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PSICOLOGIA DELL’ORIENTAMENTO

1° lezione: 08/10/2021

Introduzione al corso:

L’orientamento viene visto come un processo attivo, gestito dal soggetto con
le proprie risorse (personali e sociali) e con i propri vissuti (formativi e
lavorativi) e influenzato dalle proprie appartenenze (ambientali, familiari, ecc.)
e dai propri valori di riferimento, ma al tempo stesso come un processo
storicizzato, integrato cioè dentro un mercato del lavoro complesso e
globalizzato, e attento alle diverse culture di cui sono espressione i singoli
attori.
Parliamo di un processo evolutivo, cioè lento e graduale, attraverso il quale
l’individuo sviluppa le capacità e acquisisce gli strumenti che lo mettono in
grado di “leggere” in maniera più consapevole e critica la realtà che lo
circonda e di compiere scelte più responsabili e costruttive sia sul piano
individuale che sociale.
La questione dell’orientamento è molto complessa: spesso capita di
conoscere persone che decidono di iscriversi in uno specifico corso di laurea
per puro interesse, non guardando ai poveri sbocchi lavorativi che forse quel
corso presenta; nel momento in cui si valuta di intraprendere un percorso di
orientamento con qualcuno, si cerca di evidenziare insieme quelle che sono
le potenzialità e i limiti di un percorso, e soprattutto, l’individuo deve sempre
tener conto del momento storico in cui vive; viviamo infatti in un’epoca in cui il
mercato del lavoro è fluido e non è più cristallizzato come un tempo
(pensiamo agli anni della prima industrializzazione, quando l’industria
assorbiva molte persone indipendentemente dal titolo di studio. In quegli anni
il lavoro era statico, adesso molte persone perdono il lavoro anche se
lavorano nelle industrie, cosa che trenta anni fa non si verificava).
Nel lavoro dello psicologo, invece, è meno probabile che vi siano queste
problematiche di riassestamento, specialmente per via della pandemia che
ha fatto emergere una serie di problemi già presenti da molti anni. Il lato
positivo di tutto questo, è che la salute mentale è tornata ad essere al centro
dell’attenzione pubblica.

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L’orientamento quindi è finalizzato a far prendere alle persone
consapevolezza delle proprie caratteristiche, delle loro potenzialità e dei loro
limiti, in modo tale da non fargli percorrere strade sbagliate. Aiutare un
giovane (o un adulto) a trovare la formazione o il lavoro a lui più adatto,
significa portarlo a costruire una ’’rappresentazione’’ del problema che deve
affrontare, permettendogli di prendere coscienza di alcune dimensioni di sé
che hanno a che fare con la propria scelta, aiutandolo a sviluppare
determinate attitudini o competenze.
Nei paesi industrializzati, le consulenze di orientamento esistono dall’inizio
del XX sec., ma oggi le procedure appaiono diverse e differenziate per diversi
motivi:
1. Non si limitano più al passaggio scuola-lavoro, ma si parla di orientamento
nel corso di tutta la vita.
2. Il solo problema non è l’inserimento (lavoro che faccio per tutta la vita) e le
transizioni professionali (passaggio da un’attività a un’altra), ma l’oggetto
di studio è ciò che Super (1984) definisce life space career development
(sviluppo della carriera nello spazio di una vita).
3. Le pratiche di orientamento non si rivolgono più solo ad una fascia di
popolazione ma a soggetti di ambienti sociali diversi.
4. Le consulenze sono meno direttive di un tempo. L’idea dominante è quella
di un soggetto che deve ’’autodeterminarsi’’, in quanto l’obiettivo è quello
di aiutarlo a fare delle scelte per il proprio orientamento, definendo le
priorità rispetto al proprio sviluppo personale.
Come avremmo capito, in passato le consulenze erano più direttive: un
consulente somministrava al ’’disorientato’’ degli strumenti e al termine
della seduta, stilava le sue caratteristiche. Oggi, invece, il consulente si
avvale sempre della somministrazione di vari strumenti con la differenza
che deve essere la persona stessa a somministrarseli.
5. Il soggetto viene visto come una persona in evoluzione nel corso di tutta la
propria vita (orientamento anche per adulti).
6. Nei programmi scolastici dei paesi industrializzati, occupa sempre più
spazio l’educazione all’orientamento, la quale coinvolge sia gli insegnanti
sia i counselor.
7. L’orientamento può essere di tipo formativo e informativo; con il primo, si
indicano tutte quelle attività mirate a permettere agli individui di
riconoscere e sviluppare le proprie attitudini, capacità e competenze.
Informativo, è finalizzato a consentire alla persona di accedere a
informazioni utili per affrontare i processi di scelta lavorativa, formativa o di
sviluppo professionale, favorendo l'acquisizione di abilità di ricerca e di
utilizzo delle informazioni utili.
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8. A volte, il confine tra orientamento e formazione diventa molto sottile,
poiché alcuni corsi di formazione prevedono anche attività di aiuto alla
definizione di obiettivi personali o professionali.

Nel documento intitolato “Istruzione e formazione 2010: l’urgenza delle


riforme per la riuscita della strategia di Lisbona’’, la Commissione Europea
identifica l’orientamento, come azione chiave per fornire gli strumenti atti
a sostenere l’apprendimento a tutte le età e in vari ambiti, consentendo ai
cittadini una migliore gestione delle proprie conoscenze e del proprio
lavoro.
Il processo di orientamento deve intendersi come dispositivo di
attribuzione di senso all’evoluzione della storia formativa e lavorativa della
persona e come tentativo di gestione efficace e consapevole dei suoi
momenti più significativi. I momenti più significativi di una persona sono i
momenti in cui è chiamata a fare una scelta che può essere di tipo
formativo, lavorativo o formazione nel campo del lavoro. Gli psicologi per
esempio fanno gli ECM (Educazione Continua in Medicina), è il processo
attraverso il quale il professionista della salute si mantiene aggiornato per
rispondere ai bisogni dei pazienti, alle esigenze del servizio sanitario e al
proprio sviluppo professionale; tutto ciò avviene una volta che ci si iscrive
all’Albo, si tratta dunque di una formazione, dentro la formazione stessa.
L’orientamento viene incluso nel quadro dei processi di “fronteggiamento”
delle tappe naturali e critiche del ciclo di vita e rappresenta un contributo
fondamentale nel processo di sviluppo dell’autonomia e di costruzione
della propria identità.

I diversi sviluppi delle pratiche di orientamento sembrano essere


determinati dall’evoluzione della situazione in cui vengono svolte.
Possiamo considerare tre livelli di analisi del loro sviluppo:
1. Gli ambiti ideologici che determinano il modo in cui si pone un problema (il
problema per noi in questo momento storico è la disoccupazione).

2. I contesti economici, sociali, tecnologici e scientifici che strutturano le


domande di orientamento (la domanda di orientamento nasce in funzione
delle esigenze in questi ambiti lavorativi; ad esempio, una persona decide
di fare l’avvocato, ma se non è disposta a passare i suoi pomeriggi a
imparare a memoria i codici non può fare quel tipo di lavoro).

