
Non si concepiscono o traguardano ‘’leggi universali’’.
La struttura è ‘’azione strutturante’’ di coordinamento e controllo.
Considera, senza poterlo dimostrare per mancanza di analisi, ipotesi, convinzioni:
- La realtà non è ‘’oggettiva’’ e non modificabile dagli attori ma è prodotta dal ‘’processo di
strutturazione’’. Tra strutture (regole) e processi (azione)si manifesta un rapporto
bi’univoco (i processi creano le strutture che influenzano i processi, …);
- La libertà non è mai totale, ma nemmeno inesistente;
- La razionalità è limitata e intenzionale e di vari tipi;
- L’incertezza è prodotta dalla tecnologia e dall’ambiente. L’organizzazione tenta di
governarla attraverso le azioni strutturali. Oltre all’incertezza opera anche la
complessità, entrambe ampliate dalle dinamiche ambientali (l’ambiente è costituito da
altre organizzazioni).
La logica processuale:
- Razionalità intenzionale e limitata: Dotata di un orientamento di senso verso scopi e
valori. Vi è incompleta conoscenza delle alternative di scelta. Le conseguenze non sono
prevedibili con esattezza. Non si può calcolare la scelta ottimale;
- Percorso euristico, soluzioni soddisfacenti: Obiettivi di non massimizzazione, ma
soddisfacenti. I percorsi-processi di decisioni e azioni sono modificabili sulla base di
nuove conoscenze;
- Il sistema produce complessità, che poi governa: L’organizzazione è un processo
dinamico, i soggetti non sono separati dal sistema, il processo produce complessità che la
‘’razionalità organizzativa’’ cerca di governare;
- Struttura=azione strutturante: La struttura è la componente di ordinamento del
processo, coordianemtno e controllo, che viene espressa nel corso dell’azione
organizzativa;
- Il sistema presuppone incertezza e indeterminatezza ma necessita di certezza e
determinatezza che vengono perseguite con razionalità limitata.
- Visione processuale:
Il focus si pone invece sui processi di decisione ed azione e la variabile essenziale è il tempo.
Perché l’azione organizzativa viene considerata in costante cambiamento e in modo interrelato
ai diversi processi decisionali.
Si apre tale prospettiva per il cambiamento organizzativo se si parte dalle logiche della visione
processuale.
Sia per impostare l’analisi che per valutare le diverse strategie di azione. Le imprese non sono
macchine o organismi nei quali esiste anche uno spazio per l’azione (cambiamento,
adattamento, strategie) quanto azioni (e decisioni) che si sviluppano ed evolvendo si
strutturano.
Le organizzazioni si danno forme stabili, strutturali, non le ricevono da soggetti esterni.

- Approccio processuale: Si muove in un contesto metodologico (Weber, interprete di realtà


sociali). Intende capire (‘’metodo comprendente’’)il comportamento, l’azione, l’agire dei soggetti
che partecipano si fenomeni organizzativi e anche come essi sono influenzati dai dati di tipo
strutturale di tipo causale.

POSITIVISMONECESSITà

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SOGGETTIVISMOCAUSALITà
VISIONE PROCESSUALEPOSSIBILITà

ORGANIZZAZIONE E FORME ORGANIZZATIVE


I protagonisti del fenomeno organizzazione-imprese scelti (ambiente, soggetti, struttura)
svolgono un ruolo assolutamente centrale nella loro qualificazione, direzione di marcia,
possibilità di influire su efficienza ed efficacia.
- Ambiente: ‘’Dominus’’ nella logica positivista, si intende quell’insieme di forze di forze che
dettano le forme organizzative ottimali che il progettista deve interpretare, applicare e
controllare. È la fonte di causalità nella visione soggettivista;
- Soggetti:
 Livello;
 Qualità;
 Autonomia;
 Ruoli e mansioni;
 Centralità;
 … .
- Struttura: Dimensione fondamentale che qualifica impresa-organizzazione: Visione
positivistaLa struttura è l’organizzazione in chiave positivista;
Visione soggettivistaEx post diviene importante;
Visione processualeè il processo essenziale, nel senso che l’organizzazione è il processo
di strutturazione.

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LE FORME ORGANIZZATIVE
Esistono una molteplicità di forme organizzative, di combinazioni tipiche di scelte di
specializzazione e di coordinamento. Il fatto che fra tutte le combinazioni se ne siano solo
affermate alcune dipende dal fatto che tali combinazioni sono caratterizzate da coerenza:
- Interna: All’interno di una forma organizzativa tutte le scelte sono coerenti fra loro;
- Esterna: Ogni forma organizzativa è coerente con un set di determinate situazioni.
Il soddisfacimento della doppia condizione di coerenza rende queste combinazioni
efficaci ed efficienti.
Riguardo alle forme organizzative:
- La progettazione della meso-struttura è importante ma:
 Esistono le combinazioni;
 Vi sono la progettazione della macrostruttura (attività elementariunità
organizzativeorganizzazione) e top-down (si fa il contrario)
Vi sono due livelli della progettazione organizzativa:
- Livello intraorganizzativo: Focalizzarsi solo su ciò che avviene all’interno di un’impresa:
 Livello micro: Organizzare il lavoro dei lavoratori;
 Livello meso: Stabilimenti, unità organizzative come funzioni/divisioni, gruppi
formali che vengono costituiti al’interno di un’organizzazione;
 Livello macro: L’impresa nel suo insieme.
- Livello interorganizzativo: Coordinamento tra diverse aziende che operano insieme.

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Oltre la coerenza vi è il concetto di complementarietà: Fra gli elementi (in questo caso della
forma organizzativa) esiste complementarietà quando, aumentando il livello di un elemento,
aumento il rendimento marginale che deriva dall’aumenta di tutti gli altri elementi. I diversi
elementi tendono quindi ad essere utilizzati insieme e ciascuno rende più attraente o più
conveniente il ricorso agli altri. Ovvero, la complementarietà presuppone la presenza di sinergie.
Se applicate insieme le scelte organizzative non devono solo essere allineate fra loro, ma se
applicate al meglio, si rafforzano.
Insuccessi legati a cambiamenti parzialiCambiare tutte le scelte costa troppo, perciò si prova
a cambiare solo alcune andando incontro a coerenza + complementarietà, sfidando ostacoli,
interruzioni, problemi, … .
La progettazione della macrostruttura intende i livelli e gli approcci di progettazione
organizzativa. La progettazione organizzativa a livello macro e secondo un approccio top-down,
e si procede dall’alto verso il basso, secondo una logica di progressiva disaggregazione. Essa
comporta la valutazione e la scelta di una forma organizzativa, e cioè dell’assetto organizzativo
complessivo dell’azienda. Scegliere una forma organizzativa significa stabilire dove l’azienda
indirizza le proprie risorse, privilegiare alcune direzioni di specializzazione e di coordinamento
a scapito di altre, contribuire a definire gli schemi di interazione formale ed informale e le
relazioni che si sviluppano nel tempo (dove si indirizzano le risorse, specializzazione e
coordinamento, relazioni tra attori).
Per individuare la tipologia di forme organizzative, impieghiamo come criteri la base di
specializzazione (vantaggi di costo e di tempo –efficienza-//maggior qualità e bravura nella
realizzazione del prodotto) utilizzata per le unità organizzative dipendenti direttamente dal
vertice (organi di primo livello) e le modalità di attribuzione dell’autorità gerarchica; si possono
individuare così tali forme:
- Forme semplici;
- Forme funzionali;
- Forme divisionali;
- Forme a matrice.
 Forme a progetto.
FORME SEMPLICIOrganizzazione poco articolata in livelli e organi, e impiega meccanismi
relativamente semplici e poco numerosi di integrazione
Caratteristica di aziende di piccola dimensione con poca variabilità (operano in un solo
business).
Vengono altresì definite elementari o non organizzazioni (poiché non è una vera e propria
organizzazione).
Vi è bassa differenziazione orizzontale, ovvero pochi organi (unità organizzative/reparti).
Vi è bassa differenziazione verticale, ovvero non vi è gerarchia sviluppata.
È un’organizzazione poco articolata e che usa meccanismi di coordinamento semplici e poco
numerosi.
Nelle organizzazioni semplici vi è scarso ricorso alla formalizzazione (poche regole scritte),
ovvero scarsa standardizzazione nei processi.
Vi è scarsa progettazione del sistema programmazione-pianificazione-controllo, ovvero una
scarsa progettazione degli obiettivi qualitativi e quantitativi, ed una correlata scarsa
standardizzazione (inputoutput).
Non vi sono organi di staff (1-che erogano servizipossono essere acquisiti sul mercato//2-
tecnico-strutturaregolano le attività, creano standard).
Riassumendo:
- Specializzazione assente;
- Dimensione anche elevata delle unità organizzative;
- Accentramento variabile;

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- Scarsa o assente gerarchia;


