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TECNICHE CONTRATTUALI E ATTIVITÀ NOTARILE

Conferimento di azienda e regole circolatorie


di Marco Maltoni
Notaio in Forlì

1. Questioni generali.

La possibilità di conferire un'azienda in società ha storicamente costituito oggetto di attenta


riflessione da parte della dottrina, in particolare con riferimento alle società di capitali, per
sospetta incompatibilità con le regole che presiedono alla formazione del capitale sociale.

Seppur la questione sia stata risolta da tempo in senso affermativo, al punto che oggi
nessuno potrebbe plausibilmente revocarla in dubbio, è opportuno non dimenticare le ragioni
dell'originaria perplessità, poiché il pericolo di violazione di norme imperative resta
immanente qualora non siano verificate tutte le condizioni che, per orientamento
consolidato, rendono legittimo il conferimento di azienda.

Le ragioni sono in sintesi le seguenti. L'azienda comprende anche (o può comprendere anche)
elementi che di per sé, atomisticamente considerati, non sarebbero suscettibili di
conferimento a titolo di apporto a capitale sociale, ai sensi dell'art.2342 c.c. (per esempio:
contratti di prestazione d'opera o di servizio); ne consegue così che è fondato il problema di
evitare che, attraverso il conferimento di azienda, si eludano norme imperative, problema
particolarmente sentito rispetto alla questione della possibilità di conferire ed imputare a
capitale il valore dell'avviamento.

Non è necessario rievocare il dibattito e le argomentazioni proposte dai diversi


orientamenti[1]; è sufficiente far proprie le conclusioni autorevolmente affermate nel corso
di un famoso convegno di molti anni or sono[2]: l'azienda è conferibile a fronte di un
aumento di capitale in natura; "stante il particolare oggetto del conferimento ed il
particolare contenuto della situazione soggettiva (titolarità dell'azienda) che la conferitaria
intende acquisire con il conferimento, diventano conferibili come componenti dell'azienda
anche elementi che isolatamente presi, viceversa, non potrebbero formare oggetto di
conferimento (ci si riferisce alle prestazioni di opere e di servizi di cui all'art.2342 terzo
comma ed allo stesso avviamento)"; non sussiste allora conflitto fra gli artt. 2342, terzo
comma, e 2558 in tema di passaggio dei contratti; è conferibile anche l'avviamento; "di
conseguenza è imputabile a capitale l'intero valore attribuito dalla relazione di stima
all'azienda" anche se comprende la valorizzazione dell'avviamento e dei contratti di
prestazioni d'opera o di servizi.[3]

Muovendo da tale premessa, emerge che, in sede di controllo di legittimità, si pone


innanzitutto un problema di qualificazione del complesso dei beni, che devono costituire
l'azienda o il ramo d'azienda, onde evitare che si giunga al surrettizio conferimento di entità
non conferibili; occorre cioè accertarsi che il conferimento abbia per oggetto un complesso
di beni organizzati, idonei ed essere utilizzati per l'esercizio di un'attività di impresa.

La questione può presentare profili di indubbia problematicità in caso di conferimento di


un'azienda di servizi, in cui la componente delle prestazioni di servizi ed i contratti di
prestazione d'opera ai clienti rappresentano la parte prevalente[4].

Diviene quindi assai rilevante il compito dell'esperto (ex art 2343 c.c., o ex art.2343 ter,
secondo comma, lett. b) c.c., o ex art.2465 c.c.), e comunque occorre prestare attenzione
al contenuto della perizia di stima, dalla quale dovrà risultare, in termini generali:

a) la descrizioni del complesso dei beni, con l'evidenza e l'accertamento che possieda i
requisiti qualitativi e quantitativi per essere qualificabile come azienda ex art.2555 c.c.;

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b) la descrizione dei beni compresi e soprattutto degli elementi che la compongono;

c) la specificazione del metodo di valutazione applicato in relazione alle caratteristiche


dell'azienda;

d) la dichiarazione/attestazione del valore dell'avviamento e degli altri elementi che


compongono l'azienda da conferire, mediante il supporto di una situazione patrimoniale,
compresa o allegata.

Sempre sul piano della questioni generali giova rammentare che è tesi pacifica che anche il
conferimento dell'azienda, sotto il profilo delle regole di circolazione, è soggetto alla
disciplina contenuta negli artt. 2556 c.c. e ss., poiché si tratta di apparato normativo
applicabile in ragione dell'oggetto del contratto traslativo (poiché tale è considerato il
conferimento), funzionale ad assicurare "continuità" all'impresa[5].

Ne deriva che l'atto di conferimento è soggetto al requisito di forma minimo di cui


all'art.2556 c.c. se non attratto da altre forme richieste dalla legge. In altri termini, non vi è
dubbio che il conferimento di azienda che sia eseguito in sede di sottoscrizione di un
aumento di capitale in natura (e non di un atto costitutivo) possa essere stipulato per
scrittura privata autenticata, poiché per il contratto di sottoscrizione autonomamente inteso
non è richiesto dalla legge alcun requisito di forma.

Si applica altresì l'art. 2560 in termini di responsabilità per debiti, il che può dar luogo a
problemi di tutela della società conferitaria, questione che vuol essere oggetto di una
riflessione più puntuale nelle note che seguono.

2. Il problema della tutela della società conferitaria a fronte di


minusvalenze o di sopravvenienze passive di qualsiasi natura emergenti
successivamente alla stipulazione dell'atto di conferimento.

