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COSTRUZIONE DELLA VITA ADULTA

ADULTITÀ EMERGENTE= è la fase della vita che va dalla fine delle scuole superiori fino quasi ai 30 anni di età, durante
la quale ci si dedica a costruire una vita adulta.

Il contesto
L’ADULTITÀ EMERGENTE non è una fase della vita a livello universale, ma riguarda la minoranza di popolazione
giovanile che vive nel mondo industrializzato in questo particolare momento storico. La sua funzione è quella di
esplorare, saggiare varie possibilità, prima di impegnarsi nella vita adulta.
Benché gli adulti emergenti spesso progettino di sposarsi, la maggior parte di essi non è pronta. Non possono contare su
una sicurezza economica. Passano frequentemente da un lavoro all’altro, entrano ed escono dall’università o dalla casa
dei genitori, e sperimentano le relazioni sentimentali prima di sposarsi e avere dei figli.
Esplorare diverse possibilità è ciò che definisce l’adultità emergente.
L’altra sua caratteristica determinante è un vivace ottimismo per quello che la vita può riservare.
Durante questa fase le condizioni fisiche sono all’apice, come pure le capacità di ragionamento. Eppure, le sfide che i
giovani devono affrontare in questa età di svolta richiedono più coraggio che in qualunque altro stadio della vita.

DOBBIAMO RICENTRARE LE NOSTRE VITE: Durante l'adolescenza, sono i nostri genitori a proteggerci. Dopodiché, il
nostro compito è quello di prendere il controllo di noi stessi e comportarci come «veri adulti».
Eravamo soliti considerare il matrimonio, la genitorialità, la possibilità di mantenere una famiglia come condizioni
sufficienti per sentirsi adulti. Non è più così, adesso la maggior parte delle persone valuta in termini di qualità interiori i
criteri necessari per decretare l'ingresso nell'età adulta: gli adulti si assumono la responsabilità delle proprie azioni; gli
adulti sono in grado di sostenersi economicamente; gli adulti prendono autonomamente le decisioni che riguardano la
propria vita.

ABBIAMO INTRAPRESO UN PERCORSO NON STRUTTURATO, IMPREVEDIBILE: Negli anni dell'adolescenza, è la


scuola superiore a organizzare le nostre giornate. Poi, dopo la fine delle superiori, le nostre vite prendono strade diverse:
molti di noi vanno all'università, altri entrano nel mondo del lavoro. Gli adulti emergenti vivono da soli o insieme agli
amici, continuano a stare con i genitori o si trasferiscono lontano da casa. Per alcuni di loro ci vogliono decenni per
costruire una vita adulta. Questo periodo della vita, quindi, è caratterizzato dalla variabilità.
Cultura e storia
L’adultità emergente è stata resa possibile dall’eccezionale aumento della longevità che si è verificato nel 20° secolo.
Essa è stata favorita anche dall’istruzione. Mezzo secolo fa, i diplomati alla scuola superiore potevano aspirare a lavori
molto ben retribuiti. Oggi, negli Stati Uniti l’università è vista come un fattore imprescindibile per una carriera lavorativa
di successo. Ma, benché la maggioranza dei giovani di questa età sia iscritta all’università, servono solitamente 6 anni
per conseguire una laurea di primo livello, soprattutto perché sono moltissimi i giovani che devono lavorare per potersi
finanziare gli studi. Se a questo si aggiunge una scuola di specializzazione, per costruire una carriera lavorativa può
essere necessario aspettare di avere 25 anni o più.
A favorire l’adultità emergente è stato anche il fatto che può essere difficile rimanere sposati e trovare un lavoro ben
retribuito.
Verso la fine del 20° secolo, nella cultura occidentale si è affermata un'idea che pone molta enfasi sulla necessità di
esprimere se stessi e di fare le cose che più ci piacciono, un'idea secondo la quale le persone possono cambiare drasticamente
la loro vita lungo tutto l'arco dell'età adulta.
Tuttavia i fattori che plasmano questa nuova fase dell'esistenza variano da paese a paese.

Il modello mediterraneo: vivere con i genitori e le difficoltà a spiccare il volo verso la vita adulta
Nell'Europa meridionale, il principale ostacolo al raggiungimento di una piena vita adulta è rappresentato dalla disoccupazione
giovanile, la cui percentuale elevata è davvero allarmante. Nei paesi che ne fanno parte, le norme sociali NON
incoraggiano la CONVIVENZA, cioè il vivere insieme fuori del matrimonio.
È molto comune che i giovani vivano in casa dei genitori ben oltre i 20 anni, e persino oltre i 30. Purtroppo, le tradizioni
familiari e i vincoli economici continuano a costituire un impedimento grave alla transizione di questi giovani a una vita adulta.

Il programma scandinavo: una vita indipendente con l’aiuto dello Stato


In Scandinavia, le possibilità di lavoro sono molto maggiori. In Norvegia, Svezia e Danimarca lo Stato sovvenziona chi frequenta
l’università. Una forte rete di protezione sociale assicura un’assistenza sanitaria gratuita e altri benefici ai cittadini di ogni età.
Dunque, in queste nazioni dell’Europa settentrionale il fenomeno dell’ABBANDONO DEL NIDO (l’uscita dalla casa dei
genitori per andare a vivere in completa autonomia) tende in genere a verificarsi già allo stadio iniziale dell’adultità
emergente.
Nei paesi nordici il decennio che va dai 20 ai 30 anni è, più che altro, un intermezzo privo di stress, un’età in cui si è liberi
di dedicare tempo all’esplorazione di ciò che la vita offre prima di avere dei figli, per poi forse decidere di sposarsi.