- Organi di staff assenti;
- Scarsa formalizzazione;
- Sistema P&C poco sviluppato.
Vi possono essere forme semplici con un vertice gerarchico o con autorità distribuita per tutti.
Vi sono 3 diversi assetti organizzativi semplici:
1) Forma gerarchica semplice o imprenditoriale: Vi è supervisione diretta, ovvero, il
fondatore dell’impresa concentra su di se i diritti di proprietà e i diritti di decisione e
controllo (coinvolgimento del vertice). Una forma gerarchica semplice è efficiente quando
un solo attore detiene tutto quanto il know-how (controllare tutte le info).
È una forma semplice molto accentrata a livello di specializzazione verticale.
La supervisione diretta è quindi meccanismo caratterizzante di coordinamento.
Date le caratteristiche, la forma gerarchica semplice è efficace quando l’attore centrale
può avere tutte le competenze necessarie e può controllare tutte le info. È quindi
necessario che l’attività svolta dall’azienda implichi una tecnica abbastanza semplice.
Il vertice strategico è diverso dal nucleo operativo; il primo decide e svolge attività, il
secondo, svolge attività solamente.
Qui, tutti sanno fare tutto, ovvero non vi è specializzazione delle mansioni; ciò da
maggiore adattabilità e dinamicità.
2) Forma artigianale: Tale forma richiama attività che richiedono un ‘’mestiere’’, e cioè la
conoscenza e la capacità, da parte delle persone.
Il vertice lascia autonomia per le decisioni operative agli associati.
Le scelte strategiche restano a capo del vertice.
La forma artigianale viene adottata dalle imprese che si appoggiano a professionisti (o a
persone che hanno seguito un percorso professionale):
- Percorsi di formazione ad HOC (laurea);
- Formazione sul campo (tirocini/stage).
Il meccanismo di coordinamento è la standardizzazione delle conoscenze e delle capacità.
Il know-how non può appartenere ad un solo soggetto, ma deve essere delegato.
La standardizzazione avviene soprattutto per mezzo della prassi.
La forma artigiana è efficace ed efficiente per attività che implicano una tecnica
relativamente meno semplice della forma precedente, soprattutto per la variabilità delle
situazioni che si possono presentare.
3) Il gruppo dei pari: I diritti di proprietà e di partecipazione ai risultati economici
dell’attività sono diffusi, e quindi anche i rischi economici sono diffusi.
Vi è elevata circolazione delle info, e i valori e gli obiettivi vengono condivisi. Si può
quindi parlare di ‘’imprenditorialità diffusa’’.
Sparisce la divisione tra vertice e gruppo operativo.
Non vi è accentramento decisionale, vi è massima circolarità.
Usa un know-how più complesso, poiché si tratta di risolvere problemi difficili da
risolvere.
Si tratta quindi di una forma semplice caratterizzata da meccanismi di coordinamento
diversi da quelli delle forme semplici precedenti e che la rendono adatta ad affrontare
attività che implicano una tecnica complessa, soprattutto per la difficoltà di cercare e di
trovare soluzioni ai problemi.
I vantaggi delle forme semplici consistono in:
- I bassi costi di struttura, legati alla scarsa presenza delle caratteristiche che
tradizionalmente qualificano un’organizzazione (non hanno una struttura
complessacostano poco, anche per l’assenza di standard, ..);

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- Un’elaborazione della strategia consapevole delle caratteristiche operative dell’azienda


e, nel contempo, una forte presenza dello stesso centro decisionale anche
nell’implementazione, ovvero un vertice strategico che conosce i problemi, e la risposta
strategica che conosce quindi tutte le caratteristiche operative;
- La flessibilità, e cioè la rilevante capacità di adattamento e di prontezza di risposta e ciò
sia per la scarsa burocratizzazione e formalizzazione;
- La facilità dei rapporti personali che, da un lato, migliora le possibilità di coordinamento
e, dall’altro, crea un ambiente di lavoro che può risultare gratificante.
I svantaggi delle forme semplici consistono in:
- Lo sbilanciamento operativo, e cioè un’eccessiva attenzione alle questioni operative
dovuta all’accentramento dell’autorità;
- L’accumulo di problemi non risolti, dovuto al sovraccarico dell’unico centro decisionale;
- La scarsa capacità di sorveglianza dell’ambiente, dovuta all’assenza di livelli o posizioni
liberi da preoccupazioni di carattere operativo, e che si riflette nell’impossibilità di
soddisfare le esigenze di raccolta e di elaborazione delle informazioni competitivamente
rilevanti.
FORME FUNZIONALI
Sono un’evoluzione delle forme semplici, possibile ma non scontata.
Le unità organizzative di primo livello sono specializzate in base all’input (in base alla funzione-
attività svolta/conoscenza).
Le funzioni/reparti/dipartimenti hanno potere gerarchico e decisionale.
Comune a tutte le forme funzionali è l’adozione, in corrispondenza delle unità direttamente
dipendenti dal vertice, di un criterio di specializzazione fondato sugli input e l’attribuzione
dell’autorità gerarchica alle unità specializzate in base a tale criterio. Infatti, appartengono alle
forme funzionali anche soluzioni che affiancano alla specializzazione basata sugli input la
specializzazione basata sugli output, fermo restando però che gli organi specializzati in base
agli output non dispongono, nelle loro relazioni con le altre unità, di autorità gerarchica (è il
caso delle forme funzionali con integratori).
La diffusione delle forme ‘funzionali ‘’pure’’ e il tentativo di attenuare gli svantaggi, per esempio
con l’inserimento di integratori, si debbono ai due fondamentali vantaggi offerti dalla
articolazione della struttura in base agli input: la specializzazione e l’efficienza.
I vantaggi di specializzazione sottolineano le possibilità offerte da questo tipo di forme per
quanto riguarda sia l’acquisizione che lo sviluppo delle risorse:
- Acquisizione: Nel senso che raggruppando tutte le attività simili rispetto alla tecniche e
alle conoscenze richieste si massimizzano le possibilità di specializzazione intese come la
convenienza a dotarsi di risorse in grado di fornire prestazioni ad alto contenuto
specialistico;
- Sviluppo: In termini professionali, poiché la ripetizione delle stesse attività e la più facile
interazione con persone operanti nella stessa specializzazione creano condizioni e un
clima favorevoli a tale sviluppo, che trova rinforzo nelle prospettive di carriera che per gli
specialisti sono solitamente maggiori nelle forme funzionali rispetto a quelle offerte da
altre forme organizzative.
Alla specializzazione delle risorse si collegano la competenza tecnica e l’elevata qualità in
termini specialistici delle performance consentite dalle forme funzionali.
L’efficienza (maggiore efficienza delle forme funzionali rispetto alle altre forme) è riconducibile
sostanzialmente al più elevato sfruttamento delle economie di scala, al maggiore grado di
utilizzo delle risorse, al maggior conseguimento delle economie di specializzazione anche per la
più rapida percorrenza della curva di apprendimento.
 Le forme funzionali si dividono in:
- Forma funzionale burocratica;

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- Forma funzionale professionale;


- Forma funzionale con integratori;
- Forma adhocratica o innovativa.
Le quattro rappresentazioni delle forme funzionali:

Forma funzionale burocratica


La forma funzionale burocratica rappresenta la soluzione organizzativa che storicamente si è
affermata nel mondo delle imprese a seguito del perseguimento di una strategia di crescita
dell’impresa fondata sull’adozione di strategie di integrazione verticale. Viene adottata dalle
imprese monoprodotto che crescono per integrazione verticale (integrazione delle attività della
supply chain a monte o a valle). Sul piano dell’assetto istituzionale, l’adozione di questa forma si
accompagna anche alla separazione fra proprietà e controllo, e quindi ad una differenziazione
dei soggetti detentori dei diritti di proprietà e di ricompensa residuale, da un lato, e dei soggetti
titolari dei diritti di decisione e di controllo, dall’altro.
Fermo restando che questa forma si collega a strategie di crescita fondate sull’integrazione, ad
essa le imprese sono pervenute seguendo due percorsi diversi:
- Attraverso uno sviluppo per acquisizione di altre imprese;
- Attraverso uno sviluppo dall’interno con la conseguente necessità da parte del
proprietario-imprenditore di esplicitare e di affidare ad altri alcune attività.
I meccanismi di coordinamento funzionano attraverso una presenta e forte burocratizzazione,
per un alto grado di formalizzazione (comprendono la supervisione diretta –gerarchia-, la
standardizzazione dei processi di lavoro e degli output).
Riassumendo:
- Criterio di specializzazione: Input:funzione;
- Dimensione delle unità organizzative elevata a livello inferiore;
- Decentramento limitato: Decisioni strategiche al vertice; decisioni direzionali e operative
alle funzioni;

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- Gerarchia molto sviluppata;


- Organi di staff molto sviluppati;
- Relazioni di dipendenza gerarchiche e funzionali;
- Formalizzazione molto sviluppata;
- Obiettivi parziali;
- I comportamenti vengono incentivati da rinforzi su comportamenti e su obiettivi parziali;
- Meccanismi laterali poco sviluppati.
I vantaggi di tale forma sono:
- Sviluppo di codici di comunicazione specializzati che favoriscono efficienza ed efficacia;
- Aumento del numero dei manager che riduce il sovraccarico del vertice e aumenta la
capacità di raccogliere e di elaborare info, migliorando così la razionalità dei processi
decisionali, nonché il controllo. Aumentando il numero di manager (capi), essi hanno
maggior controllo sui dipendenti poiché devono focalizzarsi, a parità di numero di
lavoratori, su un numero più ristretto di lavoratori;
- Le elevate possibilità di regolazione/controllo del comportamento dei dipendenti, sia
attraverso i capi sia, e soprattutto, attraverso la standardizzazione dei processi di lavoro,
riducendo così l’incidenza degli eventuali conflitti di interesse e il manifestarsi di
comportamenti opportunistici.
Gli svantaggi di tale forma sono:
- La diffusione di comportamenti orientati ad obiettivi parziali: Se ogni funzione
massimizza il proprio risultato, vi è poi un problema di coordinamento (se ci si concentra
sul singolo risultato di una funzione, poi si ha difficoltà nell’incastrarli)Circolo vizioso
di Selznick;
- La perdita di controllo;
- Il sovraccarico della direzione generale;
Perdita di controllo e sovraccarico della direzione generaleVi è un forte
accentramento: all’aumentare di dimensioni di decisioni, di manager, …, questo sistema
può entrare in crisi per questi due motivi (perdita di controllo e sovraccarico della
direzione). Tale contrasto si risolve con l’inserimento di un integratore;
- Le difficoltà di coordinamento fra le funzioni.
Condizioni di efficacia e di efficienza:
- Ambiente stabile;
- Assenza di diversificazione;
- Strategie di leadership di costo e di specializzazione.
Forma funzionale professionale
È la forma presente in aziende che erogano servizi professionali. I professionisti sono persone che
svolgono attività professionali. A qualificare il campo di applicazione di questa forma è sia
l’output fornito (i servizi), sia il fatto che tale output viene fornito da lavoratori, i professionisti,
che presentano caratteristiche specifiche e distintive.
I professionisti (e le professioni) vengono distinti rispetto ad altri lavoratori (ed occupazioni)
facendo riferimento a caratteristiche strutturali e a caratteristiche di personalità
(atteggiamenti e valori). Professione e professionista implicano l’esistenza di un corpo formale di
conoscenza che regolano lo svolgimento dell’attività.
La scelta di tale forma è la soluzione tipica delle imprese/aziende di produzione.
Il meccanismo tipico di coordinamento è la standardizzazione delle capacità/conoscenze; esso è
il carattere distintivo di tale forma.
Le caratteristiche della professione:
- Caratteristiche strutturali:
 Corpo formale di conoscenze, ossia competenze su uno specifico e spesso campo di
conoscenze e capacità;