Particolarmente sentito dalla prassi, ma non oggetto di diffusa attenzione dottrinale, è la


questione degli strumenti di tutela e dei rimedi di cui può avvalersi la società conferitaria
qualora emergano minusvalenze o insussistenze dell'attivo o si verifichino sopravvenienze
passive rispetto ai valori attestati dall'esperto o comunque risultanti dalla perizia di stima
(ex art.2343 ter, secondo comma, lett.b) c.c.)[6].

La questione è connessa e conseguente anche (ma non solo) alla responsabilità ex art. 2560
c.c.

E' un dato prima di tutto economico che il conferimento si atteggia come un rapporto di
scambio, nel quale le azioni o quote "sottoscritte" rappresentano il "corrispettivo"
dell'apporto/cessione di azienda. Lo stesso legislatore sceglie di trattare il "conferimento"
come una vicenda traslativa, mediante il rinvio alle norme sul trasferimento dei beni o
diritti.

Ne deriva che soggetto conferente e società conferitaria assumono la veste di parti


contrattuali, alla stregua di quanto avverrebbe in un contratto ad efficacia traslativa
dell'azienda comunque nominato.

Si è già rammentato che al conferimento di azienda si applica pacificamente la disciplina che


presiede alla cessione di azienda (artt. 2556 e ss. c.c.).

Rispetto a qualunque altra fattispecie di cessione di azienda il conferimento presenta,


tuttavia, un sovrappiù di disciplina: l'obbligo della relazione di stima ex art. 2343, o ex
art.2343 ter, o ex art.2465 c.c..

Come noto, l'obbligo è funzionale all'accertamento che il valore dell'azienda non sia inferiore
al valore nominale della quota o azioni ed al valore del sovrapprezzo deliberato, al fine di
assicurare la corretta formazione del capitale a tutela dell'interesse anche dei terzi creditori
della società[7].

Ne consegue che la disciplina particolare dei conferimenti in natura viene ad integrare la


disciplina generale di cui agli artt. 2556 e ss c.c.[8].

https://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=51/5103&mn=3 2/11
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E' ormai un dato normativo che sia legittimo avvalersi di una relazione di stima riferita ad
una data non superiore a sei mesi rispetto a quella in cui è eseguito il conferimento (art. ex
art.2440, quarto comma, c.c.)

E' evidente che in tale torno di tempo si verificano inevitabilmente minusvalenze, o


plusvalenze o sopravvenienze attive o passive, poiché l'attività esercitata con l'azienda
prosegue: pertanto, al momento del conferimento il valore del compendio aziendale può
facilmente discostarsi da quello attestato.

E' noto a chiunque abbia esperienza pratica che la trattativa fra parti si svolge anche (e
soprattutto) sul valore di conferimento, cioè sul corrispettivo della cessione. Accade, allora,
che il "corrispettivo", in una logica commerciale, possa non coincidere più con il valore
effettivo del "bene" trasferito.

Una delle due parti contrattuali rischia di rimetterci; per ora ci interessa verificare come può
tutelarsi la parte "acquirente/conferitaria"[9].

In tale prospettiva, e sulla scorta di un importante contributo[10], è necessario muovere


dalle norme imperative che presiedono al conferimento in società di capitali, ovvero da quel
sovrappiù di disciplina a cui la vicenda traslativa è soggetta rispetto ad ogni altra fattispecie
di "cessione di azienda", al fine di valutare quale incremento del livello di tutela legale della
parte acquirente/conferitaria genera rispetto alla disciplina generale; per poi verificare la
compatibilità alle disposizioni di legge delle clausole di garanzia ("representations and
warranties") che integrano o si discostano dall'assetto legale di tutela legale della
conferitaria.

Sullo sfondo si profila un quesito applicativo: in quali limiti è legittimo o opportuno integrare
l'atto di conferimento a tutela della società conferitaria?

Con un avvertenza ulteriore di metodo: il confronto fra la disciplina dei conferimenti in


natura della società per azioni (artt.2343 – 2343 ter – 2343 quater c.c.) e quella degli identici
conferimenti della s.r.l. (art.2465 c.c.) evidenzia differenze che costringono a valutazioni
distinte e puntuali per ogni singolo tipo societario.

3. La disciplina legale del conferimento in natura in s.p.a. è in grado di


offrire adeguata tutela alla società conferitaria a fronte di fatti come
quelli in precedenza enunciati?

L'esperienza, suffragata dall'esame empirico degli atti di conferimento, dimostra un


apparente minor ricorso a clausole di tutela integrative o peculiari rispetto a quanto è dato
da registrare in caso di "ordinaria" vendita di azienda e, ancor di più, rispetto ai contratti
aventi ad oggetto il trasferimento di partecipazioni sociali, tramite i quali, come noto, si può
ottenere indirettamente il trasferimento del complesso aziendale.

Verrebbe da dire che la necessaria presenza di una perizia (con il conseguente compimento
di una "due diligence" da parte dall'esperto, il quale è responsabile ex artt. 2343 secondo
comma e 2343 ter quinto comma c.c.), nella quale il valore del compendio aziendale è
oggetto di stima indipendente e prudenziale, e, limitatamente alla s.p.a., la facoltà/obbligo
di verifica successiva al conferimento da parte degli amministratori della società conferitaria
(cioè della parte contrattuale avversa rispetto al cedente), sembrano rendere meno urgente
l'esigenza di protezione contrattuale integrativa.

