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1. Questioni generali.
Seppur la questione sia stata risolta da tempo in senso affermativo, al punto che oggi
nessuno potrebbe plausibilmente revocarla in dubbio, è opportuno non dimenticare le ragioni
dell'originaria perplessità, poiché il pericolo di violazione di norme imperative resta
immanente qualora non siano verificate tutte le condizioni che, per orientamento
consolidato, rendono legittimo il conferimento di azienda.
Le ragioni sono in sintesi le seguenti. L'azienda comprende anche (o può comprendere anche)
elementi che di per sé, atomisticamente considerati, non sarebbero suscettibili di
conferimento a titolo di apporto a capitale sociale, ai sensi dell'art.2342 c.c. (per esempio:
contratti di prestazione d'opera o di servizio); ne consegue così che è fondato il problema di
evitare che, attraverso il conferimento di azienda, si eludano norme imperative, problema
particolarmente sentito rispetto alla questione della possibilità di conferire ed imputare a
capitale il valore dell'avviamento.
Diviene quindi assai rilevante il compito dell'esperto (ex art 2343 c.c., o ex art.2343 ter,
secondo comma, lett. b) c.c., o ex art.2465 c.c.), e comunque occorre prestare attenzione
al contenuto della perizia di stima, dalla quale dovrà risultare, in termini generali:
a) la descrizioni del complesso dei beni, con l'evidenza e l'accertamento che possieda i
requisiti qualitativi e quantitativi per essere qualificabile come azienda ex art.2555 c.c.;
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Sempre sul piano della questioni generali giova rammentare che è tesi pacifica che anche il
conferimento dell'azienda, sotto il profilo delle regole di circolazione, è soggetto alla
disciplina contenuta negli artt. 2556 c.c. e ss., poiché si tratta di apparato normativo
applicabile in ragione dell'oggetto del contratto traslativo (poiché tale è considerato il
conferimento), funzionale ad assicurare "continuità" all'impresa[5].
Si applica altresì l'art. 2560 in termini di responsabilità per debiti, il che può dar luogo a
problemi di tutela della società conferitaria, questione che vuol essere oggetto di una
riflessione più puntuale nelle note che seguono.
La questione è connessa e conseguente anche (ma non solo) alla responsabilità ex art. 2560
c.c.
E' un dato prima di tutto economico che il conferimento si atteggia come un rapporto di
scambio, nel quale le azioni o quote "sottoscritte" rappresentano il "corrispettivo"
dell'apporto/cessione di azienda. Lo stesso legislatore sceglie di trattare il "conferimento"
come una vicenda traslativa, mediante il rinvio alle norme sul trasferimento dei beni o
diritti.
Come noto, l'obbligo è funzionale all'accertamento che il valore dell'azienda non sia inferiore
al valore nominale della quota o azioni ed al valore del sovrapprezzo deliberato, al fine di
assicurare la corretta formazione del capitale a tutela dell'interesse anche dei terzi creditori
della società[7].
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E' ormai un dato normativo che sia legittimo avvalersi di una relazione di stima riferita ad
una data non superiore a sei mesi rispetto a quella in cui è eseguito il conferimento (art. ex
art.2440, quarto comma, c.c.)
E' noto a chiunque abbia esperienza pratica che la trattativa fra parti si svolge anche (e
soprattutto) sul valore di conferimento, cioè sul corrispettivo della cessione. Accade, allora,
che il "corrispettivo", in una logica commerciale, possa non coincidere più con il valore
effettivo del "bene" trasferito.
Una delle due parti contrattuali rischia di rimetterci; per ora ci interessa verificare come può
tutelarsi la parte "acquirente/conferitaria"[9].
Sullo sfondo si profila un quesito applicativo: in quali limiti è legittimo o opportuno integrare
l'atto di conferimento a tutela della società conferitaria?