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 Necessità di formazione ed addestramento avanzati;


 Vengono ammesse professioni fondate su una verifica e su un controllo formali;
 Esistenza di un’associazione professionale, supportata dai suoi membri e orientata
verso i loro bisogni;
 Esistenza di un codice di comportamento (etica);
 Senso di responsabilità verso il servizio al pubblico.
- Caratteristiche di personalità (atteggiamenti e valori):
 Il convincimento che la professione rappresenta un gruppo di riferimento importante
e la fonte di idee e giudizi rilevanti;
 Il convincimento di essere a servizio del pubblico, che la professione sia indispensabile
e vantaggiosa per il pubblico;
 Desiderio di autonomia;
 La preferenza per una valutazione ed un controllo da parte dei colleghi;
 Vocazione verso il lavoro (anche se le ricompense sono basse).
Caratteristiche organizzative della forma funzionale professionale:
- Importante è la formazione (capacità tecniche), che è il mezzo di trasmissione e di
sviluppo delle conoscenze e delle capacità, e l’indottrinamento (deontologia professionale
–norme di comportamento della professione-), che riguarda la trasmissione di norme e
valori;
- Gli standard sono sviluppati e trasmessi all’esterno dell’azienda;
- Il funzionamento è fondato sul processo di classificazione, ossia specializzazione per
cliente riconducibile alla classe di problemi/soluzioni esistente, con logica di elasticità ed
adeguabilità;
- Elevata discrezionalità di cui godono i professionisti;
- Formulazione della strategia dal basso: la scelta di una strategia di una specifica forma
funzionale professionale non è l’espressione di una scelta operata dal vertice ma
rappresenta l’effetto cumulato nel tempo dei progetti o delle iniziative strategiche, che i
professionisti sono riusciti a far accettare e a far intraprendere. Questo non esclude che il
vertice possa intervenire nel processo strategico, per esempio elaborando e proponendo
la visione e la missione; resta il fatto che, in questa forma, i professionisti hanno un ruolo
assolutamente fondamentale nella strategia che viene effettivamente realizzata.
Riassumendo:
- Criterio di specializzazione adottato per input (conoscenze e capacità) e per output
(cliente);
- Dimensione delle unità organizzative elevata a livello inferiore;
- Decentramento molto elevato;
- Gerarchia poco sviluppata, gerarchie parallele;
- Organi di staff: Tecnostrutturapoco sviluppata; Staff di supportomolto sviluppato
per dare supporto ai professionisti e con funzioni di servizio interno;
- Bassa formalizzazione (standardizzazione dei processi di lavoro);
- Formazione (standardizzazione delle conoscenze e delle capacità) molto sviluppata;
- Sistema pianificazione e controllo poco sviluppato;
- Gli incentivi consistono in rinforzi su comportamenti professionali;
- Meccanismi laterali poco sviluppati.
Queste caratteristiche riguardano i professionisti e l’attività da essi svolta. Nella forma
funzionale professionale, però, vengono svolte anche altre attività, tipicamente di supporto a
quelle dei professionisti; l’organizzazione di tali attività e della parte cui sono assegnate (lo staff
di supporto) avviene secondo modalità corrispondenti a quelle della forma funzionale
precedente (burocratica).
I vantaggi relativi a tale forma sono:

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- Efficienza raggiunta dalla condivisione di risorse e servizi di supporto;


- Viene favorito l’apprendimento reciproco;
- Permette un miglior servizio al cliente rispetto ad esigenze complesse.
Gli svantaggi consistono in:
- Problemi di coordinamento;
- Problemi legati alla elevata discrezionalità di cui godono i professionisti;
- La scarsa capacità di innovare, e cioè di creare nuovi classi o categorie, perché
l’innovazione richiede sia un ragionamento induttivo e divergente, sia il contributo di
professionisti diversi.
La forma funzionale professionale è efficace ed efficiente nello svolgimento di attività complesse,
ma richiede un ambiente stabile in cui le esigenze di innovazione siano molto limitate.
In altre parole, la forma funzionale professionale è una forma organizzativa efficace ed efficiente
nell’applicazione e nella utilizzazione di conoscenze ma non lo è nella creazione di nuove
conoscenze.
Condizioni di efficacia ed efficienza sono quindi:
- Esigenza di innovazione limitato;
- Attività complesse;
- Ambiente stabile.
Forma funzionale con integratori
Scarse strategie di diversificazione
Mercato con elevata concorrenza
Ciclo di vita del prodotto lunghi
Riferimento di efficienza funzionale
IntegratoreServe per collegare le diverse scelte di diverse scelte di diversificazione. Vi sono 3
forme diverse di forma funzionale con integratori:
1) Product managerCollegare le risorse funzionali;
2) Brand managerCollegare/Coordinare interfunzionalmente le marche;
3) Th managerBe to be;
4) Process owner (project manager)Non ha autorità gerarchica come tutti gli integratori,
ma serve a garantire coordinamento funzionale facendo leva sui processi (es. selezione
input, selezione fornitori, …). Tutte le fasi che fanno capo alle diverse funzioni d’azienda
(mktg, R&S, vendita, …).
Nelle forme funzionali con integratori il meccanismo di coordinamento riguardo all’input è
l’integratore.
Il suo limite risiede nella scarsa capacità di coordinamento legata ai meccanismi di
coordinamento utilizzati che operano soprattutto a preventivo. Questo limite compromette
l’efficacia della forma funzionale burocratica quando l’interdipendenza e l’incertezza
aumentano. La soluzione va trovata sul versante dei meccanismi di coordinamento.
Il ricorso agli organi di integrazione, un meccanismo di coordinamento particolarmente potente,
rappresenta la risposta a questo problema.
Gli organi di integrazione possono essere di tipo diverso, in relazione alla dimensione critica o al
fattore strategico critico presidiato. Si possono così distinguere organi di integrazione a
orientamento commerciale, a orientamento tecnico, a orientamento tecnico-commerciale, e
generalisti.
* Forma funzionale con integratori: la forma a product manager:
Definita anche brand manager, market manager, o key account manager.
Consiste nell’elaborare/implementare il piano di mktg del prodotto e verficarne post i risultati.
L’integratore viene utilizzato per gestire le forme di coordinamento di più prodotti o più linee di
prodotto.
Ci si concentra sul piano di mktg del prodotto e sulle info del prodotto.

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Incamerare, elaborare, diffondere info sui prodotti.


La capacità di influenza non si basa sulla gerarchia, ma sul fatto che il product manager abbia
accesso ad info, ed indirizza/influenza chi ha la capacità di decisione; si basa sulle proprie
competenze/conoscenze individuali ed interpersonaliottimizzare la scelta del product
manager
Il ricorso agli integratori comporta un intervento sui criteri di specializzazione ma non sulle
linee di autorità gerarchica; infatti, gli integratori, non dispongono di autorità gerarchica, e cioè
della possibilità di dare ordini.
Il product manager può essere:
- Di orientamento commerciale (influenza leggera): Il product manager si classifica in
base alla posizione gerarchica. Il product manager coordina e gestisce le leve critiche del
marketing operativo, ha un orientamento commerciale
 Consolidamento del mktg
 Responsabilità di mktg operativo;
- Generalista (influenza pesante): A livello strategico, a staff della direzione generale.
Il product manager si occupa di mktg operativo e mktg strategico, e coordina le funzioni
di primo livello
 Consolidamento del mktg
 Responsabilità di mktg operativo.

Versione pesante: Versione leggera:

Il product manager è un ruolo di confine tra impresa ed esterno. Gestisce le relazioni con
l’esterno e favorisce il coordinamento tra le diverse funzioni di impresa.
Il ruolo del product manager si divide in: Stila un piano di budget
- Competenze operative: Livello operativoControllo vendite, …
- Competenze strategiche: Livello strategicoPreparazione piano di mktg
Riassumendo le caratteristiche della forma a product manager:
- Criterio di specializzazione per input (funzioni) e output (prodotto);
- Decentramento variabile rispetto all’influenza del product manager;
- Il product manager dipende dalla direzione generale o dalla direzione
commerciale/marketing;
- Formalizzazione (standardizzazione dei processi lavorativi) elevata;
- Sistema di pianificazione e controllo relativo alle funzioni e ai prodotti;
- Gli incentivi per il product manager sono rinforzi sui risultati globali;
- Meccanismi laterali sviluppati.

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Vantaggi forma a product manager:


- Il coordinamento delle diverse attività e funzioni rispetto ai prodotti;
- La maggiore attenzione verso la dimensione ‘’prodotto’’ da parte delle diverse unità
organizzative;
- La maggior capacità di risposta alle variazioni del mercato;
- Il minore sovraccarico dell’alta direzione;
- La concorrenza interna fra i prodotti con i conseguenti benefici in termini di allocazione
risorse;
- La flessibilità sul piano organizzativo (ruolo del product manager, collocazione
organizzativa, potere) che consente un adattamento della soluzione alle specificità
dell’impresa in cui viene impiegata.
Svantaggi forma a product manager:
- Le difficoltà di funzionamento (per il product manager e le interfacce), dovute alla scarsa
autorità formale del product manager e, in particolare, al’assenza di autorità gerarchica.
In poche parole, il non avere autorità gerarchica da parte del product manager, lo
esclude dallo svolgere tutte le attività, e viene fortemente limitato. Qui, risultati
importante il top mananger, che deve definire chiaramente il ruolo del product manager;
- Una insufficiente definizione della mansione dovuta ad una carente delimitazione dei
confini del ruolo o come una sua insufficiente specificazione;
- Tensioni di ruolo (ambiguità e incongruenza): l’intensità delle tensioni legate al ruolo di
confine del product manager;
- Uno ‘’svuotamento’’ del ruolo, con un ripiegamento su compiti di semplice informazione o
con un eccessivo coinvolgimento nei dettagli operativi;
- L’attribuzione di un numero eccessivo di prodotti;
- La concorrenza eccessiva fra prodotti con possibili fenomeni di ‘’cannibalizzazione’’;
- Un’eccessiva attenzione ai prodotti esistenti;
- L’orientamento al breve termine, favorito anche dai sistemi di valutazione utilizzati che
privilegiano obiettivi appunto di breve termine.
Le attività del product manager:
a) Preparazione del piano di mktg:
 Analisi mercato/prodotto;
 Obiettivi per prodotto;
 Interventi di mktg;
b) Gestione del budget;
c) Sviluppo nuovi prodotti;
d) Day by day management:
 Monitoring mercato;
 Controllo vendite;
 Definizione attività commerciali verso il trade;
 Decisione eventuali interventi correttivi.
Le tendenze recenti hanno portato all’ ‘’allargamento’’ dell’area dell’integrazione (category
management). Hanno concentrato l’attenzione al cliente.
Hanno portato ad un maggior ricorso ai team e al teamworking (per favorire la collaborazione,
per responsabilizzare).
La forma adhocratica o innovativa: (es. CERN di Ginevra)
La forma adhocratica si svolge per lavori in team (gruppi di lavoro), che redigono progetti di
innovazione progressiva. Tali gruppi sono formati da specialisti che fanno capo a
dipartimenti/funzioni, che si aggregano per mutuo adattamento (adattamento reciproco), che
condividono lo stesso identico obiettivo (allineamento obiettivi).

