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CONOSCERE L’ORGANIZZAZIONE
In Italia la psico-sociologia ha origine nel 1961 con Enzo Spaltro e l’Associazione per la
psicologia italiana del lavoro; la formazione psico-sociologica si qualifica essenzialmente
come tecnica di conduzione di gruppi (scoperta del gruppo e delle tecniche di gruppo).
Già allora risultava evidente che le persone sul lavoro sviluppano abitudini di relazione
tra loro, con il loro lavoro, con le regole aziendali e che portano nel lavoro la loro storia
individuale, le esperienza passate e presenti all’interno del gruppo, bisogni da
soddisfare: tutto ciò – secondo Kaneklin, 1976 – interviene nell’attribuzione di
significato dei comportamenti delle persone.
Una delle caratteristiche della produzione industriale è quella del lavoro associato in
gruppi: nella cooperazione in gruppo vengono risolti molti conflitti e, automaticamente
con essi, alcuni dei principali problemi di produzione.
L’intento è dimostrare che il gruppo è una dimensione non solo sociologica, ma anche
psichica dell’individuo: occorre considerare il gruppo come una fase indispensabile nella
maturazione psichica dell’individuo. Il soggetto dinanzi al gruppo deve rinunciare
definitivamente all’onnipotenza infantile e aprirsi alla dimensione sociale ovvero a un
modo di essere in relazione con una pluralità. L’esperienza di gruppo consentirebbe una
maturazione e giocherebbe un ruolo di primaria importanza nella dinamica psichica della
sicurezza e della colpa permettendo più alti livelli di consapevolezza.
Non esiste attività lavorativa che non sia attività di gruppo (Mayo).
A partire dal 1965 inizia un focus sul cambiamento la formazione inizia a essere
progettata come mezzo di cambiamento e innovazione in un contesto organizzativo.
L’obiettivo della formazione psico-sociologica – oltre alla sensibilizzazione alle dinamiche
di gruppo – mira ad ottenere un cambiamento individuale e sociale. La strategia per
provocare il cambiamento mediante il gruppo viene concettualizzata in termini lewiniani:
si tratta di turbare l’equilibrio di forze che mantiene una determinata auto-regolazione, il
che spinge il gruppo a cercarne una nuova. Dato l’assunto di un gruppo come totalità
dinamica che tende all’equilibrio, le tappe di evoluzione di ogni gruppo sociale sono:
il disgelo
la trasformazione
il consolidamento della vita del gruppo a un nuovo livello
La psico-sociologia italiana si costituisce verso la fine degli anni ’70 come disciplina che
si occupa di processi di cambiamento sociale, quindi di organizzazioni sociali in un’ottica
di ricerca-intervento al fine di favorire un loro cambiamento e innovazione, nel senso di
una maggior partecipazione interna. I luoghi dell’intervento sono le situazioni micro
sociali (gruppi temporanei o duraturi) che di fatto funzionano da mediatrici tra la
dimensione individuale e la dimensione collettiva.
Il gruppo è anche strumento di collegamento tra il mondo mentale e sociale esterno, tra
il mondo affettivo e cognitivo, quale strumento di modifica del mondo esterno
(Kaneklin, 1976).
Attorno agli anni ’70 si mette in discussione la tecnica del T-Group il problema è
quello del trasferimento dell’apprendimento da una situazione che è disegnata
appositamente per l’apprendimento a una situazione di tipo lavorativo. Operativamente
si propone una sua trasformazione nel Family Group (laboratori familiari) i cui elementi
innovativi sono partecipanti della stessa realtà lavorativa (per riprodurre le stesse
strutture di gruppo) e mantenimento delle gerarchie reali; lo scopo del lavoro di gruppo
diventa che l’unita organizzativa funzioni meglio di prima. Questa prospettiva trova
riferimento teorico nelle teorie dell’Organizational Development (OD).
L’intervento formativo vede come prima tappa una fase di diagnosi dei bisogni
dell’organizzazione da cui derivare il laboratorio che meglio risponde alle esigenze,
tenendo sotto esame variabili quali bisogni delle diverse categorie, tecnologia,
ambiente, compiti.
