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1° lezione: 08/10/2021
Introduzione al corso:
L’orientamento viene visto come un processo attivo, gestito dal soggetto con
le proprie risorse (personali e sociali) e con i propri vissuti (formativi e
lavorativi) e influenzato dalle proprie appartenenze (ambientali, familiari, ecc.)
e dai propri valori di riferimento, ma al tempo stesso come un processo
storicizzato, integrato cioè dentro un mercato del lavoro complesso e
globalizzato, e attento alle diverse culture di cui sono espressione i singoli
attori.
Parliamo di un processo evolutivo, cioè lento e graduale, attraverso il quale
l’individuo sviluppa le capacità e acquisisce gli strumenti che lo mettono in
grado di “leggere” in maniera più consapevole e critica la realtà che lo
circonda e di compiere scelte più responsabili e costruttive sia sul piano
individuale che sociale.
La questione dell’orientamento è molto complessa: spesso capita di
conoscere persone che decidono di iscriversi in uno specifico corso di laurea
per puro interesse, non guardando ai poveri sbocchi lavorativi che forse quel
corso presenta; nel momento in cui si valuta di intraprendere un percorso di
orientamento con qualcuno, si cerca di evidenziare insieme quelle che sono
le potenzialità e i limiti di un percorso, e soprattutto, l’individuo deve sempre
tener conto del momento storico in cui vive; viviamo infatti in un’epoca in cui il
mercato del lavoro è fluido e non è più cristallizzato come un tempo
(pensiamo agli anni della prima industrializzazione, quando l’industria
assorbiva molte persone indipendentemente dal titolo di studio. In quegli anni
il lavoro era statico, adesso molte persone perdono il lavoro anche se
lavorano nelle industrie, cosa che trenta anni fa non si verificava).
Nel lavoro dello psicologo, invece, è meno probabile che vi siano queste
problematiche di riassestamento, specialmente per via della pandemia che
ha fatto emergere una serie di problemi già presenti da molti anni. Il lato
positivo di tutto questo, è che la salute mentale è tornata ad essere al centro
dell’attenzione pubblica.
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L’orientamento quindi è finalizzato a far prendere alle persone
consapevolezza delle proprie caratteristiche, delle loro potenzialità e dei loro
limiti, in modo tale da non fargli percorrere strade sbagliate. Aiutare un
giovane (o un adulto) a trovare la formazione o il lavoro a lui più adatto,
significa portarlo a costruire una ’’rappresentazione’’ del problema che deve
affrontare, permettendogli di prendere coscienza di alcune dimensioni di sé
che hanno a che fare con la propria scelta, aiutandolo a sviluppare
determinate attitudini o competenze.
Nei paesi industrializzati, le consulenze di orientamento esistono dall’inizio
del XX sec., ma oggi le procedure appaiono diverse e differenziate per diversi
motivi:
1. Non si limitano più al passaggio scuola-lavoro, ma si parla di orientamento
nel corso di tutta la vita.
2. Il solo problema non è l’inserimento (lavoro che faccio per tutta la vita) e le
transizioni professionali (passaggio da un’attività a un’altra), ma l’oggetto
di studio è ciò che Super (1984) definisce life space career development
(sviluppo della carriera nello spazio di una vita).
3. Le pratiche di orientamento non si rivolgono più solo ad una fascia di
popolazione ma a soggetti di ambienti sociali diversi.
4. Le consulenze sono meno direttive di un tempo. L’idea dominante è quella
di un soggetto che deve ’’autodeterminarsi’’, in quanto l’obiettivo è quello
di aiutarlo a fare delle scelte per il proprio orientamento, definendo le
priorità rispetto al proprio sviluppo personale.
Come avremmo capito, in passato le consulenze erano più direttive: un
consulente somministrava al ’’disorientato’’ degli strumenti e al termine
della seduta, stilava le sue caratteristiche. Oggi, invece, il consulente si
avvale sempre della somministrazione di vari strumenti con la differenza
che deve essere la persona stessa a somministrarseli.
5. Il soggetto viene visto come una persona in evoluzione nel corso di tutta la
propria vita (orientamento anche per adulti).
6. Nei programmi scolastici dei paesi industrializzati, occupa sempre più
spazio l’educazione all’orientamento, la quale coinvolge sia gli insegnanti
sia i counselor.