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Meccanismi di coordinamento di tipo laterale (gruppi, contatti diretti, meccanismi volontari) e


allineamento degli obiettivi (quando vi è cultura condivisa vi sono incentivi).
L’adhocrazia è un’organizzazione flessibile, poiché, infatti, la composizione del team non è fissa,
ma varia da progetto a progetto (organizzazione fatta ad hoc).
(Nelle organizzazioni normali i gruppi sono sempre gli stessi –rigidi-).
Nessuna delle forme fin qui studiate è in grado di realizzare innovazioni complesse:
le forme semplici possono innovare ma la loro capacità di innovazione risulta limitata perché
limitato è lo stock di conoscenze e di capacità in esse presenti; la forma funzionale burocratica e
la forma funzionale professionale sono organizzazioni ‘’di performance’’, efficaci ed efficienti
nella realizzazione di programmi standard, più che organizzazioni in grado di trovare soluzioni
nuove ai problemi.
Si pensi invece, per esempio, a istituti e laboratori di ricerca o ad imprese che operano in campi
ad altissima intensità di ricerca.
La realizzazione di innovazioni sofisticate richiede sia la disponibilità di esperti o di specialisti,
sia il superamento dell’orientamento e delle barriere specialistiche. Le persone necessarie
presentano caratteristiche simili a quelle dei professionisti della forma funzionale professionale,
ma lo sviluppo di nuove conoscenze e capacità richiede la combinazione in forme diverse delle
conoscenze e delle capacità esistenti, rompendo i confini delle specializzazioni convenzionali. ‘’Le
organizzazioni tradizionali assumono di conoscere tutti i problemi e tutti i metodi. Esse possono
quindi fare riferimento a un singolo specialista o ad uno specifico gruppo di specialisti’’,
basandosi per il coordinamento sulle capacità standardizzate degli specialisti. Nell’adhocrazia,
invece, gli specialisti debbono combinare le loro conoscenze e capacità in gruppi
multidisciplinari.
L’hadocrazia richiama il sistema organico di Burns e Stalker e, pur potendo avere gli specialisti
raggruppati in unità funzionali per motivi di aggregazione professionale, li utilizza in piccoli
gruppi per svolgere l’attività fondamentale di innovazione (criterio di specializzazione fondato
sull’output). Questi gruppi si configurano, quindi, come soluzioni ad hoc per far fronte a specifici
problemi, e godono di una elevata autonomia. Invece di essere un sistema di assegnazione stabile
di attività a mansioni o unità organizzative, l’adhocrazia si configura come un sistema di nodi di
competenze aggregabili con flessibilità.
Date le caratteristiche dell’attività, il coordinamento (all’interno dei gruppi e fra i gruppi) deve
essere realizzato direttamente dagli specialisti impegnati nello sforzo di innovazione e quindi
mediante il mutuo aggiustamento.
Caratteristiche della forma adhocratica:
- Criterio di specializzazione per input (aggregazione professionale) ed output (obiettivi di
innovazione);
- Dimensioni unità organizzative piccole;
- Decentramento molto elevato;
- Gerarchia poco sviluppata;
- Organi di staff: Tecnostrutturapoco sviluppata ma senza distinzioni molto nette
rispetto alla linea. Staff di supportomolto sviluppato ma senza distinzioni molto nette
rispetto alla linea;
- Formalizzazione scarsa;
- Sistema di pianificazione e controllo (standardizzazione output) poco sviluppato;
- Indottrinamento (standardizzazione norme culturali) importante per allineare gli
obiettivi;
- Incentivi: allineamento obiettivi;
- Meccanismi laterali molto sviluppati.
Le altre caratteristiche dell’adhocrazia comprendono:

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 Un basso numero i livelli gerarchici, per ridurre i problemi, soprattutto di


comunicazione, legati alla presenza di un forte sviluppo della gerarchia;
 Una dimensione delle unità organizzative limitata, per favorire il mutuo
aggiustamento nell’ambito dei gruppi;
 Un decentramento molto elevato, nella dimensione sia verticale che orizzontale,
legato alla natura delle diverse decisioni che debbono essere assunte. ‘’Nessuno
nell’adhocrazia monopolizza il potere di innovare’’, ‘’L’autorità è assunta da coloro
che hanno più informazioni’’. Il potere lo detiene chi ha più accesso alla disponibilità
di informazioni.
La forma adhocratica si svolge per lavori in team (gruppi di lavoro), che redigono progetti di
innovazione progressiva. Tali gruppi sono formati da specialisti che fanno capo a
dipartimenti/funzioni, che si aggregano per mutuo adattamento (adattamento reciproco), che
condividono lo stesso identico obiettivo (allineamento obiettivi).
Meccanismi di coordinamento di tipo laterale (gruppi, contatti diretti, meccanismi volontari) e
allineamento degli obiettivi (quando vi è cultura condivisa vi sono incentivi).
L’adhocrazia è un’organizzazione flessibile, poiché, infatti, la composizione del team non è fissa,
ma varia da progetto a progetto (organizzazione fatta ad hoc).
(Nelle organizzazioni normali i gruppi sono sempre gli stessi –rigidi-).
La realizzazione di innovazioni (attività di esplorazione), oltre che essere la missione specifica di
alcune aziende, è anche un’esigenza più generale, che va combinata con l’attività ‘’normale’’ (o
di sfruttamento). Anche in questo secondo caso, l’attività di esplorazione va organizzata con
modalità ‘’adhoratiche’’ che sono diverse da quelle efficaci ed efficienti per l’attività di
sfruttamento e, nel contempo, occorre coordinare questi due tipi di attività.
Vantaggi relativi alla forma adhocratica:
- Autonomia;
- Coordinamento;
- Motivazione.
Svantaggi relativi alla forma adhocratica:
- Ambiguità: Incertezza sui diversi progetti;
- Conflittualità: Gestire le relazioni interpersonali può creare conflitti;
- Inefficienza: Superando la divisione fissa dei ruoli, ne perde di specializzazione, o i costi di
comunicazione, o il bilanciamento e saturazione della capacità produttiva nell’ambito dei
gruppi.
FORME DIVISIONALIAziende grandi che attuano strategie di diversificazione, strategie di
crescita
La soluzione divisionale nasce storicamente come la risposta organizzativa ai limiti della forma
funzionale burocratica nella gestione di strategie di diversificazione della produzione e di
crescita dimensionale, tanto più se realizzate in un ambiente dinamico.
Tali limiti, che richiamano gli svantaggi della forma funzionale burocratica, comprendono:
- Il sovraccarico del vertice e la perdita di controllo;
- Le difficoltà del coordinamento;
- La difficoltà di individuare il profitto dei singoli business e quindi di operare un efficace
controllo;
- La difficoltà di allocare in modo efficiente le risorse alle diverse linee di prodotto.
Sinteticamente, la diversificazione crea problemi di direzione, coordinamento e controllo che
la forma funzionale burocratica non può risolvere o che risolve solo parzialmente.
I motivi della diffusione della soluzione divisionale sono stati innanzi tutto individuati nella sua
maggiore efficacia ed efficienza nel gestire, da un lato, la complessità gestionale legata a
strategie di diversificazione e di crescita dimensionale rispetto alla forma funzionale burocratica

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e, dall’altro, l’allocazione delle risorse finanziarie ai diversi business rispetto al mercato esterno
dei capitali.
Quindi:
- La forma divisionale nasce come risposta ai problemi di diversificazione della forma
funzionale;
- Coordinamento inter e intra funzione;
- Perdita di controllo da parte del top;
- Difficoltà di individuare il profitto nei singoli business;
- Difficoltà di allocare in modo efficiente le risorse.
La forma divisionale si è diffusa per motivi economici (ricerca di efficienza ed efficacia), motivi
politici (relazioni di potere intra-organizzative e inter-organizzative), motivi istituzionali
(isomorfismo coercitivo, mimetico, normativo).
Le caratteristiche essenziali e comuni ai diversi tipi di forme divisionali, che individuano anche le
più importanti decisioni di progettazione organizzativa di queste forme, sono le seguenti:
- La specializzazione degli organi di primo livello (alle dipendenze del vertice)-le divisioni-
in base all’output;
- L’indipendenza delle divisioni;
- L’attribuzione alle divisioni della responsabilità di profitto.
Le caratteristiche delle forme divisionali:
- Criterio di specializzazione per output (prodotto, area geo, mercato)*;
- Dimensione delle unità organizzative elevata al vertice (per la scarsa interdipendenza e
l’elevata autonomia);
- Decisioni strategiche al vertice, e decisioni strategiche, direzionali e operative relative al
business alle divisioni;
- Gerarchia molto limitata;
- Organi di staff: Tecnostrutturasviluppata presso la direzione centrale per gestire la
standardizzazione degli output; Staff di supportosviluppo variabile;
- Relazioni di dipendenza gerarchiche (prevalentemente) e funzionali (tra staff centrali e
staff divisionali);
- Formalizzazione molto sviluppata all’interno delle divisioni;
- Sistema di pianificazione e controllo molto sviluppato per il coordinamento delle
divisioni; obiettivi globali (profitto);
- Incentivi: Rinforzo sui risultati globali;
- Meccanismi laterali: Sviluppo variabile.
Il meccanismo tipico di coordinamento è la standardizzazione degli output.
 Le forme divisionali si specializzano in base all’output:
 Prodotto (linea di prodotto);
 Area geografica;
 Mercato.
Criterio che esprime la diversità più critica
Si hanno divisioni in base:
1) Specializzazione in base all’output;
2) Indipendenza delle divisioni;
3) Responsabilità di profitto.
1) Specializzazione in base all’output: La divisione è responsabile di un output parziale;
2) Indipendenza delle divisioni: Riguarda la differenza che intercorre fra una concezione di
impresa come semplice somma delle parti che la compongono e una concezione di impresa come
sistema, e cioè come qualche cosa di più della semplice somma delle parti, in particolare
attraverso lo sfruttamento delle sinergie e delle economie di scala. La regolazione
dell’indipendenza delle divisioni riguarda due aspetti:

