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Dispensa Istituzioni e politiche culturali II modulo

Istituzioni e Politiche culturali (triennale) (Università Cattolica del Sacro Cuore)

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Professoressa Pedrini II modulo


Syllabus:

• Richiami di economia politica ed economia della cultura

(teoria del consumatore e del produttore; forme di mercato; fallimenti del mercato; natura dei beni;
differenze tra la teoria classica e il prodotto culturale)

• Elementi di economia pubblica


• (efficienza, scelta sociale, disuguaglianza)

• Fondamenti di politiche pubbliche

• Motivazioni all’intervento pubblico

(azione collettiva, scelta pubblica, giustizia sociale, riconoscimento di diritti e uguaglianza)

• Dal macro al micro:

➢ le politiche europee e relative istituzioni

➢ le politiche nazionali (focus: teatro e cinema)

➢ le politiche locali e gli strumenti per operare sul territorio

Lezione 11, 7/04/2021


Richiami di economia
Il prezzo è storicamente l’indicatore principale referenziale che il mercato utilizza per comunicare tra
produttori e venditori. Quindi è un elemento estremamente informativo che dice ai produttori quello
che i consumatori sono disposti a comprare e, contemporaneamente dice ai consumatori quali sono
le caratteristiche comuni dei prodotti.

La natura dei beni (privati, pubblici, comuni, club)

Beni privati: Il prezzo però ha questa caratteristica solo quando parliamo di beni privati → beni
escludibili e rivali, rivali ovvero che il bene nel momento in cui viene consumato da una persona non
può più essere consumato da altri, perché l’azione del consumo esaurisce l’utilità di un bene, anche
se il bene venisse utilizzato da più persone la sua utilità verrebbe sminuita.

Facciamo una somma orizzontale dei livelli diversi di domanda, dato il prezzo di un bene andiamo a
vedere quante persone sono disposte ad acquistare un determinato bene a un determinato prezzo.

→ la variabile strategica è il prezzo

Beni pubblici: beni che hanno la caratteristica di non escludibilità e non rivalità, l’utilizzo congiunto di
quel bene non riduce il livello di benessere degli utenti. Il prezzo non è un elemento informativo. Il
processo di produzione del bene non comunica, si parla di disponibilità a pagare.

Facciamo una somma verticale delle domande.

→ la variabile strategica è la quantità

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Beni comuni: sono beni rivali ma non escludibili, quindi non è possibile limitare l’uso da parte della
comunità, ma allo stesso tempo il loro utilizza può portare al loro esaurimento.

Beni di club: sono beni escludibili ma non rivali. (esempio: andare al cinema)

• Le forme di capitale (tangibile/intangibile-naturale, finanziario, culturale, sociale, simbolico)

• La scelta del consumatore (vincoli, preferenze)

• Teoria della produzione

• Le forme di mercato

• I fallimenti del mercato (esternalità e beni pubblici)

Lezione 12, 14/04/2021


La tragedia dei beni comuni

La tragedia dei beni comuni perché l’utilizzo sconsiderato di beni può portare all’esaurimento di
questi. È una condizione dalla quale è difficile tornare indietro. Un esempio è un lago in cui le persone
possono pescare, se non ci sono regole è possibile che ognuno, nel perseguire il proprio interesse,
cerchi di pescare il massimo possibile, i pesci si estingueranno, con il risultato che nessuno potrà
tornare a pescare. → Secondo Elinor Ostrom, secondo questa autrice questa tipologia di beni non può
essere gestita in maniera esclusivamente privatistica (contratti), non deve essere gestita dal settore
pubblico, ma la gestione migliore è quella comunitaria o cooperativa. Le persone, consapevoli del
rischio di poter esaurire la propria risorsa decidono di organizzarsi per regolare il consumo.

L’allieva Charlotte Hesse estende l’idea di bene comune al contesto contemporaneo urbano, inizia a
parlare di commons urbani legati alla conoscenza e culturali. Nel caso dei commons di neiborhood
sono dei beni legati alle relazioni che si possono stabilire in un contesto di prossimità e nel loro cattivo
uso si esauriscono.

La fiducia è uno degli aspetti più importanti nella gestione del capitale sociale, una di quelle grandezze
che, se consumate, difficilmente si riescono a ricostruire. Questo tipo di relazioni alimentano il
contesto urbano, proprio perché hanno a che fare con ciò che una comunità può costruire. Questo è
facile da analizzare perché si sviluppano delle economie di rete alimentate dalla densità abitativa.

Parlare di Cultural common ci mostra come la conoscenza e il contenuto culturale sia qualcosa che
può essere costruito nel tempo accumulato riprodotto, ma che se non adeguatamente si può
estinguere.

(Esempio astinenza culturale anno covid)

Beni posizionali, segnaletici o ostentativi, di esperienza, aspirazionali, meritori e relazionali

Se non ci concentriamo più sull’aspetto dell’escludibilità e sulla rivalità è possibile capire la natura del
bene culturale in funzione della sua funzione, ovvero del servizio che ricopre.

Bene posizionale: un bene che racconta qualcosa del consumatore in relazione al contesto sociale.
Infatti, il consumo culturale è qualcosa che fa parte della nostra modalità espressiva e deriva dalle
nostre esperienze. Comunicano qualcosa a noi stessi e all’esterno, dicono che tipo di persone siamo.
Ci collocano dal punto di vista economico all’interno della società. → si collega all’aspetto ostentativo
che dà un segnale della nostra condizione economica. Il mostrare questi beni ci mostra anche quelle

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che sono le nostre aspirazioni di natura sociale, in quale tipologia di comunità vogliamo entrare, a chi
vogliamo assomigliare, qual è il nostro orizzonte estetico di riferimento. Tutti questi fattori ci
permettono di disegnare il contorno che coincide con la nostra identità, data dalla somma di
esperienze culturali e educative.

Questo orizzonte è mutabile e fluido in quanto noi ci riconosciamo, non solo in un orizzonte estetico
ma anche identitario che non è legato alle nostre radici, ma alle nostre aspirazioni.

→ all’interno di questa espressione vediamo come i consumi culturali sono molto importanti
soprattutto nelle fasi della vita che caratterizzano la seconda socializzazione, quella con i nostri pari,
con i nostri simili durante le scuole medie e superiori prima che il conformismo (necessità biologica)
prenda piede. Attorno ai 16 si sviluppa l’individuo, si cerca di uscire dalla dinamica di appartenenza ad
un gruppo per cominciare a sviluppare i propri tratti identitari che sono quelli che caratterizzeranno
l’adulto. Questo processo avviene per contrapposizione, prima verso le altre generazioni per poi
passare ai propri simili, per cercare di distinguersi. In questo caso la componente culturale del
consumo è importante per capire quali sono le possibilità che noi cominciamo a vagliare.

Anche in questo caso si mostra, non più il conformismo la propria distanza dagli altri, è quello che ci
fa crescere. Questa fase termina intorno ai 24 anni, fase in cui il nostro cervello continua a crescere.
Ci possiamo considerare in evoluzione fino ai 24 anni. È importante agire sull’insegnamento entro
questa fascia di età, perché c’è una ricettività maggiore.

Il bene di esperienza: è un bene in cui la fase di produzione e di consumo coincidono, noi non
possiamo sapere se il consumo di tale bene ci darà soddisfazione finché non abbiamo completamente
vissuto l’esperienza. (Esempio di un concerto che anche in modo ripetitivo non ci annoia, perché ogni
volta l’esperienza è diversa, perché l’atmosfera è diversa)

Il bene relazionale: è un bene il cui valore è costituito dalla relazione di per sé. Un bene che esiste nel
momento in cui due persone creano qualcosa di nuovo. (Esempio cinema o teatro che si frequenta
con gli amici perché la componente di relazione del consumo culturale è molto alta su determinate
tipologie di prodotti che sono sociali).

Beni meritori: è un bene che per il suo contenuto di qualità e per i passi avanti che ci permette di fare
in termini di conoscenza merita di essere sostenuto, quindi sfugge alle logiche del mercato (musica
lirica la metà dei finanziamenti italiani, un prodotto fortemente di nicchia).

Le diverse forme di capitale tangibile/intangibile-naturale, finanziario, culturale, sociale, simbolico


e umano

Il capitale si esprime sotto varie forme. A partire dagli anni Sessanta grazie al contribuito di Robert
Putnam sociologo americano e Pierre Bourdieu sociologo francese abbiamo una maggiore distinzione
tra le diverse forme di capitale.

Dal libro di Putnam “Bowling alone” si sono esaurite le relazioni sociali negli Stati uniti intorno agli
anni 50, in particolare come il modo di relazionarsi delle comunità fosse cambiato in seguito al lavoro
di fabbrica le nuove forme della città e le periferie che non comunicano tra di loro. L’avvento dei
consumi di massa che vanno a modificare il modo di comportarsi (Tv, supermercati) con i propri simili,
da un lato ma dall’altro si assiste allo svilupparsi di forme di individualismo. A lui si deve l’invenzione
del concetto di capitale sociale, bene accumulabile e riproducibile che sono le relazioni tra le persone.
(Libro in cui analizza la divisione tra le regioni italiane)

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I risultati sono ancora validi perché associava la forma di relazionalità prevalente con la performance
economica. Dimostra come un generale senso di fiducia, una capacità di delega sia positivamente
legata a un tasso di crescita elevato. Al contrario il cosiddetto familismo amorale, una chiusura nei
confronti nell’altro e una eccessiva fiducia nei confronti della propria famiglia rende performance
economiche meno efficienti. Distingue tra legami forti (con la famiglia e gli amici) e legami deboli(con
i conoscenti, colleghi).

Bordieu analizza il concetto di capitale sociale, osservando che il modo in cui le persone si legano
dipende anche dal loro percorso culturale, non solo da un generico senso di fiducia ricevuto all’interno
dal bagaglio culturale educativo ricevuto dalla famiglia. Il nostro senso di apertura nei confronti
dell’altro può derivare dal nostro bagaglio culturale. Il sociologo distingue il capitale culturale come
qualcosa di indipendente rispetto alla dimensione sociale ma ugualmente accumulabile e
riproducibile.

Sviluppa gli studi nella Parigi degli anni 60, mostra come la dimensione culturale differenzi le persone
piuttosto che unirle. Nel suo lavoro “La distinzione” afferma che la cultura viene utilizzata dalla società
per escludere, per reiterare delle divisioni tra classi che già esistono. Il suo studio era incentrato sulla
scuola, e dimostra come questa non sia in grado di eliminare le differenze tra le persone ma le
alimenta, perpetuando la marginalità di alcune categorie rispetto ad altre. Studio superato perché
riferito a una realtà circoscritta.

Bordieu sottolinea l’importanza del capitale simbolico, simboli che noi ereditiamo.

Il capitale umano è l’insieme delle conoscenze che caratterizzano la persona e nella fattispecie, la
proxy con cui viene misurato è il titolo di studio.

Il capitale culturale lo misuriamo come il numero di biglietti venduti per un concerto, per il cinema, di
solito si guarda in ISTAT per misurare i valori monetari, il numero di associazioni.

Di tutti questi aspetti noi possiamo avere una componente tangibile e una intangibile (capitale
culturale tangibile: film, architettura- intangibile: cultura orale, contrade di Siena).

La scelta del consumatore (vincoli, preferenze ed elaborazione del gusto, domanda, costo
opportunità, costo di attivazione, di behavioural)

La scelta del consumatore è una scelta vincolata, non siamo liberi nel consumare dato il vincolo
economico e di tempo. Quando parliamo di scelta del consumatore in ambito culturale partiamo dalla
consapevolezza che le scelte di consumo derivano da quello che è il proprio background culturale. [Il
decidere di acquistare un libro o due bottiglie di birra è una scelta che ha a che fare con una
preferenza, entrambe le cose possono essere fatte a seconda del contesto in cui noi ci troviamo].

Parlando di gusto, che è la variabile che ci porta a scegliere determinati aspetti, noi richiamiamo quello
che ha affermato il premio Nobel Gary Becker ne “De gustibus non est disputandum”, il consumo
culturale sfugge a qualsiasi tipo di analisi economica, nello specifico non vale la legge dell’utilità
marginale decrescente secondo cui man mano che noi consumiamo un bene il nostro interesse o il
livello di utilità decresce. L’ascolto della musica non rispetta questa legge, associa il consumo culturale
al consumo di droga, è un comportamento non razionale tipico delle persone che soffrono di una
dipendenza e quindi l’esistenza di questi beni fa sì che si giustifichi un comportamento non razionale
del consumatore. (Con comportamento razionale si intende una combinazione efficiente di beni e
un’eccellente conoscenza delle alternative che ci si palesano). Ma Becker non considera l’aspetto
dell’esperienza e l’elemento dell’acquisizione della cultura.

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L’ordinamento delle preferenze e la funzione di utilità del consumatore culturale ha una combinazione
diversa rispetto a quella di altri, si trae utilità e benessere in base alla differente dotazione cognitiva
ed economica.

L’elaborazione del gusto è formata da tutto quello a cui aspiriamo ma anche quello che conosciamo
che è la somma del nostro consumo culturale.

Lezione 13, 20/04/2021


Il costo-opportunità, costo di attivazione, capabilities e funzionamenti
Nel momento in cui noi effettuiamo una scelta, non dobbiamo prendere in considerazione solo le
caratteristiche del prodotto che scegliamo ma soprattutto le caratteristiche dei prodotti che non
sceglieremo, quindi prendere in considerazione il costo-opportunità.

Molto spesso il consumo culturale è una scelta time-intensive, dove la dimensione del tempo che
viene impiegato è intensiva e richiede completamente la nostra attenzione. [Andare a teatro ci occupa
interamente, un’opera lirica assorbe completamente la nostra attenzione, scegliamo di dedicare tutto
quel tempo al teatro e non possiamo dedicare quel tempo ad altre attività].

La valutazione di rinuncia alle alternative è determinante. È una scelta su cui è possibile intervenire,
poiché la dimensione del costo non è esclusivamente monetaria e immediatamente quantificabile.

È molto importante per quanto riguarda i consumi culturali perché non bisogna prendere in
considerazione solo il tempo impiegato e il costo per l’acquisto del biglietto, ma anche considerare il
costo dell’intera serata come l’aperitivo, il costo del trasporto e tutto quello a cui rinunciamo nel
momento in cui scegliamo di andare a teatro.

Si può intervenire con una policy attivante. Il nostro gusto dipende da ciò che conosciamo, il nostro
orizzonte culturale come consumatori dipende dall’ammontare delle nostre conoscenze ovvero come
capitale culturale, come somma di conoscenze che noi abbiamo acquisito. In funzione di questo,
maggiore è lo spettro di conoscenza che possiamo avere, maggiori sono le alternative tra cui possiamo
scegliere e che ci sembrano soddisfacenti, per alzare il nostro livello di attività.

Per alzare il nostro livello di spettro possiamo decidere di leggere, guardare film, viaggiare. Queste
opzioni le scegliamo se ci portano dei ritorni nel breve termine.

Il costo di attivazione è il costo che ognuno di noi sostiene per poter acquisire delle competenze.

Spesso la difficoltà ci porta desistere o ad accontentarci di un surrogato a basso costo, un’alternativa


alla scelta principale che ha un accesso più agevole, può avere degli effetti distorsivi molto forte. Se i
contenuti culturali sono molto complessi e quindi le persone decidono di non approcciarli perché
fanno fatica a capirne il contenuto. Allora un produttore culturale può non avere più un motivo per
produrre contenuti alti. Si innesca un rischioso effetto che in economia è definito effetto market
lemon, ovvero della competizione dei prodotti di scarsa qualità fanno a quelli di alta qualità. Laddove
il pubblico non è in grado di distinguere la alta dalla bassa qualità, allora la bassa qualità conquista il
mercato.

Chi produce contenuti culturali viene automaticamente cacciato dal mercato, con il rischio che i
contenuti elevati possano sparire dal mercato per assenza di pubblico. Richiamando il costo di
attivazione come costo per acquisire pubblico. Permettere alle persone di accedere a contenuti elevati
permette anche ai produttori culturali di lavorare. Allora un prodotto che è culturalmente elevato e

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che rischia di essere espulso dal mercato, siccome la maggior parte delle persone non sono in grado
di comprendere. È necessario che ci sia un intervento di politica pubblica per preservarlo.

Aumentare capacità di accesso ai contenuti favorisce quindi non solo i consumatori ma anche i
produttori.

Teoria delle Capabilities


Reazioni diverse a contenuti diversi, accedere a un contenuto alto dà energia rilasciata nel tempo,
accedere a un contenuto basso invece toglie la voglia, quindi l’accesso a contenuti culturali permette
di godere anche di effetti nel tempo, di sazietà, come quella che permette di sopportare la frustrazione
dello studio e arrivare preparati all’esame ottenendo gratificazione e un risultato positivo in generale:
grazie allo sforzo protratto e l’attesa, quindi capacità di esercitare la pazienza. Superando gli ostacoli
si è in grado di fare una distinzione e di scegliere quando accedere a quale tipo culturale (essere nutriti
o semplicemente intervenuti o gratificati, vanno bene entrambi perché si riesce a distinguere e
scegliere).

La teoria delle Capabilities di Amartya Sen, sviluppato successivamente da Martha Naussbaum con
l’approccio delle capabilities e dei funzionamenti.

Teoria delle Capabilities sviluppata negli anni ’70 da un economista indiano e diventando un
importante lavoro nel 1985 Commodities & Capabilities e grazie al quale Sen ha ottenuto il Premio
Nobel per l’economia nel 1999.

Egli ha studiato un contesto diverso da quello al quale si applica la sua teoria, ovvero quello dell’India
rurale negli anni ’70, egli analizzava la condizione femminile e come la loro segregazione impattava
sui tassi di crescita economica del paese, principalmente l’impatto che il lavarsi ha nella crescita
economica, quindi diritti fondamentali della personalità.

Egli voleva capire come fosse possibile che le persone non si ribellassero per questa condizione: si
accorse che le persone non si ribellavano perché non sapevano di poterlo fare. Non essendo
consapevoli dei propri diritti, non si lotterà mai per averli, non hanno la capacità di cambiare la propria
vita.

Capacità di essere (ciò che si desidera essere) e di fare (ciò che è necessario affinché la vita sia
compiuta e degna di essere vissuta) - concetto di capabilities, essere e fare ciò che serve affinché la
nostra vita sia compiuta e degna di essere vissuta, le capacità servono proprio a questo. Capacità di
essere e di fare.

Il funzionamento = combinazioni diverse di capacità, che si possono sviluppare e che permettono di


agire, di funzionare nel contesto in cui ci si trova, combinazione di capacità diverse.

Se le persone non sanno di poter avere una vita migliore, allora non cercheranno di migliorarla e non
raggiungeranno mai lo status di vita decente e degno, come liberarsi da un abbrutimento fisico, sociale
e culturale se non si sa di poterlo fare. Non abbiamo gli strumenti per riconoscere i nostri diritti.

Si sposta questo concetto sul nostro contesto culturale, è privilegiato e quindi abbiamo le parole per
dire e riconoscere le cose, ma si può capire chi invece si trova in una condizione differente e non
privilegiata.

Non sapendo riconoscere tra due prodotti culturali, scelgo il surrogato a basso costo, chi è in grado di
capire la differenza richiede il prodotto in base alle pretese. Il lavoro sull’attivazione, sulla
consapevolezza, conoscenza e capacità è importante soprattutto perché la cultura ha un impatto

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importante sulla società, importante la persona che si diventa, come ci si comporta e le azioni che si
svolgono sono frutto dei contenuti ai quali ci si approccia e del livello di libertà raggiunto. Le azioni
che io compio sono direttamente collegate ai contenuti culturali a cui sono esposta.

Qui sta la forza del prodotto culturale, nell’effetto che ha nella nostra capacità di azione, forme di
cultura che aprono la mente più di altre, dotandoci delle capacità di linguaggio. Per esempio, leggere
è tra le forme di esperienza che migliora la nostra capacità linguistica e il livello di immaginazione, lo
spettro di possibilità che immaginiamo per risolvere problemi che dobbiamo affrontare, capacità di
movimento attraverso pensieri e bisogni, politica culturale abilitante, in grado di alzare il livello di
capacità tra le persone, dare alle persone la possibilità di immaginare ciò che vorrebbero diventa re.

Strumenti sufficienti a dare la possibilità di scegliere, e ciascuno in libertà sceglie, sapendo cosa si sta
facendo e cosa si sta perdendo, consapevolezza di cosa comporta ogni scelta. Affrontare anche la
fatica di essere annoiati, ozio e noia momenti da concedersi. Capacità di immaginare dei bisogni,
diverso dal crearne (marketing che crea bisogni fittizi che non servono a persone che non ne sentono
il bisogno), non necessariamente si deve tradurre in un acquisto, ma di nutrimento che alimenta la
nostra qualità.

Covid = riflessione per chi non si è spostato nel proprio lavoro al digitale, perdita della funzione di
comunicare (palcoscenico) al pubblico e di dare un valore, tempo della chiusura utile per dare il tempo
di cercare qualità e contenuti da portare. Chiedersi quali siano i propri bisogni e degli altri per andare
a costruire valore, Covid periodo che ha portato a pensare a strumenti e modalità di comunicazione
del linguaggio diversi, nuovi problemi da risolvere, elemento utile della fase di stasi è proprio quello
di produrre e trovare nuovi modi di vivere e di concepire le cose che rende liberi, privilegio avere
questi strumenti e identificare i limiti della vita di prima ragionando su cosa vogliamo cambiare e cosa
no, immaginario nella vita pubblica che dovrebbe andare in una valorizzazione, aspetti su cui ci si può
soffermare in un’ottica di comprensione su quale politica possa essere utile per la vita delle persone.

Dinamiche che guidano il modo di agire e scegliere su cui si può intervenire per evitare comportamenti
non corretti.

Daniel Kahneman, scrittura alla base dell’economia comportamentale, filone di studi tra economia e
psicologia che cerca di capire come le persone pensano e agiscono e come questo modo di fare può
avere un impatto in termini economici, cultura che ha un ruolo fondamentale in questo campo.

Richard Thaler e Cass Sunstein, hanno ottenuto un premio Nobel, i libri di divulgazione più diffusi sono
“La spinta gentile” e Misbehaving. Thaler spiega le azioni di policy necessarie a modificare il
comportamento delle persone attraverso induzioni (spinte gentili) senza imporre leggi e violando la
libertà delle persone, come le indicazioni da seguire in uni per le normative Covid (seguire le frecce,
omino, ecc.) perché si vuole rispettare la legge, comportamento morale, e ciò sui cui lavora Thaler =
lo vediamo, occhio cade sulla freccia, arriva al cervello una informazione ed è indotto a farlo o come
le trattenute quando si riceve lo stipendio. Come la cultura, quindi, può avere un impatto forte sulla
capacità di immaginazione e di visione, impatto sull’atteggiamento che abbiamo e come questo
impatta sulle azioni. Background culturale = maggiore senso del dovere pubblico, dimensione di
cambi, sommando diversi aspetti si arriva al peso che la cultura ha sul cambiamento del
comportamento.

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Lezione 14, 21/04/2021

La produzione culturale e le politiche culturali

Nell’ambito delle politiche culturali è importante per l’operatore, agire in un contesto amichevole,
ovvero politiche che non richiedono necessariamente lo spostamento di fondi economici ma che
possono aiutare a creare un contesto.

Le politiche devono dare alle persone gli strumenti per poter scegliere, la politica deve dare alle
imprese, associazioni e istituzioni gli strumenti per operare in un contesto prolifico ma legale.

Parlando di produzione culturale dobbiamo tenere presente: (teoria della produzione culturale)

• Rischio
• Possibilità o meno di sviluppare delle economie di scala o di scopo
• Processi di differenziazione verticale, orizzontale, diagonale ed esternalizzazione.

Elementi che vanno regolati e richiedono intervento di un soggetto esterno al mercato (regolatore,
es. Stato) e che caratterizzano il comportamento dei produttori culturali da quando le industrie si sono
costituite fino ai giorni nostri.

Quando si parla di produzione culturale si fa riferimento alla produzione di un bene che può essere
realizzato attraverso la forma dell’impresa (se riproducibile) o attraverso il lavoro di pochi soggetti
isolati (non riproducibile) o di istituzioni e organizzazioni non profit.

In base al tipo di prodotto, il soggetto che si occupa della produzione può essere in vario modo
efficiente e può usare in modi differenti le risorse che ha a disposizione per realizzare quel bene.

Se si considera il prodotto culturale, si notano i requisiti di efficienza da perseguire per mantenere la


vitalità e sostenibilità sul mercato. → ci si ricollega al concetto di produttività, realizzare un prodotto
risparmiando il più possibile su fattori di produzione o se si hanno dati fattori di produzione ottenere
il migliore risultato possibile usando ciò che si ha.

Quando si parla di prodotto culturale gli input di produzione non sono solo beni materiali ma anche
delle persone, la componente umana è importante e strategica, rilevante nella misura in cui è spesso
la componente che occupa più spazio, parlando di attività col fattore umano che fa la differenza e allo
stesso tempo di riduzione nei costi di produzione per mantenere un certo livello, si va a parlare di
risparmio sul lavoro.

Morbo/malattia dei costi, la legge di Baumol e Bowen

Settori ad economia stagnante, che vedono i costi di produzione crescere ma i profitti e la produttività
crescono in maniera meno proporzionale → allora ci si trova in un contesto in cui i costi salgono e i
profitti restano stabili o decrescono → in un contesto a produttività stagnante, si arriverà ad un
momento in cui i costi supereranno i profitti perché la produttività del lavoro non è in grado, non viene
tradotta dal valore monetario che corrisponde al salario (misura della produttività del lavoro,
contributo che un singolo fattore di produzione o lavoratore dà alla totalità del prodotto finito viene
misurata attraverso il compenso che questo lavoro riceve).

In contesti di produzione culturale questa corrispondenza viene meno, quindi viene meno la legge
economica che permette di dare valore a ogni prodotto, dove il valore viene meno è necessario

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affinché il lavoro abbia una sua sostenibilità, che vi sia una qualche forma di compenso e quindi di
intervento pubblico.

La legge di Baumol giustifica la regolamentazione e l'intervento di politiche pubbliche in ambito


culturale, altrimenti il settore non potrebbe sopravvivere, impossibile che questi settori siano
profittevoli, forma di tutela. In mancanza di un adeguato riconoscimento di valore in un settore non
profit, la selezione dei contenuti viene fatta a livello industriale, produzione di un prodotto di livello
medio, perché di interesse di una maggioranza e non di nicchia come accade spesso per il settore
culturale.

È difficile produrre un prodotto che soddisfi la grande quantità, ma allo stesso tempo si abbandona
l’idea di produzione di qualità perché manca di sostenibilità, lo Stato deve quindi aiutare coloro che
lavorano in settori più di nicchia, ricerca e avanguardia.

Il rischio di impresa nella produzione culturale

In questo ambito si dice che “nobody knows” ovvero nessuno lo sa, infatti, anche se oggi si hanno gli
strumenti per indagare il mercato e i gusti del consumatore e produrre contenuti vari anche a costi
bassi.

È sempre possibile che il prodotto realizzato non piaccia, rischio di fallimento costante nonostante la
conoscenza razionale e ampia del contesto in cui ci si trova.

La dimensione del rischio ha guidato nel tempo il comportamento di operatori economici e culturali e
il tentativo di ridurlo. Nelle realtà organizzative e imprenditoriali medio-piccole, il rischio di
investimento, porta con sé il rischio di fallimento e chiusura, poiché spesso non si hanno risorse
sufficientemente ampie e solide da potersi permettere di fallire periodicamente e crescere
culturalmente (nel fallimento ci sono le informazioni per cambiare e rinnovarsi). → La dimensione del
rischio è così importante che viene considerata anche dal legislatore.

La dimensione del rischio richiama le politiche pubbliche, come sostegno all’avvio di nuove forme di
imprenditorialità (ad es. n Italia le giovani aziende, nel primo anno godono di totale defiscalizzazione
e decontribuzione - politiche friendly- strumento utile ma boomerang che porta ad avere troppa
fiducia nell’impresa al primo anno e lasciare sforniti di risorse, fallimento successivo, non si va incontro
ai tempi fisiologici dell’avvio di un’impresa).

Se un’impresa non è abbastanza solida da un punto di vista finanziario per gestire dei rischi, potrebbe
adottare dei comportamenti per limitare o evitare che ciò avvenga, ad esempio associandosi ad altre
imprese, adottare un comportamento prudente, esternalizzare la produzione all’inizio per alleggerire
la struttura dei costi, lavorare su progetti non molto dispendiosi, cercare finanziatori (rischioso più
difficile che investano in realtà nuove - meccanismo di evitare il rischio e investire in qualcosa di sicuro,
con una storia, che crea omogeneità nel linguaggio e chiude possibilità ai “giovani”, mancanza di
fiducia storica e culturale e mancanza di una vera struttura di sostegno su innovazione e ricerca,
esternalizzata ma se ne occupa solo lo stato).