3. Le finalità e gli obiettivi impliciti o espliciti che guidano queste pratiche.

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I quadri ideologici
I quadri ideologici in cui si è sviluppata la nostra attuale concezione delle
pratiche di orientamento sono quattro:

1. Concezione sociale olista o centratura sull’individuo : I primi psicologi che,


in Francia, hanno gettato le basi dell’orientamento professionale, Toulose
(1903) e Binet (1908), non vedono nessun conflitto tra la soddisfazione dei
bisogni sociali e quella dei bisogni individuali, quindi non separavano i
problemi sociali da quelli individuali perché secondo loro le esigenze
dell’individuo devono coincidere con quelle della società.
TOULOSE poneva l’orientamento professionale tra i problemi del lavoro,
egli affermava che ’’occorre organizzare razionalmente il lavoro al fine di
ricavare dallo sforzo dell’operaio il massimo prodotto con il minimo
consumo.’’ Pensava che bisognasse organizzare il lavoro razionalmente.
BINET poneva i bisogni sociali al primo posto, l'orientamento doveva
contribuire alla costruzione di una società in cui ognuno lavori in base alle
proprie capacità riconosciute. Anche Binet, come Toulose, non vedeva
nessun confitto tra la soddisfazione dei bisogni sociali e quella dei bisogni
individuali.
L’ideale sociale di questi autori, era quello di una società olista così come
veniva definita da Louis Dumont, ovvero un’organizzazione sociale in cui si
mette l’accento sulla società nel suo insieme, e in cui ’’ogni uomo deve
contribuire nella posizione che occupa nell’ordine sociale.’’
La concezione di Frank Parsons (il padre dell’orientamento negli Stati
Uniti), è un po’ diversa. Essa è più vicina al quadro ideologico in cui sono
inserite le odierne tecniche di orientamento. Per Parsons, è l’individuo a
essere al centro del dispositivo, mentre mette in secondo piano i bisogni
sociali. Egli riteneva che: ’’Nulla è più importante della scelta di una
professione, se si esclude quella di un marito o di una moglie.’’ Per lui, una
buona scelta si tradurrà in entusiasmo e amore per il lavoro. La società
viene vista, come la ’’società degli individui’’.

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2. Scopri chi vuoi essere e ’’autodeterminati’’ : l’individuo viene visto come
soggetto autonomo, responsabile e capace di indipendenza rispetto alle
situazioni concrete in si trova coinvolto. Questa concezione rinvia a ciò che
gli psicologi sociali chiamano la ’’norma d’internalità’’ secondo cui ogni
soggetto deve attribuirsi la causa degli eventi e così, responsabilizzarsi. Le
caratteristiche individuali hanno un ruolo importante nella propria
realizzazione personale, sociale e professionale.

3. Realizza e integra te stesso attraverso la tua vocazione professionale : nel


XX sec., nei paesi industrializzati l’idea dominante è che la vocazione
professionale sia strumento per raggiungere la realizzazione personale.
Un'attività professionale è un momento particolarmente importante per il
processo di costruzione di sé.
Certo, questa norma non si può generalizzare. Oggi, l’aumentare della
disoccupazione e lo sviluppo di nuove forme di povertà hanno fatto
comparire la figura sociale dell’escluso; ognuno di noi deve trovare
un'occupazione considerando il momento storico. La crisi occupazionale,
comparsa negli anni Settanta, è stata descritta da numerosi autori come
l’inizio di un’era in cui il lavoro, sotto le influenze dei progressi tecnologici e
della mondializzazione dell’economia, diminuirà costantemente. In questo
modo, molte persone verranno necessariamente private del lavoro o
costrette a lavorare sempre più spesso a tempo parziale. Dominique
Méda, per esempio, ricorda che ’’il lavoro è frutto di una costruzione’’;
conclude la sua analisi storica dicendo che ’’il lavoro non è il solo modo
per realizzarsi’’ e che ’’non è il modo principale con cui si tessono i legami
sociali.’’ In questa prospettiva, gli individui avranno sempre più bisogno
d’aiuto, e le tecniche di orientamento professionale, così come le
conosciamo, perderanno di significato.
Yves Clot (1999) osserva, a dispetto di analisi come quella di Méda, che il
lavoro è: ’’una delle caratteristiche più importanti della vita sociale nel suo
insieme, di cui difficilmente ci si può privare senza compromettere la
propria sopravvivenza; e a cui difficilmente una persona può rinunciare
senza perdere il senso della propria esistenza, di un’unità sociale che
porta con sé.’’ Secondo Clot, proprio perché non occupa più la maggior
parte della nostra esistenza e non costituisce più un’attività obbligatoria
legata alla nascita (come nelle società rurali in cui ’’va da sé’’ che i figli
succedano al padre), il lavoro occupa oggi un posto più importante nella
vita di ognuno; sempre più legato ad attività che per secoli sono rimaste
privilegio di determinati ceti sociali (formazione, consumo, piacere,
vacanze, sport, cultura, ecc.). Il lavoro dunque fa parte della vita, ma non è
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questo che ci permette di realizzarci; si crea una rottura tra le
preoccupazioni personali (ciò che ci si era prefissati di raggiungere) e
quelle sociali. Tanto più lavori, tanto più ti senti realizzato come persona.

4. Un’avvenire instabile: oggi il lavoro è caratterizzato più da incertezza che


da continuità. Numerosi lavori contemporanei sottolineano che le "carriere
professionali" corrispondono più a un "caos" che non a una "crescita
vocazionale": esse rappresentano sempre più raramente una continuità
(per esempio, posizioni sempre più qualificate in una stessa azienda o in
uno stesso settore produttivo). Gli individui devono spesso affrontare
momenti di rottura nella loro vita professionale che vanno di pari passo
con i cambiamenti della vita personale: le famiglie sono meno stabili e i
cambiamenti di residenza sono più frequenti. Questi fenomeni di "rottura"
nella vita dell'individuo prendono il nome di "transizioni".
Denis Pellettier e Bernadette Dumora (1984), fanno riferimento proprio a
tale concetto nella loro esortazione allo sviluppo di approcci educativi
nell’orientamento, affermando che di fronte alle discontinuità di elementi
socio-economici instabili, l'obiettivo dello psicologo dell'orientamento è far
acquisire agli adolescenti una scelta che permetterà loro di analizzare ad
ogni bivio che si presenterà nel corso dello svolgimento del proprio
orientamento, gli elementi di sé, le proprie risorse, i propri limiti e la
discontinuità del futuro in cui non è possibile creare una progettualità a
lungo termine, ma in cui occorre fare proprie le strategie a breve termine.
Le competenze orientative, sono l’insieme di quelle caratteristiche che
danno la possibilità di sapersi orientare, di saper governare la propria
esperienza formativa e orientativa tramite abilità, atteggiamenti, e
motivazioni personali necessari.
Tali competenze possono risultare già presenti nel soggetto in maniera
autonoma (naturali processi evolutivi) o apprese e integrate attraverso
azioni orientative specifiche (esperienze mirate). Lo psicologo
dell’orientamento, nei suoi colloqui analizza tutti questi elementi, ma non lo
fa a fini diagnostici, in quanto il suo compito non è quello di fare supporto
psicologico, però, se si rende conto che attraverso la valutazione della
personalità di un individuo sono presenti delle psicopatologie, gli
consiglierà anche di seguire un percorso di psicoterapia.
Le competenze orientative mettono in grado di:
 analizzare le risorse personali a disposizione per realizzare il proprio
progetto, utilizzando competenze maturate in altre situazioni, riconoscendo
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da un lato i propri punti di forza da valorizzare e da un altro i propri punti
critici, in modo da acquisire nuove competenze, se necessarie, e da
individuare modalità di aggiramento degli ostacoli;
 esaminare le opportunità concrete a disposizione e l’insieme di regole che
organizzano il mondo contemporaneo e in particolare i percorsi formativi e
il mercato del lavoro nella società della conoscenza e della
globalizzazione;
 prevedere lo sviluppo della propria esperienza presente, individuando
obiettivi da raggiungere e sulla base di motivazioni reali;
 assumere decisioni, avendo il coraggio di dire dei no e accettando la
sfida di dire dei sì;
 diagnosticare gli obiettivi, valutando la fattibilità del progetto, controllando
le informazioni possedute ed eventualmente integrandole, analizzando
vincoli e condizioni;
 monitorare e valutare la realizzazione progressiva del progetto per
discernere le necessarie modifiche e per apportare i necessari
aggiustamenti.
Tutte queste sono azioni orientative, le quali hanno come obiettivo comune
quello di potenziare il processo e diminuire i rischi dell’insuccesso rispetto
ad alcune scelte o comportamenti individuati. Gli obiettivi specifici si
differenziano dipendentemente dai bisogni orientativi soggettivi che
emergono. L’orientamento non consiste nell’aiutare l’individuo a prendere
delle sagge decisioni o a prenderle al suo posto, ma piuttosto nell’aiutarlo
a prendere le sue decisioni con saggezza.

