Sei sulla pagina 1di 47

GESTIONE DELLE IMPRESE

Secondo modulo

Le strategia di crescita

Abbiamo definito due tipologie di strategia: strategie di business e strategie di corporate.


La strategia di business ci dice come l’impresa opera all’interno di un determinato settore industriale, ad
esempio per fronteggiare la concorrenza (principali strategie differenziazione o cof leadership).
La strategia di corporate ci dice dove l’impresa opera, in quali settori industriali quindi quali prodotti offre,
in quali mercati geografici l’impresa opera o in quali attività lungo la filiera produttiva, l’impresa è
direttamente produttiva.

PARTE UNO - IL MANAGEMENT E IL SISTEMA IMPRESARI

Criteri distintivi
Cosa vuol dire diversificare? Quando espande il proprio portafoglio di attività

A seconda dell’oggetto relativo all’area di business in cui l’impresa opera, l'impresa attua un processo di
diversificazione allorché dilata:
- il numero di settori in cui opera (diversificazione settoriale / di prodotto);
- il numero di paesi in cui opera (diversificazione geografica);
- Il numero di attività lungo la filiera produttiva (diversificazione verticale = integrazione verticale)

A seconda della correlazione tra business in cui l’impresa opera, la diversificazione può essere:

- Correlata (concentrica): espansione dell’impresa in aree di business che condividono simili input (es:
risorse, competenze) con le aree di business attuali dell’impresa.
Esempio: caso procure e gamble utilizza un brand ad hoc per ogni prodotto sul mercato. Principalmente i
prodotti sono dedicati alla cura della casa e alla cura della persona
- Non correlata (conglomerale): espansione dell’impresa in aree di business che non condividono simili
input (es: risorse, competenze) con le aree di business attuali dell’impresa.

Per esempio Virgin che opera in settori diversi (competenze diverse per operare nel settore aereo, soft-drink,
stazione radiofonica, palestre e business)

Domande a risposta multipla: definizione di diversificazione per esempio distinguendo tra correlata e
non correlata.
Perché l’integrazione verticale è diversificazione? Perché l’impresa potrebbe decidere di espandere il numero

1
di attività lungo la filiera.

Esempio: Apple fa circa il 50% del fatturato dalla vendita di un solo prodotto: l’IPhone. Computer 10%,
tablet 8%, servizi 20%. È diversificata o no?

PERCHÉ DIVERSIFICARE?
Domanda a risposta aperta.

Mancanza di opportunità di crescita nel settore (o paese) di origine.


Potrebbe essere il caso di un’impresa che opera in un settore maturo, quando la penetrazione del prodotto nel
mercato si avvicina o supera la saturazione.

Cause:

● Eccessiva intensità competitiva


● Settore che cresce dal punto di vista del fatturato ma non di quello di profitti Apple ad esempio
mette sempre a disposizione i dati sul fatturato ma mai quello sulle unità vendute, perché negli
ultimi anni è in calo a causa dei prezzi eccessivamente elevati e non vuole spaventare l’azionista.
● Settore in cui la domanda cresce relativamente poco. Ci potrebbero essere delle condizioni
all’interno di un settore che non mi consentono di crescere e generare una certa redditività, l’unico
modo che ho di crescere dal punto di vista del fatturato è quello di aggiungere al fatturato che riesco
a generare all’interno di questo settore, il fatturato che possono generare in altri settori.
(diversificazione come strumento di crescita dimensionale). Esempi: Apple sta investendo
parecchio sui servizi, ormai per quanto riguarda i cellulari è sempre più difficile differenziarsi (dal
punto di vista dell’hardware).

Quando un’impresa diversifica deve fare attenzione perché l’azionista non guarda solo la dimensione
aziendale ma anche la redditività. Il rischio è entrare in settori che aumentano la redditività di un’unità
ma diminuiscono quella generale.

Sfruttamento di economie di scopo.

Abbiamo economie di scopo quando utilizzo delle stesse risorse (tangibili o intangibili) per la
produzione di prodotti o servizi differenti.

Esempio economie di scopo asset intangibili: Utilizzo un brand forte (per esempio Virgin) per entrare in
altri settori.

Esempi economie di scopo attraverso asset tangibili: per le imprese automobilistiche è molto importante
utilizzare lo stesso pianale per la produzione di più veicoli, due veicoli differenti. (Per esempio
Volkswagen e Audi ma anche case automobilistiche che sono competitive). Attraverso la

2
diversificazione genero economie di scopo, diversificazione perchè produco prodotti diversi, modelli di
automobili differenti utilizzando la stessa tecnologia.

Esempio: quando Samsung ha cominciato a ridurre tablet ha utilizzato le economie di scopo,


recuperando risorse in eccesso dalla produzione dei telefoni.

Problema: se ho un guasto sono costretto a fermare tutta la catena produttiva.

Utilizzazione di capacità in eccesso e ricerca di nuove opportunità. Per esempio Apple che ha un
elevatissimo fatturato, può decidere di investire in settori industriali che percepisce essere attrattivi, ha
una elevatissima liquidità in eccesso e per farla fruttare “la investe”. Diversifico le mie risorse
all’interno di un business non necessariamente correlato.

Aumento di potere di mercato. Tre modi:

1. Attraverso la diversificazione posso mettere in pratica la strategia dei prezzi predatori, un'impresa
diversificata potendo operare in mercati geografici diversi può permettersi di essere estremamente
aggressiva in un di questi per scoraggiare l’ingresso di nuovi competitor o per farli uscire. Posso
sostenere questa strategia di prezzo perché gli utili che non riesco a generare in questo mercato,
posso compensarli con i ricavi che genero da un altro mercato. Per esempio compagnie aeree:
British Airlines che per scoraggiare l’entrata di Ryanair aveva abbassato i profitti nel settore.

2. Un'altro strategia è il bundling, il fatto di sfruttare il potere di mercato che ho in un determinato


settore industriale, legato alla vendita di un determinato prodotto o servizio, vendendo questo
prodotto o servizio in un unico pacchetto assieme ad altri prodotti o servizi complementari da me
offerti, magari appartenenti a settori diversi (Google). Esempio Microsoft che ha proposto il
pacchetto operativo Windows. Va bene a meno che tu non sia un operatore dominante perché si
abusa della propria posizione (infatti Microsoft è stata sanzionata).

3. Competizione multi-mercati: ridurre l’intensità competitiva con le imprese che operano negli
stessi settori/mercati geografici. È più intensa la competizione tra imprese che condividono pochi o
tanti mercati geografici? Se operiamo negli stessi settori, se io ti attacco su uno, tu hai molte
alternative attraverso le quali puoi vendicarti. Si verifica l’ipotesi di mutua sopportazione: non
conviene ai competitor attaccare la nostra impresa di riferimento perché così facendo l’impresa che
attacchiamo potrebbe ritorcersi in altri settori. Esempio: Nokia.

Google e Samsung erano operativi in due settori diversi: uno dominava il lato software (google)
l’altro hardware (Samsung). L’uno dipendeva fortemente dall’altro, il successo di Google era
determinato in gran parte da Samsung. Ad un certo punto questo gioco crolla. Samsung decide di
entrare nel segmento delle applicazioni aprono il Samsung store grazie al quale Samsung riusciva
monetizzare. Google percepisce che Samsung vuole interferire con la sua posizione dominante >
introduce la sua linea di telefoni.

3
Frazionamento del rischio. Per esempio la banca assume dei rischi nel compiere le operazioni di impiego
fondi, in particolare quelle di finanziamento e quelle di investimento finanziario. Per ridurre, per quanto
possibile tali rischi, essa deve procedere ad un frazionamento del rischio, cioè deve diversificare al massimo
gli impieghi. (Caso Samsung) La diminuzione della redditività di alcune unità aziendali è stata compensata
dall'aumento della redditività in altre unità aziendali. La crescita dei profitti nel settore dei semiconduttori ha
compensato la diminuzione dei profitti nel settore della telefonia mobile.

Quando una BU è caratterizzata da un rischio elevato? Se l’impresa fa fatica a prevedere le


conseguenze delle sue azioni strategiche perché all’interno del settore c’è una certa volatilità.

Come attraverso la diversificazione l’impresa può ridurre il rischio di portafoglio?


Entrare in settori industriali in cui l’andamento dei profitti non è correlato con quello dei prodotti che
ho in portafoglio.
Ad esempio con i miei prodotti la maggior parte del fatturato lo effettuo nel periodo natalizio, se avviene un
evento sfavorevole vengo danneggiato. Entrando in settori industriali dove l’andamento del fatturato è
diverso “copro” il rischio.
Fattori:
● Stagionalità (esempio sopra)
● Ciclicità di un titolo, del rendimento, del fatturato di un’azienda esprime il grado con cui quel titolo
azionario, rendimento o fatturato varia (volatilità) al variare del ciclo economico.
o Settore ciclico: lusso
o Settore aciclico: farmaceutico > indipendentemente dal ciclo economico, i prodotti devono
essere acquistati; oro.
Con riferimento al discorso sopra, se l’impresa opera in un settore ciclico, differenziando le conviene
entrare in un settore aciclico.
Indicatore > coefficiente beta.
All’esame non verrà chiesto questo argomento (settori ciclici o aciclici...)

… a seconda dell'obiettivo strategico, la diversificazione può tradursi in scelte molto diverse

Obiettivo Strategia di diversificazione (esempio)

Crescita dimensionale attraverso l’ingresso in nuovi Ingresso in più settori di attività, alla ricerca di
settori di attività nuovi clienti —> + fatturato

Ripartire gli investimenti/ricavi in più settori,


Riduzione del rischio legato al settore di attività
in modo da compensare possibili eventi

4
sfavorevoli

Crescita dimensionale attraverso l'ingresso in nuovi Ingresso in più mercati geografici, alla
mercati geografici ricerca di nuovi clienti —> + fatturato

Ripartire gli investimenti/ricavi in più mercati


Ridurre il rischio paese geografici, in modo da compensare possibili
eventi sfavorevoli

Fattori che si possono considerare nel misurare la diversificazione

- Numero di settori/mercati in cui l’impresa opera;


- Peso del fatturato generato in ogni settore/mercato sul totale fatturato dell’impresa;
- Ve ne sarebbero altri, come ad esempio il rischio legato alla profittabilità dei diversi settori/ paesi, ma
per semplicità non li consideriamo.

Esame: Calcolo del grado di diversificazione sulla base dei due fattori (numero e peso del fatturato)
1. Calcolo della diversificazione sulla base del numero di settori di attività

Virgin Group ha 11 settori, General Eletric ha 9 settori.

N° settori Virgin > N° settori GE —> Virgin è più diversificata sulla base di questo indicatore. MA se noto
gli ultimi due settori della tabella corrispondono a meno dell’1%

Vantaggio: è facile da calcolare


Svantaggio: Questo criterio non pondera l’importanza che assumono per l’impresa i diversi settori (per
esempio: Hotels, Bridal e Internet in Virgin hanno quote basse sotto l’1%).

2. Calcolo della diversificazione con l'indice di Herfindahl


N.b. È diverso da quello visto finora per la concentrazione!!

5
HD = 1- herfindal per la diversificazione uso questa formula che tiene conto di quanto è sviluppata ogni
business unit = valuta il peso del fatturato generato in ogni settore sul totale del fatturato dell’impresa.
General Electric > più concentrata
Virgin > maggiore sperequazione

Qi = percentuale di fatturato che l’impresa genera nel business i (es: settore, prodotto, mercato geografico).

● Più HD è vicino a 1, maggiore il grado di diversificazione (1-1/n = equiripartizione in un


portafoglio di n business).
● HD = 0 : diversificazione nulla (es: concentrazione fatturato in un unico business, perche Q=1).

[1 - la sommatoria delle quote percentuali di fatturato che l’impresa genera nei vari business]

HD cresce:
1) a parità del numero di business, con la diminuzione della sperequazione delle quote di fatturato fra i
business,
2) a parità di sperequazione, con l’aumentare del numero di business in portafoglio.

Il valore massimo è 1-1/n.

Aumento della sperequazione > fa abbassare l’indice di herfindal


Anno 2002 - anno 2004 > parità di sperequazione ma indice di herfindal maggiore nel 2004 perché il numero
di prodotti in portafoglio è più alto

Logica alla base dell'indice di diversificazione di Herfindahl

- A parità di altre condizioni, la diversificazione settoriale/geografica è elevata quando le quote di


fatturato dell’impresa sono ben ripartite in molti settori/mercati geografici.
- Utilizziamo la dimensione relativa del settore/mercato geografico (es: n°“unità vendute”, “fatturato
generato” nei vari settori/mercati sul totale) come variabile discriminante.

