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DIRITTO DEL LAVORO

PARTE TERZA
CAPITOLO 10 - IL TRASFERIMENTO D’AZIENDA
10.1 IL TRASFERIMENTO DELL’AZIENDA
L’impresa si insedia dove ha delle convenienze: dove ci sono servizi fruibili, burocrazia zero…

Impresa = insieme dei mezzi organizzati finalizzati allo svolgimento di un’attività economica.
➢ I mezzi possono essere costituiti da: beni materiali: attrezzature, macchinari
beni immateriali: la forza lavoro (i lavoratori)
➢ I mezzi devono essere organizzati: non può essere considerata entità economica una mera giustapposizione di beni
➢ L’organizzazione dei mezzi deve essere finalizzata all’esercizio di un’attività economica

Art. 2112 c.c.: Trasferimento d’azienda


= “qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di
un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel
trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il
trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda.”
- L’entità economica deve mantenere la sua identità a seguito del trasferimento (questo lo diceval’Europa)
- Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda.

Qualsiasi operazione:
• cessione contrattuale
• fusione
• usufrutto
• affitto

Attività economica:
• organizzata
• con o senza scopo di lucro
• preesistente al trasferimento > N.B. per il ramo d’azienda non serve più
• che conserva la propria identità nel trasferimento

Il trasferimento può riguardare l'intera azienda o parte di essa e in questo caso si parla di trasferimento di ramo
d'azienda.
Il trasferimento di ramo d’azienda è ammissibile solo se la parte di azienda che si intende trasferire è funzionalmente
autonoma al momento del trasferimento (con il D.lgs 276/2003 non è più necessario che tale autonomia sia
preesistente al trasferimento).

Art. 2112 c.c.: Ramo d’azienda


« [..] Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come
articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente
e dal cessionario al momento del suo trasferimento. ».

Il trasferimento di ramo d’azienda (non c’è sempre il trasferimento dell’intera impresa)

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➢ Nell’ambito di applicazione della direttiva rientrano non solo i trasferimenti d’impresa, ma anche di «parti di
impresa».
➢ Anche per la « parte di impresa» valgono le precisazioni circa:
- la natura dei beni (materiali o immateriali)
- l’organizzazione dei beni
- la finalità dell’organizzazione dei beni, cioè l’esercizio di un’attività economica - mantenimento dell’ identità a
seguito del trasferimento.

Cass. 9949/2014 Soc. Telecom it.: «Nel caso in cui oggetto della cessione sia un servizio di magazzinaggio, assunto
dall'impresa cessionaria senza alcuna disponibilità autonoma dei locali aziendali, detenuti in via precaria, e senza
attribuzione di software, né di propria strumentazione informatica ed amministrazione, in modo tale che i lavoratori
trasferiti continuano ad utilizzare i sistemi informatici dell'impresa cedente, negli uffici e con i macchinari di
quest'ultima, non è ravvisabile un ramo d'azienda, suscettibile di trasferimento ai sensi dell'art. 2112 c.c.».

Il d.lgs. 276/2003 (Riforma Biagi, flessibilizzazione del mercato del lavoro) elimina due requisiti per
l’identificazione della parte d’azienda:
• preesistenza rispetto al trasferimento
• mantenimento dell’identità
Si rende tutto più fluido nell’ambito del trasferimento d’azienda o del ramo d’azienda.

Problematiche:
• Quali sono le conseguenze derivanti dall’eliminazione dei suddetti presupposti?
• Davvero la preesistenza del ramo ed il mantenimento dell’identità possono garantire la «genuinità» della
cessione?

Cass. 11832 /2014 Telecom Italia Spa: «Un complesso di servizi - privi di struttura aziendale autonoma e preesistente
- consistenti nella gestione e manutenzione di strutture informatiche e nell'assistenza tecnica, che restino disomogenei
per funzioni svolte e professionalità coinvolte, non integrati tra loro e privi di coordinamento unitario, non integra un
ramo d'azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c., senza che assuma rilievo, al fine di ravvisare un valido fenomeno traslativo,
la mera decisione, assunta dal cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un'unica funzione al
momento del trasferimento, la cui considerazione in termini di sufficienza si porrebbe in contrasto sia con le direttive
Ce n. 1998/50 e 2001/23 - che richiedono già prima di quest'atto "un’entità economica che conservi la propria identità
[...]»

Le tutele per i lavoratori previste dall’art. 2112 c.c. - caratteristiche del trasferimento di azienda o del ramo di
azienda:
1. CONTINUITÀ DEL RAPPORTO E CONSERVAZIONE DEI DIRITTI
• Passaggio automatico dei lavoratori alle dipendenze del cessionario
• Conservazione dei diritti già maturati presso il cedente → il lavoratore non ci perde nel trasferimento.
2. IL TRASFERIMENTO D’AZIENDA NON COSTITUISCE DI PER SÉ GIUSTIFICATO MOTIVO DI
RECESSO
Ricorda: la regola generale (art. 1406 c.c.) in materia di cessione di contratto prevede la necessità del consenso del
contraente ceduto.
Questioni:
• Non essendo il consenso del lavoratore un presupposto per la cessione del contratto, si tratta di un diritto alla
continuazione del rapporto presso il cessionario o di un obbligo?
• Come viene tutelata la libertà contrattuale del lavoratore di scegliere contraente (il datore di lavoro)?

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Risposta: « Il lavoratore le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al
trasferimento d’azienda, può rassegnare le dimissioni (senza preavviso) con gli effetti di cui all’art. 2119, prima
comma» → il lavoratore può recedere per giusta causa.
La sostanziale modifica può avere ad oggetto anche i rapporti con i colleghi, prospettive di carriera, le condizioni
ambientali.

3. RESPONSABILITÀ SOLIDALE
«Il cedente ed il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del
trasferimento» → forma di tutela a favore del lavoratore.
Il cessionario è obbligato anche per i crediti sorti in un momento anteriore al trasferimento.
Il lavoratore può liberare il cedente dalla responsabilità attraverso una rinuncia in sede protetta.

4. APPLICAZIONE DEI CONTRATTI COLLETTIVI


«Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi
nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento [...] salvo che siano sostituiti da altri contratti
collettivi applicabili all’impresa del cessionario [...]».
La tutela del lavoratore si sostanzia nella ultrattività dei contratti collettivi, nei soli casi di «vuoto», quando cioè il
cessionario non applichi alcun il contratto collettivo.
→ Un lavoratore passa da un’azienda ad un’altra e dovrebbe portarsi dietro il suo contratto collettivo aziendale ma se
l’organizzazione sindacale che lo rappresenta stipula un contratto collettivo diverso si applica questo contratto e serve

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a gestire il trasferimento dei dipendenti.
Ratio: Cass. 9545/1999: «La normativa è ispirata alla preoccupazione della continuità di una copertura
contrattuale. Tale preoccupazione non ha più ragione di esistere quando l’impresa acquirente segua comunque una
contrattazione collettiva. In tal caso, infatti, la regola è che la contrattazione collettiva dell’acquirente , successiva a
quella dell’alienante, sostituisca immediatamente ed in tutto la prima disciplina soggettiva».

In altre parole: nei casi in cui il cessionario applichi i contratti collettivi opera la regola generale della successione
temporale dei contratti collettivi.

Rischio: possibilità che dalla successione temporale dei contratti collettivi derivi un «peggioramento» del
trattamento del lavoratore.

RICORDA: «Il peggioramento» del trattamento potrebbe integrare quella «sostanziale modifica alle condizioni di
lavoro» che nei tre mesi successivi al trasferimento legittima il lavoratore a rassegnare le dimissioni.

5. Parte sindacale: alle tutele degli interessi individuale si affiancano le tutele degli interessi collettivi
OBBLIGO DI COMUNICAZIONE AI SOGGETTI SINDACALI
Art. 47 l.428/ 1990: «Quando si intenda effettuare, ai sensi dell’articolo 2112 del Codice civile, un trasferimento
d’azienda [...] il cedente ed il cessionario devono darne comunicazione per iscritto [...]».

Condizioni:
• Azienda con più di 15 lavoratori
• I destinatari della comunicazione: RSU (ovvero RSA) e sindacati che hanno sottoscritto il contratto collettivo
applicato nelle imprese interessate.
In mancanza dei suddetti soggetti: l’obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria
comparativamente più rappresentativi può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell’associazione
sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato.

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• I tempi per la comunicazione: 25 giorni prima che sia perfezionato l’atto o raggiunta l’intesa vincolante.
Ratio: fornire ai soggetti sindacali un quadro completo dell’operazione e delle ricadute che quest’ultima ha sugli
interessi dei lavoro, riconoscendo loro la possibilità di intervenire «non a giochi fatti»
• L’oggetto della comunicazione:
a) la data o la data proposta del trasferimento
b) i motivi del programmato trasferimento d’azienda
c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori
d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi

• L’esame congiunto → eventuale, è qualcosa in più


«Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette giorni dal
ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette
giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La
consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo»

RICORDA:
• La mancata informazione nei confronti dei soggetti sindacali, nonché il rifiuto dell’esame congiunto integra gli
estremi di una condotta sindacale «tipizzata» ex art. 28 Stat. Lav.
• La mancata conclusione di un accordo non può essere configurata come condotta antisindacale. I contenuti dell’
obbligo, infatti, riguardano l’informazione e l’esame congiunto con i soggetti sindacali.

Le conseguenze della violazione degli obblighi di informazione ed esame congiunti


Cass. 2000/23: «L'inosservanza del comportamento, pur necessitato, da parte del soggetto sul quale incombe l'onere
(di informazione e consultazione sindacale), non concreta un illecito, ma esclusivamente la mancata realizzazione
dell'interesse del soggetto medesimo. Di modo che il mancato adempimento dell'obbligo di consultazione da parte del
datore di lavoro costituisce un comportamento che viola un interesse, che la legge identifica non in un interesse
individuale, ma in quello collettivo dei destinatari delle informazioni, e cioè i sindacati, i quali, appunto, sono gli
unici titolari del diritto a che alienante ed acquirente procedano alla fase di consultazione. Il che esclude che
l'osservanza delle procedure sindacali si configuri alla stregua di un presupposto di legittimità - e quindi di un
requisito di validità - del negozio traslativo: se infatti le procedure sindacali non hanno ad oggetto il negozio di
trasferimento della compagine aziendale, ma le conseguenze che ne derivano, e cioè a dire, i provvedimenti che
l'alienante e l'acquirente hanno in animo di adottare successivamente ed in conseguenza del trasferimento, saranno
casomai questi ultimi ad essere interessati dal mancato adempimento degli obblighi imposti dalla legge e non mai il
negozio di alienazione dell'azienda».

Dunque: il negozio valido, ma sono sospesi gli effetti fino all’espletamento delle procedure.