I percorsi statunitensi: concezioni contrastanti e itinerari diversi, connessi allo status socioeconomico
Negli Stati Uniti l'adultità emergente presenta caratteristiche tipiche di entrambi gli scenari appena delineati, quello
scandinavo e quello dell'Europa meridionale.
Come accade nei paesi nordici, un'alta percentuale di donne statunitensi ha figli al di fuori del matrimonio.
I giovani statunitensi considerano il matrimonio un importante obiettivo esistenziale. La CULTURA INDIVIDUALISTICA
statunitense incoraggia fortemente i giovani a lasciare la casa dei genitori intorno ai 18 anni; ma questa spinta verso
l'autonomia non è accompagnata, come in Scandinavia, da sovvenzioni statali per l'università e nemmeno da una certa
facilità da parte dei giovani a trovare lavori decentemente remunerati.
La combinazione di queste concezioni contrastanti e di marcate disuguaglianze di reddito produce differenze molto nette
nel percorso di costruzione della vita adulta dei giovani statunitensi a seconda della classe sociale di appartenenza.
Poiché le persone sono restie a sposarsi se non sono in grado di mantenere una famiglia, negli Stati Uniti il matrimonio è
diventato un obiettivo accessibile solo agli appartenenti alla classe media. Accade spesso che gli adulti a basso reddito non
si sposino mai; e, a meno che non possano contare su genitori piuttosto benestanti, negli Stati Uniti i giovani possono
avere serie difficoltà a raggiungere in tempi brevi il primo traguardo della vita adulta: l'uscita dalla casa dei genitori.
Il punto d’inizio tradizionale: l’abbandono del «nido»
Negli Stati Uniti e in Europa settentrionale l’abbandono del «nido» è tradizionalmente considerato come un rito di
passaggio fondamentale, un primo e importante passo verso l’indipendenza della vita adulta. Questo evento provoca
anche un cambiamento nelle relazioni familiari, i genitori iniziano a vedere i propri figli sotto una luce diversa, più
maturi.
Ci sono 2 importanti benefici del lasciare la casa dei genitori: instaurare relazioni più armoniose fra i membri della
famiglia ed essere costretti a «crescere».

L'uscita dalla casa dei genitori produce un miglioramento nel rapporto genitori-figli?
Secondo alcune ricerche condotte negli Stati Uniti, in molti casi l'uscita dalla casa dei genitori produce un
miglioramento nel rapporto con essi. In numerosi studi longitudinali, sia i giovani sia i loro genitori hanno riferito che i
conflitti sono diminuiti quando i figli hanno lasciato il «nido».
Questo, però, non vale per l'Italia, dove i giovani mettono al 1° posto la vicinanza alla famiglia e, gli adulti emergenti
solitamente vivono in casa dei genitori. Uno studio svolto in Portogallo ha evidenziato come i genitori diventino
addirittura più ansiosi e preoccupati quando i figli si trasferiscono fuori di casa.
L'impulso a restare strettamente collegati con padri e madri è più forte fra gli appartenenti a questa coorte di ultra 20enni
di quanto non fosse qualche decennio fa.
La presenza di uno stretto rapporto madre-figlio e di frequenti comunicazioni telefoniche è direttamente collegata
a un buon adattamento all'ambiente dell'università e al fatto di concentrarsi sulla ricerca di una carriera professionale
soddisfacente. Le madri rimangono un sostegno fondamentale per i giovani che lasciano il nido e intraprendono il loro
viaggio nel mondo.

L’uscita dalla casa dei genitori rende le persone più mature?


Spesso l’uscita dalla casa dei genitori rende le persone più mature. Chi rimane nel «nido» spesso è meno incline a
portare avanti relazioni a lungo termine, si sente emotivamente più dipendente dai genitori ed è meno soddisfatto della
vita. Gli adulti emergenti non ancora usciti dal nido sono in genere pigri, infantili e per nulla disposti a crescere.
Il mancato abbandono del nido ha una ben precisa ragione economica. I giovani spesso rimangono a vivere in casa dei
genitori, o ritornano a stare da loro, perché non si possono permettere una vita autonoma.
Oltre ai problemi finanziari, c'è un altro ostacolo all'uscita di casa per chi è figlio di immigrati o appartiene a una
minoranza etnica: i valori.
Se un giovane possiede una concezione collettivista del mondo che mette la famiglia al primo posto, i figli possono
restare nel nido per motivi connessi alle esigenze degli adulti: per aiutare la famiglia sia economicamente, sia nelle
attività domestiche.
Il compito dei genitori è quello di costruire RELAZIONI PARITARIE, da adulto a adulto, con i figli, a prescindere dal
luogo in cui vive la generazione più giovane.

Un punto d'arrivo indefinito: il tempo scandito dall'orologio sociale


Le nostre sensazioni rispetto a quando dovremmo realizzare tale passaggio riflettono l’orologio sociale della cultura a cui
apparteniamo. L’OROLOGIO SOCIALE è l’idea che regoliamo le fasi del nostro passaggio attraverso l’età adulta in base
a una «tabella di marcia» interiore che ci dice quali attività sono appropriate a certe età.
Tutto ciò fa riferimento a un sistema condiviso di NORME LEGATE ALL’ETÀ, cioè idee culturalmente accettate che
fungono da indicatori e ci dicono quali comportamenti sono più appropriati nelle diverse età.
Se quel passaggio rispetta i tempi considerati normali nella nostra società, si dice che la persona è in tempo, altrimenti,
se è troppo in anticipo o troppo in ritardo rispetto a ciò che dovrebbe essere a quella data età, è considerata fuori tempo.
Anche se gli adulti emergenti dicono di considerare l’età adulta in termini puramente astratti, sentirsi gravemente in
ritardo può generare nei giovani una notevole angoscia.
Le norme generali dettate dall’orologio sociale sono imposte dalla società. Oggigiorno, con l’innalzamento fino a 30
anni dell’età media del matrimonio nella maggior parte dei paesi europei, è normale per gli occidentali non avere una
relazione fissa per più di un decennio. Ma in Cina, dove ci si aspetta che tutti si sposino e dove l’età del matrimonio è
inferiore al passato, può essere imbarazzante superare la trentina senza avere un partner.
I limiti dell’adultità emergente sono determinati dalla società e dai i nostri obiettivi personali.
L'agenda del nostro orologio sociale non è completamente sotto controllo. Questa «mancanza di controllo» può spiegare
perché l'adultità emergente rappresenti un momento sia stimolante, sia impegnativo dal punto di vista emotivo.
Il risvolto positivo è il notevole ottimismo mostrato dagli adulti emergenti circa il proprio futuro; quello negativo consiste
nel fatto che i 20 anni sono il periodo della vita in cui i disturbi d'ansia toccano il culmine.
Per alcuni giovani, la questione centrale è non riuscire ad assumersi delle responsabilità. Per altri, può essere una
dolorosa rottura sentimentale o la consapevolezza che il sogno di una certa carriera professionale non si avvererà mai.
Oppure può succedere che gli adulti emergenti non abbiano alcuna idea di quale direzione prendere nella vita.
La ragione di questo turbamento interiore è che, nella fase di adultità emergente, siamo sottoposti a una profonda
trasformazione mentale: dobbiamo decidere chi vogliamo essere da adulti.