Domande per l’esame: il calcolo del grado di diversificazione del portafoglio prodotti o mercati
geografici di una o più aziende e mettere a confronto i due portafogli, si può calcolare contando il
numero di settori per ogni azienda e attraverso l’indice di Herfindahl. Ci potrebbero essere casi in cui
attraverso il numeratore di settori troviamo un’azienda più diversificata, ma all’opposto attraverso
l’indice possiamo ottenere un altro risultato.

Herfindahl & Numero di settori di attività

6
Diversificazione: indice di Herfindahl e numero di prodotti

7
PARTE DUE – L’INTEGRAZIONE VERTICALE

L'integrazione verticale è il grado con cui un’impresa controlla i propri input (integrazione verticale a
monte) ed i propri output (integrazione verticale a valle).

È una strategia di corporate, ci dice dove l’impresa opera [in quali attività lungo la catena (attività a monte e
attività a valle)], esprime il grado con cui un impresa controlla i propri input a monte e i propri output a valle
della filiera, può essere completa o parziale.

Un’impresa si integra verticalmente quando aumenta il controllo dei propri input a monte della filiera
(integrazione verticale a monte), o i propri output a valle della filiera (integrazione verticale a valle).
Le attività a monte della filiera possono essere per esempio l’estrazione e la lavorazione della materia
prima, produzione del componente.

Può essere completa o parziale [strategia di crescita]


● Completa quando l’impresa svolge due o piu attivita direttamente senza l’ausilio di partnership con
soggetti terzi.
● Parziale quando va ad aggiungere attività che prima non svolgeva direttamente ma non le svolge
solo lei, si munisce dell’ausilio di partner.

Non esiste un’impresa integrata completamente.


Quanto maggiori sono le proprietà ed il controllo esercitato da un’impresa su fasi successive della filiera
produttiva, tanto maggiore è il grado di integrazione verticale dell’impresa stessa.

COME MISURARE IL GRADO DI INTEGRAZIONE VERTICALE DI UN'IMPRESA?

Contare il numero di attività della filiera produttiva svolte direttamente dall’impresa: a prescindere dal
fatto che queste siano svolte in condivisione con fornitori esterni (quindi svolte in modo parziale) si tratta di
quelle attività all’interno delle quali l’impresa è almeno in parte coinvolta direttamente. Tanto più è elevato il
numero di attività svolte all’interno dell’impresa, tanto più l’impresa è integrata verticalmente.

8
Rapporto tra il valore aggiunto di un’impresa ed i suoi ricavi di vendita: indice di Adelman quanto
più un’impresa produce internamente, anziché acquistare dall’esterno, tanto minore è il valore dei beni e
servizi che essa acquista rispetto ai ricavi di vendita (e tanto più è elevato il rapporto valore aggiunto su
ricavi di vendita).

Il valore creato dall'impresa (valore aggiunto) viene distribuito fra diversi soggetti che hanno interessi nel
business dell'impresa stessa: dipendenti (salati e stipendi), creditori (oneri finanziari), governo (tasse),
proprietari/azionisti (profitti).

Utilizzare i dati del conto economico riclassificato secondo il valore aggiunto, identificare il valore aggiunto
(ricavi di vendita - costi esterni) calcolare il rapporto tra valore aggiunto e i ricavi di vendita.
Valore massimo si ha nel caso in cui l’impresa non sostiene costi esterni (valore della produzione = valore
aggiunto) > integrazione massima

Come misurare l’integrazione verticale?

Le imprese sono tanto o poco integrate verticalmente? Basso grado di integrazione verticale perché c’è una
forte incidenza dei costi materie prime e servizi (costi esterni) a prescindere dalla dimensione aziendale.
NON si misura il grado di integrazione verticale guardando solo i costi esterni in termini asssoluti > devo

9
guardare il rapporto tra valore aggiunto e totale fatturato (ricavi di vendita).

Gruppo Viesse: meno integrata


Coseva puliservzi: più integrata verticalmente. Ed è l’impresa più piccola, ha dei costi esterni molto bassi.
Forte incidenza dei costi legati al personale, a prescindere dalla dimensione aziendale.
Bassa incidenza di costi di materie prime e servizi. Alto grado di integrazione verticale.

Domanda a risposta multipla: tabella 1, qual è l’impresa più/meno integrata verticalmente? Calcolo del
grado di integrazione verticale sulla base dei dati del conto economico riclassificato a valore aggiunto.

INTEGRAZIONE VERTICALE O ACQUISTO SUL MERCATO? CONVIENE INTEGRARSI O


AFFIDARSI AL MERCATO?
L’impresa tende a realizzare al suo interno tutte quelle attività che generano un determinato output ad un
costo inferiore al prezzo che essa sosterrebbe se acquistasse quello stesso output sul mercato:

Cp + Ca < P + Ct

Cp = costi di produzione interna


Ca = costi amministrativi derivanti dalla gestione dell’attività all’interno dell’impresa P =
prezzo di acquisto sul mercato dello stesso output realizzato
Ct = costi di transazione, ricerca fornitori, definizione e stipulazione del contratto, monitoraggio
adempimento del contratto. Di tre tipi: 1) legati alla ricerca della controparte; 2) definizione e stipula del
contratto; 3) monitoraggio dell’adempimento del contratto.

● Grado di convenienza ad integrare = (P + Ct) - (Cp + Ca)


● Grado di convenienza a affidarmi al mercato = (Cp + Ca) – ( P – Ct)

10
● Se si tiene fisso Cp+Ca ma P+Ct aumenta > aumenta la differenza e quindi aumenta la convenienza a
integrare

Costi legati all’affidamento al mercato meno i costi che l’impresa sosterrebbe producendo il prodotto
internamente. Tanto più è grande il risultato tanto mi conviene integrarmi, perchè quello che spendo ad
affidarmi al mercato è molto superiore a quello che spendo per produrre internamente.
La differenza tra costi lega all’integrazione verticale ed i costi esterni legati al mercato non è sufficiente per
determinare il passaggio da una modalità all’altra.

Quando un impresa decide di passare dal mercato all’integrazione verticale (o viceversa) sostiene dei costi
di cambiamento. Costi di cambiamento costi che l’impresa deve sostenere per svolgere in modo efficiente
un’attività che prima non doveva svolgere.

Il passaggio dal mercato all’integrazione si attua se: (P + Ct) - (Cp + Ca) > Cm-i (grado
di convenienza a internalizzare, ovvero produrre internamente)

Per esempio: General Electric è il più grande prodotti di aeromobili > fornisce boig e airbus.
produrre internamente per esse è meno costoso, ci sarebbe convenienza ad integrare (perché costi esterni cosi
interni).
Non tutti i costi determinati dal passaggio è quantificabile >> essere bravi come general electric potrebbe
chiedere anche 10 anni (economie di apprendimento).
Mi conviene integrare sei costi di passaggio sono minori della convenienza ad integrare.

Il passaggio dall’integrazione al mercato si attua se: (Cp + Ca) - (P + Ct) > Ci-m (grado
di convenienza a esternalizzare, ovvero affidarmi al mercato)

Esempio Zara: scopre che in Cina è presente un produttore di filati che le fornirebbe la
materia prima ad un prezzo inferiore rispetto ai costi che essa sostiene per produrre
internamente.
Ma per la strategia dell’azienda che è basata su un rapido turnover delle collezioni questo
potrebbe risultare non conveniente.

Cm-i = costo di passaggio dal mercato all’integrazione


Ci-m = costo di passaggio dall’integrazione al mercato

È conveniente se il grado di convenienza è maggiore ai costi di cambiamento.

11
Esercizio da esame (risposta multipla)
Un’impresa sta valutando se aumentare il grado di integrazione verticale e affidarsi meno al mercato. I
suoi costi di produzione interna 8 milioni ¬ costi amministrativi 5 milioni ¬ prezzo di acquisto sul mercato
5 milioni ¬ costi di transazione 10 milioni ¬ costi di passaggio dal mercato all’integrazione 3 milioni ¬
Impresa ha convenienza ad integrarsi verticalmente?
(P + Ct) - (Cp + Ca) > Cm-i
(5 + 10) - (8 + 5) > 3
15 - 13 > 3 NO

Testimonianza: PRESTAZIONE EFFEGIDI

Sia leadership che differenziazione

Differenziazione: le imprese che sopravvivono riescono a focalizzarsi su un mercato di sbocco specifico. I


prodotti non sono particolarmente omogenei.

Diversificazione. Entrare in nuove aree geografiche ha consentito di aumentare il fatturato. Aumentare i


profitti: ingresso nel mercato degli Stati Uniti che è mercato che non è tanto attrattivo perché è disposto a
spendere tanto più che perché si vendono grandi volumi.

Diversificazione attività a monte: diversificati dal punto di vista dell’ approvvigionamento (ha aiutato
durante il covid).

Diversificazione di prodotto: la macchina che taglia è la stessa ma anziché passare la lastra di alluminio
passano una lastra di plastico per produrre packaging > economie di scopo

Integrazione verticale:

Tasso di crescita della dada elevato, la competizione è solo dal punto di vista del prezzo. Intensità
competitiva si è ridotta a fronte di processi di …. (fusione > riduce il numero di player e quindi riduce
l’intensità competitiva)

I soggetti a valle della filiera sono molto concentrati > poche grandi imprese

Concentrazione forte anche a monte: la produzione di rame è concentrata principalmente in Cina, india. I
fornitori hanno forte potere contrattuale nei confronti della azienda.

Se un tempo cera una forte minaccia di prodotti sostituiti come la fibra ottica (ha rubato clienti alle imprese
che facevano cavi in rame), ora il rame è insostituibile per certe soluzioni, cioè la minaccia Isi è fatta sentire
ma non può più spingersi oltre.

Struttura dei costi sbilanciata sui costi esterni. Per loro i costi della materia prima sono enormi. Obiettivo
non tanto creazione di valore aggiunto ma assicurarsi la materia prima a costi contenuti.

12
GLI EFFETTI POSITIVI DELL'INTEGRAZIONE VERTICALE
Domande a risposta aperta: elenca gli effetti positivi dell'integrazione verticale oppure gli effetti negativi.
Spiegare i fattori e fare un esempio per ognuno dei fattori.

Vantaggi sul piano dei costi, possiamo avere due tipologie di costi che si possono abbattere:
- riduzione dei costi derivante dalla diretta connessione degli impianti impiegati per realizzare una
certa sequenza di attività produttive (economie tecniche). Ci sono dei settori industriali all’interno dei
quali certe lavorazioni devono essere portare a termine immediatamente dopo l’attività svolta, (per esempio
acciaio fuso viene prodotto e dopo di che viene solidificato: dallo stampo alla lastra) in modo successivo e
immediato. Non possono esserci tempi di attesa. Si ottengono economie tecniche quando si riesce ad
inserire all’interno dello stesso stabilimento fasi successive l’una all’altra, che se vengono svolte da imprese
indipendenti, genererebbero un aumento dei costi.
Esempio produzione di lastre d’acciaio. L’acciaio fuso viene colato negli stampi dando vita a delle lastre. Se
queste attività dovessero essere svolte separatamente sarebbe complicatissimo.
Esempio: le imprese che estraggano rame svolgono anche una serie di attività successive come ad esempio
la produzione di fogli.
- riduzione dei costi di transazione. L’azienda in certi settori potrebbe essere molto oneroso cercare una
contro parte, costi di negoziazione elevati come anche i costi di monitoraggio.
I costi di transazione sono altissimi quando il mercato è in una fase di crescita
Esempio: settore delle auto elettrice. Tesla produce le batterie per le propri auto elettriche. Per il primo anno
tesla ha concluso l’anno non in perdita.

Vantaggio sul piano della creazione di valore. Ci possono essere all’interno della catena del valore,
alcune attività che sono determinanti ai fini del vantaggio competitivo

Esempio: apple integrazione completa a valle con punto vendita monomarca con personale specializzato,
assenza concorrenza sugli scafali ecc. la scelta è coerente con la scelta di essere diversa rispetto alla
concorrenza. Un’importante elemento di differenziazione è legato al l’esperienza di acquisto, quindi al
punto vendita, i suoi prodotti sono diversi pertanto devono essere spiegati, acquistati in un ambiente
diverso, quindi venduti da un personale specializzato in un ambiente particolare, anche il punto vendita
influenza l’acquisto.

Vantaggi sul piano del maggiore potere contrattuale nei confronti di soggetti a monte o a valle della
filiera.