TRASFERIMENTO D'AZIENDA: CASO DI AZIENDA IN STATO DI CRISI


Possibilità di derogare alle tutele ex art. 2112 c.c., non comunque alla continuità del rapporto.
Si tratta di una deroga «controllata» frutto, cioè, di un esame congiunto con i sindacati ed oggetto di un particolare
accordo.
Ratio: il trasferimento ad un nuovo imprenditore disposto a risanare l’azienda è considerato strumento per tutelare
l’occupazione, dunque, ne viene incentivato il ricorso.

10.2 IL CONTRATTO DI RETE E LA RETE DI IMPRESE

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Il contratto di rete è un tipo di contratto introdotto nell'ordinamento giuridico italiano nel 2009 (art. 3, co. 4 ter, D.L.
10 febbraio 2009, n. 5, convertito con L. 9 aprile 2009, n. 33)., che permette di realizzare raggruppamenti di
imprese per la collaborazione reciproca mantenendo la propria autonomia e la propria individualità (senza
costituire un’organizzazione come la società o il consorzio), nonché di fruire di rilevanti incentivi e di agevolazioni
fiscali. Nel nostro paese si sta diffondendo in maniera crescente grazie alla convenienza dello stesso dal punto di vista
manageriale e sotto l’aspetto economico/organizzativo
Con il contratto di rete due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche
rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul
mercato.

Caratteristiche:
Parti: due imprenditori. È esclusa la possibilità che siano parti del contratto di rete anche soggetti che non rivestono la
qualifica di imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c.
Causa: l’accrescimento della capacità innovativa e della competitività delle imprese.
Oggetto: Tali attività possono essere di tre tipi:
1) collaborazione tra le parti in ambiti attinenti l’esercizio delle proprie imprese;
2) scambio tra le parti di informazioni o di prestazioni praticamente di qualsiasi natura (industriale, commerciale,
tecnica e tecnologica);
3) esercizio in comune tra le parti di una o più attività rientranti nell’oggetto delle rispettive imprese.
Ciò che distingue il contratto di rete, pertanto, è la causa, per come è stata individuata sopra.

Forma e contenuto: Il contratto di rete deve essere stipulato per atto pubblico, per scrittura privata autenticata o per
“atto firmato digitalmente”. Inoltre
Pubblicità: il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del Registro delle Imprese presso cui è iscritto
ciascun partecipante e l'efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni.

Con il d.l 76/2013 è possibile oggi per le reti di imprese accedere a quattro modalità specifiche per la gestione più
flessibile del personale al loro interno:

a. Il ricorso al distacco intra-rete, fortemente incentivato, per le sole imprese di rete;


b. La possibilità, nuovamente a favore delle sole imprese di rete, di “ingaggio” dei lavoratori in regime di
“codatorialità”
c. La “assunzione congiunta”, sia pure limitata o pensata principalmente per le imprese di rete prevalentemente
agricole.
d. L’assunzione diretta da parte della rete stessa, resa possibile dal riconoscimento della soggettività giuridica in
capo alla rete/oggetto.

La codatorialità
Oltremodo delicata risulta la differenziazione tra le ipotesi sub b) e c), ma di notevole rilevanza è soprattutto la
disciplina del distacco all’interno delle reti di impresa.
La prospettiva generale del provvedimento era quella di incentivare la mobilità interna del personale, eventualmente
anche con lo strumento, poco considerato sul piano applicativo, della “codatorialità”: in forza della quale un
lavoratore dipendente di una delle imprese resiste risulta destinatario di atti di esercizio del potere direttivo
anche da parte di diverse società della rete, pur non considerate, né considerabili suoi datori di lavoro in senso formale.

Caratteristiche del contratto di rete

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Il contratto di rete si caratterizza dunque, in primo luogo, per la sostanziale novità di una determinazione pattizia
delle regole di chi co-utilizza la prestazione lavorativa.
≠ dalla somministrazione, che vede una chiara suddivisione dei compiti e delle responsabilità tra Agenzia e
utilizzatore.
≠ dalla “assunzione congiunta”, che prevede una responsabilità solidale ineludibile dei datori di lavoro “congiunti”
per le obbligazioni contrattuali, previdenziali e di legge.

I vantaggi
Le modalità di gestione del personale permettono dei vantaggi alle imprese miglioramento della produttività e
competitività

Ma anche per i lavoratori


Acquisizione di nuove competenze, sviluppo di professional skills
Maggiore stabilità del proprio impiego per l’estensione soggettiva e spaziale dell’impresa rete rendendo più
difficile un licenziamento individuale per ragioni economiche

La contrattazione collettiva di rete: l’art 8 l. 148/2011


Inoltre il contratto di rete prevede la determinazione condivisa delle regole di ingaggio non solo inter partes
attraverso il contratto di rete ma anche per mezzo della contrattazione collettiva di rete – contrattazione di prossimità
promossa dalla l. n. 148/2011: si tratta di un momento di incontro e adesione agli accordi tra i retisti da parte dei
lavoratori tramite i propri rappresentanti. In questo modo vengono determinate congiuntamente le regole,
condivise le scelte a livello aziendale configurandosi in una gestione d’impresa paciativa: il contratto collettivo di rete
potrebbe contenere clausole riguardanti la gestione del personale o la regolamentazione del rapporto di lavoro.

10.3 IL DISTACCO (assomiglia ma non è somministrazione) → nasce nelle pubbliche amministrazioni come il
collocamento temporaneo di un soggetto presso un’altra amministrazione.

“Comando” o “distacco” di personale, cenni sull’origine dell’ istituto


Il fenomeno che nasce nel diritto pubblico e viene poi traslato nel diritto del lavoro privato
Nell’ambito del rapporto alle dipendenze della pubblica amministrazione si usa designare con il termine
“comando” il provvedimento con il quale un impiegato - in via eccezionale, per riconosciute esigenze di servizio e
quando sia provvisto di una specifica competenza - può essere comandato dall’Amministrazione di appartenenza
ad un’ altra Amministrazione dello Stato o ad un Ente pubblico continuando in entrambi i casi ad appartenere
sempre al ruolo di origine.

Art. 30 d.Lgs. 276/2003 (Riforma Biagi): la disciplina: «L'ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro,
per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per
l'esecuzione di una determinata attività lavorativa».

Si tratta di una vicenda interna ad un normale contratto di lavoro subordinato (atto di esercizio del potere datoriale).
Vi è un solo contratto, non due. Si applicherà la disciplina del contratto di lavoro subordinato.

Le conseguenze della dissociazione:


• il titolare del rapporto è l’unico obbligato per il trattamento economico, normativo e previdenziale
• l’utilizzatore esercita il potere direttivo e risponde per l’adempimento dell’obbligo di sicurezza.

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I soggetti
Datore di lavoro distaccante: responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore (datore di
lavoro formale).
Lavoratore: deve ottemperare alla disposizione del distacco; tranne che questo comporti un mutamento di mansioni,
in tal caso necessita il suo consenso.
Utilizzatore: beneficia della prestazione lavorativa

I requisiti di legittimità del distacco:


Temporaneità (non definitivo)
• concetto che coincide con quello di non definitività
• indipendente dalla entità della durata del periodo di distacco
Interesse
• il distacco può essere legittimato da qualsiasi interesse produttivo del distaccante che non coincida con quello alla
mera somministrazione di lavoro altrui.

L’interesse
La difficoltà nell’utilizzo dell’istituto risiede nell’individuazione dell’interesse del distaccante diverso dalla
somministrazione, posto che nei fatti l’interesse reale si individua nella sfera del distaccatario (infatti questo istituto di
flessibilità è ha suo favore magari perché in un certo momento). Nella prassi quindi il distaccante è costretto a
inventare un proprio interesse per rendere legittimo il distacco.

Il nuovo comma 4-ter art. 30 d.lgs 276/2003: «[...] Qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano
sottoscritto un contratto di rete di impresa [...] l'interesse della parte distaccante sorge automaticamente in
forza dell'operare della rete[...]» → se c’è rete d’impresa, l’interesse al distacco sorge spontaneamente (maggiore
flessibilità a vantaggio del lavoratore).

D. lgs 236/1993 art. 8 c. 3: in caso di crisi aziendale e contestuale eccedenza del personale, possibilità, tramite
accordo sindacale di regolare il distacco dei lavoratori presso altre imprese, così da evitare i licenziamenti o
circoscriverne il numero.
NOTA BENE: l’interesse non è più del datore di lavoro, ma il distacco diventa strumento a tutela dell’occupazione.

«Particolari» ipotesi di distacco ed i corrispondenti requisiti di legittimità:


• Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato
• Il distacco che comporta un trasferimento ad un'unità produttiva situata a più di 50 Km da quella in cui il lavoratore
è adibito può avvenire solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

Le conseguenza dell’assenza dei requisiti di legittimità:


Il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’ utilizzatore.
In tal caso i pagamenti effettuati dal distaccante a titolo retributivo e previdenziale liberano l'utilizzatore dal debito
corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dal distaccante per la
costituzione o la gestione del rapporto si intendono compiuti dal soggetto utilizzatore.

Il distacco transfrontaliero: DIR 96/71/CE


(Direttiva) DIR 96/71/CE: «Distacco del lavoratore nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi».
La direttiva si applica alle imprese stabilite in uno Stato membro che, nel quadro di una prestazione di servizi
transnazionale, distacchino lavoratori [...] nel territorio di uno Stato membro.

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RICORDA: nonostante l’utilizzo di unico termine «distacco», rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva sia
l’appalto che la somministrazione di manodopera. Quanto al distacco, viene contemplato solo quello infragruppo

Finalità della direttiva: gestire il fenomeno del dumping sociale.


Strumento: Hard core di tutele per i lavoratori.

Art. 3: Condizioni di lavoro e di occupazione:


«Gli Stati membri provvedono affinché, qualunque sia la legislazione applicabile al rapporto di lavoro, le imprese [...]
garantiscano ai lavoratori distaccati nel loro territorio le condizioni di lavoro e di occupazione relativa alle
materie in appresso indicate che, nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro, sono fissate:
- da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, e/o
- da contratti collettivi o da arbitrati dichiarati di applicazione generale [...] sempreché vertano sulle attività
menzionate in allegato:
a) periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo;
b) durata minima delle ferie annuali retribuite;
c) tariffe minime salariali, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario; il presente punto non si applica ai
regimi pensionistici integrativi di categoria;
d) condizioni di cessione temporanea dei lavoratori in particolare la cessione temporanea di lavoratori da parte di
imprese di lavoro temporaneo;
e) sicurezza, salute e igiene sul lavoro;
f) provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e
giovani;
g) parità di trattamento fra uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione»

L’Italia recepisce la direttiva


D.lgs 72/2000
Le Peculiarità della trasposizione
• prevista l’applicazione, per il lavoratore distaccato in Italia non dell’«hard core» di tutela, ma di «tutto il diritto del
lavoro»
• ambito di applicazione della disciplina esteso anche alle imprese che siano stabilite in uno stato non membro
dell’Unione Europa.