Verrebbe da dire che la necessaria presenza di una perizia (con il conseguente compimento
di una "due diligence" da parte dall'esperto, il quale è responsabile ex artt. 2343 secondo
comma e 2343 ter quinto comma c.c.), nella quale il valore del compendio aziendale è
oggetto di stima indipendente e prudenziale, e, limitatamente alla s.p.a., la facoltà/obbligo
di verifica successiva al conferimento da parte degli amministratori della società conferitaria
(cioè della parte contrattuale avversa rispetto al cedente), sembrano rendere meno urgente
l'esigenza di protezione contrattuale integrativa.
In effetti, la disciplina degli artt. 2343 e 2343 quater c.c. sembra consegnare alla parte
"acquirente" uno straordinario strumento di tutela. L'art.2343, quarto comma, c.c. rimette
agli amministratori della società conferitaria la verifica/revisione dei valori sulla base dei
quali è avvenuto il conferimento, riconoscendo a tale parte contrattuale una sorta di
"sintetica garanzia ex lege" relativa al valore del bene conferito[11]; inoltre attribuisce alla
medesima parte il diritto di annullare le azioni assegnate al conferente che risultano
scoperte a seguito della revisione unilaterale del valore. "Invero, mutatis mutandis,
l'acquirente, in questo caso, può unilateralmente accertare la sussistenza di vizi o di
minusvalenza senza nessun parametro predefinito e può ridurre discrezionalmente il "prezzo"
pattuito (rectius, la valorizzazione del conferimento), lasciando alla controparte la sola
alternativa del recesso"[12].
https://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=51/5103&mn=3 3/11
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L'art.2343 quater c.c. obbliga gli amministratori ad accertarsi se, successivamente alla data
di riferimento della perizia di cui all'art.2343 ter, comma secondo, lett. b) c.c. (l'unico
metodo di valutazione alternativo plausibile rispetto ad un compendio aziendale) "si sono
verificati fatti nuovi rilevanti tali da modificare sensibilmente il valore dei beni conferiti"
alla data in cui è avvenuto il conferimento, con l'effetto di dover riattivare il procedimento
di valutazione di cui all'art.2343 c.c..
- la data di riferimento per il controllo dei valori è quella della sottoscrizione delle azioni; la
verifica può accertare solo le minusvalenze occorse fra la data di riferimento della perizia di
stima e la data di esecuzione del conferimento. Le minusvalenze verificatesi
successivamente, anche se determinate da fatti o cause anteriori, restano a carico del
patrimonio sociale, e l'eventuale riduzione del capitale che ne può conseguire, per perdite,
finisce per gravare proporzionalmente tutti i soci.
Atteso ciò, si tratta allora di focalizzare al meglio le lacune del procedimento di revisione
legale del valore, a danno dell'una o della altra parte (conferente o società conferitaria), per
riuscire a colmarle in via negoziale. In secondo luogo, occorre accertarsi se le garanzie
volontarie siano compatibili con la disciplina legale di valutazione del conferimento
disegnata negli artt. 2343 e 2343 ter c.c..
Affrontando l'argomento giova rammentare che la verifica dei valori di stima è posta,
innanzitutto, a tutela dell'interesse, anche dei terzi, all'effettività del capitale sociale.
In secondo luogo, occorre rammentare che "I motivi che giustificano, anzi impongono, la
revisione in null'altro possono consistere se non nella (supposizione della) sopravalutazione
dei conferimenti in natura operata dall'esperto.[13]". Sopravalutazione che può forse essere
determinata da "errori" di valutazione, ma che, per lo più, dipende da minusvalenze
sopravvenute [14], ovvero da riduzione dei valori intervenuta fra la data di riferimento della
stima e l'atto di conferimento, poichè "nella dinamica dei valori economici d'impresa, in
effetti, l'elemento temporale incide significativamente ed i valori riferiti allo stesso oggetto
in momenti diversi possono subire variazioni, anche rilevanti, per effetto dell'evoluzione
dell'ambiente esterno e/ o di modificazioni delle combinazioni economiche interne
all'impresa, così che l'aggiornamento delle valutazioni potrebbe ritenersi necessario"[15].
Dunque, minusvalenza come differenza di valore dei beni e diritti compresi nell'elenco
contenuto nella relazione di stima ex art.2343 c.c.
