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Kaneklin - Riassunto Conoscere l'organizzazione

Psicologia del lavoro e delle organizzazioni (Università degli Studi di Genova)

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CONOSCERE L’ORGANIZZAZIONE

Cap. 6 La formazione psico-sociologica in Italia

Tema di ricerca dominante  il cambiamento individuale e organizzativo, con le


possibili connessioni tra di essi.

Lo psico-sociologo fonda il proprio operato su una lettura della realtà costruita


attraverso connessioni tra stimoli provenienti da diverse discipline (psicoanalisi,
sociologia, antropologia, epistemologia, psicologia sociale), producendo nuove reti di
significato con un approccio multi-disciplinare.

In Italia la psico-sociologia ha origine nel 1961 con Enzo Spaltro e l’Associazione per la
psicologia italiana del lavoro; la formazione psico-sociologica si qualifica essenzialmente
come tecnica di conduzione di gruppi (scoperta del gruppo e delle tecniche di gruppo).

Già allora risultava evidente che le persone sul lavoro sviluppano abitudini di relazione
tra loro, con il loro lavoro, con le regole aziendali e che portano nel lavoro la loro storia
individuale, le esperienza passate e presenti all’interno del gruppo, bisogni da
soddisfare: tutto ciò – secondo Kaneklin, 1976 – interviene nell’attribuzione di
significato dei comportamenti delle persone.

Una delle caratteristiche della produzione industriale è quella del lavoro associato in
gruppi: nella cooperazione in gruppo vengono risolti molti conflitti e, automaticamente
con essi, alcuni dei principali problemi di produzione.

L’obiettivo della formazione che ha come strumento e luogo di lavoro il gruppo è


aumentare le capacità relazionali, la sensibilità nell’utilizzo delle risorse umane e nella
conduzione di gruppi. La formazione psico-sociale viene definita come quell’esperienza
centrata sull’analisi della relazione di gruppo e dei fenomeni di interazione allo scopo di
affinare le capacità di comprensione delle relazioni interpersonali (che costituiscono il
tessuto sociale in cui ognuno si trova a vivere e lavorare).

Referenti dei progetti formativi entro le aziende sono i lavoratori.

Lo strumento principale di tale formazione è il T-Group elaborato da Kurt Lewin negli


anni ’40: un seminario residenziale di lunga durata, con più gruppi, partecipanti
sconosciuti tra loro, un conduttore con comportamenti di attesa (silenzi e
rispecchiamenti). Nel T-Group veniva sospeso ogni scopo produttivo e l’attenzione era
rivolta alla sperimentazione e all’analisi dei fenomeni di interazione, delle modalità di
interazione dei singoli nell’hic et nunc del seminario. A Lewin si riconoscono 2 contributi
fondamentali:

 
 

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 l’applicazione del metodo sperimentale alla psicologia dei gruppi


 la dimostrazione che l’essere gruppo è qualcosa di più dell’insieme dei singoli
individui che lo compongono

L’intento è dimostrare che il gruppo è una dimensione non solo sociologica, ma anche
psichica dell’individuo: occorre considerare il gruppo come una fase indispensabile nella
maturazione psichica dell’individuo. Il soggetto dinanzi al gruppo deve rinunciare
definitivamente all’onnipotenza infantile e aprirsi alla dimensione sociale ovvero a un
modo di essere in relazione con una pluralità. L’esperienza di gruppo consentirebbe una
maturazione e giocherebbe un ruolo di primaria importanza nella dinamica psichica della
sicurezza e della colpa permettendo più alti livelli di consapevolezza.

Non esiste attività lavorativa che non sia attività di gruppo (Mayo).

Per Moreno il gruppo è terapeutico, poiché consente l’acquisizione della capacità di


inventare e giocare ruoli diversi adattati alle molteplici situazioni.

A partire dal 1965 inizia un focus sul cambiamento  la formazione inizia a essere
progettata come mezzo di cambiamento e innovazione in un contesto organizzativo.
L’obiettivo della formazione psico-sociologica – oltre alla sensibilizzazione alle dinamiche
di gruppo – mira ad ottenere un cambiamento individuale e sociale. La strategia per
provocare il cambiamento mediante il gruppo viene concettualizzata in termini lewiniani:
si tratta di turbare l’equilibrio di forze che mantiene una determinata auto-regolazione, il
che spinge il gruppo a cercarne una nuova. Dato l’assunto di un gruppo come totalità
dinamica che tende all’equilibrio, le tappe di evoluzione di ogni gruppo sociale sono:

 il disgelo
 la trasformazione
 il consolidamento della vita del gruppo a un nuovo livello

Per ottenere un cambiamento organizzativo è necessario e sufficiente formare individui


che fungano da agenti di cambiamento entro l’organizzazione  obiettivo della
formazione psico-sociologica.