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2° lezione: 12/10/2021

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I contesti
Se il quadro ideologico svolge un ruolo importante nel modo di concepire le
questioni soggiacenti alle pratiche di orientamento, queste dipendono anche
dai contesti sociali in cui vengono formulate, in quanto i contesti sociali,
determinano il tipo di orientamento. Si è notato, per esempio, che il problema
dell’orientamento si era posto nella maggior parte dei paesi industrializzati,
verso il 1900, come problema della scelta di un mestiere all’uscita dalla
scuola. Da una parte, queste società non erano più rurali o artigianali: erano
diventate industriali, ed era quindi necessaria una nuova divisione del lavoro.
Andando avanti negli anni, la scelta divenne sempre più ragionata poiché il
giovane non prendeva più il posto del genitore ma iniziò a cercare la sua
strada; il problema della ’’scelta di una vocazione’’, dunque, si andava
ponendo a un numero crescente di giovani.

2.1 Organizzazione del lavoro, concezione della qualificazione e


problematiche dell’orientamento

In un articolo pubblicato nel 1955, Alain Touraine ha descritto tre tipologie di


organizzazione del lavoro (più avanti è stata aggiunta una quarta),
sviluppatesi nel corso del XX secolo. A ciascuna di esse corrisponde una
particolare concezione della qualificazione professionale. Le pratiche di
orientamento sembrano essere state influenzate fortemente da queste
diverse rappresentazioni della qualificazione:
 orientamento verso i mestieri;
 orientamento verso un impiego (fordismo);
 orientamento verso le funzioni professionali (modello delle competenze);
 orientamento come supporto alle transizioni (mondializzazione e “caos
vocazionale”).

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1. L’ordinamento professionale del lavoro e l’orientamento verso i mestieri
Si tratta di una modalità di produzione vicina all’artigianato: il lavoratore deve
possedere ’’una buona mano’’, per svolgere il proprio lavoro. Egli detiene un
patrimonio di “sapere” e “sapere fare” che può acquisire attraverso un
apprendimento metodico, solitamente piuttosto lungo. Questo patrimonio
rimanda al suo stesso essere, in quanto il mestiere contribuisce alla
definizione dell’identità individuale.
Se l’apprendimento è lungo, è anche costoso, per tale motivo il mestiere va
scelto con cura. L’orientatore è un esperto la cui scienza viene definita
psicotecnica e il colloquio psicologico di orientamento è lo strumento
principale dell’intervento. La nozione di attitudine è fondamentale, ciò fa
riferimento ai famosi test ’’psico-attitudinali’’ che vengono utilizzati ancora
oggi nonostante ormai siano obsoleti (dal punto di vista delle nuove pratiche
di orientamento).
In questo processo, il consulente dell’orientamento deve prevedere, il più
obiettivamente possibile, il mestiere per cui il giovane dovrà prepararsi e che
dovrebbe esercitare per il resto della propria vita.
La psicotecnica può essere utilizzata anche per misurare l’intelligenza o la
personalità.
Come è stato detto poc’anzi, l’attitudine è un concetto fondamentale:
attitudine deriva dal latino ’’aptus’’ (adatto) e indica la capacità, la
disposizione del soggetto. “Avere attitudine per”, “Essere portato a”, avere
cioè una predisposizione ad apprendere facilmente determinate abilità:
calcolare, scrivere, risolvere problemi; tutto questo può essere benissimo
collegabile anche agli studi e non soltanto al lavoro.
Su un piano professionale l’attitudine venne definita come disposizione
naturale che si esprime mediante risposte a certi stimoli, risposte che
possono essere misurate nell’aspetto motorio o intellettuale e che sono
tipiche per un operaio specializzato. Il compito dell’orientatore rimane sempre
quello di osservare come l’individuo si comporta di fronte a certi stimoli
(scoraggiandosi, prendendoli come una sfida ecc.).
Ai fini orientativi diviene importante verificare la presenza/assenza di una
serie di attitudini al fine di indirizzare il soggetto in quel settore di studi o quel
campo professionale. Naturalmente, soltanto lo psicologo dell’orientamento
può somministrare test attitudinali poiché in questo campo, sono presenti
molti altri orientatori (non psicologi) che svolgono quasi tutte le stesse
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funzioni degli psicologi dell’orientamento, ma che non possono condurre
colloqui psicologici, test, counseling ecc.
In questa fase storica, definita ’’diagnostico-attitudinale’’, era previsto un
esame psicometrico il cui obiettivo era quello di conoscere le attitudini del
singolo da mettere in relazione con le esigenze delle professioni in modo da
permettere la collocazione dell’“uomo giusto al posto giusto”.
Il punto di vista teorico, derivante dal modello “tratti e fattori”, solitamente
associato alla psicotecnica, può essere riassunto attraverso alcune semplici
proposizioni:
 gli individui possono essere descritti attraverso attitudini stabili (quando
viene utilizzato uno strumento psicometrico, lo si fa perché ci si aspetta
che il risultato di quella valutazione rimanga abbastanza stabile nel tempo,
ma non immutabile);
 le professioni possono essere descritte attraverso le loro esigenze,
ugualmente stabili, in materia di attitudini (ricordiamoci che nei primi del
Novecento si credeva che una professione non si potesse evolvere);
 gli individui sono capaci di prendere decisioni razionali, ovvero di
impegnarsi in professioni che corrispondono alle loro attitudini, solitamente
grazie all’assistenza di un consulente che sa individuare le attitudini e
conosce le esigenze delle professioni (per fare sì che ci sia l’uomo giusto
al posto giusto, ci vuole un consulente che individui le attitudini di quella
persona);
 quando vi è un buon abbinamento individuo-professione, ovvero una
buona affinità tra il profilo delle attitudini che descrivono la persona e il
profilo di attitudini che descrivono la professione, il soggetto ha successo
nel suo lavoro, ne è soddisfatto e non sente il bisogno di cambiarlo.
I test di attitudini specifiche, detti anche test occupazionali, consentono di
rilevare se un individuo possiede i requisiti che gli possono consentire di
ottenere buoni livelli di performance in una determinata professione.
Un esempio di test occupazionale che ormai fa parte della storia è il DAT-5
(Differential Aptitude Tests - Fith Edition), sono una delle batterie
attitudinali più utilizzate sia negli Stati Uniti che in Italia e una delle migliori di
questo tipo. Alla base del DAT, vi è la concezione di attitudine come capacità
di apprendere sulla base di appropriati training e input ambientali,
considerando quindi le attitudini come abilità apprese piuttosto che ereditarie.