In effetti, la disciplina degli artt. 2343 e 2343 quater c.c. sembra consegnare alla parte
"acquirente" uno straordinario strumento di tutela. L'art.2343, quarto comma, c.c. rimette
agli amministratori della società conferitaria la verifica/revisione dei valori sulla base dei
quali è avvenuto il conferimento, riconoscendo a tale parte contrattuale una sorta di
"sintetica garanzia ex lege" relativa al valore del bene conferito[11]; inoltre attribuisce alla
medesima parte il diritto di annullare le azioni assegnate al conferente che risultano
scoperte a seguito della revisione unilaterale del valore. "Invero, mutatis mutandis,
l'acquirente, in questo caso, può unilateralmente accertare la sussistenza di vizi o di
minusvalenza senza nessun parametro predefinito e può ridurre discrezionalmente il "prezzo"
pattuito (rectius, la valorizzazione del conferimento), lasciando alla controparte la sola
alternativa del recesso"[12].

https://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=51/5103&mn=3 3/11
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L'art.2343 quater c.c. obbliga gli amministratori ad accertarsi se, successivamente alla data
di riferimento della perizia di cui all'art.2343 ter, comma secondo, lett. b) c.c. (l'unico
metodo di valutazione alternativo plausibile rispetto ad un compendio aziendale) "si sono
verificati fatti nuovi rilevanti tali da modificare sensibilmente il valore dei beni conferiti"
alla data in cui è avvenuto il conferimento, con l'effetto di dover riattivare il procedimento
di valutazione di cui all'art.2343 c.c..

Sennonché, occorre anche rilevare che:

- la minusvalenza che consente agli amministratori di attivare il procedimento di


"adeguamento del corrispettivo" ex art.2343 ultimo comma c.c. è solo quella almeno pari ad
un quinto, cioè al 20%, del valore stimato dal perito; si tratta senza dubbio di un importo
ragguardevole, con la conseguenza che restano a carico della società conferitaria/acquirente
le minusvalenze inferiori;

- la data di riferimento per il controllo dei valori è quella della sottoscrizione delle azioni; la
verifica può accertare solo le minusvalenze occorse fra la data di riferimento della perizia di
stima e la data di esecuzione del conferimento. Le minusvalenze verificatesi
successivamente, anche se determinate da fatti o cause anteriori, restano a carico del
patrimonio sociale, e l'eventuale riduzione del capitale che ne può conseguire, per perdite,
finisce per gravare proporzionalmente tutti i soci.

Atteso ciò, si tratta allora di focalizzare al meglio le lacune del procedimento di revisione
legale del valore, a danno dell'una o della altra parte (conferente o società conferitaria), per
riuscire a colmarle in via negoziale. In secondo luogo, occorre accertarsi se le garanzie
volontarie siano compatibili con la disciplina legale di valutazione del conferimento
disegnata negli artt. 2343 e 2343 ter c.c..

In tale prospettiva, ed in via di estrema sintesi, si possono proporre le seguenti questioni:

a) possibilità di pattuire criteri di valutazione del conferimento;

b) possibilità di predeterminare convenzionalmente i termini di riferimento della revisione


del valore da parte degli amministratori della società conferitaria;

c) possibilità di imporre in via convenzionale al conferente l'applicazione dei rimedi alle


minusvalenze previsti nell'art.2343 ultimo comma, c.c. anche in presenza di minusvalenze di
entità inferiore al quinto del valore di conferimento periziato;

d) possibilità di prevedere rimedi in caso di insussistenze patrimoniali, rilevanti sul piano


della natura dei beni che costituiscono il compendio aziendale, non sul valore di esso,

e) possibilità di rilevare sopravvenienze attive a vantaggio del conferente;

f) possibilità di compensare in denaro il maggior valore del conferimento rispetto al prezzo di


emissione delle partecipazioni, per capitale e sovrapprezzo.

4. Autonomia privata e disciplina delle minusvalenze.

Affrontando l'argomento giova rammentare che la verifica dei valori di stima è posta,
innanzitutto, a tutela dell'interesse, anche dei terzi, all'effettività del capitale sociale.

In secondo luogo, occorre rammentare che "I motivi che giustificano, anzi impongono, la
revisione in null'altro possono consistere se non nella (supposizione della) sopravalutazione
dei conferimenti in natura operata dall'esperto.[13]". Sopravalutazione che può forse essere
determinata da "errori" di valutazione, ma che, per lo più, dipende da minusvalenze
sopravvenute [14], ovvero da riduzione dei valori intervenuta fra la data di riferimento della
stima e l'atto di conferimento, poichè "nella dinamica dei valori economici d'impresa, in
effetti, l'elemento temporale incide significativamente ed i valori riferiti allo stesso oggetto
in momenti diversi possono subire variazioni, anche rilevanti, per effetto dell'evoluzione
dell'ambiente esterno e/ o di modificazioni delle combinazioni economiche interne
all'impresa, così che l'aggiornamento delle valutazioni potrebbe ritenersi necessario"[15].

Dunque, minusvalenza come differenza di valore dei beni e diritti compresi nell'elenco
contenuto nella relazione di stima ex art.2343 c.c.

https://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=51/5103&mn=3 4/11
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Dato atto di ciò, ci si può confrontare con la questione degli spazi concessi all'autonomia
privata per derogare al procedimento di verifica e revisione, soprattutto nell'interesse della
società conferitaria/parte acquirente.

a) Possibilità di stabilire convenzionalmente i criteri di valutazione dell'azienda


conferita.

Il disposto degli art.2343 e 2343 ter secondo lett.b) c.c., nell'elevare, implicitamente
(art.2343 c.c.) od esplicitamente (art.2343 ter c.c.) l'indipendenza a requisito essenziale
dell'esperto, rende evidente l'impossibilità di interferire convenzionalmente nella
determinazione del valore dell'azienda, rimessa al suo prudente apprezzamento. La soluzione
è coerente all'interesse generale all'effettività del capitale sociale di cui le norme richiamate
costituiscono un presidio.