7. L’orientamento può essere di tipo formativo e informativo; con il primo, si
indicano tutte quelle attività mirate a permettere agli individui di
riconoscere e sviluppare le proprie attitudini, capacità e competenze.
Informativo, è finalizzato a consentire alla persona di accedere a
informazioni utili per affrontare i processi di scelta lavorativa, formativa o di
sviluppo professionale, favorendo l'acquisizione di abilità di ricerca e di
utilizzo delle informazioni utili.
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8. A volte, il confine tra orientamento e formazione diventa molto sottile,
poiché alcuni corsi di formazione prevedono anche attività di aiuto alla
definizione di obiettivi personali o professionali.
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I quadri ideologici
I quadri ideologici in cui si è sviluppata la nostra attuale concezione delle
pratiche di orientamento sono quattro:
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2. Scopri chi vuoi essere e ’’autodeterminati’’ : l’individuo viene visto come
soggetto autonomo, responsabile e capace di indipendenza rispetto alle
situazioni concrete in si trova coinvolto. Questa concezione rinvia a ciò che
gli psicologi sociali chiamano la ’’norma d’internalità’’ secondo cui ogni
soggetto deve attribuirsi la causa degli eventi e così, responsabilizzarsi. Le
caratteristiche individuali hanno un ruolo importante nella propria
realizzazione personale, sociale e professionale.
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2° lezione: 12/10/2021
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I contesti
Se il quadro ideologico svolge un ruolo importante nel modo di concepire le
questioni soggiacenti alle pratiche di orientamento, queste dipendono anche
dai contesti sociali in cui vengono formulate, in quanto i contesti sociali,
determinano il tipo di orientamento. Si è notato, per esempio, che il problema
dell’orientamento si era posto nella maggior parte dei paesi industrializzati,
verso il 1900, come problema della scelta di un mestiere all’uscita dalla
scuola. Da una parte, queste società non erano più rurali o artigianali: erano
diventate industriali, ed era quindi necessaria una nuova divisione del lavoro.
Andando avanti negli anni, la scelta divenne sempre più ragionata poiché il
giovane non prendeva più il posto del genitore ma iniziò a cercare la sua
strada; il problema della ’’scelta di una vocazione’’, dunque, si andava
ponendo a un numero crescente di giovani.
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1. L’ordinamento professionale del lavoro e l’orientamento verso i mestieri
Si tratta di una modalità di produzione vicina all’artigianato: il lavoratore deve
possedere ’’una buona mano’’, per svolgere il proprio lavoro. Egli detiene un
patrimonio di “sapere” e “sapere fare” che può acquisire attraverso un
apprendimento metodico, solitamente piuttosto lungo. Questo patrimonio
rimanda al suo stesso essere, in quanto il mestiere contribuisce alla
definizione dell’identità individuale.
Se l’apprendimento è lungo, è anche costoso, per tale motivo il mestiere va
scelto con cura. L’orientatore è un esperto la cui scienza viene definita
psicotecnica e il colloquio psicologico di orientamento è lo strumento
principale dell’intervento. La nozione di attitudine è fondamentale, ciò fa
riferimento ai famosi test ’’psico-attitudinali’’ che vengono utilizzati ancora
oggi nonostante ormai siano obsoleti (dal punto di vista delle nuove pratiche
di orientamento).
In questo processo, il consulente dell’orientamento deve prevedere, il più
obiettivamente possibile, il mestiere per cui il giovane dovrà prepararsi e che
dovrebbe esercitare per il resto della propria vita.
La psicotecnica può essere utilizzata anche per misurare l’intelligenza o la
personalità.
Come è stato detto poc’anzi, l’attitudine è un concetto fondamentale:
attitudine deriva dal latino ’’aptus’’ (adatto) e indica la capacità, la
disposizione del soggetto. “Avere attitudine per”, “Essere portato a”, avere
cioè una predisposizione ad apprendere facilmente determinate abilità:
calcolare, scrivere, risolvere problemi; tutto questo può essere benissimo
collegabile anche agli studi e non soltanto al lavoro.