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Dato atto di ciò, ci si può confrontare con la questione degli spazi concessi all'autonomia
privata per derogare al procedimento di verifica e revisione, soprattutto nell'interesse della
società conferitaria/parte acquirente.
Il disposto degli art.2343 e 2343 ter secondo lett.b) c.c., nell'elevare, implicitamente
(art.2343 c.c.) od esplicitamente (art.2343 ter c.c.) l'indipendenza a requisito essenziale
dell'esperto, rende evidente l'impossibilità di interferire convenzionalmente nella
determinazione del valore dell'azienda, rimessa al suo prudente apprezzamento. La soluzione
è coerente all'interesse generale all'effettività del capitale sociale di cui le norme richiamate
costituiscono un presidio.
Non risulta nemmeno legittimo prevedere la nomina di un terzo arbitratore che, anche
nell'interesse del conferente, esegua la revisione della valutazione dell'esperto, poiché è
compito degli amministratori: la tutela del terzo di fronte a svalutazioni ritenute non
corrette è affidata: i) fino al quinto del valore, all'irrilevanza della svalutazione; ii) oltre il
quinto, al diritto di recesso di cui all'ultimo comma dell'art.2343.
Il principio di tutela dell'effettività del capitale sociale non consente alcun margine
all'autonomia privata.
Ne deriva che non si possono ritenere legittime clausole che subordino il dovere/potere degli
amministratori di revisionare la stima al verificarsi di determinati presupposti o alle
preventive valutazioni di un terzo, in alternativa alla nomina del terzo arbitratore prima
ipotizzata.
Come visto, il termine legale è rappresentato dalla data di esecuzione del conferimento, al
fine di far gravare in capo al conferente le minusvalenze fino a quel momento verificatesi.
Poiché il procedimento di verifica è funzionale alla tutela dell'effettività del capitale sociale,
non vi sembrano essere ostacoli alla legittimità di una clausola con la quale il termine di
riferimento per la verifica è posticipato, poiché significa accrescere il rischio in capo al
conferente.
La conclusione sembra diversa qualora si intenda pattuire una clausola di retroattività del
conferimento, che finisce per trasferire alla società conferitaria, in deroga all'art.2343
ultimo comma c.c., "l'imputazione delle minusvalenze del conferimento verificatesi
nell'intervallo tra la data di riferimento della stima e la stipulazione dell'atto costitutivo"
[17].
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Quale potere di disposizione si può riconoscere alle parti rispetto ai rimedi contemplati
nell'ultimo comma dell'art.2343 c.c.?
Secondo parte della dottrina[19] sarebbe legittimo trasformare il diritto al versamento del
conguaglio in obbliga a carico del conferente, poiché si tratta di facoltà posta nel suo
esclusivo interesse, e come tale disponibile; allo stesso modo, e per la stessa ragione, il
conferente potrebbe altresì rinunciare al diritto di recesso.
Non sarebbe di contro legittimo vincolare la società a non ridurre il capitale, avvalendosi
solo dei rimedi alternativi; nella circostanza prevale la regola di ordine pubblico a tutela
dell'effettività del capitale sociale che non potrebbe essere superata nemmeno ricorrendo
all' applicazione in via analogica dell'art. 2344 c.c. sul mancato versamento del conguaglio in
denaro.
Più arduo riconoscere alla società il diritto di ridurre il capitale sociale mediante
annullamento per valore corrispondente delle azioni del solo conferente: si tratterebbe di
un'ipotesi di riduzione del capitale sociale non prevista dalla legge, e come tale volontaria,
che dovrebbe operare in assenza del presupposto legale dell' "esuberanza" previsto nell'art.
2445 c.c., e comunque soggetta al diritto di opposizione dei creditori.
Come rilevato, il procedimento legale di revisione svolge una funzione di tutela a fronte di
minusvalenze verificatesi fra la data di riferimento della relazione di stima dell'esperto e la
data di esecuzione del conferimento.