Costruirsi un'identità
Erik Erikson è lo studioso che ha posto l'accento sulla sfida insita nel trasformare il nostro io infantile nella persona che si
è da adulti, e ha denominato questo processo RICERCA DELL’IDENTITÀ.
Erikson era particolarmente sensibile alle difficoltà che i giovani incontrano nella costruzione di un sé adulto. Il suo
interesse per il problema dell'identità si consolidò nel periodo in cui lavorò in un ospedale psichiatrico dedicato alla
cura degli adolescenti. Erikson scoprì che i suoi giovani pazienti soffrivano di un problema che egli definì CONFUSIONE
DI
RUOLI; essi non avevano alcuna percezione dell'esistenza di un percorso verso l'età adulta.
Alcuni di questi giovani provavano uno spaventoso senso di ipocrisia, altri non potevano sopportare l'idea di non avere
un futuro e progettavano di togliersi la vita in corrispondenza di qualche data simbolica.
Questa confusione di ruoli (un andare alla deriva privi di scopo, o una totale chiusura in se stessi), si distingue dal
processo attivo di costruzione del sé che egli chiamò MORATORIA DI IDENTITÀ.
Secondo Erikson, prendersi il tempo per esplorare varie possibilità di vita adulta è di importanza cruciale nella
formazione di una solida identità adulta. Erikson era profondamente convinto della necessità che i giovani scoprano una
propria identità.

Gli stati dell’identità individuati da Marcia


James Marcia ha teorizzato l'esistenza di 4 stati dell’identità:
• LA DIFFUSIONE DELL’IDENTITÀ: è lo stato che meglio corrisponde alla descrizione data da Erikson degli adolescenti
più problematici, quelli che si lasciano scivolare verso l'età adulta senza porsi alcun obiettivo preciso. L'individuo
passa da un’identificazione momentanea all'altra, senza sviluppare alcun reale interesse e senza impegnarsi in alcun
ruolo.

• IL BLOCCO DELL’IDENTITÀ: è lo stato di una persona che adotta un'identità senza alcun processo di
autoesplorazione e senza alcuna riflessione. Nella sua modalità più estrema, il blocco dell'identità si esprime nel
membro violento di una gang o in un adolescente che sceglie di diventare un terrorista. In generale, i ricercatori
attribuiscono questo stato a giovani che adottano un'identità «di seconda mano», trasmessa loro da una qualche
autorità.

• LA MORATORIA DI IDENTITÀ: è lo stato di una persona impegnata nella stimolante ricerca di un sé adulto. Se da un
lato questo processo interiore provoca ansia, in quanto implica misurarsi con idee e atteggiamenti filosofici diversi,
dall'altro Marcia (ed Erikson) lo ritenevano cruciale per arrivare allo stato finale, il più evoluto.

• L’IDENTITÀ REALIZZATA: è il traguardo finale.

Il sistema degli stati dell'identità proposto da Marcia offre uno straordinario quadro di riferimento per determinare ciò
che va male (o bene) nella vita di un giovane.
Gli stati dell’identità in azione
Secondo Marcia, man mano che gli adolescenti crescono, passano dallo stato di diffusione a quello di moratoria e infine
a quello di identità realizzata. A 14 o 15 anni si è occupati a gestire la pubertà, poi, i tardoadolescenti e gli adulti
emergenti entrano nella fase di moratoria, essendo la vita adulta ormai in vista. A un certo punto, fra i 20 e i 30 anni,
raggiungono l’obiettivo di un’identità realizzata, trovando la propria identità adulta.
Tuttavia, nella vita reale, le persone oscillano avanti e indietro fra i vari stati di identità per tutto il periodo dell’età adulta.
Il continuo passaggio da una condizione all’altra è quanto mai appropriato. Non è realistico infatti pensare di
raggiungere da adulti emergenti un’identità definitiva. La spinta a ripensare le nostre vite, a fare progetti e a porci
obiettivi da raggiungere è ciò che ci rende umani. Ed è qualcosa di essenziale a qualsiasi età. Inoltre, rivedere la nostra
identità è di importanza cruciale per poter vivere con pienezza una vita sempre piena di perturbazioni.
La cattiva notizia è che i giovani possono rimanere invischiati in stati dell’identità improduttivi. Oppure accade che le
persone indugino nei tentativi di provare diverse strade, ma senza la gioia tipica della moratoria ericksoniana.
L’ipotesi di Erikson e Marcia secondo cui le persone hanno bisogno di saggiare molti campi per costruirsi una forte
identità professionale è falsa. Avere in mente fin da bambini che lavoro si vuole fare può essere una cosa positiva.
L’essere ossessionati dalle possibilità esistenti, restando bloccati in uno stato di MORATORIA RUMINATIVA, produce
invece una scarsa salute mentale.
Ma i problemi possono sussistere anche con un’identità realizzata. Per esempio quando esploriamo diverse possibilità e
adottiamo poi un’identità a cui si attribuisce poco valore. Non importa come si arriva al traguardo finale, ciò che conta
davvero è impegnarsi ed essere fiduciosi nel fatto che la decisione presa esprima il nostro io interiore.