Il materiale su cui lavora il conduttore è l’immaginario dei partecipanti e suo compito è


evidenziare i meccanismi profondi e il modo in cui questi influiscono sulle dinamiche di
gruppo. Il processo di cambiamento viene prefigurato come un processo aperto, senza
mete ideali da raggiungere.

 
 

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La psico-sociologia italiana si costituisce verso la fine degli anni ’70 come disciplina che
si occupa di processi di cambiamento sociale, quindi di organizzazioni sociali in un’ottica
di ricerca-intervento al fine di favorire un loro cambiamento e innovazione, nel senso di
una maggior partecipazione interna. I luoghi dell’intervento sono le situazioni micro
sociali (gruppi temporanei o duraturi) che di fatto funzionano da mediatrici tra la
dimensione individuale e la dimensione collettiva.

Il gruppo è anche strumento di collegamento tra il mondo mentale e sociale esterno, tra
il mondo affettivo e cognitivo, quale strumento di modifica del mondo esterno
(Kaneklin, 1976).

Attorno agli anni ’70 si mette in discussione la tecnica del T-Group  il problema è
quello del trasferimento dell’apprendimento da una situazione che è disegnata
appositamente per l’apprendimento a una situazione di tipo lavorativo. Operativamente
si propone una sua trasformazione nel Family Group (laboratori familiari) i cui elementi
innovativi sono partecipanti della stessa realtà lavorativa (per riprodurre le stesse
strutture di gruppo) e mantenimento delle gerarchie reali; lo scopo del lavoro di gruppo
diventa che l’unita organizzativa funzioni meglio di prima. Questa prospettiva trova
riferimento teorico nelle teorie dell’Organizational Development (OD).

L’intervento formativo vede come prima tappa una fase di diagnosi dei bisogni
dell’organizzazione da cui derivare il laboratorio che meglio risponde alle esigenze,
tenendo sotto esame variabili quali bisogni delle diverse categorie, tecnologia,
ambiente, compiti.

Si ampliano e si diversificano i seminari: centrati sul colloquio, sulla conduzione delle


riunioni, sul team building; progettati ad hoc sulle esigenze.

Lo sforzo degli psico-sociologi è di entrare in contatto con il mondo dei desideri, delle
pulsioni e della duplicità pulsionale che è propria del singolo individuo e dell’inconscio
sociale.

L’organizzazione non esiste solo come elemento esterno alle persone e ai gruppi che la
costituiscono, ma viene anche interiorizzata e diventa parte integrante della loro identità
ed esperienza.

Per Renzo Carli sono 2 le realtà imprescindibili dell’organizzazione: la dimensione del


potere e quella del conflitto: ogni sistema sociale, il cui obiettivo sia la trasformazione,
nasce da un incontro tra individui, gruppi e sub-sistemi. È attraverso l’organizzazione
dei rapporti che viene espresso il desiderio di alcuni e si istituisce la relazione di potere.

 
 

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Ruolo del formatore è porsi come terzo nella relazione tra le varie componenti
dell’organizzazione per favorire il confronto attraverso l’analisi.

La formazione opera sul duplice livello individuale e organizzativo: suo oggetto è la


relazione tra individui, gruppi e organizzazioni. Scopo dell’intervento formativo è
sviluppare capacità di distinguere la realtà esterna dai propri fantasmi, di conservare
questa capacità di fronte alle difficoltà che il lavoro e la realtà sociale comportano.

L’analisi psico-sociologica si precisa così come lavoro clinico, fatto con i singoli e con i
gruppi, per fare in modo che siano sempre più in grado di comprendere le dimensioni
sociali e istituzionali ricorrenti nelle loro collocazioni professionali e sociali, i meccanismi
transferali e difensivi tramite cui ciascuno definisce la propria identità lavorativa.

La formazione psico-sociologica viene definita come:

 il processo di analisi del rapporto che le persone hanno con il proprio lavoro
 utilizzando il setting formativo come metafora di comportamenti organizzativi
 in cui esprimere anche fantasie individuali che costruiscono una storia lavorativa
romanzata e ripetitiva (questo romanzo lavorativo organizza le collusioni tra
individui e tra individui e l’organizzazione)

Un ulteriore attributo distintivo dell’ottica psico-sociologica è l’analisi della domanda,


un processo che consente di individuare cos’è nascosto entro la domanda e se esiste
spazio per un intervento psico-sociologico, verificando se nella domanda sia compreso
uno spazio di mentalizzazione/interrogazione dei problemi. Negli anni ’80 con
l’utilizzazione delle domande transferali e con l’osservazione, l’analisi della domanda
diverrà uno degli elementi basilari del lavoro psico-sociologico.

