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Economia, A zienda e Sviluppo

Rivista trimestrale del


Dipartimento di Studi Aziendali, Giuridici ed Ambientali
dell’Università degli Studi di Lecce

COMUNICAZIONE MULTICULTURALE
E COMPORTAMENTO D’ACQUISTO DEI
MIGRANTI TRA INTEGRAZIONE E IDENTITÀ

Maria Teresa Cuomo - Debora Tortora

Estratto da Economia, Azienda e Sviluppo


n° 3 - anno IV - 2006

CACUCCI EDITORE BARI


M. T. Cuomo - D. Tortora - Comunicazione multiculturale e comportamento d’acquisto dei migranti tra integrazione e identità

COMUNICAZIONE MULTICULTURALE
E COMPORTAMENTO D’ACQUISTO DEI
MIGRANTI TRA INTEGRAZIONE E IDENTITÀ1
Maria Teresa Cuomo* - Debora Tortora**

Sommario: 1. Premessa; 2. I migranti-consumatori, costruttori attivi di domanda (per


una trasformazione da nicchia a mercato); 3. Dal marketing monoculturale al welcome
marketing, ovvero quando l’inclusione delle diversità non è solo una questione di sigle; 4.
La comunicazione, mediatrice culturale tra integrazione e integrazioni; 4.1 Gli strumenti
della etnocomunicazione; 5. Conclusioni.

1. Premessa
Nell’era del solipsismo individuale ma anche di vigorose pressioni globaliz-
zanti, la crescente conformazione multirazziale della società è ormai un
elemento di complessità con cui i sistemi-paese e, all’interno di questi, i 13
sistemi impresa, si confrontano quotidianamente. Basti pensare agli stranieri
che ufficialmente vivono stabilmente in Italia, circa il 5% della popolazione
nazionale, con prospettive di consistenti incrementi anche, ma non solo, per
l’attuale stagnazione della crescita demografica del paese2, evidenziando, ed
è ciò che rileva ai fini del nostro studio, una transizione da una realtà mobile e
mutevole ad un quadro, viceversa, piuttosto stabile e strutturato3.
Il banco di prova delle affluent societies, pertanto, è individuabile proprio

* Ricercatrice in Economia e Gestione delle Imprese, Università degli Studi di Salerno,


mcuomo@unisa.it
** Dottore di ricerca in Scienze della Comunicazione, Università degli Studi di Salerno, dtortora@unisa.it.
1
Pur se il lavoro è frutto di riflessioni sviluppate in comune, i paragrafi 2, 4 e 4.1 sono da attribuirsi a
Maria Teresa Cuomo, i paragrafi 1 e 3 a Debora Tortora, ed il paragrafo 5 ad entrambe.
2
Sono stati 282.683 gli alunni di cittadinanza non italiana iscritti nelle scuole del Paese per l’anno
2003/2004, il 3,5% del totale degli studenti, fenomeno, per altro, in costante crescita secondo
l’ultimo rapporto del Ministero dell’Istruzione. Cfr. MIUR - DG SISTEMI INFORMATIVI, DG STUDENTE,
“Alunni con Cittadinanza non Italiana - anno scolastico 2003/2004”, Rapporto di ricerca, Roma,
2004, pag. 3. Tale trend testimonia come la formazione sul campo di una società multietnica non
evochi poi prefigurazioni così procrastinabili nel tempo.
3
Il fenomeno dell’immigrazione ha raggiunto nell’ultimo decennio un grado di maturazione che vi ha
aggiunto non pochi elementi di complessità, di tipo orizzontale, per la convivenza all’interno del
medesimo territorio di differenti stadi di integrazione dei migranti, e verticale, riguardo alla struttura
della popolazione. “Di particolare rilievo, in questa prospettiva, il fenomeno degli immigrati di
seconda generazione (i figli cresciuti in Italia) destinato a spostare l’attenzione dalle problematiche
tipiche dell’attuale ‹‹immigrazione per lavoro›› a quella propria ‹‹dell’immigrazione di popolamento››”.
Cfr. ABIS M., “Background e motivi della ricerca: fra integrazione e integrazioni”, in Micro & Macro
Marketing, n.2/2004, pag. 427.
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nel multiculturalismo4, quale configurazione di uno spazio intra-culturale in cui


comunità composte da soggetti variegati per razza, etnia, cultura, valori,
vissuto personale, sociale e politico sono chiamate a confrontarsi, nel rispetto
e nella conciliazione dei diritti etnici con quelli individuali, e all’impronta della
tutela e del riconoscimento dell’identità delle minoranze5.
Da parte delle aziende, dunque, viene sollecitato l’esercizio critico di una
capacità di comprensione dei tempi, dinamiche e modalità di valorizzazione e
integrazione dei migranti, isole non ben identificate all’interno del mare
magnum del mercato, sistematicamente trascurate nelle quotidiane esperien-
ze di acquisto e consumo; isole non sempre felici, poiché nella maggior parte
dei casi appartenenti a fasce di reddito piuttosto deboli, ma certamente
possibili bacini di acquirenti portatori di bisogni più o meno complessi, che le
imprese hanno il dovere/necessità di presidiare (e soddisfare). Riuscire a
raggiungere e servire questi “nuovi segmenti” può costituire per gli attori first
mover un fattore critico di successo, specie in tempi di difficile sostenimento
e alimentazione della domanda, non solo di beni voluttuari ma, talvolta, anche
di prodotti/servizi rispondenti a bisogni di base, nei confronti di target già
consolidati, tipicamente monoculturali6. Ciò che deve essere positivamente
alterato è, naturalmente, non solo la modalità di identificazione di tali possibili
Clienti7, potenzialmente aggregabili in cluster variegati e non poco complessi,
14 particolarmente a causa di fattori esogeni, quanto soprattutto le strategie di
accesso e presidio degli stessi, che non richiedono banalmente un adatta-

4
Al riguardo scrive il Golinelli: “L’immigrazione è un fenomeno sfaccettato ed articolato, che investirà
sempre più fortemente il nostro sistema economico, assumendo rilevanza anche per il mondo
imprenditoriale. Un mondo che inizia a guardare con crescente interesse alla presenza immigrata,
riportando in primo piano la questione del rapporto tra pubblico e privato al fine di favorire il
processo di progressiva integrazione delle etnie e delle culture”. Cfr. GOLINELLI G.M., “L’integrazione
necessaria”, in “Gli immigrati stranieri nel Lazio: problemi occupazionali ed integrazione economica”,
Sinergie, Rapporti di Ricerca, n° 12, 2002.
5
A seguito di molteplici definizioni, spesso anche contrastanti tra loro, è doveroso il tentativo di chiarire
confini e caratteristiche del fenomeno del multiculturalismo, ovvero pluralismo culturale, impegnato
ad elaborare ed alimentare le condizioni di una vivace coesistenza delle dissomiglianze; di
conseguenza, è altresì necessaria un’ulteriore distinzione tra i concetti di multietnicità e multicultu-
ralità, per cui la prima (la multietnicità) “implica necessariamente la multiculturalità in quanto i diversi
gruppi etnici, presenti su uno stesso territorio, possiedono per definizione una propria cultura con
elementi diversi da quelle delle altre”, viceversa “le diversità culturali sono ascrivibili, ovviamente,
non solo all’etnicità, ma anche alle differenti religioni, alle differenti ideologie, ai differenti status
socio-economici… Pertanto si può arrivare alla seguente affermazione di carattere generale: la
società multietnica è sempre multiculturale, quella multiculturale è spesso, ma non necessariamen-
te, multietnica”. Cfr. CESAREO V., Società multietniche e multiculturalismi, Vita e Pensiero, Milano,
2002, pag. 13 (recensione a cura di http://www.osservatorioimmigrazionesud.it).
6
Cfr. SARTORI G., Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggi sulla società multietnica, Rizzoli,
Milano, 2000.
7
I migranti si inseriscono a tutti gli effetti nel mercato come consumatori, dunque, devono essere
trattati dalle imprese quali potenziali o attuali clienti, anzi, in forza di una capacità di acquisto e
consumo ancora non compiutamente espressa, quali Clienti (ovvero individui i cui comportamenti
economici necessitano di essere costantemente monitorati, nel tentativo di colmare una non
conoscenza di base da parte degli operatori di mercato. Per essi, infatti, difficilmente vengono
pianificate attività di marketing relazionale o personalizzato senza incorrere nell’errore del trattamen-
to di una diversità – peraltro al suo interno fortemente generalizzata - null’affatto positivo).
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mento delle politiche di marketing e comunicazione, bensì una riformulazione