Identità etnica, un tema legato alle minoranze


I vantaggi emotivi che derivano dall'essere soddisfatti della propria identità sono evidenziati dall'IDENTITÀ ETNICA, il
senso di appartenenza a un determinato gruppo etnico.
Se fate parte della CULTURA DOMINANTE, raramente penserete alla vostra appartenenza etnica; invece, i figli di una
MINORANZA ETNICA classificano se stessi secondo una precisa etichetta durante lo stadio del pensiero operatorio
concreto, benché l'importanza di questa percezione aumenti o diminuisca a seconda dell'età.
Le ricerche dimostrano che essere orgogliosi delle proprie origini etniche rafforza nei giovani la percezione che la
propria vita abbia un senso e una direzione. Identificarsi nella propria etnia protegge gli adolescenti dalla depressione e
dai comportamenti a rischio. L'orgoglio etnico è anche correlato a una buona riuscita nella scuola media.
Essere profondamente connessi con la cultura dominante è uno dei segni che un giovane appartenente a una minoranza
etnica ha le qualità necessarie per aprirsi completamente agli altri.
Le sfide che devono affrontare gli adulti emergenti provenienti da contesti birazziali o multirazziali, ossia, persone di
origine razziale o etnica mista, sono particolarmente intense, ma anche qui il raggiungimento dell'identità realizzata
offre ampi benefici.
Gli studi rivelano che avere origini birazziali o biculturali spinge le persone a pensare in modi più creativi, oltre a
promuovere la resilienza.
Capire qual è il proprio «posto nel mondo» come minoranza etnica è un tema importante legato all'identità dei gruppi
minoritari.

L’ingresso nel mondo del lavoro con obiettivi ambiziosi (ma spesso irrealistici)
La tendenza a mirare in alto sembra non tenere conto di differenze di genere o di classe sociale: che siano maschi o
femmine, ricchi o poveri, gli adolescenti si pongono traguardi elevati rispetto alla carriera.
È sbagliato dire che i giovani di oggi sono eccessivamente viziati, narcisisti e non motivati. Gli adulti emergenti si
trovano di fronte a una situazione economica più complessa di quella che dovettero affrontare i loro genitori, e ancor più
i loro nonni, alla medesima età. È comprensibile, dunque, la motivazione di alcuni studenti a lavorare più sodo rispetto
ai loro omologhi del passato.
Il problema è che gli adolescenti sono (naturalmente) ingenui riguardo alle barriere oggettive da superare per trasformare
in realtà i propri sogni di carriera. Per molti giovani che fanno il proprio ingresso al college e affrontano il mondo reale,
le delusioni sulla carriera professionale sembrano essere dietro l'angolo.
Autostima e crescita emotiva negli anni dell'università e oltre
Da uno studio statunitense è emerso che il sentimento di autostima diminuisce drasticamente nei primi 6 mesi di
università, per poi aumentare gradualmente negli anni immediatamente successivi. Poiché gli studenti, al loro ingresso
nell'università, sopravvalutano le proprie capacità scolastiche, l'ottenimento di voti deludenti alla fine del 1° semestre
può rappresentare per loro un vero shock.
Ad ogni modo sussiste una certa variabilità: fra i 18 e i 22 anni alcune persone diventano più infelici e altre godono di un
maggiore equilibrio psichico.
Sono vari i fattori che influenzano questa variabilità, tipo la personalità. I giovani che entrano nella fase di adultità
emergente con buone capacità e ottimismo sono predisposti a esprimere pienamente se stessi nel momento in cui
devono confrontarsi con le esigenze della vita universitaria. Nel loro studio, Csikszentmihalyi e Schneider hanno definito
«LAVORATORI» questi adolescenti efficaci.
Ma anche quando gli adolescenti non beneficiano della qualifica di «lavoratori», l'adultità emergente può rappresentare
una fase di formidabile crescita emotiva. Tale crescita si manifesta con ogni probabilità in una dimensione della
personalità che gli psicologi chiamano COSCIENZIOSITÀ, legata allo sviluppo di una maggiore affidabilità e capacità di
autocontrollo. Gli adulti emergenti tendono a sviluppare anche una maggiore resilienza e ragionano in maniera più
riflessiva.
I neuroscienziati potrebbero spiegare questo incremento delle funzioni esecutive con la completa maturazione dei lobi
frontali, ma un'altra possibile causa risiede nel mondo esterno. Trovare un lavoro che si adatti perfettamente ai propri
talenti può trasformare gli adolescenti problematici in lavoratori. Csikszentmihalyi sostiene che chiunque sia dotato di un
potente stato interiore può aspirare ad avere la giusta carriera professionale.