Lo strumento dell’analisi della domanda – che si utilizza nelle fasi di inizio e fine lavoro
di ogni attività di formazione e intervento – di fatto attraversa tutto il lavoro dando
senso e corpo alla relazione tra cliente e psico-sociologo.

 
 

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Cap. 7 Una concezione della formazione psicosociologia

La domanda socio-culturale

Oggi sperimentiamo la facile reperibilità e la sovrabbondanza di dati, stimoli e


informazioni: ciò può essere fonte di disagi, irrequietudini, sentimenti di dubbio e
inadeguatezza.

Ci troviamo immersi in una realtà personale e professionale in cui le informazioni sono


facilmente reperibili, qualitativamente e quantitativamente ridondanti.

La produzione della I rivoluzione industriale era caratterizzato dall’esigenza di lavorare


trasformando cose secondo prototipi: questo processo inaugurato storicamente nel
settore manifatturiero venne poi trasferito in altri settori produttivi, dovendosi adattare
a nuove tecnologie, conservando quel tratto di fondo che il coordinamento tra le varie
parti delle organizzazioni sociali fosse perseguibile attraverso forme e strumenti
standardizzati (dei modi e tempi, dei cicli di produzione e anche dei comportamenti
lavorativi).

Nella progettazione dei processi produttivi il paradigma funzionalista si impose come


modo di organizzazione del reale, trovando applicazione in altri ambiti anche extra-
lavorativi, stabilendo relazioni chiare, lineari, tra fattori e conseguenze. Si diffuse la
tendenza al trasferimento improprio di questo modello produttivo in settori in cui il
prodotto, tecnologia o processo non lo giustificherebbe, come ad esempio la sanità, la
ricerca, i servizi. In questo atteggiamento mentale si può individuare uno dei blocchi
allo sviluppo di tutto il settore terziario, da un lato, e della nostra cultura in genere,
dall’altro (cultura = elaborazione di idee utili ad affrontare i problemi umani).

La nostra società è passata da operare trasformando cose secondo modelli prototipi a


operare trattando dati e informazioni: anche la scienza classica sviluppa un pensiero
procedurale, operativo e calcolante, finalizzato alla progettazione e al controllo.

La tendenza è quella di dominare o negare la paura di fronte alla complessità del reale,
accrescendo il controllo e la distanza tra realtà interna ed esterna; la scissione profonda
tra logica del giorno (razionale, calcolante, dogmatica, ripetitiva) e logica della notte
(onirica, creativa, luogo del dubbio e della ricerca di senso).

La domanda organizzativa

 
 

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A lungo la cultura occidentale ha posto l’autorità e la funzione gerarchica e la legge


quali elementi regolatori centrali della vita sociale organizzata: più recentemente la
complessità legata alla convivenza civile e allo sviluppo tecnologico hanno fatto
emergere i problemi dell’uso delle informazioni attraverso i sistemi informativi, della
regolazione micro/macro sociale attraverso processo di comunicazione.

A livello organizzativo e lavorativo, l’ipotesi datata della one best way lascia il posto
all’idea che ci possono essere modelli organizzativi diversi e che non si possa escludere
l’imprevisto.

Nelle organizzazioni complesse si inizia a intuire che la sopravvivenza dell’organizzazione


è connessa all’aver abbandonato un approccio in cui tutto è prevedibile, per ricercare
modelli che – in ottica sistemica – contemplino l’imprevedibilità e la possibilità di
riaggiusta menti grazie a retro-azioni.

Il focus si sposta dalla ricerca del modello organizzativo perfetto, alla conoscenza
dell’organizzazione reale, con i suoi “modi di funzionamento di fatto”. I comportamenti
organizzativo osservabili, gli atteggiamenti delle persone verso il lavoro, l’organizzazione
e la scelta dei consulenti, sono espressione di un “non detto” organizzativo che si è
venuto costituendo in memorie personali e collettive alimentatesi della storia
dell’organizzazione.

Coerentemente in ambito formativo – accanto alle esigenze di addestramento rispetto a


operazioni regolate, da memorizzare e ripetere – si pongono le I necessità sul come
conoscere e affrontare i problemi.

Nelle organizzazioni sono presenti 2 logiche: la logica dell’autorità/necessità e quella del


potere/desiderio. Entrambe determinano il funzionamento reale dell’organizzazione.