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- L’autonomia decisionale, e cioè la discrezionalità delle divisioni rispetto alla direzione centrale
(o il livello corporate), in altri termini il grado di decentramento;
- L’autosufficienza delle risorse nelle singole divisioni, nei confronti sia della direzione centrale
che delle altre divisioni.
Fra questi due aspetti intercorrono relazioni di vario tipo, nel senso che la discrezionalità
nell’uso delle risorse assegnate alle divisioni non è mai completa, mentre le divisioni possono
godere di discrezionalità anche elevata rispetto a risorse gestite a livello corporate o da altre
divisioni a beneficio di tutta l’impresa. Ad essere in gioco sono alcuni fondamentali TRADE-OFF
che esprimono anche le tensioni cui è soggetta la forma divisionale:
 Decentramento vs. controllo;
 Flessibilità vs. efficienza;
 Capacità di adattamento vs. coordinamento;
 Chiarezza delle responsabilità vs. sinergie.
Lo sviluppo degli staff centrali si collega con la scelta che viene compiuta.
L’autonomia delle divisioni: Per quanto riguarda l’autonomia delle divisioni se, in termini
generali, alle divisioni è attribuita l’autorità di gestire la linea di prodotti (l’area geografica, il
tipo di cliente) assegnata assumendo le conseguenti decisioni di natura strategica, direzionale e
operativa, in modo più specifico alla direzione centrale competono solitamente le decisioni che
attengono a:
- La formulazione della strategia;
- L’allocazione delle risorse finanziarie;
- L’assetto organizzativo;
- Soppressione/creazione divisioni;
- Sistema di controllo;
- Politiche funzionali;
- I responsabili divisionali;
- Interventi e controllo personali.
L’autosufficienza delle divisioni: L’autosufficienza delle divisioni riguarda il grado di
completezza delle risorse (funzioni) assegnate alle divisioni stesse. Si tratta di una decisione di
progettazione organizzativa molto importante perché incide sulla soluzione che viene data ai
trade-off descritti precedentemente. La diminuzione dell’autosufficienza compromette la
flessibilità, da un lato, ha effetti positivi sull’efficienza o sull’efficacia con cui vengono svolte le
funzioni e sullo sfruttamento delle economie di scala e di raggio d’azione.
Il problema dell’autosufficienza si pone tanto per le funzioni di carattere operativo o di line
quanto per le soluzioni di staff.
La soluzione, dati i termini del trade-off, può essere diversa per le varie funzioni. In termini
generali, a livello di direzione centrale dovrebbero essere gestite quelle funzioni (risorse) che:
- Sono comuni a più divisioni;
- Presentano elevati vantaggi di efficienza e di specializzazione se gestite su base
multidivisionale;
- Non assumono rilievo critico rispetto al funzionamento della divisione e ai suoi risultati.
Un’alternativa alla gestione di queste risorse da parte della direzione centrale è la loro
assegnazione a una divisione: si possono raggiungere gli stessi risultati in termini di efficacia ed
efficienza, ma si limita il ruolo della direzione centrale.
3) La responsabilità di profitto: di profitto delle divisioni e dei responsabili divisionali
rappresenta la terza caratteristica fondamentale delle forme divisionali. Le forme divisionali
comportano infatti una diffusione della responsabilità per una combinazione di ricavi e di costi.
Essendo le divisioni quasi sempre delle quasi-imprese, la responsabilità di profitto non è
‘’naturale’’ nella sua definizione e nei suoi contenuti come per le imprese che operano sul
mercato, ma è il risultato di decisioni di progettazione organizzativa. Anche i suoi effetti e la sua

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influenza sul comportamento dei responsabili divisionali dipendono da decisioni di


progettazione organizzativa.
Le principali decisioni riguardano:
- La regolazione dei trasferimenti interni;
- La scelta dell’indicatore di profitto;
- La valutazione del responsabile divisionale.
1) La regolazione dei trasferimenti interni:
 Intende quali trasferimenti considerare (what to worry about);
 Il prezzo di trasferimento da utilizzare e, quindi, come quantificare il costo per l’unità
che ‘’acquista’’ e il ricavo per quella che ‘’vende’’.
Con il tipo di prezzo di trasferimento vengono comunicate, indirettamente, ai
responsabili divisionali l’estensione della loro responsabilità quanto all’utilizzo
efficace ed efficiente delle risorse assegnate ad altri e la misura della loro possibilità
di influire sulle modalità di utilizzo di tali risorse (how much to worry about);
 Il tipo di relazione che intercorre fra ‘’fornitori’’ e ‘’utilizzatori’’, sinteticamente
riconducibile all’alternativa relazione obbligata (deve) o relazione libera (può);
 Il processo di scelta delle fonti di approvvigionamento e dei prezzi di trasferimento
che può essere accentrato (svolto dalla direzione centrale che ‘’impone’’ la propria
decisione)m autonomo (lasciato alle relazioni fra fornitori e utilizzatori), arbitrato
(la funzione centrale svolge la funzione di arbitro).
Si tratta di alternative e di decisioni importanti che possono portare a sistemi di
regolazione dei trasferimenti interni anche molto diversi e quindi a caratteristiche di
funzionamento delle forme divisionali altrettanto diversi.
2) La scelta del’indicatore di profitto: Dipende fortemente dalle modalità di regolazione dei
trasferimenti interni. Si può distinguere fra indicatori che non tengono conto del capitale
impiegato per produrre il profitto e indicatori che, invece, ne tengono conto (es. ROI, ROE,
ROA, EVA).
3) La valutazione del responsabile divisionale: Stabilire se la valutazione debba essere
legata solo agli obiettivi di profitto o se le basi di valutazione dei manager divisionali
debbano comprendere anche altri obiettivi, facendo attenzione anche ad altri
comportamenti.
Vantaggi relativi alle forme divisionali:
- Gestione di situazioni ad elevata complessità (dimensioni rilevanti e diversificazione): La
gestione di dimensioni anche rilevanti e di strategia di crescita fondate sulla
diversificazione della produzione. La soluzione divisionale opera una scomposizione
interna della complessità provocata dalla dimensione e dalla diversificazione, riducendo
le interdipendenze fra le parti (divisioni) rispetto alla forma funzionale burocratica. È
una soluzione per creare la piccola dimensione all’interno della grande dimensione;
- Orientamento verso risultati globali: Da un lato, aumenta il numero delle posizioni
organizzative alle quali sono attribuiti appunto obiettivi globali (le divisioni) e, dall’altro,
risultano più visibili (rispetto al caso in cui nelle stesse condizioni si adottasse una forma
funzionale burocratica) il collegamento e il contributo che le parti (funzioni) danno a tali
obiettivi;
- Migliore coordinamento fra funzioni: Una migliore, nel senso di efficienza ed efficacia,
allocazione di risorse, in particolare di quelle finanziarie legata al fatto che le forme
divisionali sono dei quasi-mercati, dove i meccanismi di allocazione sono più efficaci ed
efficienti non solo di quelli adottabili con una soluzione burocratica, ma anche rispetto al
mercato dei capitali: i risultati dei singoli business sono più visibili, la direzione centrale
può richiedere ed ottenere più informazioni che è anche più in grado di interpretare, le
sue possibilità di intervento sono più rapide e flessibili;

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- Sviluppo di competenze da general management e ‘’imprenditoriali’’: La riduzione della


perdita di controllo e l’aumento della razionalità delle decisioni.
La perdita di controllo diminuisce perché l’introduzione della divisionalizzazione
comporta:
a) Una diminuzione del volume delle info che passano in un certo canale;
b) Una minore lunghezza delle linee di comunicazione a seguito della riduzione del
numero dei livelli gerarchici;
c) Una minore rilevanza dei sotto-obiettivi nell’ambito delle singole divisioni dovuta alla
minore differenziazione, alla più probabile identificazione con gli obiettivi divisionali
e alla maggiore operatività degli obiettivi complessi rispetto a quelli cui le funzioni
danno il loro contributo.
L’aumento di razionalità deriva sia dal minore sovraccarico del vertice, sia
dall’articolazione delle responsabilità strategiche con l’intervento della direzione
centrale e delle divisioni, sia dalla maggiore diffusione dell’orientamento al profitto.