Stati dove c’è più fiducia nel nuovo, più capacità di intercettare nuovi linguaggi, mancanza che
potrebbe essere data dal bagaglio storico in Italia, mancanza di fiducia nel futuro e progettuale.

Christian Caliandro, storico dell’arte, analizza nei suoi libri “Italian reloaded; Italian revolution; Italian
evolution” l'incapacità di avere una visione come nostalgia verso il passato, legame verso la
conservazione piuttosto che verso la creazione di qualcosa di nuovo, scarsa propensione al rischio.
Quindi spesso di ricerca si occupano associazioni e organizzazioni non profit, ma in questo modo viene

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poco sostenuta e porta a una spirale di sottofinanziamento che destina alla povertà continua e a non
essere innovativi.

I processi di differenziazione

Differenziazione diagonale che porta a usare economie di scopo (di risparmio e quindi riduzione del
rischio che si hanno quando si può usare un prodotto su più comparti, qui invece ci si apre
all’innovazione quindi più rischioso) e non di scala (vantaggi in termini di costo quando si producono
più copie di un prodotto, rischio ridotto al minimo).

• Differenziazione verticale = integrare in una stessa catena di produzione tutte le diverse fasi
del processo produttivo, un proprietario gestisce tutte le fasi da creazione a vendita (tutta la
catena di produzione sotto una proprietà), osteggiata dalle forme di anti trust perché
contraria ai principi di libera concorrenza e della libertà di scelta del consumatore di accedere
a contenuti diversificati.
• Differenziazione orizzontale = fasi processo distribuite tra imprese o paesi diversi, divisione
di alcune funzioni tra imprese e anche geograficamente.
• Differenziazione diagonale = si approfitta di economie di scopo che si realizzano grazie ad un
prodotto e che permettono di usare un contenuto su più mercati diversi.

Le economie di scala in ambito culturale

Forme di mercato, richiedono intervento pubblico, quando l’organizzazione del mercato si allontana
dal mercato “perfetto” si parla di fallimento del mercato, quindi si richiede intervento di un soggetto
esterno, fallimento quando si verificano organizzazioni come il monopolio, oligopolio.

Nell’ambito culturale le produzioni necessitano di raggiungere economie di scala per essere sostenibili
e quindi con costo di avvio, accesso e sviluppo dei prodotti molto alti, in tal caso sono poche le imprese
ad essere disposte a sostenere i costi e soprattutto ad essere in grado di sostenerli.

Il sistema si organizza in oligopoli, forma di organizzazione del mercato più funzionale a questo tipo
di produzione, pochi grandi gruppi che controllano la produzione.

Il rischio è:

- l’omogeneità
- prezzi sfavorevoli per il consumatore
- limitazione nella scelta
- poca competizione e assenza di ricambio di prodotto o incentivo a rinnovare

Quindi si parla di fallimento del mercato, siccome questo non si autoregola, non è giusto e non è
equo, viene dunque regolato da normative europee o mondiali. È però necessario creare grandi
imprese per gestire la sostenibilità della produzione di un prodotto culturale.

La grande impresa però porta ad alti costi di gestione e problematiche legate alla relazione tra
prosperità e controllo. In qualche modo il contenuto culturale può essere considerato come generato
in un regime di monopolio perché ognuno è diverso dall’altro, anche se sono in competizione ognuno
ha le sue caratteristiche e cresce la complessità, monopolio assoluto per chi lo produce. Aspetto molto
criticato dagli economisti contrari all’intervento pubblico nel settore delle arti, questi non considerano
giusto aiutare un soggetto che è in grado di esercitare una posizione di monopolio e quindi di fare e
che ha come unico limite la funzione di domanda, ovvero di doversi trovare dei clienti, compratori e

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spettatori, quindi il dibattito tra chi lascerebbe il settore in mano a sé stesso e altri che tenderebbero
a una maggiore tutela.

I mercati con barriere all’entrata, ovvero elementi che rappresentano voci di costo che non possono
essere recuperati durante le fasi operative, costi non recuperabili. Sono quindi disincentivi ad entrare
in un mercato dove le persone che vi operano hanno già degli asset che li difendono dalla
competizione (come il copyright o il diritto d’autore, ad esempio per fare un film con una colonna
sonora). Regolazione è necessaria per la tutela del consumatore, gestione privata di pochi può portare
infatti a comportamenti di abuso della posizione e asimmetrie informative che rappresentano un’altra
forma di fallimento del mercato.

Le esternalità e i beni pubblici

La gestione dei beni pubblici non può essere lasciata in mano a privati perché la produzione non
sarebbe socialmente ottimale.

Parlando di esternalità dobbiamo valutare:

➢ Esternalità negative:

Parliamo di esternalità negative quando un meccanismo di produzione o scambio di mercato genera


effetti che vanno a modificare le scelte di consumatori o produttori esterni al processo in oggetto,
andando a cagionare dei costi, (es. rumore vita notturna può infastidirmi o inquinamento e devo
mettere dei doppi vetri) sono costretto a sostenere costi che altrimenti non sosterrei perché non
riguarda me ma qualcun altro, il mio operato d’impresa genera effetti negativi che ricadono su altri.

Se l’impresa dovesse farsi carico dei costi che genera, sia del processo di produzione sia di ciò che
causa, dovrebbe produrre in modo differente: il prezzo di un prodotto si definisce per i costi di
produzione e la tecnologia che a disposizione dell’impresa, quindi considerando solo il meccanismo
interno. Se dovesse farsi carico di quelli esterni la sua funzione di costo sarebbe molto maggiore (CI +
CE), prima il costo totale era CI = CT, ora è molto maggiore CT = CI + CE>CI.

Quindi produrrebbe meno controllando di più i costi variabili (associati alla quantità di prodotto che
si genera). Se si pagano correttamente i fattori perché chiamati a farlo, i costi sono più alti e di
conseguenza il prezzo a cui devo vendere i prodotti. Esternalità se negativa richiede l’intervento del
pubblico in forme diverse, qualcuno che costringa le imprese a farsi carico dei costi che generano
perché l’impresa evita di spendere costi ulteriori. Necessario soggetto che agisca a monte e spinga
gli operatori ad evitare di cagionare costi elevati modificando i processi produttivi per avere un
impatto meno grave. [Esempio dell’eternit a Bologna]

➢ Esternalità positive:

Meritorietà del bene culturale, porta l’idea che questi prodotti facciano bene e quindi generino effetti
sulla vita delle persone che sono positivi (es. ascoltare la musica rende più felici ma se i vicini la
ascoltano ad alto volume dà fastidio → prodotto culturale come esternalità positiva e negativa).

Esistenza di effetti positivi nel presente e nel futuro delle attività culturali fa sì che queste richiedano
anche in funzione del loro generare benefici esterni l’intervento di un regolatore, da garantire anche
alle generazioni future (presente e futuro). Beneficio esterno non valutabile da un punto di vista
monetario, a volte esternalità negativa è invece quantificabile, es. danno di Notre Dame che va a
fuoco, costo assicurazione e ha ricostruito, si presume che il valore dell’esistenza e perdita di Notre
Dame sia correttamente attribuito, perdita di una forma di patrimonio unica, irripetibile e universale.

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Misura di cosa vuol dire il valore per le generazioni a venire del patrimonio storico e architettonico,
necessaria conservazione e valore esternalità positive, non possibile dare un valore monetario. Costo
opportunità da valutare in vecchio vs nuovo, il nuovo porterà lo stesso beneficio del vecchio nel senso
di identità della collettività e che permettono produzione continua di contenuto culturale.

Economia pubblica

Aiuta a capire il modo in cui si prendono le decisioni collettive, cosa non funziona e valutare la
sostenibilità di un intervento pubblico in ambito culturale, la fattibilità e il senso, anche la complessità
di una decisione pubblica collettiva, problema dell’impatto sociale, effetto sulle persone che genera
comportamenti non prevedibile e che sono quelli che sono il fattore strategico nel fallimento e
successo di una politica, comportamento dei singoli sommati porta ad avere reazioni collettive che
influenzano le politiche culturali.
Lezione 15, 27/04/2021
Analisi razionale delle politiche pubbliche, riferimenti teorici e metodologici, il ruolo dell’economia

Esistono delle problematiche in rifermento alla funzione e la vocazione della policy pubblica, è difficile
trovare una soluzione collettiva. Quando si deve prendere una decisone collettivamente ma che ha
anche un impatto su soggetti molto diversi, una soluzione che soddisfi tutti non è possibile. Questa si
chiama scelta di first best. Non è mai possibile fare una scelta che soddisfi tutti, ogni decisone ha
sempre un impatto, ma differente in base alle categorie prese in considerazione.

Il criterio in base al quale si sceglie è la filosofia e la sociologia → la teoria della giustizia sociale

Il ruolo dell’economia

• L’ottimo paretiano
• L’efficienza del mercato Due strade
• I fallimenti del mercato

1. La funzione del benessere sociale

"Una funzione del benessere sociale rappresenta il benessere dell'intera società come funzione delle
utilità degli individui, così come la funzione di utilità rappresenta il benessere di un individuo come
funzione delle quantità di beni che consuma" (D. Friedman, 1999, p. 6)

La funzione di utilità descrive il livello di soddisfazione che noi possiamo trarre dal consumo di un
determinato bene, e dal modo in cui combiniamo i beni. Quindi una somma di funzioni di benessere
sociale. (non prende in considerazione i concetti di equità e giustizia)

→ L’analisi razionale delle politiche: può contribuire a individuare la funzione del benessere sociale,
(deduttiva-prescrittiva)

2. La scelta pubblica

La pretesa di pervenire a una definizione oggettiva del benessere sociale è infondata, quando non
c’è unanimità. Le politiche pubbliche ‘buone’ sono quelle adottate entro un processo politico con
poche distorsioni.

→ Teorie della scelta pubblica: spiega le distorsioni delle scelte pubbliche (deduttiva-descrittiva)

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LA SCELTA PUBBLICA
Le teorie della scelta pubblica estendono gli strumenti analitici dell'economia alle decisioni non di
mercato (Mueller, 1989).

L'obiettivo è studiare l'interazione tra attori razionali in contesti quali i parlamenti, le elezioni, le
amministrazioni.

Zona di intersezione tra scienze economiche e scienze politiche.

Concetto di scelta:

- nessun pasto è gratis = per ogni scelta che facciamo, dobbiamo sostenere dei costi anche per
scelte non monetarie (costo-opportunità)
- gli individui hanno la capacità di valutare le alternative che hanno davanti e di stabilire delle
priorità. (è il contributo dell’economia)

Concetto di pubblico:

- Gli effetti delle decisioni pubbliche ricadono anche su quanti non le condividono o non
partecipano alla scelta, perché esclusi o autoesclusi.

Teorie deduttive (o economiche, o razionali, o assiomatiche, o formali) della scelta pubblica (o sociale,
o collettiva)

Quale razionalità in una scelta razionale?


1) L’individualismo metodologico/assiologico

“Quando adotto l’individualismo metodologico, presuppongo che gli individui siano le unità analitiche
di base per fare teoria politica. Si inizia considerando alcune caratteristiche essenziali degli esseri
umani. Sono gli individui che percepiscono, pensano, valutano, scelgono e agiscono. Le organizzazioni
non sono altro che aggregazioni di individui per realizzare qualche vantaggio congiunto o qualche
bene collettivo” (V. Ostrom, 1977)

• L'attribuzione della facoltà di scelta a organismi collettivi, quali il parlamento, o il governo, o


l'elettorato, è una metafora approssimativa e fuorviante, perché occulta la radicale differenza
che esiste tra il decidere da soli e il decidere in tanti.

• Attenzione: questa impostazione non comporta l'idea che le persone agiscano ignorando
l'esistenza degli altri.

• Individualismo psicologico: la singola persona ignora gli altri e le loro preferenze

• Individualismo metodologico: la singola persona non può non tener conto degli altri e delle
loro preferenze. Ma valuta le loro posizioni alla luce delle proprie preferenze.

2) Il concetto di preferenza

L'individualismo metodologico identifica gli attori in base alle preferenze che manifestano. Perché un
attore sia considerato razionale, occorre che le sue preferenze rispettino due elementari criteri:

➢ Le preferenze devono esistere. Davanti a due alternative, x e y, un individuo deve essere in


grado di riconoscersi in una di queste tre condizioni:

preferire x a y (x>y) preferire y a x (x<Y) essere indifferente tra x e y (x=y)

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In altre parole, l'individuo razionale deve essere capace di dare un ordine alle sue preferenze circa
tutte le situazioni che gli si possono presentare davanti

➢ L'ordine delle preferenze deve rispettare la proprietà transitiva.

analisi razionale public choice

Due idee di è razionale la scelta con il miglior è razionale la scelta che rispetta la proprietà transitiva
razionalità rapporto costi/benefici (costo
opportunità)

Possibili equivoci

1. Autointeresse non è egoismo.

Il comandamento 'ama il prossimo tuo come te stesso' di per sé non entra direttamente in rotta di
collisione con il postulato dell'autointeresse.

L'individualismo metodologico non ci dice nulla circa i contenuti delle preferenze; non ci suggerisce
che cosa sia razionale scegliere.

È assolutamente compatibile con la teoria dell’attore razionale preferire

- l’adozione a distanza di un bambino povero al nuovo cellulare per il proprio figlio

- il nuovo cellulare per il proprio figlio al nuovo cellulare per sé stessi se davvero si
preferisce

- l’adozione a distanza di un bambino povero al nuovo cellulare per sé stessi

2. Questo concetto di razionalità non presuppone un’informazione perfetta.

Anzi, acquisire le informazioni ha dei costi, che non sempre vale la pena pagare. Talvolta, l’ignoranza
è razionale. Se devo comperare una penna biro, non è razionale che stia due ore su internet per
cercare quella con il migliore value for money.

(Se invece sono un’impresa o un ente pubblico che ne deve acquistarne 10.000, allora la ricerca è
razionale)

Il problema della eccessiva semplificazione

Nonostante queste precisazioni, quando si passa dalla gente in coda al supermercato, ai politici in
coda per un posto in parlamento, i presupposti della public choice appaiono a molti come devastanti.

Accusa: una semplificazione

- troppo brusca

- troppo irrealistica

Difesa: tutti i modelli sono brutali semplificazioni:

Il giudizio sul loro maggiore o minore realismo ha senso solo con riferimento a ciò che i modelli
riescono a spiegare, predire o, almeno, monitorare.

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Quando invece i modelli non funzionano, possono avere comunque una loro utilità, perché
consentono la scoperta di nuovi elementi capaci di migliorare il loro potere predittivo.

Il contributo della public choice diventa prezioso nella fase di formulazione delle ipotesi.

Due teorie economiche del governo

Analisi razionale Public choice

idea di Compito delle istituzioni pubbliche è Lo stato, il governo, le istituzioni pubbliche non sono meccanismi
governo correggere i fallimenti del mercato: automatici capaci di emettere, come per magia, il livello ottimale
monopoli, esternalità, beni pubblici, o di beni pubblici o di regolazione. Perché ci siano degli outcomes,
allocazioni chiaramente inique. occorre che gruppi di cittadini, elettori, politici, funzionari
pubblici, magistrati, agiscano in modo coordinato per
Attraverso le politiche regolative e
raggiungere questo obiettivo.
distributive, una collettività può perseguire
equilibri più efficienti di quelli cui pervengono Quali garanzie esistono che quegli stessi individui, che nel
gli attori economici in base alle sole logiche mercato si comportano da free riders, e scelgono all'insegna
di massimizzazione dell'utilità individuale. dell'autointeresse, nell'arena politica diventino devoti e
disinteressati promotori del bene pubblico?

Critica all’AR, che concepisce il governo come un attore esogeno,


unitario e benevolo. Invece, “le persone vanno trattate come
massimizzatrici razionali delle loro utilità in tutti i ruoli che
svolgono" (Buchanan, 1978)

Due teorie economiche del governo


Buchanan (1966):“non esiste una 'funzione del benessere sociale', né un 'interesse pubblico in una
società di individui liberi di scegliere, e non si vede la ragione di inventare tali concetti per convenienza
analitica (…). L’efficienza non può essere definita indipendentemente dal calcolo di scelta del singolo
cittadino come partecipante al processo politico”

non ci sono scorciatoie tecnocratiche per risolvere i conflitti d’interesse che contrappongono gli
individui

Scegliere con altri e per altri

Decidere ciascuno per sé è molto diverso dal decidere tutti insieme. Quando si decide insieme, può
venire meno la coerenza:

▪ Le procedure di voto possono generare paradossi che complicano grandemente


l'interpretazione di quello che un gruppo davvero vuole.

▪ quella che – con l’applicazione di certe regole – sembra la 'volontà popolare‘ può essere
smentita con l’applicazione di regole anche solo un po’ diverse.

▪ Il 'corpo' elettorale’ non ha un'unica testa.

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Si creano delle distorsioni nel processo decisionale. Quando non è possibile perseguire il bene, si
persegue il meno peggio (second best). Quando si persegue il meno peggio che fine ha fatto il criterio
delle preferenze individuali? Ci possono essere dei fenomeni esterni alla volontà collettiva che
impediscono di perseguire dei desideri.

Scegliere con altri e per altri è complicato

In Svizzera, se il 30% degli elettori vota a un referendum, e il 50%+1 di loro chiede l’abrogazione di
una norma, l’abrogazione è considerata la volontà popolare.

In Italia, se il 49% degli elettori vota a un referendum, e il 100% di loro chiede l’abrogazione di una
norma, è considerata volontà popolare la conferma della norma.

Se, per una serata fuori casa preferisco andare a teatro all’andare al cinema, e l’andare al cinema
all’andare al pub, se a teatro non trovo posto, vado al cinema.

Se un gruppo di amici fa una votazione tra le stesse tre alternative, e la maggioranza preferisce andare
a teatro, mentre alcuni preferiscono il cinema, e solo pochi preferiscono il pub, se a teatro non trovano
posto, può succedere che decidano di andare al pub, se il pub era la seconda preferenza di chi ha
indicato il teatro come prima preferenza.

Un nuovo interrogativo di ricerca

Che fine fanno le preferenze individuali quando entrano nel frullatore delle scelte politiche, governate
da regole fissate da altri?

LA SCELTA PUBBLICA → L’AFFERMAZIONE DEL PARADIGMA


Stati Uniti: radici lontane

Madison: "Se gli uomini fossero angeli, non ci sarebbe bisogno dei governi. Se fossero gli angeli a
governare gli uomini, non ci sarebbe bisogno di controlli esterni o interni sui governi" → è il
comportamento umano che deve essere regolato, perché l’individuo è debole e fallace. Il fallimento
del mercato e delle organizzazioni, non è che un naturale esito del fallimento degli individui perché
imperfetti.

Tocqueville: La democrazia in America, 1835: “L’individualismo è una parola recente, nata da un’idea
nuova. I nostri padri conoscevano solo l’egoismo: l’amore sfrenato di sé, che porta l’uomo a
ricondurre ogni cosa a sé medesimo e a preferirsi a tutti. L’individualismo è un sentimento
consapevole e pacifico, che dispone ogni cittadino a isolarsi dalla massa dei suoi simili e a tenersene
a distanza con la propria famiglia e i propri amici. L’egoismo è un vizio antico quanto il mondo, ma
l’individualismo è d’origine democratica e si sviluppa a misura che le condizioni si eguagliano”.

Il perseguire, nel rispetto dell’altro, il proprio interesse porta ad allontanarsi e isolarsi, per esercitare
un autointeresse e per non danneggiare altri.

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Fanno riferimento all’approccio utilitarista, all’idea in base al quale la società è una somma di individui.
Il loro approccio è stato oggetto delle politiche di Regan e Margaret Tacher, che erano fortemente
deregolative e orientate l’impresa individuale, liberare la società da una regolamentazione pubblica
perché considerata inefficiente. Prevale l’idea che i fallimenti del governo cui si può arrivare in una
società regolamentata, sono peggiori dei danni creati per correggerli.

Riferimenti teorici e metodologici


1. La ricerca di rendite

- George Stigler (1971) e la scuola di Chicago


- Gordon Tullock (1967) e una parte della scuola di Virginia
- Mancur Olson (1965) e l'università del Maryland.

Assunti comuni:

- L'arena politica è popolata da attori che hanno come principale obiettivo la massimizzazione
del loro interesse personale, esattamente come avviene nel mercato.

- Le politiche pubbliche sono la merce di scambio con cui i governanti acquisiscono il consenso
dei governati e dispongono di una parte del loro reddito, attraverso il prelievo fiscale.

- Gli elettori-contribuenti stanno al gioco, votando e pagando le tasse, perché sono interessati
al prodotto dei governi in termini di outcomes.

La ricerca di rendite (Assunti comuni):

Ma, a differenza di quanto avviene nel mercato, nell'arena politica il punto di equilibrio efficiente tra
domanda di politiche pubbliche, da parte dei cittadini comuni, e offerta, da parte dei governanti,
rischia di essere sistematicamente inefficiente in senso paretiano.

Le decisioni pubbliche aprono enormi opportunità per trasferimenti di risorse dalla vasta platea della
popolazione a ristrette categorie di beneficiari, siano questi i politici, i burocrati, o i gruppi d'interesse,
tutti pronti ad approfittare di queste ghiotte occasioni per massimizzare le loro personali utilità.

I cittadini, che vedono nell'arena politica la via per rimediare ai fallimenti del mercato, rischiano di
cadere dalla padella alla brace, perché incorrono nei fallimenti della politica, in molti casi ancora più
inefficienti e iniqui dei primi.

Nell'arena politica gli interessi intensi e concentrati godono di un sistematico vantaggio rispetto a
quelli diffusi. Le democrazie, instaurate per garantire l'affermazione delle preferenze dei molti
rispetto a quelle dei pochi, devono continuamente fare i conti con l'ineliminabile tendenza a produrre
l'effetto opposto.

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1. a Le politiche dal lato dell'offerta

Downs (1957), Stigler (1971 e 1975), Tullock (1970):

• i politici tendono ad accantonare le loro spontanee preferenze circa le varie opzioni di policy,
per promuovere invece le scelte che garantiscono il massimo rendimento in termini di voti,
più o meno come un produttore cinematografico guarda al botteghino, e non ai suoi gusti
personali, quando deve decidere quali film finanziare.

Nel momento in cui rappresentiamo una comunità abbandoniamo le nostre preferenze individuali per
perseguire il massimo rendimento in termini di voti ma anche di massimo rendimento nel portare
avanti delle istanze.

• i legislatori sono in grado di cogliere la differenza che esiste tra dividere la torta in poche fette
grandi e dividerla in molte fette piccole. Nel primo caso, si creano degli affezionati clienti; nel
secondo, solo dei distratti fruitori.

• Ceteris paribus, i legislatori tendono a comportarsi come Robin Hood alla rovescia: togliere ai
poveri per dare ai ricchi: "I piccoli aumenti delle imposte a favore dei molti non sono in grado
di spingere questi elettori a pagare i costi, per loro relativamente elevati, in termini di
opportunità perse, di informazione e di organizzazione, ma necessari per approfondire la
situazione, arrivare a un accordo, coordinare il loro numeroso gruppo, in modo da sostenere
la proposta. Invece, le misure che forniscono sconti fiscali ai pochi possono dare a questi
elettori grandi vantaggi a costi inferiori, offrendo forti incentivi perché si mobilitino e
organizzino il loro sostegno, senza per altro comportare, per i molti, aumenti delle imposte
ingenti o, meglio, visibili” (Miner e Chalice, 1978)

Spostare le decisioni che riguardano i beni pubblici dal mercato all'arena politica di per sé non le
protegge dalle asimmetrie provocate dal fenomeno del free rider.

Nel meccanismo di raccolta e di redistribuzione vi è un principio di ingiustizia, ma c’è anche una


dimensione di elitismo. (meglio togliere a pochi che dare a molti →utilitaristico)

Lezione 16, 28/04/2021


1. b Una nuova teoria dei gruppi d’interesse

Teoria politologica ampiamente usata anche nell’ambito dell’economia del benessere per capire in
che modo si possa orientare una policy pubblica.

Olson (1965): le rendite dal lato della domanda

Le organizzazioni che si battono per interessi molto diffusi devono fare i conti con la razionalità del
free riding (fenomeno legato in minima parte alla cattiva fede degli individui e in maggiore parte a un
comportamento auto interessato che può condurre a esiti non ottimali e, laddove non vi sia la
possibilità di esclusione e rivalità, è possibile che non ci sia nessuna forma di controllo).

Def: free rider: Agente economico che attua un comportamento opportunistico finalizzato a fruire
pienamente di un bene (o servizio) prodotto collettivamente, senza contribuire in maniera efficiente
alla sua costituzione.

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Strategie del comportamento opportunistico. Tale comportamento, definito f. r. o ‘parassitismo’,


viene osservato, sia in presenza di beni pubblici sia in presenza di beni prodotti in team. In entrambi i
casi gli individui attuano strategie volte a conseguire un vantaggio privato, risparmiando sul proprio
contributo alla produzione del bene, e cercando di avvantaggiarsi dell’apporto fornito dagli altri
membri.

• Il successo dell'azione collettiva diventa un bene pubblico.

Le defezioni sono assolutamente razionali dal punto di vista del singolo attore. Se molti altri
si mobilitano per difendere un bene pubblico, il singolo potrà godere degli effetti positivi
della mobilitazione senza pagarne i costi in termini di impegno, sostegno alle organizzazioni, ecc.

Se pochi altri si mobilitano, la battaglia è perduta, anche con l’aggiunta della partecipazione di un
singolo individuo. Questo giustifica momenti che nella lettura sociologica vengono affrontati e hanno
a che fare con la vasta critica; non è chiaro cosa voglia dire esercitare come gruppo una forma di forza
né quale sia la misura giusta per essere un gruppo adeguatamente rappresentativo, è normale nei
gruppi che alcuni abbandonino la causa o invece che la sposino successivamente.

Come nel caso dell'inquinamento ambientale, l'effetto di tante decisioni individuali razionali si rivela
un male pubblico → svuota l'incisività dell'azione collettiva e condanna i molti ad essere
sistematicamente sottorappresentati. Ogni gruppo che porta avanti i suoi interessi in maniera piccola
concentrandosi sull’interesse della categoria.

Ad esempio, i settori culturali sono particolarmente divisi, chi si occupa di cultura fa fatica a sentirsi
parte di un contesto, come le istanze sul lavoro nell’ambito culturale che hanno a che fare con forme
di lavoro occasionale e dovrebbero rientrare all’interno di una tutela più alta, il settarismo che
emerge. In conseguenza dell’ultima legge del 2014 governo Franceschini 1 si tende a categorizzare in
maniera specifica certi settori, più dettagliato è il comma della legge, più è facile che si annidi una
forma di tutela particolare ed è più difficile gestire l’interesse collettivo e trovare intervento di politica
pubblica che lo persegua, l’incisività si ottiene solo quando il gruppo di interesse è influente ma anche
numericamente importante.

I gruppi molto ampi da rappresentare hanno anche costi elevati di transazione, legati al modo in cui
vanno gestite le relazioni, come far andare d’accordo le persone.

Questo paradosso non colpisce i gruppi con interessi molto concentrati, che hanno bassi costi
(monetari e no, legati a trasmissione di conoscenza, di transizione) per ‘fare cartello‘ e promuovere i
loro interessi comuni, quindi accordarsi può aumentare la densità del gruppo: v. compagnie petrolifere
e prezzo della benzina, case farmaceutiche e prezzo dei farmaci, compagnie telefoniche e costi degli
abbonamenti.

Dove c’è più coesione, i passaggi da un soggetto all’altro sono meno rapidi e ampi, quindi meno
costosi; dove bisogna persuadere persone a opportunità di convergere verso interessi comuni si
perdono tempo e soldi, criterio del costo opportunità, potrei fare qualcosa meglio con un esito più
interessante rispetto al rappresentare una categoria eterogenea? Riflessione che si fa calcolando
opportunità di aderire ad un gruppo: laddove prevalgono interessi individuali o di piccoli gruppi
rispetto a quelli della collettività, è possibile che aumentino i costi legati a rappresentazione e
relazione, quindi si abbassa la possibilità che le persone trovino interessante accordarsi su un tema
comune.

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Capacità di portare avanti delle istanze: riuscire a scendere a compromessi con la controparte, quando
certi gruppi portano avanti il loro interesse possibile che il risultato che si ottiene non sia un bene
pubblico ma un male, qualcosa che avvantaggia pochi a discapito di molti.

Per i soggetti che vogliono essere rappresentati può essere sensato mettersi d'accordo, ma il
legislatore combatte contro questa tipologia di accordi perché considerati concorrenziali e dannosi nei
confronti del consumatore.