del profilo dell’impresa, più sinceramente interculturale8, da cui derivi un
coerente quanto specifico approccio in termini di etnocomunicazione.
Insita in tale modificata interpretazione del macro-ambiente di marketing è,
ma non potrebbe essere altrimenti, una configurazione della comunicazione
d’impresa che funge da mediatore culturale e vettore multiculturale di integra-
zione, nel rispetto, tutela e valorizzazione delle identità, senza costruire,
nondimeno, nuovi ghetti economici e sociali della diversità.

2. I migranti-consumatori, costruttori attivi di domanda (per una trasfor-


mazione da nicchia a mercato)
Diffidenza, rassegnazione, accettazione; la rappresentazione del fenomeno
migratorio9 da parte delle comunità di accoglienza utilizza sovente i termini
citati, contribuendo in tal modo a contenere il progetto di definizione di una
società multietnica. Non di meno, la stessa quota e tipologia di informazione
destinata dai media al fenomeno in oggetto, sempre puntuale sulla derivazio-
ne e consistenza dei flussi migratori, più sommaria riguardo alla natura, alle
cause e agli antecedenti, rallenta il naturale percorso di maturazione sociale
tanto degli ospiti quanto dei trasmigrati, fondamentale per passare da uno
stato di accettazione ad una formula di accoglienza partecipata delle
comunità migranti10, probabilmente anche a seguito della rappresentazione
15
mediatica che ne viene restituita, troppo spesso facilmente alimentata da

8
Alcuni Autori distinguono un approccio interculturale da uno multiculturale, poiché i due paradigmi
utilizzerebbero solo nominalmente categorie comuni, in realtà attribuendogli significati completa-
mente differenti; così, mentre nell’interculturalismo gli scambi comunicativi si ispirano a condizioni di
comprensione, tolleranza, accettazione dell’altro, cercando tuttavia di preservare la propria identità,
la dimensione multiculturale se ne distacca già quando individua il concetto di identità nell’azione di
riconoscimento da parte degli altri, quindi accogliendo pienamente in sé la proiezione verso le altre
forme culturali per dotarsi di senso. Il dibattito assume anche toni molto accesi e, per quanto di
estremo interesse, non è questa la opportuna sede di approfondimento. Tuttavia, ad avviso di chi
scrive, si tratta di posizioni non inconciliabili, essendo probabilmente il multiculturalismo una visione
più complessa ed articolata di posizioni interculturali, le quali potrebbero essere considerate
predisposizioni necessarie ad un approccio iniziale nell’incontro con culture altre.
9
Il fenomeno immigratorio si qualifica come un fenomeno molto complesso e costituisce una
profonda modalità di modificazione, effettiva o potenziale, della struttura sociale della comunità. Il
cambiamento non sempre viene considerato un processo auspicabile e desiderabile, soprattutto
quando coloro che lo subiscono o lo percepiscono non ne conoscono la direzione e la capacità reale
di miglioramento delle condizioni di partenza. Cfr. GATTI M., “Un’esperienza di ricerca sul territorio”,
in “Gli immigrati stranieri nel Lazio: problemi occupazionali ed integrazione economica”, Sinergie,
Rapporti di Ricerca, n° 12, 2002.
10
La prospettiva evolutiva relativa ad un processo di acquisizione della competenza interculturale dà
luogo al noto modello dinamico di sensibilità interculturale di Bennett. Questo si compone di due
fasi: la fasi etnocentrica e la fase etnorelativa. L’assunto alla base del modello è che più l’esperien-
za della differenza culturale è sofisticata, più la competenza nelle relazioni interculturali cresce
potenzialmente. In particolare, il modello di sensibilità interculturale non intende descrivere l’acqui-
sizione di una competenza particolare o un cambiamento di atteggiamento, quanto piuttosto lo
sviluppo della struttura di specifiche visioni del mondo (worldview). Per approfondimenti sul tema si
veda: BENNETT M.J., Principi di comunicazione interculturale, Franco Angeli, Milano, 2002;
CASTIGILIONI I., La comunicazione interculturale: competenze e pratiche, Carocci, Roma, 2005.
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stereotipi negativi11.
Di sicuro non si disconoscono né sono da sottovalutare gli ostacoli all’edifi-
cazione di una pacifica ed egualitaria convivenza multirazziale, ove il confronto
con variabili sociali, economiche, religiose, culturali, linguistiche estranee
alimenta problematiche complesse che, da entrambe le parti, determinano
l’insorgenza di sensazioni di turbamento e, solo in un secondo momento,
possono arrivare a denotare una volontà di integrazione12. Tuttavia, al di là dei
fisiologici tempi di metabolizzazione della diversità, porre l’accento esclusiva-
mente sulla dimensione problematica dell’immigrazione rischia di far passare in
secondo piano la rilevanza economica e sociale dei fenomeni migratori, in
termini di offerta di lavoro proveniente dagli stranieri13, di contaminazione con
nuove culture, finanche di sostegno all’attuale regressione dei consumi.
Vero è che nella transizione dalla posizione di straniero al ruolo di cittadino14
la strada è ancor lunga e pregna di ostacoli, per una molteplicità di ragioni.
Bisogna invero considerare che le stesse comunità straniere si pongono,
non solo in una prima fase di incontro e confronto, come teatro di una dialet-
tica animata tra tensioni di nazionalizzazione e dinamiche di de-nazionalizza-
zione. Pur all’interno di ambizioni transnazionali, i migranti sono soliti
mantenere intense relazioni con il paese di origine, configurando vere e
16 proprie “comunità senza prossimità” (figura 1).
Tale identificazione di tipo etnico, tuttavia, dopo precisi percorsi e mediata in
maniera più che naturale da aspirazioni globalizzanti, permette la sperimenta-
zione di un senso di appartenenza composita, congiuntamente campanilista e
ispirato dalla costruzione di network relazionali di tipo sovranazionale, difficil-
mente contenibile all’interno di spazi sociali, culturali e simbolici di matrice
esclusivamente nazionalista, “costruendo sintesi originali in un confronto
costruttivo e in una prospettiva più universale… In ragione di ciò il sistema
migratorio si pone come luogo di molteplici modalità combinatorie di legami
sociali sia di tipo ascrittivo, sia costruiti e attivati dal soggetto nei più diversi
ambiti sociali; ma anche di orientamenti di de-nazionalizzazione e di trans-
nazionalizzazione, caratterizzandosi come interessante punto prospettico di un