La perentorietà della conclusione può essere mitigata con riferimento al profilo di


discrezionalità concesso agli amministratori nella verifica della valutazione compiuta
dall'esperto. Si tende ad escludere, anche mediante richiamo al principio di buona fede e
correttezza, che gli amministratori possano discostarsi dai criteri di valutazione prescelti dal
perito; ciò significherebbe, infatti, realizzare una nuova stima, "senza limitarsi ad accertare
ed a correggere minusvalenze o sopravvalutazioni di quella redatta dall'esperto", per la quale
occorrerà procedere alla nomina di un nuovo esperto[16].

Dunque, è ammissibile un patto che imponga anche convenzionalmente di procedere alla


revisione avvalendosi dei medesimi criteri scelti dall'esperto; non sembra legittimo, invece,
un patto con il quale si conviene l'adozione di diversi criteri.

Non risulta nemmeno legittimo prevedere la nomina di un terzo arbitratore che, anche
nell'interesse del conferente, esegua la revisione della valutazione dell'esperto, poiché è
compito degli amministratori: la tutela del terzo di fronte a svalutazioni ritenute non
corrette è affidata: i) fino al quinto del valore, all'irrilevanza della svalutazione; ii) oltre il
quinto, al diritto di recesso di cui all'ultimo comma dell'art.2343.

Il principio di tutela dell'effettività del capitale sociale non consente alcun margine
all'autonomia privata.

Ne deriva che non si possono ritenere legittime clausole che subordino il dovere/potere degli
amministratori di revisionare la stima al verificarsi di determinati presupposti o alle
preventive valutazioni di un terzo, in alternativa alla nomina del terzo arbitratore prima
ipotizzata.

b) Possibilità di predeterminare convenzionalmente i termini di riferimento della


revisione da parte degli amministratori.

Come visto, il termine legale è rappresentato dalla data di esecuzione del conferimento, al
fine di far gravare in capo al conferente le minusvalenze fino a quel momento verificatesi.

Poiché il procedimento di verifica è funzionale alla tutela dell'effettività del capitale sociale,
non vi sembrano essere ostacoli alla legittimità di una clausola con la quale il termine di
riferimento per la verifica è posticipato, poiché significa accrescere il rischio in capo al
conferente.

La conclusione sembra diversa qualora si intenda pattuire una clausola di retroattività del
conferimento, che finisce per trasferire alla società conferitaria, in deroga all'art.2343
ultimo comma c.c., "l'imputazione delle minusvalenze del conferimento verificatesi
nell'intervallo tra la data di riferimento della stima e la stipulazione dell'atto costitutivo"
[17].

c) Possibilità di imporre in via convenzionale al conferente l'applicazione dei rimedi alle


minusvalenze previsti nell'art.2343 ultimo comma, c.c. anche in presenza di
minusvalenze di entità inferiore al quinto del valore di conferimento periziato.

L'opportunità di intervenire convenzionalmente sul profilo dei rimedi all'accertamento di una


minusvalenza è dettata in particolare dalla constatazione che nel nostro ordinamento non è
rintracciabile, per orientamento dominante, un regime di responsabilità del conferente per
le minusvalenze del conferimento in natura, assai probabili in caso di conferimento di
azienda[18].

https://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=51/5103&mn=3 5/11
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Quale potere di disposizione si può riconoscere alle parti rispetto ai rimedi contemplati
nell'ultimo comma dell'art.2343 c.c.?

Secondo parte della dottrina[19] sarebbe legittimo trasformare il diritto al versamento del
conguaglio in obbliga a carico del conferente, poiché si tratta di facoltà posta nel suo
esclusivo interesse, e come tale disponibile; allo stesso modo, e per la stessa ragione, il
conferente potrebbe altresì rinunciare al diritto di recesso.

Non sarebbe di contro legittimo vincolare la società a non ridurre il capitale, avvalendosi
solo dei rimedi alternativi; nella circostanza prevale la regola di ordine pubblico a tutela
dell'effettività del capitale sociale che non potrebbe essere superata nemmeno ricorrendo
all' applicazione in via analogica dell'art. 2344 c.c. sul mancato versamento del conguaglio in
denaro.

Qualora la minusvalenza sia inferiore al quinto, nulla osta a imporre convenzionalmente un


obbligo di conguaglio a carico del conferente.

Più arduo riconoscere alla società il diritto di ridurre il capitale sociale mediante
annullamento per valore corrispondente delle azioni del solo conferente: si tratterebbe di
un'ipotesi di riduzione del capitale sociale non prevista dalla legge, e come tale volontaria,
che dovrebbe operare in assenza del presupposto legale dell' "esuberanza" previsto nell'art.
2445 c.c., e comunque soggetta al diritto di opposizione dei creditori.

5. Il problema della tutela della società conferitaria a fronte di


sopravvenienze passive successive alla data del conferimento o di
insussistenze dell'attivo.

Come rilevato, il procedimento legale di revisione svolge una funzione di tutela a fronte di
minusvalenze verificatesi fra la data di riferimento della relazione di stima dell'esperto e la
data di esecuzione del conferimento.

