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ATTITUDINI ESSENZIALI
Una solida comprensione della propria cultura e un senso di identità rappresentano la
base di un atteggiamento aperto verso la diversità dell’espressione culturale e del rispetto
della stessa. Un atteggiamento positivo è legato anche alla creatività e alla disponibilità a
coltivare la capacità estetica tramite l’autoespressione artistica e la partecipazione alla vita
culturale.
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A tale capacità di conservazione e valorizzazione occorre dunque educare e rieducarsi, in
un percorso di progressiva corresponsabilizzazione personale e collettiva nei confronti di
una eredità che non ha eguali nel mondo ed attorno alla quale è possibile ricostruire
nuove trame identitarie e nuovi percorsi di sviluppo socio-economico.
Non raramente nel nostro Paese si afferma una visione statica, solo conservativa che
cristallizza ed ingessa non solo il bene ma anche le possibilità di dialogo tra soggetti e
settori. Il ruolo delle istituzioni appare dunque cruciale quale catalizzatore di risorse,
facilitatore di un pensiero integrato e sperimentatore di pratiche innovative.
I beni culturali italiani possiedono una straordinaria attrazione sociale con molteplici
benefici legati al turismo culturale. Il viaggio consente di godere a 360° della cultura e
dell’arte nel nostro Paese e dunque di ampliare il proprio bagaglio di conoscenze.
L’attività di viaggio allo scopo di conoscenza e arricchimento culturale vanta una storia
che ha ben due secoli di vita. Nei dizionari di lingua il termine ‘turista’ comparve nel 1800
mentre la parola ‘turismo’ risale al 1811.
L’industria turistica italiana si è basata per tanti anni sul turismo estero, prevalentemente
caratterizzandosi per vacanze di stanziamento, di soggiorno fisso soprattutto al mare, ai
laghi, in montagna e nelle città d’arte. L’Italia ha sapientemente sfruttato la sua geografia
e la sua storia come fattori naturali di affermazione turistica, senza però in alcun modo
preoccuparsi di specializzare e di potenziare le strutture dell’offerta delle sue risorse, di
ridistribuire i flussi turistici sul territorio nazionale, di mantenere elevato il livello della
domanda interna. In un certo senso, l’Italia ha, per così dire, “campato di rendita”, grazie
alle eredità artistiche e agli immensi patrimoni culturali che ha ricevuto dai grandi artisti
dei secoli scorsi. Ma per molti versi, negli anni più recenti, la crescita del turismo culturale
ha superato le previsioni ponendo i gestori dei patrimoni dinanzi a problemi del tutto
inediti. Non c’è stata una pianificazione organica del turismo culturale.
Vi sono diversi motivi che possono favorire il cambiamento di rotta: dalla crescita
economica al livello di cultura dei turisti, senza tralasciare il notevole incremento del
valore monetario delle opere d’arte, in grado di favorire l’esplosione della capacità
attrattiva dei musei.
Mancano all’appello ancora tante azioni da mettere in campo per valorizzare e tutelare il
patrimonio italiano: dall’accoglienza alla riqualificazione delle infrastrutture. È possibile
valorizzare il patrimonio culturale italiano realizzando un primo circuito turistico, nel quale
includere alcuni luoghi storici e artistici più conosciuti al mondo come Roma, Firenze,
Perugia, Bologna, Venezia, Padova, Torino, Milano, Napoli, Genova.
Poi potrebbe seguire la creazione di circuiti turistici minori, nelle location nell’ambito
provinciale di ogni altra regione italiana, di minori dimensioni ma non meno ambite. Tutto
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ciò dovrebbe essere corredato da itinerari culturali sapientemente studiati, dove
conoscere tutte le peculiarità, dai piccoli musei e i loro grandi patrimoni, dai borghi
medioevali alla caratteristica piazza, includendo le dimore storiche e le tradizioni italiane
del territorio.
Un’altra azione proficua e redditizia che potrebbe mettersi in campo è quella relativa
all’affitto di opere d’arte da parte dei nostri musei e pinacoteche per mostre all’estero,
che porterebbero un grande introito finanziario utile alla gestione e valorizzazione
turistica dei nostri beni culturali.
Il vero punto da analizzare è, infine, lo sviluppo del settore previsto nei prossimi anni che
include la valorizzazione della cultura del Bel Paese. Tutto ciò può rappresentare un
grande volano economico da gestire in modo professionale, per garantire una crescita
costante di tutto il settore.