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La premessa teorica è, quindi, che l’intelligenza umana, o l’abilità mentale, è
costituita da molte differenti attitudini che devono essere misurate da
numerosi punti di vista.
I DAT misurano la capacità di apprendimento, o di riuscita, in una serie di
differenti aree:
1. Ragionamento Verbale;
2. Ragionamento Numerico;
3. Ragionamento Astratto;
4. Velocità e Precisione;
5. Ragionamento Meccanico;
6. Rapporti Spaziali;
7. Uso del Linguaggio.

1. RAGIONAMENTO VERBALE (40 item; 25 minuti):

Misura la capacità di cogliere relazioni tra le parole ed è formato da


analogie tra coppie di parole poste in relazione fra loro. Ciascuna analogia
ha due parole mancanti, una nella prima coppia di termini ed un’altra nella
seconda. Queste analogie verificano l’abilità di dedurre la relazione
esistente tra la prima coppia di parole e di applicarla alla seconda coppia,
in modo tale che i primi due termini siano collegati l’uno all’altro nello
stesso modo in cui lo sono quelli della seconda coppia.

2. RAGIONAMENTO NUMERICO (40 item; 30 min):

Misura l’abilità di svolgere compiti di ragionamento matematico. Per


garantire che sia rilevata l’abilità di ragionamento piuttosto che quella di
calcolo, la capacità di calcolo richiesta dai problemi è assai inferiore a
quella prevista dal livello di scolarizzazione su cui è tarato il test.

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3. RAGIONAMENTO ASTRATTO (40 item; 25 min):

Misura non verbale dell’abilità di ragionamento. Esso rileva se, e in che


misura, i soggetti sono capaci di ragionare con figure o disegni geometrici.
Il test consiste di item in cui si devono completare serie di figure. Tali item
misurano l’abilità di individuare l’elemento successivo in una serie di figure
geometriche in cui ciascun elemento cambia in base ad un dato criterio.

4. VELOCITA’ E PRECISIONE (100 item; 3 min):


Misura l’abilità di porre a confronto e siglare con rapidità e precisione liste
presentate in forma scritta. Gli item del test non chiamano in causa capacità
di ragionamento, l’enfasi è posta sulla velocità.

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5. RAGIONAMENTO MECCANICO (60 item; 25 min):

Misura l’abilità di comprendere i fondamentali principi meccanici di


macchinari e attrezzature. Ogni item consiste in un’immagine di congegno
meccanico e di una domanda formulata in termini semplici. Gli item
rappresentano semplici principi che implicano abilità di ragionamento,
piuttosto che conoscenze particolari.

6. RAPPORTI SPAZIALI (50 item; 25 min):

Misura l’abilità di visualizzare un oggetto tridimensionale a partire dalla


rotazione di un pattern a due dimensioni. Ciascun problema mostra un
modello iniziale seguito da quattro figure tridimensionali. I soggetti devono
scegliere, tra di esse, l’unica che può derivare dalla rotazione del modello
dato.

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7. USO DEL LINGUAGGIO (40 item; 15 min):

Misura l’abilità di rilevare errori di grammatica, punteggiatura e sintassi. Il


test consiste di frasi divise in quattro parti. I soggetti devono stabilire se
una di esse contiene uno dei suddetti tipi di errore o se è scritta
correttamente.

 Sulla base dei punteggi ottenuti in questi test, l’orientatore suggerisce


all’utente le seguenti professioni:

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Limiti della psicotecnica:

Per molti anni la concezione dell’orientamento legata alla psicotecnica


apparve soddisfacente; venne dimostrato che il successo professionale
nell’arco di tre anni era molto più alto per coloro che avevano seguito i
consigli delle consulenze (3% di abbandono, contro il 17%).
Malgrado i coefficienti di validità, questo modello è stato oggetto di molte
critiche:
 Valorizza eccessivamente le attitudini e poco la motivazione e gli interessi.
 Presuppone un soggetto razionale (il ruolo delle emozioni viene
tralasciato).
 Non prevede tesi relative allo sviluppo (il contesto temporale non viene
considerato, dunque ciò che può piacere ora potrebbe darsi che per effetto
dello sviluppo e di ciò che si può apprendere all’interno del percorso di
studi, l’interesse venga meno a vantaggio di qualche altro);
 Il soggetto è passivo, in quanto apparentemente non fa nessuno sforzo
per giungere all’abbinamento ricercato.

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Il modello “tratti e fattori” è, inoltre, poco adatto allo sviluppo della società
moderna:
 l’orientamento è sempre più legato a capacità di apprendimento generiche
e non ad attitudini specifiche, considerata la mobilità professionale e i
rapidi cambiamenti;
 Il prolungamento della scolarità non permette un orientamento “puntuale” e
“determinato” (si dovrebbe fare a scuola un certo tipo di orientamento
basato sullo sviluppo degli interessi: far vedere allo studente una stessa
situazione da più punti di vista, in quanto, ad esempio, molte materie non
piacciono non per colpa della disciplina in sé, ma per l’insegnante).

Questo metodo è stato adottato e continua


ad essere usato nelle selezioni professionali,
situandosi da subito nell’ambito di una
professione particolare.