E' orientamento dominante che siano estranee al perimetro normativo e quindi ai rimedi
previsti nell'art.2343 ultimo comma c.c. "le eventuali minusvalenze del conferimento in
natura derivanti da fattispecie di mancata attuazione, ed in particolare da difetti giuridici o
materiali dei beni oggetto del conferimento.[20]"

Invero, parte della dottrina, minoritaria, propone una lettura estensiva della disciplina (e dei
rimedi) prevista nella norma da ultimo richiamata, le cui regole di protezione sarebbero
attivabili anche in presenza di insussistenze o difetti (giuridici o materiali) nelle consistenze
o nello stato dei beni rispetto alla descrizione contenuta nella relazione di stima. In tal caso,
ferma la possibilità della società di agire per l'adempimento o per il risarcimento dei danni,
si ritiene applicabile il rimedio dell'annullamento delle azioni o della riduzione del valore
nominale della quota, nei primi sei mesi. Si ritiene necessario proporre tuttavia
un'alterazione del procedimento: il diritto di corrispondere le differenze in denaro o di
recedere sono fisiologicamente posti a tutela del conferente di fronte a difficoltà di
valutazione precise dei cespiti da parte dell'esperto. Tali esigenze di protezione non
ritornano nel caso in esame in quanto la minusvalenza è determinata da insussistenza
materiale o giuridica dei beni, quindi da inadempimento. Ne conseguirebbe che il conferente
è tenuto a corrispondere la differenza in denaro anche se la minusvalenza è inferiore al
quinto, poiché non ricorre la ratio di tutela rispetto a difficoltà di valutazione, ma non può
recedere.

Decorsi 6 mesi dal conferimento, la società non potrà più avvalersi del rimedio reale
dell'annullamento delle partecipazioni, ma potrà agire sulla base delle ordinarie regole
personali di garanzia ex art. 2254 c.c.

La tesi esposta risulta, tuttavia, largamente minoritaria.

L'insufficienza degli strumenti di protezione legale offerti dall'art.2343 c.c. con riferimento
alle minusvalenze cagionate da sopravvenienze passive successive alla data di conferimento
o da insussistenze quantitative o qualitative dei beni aziendali suggerisce l'opportunità, se
non la necessità, di corredare l'atto di conferimento di una serie di clausola di
rappresentazione e garanzie, con conseguente obbligo di indennizzo a carico del conferente.

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In tal modo si trasferisce sul conferente il rischio e la responsabilità relativi a circostanze di


diritto o di fatto, idonee ad incidere sulla consistenza patrimoniale dell'azienda.

Con l'avvertenza che la presenza di tali clausole non evita o riduce l'ambito di operatività
dell'art.2343 c.c., ma è funzionale ad attivare una protezione integrativa. In altri termini,
non evita, in danno del conferente, la riduzione del capitale sociale in caso di rilevazione di
minusvalenze in sede di verifica obbligatoria a cura degli amministratori.

Sul versante opposto, e quindi in una logica di tutela del conferente, nemmeno l'inserimento
di clausole come "noto e gradito alla parte conferitaria" assume rilievo per vincere il
procedimento e la tutela inderogabile dell'art.2343 c.c..

Si vuol ribadire, in altri termini, che il ricorso a clausole di rappresentazione e garanzia può
solo integrare la tutela della società conferitaria/parte acquirente rispetto a quella offerta
dal procedimento di revisione di cui all'art.2343 c.c., ma non può sovrapporsi, sostituirsi o
interferire con detto procedimento, posto a presidio dell'interesse anche dei terzi creditori
all'effettività del capitale sociale, e come tale non disponibile. Così come per tale via non
possono istituirsi convenzionalmente rimedi "reali", come la riduzione del capitale in danno
del conferente, essendo affidato il riequilibro delle prestazioni solo all'indennizzo o
conguaglio in denaro.

La necessità di rispettare il procedimento di revisione legale finisce per limitare


inevitabilmente l'autonomia privata.

Per esempio sul piano della definizione o ridefinizione negoziale del perimetro del complesso
aziendale.

Certamente nella fase delle trattative antecedente alla redazione della relazione di stima
dell'esperto le parti potranno convenire la composizione del complesso aziendale. Tuttavia,
se l'elenco dei beni facente parte della relazione di stima ex art.2343 c.c. non corrisponde
con quello negozialmente convenuto, agli effetti del conferimento prevale il primo, con un'
unica via di uscita: non dar luogo al conferimento.

Alquanto angusti sembrano altresì gli spazi per convenire la sostituzione di beni già indicati
in perizia qualora si rilevi la loro insussistenza, poiché potrebbe determinarsi la possibile
alterazione negativa del valore periziato; l'incertezza preclude la scelta negoziale, anche
perché, seguendo la dottrina prevalente, non sarebbe possibile rilevare una minusvalenza a
cura degli amministratori nell'ambito del procedimento di verifica di cui all'art.2343 c.c. non
essendo stato il bene sostituito oggetto di valutazione da parte dell'esperto. Qualora sia
necessario procedere alla sostituzione occorre rinnovare l'intervento del perito, a meno che
il bene mancante non venga surrogato con denaro in accordo fra le parti, ed eventualmente
di tale possibilità si sia tenuto conto nella perizia.

Discutibile per la dottrina è anche la clausola del seguente o di analogo tenore: "eventuali
variazioni delle consistenze patrimoniali risultanti tra la situazione patrimoniale di
riferimento della relaziona giurata di stima e la data di efficacia del conferimento
troveranno esatta compensazione in modo che il valore del patrimonio netto dell'apporto
rimanga immutato rispetto a quella determinata dall'esperto." Una clausola siffatta rimette
alle parti o ad un terzo arbitratore la determinazione della situazione patrimoniale alla data
di conferimento, così da pervenire all'accertamento negoziato delle variazioni intervenute
nel periodo interinale.