Il modello sistemico comporta chiarezza e non-conflittualità degli obiettivi, affidabilità


dei circuiti di comunicazione, misurabilità dei risultati  è in un certo senso un modello
a regime.

Occorre oggi andare al di là delle ricche descrizioni sistemiche, facendo focus su ciò che
fonda il collante affettivo della cultura d’impresa: il legame sociale, i valori e gli
atteggiamenti, le espressioni gergali, i modi di leggere la realtà  l’insieme cioè di
scripts interiorizzati – anche se non sempre consapevoli – dai membri di
un’organizzazione specifica.

La domanda formativa della psico-sociologia mira a comprendere a fondo le specificità


dell’organizzazione in modo sistemico, razionale ma anche autonomo, creativo e
interpretante.

 
 

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Il concetto di formatività per una formazione a pensare

Nei processi umani di evoluzione e sviluppo di capacità riveste un ruolo centrale


l’apprendimento.

Apprendere – in particolare dall’esperienza – non è automatico e soprattutto non è una


capacità sviluppata in modo analogo in tutti gli uomini, ognuno dei quali si pone infatti
in modo diverso di fronte alle angosce prodotte la problemi aperti, dall’evento che non
riesce a controllare, da contesti nuovi.

Parlare di apprendimento dall’esperienza significa ipotizzare che la mente dell’uomo


abbia nativamente una spinta a conoscere, una caratteristica essenziale per affrontare
l’imprevisto e già noto del proprio bagaglio genetico.

Per formatività intendiamo una doppia capacità:

1. rappresentare se stesso, pensare le condizioni interne ed esterne a sé della


propria esistenza e su queste – attraverso il linguaggio – tenere un discorso
2. intervenire sulle condizioni della propria esistenza

Attraverso l’immaginazione, l’uomo può anticipare le sue azioni e le può organizzare in


un progetto. Queste capacità sono potenziali: l’ampliamento delle attività della mente è
predisposto per via di maturazione e favorito dall’esperienza.

Il concetto di formatività implica quindi in primo luogo la capacità di rappresentarsi a se


stessi e psnare le cose concrete della propria esperienza.

Apprendere dall’esperienza e apprendere dall’autorità

Manoukian  “Siamo sempre circondati da moltissime informazioni, ma in realtà la


maggior parte ci sfuggono perché, nel nostro osservare e ascoltare, siamo assorbiti dai
giudizi che ci preme dare e dai pregiudizi di cui ci serviamo per controllare quanto
accade intorno a noi. Le informazioni tendiamo a percepirle attraverso canali pre-fissati,
canali che spesso la pratica professionale tende a costruire e proteggere. La rilevazione
dei dati (di lavoro, organizzativi, operativi, di contesto) è limitata e tende ad essere
deformata: i dati sono ben presto ordinati e classificati e la scoperta di altro inesplorato
è scoraggiata e sospesa”.

 
 

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Le conoscenze psicologiche più moderne ci invitano a diffidare di questo meccanismo


fortissimo della mente che trasforma la coscienza di sé (situazionale ed esperienziale) in
un sé strutturato, qualcosa che esiste ed è possibile cogliere e descrivere.

Gli studi scientifici sul cervello ci dicono che l’Io (= insieme delle funzioni mentali volte
alla strutturazione-integrazione, ma anche di difesa interiore nei confronti delle pulsioni
e di adattamento della realtà) favorisce il fatto che la mente appaia alla coscienza come
un sistema unitario controllabile, per fini difensivi e di adattamento.

Il ruolo del formatore rimanda al fatto che, da un lato, la conoscenza passa dal contatto
con gli oggetti che si vogliono conoscere; dall’altro questo viaggio di consapevolezza
verrà fatto in modo protetto, cercando di evitare perturbative all’esterno della situazione
formativa. Ciò che invece non è evitabile è il dolore mentale insito nei processi di
apprendimento, accanto a incertezza, frustrazione e delusione.

Al di là del nostro comportamento adulto sofisticato e della nostra logica formale e


compatta, esistono atteggiamenti primari che si riattivano quando ci si trova di fronte a
situazioni non facilmente conoscibili. Si spera a volte di trovare istruzioni su cosa fare!

La possibilità di tenere un discorso sull’esperienza

Nei seminari formativi ciascuno parla reagendo affettivamente al contesto formativo: la


formazione cerca di sviluppare un discorso, supportato dal formatore e dal set formativo
che orienta i partecipanti a portare la loro esperienza, prendendo la parola. Il materiale
analizzato in gruppo può essere letto a più livello, anche ricercando il non-detto cui
allude.