Esempio: di nuovo il caso di apple, se controllo una determinata attività, per esempio l’attività a valle,
aumenta il potere contrattuale perchè posso vendere il prodotto in autonomia,. Apple può dire a media word
che se non vende i suoi prodotti in un certo modo, lei può venderli tranquillamente negli Apple store.

Esempio: oppure Samsung integrata verticalmente a monte, produce semiconduttori necessari, in parte si

13
avvale di soggetti esterni, il fatto che l’impresa sia integrata verticalmente fa si che abbia maggiore potere
contrattuale perchè samsung potrebbe dire che se il fornitore non fosse in grado di garantire tempestività
efficienza ecc potrei fare in modo di crearlo da solo quel prodotto

GLI EFFETTI NEGATIVI DELL'INTEGRAZIONE VERTICALE

Ci sono due macro categorie di problematiche ad essere verticalmente integrato:

Perché le imprese non svolgono internamente le attività di facilità management? Perché sono a basso valore
aggiunto e farle svolgere esternamente costa meno perché quelle imprese svolgono la stessa attività per molti
clienti. Ci sono attività lungo la filiera che per essere produttive devono generare un certo volume di vendite

Costi di amministrazione e di coordinamento interno:

- Differenze nella scala efficiente minima della varie fasi della produzione.
Esempio: DHL è un impresa di servizi che utilizza (acquista) migliaia di veicoli commerciali per
consegnare la merce. DHL non produce direttamente questi veicoli perchè nel settore dell’automotive per
andare a pareggio devi fare almeno 200mila veicoli all’anno, se non fai un certo numero di veicoli, non vai
a pareggio. Quindi DHL acquista diversa veicoli commerciali, ma non richiede 200mila veicoli nuovi
all’anno, per questo non ha convenienza.
- Difficoltà nel sviluppare competenze distintive, l’impresa difficilmente ha risorse a sufficienza per
sviluppare competenze adeguate per posizionarsi in tutte le attività lungo la filiera (rischio di diseconomie)
Esempio: Apple fa design in California e manufacturing in China, se pretendesse di essere brava a produrre,
assembrare il telefono come riesce a fare per il design, genererebbe delle diseconomie.
- Difficoltà nella gestione strategica di attività differenti, attività lungo la filiera potrebbero chiedere
competenze diverse > esempio: DHL se avesse le risorse finanziare per prodursi un impianto per realizzare
veicoli, il fatto di saperli produrre bene è un’altra cosa. Le competenze richieste per consegnare merci, sono
diverse dalle competenze richieste per realizzare veicoli.
- Rischio di generare incentivi deboli tra fornitore e cliente delle relazioni interne, incentivi forti [si
hanno quando le due attività lungo la filiera direttamente connesse (fornitori e clienti) sono svolte da soggetti
diversi hanno incentivi nell’ operare alla massima efficacia ed efficienza] è probabile che vi siano incentivi di
profitto elevati, perchè il fornitore deve convincere il cliente che il suo prodotto è migliore rispetto alla
concorrenza e quindi merita spazio a scaffale, dall’altro lato il cliente deve essere molto attento a scegliere i
prodotti da mettere a scaffale perchè errori dal punto di vista dell’assortimento potrebbero essere pagati
molto caro. Se i due soggetti sono indipendenti e non c’è integrazione verticale ci sono dei forti incentivi nel
performare, generare utili, sia da parte del fornitore sia da parte del cliente. Il rischio di essere verticalmente
integrato è che gli incentivi si spostano da forti a deboli, perchè non c’è più la concorrenza con altri possibili
concorrenti, il distributore è la mia stessa azienda, accoglierà i prodotti che io realizzo, dall’altro lato il

14
cliente (quindi il distributore) è il negozio monomarca dell’azienda e per definizione accoglie tutto quello
mandato dall’azienda, che performi bene che performi male.

Incentivi forti: solitamente quando l’impresa non è verticalmente integrata. Perché per convincer il
distributore ad accogliere i suoi prodotti deve convincerlo che valgano di piu rispetto alla concorrenza.
Dovendo scegliere tra una quantità di produttori dovrà mettere a scaffali quelli che gli consentono di avere
la massima redditività.
Incentivi deboli: quando è verticalmente integrata. Apple oltre a produrre il prodotto controlla anche
l’attività a valle. Non esiste la competizione a scaffale, non ho nessun incentivo o comunque li ho deboli nel
proporre un prodotto performante perché il distributore è di mia proprietà.

- Riduzione della flessibilità, le imprese meno integrate verticalmente sono più flessibili dal punto di vista
strategico, per esempio nel contesto in cui la domanda cambia rapidamente o la tecnologia cambia
rapidamente o ci sono dei cambiamenti che costringono l’impresa a cambiare strategia in modo radicale,
un’impresa che si affida al mercato si può muovere in modo più flessibile. Problematica in contesti che
cambiano rapidamente.
Esempio: se ad esempio andassi a controllare un’impresa sul mercato estero > se succede qualcosa non
posso smettere di operarci perché ci ho investito. Se invece esportassi in quel mercato potrei semplicemente
smettere di esportare.
- Performance negative di un’attività possono influenzare negativamente le altre, per
esempio Zara, impresa integrata verticalmente, che controlla tutte le attività. Supponiamo che una di queste
attività presenti carenze dal punto di vista della performance. Tra i produttori di tessuti cominciano ad
aumentare i difetti generando quindi prodotti difettosi, che vengono portati indietro dai clienti. Oppure
l’azienda, dovendo spalmare le proprie risorse lungo la filiera, decide di sottrarre risorse ai designer e
investire in maggiori punti vendita, MA con una mancanza di qualità nel designer allora il consumatore
potrebbe percepire il prodotto di Zara come omogeneo ed influenzare negativamente tutte le altre attività.
- Aumento dei costi di influenza, un’impresa verticalmente integrata esprime il grado con cui un’impresa è
direttamente coinvolta in più attività lungo la filiera. Queste attività hanno un team dedicato, costi di
influenza significa? Se ognuna di queste attività lungo la filiera ha bisogno di determinate risorse, ci
potrebbero essere alcune di queste attività, che hanno un potere superiore rispetto alle altre e hanno a capo
un dirigente che riesce ad esercitare più influenza rispetto alle altre attività. Quando i costi di influenza si
verificano la risultante potrebbe essere dei comportamenti che non vanno a favore dell’azienda.
Esempio: xiaomi (head of marketing) aveva una persona a capo di tutte le scelte sul mercato Italiano ad
esempio quali canali utilizzare…e aveva un budget.
Perché tutte le attività funzionino c’è bisogno di risorse > ho bisogno di un tot di risorse per investire sui
canali di comunicazione per aprire nuovi punti vendita. Se ci sono bene, se non ci sono raggiungere i
risultati può essere difficile. Ciascuna di queste figure ha un’influenza nei confronti della cas a madre che

15
può essere diversa. Grado con cui una BU è in grado di esercitare influenza sulla casa madre per ottenere
risorse per raggiungere determinati obiettivi. L’influenza si può tradurre e in diseconomie quando BU
all’interno della supply chain ottengono piu risorse di quelle di cui avrebbero bisogno. È possibile perche
l’edon marketing Italia abbia cosi tanta influenza nei confronti di xiaomi al punto da ottenere piu risorse
rispetto a edon marketing Spagna.

Aumento del livello degli investimenti fissi generalmente un’impresa verticalmente integrata sostiene
maggiori costi fissi rispetto ad un’impresa che si affida al mercato.
- Minore capacità dell’impresa di adattarsi a variazioni qualitative e quantitative del mercato,
supponiamo che un’impresa debba valutare come entrare in un mercato estero all’interno del quale vendere
i propri prodotti, la strada che consente di essere più flessibile dal punto di vista strategico e che consente
un minor investimento dal punto di vista dei costi fissi è l’export (produco in Italia e collaboro con dei
distributori indipendenti sul mercato estero) quando c’è un aumento della domanda esporto i prodotti se c’è
un calo della domanda smetto di esportare. In questo caso l’impresa mantiene un basso
livello di integrazione verticale a valle su quel mercato estero. Il fatto di avere un controllo equity comporta
dei vantaggi.
FURLA è integrata verticale te ma controlla anche i punti vendita. con il Covid sono stati massacrati, tutti i
punti vendita erano vuoti. Caso di impresa integrata verticalmente e che non riesce a saturare la propria
capacità produttiva.
Con margini crescenti mi consente di utilizzare la leva operativa.
Ma l’integrazione verticale può tradursi in uno svantaggio se la domanda cala velocemente.

16
PARTE TRE– OPERATIONS MANAGEMENT
OPERATIONS MANAGEMENT
L’operations management (OM) è quella funzione aziendale che si occupa della progettazione,
programmazione, gestione e controllo di tutti i processi produttivi che trasformano input/fattori di
produzione in output (un bene o un servizio).
L’obiettivo dell’OM è quello di progettare e organizzare le attività in modo tale che la produzione
dell’output finale risulti efficiente (senza sprechi di risorse) ed efficace (capace di rispondere ai
bisogni/attese dei clienti).

OPERATIONS
Le operations sono l’insieme delle attività che all’interno dell’impresa sono strettamente riconducibili alla
produzione di beni e servizi, come lavorazione materia prima e assemblaggio componenti ma anche
l’insieme delle attività gestionali che governano nell’azienda i flussi di materiali e delle relative
informazioni in entrata ed uscita (logistica).
Rappresentano l’insieme di attività che devono essere eseguite per ricevere input, trasformare gli input in
output utilizzando un opportuno processo di trasformazione e consegnare gli output al cliente.
Tutte le aziende hanno attività legate alle operations perché tutte le aziende producono prodotti o servizi.
Altri tipi di processi governati invece da altre funzioni, come la funzione marketing o risorse umane, sono
ugualmente cruciali per l’impresa, ma non sono capaci di produrre beni o servizi. Comprendere il
funzionamento dei processi è vitale per garantire la competitività di un’impresa. Un processo non allineato
alle esigenze dell’impresa penalizzerà le performance delle sue attività.

Esempio:
Per esempio, Zara svolge direttamente diverse attività legate alle operations come il design delle collezione,
lavorazione filati e tessuti, cucitura e si occupa del confezionamento. È chiaramente un’attività che è in
stretta connessione con le attività della logistica, essendo Zara verticalmente integrata ci saranno dei
responsabili delle operations in ciascun stabilimento i quali saranno direttamente controllati dall’azienda,
queste varie attività collegate alle operations, sono collegate dalla logistica in entrata: il camion del
fornitore carica i vari componenti vengono portati all’interno di uno stabilimento nel quale questi
componenti vengono assemblati, attività di operations è tutta l’attività che riguarda appunto la
trasformazione di tutti questi input in output. Una volta che il prodotto viene confezionato, nel caso di Zara,
è direttamente controllata dall’azienda l’attività di logistica in uscita, quindi il prodotto finito viene caricato
sui camion e vengono portati all’interno del punto vendita dove vengono commercializzati. Non trasforma
input in output la logistica in entrata, non lo fa la logistica in uscita, non lo fa il marketing e non lo fanno i
servizi post vendita.

17
ANALISI DEI PROCESSI
Un processo è una qualsivoglia area di un’azienda che riceve alcuni input e li converte in output che
abbiano per l’azienda valore maggiore degli input originari.
I processi che interessano le operations sono tutti quelli legati alla produzione di beni e servizi, e alla
gestione dei flussi di materiali e delle relative informazioni in entrata ed uscita (logistica).
All’interno dei processi di operations occorre dunque fare un distinguo tra processi adibiti alla vera e
propria creazione di beni ed erogazione di servizi («produzione»), e i processi che invece si occupano più
strettamente della gestione del flusso di materiali e informazioni, ovvero la «logistica».
Per la realizzazione di alcuni prodotti, le fasi possono essere tantissime, difficilmente direttamente
controllate dalla stessa azienda. Questo vale per le imprese produttrici di auto ma anche per i produttori di
dispositivi per l’elettronica di consumo.
Esiste un linguaggio tecnico per la pianificazione dei processi: diagramma di flusso dei processi

Diagramma di flusso dei processi

Triangolo: area di immagazzinamento, il momento in cui il prodotto viene stoccato (posizionato), in attesa
che venga processato. Potrebbe essere il magazzino di un assemblatore per esempio di telefono cellulari.
Rettangolo: fa riferimento all’attività operativa, si ha quando l’input viene trasformato in output (non
necessariamente prodotto finito).
Rombo: fa riferimento allo snodo decisionale, perchè arrivati ad una determinata attività operativa il
prodotto potrebbe venire assemblato secondo scelte diverse, per esempio secondo una diversa
personalizzazione del cliente. Oppure potrebbe essere standard.