Entrare nel flusso


Molte delle esperienze che più ci arricchiscono nella vita si verificano nei momenti di profondo scambio relazionale con
altre persone; altre hanno luogo in momenti in cui siamo assorbiti da qualche attività coinvolgente.
Csikszentmihalyi ha definito FLUSSO questa intensa esperienza di totale assorbimento in ciò che facciamo.
Tale condizione è diversa dal «sentirsi felici». Si entra in questo stato durante un'attività che sollecita al massimo le
nostre capacità.
Le attività che determinano lo stato di flusso cambiano da persona a persona. Quando siamo immersi nel flusso,
entriamo in uno stato di coscienza alterato in cui ci dimentichiamo totalmente del mondo esterno. I problemi
scompaiono. Perdiamo la cognizione del tempo. L'attività che ci assorbe ha di per sé un valore inestimabile. Lo stato di
flusso ci fa sentire completamente vivi.
Csikszentmihalyi ha trovato che alcune persone provano questo stato di coscienza solo di rado, altre più volte in un
giorno. Se si fa l'esperienza del flusso soltanto in rare occasioni allora sarà difficile avere una vita soddisfacente.
Lo stato di flusso dipende dal fatto di essere intrinsecamente motivati. Ciò che stiamo facendo in quel preciso momento
deve affascinarci di per sé, e non in vista di una ricompensa estrinseca. Ma l'esperienza del flusso è legata anche a una
dimensione orientata al futuro. Secondo Csikszentmihalyi, essa si verifica quando siamo impegnati nella realizzazione di
uno scopo.
Entrare nello stato di flusso è spesso un processo sfuggente. Il raggiungimento di questo stato dipende infatti da un
delicato equilibrio nell'adattamento persona-ambiente. Quando un compito sembra al di sopra delle nostre capacità,
diventiamo ansiosi; quando un'attività è troppo semplice, ci annoiamo. Per consentirci di esperire la sensazione di essere
nel flusso, al crescere delle nostre abilità deve corrispondere un aumento della difficoltà del compito.
In teoria, le attività che ci portano a provare l'esperienza del flusso possono indirizzarci verso la nostra carriera lavorativa
ideale.
Entrare nella vita adulta senza una laurea (negli Stati Uniti)
Negli Stati Uniti è diffusa la convinzione che l'università sia fondamentale per condurre una vita soddisfacente.
In realtà, più dei 2/3 degli studenti diplomati si iscrive all'università subito dopo aver finito la scuola superiore, ma con il
passare del tempo questo numero si assottiglia. Per gli studenti che iniziano corsi universitari privati di durata
quadriennale, le probabilità di laurearsi entro i 6 anni successivi sono all'incirca 3 su 5. Il tasso di laureati tra quelli che
frequentano le università pubbliche è invece inferiore.
Negli Stati Uniti, i giovani che non si iscrivono all'università o che non arrivano a laurearsi possono ugualmente aspirare
ad avere carriere lavorative soddisfacenti. Alcuni di loro se la cavano molto bene nell'intelligenza pratica (definita da
Robert Sternberg), ma non sono tagliati per gli studi accademici. Quando queste persone riescono a trovare nel mondo
del lavoro il loro flusso, allora hanno uno sviluppo straordinario.
Nel 2012 il reddito medio annuo delle persone fra i 25 e i 34 anni in possesso di un master (laurea magistrale), con un
lavoro a tempo pieno, era all'incirca di 70 000 dollari. I loro omologhi in possesso del solo diploma di scuola superiore
guadagnavano meno della metà, ossia 30 000 dollari all'anno. Nel 2013, fra i diplomati dello stesso gruppo di età
circa 1 su 10 era disoccupato. Il dato statistico equivalente riferito ai giovani in possesso di una laurea triennale o di un
titolo di studio ancora superiore era del 6%.
Nonostante questi dati, molti degli adulti emergenti abbandonano gli studi. Spesso perché non sono «tagliati» per
frequentare l'università, non essendo interessati allo studio, avendo avuto una scarsa preparazione al liceo e/o non
riuscendo a svolgere il lavoro richiesto.
È innegabile che, per frequentare con successo l'università, sia importante avere attitudine allo studio. Tuttavia le
considerazioni di tipo economico hanno un'importanza fondamentale: pur essendo dotati di notevoli capacità nello
studio, i giovani a basso status socioeconomico hanno molte meno probabilità di laurearsi rispetto ai loro pari
appartenenti a una classe sociale abbiente.
Quando la Gates Foundation ha condotto un'indagine fra più di 600 giovani del 21° secolo di età compresa fra i 22 e i
30 anni che avevano abbandonato l'università, è emerso che solo 1 studente su 10 ha dichiarato di essersi ritirato perché
i corsi erano troppo difficili o perché non era interessato a ciò che stava facendo. La ragione principale addotta da questi
studenti era che dovevano lavorare a tempo pieno per pagarsi gli studi, e che lo sforzo era diventato insostenibile.
Il risvolto positivo della questione è che la maggior parte di questi giovani ha in programma di riprendere gli studi. E, il
fatto di lasciare l’università e poi tornarci, può avere dei vantaggi psicologici, perché il tempo trascorso ad accumulare
esperienze nel mondo esterno aiuta le persone a concentrarsi sulla scelta del corso di studi.

Facilitare il percorso scolastico e la transizione scuola-lavoro


Relativamente al problema dell’abbandono scolastico, non si può assolvere la società. Il fatto che finanziarsi l’università
sia così difficile per i giovani statunitensi è una vergogna nazionale. La pratica convenzionale di contrarre debiti significa
che i laureati, dopo aver conseguito il proprio titolo di studio, vanno incontro a un futuro pieno di incresciose difficoltà
economiche.
Per diminuire gli effetti della moratoria dell’identità molte scuole propongono programmi per aiutare gli studenti a
inserirsi con successo nelle attività di studio. Ma, nel focalizzare l’attenzione sulle matricole, le università statunitensi
possono correre il rischio di trascurare l’aspetto dell’«inserimento accademico» negli anni successivi.
Un’altra strada è quella di richiedere ai giovani che hanno compiuto 18 anni di impegnarsi in un anno sabbatico
lavorando nel servizio civile. Mettere alla prova le doti di qualcuno nel «mondo reale» favorisce l’acquisizione di una
maturità adulta.
Si dovrebbe inoltre ripensare l’enfasi che generalmente viene posta sull’università come unico biglietto d’ingresso a una
vita economicamente solida e di successo. Dal momento che alcune persone sono brave nelle attività manuali o si
distinguono nell'intelligenza pratica, non bisogna mai forzare gli adulti emergenti che non sono portati per lo studio a
subire una condizione di scarso adattamento fra doti personali e ambiente.
In Germania ci sono dei corsi di apprendistato finanziati dallo Stato, i datori di lavoro collaborano con le scuole che
offrono ai giovani la possibilità di fare pratica sul lavoro. I diplomati escono da queste scuole potendo contare su un
posto sicuro presso una determinata azienda.
Anche la Germania ha un problema di disoccupazione giovanile, ma poiché i suoi programmi di apprendistato offrono
ai giovani possibilità di lavoro al di fuori dell'università, questo paese contribuisce a ridurre l'improduttiva fase di
moratoria ruminativa che produce un'angoscia tanto profonda nel mondo occidentale.
In una ricerca tedesca condotta a livello nazionale, avere un lavoro o essere iscritti a un corso di apprendistato sono
risultati entrambi indicatori del futuro conseguimento di un'identità realizzata e di un'autoefficacia professionale.
Negli Stati Uniti sono molti i giovani che rimangono bloccati nelle fasi di diffusione dell’identità o di moratoria, perché
manca un modello ben definito di TRANSIZIONE SCUOLA-LAVORO (un percorso che colleghi la scuola alla carriera
professionale).

Andare all’università
Da alcuni sondaggi risulta che la maggior parte dei laureati non concorda sull’affermazione che l’unico scopo
dell’università sia quello di trovare un lavoro. Il valore più importante insito nel fatto di essere uno studente universitario
è il contributo dato dallo studio alla «crescita intellettuale e personale».