Spesso si rivela utile lavorare anche su materiale scritto: la scrittura ha la capacità di


favorire una verifica rispetto alla propria generatività, molto più di quanto non lo
consenta il narrare o il leggere.

Scrittura come “polo difensivo fondamentale nella perenne lotta dell’uomo per
affermare una continuità sovra-individuale che antagonizzi il puro fluire e la sua
caducità”. Inoltre la scrittura costituisce una relazione di coppia tra l’Io che scrive verso
mete in parte note e l’Io che rilegge lo scritto, analizzandolo.

Immaginare e progettare

 
 

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Formatività  doppia capacità caratteristica della specie umana, rappresentare se


stesso e pensare le condizioni della propria esistenza, tenendo su queste un discorso
attraverso il linguaggio.

Parlando di formatività è possibile anche alludere all’intervento e alle possibilità di


connessione tra cambiamento individuale e cambiamento organizzativo.

La formazione apre all’intervento organizzativo quando indaga sulla capacità umana di


intervenire sulle condizioni dell’esistenza e anticipare le azioni immaginandole e
riformulandole mentalmente in un progetto; questa capacità, sempre riferibile al singolo
individuo, si trasforma all’interno delle sue situazioni sociali e di vita. Nel corridoio di
una scuola milanese, c’è un cartello con questa frase: un progetto è un sogno, con
delle scadenze  azione trasformativa, intenzionale, progettuale. Intervenire nella
“casa della vita” richiede movimenti intenzionali sostenuti da costrutti di idee ordinati,
provvisori e verificabili per mezzo di retroazioni. La citazione si riferisce alla fertile
possibilità di connessione tra il pensiero onirico e quello calcolante, tra contemplazione
e azione, tra sogno e progetto (progetto = funzione della mente di avvicinare la realtà,
coinvolgendosi attraverso processi identificatori, di idealizzazione e distanziandosene
attraverso la sublimazione, sia x conoscere, sia x mettere a punto ipotesi atte a
intervenire sull’esistenza).

Immaginare per progettare, lasciando la porta aperte al fantastico, non è cosa facile,
né una possibilità acquisita una volta per tutte: nelle situazioni formative spesso le
persone evidenziano un pensiero impostato sul controllo dell’immaginazione e sulla
rimozione della realtà onirica, che così rimane nascosta alla coscienza.

L’orientamento formativo

Rileviamo come la professionalità specifica dello psicologo sia prevalentemente richiesta


in 2 casi:

a) il recupero dell’emarginazione e dei disturbi psichici  psicoterapia, per curare-


salvare il soggetto
b) l’utilizzazione di modelli psico-sociali a sostegno di interventi diversi, in contesti
plurali con condizioni sociali, economiche e organizzative specifiche (ad es. la
formazione o l’intervento in organizzazione)  studio-intervento delle condizioni
socio-economiche e organizzative date, rivolto al soggetto-nel-contesto, per
intervenire rispetto alla complessità che caratterizza il legame sociale

Questa dicotomia ha conseguenze importanti:

 
 

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 nel I caso si è sviluppata l’offerta di uno strumentoi psicoterapico studiato e


sperimentato in situazioni duali e contesti libero-professionali molto lontani dalla
realtà lavorativa dei formandi
 nel II caso l’experteese offerta è spesso richiesta anche da altri ruoli (ad esempio
ruolo medico, scolastico, aziendale) per cui di fatto si perde o si nega l’esistenza
a uno specifico professionale dello psicologo.

Il fatto è che la > parte degli psicologi oggi lavora in contesti plurali dove è richiesto un
intervento psicologico e l’utilizzazione di un metodo clinico. Questo intervento richiede
capacità di muoversi professionalmente in contesti micro-sociali, capacità diagnostiche,
di progettare interventi in funzione dell’analisi della domanda e di quella delle proprie
risorse integrate con altre risorse disponibili.

Accanto ai primi due modelli di proposte formative citate, compare un terzo vicino
all’orientamento formativo psico-sociologico. Lo psicologo vi si esprime introducendo
nella società una specifica forma di regolazione chiaramente connessa all’attenzione
portata all’individuo (maggiore adattamento, maggiore equilibrio, maggiore utilizzo del
potenziale personale). I suoi interventi si costituiscono attorno a domande/risposte in
seno a un sistema.

Gli eventi su cui lo psicologo lavora sono indissociabili dal loro significato culturale e dal
significato soggettivamente attribuitogli.

La proposta formativa è volta a promuovere esperienze di apprendimento attraverso la


messa in gioco di atteggiamenti, modelli culturali, valori e stili di pensiero che possono
favorire (o ostacolare) lo sviluppo delle capacità e delle competenze professionali,
attraverso un dialogo e una ricerca costante dei nessi tra l’esperienza formativa e la
pratica lavorativa quotidiana.