Hanno riguardato il settore culturale con un grosso anticipo rispetto agli altri settori, le prime cinque
società di produzione americane erano dette Trust, e sono le cinque che producono ancora oggi. Nel
momento in cui il settore ha iniziato ad essere produttivo, la Warner, Universal, ecc. si accordarono
per dividersi gli spazi e rappresentare le loro produzioni: accordarsi per occupare tutti gli spazi
impedisce a nuovi entranti di entrare nel settore e minimizza interesse del consumatore, ovvero di
avere un numero eterogeneo di prodotti culturali ad un prezzo basso (controllare tutta la catena,
approvvigionamento, spazi disponibili, contenuti e prezzi).

Il legislatore nel 1935 stabilisce una prima normativa Anti Trust poiché anticoncorrenziale e contrario
alla libertà del consumatore. Ogni 10 anni la legislazione si è modificata per inseguire l'abilità del
settore industriale che cercava di aggirarle.

L’Italia ha preso due multe per leggi che non si adeguano alle normative:

→ 5 marzo 2014 Antitrust: 180 mln di multa a Roche e Novartis

(ANSA) - ROMA (MF-DJ)--L'Antitrust ha deliberato che i gruppi Roche e Novartis hanno posto in essere
un'intesa restrittiva della concorrenza, contraria al diritto antitrust comunitario, nel mercato dei
farmaci per la cura di gravi patologie vascolari della vista, sanzionando i due gruppi con oltre 180
milioni di euro.

Conclusione

L'analisi razionale porta alla conclusione opposta a quella derivante dalla teoria pluralista: nell'azione
collettiva, il numero è un handicap, perché il fatto di essere in tanti indebolisce, anziché rafforzare, la
motivazione a far valere le proprie ragioni (la teoria politologica spiega che bisogna raggiungere una
massa critica, idea di azione collettiva; la teoria che deriva dall’azione razionale e scienza economica
invece spiega che più la massa è ampia più si disperde perché le istanze sono tante e aumentano i
costi, troppo costoso mettere d’accordo le persone, necessario aggregarsi e fare cartello) due punti di
vista ragionevoli ed adottabili, utile capire in quale contesto ha più senso quale concetto.

1.c Le politiche discriminatorie

Per far approvare un provvedimento, è sufficiente la metà più uno dei votanti,
verificata direttamente, nel caso di un referendum, o indirettamente, attraverso il voto
dei rappresentanti eletti.

Ma per finanziare quello stesso provvedimento è obbligatorio il concorso di tutti, perché non è
possibile sottrarsi al pagamento delle imposte, anche se non se ne condivide l'utilizzo. Dunque, le
politiche preferite dai vincitori sono prodotte anche con le tasse dei vinti, mentre nelle transazioni
di mercato ciascuno paga solo per i beni che ha scelto.

Nelle scelte pubbliche, per le minoranze non esiste la possibilità di 'chiamarsi fuori‘.

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Ricorrendo a strategie di collusione, una risicata maggioranza di beneficiari può


ottenere l’approvazione di provvedimenti che impongono i costi delle scelte da essi preferite a
tutta la platea degli elettori-contribuenti.

Olson sottolinea come la scelta collettiva porti a questo tipo di effetto ulteriore, non solo i gruppi di
interesse sono un male ma l’esito, ovvero le norme sull'approvazione delle leggi che richiedono vi sia
solo una maggioranza di voto: 50 + 1, più piccolo è il gruppo di soggetto di voto più ristretto è il numero
di persone che ha la possibilità di decidere, quindi questi decidono anche per chi non ha votato, chi
non ha voluto, chi non ha rappresentatività, devono subire le scelte degli altri, costi delle scelte
ricadono anche su chi non sceglie. L’essere numerosi ha un aspetto positivo: più si è a rappresentare
e votare, più aumenta la possibilità che il risultato finale sia realmente rappresentativo della volontà
della maggior parte delle persone. 51% vs 49%, maggioranza risicata, quindi chi ha perso dovrà vivere
secondo queste regole e costi nonostante la manifestazione di un interesse differente. Minore è il
numero di persone che esercitano il voto, minore è il numero di persone che esprimerà la sua opinione
e quindi il numero di persone che sopporteranno o pagheranno i costi di scelte fatti da altri.
Importante anche dalla parte del decisore, minore sono le persone che decidono, più è possibile che
si mettano d’accordo e portino avanti istanze non generali ma che rispecchiano determinati gruppi di
interesse. Più sono le persone che decidono più sono le possibilità che vengano costruiti beni pubblici
e coperti interessi generali, il dibattito dovrebbe considerare la numerosità come capacità di
rappresentazione. Più persone si rappresentano più potere si può esercitare.

Un esempio: decisione circa la costruzione di un ponte in tre situazioni di scelta diverse

collettività: tre diversi villaggi, A, B, C votanti: 3 diversi cittadini in tutti e tre i casi

costi: sempre 5.000 a testa per ciascuno dei tre cittadini (tot = 15.000) benefici: diversi nelle tre
diverse situazioni.

Benefici (in €)

benefici Villaggio A Villaggio B Villaggio C

Cittadino riga 1 10.000 2.500 6.000

Cittadino riga 2 7.500 3.750 6.000

Cittadino riga 3 2.500 3.750 50

Totale benefici 20.000 10.000 12.050

approvazione sì no sì

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Efficienza Decisione corretta Decisione corretta Decisione


della scelta (benefici/costi) (20.000/15.000) (10.000/15.000) non corretta
(12.050/15.000)

→ dittatura della maggioranza (esempio numerico che spiega questo concetto, con decisioni prese
collettivamente possano portare a esiti che a fine processo non portano avanti gli interessi generali)

2. Le teorie della scelta sociale


Teoria che permette di capire il passaggio dalle scelte individuali a quelle sociali non è ovvio e scontato.

Risalire a che cosa davvero vuole una collettività, quando non si esprime all'unanimità, è
molto complicato

Il fatto di poter vedere solo il risultato dell'aggregazione, sulla base delle regole in vigore in quel dato
momento per quella data decisione, è il problema fondamentale della scelta sociale.

"Molta gente pensa che votare ci dica 'la preferenza del gruppo' (..). Ma i gruppi non preferiscono
nulla. Non sono esseri umani. Il fatto che parliamo di 'volontà popolare' non vuol dire che la 'volontà
popolare' esista. La scelta di un gruppo sicuramente non è indipendente dal processo con il quale è
fatta la scelta. Dunque, non c'è proprio alcuna 'vera' preferenza di un gruppo” (Riker, 1986)

Dunque, gli elementi della scelta sociale non sono due:

• le alternative in gioco

• le preferenze dei singoli com'è per le scelte individuali,

ma sono tre, per l'inevitabile presenza di un altro scomodo fattore: le regole di aggregazione e delle
preferenze individuali.

Egli sottolinea maggiormente la semplice questione di cosa vuol dire aggregare le preferenze: la
comunità come somma di preferenze di individui che può dare qualcosa di diverso, per scelta collettiva
necessario conoscere alternative rilevanti in gioco quindi essere in grado di estrarre razionalmente tra
la montagna di informazioni quelle davvero utili ed essere in grado di elaborare ordine di preferenze
a livello individuale, dopo l’analisi riuscire ad esprimere cosa si preferisce e le regole di aggregazione
delle preferenze: in che modo questo processo individuale verrà sommato a quello di altri per portare
a un risultato finale.

Le teorie della scelta sociale (all’interno del filone vi sono diversi tipi di teorie e teoremi da
dimostrare)

1. Il teorema dell'impossibilità
Le regole sono un fattore scomodo perché non sempre riescono a garantire l'approdo a scelte sociali
coerenti, cioè rispettose della proprietà transitiva.

cfr. le maggioranze cicliche, il più noto tra i paradossi del voto, chiamato 'paradosso di Condorcet’.
Elementi che mostrano come il volere collettivo possa essere controintuitivo ma anche non transitivo.

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tre individui, A,B,C, tre alternative, x, y, z.

Individui che riescono a ordinare le loro preferenze.

Se si riesce a guardare le nostre aspettative esercitando la proprietà transitiva, X dovrebbe essere


preferito a Z, perché X è preferito a Y e Y è preferito a Z per la maggior parte delle persone, invece
nella tabella si vede che la maggioranza preferisce Z a X, dimostrazione di un paradosso.

il processo decisionale non ha un unico punto di equilibrio, perché non esiste una e una sola mozione
che, messa ai voti, sia sempre in grado di battere tutte le altre

Individui razionali, rispettosi della proprietà transitiva nell'ordinamento delle loro


preferenze, possono generare società 'irrazionali', perché incapaci di approdare a scelte
pubbliche altrettanto coerenti.

Quindi il paradosso che si crea associando a livello sociale le preferenze individuali è sempre
dimostrabile e può portare ad esiti socialmente irrazionali e poco coerenti, poco rispettosi della
proprietà transitiva.

Il teorema dell'impossibilità (Arrow, 1951 e 1963)

Arrow uno dei pensatori più rilevanti del ‘900 e Premio Nobel.

requisiti minimi di una 'buona' regola decisionale (cosa deve esserci in un meccanismo corretto di
presa di decisione collettiva):

1. deve produrre esiti che rispettino la proprietà transitiva, esorcizzando il rischio di maggioranze
cicliche (in cui episodi si ripetano)

2. deve permettere una relazione positiva tra spostamenti nei valori individuali e spostamenti
nei valori sociali: se un membro della collettività cambia idea, e preferisce x a y, mentre
prima preferiva y a x, questo suo cambiamento a favore di x non deve trasformarsi in un
peggioramento della posizione di x in quella che potremmo chiamare 'la classifica generale’

3. deve garantire l'indipendenza dalle alternative irrilevanti: se una opzione prima disponibile
viene a cadere, per questo solo fatto la posizione relativa delle opzioni superstiti non deve
subire modifiche nella 'classifica generale’ (se l’opzione che è al 3° posto nella classifica
generale delle preferenze, per qualità non migliora la sua condizione solo perché la prima è
venuta meno)

4. deve assicurare la sovranità dei cittadini: gli individui sono liberi di scegliere senza vincoli, e
nessuno può imporre restrizioni, perché tutte le graduatorie logicamente possibili
sono ammissibili

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5. deve impedire l'affermazione di un dittatore: è esclusa l'esistenza di individui in grado di


imporre le loro personali preferenze come preferenze della collettività.

Arrow: quando due o più individui hanno a che fare con tre o più alternative, non esiste nessuna
procedura decisionale in grado di assicurare il rispetto di tutte e cinque queste condizioni e quindi non
c'è possibilità di assicurare stabilità e coerenza agli esiti delle scelte collettive, se non accettando
qualche compromesso circa l'uguaglianza dei cittadini e l'ugual valore delle loro preferenze

Se non esistono questi requisiti, impossibili da realizzare, non esiste che la procedura collettiva di
presa della decisione sia coerente, impossibile che le decisioni pubbliche siano rappresentative poiché
quando ci sono alternative non è possibile rispettare tutte e cinque le voci. Non basta sapere che ci
sono dei requisiti che vengono meno anche solo quando ci sono due o più individui che possono
scegliere tra due o più individui, non c’è stabilità o coerenza nelle decisioni collettive siccome vengono
meno i pre requisiti per un corretto svolgimento della decisione.

Tutto quello che viene dopo e viene sviluppato come pensiero, parte da questa idea: il compromesso
è necessario.

Questo teorema è alla base di tutto (di tutte le scelte politiche, culturali, economiche) perché Arrow
spiega che aggregare è sempre un errore perché porta a soluzioni distorte, che portano a favorire
alcuni e danneggiare invece altri, se non si rispettano le condizioni non esiste una scelta coerente e
che la mancanza di coerenza nell’esito finale della decisione collettiva induce a dover fare dei
compromessi sulle scelte culturali.

Ad esempio, i cinema hanno avuto un compenso pari a quello dell’anno precedente, considerazione
non corretta (non equa) e non rappresentativa delle reali perdite.

Il compromesso non fornisce requisiti non presenti ma porta a raggiungere la scelta che non è la
migliore o la rappresentativa, ma è la meno peggio. Quando scelgo e per certe ragioni non posso
raggiungere la soddisfazione di tutti, posso attraverso dei compromessi raggiungere delle soluzioni,
Arrow presenta quindi l’assioma delle preferenze arrivando a definire cosa deve essere necessario per
avere scelta stabile, ma poi si verifica come questi requisiti non ci sono mai ma che attraverso
compromessi ci si avvicina ad averli.

Il teorema dell'impossibilità: implicazioni normative


Dal teorema escono demolite tutte quelle teorie che fondano la legittimità delle
istituzioni democratiche su una loro presunta capacità di rispecchiare fedelmente quella cosa in realtà
sempre sfuggente che è l'orientamento generale dei cittadini.

William Riker (1982):

l’idea populista: concezione comunitaria e romantica della convivenza civile

l’idea liberale: prudente realismo circa le virtù della democrazia. Il teorema dell'impossibilità aiuta a
capire quali promesse le democrazie possono davvero mantenere

I limiti valgono per tutte le procedure che legittimano scostamenti dall’unanimità, compreso il voto a
maggioranza.

Il punto di forza della democrazia non risiede nella fedele interpretazione della volontà popolare, ma
sta invece nei limiti di tempo e di competenze che vincolano chi esercita il potere, impedendogli di

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'andare troppo in là', e costringendolo a fermarsi, a cedere ad altri la carica, a sottostare ad altre
giurisdizioni.

La democrazia finisce nel prendere decisioni, i processi democratici sono sub-ottimali, il modello
democratico fallace: permettendo a molti di esprimersi convoglia verso un risultato collettivamente
non efficiente, se si pensa a modelli meno efficienti di gestione dell’impresa, come le cooperative dove
ogni testa è un voto, sono istituzioni dove il processo decisionale è molto lento. A livello
imprenditoriale il meccanismo più efficiente è quello dove uno solo decide per tutti, volenti o nolenti.
Nel primo caso si cerca di raccogliere una volontà collettiva. Questo modello condanna il voto
all’inefficienza e spiega che i limiti democratici non sono efficienti, ma non è necessario che ci siano.
Paradosso di Arrow che spiega come le decisioni collettive non sono mai correnti o stabile perché le
persone cambiano idea e facendo ciò creano un meccanismo poco stabile, il vantaggio della
democrazia è quello di essere efficace: fare si che tutti possano esprimersi e cambiare idea e di favorire
l’alternanza, quindi sostituire chi ha preso “cattive” decisioni con qualcuno che si spera le prenda
migliori.

3. La teoria dei giochi


Strumenti con cui gli economisti argomentano queste posizioni

La teoria (matematicamente fondata, alla base di meccanismi di interazione strategica, studia il modo
in cui i soggetti interagiscono tra di loro) dei giochi si propone di descrivere, spiegare e prevedere le
situazioni in cui due o più persone interagiscono tra loro in modo tale che le scelte delle une
influenzano le conseguenze delle scelte delle altre (Schelling, 1984).

Strumento importante per capire i meccanismi di interazione. Teoria che mostra come vengono prese
le decisioni date le scelte degli altri, quindi rispettando le scelte altrui, sviluppata facendo riferimento
all’individualismo metodologico, es. io soggetto che sceglie cerco di ottenere migliore risultato per me
ma sapendo che ci sono anche altri che potranno reagire e che sono come me, quindi autointeressati.

Quindi giustifica e analizza individualismo metodologico, analizza comportamento soggetto


autointeressato che agendo cerca di perseguire il meglio per sé sapendo che gli altri reagiranno a
qualsiasi scelta in maniera uguale nella quantità e nella forza, contrario nella direzione, nel momento
in cui scegliamo quindi siamo auto interessati ma allo stesso momento sappiamo che gli altri si
comporteranno come noi: in maniera auto interessata e consapevole, ed è questa consapevolezza
dell’esistenza degli altri e della loro capacità di reazione che influenza il nostro comportamento.

Ad esempio, perché in un contesto pubblico non mi comporto male? Temo la reazione degli altri, so
che al mio comportamento segue una conseguenza, comportandomi non seguo solo l’ordine delle
preferenze ma tra le scelte inserisco la reazione altrui.

Molti fattori che portano le persone ad emergere come individui oppure no, come la sindrome
dell’impostore (non ci si sente all’altezza della situazione e timore di essere scoperti, anni di studio
hanno mostrato come tutti siamo impostori e agiamo come trattenuti, ma in qualche modo se lo siamo
tutti nessuno lo è, ci si sottovaluta per tradizione culturale, aspettative elevate che esercitiamo e
inculcate, meccanismo sottovalutazione riguarda spesso persone capaci e molto sensibili, grosso
impatto sociale), legata anche alla sindrome di Dunning Kruger, ovvero la tendenza delle persone poco
preparate e sopravvalutare la propria capacità e invece quello delle persone capaci a sottovalutare le
proprie.

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Giochi e politiche pubbliche: entrambe queste attività presuppongono attori determinati a trarre
dalle situazioni i massimi vantaggi possibili, ma anche obbligati a tenere conto delle scelte degli altri
e a rispettare le regole in vigore

Figure eminenti:

• John von Neumann (1928).

• John von Neuman e Oskar Morgenstern (1944): Theory of Games and Economic Behavior.

• John Nash (1950). Nel 1994, ottiene il premio Nobel per l'economia con John Harsanyi
e Reinhard Selten

La teoria dei giochi: Elementi del modello

• I giocatori le loro scelte non sono espressione diretta e immediata delle loro preferenze, ma
sono il risultato di un ragionamento circa le scelte degli altri giocatori con cui interagiscono.
Soggetti che partecipano all’interazione strategica. → le scelte non sono ingenue, o
spontanee, ma sofisticate, strategiche, risultato delle loro preferenze ma anche dalla
consapevolezza di una forma di interazione (Giochi studiati con due o tre giocatori e poi il
modello viene esteso)

• Le vincite ‘ciò che conviene’ non è espresso da una funzione di utilità, ma dai payoff, cioè dai
rispettivi guadagni corrispondenti alle diverse combinazioni di mosse (effettuo una scelta e
questa mi darà risultati che dipendono anche da come interagisco con gli altri giocatori)

• Le strategie Una strategia è un piano di azione completo che considera tutte le evenienze
possibili. Una calcola, ma anche Altra è capace di calcolare e di tenere in conto il fatto che
Una calcola; ma anche Una tiene conto del fatto che Altra tiene conto del fatto che, una
calcola… Sono le nostre azioni, scelte che effettuiamo e che portano ad ottenere certi risultati,
scegliamo la strategia in base all’esito che pensiamo ci porterà ad ottenere. Un soggetto
calcola ma sa che anche l’altro sta facendo lo stesso, meccanismo di conoscenza che alimenta
l’interazione, legato dal fatto che siamo uguali, quando interagisco so che il mio avversario,
giocatore o competitor, si comporterà come me.

• Le soluzioni la situazione in cui nessun giocatore ha più incentivi a cambiare la sua strategia
perché, ferma restando quella degli altri, meglio di così comunque non potrebbe fare. Con
questa consapevolezza possiamo arrivare effettuando scelte che vengono dalle nostre
preferenze, ad un esito, ovvero il miglior risultato che posso ottenere dati certi requisiti. Gioco
può essere one shot (una sola interazione) o ripetuto nel tempo, e questo si ferma solo
quando i soggetti arrivano al miglior risultato in assoluto. I giochi sono anche evolutivi perché
considerano che le preferenze cambiano. Strumento interessante per capire come
interagiscono le persone ma anche come potrebbero continuare a farlo. Il concetto di
soluzione ha:

valenze prescrittive: ci dice che cosa devono fare i giocatori per comportarsi da attori razionali e
ottimizzanti

valenze descrittive: ci dice dove, prima o poi, 'vanno a parare' le situazioni caratterizzate dall'intreccio
tra le strategie degli attori.

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Il dilemma del prigioniero


Dunque, il punto di incrocio tra le strategie dei giocatori è sempre un buon indicatore di decisioni
sagge? no

L'equilibrio di cui parla la teoria dei giochi è sì stabile, ma non necessariamente desiderabile.

Una soluzione può essere l'equilibrio di un gioco, ma allo stesso tempo può cristallizzare una situazione
inefficiente in senso paretiano per tutti i giocatori in essa coinvolti.

Il dilemma del prigioniero è la celeberrima metafora utilizzata per dimostrare questa spiacevole
possibilità. Gioco che mostra come vengono prese le decisioni e come attraverso l’interazione si arrivi
ad un equilibrio che non è però la soluzione socialmente ottimale, ovvero attraverso interazione di
gioco si hanno due ladri arrestati separatamente per un furto, messi in due stanze diverse.

Strategie di confessare reato o meno, output giocatore di riga e di colonna, incrocio tra le strategie,
se entrambi non confessano: 1 anno di prigione, se entrambi confessano: 5 anni, se riga confessa e
colonna no: riga prende 0 e colonna 10 anni e viceversa. Quindi sanno di poter ottenere gli output ma
non sanno il comportamento dell’altro, sanno solo che quello si comporterà come loro perché sono
entrambi ladri dello stesso furto. Risultati: ipotesi sull’avversario, sono giocatore di riga e cerco di
capire cosa dirà l’altro, se io non confesso e lui non prendo un anno, se l’altro confessa e io no prendo
10 anni, cosa scelgo di fare considerando solo i miei output? Adottare strategia dominante: effettuare
scelta che ci porterà ad avere output migliore in assoluto indipendentemente dal comportamento
dell’avversario. Scegliere equilibrio di Nash vuol dire effettuare una scelta conoscendo il
comportamento dell’avversario. Ricerca di strategia dominante: sommare esiti ⇢ non confessare
prendo 11 anni, confessare ⇢ totale di 5, confessare è la strategia dominante. Anche per il giocatore
di colonna confessare è la strategia dominante. Entrambi ottengono 5 anni, è la scelta migliore
socialmente parlando? No, perché se non avessero confessato entrambi avrebbero preso solo un anno
a testa, decisione in base alle scelte individuali, solo in base all’auto interesse, equilibrio non
cooperative, non mi sono accordato e non sapevo cosa avrebbe fatto l’altro.

Equilibrio di Nash, nel Momento in cui scelgo, faccio ipotesi su quello che sarà il comportamento
dell’avversario e valuto cosa fare in funzione di questo, strategia efficace: mi immedesimo nel
giocatore di Riga e immagino che il giocatore di colonna scelga di non confessare, come giocatore di
riga, sapendo che il mio avversario non confesserà, scelgo se confessare o meno, quindi confesso e in
questo modo ottengo 0 anni; sapendo invece che confesserà (copro colonna non confessa e valuto
l’altro output), se l’avversario decide di confessare posso non confessare e prendere 10 anni o
confessare e prenderne 5, quindi decido di confessare.

Equilibrio di Nash coincide con l’equilibrio di strategie dominanti, ma non vale il contrario, equilibrio
di Nash =. Sempre equilibrio in strategie dominanti # ma non è detto che l’equilibrio in strategie
dominanti sia anche equilibrio di Nash.

Sia con una che con l’altra, quindi indipendentemente dal fatto che io sia esclusivamente auto
interessato o che sia cooperativo (mi comporto considerando comportamento dell’altro), scelta
collettiva in entrambi i casi porta ad equilibrio socialmente non ottimale, sarebbe stato meglio
accordarsi prima (non si poteva farlo), scelta collettiva quindi sempre sub ottimale. Se non si capiscono
gli aspetti non si capiscono le decisioni pubbliche.

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Il dilemma del prigioniero

Riga deve ragionare in questo modo: "Se Colonna non confessa, a me conviene confessare perché, se
non confesso, prendo 1 anno invece di una semplice multa. Se Colonna confessa, di nuovo mi
conviene confessare, perché prendo 5 anni invece di 10. Dunque, mi conviene confessare". Colonna
fa lo stesso ragionamento.

Riga e Colonna confessano entrambi. Prendono ciascuno 5 anni. Se nessuno dei due
avesse confessato, avrebbero preso solo 1 anno ciascuno.

Lezione 17, 4/05/2021


Le teorie spaziali del voto
2 risorse:

• il ricorso a un modo di rappresentare le situazioni di scelta capace di sfruttare le analogie con


la geometria. Da questa collocazione delle alternative in uno spazio a una o più dimensioni,
nasce il nome di teorie spaziali.

• l'applicazione delle deduzioni a due occasioni di voto concrete, facilmente quantificabili: le


elezioni e le deliberazioni parlamentari.

• Il teorema del votante (o elettore) mediano di Black (1948 e 1958) e Downs (1957): quali
proprietà devono avere le preferenze dei votanti perché la regola del voto a maggioranza
funzioni bene, cioè dia risultati univoci.

Prima proprietà: l’unidimensionalità

Esempi di scelte a una dimensione

Seconda proprietà: la curva delle preferenze di ogni votante deve avere un solo picco, un solo punto
di massimo.

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→ l'interesse per le diverse proposte deve diminuire (in modo più o meno brusco) man mano che
queste si allontanano dal punto maggiormente preferito a deve esistere una coerenza interna alle
opinioni dei singoli votanti.

3 attori: A, B, C

A contrario a qualunque deficit

B favorevole a un deficit basso

C favorevole a un deficit elevato

Il teorema/dittatura dell’elettore mediano di Downs e Black :quando sono soddisfatte queste due
condizioni, i processi di voto hanno un punto di equilibrio → esiste sempre una mozione in grado di
battere tutte le altre → esiste un modo per sfuggire alle maggioranze cicliche.

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Le linee di ricerca
Gli attori

1. quali preferenze hanno le categorie che con le loro decisioni possono condizionare le
politiche pubbliche?

2. con quale intelaiatura di regole devono fare i conti per riuscire a farle prevalere?

I politici

La competizione elettorale

quali preferenze possono essere attribuite a chi entra nell'arena politica, indipendentemente dal
partito in cui milita e dal contesto istituzionale in cui opera?

Per Downs, le elezioni sono il luogo dello scambio tra voti e politiche:

– gli elettori cedono il loro voto per ottenere politiche pubbliche il più
possibile vicine alle loro preferenze;

– i politici vedono invece nei programmi solo un mezzo per


guadagnare voti, la moneta con cui, in una democrazia, si
acquisiscono le cariche e gli onori.

La convergenza tra le preferenze dei comuni cittadini e l'operato dei loro rappresentanti nelle
istituzioni è basata su due fattori:

1. l'ambizione del politico

2. il sistema del mandato a termine, che impone agli eletti di ripresentarsi periodicamente
davanti agli elettori.

1. La competizione elettorale
Teorema del votante mediano in un sistema bipartitico: entrambi i partiti intuiscono questo assioma
→ le loro strategie elettorali sono obbligate a convergere.

1. devono capire chi è e che cosa vuole l'elettore che con le sue
preferenze spacca i votanti in due classi equivalenti: quelli che
vorrebbero qualcosa più a sinistra, e quelli che vorrebbero qualcosa
più a destra.

2. devono confezionare un programma capace di conquistare almeno il


suo voto, oltre a quello del 50% di destra (se il partito è di destra) o
di sinistra (se il partito è di sinistra).

Questa logica porta necessariamente i due partiti ad avvicinare le loro proposte, fino a sfiorarsi.
Solitamente le policy vengono create per essere approvate, non per cambiare la situazione (18App).
→ il fallimento è nelle premesse.

1.1.2. L'arena parlamentare

Il modello dello scambio (anni ’60-70)

1. i politici hanno preferenze di policy che ricalcano pedissequamente quelle dei loro elettori

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2. i parlamentari hanno notevoli margini di autonomia nella scelta della commissione


parlamentare in cui collocarsi

3. per amplificare la loro influenza sui settori di policy più rilevanti per il loro elettorato, i
parlamentari scelgono la commissione che ha competenza su di essi

4. per effetto di queste strategie, le commissioni finiscono con l'essere composte da


parlamentari con preferenze abnormi, ipersensibili ai temi che trattano, eccentrici rispetto al
votante mediano dell'assemblea plenaria

5. grazie al lavoro delle commissioni, i processi decisionali del parlamento sono sì incanalati
verso esiti stabili, ma il punto di equilibrio premia sistematicamente quanti avanzano le
richieste più esose

6. nei rapporti tra commissioni, risulta facilitata la logica della reciprocità (logrolling).

Laddove c’è un groppo di persone molto eterogeneo, e all’interno c’è chi urla più forte, esiste la
possibilità di accordarsi attraverso il meccanismo della reciprocità, ovvero il punto mediano si ottiene
attraverso lo scambio (“io voto la tua proposta se poi tu voti una delle mie”).

I cittadini elettori contribuenti

La competizione elettorale dal lato della domanda di politiche:

Secondo le teorie razionali della democrazia, i cittadini cedono una parte del loro reddito, pagando le
tasse, per ottenere con il voto le politiche pubbliche che aumentano il loro benessere. Quindi, il ruolo
di contribuente e quello di elettore si sostengono e si integrano. Ma questo contratto tra eletti ed
elettori presenta alcuni problemi:

1) L’ignoranza razionale

Scegliere il candidato cui dare il voto in teoria richiede un notevole investimento per la raccolta e
l'elaborazione di informazioni. Ma per la stragrande maggioranza dei cittadini, l'investimento richiesto
non vale il beneficio delle conseguenze derivabili dal risultato elettorale preferibile. Dunque, la
stupefacente ignoranza di cui danno prova gli elettori quando sono intervistati sui programmi
elettorali, è razionale.