Rinunciare tuttavia al sogno che ha accompagnato per così tanti anni il lungo e complesso
processo di unificazione dell’Europa significherebbe voler andare a ritroso nella storia:
non è auspicabile e probabilmente neanche possibile. Per rendere dunque la diversità
linguistica e culturale una reale risorsa per l’Europa, e non una minaccia, come molti oggi
sono propensi a pensare, occorrono adeguate politiche di gestione delle differenze unite
a programmi di educazione linguistica, nella sua accezione più ampia, e di formazione
all’interculturalità. L’obiettivo è il superamento di una visione astratta, cristallizzata, chiusa
e monolitica del concetto di lingua e di quello di cultura, primo passo verso la promozione
del contatto e del contagio linguistico e culturale, dei processi di scambio e di
ibridazione. Punto d’incontro di lingue e culture diverse, la scuola costituisce uno dei
luoghi privilegiati per vivere la diversità linguistica e culturale come risorsa.
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La scuola italiana, in particolare, si presenta oggi come uno spazio in cui la diversità, in
tutte le sue manifestazioni, viene non solo riconosciuta, ma anche legalmente garantita.
In ottemperanza alle norme che tutelano il diritto allo studio non solo degli alunni
stranieri ma anche di quelli diversamente abili o con bisogni educativi speciali, i
documenti ministeriali delineano infatti, fin dal primo segmento d’istruzione, il profilo di
una scuola che poggia su due principi basilari: integrazione culturale e inclusione.
1. Spirito di iniziativa;
2. Capacità di anticipare gli eventi;
3. Indipendenza e innovazione nella vita privata e sociale come anche sul lavoro;
4. Determinazione a raggiungere obiettivi, siano essi personali, o comuni con altri,
anche sul lavoro.
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2. L'Imprenditore
Chi si è trovato o si trova alle prese con esami come Diritto Civile o Commerciale lo sa
bene: il nostro Codice Civile definisce chi è l’imprenditore (art.2082) e lascia alla deduzione
una definizione dell’impresa, “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività
economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”.
Si direbbe una stranezza, ma in fondo non lo è: alla base di ogni impresa c’è prima di tutto
una persona, che con le sue idee ha dato vita a un’azienda capace di rispondere a bisogni
del mercato, guadagnare, dare posti di lavoro, contribuire al sistema economico e,
possibilmente, al miglioramento della società.
Oggi il termine imprenditore è spesso associato all’idea di innovazione: ciò non ha niente
a che vedere con il mondo delle startup, ma deriva dalle teorizzazioni di alcuni economisti
come Schumpeter (1911), secondo il quale l’imprenditore svolge innanzitutto una
funzione di innovatore, di colui che innova i metodi e i processi di produzione o dirige
un’azienda in modo innovativo.
Certo è facile attribuire la qualifica a chi se l’è guadagnata sul campo creando una o più
imprese. Non necessariamente tale impresa deve diventare una multinazionale, anche una
piccola impresa ha il suo perché e nasce da un profilo imprenditoriale.
Ma è possibile identificare a priori delle caratteristiche che ci fanno dire ‘questa persona
ha proprio una mentalità imprenditoriale’? E’ possibile apprendere e sviluppare le
competenze imprenditoriali?
Non esiste una bibbia delle competenze imprenditoriali, ma diverse qualità accomunano
gli imprenditori:
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4. la capacità di autodeterminarsi ed entrare in azione;
5. la capacità di comunicare e coinvolgere altri e mobilitare in questo modo persone
e risorse per raggiungere il suo obiettivo.
4. Le Competenze Imprenditoriali
Non tutti sanno che anche l’Unione Europea si è ufficialmente espressa su questo
argomento, motivata dalla necessità di informare e guidare le persone, e in particolare i
giovani, nello sviluppo del proprio talento in un mercato del lavoro che si evolve
rapidamente.
L’EntreComp, Entrepreneurship Competence Framework, è il Quadro di Riferimento UE per
la Competenza Imprenditorialità, pubblicato nel giugno del 2016: esso ha inteso produrre
una definizione comune di “imprenditorialità” che funga anche da strumento
persviluppare le proprie competenze in tale direzione.
Spiega EntreComp, che l’imprenditorialità è una competenza per la vita. Essere creativi o
pensare a come fare le cose in modo nuovo è altresì importante per far progredire la
propria carriera o proporre nuove idee imprenditoriali.
Prendere l’iniziativa, mobilitare gli altri e coinvolgerli con la tua idea sono abilità utili per
la raccolta di fondi per la tua squadra sportiva locale o per creare una nuova impresa
sociale. Capire come mettere in pratica un piano e utilizzare saggiamente le finanze è
importante per la propria vita e per la pianificazione aziendale in una piccola o media
impresa.