10.4 L’APPALTO → è uno strumento sotto agli occhi di tutti, strumento molto utilizzato da parte del sistema
economico (è uno strumento di dissociazione tra il personale che viene utilizzato da qualunque soggetto imprenditore
e il personale stesso) es. costruzione di una casa (impresa che in appalto la costruisce).

Art. 1655 cod. Civ.: Definizione: “L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi
necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in
danaro»
→ quindi l’appalto è un istituto di diritto commerciale (un contratto) che viene stipulato tra due soggetti
imprenditoriali; con la finalità, per uno dei due, di ricevere un’opera o un servizio, dietro corrispettivo in denaro.

L’appalto è un contenitore di rapporti di lavoro subordinato → differenza con la somministrazione: nel contratto
d’appalto non si somministra nulla, viene svolta o un’opera o un servizio ma si risponde di essi autonomamente;
quindi, il rapporto è tra impresa e impresa, e il secondo appaltatore è organizzato a rischio proprio.

I soggetti

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I protagonisti sono due parti: appaltatore e appaltante/committente, e spesso si aggiungono ulteriori figure, ossia i
subappaltatori (in specie nelle catene di appalti): è anche possibile dare in subappalto l'esecuzione dell'opera o del
servizio

L’organizzazione di mezzi
L’organizzazione di mezzi necessari si riferisce anche al personale, e non solo ai mezzi materiali. La stessa nozione
di impresa o azienda (come visto nel trasferimento d’azienda) legittima la sussistenza di imprese composte da mero
personale purchè assoggettate a un potere direttivo da parte dell’appaltatore diverso dall'appaltatore.

La normativa lavoristica speciale: i requisiti di legittimità


Art. 29 c. 1 D.lgs 276/2003 (Riforma Biagi; quella della flessibilizzazione): «il contratto di appalto, stipulato e
regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la
organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze
dell'opera o del servizio dedotti in contratto, (dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei
lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa»
→ elementi per l’appalto→ qui c’è un elemento ulteriore, cioè l’appaltatore può essere colui che ha il rischio
d’impresa ma esercita meramente il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati.
Questo serve a far sì che si possano configurare come appalti anche quegli appalti c.d. labor intensive, cioè di solo
manodopera

Il contratto d’appalto è diventato più fruibile
NOTA BENE: l’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori, nonché l’assunzione del
rischio di impresa costituiscono i requisiti di legittimità del contratto.

Elemento di tutela: il regime di solidarietà


«[...] il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno
degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i
trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi
assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto [...]».

Figura del subappaltatore:


Contratto di appalto stipulato, previa autorizzazione del committente, da chi a sua volta sia appaltatore nei confronti
del committente originario.
Rischio: perdita di controllo delle regole del diritto del lavoro.

Le conseguenze dell’assenza dei requisiti di legittimità


«[...] il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del Codice di
procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un
rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo».
Il contratto d’appalto è uno strumento di frequente aggiramento delle regole di tutela dei lavoratori subordinati; è
inoltre molto presente nella realtà economica.

Se l’appalto non è ritenuto legittimo viene prevista la trasformazione ed imputazione del rapporto in capo al
committente/appaltante (i lavoratori sono considerati del commitente) condizionata al ricorso giudiziale del
lavoratore (che spesso non lo fa per la sua debolezza economica)

La l. 122/2016

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comma 3 “L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore dotato
di propria struttura organizzativa e produttiva, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di
clausola del contratto d'appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità
d’impresa non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda.

La l. 122/2016 ha previsto che la successione di appalti, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano
una specifica identità d’impresa non costituiscono trasferimento d’azienda.

Es. MOSE di Venezia (è un sistema di appalti)


L’appalto è un istituto del diritto commerciale che può avere delle ripercussioni anche in termini drammatici in materia
di lavoro. E a questo punto interviene il controllo con gli ispettorati del lavoro.
Nel contratto d’appalto ci sono delle penali in caso di recesso anticipato.
Elemento interessante dei contratti d’appalto: la successione degli appalti → c’è il rischio che i dipendenti non siano
tutelati e che non conservino il diritto del posto di lavoro.

10.5 LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO

La conosciamo dal momento in cui la Corte di giustizia europea ha ritenuto che l’intermediazione tra lavoratori ed
imprese non potesse essere esclusiva dello Stato perché eravamo entrati nel mercato comune Art. 30-40 d.lgs.81/2015,
precedentemente d. lgs. 276/2003 art. 20-28.

Trilateralità delle parti /Schema triangolare


L’agenzia per il lavoro autorizzata provvede ad assumere i lavoratori per poi inviarli, in esecuzione al contratto di
somministrazione, presso l’utilizzatore che beneficia della loro attività esercitando il potere direttivo e di controllo

L’agenzia del lavoro mette in contatto, legittimamente, l’impresa utilizzatrice e il lavoratore temporaneo e crea le
premesse per la stipulazione di due contratti: l’agenzia fa la selezione del personale, li cerca e arrivano all’impresa; a
quel punto i lavoratori stipulano un contratto di lavoro con l’agenzia.

L’istituto della somministrazione di lavoro è articolato su due contratti:


• contratto di somministrazione (commerciale) tra agenzia ed utilizzatore
• contratto di lavoro subordinato tra agenzia e lavoratore

1) Il contratto di somministrazione tra agenzia ed utilizzatore

Con il contratto commerciale l'agenzia di somministrazione mette a disposizione di un utilizzatore uno o più suoi
dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione
ed il controllo dell'utilizzatore.

Soggetti del contratto:


● Da un lato un’agenzia autorizzata dal Ministero del lavoro (il d.lgs. 276/2003 prevede i requisiti giuridici e
finanziari per garantire la serietà e la solvibilità)
● Dall'altro un soggetto utilizzatore, imprenditore e non

Le tipologie
• tempo determinato

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• tempo indeterminato (c.d. staff leasing= strumento contrattuale che consiste nella somministrazione di lavoro a
tempo indeterminato da parte delle agenzie del lavoro ad un’impresa). I lavoratori vengono “inviati” a tempo
indeterminato presso l’impresa utilizzatrice e poi eventualmente assunti dalla stessa. Viene usato molto
frequentemente di recente da parte di imprese in difficoltà che si accordano con le Agenzie di somministrazione per
l’assunzione di una pluralità di lavoratori con forme di modalità a rischio (finte collaborazioni, stage..) spesso al fine
di una successiva assunzione diretta.

Ripartizione tra agenzia e utilizzatore


L’istituto comporta convenienze per tutte le parti coinvolte:
• L’aggiornamento professionale e la formazione del lavoratore sono poste in capo all’Agenzia, permettendo un
risparmio all’impresa utilizzatrice
• La gestione burocratico amministrativa è a carico dell’Agenzia
• L’impresa utilizzatrice gode della prestazione di un lavoratore che non sarà computato nel suo organico. I lavoratori
somministrati non sono computati nell'organico dell'utilizzatore ai fini dell'applicazione di norme di legge o di
contratto collettivo ad eccezione di quelle relative alla tutela della salute/igiene e della sicurezza sul luogo di lavoro

In questo modo il risparmio dei costi permette alle imprese utilizzatrici di evitare l’utilizzo improprio di contratti di
collaborazione, stage tesi ad evitare un’assunzione diretta e i relativi costi

Responsabilità solidale: l'utilizzatore e l'agenzia sono obbligati in solido a corrispondere il trattamento


retributivo e a versare i contributi previdenziali.

Il costo di lavoro subirà un incremento, dati i servizi erogati dall’Agenzia (selezione, formazione, aggiornamento,..).
Tale aumento è compreso nel canone che l’utilizzatore deve versare all’agenzia (canone=retribuzione+contributi
previdenziali+ delta che remunera attività dell’agenzia).

I poteri
• Il lavoratore rimane un dipendente dell’Agenzia. Quindi il potere disciplinare compete all'agenzia. L'utilizzatore
deve comunicare gli eventuali inadempimenti/elementi oggetto di contestazione
• Il potere direttivo, di conformazione, di controllo, lo ius variandi (utilizzatore deve avvisare agenzia, altrimenti
sono a suo carico aumento retributivo e contributivo) competono all'utilizzatore.

Divieto di vincoli a successive assunzioni


Se l’impresa utilizzatrice decide di assumere il lavoratore inviato dall’agenzia il dlgs. 276/2003, in seguito modificato
dal dlgs 81/2015 vieta l’apposizione di vincoli alla medesima assunzione.
L’obiettivo di tale istituto è quello di favorire l’occupazione consentendo alle imprese un approccio graduale alle
assunzioni a tempo indeterminato (sebbene oggi sono praticabili mediante il cd.. contratto a tutele decrescenti con
minori vincoli ad un licenziamento)

Limiti all’utilizzo della somministrazione → come si usa


Limiti di tipo quantitativo
> Per la somministrazione a tempo indeterminato: → dalla legge
• limite del 20 % dei lavoratori a tempo indeterminato in forze presso l'utilizzatore al 1°gennaio dell'anno di
stipulazione del contratto
• possibile una diversa previsione dei contratti collettivi
> Per la somministrazione a tempo determinato:

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• determinazione dei limiti è affidata alla contrattazione collettiva; è esente da limiti la somministrazione di soggetti
in condizione di particolare svantaggio.

Ulteriori limiti sono stati inseriti con il d. l. n. 87/2018, c.d. Decreto Dignità → la somministrazione non piaceva a
tutti, è stata fortemente criticata.
• Un ulteriore limite quantitativo per i contratti di somministrazione a tempo determinato:
> il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a
tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo
indeterminato.
• In caso di contratto a tempo determinato di durata superiore ai 12 mesi, questo dev’essere sorretto dalle causali
previste dall’art. 19 d. lgs. n. 81/2015.

Causali → la causale va riferita all’utilizzatore


a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria. Nella legge di
conversione del d.l. n. 87/2018 è stato chiarito che queste andranno riferite non all’agenzia di somministrazione, ma
all’utilizzatore.

Durata
Per effetto del rinvio alle norme sul contratto a termine:
Nel caso di contratto a tempo determinato, questo non può avere durata superiore a 24 mesi → Decreto Dignità
Il limite di 24 mesi vale anche nell’ipotesi di successione di contratti a tempo determinato.
Anche tale limite, però, vale solo con riferimento all’utilizzatore, non all’agenzia.

Occorre creare i presupposti perché il sistema sia in grado di assumere.