2) Gli organizzatori di interessi

Le organizzazioni che si battono per obiettivi generali sono le più vulnerabili al fenomeno del free rider.

La teoria del free rider ha la stessa funzione euristica del teorema dell'impossibilità di Arrow, o del
paradosso del votante di Downs:

– è vero, la verifica empirica ha prima vista non conferma la deduzione,


perché le azioni collettive esistono

– ma il ragionamento fornisce comunque al ricercatore una traccia


importantissima, perché lo porta a chiedersi quali dei requisiti richiesti dal
modello puro sono violati nei casi concreti.

Le grandi organizzazioni riescono a sopravvivere e a prosperare perché hanno operato una graduale
sostituzione dei loro obiettivi generali, assimilabili alla categoria dei beni pubblici, con benefici
selettivi, cioè con beni che di fatto avvantaggiano soltanto gruppi ben delimitati di aderenti.

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Lo stesso clientelismo (gruppo a cui viene data una riposta nell’ambito di una teoria dello scambio)
può essere considerato come un sistema che eroga beni privati (assunzioni, favori, avanzamenti di
carriera) in cambio della militanza a favore dei beni pubblici.

1.3. I burocrati

Le teorie sulle funzioni d'utilità dei politici, dei cittadini e dei gruppi organizzati sfruttano la metafora
del mercato politico e la logica dello scambio tra voti e politiche.

Dalla fine degli anni Sessanta, alcuni studiosi (Downs, 1967; Tullock, 1965; Niskanen, 1971) si pongono
una domanda: come mai, nonostante queste analogie, le amministrazioni non funzionano come le
imprese, e i politici incontrano tante difficoltà nell'implementazione delle politiche che approvano?

Finora abbiamo dato per scontato un modello rigidamente top-down, dove la decisione legislativa è
la vera leva del cambiamento, ma l’implementazione delle politiche è diversa dalla produzione di una
merce.

1.3.1. Perché l’implementazione delle politiche è diversa dalla produzione di una merce:

1. i funzionari pubblici sono, come tutti gli altri attori, autointeressati. Ma quello che fa la
differenza, rispetto ai manager delle imprese private, è il fatto di non avere un meccanismo
di remunerazione dipendente dai risultati dell'organizzazione in cui operano.

2. l'efficienza di un'amministrazione non può essere misurata in base al suo successo nel
mercato:

- può operare in regime di monopolio (tribunali..)

- può essere tenuta a farsi carico di prodotti diseconomici.

La questione di un’eventuale rigidità che può assumere il meccanismo di decisione, può essere data
anche dalla presenza di soggetti che non hanno l’efficienza come proprio obbiettivo principale. Le loro
performance non sono misurate in funzione della produzione

Portare avanti istanze non economiche come fa lo Stato, occupandosi di tutelare beni meritori, che
sono fuori dal mercato, porta con sé l’accettare che se tu stai lavorando su obbiettivi che non sono
economici, anche l’operare dei tuoi lavoratori non è economico. Accettare una forma di inefficienza,
ovvero che la retribuzione non è funzionale al risultato ottenuto.

1.3.2. La massimizzazione del budget

William Niskanen si chiede: che cosa c’è nella funzione di utilità di un burocrate, qualunque sia lo
specifico elemento che può stargli a cuore? La risposta è: "lo stipendio, le condizioni di lavoro, la
reputazione pubblica, il potere, l'influenza, la tranquillità nella conduzione dell'ufficio.

Le probabilità di godere di tutti questi vantaggi sono direttamente correlate a un fattore cruciale: la
capacità dimostrata dal burocrate nell'attirare risorse pubbliche verso il suo comparto.

Dunque, l'elemento dominante nella funzione di utilità di qualunque burocrate, indipendentemente


dai gusti e dalle inclinazioni personali, è la massimizzazione del budget per il proprio settore.

Questo risultato equivale a più risorse umane, finanziarie e organizzative da amministrare, e più
reputazione di intraprendenza, più soddisfazioni e più possibilità di carriera.

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Questa categoria, nel momento che esercita il proprio autointeresse rischia di entrare in collisione con
‘interesse delle altre categorie che hanno obbiettivi differenti.

1.3.3. Lo scambio budget/politiche (burocrati e politici)

Secondo Niskanen (1971), le decisioni di bilancio sono caratterizzate da questi elementi:

• il politico è interessato al prodotto, all'implementazione delle politiche pubbliche che ha


deliberato. Suo obiettivo è ottenere dall'amministrazione la messa in opera delle decisioni ai
costi più bassi, in modo che il prelievo fiscale non lieviti;
• il burocrate ha le preferenze inverse e complementari: l'implementazione costituisce un
costo, un'attività faticosa e complicata, mentre l'assegnazione di risorse costituisce un
beneficio, un segno del suo potere e delle sue capacità;
• lo scambio budget contro output avviene in una situazione di monopolio bilaterale. Da un
lato, il politico non può cercare sul mercato i fornitori dell'implementazione delle politiche per
l'ordine pubblico, la giustizia, o la previdenza obbligatoria, ma deve ricorrere alle forze di
polizia, alla magistratura, all'agenzia per la sicurezza sociale. Dall'altro lato, queste
amministrazioni non possono cercare acquirenti sul mercato, ma sono obbligate a vendere i
loro prodotti soltanto alle istituzioni rappresentative.

Come insegna la teoria economica, le transazioni che avvengono in una situazione di monopolio
bilaterale tendono a produrre esiti inefficienti.

Se un policy maker definisce una politica che ha sulla carta un requisito di efficienza, questo può
prevedere dei rallentamenti perché il settore della burocrazia, non ha nessun tipo di incentivo ad
accelerare le fasi dei processi per l’implementazione delle politiche. Spesso ci vogliono anni perché
una politica venga approvata e messa in atto.

a. Lo scambio budget/politiche avviene in condizioni di asimmetria informativa

Il burocrate rispetto al parlamentare gode di un vantaggio informativo.

Il primo, infatti, conosce i costi effettivi di produzione delle politiche: sa quanto denaro occorre per
un letto in un reparto di cardiochirurgia, e quanti letti possono bastare per le esigenze di 100.000
abitanti. E sa quanto il politico sia interessato a inaugurare il reparto prima delle elezioni.

b. Lo scambio budget/politiche avviene in condizioni di monopolio dell’agenda

Il burocrate può mettere il politico davanti a offerte del tipo 'tutto o niente': o ci sono le risorse per
fare nel modo proposto, o tanto vale non sprecare i soldi dei contribuenti con mezze misure.

In queste condizioni, i burocrati sono in grado di 'estorcere' ai politici fino all'ultimo euro a loro
disposizione

Dunque, le amministrazioni tendono a produrre un output più ampio e più costoso, rispetto a quello
che massimizzerebbe l'utilità del votante mediano, se questi potesse ricorrere al mercato per
acquistare l'implementazione delle politiche pubbliche.

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La dinamica del policy making

1. L'implementazione

L'asimmetria informativa tra chi decide e chi esegue è più complessa di quella ipotizzata da Niskanen,
perché non riguarda solo i costi, ma tutto il ciclo di vita di una politica, dal suo disegno al processo di
conversione dell'input in output, dal monitoraggio alla valutazione degli effetti.

Ogni tentativo di esercitare un efficace controllo apre un nuovo fronte da presidiare, quello del
controllo dei controllori.

2. La teoria principale-agente

Imprenditori o politici, se vogliono realizzare un progetto, devono ricorrere a un'organizzazione che


richiede, per funzionare, l'impegno di molte persone. Attraverso varie forme di contratto, i primi
diventano quindi i principali dei secondi, gli agenti.

Sia il principale, sia l'agente, sono attori razionali, orientati a massimizzare le rispettive utilità. Due
dati caratterizzano la loro relazione:

– il non allineamento dei loro interessi: il principale vuole raggiungere i suoi


obiettivi, mentre l'agente vuole acquisire benefici quali una retribuzione, un
posto di lavoro, una pensione.

– l'asimmetria informativa: il principale ha un'idea vaga di 'come fare' e di


'quanto costa', mentre l'agente conosce tutti i trucchi per trarre il massimo
vantaggio dall'ingaggio.

Le asimmetrie informative generano due paradossi:

1. l'azzardo morale: l'occasione fa l'uomo ladro

2. la selezione avversa: mettere la faina a guardia del pollaio

è molto costoso pagare per controllare il comportamento della gente, è puro costo di transazione,
pura spesa perché non è un costo di produzione. Non sono costi recuperabili.

Per confezionare il suo contratto ottimale, il principale deve bilanciare le 'perdite da agente' con i
costi di contrattazione e di implementazione dei controlli. Un’impresa spesso in perdita.

3. I contenuti

Le teorie economiche dispongono di una potente categoria su cui basare le tipologie delle politiche:
la distinzione tra beni pubblici e beni privati.

• Le politiche distributive possono essere considerate come gli interventi pubblici più vicini alla
categoria dei beni privati, in quanto i loro benefici vanno ad avvantaggiare gruppi socialmente
o territorialmente molto circoscritti.
• All’estremo opposto stanno le politiche costituzionali, dalla cui efficienza tutti gli appartenenti
ad una comunità politica traggono vantaggio.

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3.1. Le politiche distributive

Le prime applicazioni delle teorie spaziali del voto riguardavano proprio le arene distributive.

Alla base del modello sta un'organizzazione parlamentare decentrata, che assegna il potere di agenda
a commissioni composte da parlamentari con preferenze abnormi.

La conseguenza è un processo decisionale basato sull'universalismo e la reciprocità, due forme di


scambio del voto, o di logrolling, il primo volto a inglobare la quasi totalità dei membri della
commissione competente, e il secondo volto a ottenere il largo consenso dell'aula, in base al criterio:
"Tu fai passare una cosa a me, io faccio passare una cosa a te" → L'esito di questi processi sono leggi
omnibus, che hanno qualcosa da dare a tutti.

David Stockman, direttore dell’Office of Management and Budget del governo americano dal 1981 al
1985, sotto la presidenza Reagan, così racconta la sua esperienza:

“Thomas era (..) uno dei più abili tattici del partito repubblicano al Congresso. ‘Non ce la facciamo’
disse ‘A meno che non apra la mensa dei poveri’. Nel Congresso, la ’mensa dei poveri’ è quella che si
apre nelle ultime ore prima di una votazione per attirare nuovi congressisti. A questo punto, la
democrazia non è questione degli ideali di Jefferson né delle opinioni di Madison. Diviene uno studio
di praticabilità per un progetto idrico da 200.000 dollari piuttosto che la nomina di un direttore
regionale dell’Ente Nazionale Agricoltori nel Montana occidentale (…). Ogni categoria di elettore del
ceto medio ebbe qualcosa: le piccole imprese ebbero esenzioni dalle tasse; vennero elevate le
detrazioni per i figli a carico; gli agricoltori ebbero nuove sovvenzioni. Quando i democratici
completarono il decreto, il liberal David Obey del Wisconsin osservò giustamente: ’Probabilmente
sarebbe stato più economico se avessimo dato a ciascuno la possibilità di esprimere tre desideri’”..

La teoria dei giochi fornisce la spiegazione di questi comportamenti → Le politiche distributive


possono essere modellate come giochi cooperativi in cui ai giocatori viene chiesto di trovare l'accordo
sulla divisione di una somma: se trovano l'accordo, possono tenersi le cifre assegnate; se non riescono
a trovare un'allocazione accettata da tutti, nessuno prende una lira. Come è facile capire, la tavola dei
payoff rende comunque razionale la cooperazione.

Il problema è che, in determinate condizioni, questo tipo di gioco può non avere nessun equilibrio
sostenibile, perché qualunque soluzione può essere sfidata con successo da un'altra.

3.2. Le politiche regolative

Fino alla fine degli anni Cinquanta, le teorie economiche della regolazione davano per scontato che
l'intervento dei governi avesse come obiettivo il contenimento dei fallimenti del mercato, e pertanto
generasse esiti vantaggiosi per i consumatori.

George Stigler, della scuola di Chicago, capovolge questa impostazione: “Chi può avere interesse a
sollecitare la regolazione? Non i cittadini consumatori, razionalmente disinformati.

Dunque, "di norma, la regolazione è acquistata dall'industria: è disegnata e implementata


principalmente per portarle benefici" (Stigler, 1971)

I settori economici più regolati, quali il trasporto aereo, l'industria farmaceutica, l'industria
alimentare, alla fine godono di grandi vantaggi:

• l'ingresso nel mercato di nuovi sfidanti diventa molto improbabile, per il maggior controllo
esercitato dalle autorità, che finisce col rendere gli investimenti dal nulla poco remunerativi;

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• i prezzi possono così lievitare, scaricando sui consumatori i costi dell'adeguamento del ciclo
produttivo alla regolazione;
• spesso, le aziende regolate godono anche di sovvenzioni pubbliche, a indennizzo dei costi
sopportati per rispettare le norme.

A prevalere sono le esigenze degli interessi forti e concentrati, cioè della grande impresa che, a
differenza della piccola, non deve affrontare il problema del free rider nel 'tassarsi' per compensare i
politici per le loro iniziative.

3.2.1. Le teorie della cattura

Una volta regolate, le grandi imprese difficilmente esercitano pressioni per ritornare alla situazione
precedente. Piuttosto, investono energie per condizionare l'agenzia regolativa incaricata
dell'implementazione delle norme. E in genere ci riescono, ottenendo tempi più veloci per le
autorizzazioni e protocolli più benevoli nei controlli.

La teoria della cattura (del regolatore da parte del regolato) è la principale responsabile dello stigma
che grava sulla public choice, per la fortissima influenza esercitata sia sul dibattito scientifico, sia su
quello politico.

Nella prima arena, è spesso considerata come una cinica negazione del ruolo che l'interesse pubblico
può avere nel policy making. Nella seconda, è vista come l'ispiratrice di politiche liberiste di
deregolazione e di privatizzazione.

La scelta pubblica, questioni aperte

1. Oggi le critiche più interessanti sono quelle che provengono dalla behavioral economics

Siamo tutti irrazionali?

“... A illuminare i meccanismi di funzionamento della nostra mente è Daniel Kahneman con il suo
Pensieri lenti e veloci, (grado di elaborare pensieri in una serie ordinata”. Noi “quando pensiamo a noi
stessi ci identifichiamo con il sistema2, che ha delle convinzioni e decide cosa pensare e cosa fare”, ma
in realtà agiamo molto spesso sulla base di quanto suggerisce il sistema1 (...)

Dice Kahneman: mi accusano di sostenere che le scelte umane sono irrazionali, mentre “ho solo
dimostrato che gli umani non sono descritti dal modello dell’agente razionale”, quello che presiede
alle teorie economiche dominanti.

Gli studi di Kahneman hanno dato un contributo decisivo alla nascita dell’“economia
comportamentale”, che ha rivoluzionato i fondamenti della scienza economica. Ma la loro influenza è
grande in tutto il settore delle scienze cognitive.

Secondo questo scienziato, nella nostra mente coesistono due sistemi “operativi”: uno che lavora in
automatico, capace di elaborare fulmineamente impressioni e sensazioni spontanee; l’altro “più lento,
conscio e raziocinante, l’unico in grado di comprendere la mente umana.”

2. Lo scetticismo della Public Choice può servire a rendere i cittadini più consapevoli dei rischi
insiti nelle decisioni pubbliche.

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Lezione 18, 5/05/2021


LA TEORIA DELLA GIUSTIZIA
Il meccanismo di aggregazione delle preferenze e presa delle decisioni collettive è imperfetto e si
presta a fallimenti e abusi; imperfezione che può essere contenuta e corretta da un sottofondo etico
che guida il comportamento delle persone ma anche del decisore pubblico. Alcuni filosofi nel tempo
hanno presentato punti fermi cui il legislatore si è ispirato e cui le norme sono state aggiornate ma
sempre applicate, tra queste Rawls → la cui influenza è estremamente forte nel pensiero politologico
ed economico. Per quanto riguarda il criterio di giustizia ed equità si fa riferimento a questo pensatore,
con una posizione tutt’oggi illuminante.

JHON RAWLS
La riflessione etico-politica, teoria della giustizia pubblicata in Italia nel 1971. Filosofia politica come
branca della filosofia che si occupa di regolare i comportamenti e definire quale potrebbe essere un
comportamento giusto. Gestione delle relazioni.
Possiamo distinguere quattro accezioni fondamentali della filosofia politica:
1. ricerca della miglior forma di governo (deriva da Platone e dagli utopisti);
2. individuazione del fondamento e della legittimità del potere (giusnaturalismo);
3. ricerca delle categorie del “politico” per distinguerlo da altre attività (Schmitt);
4. riflessione metodologica e descrittiva (e non prescrittiva) sulla scienza della politica (Weber).
Aspetti fondamentali per capire in che modo una norma può essere giusta, equa, qual è il livello di
ingiustizia socialmente accettabile per arrivare ad ottenere un livello di bene superiore. Permettono
di capire cosa significhi scendere ad un compromesso quando si tratta di ottenere un bene superiore.

Il prevalere della tendenza weberiana ha privato la riflessione sulla politica della dimensione etica
(non si è concentrato sul giusto e sbagliato ma su come far funzionare le cose) privilegiando quella
“tecnica” e “machiavellica” (ha giustificato errori, imperfezioni bias, che il meccanismo di
aggregazione delle decisioni poteva compiere). In altri termini, la filosofia politica del Novecento aveva
rinunciato a interrogarsi sui valori che devono guidare la vita in comune per ridursi ad una semplice
analisi valutativa della “realtà effettuale”.
Il delegare ad altri filoni di studio il concetto di giusto o sbagliato e ad un ambito morale questo aspetto
ha privato la riflessione teorica di contributi che potevano essere importanti e che evolvendo
potevano dare una nuova lingua per interpretare il presente, ha lasciato perdere soprattutto in quelle
realtà sociali di stampo anglosassone lasciando che prevalesse il tecnicismo sulla qualità dei contenuti
proposti anche a livello normativo, questo riguarda la modalità di legiferazione generale ma anche le
norme che caratterizzano il settore culturale.
Pone un punto di vista che ha spostato l’attenzione sul collettivo e sul metodo che poteva essere
adottato per raggiungere una giusta decisione.

Rawls concentra la sua attenzione in maniera diversa su altri aspetti.


Giustizia intergenerazionale: quali aspetti a cui rinunciare oggi per lasciare alle generazioni future,
conservazione patrimonio storico architettonico - tutto fa leva sull’idea di giustizia che egli ha attuato.

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A partire dal testo di Rawls, la filosofia politica ha ricominciato ad assumere un connotato orientativo,
non solo descrittivo, del vivere insieme: Una teoria della giustizia ha il merito di aver riaperto il
dibattito sulla possibilità di armonizzare il rapporto tra libertà individuale e giustizia sociale (o
distributiva).
Con lui si ricomincia a pensare al valore e quindi a riflettere su cosa significhi mettere in relazione
un’idea di giustizia sociale con un’idea di libertà individuale, perché nel momento in cui noi per
rispettare l’altro evitiamo di commettere azioni che potrebbero generare esternalità o evitiamo
comportamenti che potrebbero infastidire o offendere, limitando i comportamenti per non creare
problemi ad altri, ovvero nel rispetto dello spazio e libertà altrui, limitiamo la nostra stessa libertà. Il
rispetto della libertà altrui porta noi stessi ad essere meno liberi.
Egli pesa questi due aspetti per guidare il comportamento e delineare il comportamento giusto
rispettoso di entrambi. Alcuni esercizi della libertà individuale potrebbero generare un
comportamento da evitare socialmente. Anche per questioni etiche vale la teoria dei giochi, se ognuno
fa quello che gli pare la somma totale è la peggiore per tutti.

Rawls VS Utilitarismo
• In tutta l’opera di Rawls, il giusto (right-riguarda la società) precede il buono (good-riguarda
l’individuo) nel senso che in tutte le deliberazioni pratiche che riguardano la giustizia, desideri
e preferenze (che definiscono ciò che è buono per le persone) devono essere subordinati alle
richieste del giusto. La politica di sussidi usata nei paesi si basa sul pensiero di John Rawls, la
cassazione e il sostegno economico a certe attività culturali sono state teorizzate da Rawls e
fanno riferimento alla sua idea di giustizia. Ancora oggi riflettendo su cosa va fatto lo si prende
in considerazione.
• La giustizia è la prima virtù dei sistemi sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero.
Una teoria, per quanto semplice ed elegante, deve essere abbandonata o modificata se non è
vera. Allo stesso modo, leggi e istituzioni: non importa quanto efficienti e ben congegnate,
devono essere riformate o abolite se sono ingiuste. Jeremy Bentham alla base
dell’utilitarismo. L’idea di giustizia supera qualsiasi altro valore. Cosa si intende per giustizia e
come si arriva a connotarla?

Ognuno di noi possiede una inviolabilità su cui neppure il benessere della società nel suo complesso
può prevalere: Rawls critica la posizione dell’utilitarismo in politica e nell’etica, poiché egli nega che
la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri. In
altre parole, la libertà individuale è un principio che non si può mettere in discussione:
“Il mio scopo è costruire una teoria della giustizia che costituisca un’alternativa al pensiero utilitarista
in generale e, di conseguenza, in tutte le sue diverse versioni.”
Il pensiero utilitarista è alla base delle analisi economiche standard, dove la dimensione dell’utilità è
quella cardine che guida i nostri comportamenti. Io perseguo la mia utilità che è data dall’insieme di
fattori che posso combinare, usandoli, per ottenere il livello massimo di beneficio e questi li scelgo,
come le azioni che compio, in funzione del mio ordine delle preferenze. Il livello di utilità che voglio
raggiungere è l’unico elemento che mi guida e spinge il mio comportamento, il modo che ho per
ottenere un livello di benessere, nel fare ciò non prendo in considerazione altro: posso generare
esternalità, creare danni. Nei limiti della legalità se perseguo utilità o profitto individuale sono nel
giusto. La teoria utilitarista è alla base dell’idea di vantaggio, utilità e beneficio. Obiettivo che permette
alle persone di raggiungere il massimo livello di benessere e il perseguimento della propria utilità e

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vantaggio, dato da alcuni comportamenti e scelte tra beni scarsi che vengono combinati per
permettere all’individuo di raggiungere maggiore utilità possibile e noi combiniamo i beni secondo le
preferenze ordinali. Quindi finché ottengo il mio interesse e livello di utilità sono nel giusto. La teoria
non prende in considerazione i danni che si possono generare col comportamento o li considera al
limite sgradevoli effetti collaterali. Secondo l’approccio utilitarista questo è il comportamento
dell’uomo libero, senza alcun tipo di restrizione. Approccio secondo al quale uno vale uno: azione
svolta da un individuo = azione svolta da qualsiasi altro individuo. Ogni azione di una persona comporta
ad una pari azione di un’altra: retta equilatera in un piano cartesiano. Prendere in considerazione le
caratteristiche di una persona vuol dire porsi una domanda in più.
In un caso persona che magari non può fare qualcosa, nell’altro caso qualcuno che non ne ha voglia
ma entrambe verranno multate. È corretto o no? Sì, ma ci si trova davanti a due necessità differenti.
In un caso può essere difficoltoso rispettare una norma, es. anziano in difficoltà e dall’altra parte
persona che ignora il bene collettivo per interesse individuale. Contesti diversi che pongono davanti a
un dubbio: davvero uno vale uno? Davvero il comportamento di persone diverse in situazioni diverse
deve essere considerato come un unico comportamento? E che quindi le possibilità sono uguali per
tutti? Rawls spiega che la libertà è intoccabile, e poi ci sono altri livelli non fondamentali e che possono
essere sacrificati per un’idea di giusto, qualcosa di superiore - faccio un sacrificio e rinuncio ad una
parte al margine della libertà per permettere di migliorare la vita di un altro ed evitare che la situazione
degeneri in anarchia. Approccio utilitarista più aggressivo sul mercato e che meno considera le
conseguenze, infatti è stato superato. Bisogna quindi considerare la diversità delle persone per quanto
più possibile.

Utilitarismo

L’utilitarismo si sviluppa in Inghilterra nella prima metà dell’Ottocento parallelamente alla nascita
della società industriale e del capitalismo (società capitalistica) con la conseguente crescita delle classi
medie e del proletariato.

Fondatore di questo indirizzo etico fu Jeremy Bentham (1748-1832), il cui pensiero ruota attorno ad
un unico centro teorico, il concetto di utilità: utilità è un termine astratto che esprime la capacità o la
tendenza di una cosa a preservarci da qualche male o a procurarci del bene.
Il male e il bene si identificano rispettivamente con il dolore e il piacere, i due «padroni assoluti del
genere umano», per cui bene e utile per l’uomo è ciò che tende ad aumentare la somma totale del
suo benessere, massimizzando i piaceri e minimizzando i dolori. Somma orizzontale: ottengo
vantaggio da un'azione, poi da un’altra, ecc. - benessere totale = somma di benessere.
Il self-interest, l’interesse personale è la molla di ogni azione umana; la razionalità di questo principio
etico consiste nel calcolo dei piaceri e dei dolori che è possibile effettuare prima di ogni azione.
Aderenza tra concetto di etica e auto interesse.
Ciò che vale per l’individuo vale anche per la comunità: il bene della società è dato dalla somma del
benessere dei singoli individui, per cui la felicità sociale è la massima felicità del maggior numero di
persone (the greatest happiness of the greatest number). È buono il governo che promuove questo
fine, cattivo quello che se ne allontana.
Sul piano teorico, è evidente che il principio dell’utile non tiene conto dei diritti individuali e naturali,
avendo di mira esclusivamente la somma del benessere raggiunto dalla collettività. Con l’idea che tutti
sono uguali e che la funzione di benessere si ottiene come somma delle utilità dei singoli: individuo
(somma di tutte le azioni che danno piacere), come società (somma di tutte le azioni che danno
piacere agli individui sommate tra loro). Se un individuo ottiene utilità pari a 0, questo riduce

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minimamente il livello totale della collettività. Utilitarismo giustifica disuguaglianza e ingiustizia, se


un individuo vede peggiorare la sua condizione e gli altri no, allora la società è giusta e si sta bene.

[…] il difetto più lampante dell’utilitarismo è che non rispetta i diritti individuali; dato che tiene conto
soltanto della somma di soddisfazioni accumulate dalla collettività, può passar sopra ai singoli senza
tanti complimenti […] la logica utilitaristica, se applicata in modo coerente, potrebbe giustificare certi
modi di trattare le persone in totale contrasto con quelli che consideriamo i parametri fondamentali
della decenza e del rispetto. (G, p.46)
Michael Sandel, filosofo contemporaneo che si occupa di etica economica, idea di giusto
comportamento e bene comune oggi.
Utilitarismo legittima disuguaglianza, schiavitù e si pone in linea con pensatori precedenti. Elementi
già presenti nel passato. Questioni di uguaglianza e inclusività sono molto recenti.

L’accusa che Rawls muove all’utilitarismo (dominante nella filosofia politica e morale
angloamericana), è quella di preferire il maggior bene della società al minor bene individuale.
L’utilitarismo, in altri termini, non contribuisce a rendere la società giusta ed equa, nella quale cioè
l’eguaglianza nel godimento delle libertà fondamentali è un diritto assoluto che non ammette
eccezioni.
L’accusa da lui fatta è quella del benessere: siamo sicuri che una società dove il livello di benessere
totale è alto, sia una società equilibrata e giusta dove tutti hanno le stesse opportunità o deve esserci
un criterio fondamentale alla base che permetta a tutti di essere dotati degli strumenti adeguati a
esercitare la libertà, ci sarà qualcuno in grado di fare questo? Sen (libertà nelle opportunità) si metterà
in linea e costruendo la teoria delle capabilities.
Sapendo che dobbiamo regolare il mercato e la società, allora deve esserci un’istituzione che aiuti a
fare ciò e che doti le persone degli strumenti per accedere.
Rawls si pone il problema di individuare dei criteri essenziali di giustizia su base razionale - sul modello
trascendentale kantiano - che siano condivisibili da tutti i membri razionali della comunità e a partire
dai quali possano essere scelte delle istituzioni (la “struttura di base”) che garantiranno libertà ed equa
distribuzione dei beni (che è cosa diversa dall’egualitarismo)

Per giungere all’individuazione di criteri di giustizia condivisibili, è necessario superare il conflitto


determinato dalla pluralità di interessi e punti di vista che potrebbero impedire una possibilità di
intesa tra i soggetti. Rawls spiega che è possibile superare ciò attraverso l'individuazione di un criterio
di giustizia condivisibile.
La società si può mettere d’accordo per superare gli ostacoli.