E' orientamento dominante che siano estranee al perimetro normativo e quindi ai rimedi
previsti nell'art.2343 ultimo comma c.c. "le eventuali minusvalenze del conferimento in
natura derivanti da fattispecie di mancata attuazione, ed in particolare da difetti giuridici o
materiali dei beni oggetto del conferimento.[20]"
Invero, parte della dottrina, minoritaria, propone una lettura estensiva della disciplina (e dei
rimedi) prevista nella norma da ultimo richiamata, le cui regole di protezione sarebbero
attivabili anche in presenza di insussistenze o difetti (giuridici o materiali) nelle consistenze
o nello stato dei beni rispetto alla descrizione contenuta nella relazione di stima. In tal caso,
ferma la possibilità della società di agire per l'adempimento o per il risarcimento dei danni,
si ritiene applicabile il rimedio dell'annullamento delle azioni o della riduzione del valore
nominale della quota, nei primi sei mesi. Si ritiene necessario proporre tuttavia
un'alterazione del procedimento: il diritto di corrispondere le differenze in denaro o di
recedere sono fisiologicamente posti a tutela del conferente di fronte a difficoltà di
valutazione precise dei cespiti da parte dell'esperto. Tali esigenze di protezione non
ritornano nel caso in esame in quanto la minusvalenza è determinata da insussistenza
materiale o giuridica dei beni, quindi da inadempimento. Ne conseguirebbe che il conferente
è tenuto a corrispondere la differenza in denaro anche se la minusvalenza è inferiore al
quinto, poiché non ricorre la ratio di tutela rispetto a difficoltà di valutazione, ma non può
recedere.
Decorsi 6 mesi dal conferimento, la società non potrà più avvalersi del rimedio reale
dell'annullamento delle partecipazioni, ma potrà agire sulla base delle ordinarie regole
personali di garanzia ex art. 2254 c.c.
L'insufficienza degli strumenti di protezione legale offerti dall'art.2343 c.c. con riferimento
alle minusvalenze cagionate da sopravvenienze passive successive alla data di conferimento
o da insussistenze quantitative o qualitative dei beni aziendali suggerisce l'opportunità, se
non la necessità, di corredare l'atto di conferimento di una serie di clausola di
rappresentazione e garanzie, con conseguente obbligo di indennizzo a carico del conferente.
https://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=51/5103&mn=3 6/11
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Con l'avvertenza che la presenza di tali clausole non evita o riduce l'ambito di operatività
dell'art.2343 c.c., ma è funzionale ad attivare una protezione integrativa. In altri termini,
non evita, in danno del conferente, la riduzione del capitale sociale in caso di rilevazione di
minusvalenze in sede di verifica obbligatoria a cura degli amministratori.
Sul versante opposto, e quindi in una logica di tutela del conferente, nemmeno l'inserimento
di clausole come "noto e gradito alla parte conferitaria" assume rilievo per vincere il
procedimento e la tutela inderogabile dell'art.2343 c.c..
Si vuol ribadire, in altri termini, che il ricorso a clausole di rappresentazione e garanzia può
solo integrare la tutela della società conferitaria/parte acquirente rispetto a quella offerta
dal procedimento di revisione di cui all'art.2343 c.c., ma non può sovrapporsi, sostituirsi o
interferire con detto procedimento, posto a presidio dell'interesse anche dei terzi creditori
all'effettività del capitale sociale, e come tale non disponibile. Così come per tale via non
possono istituirsi convenzionalmente rimedi "reali", come la riduzione del capitale in danno
del conferente, essendo affidato il riequilibro delle prestazioni solo all'indennizzo o
conguaglio in denaro.
Per esempio sul piano della definizione o ridefinizione negoziale del perimetro del complesso
aziendale.
Certamente nella fase delle trattative antecedente alla redazione della relazione di stima
dell'esperto le parti potranno convenire la composizione del complesso aziendale. Tuttavia,
se l'elenco dei beni facente parte della relazione di stima ex art.2343 c.c. non corrisponde
con quello negozialmente convenuto, agli effetti del conferimento prevale il primo, con un'
unica via di uscita: non dar luogo al conferimento.