Divieti (i medesimi per l'utilizzo del contratto a termine) del contratto di somministrazione:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero.
b) presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi
degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si
riferisce il contratto di somministrazione di lavoro, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione
di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi.
c) presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario in regime di
cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di
somministrazione di lavoro.
d) da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di
tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Sanzioni:
- Mancanza di forma scritta → il contratto di somministrazione è nullo, i lavoratori sono considerati alle
dipendenze dell'utilizzatore
- Somministrazione al di fuori dei limiti, in violazione dei divieti, in particolari ipotesi di violazioni formali del
contratto → il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore
dall'inizio della somministrazione
- In questi casi -e in determinate altre ipotesi- i comportamenti sono sanzionati anche con sanzioni amministrative.

2) Il contratto di lavoro subordinato tra agenzia e lavoratore

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Trattandosi di lavoro dipendente, la disciplina prevista è quella del normale lavoro subordinato a tempo
indeterminato o a termine, salvi gli adattamenti resi necessari dalla dissociazione soggettiva.

Il lavoratore può essere assunto dall'agenzia di somministrazione con un contratto a tempo determinato o a tempo
indeterminato.

Se il contratto commerciale è a tempo indeterminato il lavoratore dev'essere assunto con contratto a tempo
indeterminato.
● Se il lavoratore è assunto con contratto a tempo indeterminato ha diritto ad un'indennità di disponibilità per i
periodi in cui non viene inviato in missione

I lavoratori hanno diritto a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei
dipendenti dell'utilizzatore.

I lavoratori somministrati esercitano i diritti sindacali


• presso l'agenzia
• presso l'utilizzatore durante le missioni, hanno diritto di partecipare alle assemblee

CAPITOLO 11 - L'ESTINZIONE DEI RAPPORTI DI LAVORO: DIMISSIONI E LICENZIAMENTI.

IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE E LE DIMISSIONI


Il rapporto di lavoro è bilaterale, ci sono due parti, e ciascuna di esse può recedere dal rapporto.

In materia di licenziamento vi sono state 4 tappe evolutive:


1. le previsioni del Codice Civile: le parti sono su un piano di parità, e recedevano liberamente, non era necessaria
una giustificazione ai fini della validità del recesso, l’unico onere era il preavviso

2. La l. 604/1966: viene prevista la necessaria giustificazione del recesso altrimenti licenziamento è illegittimo (giusta
causa, giustificato motivo oggettivo e soggettivo) . In merito alle conseguenze sanzionatorie il datore poteva
scegliere tra indennità risarcitoria e riassunzione.

3. L. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori): Con l’art 18 viene introdotta la disciplina del regime reintegratorio in caso di
licenziamento illegittimo, non è quindi più possibile per il datore scegliere la sanzione. L’art 18 tratta i diversi vizi del
recesso allo stesso modo, ad ogni vizio il rimedio è la reintegrazione. (Pag. 22)

4. Riforma Fornero e Job’s Act: ad ogni vizio del licenziamento il «nuovo art. 18» fa corrisponde un regime
differenti di tutela tra i 4 (tutela reintegratoria forte, tutela reintegratoria debole… vedi capitolo 12, pag. 23)

Ogni riforma non abroga la precedente , ma si applica ai rapporti sorti quando quella normativa era vigente. Il
Job’sAct si applica a partire dalle assunzioni compiute dal 7 marzo 2015. Ai rapporti sorti antecedentemente si applica
l’art 18 l.300/1970 sino al 2012 e l’art. 18 Riforma Fornero dopo il 2012

LICENZIAMENTI E DIMISSIONI
Il licenziamento è un atto unilaterale recettizio (→ a conoscenza) del datore di lavoro che estingue il rapporto di
lavoro.
Le dimissioni sono l’atto unilaterale recettizio con cui il lavoratore estingue il rapporto di lavoro

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Principio generale: il licenziamento è soggetto a limiti, le dimissioni non lo sono.
Le dimissioni possono essere sollecitate dal datore di lavoro

⚠️ Eccezioni alle limitazioni delle dimissioni:


- Obbligo di forma per le dimissioni
- Possibili limitazioni convenzionali alla facoltà di recedere → il datore di lavoro sigla un accordo con il lavoratore
limitando le sue dimissioni, limitando quindi il diritto di dimettersi del lavoratore e lo fa perché quel lavoratore è
competente, che è stato formato presso l’impresa nella quale lavora, che ha dunque comportato un costo nell’impresa
stessa.
Esempio: Clausola di durata minima / patto di irrecedibilità.

1) IL RECESSO NEL CODICE CIVILE


Art. 2118 c. 1: « Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato dando il
preavviso nel termine e nei modi stabiliti [...]».

Ai fini della legittimità del recesso

💡
- non era obbligatoria una giustificazione, qualunque recesso era valido. Il recesso senza giustificazione (ad
nutum) era la regola generale (quindi non vi era neanche la possibilità di sindacare). Ratio: L’idea era che le parti
non si devono legare a vita e quindi hanno la libertà di risolvere il rapporto contrattuale

💡
- Unico limite al recesso: il preavviso
Ratio:
• tutela dell’interesse del lavoratore a trovare un’altra occupazione
• tutela dell’interesse del datore di lavoro a trovare un altro lavoratore

NOTA BENE:
Nessun limite di carattere sostanziale alla recedibilità → il licenziamento e le dimissioni non devono essere
giustificate a meno che non siano le dimissioni per giusta causa.
Nessuna possibilità da parte di un autorità di sindacare il merito della decisione.

⚠️ Salvo il caso in cui manca il preavviso MA ci sono giusta causa + indennità.


Art. 2119 c.c.> «Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto [...] senza preavviso, [...]qualora si verifichi una
causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto e' a tempo indeterminato, al
prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennita'».
(es. assenza ingiustificata oltre i termini contrattuali, violenze e minacce verso il datore o di colleghi, furti, reati
commessi nell’esercizio delle mansioni, fatti criminosi al di fuori del rapporto lavorativo tali da incrinare la fiducia tra
le parti..).

E se manca il preavviso? C’è un'indennità.


Rimedio al mancato preavviso:
Art. 2118 Codice civile comma 2: «[...]il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo
della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso».
La durata del preavviso è stabilita nel contratto collettivo (cambia in funzione dell’anzianità lavorativa → da più
tempo sei in azienda più lungo sarà il tempo del preavviso).

Le dimissioni sono una scelta del lavoratore, il licenziamento è una scelta del datore di lavoro.

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Il licenziamento «costituisce generalmente per il lavoratore un dramma esistenziale in ragione della difficoltà di
reperire un’occupazione in un mercato del lavoro decisamente ostile e per effetto del venir meno dell’unica o
principale fonte di sostentamento e dell’occasione di sviluppo della professionalità».
Le dimissioni del lavoratore «creano al datore di lavoro il mero fastidio di sostituzione, peraltro in genere già
programmata al momento del recesso e agevolata dalla tendenziale ricchezza dell’offerta di lavoro».
Dunque, progressivo allontanamento dalle logica civilistica.

Ripensando al recesso in una logica di tutela del contraente debole.


Prima questione: sulla legittimità costituzionale del recesso ad nutum (con un gesto del capo).
Il licenziamento, come e le dimissioni, potevano essere libere.

Corte costituzionale Sent. n. 45/1965: «[...] Un regime di libera recedibilità è costituzionalmente legittimo, ma la
Costituzione esprime la tensione verso un ordinamento protettivo dell’interesse del lavoratore alla continuità del
lavoro e del relativo reddito, lasciando al legislatore ordinario la scelta dei tempi e delle tecniche normative
opportune».

Le conseguenze:
• circa le dimissioni la disciplina del recesso per il contraente debole resta quella del Codice civile, con qualche
incremento di tutela.
• circa il licenziamento la disciplina del recesso per il contraente forte si arricchisce di limiti formali e sostanziali.

Fino al 1966 quindi il recesso ad nuntum, senza giustificazione era le regola generale. Il licenziamento quindi, ma
anche le dimissioni non necessitavano di una motivazione, se non per il caso di sussistenza della giusta causa.
L’obbligo di apporre una motivazione al licenziamento verrà introdotto solo con l’art 3 della legge del 1966

Recesso «ad nutum» (art. 2118)


Non è necessaria la sussistenza di giusta causa/giustificato motivo, quindi ad oggi la disciplina codicistica risulta
residualmente appliccabile
- i dirigenti, dotati di un’apposita tutela prevista dai contratti collettivi, perché non c’è tutela legale, salvo il caso di
nullità del licenziamento per il quale vale la tutela reintegratoria
- lavoratori in prova
- agli sportivi professionisti
- apprendisti
- lavoratori con i requisiti pensionistici di età
- i lavoratori domestici

Sintesi dimissioni del lavoratore


Nel rispetto delle previsioni codicistiche
• termine di preavviso
• indennità sostitutiva del preavviso in caso di mancato preavviso
• nessun termine di preavviso nel caso di sussistenza di giusta causa
• nessuna giustificazione se non per giusta causa

Giusta causa definizione codicistica «[...] causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del
rapporto».

15
Nozione di « giusta causa» comune al licenziamento. Si tratta di gravi inadempimenti del datore di lavoro (Esempi :
Violazione di obbligo di sicurezza, molestie sessuali, dequalificazione, omissioni contributive, effettuazione ed
indagini di controlli vietati).

I profili problematici delle dimissioni del lavoratore


PROBLEMA: L’irrigidimento della disciplina del licenziamento incide sulle dimissioni che diventano uno strumento
per aggirare la tutela protettiva del lavoratore.

Infatti si diffonde la pratica delle dimissioni «in bianco»: Al momento dell’assunzione il lavoratore firma una lettera
di dimissione in bianco, priva di data, che il datore utilizza quando gli è più opportuno
• il lavoratore sottoscrive un documento con oggetto le dimissioni
• nel documento non si inserisce il riferimento alla data
• la data viene specificata dal datore di lavoro al momento del recesso «mascherato»
Uno dei sistemi pensati dal legislatore per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco è la procedure di
convalida
> L’obiettivo è quello di rendere obbligatoria una conferma delle dimissione da parte del lavoratore presso una sede
cd. protetta, le DTL oggi ITL

L’ efficacia delle dimissioni è sospesa fino :


a) alla convalida presso la DTL o il Centro per l’ impiego
b) oppure alla sottoscrizione del lavoratore di una dichiarazione apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della
comunicazione di cessazione del rapporto inoltrata dal datore di lavoro al centro per l’ impiego.

Nei casi in cui


• il lavoratore non convalida le dimissioni > Il datore di lavoro può invitare il lavoratore a farlo entro 30 giorni
dalla data delle dimissioni
• il lavoratore non risponde all’ invito del datore di lavoro entro 7 giorni > Il rapporto si intende comunque risolto

Non si tratta di limiti formali, ma di garanzie procedurali


Anche sul punto è intervenuto il c.d. Jobs act. La nuova disciplina «procedurale» è contenuta nell’art. 26 d.lgs. 14
settembre 2015.
Nel 2016 tale procedura è stata resa telematica, previo accreditamento telematico del datore di lavoro presso l’INPS.
Una strada alternativa è costituita dalla presentazione del lavoratore avanti le commissioni di conciliazione con firma
di un verbale di conciliazione con data certa.

2. IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE L.64/1966


Limiti sostanziali al recesso datoriale (del licenziamento)
Art. 1 l. 604/1966: «Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato[...], il licenziamento del prestatore di lavoro non
può avvenire che per giusta causa ai sensi dell'articolo 2119 del Codice civile o per giustificato motivo».

Il principio della causalità del recesso


• esistenza della GIUSTA CAUSA
• esistenza del GIUSTIFICATO MOTIVO
In assenza della giusta causa o del giustificato motivo, il licenziamento è ILLEGITTIMO.

Anche nel diritto dell’ Unione Europea:

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Carta di Nizza - Art. 30: «Ogni lavoratore ha diritto alla tutela contro il licenziamento ingiustificato conformemente al
diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali».
La giustificazione del recesso è il presupposto per la sua legittimità.

I « nuovi» limiti formali al recesso datoriale


• Viene introdotto l’obbligo di comunicazione per iscritto (anche per le dimissioni): Art. 2 l. 604/1966 « Il datore di
lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro»
• L’obbligo di motivazione per il licenziamento, motivazioni sempre indicate per iscritto
• La riforma Fornero precisa che... «[...] La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei
motivi che lo hanno determinato» (prima era solo su richiesta del lavoratore)

APPROFONDIMENTO
A proposito di limiti formali: si può licenziare via WhatsApp, e-mail o sms?
➢ Il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza
della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del
documento scritto nella sua materialità, ivi compresa la comunicazione a mezzo mail.
(Nella specie, la lettera di licenziamento era stata inviata come allegato a messaggio di posta elettronica - Cass.,
29753/2017)
➢ L’onere di intimare il licenziamento in forma scritta ex art. 2, comma 1, l. 15 luglio 1966, n. 604 a pena di nullità
dello stesso può essere assolto tramite qualsiasi mezzo, anche informatico, che permetta al lavoratore di imputare con
certezza la comunicazione al datore di lavoro.
(nel caso di specie è stato ritenuto valido il recesso intimato via WhatsApp - Trib. Catania, 27/06/2017)
➢ Nel caso di licenziamento comunicato via sms non può configurarsi una violazione dell'art. 2, comma 1, l. n.
604/1966. Il messaggio sms può assimilarsi al telegramma dettato per telefono o ad una comunicazione e-mail,
qualora risulti provata l’effettiva provenienza del messaggio
dall’apparente autore della dichiarazione.
(Legittimo il recesso via messaggio: «purtroppo ci sarà un cambio societario che non mi consente più di avvalermi
della tua preziosa collaborazione. Ti ringrazio per il momento e ti auguro il meglio per la tua vita» - App. Firenze
629/2016).
Principio dell’EFFETTIVITA’
Dunque: Il licenziamento comunicato con mezzi non convenzionali è legittimo, MA:
- dal messaggio deve emergere in modo chiaro la volontà del datore di lavoro di procedere al licenziamento
- il contenuto deve pervenire a conoscenza del lavoratore destinatario
- non devono sussistere dubbi sulla provenienza del messaggio da parte del datore di lavoro

La nozione di causalità
LA GIUSTA CAUSA
Art. 2119 c.c.: « [...] causa che non consenta la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro».

Il contenuto secondo la dottrina maggioritaria (circostanze giuridiche):


- gravissimo inadempimento contrattuale (tutto ciò che lede il vincolo contrattuale)
- qualsiasi altra circostanza o situazione esterna al rapporto di lavoro verificatasi nella sfera del lavoratore che può
incidere sulla fiducia nella correttezza dei successivi adempimenti

Il contenuto di giusta causa secondo la giurisprudenza

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Cass. Sent. n. 15919/2000: «L’art. 2119 fa riferimento non già ad inadempimento, ma ad una causa che non consente
la prosecuzione anche provvisoria, del rapporto e che può coincidere con inadempimenti contrattuali, ma sia tale da
scuotere quel rapporto fiduciario proprio del rapporto di lavoro subordinato».
Cass. Sent. n. 7885/1997: «La condotta inerente alla vita privata del lavoratore, di norma irrilevante ai fini della
lesione del rapporto fiduciario tra dipendente e datore di lavoro, assume rilevanza a tal fine e può integrare giusta
causa di licenziamento qualora fatti e comportamenti estranei alla sfera del contratto siano tali, per la loro gravità e
natura, da far venire meno quella fiducia che integra il presupposto essenziale della collaborazione tra datore di lavoro
e prestatore di lavoro».

Alcuni esempi di «situazioni esterne al rapporto di lavoro».


• guardia giurata che viene sorpresa a rubare al di fuori del rapporto di lavoro ( Cass. sent. n. 10505/1993)
• lavoratrice addetta ad un supermercato condannata per il reato di furto commesso in altro supermercato ( Cass. sent.
n. 5321/1988)
• cassiere di banca che commette un reato contro il patrimonio in danno di terzi ( Cass. sent. n. 5428/1987)

RICORDA: «[...] causa che non consenta la prosecuzione, neppure provvisoria del rapporto di lavoro» si traduce
in nessun preavviso per il recesso.

Nozione di « giusta causa» comune al licenziamento: si tratta di gravi inadempimenti del datore di lavoro.
Esempi :
- violazione di obbligo di sicurezza
- molestie sessuali
- dequalificazione
- omissioni contributive
- effettuazione ed indagini di controlli vietati

IL GIUSTIFICATO MOTIVO
Art. 3 l. 604/1966: «Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole
inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva,
all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa».

OGGETTIVO: G.M.O (riguarda la sfera dell’impresa, qui il comportamento lavoratore non ha rilevanza) = Ragioni
inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (è più difficile). La
motivazione risiede nell’impresa, nelle sue decisioni oggettive (es. calo commesse, perdita competitività, esigenza
nel ridurre i costi di produzione, riorganizzando attività..).

La dottrina ha definito il giustificato motivo oggettivo una « fattispecie complessa».


Le particolarità del giustificato motivo oggettivo
Impossibilità di sindacare il merito imprenditoriale = Le scelte proprie dell’imprenditore

Limite derivante dall’art. 41 Cost. che sancisce la libertà economica. Il giudice non dovrebbe sindacare in merito a
delle scelte imprenditoriali ma il giudice il becco ce l’ha messo.

Presupposti
Per l’esistenza del g.m.o. è necessario accertare (da parte del giudice):
• esistenza del fatto es. riorganizzazione produttiva

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• esistenza del nesso di causalità tra fatto e recesso es. chiusura del reparto del lavoratore per riorganizzazione
produttiva
• esistenza dell’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni (c.d. obbligo di repechage) : licenziare per
giustificato motivo oggettivo diveniva quasi impossibile per l’obbligo di repechage secondo il quale in presenza di
una diversa mansione, anche inferiore, nella quale utilizzare il lavoratore il licenziamento viene dichiarato illegittimo
(inoltre se si manifesta insussistenza del gmo viene applicata la reintegrazione attenuata).

Il giustificato motivo oggettivo


C.d. licenziamento economico (riguarda solo questioni dell’impresa).
L’azienda licenzia il dipendente quando ricorrono ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro
o al funzionamento di esso.

Bipartizione:
- Ragioni inerenti strettamente all’impresa (oggettive) sopra
- Ragioni inerenti al lavoratore ma non inadempimento (oggettive inerenti al lavoratore) → non può svolgere la
prestazione e quindi decorso un periodo di tempo, il datore di lavoro non avrà più interesse alla prestazione e
procederà al licenziamento per giustificato motivo oggettivo).
Esempi G.m.o. per fatti relativi al dipendente
• Perdita della patente per l’autista
• Perdita del porto d’armi per la guardia giurata
• Inabilità fisica o psichica sopravvenuta
• Carcerazione preventiva

SOGGETTIVO = Notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (es. insulto al superiore gerarchico è
notevole, mentre usare la violenza è gravissimo) Bisogna comunque fare riferimento alle previsione della
contrattazione collettiva e del codice disciplinare.

• Sussistenza del giustificato motivo soggettivo in caso di:


-violazione degli obbligo di diligenza ex art. 2104 c.c.
-violazione dell’obbligo di fedeltà ex art. 2105 c.c.
• Irrilevanza di fatti estranei alla prestazione lavorativa
• Natura qualificata dell’ inadempimento che rileva solo se «notevole» (i contratti collettivi usano graduare le
infrazioni e le conseguenti sanzioni sempre in virtù del principio di proporzionalità)

Ipotesi di tipizzazione della giusta causa e del giustificato motivo nei contratti collettivi Qual è il grado di
vincolatività di queste tipizzazione ?
- art. 30 l. 183/2010 ( c.d. Collegato lavoro).: Il giudice ne «tiene conto» nel valutare le motivazioni poste a base del
licenziamento.
- art. 18 Stat. Lav. (così come modificato dalla c.d. legge Fornero) : Il giudice le prendeva in considerazione per
definire la tipologia del vizio del licenziamento e la corrispondente sanzione.

I VIZI DEL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE

A. INEFFICACIA (assenza requisiti formali e procedurali)


• Assenza di requisiti formali, secondo art. 2 l 604/1966 è inefficace Il licenziamento intimato
- senza l’ osservanza della forma scritta
- della specificazione dei motivi che lo hanno determinato

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Con la Riforma Fornero: specificazione dei motivi contestuale all’ intimazione del licenziamento
Violazione della procedura > Art. 18 Stat. Lav. «[...]licenziamento dichiarato inefficace per violazione della
procedura di cui all'art. 7 St. Lav. o della procedura di cui all'art 7 della legge 15 luglio 1966[...]»

Le «procedure»
Art. 7 Stat. Lav. «Sanzioni disciplinari»
• pubblicità delle norme disciplinari relative alle infrazioni (tra cui licenziamento) (es. affissione del codice
disciplinare)
• preventiva contestazione dell’ addebito rispetto all’ erogazione della sanzione
• necessità di sentire il lavoratore in sua difesa
• intervallo temporale di 5 giorni tra contestazione dell’ addebito ed erogazione della sanzione

Art. 7 l. 604/1966 ( riforma Fornero): Tentativo obbligatorio di conciliazione in caso di gmo


• licenziamento deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore alla DTL
• DTL convoca entro 7 giorni il datore e al lavoratore
• la procedura deve concludersi nel termine di 20 giorni

B. ANNULLABILITA’: Assenza di giusta causa o giustificato motivo


C. LA NULLITA’

Esistenza di una ragione discriminatoria:


> Art. 4 l. 604/1966 « Il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza
ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali e nullo, indipendentemente dalla motivazione adottata»
> Il corredo della ragione discriminatorie è stata arricchito . con l’art. 15 Stat. Lav.« E’ nullo qualsiasi atto o patto
diretto a fine di [...] discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata
sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali»
> La riforma Fornero ha esplicitamente previsto altri casi di nullità del licenziamento che già venivano considerati
tali dalla giurisprudenza. E la tutela rimane ancora quella della reintegrazione piena
• dovuto a motivo illecito unico e determinante
• licenziamento in costanza di matrimonio
• licenziamento legato alla genitorialità

ALTRI CASI DI LICENZIAMENTI


Sul licenziamento degli apprendisti → alla fine del periodo formativo, il datore di lavoro può decidere se
proseguire o non proseguire, se decide di non proseguire, esso recedere liberamente.