Il riferimento teorico di Rawls è, evidentemente, il contrattualismo di Hobbes, Locke, Rousseau e Kant:


È mio scopo presentare una concezione della giustizia che generalizza e porta a un più alto livello di
astrazione la nota teoria del contratto sociale, quale si trova ad esempio in Locke, Rousseau e Kant.
(TG, p.27)
L’idea guida è quella che i principi di giustizia per la struttura di base (le istituzioni) della società sono
oggetto dell’accordo originario. Questi sono i principi che persone libere e razionali, preoccupate di

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perseguire i propri interessi, accetterebbero in una posizione iniziale di eguaglianza per definire i
termini fondamentali della loro associazione
(TG, p.32)
Quando si definiscono delle istituzioni, le persone razionali che perseguono i propri interessi sanno
che partendo da un accordo è possibile raggiungere un criterio condivisibile. Dà per scontato che le
persone siano in grado di accordarsi per raggiungere un livello di giustizia superiore. Senza mettere in
discussione razionalità e libertà individuale. Il giusto supera il bene.

Nell’opera di Rawls, la stato di natura contrattualista si evolve in una complessa e raffinata


costruzione teorica che prende il nome di posizione originaria (da dove ognuno di noi deve partire
prendendo ogni tipo di decisione):
Dal punto di vista della giustizia come equità la posizione originaria di eguaglianza corrisponde allo
stato di natura della teoria tradizionale del contratto sociale […] Tra le caratteristiche essenziali di
questa situazione vi è il fatto che nessuno conosce il suo posto nella società, la sua posizione di classe
o il suo status sociale, la parte che il caso gli assegna nella suddivisione delle doti naturali, la sua
intelligenza, forza e simili.
Assumerò anche che le parti contraenti non sappiano nulla delle proprie concezioni del bene e delle
proprie particolari propensioni psicologiche. I principi di giustizia vengono scelti sotto un velo di
ignoranza. (TG, p.33)

Nel momento in cui noi prendiamo decisioni, facciamo accordi e stringiamo contratti e ci occupiamo
della cosa pubblica, dobbiamo farlo come se fossimo in una condizione originaria e non sapessimo chi
siamo, potremmo essere chiunque; poiché il fatto che siamo chi siamo in questo posto ora è dettato
dal caso. Importa prendere decisioni come se fossimo altri: velo di ignoranza da tenere sugli occhi
riguardo alla nostra posizione, possiamo essere giusti solo quando non partiamo da noi stessi. Idea di
empatia totale, ovvero capacità delle persone di mettersi nelle condizioni dell’altro, per essere giusto
devo pensare che potrei essere nella peggiore condizione in assoluto: così prendo le decisioni nella
giusta posizione, dalla persona che sta peggio.

Rawls ricorre ad un esperimento mentale e immagina una original position («situazione iniziale» o
«posizione originaria») in cui i singoli individui scelgono i principi di giustizia su cui costruire la struttura
di base istituzionale in una condizione di assoluta eguaglianza, poiché sono privi delle informazioni
relative a quella che sarà la loro posizione e condizione futura nella società. Posizione originaria si
raggiunge così: se tutti ragioniamo così e ci mettiamo nei panni della persona che sta peggio e
partiamo da lì, ad uguali condizioni di partenza.

Rawls ricorre all’idea di questo contratto perfetto perché nella vita reale i contratti non riescono quasi
mai a tradurre nei fatti i due ideali su cui si basano, l’autonomia (relativamente a relazioni tra burocrati
e politica, info asimmetriche, no autonomia decisionale) e la reciprocità (data dall’accordo in un
contesto di scambio, asimmetrie informative esercitano pressioni e coercizioni = accordi non equi):
quasi sempre le parti si trovano in posizioni diverse, di maggiore o minore conoscenza dell’oggetto
del contratto, possono esercitare sull’altra parte pressioni o coercizioni, in modo da rendere
un accordo non necessariamente equo. Accordi non equi.
Nella teoria di Rawls, invece, le parti sono dotate di poteri e competenze equivalenti (partono dalla
stessa posizione originaria, no incentivo a esercitare ingiustizia e cercare di trarre un vantaggio
particolare da condizione generale); un simile contratto non darebbe adito a forme di coercizione o

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di inganno o di sopraffazione di qualsiasi genere e avrebbe una potenza etica superiore a qualunque
contratto reale poiché assicura che nessuno possa trarre vantaggio da una posizione contrattuale più
favorevole.
Contratto perfetto si ha quanto tutti i soggetti partono da una posizione equivalente, normalmente
infatti non è equo ma pieno di imperfezioni nella meccanica e asimmetrie informative: coercizione,
abuso di posizione, pressioni e auto interesse. Se si parte da una posizione originaria non c’è alcun
tipo di incentivo a esercitare sopraffazione, trarre un vantaggio individuale da un contesto sociale e
non avere un comportamento etico. La variabile è una posizione equivalente. Giustizia si esercita
laddove c’è eguaglianza.

I principi di giustizia scaturiranno da un accordo equo, perché conseguito in una situazione iniziale di
equità, cioè di imparzialità (fairness):
Giustizia come equità significa che i principi di giustizia
sono appunto quelli che le persone razionali,
preoccupate dalla propria sorte,
sceglierebbero in condizione di eguaglianza iniziale,
qualora cioè nessuno fosse manifestamente avvantaggiato o
svantaggiato da contingenze sociali o naturali.
(TG, p.32)
Agire a partire dai principi di giustizia significa agire a partire
da imperativi categorici, nel senso che essi si applicano al
nostro caso indipendentemente dai nostri scopi particolari.
(Teoria della Giustizia di Rawls, p.217)
La teoria di Rawls propone un modello di società giusta.
La società giusta e il modello che la guida possono essere perseguiti esercitando un comportamento
razionale, auto interessato o perseguendo equità attraverso un contesto iniziale e generale di equità
e imparzialità, dato da una posizione originaria.

I due principi di giustizia:


Quali principi sceglieremmo? Non l’utilitarismo, secondo Rawls. Se siamo dietro il velo dell’ignoranza
non possiamo sapere dove ci capiterà di trovarci nella società, però sappiamo di certo che vorremo
poter perseguire i nostri obiettivi ed essere trattati con rispetto. Se dovesse capitarci di appartenere
ad una minoranza etnica o religiosa, non vorremmo essere oppressi, nemmeno se questo dovesse far
piacere alla maggioranza; quando il velo dell’ignoranza fosse caduto e avesse inizio la vita vera, non
vorremmo trovarci vittime della persecuzione religiosa o della discriminazione razziale. Per evitare
simili rischi rifiuteremmo l’utilitarismo, concordando su un principio che assicurasse a tutti i cittadini
eguali libertà fondamentali […] (Giustizia di Sandel, p.172)
Velo dell’ignoranza permette di assumere posizione massimamente empatia, essere ematici vuole
dire essere nei panni di tutti anche i più svantaggiati, i quali cominciano con risorse inferiori, in questo
modo non scelgo approccio utilitaristico.
Ma neppure sceglieremmo un principio libertario del puro laissez-faire, tale da lasciare alle persone il
diritto di conservare per sé tutto il denaro accumulato in una economia di mercato; ognuno
ragionerebbe così: “Sicuro, potrei finire con l’essere un Bill Gates, però chi lo sa, potrei anche trovarmi
nei panni di un senzatetto. E dunque farei meglio a evitare un sistema che mi lasci privo di mezzi e
soccorsi.” (G, p.162)

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Posizione originaria porta a scegliere di abbandonare approccio utilitarista se siamo nella condizione
peggiore, ma anche se siamo in quella migliore perché in un contesto di totale libertalismo dove la
società non viene in aiuto degli ultimi, si rischia di avvantaggiare alcuni e potrei non far parte di questi.

Ecco i due principi di giustizia, il primo dei quali è prioritario rispetto al secondo:
1. Ogni persona ha un uguale diritto al più esteso sistema di uguali libertà fondamentali (spettro
di libertà sempre più ampio in un contesto di libertà - collegamento a Sen, si può così ambire
anche ad altre libertà), compatibile con un sistema di libertà analogo per tutti;
2. Le disuguaglianze economiche e sociali sono ammissibili a patto
a) di dare il massimo beneficio previsto ai meno avvantaggiati,
b) di essere associate a posizioni e cariche aperte a tutti in condizioni di equa eguaglianza delle
opportunità. (Quando eguaglianza e accessibilità sono garantite a tutti, se si verificano diseguaglianze
possono essere tollerate)
Non esclude che possano esserci situazioni di diseguaglianza, ma ciò può accadere se ci sono dei
prerequisiti, quindi un contesto dove si cerca di dare il massimo beneficio ai meno svantaggiati.

Il primo principio di giustizia: le libertà fondamentali


Definizioni:
1: principio di eguale libertà
2a: principio di differenza,
2b: principio di equa eguaglianza di opportunità.

Rawls pensa a un insieme di specifiche e concrete libertà fondamentali, tipiche del liberalismo, che
possiamo riassumere così:
• libertà di religione e di coscienza;
• libertà politiche (espressione, stampa, assemblea, voto, associazione: favoriscono e
rafforzano il senso di giustizia e garantiscono la possibilità di scelta critica);
• libertà della persona (proprietà, movimento, etc);
• libertà previste dallo stato di diritto.
Tali libertà sono inalienabili (libertà irrinunciabili # altre rinunciabili per un bene superiori, quelle
inalienabili).
Idea di libertà positiva di potere fare delle cose/negativa da, assenza di costrizioni. Spesso dove non
c’è libertà negativa, non c’è quella positiva ma non spesso gli aspetti sono legati.

Il secondo principio di giustizia: i rapporti economico-sociali


Mentre il primo principio, basato sulla libertà, riguarda le istituzioni politiche, il secondo è centrato
sull’eguaglianza, dunque ha a che fare con i rapporti economico-sociali tra cittadini, affermando

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• equa distribuzione del reddito;


• pari opportunità di accesso alle cariche pubbliche.
Il principio di differenza ha a che fare con i beni sociali primari, cioè con ciò che si presume ogni
individuo razionale desideri nel suo status di cittadino libero ed eguale:

• libertà e diritti fondamentali;


• poteri e prerogative derivanti da uffici e posizioni di responsabilità nelle istituzioni;
• reddito e ricchezza;
• basi sociali del rispetto di sé.
Questi beni rappresentano il distribuendum, ciò che le istituzioni sociali distribuiscono secondo la
regola del maximin (maximum minimorum massimizzare il minimo):
le ineguaglianze sono ammesse quando massimizzano, o almeno contribuiscono generalmente a
migliorare, le aspettative di lungo periodo del gruppo meno fortunato della società.
Secondo Rawls possiamo avere gruppi ad alto e basso reddito, posso togliere poco ad alcuni e
garantire con quel poco una redistribuzione ad altri, togliendo a chi ha poco posso dare a chi ha tanto,
concetto alla base della redistribuzione, ineguaglianza tollerata perché migliora le aspettative di chi è
meno fortunato, funzione di benessere sociale. Meglio fare del bene a più persone che a una sola.

Il principio di differenza è, dunque, una sorta di principio di riparazione, secondo il quale


tutti i valori sociali - libertà e opportunità, ricchezza e
reddito, e le basi sociali del rispetto di sé – devono
essere distribuiti in modo eguale a meno che una
distribuzione ineguale, di uno o di tutti questi valori,
non vada a vantaggio di ciascuno. L’ingiustizia, quindi,
coincide semplicemente con le ineguaglianze che no
vanno a beneficio di tutti. [Se] si vuole assicurare a
tutti un’effettiva uguaglianza di opportunità, la società
deve prestare maggiore attenzione a coloro che sono
nati con meno doti o in posizioni sociali meno
favorevoli. L’idea è quella di riparare i torti dovuti al
caso, in direzione dell’uguaglianza.
(TG, pp.67 e 97, passim)

Attraverso le istituzioni possiamo riparare/correggere errori del destino, ovvero ineguaglianze,


dotazione iniziale ineguale ha a che fare col caso che deve essere corretto grazie a chi dal caso ha
avuto di più.
Il principio di differenza è dunque un principio egualitario: la domanda che dobbiamo porci non è se
siano giusti o no i cospicui compensi che vengono elargiti ad alcune categorie di persone, ma se queste
ricchezze si siano formate all’interno di un sistema che nel complesso opera per il bene dei meno
fortunati, ad esempio con un sistema fiscale progressivo che tassi i ricchi e permetta di assicurare ai
poveri l’accesso alla sanità, ai servizi sociali, all’istruzione:

Se è così, e se il sistema permette ai poveri di


stare meglio rispetto a come si sarebbero

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trovati in una situazione di più rigorosa parità,


le disuguaglianze potrebbero conciliarsi con il
principio della differenza.
(G, 173)

I sistemi progressivi fanno riferimento all’ineguaglianza che non va ad inalterate lo stile di vita ma
migliora le generali condizioni, che ha a che fare con l’equilibrio sociale e la tenuta economica di un
paese, grandi livello di diseguaglianza possono portare a instabilità.

Rawls, pur in una prospettiva genericamente liberale, propone una concezione della società
antimeritocratica e cooperativa, i cui membri, se agiscono razionalmente, ritengono dannose le
ingiustizie e nella posizione originaria scelgono la soluzione più equa dal punto di vista morale:

Il principio di differenza sembra corrispondere al


significato naturale della fraternità; cioè all’idea
di non desiderare maggiori vantaggi, a meno che
ciò non vada a beneficio di quelli che stanno
meno bene. […]
Coloro che si trovano nelle
condizioni migliori desiderano ottenere maggiori
benefici soltanto all’interno di uno schema in cui
ciò va a vantaggio dei meno fortunati.
(TG, p.114)

Logica che alimenta il pensiero economico e sociale recente, concetto di merito importante se
attribuito a condizioni egualitarie, altrimenti si abusa di una posizione predominante. Il meccanismo
scolastico reitera le differenze ed ineguaglianze: attribuendo un merito permetti a chi parte da una
posizione migliore di continuare a perseguirla, facendo restare indietro chi parte da una condizione
peggiore ma magari è capace. Cooperazione = insieme le persone possono accordarsi e arrivare a
risultati migliori per tutti.

Il principio di equa eguaglianza di opportunità è prioritario rispetto al principio di differenza, poiché


rimuove le discriminazioni e le barriere di classe che potrebbero determinare punti di partenza
ingiustificatamente diversi per alcuni membri della società:

Eguaglianza = dare a tutti in eguale misura, utilitarista, uno


vale uno # equità = dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno, la
persona che ha meno non modifica la posizione di vantaggio
ma rinuncia a qualcosa per aiutare qualcun altro.

[…] coloro che hanno lo stesso grado di talento e


abilità, e la medesima intenzione di servirsene,

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dovrebbero avere le stesse prospettive di riuscita,


indipendentemente dal loro punto di partenza
all’interno del sistema sociale […] Le possibilità di
acquisire conoscenza culturale e capacità lavorative
non dovrebbero dipendere dalla posizione di classe
e, allo stesso modo, il sistema scolastico […] non
dovrebbe tenere conto delle barriere di classe. (TG,
pp.86-87, passim)
La formazione, cultura e conoscenza devono servire a livellare le differenze e dotare le persone degli
strumenti per fare da sole, ma non si dovrebbero tenere in considerazione le condizioni di partenza:
es. diritto allo studio.

Come si vede, il principio di equa eguaglianza di opportunità è finalizzato al raggiungimento di una


pari condizione di cittadino libero e eguale: da cui, nel passo riportato, l’importanza e la centralità
dell’istruzione e della formazione, della cultura. Spettro di possibilità di cui ci dotano.

Il principio di differenza e l’arbitrarietà etica

L’idea principale della teoria di Rawls è che non si debba fare dipendere la distribuzione dei redditi e
delle opportunità da fattori contingenti dal punto di vista etico. Il correttivo alla distribuzione ineguale
dei talenti avviene incoraggiando e incentivando i più dotati ma tenendo sempre presente che i
compensi e i risultati ottenuti appartengono alla società nel suo complesso. Il principio di differenza
NON esige una distribuzione pari del reddito e delle ricchezze, eppure esprime un ideale di uguaglianza

molto forte (ciò che otteniamo non è solo grazie alle nostre forze ma anche per il contesto che ci
circonda, obbligo morale di restituire alla società in cui mi sono formato):

Chi è stato favorito dalla natura, chiunque sia, potrà godere della propria buona sorte solo in
condizioni capaci di migliorare le condizioni di chi è rimasto escluso.
Chi è stato privilegiato per natura non deve ottenere un guadagno semplicemente in quanto più
dotato, ma solo per coprire i costi dell’istruzione e della formazione professionale e per usare le
proprie doti in modo da aiutare anche i meno fortunati.
Nessuno ha meritato di avere attitudini naturali maggiori di altri, e neppure ha meritato di trovarsi in
una posizione di partenza più favorevole nel contesto sociale […
si può organizzare la struttura di base (le istituzioni) della società in maniera tale che questi fattori
contingenti contribuiscano al bene dei meno
fortunati. (TG, §17, passim)

Il principio di differenza di Rawls si oppone ad altre teorie della giustizia distributiva:

• Il sistema feudale o delle caste: reddito, ricchezza, opportunità, potere sono distribuiti in base
a circostanze accidentali dovute alla nascita;

• Il sistema del libero mercato (il libertarismo): pur stabilendo l’uguaglianza formale delle
opportunità, non garantisce che il punto di partenza sia lo stesso per tutti. Il libero mercato
non assicura una giusta distribuzione di redditi e ricchezze;

- Il sistema meritocratico: neppure la meritocrazia assicura una giusta distribuzione, perché si basa
comunque sulla “lotteria naturale”, cioè sulle doti e talenti che per natura possediamo o no e non
considera nemmeno il contesto, portandoci a dire uno vale uno senza capire da dove vengono le
persone e in quale condizione hanno svolto le loro attività.

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Siamo proprietari di noi stessi?

La teoria rawlsiana della giustizia distributiva si oppone non solo all’utilitarismo ma anche a quella
corrente etico-economica che va sotto il nome di libertarismo.

Secondo i libertari (F.von Hayek, R.Nozick, M. Friedman - economisti che hanno studiato il ruolo della
moneta e del modo in cui i governi potevano muoverla con il tasso di interesse e con la stampa della
moneta per influenzare inflazione e disoccupazione), tassare i ricchi per aiutare i poveri è ingiusto
perché viola un diritto fondamentale: si esercita una coercizione, si viola la libertà di un individuo di
usare dei propri soldi nel modo che questi preferisce

I libertari auspicano un mercato svincolato da qualsiasi freno e sono contrari a ogni forma di
regolamentazione imposta dallo stato non in nome dell’efficienza economica ma della libertà degli
esseri umani:

la loro idea primaria è che ciascuno di noi ha un


diritto fondamentale alla libertà, quello di usare le
cose di sua proprietà in qualunque modo gli
piaccia, purché rispetti il diritto degli altri di fare
lo stesso. (G, p.71)

I libertari sono i teorici dello stato minimo, e ritengono che molte delle attività dello stato siano
illegittime in quanto attentano alla libertà limitando la possibilità di contrarre volontarie pattuizioni
gli uni con gli altri (esiste la filantropia e possibilità di donare, ma non va imposta da un soggetto terzo
in quanto liberale).

Tutte queste posizioni derivano dall’assunto fondamentale che ognuno di noi esercita un diritto di
proprietà su noi stessi, e se siamo proprietari del nostro corpo, allora siamo proprietari dei frutti del
nostro lavoro e abbiamo il diritto di goderne appieno. Sul piano morale, il libertario considera la
tassazione alla stregua del lavoro forzato (sottrazione dei frutti del lavoro) e della schiavitù (negazione
della proprietà di me stesso).

Riferendosi invece alla filosofia europea sappiamo che non siamo proprietari di noi stessi e quindi
nemmeno del nostro lavoro.

Giustizia come equità

Noi non ci meritiamo la posizione in cui ci siamo


trovati quanto alla distribuzione delle doti di
natura, non più di quanto abbiamo meritato il
nostro punto di partenza iniziale nella società. Si
può dubitare anche di quanto possiamo esserci
meritata la maggior forza di carattere che ci ha
permesso di impegnarci a coltivare le nostre
capacità, e in effetti è dovuta in buona misura alle
felici condizioni familiari e sociali in cui si è
svolta la prima parte della nostra vita, per le quali
non possiamo pretendere nessun credito. Qui il
concetto di merito non si applica. (TG, p.113)

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A differenza della posizione libertaria, per cui la vita è necessariamente ingiusta perché non nasciamo
tutti uguali e sarebbe altrettanto ingiusto che la politica tentasse di riparare questa ingiustizia, Rawls
insiste sul fatto che le cose dovrebbero stare diversamente:

Dovremmo rifiutare il concetto che l’ordinamento


delle istituzioni è sempre difettoso, perché
ingiuste sono la distribuzione dei talenti naturali
e le contingenze delle posizioni sociali, e tale
ingiustizia non può non ripercuotersi sui
provvedimenti disposti dagli uomini. A volte si
propone questa riflessione come scusa per
ignorare l’ingiustizia […] La ripartizione delle doti
naturali non è né giusta né ingiusta, così come
non è ingiusto che le persone nascano in una
determinata posizione sociale. Questi non sono
altro che fatti di natura. Quel che può essere
giusto e ingiusto è la maniera in cui le istituzioni
affrontano questi fatti. (TG, p.111)

Lezione 19, 11/05/2021


L’IDEA DI GIUSTIZIA
AMARTHYA SEN
L’approccio di Amarthya Sen

Sen elabora il concetto di giustizia di Rawls, amplifica la sua visione e la sua idea di giustizia si collega
perfettamente alla teoria delle capabilities. Lo scopo della politica pubblica e quindi anche di quella
culturale dovrebbe essere quella di offrire pari opportunità a tutti, per poi lasciare le persone libere di
scegliere una volta che sono consapevoli sia di sé stesse che delle opportunità che si palesano loro.

Le domande che si pone riguardano soprattutto:

• Obiettivo: su come ridurre l’ingiustizia

• Domande: perché dobbiamo accrescere la giustizia? Giustizia di che? Come mettersi


d’accordo per accrescere la giustizia? Entro quali confini (comunitari, nazionali, globali)?

• Cosa: l’idea di giustizia di Sen si colloca all’interno della teoria dell’azione, contro l’indifferenza
e l’inerzia; i mezzi per costruire quel discorso pubblico che egli colloca al centro sia della
democrazia, sia dello sviluppo. (ogni azione per poter accrescere il livello di giustizia deve
avere delle basi concettuali, che permettono di essere continuativa e sensata nel corso del
tempo)

• Come: capacità di esprimere simpatia e di ragionare ➔ cura e valutazione pubblica.

È un’idea priva di autocompiacimento, che deve essere continuamente sottoposta a valutazione e che
debba fornire i mezzi per costruire e arricchire un discorso pubblico, che, secondo Sen, è al centro,
non solo della sua idea di sviluppa, ma soprattutto della sua idea di democrazia.

Lui parte da Rawls concentrandosi, non sulla teoria, ma sulla realtà, su cosa deve essere fatto per
promuovere l’idea di giustizia.

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Da un lato lui considera la capacità di esprimere simpatia (ovvero di essere mossi da dolore e senso di
preoccupazione per i livelli di libertà) ma, dall’altro lato, enfatizza la capacità di ragionare, di discutere,
quindi di dissentire o consentire. In base a queste due capacità diverse può essere difficile aspirare a
una idea comune di giustizia perché diversi sono i modi in cui la giustizia può essere realizzata ma
anche cancellata. È importante che la giustizia venga perseguita seguendo la teoria della scelta sociale
rispetto a quella del contratto sociale. Lui predilige sempre l’idea di libertà nell’azione anche nel
perseguire un’idea di ciò che è giusto rispetto a ciò che non lo è.

Una critica della teoria della giustizia di John Rawls

Sen parte da una critica a Rawls, che, come impostazione segue l’insegnamento di Antonio Gramsci a
cui si ispira, cercare di usare un linguaggio e delle immagini per comunicare in modo efficiente, con
codici conformisti e condivisibili, proposte non conformiste. Con questo metodo riesce ad imporre
idee estremamente radicali (l’idea stessa di capabilities). Utilizza quindi una forma di comunicazione
inclusiva con così conformisti per far comprendere contenuti molto complessi. Il contenuto innovativo
può diventare la norma solo se comunicato adeguatamente. Massima inclusività nell’agire, per non
rimanere indifferenti alle ingiustizie e agire per risolverle, se non in maniera diretta, attraverso
un’azione collettiva, una spinta morale che porta il legislatore ad agire di conseguenza.

Dal momento che per Sen la libertà è il focus, lui ritiene che l’agire sia possibile dove c’è libertà ed è
esso stesso strumento di libertà. “Io agisco in quanto libero da”, non si può ignorare il ruolo che
l’equità economica e sociale hanno nel perseguire la giustizia.

Secondo Sen Rawls adotta un’idea di razionalità che è limitata. L’idea del comportamento
autointeressato considerata razionale è troppo stringente, questa idea deriva dall’idea tradizionale
del contratto sociale di Rousseau e Kant e Locke. Il velo di ignoranza che consente alle persone di
guardare al di là dei propri interessi, è un concetto straordinario perché teorizza priori l’empatia,
mettersi nei panni dell’altro in una situazione originario in cui nessuno di noi è ancora indotti
dall’egoismo e dalle correzioni che la conoscenza ci porta ad avere. Secondo Rawls questo porta a una
idea di giustizia che segue dei principi: la libertà rappresenta sempre una priorità → equità distributiva
e l’uguaglianza delle opportunità, poiché sono delle possibilità di migliorare il presente.

Sen vede dei limiti in questo approccio:

• Coerenza interna

La condizione originaria proposta da Rawls tende a proporre una sola soluzione corretta e una sola
idea di giustizia, ma poiché le persone hanno tutte convincimenti e interessi diversi, non è possibile,
per diversità nella natura umana, non possibile arrivare a un assetto sociale che sia perfettamente
giusto e che possa sviluppare consenso imparziale. → quindi la soluzione perfetta è sottodeterminata,
ovvero non è facilmente raggiungibile con queste premesse.

Allo stesso tempo secondo Sen la soluzione perfetta non è strettamente necessaria, se ci troviamo a
dover risolvere die problemi reali in una società reale e diversificata e imperfetta non è possibile
raggiungere una soluzione unica e perfetta perché non è d’aiuto a risolvere i problemi ma anche a
stilare una graduatoria razionale delle situazioni che si allontanano dalla perfetta idea di giustizia.

È importante misurare il livello di ingiustizia, avere questo ideale, non aiuta le persone a identificare i
livelli di ingiustizia, e a elaborare delle possibili soluzioni diverse per i diversi gradi di ingiustizia.

Sen parla di trascendentalismo istituzionale quando analizza Rawls, la sua soluzione è troppo
trascendente.

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Lui accoglie e rispetta il fatto che Rawls ha sviluppato il concetto di empatia e abbia cercato di dare
una risposta all’indifferenza ma non ha posto le basi per risolvere l’ingiustizia.

• Teoria incapace di guidare l’azione umana

Limite dato dalla fattibilità di questa idea perfetta che Rawls pone, poiché, il fatto che le persone
portino avanti delle istanze diverse porta con sé idea che le persone si accordino, e, già nel mettersi
d’accordo vengono meno ai principi individuali e a un’idea di giustizia assoluta.

L’idea di imparzialità e, non solo ristretta, ma soprattutto provinciale, poiché Rawls riserva le decisioni
sulla condizione originaria a un gruppo ristretto e circoscritto di soggetti che sono nati nella società in
cui vivono e quindi i limiti di questo essere circoscritto in questa fase decisionale. Il concetto di
imparzialità di uno stato sovrano che non tiene conto delle identità individuali e delle diverse
caratteristiche dei diversi paesi, partendo dalla parabola del buon samaritano del Vangelo dice “sono
veramente poche le persone che noi possiamo considerare prossime a noi” e quindi che rientrano
all’interno di questo gruppo circoscritto che prende le decisioni.

Rawls non considera le esternalità negative del gruppo circoscritto, ovvero che i più vengono esclusi.
Si genera una grande massa di esclusi → per Sen è grave perché la sua idea di libertà è collegata alla
correttezza.

Le convinzioni delle persone, secondo Sen, sono posizionali, ovvero dipendono dal contesto. Le idee
che si maturano dipendo dal contesto in cui ci si trova è quello che lui ha chiamato relativismo
posizionale, in base al quale l’ordine di valori ma anche la modalità con cui si sceglie dipendono
dall’ambiente circostante e quindi quanto più è ristretto il gruppo che decide tanto maggiore è il
gruppo degli esclusi tanto è più alta la possibilità che si generino degli errori → la società che decide
è fuori dal mondo. È necessario effettuare una valutazione trasposizonale per comprendere ciò che
è giusto rispetto a ciò che è sbagliato, uscendo dalla propria posizione/contesto, per poter essere
realmente imparziali. (evoluzione del mettersi nei panni degli altri)

Perché e come promuovere la giustizia

• Approccio comparatistico: la situazione X è migliore rispetto alla situazione Y. Confrontiamo


e poi andiamo matematicamente a sommare gli aspetti negativi e quelli positivi.