Frecce: rappresentano il flusso (materiali o clienti).

Tipi di processo

18
I processi possono essere distinti in:
- Processo monofase (si verifica quando tutte le attività si riducono ad un’unica operazione), per esempio
un’impresa che opera nella ristorazione, che svolge un’unica attività operativa per esempio solo la
cottura. La vendita di una bottiglietta d’acqua al bar. Un bar surgela il prodotto finito, nel momento in
cui viene ordinato semplicemente lo cuoce. Il prodotto non “subisce” una fase di assemblaggio o di
packaging.
- Processo multi (prevede diversi gruppi di attività, collegate attraverso flussi). Per esempio
catena di montaggio oppure il caso di Burger King, prodotto immagazzinato, sono diversi componenti,
la prima fase operativa è quella di cottura di uno o più di questi cibi che il fast food immagazzinava,
dopo di che troviamo un’altra area di immagazzinamento, arriva un altro ordine, la seconda attività
operativa è la preparazione, quindi non metto assieme il cibo cotto con “il panino” (assemblaggio).

Più il prodotto è complesso più il numero di fasi per la sua realizzazione aumenta.
Un processo multi-fase può essere dotato di buffer interni: aree di stoccaggio tra fasi, dove gli output di una
fase vengono collocati prima di essere impiegati nella fase successiva. Il prodotto non ancora finito viene
stoccato in attesa che la fase due lo richieda per ulteriori lavorazioni. Sono importanti perche i vari processi
produttivi non vanno necessariamente alla stessa velocità.

Se tra due fasi non è presente un buffer, possono presentarsi problemi di:
Blocking: si verifica quando le attività di una fase devono interrompersi perchè non vi è luogo dove
depositare l’articolo appena completato. Attività iniziale lavora molto velocemente rispetto ad una attività
successiva è ad un certo punto non c’è più spazio dove stoccare questi prodotti. = Noi stimo andando troppo
veloce

Starving: si verifica quando le attività di una fase devono interrompersi perchè non vi è lavoro da compiere.
chi viene dopo di noi sta lavorando troppo veloce.

Domanda a risposta aperta: potrà essere chiesto di definire un processo monofase, un processo
multi-fase, cos’è un buffer, le problematiche di blocking e di starving. Definisci cos’è un processo e
descrivine le varie tipologie.

Collo di bottiglia nei processi multi-fase


Se una fase limita la capcita del processo (starving o blocking) può formarsi un collo di bottiglia bottleneck)
19
fase di un processo produttivo che impedisce il normale flusso delle operazioni perche rappresenta una
strozzatura dello stesso, con conseguente accumulo di risorse che non possono essere impiegate nella
In termini logistici il collo di bottiglia si verifica quando la capacità produttiva del processo si riduce,
perchè per esempio un’attività non ha nulla da lavorare o perchè un’attività si deve bloccare perchè non vi è
un buffer all’interno della quale depositare il prodotto.
Queste problematiche, che limitano la capacità del processo, prendono il nome di colli di bottiglia. Possono
verificarsi la dove il processo è caratterizzato da tantissime fasi, una successiva all’altra e quindi non è
semplice fare in modo che tutte le fasi del processo produttivo rispettino le tempistiche a loro imposte.

Es: nella produzione di telefoni cellulari, rallentamenti nella fase di software testing potrebbero tradursi in
buffer vuoti, così da costringere la fase di packaging a rallentare o ad interrompersi. Allo stesso modo, una
fase di packaging troppo lenta potrebbe creare degli accumuli eccessivi nel buffer, costringendo la fase di
software testing a rallentare o fermarsi.

Esistono processi multi-fase con flussi di materiali che passano attraverso la stessa postazione, è il caso di
un orologio di lusso o telefono di lusso che viene assemblato da una sola persona.

TIPO DI PROCESSO MAKE TO STOCK E MAKE TO ORDER


I processi possono essere definiti sul fatto che il prodotto venga realizzato per essere stoccato o nel caso
questo venga prodotto solamente in parte e che venga ultimato solamente nel momento in cui il
consumatore lo ordina. Pertanto distinguiamo make to stock e make to order:

Make-to-order: processo lanciato solo in risposta ad un effettivo ordine. Principale vantaggio per il cliente
è la personalizzazione del prodotto (perché produco solo quando me lo chiede il mercato) mentre lo
svantaggio è che difficilmente si può lavorare su grandi numeri perchè si possono creare lunghe attese
(settore fast food).
Produzione su commessa, produco solamente quando me lo richiede il mercato.
Esempio: caso del fast food che non cuoce nulla in anticipo ma solo nel momento in cui il consumatore me lo
chiede

Make-to-stock: processo finalizzato a generare prodotti standard, collocati in scorte di prodotti finiti. Il
prodotto è consegnato rapidamente al cliente perché prelevato dal magazzino prodotti finiti. Il vantaggio di
questo tipo di processo è che una volta che il cliente chiede il prodotto, questo è già pronto e può essere
consegnato. Può generare vantaggi enormi per quanto riguarda le economie di scala, ovviamente l’impresa
deve fare delle previsioni corrette. Può comportare anche dei rischi, un’impresa di recente costruzione può
non essere in grado di fare previsioni.
L’impresa produce per il magazzino.

20
Esame: differenza MAKE to order and MAKE to stock

Per esempio, nel settore dell’elettronica di consumo, player come Apple, Huawei ecc, sono in grado di
piazzare sul mercato volumi talmente grandi di dispositivi, perchè sanno fare delle giuste previsioni e quindi
operano in un’ottica make to stock.

La maggior parte dei produttori di telefoni cellulari sostengono costi di produzione elevati per generare
economie di scala su grandi quantità, da stoccare in magazzino (make-to- stock) e spedire ai rivenditori
fisici di tutto il mondo, con il rischio però che questi telefoni potrebbero non vendere, e che dunque i
rivenditori non ne richiedano altri.

Imprese come Xiaomi e Oneplus, nella fase iniziale del loro ciclo di vita, hanno invece deciso di gestire i
processi in un’ottica make-to-order, attraverso ‘vendite flash’ su canali di vendita online (es: proprio sito
web; Flipkart per il mercato indiano).
L’azienda ha eliminato completamente il canale di vendita fisico > quando lancia i cellulari nell 2011 decide
di usare esclusivamente il suo sito internet e decide di lanciare un cellulare simile all’iphone venduto alla
meta del prezzo. In questo modo attira l’attenzione di tantissime persone.l’azienda apeò non ha prodotti per
tutti, ne ha un numero limitato che potranno aggiudicarsi solo le prime 100 000 persone che acquistano dal
sito. Per partecipare a questa vendita occorre mandare la propria manifestazione di interesse via mail
(registrarsi nel sito).
Con questo è riuscito a formulare delle previsioni: prima vendita flash 100 000. Una volta che un acquirente
si aggiudica il prodotto queste viene consegnato in due tre settimane.
Chi non è riuscito a acquistare il prodotto > dopo due settimane xiaomi ripropone la vendita flash con le
stesse modalità ma le unità disponibili sono di più perché la prima vendita aveva avuto un gran successo.
E ripete questa tecnica per circa un anno.
Svantaggi: Non posso generare economia di scala.

21
Vantaggi: ci consente di generare delle economie > riesce a lucrare sulla svalutazione delle componenti.
All’inizio erano nuovi e avevano un prezzo con il tempo il pezzo si svaluta.

Nel settore dell’elettronica di consumo i grandi player che hanno quote di mercato importanti, generalmente
producono app-front (fin dall’inizio) grandi volumi, così da essere in grado di smistarli in tutto il mondo
(perchè so che secondo la base di una serie di previsioni, poi riesco a venderle sul mercato), in questo la
produzione è make to stock, produco per il magazzino, con l’obiettivo di beneficiare delle economie di scala.
Più complicato per imprese emergenti, il caso di Xiaomi (nasce nel 2010), sono imprese che vanno bene,
hanno una crescita importante, ma non sono sicure di crescere in quella direzione, diventa difficile
convincere il fornitore di produrre grandi volumi, perchè non si fida dell’azienda, non sa se riuscirò a
piazzare nel mercato il tutto.
Per far fronte a questa problematica nel settore della telefonia, ci sono alcune imprese che sono entrate nel
mercato con un modello di business rivoluzionario. Nel mercato cinese (2006/2010) si verificano dei
cambiamenti che creano una serie di finestre di opportunità, dal punto di vista della domanda, il tasso di
crescita della diffusione di telefoni cellulari cresce in modo esagerato, quindi ci sono sia più consumatori
che vogliono acquistare un telefono cellulare. C’è un cambiamento radicale nella tecnologia, Apple con
l’introduzione dell’iPhone nel 2007 cambia il volto del telefono cellulare, questo dispositivo beneficiava di
un sistema operativo (IOS) di proprietà di Apple il quale non lo dava in licenza a nessuno. Nel 2008
Google introduce android un sistema operativo simile ad IOS, questo sistema operativo viene dato
gratuitamente a tutti i produttori di telefoni cellulari disposti ad utilizzarlo (l’obiettivo di Google era quello
di fare in modo che aumentasse il numero di utenti con un dispostivi che avesse tutti i suoi servizi e
monetizzare da quelle). Con il sistema operativo android disponibile gratuitamente, moltissimi entrano nel
mercato e a sua volte si abbassano enormemente le barriere all’ingresso del settore. Nella seconda metà
degli anni 2000, il governo cinese comincia progressivamente a bannare Google e i suoi servizi perché
Google offre questi servizi grazie alla sua capacità di raccogliere informazioni sugli utenti che navigano su
internet, molte informazioni vengono vendute a imprese terze. Queste informazioni sono segrete (discorso
di privacy che Google vuole mantenere) cosa che non era possibile nel mercato cinese, il governo cinese
voleva il pieno controllo di queste informazioni che Google era in grado di reperire. Google non ci sta e
quindi il governo cinese decide progressivamente di bannare i suoi servizi, questa è una finestra di
opportunità formidabile, perchè? Perchè alcuni player cinesi, decidono di creare loro un sistema operativo,
basato su android con all’interno dei servizi legati alla rete customizzati per il mercato cinese in linea con
quanto “vuole” il governo cinese. Nel 2011 Xiaomi decide di entrare nel mercato cinese con un suo
cellulare, l’idea era quella di lanciare un dispositivo che fosse un competitor dei top di gamma, (l’hardware
simile ad android ma con un suo App Store), ma venduto al costo di produzione. Per riuscire a vendere dei
telefoni estremamente performanti ad un prezzo così competitivo era necessario risparmiare dal punto di
vista di tantissimi costi. Come riesce ad essere estremamente estremamente efficiente dal punto di vista
produttivo? Riduce quasi a zero gli investimenti in ricerca e sviluppo (l’impresa chiede al consumatore di

22
contribuire al processo di innovazione), e annulla quasi gli investimenti in comunicazione e distribuzione
perchè l’interazione tra azienda e consumatori anche dal punto di vista della vendita avviene attraverso i
social e il prodotto viene venduto esclusivamente sull’e commerce dell’azienda, elimina l’intermediazione.
L’azienda non poteva permettersi di produrre grandi quantità fin da subito, perchè i fornitori non erano
disposti a soddisfare grandi quantità, allora decidono di vendere i prodotti attraverso le vendite flash, l’idea
era quella di comunicare attraverso i loro siti internet e social network che in una certa data sarebbero state
rese disponibili un numero limitato di unità dei loro dispostivi. Questo prodotto non lo realizzo subito, creo
una specie di century buzz (ronzio) attorno il prodotto, attraverso dei flash sale (la prossima settimana
saranno disponili solo 500 unità di questo prodotto) per partecipare a queste flash devo iscrivermi sul sito
dell’azienda, e il giorno in cui parte la flash sale riuscirò ad ottenere il prodotto se sono tra i primi che fa
clic su compra, e lo riceveranno in 3 settimane. Questo creava una sorta di rumors attorno il prodotto.
Questi prodotti venivano esauriti in pochissimi minuti e lo stesso prodotto se funzionava l’azienda
riproponeva un flash sale dopo due mesi. Il prodotto che andava sold-out, ovviamente cominciava la
produzione solamente nel momento in cui la flash sale viene conclusa, l’azienda capisce che il prodotto
piace, nel momento in cui la flash sale viene esaurita, vengono richiesti ai fornitori i componenti. È il caso
di un’impresa estremamente innovativa dal punto di vista del modello di business, canale distributivo
molto diverso, vendo nei negozi online, le relazioni con i clienti sono personal (non è mediata
dell’intermediario, l’impresa dialoga con i suoi fan) si ha una riduzione degli investimenti in ricerca e
sviluppo, abbattimento dei costi di comunicazione grazie a questo buzz che si crea attorno ai prodotti.