Svantaggi relativi alle forme divisionali:


- Sovradimensionamento, la ‘’patologia del guscio vuoto’’: Sovraespandersi.
Capitalizzazione complessiva d’azienda, ossia, vale di meno l’intera azienda di quanto
valgono le singole divisioni;
- L’orientamento al breve termine: Per i responsabili divisionali esso deriva dal tipo di
responsabilizzazione che caratterizza le forme divisionali; per la direzione centrale, in
modo complementare, assumono rilievo i meccanismi valutazione e di controllo delle
divisioni;
- Le inefficienze e la perdita di specializzazione;
- Una conflittualità eccessiva o molto elevata: ‘’Balcanizzazione’’La concorrenza fra
divisioni può risultare distruttiva;
- Costi di agenzia molto elevati.
I tipi di forme divisionali:
- SOLUZIONI COOPERATIVE (Sinergie): Si collegano alle esigenze di condivisione delle
risorse o di trasferimento di know-how fra business. Ad essere perseguiti sono
tipicamente i vantaggi derivanti dalle economie di raggio di azione che comprendono sia
la condivisione di risorse sia il trasferimento di capacità. Lo sfruttamento di economie di
raggio di azione richiede coordinamento, che può essere realizzato con meccanismi che
sono diversi anche in relazione al diverso contenuto delle economie di raggio di azione;
- SOLUZIONI COMPETITIVE (Mercato interno dei capitali): Si collegano al ‘’fallimento’’ del
mercato esterno dei capitali nel realizzare un’allocazione efficiente delle risorse e nel
sanzionare i manager delle imprese che danno basse performance e, quindi, ai vantaggi
derivanti dalla creazione di un mercato interno dei capitali. Non sono quindi rilevanti la
condivisione delle risorse e il trasferimento delle capacità.
La distinzione si fonda sui benefici perseguiti attraverso la strategia adottata.
Le soluzioni cooperative e le soluzioni competitive si differenziano per: il grado di
accentramento, il grado di centralizzazione delle risorse, il ricorso ai meccanismi di
coordinamento ulteriori rispetto alla standardizzazione degli output, basi di valutazione diverse
dal profitto, incentivazione sui risultati di impresa.
Nel caso delle soluzioni cooperative questi valori sono alti, contrariamente, riguardo alle
soluzioni competitive, i valori sono bassi.
LA FORMA A MATRICE

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La forma a matrice si caratterizza per l’adozione simultanea (e non su livelli gerarchici diversi)
di due (o più) criteri di specializzazione e per il collegamento a ciascuno di tali criteri di una
linea di autorità gerarchica, con la conseguente rinuncia esplicita al tradizionale principio
dell’unità di comando.
Il vertice, a livello di impresa, corrisponde al direttore generale.
I manager sono preposti alle dimensioni o assi della matrice.
I manager sottoposti a due (o più capi) sono figure che, pur appartenendo e dipendendo, per
esempio, da una funzione, dipendono anche da un manager responsabile del conseguimento di
un risultato interfunzionale.
Esigenza della forma a matrice è garantire il bilanciamento fra le dimensioni della matrice.
Per realizzare tale bilanciamento, è necessaria la duplicazione di tutti i meccanismi di
coordinamento, oltre all’autorità gerarchica: in particolare il sistema di pianificazione e
controllo (nel senso che accanto agli obiettivi legati alle funzioni vi deve essere l’elaborazione di
obiettivi legati alla dimensione dell’output) e il sistema di ricompensa (gli incentivi debbono
essere basati sia sui risultati o sui comportamenti relativi alle funzioni che su quelli relativi alla
dimensione dell’output). In assenza di questa duplicazione si avrebbe uno sbilanciamento della
matrice, nel senso di una maggiore influenza della dimensione che ‘’dispone’’ di più meccanismi
di coordinamento.
Nella forma a matrice vengono duplicati tutti i meccanismi di coordinamento. Questo significa
che, la forma a matrice ha due o più dimensioni, o meglio le unità organizzative corrispondenti,
sono collocate tutte su uno stesso livello, tutte dispongono di autorità gerarchica (quindi non vi è
unità di comando) e di una eguale influenza.
Questa caratterizzazione qualifica anche le condizioni nelle quali la forma a matrice è efficace
ed efficiente: ciò si verifica quando le dimensioni o le variabili critiche espresse dai criteri di
specializzazione hanno una eguale criticità.
Quando si è in presenza, da un lato, di tecniche indivisibili (che comportano elevate economie di
scala) e complesse (che implicano tempi di apprendimento lunghi) e, dall’altro, di un’elevata
differenziazione ed interdipendenza, in condizioni di elevata incertezza, fra le funzioni o
specializzazioni rispetto all’output; oppure quando l’esigenza di un orientamento multiplo
deriva dalla necessità di rispondere simultaneamente con una eguale attenzione alla
concorrenza sulle linee di prodotto, da un lato, e alle differenze dei diversi mercati o aree
geografiche, dall’altro.
Riassumendo le caratteristiche della forma a matrice:
- Criterio di specializzazione input-output ed output-output;
- Dimensione delle unità organizzative piccole;
- Decentramento elevato;
- Gerarchia poco sviluppata;
- Doppie dipendenze gerarchiche (sdoppiamento meccanismi di coordinamento);
- Organi di staff: Tecnostrutturasviluppata per gestire il sistema di pianificazione e
controllo. Staff di supportovariabile;
- Formalizzazione significativa per quanto attiene al funzionamento della matrice;
- Sistema di pianificazione e controllo duplice;
- Indottrinamento importante per allineare gli obiettivi;
- Incentivi duplici;
- Meccanismi laterali molto sviluppati.
Le variabili critiche esplicitate dalla forma a matrice possono essere diverse per:
- Tipo: Sono possibili matrici input-output o matrici output-output;
- Numero: Nel senso che le dimensioni possono essere in numero superiore a due.
Vantaggi matrice input-output:

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- Specializzazione ed efficienza, da un lato, e coordinamento rispetto agli output, dall’altro,


che ripropongono, rispettivamente, i principali vantaggi della forma funzionale
burocratica e uno dei principali vantaggi della forma divisionale;
- Motivazione e sviluppo delle persone, legati sostanzialmente alla possibilità, da un lato, di
vedere e do realizzare il raccordo fra contributo specialistico e risultato, conservando la
base e il riferimento specialistico e, dall’altro, di contribuire a decisioni che in altre
soluzioni organizzative sono solitamente assunte a livelli superiori. A questo si può
aggiungere la maggiore ampiezza della valutazione che viene compiuta da prospettive e
da attori diversi.
Svantaggi matrice:
- I problemi di potere, in particolare il suo bilanciamento. Garantire il bilanciamento è
fondamentale per evitare che una dimensione prevalga sull’altra con la conseguente
perdita, anche se parziale, dei vantaggi legati alla dimensione che ‘’soccombe’’;
- I conflitti fra unità organizzative che coprono diverse dimensioni (conflitti fra le unità
appartenenti a dimensioni diverse), oltre che al tradizionale conflitto fra le unità
organizzative che coprono una certa dimensione organizzativa;
- I problemi attinenti alle persone, riconducibili in larga misura all’ambiguità insita nella
forma a matrice;
- I costi che, per una parte, sono la traduzione economica dei problemi precedenti e, per
un’altra, derivano dalle caratteristiche stesse della forma a matrice: due (o più) linee di
posizioni la cui eguale importanza ha effetti anche sulle retribuzioni; la
multidimensionalità del sistema di pianificazione e controllo e del sistema di ricompensa.
Una matrice di successo deve essere fatta crescere e non installata.
Il problema non è tanto quello di introdurre una forma a matrice quanto piuttosto di creare una
matrice nella mente dei manager.
 Variabili organizzative
 Caratteristiche personali
 Cultura organizzativa
LE FORME A PROGETTO
Il progetto è la combinazione di risorse umane e non, riunite in una organizzazione temporanea,
per realizzare un output unico, con risorse limitate.
Le caratteristiche distintive di un progetto sono:
- Unicità dell’output e della realizzazione;
- Temporaneità pianificata;
- Finalizzazione chiara ed esplicita: Gli obiettivi devono essere chiari ed espliciti;
- Incertezza: Il progetto comporta una differenza anche elevata fra informazioni
necessarie e informazioni disponibili;
- Multidisciplinarietà fortemente integrata: Il progetto richiede competenze specialistiche
diverse che debbono però essere fortemente integrate;
- Rilevanza o criticità: Il progetto ha una forte rilevanza rispetto alla strategia
dell’impresa.
Se la temporaneità, intesa come conoscenza ex-ante della data di conclusione del progetto, è
tipica di ogni progetto, le altre caratteristiche possono essere presenti in misura diversa.
La gestione per progetti si è affermata come una ‘’logica gestionale e direzionale’’. A qualificare
un’attività come progetto concorrono non solo gli attributi intrinseci dell’attività stessa ma
anche le modalità secondo viene deciso di considerare e di trattare una certa attività.
Dalle caratteristiche sopra indicate consegue che, in termini di variabili chiave, il progetto è
un’attività che presenta incertezza non bassa, interdipendenze non semplici e non scarse,
differenzazione elevata e, quindi, esigenze di coordinamento a cui una forma funzionale

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burocratica (o anche professionalmente) non è in grado di rispondere in modo efficace ed


efficiente.
Le condizioni di efficienza ed efficacia sono:
- Incertezza elevata;
- Interdipendenze elevate;
- Differenziazione elevata.
Sono tutte esigenze di coordinamento non soddisfacibili dalla forma funzionale burocratica (o
professionale).
Esistono 3 forme a progetto distinte:
- La forma per progetto debole: Conserva sul piano della specializzazione la base
integratore. Quindi crea un responsabile unico per il progetto, rende ‘’visibile’’ il progetto
stesso, assicura specializzazione ed efficienza, adotta un meccanismo specifico e anche
potente di coordinamento , e non comporta, almeno sul piano formale, profonde
modifiche dell’organizzazione esistente. Peraltro pone i problemi che abbiamo già visto
con il product manager: lo sbilanciamento fra autorità e responsabilità, la difficoltà di
assicurare il rispetto dei tempi e dei costi del progetto, l’accettabilità e l’accettazione di
forme di influenza laterali e gerarchiche;
- La forma per progetto forte: Affianca alla parte dell’azienda organizzata per funzioni
una parte dedicata esclusivamente al progetto: quest’ultima trae le risorse dalla prima a
cui le ritorna dopo il completamento del progetto. Pertanto, con questa soluzione, la
responsabilità per il progetto assegnata al project manager risulta, rispetto alle altre
soluzioni, bilanciata o più bilanciata con l’autorità che gli viene attribuita, si ha unicità di
dipendenza (le risorse dipendono dalle funzioni o dal progetto), le linee di comunicazione
relative al progetto sono più corte e si sviluppano una maggiore lealtà e identificazione
con il progetto. Peraltro, con questa soluzione, la responsabilità per il progetto assegnata
al project manager risulta, rispetto alle altre soluzioni, bilanciata o più bilanciata con
l‘autorità che gli viene attribuita, si ha una unicità di dipendenza, le linee di
comunicazione relative al progetto sono più corte e si sviluppano una maggiore lealtà e
identificazione con il progetto. Peraltro, la creazione di una unità autosufficiente può
comportare inefficienze e problemi di specializzazione, genera difficoltà per il personale,
da luogo a problemi per quanto riguarda la chiusura del progetto;
- La forma per progetto a matrice: Ripropone le caratteristiche della forma a matrice,
soprattutto per quanto riguarda l’attribuzione dell’autorità gerarchica sulle risorse sia ai
manager funzionali sia al project manager.
Al project manager spetta l’autorità su che cosa deve essere fatto, per quando deve essere
fatto e con quale budget; al secondo spetta autorità sul come il task deve essere svolto,
quando deve essere svolto e su chi lo deve realizzare.
La forma per progetto più efficace ed efficiente dipende ovviamente dalle caratteristiche del
progetto e del contesto in cui viene realizzato.
All’aumentare della criticità del progetto per l’impresa, della sua novità (incertezza) e
dell’interdipendenza da coprire diviene conveniente passare dalla forma debole alla orma forte.
In particolare, con la forma forte: gli obiettivi del progetto ricevono la massima attenzione
rispetto a quelli delle funzioni; si orienta maggiormente l’applicazione delle competenze
specialistiche al problema, evitando anche il pericolo di applicare soluzioni già note; la gestione
dell’elevata interdipendenza risulta più efficace. Nella forma forte lo sfruttamento delle
economie di scala e la saturazione delle risorse sono più bassi rispetto alle altre soluzioni e
quindi anche l’efficienza è minore.
Nella stessa prospettiva di efficienza vanno considerati i costi necessari per introdurre una
forma per progetto che assumono rilievo rispetto alla durata del progetto stesso: non