2. Il ’’fordismo’’ e l’orientamento verso un impiego

Queste nozioni di ’’mestiere’’ e di un orientamento professionale fondato


sulle attitudini, vennero radicalmente rimesse in discussione da Henry
Ford, il quale si ispirò a Frederick Taylor:
TAYLOR (1911)  afferma che  la migliore produzione si determina
quando a ogni lavoratore è affidato un compito specifico, da svolgere in un
determinato tempo e in un determinato modo. La dottrina di Taylor era
essenzialmente impostata sull’eliminazione dell’autonomia degli impiegati
e su concetti di disciplina e di suddivisione del processo produttivo in unità
elementari (ripetitive) affidate ad una singola persona.
FORD (1968)  introduce la nozione di “assemblaggio”, ovvero la
divisione degli oggetti complessi in parti semplici che si possono fabbricare
in maniera standardizzata e che occorre solo assemblare. Qualche anno
dopo, concepì la catena di produzione, cioè un metodo di fabbricazione in
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cui il lavoratore si limita ad effettuare una serie di operazioni elementari a
un ritmo imposto dalla velocità della catena.
La nozione fondamentale non è quindi più quella di “mestiere” ma quella di
“impiego”. La qualificazione acquista un nuovo significato, essa non è più
legata all’operario, ormai è riferita al posto di lavoro caratterizzato dalle
specificità tecniche delle macchine. Un conto è il mestiere, un conto poi è
l’impiego. Sul mestiere, il consulente può indirizzare qualsiasi persona
indipendentemente dal titolo di studio, ma verso l’impiego deve tener conto
del grado d’istruzione. La qualificazione viene, quindi, definita come un
rapporto sociale complesso tra le operazioni tecniche e la stima del loro
valore sociale.
Questa teoria viene chiamata fordismo perché indica quel termine che
deriva dal nome del suo ideatore, l’industriale statunitense Henry Ford,
ovvero colui il quale, ispirandosi alle teorie del suo connazionale Frederick
Taylor, definì un efficiente e rivoluzionario sistema di organizzazione
industriale. Attraverso l’introduzione della catena di montaggio nella sua
fabbrica di automobili di Detroit Ford perfezionò le teorie di Taylor. Con la
parola fordismo, si indica quindi una peculiare forma di produzione basata
principalmente sull’utilizzo della tecnologia della catena di montaggio
(assembly-line) al fine di incrementare la produttività. La catena di
montaggio si preoccupa di far arrivare davanti all’operaio l’elemento sul
quale lavorare, sconvolgendo totalmente il concetto di lavoro artigianale
fino a quel momento conosciuto e utilizzato. La deduzione logica è che
l’operaio, per poter lavorare, non necessita di particolari competenze.
In sintesi, potremmo dire che il modello di Ford era impostato su una
politica finalizzata ad offrire un prodotto standard a prezzo vantaggioso.

In questa organizzazione fordista del lavoro “il nocciolo duro della


competenza è la formazione sul posto di lavoro”, osserva Dubar (1998), il
quale sottolinea come l’identificazione principale è quella che lega
l’individuo al suo collettivo di lavoro. Spesso gli individui si identificano con
il loro lavoro e costruiscono una ’’comunità professionale’’, il lavoro serve
quindi per contribuire alla realizzazione professionale e personale.
In questo contesto, la consulenza di orientamento assume un senso
diverso da quello che aveva nel modello di orientamento verso un
mestiere. La questione delle attitudini personali non è più al centro del
problema. Si tratta, innanzitutto di determinare se il giovane si adatterà a
determinate condizioni di lavoro, se condivide i valori di quello specifico
gruppo ecc. Proprio per questa ragione, Il focus dell’orientamento si
spostò dal concetto di attitudine a quello di valori, interessi e tipologie
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professionali (condivisione con il gruppo), lo stesso gruppo di professionisti
dovrebbe condividere gli stessi valori e gli stessi interessi.
La differenza tra: “Sono una psicologa” e “Faccio la psicologia” è netta,
poiché con la prima asserzione io mi sto identificando in quel ruolo, quel
ruolo fa parte del mio essere, mentre con la seconda sembra quasi che ci
si stia sforzando di svolgere questa professione.

Processo evolutivo nella formazione degli interessi:


 Interessi generali  atteggiamento favorevole verso un tipo di attività che
si considera importante e verso cui l’individuo tende (è diversa dalla
predisposizione, è un attegiamento favorevole che non necessariamente
riguarda ciò che si vorrà fare in futuro);
 Interessi professionali  percezione di una attività lavorativa come adatta
a soddisfare parte dei bisogni e valori e verso cui l’individuo tende.

Le professioni a cui si fa riferimento durante la prima infanzia sono per lo più


legate alla fantasia (astronauta, esploratore, poliziotto ecc.) dalle professioni
fantasticate della prima infanzia si passa alle professioni desiderate (e
idealizzate) dell’adolescenza, fino al realismo dell’età adulta. In genere gli
interessi si stabilizzano nella prima giovinezza.
Per quanto si possa parlare anche di matrice genetica, l'ambiente socio-
culturale ed economico di appartenenza è fondamentale nella formazione
degli interessi. E’ più probabile che i figli svolgano lo stesso lavoro dei genitori
(seppur non sia scontato).
Alla luce di ciò è importante considerare:
 il ruolo che la famiglia svolge nella formazione dell’individuo;
 la scuola e il sistema educativo nel suo complesso;
 le conoscenze e le informazioni che si possiedono sulle professioni;
 le specificità che caratterizzano il sistema produttivo e le previsioni sulle
evoluzioni possibili;
 le possibilità che offre in concreto un dato contesto, in termini di
occupazione e di opportunità formative.

 Nonostante l’evoluzione della parità sociale uomo-donna, gli interessi di


genere continuano ancora oggi ad esistere. I lavori che la maggior parte

18
delle donne scelgono sono centrati sul sociale, mentre gli uomini optano
sempre per lavori legati a professioni scientifiche o meccaniche.

Gli interessi professionali costituiscono la principale motivazione alla scelta


di studio e/o lavoro. Una scelta, se fatta in congruenza con gli interessi,
favorisce il successo scolastico e professionale. La scelta professionale
può essere descritta come un processo teso ad accrescere, lungo tutta la
vita professionale, l’adeguamento tra sé e il proprio ambiente.

Anne Roe (1956)  sostiene l’esistenza di una relazione tra lo sviluppo degli
interessi professionali e le esperienze infantili con le figure parentali e i loro
stili educativi (protettivo, esigente, rifiutante, trascurante, incostante,
accettante).
a) i soggetti cresciuti in un clima familiare positivo, caratterizzato da relazioni
piacevoli e calde, tendono a sviluppare più facilmente interessi per le
persone e per attività che comportano il contatto con le persone e l’uso di
competenze sociali;
b) al contrario, i soggetti che sperimentano relazioni meno positive con i
genitori tendono a maturare più facilmente interessi per le professioni che
implicano il contatto con le cose (ad esempio i settori scientifici e tecnici).
Esistono due teorie di Anne Roe: una teoria strutturale degli interessi che
corrisponde a una classificazione delle professioni e che anticipa quella di
Holland, e una teoria evolutiva che si propone di spiegare le scelte di
orientamento dai bisogni dell’individuo, in quanto questi possono cambiare
nel corso dello sviluppo.
I bisogni del bambino sono da una parte costituzionali, dall’altra influenzati
dai comportamenti educativi familiari, c’è uno spostamento verso il
riconoscimento del ruolo del contesto nello sviluppare bisogni e interessi.
I bisogni fondamentali sono:
 bisogno di contatto con gli altri (forte in coloro che sono orientati verso le
persone, meno in coloro orientati verso le cose);
 bisogni superiori (autonomia, autorealizzazione) e inferiori (sicurezza,
stabilità).
Anne Roe ritiene che sia possibile raggruppare le attività professionali in
funzione della loro parentela psicologica. Ispirandosi a lavori già realizzati sui
questionari di interesse, ella definisce otto gruppi:

19
1. Tecnologia (R): attività tecnico-pratiche, che includono le professioni che
prevedono il contatto con le cose piuttosto che con le persone e
comportano la produzione e il trasporto di prodotti.
2. All’area aperta: attività che riguardano, ad esempio, coltivazione,
allevamento, trasformazione e protezione dell’ambiente;
3. Scienza (I): attività scientifiche, che implicano l’interesse per le teorie e
per le applicazioni in campo delle ricerche scientifiche;
4. Cultura generale: attività che comportano l’interesse per la conservazione
e per la trasmissione dei prodotti culturali dell’uomo;
5. Arte e divertimenti (A): attività che richiedono capacità creative, si
svolgono a contatto con il pubblico e implicano relazioni interpersonali
diverse da quelle del primo gruppo;
6. Servizi (S): attività che implicano il contatto con le persone allo scopo di
aiuto, assistenza, istruzione;
7. Affari (E): attività di tipo commerciale, che implicano prevalentemente
bisogni di tipo persuasivo e di contatto con gli altri, ma prevalentemente
per vantaggio personale;
8. Organizzazioni (C): attività tipiche del settore degli affari,
dell’amministrazione, che comportano prevalentemente relazioni formali e
distaccate.