Obiettivi di una formazione psico-sociologica

-- “Accogliere la complessità del reale lasciandosene appassionare e interrogare”


(Ambrosiano, 1988) –

Compito preliminare del formatore è lavorare distinguendo gli obiettivi individuali dei
partecipanti, dagli obiettivi dei diversi attori sociali coinvolti (compreso il formatore e
l’organizzazione).

L’analisi della domanda espressa allo psico-sociologo consente di distinguere esigenze


aziendali e obiettivi impliciti/espliciti pensati per i partecipanti alla formazione.

 
 

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La ricerca degli obiettivi specifici della formazione diventa il test della relazione
consulente-cliente: solitamente il cliente porta una domanda che è espressa nei termini
di uno o più problemi e nel formato della risposta attesa rispetto ai problemi. Così
facendo implicitamente definisce anche in modo duale la relazione tra sé e il consulente
che si troverebbe incastrato tra due alternative illusorie  assumere il ruolo tecnico
all’interno di una relazione muta e fredda o assumere il ruolo umile e operoso del
servitore che non può consentirsi di andare al di là della richiesta del cliente.

Il cliente porta se stesso e il suo modo di funzionare; a partire dalla domanda che il
consulente pone a se stesso su “cosa mi chiedono in realtà e cosa mi è possibile?” può
svilupparsi una proposta tridimensionale di lavoro tra consulente, cliente e il problema
non-scontato.

Il lavoro mentale attorno alla richiesta iniziale dell'utente rende possibile porre al centro
l'esplorazione dei problemi, confrontando le ipotesi dello psico-sociologo con quelle del
cliente.

Se si prende distanza dal modello medico (diagnosi-terapia) o dal modello gerarchico


(padrone-servo), lungo tutto lo svolgersi dell'attività formativa è presente la necessità di
continuare a elaborare le richieste iniziali, di confrontarle e rivederle, di comprenderle
alla luce di nuove consapevolezze prodotte in itinere e in relazione con il formatore.

Cap. 8 Metodi e tecniche della formazione psico-sociologica

L’osservazione

L’analisi iniziale della domanda è l’ascolto di un “rumore” che cerca il suo mezzo
espressivo nella parola (= strumento continuo in un percorso formativo) che sviluppa
capacità di pensare e rende possibile la tolleranza, l’accettazione, lo sviluppo
dell’individualità.

All’interno del mondo psico-sociologico di fare formazione, l’ascolto è strumento cardine


per non essere attirati da una risposta “agita”; per sviluppare un’attenzione rispettosa
dell’individuo nel suo contesto relazionale socio-lavorativo.

È opportuno immaginare il lavoro della formazione ricorrendo alla metafora della


ricerca qualitativa, non centrata sulla spiegazione e sulle misurazioni oggettive. La
ricerca è connessa necessariamente con la pratica, capace di utilizzare le reazioni
impreviste provocate dal ricercatore all’interno del campo (effetto Heisenberg)
 
 

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attribuendo loro il ruolo privilegiato di strumento di conoscenza. La relazione con del


ricercatore con individui o gruppi provoca perturbazioni  il transfert sul ricercatore
diventa incidente per eccellenza utilizzabile per conoscere meglio anche il resto.

Il ricorso a metodi soggettivi di conoscenza recupera la soggettività nel suo significato


forte e richiede la capacità di utilizzare se stessi come polo della relazione e come
strumento di misura della relazione stessa. Riflettere sull’oggetto da conoscere – anche
attraverso se stessi – implica riflettere sulle proprie reazioni, sentimenti, comprensioni,
intuizioni (per analogia con la psicoanalisi si potrebbe dire sul contro-transfert).

L’osservatore – e l’osservazione – anche delle proprie e altrui implicazioni affettive,


valoriali, soggettive inscindibilmente presenti nei processi di conoscenza è il cardine
del fare formazione. Osservando e restituendo il formatore può sviluppare un lavoro
interpretativo funzionale alla presa di coscienza dei processi di costruzione del sapere,
di quelle regole del gioco in base alle quali – su un campo da calcio – non si corre più a
caso intorno a una palla, ma si gioca una partita a risultato aperto. Sono proprio il
commento e la presa di coscienza delle regole del gioco che consentono la connessione
tra formazione e apprendimento, tra pratica lavorativa e vita.

 
 

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L’istituzione del setting

Seguiremo la classica successione:

1. analisi della domanda


2. istituzione del setting
3. realizzazione
4. verifica**

le attività volte a trasformare un campo di pratiche personali e lavorative in un campo di


formazione.