Inizialmente ad nutum per tutto il periodo di apprendistato, dichiarazione di incostituzionalità (prima poteva essere
licenziato precedentemente alla fine del termine).
Oggi: recesso libero con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione (l’apprendista può essere
licenziato dal momento in cui esso termina la formazione).

Sui lavoratori in prova (si può usare l’art. 2118); in quel periodo di prova, di massimo 6 mesi, il datore di lavoro
deve capire se il soggetto è affidabile o meno ma nel momento in cui si supera la prova il contratto diventa poi a
tempo indeterminato.

La prova si appone anche ai contratti a tempo determinato

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• Patto di prova = elemento accessorio al contratto di lavoro
• Può essere apposto al contratto a tempo determinato o a tempo indeterminato
• Il contratto rimane a tempo indeterminato
• Durata massima 6 mesi
• Necessità di forma scritta

Tornando ai presupposti dei licenziamenti


❖ Licenziamento per giustificato motivo
• Oggettivo
• Soggettivo (disciplinare)
❖ Licenziamento per giusta causa (disciplinare)

Lavoratori malati
Questione: si può licenziare un lavoratore perché malato?
Due fattispecie:
> Licenziamento intervenuto in costanza di malattia
> Licenziamento per la malattia

Il superamento del periodo di comporto


Art. 2110 c.c. protegge il lavoratore garantendogli il diritto alla conservazione del lavoro in caso di infortunio, di
malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge [o le norme corporative] non stabiliscono forme equivalenti di
previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennità nella misura e per il
tempo determinati dalle leggi speciali [dalle norme corporative], dagli usi o secondo equità.
Nei casi indicati nel comma precedente, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'articolo
2118, decorso il periodo stabilito dalla legge [dalle norme corporative], dagli usi o secondo equità.

Quindi a questi soggetti è dovuta la retribuzione o un’indennità che è versata dall’INPS che si aggiunge al divieto del
licenziamento. Quindi il lavoratore malato o rientrante nelle previsioni di cui dell’art. 2110 gode di un diritto alla
conservazione del posto di lavoro e di un diritto alla conservazione del reddito (due forme di tutela).

Il periodo di comporto → calcolo per quanto tempo il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore malato
(qui viene in aiuto la contrattazione collettiva).

La contrattazione collettiva prevede un comporto:


1) Secco: per un tot di tempo, superato il datore di lavoro può procedere al licenziamento)
2) Per sommatoria: anche se non sono continuativi, se vengono superati i tot giorni in un arco temporale che
normalmente è quello di durata del contratto collettivo (oggi 3 anni), se il lavoratore è stato assente per 120 giorni
anche se scaglionati comunque il datore di lavoro può procedere al
licenziamento.

CAPITOLO 12 - LE TUTELE A FAVORE DEL LAVORATORE LICENZIATO INGIUSTAMENTE


(illegittimità del licenziamento, non fondato)

I RIMEDI IN CASO DI ILLEGITTIMITÀ DEL LICENZIAMENTO


Piccolo excursus storico
• Codice civile: nessuna tutela, solo l’indennità di mancato preavviso
• L. n. 604/1966: tutela c.d. obbligatoria

21
• L. n. 300/1970, Statuto dei lavoratori: tutela reale
• Modifica della l. n. 300/1970 del 2012: spezzettamento della tutela dell’art. 18 (Riforma Fornero, Governo Monti,
liberalizzazione del licenziamento)
• D. lgs. n. 23/2015, c.d. jobs act: tutela prevalentemente obbligatoria

Esistono più discipline:

1) La c.d tutela obbligatoria la legge n.604/1966

Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi di giusta causa o giustificato motivo (annullabilità):
• il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro (che è diverso dalla reintegrazione che invece non
comporta l’interruzione dell’anzianità, il rapporto si considera nato fin dall’inizio)
• o, in mancanza, a risarcire con un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6
mensilità [..]»

Il datore di lavoro può «scegliere la sanzione»: O la riassunzione del lavoratore o la corresponsione dell’indennità
risarcitoria.

2) La tutela reale originaria la l. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori)


(in capo del datore di lavoro non ci sono più le scelte ma c’è l’obbligo del reintegro)

Con l’art 18 viene introdotta la disciplina del regime reintegratorio in caso di licenziamento illegittimo, non è
quindi più possibile per il datore scegliere la sanzione. L’art 18 tratta i diversi vizi del recesso allo stesso modo, ad
ogni vizio il rimedio è la reintegrazione.

Ambito di applicazione:
- unità produttive con più di 15 dipendenti (cosi imprese piccole avevano + libertà)
- più di 15 dipendenti nello stesso comune
- più di 60 dipendenti complessivamente

Al di sotto dei limiti dimensionali trova applicazione la «tutela obbligatoria» (riassunzione e non reintegrazione)

In ogni ipotesi di illegittimità del licenziamento: il giudice


• Ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
• Ordina al datore di lavoro di corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione
globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.
• Ordina al datore di lavoro di ricostituire la posizione contributiva del lavoratore.

La ratio (dello Statuto del lavoratori) della disciplina è quella di ricostruire esattamente la condizione del
lavoratore antecedente al recesso (status quo ante)

Riassunzione: il rapporto ricomincia da zero; l’anzianità lavorativa è perduta)


≠ Reintegro: come se il licenziamento non ci fosse mai stato; si ripristina il tutto.

22
L’indennità sostitutiva della reintegra (Legge del ’90 che ha modificato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori ha
previsto per il lavoratore la possibilità di richiedere in luogo della reintegrazione un’indennità sostituiva parti a 15
mensilità e questo perché i lavoratori che vengono licenziati non hanno voglia di tornare nel posto di lavoro)
Il lavoratore può richiedere, in luogo della reintegrazione, un’indennità c.d. «sostitutiva» pari a 15 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto.

3) Modifica L.300/1970 RIFORMA FORNERO nel 2012, ad ogni vizio del licenziamento il «nuovo art. 18» fa
corrisponde un regime differente di tutela
i quattro regimi di tutela:
a) tutela reintegratoria c.d. forte
b) tutela reintegratoria c.d. attenuata
c) tutela indennitaria c.d. forte
d) tutela indennitaria c.d. attenuata

A) La tutela reintegratoria c.d. «forte»


Prevista in caso di NULLITA’ del recesso

• licenziamenti discriminatori
• licenziamenti intimati in concomitanza di matrimonio
• licenziamento intimato in violazione dei divieti previsti nel caso di maternità e paternità
• licenziamento determinato da motivo illecito
• licenziamento in forma orale

Ragione discriminatoria (che cos’è)


Art. 4 l. 604/1966: « Il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un
sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali è nullo, indipendentemente dalla motivazione adottata».

Le conseguenze sanzionatorie: sono quelle previste dal vecchio regime dell’art. 18 Stat. Lav. (reintegrazione,
indennità risarcitoria con minimo di 5 mensilità, ricostituzione posizione)
con qualche precisazione
• la detraibilità dell’aliunde perceptun
• l’ ultima retribuzione globale di fatto

B) La tutela reintegratoria c.d. «attenuata»


prevista in caso di ANNULLABILITA’ del recesso
Ma solo per specifiche ipotesi.

Con riferimento alla giusta causa ed al giustificato motivo soggettivo se:


• il fatto contestato non sussiste
• il fatto contestato rientra tra le condotte punibili con sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di
giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari
applicabili.

Con riferimento al giustificato motivo oggettivo se manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento.

Casi di:
• licenziamento per inidoneità fisica e psichica

23
• licenziamento intimato durante la malattia

Conseguenze sanzionatorie: il giudice


• ordina al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro
• ordina al datore di lavoro di corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria commisurata alla
retribuzione globale di fatto da giorno del licenziamento fino a quella dell’effettiva reintegrazione
• ordina al datore di lavoro di ricostituire la posizione contributiva del lavoratore

Attenuata perché:
• l’indennità risarcitoria ha un tetto un massimo di 12 mensilità
• detrazione dell’aliunde perceptum
• detrazione dell’aliunde percipiendum

Nelle ipotesi a) e b) il lavoratore può richiedere, invece della reintegrazione, un’indennità c.d. «sostitutiva» pari a 15
mensilità dell’ ultima retribuzione globale di fatto.

C) La tutela indennitaria c.d. «forte»


prevista in caso di ANNULLABILITA’ del recesso
Ma per le altre ipotesi diverse da quelle specifiche.

Conseguenze sanzionatorie. Il giudice:


• Dichiara risolto il rapporto di lavoro
• Condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità compresa tra le 12 e le 24 mensilità di retribuzione

D) La tutela indennitaria c.d. «attenuata»


Prevista in caso di INEFFICACIA del recesso.
• violazione dell’indicazione contestuale all’atto di recesso delle motivazioni
• per violazione della procedura di cui all'articolo 7 Stat. Lav. nel casi di licenziamenti disciplinari
• per violazione della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966

Conseguenze sanzionatorie. Il giudice:


• dichiara risolto il rapporto
• condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un
minimo di 6 ed un massimo di 12 mensilità

Assenza di requisiti formali


Art. 2 l 604/1966: «[...] Il licenziamento intimato senza l’osservanza [della forma scritta e della specificazione dei
motivi che lo hanno determinato].
è inefficace»
RICORDA: riforma Fornero: specificazione dei motivi contestuale all’intimazione del licenziamento
Art. 18 Stat. Lav.: «[...]licenziamento dichiarato inefficace per violazione della procedura di cui all'articolo 7 della
presente legge o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966[...]»

4) IL JOB ACTS (ha efficacia per i rapporti dopo il 7 marzo del 2015) .
La denominazione ingannevole di contratto a tutele crescenti.
Quel che cresce è l’importo dell’indennità.

24
La «nuova» disciplina del recesso è contenuta nel d.lgs. 23/2015 rubricato «ingannevolmente» come «disposizioni in
materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti» (maggiore è l’anzianità dei dipendenti, maggiore è
l’indennizzo).

Campo di applicazione
Lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del provvedimento: 7 marzo 2015 .
Indipendentemente dai requisiti dimensionali dell’azienda.

A. La tutela reintegratoria c.d. «forte»


prevista in caso di NULLITA’ del recesso

• licenziamento discriminatorio a norma dell’art. 15 Stat. Lav.