Alquanto angusti sembrano altresì gli spazi per convenire la sostituzione di beni già indicati
in perizia qualora si rilevi la loro insussistenza, poiché potrebbe determinarsi la possibile
alterazione negativa del valore periziato; l'incertezza preclude la scelta negoziale, anche
perché, seguendo la dottrina prevalente, non sarebbe possibile rilevare una minusvalenza a
cura degli amministratori nell'ambito del procedimento di verifica di cui all'art.2343 c.c. non
essendo stato il bene sostituito oggetto di valutazione da parte dell'esperto. Qualora sia
necessario procedere alla sostituzione occorre rinnovare l'intervento del perito, a meno che
il bene mancante non venga surrogato con denaro in accordo fra le parti, ed eventualmente
di tale possibilità si sia tenuto conto nella perizia.
Discutibile per la dottrina è anche la clausola del seguente o di analogo tenore: "eventuali
variazioni delle consistenze patrimoniali risultanti tra la situazione patrimoniale di
riferimento della relaziona giurata di stima e la data di efficacia del conferimento
troveranno esatta compensazione in modo che il valore del patrimonio netto dell'apporto
rimanga immutato rispetto a quella determinata dall'esperto." Una clausola siffatta rimette
alle parti o ad un terzo arbitratore la determinazione della situazione patrimoniale alla data
di conferimento, così da pervenire all'accertamento negoziato delle variazioni intervenute
nel periodo interinale.
Tuttavia:
- non può incidere sul dovere degli amministratori di effettuare la verifica, né circoscriverlo
al periodo anteriore al termine di riferimento della perizia dell'esperto;
- è discutibile che eventuali maggiori valori, intesi come scostamenti positivi dovuti alla
gestione corrente possano dar luogo a credito del conferente[21], poiché c'è il rischio che
venga meno la garanzia della perizia in ordine alla copertura del valore nominale e del
sovrapprezzo e quindi si determini una restituzione del conferimento (passibile di sanzione
penale). Nulla garantisce infatti che il maggior valore sia determinato da oggettivi
incrementi e non da valutazioni più generose e di favore per il conferente.
Si torna allora a quanto più volte ripetuto: solo scostamenti negativi (minusvalenze) possono
dar luogo ad un obbligo di integrazione a carico del conferente, così da porre a suo carico le
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perdite interinali anche entro i limiti del quinto[22] e sopperire a passività latenti rilevabili
in perizia o a sopravvenienze passive rispetto al conferimento.
Sul piano dei rimedi si è già rammentato che per opinione dominante la società conferitaria
non può convenire il diritto di ridurre il capitale sociale in danno del conferente al di fuori
del procedimento di cui all'art.2343 c.c., e quindi nei limiti della revisione di valore
derivante da minusvalenze interinali.
Si può porre il problema di elaborare una tecnica che consenta alla società "di farsi giustizia"
economica da sé, come accade in caso di vendita dell'azienda (o delle partecipazioni sociali)
allorchè l'acquirente contratta una dilazione del corrispettivo con facoltà di compensazione
rispetto alle minusvalenze determinate da sopravvenienze passive, qualora il venditore non
sia in grado di prestare fideiussioni a garanzia dell'obbligo di indennizzo.
Si potrebbe pensare di ricorrere allora al conferimento "misto", inteso come tale con
riferimento alla causa della prestazione del conferente.
Il pagamento del conguaglio potrebbe essere differito nel tempo; è necessario che la
relazione di stima dia conto del valore effettivo del complesso aziendale da conferire e
dell'ammontare del debito da restituzione in capo alla conferitaria. Nella stessa delibera di
aumento del capitale o nell'atto costitutivo è necessario indicare il valore eccedente ed il
credito del conferente[24].
La tecnica proposta potrebbe divenire utile nel nostro caso per garantire al meglio la società
conferitaria: infatti, si potrebbe convenire la compensazione dell'eventuale indennizzo di cui
la società possa divenire creditrice verso il conferente a seguito di sopravvenienze passive o
per effetto della responsabilità ex art.2560 c.c. con il debito da conguaglio della medesima.