Su un piano professionale l’attitudine venne definita come disposizione
naturale che si esprime mediante risposte a certi stimoli, risposte che
possono essere misurate nell’aspetto motorio o intellettuale e che sono
tipiche per un operaio specializzato. Il compito dell’orientatore rimane sempre
quello di osservare come l’individuo si comporta di fronte a certi stimoli
(scoraggiandosi, prendendoli come una sfida ecc.).
Ai fini orientativi diviene importante verificare la presenza/assenza di una
serie di attitudini al fine di indirizzare il soggetto in quel settore di studi o quel
campo professionale. Naturalmente, soltanto lo psicologo dell’orientamento
può somministrare test attitudinali poiché in questo campo, sono presenti
molti altri orientatori (non psicologi) che svolgono quasi tutte le stesse
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funzioni degli psicologi dell’orientamento, ma che non possono condurre
colloqui psicologici, test, counseling ecc.
In questa fase storica, definita ’’diagnostico-attitudinale’’, era previsto un
esame psicometrico il cui obiettivo era quello di conoscere le attitudini del
singolo da mettere in relazione con le esigenze delle professioni in modo da
permettere la collocazione dell’“uomo giusto al posto giusto”.
Il punto di vista teorico, derivante dal modello “tratti e fattori”, solitamente
associato alla psicotecnica, può essere riassunto attraverso alcune semplici
proposizioni:
gli individui possono essere descritti attraverso attitudini stabili (quando
viene utilizzato uno strumento psicometrico, lo si fa perché ci si aspetta
che il risultato di quella valutazione rimanga abbastanza stabile nel tempo,
ma non immutabile);
le professioni possono essere descritte attraverso le loro esigenze,
ugualmente stabili, in materia di attitudini (ricordiamoci che nei primi del
Novecento si credeva che una professione non si potesse evolvere);
gli individui sono capaci di prendere decisioni razionali, ovvero di
impegnarsi in professioni che corrispondono alle loro attitudini, solitamente
grazie all’assistenza di un consulente che sa individuare le attitudini e
conosce le esigenze delle professioni (per fare sì che ci sia l’uomo giusto
al posto giusto, ci vuole un consulente che individui le attitudini di quella
persona);
quando vi è un buon abbinamento individuo-professione, ovvero una
buona affinità tra il profilo delle attitudini che descrivono la persona e il
profilo di attitudini che descrivono la professione, il soggetto ha successo
nel suo lavoro, ne è soddisfatto e non sente il bisogno di cambiarlo.
I test di attitudini specifiche, detti anche test occupazionali, consentono di
rilevare se un individuo possiede i requisiti che gli possono consentire di
ottenere buoni livelli di performance in una determinata professione.
Un esempio di test occupazionale che ormai fa parte della storia è il DAT-5
(Differential Aptitude Tests - Fith Edition), sono una delle batterie
attitudinali più utilizzate sia negli Stati Uniti che in Italia e una delle migliori di
questo tipo. Alla base del DAT, vi è la concezione di attitudine come capacità
di apprendere sulla base di appropriati training e input ambientali,
considerando quindi le attitudini come abilità apprese piuttosto che ereditarie.
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La premessa teorica è, quindi, che l’intelligenza umana, o l’abilità mentale, è
costituita da molte differenti attitudini che devono essere misurate da
numerosi punti di vista.
I DAT misurano la capacità di apprendimento, o di riuscita, in una serie di
differenti aree:
1. Ragionamento Verbale;
2. Ragionamento Numerico;
3. Ragionamento Astratto;
4. Velocità e Precisione;
5. Ragionamento Meccanico;
6. Rapporti Spaziali;
7. Uso del Linguaggio.
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3. RAGIONAMENTO ASTRATTO (40 item; 25 min):
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5. RAGIONAMENTO MECCANICO (60 item; 25 min):
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7. USO DEL LINGUAGGIO (40 item; 15 min):
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Limiti della psicotecnica:
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Il modello “tratti e fattori” è, inoltre, poco adatto allo sviluppo della società
moderna:
l’orientamento è sempre più legato a capacità di apprendimento generiche
e non ad attitudini specifiche, considerata la mobilità professionale e i
rapidi cambiamenti;
Il prolungamento della scolarità non permette un orientamento “puntuale” e
“determinato” (si dovrebbe fare a scuola un certo tipo di orientamento
basato sullo sviluppo degli interessi: far vedere allo studente una stessa
situazione da più punti di vista, in quanto, ad esempio, molte materie non
piacciono non per colpa della disciplina in sé, ma per l’insegnante).