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Le competenze da sviluppare nella fase di ideazione e progettazione - con i relativi
suggerimenti - di un’idea imprenditoriale, sono:
5. Identificare le Opportunità
Le idee imprenditoriali sono ovunque intorno a noi. Alcune provengono da una attenta
analisi delle tendenze di mercato, dallo studio delle esigenze e dei bisogni dei
consumatori (target), altre sono semplicemente copie esatte di altre attività già esistenti.
Quando si è interessati ad avviare un’impresa, ma non si ha idea di quale prodotto o
servizio proporre al mercato, suggeriamo di seguire alcune strategie che facilitano
l’individuazione di idee di business e al contempo aiuteranno a scegliere fra le tante idee.
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RIFLETTERE SULLE PROPRIE CAPACITÀ E ABILITÀ
Inizia a fare un elenco delle tue abilità, potrebbe aiutarti a sviluppare un business
redditizio.
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SALIRE SUL CARROZZONE
A volte alcuni prodotti o servizi manifestano una improvvisa impennata delle
vendite o richieste senza alcuna ragione apparente; masse di persone
improvvisamente “vogliono” qualcosa, e l’offerta non riesce a soddisfare tale
domanda immediatamente. Ad esempio, durante l’epidemia di COVID 19, c’è
stato una insaziabile domanda di maschere facciali respiratorie in diversi paesi e
molti imprenditori entravano in questo mercato in quanto profittevole. Ciò si
chiama effetto carrozzone. Saliamo sul carrozzone. L’effetto carrozzone viene
creato anche con le tendenze sociali. C’è molta più domanda di servizi di
assistenza a domicilio per gli anziani rispetto a quello attualmente offerta. Vi è la
tendenza che gli animali devono essere trattati come membri della famiglia.
Ebbene oggi questa domanda è poco soddisfatta. Pensa alle strutture ricettive
che non ammettono animali, questi signori, perdono soldi ogni giorno.
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6. Filantropia: amore spontaneo verso il prossimo, che porta ad operare per il suo
bene.
7. si adopera per ridurre la differenza tra ricchi e poveri (46%);
8. contribuisce a risolvere problemi sociali come criminalità, povertà, analfabetismo
(35%).
Nonostante le aspettative nei confronti delle imprese siano cresciute talmente tanto
da arrivare a ricomprendere l’intera gamma dei problemi sociali, come possiamo notare
dall’indagine appena citata, è tuttavia evidente che negli ultimi anni la sensibilità
dell’opinione pubblica si sia concentrata in modo particolare sui temi dell’impatto
ambientale e della tutela dei diritti dei lavoratori. L’impatto negativo che l’attività di
un’impresa ha sull’ambiente naturale che la circonda, sotto forma di inquinamento
dell’aria, dell’acqua e del suolo, è l’esempio più classico di quei costi sociali di cui l’impresa
è oggi chiamata a rispondere e che abbiamo definito esternalità negative.
Altro tema importante è la tutela dei diritti umani e, in particolare, dei diritti dei lavoratori.
Si tratta, anche in questo caso, di un tema particolarmente delicato e che investe la
responsabilità sociale delle imprese per almeno due motivi. In primo luogo, le imprese
sono sempre più consapevoli della necessità di gestire in modo adeguato le relazioni con
una categoria fondamentale di stackeholders quali sono, appunto, i dipendenti;
sono alcuni degli strumenti a disposizione delle imprese per creare un clima interno
sereno e coeso, condizione necessaria per aumentare la produttività dei lavoratori.
La tutela dei diritti dei lavoratori ha assunto una crescente rilevanza esterna, cioè nei
confronti dell’opinione pubblica, soprattutto in seguito ai numerosi casi che nel recente
passato hanno visto coinvolte note multinazionali nell’utilizzo disinvolto della forza lavoro
in paesi in via di sviluppo, tema quest’ultimo che appare quanto mai attuale in
un’economia globalizzata in cui le imprese dislocano i propri impianti produttivi in quelle
aree del mondo in cui più bassi sono i costi del lavoro e minori le garanzie dei lavoratori.
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Uno dei casi più noti ha riguardato alcuni anni fa la Nike, importante azienda operante
nel settore delle calzature e dell’abbigliamento sportivo, finita nell’occhio del ciclone a
causa di un uso non corretto della manodopera e di comportamenti considerati non
socialmente responsabili; inoltre, un’inchiesta giornalistica svelò che i palloni venduti da
alcune importanti aziende, tra le quali la Nike, venivano prodotti in un distretto industriale
del Pakistan dove lavoravano come cucitori quasi diecimila bambini. La vicenda creò
ovviamente una grave danno all’immagine dell’azienda, che ammise una parte delle
violazioni contestatele e cominciò da allora ad avviare politiche socialmente responsabili
(come l’adozione di un codice di condotta).
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