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comportando modifiche profonde dell’organizzazione esistente, la forma per progetto debole è


la soluzione che comporta i minori costi di cambiamento.
La scelta della forma per progetto più efficace ed efficiente va fatta considerando
congiuntamente l’insieme dei fattori rilevanti; il ragionamento condotto considerando un
singolo progetto va completato prendendo in esame gli altri progetti sia in corso di realizzazione
sia già realizzati.
LE NUOVE SOLUZIONI ORGANIZZATIVE
Negli ultimi decenni si sono sviluppati una moltitudine di nuove forme organizzative, quali
alcune:
- Virtuale; - Individualizzata;
- Vuota; - Cluster;
- Cellulare; - Rete;
- Trifoglio; - Senza confini;
- Federale; - Orizzontale;
- Post moderna; - Flessibile;
- Intelligente; - Agorà.
Le nuove soluzioni organizzative vanno collegate a mutamenti nell’ambiente, nella strategia,
nella tecnica e nelle variabili chiave che descrivono la natura delle attività.
In particolare, l’esigenza di nuove forme organizzative viene spiegata dalla convergenza di più
fenomeni:
- Economici (la competizione fra economie, forte differenziazione e dinamicità);
- Tecnologici (‘’rivoluzione’’ tecnologica).
Riassumono e qualificano ulteriormente l’esigenza di nuove soluzioni organizzative il richiamo
all’iper competizione; l’importanza dell’innovazione e quindi della conoscenza, e delle capacità
di collaborazione sia intra-organizzativa che inter-organizzativa; il passaggio da un’economia
‘’fisica’’ a un’economia ‘’ad alta intensità di informazioni’’ dove non è necessario essere
proprietari di un bene per poterlo utilizzare e dove il potere si sposta dal possesso di asset e
input tangibili a quello della conoscenza e delle informazioni.
Le caratteristiche comuni a tutte le forme nuove organizzative sono:
- La riduzione del numero dei livelli gerarchici;
- Il decentramento, sia operativo che strategico, e l’empowerment, per avvicinare il punto
in cui si prendono le decisioni a quello dove sono disponibili le info rilevanti;
- La scomposizione in unità semi-indipendenti o relativamente autonome;
- L’utilizzo di una vasta gamma di meccanismi di coordinamento;
- Il ricorso a pratiche di gestione del personale volte sia a supportare le caratteristiche
precedenti che a mantenere l’integrazione a livello di organizzazione;
- L’importanza di relazioni interorganizzative fondate sulla collaborazione.
In modo sintetico, queste caratteristiche possono essere ricondotte a tre dimensioni:
1) Cambiamenti nella struttura (riduzione del numero di livelli, decentramento strategico e
operativo, soluzioni temporanee per progetto);
2) Cambiamenti nei processi (per facilitare le comunicazioni e lo scambio di info e nella
gestione delle risorse);
3) Cambiamenti nei confini (focalizzazione sulle competenze core e quindi ridisegnando i
confini in modo da comprendere solo le attività che danno luogo o che supportano il vero
vantaggio competitivo).
Dall’insieme di queste caratteristiche, si possono ricavare sintesi sulle nuove soluzioni: tali forme
esprimono una attenuazione dei confini sia interni che esterni e sottolineano l’importanza di una
progettazione organizzativa che si estenda anche ai rapporti interorganizzativi. Le nuove
soluzioni pongono l’accento sui processi e sulle persone. Nel contempo emerge un maggiore

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collegamento fra organizzazione e creazione del valore nel senso che l’organizzazione è
diventata una nuova variabile strategica, la fonte di un vantaggio competitivo sostenibile.
Vi sono due modalità di trattamento della molteplicità di nuove soluzioni organizzative:
- Quella che porta all’individuazione di una o più nuove forme di organizzazione;
- Quella che si fonda sull’utilizzo del concetto di complementarietà.
Un esempio interessante di nuova forma organizzativa è costituito dalla forma a N (da Network)
di Perrone. Altra forma nuova è quella ambidestra.
Rappresentazione della forma a N:

 A caratterizzare la forma a N concorrono, da un lato, la centralità dell’azienda e il


sistema di relazioni che la legano ad altre aziende e, dall’altro, il fatto che la sua
efficacia deriva dalla armonizzazione di una doppia rete: la rete interna e la rete
esterna. Armonizzare significa che è necessario curare la compatibilità e
l’interdipendenza fra rete interna e rete esterna.
 La forma ambidestra muove dai limiti insiti nella ricerca delle forme e propone di
sfruttare il concetto di complementarietà.
I principali limiti del ricorso alle forme (o configurazioni) attengono a:
- La varietà: Considerate solo le combinazioni più ricorrenti di variabili di specializzazione
e di meccanismi di coordinamento;
- Il conservatorismo: Viene razionalizzato solo ciò che è già stato scoperto nella pratica;
- La creazione di valore: Sono gli scostamenti rispetto alle forme ‘’standard’’ che generano
vantaggio e valore;
- L’applicabilità: Le forme limitano grandemente le possibilità di scelta e di progettazione
organizzativa.
La complementarietà sfrutta la possibilità di combinazione fra le diverse variabili organizzative
e le loro variazioni, tenendo conto che l’effetto sulla performance è però espressione della loro
presenza combinata.
Approccio combinativo: elementi e pratiche organizzative:

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Quindi, invece che tentare di identificare poche alternative, si tratta di sfruttare le differenti
possibilità di combinazione, valorizzando la capacità di progettare nuove soluzioni, ed evitando
di valutare comparativamente un numero limitato di soluzioni consolidate.
Un importante contributo in questo senso è dato da Grandori e Funari che identificano le
pratiche organizzative che stanno alla base della generazione delle soluzioni organizzative e le
raggruppano in quattro tipi di elementi: mercato, burocrazia, comunità e democrazia.
La soluzione organizzativa è una ‘’formula’’ caratterizzata dalla presenza di elementi e delle
pratiche ad essi associate; questa combinazione di elementi e di pratiche deve rispondere alle
seguenti regole:
- Varietà degli elementi: Affinché una combinazione organizzativa raggiunga elevati livelli
di performance è necessaria la presenza di almeno una pratica appartenente a ciascun
tipo di elemento;
- Rendimenti marginali decrescenti all’aumentare della omogeneità e anche della varietà
degli elementi: L’aumento dell’intensità di uno stesso elemento ma anche l’aumento
dell’intensità di tutti gli elementi danno rendimenti marginali decrescenti e, oltre un
certo punto, negativi. Dall’altro lato una eccessiva varietà può generare
complementarietà negative in quanto le persone hanno limiti cognitivi e
comportamentali nel rispondere a richieste molto forti e diverse. Inoltre
l’implementazione di un numero elevato di pratiche comporta costi elevati;
- Eterogeneità strutturale: Il livello ottimo di presenza di ciascun elemento, nel rispetto dei
limiti minimi e massimi indicati, è contingente al tipo di performance attesa. Garantita la
presenza di tutti gli elementi, elevati livelli di efficienza richiedono una maggiore
intensità della ‘’burocrazia’’, mentre elevate performance di innovazione richiedono una
maggiore intensità degli altri elementi. Una prima verifica empirica ha indicato che
l’aumento di intensità deve interessare il ‘’mercato’’ o la ‘’comunità’’, oppure entrambi;
inoltre se vengono perseguiti sia obiettivi di efficienza che di innovazione è necessario
unire queste due indicazioni.
I preliminari riscontri empirici dell’approccio combinativo arricchiscono gli studi sulla
complementarietà ponendo le basi per un ulteriore sviluppo sul piano teorico dell’analisi delle
nuove soluzioni organizzative.

Sintesi:
Le forme organizzative rappresentano dei cluster ‘’ricorrenti’’ e ‘’tipici’’ di scelte di
specializzazione e di coordinamento, efficaci ed efficienti in determinate situazioni. Si tratta
quindi di un insieme coerente di variabili organizzative (coerenza interna), coerente anche

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rispetto ad una specifica situazione in termini di ambiente, strategia e tecnica, variabili chiave
(coerenza esterna).
Come ideal tipi divenuti nel tempo, le forme delimitano lo ‘’spazio’’ delle soluzioni organizzative
possibili, potendo le soluzioni effettive avvicinarsi, senza coincidere, ad uno dei punti che
delimitano questo spazio.
Le nuove forme organizzative possono comportare un approccio diverso da quello fondato sulla
ricerca di forme o configurazioni.