23
DAL MASS PRODUCONO AL LEAN SYSTEM

Prima della produzione di massa

Prima della mass production, l’automobile era un prodotto di nicchia, veniva prodotto su commessa (make
to order), era un prodotto estremamente costoso, richiedeva tantissimo tempo per essere realizzato e al quale
non si era raggiunto un disegno dominante. Il numero di player all’interno del mercato cresce, perchè
diviene sempre più un prodotto percepito come sostitutivo.
Non era produzione di massa perche era riservato ad una nicchia.

Con l'inizio del 1900 Ford intravede prima di altri quello che dovrà sarà il futuro dell'auto.
Cresce la necessità di spostarsi, anche su lunghe distanze, però l’automobile per diffondersi all’interno del
mercato, non può continuare ad essere prodotta con gli stessi processi produttivi, attraverso i quali veniva
prodotta fino a quel momento. Ford cosa capisce?
Perchè l’automobile potesse diventare un prodotto per la massa, questa doveva essere realizzata in modo
standardizzato e doveva essere prodotto su larga scala. Grazie a questo processo (estremamente
standardizzato), è possibile parcellizzare tutte le attività all’interno del processo produttivo, l’impresa
dovrà essere verticalmente integrata, ogni singola attività all’interno dell’azienda deve essere caratterizzata
da ripetitività e deve essere svolta da un unico soggetto, ogni operaio all’interno della catena di montaggio
deve essere specializzato nello svolger una sola attività. Questo crea una serie di vantaggi dal punto di
vista delle economie di apprendimento, la ripetitività porta a un continuo perfezionamento da parte
dell’operaio nei confronti di quella specifica attività ed efficienza significa minore rischio di commettere
errori. Questa produzione standardizzata consente all’impresa fordista di ottenere economie di scala, che si
traducono in minori costi produttivi e prezzi molto competitivi al consumatore finale. Nel corso di pochi
anni l’automobile diventa un formidabile prodotto sostituto nei confronti della carrozza trainata a cavallo,
molto più economico e molto più competitivo dal punto di vista delle prestazioni.

La produzione di massa e l’impresa verticalmente integrata

- “I miei clienti possono scegliere qualsiasi colore per la loro auto, purché sia nero”. Con queste parole
l’imprenditore americano Henry Ford agli inizi del ‘900 parlava del modello della sua auto, la Ford T,
commercializzato unicamente in nero.

- La visione industriale di Ford era quella di arrivare a produrre un tipo di auto che avesse caratteristiche
tecnologiche e commerciali per poter essere prodotta in modo standardizzato, e venduta in grandi
quantità.
- La «produzione di massa» consentiva la fruizione di significative economie produttive all’aumentare dei
volumi realizzati nell’unità di tempo, favorendo la riduzione dei prezzi, che a sua volta innescava

24
l’aumento della quantità domandata.

Lo sviluppo della mass production è stato favorito dal contesto competitivo che ha caratterizzato la
maggior parte dei settori manifatturieri fino alla prima metà del 1900:
Parcellizzazione del lavoro
Specializzazione del lavoro > catena di montaggio. Vantaggio: gli operai non dovevano essere
eccessivamente specializzati.

1. elevata concentrazione settoriale in ambiente competitivo stabile. Il mercato da estremamente


frammentato diventa progressivamente molto concentrato, cioè ci sono pochi grandi player che
controllano gran parte del mercato;
2. la crescente domanda altamente standardizzata e sensibile ai ribassi di prezzo favoriva una
produzione su “grandi volumi”, ed un rischio ridotto di sovrapproduzione. La domanda da parte del
mercato cresceva in maniera esponenziale.
3. scarsa capacità della piccola e media impresa di specializzarsi, così da non dare nessun incentivo
alla grande impresa nel ricercare una maggiore efficienza attraverso l’esternalizzazione delle attività
non-core. Impresa verticalmente integrata, per produrre in modo standardizzato devo avere grandissimi
magazzini nei quali si fa tutto, ogni attività deve essere parcellizzata, non posso affidarmi a specialisti
esterni perchè il mercato è in una fase iniziale, non esistono imprese in grado di specializzarsi nella
realizzazione di determinati componenti.

Criticità della mass production a partire dagli anni ¹70


Con l’arrivo degli anni 70 lo scenario macroeconomico cambia, l’incertezza all’interno del mercato
cambia, perchè il mercato da locale diventa globale e quindi all’interno del mercato cominciano a
competere tante imprese.

La maggiore intensità competitività all’interno del settore crea incertezza dal punto di vista della domanda,

25
se prima eravamo in un settore in forte crescita, in cui erano in pochi a operare impresa mass production,
verticalmente integrata, l’ottica era quella della standardizzazione, il prodotto era abbastanza omogeneo. Il
mercato avvicinandosi alla fase di maturità (da locale a globale, aumenta l’intensità competitiva) fa
esplodere una fortissima incertezza dal punto di vista della domanda in molti mercati geografici.

Questa incertezza mette in discussione l’ottica push (impresa che spinge la produzione, produce secondo
i suoi ritmi, fa di fatto del make to stock perchè sa che quello che produce poi riuscirà a piazzarlo sul
mercato anticipa quello che richiede il mercato, lavoro a ciclo continuo perchè so che tutto quello che
produco lo venderò) tipica del modello fordista.
Questo funzionava in un’ottica di un’impresa verticalmente integrata all’inizio del 900, in cui la domanda
cresceva rapidamente e il consumatore quello che voleva era solo un’automobile a un prezzo accessibile,
ma quando il mercato cresce (da locale a globale), aumenta la competizione tra i player, le esigenze dei
consumatori diventano estremamente eterogenee (non vado a operare solo all’intero del mercato
statunitense ma mi trovo a competere in mercati molto diversi con consumatori che richiedono prodotti
con caratteristiche tecniche differenti). Inoltre non è più un mercato che cresce come prima, dove poche
grandi imprese dominavano lo scenario. Ora il tasso di crescita della domanda tende a ridursi, e all’interno
di molti mercati geografici troviamo molti player che competono per una fetta di torta che tende a
stringersi. Il prodotto è sempre più diffuso, l’acquisto diventa sempre più per sostituzione, difficile
prevedere quale sarà la domanda. Tutta questa incertezza, questa instabilità mette in discussione l’ottica
push del modello fordista.

Il fatto di commettere degli errori dal punto di vista delle previsioni della domanda crea degli sprechi dal
punto di vista della sovrapproduzione, (rischio di produrre più di quanto mi richiede il mercato). È
rischioso fare make to stock mentre il mercato cambia rapidamente e non posso fare previsioni. C’è il
rischio è che tra due mesi o un anno, i prodotti che ho stoccato oggi, non riesco a venderli perchè il
mercato può chiedere qualcosa di diverso.

Avere il processo produttivo estremamente parcellizzato, comportava da un lato dei vantaggi (l’operaio
faceva solo quello, diminuiva il rischio di errore, economie di apprendimento) dall’altro se poi si creavano
dei problemi lungo la linea produttiva, se io so fare solo questo non sono in grado di dare una mano nella
fase a monte o a valle, nel caso in cui si presenti una problematica rischio di dover bloccare tutta la catena
produttiva. Incapacità degli operai di dialogare gli uni con gli altri lungo la linea produttiva, queste sono
dette inefficienze da eccessiva parcellizzazione.

Questo ha portato ad un’altra problematica del sistema frondista e quindi della produzione di massa
standardizzata, impresa verticalmente integrata. In queste imprese, tutte le decisioni legate al processo
produttivo, venivano prese ai piani alti (controllo e gestione della produzione) questo creava una serie
di problemi, perchè i problemi non venivano risolti alla fonte, ma venivano risolti solamente una volta che
il prodotto era stato terminato quindi era difficile poi tornare indietro. Il rischio era quello di creare

26
un’insieme di inefficienze legate al processo produttivo.

Dalla struttura produttiva “rigida" a quella “snella"

L’assenza di queste capacità trasversali degli operai, tipico della mass production cominciava a creare delle
inefficienze. I giapponesi in particolare Toyota, negli anni 70, comincia ad elaborare una filosofia
produttiva, che andava contro molti dei principi elaborati dalla mass production, del sistema fordista.
L’ottica giapponese introduce una serie di modifiche al processo produttivo.

- A partire dalla seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso, l’allargamento dei mercati, l’affermazione
delle economie emergenti, il perseguimento di strategie di internazionalizzazione da parte delle imprese
(piccole e grandi), fanno emergere i primi limiti della struttura organizzativa integrata.
- Si incrina il mito della grande dimensione, affiorano i limiti delle organizzazioni ad elevato grado di
integrazione. La rigidità burocratica, la lentezza decisionale, la limitata capacità di adattamento e rapida
risposta al mercato male si conciliano con le condizioni di variabilità e discontinuità della domanda.
- E’ in questi anni che le imprese giapponesi, a partire da Toyota, impongono la loro filosofia produttiva
ancorata ad una logica pull, con un forte focus sulle attività core, una grande attenzione alla qualità
del prodotto ed un forte coinvolgimento del personale impegnato nelle attività produttive.
-
Caratteristiche della lean production
Esame: caratteristiche produzione di massa, spiegare cosè la produzione stella, quali sono le differenza tra
produzione di massa e lean system.
Mass production: In che contesto è nata, perche è nata, quali sono le caratteristiche del macro ambiente
che hanno favorito la mass production, fattori che hanno mandato in crisi negli anni 70 la tecnica.
Produzione snella: quando è nata, perché è nata, caratteristiche del lean system
Oppure confronto tra le due tecniche.

1. Ottica Pull: produzione just in time


Attivo il processo produttivo solo nel momento in cui me lo richiede il mercato: una volta effettuato
l’ordine mi mobilito per ottenere la materia prima. Questa informazione andrà passata all’attività più a valle
della filiera, l’approccio pull è finalizzato alla riduzione della produzione in eccesso perchè non si produce
in un’ottima make to stock ma produco just in time (quando il mercato me lo richiede).

Quando un articolo viene venduto, il mercato “tira” una richiesta dall’ultima stazione del sistema (es:
assemblaggio finale); questa innesca l’ordine alla linea di produzione, dove un addetto “tira” un’altra unità
da una stazione a monte nel flusso, per rimpiazzare l’unità fuoriuscita; questa stazione a monte, a sua volta,
“tira” dalla stazione immediatamente a monte, e così a ritroso fino al punto di immissione delle materie

27
prime nel flusso.

Le parti (materia prima e componenti) giungono alla stazione di lavoro successiva “just-in-time”,
dopodiché sono lavorate e fluiscono rapidamente attraverso la fabbrica.

Il sistema Just-In-Time prevede l’utilizzo di kanban (“segnale” o “cartellino”), è un dispositivo segnaletico


(affisso a «contenitori» o «carrelli») per regolare i flussi JIT.

>Da nominare se fa una domanda sulla lean production

2. Focus su attività core, e network selezionato di fornitori di fiducia

L’impresa non deve essere verticalmente integrata. Focus su attività core ed esternalizzazione attività
non-core a specialisti selezionati, con i quali instaurare relazioni di fiducia di lungo periodo e dei quali
l’impresa si può fidare.

Dal momento che dobbiamo minimizzare gli sprechi il rapporto dovrà essere di lungo periodo perché
possono aiutare ad individuare gli errori lungo il processo produttivo > efficienza

Nel JIT i beni vengono acquistati e subito inseriti nel processo produttivo senza sostare nei magazzini.
Operando in questo modo, attività quali la selezione dei fornitori ed il loro coinvolgimento nello sviluppo
28
dei prodotti diventano assolutamente critiche.

3. Caratteristiche della lean production: Ricerca del valore lungo tutto il processo produttivo
Nel modello fordista di mass production l’idea era quella di affidare le decisioni che riguardano le
operations tutte ai piani alti.
Nel modello di Toyota ogni lavoratore è incentivato nell’interrompere l’intera catena di assemblaggio se
scopre un difetto, e gli altri operai sono addestrati per collaborare nel comprendere e risolvere il problema
prima di far ripartire il processo produttivo.
L’ottica di Toyota era che lungo la linea ogni operato deve essere specializzato ma deve essere istruito
su come comunicare con le fasi a monte e a valle, senza chiedere il permesso può interrompere il
processo produttivo e interrompere.