In tal modo la partecipazione del conferente risulterebbe ragguagliata all'effettivo valore del
conferimento sul piano dei rapporti con gli altri soci (con possibilità di concedergli il voto
plurimo per un certo numero di anni, così da sterilizzare sul piano della governance la
garanzia patrimoniale indiretta che la società ha acquisito). Qualora non emergano
sopravvenienze passive o comunque obblighi di indennizzo del conferente a favore della
società il credito pecuniario da conguaglio potrebbe essere utilizzato per sottoscrivere un
successivo aumento di capitale riservato, mediante compensazione. Non sembra emergano
rischi di annacquamento del capitale sociale, in quanto si tratta di credito sorto a fronte di
valore periziato.
2) seconda tranche che potrà essere sottoscritta al verificarsi di condizioni previste nel piano
economico finanziario (earn-out).
Secondo parte della dottrina[25] la relazione dell'esperto dovrebbe essere divisa in due parti:
la prima attestante il valore attuale e certo del ramo di azienda da conferire; la seconda
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nella quale si attesta che al verificarsi di determinate condizioni il valore potrebbe essere
considerato superiore.
Mi pare che la soluzione preferibile sia rappresentata dal ricorso ad un patto parasociale con
obbligo degli altri soci di deliberare un aumento con sottoscrizione non proporzionale a
favore del conferente.
La suggestione in tal senso è alimentata da un dato normativo: l'art.2465 c.c. non prevede il
controllo della relazione di stima da parte degli amministratori e, di conseguenza, non
consegna ad essi alcun potere di revisione del valore di conferimento.
Infatti, se non si vuole aderire all'orientamento[26] che sostiene l'applicabilità analogica alla
s.r.l. della disciplina della revisione della stima di cui ai commi terzo e quarto dell'art.2343
c.c., si deve concludere che "la mancata previsione della revisione della stima implica che
l'accertamento dell'eventuale sopravvalutazione o minusvalenza è, per così dire, "rimandato"
alla redazione del bilancio di esercizio e che le conseguenze di tale accertamento rimangono
regolate dalla disciplina generale del bilancio e del capitale sociale. La revisione effettuata
in occasione della redazione del bilancio può dar luogo ad una perdita, o, comunque, se non
transita a conto economico, ad una riduzione del netto e quindi imporre una riduzione del
capitale sociale per perdite, disciplinata dall'art.2482 bis"[27].
Come rileva la dottrina[28], i soci di società a responsabilità limitata, diversi dal conferente,
risultano maggiormente esposti ai rischi paventati rispetto a quelli di una s.p.a., la cui
disciplina imperativa, come visto, assicura una qualche forma di tutela, anche se imperfetta;
al contempo, e per la stessa ragione, ne risulta favorito il conferente, poiché il rischio di
minusvalenza, anche se superiore al quinto del valore periziato, non è allocato
esclusivamente sul suo investimento, ma socializzato e quindi condiviso.
Spetta allora all'autonomia privata l'onere di produrre regole di protezione del patrimonio
sociale nell'interesse dei soci diversi dal conferente, con il vantaggio di non incontrare i
limiti in precedenza osservati e dovuti alla ricorrenza di una disciplina legale imperativa con
la quale misurarsi.
Come ricordato, l'assenza di una disciplina imperativa sembra sottrarre l'autonomia privata a
limiti, e quindi consentire di adottare il set di clausole di cui la prassi ordinariamente si
avvale in caso di cessione di partecipazioni sociali di controllo.
b) che limitino l'aggiustamento solo alle variazioni dei dati contabili o economico/finanziari
alla data di esecuzione del conferimento;
In definitiva, "una volta rimessa la materia all'autonomia privata e statutaria, i soci potranno
introdurre nella disciplina del conferimento le più moderne tecniche e formule di
aggiustamento del prezzo elaborate dalla prassi delle operazioni di mergers and acquisitions,
modulando così la revisione della stima ed i suoi effetti in funzione di obiettivi e
valorizzazioni convenzionali dei termini dell'operazione e alla luce delle specifiche
caratteristiche dei beni o crediti conferiti e – nel caso del conferimento di aziende o rami di
azienda – del settore di attività in cui l'azienda conferita opera"[31].