Come rendere l'università un luogo in cui fare un'esperienza interiore di flusso


• PROCURARSI I DOCENTI MIGLIORI (E PARLARE CON LORO ANCHE FUORI DALL’ORARIO DELLE LEZIONI):
Un docente davvero in gamba può fare la differenza, in modo permanente, nella vita di un giovane. I docenti
eccezionali sono quelli che amano la propria materia e si impegnano a fondo per trasmettere questa passione agli
studenti. Aprite dunque un dialogo con i vostri insegnanti e confrontatevi con loro. Avere la sensazione di essere
ascoltati può essere un'esperienza molto gratificante nella vita di uno studente.

• SCEGLIERE UN PIANO DI STUDI CHE ABBIA STRETTA ATTINENZA CON LA VOSTRA POTENZIALE CARRIERA:
La missione dei professori è quella di accendere negli studenti l’entusiasmo per il loro campo di interesse. Ma i corsi
non costituiscono quell’esperienza sul campo di cui si ha bisogno per trovare la propria area di flusso. Dunque bisogna
avviare la propria personale transizione scuola-lavoro. A tale scopo, è bene programmare anche studi autonomi, che
implichino del lavoro volontario. In un’indagine condotta fra studenti degli ultimi anni di università, questi hanno
dichiarato che il momento più alto del loro curriculum di studi era coinciso con un periodo di pratica nel mondo reale,
nell’ambito di un progetto guidato da un docente.

• IMMERGERSI NELL’AMBIENTE UNIVERSITARIO:


Seguire questo consiglio è facile se si è iscritti a una struttura scolastica residenziale di piccole dimensioni. In una
grande università, soprattutto se frequentata da molti studenti che vivono fuori dal campus, è necessario un impegno
particolare se si vuole essere coinvolti nella vita sociale universitaria. Una soluzione è quella di aderire a
un’organizzazione studentesca. Lavorare per il giornale dell’università o partecipare all’attività del gruppo teatrale non
solo offrirà la possibilità di stringere molte amicizie, ma può anche aiutare a individuare meglio la propria identità
professionale.

• APPROFITTARE DELLA GRANDE DIVERSITÀ DI RELAZIONI UMANE CHE L’UNIVERSITÀ OFFRE:


I gruppi di amici sono di cruciale importanza per plasmare lo sviluppo dei più giovani, dalla scuola dell’infanzia in
avanti. All’università è forte la tentazione di frequentare una cerchia ristretta di persone e non aprirsi al contatto con
altre compagnie allargate. Ma bisogna resistere a questo impulso. Una delle più importanti occasioni di crescita offerte
dall’università sta nella possibilità di conoscere persone che hanno punti di vista diversi dal nostro.

Essere circondati da persone interessanti offre anche un ulteriore vantaggio, perché consente di svolgere un altro dei
compiti primari individuati da Erikson nella costruzione della vita adulta: trovare l'amore.

INTIMITÀ: è il primo compito dell'adulto individuato da Erikson, che implica una relazione di reciproco amore con un
partner.
Il contesto: cambiamenti epocali nella ricerca dell'amore
Un tempo, i genitori sceglievano i coniugi per i propri figli (spesso durante la pubertà), e i novelli sposi speravano
(se erano fortunati) di innamorarsi in un secondo momento.
Attualmente, con la massiccia comparsa dei servizi di incontri online, Internet ha globalizzato la ricerca dell'amore. Nel
secondo decennio del 21° secolo, negli Stati Uniti ben 1 coppia sposata su 3 si è conosciuta online. Inoltre, alcune
ricerche suggeriscono che i matrimoni nati online hanno più probabilità di essere felici di quelli in cui gli sposi si
sono conosciuti in modo tradizionale.

Possibilità molto più ampie nella scelta del partner, ma con le dovute cautele
La rivoluzione negli stili di vita verificatasi nel 20° secolo ha prodotto anche una notevole espansione della tipologia di
partner che scegliamo. Negli Stati Uniti meridionali (dove tradizionalmente sono più forti il razzismo e la mentalità
conservatrice), durante gli anni 1950 i matrimoni interrazziali erano contro la legge.
All’inizio del 21° secolo, 1 statunitense di origini europee su 3 dichiarava di essere coinvolto sentimentalmente con
qualcuno appartenente a un’etnia o a una razza diversa.
Negli anni 1950 i giovani rischiavano di essere respinti dai genitori (e dalla società) se si sposavano con qualcuno che
non apparteneva al loro stesso gruppo razziale, ma in quell’epoca di mobilità verticale era molto più probabile di quanto
non avvenga ora che gli statunitensi scegliessero un partner proveniente da una classe sociale diversa. Con l’aumento
delle disuguaglianze di reddito, i bambini statunitensi del 21° secolo hanno probabilità progressivamente maggiori di
crescere in ambienti sociali classisti. Inoltre, le indagini indicano che attualmente le possibilità di scelta di un partner
sono stratificate in base al reddito quanto lo erano all’inizio del 20° secolo.