Lo sforzo degli psico-sociologi è di entrare in contatto con il mondo dei desideri, delle
pulsioni e della duplicità pulsionale che è propria del singolo individuo e dell’inconscio
sociale.
L’organizzazione non esiste solo come elemento esterno alle persone e ai gruppi che la
costituiscono, ma viene anche interiorizzata e diventa parte integrante della loro identità
ed esperienza.
Ruolo del formatore è porsi come terzo nella relazione tra le varie componenti
dell’organizzazione per favorire il confronto attraverso l’analisi.
L’analisi psico-sociologica si precisa così come lavoro clinico, fatto con i singoli e con i
gruppi, per fare in modo che siano sempre più in grado di comprendere le dimensioni
sociali e istituzionali ricorrenti nelle loro collocazioni professionali e sociali, i meccanismi
transferali e difensivi tramite cui ciascuno definisce la propria identità lavorativa.
il processo di analisi del rapporto che le persone hanno con il proprio lavoro
utilizzando il setting formativo come metafora di comportamenti organizzativi
in cui esprimere anche fantasie individuali che costruiscono una storia lavorativa
romanzata e ripetitiva (questo romanzo lavorativo organizza le collusioni tra
individui e tra individui e l’organizzazione)
Lo strumento dell’analisi della domanda – che si utilizza nelle fasi di inizio e fine lavoro
di ogni attività di formazione e intervento – di fatto attraversa tutto il lavoro dando
senso e corpo alla relazione tra cliente e psico-sociologo.
La domanda socio-culturale
La tendenza è quella di dominare o negare la paura di fronte alla complessità del reale,
accrescendo il controllo e la distanza tra realtà interna ed esterna; la scissione profonda
tra logica del giorno (razionale, calcolante, dogmatica, ripetitiva) e logica della notte
(onirica, creativa, luogo del dubbio e della ricerca di senso).
La domanda organizzativa
A livello organizzativo e lavorativo, l’ipotesi datata della one best way lascia il posto
all’idea che ci possono essere modelli organizzativi diversi e che non si possa escludere
l’imprevisto.
Il focus si sposta dalla ricerca del modello organizzativo perfetto, alla conoscenza
dell’organizzazione reale, con i suoi “modi di funzionamento di fatto”. I comportamenti
organizzativo osservabili, gli atteggiamenti delle persone verso il lavoro, l’organizzazione
e la scelta dei consulenti, sono espressione di un “non detto” organizzativo che si è
venuto costituendo in memorie personali e collettive alimentatesi della storia
dell’organizzazione.
Occorre oggi andare al di là delle ricche descrizioni sistemiche, facendo focus su ciò che
fonda il collante affettivo della cultura d’impresa: il legame sociale, i valori e gli
atteggiamenti, le espressioni gergali, i modi di leggere la realtà l’insieme cioè di
scripts interiorizzati – anche se non sempre consapevoli – dai membri di
un’organizzazione specifica.
Gli studi scientifici sul cervello ci dicono che l’Io (= insieme delle funzioni mentali volte
alla strutturazione-integrazione, ma anche di difesa interiore nei confronti delle pulsioni
e di adattamento della realtà) favorisce il fatto che la mente appaia alla coscienza come
un sistema unitario controllabile, per fini difensivi e di adattamento.
Il ruolo del formatore rimanda al fatto che, da un lato, la conoscenza passa dal contatto
con gli oggetti che si vogliono conoscere; dall’altro questo viaggio di consapevolezza
verrà fatto in modo protetto, cercando di evitare perturbative all’esterno della situazione
formativa. Ciò che invece non è evitabile è il dolore mentale insito nei processi di
apprendimento, accanto a incertezza, frustrazione e delusione.
Scrittura come “polo difensivo fondamentale nella perenne lotta dell’uomo per
affermare una continuità sovra-individuale che antagonizzi il puro fluire e la sua
caducità”. Inoltre la scrittura costituisce una relazione di coppia tra l’Io che scrive verso
mete in parte note e l’Io che rilegge lo scritto, analizzandolo.