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delle donne scelgono sono centrati sul sociale, mentre gli uomini optano
sempre per lavori legati a professioni scientifiche o meccaniche.
Anne Roe (1956) sostiene l’esistenza di una relazione tra lo sviluppo degli
interessi professionali e le esperienze infantili con le figure parentali e i loro
stili educativi (protettivo, esigente, rifiutante, trascurante, incostante,
accettante).
a) i soggetti cresciuti in un clima familiare positivo, caratterizzato da relazioni
piacevoli e calde, tendono a sviluppare più facilmente interessi per le
persone e per attività che comportano il contatto con le persone e l’uso di
competenze sociali;
b) al contrario, i soggetti che sperimentano relazioni meno positive con i
genitori tendono a maturare più facilmente interessi per le professioni che
implicano il contatto con le cose (ad esempio i settori scientifici e tecnici).
Esistono due teorie di Anne Roe: una teoria strutturale degli interessi che
corrisponde a una classificazione delle professioni e che anticipa quella di
Holland, e una teoria evolutiva che si propone di spiegare le scelte di
orientamento dai bisogni dell’individuo, in quanto questi possono cambiare
nel corso dello sviluppo.
I bisogni del bambino sono da una parte costituzionali, dall’altra influenzati
dai comportamenti educativi familiari, c’è uno spostamento verso il
riconoscimento del ruolo del contesto nello sviluppare bisogni e interessi.
I bisogni fondamentali sono:
bisogno di contatto con gli altri (forte in coloro che sono orientati verso le
persone, meno in coloro orientati verso le cose);
bisogni superiori (autonomia, autorealizzazione) e inferiori (sicurezza,
stabilità).
Anne Roe ritiene che sia possibile raggruppare le attività professionali in
funzione della loro parentela psicologica. Ispirandosi a lavori già realizzati sui
questionari di interesse, ella definisce otto gruppi:
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1. Tecnologia (R): attività tecnico-pratiche, che includono le professioni che
prevedono il contatto con le cose piuttosto che con le persone e
comportano la produzione e il trasporto di prodotti.
2. All’area aperta: attività che riguardano, ad esempio, coltivazione,
allevamento, trasformazione e protezione dell’ambiente;
3. Scienza (I): attività scientifiche, che implicano l’interesse per le teorie e
per le applicazioni in campo delle ricerche scientifiche;
4. Cultura generale: attività che comportano l’interesse per la conservazione
e per la trasmissione dei prodotti culturali dell’uomo;
5. Arte e divertimenti (A): attività che richiedono capacità creative, si
svolgono a contatto con il pubblico e implicano relazioni interpersonali
diverse da quelle del primo gruppo;
6. Servizi (S): attività che implicano il contatto con le persone allo scopo di
aiuto, assistenza, istruzione;
7. Affari (E): attività di tipo commerciale, che implicano prevalentemente
bisogni di tipo persuasivo e di contatto con gli altri, ma prevalentemente
per vantaggio personale;
8. Organizzazioni (C): attività tipiche del settore degli affari,
dell’amministrazione, che comportano prevalentemente relazioni formali e
distaccate.
3° lezione: 19/10/2021
INVENTARIO DI STRONG
Strong Vocational Interest Blank SVIB (1927)
Strong iniziò la sua ricerca studiando le persone soddisfatte del loro lavoro e
con professioni omogenee (es. architetti soddisfatti del loro lavoro, psicologi
soddisfatti del loro lavoro ecc.).
La procedura della costruzione del questionario riguardava il comprendere
quali sono le preferenze che distinguono gli architetti dagli altri (un campione
casuale) rispetto ad una serie di attività, occupazioni e tempo libero,
situazioni speciali e professionali. Voleva capire quali fossero gli interessi
specifici di una categoria piuttosto che di un’altra.
Solo quando un soggetto ha punteggi simili ad gruppo criterio (es. architetti)
si può dire che ha degli interessi per quella professione.
Negli Stati Uniti vennero individuati circa 50 profili (Strong ha analizzato 50
professioni, ottenendo un profilo di interessi) di altrettante figure professionali.