3° lezione: 19/10/2021

La teoria dei tipi di personalità e degli ambienti lavorativi di John


Holland
Secondo J.L. Holland (1959), gli interessi sono un aspetto importante della
personalità (si comincia a introdurre il concetto di personalità come una
caratteristica fondante dell’individuo). L’individuo, nell’interazione con il
suo ambiente, sviluppa opinioni e atteggiamenti verso le varie professioni,
in sintonia con la propria identità. Egli, tende ad inserirsi nell’ambiente,
anche lavorativo, a lui più congeniale, cioè in sintonia con la propria
personalità. Quindi gli interessi, e ciò che io penso delle varie professioni,
lo sviluppo in relazione alla mia personalità.
Holland individua sei tipi professionali e relativi ambienti lavorativi (modello
RIASEC):
 Realistico; Investigativo; Artistico
 Sociale; Intraprendente; Convenzionale
20
Queste personalità sono state collocate da Holland su un esagono e
afferma che ogni persona è caratterizzata dalla propria distanza da
ciascuno dei tipi ideali, ovvero dal proprio profilo.
Il polo positivo di ogni dimensione diventa un tipo ideale, a cui gli individui
sono più o meno vicini, caratterizzato da un insieme di attributi personali,
molti dei quali sono tratti di personalità che non evocano direttamente
alcun interesse:

Le dimensioni non sono indipendenti. Ad esempio coloro che sono


realistici tendono ad essere anche intellettuali e convenzionali, più che
sociali, artistici o intraprendenti.
Secondo la sua teoria, se io fossi un’intellettuale, dovrei distanziarmi molto
da altre tipologie di professioni.
Lui indaga le tipologie di personalità, ognuna di queste dimensioni della
personalità = interessi = tipologie di professioni.
Esistono anche sei tipi di ambienti professionali o formativi corrispondenti
ai sei tipi di personalità (tipi psicologici). Le persone che vivono in questi
ambienti tendono ad assomigliarsi psicologicamente, ad avvicinarsi allo
stesso tipo psicologico; è il tipo psicologico dominante a definire
l’ambiente. La classificazione delle persone e quella degli ambienti
costituiscono, di fatto, un’unica tipologia.
Ecco nel dettaglio le varie tipologie di personalità:

1. Realistico: possiede capacità pratiche e meccaniche, ama mestieri come


meccanico, elettricista, ingegnere. Viene descritto come conformista,
franco, onesto, materialista, naturale, perseverante, pratico, modesto e
21
stabile (ambiente: presuppone la manipolazione sistematica di oggetti,
strumenti, macchine, animali);
2. Intellettuale o investigativo: possiede capacità matematiche e
scientifiche, ama i mestieri come biologo, chimico, antropologo, geologo.
Viene descritto come analitico, prudente, critico, curioso, indipendente,
introverso, metodico, preciso e razionale (ambiente: presuppone
l’osservazione e l’investigazione sistematica e astratta di fenomeni fisici,
biologici e culturali);
3. Artistico: possiede capacità artistiche, musicali e di scrittura, ama mestieri
come compositore, musicista, scrittore, decoratore d’interni, attore. Viene
descritto come complicato, emotivo, espressivo, creativo, con poco spirito
pratico, impulsivo, indipendente, intuitivo, non conformista e originale
(ambiente: presuppone attività libere, poco sistematiche e mal definite,
nonché competenze creative);
4. Sociale: possiede capacità sociali, ama mestieri come insegnante,
religioso, consulente, psicologo, logopedista. Viene descritto come
convincente, cooperativo, amichevole, di sostegno, idealista, gentile,
responsabile, socievole e comprensivo (ambiente: presuppone un agire
“sugli altri” al fine di informarli, educarli, guarirli, aiutarli);
5. Intraprendente o imprenditoriale: possiede capacità di leadership e si
esprime con facilità, ama mestieri come manager, gestore, produttore
televisivo, addetto agli acquisti. Viene descritto come avventuroso,
ambizioso, dominatore, energico, impulsivo, ottimista, fiducioso in se
stesso, popolare (ambiente: presuppone un agire “sugli altri” al fine di
raggiungere obiettivi personali o prefissati da un’organizzazione);
6. Convenzionale: possiede capacità per il lavoro d’ufficio e l’aritmetica, ama
i mestieri come l’impiegato, lo stenografo, l’analista finanziario. Viene
descritto come conformista, coscienzioso, prudente, conservatore,
ordinato, perseverante, con senso pratico, calmo, (ambiente: presuppone
la manipolazione sistematica, secondo piani precisi, di dati che possono
essere molto diversi).

Rappresentando la personalità per mezzo del profilo degli interessi,


Holland ha definito diversi indici che permettono di apprezzare il suo grado
di strutturazione o di chiarezza:
 coerenza: una personalità è coerente quando i due punti più elevati del
profilo corrispondono a lettere consecutive nella serie RIASEC;
 differenziazione: personalità poco differenziata se il profilo è “piatto”,
tanto differenziata quanto più vi sarà uno scarto importante tra il punto più
22
alto e quello più basso del profilo (se io però utilizzo gli indici Q.I, è meglio
se non ci sono differenze fra gli indici; una personalità piatta dal punto di
vista dell’intelligenza, non è una cosa allarmante. La questione sarebbe
diversa se io dovessi misurare attraverso le caratteristiche di personalità
per ricavarmi gli interessi, in quel caso una personalità piatta sarebbe un
problema);
 identità vocazionale: il soggetto ha dei propri interessi, dei propri punti di
forza e dei propri obiettivi, e la sua capacità di specificarli.
Esistono delle correlazioni tra tipi psicologici e tratti di personalità (ad es, i
soggetti di tipo sociale ed estroverso risultano piuttosto socievoli, mentre i
soggetti realistici e intellettuali per niente; i soggetti realistici risultano
emotivamente stabili mentre i soggetti artistici e sociali molto meno), ma
sono deboli.
I questionari elaborati da Holland, tuttavia, non sono veri e propri
questionari di personalità, ma piuttosto questionari di interessi.