Tuttavia:

- non può incidere sul dovere degli amministratori di effettuare la verifica, né circoscriverlo
al periodo anteriore al termine di riferimento della perizia dell'esperto;

- è discutibile che eventuali maggiori valori, intesi come scostamenti positivi dovuti alla
gestione corrente possano dar luogo a credito del conferente[21], poiché c'è il rischio che
venga meno la garanzia della perizia in ordine alla copertura del valore nominale e del
sovrapprezzo e quindi si determini una restituzione del conferimento (passibile di sanzione
penale). Nulla garantisce infatti che il maggior valore sia determinato da oggettivi
incrementi e non da valutazioni più generose e di favore per il conferente.

Si torna allora a quanto più volte ripetuto: solo scostamenti negativi (minusvalenze) possono
dar luogo ad un obbligo di integrazione a carico del conferente, così da porre a suo carico le

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perdite interinali anche entro i limiti del quinto[22] e sopperire a passività latenti rilevabili
in perizia o a sopravvenienze passive rispetto al conferimento.

Sul piano dei rimedi si è già rammentato che per opinione dominante la società conferitaria
non può convenire il diritto di ridurre il capitale sociale in danno del conferente al di fuori
del procedimento di cui all'art.2343 c.c., e quindi nei limiti della revisione di valore
derivante da minusvalenze interinali.

Si può porre il problema di elaborare una tecnica che consenta alla società "di farsi giustizia"
economica da sé, come accade in caso di vendita dell'azienda (o delle partecipazioni sociali)
allorchè l'acquirente contratta una dilazione del corrispettivo con facoltà di compensazione
rispetto alle minusvalenze determinate da sopravvenienze passive, qualora il venditore non
sia in grado di prestare fideiussioni a garanzia dell'obbligo di indennizzo.

Si potrebbe pensare di ricorrere allora al conferimento "misto", inteso come tale con
riferimento alla causa della prestazione del conferente.

Ricorre la fattispecie allorchè il prezzo di emissione delle azioni, per capitale e


sovrapprezzo, è inferiore al valore del bene da conferire. Pertanto, solo parte del valore del
conferimento in natura è destinato a coprire il capitale ed il sovrapprezzo.

In tal caso la società conferitaria sarebbe tenuta, convenzionalmente, al versamento di un


conguaglio: si tratta, in definitiva, di un "acquisto programmato del bene da parte della
società per la frazione del suo valore eccedente quella che viene imputata a conferimento,
dietro corrispettivo di un prezzo da versare al conferente"[23].

Il pagamento del conguaglio potrebbe essere differito nel tempo; è necessario che la
relazione di stima dia conto del valore effettivo del complesso aziendale da conferire e
dell'ammontare del debito da restituzione in capo alla conferitaria. Nella stessa delibera di
aumento del capitale o nell'atto costitutivo è necessario indicare il valore eccedente ed il
credito del conferente[24].

La tecnica proposta potrebbe divenire utile nel nostro caso per garantire al meglio la società
conferitaria: infatti, si potrebbe convenire la compensazione dell'eventuale indennizzo di cui
la società possa divenire creditrice verso il conferente a seguito di sopravvenienze passive o
per effetto della responsabilità ex art.2560 c.c. con il debito da conguaglio della medesima.

In tal modo la partecipazione del conferente risulterebbe ragguagliata all'effettivo valore del
conferimento sul piano dei rapporti con gli altri soci (con possibilità di concedergli il voto
plurimo per un certo numero di anni, così da sterilizzare sul piano della governance la
garanzia patrimoniale indiretta che la società ha acquisito). Qualora non emergano
sopravvenienze passive o comunque obblighi di indennizzo del conferente a favore della
società il credito pecuniario da conguaglio potrebbe essere utilizzato per sottoscrivere un
successivo aumento di capitale riservato, mediante compensazione. Non sembra emergano
rischi di annacquamento del capitale sociale, in quanto si tratta di credito sorto a fronte di
valore periziato.

6. Un caso particolare: earn out del conferente in sede di aumento del


capitale sociale.

Esiste la possibilità che le parti vogliano gratificare il conferente in relazione a performance


aziendali particolari del ramo di azienda conferito, che l'esperto non può attestare perché
dipendenti da eventi futuri o comunque non rilevabili sulla base delle metodologie di
valutazione dell'azienda di carattere ordinario.

Si propone un aumento di capitale per tranche:

1) prima tranche di valore non superiore a quello attestato dal perito;

2) seconda tranche che potrà essere sottoscritta al verificarsi di condizioni previste nel piano
economico finanziario (earn-out).

Secondo parte della dottrina[25] la relazione dell'esperto dovrebbe essere divisa in due parti:
la prima attestante il valore attuale e certo del ramo di azienda da conferire; la seconda

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nella quale si attesta che al verificarsi di determinate condizioni il valore potrebbe essere
considerato superiore.

La seconda trance di aumento potrebbe essere sottoscritta allorchè gli amministratori o lo


stesso perito verificano l'avverarsi delle condizioni.

La soluzione lascia perplessi, soprattutto se gli eventi condizionanti sono successivi al


conferimento,e dipendono anche dalla gestione.

Mi pare che la soluzione preferibile sia rappresentata dal ricorso ad un patto parasociale con
obbligo degli altri soci di deliberare un aumento con sottoscrizione non proporzionale a
favore del conferente.

7. La tutela della società conferitaria in forma di s.r.l.

La questione della tutela a fronte del rischio di minusvalenze o di sopravvenienze passive


rispetto ai valori risultanti dalla relazione di stima di cui all'art.2465 c.c. si presta a soluzioni
diverse da quelle lumeggiate per la s.p.a..