11
Ci si riferisce in particolare al ruolo di soggetti “passivi” destinato ai migranti da parte del sistema
informativo mass-mediale nazionale, eccessivamente legato ad episodi di cronaca nera, che, da un
lato, fomentano una concezione pregiudiziale e negativa a carico di tali individui e, più in generale,
delle comunità di appartenenza, dall’altro, tuttavia, non assolve neppure il sistema dei media,
tacciato di insensibilità nell’interpretazione dei temi dell’identità/alterità, fondamentali per promuo-
vere una civile convivenza tra etnie differenti. Cfr. MENOTTI CONTI G., “La comunicazione come luogo
e opportunità di integrazione”, in Micro & Macro Marketing, n.2/2004, pagg. 450-451.
12
Cfr. ALBERONI F., BAGLIONI G., L’integrazione dell’immigrato e la società industriale, Il Mulino, Bologna, 1965.
13
Cfr. BRUNETTA R., “L’immigrazione dai Paesi dell’Est può essere occasione di sviluppo”, in Il Sole 24
Ore, 29 febbraio 2004, pag. 5.
14
Si pensi che per quanto riguarda le concessioni di cittadinanza, percorso non solo burocratico per
l’integrazione degli stranieri nel paese di accoglienza, esse sono passate da 4.445 del 1992 a 13.382
nel 2003. Cfr. STASIO D., “Cittadini, non più stranieri”, in Il Sole 24 Ore, 22 giugno 2005, pag. 5.
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mutamento sociale e strutturale”15, tale da ipotizzare anche il superamento della


condizione di marginalità e fragilità interiore del soggetto straniero proprio a
causa di questo confronto tra culture, non sempre condotto ad armi pari.

Figura 1 – I fattori di identificazione delle comunità e le tipologie di migranti

Il processo/progetto migratorio attraversa in sequenza più o meno stabilita


una serie di fasi, che hanno inizio con un sogno, che è anche un investimen- 17
to economico da capitalizzare, cui fa seguito una fase di insediamento
precario e fortunoso, prima che il soggetto possa aspirare ad una sistemazio-
ne più stabile16, tramite la regolarizzazione e l’insediamento definitivo.
Ciò che rileva, non solo ma anche dal punto di vista economico, poiché implica
il definitivo perseguimento di un inserimento nel sistema di consumo vigente, è, in
questa condizione, il rapporto che il migrante intrattiene con la cultura di origine,
per cui il soggetto assimilato esprime una vera e propria rinuncia nei confronti delle
proprie specificità culturali e della testimonianza di una identità definita, per
aderire pienamente al modello culturale dominante. La scelta del mimetismo17, di
cui il comportamento di consumo, tipicamente rispondente ad un
bisogno/desiderio di omologazione, è testimonianza eclatante, non di rado cela

15
Cfr. LANDUZZI C., “Migrazioni e nuovi ambienti urbani. Il caso dell’area metropolitana di Bologna
(Italia)”, in THEOMAI, Journal Society, Nature and Development Studies, n. 8/2003, http://revista-
theomai.unq.edu.ar/numero8/artlanduzzi8.htm. Le opportunità fornite da una mobilità accessibile e
da un sistema di comunicazione globale aprono nuovi scenari sull’interazione tra comunità di identità
originaria e comunità di arrivo del migrante, consentendogli una costruzione identitaria originale non
necessariamente monoculturale.
16
La fase di stabilità potrebbe anche non sopraggiungere mai, poiché il fallimento o l’abbandono del
progetto possono insorgere per cause esterne, come il rimpatrio coatto, o per scelta stessa del
migrante che può volontariamente rinunciarvi anche a cittadinanza avvenuta.
17
Tale opzione è spesso una via obbligata, indotta dal contesto sociale di adozione, che insiste per
l’uniformazione dello straniero al proprio stile di vita, senza peraltro specificare quanto poi voglia e
possa radicalmente considerarlo parte integrante e propositiva delle proprie dinamiche sociali e civili.
Ciò a dire che la sua accettazione relativamente alle interazioni con la cultura materiale (tipicamente
i consumi) non sempre si traduce con la partecipazione all’alta cultura dei popoli.
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contrasti interni anche molto agguerriti con la volontà di non rinunciare ad afferma-
zioni orgogliose della propria derivazione etnica, sfociando in comportamenti
antagonisti alle tensioni monoculturali (figura 2).

Figura 2 - Il progetto/processo migratorio e il peso economico del migrante

18
Il potenziale conflittuale di tale dinamica condotta emerge soprattutto all’in-
terno di quelle comunità di migranti che fondano la propria cultura e storia
sociale su valori distanti, se non quasi opposti, rispetto a quelli dei paesi
raggiunti; la concezione di una spesso dissonante centralità dell’individuo, di
adesione ad una cultura del piacere, di autonomia decisionale del singolo
rispetto al gruppo di appartenenza o di affiliazione, infine una concezione più
laica del vivere portano il migrante a configurare una diversa visione del
mondo in cui cerca di fare ingresso, talvolta conciliabile solo a caro prezzo con
le proprie credenze fondamentali18.
Così il migrante radicalizzato, estremizzando il rafforzamento della propria
identità originaria, esprime addirittura un decremento del livello di consumo e di
risparmio in favore di transazioni condotte all’interno della propria rete etnica,
configurando l’emersione di quella che viene definita economia delle diversità,
in cui “gli operatori economici, nativi o migranti, hanno tutta la convenienza a
mantenere le identità minoritarie a livello di diversità (e a negare la possibilità di
un dialogo interculturale) per aumentarne la resa commerciale”19.
Favorita anche dalle iniziative statali di molti sistemi-paese, tale politica di

18
Per approfondimenti vedasi: SANTUCCI C., “I percorsi e i nodi dell’integrazione”, in in Micro & Macro
Marketing, n.2/2004, pag. 430.
19
Cfr. NAPOLITANO E. M., “Il Welcome Marketing”, in I quaderni di etnica.biz/1, www.etnica.biz, 09/2004,
pag. 14.
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differenziazione è in contrasto con le spinte di integrazione, in un’ottica di


rafforzamento delle identità etniche intese come alterità, senza ricusare, anzi
alimentando, il dialogo con le altre culture ed identità, compresa quella locale,
in questa posizione non più dominante.
Il migrante integrato è, dunque, quel soggetto che vede riconosciute e
valorizzate le proprie capacità professionali e, conseguentemente, la propria
abilità di risparmio, consentendo la presa in considerazione di consumi anche
di tipo voluttuario e durevole, in un’ottica di positiva e propositiva stabilità
sociale. Veri e propri attori economici, tali portatori di conoscenze ed aspetta-
tive, fanno della diversità una forza creativa a disposizione della collettività
(nativa ma anche di quella di accoglienza) per la realizzazione di progetti di vita
che vedano esaltata, anziché ricusata, la propria identità distintiva.
Naturalmente, le differenti fasi di mutamento del processo migratorio si
qualificano per essere portatrici di compositi bisogni e variegati comporta-
menti, influenzati da tutta una serie di variabili esogene ed endogene, che
esigono una rilettura delle motivazioni e delle necessità20 che alimenta un
mercato molto più dinamico di quanto si possa ipotizzare (figura 3).

Figura 3 - La rilettura della piramide di Maslow applicata ai processi di integrazione


19

L’integrazione economico-sociale, infine, non costituisce ancora il punto di


arrivo del processo migratorio, che può dirsi concluso con successo semplice-
mente o con il ritorno (anche solo temporaneo e finalizzato) del migrante nel
proprio paese di origine, quale partner di iniziative locali volte a sostenere progetti
di cooperazione e sviluppo sociale ed economico, come, p. e., commercio equo,
microcredito, turismo responsabile, fonti di business certamente non trascurabili
per le economie emergenti, né tanto meno per i paesi di immigrazione che li hanno

20
Cfr. PEDOL A., “Ethnomarketing: nasce un nuovo concetto”, in Etnholand news, download del 7/11/2005.
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ispirati e fatti maturare, o con la definitiva integrazione sociale nel nuovo paese
che così diventa a tutti gli effetti il Suo Paese21.