Le relazioni omosessuali
Benché il movimento per i diritti degli omosessuali sia esploso a New York alla fine degli anni 1960, è nei primi anni del
21° secolo che ha compiuto i passi avanti più sorprendenti. In un'epoca in cui gli adulti emergenti si definiscono
«prevalentemente etero», «talvolta gay» o «occasionalmente bisessuali», racchiudere l'identità sessuale di qualcuno
entro i limiti di una categoria ben definita è una pratica obsoleta.
Tuttavia, l’OMOFOBIA, cioè la paura e il disprezzo che alcuni provano nei confronti degli omosessuali, non è insolita.
Il fatto che il gruppo dei pari emargini i bambini che non si attengono ai ruoli standard di genere a un'età precoce, indica
che la società ha ancora forti problemi ad accettare le persone che si avventurano fuori dal perimetro delle norme
eterosessuali.
È comprensibile quindi che i giovani transgender e omosessuali siano sottoposti durante l'adolescenza a un
considerevole turbamento emotivo. Dal momento che le famiglie appartenenti a minoranze etniche tendono ad aderire
fortemente ai modelli sessuali tradizionali, spesso gli adulti emergenti afroamericani e latinoamericani LGBTQIA+
incontrano le maggiori difficoltà nel fare coming out. Ma in un'indagine statunitense condotta tra 165 giovani bisessuali
e omosessuali, il gruppo più esteso (circa 4 adolescenti e adulti emergenti su 5) è stato classificato con identità realizzata.
Queste persone hanno dichiarato di sentirsi pienamente accettate dalle loro famiglie e a proprio agio con i loro
orientamenti sessuali. Il problema era rappresentato da quell'intervistato ogni 5 che i ricercatori hanno identificato come
«in difficoltà». Anche se questi giovani sapevano qual era la loro identità, erano preoccupati dalla prospettiva di svelarla
a genitori e amici che non approvavano questo tipo di scelta.
Il gruppo maggiormente a rischio può essere quello di chi «mette in dubbio» la propria identità (perché possono soffrire
molto dal punto di vista psicologico).
È quindi molto importante raggiungere un'identità realizzata in modo positivo. Una volta che si accetta la propria
identità (o il proprio sé) subentra un senso di autoefficacia e di sollievo. I problemi sorgono nel momento in cui le
figure di attaccamento disprezzano la persona che si è veramente, oppure quando si rimane a languire in una fase di
moratoria per un tempo prolungato.
Una fase di corteggiamento più incostante e prolungata
La moratoria sentimentale fa parte della società occidentale, perché la fase di scelta del partner dura molto a lungo. Nel
monitorare più di 500 giovani di varie condizioni economiche e di età compresa fra i 18 e i 25 anni, alcuni ricercatori
statunitensi hanno trovato che una parte di loro, circa 1 su 4 degli intervistati, avviava una relazione stabile e duratura
subito dopo l’adolescenza. Tuttavia, il gruppo più numeroso, quasi 1 su 3, intratteneva relazioni solo saltuarie o non
aveva alcun coinvolgimento sentimentale durante gli anni dell’università.
Quando gli adulti emergenti trovano un partner, possono instaurarsi relazioni «a singhiozzo», un processo in cui ci si
prende e ci si lascia di continuo, denominato TURBOLENZA RELAZIONALE.
In uno studio statunitense, quasi la metà delle coppie di 20enni che si erano lasciati a un certo punto si era ricomposta;
e, dopo la fine della relazione, 1 su 2 aveva continuato a fare sesso con l’ex.
Dopo una rottura, le persone sono più propense a fare un uso eccessivo di alcol, e la loro salute peggiore. Da uno studio
longitudinale è emerso che, dopo che una coppia si separa, i danni subiti dall’autostima tendono a durare 1 anno intero.
In contrapposizione secondo una ricerca la coabitazione e il matrimonio aumentano nei giovani il senso di autostima.
Anche se l’idea di sposarsi può suscitare una certa diffidenza, una buona relazione amorosa può attutire nei giovani gli
effetti degli alti e bassi dei loro burrascosi vent’anni (e di qualunque età).

Le affinità e le tappe strutturate di una relazione: una discussione sul modo tradizionale di
vedere l'amore
L'ormai classica TEORIA STIMOLO-VALORE-RUOLO formulata da Bernard Murstein, vede la scelta del partner come un
processo in 3 fasi.
• Nella FASE dello STIMOLO si incontra un potenziale partner e si prende la prima decisione. Poiché non sappiamo
nulla di quella persona, il nostro giudizio si basa su indizi molto superficiali, per esempio il suo aspetto fisico o il
modo in cui si veste. Nel compiere questa valutazione, confrontiamo il nostro stesso valore di rinforzo con quello
dell'altra persona, rispetto a una serie di dimensioni. Se il valore della persona ci pare equiparabile al nostro,
decidiamo di darle un'opportunità.

• Con i primi appuntamenti si entra nella FASE del CONFRONTO DI VALORI, in cui lo scopo è capire in che misura si
hanno delle affinità con quella persona. Se il soggetto in questione sembra quello «giusto», allora si entra nella fase
del
ruolo.

• La FASE DEL RUOLO è lo stadio finale nella scelta del partner, nel quale i due partner ormai impegnati nella relazione
elaborano un progetto di vita insieme.

Nella teoria di Murstein, il concetto di uguale valore di rinforzo dei due partner spiega perché ci aspettiamo che i partner
di una coppia siano affini, sia quanto a «valore sociale», sia quanto a classe sociale di appartenenza. Quando scopriamo
in una coppia notevoli discrepanze nei valori dei due partner, cerchiamo di trovare delle ragioni che le possano
spiegare.
Un aspetto importante della teoria di Murstein è l'idea che nelle relazioni amorose il fattore decisivo sia l'OMOGAMIA,
cioè l’affinità, il principio secondo cui scegliamo un partner che è simile a noi.
Il nostro scopo è trovare un'anima gemella, una persona che ci corrisponde non soltanto nelle condizioni esteriori, ma
anche negli interessi e negli atteggiamenti riguardo alla vita.
In effetti, poiché gli studi indicano che i gemelli identici (che hanno lo stesso DNA) sono più inclini dei gemelli fraterni a
scegliere partner con «stili di attaccamento» analoghi, gli esseri umani potrebbero avere una predisposizione biologica a
essere attratti da partner ben definiti.
La nostra specie potrebbe affezionarsi al modo in cui ci appaiono fisicamente i caregiver della nostra infanzia. In uno
studio, i giovani mostravano una tendenza a scegliere partner che assomigliavano al loro genitore di sesso opposto, ma
solo se da bambini si erano sentiti intimamente legati a quella persona.
L'omogamia è rafforzata dal fatto che le persone con analoghe passioni sono attratte dalle stesse situazioni che
consentono di vivere l'esperienza del flusso.
Inoltre, quando le coppie si formano grazie a interessi condivisi, godono di un interessante vantaggio, ovvero l’avere in
comune attività in cui si è immersi in uno stato di flusso, che contribuisce a mantenere viva la passione.
I limiti della ricerca di un partner che ci somigli
Esistono importanti eccezioni alla regola che l'omogamia sia decisiva in un rapporto amoroso. Nell'indagare il livello di
felicità in coppie che sono state sposate a lungo, i ricercatori hanno scoperto che la relazione funziona in modo ottimale
quando un partner è più dominante e l'altro più remissivo.
Abbinare due forti personalità potrebbe ostacolare una felicità da perfetti innamorati così come due partner passivi
possono risultare frustranti l’uno per l'altro. Ma il modo migliore di andare d'accordo per una coppia è avere alcuni tratti
opposti della personalità e stili di comportamento.
Oltre a ciò, supponiamo che i componenti di una coppia siano molto simili ma sotto alcuni aspetti poco gradevoli.
Quello che davvero conta per essere felici insieme non è poi una somiglianza così oggettiva, ma la convinzione che la
persona amata possieda una personalità straordinaria.
Chi vede il proprio partner come una persona estroversa ed emotivamente stabile, avrà nel corso del tempo relazioni
migliori.
Quindi scegliere l’anima gemella non significa andare in cerca di un clone. Non bisogna cercare un’immagine riflessa
della nostra attuale personalità, ma una persona che incarni il nostro «sé ideale», la persona che noi stessi vorremmo
essere. Inoltre, come ha dimostrato uno studio recente, quando una persona pensa che il proprio partner rappresenti il
meglio di sé, essa tende a crescere emotivamente, avvicinandosi ad assomigliare al proprio ideale.
Invece di corrispondersi oggettivamente, chi vive una felice relazione di coppia tende a vedere il partner attraverso un
paio di occhiali dalle lenti rosa, amplificando le qualità dell’altro e sopravvalutando la portata delle affinità di valori e di
obiettivi personali col partner.