Immaginare e progettare
Immaginare per progettare, lasciando la porta aperte al fantastico, non è cosa facile,
né una possibilità acquisita una volta per tutte: nelle situazioni formative spesso le
persone evidenziano un pensiero impostato sul controllo dell’immaginazione e sulla
rimozione della realtà onirica, che così rimane nascosta alla coscienza.
L’orientamento formativo
Il fatto è che la > parte degli psicologi oggi lavora in contesti plurali dove è richiesto un
intervento psicologico e l’utilizzazione di un metodo clinico. Questo intervento richiede
capacità di muoversi professionalmente in contesti micro-sociali, capacità diagnostiche,
di progettare interventi in funzione dell’analisi della domanda e di quella delle proprie
risorse integrate con altre risorse disponibili.
Accanto ai primi due modelli di proposte formative citate, compare un terzo vicino
all’orientamento formativo psico-sociologico. Lo psicologo vi si esprime introducendo
nella società una specifica forma di regolazione chiaramente connessa all’attenzione
portata all’individuo (maggiore adattamento, maggiore equilibrio, maggiore utilizzo del
potenziale personale). I suoi interventi si costituiscono attorno a domande/risposte in
seno a un sistema.
Gli eventi su cui lo psicologo lavora sono indissociabili dal loro significato culturale e dal
significato soggettivamente attribuitogli.
Compito preliminare del formatore è lavorare distinguendo gli obiettivi individuali dei
partecipanti, dagli obiettivi dei diversi attori sociali coinvolti (compreso il formatore e
l’organizzazione).
La ricerca degli obiettivi specifici della formazione diventa il test della relazione
consulente-cliente: solitamente il cliente porta una domanda che è espressa nei termini
di uno o più problemi e nel formato della risposta attesa rispetto ai problemi. Così
facendo implicitamente definisce anche in modo duale la relazione tra sé e il consulente
che si troverebbe incastrato tra due alternative illusorie assumere il ruolo tecnico
all’interno di una relazione muta e fredda o assumere il ruolo umile e operoso del
servitore che non può consentirsi di andare al di là della richiesta del cliente.
Il cliente porta se stesso e il suo modo di funzionare; a partire dalla domanda che il
consulente pone a se stesso su “cosa mi chiedono in realtà e cosa mi è possibile?” può
svilupparsi una proposta tridimensionale di lavoro tra consulente, cliente e il problema
non-scontato.
Il lavoro mentale attorno alla richiesta iniziale dell'utente rende possibile porre al centro
l'esplorazione dei problemi, confrontando le ipotesi dello psico-sociologo con quelle del
cliente.
L’osservazione
L’analisi iniziale della domanda è l’ascolto di un “rumore” che cerca il suo mezzo
espressivo nella parola (= strumento continuo in un percorso formativo) che sviluppa
capacità di pensare e rende possibile la tolleranza, l’accettazione, lo sviluppo
dell’individualità.
Si parte quando uno o più individui avvertono insoddisfazione rispetto alla situazione
micro-sociale in cui sono inseriti e segnalano disfunzionamenti, sostanziando una
domanda iniziale per il formatore; il formatore avvia una relazione entro cui rilevare
informazioni, sia con uno sforzo di osservazione e di ascolto a più livelli, sia resistendo
alla fretta semplificante e banalizzante di resistere al fare.
È da preferire il lavoro in piccoli gruppi, colloqui clinici con testimoni quali ad esempio il
coordinatore di un gruppo di lavoro, o un lavoratore testimone di incidenti rilevanti
rispetto al funzionamento organizzativo a regime.
interviste semi-strutturate
riunioni di piccoli gruppi omogenei / con la committenza / dello staff
professionale che richiedono al formatore di orientare lo scambio verbale su
alcuni temi da approfondire, quali l’esame di casi lavorativi ed episodi vissuti,
ritenuti particolarmente critici e significativi dagli intervistati
l’uso di documenti scritti
Tra gli strumenti atti a istituire il setting si può istituire all’interno dell’organizzazione un
gruppo di persone referenti per il progetto stesso, per affiancare e integrare il gruppo
professionale nel lavoro di raccolta e verifica delle informazioni, rispettando poco le
gerarchi formali questo gruppo rappresenta un elemento di continuità e di
mantenimento del setting durante tutto l’intervento.