• Quanto sono giuste le società→ istituzioni e comportamenti (non analizzati da Rawls)

• Risultati delle scelte e delle azioni

Parte dalle scelte fatte all’interno di un contesto sociale più o meno ingiusto che portano a degli esiti
che sono i comportamenti delle persone e delle istituzioni (come aggregati di persone)

La sua analisi si può riassumere rispondendo alle seguenti domande:

✓ Perché dovremmo perseguire la giustizia?

✓ Qual è l’oggetto della giustizia?

✓ Quali sono i requisiti di un accordo ragionevole su come promuovere la giustizia?

✓ Che fare quando permane un disaccordo ragionevole su come promuovere la giustizia?

✓ È possibile definire e perseguire la giustizia a livello globale?

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Perché dovremmo perseguire la giustizia?

In ragione dei sentimenti istintivi, la nostra naturale repulsione verso la crudeltà, che lui chiama le
ragioni spontanee che ci permettono di comprendere cosa è giusto rispetto a cosa è sbagliato. La
ragione deve essere l’“arbitro ultimo delle convinzioni morali”.

Cosa intendiamo per ragionevole?

Un primo requisito è la razionalità → perché le scelte siano razionali si devono fondare su


argomentazioni solide capaci di reggere al vaglio critico (autointeresse e impegno→ scelta di
intraprendere un’azione non mossa solo dal proprio interesse (generosità o spirito pubblico) è
necessario che questo aspetto sia più severo della razionalità in quanto tale).

Un secondo requisito è la ragionevolezza, o il comportamento ragionevole→ capacità di difendere


[un’idea] in una discussione pubblica strutturata in modo libero e aperto”.

La giustizia (correttezza) deve progredire all’idea della valutazione pubblica. È necessario superare il
proprio autointeresse, infatti, mentre Rawls sosteneva che era sufficiente perseguire il proprio
autointeresse per essere razionali, Sen compie un passo ulteriore e aggiunge l’aspetto dell’interesse
pubblico (bene comune).

In questo sistema è possibile che una molteplicità di azioni e scelte possano essere considerate valide
e sopravvivano al discorso pubblico anche a un confronto critico. Diverse idee portano a differenti
ordinamenti e a modi diversi di legittimare una scelta ragionevole, non tutti basati sull’autointeresse
e il reciproco tornaconto di un gruppo avvantaggiato. Il passo successivo è capire come sia possibile
per far andare avanti l’idea di giustizia ed arrivare ad un accordo.

Di cosa dovrebbe occuparsi la giustizia?

Sen parte dai concetti di libertà e uguaglianza. La teoria della giustizia deve essere sensibile a tutte le
idee che possono essere sollevate in un contesto di dibattito pubblico:

Capacitazione: capacità che le persone hanno di comprendere le opportunità che hanno davanti, date
dalla quantità di opportunità che ci si palesano. Le capacità, combinate tra di loro danno vita ai
funzionamenti, ovvero i modi con cui noi sviluppiamo il nostro modo di essere di vivere.

• capability approach: disporre di un focus informativo, per decidere su quali aspetti del mondo
dobbiamo concentrarci quando giudichiamo una società e quando valutiamo la giustizia e
l’ingiustizia. Il vantaggio individuale è considerato in grado alla capacità di fare le cose alle
quali, per un motivo o per l’altro assegna valore.

• opportunità (ci si concentra sulle opportunità effettive di vivere e di decidere come vivere)
come aspetto della libertà poiché riflettono il modo ciascuno di noi perviene al risultato finale.
L’attenzione è posta, non sui beni primari come Rawls, poiché questi non rappresentano
qualcosa che ognuno di noi in maniera indipendente modificare per migliorare la propria
condizione. Il garantire dei beni primari non risponde a un requisito di libertà sostanziale. Allo
stesso tempo non si può pensare solo ai funzionamenti perché non è questo il foucs.

• Solo migliorando l’informazione sulle preferenze delle persone e sui contesti si può arrivare a
convenire sul peso relativo delle capacitazioni e quindi sugli ordinamenti e sulle scelte da fare.
(cosa è meglio per le persone)

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• Attenzione: alla giustizia effettiva e non alla società giusta → rimuovere le privazioni sulle
capacitazioni = società giusta

L’approccio delle capacitazioni è in grado di orientare la produzione dei servizi pubblici e quindi delle
politiche pubbliche e consente di portare tutte le azioni che servono a sviluppare la promozione della
giustizia all’interno dell’architettura e dell’arte pubblica. Non si parla solo di un approccio che ha senso
solo nel campo della teoria del benessere, ma anche per quelle che Sen chiama le operazioni di
agenzia, tutti quegli obbiettivi che una persona si può prefiggere, tra cui l’impegno per un bene
superiore.

Sen è consapevole che l’approccio alle capabilities non comprende tutti gli aspetti di cui si dovrebbe
occupare la giustizia e soprattutto non aiuto a spiegare il concetto di libertà e come questa può essere
spiegata.

“L’idea di libertà può ben sopportare senza problemi molteplici profili, riferiti ora alle capacitazioni,
ora alla mancanza di dipendenza ora alla mancanza di interferenze”

Cos’è giusto?

• Criterio della oggettività- neutralità (→ giustizia) = ciò che sopravvive a un dibattito pubblico
aperto (a punti di vista differenti) e documentato, è acquisita attraverso la conoscenza che
può essere aperta ma è il frutto di un libero scambio di opinioni;

• la valutazione pubblica (fame di informazione) è caratterizzata da apertura (contrapposta a


provincialismo) e imparzialità e dall’esistenza di uno spazio per il dissenso e il conflitto
(fondamentale per sviluppare oggettività) ≠ velo di ignoranza (per egoisti);

• l’opportunità di esprimere la propria voce – convinzioni e valori messi in discussione


dall’esterno→Partecipazione - modelli di comportamento - interazione sociale= DEMOCRAZIA

• apertura a punti di vista esterni per superare abitudini, tradizioni, localismo

Secondo sen rimanere intrappolati nei propri punti di vista d vita alle illusioni posizionali, al fatto che
noi crediamo che la nostra realtà e i nostri problemi siano i più importanti in assoluto, solo aprendo la
nostra visione e conoscenza siamo in grado di ampliare la base informativa su cui fare le nostre
valutazioni → idea contro il localismo e il provincialismo.

Pone l’attenzione sugli effetti negative che le costrizioni all’interno di limiti geografici ma anche
cognitivi possono dare all’interno di relazioni comunitarie. Riconosce il luogo positivo delle comunità,
anche per promuovere la giustizia, ma sostiene che l’identificazione che proviamo all’interno di una
comunità sociale, il senso di appartenenza po’ rendere la nostra vita migliore.

È una risorsa ma nel definire le capacitazioni è necessario far riferimento al contesto in cui gli individui
vivono. → il concetto stesso di capacitazioni è placed-based ovvero nasce in un contesto preciso ma
non deve diventare un nido (comfort zone) all’interno del quale io decido ciò che è giusto rispetto a
ciò che non lo è.

Perché l’identità della persona è qualcosa che travalica il luogo in cui è nata e cresciuto, con un
bagaglio maggiore di conoscenza, l’ampiezza della cultura la arricchiamo prendendo in considerazione
punti di vista esterni per una valutazione imparziale.

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“l’individuo ha molteplici identità, la comunità ne limita le libertà” le classificazioni settarie


rappresentano una trappola, non solo per la nostra libertà di individui ma perché ci portano a
ragionare per categorie che conducono a segmentazioni/segregazioni che non ci rendono imparziali.

Le opinioni esterne, per essere davvero imparziali, vengono da un luogo che non c’è → gli spettatori
esterni da luogo che non c’è per superare la trappola del provincialismo. Ci rende al di sopra delle
parti nel momento in cui valutiamo, l’apertura all’esterno ci permette di prendere in considerazione
gli interessi dei singoli membri, anche della nostra comunità. → l’interazione, lo scambio e il dibattito
hanno un ruolo fondamentale.

Sen non è in grado di valutare la manipolazione e il fatto che le fonti di informazione possono essere
pilotate, questo può essere risolto solo con uno scambio continuo ed è una posizione che si può
raggiungere solo in quel luogo instabile che è l’apertura verso l’altro.

• La democrazia è comunque una forma di governo inadeguata, perche porta a una valutazione
non sempre aperta nei confronti dell’esterno. Presenta die limiti che può fermare l’azione, le
istanze degli estremi vengono soppresse per mantenere la stabilità. Ci devono essere delle
circostanze in cui perseguire la giustizia va al di sopra di tutti i limiti e ostacoli che questo
processo razionale implica.

Cosa è un “accordo”?

Anche nell’ambito di una valutazione pubblica è possibile raggiungere degli accordi

• non equivale alla piena unanimità (non è raggiungibile) delle effettive gerarchie preferenziali
espresso dalle varie persone → possono coesistere posizioni diverse → teoria della scelta
sociale porta alla soluzione delle controversie e ottenere dei punti di vista comunemente
condivisi. Ci permettono di andare avanti mantenendo dei livelli di disaccordo sostenibili e di
incompletezza (tipico del dibattito pubblico). Eventuali contraddizioni possono essere risolte
aumentando il livello di ricettività di informazione dei diversi soggetti.

a) valutazioni comparate (fra contesti diversi) aiutano a prendere decisioni

b) principio di competizione tra possibili decisioni

c) ordinamento incompleto e imperfetto

La teoria è un passo in avanti ma si accetta che questa, comunque, non produca un ordinamento
perfetto. Secondo Sen la teoria della scelta sociale considera la eterogeneità delle prospettive e si
colloca all’interno di una teoria di più ampio respiro, che rende plausibile una molteplicità di scelte.

❖ valutazione pubblica e teoria della scelta sociale portano a giustizia

❖ nel capitalismo mercato, controllo dei mezzi di produzione e Stato crea e riproduce
ineguaglianze “efficienti”, ossia ineguaglianze.

❖ La sua idea rimane ancora molto a livello teorico

Può la giustizia essere promossa a livello globale?

L’idea di giustizia trascende gli Stati, prevede partecipazione politica, dialogo e confronto pubblico”
assieme all’apertura alle “opinioni da un luogo che non c’è” → globale → integrazione di diritti.

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Lezione 20, 12/05/2021


LA CULTURA, IL CAPITALE SOCIALE E LE POLITICHE CULTURALI
Bene e attività culturale (Throsby, 2000)

- creatività nella produzione

- significato simbolico

- proprietà intellettuale

Contenuto diverso rispetto a quello tradizionalmente analizzato dalla scienza economica nella fase
classica e di analisi industriale.

• Valore culturale: estetico, spirituale, storico, di autenticità – non ricompreso nel valore
economico – essenziale per conoscere il comportamento.

In relazione con il valore economico di beni con connotazioni simboliche, proprietà intellettuale bene
intangibile. Beni con impatto sul comportamento individuale che porta a esiti migliorativi nella vita
delle persone che vanno al di là del concetto di mera utilità, legato all’uso dei beni privati. Concetto
che mostra come si è evoluto il ruolo della cultura nella vita delle persone, contrappone al tradizionale
valore economico di un bene o attività, il suo valore culturale, poiché il valore si riferisce a particolari
caratteristiche che possono essere espresse in maniera specifica (es. colore in un quadro), natura
valore culturale elemento di separazione tra fenomeni collettivi comunitari e quelli più strettamente
individualistici. Valore economico nasce da ordine preferenze consumatori e la loro disponibilità a
pagare per un bene che si traduce in un sistema di prezzi informativo e indicativo delle caratteristiche
del prodotto, qui si parla di qualcosa che non può essere interpretato da un sistema dei prezzi ma che
ha una natura diversa: si declinano valore estetico, spirituale, sociale, storico e di autenticità, queste
sfumature mostrano come il modello economico non sia in grado di interpretare pienamente i
fenomeni culturali.

Capitale Culturale

• TANGIBILE → incorpora in sé/aumenta il valore economico del bene oltre al valore economico
si aggiunge quello storico, culturale (un plus nel valore del bene di per sé) -> genera
GUADAGNO (può essere sfruttato e dar vita a delle rendite)

• INTANGIBILE → ha valore economico solo in funzione dei SERVIZI che genera, valore
linguaggio, patrimonio fiscale, beni senza valore economico in quanto tale, sfruttabilità
economica ma hanno un valore in funzione dei servizi ad essi collegati e quindi dei guadagni
legati ai servizi, il capitale tangibile ha gli strumenti per generare un valore economico diretto,
mentre quello intangibile genere un valore economico indiretto - attraverso i flussi di
guadagno che derivano dai servizi collegati a questo bene

Capitale culturale come dimensione che misura le caratteristiche di un individuo, somma conoscenze
e competenze, forma di capitale non legato all’individuo quanto alla somma degli individui e descrive
le manifestazioni della cultura che possono essere considerate durevoli, accumulabili e riproducibili e
dispensatrici di benefici a livello individuale (a livello dei singoli individui che in base alle conoscenze
che accumulano modificheranno il loro comportamento) e collettivo.

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Capitale culturale da preservare perché sia riprodotto, si parla di qualcosa che si estingue con il non
uso, con la trascuratezza, mentre si mantiene tenendolo alimentato, caratteristica intrinseca che lo
distingue da altre. Natura del capitale culturale che genera bene culturali che incorpora, preserva e
fornisce valore culturale in aggiunta a qualunque misura di valore economico che possiede il bene.
Distinzione tra dimensione stock (indica quantità di beni capitali presenti nel territorio in un periodo
di tempo, genera dei flussi) e flusso (i servizi che possono essere generati e consumati e che sono
collegati al bene in questione) nel capitale culturale. Es. Stock quantità di opere d’arte presenti in un
museo e il flusso è la quantità di servizi che il museo può offrire compresi quelli di ricettività turistica,
ma anche magari di formazione ed educazione scolastica, e anche valore che si crea attorno alla
presenza di un valore culturale genera flussi. Maggiore è lo stock, maggiore sarà il flusso di servizi ma
anche viceversa, il valore economico associato alla forma di capitale intangibile può aumentare in
misura dei servizi generati intorno a questo, gli impieghi ottenibili rispetto a un bene specifico. Diverso
è per i beni intangibili che non hanno la possibilità di essere commercializzati se non attraverso
l’acquisto dei diritti su guadagni futuri come il settore della produzione letteraria. Il valore economico
nasce in funzione dei servizi che possono essere generati, questo aumenta con il maggior numero di
impieghi che se ne fa, es. brano musicale venduto alle radio e pubblicato, presente nel sottofondo
musicale di un’anticamera di un dentista, questi usi ne aumentano il valore. Confronto capitale
culturale e naturale, col secondo = risorse naturali rinnovabili (foreste e risorse idriche), non
rinnovabili (miniere e giacimenti di petrolio), gli ecosistemi e anche il mantenimento della biodiversità.
Eco sistema naturale = equilibrio da mantenere, come parlando di cultura - per sostenere la vita
culturale e garantire ritratto società civile. Idea di cultura come eco sistema aiuta a capire quali sono
gli strumenti necessari per preservarlo e come la diversità sia un elemento fondamentale per la
sopravvivenza dell’eco sistema, in ottica di diversità e sostenibilità è importante la dotazione di stock
di capitale culturale di cui una comunità può avere bisogno, importante considerare anche come le
diverse forme di capitale siano interscambiabili tra di loro. Spesso si ritiene che (alla base dei modelli
di teoria della crescita) le forme di capitale che andavano ad esaurirsi o ad estinguersi (naturali e
culturali) fossero sostituite da capitale creato dall’uomo, anche fisico → la capacità di innovazione
poteva rallentare il processo di deterioramento del capitale naturale e culturale grazie all’innovazione
tecnologica, gli studi più recenti mostrano che ciò non è vero, che determinate forme di capitale che
si sono estinte possano avere un sostituto che genera qualche forma di soddisfazione, che porti allo
stesso livello di utilità. Oggi si sa che un bene che si estingue, non tornerà mai più e il valore non potrà
essere sostituito da un altro, questo ci fa comprendere come le organizzazioni siano collegate tra loro
influenzandosi a vicenda: anche la cultura non esiste Lennon ha valore in quanto tale ed
esclusivamente, quanto come oggetto inserito all’interno di un contesto più ampio, per l’effetto che
fa su altri settori e contesti della vita. Elemento che permette di aggiungere valore non c’è solo quello
culturale ma anche quello che la cultura crea nell’essere in relazione con altro. Sostenibilità della
produzione e contenuti culturali - riflessione solitamente dell’ambito economico, considerando la
cultura come un bene capitale, bisogna considerare anche gli aspetti dinamici ed evolutivi,
intertemporali ed intergenerazionali, legati a domanda ed offerta: sostenibilità della produzione del
consumo culturale del bene.

• visione ECOSISTEMICA-diversità

• Sostenibilità (sviluppo sostenibile, concetto applicato alle forme di capitale ma legato al


capitale naturale, conservazione e sviluppo di valori ambientali, sviluppo che soddisfa le
esigenze del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare
le loro esigenze, chiave per garantire nell’ambito culturale una presenza civile di contenuti
adeguata alle generazioni future. Assumendo che il capitale culturale sia fonte di beni e servizi
culturali, quindi valore culturale, allora questi sono beni e servizi che valgono oggi e in futuro
definizione fornita dalla Commissione Brundland nel 1989).

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Aspetti da considerare parlando di sostenibilità, che permettono di applicare il concetto al contesto


culturale:

1. Benessere (materiale/non materiale)

Flusso di beni e servizi culturali apporta benefici alle persone, tra gli aspetti per definire il valore
economico e culturale di un bene è quello di capire in che misura apporta benefici agli individui e alla
collettività, benessere materiale = utilità diretta che deriva ai consumatori, non materiale = beni
pubblici generati per la collettività e che derivano dal capitale culturale e che rappresentano aspetti
che migliorano la qualità della vita delle persone.

2. Equità intergenerazionale (giustizia distributiva)

Anche detta efficienza dinamica, ha a che fare col concetto di equa distribuzione del benessere tra
generazioni presenti e future, sebbene si possano considerare tutte le generazioni che si sono
susseguite nel tempo, la riflessione oggi si concentra sul livello di equità nell’uso delle risorse che
riguarda noi e le generazioni che devono ancora venire, concetto che si può considerare in relazione
allo stock di capitale culturale ereditato ma che dobbiamo consegnare alle generazioni future,
problemi che riguardano l’accesso al capitale e ai servizi/prodotti che genera. In economia viene
definita facendo riferimento al mantenimento di un uguale livello di benessere e utilità tra le
generazioni, espresso da un consumo pro capite o dalla dotazione di risorse, o dallo stock di capitale
presente e disponibile sul territorio (tra gli elementi che indicano questa possibilità: la quantità di beni
acquistabili con un determinato reddito ma anche l’aspettativa di vita - fattori legati al consumo
materiale e alle possibilità che ci si palesano davanti col reddito di cui disponiamo), problema
dell’allocazione efficiente di risorse scarse. Stiamo trattando il nostro capitale in maniera adeguata
affinché il consumo nostro del capitale non vada a compromettere quello futuro? Idea della
conservazione e uso responsabile capitale tale per cui il mio comportamento non danneggi i prossimi.
Assenza di un giudizio di valore, tipico della scienza economica, fa si che il problema sia solo di
efficienza: se voglio preservare risorse per il futuro, è più efficiente che le usi in una certa maniera, a
voler conservare per il futuro ciò che è stato conservato ed è arrivato a noi, vuol dire non usurarlo e
mantenerlo in vita.

3. Equità intragenerazionale (giustizia distributiva)

Come comportarsi nei confronti del prossimo, quali problemi prendere in considerazione nell’ambito
culturale se si vuole garantire una uguale possibilità di accesso ai contenuti culturali e una
partecipazione alla vita culturale, che altre persone usufruiscano di servizi culturali, che tutti possano
accedervi

4. Differenza

Preservare la differenza, come alimento e nutriente che permette di rigenerare continuamente un


sistema, una biodiversità culturale che permette di garantire forme di equità anche intergenerazionale
attraverso un rinnovo continuo, fondamentale nei sistemi culturali e nelle industrie culturali,
possibilità di rigenerare il capitale (es. se si pensa alla cinematografia americana del ‘900, e al fiorire
della produzione, quantità di contenuti e al linguaggio prodotto, si ricorda che le industrie culturali
statunitensi sono state ricettive nei confronti di immigrati europei, numerosità e differenziazione di
persone rendeva forte la cinematografia americana: Casablanca, prodotto di grande successo dato da

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una commissione che permette di parlare un linguaggio del mondo, mercato di tante persone da paesi
diversi e con gusti differenti, differenza da preservare come valore funzionale al fatto che la differenza
ci permette di fornire nuovo capitale)

5. Precauzione

Principio che serve ad evitare che le specie si estinguano, lo stesso vale per la cultura: comportamenti
per evitare che il capitale culturale si distrugga, sapendo che l'intervento dell’uomo potrà solo in parte
recuperarlo e che certi beni sono insostituibili, quando si distrugge un bene bisogna essere
consapevoli di cosa si sta distruggendo e a cosa si sta rinunciando, in ottica eco sistemica, nessun
ecosistema è indipendente rispetto agli altri, le forme di capitale si influenzano a vicenda. Cattivo uso
capitale può incrinare la risorsa e le altre a cui questa è connessa. Rottura di sistema può generare
perdita di benessere, ecosistema culturale, funzionando bene, può essere la base di un sistema
economico florido, poiché l’ecosistema culturale influenza le scelte e il comportamento delle persone,
e di conseguenza il loro modo di agire come soggetti economici. Trascurare il capitale culturale vuole
dire lasciarlo deteriorare e permettere che i valori che questo porta con sé e rappresentano la
comunità, vengano abbandonati: trascurare identità di un popolo, nazione, lasciare che si deteriori lo
stock di capitale culturale materiale e che non si attivino i flussi, che scompaia il capitale intangibile:
far sì che ci sia una perdita verticale in termini di benessere e quindi di output economico. Cultura
come agente che muove le persone e cambia il loro comportamento, nel loro agire con senso di
giustizia e dell’azione.

6. Mantenimento sistemi culturali e interdipendenza

Le politiche culturali, Strumento politico/Oggetto socialmente desiderabile

Le politiche culturali non creano questioni dibattito, non mettono in difficoltà le parti, spesso la politica
culturale raggiunge l’unanimità dei consensi perché è considerato uno strumento politico e anche un
Oggetto socialmente desiderabile (si dà per scontato che sia lo stato ad occuparsene attraverso
strumenti come la regolazione, relazione forte tra economia e cultura, la prima mezzo attraverso cui
lo stato esercita controllo sulla cultura, le decisioni del policy maker sono economiche, decisioni
pubbliche sono politiche economiche, eccessiva enfasi data all’aspetto economico della politica
piuttosto che su un’azione). Il perseguire obiettivi economici e politiche economiche interessa molto.
Possibile che le politiche soddisfino interessi di pochi piuttosto che molti, ma è anche possibile che
nella sua azione lo Stato vada ad impicciare i livelli di libertà, coesione sociale, pace e sicurezza, che
sono componenti collettive la cui domanda non per forza viene soddisfatta da un soggetto esterno,
livello di d coercizione che uno stato può esercitare vs il livello di libertà e autodeterminazione che un
individuo può vantare. Spesso considerano individui incapaci di intendere e di volere e quindi destinati
ad essere guidati da una forza superiore, ma gli ideali di libertà autonomia e autodeterminazione, ciò
che riguarda l’idea di giusto, laddove vi è una comunità consapevole, non possono essere lese da una
regolazione, laddove questa non implichi una forma di coercizione (non si sia costretti a fare delle
cose).

Rapporto economia-cultura con politiche pubbliche/economiche coincidenti (obiettivi individualistici


vs collettivi)

libertà, autonomia, autodeterminazione, egualitarismo

Cultura e Stato: l’economia delle politiche culturali

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Se si accetta l’importanza dell’economia nella formazione di politiche pubbliche, fino a che punto la
scienza economica e l’approccio economico possono influenzare i policy maker quando si parla di
decisioni di natura culturale.

• Definizione ampia di cultura (tradizioni, credenze, ecc.)

Rappresenta un contesto per attività economica (all’interno del quale economia e attività economica
sono un sottoinsieme, sistema all’interno di un eco sistema culturale più ampio, la cultura influenza le
decisioni economiche, le performance economiche, ma non rappresenta una ragione per deliberare
un intervento pubblico) → politiche hanno base economica (interventi, detrazioni, regolazioni,
formazione e incentivi).

Se si riconosce l’importanza dell’economia nella decisione pubblica (e si riconosce ciò perché sono
spesso decisioni economiche), politica economica coincide con la politica pubblica e quindi con la
politica culturale; se però si considera un’ampia idea di cultura (stili di vita, tradizioni, modi di essere),
allora il sistema economico è un sottoinsieme all’interno dell’ecosistema culturale, questo
sottoinsieme è influenzato dalla cultura e ambiente, contesto culturale nel momento in cui si
considera un’idea di cultura ampia e antropologica, ci sono delle dimensioni economiche non
trascurabili ad esempio nel patrimonio o nell’attività di una casa editrice, che sono oggetto
dell’interesse, misura del modo in cui i governi realizzano interventi economici in questi settori,
usando strumenti come sussidi, regolamentazione, di cui lo stato può disporre. Dimensione
economica dei settori è oggetto di politica pubblica. Nel momento in cui la dimensione economica
interessa le arti: girare un film, editare un libro, dipingere un quadro, ecc. - tutto ciò viene fatto per
ragioni economiche, la dimensione economica pervade il settore dell’arte tanto quanto gli altri settori
(es. chi decide di realizzare un quadro lo fa per venderlo, la dimensione economica non si svincola,
importante nell’ambito del contesto artistico e culturale, il fatto che ci sia interesse economico, fa sì
che ci sia bisogno di regolazioni e contribuzioni, chi esercita il potere legislativo di decision maker, lo
fa attraverso gli strumenti di cui dispone).

• Comportamento del decisore pubblico → intervento e libero mercato:

Azioni che possono essere attuate per intervenire anche se rispettando il libro mercato e
l’autodeterminazione dipendono dal comportamento della cittadinanza e comunità, e da come il
comportamento viene interpretato dal decisore pubblico e sono:

- indifferenza/paternalismo (o ostile nei confronti delle arti perché non le capisce o le


considera elitarie, imposizione di preferenze da parte del governo per le arti
attraverso sussidi o altre misure può risultare paternalistico laddove si presume che
la sovranità del consumatore guidi la sua libertà di allocare le risorse dove vuole: se il
governo mi dà un sussidio per fare acquisti in arte, mi costringe ad alterare il mio
meccanismo delle preferenze e a spendere quei soldi in arte, quindi che non sono in
grado di scegliere come allocare le risorse e che non ho risorse da allocare, bonus ad
esempio non si concentra sulla possibilità economica ma solo della scelta, dà infatti a
tutti la stessa quantità)

- condivisione/supporto (si può ipotizzare che i governi agiscano semplicemente dietro


la condizione che i cittadini condividano i gusti e le preferenze dei governanti, in
funzione di ciò il governo ha il dovere di supportare qualcosa che interessa a tutti)

- rent seeking/vantaggio (i sussidi pubblici all’arte potrebbero essere il risultato di un


comportamento di rent seeking, ovvero acquisizione di rendita di posizione da parte
di lobby o gruppi, quindi che ci siano individui o gruppi nell’industria dell’arte che

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possono inserirsi nel processo di creazione della politica pubblica e dell’erogazione di


finanziamento per volgerlo a loro vantaggio: mezzi che portano una categoria
specifica ad attirare verso di sé un orientamento di una politica, un finanziamento o
detrazione, forma di intervento)

Qual è la logica economia dietro? Il libero mercato è un modello che si base sullo scambio volontario
tra le parti, come si giustifica questo tipo di intervento con un modello che vede la libertà
dell’intrapresa e della scelta come gesti volontari frutto di un ordinamento di preferenze razionali ed
esercizio del sé in assoluto?

vi è una logica economica?

• Fallimenti di mercato:

Si sa che le arti rientrano all’interno di un classico fenomeno di fallimenti di mercato, generano


esternalità positive alle generazioni presenti e future, che il meccanismo di produzione e consumo
delle arti deve mantenere sostenibilità, che esiste un valore nelle attività che è di uso, scambio,
d’esistenza e opzione, che abbiamo ereditato e dobbiamo lasciare in eredità insieme ai benefici che,
come individui e collettività, traiamo dall’uso delle arti. Benefici che mostrano l’utilità che traiamo dal
consumo delle arti e che caratterizzano la natura di bene pubblico delle arti

• Bene meritorio:

Arti rappresentano un bene meritorio, tutto ciò rappresenta una base fondamentale e sufficiente
affinché vi sia un’azione normativa e collettiva nella regolazione del sistema.