I limiti del vedere l’amore in fasi distinte


Considerare la scelta del partner come un insieme di fasi statiche nettamente distinte riduce al minimo la magia di una
storia d’amore. Alcune coppie possono innamorarsi all’improvviso quando si conoscono dopo mesi di scambi di email,
oppure a un certo punto ci può essere una sorta di illuminazione, quando qualcuno capisce che quella è la persona
giusta.
In uno studio, dei ricercatori tracciarono questi alti e bassi emozionali chiedendo a coppie che si frequentavano di
tracciare un grafico delle probabilità (da 0 a 100%) di sposare il partner. A quegli studenti che si erano offerti volontari fu
quindi richiesto di tornare ogni mese, registrare i cambiamenti nella loro sensazione di coinvolgimento e spiegare le
ragioni di ogni punto di svolta significativo nella relazione.
Le relazioni spesso dipendono da elementi di omogamia, ma esistono altri fattori importanti, dall'influenza di familiari
e amici all'idea che si è troppo giovani per impegnarsi.

Oggi un punto di svolta nel coinvolgimento amoroso è


rappresentato dal fatto di rendere la relazione ufficiale su Facebook. Etichettare se stessi come «impegnati» riflette
un’importante svolta sentimentale. Secondo i sondaggi, le persone che hanno compiuto questo passo dichiarano di
sentirsi più legate ai propri partner e meno interessate a cercare altri compagni.
La situazione più pericolosa è quella in cui le coppie interrompono la relazione e gli ex partner si sentono obbligati a
trasmettere al mondo intero la notizia del loro fallimento modificando il proprio status sentimentale su Facebook in
«relazione complicata» oppure in «single». Per affrontare il dolore che deriva dalla rottura, generalmente le persone
usano strategie di «bonifica», come cancellare le foto che si hanno in comune e, talvolta, togliere l’amicizia all’ex
compagno. Tuttavia, si può cedere alla tentazione di monitorare un ex visualizzando ossessivamente le pagine di amici
comuni, oppure ci si può lasciare andare a veri attacchi di aggressività relazionale sulla propria pagina Facebook.
Ogni coppia ha i suoi alti e bassi, e questa turbolenza relazionale erode la fiducia. Alternare continuamente rotture e
riavvicinamenti è un segnale che la situazione sta sfuggendo di mano.
L'amore visto attraverso le lenti della teoria dell'attaccamento
Cindy Hazan e Phillip Shaver ebbero l’intuizione di utilizzare le categorie di Ainsworth per classificare le persone
secondo i diversi stili di attaccamento adulto.
• Gli adulti con un ATTACCAMENTO INSICURO di tipo PREOCCUPATO/AMBIVALENTE si innamorano in fretta e
molto intensamente, ma poiché tendono a essere oppressivi ed esigenti, spesso finiscono con l'essere rifiutati e sentirsi
cronicamente insoddisfatti.

• All'estremo opposto ci sono gli adulti con un ATTACCAMENTO INSICURO di tipo EVITANTE/DISTANZIANTE:
questi individui sono solitari, distanti e refrattari a impegnarsi nelle relazioni. Vogliono mantenere la loro
indipendenza,
evitare di condividere le emozioni e evitare di avere contatti ravvicinati con altri.

• Le persone con ATTACCAMENTO SICURO sono completamente aperte e disponibili all'amore. Esse lasciano al
partner lo spazio per esprimere le proprie differenze, eppure sono decisamente coinvolte. Il loro viso si illumina
quando parlano del partner; la gioia che provano grazie all'amore traspare.

In varie ricerche è risultato evidente che gli adulti emergenti con attaccamento insicuro hanno difficoltà nelle relazioni,
mentre gli adulti con attaccamento sicuro hanno una maggiore facilità nel creare e mantenere rapporti amorosi.
Gli adulti con attaccamento sicuro hanno matrimoni più felici e storie d'amore più soddisfacenti, tengono duro nei
momenti difficili e sono pronti a sostenere senza riserve il partner quando ce n'è bisogno. Gli adulti con attaccamento
sicuro sanno benissimo come essere emotivamente in sintonia con il partner.
La buona notizia è che lo stile di attaccamento può cambiare da insicuro a sicuro. E il cambiamento può avvenire anche
in senso opposto, vale a dire che è possibile, dopo un'esperienza amorosa particolarmente negativa, sentirsi
temporaneamente insicuri.
Il modo migliore di comprendere a fondo gli stili di attaccamento è considerarli limitatamente durevoli e costanti, in
quanto parzialmente dovuti alle esperienze che viviamo nel campo dell'amore.
Una ragione per cui lo stile di attaccamento tende a rimanere stabile è che opera come una profezia che si autoavvera.
Una persona con attaccamento di tipo preoccupato, quindi assillante, tende a essere rifiutata ripetutamente.
Una persona evitante può rimanere bloccata nel suo isolamento, perché aprire una breccia nella sua corazza difensiva
richiede uno sforzo eroico.
Una persona affettuosa rafforza sempre più il suo attaccamento sicuro, perché il suo comportamento suscita risposte
espansive e altrettanto affettuose.

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