• licenziamento riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge
Ricorda: nonostante la differente formulazione rispetto a quanto previsto dall’art. 18 stat. Lav. («edizione Fornero»)
(slide 54) la dottrina ritiene che l’ambito di applicazione della tutela «reintegratoria forte» sia rimasto invariato
• licenziamento del quale sia accertata in giudizio la mancanza di giustificazione del «motivo consistente nella
disabilità fisica o psichica del lavoratore» migra sotto l’ombrello di tutela della «reintegrazione forte».

Sulle conseguenze sanzionatorie valide le medesime previsioni ma ai fini del calcolo dell’indennità risarcitoria la
retribuzione utilizzata come riferimento è «l’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di
fine rapporto».

B. La tutela reintegratoria c.d. «attenuata»


prevista in caso di ANNULLABILITA’ del recesso

Ma in un solo ed unico caso.


• licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio
l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la
sproporzione del licenziamento.

Scompare il riferimento al giustificato motivo oggettivo

Conseguenze sanzionatorie. Il giudice:


• Condanna il datore di lavoro a reintegrare il lavoratore
• Condanna il datore di lavoro a corrispondere una indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione utile per il
calcolo del TFR corrispondente al periodo che va dal licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione (ma in ogni
caso per il periodo precedente alla pronuncia per un massimo di 12 mensilità)
• Per il resto si guardi la slide 58

C. La tutela indennitaria c.d. «forte»


prevista in caso di ANNULLABILITÀ’ del recesso

• in tutti i casi in cui non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo soggettivo ed oggettivo o
della giusta causa.

Conseguenze sanzionatorie. Il giudice:


• dichiara risolto il rapporto di lavoro.

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• condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità di importo pari a due mensilità dell’ultima
retribuzione per ogni anno di servizio in misura non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità
(ma rinvio alla modifica operata nel 2018).

Sull’indennità risarcitoria
Il d.l. n. 87/2018, noto come Decreto Dignità, modifica l’importo dell’indennità
Testo precedente: il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità di importo pari a due mensilità
dell’ultima retribuzione [...] in misura non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità

Testo attuale: il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità di importo pari a due mensilità
dell’ultima retribuzione [...] in misura non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.

L’intervento della Corte Costituzionale


La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 3, co. 1, d. lgs. n. 23/2015 nella parte in cui determina in modo
rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato, in particolare parametrando l’indennità
esclusivamente all’anzianità di servizio dello stesso.

D. La tutela indennitaria c.d. «attenuata»


Prevista in caso di:
• violazione dell’indicazione contestuale all’atto di recesso delle motivazioni
• violazione della procedura di cui all'articolo 7 Stat. Lav. nel casi di licenziamenti disciplinari

Conseguenze sanzionatorie.
Il giudice:
• dichiara risolto il rapporto di lavoro
• condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità corrispondente ad una mensilità per ogni anno di servizio
in misura non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità.

La nuova tutela obbligatoria dopo il job’s act


Per le imprese con meno di 15 dipendenti.
La «vecchia tutela obbligatoria» (slide 43) viene sostituita con il regime della tutela indennitaria «forte» o
«attenuata» a seconda della natura del vizio del recesso.
Ma la misura dell’indennità viene dimezzata e viene previsto un tetto massimo di 6 mensilità

L’esito di tutto questo è che non si fanno più controversie in materia di licenziamenti.

I LICENZIAMENTI COLLETTIVI
Il licenziamento collettivo è il licenziamento di più persone per il medesimo motivo che deve avere natura
oggettiva. Si tratta di una sorte di sommatoria di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo esteso a
più lavoratori

Le fonti dei licenziamenti collettivi


La disciplina relativa ai licenziamenti individuali non si applicava a quelli collettivi fino agli anni 90, perché nella
legge del 1966 vi era una specifica norma che escludeva l’applicazione della stessa ai licenziamenti per riduzione del
personale/collettivi. I licenziamenti quindi non avevano ancora disciplina legale che vede appunto luce solo nel 1991.
Questi licenziamenti erano regolati da un accordo interconfederale del 1965, quindi una fonte pattizia

26
Prima della legge
- i licenziamenti collettivi erano oggetto di accordi interconfederali, fonte pattizia
- i licenziamenti collettivi erano solo « nominati» dal legislatore (es: per «essere esclusi» dall’applicazione della
disciplina sul licenziamento individuale

Nell’ordinamento europeo...
- Direttiva n. 75/129: che è la direttiva madre
- Direttiva n. 92/56
- Direttiva n. 98/59 Integrano la precedente

Nell’ordinamento nazionale
- legge n. 223/1991 (definita riforma del mercato del lavoro) : attuazione della normativa europea «con
ritardo» e dopo due condanne della Corte di Giustizia. Prima del 1991 il lavoratore era oggetto di licenziamenti
impossibili, e si abusava dell’istituto della cassa integrazione guadagni, in particolare della gestione straordinaria, per
mantenere in vita l’impresa formalmente solo per il fatto di essere destinataria di integrazioni salariali a favore dei
dipendenti. Oggi disciplina più restrittiva

Nella legge di oggi sono presenti due distinte nozioni (art 24 e 4) e un’unica procedura, che tiene conto delle direttive
comunitarie

Le fattispecie di licenziamento collettivo

Due sono le norme che definiscono il licenziamento collettivo, la “riduzione del personale” di cui all’art. 24 e la
“procedura per dichiarazione di mobilità” di cui all’art 4, pur applicandosi loro la medesima procedura dettata dall’art
4.

1) Licenziamento per «riduzione del personale» ( art. 24 l. 223/199)


Il recesso avviene immediatamente, senza alcun ulteriore incombenza sul datore di lavoro, ad eccezione del rispetto
della procedura.

Presupposti quantitativi per applicazione della normativa:


• organico più di 15 dipendenti
• «intenzione» di licenziare almeno 5 dipendenti: con intenzione si intende la possibilità che non risulti
effettivo, al termine della procedura, il licenziamento dei dipendenti. Significa che nel momento in cui si pensa di
licenziare più di 5 dipendenti, è necessario applicare la procedura a prescindere dal numero finale effettivo di
licenziamenti

Presupposti temporali
• licenziamenti « previsti» in un arco di 120 giorni

Presupposto spaziale
• licenziamenti « previsti» all’interno di un’unità produttiva o di più unità produttive collocate nella stessa
provincia (il criterio della provincia ha sostituito quello del comune in tema di licenziamento individuale, perché
consiste in un territorio maggioro e pù rispondente alle esigenze di tutela)

La ragione del licenziamento


• riduzione o trasformazione di attività di impresa o del lavoro»

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Quale il contenuto ? Cass. n. 6446/2009 « la fattispecie non presuppone necessariamente una crisi aziendale e
neppure un ridimensionamento strutturale dell’ attività produttiva, potendo il requisito della riduzione e
trasformazione di attività o di lavoro ravvisarsi nella decisione di modificare l’organizzazione produttiva anche
soltanto con la contrazione della forza lavoro».

MA.... Cass. n. 5929/2008 «[...] non è sufficiente una mera esigenza temporanea di riduzione del personale ,
dovendo quest’ultima avere i caratteri della prevedibilità e stabilità»

Esempio: Contrasta con il carattere della stabilità la riduzione del personale seguita dall’immediata riespansione
dell’organico. Questi ultimi, infatti, possono presumersi dovuti al desiderio di disfarsi dei lavoratori sgraditi.

• le imprese che intendono cessare l’ attività»

L’utilizzo di questa procedura costituisce la strada principale per la riduzione di personale di un’impresa in situazione
di crisi. E a questo strumento si affianca la Cassa Integrazione Guadagni, cioè un’integrazione della retribuzione
percepita dal lavoratore sospeso dall’attività lavorativa.

2) Procedura per dichiarazione di mobilità (art. 4 l. 223/1991 e Procedure di licenziamento collettivo (dopo la
Riforma Fornero)

Si parla di mobilità perché i lavoratori non vengono espulsi immediatamente, si prevede un passaggio per periodi di
sospensione del rapporto con conseguente integrazione salariale. E’ possibile però che all’esito del periodo di cassa
integrazione il datore continui a non far riprendere l’attività lavorativa a tutti i dipendenti. In questi casi si procederà
ad un licenziamento collettivo

• Presupposti soggettivi : richiesta e godimento della Cassa


Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS), perché si ritiene di poter riprendere l’attività e riassorbire i lavoratori
temporaneamente sospesi.. Si avrà un intervento dell’INPS ad integrazione della retribuzione perduta causa della
sospensione (onere che grava su collettività).

Soggetti ai quali è riconosciuto il trattamento straordinario di integrazione salariale:


- Imprese con più di 15 dipendenti che affrontano processi di: Ristrutturazione
Riorganizzazione Situazioni temporanee
Conversione aziendale

• La ragione del licenziamento


- impossibilità di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi
- Impossibilità di ricorrere a misure alternative

Non è richiesto un limite quantitativo, non è richiesto un numero minimo di licenziamenti. Non è rilevante il
numero dei lavoratori che si intende licenziare. La norma parla di «reimpiego di tutti i lavoratori», dunque anche solo
per licenziamento di un solo lavoratore

L’ imprenditore opera delle scelte che rientrano nell’esercizio della libertà di iniziativa economica privata (art. 41
Cost.) conseguentemente l’oggetto del controllo giudiziale per l’accertamento della legittimità del licenziamento
• esistenza della causale/ragione del licenziamento (intesa come fatto)

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• nesso eziologico tra causale e provvedimenti (es. non c’è nesso in presenza di una riduzione e trasformazione in un
reparto che comporta il licenziamento di un lavoratore impiegato altrove)
• rispetto delle procedure (uguale per le due fattispecie)

La procedura comune alle fattispecie


Considerando che il licenziamento collettivo determina un problema sociale tanto più grave quanto più elevato è il
numero dei licenziati la ratio delle procedure è il controllo e dell'attenuazione gli effetti dei licenziamenti
sull’occupazione aziendale e sul mercato del lavoro
Attraverso:
- il diritto di informativa delle organizzazioni sindacali
- esame congiunto con i sindacati

È necessario predisporre un vero e proprio piano di riduzione del personale nel migliore modo possibile
(solitamente redato da professionisti del settore o associazioni di categoria) al fine di evitare che la procedura sia
inficiata da errore e quindi che il licenziamento sia illegittimo (ma poi v. riforme)

A) La Comunicazione obbligatoria
• Il soggetto obbligato: Il datore di lavoro

• I soggetti destinatari: nel rispetto del diritto di informazione


- Rappresentanze sindacali aziendali
- Sindacati territoriali
- Direzione del lavoro (DTL)

• Il contenuto della comunicazione


- i motivi dell’eccedenza
- le ragioni dell’inevitabilità
- le posizioni da sopprimere o il reparto interessato (non i nominativi dei lavoratori, individuati successivam.)
- le misure da adottare sul piano sociale (es. possibilità di altre imprese di assumere i lavoratori licenziati)

Il contenuto della comunicazione deve consentire alla parte sindacale di prepararsi all’esame congiunto e di
controllare il potere datoriale conseguentemente il contenuto non può essere generico.