Limiti e successi della teoria di Holland:


Sei dimensioni sono sufficienti? E sono davvero equidistanti? (esagono).
Studi successivi hanno dimostrato come gli interessi convenzionali e
imprenditoriali sono molto più vicini di quanto suggerito dalla sua teoria. Altra
critica riguarda il fatto di non tenere conto della desiderabilità sociale e del
prestigio di alcune professioni rispetto ad altre ed alle differenze di genere.
Ciò significa che nella scelta degli interessi o nella costruzione degli interessi
si potrebbe venir influenzati così da dirigersi verso un tipo di professioni
piuttosto che in altre per via del concetto di desiderabilità sociale.
A partire dalla definizione degli individui e dei contesti, la teoria, formula due
ipotesi principali: gli individui ricercano un contesto congruente con il loro tipo
di personalità; questa congruenza è fonte di soddisfazione, di efficienza e di
stabilità. Il suo sistema, inoltre, è facilmente assimilabile, RIASEC e la forma
esagonale sono di facile impatto ed impiego.
La sua teoria appare subito operativa, i questionari sono tradotti in varie
lingue. Il Self- Directed Search (SDS) del 1972, permette non solo la
diagnosi dei tipi psicologici ma stabilisce anche una correlazione tra questi e
le professioni corrispondenti.
23
Altra ragione di successo riguarda la posizione intermedia della teoria tra le
concezioni diagnostiche e quelle educative. Significa che la teoria può essere
utilizzata come una teoria vicina a quella delle attitudini, poiché i consigli di
orientamento si basano sugli interessi individuali, pur non essendo una teoria
delle attitudini. Inoltre, può essere utilizzata come una teoria educativa,
perché fornisce idee per aiutare nell’esplorazione delle possibili professioni,
pur non essendo una vera e propria teoria educativa.

INVENTARIO DI STRONG
Strong Vocational Interest Blank SVIB (1927)
Strong iniziò la sua ricerca studiando le persone soddisfatte del loro lavoro e
con professioni omogenee (es. architetti soddisfatti del loro lavoro, psicologi
soddisfatti del loro lavoro ecc.).
La procedura della costruzione del questionario riguardava il comprendere
quali sono le preferenze che distinguono gli architetti dagli altri (un campione
casuale) rispetto ad una serie di attività, occupazioni e tempo libero,
situazioni speciali e professionali. Voleva capire quali fossero gli interessi
specifici di una categoria piuttosto che di un’altra.
Solo quando un soggetto ha punteggi simili ad gruppo criterio (es. architetti)
si può dire che ha degli interessi per quella professione.
Negli Stati Uniti vennero individuati circa 50 profili (Strong ha analizzato 50
professioni, ottenendo un profilo di interessi) di altrettante figure professionali.
Nella sua ultima versione (1938) il questionario prevede due forme una per le
femmine e una per i maschi, entrambe composte da 400 item dei quali 263
comuni alle due forme.
24
L'inventario di Strong distribuisce gli item in otto categorie (occupazioni,
materie scolastiche, hobby, tratti di personalità, preferenze per attività,
confronto di interessi a coppie, autovalutazione di atteggiamenti). A ciascuna
domanda il soggetto risponde con: mi piace, non mi piace, mi è indifferente.

I VALORI
Aderire a determinati valori significa pensare che vi siano obiettivi e modi di
comportarsi che sono preferibili e superiori ad altri. I valori sono più generali,
più astratti, più importanti rispetto agli interessi, poiché gli interessi possono
cambiare mentre i valori dovrebbero rimanere immutati.
I valori, sovente possono essere definiti come bisogni di ordine superiore. Il
bisogno esprime lo stato di tensione che si incontra in ogni fenomeno
motivazionale. Significa che se sono motivato a fare una cosa è perché la
riconosco come valore; ad esempio: voglio studiare per imparare
(motivazione intrinseca), studio per prendere 30 (estrinseca), ognuna di
queste motivazioni è comunque un valore. In sociologia e in antropologia, le
culture vengono solitamente descritte attraverso i valori dominanti nei diversi
gruppi presi in considerazione. In psicologia si pone l’attenzione sulla
variabilità dei valori all’interno di gruppi più ristretti.
Poiché i valori sono principi guida nella vita, si ritiene che l’individuo ricerchi
situazioni professionali che corrispondano ai suoi valori, così come ricerca
situazioni professionali corrispondenti alla sua personalità e ai suoi interessi.
Si ritiene che una volta che l’individuo riesce a trovare una professione che
corrisponde al suo carattere e ai suoi principi è maggiormente soddisfatto.
L’assenza di corrispondenza tra ruoli e valori comporta effetti negativi, come
la depressione o l’ansia.
Quando un individuo possiede un sistema di valori consolidato, solitamente
risulta meno indeciso rispetto al proprio avvenire e si impegna maggiormente
nella costruzione di un’identità professionale.

3. Il modello della competenza e l’orientamento verso le funzioni


professionali

Man mano che le professioni acquisiscono una maggiore specificità


richiedono competenze particolari. Questo ha portato ad introdurre il concetto
di “competenza”.
25
Touraine (1955) osserva che l’introduzione dell’informatica corrisponde ad un
nuovo sistema di lavoro che definisce “tecnico”, in cui la qualificazione
corrisponde a uno statuto riconosciuto in un sistema sociale di produzione.
Questo “ordinatamento tecnico del lavoro” prevede lo sviluppo di abilità
specifiche diverse da quelle che richiedeva l’ “ordinamento professionale del
lavoro”.
Queste abilità sono legate alle interazioni che definiscono la situazione di
lavoro. Il lavoratore viene definito come depositario di competenze e capace
di svilupparne di nuove, in funzione dell’evoluzione delle situazioni di lavoro in
cui si trova, tanto è vero che alcuni studiosi ritengono che certe competenze
si rivelano fondamentali: la socievolezza e l’arte di comunicare, la prontezza
d’adattamento e la capacità di far fronte ad avvenimenti inattesi, sviluppando
competenze nuove.
A differenza delle attitudini, queste competenze sembrano essere
strettamente legate ai contesti in cui si manifestano.
Il termine competenza, viene da ’’cum petere’’ (dirigersi verso) che significa
sapersi orientare in un settore specifico o in un’attività. Competenza non
come qualificazione professionale, ma intesa come la possibilità di generare
un’agire fondato sulla comprensione del contesto in cui si opera e sulla
previsione degli esiti delle proprie azioni. Se il contesto mi richiede
competenze diverse (sempre legate alla mia professione) io per essere
adattato al contesto e per avere un equilibrio con ciò che sto facendo, devo
sempre più limare le mie competenze.
Competenza significa anche trasferibilità delle conoscenze, applicazione a
nuovi contesti operativi e cognitivi, così come è indice di flessibilità, la quale è
l’elemento chiave del mercato attuale. Il momento più importante è il modo in
cui le persone riescono a relazionarsi col contesto: più si è flessibili, più si è
adatti.
Le pratiche di orientamento maggiormente adottate sono le tecniche di
bilancio di competenze (usate quando si vuole cambiare lavoro o corso di
laurea) e le procedure di validazione e riconoscimento delle esperienze.