Si tratta di esplorare con le persone coinvolte (un’organizzazione, un gruppo, dei


singoli) se è praticabile un percorso formativo e quale.

Si parte quando uno o più individui avvertono insoddisfazione rispetto alla situazione
micro-sociale in cui sono inseriti e segnalano disfunzionamenti, sostanziando una
domanda iniziale per il formatore; il formatore avvia una relazione entro cui rilevare
informazioni, sia con uno sforzo di osservazione e di ascolto a più livelli, sia resistendo
alla fretta semplificante e banalizzante di resistere al fare.

Il soggetto – raccontando – si racconta all’interno della situazione e delle relazioni


presenti, spostando il nostro problema alla qualità della relazione presente e alle sue
relazioni con l’esperienza passata e futura. Per il formatore il luogo privilegiato di
raccolta dei dati e delle informazioni sulla situazione è il rapporto che stabilisce con
persone e gruppi.

È da preferire il lavoro in piccoli gruppi, colloqui clinici con testimoni quali ad esempio il
coordinatore di un gruppo di lavoro, o un lavoratore testimone di incidenti rilevanti
rispetto al funzionamento organizzativo a regime.

Possono essere utili anche:

 interviste semi-strutturate
 riunioni di piccoli gruppi omogenei / con la committenza / dello staff
professionale che richiedono al formatore di orientare lo scambio verbale su
alcuni temi da approfondire, quali l’esame di casi lavorativi ed episodi vissuti,
ritenuti particolarmente critici e significativi dagli intervistati
 l’uso di documenti scritti

La domanda rimanda storicamente a relazioni passate e si attualizza entro la relazione


del momento con gli psico-sociologi che cercano di istituire un processo di riflessione.

 
 

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Tra gli strumenti atti a istituire il setting si può istituire all’interno dell’organizzazione un
gruppo di persone referenti per il progetto stesso, per affiancare e integrare il gruppo
professionale nel lavoro di raccolta e verifica delle informazioni, rispettando poco le
gerarchi formali  questo gruppo rappresenta un elemento di continuità e di
mantenimento del setting durante tutto l’intervento.

La situazione formativa è un luogo in cui persone e gruppi – attraverso un lavoro di


cambiamento individuale, di mutamento delle loro situazioni micro-sociali di
appartenenza, riflettono, si scambiano e scoprono informazioni significative sui problemi
e sul funzionamento dell’organizzazione.

La precisazione del set di lavoro

Il senso della formazione è favorire l’espressione della formatività, ossia in pratica


facilitare la comunicazione, l’interrogazione e il pensiero riflessivo, l’iniziativa e la
differenziazione.

Il processo formativo si sviluppa in presenza di un osservatore, orientato a favorire la


presa di coscienza dei processi di costruzione della conoscenza.

La formazione si avvia e prosegue entro il processo di analisi della domanda: quando


si propongono delle attività di apprendimento dall’esperienza, è utile un documento
scritto da condividere in fase iniziale con committenti e utenti e che contenga
specifiche rispetto al contesto, comunicando in chiave antropologica come si è
compreso il contesto, le sue difficoltà – oltre a favorire la verifica e a suggerire
orientamenti comuni sulla prosecuzione del lavoro. Questo documento sarà illustrativo
delle attività proposte e definitorio del set.

Nella lingua inglese setting rimanda all’insieme degli elementi fissi di una situazione
(ad es. luogo, tempo, condizioni) oppure allo scenario e alle regole di un gioco  il
primo a usare questo termine in senso tecnico è stato Winnicott (1941) come insieme
delle costanti all’interno delle quali si svolge un processo.

Il setting non è solo la situazione esterna – nella quale si compie l’analisi (luogo, tempo
e modalità/comportamenti dell’analista), ma anche un atteggiamento mentale.

Nelle sue fasi iniziali il ruolo del formatore si qualifica nell’attività di definizione di un set
che consenta al gruppo dei partecipanti di interagire e ai singoli di acquisire un proprio
spazio. Durante le attività formative, egli pone fiducia nel set, nella proposta emersa dal
lavoro dei partecipanti che diventa – a sua volta – oggetto di elaborazione. Il formatore
orienta il proprio lavoro grazie all’attenzione posta ai contenuti e ai fattori emotivi
dell’apprendimento. Il suo ruolo richiede il possesso di teorie di riferimento e

 
 

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consapevolezza del proprio mondo soggettivo, portando in aula attività pensate e


progettate ogni volta in modo originale.