Caratteristiche della lean production: Ricerca del valore lungo tutto il processo produttivo
Uno strumento (per cercare valore lungo il processo produttivo) è la Value stream mapping: mappatura
grafica, le persone sono al corrente di quello che accade a monte e a valle, l’idea è quella di dare a tutti la
possibilità di segnalare problematiche e proporre soluzioni. Obiettivo è quello di coinvolgere tutti i soggetti
che operano all’interno della linea.

29
BENEFICI DELLA LEAN PRODUCTION

APPROCCIO “RIGIDO” E APPROCCIO “SNELLO” A CONFRONTO

30
PARTE QUATTRO– INTRODUZIONE AL MODELLO DI BUSINESS

Il concetto di business model

Il “business model” è l’insieme di elementi attraverso cui l'iniziativa economica (o, anche l’impresa nel suo
insieme) crea, trasferisce ad altri soggetti e al tempo stesso “cattura” a suo vantaggio quel valore (di diversa
natura) che, per un verso soddisfa le esigenze dei suoi interlocutori e, per l’altro, le consente di evolvere in
modo fisiologico. Il business model rappresenta in modo organico I contenuti di un’idea imprenditoriale,
approfondendone la capacità effettiva di creare valore.

Caso xiaomi: caso di impresa che ha avut successo non tanto per il prodotto che ha introdotto sul mercato ma
per come è riuscita a commercializzarlo. Ha eliminato la rete distributiva vendendo solo online. Ha abbattuto
le spese in comunicazione.
Con questo metodo “originale” è riuscita ad attrarre l’attenzione dei clienti che erano attratti dal fatto che la
vendita dei loro prodotti fosse esclusiva.

I contenuti fondamentali di un business model possono essere raggruppati nei seguenti tre ambiti:
• Proposta di valore (value proposition)
• Fattori critici (key conditions)
• Proposta di profittabilità (profit proposition o profit formula)
Un business model ha successo quando i suoi contenuti nei tre ambiti descritti sono coerenti tra loro: la
proposta di valore è sostenibile sulla base del modo in cui l’impresa gestisce i “fattori critici” e genera una
proposta di profittabilità adeguata.

BUSINESS MODEL VS STRATEGIA


Un business model è la logica dell'azienda, il modo in cui opera e il modo in cui crea valore per i suoi
stakeholders. La strategia si riferisce alla scelta del modello di business attraverso il quale l'impresa compete
nel mercato.

Esempio Ryanair: scelte strategiche perseguite da Ryanair per adottare un modello di business vettore low
cost e il modo in cui creano valore.
Quando Ryanair era sull'orlo della bancarotta all'inizio degli anni '90, la sua strategia era un piano d'azione
per trasformare il suo modello di business da quello di una compagnia aerea standard a servizio completo
(sebbene piccola) a un modello radicalmente diverso, adottando un business modello no-frills.
Scelte strategiche perseguite da Ryanair per adottare un modello di business "vettore low cost", e il modo in
cui creano valore:
• volare verso aeroporti secondari→tariffe aeroportuali basse,

31
• prezzi dei biglietti più bassi→grandi volumi,
• basse commissioni agli agenti di viaggio→basso costo,
• flotta standardizzata di Boeing 737→ potere contrattuale con i fornitori ,
• trattare tutti i passeggeri allo stesso modo→economie di scala,
• niente gratis a bordo →entrate aggiuntive,
• Sede spartana→basso costo fisso,
• nessun sindacato→flessibilità
A metà degli anni '90, dopo la trasformazione, Ryanair aveva un nuovo modello di business (un riflesso
della sua strategia).

Domanda aperta: differenza tra modello di business e strategia


Domanda a risposta multipla: definizione del modello di business

Business model canvas

Il business model canvas è uno strumento strategico. Si presenta sotto forma di schema grafico ed è utile a
sviluppare nuovi modelli di business o a perfezionare quelli già esistenti.

Sfruttando la logica del “pensiero visivo”, il business model canvas (canvas=tela) crea una sorta di
linguaggio universale: ciò consente di condividere e semplificare concetti complessi che riguardano il
funzionamento dell’azienda, rendendoli comprensibili a tutti.
Il business model canvas può sembrare uno strumento per manager di grandi aziende o per imprenditori di
start up innovative d’oltreoceano, ma è in realtà uno strumento ideale per avere una visuale chiara e
schematica di un qualsiasi progetto di business, dal nuovo prodotto che vogliamo produrre, alla riapertura
della pizzeria sotto casa fino al grande progetto industriale.

La tecnica per compilare il Business Model Canvas rimane la stessa. L’approccio da utilizzare è quello di
mettere a fuoco le aree di valore (fattori critici di successo) e i futuri messaggi comunicativi legati
all’impresa per ciascuna area del canvas, grazie a un confronto diretto con il management d’impresa: questo
momento prende il nome di assessment strategico.

Il modello di business di un’impresa non riguarda i singoli blocchi ma come i blocchi si incastrano per
rendere il business di successo.

Il business model di un’organizzazione può essere descritto con 9 elementi di base:


• Customer Segments o Segmenti di Clientela;
• Value Proposition, ovvero il valore dei prodotti o servizi offerto per ogni segmento;

32
• Channels, ossia i canali attraverso i quali raggiungere il cliente;
• Customer Relationships, le relazioni che si instaurano con il cliente;
• Revenue Streams, i ricavi generati;
• Key Resources, le risorse chiave dell’azienda;
• Key Activities, le attività chiave per rendere effettivo il modello di business. Attività all’interno
della catena del valore che vanno implementate perché il business model funzioni;
• Key Partners, i partner chiave con i quali l’impresa intende allearsi al fine di creare valore per il
cliente;
• Cost Structure, la struttura dei costi per le risorse, le attività e i partner chiave.

Custumer segments, Ia profilazione dei cIienti: Il blocco dei Segmenti di Clientela descrive le classi di
persone e le organizzazioni a cui l’azienda si rivolge. È un elemento chiave per pianificare l’analisi di
mercato e, di conseguenza, per mettere a segno un business plan vincente: fare chiarezza sulle esigenze dei
clienti permette di sviluppare un pacchetto di prodotti e servizi mirati, di individuare i canali di distribuzione
più redditizi e di direzionare l’azienda verso il tipo di mercato all’interno del quale intende posizionarsi.

VaIue Proposition, proposta di valore: La Value Proposition è la promessa realistica riguardo il valore dei
prodotti e servizi, sulla base dei benefici tangibili per un determinato segmento di clienti. In breve, è la
motivazione per cui il target dovrebbe preferire l’azienda rispetto alla concorrenza e, pertanto, ne
determina la stessa forza di vendita. Non vi è un modo univoco per creare una buona proposta di valore. Può
trattarsi di un’innovazione, ossia di offrire ai clienti qualcosa di rivoluzionario, di un abbassamento di prezzo
che determini un risparmio economico, oppure del miglioramento del design e delle performance di un
prodotto. In ogni caso, è il cliente il vero protagonista, insieme al suo benessere e alla soddisfazione delle sue
esigenze funzionali, emotive e sociali.

Channels, Ie strade che portano aI cliente: Il blocco dei Channels, o Canali, sta ad indicare l’insieme dei
mezzi con cui la proposta di valore raggiunge il cliente, nelle fasi di comunicazione, distribuzione e
vendita. Nel concreto, l’azienda sfrutta i canali per informare i potenziali acquirenti dell’esistenza e del
valore dei suoi prodotti, per renderli accessibili e permetterne l’acquisto e per garantire un’adeguata
assistenza post-vendita. I canali possono essere diretti, ossia di proprietà dell’azienda, oppure indiretti (ad
esempio, distributori ufficiali e negozi partner).

Customer relationship, dialogare con i target: Le Customer Relationships definiscono il tipo di relazioni
che l’azienda instaura con la sua clientela. Questa forma comunicativa aiuta l’impresa ad acquisire nuovi
clienti e a fidelizzare quelli già esistenti, ed è quindi parte essenziale di un business plan che funziona.
Interrogarsi sull’interazione con il proprio target aiuta a chiarire quale tipo di relazione si sta costruendo, a
supportare l’esperienza del cliente e a rafforzare l’immagine dell’impresa sul mercato.

33
Revenue Streams, flussi di ricavi: Il blocco dei Revenue Streams descrive gli incassi che l'azienda
ottiene dalla vendita di prodotti o servizi a un determinato segmento di clientela.
Le variabili da considerare sono i prezzi (fissi o dinamici) e le modalità di pagamento, due aspetti
fondamentali per rendere il modello di business sostenibile. I flussi di ricavi possono essere di diversa natura
ed essere generati da fonti altrettanto varie: dalla vendita di prodotti fisici al compenso di un canone d’uso,
dalla cessione di una licenza alle commissioni di intermediazione.
In questa fase, è possibile identificare il sistema di pagamento preferito dai clienti, così come il valore
aggiunto per il quale il target è disposto a pagare.

Google: non fa soldi attraverso chi usa i suoi prodotti (Gmail, Documenti…che vengono messi a
disposizione gratuitamente) ma attraverso gli inserzionisti.

Key Resources, il patrimonio dell'azienda: Le Key Resources sono tutte le risorse chiave di cui
un’impresa deve disporre per far funzionare il proprio business. A formare il bagaglio degli assets strategici
concorrono le risorse umane (forza lavoro), fisiche (punti vendita, impianti, macchinari), intellettuali
(software, licenze d’uso, diritti d’autore) e finanziarie (prestiti, linee di credito, denaro contante). Lo scopo
è quello di individuare le risorse più efficaci nella creazione di una specifica proposta di valore per un
determinato segmento di clienti.

Ikea: risorsa chiave grandi store; amazon: non ha store fisici ma si relazione con i consumatori attraverso la
piattaforma online (risorsa chiave) anche i magazzini sono risorse chiave.
Key Activities: fare, vendere e supportare: Il blocco delle Key Activites comprende tutte le attività
necessarie per la creazione di una proposta di valore. A queste, si affiancano i processi più efficienti per
raggiungere il target, mantenere le relazioni con i clienti e, ovviamente, generare ricavi. Le attività chiave
possono essere distinte in tre tipologie: produttive, di problem solving, di manutenzione o sviluppo.
Xiaomi: una delle principali attività è la gestione della community

Key Partners, le alleanze strategiche: A popolare il blocco dei Key Partners è la rete di fornitori e
partners con cui l’azienda collabora per creare valore da offrire al cliente. Un’impresa, infatti, non è una
struttura autosufficiente, quanto piuttosto un sistema che agisce all’interno di un contesto più ampio,
supportato da attori esterni. Stringere alleanze strategiche risponde alle necessità aziendali di ridurre i costi,
diminuire i rischi della concorrenza e acquisire particolari risorse ed attività.

Cost Structure, l'analisi dei costi fissi e variabili: Il blocco della Costs Structure definisce i costi fissi e
variabili che l’azienda deve sostenere per le risorse, le attività e i partner chiave. Per alcuni tipi di attività,
contenere le spese diventa un aspetto centrale, soprattutto se fra gli obiettivi del business plan vi è quello di

34
mantenere i propri prezzi competitivi. Nell’analisi della struttura dei costi, rientrano quelli fissi (ad esempio,
affitti e stipendi) e quelli variabili, ovvero dipendenti dal volume di beni e servizi prodotti. In ogni caso,
l’obiettivo centrale è quello di assicurarsi che i flussi di ricavi superino le spese: solo così l’attività può dirsi
effettivamente sostenibile.

Esame: domande a risposta ultima esempio definizione modello di business, differenza tra modello di
business e strategia e una configurazione delle tre sotto.

CANVAS DI AMAZON

CONFIGURAZIONI DEI MODELLI DI BUSINESS


Domanda a risposta aperta o multipla
The long tail (coda lunga)

Prevede la vendita da parte di un’azienda di tantissimi prodotti di nicchia, ma il cui fatturato


aggregato, può essere superiore rispetto ai quei pochi prodotti di successo.

I modelli di business long tail si concentrano sull'offerta di un gran numero di prodotti di nicchia,
ognuno dei quali viene venduto relativamente di rado.
Le vendite aggregate di articoli di nicchia possono essere redditizie quanto il modello tradizionale in base al
quale un piccolo numero di bestseller rappresenta la maggior parte dei ricavi.

Netflix: da una statistica venivano presi i prima 10 000 film dati a noleggio. Quanti vengono dati a noleggio
almeno una volta al mese? Hanno dei prodotti dai quali generato tanta cassa e vengono venduti tantissime
volta all’anno, fino a raggiungere prodotti che vengono venduti anche meno di una volta all’anno. Non è un
problema tenerli in assortimento perché non richiedono un numero elevato di costi ma ne beneficia > perché
essendo i missies un numero elevatissimo la loro somma potrebbe essere superiore degli hits.