Il tema interpretativo diviene allora quello dei rimedi applicabili una volta rilevate
minusvalenze di qualsiasi natura rispetto al valore di conferimento.
Non vi è dubbio che sia possibile prevedere un obbligo di indennizzo a carico del conferente,
soluzione già ammessa nella s.p.a. in funzione integrativa della disciplina legale, come in
precedenza ricordato[32].
Non sarebbe invece conforme alla disciplina del recesso l'attribuzione al conferente del
diritto di ottenere la restituzione del bene conferito, poiché secondo l'orientamento
dominante[36] le modalità di liquidazione della partecipazione del socio receduto non sono
derogabili, dovendosi riconoscere alla disciplina dell'art.2343 c.c. carattere eccezionale.
(1) Per tutti, Miola, I conferimenti in natura, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e
Portale, 1***, Torino, 2004, p.171 e ss.
(2) Ci si riferisce al Convegno organizzato il 22 ottobre 2004 al Milano dal Comitato Regionale Notarile
Lombardo "Cessione ed affitto di azienda alla luce della più recente normativa", i cui atti sono pubblicati
da Giuffrè, 1995; in particolare, Marchetti, Spunti in tema di conferimento di azienda a fronte di aumenti
di capitale di società per azioni, p.89 e ss.
(6) Il tema risulta affrontato puntualmente in due contributi: Cassottana, Rappresentazioni e garanzie nei
conferimenti di azienda in società per azioni, Giuffrè, 2006; Cincotti, Il contratto di acquisizione d'azienda
mediante conferimento nella s.p.a., Giuffrè, 2009.
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(7) Ancora per tutti, Miola, cit, in particolare p.471. Si tratta di concetti condivisi che non meritano
approfondimenti ulteriori ai nostri fini.
(9) Il problema della tutela dal lato del conferente/cedente costituisce oggetto del pregevole contributo di
Speranzin, L'aumento di capitale "garantito", in Banco, Borsa, Tit. di credito, 2007, p.454 ss.
(16) Miola, I conferimenti in natura, Trattato delle società per azioni Colombo-Portale, UTET, 2004, p.476
(18) Si veda in tal senso, inter alios, Miola, cit. p.416, nt.242.
(26) Per tutti Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Commentario Schlesinger, Tomo I,
Milano, 2010, p.357; per un'esaustiva panoramica del dibattito Miola, La stima dei conferimenti in natura
e di crediti, in S.r.l., Commentario, dedicato a G.B. Portale, Milano, 2011, pp.205 e ss.
(27) Cacchi Pessani, sub. art.2465, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti,
Bianchi, Ghezzi, Notari, Società a responsabilità Limitata (a cura di Bianchi), Milano, 2008, p.194.
(29) Estremamente nitide e condivisibili sul tema le considerazioni di Cacchi Pessani, cit., p.199: "Nel
silenzio della legge spetta cioè ai soci della conferitaria e al socio che esegue il conferimento di negoziare,
insieme a tutti gli altri termini e condizioni del conferimento, anche questo aspetto, e quindi di introdurre,
nell'atto costitutivo, nella decisione sull'aumento di capitale o nell'atto di conferimento, previsioni e
clausole che consentano di rivedere i valori di conferimento anche dopo la sua esecuzione e di
aggiustarne il valore di scambio, riequilibrando, ad esempio, le posizioni dei soci in funzione dell'effettivo
valore dell'apporto".
(31) Cacchi Pessani, cit., p.201; in tal senso anche Miola, La stima dei conferimenti in natura e di crediti,
in S.r.l., Commentario, p.208.
(35) In tal senso Massima n.9 , in Orientamenti dell'Osservatorio sul diritto societario del Consiglio
Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, Milano, 2012, p.139.
(36) Si vedano in tal senso: Zanarone, Della società a responsabilità limitata, Tratt. Schlesinger, I,
Milano, 2010, p. 848; Revigliono, Il recesso nella società a responsabilità limitata, Milano, 2008, p.342;
Piscitello, Recesso ed esclusione, Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum Gian Franco Campobasso,
3, Torino, 2006, p.733.
https://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=51/5103&mn=3 11/11