3. Dal marketing monoculturale al welcome marketing, ovvero quando


l’inclusione delle diversità non è solo una questione di sigle
Volendo definire come fisiologicamente auspicato tale percorso del
migrante, che progredisce per fasi partendo da un progetto di ingresso nel
paese di accoglienza fino alla piena integrazione nelle quotidiane dinamiche
economico-sociali, si evidenzia come “la presenza degli estranei non è più un
problema transitorio cui opporre rimedi, e la questione non è più come disfar-
cene; invece oggi il problema risiede nel come convivere per sempre, giorno
per giorno, con ‹‹l’estraneità››”22. Similmente, il mondo evolve verso una riorga-
nizzazione frenetica dei propri assetti spaziali, ove, probabilmente, non ha più
senso parlare di confini, in termini di divisioni e distinzioni tra organizzazioni
societarie, se i prevalenti effetti della globalizzazione si evidenziano nella
proiezione senza indugio di aziende ed individui nel mercato-mondo. In tale
ottica, l’altro, inteso come straniero, ovvero residente esternamente ad un
delimitato territorio, è improvvisamente più difficilmente distinguibile, per
mancanza di confini (territoriali, economici, soprattutto concettuali) stabili e
20 duraturi. L’integrazione, di conseguenza, diventa un fattore di coesione sociale
e la rappresentazione delle diversità un elemento di ricchezza, assolutamente
non antagonista, bensì complementare alla crescita del tessuto personale e
collettivo, anche di tipo economico23.
L’accelerazione verso un confronto positivo delle estraneità, testimoniata
altresì da una insistente convivenza e contaminazione di stili di vita apparte-
nenti a patrimoni di conoscenze anche lontane tra loro, impone in sintesi il
completo ripensamento della condizione economico-sociale nella quale le
imprese operano e gli individui consumano24; ricusando pienamente la retorica
della diversità in quanto accettazione dell’estraneo, tale rinnovata arena
competitiva25 auspica invece il movimento delle identità culturali attraverso il

21
Ecco il fiorire anche nel nostro paese di cooperative costituite da immigrati, dimostrando capacità
ed inventiva degne di ammirazione ed imitazione. LUCIANO G., “Lo straniero si mette in coop”, in Il
Sole 24 Ore, 1/08/2005, pag. 7.
22
Cfr. CESAREO V. (a cura di), L’Altro. Identità, dialogo e conflitto nella società plurale, Vita e Pensiero,
Milano, 2004, pag. 15.
23
Cfr. SANTAMBROGIO G., “Ricchi perché diversi”, in Il Sole 24 Ore, 9/11/2003.
24
Cfr. METALLO G., TESTA M., L’etica, la comunicazione e il marketing, in METALLO G., RICCI P., MIGLIACCIO
G., (a cura di), Aziende e Sindacati: profili etici. Elementi teorici e tracce esperienziali, Giappichelli,
Torino, 2005, pag.117.
25
Qui si fa riferimento ad un concetto di arena competitiva di matrice porteriana, nella quale ricadono
a pieno titolo le relazioni intrattenute tra l’impresa ed i migranti in quanto possibili acquirenti, dunque
pienamente stakeholder, ma anche in veste di partecipanti alla collettività e, pertanto, portatori di
interesse di tipo sociale ed etico.
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quale aziende e clienti possono “riuscire ad essere se stessi senza chiudersi


agli altri ed aprirsi agli altri senza rinnegare se stessi”26.
Il significato vero e profondo di tale dinamica può essere letto nel processo di
istaurazione di un sistema di offerta trasversale, ovvero rivolta a consumatori
autoctoni e migranti, la cui fruizione risponda sostanzialmente ad un’occorrenza di
completamento dell’identità del singolo, più ampiamente della collettività locale, per
differenza rispetto alla descrizione ed al riconoscimento dell’altrui particolarità (ovvero
del trasmigrato); la rivalutazione della ricchezza culturale, delle tradizioni, degli usi e
costumi del migrante, fatta confluire in prodotti/servizi ispirati alla meltig culture,
sveste i panni della rappresentazione folcloristica, come in realtà avviene ancora nella
società attuale, per imboccare la via preferenziale della ricerca di un percorso impron-
tato alla convivenza ed ad una partecipata costruzione sociale ed economica27.
L’alterità è, infatti, un fenomeno connesso alla natura stessa dell’umanità;
essa diventa problematica critica nel momento in cui il soggetto ospite
risponde nel quotidiano agire ad un quadro comportamentale differente da
quello consolidato ed accettato dall’osservatore locale; la sua rilevanza
economica emerge quando tale manifestazione di atteggiamenti di consumo
qualifica una volontà di mantenere la propria diversità/identità o, al contrario,
viaggia verso il mimetismo più accentuato28.
Dal punto di vista della competizione aziendale gli attori economici hanno 21
necessità di organizzarsi coerentemente per accogliere tale tendenza nei
propri processi di trattamento del cliente. Anziché concepire offerte che
enfatizzano il processo di deculturazione29, tendendo ad ibridare il comporta-
mento del migrante, specie se di seconda o terza generazione, dunque più
assimilato, le imprese si impegnano per sostenere un nuovo modello di
multiculturalità, la multiculturalità di mercato, sviluppata nella dinamica
domanda-offerta30.

26
Cfr. CESAREO V. (a cura di), op. cit., pag. 10.
27
Nella dinamica volta ad interpretare il manifestarsi delle migrazioni internazionali come scoperta dello
straniero è necessario modificare tutta l’ottica di approccio all’evento osservato, per cui l’ospite
volontario non viene più conosciuto nell’accezione di fenomeno distante, da osservare con la lente
della curiosità morbosa (come vuole lo stereotipo della rappresentazione della diversità), piuttosto
quale alter che meglio qualifica con la sua presenza la manifestazione valoriale e culturale del paese
di accoglienza, la completa e la sollecita, apportandovi un più o meno consistente grado di varietà.
28
Sulle problematiche della dinamica identità/integrazione nei consumi si consulti FABRIS G., “Se anche
l’immigrato spende”, in Il Sole 24 Ore, 03/02/2004.
29
Mentre il processo che porta all’assimilazione parziale o totale dei modelli culturali di un altro gruppo
si chiama acculturazione, la deculturazione ne costituisce il saldo passivo, poiché attraverso gli
scambi si evidenziano nuove dinamiche comportamentali che causano perdite di elementi già
recepiti dalla tradizione.
30
Essa attinge da quella cultura alimentata dalla musica pop, rap, rock, ecc., dai gingle pubblicitari, dai
campioni di calcio, dai menù dei fast food, che accomuna il giovane marocchino al giovane italiano,
e li rende simili nel consumo, anche ma non solo, più di quanto lo siano rispettivamente nei confronti
dei propri genitori. Vedasi per approfondimenti EDITORIALE, “Cultura unica e nuove identità”, in
www.trentinocultura.net, Sezione “Chi siamo. Uno sguardo antropologico”, 17/03/2005,
(http://www.trentinocultura.net/radici/identita/vita_quotidiana/multiculturale/cultura_unica_nuove_id
_h.asp).
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Eppure a fronte di cotante dichiarazioni di principio, allarma constatare