La suggestione in tal senso è alimentata da un dato normativo: l'art.2465 c.c. non prevede il
controllo della relazione di stima da parte degli amministratori e, di conseguenza, non
consegna ad essi alcun potere di revisione del valore di conferimento.

Infatti, se non si vuole aderire all'orientamento[26] che sostiene l'applicabilità analogica alla
s.r.l. della disciplina della revisione della stima di cui ai commi terzo e quarto dell'art.2343
c.c., si deve concludere che "la mancata previsione della revisione della stima implica che
l'accertamento dell'eventuale sopravvalutazione o minusvalenza è, per così dire, "rimandato"
alla redazione del bilancio di esercizio e che le conseguenze di tale accertamento rimangono
regolate dalla disciplina generale del bilancio e del capitale sociale. La revisione effettuata
in occasione della redazione del bilancio può dar luogo ad una perdita, o, comunque, se non
transita a conto economico, ad una riduzione del netto e quindi imporre una riduzione del
capitale sociale per perdite, disciplinata dall'art.2482 bis"[27].

Nella prospettiva che ci interessa la scelta di non riproporre (o di non imporre)


normativamente la revisione della relazione di stima comporta una conseguenza evidente:
quella di porre a carico del patrimonio sociale, e quindi di tutti i soci, l'eventuale
minusvalenza del valore del conferimento, sia essa originaria (cioè determinata da erronea
valutazione) o sopravvenuta (in quanto successiva alla data di riferimento della relazione di
stima anche se precedente alla data di esecuzione del conferimento).

Come rileva la dottrina[28], i soci di società a responsabilità limitata, diversi dal conferente,
risultano maggiormente esposti ai rischi paventati rispetto a quelli di una s.p.a., la cui
disciplina imperativa, come visto, assicura una qualche forma di tutela, anche se imperfetta;
al contempo, e per la stessa ragione, ne risulta favorito il conferente, poiché il rischio di
minusvalenza, anche se superiore al quinto del valore periziato, non è allocato
esclusivamente sul suo investimento, ma socializzato e quindi condiviso.

Spetta allora all'autonomia privata l'onere di produrre regole di protezione del patrimonio
sociale nell'interesse dei soci diversi dal conferente, con il vantaggio di non incontrare i
limiti in precedenza osservati e dovuti alla ricorrenza di una disciplina legale imperativa con
la quale misurarsi.

In proposito si può optare per la predisposizione di una disciplina generale di fonte


statutaria, applicabile ad ogni conferimento in natura, oppure per la negoziazione di una
disciplina puntuale, conferimento per conferimento, da deliberare in sede di aumento del
capitale sociale e da riproporre poi nel contratto di sottoscrizione[29].

Come ricordato, l'assenza di una disciplina imperativa sembra sottrarre l'autonomia privata a
limiti, e quindi consentire di adottare il set di clausole di cui la prassi ordinariamente si
avvale in caso di cessione di partecipazioni sociali di controllo.

Si ritiene[30] pertanto, a titolo esemplificativo, che siano legittime pattuizioni:

a) che prevedano e disciplinino la revisione del valore di conferimento, per accertare


eventuali sopravvalutazioni originarie o minusvalenze sopravvenute alla data di esecuzione;
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b) che limitino l'aggiustamento solo alle variazioni dei dati contabili o economico/finanziari
alla data di esecuzione del conferimento;

c) che limitino gli aggiornamenti a determinate poste di bilancio;

d) che fissino i criteri di valutazione in sede di revisione;

e) che fissino franchigie o soglie di rilevanza convenzionali;

f) che attribuiscano ad un terzo indipendente, in funzione di arbitratore, l'incarico di


effettuare la revisione.

In definitiva, "una volta rimessa la materia all'autonomia privata e statutaria, i soci potranno
introdurre nella disciplina del conferimento le più moderne tecniche e formule di
aggiustamento del prezzo elaborate dalla prassi delle operazioni di mergers and acquisitions,
modulando così la revisione della stima ed i suoi effetti in funzione di obiettivi e
valorizzazioni convenzionali dei termini dell'operazione e alla luce delle specifiche
caratteristiche dei beni o crediti conferiti e – nel caso del conferimento di aziende o rami di
azienda – del settore di attività in cui l'azienda conferita opera"[31].

Il tema interpretativo diviene allora quello dei rimedi applicabili una volta rilevate
minusvalenze di qualsiasi natura rispetto al valore di conferimento.

Non vi è dubbio che sia possibile prevedere un obbligo di indennizzo a carico del conferente,
soluzione già ammessa nella s.p.a. in funzione integrativa della disciplina legale, come in
precedenza ricordato[32].

In alternativa sembra legittimo stabilire convenzionalmente che l'adeguamento della


partecipazione sottoscritta dal conferente al valore risultante della revisione della relazione
di stima sia attuato mediante riduzione del capitale sociale con annullamento parziale della
partecipazione del solo conferente, a patto di trattare la riduzione come volontaria,
soggetta alla disciplina dell'art.2482 c.c. ed in particolare ad efficacia subordinata alla
mancata opposizione dei creditori[33].

Mi pare anche ammissibile riconoscere al conferente, in alternativa al ridimensionamento


della sua partecipazione, il diritto di recedere dalla società[34]; poiché si tratta di causa
volontaria (e non legale), non si ravvisano ostacoli a definire criteri di valutazione della
partecipazione alternativi a quello legale, magari maggiormente ancorati ai valori
conseguenti alla revisione della relazione di stima più che all'effettivo patrimonio sociale. Si
potrà anche prevedere la facoltà per la società di liquidare il recedente in natura, mediante
assegnazione allo stesso dell'azienda conferita, poiché è vivo l'orientamento che consente di
procedere anche alla riduzione reale del capitale sociale mediante assegnazione di beni in
natura, dovendo trovare applicazione nella circostanza le medesime regole a tutela del
patrimonio sociale[35].