Attraverso le arti siamo in grado di creare beni capitali, sociali, esternalità positive presenti e future,
ciò va a modificare le funzioni di utilità dei consumatori/utenti attuali e future, e va a richiedere
l’esistenza di atti normativi che hanno bisogno di alcune condizioni affinché si realizzino nella loro
pienezza.

Aspetti normativi

1. consumatori informati

Funzionamento efficiente richiede perfetta informazione: prezzo che descrive caratteristiche del
prodotto, se gli individui non hanno le info necessarie su cui basare le scelte o ignorano quale sia il
benessere per bis cognitivi: benessere di breve e lungo termine, possono prendere decisioni che non
rispecchiano al meglio i loro interessi per mancanza di informazioni, conoscenza e benessere, in tal
caso è giustificata un’azione collettiva, correttiva almeno su misure volte a fornire misure volte a
offrire integrazione e istruzione, modello di Richard Tahler sul nudging, legato alla scarsa
consapevolezza del nostro benessere che dipende da bis cognitivi, meccanismo celebrale attraverso il
quale tendiamo a vedere come maggiore l’utilità di breve periodo rispetto a quella di lungo, essere
miopi legato a meccanismo cerebrale volto alla sostenibilità immediata della specie, su questo si può
intervenire, ad esempio per il sistema pensionistico: intervengo prima che sperperino i soldi, o anche
attraverso l’istruzione.

Chi non consuma arte potrebbe non farlo perché non sa che l’arte genera esternalità positive, che
ascoltare musica può migliorare la giornata, quindi governo potrebbe cercare di intervenire per

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aiutare il pubblico e trasformarlo in esperti, aumento consapevolezza e conoscenza, miglioramento


del benessere ed esternalità positive che migliorano la qualità della vita facendo star meglio le
persone, le percezioni errate possono portare gli individui ad assumere comportamenti non coerenti
coi valori, posso sapere cosa mi fa bene ma la mia condizione di vita potrebbe portarmi a non riuscire
a perseguirlo: es. so che qualcosa mi fa stare bene ma per qualche motivo non ho tempo di usufruirne
- riduzione di benessere, sono consapevole della mia condizione ma devo fare una scelta che lo riduce,
posso agire con interventi correttivi.

Indipendentemente dalle preferenze e dai bias cognitivi, e dalle condizioni esterne, che ci portano a
non essere massimizzanti per il nostro benessere, questi elementi di apparente irrazionalità
rappresentano? Azione governativa che potrebbe alterare il meccanismo di scelta, però potrebbe poi
condurmi verso una posizione in cui sarò in grado di esercitare ancora di più la sovranità da
consumatore: costringendomi a fare qualcosa che non voglio fare, ma facendo questo mi porterai a
stare meglio, sacrifico un po’ di libertà e benessere attuale per averne di più in futuro valore di opzione
capacità del settore pubblico di essere lungimirante e poter vedere un arco temporale lungo, fa sì che
un consiglio? Di adottare e applicare, vivere le arti, porti a mitigare miopia, indolenza.

Individuali di breve termine, guida nel comportamento individuale in funzione della creazione di beni
pubblici, sociali e irriducibili futuri. Un altro elemento è quello che è possibile che esista una funzione
di benessere sociale che quando si parla di arti rappresenti un concetto troppo restrittivo dell’idea di
benessere: benessere che deriva da un contesto in cui sono prodotti i beni sociali meritori come le arti
è un contesto in cui il livello di benessere sociale è molto più grande rispetto alla somma delle utilità
individuali.

Politica pubblica esprime un’idea di benessere superiore a quella espressa dai singoli. si può
considerare la funzione di benessere sociale come qualcosa di troppo restrittivo quando si parla di
arti: ovvero una società in cui il policy maker prende delle decisioni di politica culturale e pubblica
volte a produrre una maggiore quantità di beni sociali e irriducibili, di beni socialmente meritori come
quelli dell’arte, ecco questa società mostra un’idea di benessere collettivo che è maggiore del
benessere che otterremmo andando a sommare le singole funzioni di utilità dei singoli consumatori,
se si somma la domanda dei beni culturali dei singoli consumatori, si ottiene una funzione di benessere
sociale più piccola rispetto a quella di una società in cui il policy maker costruisce e tutela beni culturali
con lungimiranza.

2. comportamento non coerente con i valori

3. funzione di benessere sociale restrittiva

La somma delle utilità individuali porta ad una funzione di utilità collettiva più piccola e restrittiva
rispetto a quello che potrebbe essere, se lo Stato desse retta ai consumatori, avrebbe persone che
chiedono solo Trap? - ipotesi in base alle quali vengono prese delle decisioni pubbliche, se sono un
paese con tanti giovani a cui piace un genere musicale, ho una utilità sociale data dalla somma di
persone a cui piace quel genere, quindi finanzio solo cantanti e musicisti che producono questo tipo
di musica, a livello di benessere sociale saremmo messi molto male, ma se lo Stato sa che c’è un
universo di musica che i consumatori non domandano e la sostiene, sa che è un bene meritorio, sociale
che fa star bene i consumatori oggi e nel futuro, sacrifico la loro voglia di comprare il genere brutto
per un migliore benessere futuro.

La funzione di benessere sociale che può essere costruita da un governo lungimirante che sostiene le
arti, è una funzione di benessere sociale più grande rispetto a quella che si otterrebbe considerando

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il livello di benessere dei singoli individui oggi e si avrebbe quindi un governo lungimirante che
attraverso le policy permette di costruire, sostenere e supportare elementi che creano benefici ed
esternalità positive su tutti gli individui, anche questo motiva un intervento di sostegno alle arti e
l’applicazione di politiche culturali)

Idea di benessere sociale ampia (Rawls), idea di consapevolezza e coerenza coi valori (Sen) →
distorsioni cognitive dipendono dal fatto che possiamo essere poco istruiti, ma anche dal fatto che
abbiamo dei meccanismi cognitivi che rendono la nostra razionalità già limitata, ancora più limitata.
Non siamo in grado di comprendere cosa è bene, ma nemmeno le istituzioni lo sanno e attraverso
un’azione collettiva si può arrivare a una soluzione che sia la meno peggio, quindi non che si arrivi a
migliorare la vita pubblica di tutti, ma almeno di qualcuno.

mitigare miopia e indolenza; costruire beni sociali irriducibili

Lezione 21, 18/05/2021


Cultura e Stato: la politica delle politiche culturali
Le ragioni economiche che spingono un intervento pubblico non sono secondarie perché sono
in primis economiche. Passano attraverso azioni che richiedono dei finanziamenti.
Gli aspetti relativi alle questioni normative, che riguardano le motivazioni di policy che
spingono a intervenire su questo settore.
• Elemento fondamentale è quello della considerazione che si ha nei confronti della
cultura e dell’arte, le politiche sono dotate di buone intenzioni, nascono da una idea
di cultura che si diffonde nel corso del XIX sec. Diffusione idea di cultura e ruolo sociale;
Nazioni Unite; Unesco; Non considera solo le arti ma considera il modo di vivere nel suo
complesso della società, quindi lo sviluppo intellettuale delle popolazioni e la pratica delle arti.
In base a questa concezione si crea il legame tra crescita culturale dell’individuo e contesto
sociale all’interno del quale questa crescita si manifesta, idea relativa che mostra come
l’ambiente circostante influenzi profondamente la natura della fioritura culturale delle
persone.

• Parliamo di cultura come insieme di tradizioni e costumi che governano la società →


rappresenta quella che viene chiamata una virtù civilizzante, fondamentale per una
partecipazione attiva all’interno della vita democratica. Ogni tipo di intervento e la vocazione
degli interventi è guidato dal clima politico del tempo.

Carta delle Nazioni Unite del 1945 che tiene conto della dimensione culturale e del diritto alla cultura
che poi verrà inclusa nella Dichiarazione dei diritti umani del 1948. L’UNESCO nel 1946 comincia a
regolare questi aspetti con delle conferenze fondamentali come quella di Venezia 1970, Messico 1982,
nel quale riconosce l’importanza generale della cultura negli affari nazionali e nello sviluppo delle
comunità e dei Paesi. Comincia ad elaborare delle linee guida che servono ad elaborare delle politiche
culturali.

Le attività dell’UNESCO non solo servivano a conoscere il ruolo della cultura nell’ambito dei processi
di civilizzazione e di sviluppo ma anche per sottolineare e rafforzare il ruolo delle identità culturali e

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di come queste potessero essere accresciute da una partecipazione attiva alla vita culturale che poteva
essere sviluppata attraverso promozione della cooperazione culturale internazionale.

Il perseguimento di questi ideali viene rafforzato negli anni Novanta, quando le politiche culturali
diventano un qualcosa di strutturato, su cui tutti i paesi iniziano a lavorare in maniera massiva. Non
secondario questo è legato al fatto che in questi anni si sviluppano maggiormente le industrie culturali
e quindi quegli aspetti della pratica culturale che sono direttamente profittevoli.

Il Work mission of culture and development della commissione mondiale della cultura e dello sviluppo
delle Nazioni Unite tra il 1992 e il 1995 pone delle basi importanti che poi guideranno le politiche
successive, ancora quelle di oggi. Viene riconosciuto il ruolo dello sviluppo sostenibile e la fioritura
della cultura come elemento che è interdipendente a qualsiasi altra dimensione di sviluppo. Questo
aspetto riguarda tutti i paesi, sia quelli più avanzati che quelli che si trovano in una fase di sviluppo
meno accesa. All’interno di questa conferenza vengono identificate quali devono essere le politiche
culturali centrali e quali devono essere gli obbiettivi che permettano una piena realizzazione umana
attraverso la creazione di un ambiente favorevole. (rimanda alle capabilities di Sen)

Gli obbiettivi di natura politica che devono essere perseguiti sono:

1. Rendere le politiche culturali una delle componenti chiave delle strategie di sviluppo

2. Promuovere la creatività e la partecipazione nella vita culturale

3. Rafforzare le linee politiche e pratiche per promuovere le industrie culturali

4. Promuovere la differenza culturale linguistica

5. Rendere disponibili maggiori risorse umane e finanziarie per lo sviluppo culturale

Viene enfatizzato il ruolo delle industrie culturali, poiché creano poti di lavoro, soft power e profitti.
Contribuiscono a un meccanismo di redistribuzione delle risorse centrale all’interno di qualsiasi
contesto democratico.

Possiamo riconoscere delle tendenze nelle politiche culturali:

• Anni ’50-’60:
Dal secondo dopo guerra, abbiamo lo sviluppo del welfare state e quindi si diffonde un’idea
egualitaria di una cultura per tutti, quindi si avviano delle politiche di sostegno alla produzione
e alla partecipazione.
• Anni ’70:
L’attenzione si muove verso una visone più funzionale della cultura e si riconosce il ruolo delle
industrie culturali emergenti, nello specifico cinema e musica, e si riconosce il loro dinamismo
e il loro contributo economico ma anche sociale. È un processo importante di presa di
coscienza del potere trasformativo della cultura che prosegue negli anni successivi.
Il ruolo di queste industrie, in un’ottica di capacità di impiego e di centralità all’interno delle
politiche regionali e locali, diventano centrali.
• Anni ’90:
Vediamo un consolidamento del ruolo dell’industria e dell’idea che lee politiche culturali
possono avere per lo sviluppo culturale, ma anche avvio delle pratiche di turismo culturale e
quindi di sfruttamento economico del patrimonio.

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Queste pratiche si accompagnano a fasi anche di privatizzazione e all’entrata, all’interno delle policy
pubbliche, di soggetti privati. Abbiamo anche un cambiamento anche nelle strutture, nelle imprese e
fondazioni diverse che servono a gestire il funzionamento di questa macchina.

In questo percorso assistiamo a grandi cambiamenti che sono guidati da elementi particolari:

• Inclusione: transizione da una base monoculturale dell’offerta e della disseminazione della


cultura da parte dello stato a un contesto maggiormente inclusivo e diversificato.

• Indebolimento delle élite culturali: l’aspetto precedente deriva da un indebolimento delle


élite e delle classi agiate a favore della nascita di un sistema culturale che parte dalla base,
dalle persone comuni e dalla diffusione di una cultura pop e quindi da una decostruzione del
ruolo dell’alta cultura a favore della media. Con una attenzione particolare alle minoranze che
diventano dei soggetti potenziali consumatori di contenuti culturali (durante il 1900 il prezzo
del contenuto culturale va diminuendo fino a scomparire come avviene oggi). Maggiore enfasi
che le politiche culturali hanno posto sul concetto di partecipazione e di inclusione piuttosto
che al concetto di produzione culturale di alta qualità. (valori comunitari) La maggiore
attenzione ad ampliare la platea dei potenziali consumatori/utenti ha distolto l’attenzione
dalla qualità del contenuto stesso.

• Deregulation e privatizzazione: è una conseguenza alla riduzione del finanziamento pubblico,


ma dall’altro lato si riconosce il valore del privato nell’offrire contenuti culturali. (utilizzare i
fondi ottenuti dal gioco d’azzardo per le politiche culturali)

• minori risorse pubbliche e riorganizzazione

• Globalizzazione: la possibilità di accedere a contenuti culturali più vari, ha rappresentato una


forza incredibile. Oggi abbiamo minore necessità di intermediari per accedere a dei contenuti
(didintermediazione). Da un lato non abbiamo più bisogno di un intermediario, dall’altro non
ne riconosciamo più il valore. Il dibattito sul fatto che questa maggiore facilità di accessoabbia
portato a una maggiore omologazione del linguaggio e dei contenuti e, in particolare, al
predominio dei contenuti anglosassoni sulle altre culture. La maggiore integrazione ha portato
counque alla presenza di una forte differenziazione dei contenuti presenti sul mercato, ma
questo non ha modificato il gusto dei consumatori. (toccano l’offerta ma non modificano la
domanda)

Valore economico e culturale delle politiche


Sono due valori che si possono arricchire ed escludere a vicenda.

La politica economica attraverso la quale si esercita una politica culturale ci mostra come il mandato
che il regolatore pubblico deve avere, consiste nel rivolgersi alle aspirazioni culturali della società, in
tutte le sue manifestazioni (condivise o meno). Va da sé che è il valore culturale che traduce questi
aspetti, quindi non può essere ignorato e valorizzato in quanto tale, non necessariamente per il suo
collegamento al valore economico. Se così fosse, il patrimonio culturale avrebbe valore solo in
funzione del flusso di reddito che potrebbe generare e non avere un valore (valore di opzione)
fortemente identitario che noi trasmettiamo alle generazioni future.

Affinché le politiche vengano accettate devono comunque essere impostate su risultati economici
e sociali riconoscibili. Questi risultati di natura quantitativa, ma soprattutto qualitativa, ci aiutano a

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capire la direzione, se il percorso è corretto o necessita delle modifiche. Le info prodotte ci possono
permettere di valutare le politiche pubbliche, di confrontare la funzione obbiettivo delle politiche e
capire se l’obbiettivo è stato raggiunto.

• Il valore economico (fondamentale perché guida le politiche) va distinto da quello culturale

• partnership e interesse pubblico per ridurre i vincoli economici

Oggi il valore culturale è riconosciuto, è assoldata la necessità di dover riconoscere le aspirazioni di


tutti gli elementi, ma allo stesso tempo si presume che la cultura possa servire e possa essere
compresa all’interno di una valutazione economica. La valutazione non è alternativa tra le due forme
di valore ma p complementare. I vincoli economici che hanno limitato e che limitano la produzione
culturale devono essere il più possibili contenuti utilizzando gli strumenti di cui il policy maker dispone,
è necessaria una riduzione dell’enfasi sul potere delle arti nel produrre guadagno economico per
spostarsi verso aree di interesse che generino un compenso piuttosto che un guadagno economico.

Creare una funzione obbiettivo che sia composita, che abbia al suo interno sia dei contenuti economici
che dei contenuti culturali, cercando sempre di più di cogliere quali sono gli elementi rilevanti e i mezzi
più appropriati per sviluppare le politiche culturali.

È importante quindi ricercare il ruolo della cultura all’interno di aree all’interno delle quali questo non
è stato ancora riconosciuto, di andare a capire quali sono gli aspetti più rilevanti e quali sono i mezzi
più appropriati per esprimere gli scopi delle politiche culturali.

EUROPA CREATIVA E LE POLITICHE CULTURALI EUROPEE 2014-2020


Negli ultimi anni la comunità europea e le sue istituzioni hanno concentrato molta attenzione verso le
industrie culturali e da sempre sul ruolo che le politiche europee potevano avere per sviluppare una
identità europea e un maggiore livello di coesione. Tra le ragioni fonanti dell’UE vi è quella di superare
le separazioni che hanno dilaniato il continente nella prima metà del Novecento e di fare sì che le
separazioni non degenerassero per una terza volta in un conflitto. La costruzione di una identità
europea è qualcosa di “forzato”, nel senso che il continente europeo è caratterizzato da identità locali
molto forti e differenziati → la costruzione di una identità comune è stata fatta dalle istituzioni, è una
ricostruzione di una identità preesistente. Dove l’identità comune non va a sostituire le identità locali,
ma va a completarle.
Europa creativa è figlia, da un lato di un processo di privatizzazione e inclusione di nuovi soggetti
all’interno delle politiche e delle azioni, dall’altro lato della grande attenzione verso le industrie
culturali.
Il percorso
• 18 dicembre 2012: La Commissione CULT approva la relazione Costa (22 voti a favore su 24)
• 5 novembre 2013 approvazione in Commissione Cultura con 21 voti favorevoli su 22
• 19 novembre 2013 approvazione in seduta plenaria del Parlamento Europeo con 650 voti a
favore, 32 contro, 10 astensioni
• dal 10 dicembre 2013: la Commissione Europea emana i primi bandi.

Le politiche culturali in Europa

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• La base legale: - Trattato di Lisbona, art. 167: l’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle
culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando
nel contempo il retaggio culturale comune. L'azione dell'Unione è intesa ad incoraggiare la
cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l'azione di questi
ultimi nei seguenti settori: miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e
della storia dei popoli europei, conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di
importanza europea, scambi culturali non commerciali, creazione artistica e letteraria,
compreso il settore audiovisivo […] (art.166; 173)
• Convezione UNESCO 2003 sul patrimonio culturale tangibile e intangibile
• Convenzione UNESCO 2005 sulla diversità culturale e linguistica nota: ne consegue
direttamente l’applicazione del principio dell’ECCEZIONE CULTURALE negli accordi bilaterali
dell’Ue (es.: accordo commerciale Ue-Usa)
Eccezione culturale: aspetto grazie al quale l’UE riconosce oltre a una identità comune, delle
identità locali che possono, per essere tutelate a forme di policy che possono essere anche
divergenti da quanto richiesto dall’UE.

La programmazione del 2020

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Strumenti: gli accordi di partenariato


• Il regolamento della nuova programmazione dei Fondi Strutturali prevede un accordo di
partenariato tra Stato Membro e CE, per stabilire la strategia – risultati attesi, priorità, metodi
di intervento – di impiego dei fondi comunitari 2014-2020

• In Italia l’accordo di partenariato è negoziato congiuntamente dal Dipartimento per lo


Sviluppo e la Coesione economica (DPS) e le Regioni

• inserire una linea specifica sulla cultura (anche se nell’area ambiente)

A LIVELLO NAZIONALE e REGIONALE occorre ripensare le politiche culturali secondo un approccio che
preveda l’impiego dei fondi per:

• Promuovere il patrimonio ai fini dell’ampliamento del pubblico nonché del turismo culturale

• Sviluppare nuovi modelli di management e di rapporto pubblico/privato

• Favorire lo sviluppo territoriale collegato a beni e servizi culturali

• Configurare progetti e azioni rivolti alla creazione di infrastrutture e servizi per le


organizzazioni e le imprese (incubatori, hubs, sportelli, informativi).

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Il programma Europa Creativa 2013-2020

Le sfide

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Lezione 22, 19/05/2021


Europa creativa e le politiche culturali europee 2014-2020

Il valore di una policy non è solo economico e culturale ma anche un: valore aggiunto europeo (il
carattere dei programmi e delle proposte devono presentare un plus garantito dall’essere dei
progetti sviluppati in un ambito europeo).

Anche l’aspetto dello sviluppo di nuove forme di imprenditorialità e di modelli di gestione, e attività,
è tra gli aspetti centrali in questo tipo di programmazione (centrata su aspetti legati all’innovazione e
ingegnerizzazione dei processi). Rafforzamento della cooperazione transnazionale è un aspetto che
enfatizza come la partecipazione di categorie ed operatori a questo tipo di bando è favorita quando
relazioni già esistevano, questi bandi favoriscono la creazioni di reti europee, creare reti problema che
caratterizza tutti i paesi: se non si è in un network non si può partecipare.

Linee guida alternative, non tutti i requisiti necessari, ma necessario che sussista almeno uno di
queste, molto generiche:

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• a settori → Culturali e creativi in grado di produrre, progettualità che incideva anche sul
sostegno all’offerta attraverso forme di sussidi di qualche tipo
• a soggetti → Soggetti che potevano fare domanda. Micro = imprese individuali o con al max 3
persone, piccole dai 3 ai 5, medie dai 10 ai 25 e si va crescendo.
• a paesi → Si poteva operare tra 2013 e 2020, programma del 2021 influenzato dalla pandemia,
orientato al sostegno all’offerta mentre questo programma era più inclusivo ed era orientato
a innovazione e sviluppo, quello attuale è orientato al recupero e costruzione delle attività
che hanno subito più danni. Dopo la Brexit, UK non parteciperà più se non casi particolari per
progetti specifici.

Obiettivi della politica, richiesta fatta alle attività che si propongono nei bandi: (tra i problemi della
produzione culturale europea vi è quello legato alla frammentazione del mercato interno, la vasta
domanda e la difficoltà dei prodotti europei di essere esportati)

(→ punto 1) Sostenere export. Sviluppo audience, pubblico da accudire e che deve crescere, senza
pubblico non si vende ma non è l’unico aspetto da valorizzare

(→ punto 2) Enfatizzato il ruolo dell’inclusione e della necessita di interagire e acquisire un linguaggio


europeo prima e internazionale poi

(→ punto 3) Il rafforzamento passa inevitabilmente per una creazione di un fondo di garanzia che
possa garantire per rispondere alle esigenze di credito, coinvolgimento settore bancario, finanziario e
creditizio. La questione del rafforzamento della capacità finanziaria passa per il coinvolgimento di
questi due settori. Degli operatori prestatori di denaro e attraverso la creazione di fondi di garanzia,
ovvero di assicurazioni fatte nei confronti di operatori che tendono a finanziare opere certe, di sicuro
successo o opere che si sa già vinceranno premi e a sotto finanziare attività giovani, opere prime,
indipendentemente dal fatto che siano o meno promettenti in termini di successo e incassi.
un’organizzazione con una sua ratio = legata a necessità dello stato di contenere le perdite e finanziare
ciò che può rientrare nell’investimento, da un lato stimolare il soggetto e l’organizzazione che saranno
titolari di un finanziamento pubblico, riconoscere maggiore responsabilità verso il portare a termine
un progetto rispettando tempi e budget. Se è difficile per i giovani accedere alle risorse, significa che
vengono date solo ai vecchi.

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Priorità del subprogramma Cultura

Le misure

Le priorità del subprogramma MEDIA

Dinamica di funzionamento di questa linea di finanziamento è rimasta come struttura presso che
stessa negli anni

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Le misure

Le sfide per l’Italia

Promossi finanziamenti dalle regioni, che sono in grado di selezionare progettualità coerente col
territorio da rappresentare, passare dallo stato potrebbe infatti un ulteriore livello di omologazione,
mentre il desiderio è quello di essere più particolare e guardare alle esigenze

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LA POLITICA CULTURALE ITALIANA: IL CASO DEL SETTORE TEATRALE


Molte policy in Italia, lo stato regola i macrosettori ma anche in questo campo c’è una delega alle
regioni nella gestione di aspetti specifici della produzione del consumo culturale sul territorio)

Testo di Marco Serino Reti culturali in una prospettiva multidimensionale

Testo che si occupa dell’analisi di network e del contesto legislativo del settore in Italia, tra i settori
che hanno pagato maggiormente ma che hanno affrontato le difficoltà con dignità, pazienza e
capacità. Alcuni si sono spostati sul digitale, altri si sono limitati a sviluppare capacità e attendere
momenti migliori perché vedono nel pubblico una questione fondamentale per ripartire, perché il
pubblico è parte della performance.

Importante parlare di teatro, tra le forme d’arte più antiche e più condivisibili, coinvolgenti e
appassionanti, dove il nostro paese ha mostrato capacità e talenti, grande drammaturgia, grazie al
quale la lingua italiana si è evoluta e non a caso è stato tra i settori che ha pagato maggiormente
durante la pandemia, anche perché si esercita la libertà, luogo di libertà. Questo periodo di pandemia
ha mostrato la considerazione del paese nei confronti di questi settori (in negativo, all’ultimo posto),
mancanza di aiuto a un settore che si stava evolvendo e aveva molte necessità, in generale difficile
regolare i settori. Anche per la legge del 2014, che regola il settore solo in funzione dello spazio che
occupa: se una società ha un luogo da rappresentare, allora viene riconosciuta, altrimenti no. Legge
del 2007 (ripresa nel 2014) che aveva portato al fallimento molte associazioni e cooperative di
produzione teatrale che si occupavano di ricerca, favorendo istituti pubblici e teatri. La legislazione
improntata al conservatorismo piuttosto che dare forma all’immagine del presente e soprattutto
futuro.

Testo che si concentra sull’idea di campo sviluppata da Bourdieu, ovvero un settore (o qualcosa di più
ristretto), luogo circoscritto e limitato, all’interno del quale si sviluppano dinamiche di relazione che
caratterizzano i percorsi che seguono gli artisti e operatori e che sono percorsi di relazione, dove si

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sviluppano gerarchie e centralità, connessioni tra chi si trova nelle diverse aree, e le posizioni degli
operatori determinano e definiscono i comportamenti e le prospettive.

I linguaggi teatrali, sin dalla seconda metà del Novecento, hanno in effetti risentito – e continuano a
risentire – di contaminazioni.

- Il sistema teatrale italiano è in tal modo concepito come campo di produzione culturale, nella
concezione di Bourdieu, e i suoi attori principali, quelli che fino al chiamati teatri stabili, sono intesi
come un «modello dell’alta cultura» (DiMaggio, 1992), introdotto nel teatro italiano solo nel secondo
dopoguerra.

- L’idea fondamentale di Becker è infatti quella secondo cui «qualsiasi lavoro artistico, come ogni
attività umana, richiede l’azione congiunta di un certo numero, spesso considerevole, di persone.
Attraverso questa cooperazione nasce e continua ad esistere l’opera d’arte che alla fine vediamo o
ascoltiamo» (Becker, 1982, p. 17 trad. it. 2004).

Becker ha scritto libro sulle industrie creative e diceva che qualsiasi lavoro artistico, come ogni attività
umana, richiede azione congiunta di un numero spesso considerevole di persone, attraverso la
cooperazione nasce ed esiste l’opera d’arte, aspetto importante dell’agire artistico è la collettività,
qualcosa che non deriva dal genio isolato ma da un lavoro e relazione tra più parti. Non importa il
drammaturgo quanto ciò che riescono a fare insieme e insieme ai tecnici che aiutano a mettere
assieme lo spettacolo. Enfasi sul lavoro, arte e creatività sono lavori come gli altri che richiedono una
componente di lavoro tecnico che spesso rappresenta la maggior parte del lavoro finale, relazione
costante tra tecnici e creativi, di conseguenza si parla di settori lavorativi - enfasi di artisticità ai settori,
ricoprendoli di un senso pratico (tutelando il settore creativo per quello che è lo si regolamenta e
considera)

Le convenzioni

Le convenzioni sono conoscenze e modi di fare condivisi dai membri di un mondo dell’arte; esse sono,
in effetti, ciò che «rende possibili alcune forme di cooperazione fondamentali nel mondo dell’arte»
(Becker, 1982, p. 62 trad. it. 2004). Le convenzioni, inoltre, permettono al pubblico di riconoscere e
apprezzare i prodotti dei mondi dell’arte, e proprio la loro conoscenza «delimita il confine esterno di
un mondo dell’arte e indica i membri potenziali del suo pubblico, ai quali non è richiesta alcuna
conoscenza specifica» (ibidem).

Le convenzioni sono i modi di fare e regole tacite all’interno di un contesto, qualcosa che riconosciamo
e che ci regola all’azione, e che rispettiamo. I soggetti si muovono e interagiscono tra di loro secondo
regole.

La natura relazionale del campo risiede nel fatto che esso è costituito da uno spazio sociale che «si
presenta nella forma di agenti dotati di differenti proprietà che sono sistematicamente collegate tra
loro.