come le strategie di marketing si facciano trovare impreparate al varco,
mostrando ancora una tendenza spiccatamente monoculturale.
Non ci si deve lasciare ingannare, infatti, dalle false suggestioni favorite
dalle tendenze della moda etnica, la quale, al contrario, approcciandosi per
semplificazioni e generalizzazioni alle “altre” culture da cui trae ispirazione,
proprio attraverso tale processo in realtà non fa altro che sancire e rafforzare
il primato della monocultura autoctona. Eppure le modalità e, soprattutto, gli
obiettivi della migrazione, unitamente alla cultura di provenienza, la religione di
appartenenza, il livello di istruzione, tra gli altri, sembrano costituire possibili
criteri di segmentazione, atti ad individuare nel mercato i target precedente-
mente descritti, che aspettano di essere sedotti da coerenti iniziative di
marketing e che sono a tutt’oggi pressoché dimenticati.
Timidi tentativi possono essere rintracciati dalla costituzione di offerte di
prodotti e servizi rivolti ai migranti, al fine di favorirne l’integrazione economica
e sociale, configurando tuttavia ancora una nicchia, peraltro non ben definita,
nel più ampio mercato. Non soddisfano, per questo, le iniziali risposte del
welcome marketing, il marketing dell’accoglienza, ancora troppo improvvisa-
te e tese ad una logica di redditività di breve periodo, nonché eccessivamen-
22 te declinate in varianti parziali ed in via di sperimentazione31. Vale a dire che,
attingendo dal marketing solidale, si fa emergere la propensione a favorire il
processo di integrazione degli stranieri, come tra l’altro svariati istituti bancari
stanno cercando di fare, tentando così di contenere le ripercussioni sociali,
prendendo a prestito l’orientamento emozionale e relazionale delle più
moderne tendenze consumer oriented. Infine, sollecitato da una maggiore
sensibilità multiculturale dell’agenda setting del marketing politico, il
marketing dell’accoglienza, più significativamente definibile marketing
accogliente32, focalizza l’attenzione sulla necessità di comprendere, valorizza-
re, soddisfare e rafforzare le identità migranti, mostrando quindi una vocazione
tipicamente interculturale, per contestualmente favorire interscambi e
contaminazioni tra le stesse, anche attraverso il suo portato multiculturale33,
con l’obiettivo prioritario di non organizzare una gestione separata delle
alterità, plurali e mutevoli per definizione, ma offrire, invece, soluzioni partico-
lari per esigenze specifiche34 (figura 4).

31
Finché le imprese rimarranno ferme allo stadio di ovvie dichiarazioni d’intenti, il welcome marketing,
quale volontà di definire strategie melting oriented, costituirà molto semplicemente una sigla da
affiancare ad altre più o meno fantasiose, come il marketing etnico, senza peraltro contribuire ad un
rinnovato inquadramento della gestione delle relazioni con il mercato.
32
NAPOLITANO E. M., “Il Welcome Marketing”, in op.cit., pagg. 97-100.
33
Ecco che la tipica ed italianissima pizzeria offre tra i suoi piatti (anche se ancora sotto l’indicazione
specialità) anche i Kebab.
34
Approcci che gli studi teorici definiscono rispettivamente di equality marketing e identity management.
M. T. Cuomo - D. Tortora - Comunicazione multiculturale e comportamento d’acquisto dei migranti tra integrazione e identità

Figura 4 – Approcci di marketing alla alterità

Fonte – ns. elaborazione da NAPOLITANO E. M., “Il Welcome Marketing”, in I quaderni di etnica.biz/1,
www.etnica.biz, 06/2005, pag. 111

La declinazione operativa di tale orientamento di marketing, infine,


contempla, la necessità di contestualizzare le consolidate leve del
prodotto/servizio35, della distribuzione36, del prezzo37 e della comunicazione (di 23
cui si parlerà diffusamente nel prosieguo del lavoro), in un quadro di riferi-
mento articolato almeno su quattro componenti fortemente caratterizzanti.
Innanzitutto, le risorse umane deputate al rapporto con il cliente, voce e volto
dell’organizzazione, devono detenere competenze e capacità di gestione di
un’utenza multiculturale. Di grande interesse, inoltre, è anche il back office che
deve assumere un orientamento, un modus operandi per il concepimento di un
sistema di offerta sinceramente interculturale. Gli aspetti politici, inoltre, che
prepotentemente influenzano tale tipologia di mercato, costituiscono un elemento
determinate nel welcome marketing. Infine, ma probabilmente dovrebbero essere
citate come spinte primarie, le identità culturali che diventano leve di marketing, in
quanto capacità di risposta proprio alle individualità dei clienti, convergenti in una

35
L’offerta aziendale, coerentemente con quanto citato, deve contemplare altresì la soddisfazione di
elementi emozionali, ma rispondere a requisiti etici e, per quanto detto, non necessariamente etnici.
36
Secondo una ricerca realizzata nel 2003 da istituti di ricerca associati Assirm, quasi la metà dei
migranti intervistati effettua i propri acquisti al supermercato (43,8%), un quarto nei discount (21,7%),
una parte più esigua nei mercati rionali (10%), negli ipermercati (12,7%) o presso piccoli esercenti
(6,7%), mentre solo il 4,4% degli intervistati dichiara di effettuare i propri acquisti in negozi etnici,
disconfermando l’ipotesi di una ghettizzazione, volontaria o indotta, di tipo etnico. Cfr. ABIS M.,
“Immigrati e mercato: oltre il cono d’ombra”, Assirm, 1° Convegno, Milano, 20 novembre 2003.
37
La variabile prezzo, esattamente come per il target autoctono, seguita dalla qualità dei prodotti risulta
essere la motivazione principale nelle scelte di consumo; anche la politica di marca (37,1%) e di
consigli pubblicitari (35,5%) si configurano come determinanti in grado, almeno parzialmente, di
orientare comportamenti consapevoli di acquisto. Ibidem.
EAS - Economia, Azienda e Sviluppo

spinta di pluralismo identitario dell’offerta38, ma anche rete sociale, etnica e


religiosa che guida il migrante nel suo percorso di progressivo coinvolgimento
economico e sociale all’interno del paese di accoglienza.
Ammettendo questa applicazione ampliata del marketing mix, l’attore
imprenditoriale si trova a gestire una cassetta degli attrezzi ben più fornita, atta
non semplicemente a mettere insieme un’offerta dai caratteri multiculturali,
bensì, attraverso essa, e la sinergica e coerente declinazione degli altri
elementi di marketing, il mero obiettivo di soddisfazione del cliente-migrante
viene rivisitato alla luce di una più ambiziosa ma opportuna aspirazione, volta
ad operarne la trasformazione da target a protagonista, vale a dire a co-
produttore di sviluppo e, quindi, di valore dell’impresa e con l’impresa.