Non sarebbe invece conforme alla disciplina del recesso l'attribuzione al conferente del
diritto di ottenere la restituzione del bene conferito, poiché secondo l'orientamento
dominante[36] le modalità di liquidazione della partecipazione del socio receduto non sono
derogabili, dovendosi riconoscere alla disciplina dell'art.2343 c.c. carattere eccezionale.

(1) Per tutti, Miola, I conferimenti in natura, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e
Portale, 1***, Torino, 2004, p.171 e ss.

(2) Ci si riferisce al Convegno organizzato il 22 ottobre 2004 al Milano dal Comitato Regionale Notarile
Lombardo "Cessione ed affitto di azienda alla luce della più recente normativa", i cui atti sono pubblicati
da Giuffrè, 1995; in particolare, Marchetti, Spunti in tema di conferimento di azienda a fronte di aumenti
di capitale di società per azioni, p.89 e ss.

(3) Marchetti, op. cit. pp. 91 – 92.

(4) In proposito si rinvia a Spolidoro, Conferimento di ramo di azienda (considerazioni su fattispecie e


disciplina applicabile), in Giur. Comm., I, 1992, pp.692 e ss.

(5) Per tutti, Miola, cit., p. 182 e ss.

(6) Il tema risulta affrontato puntualmente in due contributi: Cassottana, Rappresentazioni e garanzie nei
conferimenti di azienda in società per azioni, Giuffrè, 2006; Cincotti, Il contratto di acquisizione d'azienda
mediante conferimento nella s.p.a., Giuffrè, 2009.

https://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=51/5103&mn=3 10/11
1/10/23, 5:12 PM Conferimento di azienda e regole circolatorie - Tecniche contrattuali e attività notarile - e.library - Fondazione Italiana del Not…
(7) Ancora per tutti, Miola, cit, in particolare p.471. Si tratta di concetti condivisi che non meritano
approfondimenti ulteriori ai nostri fini.

(8) Ex multiss, Cassottana, cit., p.5.

(9) Il problema della tutela dal lato del conferente/cedente costituisce oggetto del pregevole contributo di
Speranzin, L'aumento di capitale "garantito", in Banco, Borsa, Tit. di credito, 2007, p.454 ss.

(10) Cassottana, cit.

(11) Cincotti, cit, p.193.

(12) Cincotti, cit., p.193.

(13) Pisani Massamormile, p.151.

(14) Miola, cit., p.472.

(15) Savioli, le operazioni di gestione straordinaria, Giuffrè, 2003, p.141.

(16) Miola, I conferimenti in natura, Trattato delle società per azioni Colombo-Portale, UTET, 2004, p.476

(17) Miola, cit., p.442.

(18) Si veda in tal senso, inter alios, Miola, cit. p.416, nt.242.

(19) Cassottana, cit., p.130.

(20) Miola, cit., p.477.

(21) Marchetti, cit., p.98

(22) Marchetti, cit.. p.97

(23) Miola, cit., p.203.

(24) Miola , cit, p.203.

(25) Cincotti, cit., p.124.

(26) Per tutti Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Commentario Schlesinger, Tomo I,
Milano, 2010, p.357; per un'esaustiva panoramica del dibattito Miola, La stima dei conferimenti in natura
e di crediti, in S.r.l., Commentario, dedicato a G.B. Portale, Milano, 2011, pp.205 e ss.

(27) Cacchi Pessani, sub. art.2465, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti,
Bianchi, Ghezzi, Notari, Società a responsabilità Limitata (a cura di Bianchi), Milano, 2008, p.194.

(28) Cacchi Pessani, cit., pp.195 e ss., in particolare pp. 198-199.

(29) Estremamente nitide e condivisibili sul tema le considerazioni di Cacchi Pessani, cit., p.199: "Nel
silenzio della legge spetta cioè ai soci della conferitaria e al socio che esegue il conferimento di negoziare,
insieme a tutti gli altri termini e condizioni del conferimento, anche questo aspetto, e quindi di introdurre,
nell'atto costitutivo, nella decisione sull'aumento di capitale o nell'atto di conferimento, previsioni e
clausole che consentano di rivedere i valori di conferimento anche dopo la sua esecuzione e di
aggiustarne il valore di scambio, riequilibrando, ad esempio, le posizioni dei soci in funzione dell'effettivo
valore dell'apporto".

(30) Cacchi Pessani, cit., pp.200 – 201.

(31) Cacchi Pessani, cit., p.201; in tal senso anche Miola, La stima dei conferimenti in natura e di crediti,
in S.r.l., Commentario, p.208.

(32) In tal senso anche Cacchi Pessani, cit., p.202.

(33) Cacchi Pessani, cit., p. 202.

(34) In tal senso, condivisibilmente, Cacci Pessani, cit., p.203.

(35) In tal senso Massima n.9 , in Orientamenti dell'Osservatorio sul diritto societario del Consiglio
Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, Milano, 2012, p.139.

(36) Si vedano in tal senso: Zanarone, Della società a responsabilità limitata, Tratt. Schlesinger, I,
Milano, 2010, p. 848; Revigliono, Il recesso nella società a responsabilità limitata, Milano, 2008, p.342;
Piscitello, Recesso ed esclusione, Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum Gian Franco Campobasso,
3, Torino, 2006, p.733.

https://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=51/5103&mn=3 11/11

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