Si tratta del capitale simbolico, ossia «la forma che assumono i diversi tipi di capitale quando sono
percepiti e riconosciuti come legittimi»

Qualsiasi forma di capitale può trasformarsi in simbolico e diventare simbolo quando viene
riconosciuto e legittimato, il riconoscimento porta l’acquisizione del diritto e la regolamentazione, le
dinamiche che avvengono nel rispetto di codici che sono le convenzione ma solo di natura relazionale,

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soggetti che si muovono sviluppano percorsi attraverso il tipo di relazioni che riescono a sviluppare.,
più elitario e chiuso è il settore. Più forte è l’importanza della dimensione della relazione per
sopravvivere all’interno del campo.

Più elitario è il contesto, maggiore è il ruolo che le relazioni hanno per permettere ai soggetti di
sopravvivere all’interno del settore più il settore è di nicchia, maggiore è l’importanza delle relazioni.
Settori oltre ad essere necessario un livello di competenza elevato, sia per una dotazione di capitale
culturale elevata, sia necessario avere continue relazioni con soggetti strategici. Il campo che è un
luogo sociale è un luogo dove il rispettare dei codici si traduce in una forma di capitale simbolico:
codici + relazione, poiché i codici (le convenzioni) sono il riconoscimento e la legittimazione di
determinati comportamenti che devono essere agiti e che sono le convenzioni, le regole e che
diventano capitale simbolico. Tutto può diventare capitale simbolico, qualsiasi altra forma di capitale
può essere tradotta in capitale simbolico nel momento in cui diventa simbolo ovvero viene percepito
e riconosciuto. Il Colosseo capitale fisico, culturale e simbolico – nel momento in cui rappresenta
qualcosa.

Il teatro ha fronteggiato nel corso del tempo, la competizione di tutte le altre forme di produzione
culturale, ma anche quella dei soggetti che fornivano al teatro strumenti per innovarsi, come la tv, il
cinema, le tipologie di spettacolo. Lo spettacolo teatrale, in quanto dispositivo estetico non mediato
dalle tecnologie audiovisive e digitali, risulta essere una forma di comunicazione e di produzione
culturale specifica e distinta dal sistema dei media (Gemini, 2003, p. 135). Da questo punto di vista, il
teatro fronteggia una «erosione progressiva e totale degli spazi da parte dei media (che lo rende
irriconoscibile alla grande platea proprio in quanto linguaggio, ne confonde i codici, i riti, i miti) e [che]
ha come principale conseguenza lo spostamento del pubblico verso forme televisivamente
identificabili (il musical, il cabaret o lo spettacolo comico) » (Gallina, 2005, p. 21).
Il teatro si identifica con il luogo che lo contiene, il teatro all’italiana come dispositivo spaziale
(Cruciani, 1992) e dalla rappresentazione di un testo drammatico nello spazio definito dall’edificio
teatrale. Questa delimitazione fisica e simbolica andava incontro alle esigenze di una società e di un
pubblico borghesi, che attraverso quella forma teatrale si autorappresentavano (Sanguanini, 1989).
Il teatro “ortodosso”, che ancora oggi continua ad occupare un posto di rilievo nella programmazione
delle sale italiane, è in realtà una costruzione storico-sociale, che periodicamente genera reazioni da
parte di frange “eterodosse”
Il teatro ha fronteggiato nel corso del tempo, la competizione di tutte le altre forme di produzione
culturale, ma anche quella dei soggetti che fornivano al teatro strumenti per innovarsi, come la tv, il
cinema, le tipologie di spettacolo.
Il luogo, il teatro è identificato con uno spazio fisico che è la sala teatrale, siamo influenzati dallo spazio
che è il teatro all’italiana: strumento di rappresentazione del pubblico borghese. Il teatro subisce la
competizione degli strumenti culturali, anche di quelli che usa come possono essere forme di
produzione culturale, es. musical: cambiamento di usare la scena con l’avvento della televisione.
Siamo in parte vittime della tradizione culturale del teatro all’italiana: rapporto scenico, platea e
palchi; che riproduce la differenziazione sociale che esisteva nel nostro paese quando i teatri sono
stati costruiti (davanti aristocrazia, in fondo popolari) - riproduzione differenziazione sociale.
Mostrava come la cultura fosse qualcosa di inclusivo perché tutti potevano vedere lo spettacolo ma
divisivo nelle posizioni (ognuno al suo posto). Questa delimitazione e distanza fisica che si pone tra le
categorie di pubblico ma anche tra pubblico e attori, caratterizzano forme di rappresentazioni tipiche
del teatro borghese: forma di teatro stabile, diversa e ottocentesca, borghese in cui viene meno il
senso di unione e comunione che esisteva in precedenza tra i teatranti e la gente di strada, il teatro
nasce in Italia come teatro di giro.

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Andando incontro al pubblico e non aspettarsi che sia il pubblico ad andare incontro agli artisti,
vocazione del teatro: essere sul territorio, nello stesso piano e pavimento del pubblico, allo stesso
livello, il porre dei livelli diversi non è solo una questione pratica, visibile in funzione del biglietto
pagato, col teatro di giro gli artisti passavano col cappello, anche divisione di ruoli oltre che funzione
pratica, quando si crea il teatro borghese si costruisce la parete di separazione.
Non solo divisione funzionale al fatto che chi paga di più sta in una posizione più favorevole e chi paga
meno no, c’è soprattutto la costruzione di una quarta parete che è la separazione tra artisti e pubblico
fine di un’idea novecentesca dell’artista come essere eletto. Momento in cui si crea una divisione
profonda e quando nasce ostilità nei confronti delle altri, con la costruzione di questa parete: io artista
servo, ma erogo un servizio a te che sei borghese ma anche ignorante e quindi stai più indietro di me.
Tradizione della forma e dello spazio teatrale che si porta dietro bagaglio di immaginario che è figlio
di una trasformazione sociale del tempo, le cose cambiano col Novecento per le esigenze della società
e ruolo Europa.

Dal macro al micro: dall’Europa alle scelte nazionali


Il programma Europa Creativa si pone in tal senso quale punto di riferimento istituzionale per il
sostegno delle reti culturali europee, in quanto «programma quadro della Commissione europea per
il sostegno ai settori della cultura e degli audiovisivi». Nel settore culturale, esso ha lo scopo di
«promuovere la collaborazione transfrontaliera, la creazione di piattaforme e di reti e le traduzioni
letterarie».
Aspetto enfatizzato che esisteva già in precedenza: le compagnie teatrali nel corso del novecento sono
chiamate a interagire con i pari e con le istituzioni, questo vuol dire che ricevono finanziamenti per la
rete che costruiscono, ciò non ha a che fare col linguaggio artistico, con drammaturgia di livello e
inclusione di categorie svantaggiate e diventare strumento di interpretazione di temi importanti e
innovativi, ma costringono a fare rete, ovvero danno i soldi se si lavora con qualcun altro, che ha senso
ma la coesione non si fa in questo modo imponendo dall’alto, anzi si costruisce dal basso.

Un quadro storico del campo teatrale in Italia


Nell’Italia unita, e prima dell’avvento del cinema, l’attività teatrale era assimilata al commercio e, in
quanto tale, rappresentava «un intreccio inestricabile di componenti artistiche e di componenti
economiche» (Gallina, 1990, p. 11). Lo spettacolo di prosa, come quello operistico, era espressione di
quella società borghese che si andava allora sviluppando (Sanguanini, 1989; Cruciani, 1992), ma era di
fatto legato alla libera impresa.
Nondimeno, un vero e proprio teatro pubblico in Italia nascerà solo nel secondo dopoguerra. Nel 1947,
infatti, Giorgio Strehler e Paolo Grassi fondarono il primo teatro stabile pubblico italiano, il Piccolo
Teatro di Milano → rappresenta il primo passo di rinnovamento costante dello spazio teatrale e del
riconoscimento del potenziale del teatro nello sviluppare linguaggi culturali. Da quel momento in poi,
una serie di rinnovamenti a catena nel settore avrebbe prodotto il sistema teatrale italiano.
Il teatro doveva quindi essere basato su un principio di accesso democratico alla cultura, rivolto a tutte
le classi e le categorie sociali e professionali, con un chiaro fine educativo. Con il secondo Dopoguerra
si comincia a pensare al teatro come strumento di inclusione e forma di intrattenimento che possa
coinvolgere masse e raggiungere aree periferiche, si sente l’esigenza di decentralizzare: dare la
possibilità a tutti di accedere a contenuti, solo esigenza ideale e paternalistica, ovvero di educare i
cittadini con basso tasso di alfabetizzazione, ma anche di giovani operatori culturali di trovare spazi
nuovi per provare linguaggi nuovi, servono dunque spazi diversi e poco costosi, esigenza di
delocalizzare il teatro e pensare al teatro come qualcosa di diverso rispetto a quello classico borghese.
Si parla di teatro pubblico e accessibile.

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Fine educativo un po’ paternalistico ma il teatro è proprio importante perché permette di diffondere
la conoscenza. Si cerca di tornare anche sui territori come gli artisti di giro nell’origine, dare al teatro
la vecchia natura nomade delocalizzando gli spazi
Il teatro stabile pubblico divenne fonte di cultura teatrale “sacralizzata”, in netto contrasto con il
sistema anteriore, incentrato sull’aspetto commerciale della produzione di spettacolo. Ciò voleva dire
altresì che la stabilità teatrale costituiva una inedita forma di “autorità” culturale nel campo teatrale,
in grado di sancire il potere simbolico – ma anche politico ed economico – delle istituzioni che ne
facevano parte (Bourdieu, 1983). Teatro in poco torna ad essere uno spazio dotato di sacralità, dove
la dimensione del potere è esercitata da un punto di vista non economico ma culturale, come
superiorità culturale.
«Tra il 1950 e il 1955 sorgono ‘piccoli teatri’ nelle città di Bolzano, Genova, Trieste e Torino», in zone
dove il progresso sociale, politico, economico e culturale è stato maggiore: le città del ‘triangolo
industriale’ – Milano, Torino, Genova – sono le sedi del potere economico, ma soprattutto sono centri
ricchi di fermenti culturali ed artistici, con una popolazione mobile e ‘giovane’, in grande espansione;
Bolzano e Trieste sono città di frontiera, città con due anime, nelle quali la creazione degli stabili
risponde all’urgenza di fornire alla popolazione italiana residente un riferimento culturale in cui
riconoscersi (Merli, 2007, pp. 70-71). Forme di occupazione e presenza del territorio, si sviluppano al
nord e vanno di pari passo con lo sviluppo industriale del paese, grandi centri abitati che si creano
intorno alle aree industriali diventano luoghi dove è necessario offrire servizi culturali e quindi punti
di riferimento culturali, si torna sul territorio seguendo un cambiamento sociale e la presenza di
giovani, rappresenta un’importante domanda di intrattenimento e contenuti, giovane, nuova e
diversa che non riconosce il valore culturale dei classici ma che ha bisogno di nuovi contenuti, periodo
in cui la diffusione dei contenuti va di pari passo con l’apertura degli spazi, fase di grande vitalità e
cambiamento, dove sembra che questo sia rivoluzionario e porta a grandi risultati, scrittura e
drammaturgia.
Tuttavia, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento si ebbe una crisi del modello stesso di
stabilità teatrale, anche a causa di quella che è stata definita la loro “malattia”: «una tendenza al
monopolio culturale, [...] burocrazia, gigantismo, ipertrofia; si assisteva ad una progressiva involuzione
delle idee» (Trezzini, 1990, p. 43). Spiega che la crisi è legata a ruoli del Teatro Stabile riconosciuto e
finanziato che incontra l’alta borghesia che non risponde al fermento di giovani e classi lavoratrici,
dall’altra parte invece molte persone che richiedono contenuti e forme di erogazione degli stessi un
po’ diverse.
La prima linea oppositiva (dibattito) si presentò attraverso il noto “Manifesto di Ivrea”, intitolato “Per
un convegno sul nuovo teatro”, un documento pubblicato sulla rivista Sipario, nel novembre 1966, nel
quale un folto gruppo artisti e intellettuali, tra i quali figuravano Corrado Augias, Marco Bellocchio,
Carmelo Bene, Luca Ronconi ed altri importanti nomi di ieri e di oggi (molti dei quali legati alle
avanguardie) denunciava «lo stato di degrado del teatro italiano nel suo complesso, dal punto di vista
politico, organizzativo e, soprattutto, dei linguaggi» (Gallina, 2007, p. 72). Fermento guidato da
intellettuali che si fanno portatori di voce per chi non ne ha e chiedono esigenza di un cambiamento
pratico/organizzativo ma soprattutto del linguaggio: sostenere e scrivere qualcosa di coerente con le
nuove generazioni, il Manifesto si porta dietro non solo un grido ma un cambiamento, aperti molti
piccoli teatri locali dove si sperimenta continuamente: linguaggi, limiti della moralità superati, si
innova continuamente, fenomeno che parte dalle zone industriali del nord e si diffonde in tutta Italia
ottenendo risultati straordinari in regioni come Lazio e Campania, che aveva più propensione alla
scrittura drammaturgia ma anche necessita di dare voce ai giovani.
Si pensano nuovi spazi e nuove forme di come queste possano venir organzizate, gestite e
riconosciute, di come sia necessario gestirle a livello locale e regionale: dagli anni ’70 ogni regione ha
sviluppato le sue peculiarità per il linguaggio artistico.

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Fra il 1970 e il 1980, infatti, «i comuni interessati all’attività teatrale passano da un centinaio a 800
circa», l’aumento di rappresentazioni e spettatori di teatro è notevole ed il fenomeno del
decentramento teatrale procede fino ad interessare tutto il Paese (ivi, pp. 75-76). Sulla base di questo
fermento si sviluppano altresì nuovi modelli di teatro stabile sul territorio regionale, provinciale e
metropolitano.
Nascono così i teatri stabili regionali, come Emilia Romagna Teatro (ERT - oggi vede rete di teatri stabili
con risorse amministrative in comune ma mantenendo specificità), fondato nel 1977, e, sul versante
del decentramento metropolitano, i teatri stabili a gestione cooperativa: «compagnie cooperative che
acquisiscono una sala, o ne dispongono già all’atto della costituzione» (ivi, p. 77), espressione di un
vasto movimento che confluirà nei centri di ricerca, che saranno poi definiti teatri stabili
d’innovazione. Sviluppo di linguaggi straordinari che danno vita a compagnie teatrali innovative e
influenzate da ciò che avveniva nel nord Europa, contaminazione da cultura europea e americana. In
Campania invece, Eugenio Barba, tra i più importanti artisti della fase di innovazione.
Sulla base delle esperienze alle quali si ispiravano – quelle di Jerzy Grotowski ed Eugenio Barba, ad
esempio – quei gruppi si proponevano di attuare un «teatro povero per vocazione e necessità (non
tanto la messa in scena fine a se stessa quanto come risultato di un processo laboratoriale insieme a
comunità che ospitano)», privilegiando la ricerca, la dimensione di laboratorio, a fronte del «prodotto
finito, dell’opera da immettere poi sul mercato», dedicandosi a periodi lavoro lunghi con «costi
insostenibili per una compagnia teatrale gestita secondo criteri imprenditoriali». A differenza degli
stabili, inoltre, «realtà di questo genere non si pongono come priorità il problema del pubblico» (Ponte
di Pino, 2007, p. 105).
Chi si occupa di ricerca e a lavorare in questo modo non si interessa del pubblico ma si focalizza sulla
ricerca, quindi di nicchia, impopolare e povero perché nomade e privo di un riconoscimento effettivo,
di uno spazio di legittimazione? Luoghi in cui rappresentano queste compagnie sono centri sociali,
strade, luoghi all’aperto: fare a meno delle pareti, autorevolezza culturale e isolamento da un punto
di vista pratico e materiale dall’istituzione, da chi si occupa di offrire un servizio tradizionale,
riconosciuto e legittimizzato. Es. evoluzione teatri uniti, spazio in cui sono cresciuti i fratelli Servillo,
Sorrentino (che era responsabile della comunicazione di Mario Martone), gruppo che nasce come
Organizzazione che agisce e si distanza dal teatro nazionale napoletano per sviluppare un linguaggio
nuovo e ci riesce diventando però mainstream.
Nel Novecento, man mano che gli spazi venivano riconosciuti e istituzionalizzati, assumevano
connotazioni organizzative profit o non, funzionali al momento, teatri che si organizzano in fondazioni
o associazioni, importanza azione riconosciuta dalle istituzioni che spesso gli danno spazio anche in
zone periferiche.
Il dare uno spazio a una realtà vuole dire riconoscerne un ruolo, permette di avere un duplice
riscontro: non vanno finanziate le loro attività attraverso uscite di cassa e gli si dà uno spazio
marginale, di cui nessuno si ricorda, attraverso una pratica non divisiva, e gli si “tappa” la bocca,
caratteristica era infatti la protesta e accusa. Quando si dà uno spazio a un ente e questa lo accetta,
accetta il riconoscimento e le regole imposte, infatti col passare del tempo i soggetti che si sono
ribellati e poi sono stati inclusi, si sono trasformati nel main stream delle fasi successive, diventando i
nuovi soggetti contro cui “combattere”.
Partecipare poi a bandi per ottenere finanziamenti pubblici, modifica la vocazione e il linguaggio
perché porta gli operatori a usare il linguaggio dei bandi, fare ciò che il bando dice di fare bandismo -
irreggimentazione dell’espressione artistica che è sostanzialmente un controllo della diversità e
dell’eversione, forme di contrasto che potevano essere problematiche e che vengono regolate con
l’inclusione nel sistema. Ciò che è accaduto in Italia, con meccanismi di regolazione costante e
inclusioni successive, riconoscimento che si identifica con uno spazio fisico, ambiguo, perché si
riconosce il linguaggio, figlio di una condizione: il nomadismo, e lo si riconosce gratificandolo

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attraverso uno spazio fisico, costringendo all’immobilità che è il contrario del nomadismo. Che
pensiero si produce in un contesto di immobilismo piuttosto che di movimento? Un pensiero regolato
e conformista, di chi vuole vincere un bando pubblico, meccanismi che si sono ripetuti e hanno portato
all’impoverimento del linguaggio e alla sostituzione dei soggetti.
Queste iniziative, spesso per ovvie ristrettezze economiche, ma anche per una scelta artistica, sociale
e simbolica, trovavano posto in spazi non teatrali e in aree lontane dai centri di interesse del teatro
primario, ovvero il teatro dei grandi numeri, ma anche quello dei primi stabili pubblici “imborghesiti”.
Inoltre,
Dopo un’iniziale chiusura verso l’esterno, queste realtà hanno avuto graduale accesso al sistema
teatrale italiano ufficiale, procedendo verso la loro piena istituzionalizzazione: questo è appunto il
caso del Centro di Pontedera, dal quale nel 1999 nascerà la Fondazione Pontedera Teatro, un teatro
stabile d’innovazione, e del Teatro delle Albe di Ravenna, anch’esso poi divenuto stabile
d’innovazione.
Infine, un ulteriore modello sorto nel corso degli anni è quello dei teatri stabili privati, che hanno
ottenuto il riconoscimento istituzionale con il d.m. 4 novembre 1999, n. 470, «Regolamento recante
criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività teatrali, in corrispondenza agli
stanziamenti del Fondo Unico per lo Spettacolo di cui alla L. 30 aprile 1985, n. 163»,

Il sistema teatrale italiano


Decreto ministeriale del 12 novembre 2007 modificato nel 2014 - la norma riconosce diversi tipi di
teatri stabili, la stabilità requisito principale per il riconoscimento. Importanza di avere una sede,
almeno 250 posti a sedere per teatri di ricerca e 500 per teatri stabili di iniziativa pubblica, non solo il
riconoscimento passa per la stabilità, ma per il n° di biglietti venduti. Risorse a chi può mantenere una
sua stabilità, ma lascia disinteresse nei confronti del ruolo educativo dell’arte e di cosa può fare:
innovazione e capacità dell’arte di sostituirsi a qualche altra forma di linguaggio e di modificare il
nostro immaginario, di poter risolvere problemi e trovare soluzioni. Legge che mette in sicurezza le
finanze pubbliche e condanna l’innovazione e che ha avuto effetti importantissimi. Politiche italiane
faticano a interpretare ideale europeo
L’attività teatrale stabile può essere svolta da tre tipi di soggetti (comma 1):
· teatri stabili ad iniziativa pubblica;
· teatri stabili ad iniziativa privata;
· teatri stabili di innovazione
a) di ricerca e sperimentazione;
b) per l’infanzia e la gioventù.
A connotare l’attività in questione, per tutte e tre le forme di organismo teatrale, è il «prevalente
rapporto con il territorio entro il quale è ubicato ed opera il soggetto che la svolge, dalla stabilità del
nucleo artistico-tecnico-organizzativo, nonché da una progettualità con particolari finalità artistiche,
culturali e sociali».
La stabilità è in parte un ulteriore requisito dell’organico di tali teatri: «stabilità del nucleo artistico
assunto con contratto stagionale per almeno il quaranta per cento degli interpreti e stabilità
dell’organico amministrativo e tecnico per almeno il sessanta per cento».

• I teatri stabili ad iniziativa privata (art. 10)


• I teatri stabili di innovazione (art. 11), detti anche “centri sperimentali”

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• Oltre all’area della stabilità, l’assetto produttivo del sistema teatrale italiano si regge sulle
imprese di produzione teatrale (art. 12)
• dal decreto del 2007 le imprese che svolgono attività di teatro di figura (art. 13), e gli attori
del sistema distributivo, composto dagli «organismi di distribuzione, promozione e
formazione del pubblico» (art. 14), tra i quali rientrano i circuiti teatrali territoriali, discussi nel
cap. 2, par. 2, e soprattutto dall’esercizio teatrale (art. 15)
Per gli artisti di teatro, i titoli rilasciati da queste scuole costituiscono ovviamente un capitale culturale
istituzionalizzato (Bourdieu, 1986), anche se nel campo artistico ciò non basta a garantire un capitale
efficacemente spendibile, poiché l’accesso nel campo non è disciplinato dal possesso dei diplomi d’arte
drammatica.

Lezione 23, 25/05/2021


LE IMPRESE DI COMUNITA’
Le politiche europee transitano attraverso le regioni e vengono applicate direttamente sui territori
attraverso delle norme regionali e la risposta a bandi tematici, specificatamente orientati al territorio.
La scelta di questo è dovuta alla corretta consapevolezza dell’unione europea dell’inefficacia che si
può manifestare quando il policy maker è molto lontano dalle esigenze del territorio. La scelta di
lasciare alla gestione regionale le risorse europee deriva da questo motivo ed è una decisione
coerente, perché finalizzata ad ottenere dei risultati.

Ma abbiamo visto come queste politiche non risultino sempre efficaci, a volte portano a risultati
contrastanti (esempio: politiche per la politica della coesione che producono frammentazione → le
policy dovrebbero essere aggiustate). Per esigenze di vincolo di bilancio pubblico, sia nell’ambito del
cinema che nell’ambito del teatro la norma nazionale prende in considerazione solo elementi tangibili
e monetari e trascura la componente creativa legata all’innovazione. Di fronte a una riduzione nella
spesa pubblica che è marginale andiamo incontro a una perdita considerevole, questo costo non è
misurabile se non nel lungo periodo, come decadenza del linguaggio e della produzione di contenuti
e difficoltà che le industrie possono riscontrare nel momento in cui si trovano a dover competer in un
contesto internazionale globalizzata. La riduzione della qualità dei contenuti proposti è figlia di una
delegittimazione delle figure culturali, dalla disintermediazione, persone storicamente formate per
decodificare i linguaggi e traghettare le perone verso contenuti alti e differenti.

Le policy attuate fino ad ora sono comunque utili ma inefficaci, o non arrivano a toccare gli aspetti per
cui sono vocate oppure non riescono ad individuare la dinamica reale dei problemi. Uno strumento
che è stato sviluppato e che serve a capire i reali bisogni dei territori è quello della cooperazione di
comunità.

Ci sono realtà territoriali molto numerose nel nostro paese, che si trovano in un contesto difficilmente
individuato dalle politiche regionali e nazionali quindi sono svantaggiate su vari aspetti.

Molte parti del territorio italiano sono male servite sotto diversi aspetti essenziali, porta a dinamiche
di concentrazione verso le città che però hanno degli effetti distorsivi e con impatto negativo sulla
qualità della vita delle persone molto importanti. Dall’altro lato destina altre aree del nostro territorio
allo spopolamento, quindi al non rendere opportuno un investimento in infrastruttura.

La cooperazione di comunità può rispondere ai problemi che emergono in queste realtà male servite,
si fa riferimento alle forme di impresa ma anche alle forme non profit per andare a rispondere a
bisogni specifici del territorio. È possibile che la comunità che vive in quel territorio riesca ad

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organizzarsi per gestire la risorsa e i beni anche attraverso piccole forme di impresa, con l’obbiettivo
ultimo di migliorare il benessere della comunità ma anche con l’obbiettivo di gestire la risorsa in
oggetto.

La costituzione di queste forme di cooperazione, di impresa, di gestione di beni locali comunitari, ha


l’obbiettivo di realizzare un’attività di impresa in cui più soggetti partecipano, che abbia un fine
mutualistico (ovvero di restituzione di una forma di valore alla comunità) raggiungimento di una
qualche forma di benessere per la comunità stessa, attraverso la produzione di beni o di servizi di
interesse collettivo, finanziato e gestito dai membri, nell’interesse della comunità.

La dimensione monetaria è minima rispetto alla dimensione sociale del valore. (aspetto forte nelle
zone montane, ma ogni luogo sviluppa dei modi per risolvere i problemi → si sviluppa principalmente
in Olanda e in Belgio).

Il finanziare attività che sono state pensate in funzione di un bando e non in funzione di un bisogno fa
sì che queste attività non abbiano una sostenibilità finanziaria di per sé, ma anzi abbiano in sé il germe
del fallimento. È possibile finanziare l’intervento pubblico iniziative imprese sostenibili perché vanno
a rispondere a bisogni reali. Laddove il bisogno esiste allora vi è una domanda anche pagante per un
determinato servizio.

Cosa sono?

• beneficio creato dall’attività d’impresa

• partecipazione alla gestione

• fine mutualistico e successivo al benessere della comunità

impresa che ha come obiettivo la produzione di beni/servizi di interesse generale, finanziata e gestita
dai suoi membri, per l’interesse della comunità

costruzione di valore per la comunità

Comunità e territorio

Le cooperative di comunità nascono in risposta auna esigenza del territorio (riapertura di un forno a
San Leo in provincia di Rimini =iniziativa privata, apertura di orti comunali= iniziativa pubblica).

L’elemento della comunità locale è l’elemento strategico, ci deve essere un luogo attorno al quale la
comunità si crea (scuola, un comuni, un’area, un luogo ideale).

• luogo → comunità locale → partecipazione

• interesse (migliorare la vita delle persone che fanno parte della comunità) ≠ da uso effettivo

• beni di comunità che non si producono con autoproduzione ma che vengono creati dalla
comunità.

Per creare una comunità bisogna essere accomunati da un interesse, che è il bene comune.

Partecipazione (anche potenziale)

• alle decisioni; al finanziamento; al godimento dei beni

• il beneficio deve ricadere su tutti anche con bassa partecipazione

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Il concetto di partecipazione è fondamentale, si deve contribuire con denaro, idee o anche il tempo.
Bisogna partire dall’idea di dare, ma anche dall’idea di individuare un bisogno o una difficoltà. Bisogna
essere consapevoli del beneficio che deve essere generato e comune anche quando parliamo di
comunità ristrette o difficili (con bassa partecipazione). È utile per il successo che ci sia un leader
carismatico che le attivi, molto rispettata portatrice di valore, che possa fungere da traino in una
comunità che è ostile e chiusa per definizione.

Accesso ai beni

L’accesso ai servizi deve essere uguale per tutti. Aspetto problematico perché maggiore è l’apertura,
maggiore è la difficoltà che si incontra nella gestione dei servizi. → le condanna a una incapacità di
crescita.

Beni comuni e cooperativa di comunità

• L’impresa esiste per il bene della comunità quindi per il bene comune→ si intende qualcosa
che va al di sopra del bene individuale, ovvero che ha a che fare con il benessere collettivo;

• L’impresa di comunità mette in campo nuove modalità di partecipazione, perché richiede il


diretto coinvolgimento delle persone e quindi implica una forte responsabilità individuale dei
singoli;

• L’aspetto di limite è legato alla scala, qualcosa che è interessante produrre all’interno della
comunità, ma non è utile singolarmente ma non riesce a superare dei limiti di scala e di
specializzazione→ bene/servizi poco competitivi, che non richiedono scala e specializzazione,
poco appetibili per forme imprenditoriali più audaci e profittevoli.

Imprese di comunità e sviluppo locale, esempi

• La Paranza di Napoli

• Cooperativa Anonima di Perugia

• Farmidabile di Favara

• Mastro Pilastro di Bologna

Conclusione

Laddove ci siano dei bisogni che non vengono visti dalle istituzioni pubbliche è possibile che arrivi la
comunità stessa. Interrompere meccanismi di abbandono, degrado, criminalità attraverso interventi
“dal basso” o interni alla comunità.

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