4. La comunicazione, mediatrice culturale tra integrazione e integrazioni


Per quanto sin qui sostenuto, non può negarsi che le tematiche del multicul-
turalismo abbiano trovato soddisfacente accoglienza nel dibattito scientifico
nazionale ed internazionale. Individuando come tratto omogeneizzante la
determinazione di una comune ottica di osservazione del fenomeno, vale a dire
la contrapposizione tra forze localizzative e tendenze globalizzanti, tali studi
sono volti per lo più a spiegare, confortare, sostenere l’ineluttabile necessità
24 della convivenza internazionale sociale, politica, economica, dei popoli.
Simile sorte è stata riservata il più delle volte agli studi di comunicazione39,
il cui respiro sovranazionale viene accolto ed enfatizzato al fine di coniugare le
differenze che sostanziano luoghi distanti, pure destinati a convivere. “Il filtro
della comunicazione, quindi, ha il compito di legittimare e comporre ad unità
tali diversità, guadagnando a tale vettore una più specifica connotazione delle
strategie d’impresa in quanto non più complementare all’attività imprendito-
riale ma parte integrante del sistema produttivo proprio nella sua funzione di
sense making”40. La comunicazione d’impresa, in tale ottica, fa pratica di
gestione di tensioni omogeneizzanti ed eterogeneizzanti a livello planetario,
per cui è fondamentale comprendere l’orientamento valoriale della cultura dei
paesi-segmenti coinvolti verso forme di comunicazione implicita piuttosto che
esplicita, verbale o non verbale (figura 5) per comprendere il registro su cui
attestare gli scambi informativo/emotivi.
Poco si riferisce, invece, circa la necessità da parte della comunicazione
d’impresa country specific di abbandonare adempimenti tipicamente
monoculturali per costruire un efficace dialogo tra identità etniche pressoché
distinte e sostenere, senza esclusione di alcun attore, il network relazionale
impresa - nativi - migranti.

38
NAPOLITANO E. M., “Il Welcome Marketing”, in op.cit., pag. 99.
39
Cfr. SIANO A., Competenze e comunicazione nel sistema d’impresa, Giuffrè, Milano, 2001.
40
Cfr. MARINO V., Il governo dell’impresa nella prospettiva sistemica delle relazioni internazionali,
FrancoAngeli, Milano, 2005, pag. 239.
M. T. Cuomo - D. Tortora - Comunicazione multiculturale e comportamento d’acquisto dei migranti tra integrazione e identità

Figura 5 – Culture di alto/basso contesto

Fonte – WEBER M., “Comunicazione interculturale: i Cinesi preferiscono tacere”, in


Economia & Management, n. 4/2005, pag. 35

La messa al bando di pratiche di comunicazione monoculturale, richieden-


te più o meno esplicitamente forme di rielaborazione delle credenze e tradizio-
ni di immigrazione in ordine a quella dominante del paese di accoglienza, 25
costituisce il prerequisito imprescindibile per promuovere la convivenza attiva
di culture diverse41. E non potrebbe essere diversamente se è vero che l’imple-
mentazione di ogni processo di comunicazione richiede la compartecipazio-
ne, almeno parziale, della fonte e del ricevente ad un condiviso campo di
esperienza42; in altri termini “ogni transduzione culturale comporta un

41
Si rifletta, inoltre, su come tale tendenza, tipica anche dei paesi occidentali, spinga in maniera
preoccupante, soprattutto perché subdolamente travestita della volontà di difesa dei valori, principi,
credenze locali, verso il coagularsi di aspirazioni fondamentaliste e prevaricatrici, palesemente in
aperto contrasto con le dichiarazioni di indipendenza delle “identità culturali particolari”. D’altra
parte, come sostiene Taylor nell’ambito degli studi sul multiculturalismo, e prima di lui Luhman e
Apel, non nasce forse dal dialogo la comunità umana? Cfr. BETTETINI G., Capirsi e sentirsi uguali.
Sguardo sociosemiotico al multiculturalismo, Bompiani, Milano, 2003, pagg. 75-76.
42
Il processo di comunicazione coinvolge una serie di elementi tra i quali la fonte del messaggio ed il
ricevente, che, per poter intendersi, devono riuscire a vedere sovrapposti, se pur solo per una parte,
i propri campi di esperienza. Così, al ruolo essenzialmente informativo della comunicazione,
assegnato dal processo ingegneristico progettato da Shannon e Weaver, interessati soprattutto alla
trasmissione dei segnali, si sommano nel tempo tutta una serie di funzioni individuate dalla colloca-
zione del circolo della comunicazione all’interno dell’analisi semiotica, ad opera di autori come
Buehler, De Saussure, Jakobson, cui si deve la distinzione tra: - una funzione espressiva (o affettiva),
in connessione con il mittente, che riguarda proprio la sua capacità di manifestare se stesso e le sue
emozioni; - una funzione conativa, connessa al ricevente, che cerca di indurlo ad un modo di sentire
o a compiere determinati comportamenti; - una funzione referenziale, relativa al contesto, che
consente alla comunicazione di parlare della realtà e di mettere gli interlocutori in contatto con il
mondo; - una funzione fatica, che permette di mantenere il contatto nella comunicazione; - una
funzione poetica, legata alla struttura formale del messaggio; - una funzione metalinguistica, che,
definendo il codice comunicativo, permette al linguaggio di parlare di se stesso. Cfr. FLORIANI C.,
Grammatica della comunicazione, Lupetti, Milano, 1998, pagg. 15-19.
EAS - Economia, Azienda e Sviluppo

interscambio che va al di là dei contenuti-sapere per comprendere l’apporto


della dimensione sensoriale e di quella emotiva”43.
Inoltre, modificando l’ottica di osservazione per guardare con gli occhi
dello straniero, la sua volontà di concreta adesione alle mutevoli realtà del
consumo fa sì che il vettore comunicazionale venga concepito come frutto di
un processo cognitivo del consumatore-migrante e non come accettazione di
una realtà a sé stante; questi, attraverso la percezione della rappresentazione
esteriore della propria identità e l’esperienza di co-abitazione di due culture,
contribuisce a determinarlo, riconoscendogli una precisa dotazione di senso.
D’altra parte, “appare a tutti evidente come sia aumentato lo spazio delle
mediazioni simboliche che i nuovi media ci hanno di volta in volta presentato:
il nostro immaginario attuale è il frutto diretto di tali mediazioni, il nostro corpo
ne è attraversato quotidianamente, provato cognitivamente da processi di
decorporalizzazione e dematerializzazione sempre maggiori”44.
Invero, nel panorama attuale la tradizionale distinzione tra mezzi classici e
attività collaterali (above e below the line) risulta sempre più sfumata e ciò in
quanto i confini della comunicazione si dilatano fino a confondersi. Nello
stesso processo di comunicazione lo spazio del dialogo assolve essenzial-
mente a due funzioni, realizzando, per un verso, una cornice di senso all’in-
26 terno della quale le diverse comunità di migranti, in un’ottica di comunicazio-
ne integrata, possono attribuire un significato ai comportamenti e ai prodotti
dell’impresa, d’altra parte, a completamento di questa funzione contestuale,
la relazione comunicativa contribuisce a costruire, sempre in relazione a
questa audience differenziata, delle strutture di attese, a cui l’offerta può dare
giusta soddisfazione (figura 6).