B. La fase sindacale: l’esame congiunto


Le parti sindacali possono richiedere un esame congiunto con il datore di lavoro ( art. 4, c. 5 l. 223/1991)

Limiti temporali per l’espletamento dell’esame


- Termine iniziale: la richiesta deve essere presentata entro 7 giorni dalla comunicazione soluzione consensuale e
rapida.
- Termine finale: procedimento deve concludersi entro 45 giorni dalla comunicazione della crisi.

Oggetto dell’ esame congiunto: Ricerca di un accordo che risolva o eviti in tutto o in parte le eccedenze di
personale.

Il datore di lavoro non è obbligato a concludere l’accordo con le parti sindacali, ad essere obbligatorio è il confronto
con le parti sindacali ma il legislatore nel rispetto della libertà di iniziativa economica incentiva la conclusione dell’
accordo.

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Il contenuto « incentivante»: con l’accordo si può derogare all’art. 2103, c. 2 c.c.: possibilità che il lavoratore viene
adibito ad una mansione non equivalente (inferiore) rispetto a quella di assunzione.

Spunti di riflessione: Ripensando alla modifica dell’art. 2103 c.c. cosa è possibile immaginare a riguardo?
- deroga alla disciplina del distacco ex art. 30, c. 4 d.lgs. 276/2003
- anticipazione parziale del trattamento di pensione combinato con la riduzione dell’ orario di lavoro

In caso di esito negativo dell’ esame congiunto quindi della fase sindacale l’impresa invia una comunicazione
all’Ispettorato Territoriale del lavoro.

C. L’ «eventuale» fase amministrativa

Presupposto
- Mancato raggiungimento dell’accordo sindacale
- Comunicazione alla DTL

Oggetto: tentativo ulteriore di accordo in presenza di un soggetto terzo.

Sede: Direzione territoriale del lavoro DTL. Se si tratta di imprese a rilevante impatto sociale, la procedura si svolge
presso il Ministero del Lavoro e della previdenza.

Considerando la volontà del legislatore di contenere le conseguenze dei licenziamenti collettivi anche il direttore della
ITL può avanzare proposte di accordo

L’esito della procedure: : l’individuazione dei lavoratori in esubero


In caso di:
- mancato raggiungimento dell’accordo
- riduzione con l’accordo del numero originario licenziamenti, numero inferiore al previsto.
Occorre determinare concretamente i lavoratori da licenziare. Il datore non può scegliere unilateralmente i singoli
lavoratori (ma può scegliere i reparti dove ridurre il personale)

Come individuare i licenziandi


• criteri individuati negli accordi collettivi (non devono essere troppo puntuali)
• in mancanza criteri sussidiari stabiliti dalla legge (art. 5 c. 1 l. 223/1991)
- carichi di famiglia
- anzianità (in senso anagrafico)
- esigenze tecnico produttive ed organizzative

Tenendo a mente la ratio dei criteri legali, tutela dei lavoratori socialmente più deboli.
I criteri stabiliti dai contratti collettivi devono rispondere alle medesime esigenze di protezione dei criteri legali.

Un particolare criterio stabilito dai contratti collettivi è l’anzianità di servizio: Possesso di requisiti di età e di
contribuzione utili per fruire di un trattamento di quiescenza. Si licenzia più frequentemente chi è prossimo alla
pensione.

30
Tale criterio è stato ulteriormente legittimato da una decisione della Corte sI cass. La maggiore anzianità di servizio
può diventare un criterio di scelta legittimo dei lavoratori in esubero quando sussistono particolari condizioni del
mercato del lavoro “Corte Cost. n. 268/1994 «[...]la svalutazione del privilegio tradizionale [esclusione dal
licenziamento collettivo] dell’ anzianità di servizio, nei confronti dei lavoratori prossimi al raggiungimento dei
requisiti per fruire del trattamento di quiescenza [...] può essere giustificata in una situazione del mercato del lavoro
tale da escludere per i lavoratori giovani la possibilità di trovare a breve termine un posto di lavoro».

L’intimazione del recesso


La procedura di licenziamento collettivo si conclude con la comunicazione dei singoli licenziamenti individuali
• obbligo della forma scritta
• rispetto del periodo di preavviso (non c’è ovviamente giusta causa)
• Comunicazione del recesso alle associazioni sindacali di categoria destinatarie della comunicazione introduttiva
della procedura
• Specifica indicazione dei criteri di scelta individuati
• Comunicazione ai competenti uffici pubblici

Inserimento dei lavoratori licenziati (fino al 1gennaio 2017) nella lista di mobilità. Era previsto infatti un percorso
preferenziale di rioccupazione

I vizi del licenziamento e le conseguenze.

Il procedimento fin qui descritto poneva il datore la preoccupazione di commettere un errore nel procedimento,
con conseguente obbligo di reintegrare il lavoratore.

Il legislatore del 2012 è intervenuto modificando con la Riforma Fornero l’art. 5 c. 3 l. 223/1991 > Sancisce
l’applicabilità dei rimedi del «nuovo» art. 18 anche ai licenziamenti collettivi.

La legge non fa più riferimento alle tipologie del vizio del recesso (inefficacia/ annullabilità/ nullità), ma prevede
che in caso di:
• mancanza della forma scritta > tutela reintegratoria forte
• violazione dei criteri di scelta > tutela reintegratoria attenuata
• violazione di tutte le fasi dell’intera procedura (dalla comunicazione sindacale alla comunicazione del recesso al
singolo lavoratore) > tutela indennitaria forte

Il Jobs Act (art. 10 d. lgs 23/2015)


Il Job’sAct modifica nuovamente l’impianto sanzionatorio in caso di vizi del licenziamento sulla scorta delle novità
introdotte dal c.d. contratto a tutele crescenti, in senso ancora più favorevole al datore di lavoro
• mancanza della forma scritta > tutela reintegratoria piena
• violazione delle procedure o dei criteri di scelta > «nuova» tutela indennitaria (corresponsione di un’indennità non
assoggettata a contribuzione previdenziale pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del
tfr per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 ed un massimo di 24 mensilità)

spunti di riflessione: quale possono essere le conseguenze dell’ampliamento della mera tutela indennitaria sul ruolo
che il sindacato ha nelle procedure dei licenziamenti collettivi?

CAPITOLO 12 - LA TUTELA DEI DIRITTI DEL LAVORATORE.

31
Le rinunce e le transazioni
Il diritto del lavoro appare come un immenso spazio normativo e contrattuale che è fondamentalmente un obiettivo:
difendere la parte debole del contratto.
Il problema è sempre stato il caso in cui il soggetto sia messo nelle condizioni di rinunciare i propri diritti >
interveniva quindi il codice civile: le rinunce e le transazioni derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei
contratti collettivi concernenti rapporti di lavoro non sono valide.

Ancora oggi la norma prevede che tali rinunce e transazioni siano colpite da invalidità, purché:
- Vengano impugnate entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinuncia o della
transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione del rapporto;
- Vengono impugnate con atto scritto del lavoratore, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, firmato dal
lavoratore.

> In caso di mancato rispetto delle condizioni richiamate le rinunce e le transazioni sono valide.

La norma prevede tuttavia che presso alcune, specifiche, sedi - individuate tassativamente dal codice di procedura
civile - le rinunce e le transazioni non sono assoggettate a tale regime di annullabilità. Esse sono:
- Rinunzie e transazioni svolte davanti al giudice;
- Rinunzie e transazioni raggiunte davanti alla commissione di conciliazione istituita presso la direzione territoriale
del lavoro.
> Ciò che conta è la presenza di un soggetto terzo idoneo a garantire la validità dell'accordo o della rinunzia, ma
soprattutto la genuinità e effettività della volontà espressa dalle parti, in particolare dal lavoratore. Quindi, le
transazioni e le rinunce raggiunte in tali sedi sono valide.
(+ Commissioni di certificazione, pagina 222).

La prescrizione dei diritti del lavoratore


Anche i diritti del lavoratore sono soggetti all'istituto della prescrizione; a tal proposito il codice distingue tra
prescrizione estintiva e prescrizione presuntiva.
La prescrizione estintiva estingue il diritto decorso il termine stabilito dalla legge;
La prescrizione presuntiva a effetti solo sul piano probatorio, limitando la possibilità di provare la mancata
corresponsione esclusivamente mediante giuramento decisorio e confessione del datore di lavoro.
I termini di prescrizione consistono:
- In un termine quinquennale per il pagamento di retribuzione e trattamento di fine rapporto;
- Mentre i diritti non retributivi (ad esempio il diritto alla qualifica e il diritto a risarcimento del danno di natura
contrattuale) sono soggetti al termine ordinario decennale.

La prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere; tuttavia, in ambito giuslavoristico, si è
affermato il principio per il quale essa decorre dal momento della cessazione del rapporto di lavoro.

I privilegi dei crediti di lavoro


I crediti retributivi del lavoratore sono assistiti da un particolare privilegio che costituisce una deroga al principio
generale della par condicio creditorum.
Il legislatore ha infatti accordato una tutela in materia, consistente nel riconoscimento di un privilegio generale sui
beni mobili del datore di lavoro, nonché sull'eventuale ricavato dalla vendita degli immobili, ma solo in via
sussidiaria, quando cioè il ricavato dei beni mobili non sia sufficiente a soddisfare il credito del lavoratore.

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È assicurato comunque che anche in caso di procedure concorsuali a carico dell'imprenditore, il credito relativo al
trattamento di fine rapporto e alle ultime tre mensilità retributive può trovare soddisfacimento mediante l'intervento di
un apposito fondo di garanzia dell’INPS.

I limiti al pignoramento della retribuzione


Sulla base di quanto aûermato nell'articolo 36 della Costituzione, per il quale la retribuzione deve essere sufficiente a
garantire "un'esistenza libera e dignitosa a sé e alla famiglia", vengono previsti dei limiti all’aggredibilità del
particolare credito consistente nella retribuzione.
Il pignoramento della retribuzione può avvenire
- solo nella misura di 1/5 della stessa, qualora si tratti di crediti in un alimentari.
Il legislatore ha previsto l'estensione della medesima tutela per il lavoratore anche nel caso in cui oggetto di
pignoramento sia il conto corrente bancario dello stesso, sul presupposto che quanto versato provenga da attività di
lavoro.

N.B.: Riassunzione b Reintegrazione:


Con la reintegrazione il rapporto di lavoro riprende dopo l'interruzione dovuta al licenziamento illegittimo (garantisce
la conservazione dell’anzianità), con la riassunzione esso viene costituito ex novo.

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