35
Quando questo modello di business funziona? Bassi costi di magazzino e l’impresa deve avere una
piattaforma che metta l’utente nelle condizione di reperire tutti i prodotti con facilità.
Globe buster > non ha funzionato solo perché ci sono titoli di successo e non poteva tenere i prodotti missis
perché

Multi-Sided Platforms

Le piattaforme multi-sided riuniscono due o più gruppi di clienti distinti ma interdipendenti. Significa
che per un determinato gruppo di consumatori l’interagire aumenta quanto piu elevato è il numero di
consumatori dello stesso tipo o di tipo diverso.

Esempio: console. I produttori di console si rivolgono a due tipologie di segmenti di consumatori:


acquirenti e sviluppatori. Per uno sviluppatore l’investimento per produrre aumenta con l’aumento è degli
acquirenti. Per gli acquirenti l’utilità di acquistare aumenta all’aumentare del numero di giochi disponibili
(più elevato è il numero di i sviluppatore). =Effetto network cross side

Esempio: Come utente di Facebook l’utilità ad usarlo aumenta all’aumentare degli utenti Facebook (perché
il mio intento è quello di vedere cosa fanno gli altri) = effetto face side

Tali piattaforme hanno valore per un gruppo di clienti solo se sono presenti anche gli altri gruppi di clienti.

La piattaforma crea valore facilitando le interazioni tra i diversi gruppi.

Una piattaforma multi-sided cresce di valore nella misura in cui attrae più utenti, un fenomeno noto come
effetto di rete.

FREE è un business model


Nel modello di business gratuito almeno un segmento di clientela sostanziale è in grado di beneficiare
continuamente di un'offerta gratuita. Diversi modelli rendono possibile l'offerta gratuita. I clienti non
paganti sono finanziati da un'altra parte del modello di business o da un altro segmento di clientela.

Esempio: metro international. Riviste metro che vengono distribuite gratuitamente all’interno del quale si
trovano tantissimi annunci pubblicitari. È stato creato per coprire un altro segmento di consumatori quello
dei pendolari che hanno bisogno di un quotidiano semplice veloce e facile da leggere.

Variante BUSINESS MODEL FREEMIUM


Si ha una categoria Free che viene coperta da un'altra categoria, quella degli inserzionisti che pagano
il servizio…

36
Il modello freemium è caratterizzato da un'ampia base di utenti che beneficia di un'offerta gratuita e senza
vincoli. La maggior parte di questi utenti non diventano mai clienti paganti; solo una piccola parte,
solitamente meno del 10 percento di tutti gli utenti, si abbona ai servizi premium a pagamento. Questa
piccola base di utenti paganti sovvenziona gli utenti gratuiti. Ciò è possibile grazie al basso costo marginale
che l’impresa deve sostenere per servire utenti gratuiti aggiuntivi.
In un modello freemium le metriche chiave da tenere d’occhio sono:
(1) il costo medio che l’impresa deve sostenere per servire un utente gratuito e
(2) il tasso di conversione degli utenti gratuiti in clienti premium (paganti).
Esempio: Spotify

37
LA PROPOSTA DI VALORE

La proposta di valore è il “cuore” del business model, considerato che il successo di qualsiasi impresa è
basato primariamente sul modo in cui questa crea, fa percepire e fa arrivare valore ai propri clienti-target.
Essa è articolata in tre contenuti:

1. Il target a cui è rivolta;


2. Il valore per il target;
3. Le modalità di erogazione del valore.

La value proposition delinea quindi il modo in cui l’impresa intende generare ed erogare per i soggetti
identificati come target prioritario della propria offerta. Deve quindi essere delineata con riferimento al
mercato e parallelamente alla collettività ove l’impresa ha una presenza rilevante sul piano economico,
sociale e ambientale.

Il target

Il target è l’insieme dei soggetti che costituiscono il segmento di mercato ai quali l’impresa intende
indirizzare prioritariamente il valore. Fanno parte di uno stesso segmento soggetti sufficientemente
omogenei dal punto di vista dell’esigenza da soddisfare e delle modalità di acquisto e consumo. Per
elaborare una proposta di valore vincente, è necessario comprendere le caratteristiche fondamentali dei
soggetti che fanno parte del target.

Il valore per il target


Definisce i contenuti materiali e immateriali dell’offerta attraverso cui l’impresa cerca di soddisfare
(meglio dei concorrenti) le esigenze fondamentali dei soggetti appartenenti al suo target di mercato. Tale
offerta si concretizza in un prodotto o in un servizio. Per essere consistente, il valore proposto deve essere
non generico, in grado cioè di assolvere in modo preciso a determinate esigenze del consumatore e più
consistentemente di quello proposto dai concorrenti.

Le modalità di erogazione del valore


Le modalità di erogazione del valore sono una componente essenziale della value proposition perchè
incidono sul beneficio netto determinato dal valore per il target e dal modo in cui questo è effettivamente
percepito dai clienti.
Si tratta quindi di individuare le modalità attraverso cui:

• Rendere il prodotto o il servizio disponibile al target;


• Far percepire a questi gli elementi di valore del prodotto o del servizio offerto;

38
• Gestire la relazione con il cliente.

È importante tenere conto che i canali di distribuzione e di comunicazione del valore possono essere
essi stessi strumenti di creazione di una parte del valore erogato. Entrambi i canali vanno progettati e
gestiti facendo specifico riferimento alle singole fasi in cui il cliente interagisce con l’offerta dell’impresa,
ovvero:

• Consapevolezza dell’esistenza dell’offerta con determinate caratteristiche;


• Valutazione del valore di tale offerta;
• Acquisto dell’offerta da parte del cliente;
• Effettiva messa a disposizione dell’offerta e del suo valore all’acquirente;
• Erogazione di servizi all’acquirente successivamente all’acquisto e finalizzati a massimizzare i suoi
benefici.

Il modello di gestione della relazione con il cliente è fondamentale innanzitutto nel processo di
acquisizione del cliente, per comprenderne al meglio le aspettative e al tempo stesso fargli percepire il
valore dell’offerta.

I FATTORI CRITICI

Il secondo blocco di contenuti di un business model è costituito dai “fattori critici”: l’insieme di condizioni
fondamentali necessarie per attuare la proposta di valore e attraverso le quali l’impresa si propone di
raggiungere un vantaggio competitivo. Essi sono:

• Risorse chiave;
• Attività chiave;
• Modello organizzativo.

Risorse chiave
Le risorse chiave sono quelle ritenute fondamentali per produrre ed erogare il valore progettato,
rendendolo relativamente unico e superiore a quello fornito dai concorrenti (possono riguardare le persone,
la tecnologia, le strutture ecc). Nell’elaborazione del business model, queste risorse devono essere oggetto
di una gap Analysis per verificare se e in quale misura sono disponibili da parte dell’impresa; nel caso si
osservi un deficit significativo, è necessario definire una strategia di acquisizione/sviluppo di tali risorse o
un cambiamento della proposta di valore.

Le attività chiave

Le attività chiave sono quelle che hanno maggiore rilievo nella creazione del valore erogato al cliente
target e per la cui realizzazione l’impresa dispone di competenze distintive, ovvero delle “risorse chiave”

39
indicate sopra

1. Il processo produttivo in senso esteso: dalla progettazione dell’offerta alla sua realizzazione fisica o
alla sua distribuzione al mercato.
2. La creazione e gestione di piattaforme o reti che ottimizzano l’interazione tra l’impresa, il cliente e gli
altri soggetti potenzialmente rilevanti nella creazione di valore.
3. La gestione di problemi specifici del cliente rilevanti nel determinare l’effettivo valore che questo trae
da una certa offerta.

Il modello organizzativo

Il modello organizzativo individua le condizioni appunto “organizzative” che favoriscono la migliore


realizzazione del complesso delle attività, in particolare di quelle “chiave” valorizzando le risorse
disponibili. Riguarda la struttura organizzativa, la modalità di gestione delle risorse umane, la diffusione
dei valori aziendali e lo sviluppo del social capital interno.

Nell’ambito del modello organizzativo, un ulteriore aspetto che caratterizza fortemente il business model
dell’impresa è il sistema di relazioni chiave dell’impresa; si tratta delle relazioni che l’impresa stabilisce
con soggetti essenziali per la migliore implementazione della sua proposta di valore.

Il modello organizzativo “reticolare" in cui l’impresa esternalizza gran parte delle attività a una vasta
rete di fornitori esterni di diverso livello, gestendo internamente solo poche attività considerare “core”,
caratterizza l’intero business model dell’azienda.

Nei prodotti o servissi complessi, realizzati attraverso la collaborazione strategica tra alcuni grandi
soggetti, la rete diventa anche parte della proposta di valore al mercato. È il caso, per esempio, delle
numerose intese strategiche che si stanno avviando tra compagnie automobilistiche e piattaforme di
sharing economy per lo sviluppo di nuovi prodotti/servizi di mobilità sostenibile.

LA PROPOSTA DI PROFITTABILITÀ

Il business model è completato dalla proposta di profittabilità, articolata nel revenue stream (flussi di
ricavi) e nel cost structure (struttura dei costi). La proposta di profittabilità esplicita il modo in cui
l’impresa pensa di estrarre valore economico per sé dalla proposta di valore avanzata al mercato; dipende
quindi dai flussi di ricavi che si intende attivare attraverso l’erogazione del valore e dalla struttura dei costi
necessari a tal fine.

40
I flussi di ricavi
I flussi di ricavi sono individuati sulla base dei contenuti dell’offerta e del corrispondente valore per i quali
il cliente target è effettivamente disposto a pagare. La disponibilità a pagare, dipende oltre che dalla
percezione del valore anche dalla effettiva capacità di spesa del cliente, a sua volta condizionata da
numerosi fattori economici e non.I flussi di ricavi possono avere natura, frequenza e dimensione media
diversa in relazione alle caratteristiche del consumatore target, alle sue modalità di acquisto e al valore
percepito del prodotto; ancora, alle dinamiche della competizione.

Il modello dei ricavi definisce innanzi tutto come l’impresa intende agire sulle due determinanti il
fatturato: prezzo e quantità vendute. È evidente come questi due approcci si riflettano nella strategia di
leadership di costo e di diûerenziazione.

Nel business model, la definizione del modello dei ricavi deve anche tenere conto degli obiettivi di
profittabilità operativa dell’impresa, considerati insieme alla condizioni dei costi e agli effetti agli stessi
delle possibili politiche di ricavo.

La struttura dei costi

La struttura dei costi individua e ordina l’insieme dei costi che l’impresa deve sostenere per attirare il
business model e la loro possibile dinamica al variare della proposta di valore o delle condizioni critiche
necessarie. La determinazione della struttura dei costi ha due finalità: in primo luogo, serve per valutare la
sostenibilità economica e finanziaria del business model sulla base del confronto con il revenue stream; in
secondo luogo, è utile per comprendere le aree/attività che hanno maggiore impatto sulla struttura dei costi
e sulle quali è, quindi, necessario ricercare la massima efficienza.

Il modello di business è considerato cost driven quando è focalizzato sulla minimizzazione dei costi per
l’impresa. Quello delle compagnie aeree low cost è un tipico esempio di model business cost driven:
ridurre fortemente i costi senza ridurre la soddisfazione dei clienti.

A questi si oppongono concettualmente i business value driven focalizzati sulla massimizzazione del
valore offerto al cliente e bassati sull’ipotesi che questi sia disposto a pagare un incremento rispetto al
prezzo base per gli elementi di extravalore rispetto alle offerte concorrenti nella stessa fascia di mercato.

I fattori disruptive dei modelli di business tradizionali

In questi anni, nella maggior parte dei settori, i modelli di business stanno cambiando radicalmente e
stanno mutando le determinanti del successo. Questo cambiamento è generato dalla pervasività nei sistemi
economici e sociali, in gran parte del mondo, di tre fenomeni distinti, ma fortemente interdipendenti,

41
comunemente descritti con i termini inglesi di digital, sharing e green.

Le tecnologie digitali, la logica della condivisione (attraverso piattaforme digitali) e l’ottimizzazione


dell’impatto ambientale delle attività umane stanno favorendo la nascita di modelli di business, e
conseguentemente imprese, completamente nuovi; per l’altro, costringendo quelle esistenti a innovarsi
radicalmente.

La potenza di questi tre fenomeni deriva dall’avere natura molto composita: tecnologica, economica e
sociale al tempo stesso; inoltre, dalla loro stretta interdipendenza.