Figura 6 – La comunicazione impresa – migrante

Fonte – ns. adattamento da ERMACORA J., “Integrare la comunicazione di marketing”, in Largo


Consumo, n. 3/2000, pag. 9

43
Cfr. BETTETINI G., op. cit., pag. 74.
44
Cfr. BUCCHETTI V., (a cura di), Design della comunicazione ed esperienze di acquisto, FrancoAngeli,
Milano, 2004, pag. 109.
M. T. Cuomo - D. Tortora - Comunicazione multiculturale e comportamento d’acquisto dei migranti tra integrazione e identità

L’esperienza di acquisto è, infatti, spesso l’esplicitazione di un processo di


avvicinamento, comprensione, “addomesticamento” e seduzione del
consumatore che passa attraverso i messaggi che gli giungono dai media,
dalla famiglia, dalla comunità di appartenenza, dalle variabili di marketing e di
communication mix, ponte abilitato a consentire il contatto tra l’impresa ed i
portatori di interesse, riuscendo a misurarne i risultati in termini di ritorno
sull’investimento di lungo periodo, al fine di “fare entrare del fumo da un lato
del tunnel e vedere uscire una locomotiva dall’altro”45.
A tale influenza non si sottrae, quando correttamente stimolato, il migrante.
La funzione stimolativa ed affettiva della strategia comunicazionale, vettore
privilegiato di incontro tra l’output del sistema d’offerta ed i potenziali clienti,
si innesta, dunque, all’interno di una problematica più ampia, non banalmen-
te circoscrivibile all’imposizione di una proposta aziendale in sostituzione di
quella dei concorrenti, né alla stimolazione di un corpus di preferenze da parte
di tale specifico sistema di consumo, bensì connessa alla veicolazione di
un’esperienza, tale da indurre il migrante a considerare anche l’approvvigio-
namento di beni come atto funzionale alla fruizione di occasioni di vita ed alla
costruzione di un progetto di persistenza e stabilità sociale.
Pertanto sulla scorta delle affermazione sinora condotte, è possibile
affermare che la comunicazione multiculturale può avere fondamentalmente 27
tre distinte accezioni:
1. la comunicazione come strumento di integrazione;
2. la comunicazione come strumento del marketing necessario per orientare
gli acquisti;
3. la comunicazione come strumento di trasmissione e trasferimento di
identità per i nuovi profili di consumatori emergenti.
In tal senso la comunicazione si propone come luogo di dialogo tra identità,
eliminando completamente la dialettica delle diversità46. Anzi, essa funge da
agenzia di integrazione, nel senso che favorisce il contatto e il contagio del
migrante con i gusti, comportamenti, emozioni della cultura degli ospiti.
Precisamente la comunicazione d’impresa deve porsi l’obiettivo non già di
mascherare in qualche modo, vestendole di similarità banale e buonista, le
reciproche dissomiglianze, bensì di esercitare uno sforzo di comprensione
intellettuale, cognitivo, ma soprattutto empatico, nel rispetto del diritto dell’in-
dividuo - migrante a conservare la propria identità.

45
Citazione da Jacques Seguelà. Cfr. ERMACORA J., “Integrare la comunicazione di marketing”, in Largo
Consumo, n. 3/2000, pag. 9.
46
Il termine diversità sembra configurare un’alterità quasi negativa, per cui è preferibile ad avviso di chi
scrive utilizzare sinonimi meno caratterizzanti, quali, p. e., identità distintiva.
EAS - Economia, Azienda e Sviluppo

4.1 Gli strumenti della etnocomunicazione


Per quanto fino a questo momento affermato, nondimeno, l’analisi dell’interes-
se imprenditoriale in comunicazione, specificamente per quella commerciale,
quale leva di marketing e substrato su cui edificare tutte le relazioni possibili,
consente di fruire di un osservatorio privilegiato per la comprensione ed il tratta-
mento delle problematiche di confluenza (ovvero assimilazione e/o integrazione) o
esclusione (auto-ghettizzazione) dei singoli, come più ampiamente delle comunità
migranti, attestabile nell’ambiente esterno anche in termini di indirizzo suggerito
alle dinamiche registrabili nel sistema dei consumi.
In effetti, la gran parte delle iniziative di comunicazione commerciale attual-
mente implementate risultano sicuramente poco competitive con riferimento ad
un’impostazione multiculturale. Non ci si riferisce certo ai soli sforzi di trattamen-
to linguistico del messaggio47, per quanto operazione irta di ostacoli e sovente
sottovalutata anche dalle grandi multinazionali, quanto soprattutto alle argomen-
tazioni sostenute ad ai contenuti delle attività di comunicazione, incapaci di
assimilare la trasformazione in senso multietnico che sta sperimentando la società
contemporanea. Al di là di esercizi pubblicitari più o meno riusciti48, pare proprio
che il migrante non sia abbastanza glamour49 e, pertanto, possa essere emargina-
to finanche nelle intenzioni comunicative della aziende.
28 Se molto si può dibattere sull’opportunità di investire la comunicazione
commerciale di una funzione di sostegno e promozione in favore di una
società multiculturale, dandone testimonianza attraverso la diffusione
mediatica, non deve essere sottovalutato il pericolo di creazione, pur null’af-
fatto volontario, di strategie di marketing e, conseguentemente, di coerenti
scelte e tecniche di comunicazione, di matrice addirittura antagonista. Il
prosperare del brand Mecca Cola, p. e., suggerisce, neppure tanto sommes-
samente, il desiderio di antagonismo di alcune comunità di migranti nei

47
La lingua è certamente fattore fondamentale nel testimoniare all’esterno l’impianto culturale di un
popolo, per cui sovente problematiche di traduzione sorgono per porzioni di testo, p. e., in un
comunicato pubblicitario quando non si tenga nel dovuto conto la connessione biunivoca unicità
culturale - specificità linguistica. Così, in Giappone sarebbe un grave errore commercializzare una
confezione studiata per contenere quattro porzioni di prodotto, dal momento che la mera vocalizza-
zione del numero quattro evoca il concetto di morte. Per approfondimenti sull’argomento si consulti
diffusamente HERBIG P. A., Marketing interculturale, Apogeo, Milano, 2003, pagg. 17-18.
48
Chi non ricorda Kaory, per anni felice personificazione del formaggio Philadelphia, o più recente-
mente non ha simpatizzato con la nazionale giamaicana di bob a bordo di una Fiat Doblò, o si è
lasciato incuriosire dai protagonisti della campagna pubblicitaria per la Lancia Y, di diversa cultura e
varia nazionalità, tutti impegnati nella lotta contro la bruttura. Specie gli ultimi due citati configurano
esempi di campagne di comunicazione ad evidente impostazione multiculturale. RIPANI A.,
“Immigrazione e consumi: la pubblicità a caccia di nuovi volti”, Il Passaporto.it - Il giornale dell’Italia
multietnica, 14/04/2005.
Essi, tuttavia, rappresentano comunque ancora delle eccezioni nella babele dell’advertising
communication, testimoniando più un inseguimento di una società che nei fatti è forse molto più
multietnica di quanto riesca ad esserlo con le parole (o gli spot).
49
Così sostiene con pervicace ironia Oliviero Toscani, da sempre attento testimone e operoso proposi-
tore dell’evoluzione multietnica del mondo globale in cui viviamo. Ibidem.
M. T. Cuomo - D. Tortora - Comunicazione multiculturale e comportamento d’acquisto dei migranti tra integrazione e identità

confronti della politica tipicamente globalizzante, di alcune multinazionali50.