Il set comprende:

 ll ruolo dell’operatore
 le sue teorie di riferimento
 la sua professionalità
 l’insieme dei fattori spazio-temporali che provengono dal contratto di lavoro tra le
parti (incluso tempo e denaro)

Nelle situazioni formative gli elementi costitutivi del set cambiano e prevedono maggior
elasticità.

Anche nella relazione formativa si mobilitano fenomeni di natura transferale e contro-


transferale, denominati da Carli come transfert istituzionale.

Il transfert sul formatore innesca movimenti contro-transferali la cui consapevolezza è


per il formatore uno strumento formidabile di conoscenza della situazione indagata e
quindi di orientamento del suo lavoro.

Il luogo della formazione richiede di essere abbastanza protetto (da telefonate,


interferenze, persone di passaggio) affinché il gruppo possa sviluppare un lavoro
riservato e collaborativo. Se la formazione si articola per fasi, è utile che la sede solo
eccezionalmente cambi da una fase all’altra.

Anche l’arredo della stanza è importante.

Incontri di 1/2/3 giornate consecutive (di 7/8 ore ciascuna) rappresentano situazioni più
favorevoli a un effettivo lavoro di elaborazione. Per l’individuo la formazione come
riflessività si installa all’interno di una quotidianità personale e professionale,
sospendendo temporaneamente l’azione  ciò consente di avviare un campo di
interazione tra i partecipanti e con il formatore che immette in una differente
dimensione spazio-temporale (sia perché nella vita quotidiana si tende a non arrestare
l’azione, sia perché la ricerca sulla pratica non può avanzare se la mente è solitaria,
lontana dalla relazione con gli altri.

Strumenti atti ad accompagnare l’elaborazione

 Le lezioni (frontali/attive/per-elaborazione)  come atto di trasmissione del


sapere, utile all’addestramento degli adulti attraverso la presentazione delle

 
 

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proprie conoscenze sul tema indagato. Si espone, dimostrando (ad es. la lezione
universitaria, in cui si apprende attraverso la sottomissione)
 Le riunioni di gruppo  distinzione tra:
 Gruppo di lavoro (Bion, 1979), orientato a organizzarsi per
controllare le aggressività intraspecifiche tra le persone e con
l’organizzazione in modo da facilitare il lavoro comune
 Gruppo di base, caratterizzato da movimenti reciprocamente
collusivi e inconsapevoli che le persone attuano per sedare ansie e
difficoltà intra-psichiche evocate nella relazione

Questi 2 livelli sono presenti in ogni gruppo, sia di lavoro, sia di formazione;
quest’ultimo propone ai partecipanti la sospensione temporanea dai compiti quotidiani.

Le esercitazioni  nella formazione degli adulti, essi sperimentano qui ed ora delle
situazioni sociali e le analizzano in gruppo, grazie agli stimoli proposti dai formatori. Il
formatore non deve solo condurre le esercitazioni, ma proporle al momento opportuno;
inoltre deve mantenere una parte di sé non-coinvolta, fiduciosa nel setting di lavoro
proposto e nei suoi obiettivi per evitare di rimanere egli stesso bloccato. 4 i tipi di
esercitazioni:

 Rappresentazioni, con stati di difficoltà da superare in gruppo (ad


es. proporre al gruppo una foto come stimolo; colloqui in base a
istruzioni; il dilemma del prigioniero), con orientamento alla
pedagogia attiva
 Socio-analogie, come i management games in cui il formatore ha il
ruolo di osservatore, utili per euforizzare il clima del gruppo
 Giochi di ruolo e drammatizzazioni (Moreno e psicodramma!, i role-
playing)
 Analisi di casi specifici

 I colloqui  sedi idonee per trattare richieste e problemi che necessitano di una
sede meno pubblica, o che comunque un partecipante non crede di poter trattare
nel gruppo di formazione. Il colloquio è anche sede di approfondimenti
dell’evoluzione della domanda, dei bisogni e desideri che la motivano.

Strumenti di verifica** (interna/esterna) al processo di formazione

 
 

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La valutazione è uno degli aspetti principali di ogni attività formativa: i suoi strumenti
più adeguati sono esami, test o questionari strutturati (con scale quantitative di
misura).

Nel caso della formazione, si tratta di applicare la valutazione al processo, distinguendo


tra la verifica:

 interna alla formazione (su strutture, strumenti, processi, equilibri di potere tra
gli attori)
 esterna, fatta con i committenti o con i partecipanti, una volta terminata l’attività
formativa

Nell’ottica psico-sociologica, il cambiamento non è proposto come cambiamento di


stato, ma del modo di pensare.

 
 

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