La digital economy

Il fenomeno della digitalizzazione include i processi di conversione delle informazioni in forma digitale e
lo sviluppo di tecnologie per gestire e sfruttare economicamente l’enorme ammontare di risorse generate
da tali processi. Esso poggia su un complesso di tecnologie fortemente interdipendenti, riguardanti
Internet, le infrastrutture di comunicazione e rete, l’hardware, le mobile apllications, i servizi ICT, e sta
innervando tutti i sistemi produttivi e sociali attraverso innovazioni quali cloud Technologies, Internet of
Things (IOT), advanced automation, big data analytics, social network.

La maggior parte dei settori produttivi, sia manifatturieri sia di servizi, stanno attraversando una digital
transformation che ne sta modificando la struttura e le dinamiche competitive con inevitabili rilevanti
riflessi sul modello di business delle imprese. Lo sviluppo digitale, tuttavia, non rappresenta solo una
minaccia per le imprese di telecomunicazioni, ma offre loro l’opportunità di innovare il proprio business
model e sviluppare nuove modalità di creazione di valore per i propri clienti.

Una manifestazione delle tecnologie digitali che sta avendo un impatto cruciale nelle industrie e nei
mercati è l’affermazione delle “piattaforme" digitali: ambiti ove si aggregano insiemi di persone per
svolgere attività nuove o realizzare in modo nuovo attività tradizionali. Già oggi, qualsiasi organizzazione
strutturata ha sviluppato una propria piattaforma digitale, attraverso la quale gestisce le relazioni e gli
scambi con i soggetti esterni, innanzi tutto clienti e fornitori, sviluppa una parte crescente della propria
comunicazione e attua parti sempre rilevanti di organizzazione delle attività interne.

42
La rilevanza delle piattaforme risulta evidente dalla loro diffusione e pervasività in molte funzioni aziendali:
dalla gestione delle relazioni con il cliente allo “smart working”, dall’automazione dei processi produttivi
alla gestione delle procedure amministrative. Parallelamente si è assistito a un grande sviluppo di nuove
forme di offerta basate su piattaforme digitali, esse si sono manifestate in siti di e-commerce e le diverse
tipologie di marketplaces ecc.

Anche queste piattaforme stanno favorendo un’innovazione profonda di molti servizi, non solo nelle
modalità di loro erogazione e fruizione, ma anche negli aspetti fondamentali della value proposition e
quindi dei contenuti. Un esempio molto significativo a riguardo, di cui sarà interessante verificare gli
effetti nei prossimi anni, è rappresentato dal Massive open online courses (MOOC) ormai concorrenti
tradizionali dell’offerta formativa tradizionale, soprattuto di livello universitario, professionale.

I modelli di business basati sul digitale sono fondati su cinque fondamentali componenti che li distinguono
fortemente da quelli “tradizionali”.

• Concept adatto a soddisfare nuove esigenze degli utenti, legate in particolare ai comportamenti “social”.
• Presidio delle tecnologie fondamentali.
• Dimensione tale da sfruttare al meglio le esternalità di rete.
• Capacità di acquisizione e gestione dei dati.
• Potenziale diffusione globale
• Diffusione internazionale sin dalle prime fasi del ciclo di vita.

Le tecnologie digitali, insieme alle innovazioni nell’ambito dell’automazione, stanno, infine,


creando le condizioni per radicali miglioramenti dei processi di produzione industriale.

La sharing economy

La sharing economy può essere definita come un insieme (piuttosto eterogeneo) di pratiche e modalità
organizzative (innanzi tutto, le così dette "piattaforme digitali) che attraverso appunto piattaforme digitali,
aggregano grandi quantità di soggetti (ma, volendo, anche gruppi molto selezionati) accomunati da
esigenze e comportamenti simili, generando così la nascita di "comunità" dove si sviluppa una fitta rete di
relazioni.

In questo ambito, si fanno rientrare anche i meccanismi di pooling attraverso cui si creano gruppi di
soggetti che condividono l’uso di un certo bene o la fruizione di un certo servizio; in questo mode,
favoriscono l’uso ottimale delle risorse, riducono il costo sostenuto da ciascuno e facilitano l’interazione
sociale.

43
In un numero crescente di casi, il consumatore è interessato non tanto a possedere un bene durevole, ma ad
avere accesso a esso e poterlo utilizzare nel momento in cui ne sente il bisogno e nelle specifiche modalità
per soddisfare al meglio tale bisogno.

Un secondo fondamentale elemento comportamentale è il fatto che la possibilità di condividere con altri
l'utilizzo di beni o servizi o anche l'esperienza che ne deriva e in sé un elemento di valore. Un ulteriore
aspetto rilevante e l'atteggiamento volto a ottimizzare l'uso delle risorse che deriva sia dall'orientamento
green sia dalla necessità di ridurre le spese e, per una certa parte delle persone, attivare nuove fonti di
reddito per compensare la riduzione a volte drastica di quelle derivanti dall'occupazione tradizionale.

Le piattaforme digitali di cui si è già accennato nel precedente paragrafo, sono la fondamentale
infrastruttura che ha reso possibile l'attuarsi di modelli di business capaci di rispondere alle nuove esigenze
e modalità di comportamento delle persone; rappresentano, quindi, l'altra fondamentale determinante del
successo della sharing economy.

Per quanto riguarda il primo aspetto, bisogna innanzi tutto considerare che le piattaforme digitali,
introducendo modalità disruptive per soddisfare una certa esigenza, hanno messo in forte crisi quelle
"tradizionali". E, ormai chiaro che la sharing economy non ha avuto effetti solo "incrementali", aprendo
nuovi mercati e attivando nuove forme di offerta; in molti casi, ha rappresentato un concorrente diretto
della economia convenzionale, determinando un effetto di spiazzamento di modelli meno efficaci e più
costosi.

Dal lato della domanda, il modello di business deve tenere conto dell'interazione diretta e continua tra
coloro che condividono una determinata esigenza, senza grande rilevanza del mercato geografico di
appartenenza, e che, sentendosi parte di una comunità pur virtuale sono portati a scambiarsi (a diversi
livelli di Intensità) le proprie esperienze e opinioni, in definitiva, a influenzarsi.

La sharing economy é il risultato, ma anche la risultante, dell'affermarsi di un nuovo paradigma dei


consumi. Dal lato dell'offerta, va sottolineata innanzi tutto la possibilità/necessità di rafforzare l'interazione
diretta con la propria domanda target, sapendo gestire la propria presenza nella comunità di cui essa è
parte. Una Importante caratteristica del modelli di business di queste piattaforme è la capacità di evolvere
rapidamente, in relazione al mutare (spesso da loro stesse direttamente o indirettamente indotto) della
natura degli attori coinvolti o comunque delle loro aspettative e dalle opportunità rappresentate dallo
sviluppo delle tecnologie. Si osserva che le piattaforme stanno evolvendo da sistemi pensati per facilitare
le transazioni peer to peer a modelli digitali di gestione delle relazioni tra domanda e offerta.

Del resto altra peculiarità del business model delle piattaforme di sharing economy è il fatto che la loro
evoluzione è solo in parte guidata dal suo gestore, essendo fortemente influenzata dai vari membri della

44
comunità aggregata nel loro ambito. Questo forte dinamismo determina comunque un’instabilità da cui
nessuno è al riparo; oggi, alcune piattaforme di sharing di maggiori dimensioni e visibilità stanno cercando
di innovare il proprio business model per rispondere a crescenti segnali di un minor interesse da parte degli
utenti o quantomeno al forte rallentamento della domanda. Un altro aspetto rilevante di questa continua
evoluzione è l’affermarsi di due ulteriori tipologie di piattaforme, legate a quelle considerabili “di prima
generazione”.

Se é abbastanza intuitivo comprendere la ragione per cui le piattaforme digitali (e le imprese che le
gestiscono) riescono ad aggregare rapidamente enormi quantità di utenti, è meno immediato stabilire come
da questo esse riescano a creare valore. L'attivazione del revenue гtreamг è molto delicata, considerato che
fin dall'inizio e tutt'ora la leva fondamentale di aggregazione di domanda e offerta nella piattaforma è stata
proprio la gratuità dell'accesso, ovvero l'eliminazione del costi diretti di intermediazione e reperimento di
informazioni.

Le principali modalità di generare ricavi sono le seguenti.

• Service fee. La piattaforma guadagna una fee dai soggetti che pone in collegamento (domanda e offerta
di beni e servizi), proporzionale al valore della transazione; tale fee può essere richiesta per la sola
connessione o nel caso tale connessione generi effettivamente una transazione economica. Airbnb
rappresenta un esemplo di questo modello.
• Freemium. La piattaforma e liberamente accessibile e non richiede alcun pagamento per l'accesso ai
servizi di base.
• Membership plus usage. La piattaforma richiede un pagamento per entrare nella community e poter
usufruire di determinati servizi.
• Flat membership. La piattaforma richiede una fee per l'appartenenza alla community che consente
l'accesso completamente gratuito ai servizi offerti.
• On sale. La piattaforma facilita la vendita on line di prodotti e servizi che, per diverse ragioni, acquista a
prezzi molto convenienti dai produttori (o da altri distributori) questo le permette di vendere a sconto
rispetto ai prezzi medi di mercato, guadagnando comunque un buon margine di intermediazione.

La green economy

Dai primi anni del secolo, i grandi organismi internazionali (Nazioni Unite, Unione Europea, OCSE ecc.) e
tutti I principali Stati nazionali hanno rafforzato il loro impulso allo sviluppo della green economy intesa
come motore per il miglioramento dell'impatto ambientale delle attività economiche, basato sul principio
di “fare meglio con meno".

45
La green economy è evidentemente una rappresentazione concreta dell'orientamento allo sviluppo
sostenibile, per cui la creazione di valore economico avviene nell'ambito del miglioramento del benessere
umano e dell'equità sociale e migliorando le condizioni attuali e future dell'ambiente naturale. È generata
dalla sempre più forte e diffusa sensibilità delle persone verso le problematiche dell’ambiente e quindi
dalla rilevanza che esse hanno per un verso, nel com portamento del consumatore e, per l'altro, nelle
politiche pubbliche e nella conseguente evoluzione legislativa e regalatoria in materia economica e di
produzione. La green economy è, quindi, un concetto generale in cui sono compresi una molteplicità di
fenomeni, accomunati dal meta-obiettivo del miglioramento del “capitale naturale” del pianeta nel quadro
del suo sviluppo sostenibile e basati su cinque fattori principiali:

• Le tecnologie
• I mercati
• Le politiche, la normativa e i regolamenti
• I business models
• I prodotti/servizi offerti

l'innovazione di determinati componenti del business model è indirizzata a migliorare l'impatto ambientale
del business stesso parallelamente alla creazione di valore economica e sociale. L'approccio green
determina un'evoluzione des business model "tradizionali" nelle imprese, e l'affermarsi di nuovi modelli
concepiti in relazione a finalità di miglioramento ambientale e di sostenibilità. Questi ultimi per un verso
sfruttano le tecnologie digitali; per l’altro, sono basati sui principi dello sharing da cui deriva la possibilità
di soddisfare le esigenze con minor impatto ambientale negativo.

Una prima possibile innovazione é l’introduzione di modelli di fruizione del prodotto/servizio da parte del
consumatore che migliorano l'impatto ambientale del consumo. Un altro modello innovativo (anche se
ormai già piuttosto consolidato) è quello delle Energy Saving Companies (ESCO), basato sull'idea che
l'impresa guadagna in funzione del risparmio di costo, nella fattispecie per il consumo di energia elettrica,
che la sua attività determina a favore del cliente

Altre modalità di Innovazione del business model per migliorarne l'impatto ambientale riguardano
specificatamente l'area delle operations e in particolare le modalità di realizzazione dei processi di
approvvigionamento, produzione e distribuzione. Esempi significativi sono il green supply chain
management che comprende modalità di gestione del sistema delle forniture finalizzate a ottimizzare
l'impatto ambientale complessivo delle produzioni esternalizzate e del conseguenti servizi logistici.

A riguardo, va considerato anche il complesso di manifestazioni della così detta economia circolare,
comprendente tecnologie, strutture produttive e modelli di business finalizzati a ottimizzare l'uso di
energia, acqua, materie prime e materiali quali input nei processi produttivi, attraverso l'organizzazione
appunto "circolare" del loro flusso nelle fasi di acquisizione, trasformazione e consumo.

46
Oltre ai due precedenti, in questo ambito sono particolarmente importanti le soluzioni cradIe to cradIe,
attraverso le quali i prodotti sono progettati e realizzati e poi il recupero della massima parte delle
materie/componenti, e le architetture di simbiosi industriale, finalizzate a consentire l'utilizzazione
condivisa di risorse, materiali.

47

Potrebbero piacerti anche