Come dire, se nella società della comunicazione le minoranze etniche
rimangono invisibili come soggetti, essi (gli invisibili) ad un certo punto si
attrezzano per recuperare e far sentire la propria voce.
Perché tali, ovvero inesistenti, sono ancora considerati dal punto di vista della
comunicazione d’impresa i migranti. Una comunicazione incapace di dialogare,
che appunto per questo non riesce a definire un adeguato registro simbolico-
valoriale attraverso il quale coinvolgere, emozionare, sedurre, in breve fidelizzare
al mondo di marca target potenzialmente profittevoli, senza fare tuttavia enfasi
sulla loro diversità o, risultato ancor più deludente, fare ricorso a stereotipi.
La comunicazione dell’alterità, come ci piacerebbe definire51 il ritrovato o
auspicato interesse della comunicazione di marketing verso le minoranze, in
particolare i migranti, deve al contrario illuminarsi della cultura della multicultura-
lità, farsi ispirare da quella ed al tempo stesso rendersene sponsor proprio per
contrastare l’emersione di una comunicazione dell’antagonismo. D’altra parte non
è forse compito precipuo dell’advertising anche quello di informare, oltre che
emozionare, suscitare l’interesse e quindi spingere il consumatore all’azione?
Il migrante è, come ampiamente dibattuto nel corso del presente lavoro,
una persona “alla ricerca della felicità e di una piena cittadinanza
economica”52, alla quale contribuisce con pienezza anche la sua partecipazio-
ne al mondo dei consumi, riconoscendo specifica efficacia alla valenza inizia- 29
tica della comunicazione commerciale.
Tale adesione al sistema di offerta vigente deve, inoltre, essere considera-
ta a 360 gradi, per cui la diffusione di informazione non deve attivarsi in via
esclusiva quando si tratta di proporre o consolidare sul mercato offerte
specificamente rivolte alle comunità migranti53, bensì essa ha l’obbligo (morale
e commerciale, per quanto interessa all’impresa) di sostenere il consumatore
etnico nella sua interazione con il mondo di marca costantemente e totalmen-
te, promuovendo forme di comunicazione capaci di delineare il concetto di
autoidentificazione del target-group, cioè recuperandone il senso di apparte-
nenza alla propria tribù54 (in accezione marketing oriented) ma anche solleci-
tandone la partecipazione attiva ed auspicata ad una di accoglienza, in cui
convivono valenze tecniche, emotive, emulative, individuali.

50
In Francia, in particolare, il fenomeno di ghettizzazione volontaria emerso a seguito di tale incapacità
di comunicazione si esprime attraverso una serie di progetti di consumo che si rivolgono specifica-
mente alle minoranze etniche attraverso offerte dichiaratamente antiamericane. Cfr. NAPOLITANO E.
M., “Tra marketing de la négation e marketing identitaire”, in www.equonomia.it, 11/2005.
51
L’individuazione di sigle, acronimi, definizioni stringate sembra spesso proporsi come un gioco
perverso che obbliga a classificare e costringere in pochissime battute concetti al contrario ben più
ampi; essa è, tuttavia, funzionale ad una rapida diffusione delle idee, riuscendo parzialmente a
riparare ai danni apportati dall’attribuzione di etichette ai più vari fenomeni delle scienze umane.
52
Cfr. NAPOLITANO E., “Migranti: le loro marche, le loro storie”, in www.equonomia.it, 6/10/2005.
53
Esempi di prodotti specifici possono essere considerati i servizi di telefonia internazionale o di money transfer.
54
Sull’argomento del marketing tribale si approfondisca da: COVA B., Il marketing tribale. Legame,
comunità, autenticità come valori del marketing mediterraneo, Il Sole 24 Ore Libri, Milano, 2003
EAS - Economia, Azienda e Sviluppo

Inoltre, “Sempre più spesso i mezzi di informazione e le indagini sociali


propongono ritratti di immigrati che vivono consapevolmente immersi nella
semiosfera informativa e multimediale italiana, spesso con strumenti di
decodifica e logiche di fruizione non troppo dissimili da quelle della maggior
parte della popolazione”55.
Non è aleatorio allora auspicare che la comunicazione si ponga come
ponte, vettore di collegamento tra concetti ed oggetti, tra ideali ed azioni,
riuscendo ad avvicinare mondi distanti, funzione enfatizzabile ulteriormente
considerando che i migranti sono anche buoni consumatori mediali (figura 7).

Figura 7 – Il rapporto del migrante con i media

30

Fonte - ABIS M., “Immigrati e mercato: oltre il cono d’ombra”, Assirm, 1° Convegno, Milano,
20 novembre 2003

La stessa fruizione mediale può dunque essere interpretata (e d’altra parte


se ne giustifica la trasformazione nel tempo) proprio in relazione alla sua
capacità di respirare e proiettare all’esterno i valori della multicultura (figura 8).
Figura 8 – I media e la comunicazione multiculturale

Fonte – ns. adattamento da Bitjoka O., “Ethnoland: al servizio degli immigrati”, 1°


Conferenza Stampa, Ethodigital S.P.A., Milano, 23 settembre 2003

55
Cfr. MENOTTI CONTI G., “La comunicazione come luogo e opportunità di integrazione”, in op. cit., pag. 445.
M. T. Cuomo - D. Tortora - Comunicazione multiculturale e comportamento d’acquisto dei migranti tra integrazione e identità

In virtù di tale propensione si è notato un proliferare di iniziative mediatiche,


forme e strumenti di etnocomunicazione, finestre sul complesso mondo dell’im-
migrazione, all’interno di palinsesti radiotelevisivi italiani che tentano di sviscerare
le molteplici caratteristiche culturali, razziali e linguistiche del nostro paese.
L’etnoinformazione viaggia attraverso una rete di strumenti preferenziali
(figura 9), che, integrati con le forme più consolidate di comunicazione,
possono conquistare anche ambiti preferenziali per iniziative etnopubblicitarie,
purché le stesse non vengano gestite alla stregua di episodi straordinari,
piuttosto che attività consolidate per lo sviluppo di relazioni di lungo periodo.

Figura 9 – I mezzi della etnocomunicazione

31

La più efficace strategia comunicativa, in estrema sintesi, sembra poter


essere codificata in termini di comunicazione con, anziché come comunica-
zione a, in cui l’alterità diventa il principale paradigma, tanto teorico quanto
operativo, per interagire con un’audience assolutamente matura dal punto di
vista multiculturale.

5. Conclusioni
“La comunicazione tra culture diventa il luogo dell’indicibile e del provviso-
rio, né potrebbe essere diversamente: diventa il luogo in cui nessuna prospet-
tiva può più rivendicare una posizione di privilegio nel rendere conto della
EAS - Economia, Azienda e Sviluppo

realtà”56. In accordo con tale affermazione, l’impresa interculturale ha l’obbligo


di riproporsi essa stessa quale spettatrice del proprio punto di vista: in fin dei
conti il medesimo atto di modifica della prospettiva di analisi costituisce di per
sé risorsa vivida per investigare le differenze in ottica culturale. Tale atto si
accorda con un proponimento di esplorazione, di fattiva esperienza della
cultura dell’altro, avendo tuttavia chiara la consapevolezza che questi rimanga
incommensurabilmente altro, pur all’interno di una volontà di scambio e
confronto risolutamente osmotica. Fugando l’illusione o, ancor più presuntuo-
samente, la pretesa di capire, l’approccio schiettamente osservativo, epurato
da ogni intenzione voyeuristica, ma guidato da una sincera attitudine alla
curiosità e alla meraviglia, consente alla comunicazione d’impresa di edificare
una strada preferenziale per la relazione con il migrante, al tempo stesso fonte
di costruzioni di senso che valorizzano la sua stessa competenza/consapevo-
lezza sulla propria identità.
La ricerca di conforto della bontà di tale posizione avviene a carico del
paradigma postmoderno, altrimenti definibile cosmopolita, recuperando, in
un’epoca knowledge based, la virtù della non conoscenza quale co-generatri-
ce di significati ed attribuzioni di senso, all’interno della quale relazioni
comunicative di tipo win win vivono e si sviluppano grazie alla convivenza di
32 punti di vista differenti.
Pertanto ed in estrema conclusione possiamo affermare con le parole di
Gandhi, che: “nessuna cultura può sopravvivere, se pretende di escludere le
altre”.

56
Cfr. GIULIANI M., “Dalle Ande alla Val Padana, dalle famiglie alle culture: note su un seminario di Igino
Bozzetto”, in M@gm@, Rivista Elettronica Trimestrale di Scienze Umane e Sociali, www.analisiquali-
tativa.com/magma, vol. 2, n. 2 aprile/giugno 2004.

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