4. Orientamento come supporto alle transizioni (mondializzazione e caos


vocazionale)
Le trasformazioni economiche relative al periodo più recente (ovvero lo
sviluppo delle nuove tecnologie nell’informatica e nella comunicazione ecc.)
hanno portato a una segmentazione del mercato del lavoro.
26
Il bilancio di competenze è presente proprio perché vi è questa
segmentazione: non esiste un unico mercato ma molteplici mercati del lavoro
separati.
I mercati del lavoro si classificano in: mercato primario (o superiore),
secondario e del lavoro precario.
Il primo sono lavori che richiedono una settoriale formazione, sono ben pagati
ma presuppongono una forte mobilità (es. i laureati in economia che si
specializzano in un campo specifico: quel tipo di lavoro può essere oggi
richiesto in una società, ma domani richiesto in un’altra ancora, quindi ci si
muove da un lavoro ad un altro con una grande facilità). Il mercato
secondario, a cui appartiene un numero sempre crescente di lavoratori,
prevedono lavori mal pagati e i lavoratori non hanno bisogno di molta
formazione perché svolgono la stessa attività per tutta la vita. Il lavoro
precario rappresenta un lavoro non standard o temporaneo che può essere
mal pagato, insicuro, non protetto e incapace di sostenere una famiglia;
coloro che fanno parte di questo mercato appartengono a gruppi vittime di
discriminazione: donne, giovani e stranieri.

2.3 L’orientamento dei giovani non scolarizzati e degli adulti

 Il lavoro sta decisamente cambiando. Si è modificata la collocazione della


forza lavoro e la distribuzione (pensiamo all’avvento dei robot).

 Aumentano i fattori di diversificazione per età, livello di istruzione, genere,


provenienza etnica e distribuzione geografica (in base a questi fattori, ci
sono privilegi e non che certe aziende danno).

 I contesti organizzativi mutano velocemente in rapporto alle esigenze


tecnologiche e dei mercati.

 I contenuti del lavoro si trasformano: i compiti vengono amplificati e


despecializzati.

Disoccupazione giovanile
 Il numero dei giovani che entrano nel mercato del lavoro, risulta
tendenzialmente più ridotto rispetto al passato (al sud ci sono meno

27
laureati rispetto al nord perché molti del sud si laureano al nord o si
spostano comunque per lavoro in alta Italia).

 Continuo decremento di ingressi lavorativi nella fascia tra i 18 e i 24 anni.


In Italia i tassi di disoccupazione giovanile restano assai elevati (in media
intorno al 25%) e non solamente ormai nelle zone del sud.

 Da considerare anche il cosiddetto tasso di “sottoutilizzo delle risorse” che


esprime l’insieme di coloro che pur non essendo classificabili tra i soggetti
in cerca di lavoro sarebbero disponibili a farlo se ci fossero le condizioni
opportune.

 Il calo delle persone così inserite nel mondo del lavoro corrisponde al
mancato utilizzo di risorse per lo sviluppo collettivo e alla diminuzione della
produttività (se sono costretto a svolgere un lavoro in cui mi sento
sottoutilizzato è ovvio che non darò il massimo).

Femminilizzazione
 Dal secondo dopoguerra l’immissione delle donne nel mercato del lavoro
occupazionale ha seguito un ritmo crescente anche in Italia.

 L’occupazione femminile dapprima prevalente nei mercati secondati del


lavoro si è diffusa anche in quelli primari delle grandi imprese, nei settori
sindacalizzati e soprattutto nel terziario.
 Emancipazione socioculturale e benessere economico.

 Fenomeno della “doppia carriera” (lavoro aziendale e lavoro domestico):


problema di raggiungere un equilibrio soddisfacente tra le spinte di carriera
aziendale e le esigenze derivanti dal contesto domestico.

 Esigenze di riequilibrio dei tempi di lavoro e dei tempi familiari anche


attraverso la scelta di forme contrattuali specifiche.

 Condizioni sociali e organizzative che minacciano la qualità della vita


lavorativa delle donne.

28
Gruppi di minoranza
 Mentre in alcuni paesi la presenza di minoranze etniche ha una lunga
storia, ciò non si può affermare per l’Italia.

 Tuttora i giovani di gruppi etnici minoritari risultano segnati da esperienze


scolastiche insoddisfacenti e perpetuano una condizione di marginalità
sociale anche nei contesti organizzativi (spesso si trasferiscono in Italia
bambini di 8-9 anni e il sistema italiano prevede che nonostante non si
conosca la lingua, quel bambino dovrà frequentare comunque la 4
elementare).

 Andamenti discriminatori: sono fonti di instabilità e incertezza tra la forza


lavoro e occasioni di difficoltà nell’efficace gestione da parte delle
organizzazioni.

Disabilità
 La presenza di gruppi minoritari di qualsiasi genere tende ad aumentare
l’eterogeneità della forza lavoro e mette in evidenza la complessità di
un’analisi psicologica della condotta lavorativa che intende dare conto
della varietà.

 Lenta e difficile, ma crescente applicazione del diritto al lavoro.

 Immaginare una gamma di soluzioni organizzative in grado di recepire le


differenze e di orientarle verso un ruolo produttivo.

2.4 La formulazione scientifica delle domande di orientamento: le


psicologie dell’orientamento

Se le domande di orientamento sono fondamentalmente sociale e se sono


determinate dagli ambiti e dai contesti in cui vengono formulate, esse
29
possono essere anche delle problematiche delle scienze umane e, in
particolare, della psicologia. I fondatori dell’orientamento avevano, a questo
proposito, idee precise: lo sviluppo delle conoscenze scientifiche avrebbe
garantito la legittimità delle pratiche di orientamento. Oggi, il nostro punto di
vista è più prudente. Riteniamo, infatti, che siano le finalità a portare alla
legittimazione di questa o di quella pratica.
Per di più, la molteplicità dei modelli concorrenti o complementari è tale che
non si può più parlare di una psicologia dell’orientamento, ma di
PSICOLOGIE dell’orientamento.
Al contempo è aumentata la distanza tra la ricerca in ambito psicologico e le
pratiche di orientamento:
 Disinteresse per i modelli teorici.
 I teorici rimproverano i consulenti di non utilizzare i concetti psicologici per
analizzare la loro pratica.
 Notevoli differenze tra la concezione del soggetto umano che sta alla base
degli strumenti utilizzati e quella che costituisce il paradigma dominante
nelle scienze umane.
 I problemi trattati dai consulenti non danno vita a grandi ricerche.
La finalità principale della consulenza di orientamento del XXI sec., è quella
di dare l’occasione di (ri)stabilirsi come persona, ovvero come prodotto
ternario (io-tu-lui) della relazione dialogica con gli altri, relazione che lo
costituisce in quanto tale e lo porta, ogni volta che si reinstaura, a distanziarsi
da ciascuna delle cristallizzazioni di sé.

Prospettive teoriche:
Si ritiene che vi sia un “rapporto” tra le caratteristiche degli individui e le
preferenze che esprimono in materia di formazione o di orientamento
professionale.
Nel campo dell’orientamento sono presenti tre grandi prospettive teoriche:
1. La “psicotecnica”: è la più datata, essa definisce gli individui in base alle
attitudini e, secondariamente, agli interessi stabili. Postula che una buona
corrispondenza tra queste attitudini e le esigenze delle diverse professioni
o attività professionali permetterà il successo e la soddisfazione
individuale.
2. la “psicologia della personalità”: è più recente. Il punto comune fra le
varie prospettive è il considerare che la la scelta di una professione sia
30
una delle strade con cui la personalità si manifesta o si realizza, ma il
processo di questa relazione è poco analizzato;
3. la “psicologia differenziale” o delle “attività mentali”: si insiste sulla
dinamica del pensiero che conduce all’espressione di determinate
preferenze e sui parametri individuali che danno forma a questa
espressione.

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