LA PROGETTAZIONE ORGANIZZATIVA
Nel progettare l’organizzazione vi sono due tipologie di logiche di progettazione:
1) Metodo sintetico;
2) Metodo analitico.
Sono due metodologie di progettazione alternative tra loro, ma entrambe condividono la
prospettiva di fondo, di tipo epistemologica organicistica (concezione di organizzazione come
organismo).
Caratteristiche comuni di queste due logiche sono (processo):
1) La realtà si presenta come un dato oggettivo: Si può spiegare attraverso un’osservazione
sistemica;
2) L’osservazione sistematica viene trasformata in ipotesi e sottoposta a test empirici
(metodo scientifico);
3) Se le ipotesi sopportano i test empirici consentono di formulare generalizzazioni e leggi e
di fornire indicazioni di progettazione.
- Il metodo sintetico può, pur rifacendosi ad una prospettiva oggettivista e ad una logica
organicista, essere ricondotta alla teoria delle contingenze, secondo cui, la progettazione
è identificazione di relazioni causali tra fattori contingenti e dimensioni strutturali.
Inoltre, la progettazione obbedisce ad un imperativo di adattamento e affonda le radici in
un paradigma teorico funzionalista. Per funzionalista si intende che la progettazione, per
perseguire obiettivi di efficienza ed efficacia, deve adattarsi all’ambiente. Galbraith,
padre di questa linea di progettazione, definita metodo sintetico, afferma che
‘’l’organizzazione è l’insieme di persone e di gruppi che hanno il fine di raggiungere
obiettivi condivisi attraverso divisione del lavoro e processi decisionali’’.
- Il metodo analitico, invece, non affonda le sue origini nella teoria della contingenza come
il metodo sintetico, ma bensì nella teoria dei costi di transazione. Quest’ultima condivide
con la teoria delle contingenze una logica deterministica ed una concezione reificata del
sistema (una contrapposizione tra soggetto ed oggetto).
-
1- LA LOGICA DI PROGETTAZIONE DEL METODO SINTETICO
Su un piano teorico individuiamo due fasi di progettazione distinte e sequenziali, ossia
l’individuazione dei criteri di raggruppamento delle attività e la valutazione di pregi e difetti
delle forme organizzative che ne derivano.
I 6 CRITERI DI RAGGRUPPAMENTO DELLE ATTIVITA' (non sono da seguire
complementariamente ma da scegliere distintamente):
1. La suddivisione in base al numero degli esecutori delle attività;

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2. La suddivisione in base alla specializzazione tecnica necessaria allo svolgimento delle attività;
3. La suddivisione in base alla attrezzatura utilizzata nello svolgimento delle attività;
4. La suddivisione in base al prodotto;
5. La suddivisione in base all'area geografica;
6. La suddivisione in base alla tipologia di cliente.
I criteri di raggruppamento sono raggruppabili in due insiemi:
1) Input: Criteri di specializzazione tecnica necessaria allo svolgimento della attività o alla
tecnologia usata per svolgere specifiche attività. Questi sono criteri efficaci ed efficienti
per la gestione delle risorse interne. Quando prevalgono le scelte di raggruppamento in
base agli input abbiamo una specifica FORMA FUNZIONALE;
2) Output: Facciamo riferimento ai prodotti, all’area geografica, alla tipologia di cliente.
Questi sono particolarmente efficaci ed efficienti per la gestione delle relazioni esterne.
Qui avremo, invece, una organizzazione a FORMA DIVISIONALE.

LA FORMA FUNZIONALE

All’apice c’è una figura apicale, e poi l’organizzazione è rappresentata come un insieme di
funzioni legate al vertice, relazionate verticalmente e gerarchicamente con un’unità superiore.
La forma funzionale è preferibile quando:
1) La specializzazione tecnica sarà alta e quindi genererà alti costi nel caso in cui la si voglia
duplicare → la formula funzionale, in questo caso, garantisce economie di specializzazione ed
economie dimensionale;
2) è preferibile adottare una forma funzionale anche nel caso in cui le interrelazioni tra attività
sono riferite a prodotti diversi ma allo stesso tempo tali interrelazioni sono molto forti (es.:
quando si producono prodotti diversi come libri, giornali, riviste e poster ma la progettazione di
tutti questi prodotti e' comune e si ha la possibilità di sfruttare gli stessi canali di vendita. In
questo caso la forma funzionale gestisce meglio le correlazioni tra prodotti).

LA FORMA DIVISIONALE

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Simile alla forma funzionale ma la divisione non avviene per funzioni, ma per area geografica,
clienti o prodotti.
Il raggruppamento delle attività della nostra impresa non è basata su input, ma su output.
La forma divisionale è preferibile quando:
La diversificazione dei nostri prodotti e' talmente alta e il tasso di innovazione dei prodotti e'
talmente differente che e' necessario presidiare attraverso la forma organizzativa la diversità di
ciascun prodotto.
La forma divisionale diventa preferibile perchè la duplicazione delle strutture dedicate e quindi
l'aumento dei costi di specializzazione sono compensati dalla diminuzione dei costi di
coordinamento interno alle unità organizzative.
La stessa cosa potremmo dire per quanto riguarda area geografica e tipologia di cliente.

La Scelta se adottare una forma piuttosto che un'altra si dovrà basare su una serie di variabili
quali linee di prodotti, interdipendenza tra unità organizzative, livello tecnologico, economie di
scala e dimensione d'impresa.
Ciò significa che non esiste una forma migliore di un'altra in assoluto ma, coerentemente con la
concezione di organizzazione organicista, si dovrebbe individuare l'organizzazione più adeguata
rispetto all'ambiente in cui l'organizzazione si colloca.
Concludendo, i vantaggi del metodo sintetico sono: metodo semplice e intuitivo e alto potenziale
di applicabilità.

2- LA LOGICA DI PROGETTAZIONE DEL METODO ANALITICO


Al metodo sintetico si contrappone il metodo analitico.
Il metodo analitico nasce durante un’esperienza didattica, quindi come ricerca sul campo.
La madre fondatrice di questo metodo è la Grandori alla fine degli anni ’80.
Caratteristiche di questo metodo sono:
1) Ci si focalizza sulla progettazione organizzativa;
2) La prospettiva di analisi della progettazione organizzativa è di natura economica.
Il metodo analitico è una teoria organizzativa. Consiste nel valutare e confrontare le soluzioni
tra loro, puntando alla minimizzazione dei costi di aggregazione e separazione delle attività.
Per valutare i costi vengono presi in esame tutti i costi di coordinamento e di controllo (costi
legati a specializzazione, apprendimento e scala), presi tutti insieme.

Gli Step Del Metodo Analitico Sono 5:

1. Individuazione Delle Attività Elementari


Le attività elementari sono quell'insieme di operazioni correlate per il raggiungimento di un
risultato operativo. E in questa definizione c'e' un evocazione del concetto dell'operazione

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unitaria dell'approccio socio-tecnico. Il livello attraverso cui noi individuiamo le attività


elementari e' un livello convenzionale (può essere un livello micro, meso, macro).

2. Analisi Delle Relazioni Tra Attività:


Tale analisi è condotta attraverso variabili esplicative, alcune delle quali sono elementi cardine
della teoria organizzativa (interdipendenze, specializzazioni, incertezza).
1) Il concetto di interdipendenza, cioè la valutazione del tipo di relazione che intercorre tra
le attività, è assolutamente pervasivo nello studio dell’ organizzazione. Il tipo di
cooperazione che intercorre tra un’attività e un altra può essere di tipo sequenziale
(relazione di scambio seriale e unidirezionale tra le parti dell’organizzazione per cui
l'output di una parte rappresenta l'input dell'altra), reciproca (relazione bidirezionale
che si manifesta sotto forma di duplice interdipendenza sequenziale incrociata per cui
l'output di una parte rappresenta l'input della altra e viceversa), generica (relazione di
accumulazione che si stabilisce tra due parti dell'organizzazione per il solo fatto che dal
loro contributo dipende il risultato complessivo del sistema o che utilizzano risorse
comuni), intensiva (relazione di interazione dove le parti definiscono autonomamente le
azioni da compiere e giungono ad una azione comune);
2) Per analisi della specializzazioni, intendiamo la valutazione delle affinità tecniche e
cognitive delle diverse attività. Per affinità tecniche intendiamo le conosce tecniche
professionali, ma anche le conoscenze tacite richiesto per lo svolgimento di una attività.
Riguardo alle affinità cognitive, dovremmo individuare quali sono le identità-diversità di
attitudini e atteggiamenti di coloro che sono chiamati a svolgere le attività. Dobbiamo
quindi valutare l'affinità sulla base dell'omogeneità/disomogeneità;

3) Per incertezza intendiamo la valutazione del differenziale di incertezza che caratterizza


le differenti attività. Inoltre, viene definita come fondamentale l'individuazione delle
incertezze critiche (l'incertezza diventa critica quando produce effetti a valle);
4) L’ ultima variabile presa in considerazione riguarda la valutazione della compatibilità
degli obiettivi delle diverse attività. E’ estremamente importante valutare che due
obiettivi non siano in conflitto tra di loro.

3. Analisi Delle Variabili Residuali


Le variabili residuali sono tutte le variabili non riferite alle relazioni tra attività. Parliamo sia di
relazioni sociali (le relazioni interpersonali tra soggetti), sia di dimensioni delle unità risultanti
(la grandezza che si ottiene aggregando le attività a valle dell'analisi).

4. Opzioni Di Aggregazione e Analisi Comparata Delle Alternative


Consiste nell’aggregare le attività che abbiamo analizzato, costruire le diverse alternative che
abbiamo di fronte e scegliere quale orientamento dell'aggregazione seguire.
L'orientamento dell'aggregazione può seguire diversi criteri:
A) L'aggregazione può tendere a massimizzare l’intensità delle interdipendenze interne alle unità e
minimizzare quelle esterne;
B) Minimizzare la differenziazione delle specializzazioni interne ad ogni unità e massimizzare la
differenziazione esterna (tra unità diverse);
C) Minimizzare il differenziale di incertezza interna ad ogni unità;
D) Non devono essere aggregate attività con interessi in conflitto (principio di contenimento dei
costi di coordinamento);
E) Non devono essere aggregate attività che coinvolgono soggetti che hanno relazioni
interpersonali non positive;

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F) La dimensione delle unità deve essere tale che l'incremento del costo marginale di controllo
eguagli la riduzione dei costi marginali di coordinamento. Una volta fatta l'analisi delle attività
devono essere valutate le possibili soluzioni, e i vantaggi e gli svantaggi che ne derivano.

5. Progettazione Dei Meccanismi Di Coordinamento


Una volta progettate le unità attraverso l'analisi delle attività dei costi, lo spostamento del focus
si sposta sui meccanismi di coordinamento inter unità.

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