Nella sua ultima versione (1938) il questionario prevede due forme una per le
femmine e una per i maschi, entrambe composte da 400 item dei quali 263
comuni alle due forme.
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L'inventario di Strong distribuisce gli item in otto categorie (occupazioni,
materie scolastiche, hobby, tratti di personalità, preferenze per attività,
confronto di interessi a coppie, autovalutazione di atteggiamenti). A ciascuna
domanda il soggetto risponde con: mi piace, non mi piace, mi è indifferente.
I VALORI
Aderire a determinati valori significa pensare che vi siano obiettivi e modi di
comportarsi che sono preferibili e superiori ad altri. I valori sono più generali,
più astratti, più importanti rispetto agli interessi, poiché gli interessi possono
cambiare mentre i valori dovrebbero rimanere immutati.
I valori, sovente possono essere definiti come bisogni di ordine superiore. Il
bisogno esprime lo stato di tensione che si incontra in ogni fenomeno
motivazionale. Significa che se sono motivato a fare una cosa è perché la
riconosco come valore; ad esempio: voglio studiare per imparare
(motivazione intrinseca), studio per prendere 30 (estrinseca), ognuna di
queste motivazioni è comunque un valore. In sociologia e in antropologia, le
culture vengono solitamente descritte attraverso i valori dominanti nei diversi
gruppi presi in considerazione. In psicologia si pone l’attenzione sulla
variabilità dei valori all’interno di gruppi più ristretti.
Poiché i valori sono principi guida nella vita, si ritiene che l’individuo ricerchi
situazioni professionali che corrispondano ai suoi valori, così come ricerca
situazioni professionali corrispondenti alla sua personalità e ai suoi interessi.
Si ritiene che una volta che l’individuo riesce a trovare una professione che
corrisponde al suo carattere e ai suoi principi è maggiormente soddisfatto.
L’assenza di corrispondenza tra ruoli e valori comporta effetti negativi, come
la depressione o l’ansia.
Quando un individuo possiede un sistema di valori consolidato, solitamente
risulta meno indeciso rispetto al proprio avvenire e si impegna maggiormente
nella costruzione di un’identità professionale.
Disoccupazione giovanile
Il numero dei giovani che entrano nel mercato del lavoro, risulta
tendenzialmente più ridotto rispetto al passato (al sud ci sono meno
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laureati rispetto al nord perché molti del sud si laureano al nord o si
spostano comunque per lavoro in alta Italia).
Il calo delle persone così inserite nel mondo del lavoro corrisponde al
mancato utilizzo di risorse per lo sviluppo collettivo e alla diminuzione della
produttività (se sono costretto a svolgere un lavoro in cui mi sento
sottoutilizzato è ovvio che non darò il massimo).
Femminilizzazione
Dal secondo dopoguerra l’immissione delle donne nel mercato del lavoro
occupazionale ha seguito un ritmo crescente anche in Italia.
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Gruppi di minoranza
Mentre in alcuni paesi la presenza di minoranze etniche ha una lunga
storia, ciò non si può affermare per l’Italia.
Disabilità
La presenza di gruppi minoritari di qualsiasi genere tende ad aumentare
l’eterogeneità della forza lavoro e mette in evidenza la complessità di
un’analisi psicologica della condotta lavorativa che intende dare conto
della varietà.
Prospettive teoriche:
Si ritiene che vi sia un “rapporto” tra le caratteristiche degli individui e le
preferenze che esprimono in materia di formazione o di orientamento
professionale.
Nel campo dell’orientamento sono presenti tre grandi prospettive teoriche:
1. La “psicotecnica”: è la più datata, essa definisce gli individui in base alle
attitudini e, secondariamente, agli interessi stabili. Postula che una buona
corrispondenza tra queste attitudini e le esigenze delle diverse professioni
o attività professionali permetterà il successo e la soddisfazione
individuale.
2. la “psicologia della personalità”: è più recente. Il punto comune fra le
varie prospettive è il considerare che la la scelta di una professione sia
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una delle strade con cui la personalità si manifesta o si realizza, ma il
processo di questa relazione è poco analizzato;
3. la “psicologia differenziale” o delle “attività mentali”: si insiste sulla
dinamica del pensiero che conduce all’espressione di determinate
preferenze e sui parametri individuali che danno forma a questa
espressione.
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