Nella lingua inglese setting rimanda all’insieme degli elementi fissi di una situazione
(ad es. luogo, tempo, condizioni) oppure allo scenario e alle regole di un gioco il
primo a usare questo termine in senso tecnico è stato Winnicott (1941) come insieme
delle costanti all’interno delle quali si svolge un processo.
Il setting non è solo la situazione esterna – nella quale si compie l’analisi (luogo, tempo
e modalità/comportamenti dell’analista), ma anche un atteggiamento mentale.
Nelle sue fasi iniziali il ruolo del formatore si qualifica nell’attività di definizione di un set
che consenta al gruppo dei partecipanti di interagire e ai singoli di acquisire un proprio
spazio. Durante le attività formative, egli pone fiducia nel set, nella proposta emersa dal
lavoro dei partecipanti che diventa – a sua volta – oggetto di elaborazione. Il formatore
orienta il proprio lavoro grazie all’attenzione posta ai contenuti e ai fattori emotivi
dell’apprendimento. Il suo ruolo richiede il possesso di teorie di riferimento e
Il set comprende:
ll ruolo dell’operatore
le sue teorie di riferimento
la sua professionalità
l’insieme dei fattori spazio-temporali che provengono dal contratto di lavoro tra le
parti (incluso tempo e denaro)
Nelle situazioni formative gli elementi costitutivi del set cambiano e prevedono maggior
elasticità.
Incontri di 1/2/3 giornate consecutive (di 7/8 ore ciascuna) rappresentano situazioni più
favorevoli a un effettivo lavoro di elaborazione. Per l’individuo la formazione come
riflessività si installa all’interno di una quotidianità personale e professionale,
sospendendo temporaneamente l’azione ciò consente di avviare un campo di
interazione tra i partecipanti e con il formatore che immette in una differente
dimensione spazio-temporale (sia perché nella vita quotidiana si tende a non arrestare
l’azione, sia perché la ricerca sulla pratica non può avanzare se la mente è solitaria,
lontana dalla relazione con gli altri.
proprie conoscenze sul tema indagato. Si espone, dimostrando (ad es. la lezione
universitaria, in cui si apprende attraverso la sottomissione)
Le riunioni di gruppo distinzione tra:
Gruppo di lavoro (Bion, 1979), orientato a organizzarsi per
controllare le aggressività intraspecifiche tra le persone e con
l’organizzazione in modo da facilitare il lavoro comune
Gruppo di base, caratterizzato da movimenti reciprocamente
collusivi e inconsapevoli che le persone attuano per sedare ansie e
difficoltà intra-psichiche evocate nella relazione
Questi 2 livelli sono presenti in ogni gruppo, sia di lavoro, sia di formazione;
quest’ultimo propone ai partecipanti la sospensione temporanea dai compiti quotidiani.
Le esercitazioni nella formazione degli adulti, essi sperimentano qui ed ora delle
situazioni sociali e le analizzano in gruppo, grazie agli stimoli proposti dai formatori. Il
formatore non deve solo condurre le esercitazioni, ma proporle al momento opportuno;
inoltre deve mantenere una parte di sé non-coinvolta, fiduciosa nel setting di lavoro
proposto e nei suoi obiettivi per evitare di rimanere egli stesso bloccato. 4 i tipi di
esercitazioni:
I colloqui sedi idonee per trattare richieste e problemi che necessitano di una
sede meno pubblica, o che comunque un partecipante non crede di poter trattare
nel gruppo di formazione. Il colloquio è anche sede di approfondimenti
dell’evoluzione della domanda, dei bisogni e desideri che la motivano.
La valutazione è uno degli aspetti principali di ogni attività formativa: i suoi strumenti
più adeguati sono esami, test o questionari strutturati (con scale quantitative di
misura).
interna alla formazione (su strutture, strumenti, processi, equilibri di potere tra
gli attori)
esterna, fatta con i committenti o con i partecipanti, una volta terminata l’attività
formativa